I L 0T U O 5 x100 informa - accri.it · per la lettura di un libro e la visione di un film,...

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Poste Italiane SpA_Spedizione in Abbonamento Postale_DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n°46) articolo 1, comma 2 NE/TN bollettino semestrale anno 6 [n° 11] 6 In caso di mancato recapito inviare al Trento CPO per la restituzione al mittente previo pagamento resi. giugno 2018 informa Associazione di Cooperazione Cristiana Internazionale Ci siamo chiesti: se la “contaminazio- ne” quotidiana con l’altro, anche nella quotidianità più vicina e più comune, ci interroga, ci modifica, ci fa cresce- re, tanto più dovrebbe farlo l’immer- sione totale nelle realtà “altre”, per un interrogarsi che forzatamente diventa più intensivo? E al rientro, come pos- sono dire i volontari che l’esperienza li abbia cambiati o abbia influito sul modo in cui guardano, interpretano e agiscono? Per trovare qualche risposta, abbia- mo interpellato alcuni giovani volon- tari, che hanno prestato servizio nei progetti dell’ACCRI, proponendo loro di tratteggiare per noi un breve bilan- cio personale: riteniamo che per noi tutti, da lettori, queste testimonianze possano essere strumenti utili per valutare l’effetto dei progetti dell’As- sociazione anche in questa parte del mondo, grazie a ciò che i volontari portano con sé al rientro; si tratta, nel contempo, anche di una sorta di “lenti d’ingrandimento” puntate sul senso e sull’esito del confrontarsi e dell’im- mergersi quotidiano in realtà che non fanno parte del nostro vissuto. Ai contributi dei volontari abbiamo af- fiancato una preziosa testimonianza di Luis Badilla Morales, medico cileno, giornalista e molto altro, noto per un impegno pubblico che lo ha portato al vertice di un Ministero nel governo Allende, che ha vissuto a sua volta l’e- Q uesto numero di ACCRInforma è dedicato al tema del volontariato internazionale, tema centrale per l’Associazione, che cura la formazione dei propri volontari, attraverso un percorso lungo e impegnativo, per farne poi il fulcro dei propri progetti internazionali. Ci è parso opportuno dedicare un’uscita della rivista ad un piccolo bilancio, o meglio ad un portare l’attenzione su questa forma di impegno, così vitale per l’ACCRI: si tratta, per chi decide di abbracciare la scelta del volontariato, di dedicare due anni della propria vita alla partecipazione a progetti interna- zionali, che si svolgono in Paesi e culture lontane da quella di provenienza, ma si tratta soprattutto di una scelta di vita che ha delle radici, delle motivazioni nel vissuto precedente e non può non influire sul cammino successivo alla conclusione di quella esperienza. sperienza del volontariato e ne fa lo spunto per una serie di considerazio- ni che travalicano il “personale” per allargarsi anche ad altro. A completare la panoramica una breve nota sulla campagna “Abbia- mo riso per una cosa seria”, appena conclusa con la raccolta di fondi, a sostegno del progetto che l’ACCRI ha in corso in Ciad, e con una ricaduta anche sulle mense cittadine, e, infine, due suggerimenti, rispettivamente per la lettura di un libro e la visione di un film, entrambi vicini al tema che abbiamo a cuore stavolta. Un cordiale augurio di buona lettura! La Redazione I L T U O 5x 1 0 0 0 A L L ’A CC R I

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Poste Italiane SpA_Spedizione in Abbonamento Postale_DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n°46) articolo 1, comma 2 NE/TN

bollettino semestrale anno 6 [n° 11]6

In caso di mancato recapito inviare al Trento CPO per la restituzione al mittente previo pagamento resi.

giugno 2018

informaAssociazione di Cooperazione Cristiana Internazionale

Ci siamo chiesti: se la “contaminazio-ne” quotidiana con l’altro, anche nella quotidianità più vicina e più comune, ci interroga, ci modifica, ci fa cresce-re, tanto più dovrebbe farlo l’immer-sione totale nelle realtà “altre”, per un interrogarsi che forzatamente diventa più intensivo? E al rientro, come pos-sono dire i volontari che l’esperienza li abbia cambiati o abbia influito sul modo in cui guardano, interpretano e agiscono?

Per trovare qualche risposta, abbia-mo interpellato alcuni giovani volon-tari, che hanno prestato servizio nei progetti dell’ACCRI, proponendo loro di tratteggiare per noi un breve bilan-cio personale: riteniamo che per noi

tutti, da lettori, queste testimonianze possano essere strumenti utili per valutare l’effetto dei progetti dell’As-sociazione anche in questa parte del mondo, grazie a ciò che i volontari portano con sé al rientro; si tratta, nel contempo, anche di una sorta di “lenti d’ingrandimento” puntate sul senso e sull’esito del confrontarsi e dell’im-mergersi quotidiano in realtà che non fanno parte del nostro vissuto.

Ai contributi dei volontari abbiamo af-fiancato una preziosa testimonianza di Luis Badilla Morales, medico cileno, giornalista e molto altro, noto per un impegno pubblico che lo ha portato al vertice di un Ministero nel governo Allende, che ha vissuto a sua volta l’e-

Questo numero di ACCRInforma è dedicato al tema del volontariato internazionale, tema centrale per l’Associazione, che cura la formazione dei propri volontari, attraverso un percorso lungo e

impegnativo, per farne poi il fulcro dei propri progetti internazionali. Ci è parso opportuno dedicare un’uscita della rivista ad un piccolo bilancio, o meglio ad un portare l’attenzione su questa forma di impegno, così vitale per l’ACCRI: si tratta, per chi decide di abbracciare la scelta del volontariato, di dedicare due anni della propria vita alla partecipazione a progetti interna-zionali, che si svolgono in Paesi e culture lontane da quella di provenienza, ma si tratta soprattutto di una scelta di vita che ha delle radici, delle motivazioni nel vissuto precedente e non può non influire sul cammino successivo alla conclusione di quella esperienza.

sperienza del volontariato e ne fa lo spunto per una serie di considerazio-ni che travalicano il “personale” per allargarsi anche ad altro.

A completare la panoramica una breve nota sulla campagna “Abbia-mo riso per una cosa seria”, appena conclusa con la raccolta di fondi, a sostegno del progetto che l’ACCRI ha in corso in Ciad, e con una ricaduta anche sulle mense cittadine, e, infine, due suggerimenti, rispettivamente per la lettura di un libro e la visione di un film, entrambi vicini al tema che abbiamo a cuore stavolta.Un cordiale augurio di buona lettura!

La Redazione

IL TUO 5x1000

ALL’ACCRI

Installazione di grondaie presso l’abitazioni di una beneficiaria dei progetti dell’ACCRI a Iriamurai in Kenya.

Il tempo passa e acquisisci un po’ di esperienza, che ti spinge a mettere il naso fuori dalla campana

di vetro in cui ti ci ritrovi sin dal tuo arrivo. I progetti più sono complicati e più ti regalano quel-le occasioni d’oro per approfondire le relazioni con i partner di progetto, i tuoi colleghi ed alcuni membri della comunità.Ma più racimoli esperienze e lavori gomito a gomito con gli africani e più si insinua dentro di te quella sen-sazione che, il più delle volte, conti quanto il due di picche, che quello che fai difficilmente avrà un segui-to, che le energie che tu investi quotidianamente per gli altri, sottraendo tempo prezioso a te stesso, la tua famiglia ed i tuoi amici, non ci porteranno lontano, che i nostri progetti, per le energie che ci mettiamo e i risultati che arrivano, non hanno nessuna reale pro-spettiva di sostenibilità.Ma allora perché continuare? Perché perseverare e resta-re a Iriamurai, prima come Sara e poi come ACCRI?

Quando parti nessuno ti dice chiaramente che ti troverai a dover pagare quasi sempre tu il conto. Che il razzismo c’è anche qui e tu sei il diverso, che ti troverai così vicino agli squilibri Nord-Sud di cui si parla al corso introduttivo, che ti brucerai (e fidatevi che brucia), che dovrai pagare per il male fatto a questa gente quan-do tu non eri neanche nato. E paghi, imparando l’arte di saper perdere, come don Piero ci insegna.

Tutte le frustrazioni possono avere un senso quando riesci a vedere i nostri sforzi in un disegno più gran-de, quando immagini questa esperienza come parte di un percorso che vorresti continuasse, ovunque ti troverai, anche quando sarai tornato a casa, ovunque questa casa tu vuoi che si trovi, quando realizzi che questa espe-rienza non è una parentesi nella tua vita, ma parte integrante di essa, che in qualche modo ti fa sentire che hai diverse opportunità per diventare una persona migliore, che stai imparando ad amare.

Continui a restare e perseveri perché, se non ti ar-rocchi attorno ai tuoi progetti e le tue aspettative, riesci a vedere che non è vero che conti sempre come il due di picche, e lo vedi quando riconosci che, oltre a te, anche le persone attorno a te stanno crescendo: poco alla volta, ma le cose succedono, basta aspettare per vedere.

E poi continui perché hai la sensazione di viaggiare in prima classe. Ti capitano quelle occasioni rare in cui ti trovi ad assistere al lavoro di Dio con gli uomini, riconoscendo che anche tu sei una pedina della scacchie-ra. E fidatevi che tutto questo, quando arriva, quando lo riesci a vedere, ripaga ogni minuto tolto a te e alla tua famiglia, e lenisce ogni ferita.Continua ad essere un’opportunità. Grazie!

Sara

[01] Il due di picche

Marco Fintina di Treviso, volontario dell’ACCRI assieme alla moglie Simona in Ciad e in Cile. Nel dicembre 2015 ci scriveva questa lettera.

Dalle considerazioni individuali di Sara Moratto, volontaria dell’ACCRI in Kenya (dicembre 2017).

[02] Lettera all’ACCRI

Carissimi amici dell’ACCRI,è da tempo che pensavo di scrivervi…

Desideravo dirvi un po’ come mi sta andando, che l’atti-vità di educatore in questi anni mi ha preso molto e si è trasformata da questa estate in quella di operatore in un centro profughi prima, con i senzatetto poi, e da oggi anche nel carcere minorile di Treviso.Inutile dire che questa virata nel sociale ha fondamen-ta in voi e nell’approccio che con voi ho imparato da volontario e che ho cercato a mio modo d’interpretare e di portare nelle varie cooperative del territorio in cui lavoro. Ed è un lavoro che trovo bellissimo, per lo scambio umano, per la necessità di esserci ed anche per la pochezza di risposta che si può dare a domande così grandi, che non possono che diventare altro che domande che poniamo e ci poniamo a nostra volta. Esattamente come era in Ciad e Cile siamo sempre qui ad interrogarci di fronte al mistero. Interrogarci insieme agli altri sul futuro, interrogarci con altre persone che allargano la gamma delle domande e che presentano altri punti di vista e ben più urgenti bisogni. Lo spirito del mondo oggi c’impone di pensare alle perso-ne che arrivano forse anche come un parziale fallimento della cooperazione (non di tutta però, non certo quella dell’ACCRI) che nell’idealità del “salvataggio”

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non è riuscita a contrastare minimamente l’attra-zione del nostro modello in quei paesi da cui provengono i cosiddetti migranti economici e che non ha certo sa-puto scalfire la povertà. Quanto alle guerre poi, non ne parliamo. Il nostro debito resta altissimo nei confronti del sud del mondo.Credo che oggi non possiamo che essere accoglienti. Con tutti i problemi che possono derivarne.

Certe notti quando mi chiudevo con i migranti in quella scuola oggi adibita a dormitorio - erano circa una cin-quantina - mi pareva di essere tornato in Africa e di ascoltare le voci dalla veranda che mi piaceva ascoltare quando ero preso dalla febbre; lingue sussurrate, gut-turali e sconosciute che danno pace. Ma questa a Treviso era un’Africa diversa, un’Africa babelica, di tutte le lingue che si mescolavano e si ritrovavano qui spaesate, tutte a battere su racconti terribili di privazioni che ben conoscevo. Erano tutti giovani e i giovani hanno tutti il sorriso a fior di labbra per averla scampata, per ricordarsi d’esser gio-vani con un futuro in Europa, avevano i muscoli sani e l’illusione di un welfare che non li abbandonerà. E intanto restavano isolati dentro un’ex scuola, orga-nizzati ed efficientati ad un’ingombrante ma dignitosa convivenza. Del resto nessuno in città era contento che fossero arrivati fin qui, a nessuno veniva in mente di venirli a trovare, pochi trevigiani non mugugnavano a vederli passare e qualcuno sonoramente bestemmiava come da tradizione. E noi che, per legge, li abbiamo curati e nutriti non abbiamo saputo dirgli (oltre l’iter burocratico) che ne

Qui chiedono asilo politico anche se scappano solo da una gran fame per cui non è previsto il titolo di profu-go. Ma sanno che ci vorranno anni qui per stabilirlo e per il futuro si vedrà, non si sa mai cosa la fortuna, cosa Dio preveda per loro. Intanto si mangia.Inutile dire quanto mi siano stati simpatici questi af-famati che hanno fatto mangiare (per un pochino) anche me. Più difficile ancora dire quanto oggi mi manchino. Si era formata una vera comunità di “arrivati” che cerca-vano una lingua comune nell’italiano ma che non mancava-no di cercare di capirsi attraverso la somiglianza delle parole nelle varie lingue. Mai una lite e anzi, il merito della buona educazione anche nella difficoltà. Credo che ci siamo voluti bene, ma il loro cammino è ancora lungo.Sierra Leone, Afghanistan, Senegal, Eritrea, Bangladesh, Nigeria, Guinea Conakry, Mali, Guinea Bissau, Burkina Faso, Somalia. Il meglio del mondo! Anglofoni, lusofo-ni, wolof, mandinga, ha, kriolo, francofoni, analfabeti, islamici, animisti e cristiani, tutti qui sotto il sole e nel freddo in attesa di un raggio di sole o di un posto all’ombra. Ma l’attesa pasciuta finisce con l’annoiarli, sfibrarli, togliendo loro quello slancio vitale che li ha portati fin qui. E sul futuro né loro né noi sappiamo granché.Alcuni stranieri li ho poi ritrovati tra i senza tetto, molto più amari e spenti, consapevoli di come gira il sistema dell’accoglienza e con la guardia alta, anime inquiete e richiedenti ogni cosa, a cui far rispettare leggi, orari e disposizioni. C’è stato meno da ascoltare con loro, molto induriti, rivolti all’alcol e tesi verso l’ottenimento di una “zona di conforto” qualsiasi. Inca-paci di ottenerla. Ricordo urla e strepiti fuori dalla porta per entrare. È stata un’esperienza dura ma lì ho conosciuto e mi sono confrontato anche con i volontari di Sant’Egidio…Poi sono stati e sono ancora i carcerati, i minori. Chiu-si dentro ad una stanza, dentro un appartamento dentro la prigione, in attesa di difesa e di giudizio, una casa con le sbarre tutte all’infuori, le luci sempre accese e le telecamere che ci fissano. Ed io con loro a parlare di tutto, soprattutto della presunta libertà.In mezzo a tutto questo schiere e schiere di bambini a cui far lezione la mattina, volti freschissimi di cuc-cioli, esseri umani aurorali.

Penso sempre a ciò che ho imparato con voi, a quanto possa essere lento un buon cambiamento, a quanto sia fragile ogni germoglio, come un capelvenere sulla ter-ra (ma nemmeno, come un lievito, come un fermento), ed anche a quanto possano essere repentini i movimenti che possono spegnere i lunghi processi, azzerare ogni sforzo. A come possa sembrare a volte contraddittorio il bene che si crede di avere o di fare. Eppure il cambiamento a volte viene dal profondo e anche se non sai dove mira, tu perfettamente immobile, puoi sentire l’aria che gli si muove intorno. Avviene se si dà valore all’intenzione e se si ha una buona guida. Ed essere là al momento giusto non è un merito ma una grazia, che giustifica anche fallimenti numerosi.

Batte un cuore nuovo e Simona lo porta, l’ho sentito ieri ed è stato emozionante e profondo, poi l’ho visto nella nebbia dell’universo finito da cui non si esce che piangendo. E sapevo mentre lo guardavo che ero nel posto giusto (Costanza, la loro bambina ha ora 2 anni n.d.r).Ignoro come sarà da qui in avanti, esattamente come prima. Ma speriamo bene. Buone feste. Vi abbraccio.

Marco

sarà di loro, ma abbiamo aiutato quelli che lo voleva-no, a scappare al nord. Li avvertivamo sempre di quanto difficile sarebbe stato comunque trovar scampo, anche in un altro Paese. Ma loro avevano il sorriso sulle labbra prima di andarsene via, anche se, come è giusto, poi se ne andavano via in segreto, senza nemmeno salutare.Avere un po’ di quell’energia che fa loro attraversare il deserto, che li spinge a lavorare come schiavi in Libia, ad imbarcarsi una, due, tre volte in barconi che il più delle volte affondano ancor prima di partire, nei porti, sotto il carico umano, e poi attraversare le onde del mediterraneo che fanno tanti i morti di quelle zattere instabili, e quindi se hanno fortuna essere poi accolti in Sicilia, scampati alla morte e arrivare in Europa senza niente: eccoci qua! Signori, siamo i profughi! Aiutateci o sparateci!

Simona e Marco hanno operato in Ciad da aprile a dicembre del 2008 e in Cile dal 2009 al 2011.

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Dona il tuo 5x1000 all’ACCRI<

Sono trascorsi 11 anni da quando sono rientrato in Italia dal Ciad. In questi anni ho pensato diverse

volte a quella piccola parentesi della mia vita dedicata al volontariato internazionale.

Ancora oggi ricevo telefonate direttamente dalla brousse, dal piccolo villaggio rurale di Gagal e rispondendo al telefono esordisco dicendo “Lalé lalé, i to majé wa?” E Thomas puntualmente scoppia in una fragorosa e gustosa risata con un “Nazara, nazara compliqué!”. Sono ricor-di che porterò sempre con me e magari per qualcuno non significherà molto, ma per me sì: incontro di culture diverse, modi di pensare e di agire diversi, un genuino scambio di usi e costumi.

Oggi nel mio lavoro ritrovo questo incontro di culture. Approfitto di queste due ore di volo (rientro da Bruxel-les n.d.r.) per fissare alcuni pensieri. La flessibilità, l’adattamento, l’incontro con l’altro sono aspetti pre-senti nella mia quotidianità. Mi piacerebbe avere l’abi-lità di mio fratello e narrare i due anni vissuti in Ciad sotto forma di fumetto. Potrei rappresentare la storia dell’incontro con il capo spirituale, o delle difficoltà di far uscire la macchina dal fango durante la stagione delle piogge o le lunghe visite mute che ricevevamo.Storie. Racconti che ti riempiono. Oggi, in questo pe-riodo, incontrare l’altro sembrerebbe proprio una pazzia. Paura, timore verso una cultura diversa. Ma senza quel periodo di condivisione africana non avrei quel tesoro che mi è rimasto dentro.

Oggi lavoro presso l’APRE (Agenzia per la Promozione della Ricerca Europea) e mi porto dietro quel bagaglio culturale di 11 anni fa che ha contributo a farmi diven-tare il professionista che sono adesso.

Angelo

Angelo d’Agostino, volontario dell’ACCRI in Ciad. Nell’aprile 2018 scrive…

Luca Mulazzani, agronomo di Gabicce Mare, e la moglie Rosa Manrique Paredes, biologa di Arequipa (Perù), volontari dell’ACCRI in Ecuador. Nell’aprile 2018 scrivono…

[03] Nazara, nazara…

[04] Uomo e natura

Il nostro 5 per mille ha preso una bella piega…

Al volontariato sono arrivata con un background di formazione in scienze biologiche e di ricerca ap-

plicata sulle diverse interrelazioni tra gli organismi e l’ambiente.

Con il volontariato, invece, mi sono avvicinata all’uomo, lasciando un po’ da parte l’osservazione della natura e interessandomi di più al rapporto uomo-ambiente. L’uomo del resto dipende dall’ambiente, e lo modifica in un modo tale che la propria vita rimane comunque assoggettata ad esso, perché non puoi farne a meno, perché tutto il bene e anche il male, è correlato all’ambiente che ti circonda (si pensi per esempio alle comunità rurali circondate da immensi latifondi per la coltivazione di banana che ven-gono irrorati ciclicamente con dosi massicce di chimici di chissà cosa). Sì, è così.

Dopo il volontariato, ho avuto la fortuna di proseguire i miei studi e la ricerca applicata nel campo delle scienze ambientali ed economiche, ed ecco che torna di nuovo il tema uomo-natura e l’influenza dell’ambiente sull’econo-mia locale. La mia esperienza di volontariato mi ha fatto però da guida.

Lo sviluppo delle comunità in ambienti difficili, in-trappolate nella povertà, che non possono fare a meno del proprio ambiente perché è la loro principale risor-sa mi ha fatto riflettere. Dovremmo essere in grado di trovare gli strumenti che ci permettano di trasformare l’ambiente per favorire la nostra vita, nel modo giusto, responsabile. Più conosciamo il nostro habitat più siamo in grado di capire i cicli della vita, più siamo consapevoli delle nostre fragilità. Gestire l’acqua, produrre il cibo, cre-are lavoro non sono aspetti indipendenti dalla natura, ecco cosa faccio ora, mettere questa mia consapevolezza al servizio degli enti governativi, dei progetti di ri-cerca e della cooperazione internazionale per creare un lavoro sinergico. Io ci credo.

Rosa

Angelo ha operato nel progetto di sviluppo agricolo a Gagal Keunì in Ciad dal 2005 al 2007.

Con il tuo aiuto possiamo fare molte cose!Codice Fiscale 90031370324

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Un’esperienza di volontariato di due anni in un pae-se in via di sviluppo può mettere alla prova sotto

molti punti di vista, così come si è messi alla prova al ritorno. Alcune cose, una volta rientrati, appaiono così banali, al contrario di altre delle quali si riscopre il valore. Un esempio sciocco: in Ecuador siamo stati per due anni senza televisione. Non ci è mancata affatto. Tornati in Italia, abbiamo continuato a vivere per altri cinque anni senza TV, ma non è detto che l’effetto sia permanente, ora ne abbiamo una da non so quanti pollici

e non lo ridaremmo indietro volentieri.Una cosa che ve-ramente acquista un grande valore per noi italiani credo sia il nostro vituperato sistema sanitario. Anche in Ecuador potevi accedere all’eccellenza (parliamo di più di dieci anni fa, non so quanto sia cambiato), però solo se avevi i soldi per permettertelo, e noi li avevamo; ma abbiamo visto famiglie che sono andate in rovina, hanno venduto animali e terra, per ricorrere a cure che alla fine non sono servite a nulla. Teniamocelo stretto il nostro servizio sanitario.Gli affetti, le amicizie, sono un altro elemento di cui si sente la mancanza quando si è lontani (e magari non si apprezza pienamente quando si è vicini). Per noi che siamo partiti in coppia è stato un po’ diverso, del re-sto la persona più importante ci era sempre accanto. Sempre accanto, forse a volte persino troppo, nel senso che riuscire a dividere il lavoro dalla vita famigliare è importante, credo. Penso che questa sia stata una le-zione che abbiamo imparato: prenderci ognuno i nostri spazi e tempi.Per il resto le nostre vite da cittadini sono veramente lontanissime dagli stili di vita degli agricoltori di quei paesi. Non sappiamo quasi cos’è la natura selvag-gia, benigna e maligna, la sua capacità di dare vita e morte, cibo e malattie, e la fatica fisica di lavorare la terra. Non che là fossero tutti santi, era un ambiente con elevati livelli di violenza e alcolismo. Non li rim-piangiamo di certo. Alcuni beneficiari del progetto sono stati assassinati durante il nostro soggiorno.È passato già molto tempo, e per certi aspetti il ricordo è più simile a quello di un sogno romanzesco.

Luca

Desidero ringraziare le operatrici dell’ACCRI che per tre mercoledì di gennaio si sono incontrate con i bambini della IV A della scuola primaria V. Longo per aiutarli a capire l’in-giusta distribuzione delle ricchezze nel mondo, la necessità di uno sviluppo sostenibile e solidale, proponendo concreta-mente ai bambini un cambiamento dei loro stili di vita.

Attraverso video, immagini, giochi divertenti e semplici esempi e riflessioni che hanno portato i bambini ad un ani-mato dialogo, sono stati approfonditi i concetti di squilibrio mondiale, di impronta ecologica e per ultimo il concetto del-la necessità di un consumo eco-sostenibile.

I bambini, sono rimasti molto colpiti nel poter vedere mate-rialmente lo squilibrio tra il Nord ed il Sud del mondo attraver-so un gioco che li vedeva protagonisti; non si dimenticheran-no più di Sylvain, il bambino del Ciad che ha raccontato la sua giornata e le sue usanze quotidiane tanto diverse dalle loro.

Certo, conoscevano il significato della raccolta differen-ziata, ma il diventare eco-consumatori è altro! A parte una bambina con una famiglia molto attenta su queste tematiche, la maggior parte di loro si è resa conto che sono ben lontani dall’essere dei veri eco-consumatori, anche se un pochino lo sono, quando vanno ad arrampicarsi sul ciliegio dell’orto del-la nonna o a mangiare le susine della zia.

Certo, ora lo stile di vita è quello delle loro famiglie, ma forse un giorno… si ricorderanno di quello che hanno visto e sentito e chissà se sulle loro tavole ci saranno le arance in giugno o le ciliege in febbraio? Chissà se dopo questi tre in-contri saranno capaci di apprezzare di più tutto il ben di Dio che possiedono? Cominceranno a dire grazie o continueran-no a pensare che tutto sia dovuto? Saranno un pochino più attenti all’ambiente ricordandosi delle 4 R? Ridurre i consumi. Recuperare. Riutilizzare. Riciclare.

È una tematica che merita di essere approfondita anche nei prossimi anni, perché ognuno di noi deve prendersi la responsabilità di aver cura del nostro bellissimo mondo e dei suoi abitanti. Noi siamo piccoli, ma ci stiamo provando.

Grazie ACCRI per il bellissimo lavoro!Orietta Fonda

Educazione allo sviluppo sostenibile e alla cittadinanza globaleOrietta, insegnante di religione della scuola primaria Longo di Trieste, ci scrive…

Luca e Rosa hanno operato nel progetto di sviluppo delle comunità contadine di Pueblo Viejo e Baba in Ecuador dal 2005 al 2007.

[05] Sogno romanzesco

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Grazie per l’invito e buongiorno a tutti.

Sono contento della mia vita. È sta-ta un po’ avventurosa, però – come diceva il grande poeta cileno Paolo Neruda, premio Nobel per la lettera-tura – “Confesso che ho vissuto”: io ho vissuto molto e ho vissuto bene. Ricordo, di questa mia vita, un’espe-rienza speciale in Guinea Equatoriale. Vi confesso che dopo 40 anni in cui ho studiato, ho insegnato nel mondo del volontariato, ho avuto là la sensa-zione che era la prima volta che capi-vo veramente cos’è il volontario, che cosa fa esistenzialmente, antropolo-gicamente chi sceglie il volontariato: in quella circostanza, in un lebbrosa-rio, la frase di un lebbroso mi ha fatto capire che l’importante non erano le cose dette (anche se potevano appa-rire al momento piene di messaggi importanti) o le cose fatte, da una parte e dall’altra; quello che sarebbe rimasto realmente era qualcosa che arrivava nel profondo delle persone e che il mio interlocutore ha magnifica-mente sintetizzato con la frase “non ci dimenticheremo mai di quello che ci avete fatto sentire”. Ho capito che un conto è l’emozione e un altro con-to è il sentimento.

Il volontariato breve è un’emozione (qualcosa di momentaneo), ma non è un sentimento: l’importante è trasfor-

IL VOLONTARIATO OGGIIntervento di Luis Badilla all’assemblea dell’ACCRI

mare un’emozione in sentimento. Si potrebbe dire che la scelta dell’anima (perché alla fin fine il volontariato è una scelta dell’anima), è la capacità di trasformare quello che istintivamen-te prima era un’emozione: l’istinto, la tensione a condividere, accom-pagnare, conoscere, partecipare, va trasformato in un sentimento, cioè un comportamento nell’accompagna-mento, nella condivisione.

Non è facile quindi tratteggiare l’i-dentità del volontariato e del volon-

tario, perché non si tratta di defini-re una realtà matematica, materiale, tangibile, algoritmica. Per certi versi il volontariato, o lo si vive, o non si può capire integralmente: non dico che non lo si possa capire dal pun-to di vista accademico, intellettuale, o dell’analisi astratta, però per poter afferrare – come direbbe Paolo Ne-ruda – la parte genitale della que-stione, tu devi vivere l’esperienza di uno che ti dice “grazie per quello che ci hai fatto sentire”. Ma non si tratta del ringraziamento, che conta poco, e non ha nessuna rilevanza, quanto del legame che si è creato nel sentire insieme: so che a voi questo mio lin-guaggio, queste mie considerazioni possono sembrare un po’ tirate per i capelli, anzi so che per la società attuale queste considerazioni, que-sto linguaggio possono risultare tirati per i capelli.

Stavo dicendo quanto sia difficile trattare il tema del volontario e del volontariato e mi sentirete dire spes-so le due parole assieme, perché non è concepibile il volontariato se non è riferito ad un soggetto, al punto tale che il punto di partenza è il volonta-rio, e non il contrario. Forse noi stessi siamo colpevoli di aver creato un po’ di confusione, cosicché il volontariato ad un certo momento appare quasi come un mestiere.

Ricordo che tempo fa, anni fa – forse voi eravate ancora piccoli – una certa pubblicità che faceva lo Stato, il governo, sul volontariato interno (non internazionale), sembrava quasi proporre un posto di lavoro, e il vo-lontariato appariva come un mestie-re, certamente nobile, pieno di tutte le caratteristiche positive che volete,

Luis Badilla Morales, nato in Cile, in Italia dal 1973, medico chirurgo, per quasi 40 anni ha lavorato presso la Radio Vaticana, prima nei programmi per l’America Latina e poi nella Redazione centrale, occupandosi particolarmente dei grandi problemi e delle sfide dei popoli del Terzo Mondo. Da oltre 10 anni è responsabile editoriale di un aggregatore, creato da lui, dove si raccolgono le principali notizie sulla vita della Chiesa cattolica, il papato, sulle altre grandi confessioni religiose e, più in generale, su tutte le questioni politiche e sociali che rientrano nelle dottrine delle religioni più diffuse sul pianeta. In passato ha molto lavorato nel campo del volontariato internazionale, con numerosi organizzazioni del settore, in Italia e all’estero. Lui stesso ha fatto il volontario e, insieme con altri, si occupò anni fa della prima inchiesta italiana sulle Ong che allora avevano impegni al di fuori del territorio nazionale.

In occasione dell’Assemblea annuale dell’ACCRI, tenutasi il 21 aprile 2018, abbiamo chiesto a Luis Badilla una riflessione sul volontariato oggi. Qui di seguito alcuni stralci del suo intervento.

Il libro racconta le storia (e le storie plurali che ne sono parte) di un’organizzazione, Medici con l’Africa CUAMM, che dal 1950 lavora in Africa. Paolo Rumiz, abituato a viaggiare, ad andare e vedere di persona le cose che racconta, è andato in Africa dove il CUAMM opera in sette Paesi, ed ha seguito il lavoro degli operatori italiani dell’associazione che, con

da leggere+Il bene ostinato di Paolo Rumiz(Feltrinelli, 2011)

le famiglie al seguito, là operano, dialogando con loro e raccontandone le storie, l’operatività, la vita, le motivazioni. È un libro in linea con il tema di questo numero (il volontariato internazionale e il suo significato per chi ne fa un’esperienza di vita e per la società che lo sostiene), che aiuta ad approfondire l’analisi.

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Film di animazione, una fiaba per grandi e piccini, ambientato in una Francia di circa sei secoli fa: racconta la storia di Azur (un nobile francese con gli occhi azzurri, come esplicita il suo nome in francese) e Asmar (un arabo dagli occhi scuri, come il suo nome in arabo testimonia) che, da bambini, vivono insieme, allevati dalla madre di Asmar che è anche nutrice di Azur. Separati dal padre di Azur, i due diventano giovani adulti, lontani, plasmati da realtà diverse, ma la vita li porta a ritrovarsi quando Azur va in oriente, seguendo le tracce di una fiaba della sua infanzia di cui vuole ritrovare una fata, la protagonista. Entrambi si imbarcano nella ricerca della fata, che vogliono liberare da un incantesimo, e il percorso, pieno di prove, è

occasione di riavvicinamento e di una ritrovata fraternità: la conclusione, felice come in tutte le fiabe, offre anche occasione per riflettere sulle barriere culturali che separano artificialmente le persone.

da vedere+

però mancante di quella prima ca-ratteristica che menzionavo, quella che ho chiamato la scelta dell’anima, il voler organizzare la propria vita in funzione dello sguardo sull’altro: alla fin fine è questo il volontario, uno che decide di organizzare la propria vita guardando l’altro, sempre, costante-mente, all’interno del suo condomi-nio, come in un altro Paese o in un altro continente. Sono scelte.

Una condizione fondamentale se-condo me è quella del pessimismo (mi sembra di vedere materializzarsi la domanda “Oddio cosa sta dicendo questo?”), del pessimismo chimica-mente puro al quale vi invito in modo caldo e convinto, ma ricordandovi sempre che il pessimista non è altro che un ottimista bene informato.

Il mio invito è a non separare i due aspetti dell’ottimismo e del pessimi-smo, ma di scegliere di essere pes-simisti, nel senso di essere ottimista bene informato.

Non concepisco la scelta del vo-lontario, e quindi la prospettiva del volontariato, senza la capacità di es-sere una persona che decide di esse-re bene informato. Potrebbe essere una mia deformazione, dovuta al fat-to che non sono un giornalista, sono un abusivo del giornalismo, mi sono inventato, è un mestiere che mi sono trovato a fare per vivere: sono anda-to in radio vaticana perché non po-tevo più fare il medico, mi era stato sospeso il contratto con l’Organizza-zione Mondiale della Sanità, perché Pinochet non lo autorizzava più. Per poter mangiare, e dar da mangiare ai miei, mi sono improvvisato giorna-lista, senza esserlo mai stato prima, sono stato una specie di abusivo, ma oramai sono in quell’ambiente da 40 anni e quindi una qualche esperien-za l’ho maturata. La radio vaticana, a quei tempi, era governata con mol-ta intelligenza, diretta da un gesuita, che rappresentava una realtà gesuiti-ca molto aperta al mondo, dove non mi sono mai trovato in difficoltà per le mie idee politiche: era un ambien-te di lavoro veramente libero. In 37 anni sono stato richiamato un paio di volte per delle porcherie delle quali non ero colpevole, ma avevo copia-to direttamente dall’agenzia. Era un ambiente di lavoro veramente libero, peccato che è del tutto cambiato e speriamo che gli avvicendamenti in corso riescano a rivitalizzarne lo spi-rito.

Dicevo dell’informazione. Non concepisco il volontario nella sua prospettiva, quella del volontaria-

to, se parliamo di una persona che non è capace di pensare il mondo, anche se su di esso, sul suo cambia-mento, non potrà mai agire, questo è evidente. La sua capacità di agire sarà sempre locale, circoscritta, me-diatizzata, però perché abbia senso, perché possa avere radici e profondi-tà, e quindi eventualmente efficacia nella trasformazione, seppure in pic-cola parte, deve essere agganciata a quello che è il destino universale del genere umano. E che cosa può man-tenere legato l’individuo alla scelta di vita volontaria (cioè di guardare per-manentemente come arricchimento della propria vita quella dell’altro) che ha fatto, se non l’essere una persona che sulle dinamiche fondamentali del mondo ha un’idea più o meno pro-pria, adeguata, e sostenuta da buo-ni argomenti? Cioè non immagino possa essere un buon volontario uno che si limita a conoscere le beghe del Paese nel quale sta operando, addi-rittura le beghe del suo condominio, della sua città, del suo Paese natale, e che è capace di pensare, e di con-seguenza, di agire solo localmente; non ci sono alternative, è necessario che capisca che la realtà nella qua-le si trova prima o dopo entra a far parte, se non ne è già parte, delle di-namiche internazionali, che non con-trolla e che non controllerà mai, alle quali può ,non da solo, ma assieme a tanti altri, e non solo in Italia, ma in molti Paesi (non solo l’Europa, ma molti continenti), dare un contributo che nel tempo si rivela efficace.

C’è un proverbio africano che dice che un albero corrotto, ormai già in fin di vita, che non dà frutti, difficilmen-te sarà abbattuto da un fulmine. Chi abbatte e fa diventare polvere, terra, un albero corrotto? Le formiche. Noi siamo quelle formiche, piccoli, debo-li, fragili, ma siamo molti e siamo te-naci, e possiamo fare quello che non fa un fulmine. Alla fin fine, magari non siamo noi quelli che hanno il potere che ha la politica, il potere delle de-cisioni della geopolitica, della ristrut-turazione strategica dei popoli, delle culture e delle civiltà, ma abbiamo il potere delle formiche: noi stessi a volte non ci crediamo, capita spesso. Il volontario, tra i difetti che ha (per-ché ha molti nobili pregi, ma ha an-che difetti), annovera quello tipico di avere poca autostima e spesso anche le organizzazioni che si occupano di volontariato, hanno poca autostima, da non confondere con l’autoreferen-zialità ossessiva, patologica, odiosa, che è una cosa che va di moda oggi,

potenziata ulteriormente poi con la rete, Facebook, Instagram (tutti sono un po’ predicatori vogliono essere al centro dell’universo... ).

Invece tutti quanti operano nel vo-lontariato devono avere autostima, ma un’autostima basata sulla consa-pevolezza che insieme (questa magi-ca parola) si può, un passo alla volta, dal basso, dal concreto, incidere sui destini del mondo.

Luis Badilla Morales

Azur e Asmardi Michel Ocelot(Francia, Belgio, Spagna, Italia, 2006)

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Abbiamo iniziato con un mo-mento di spiritualità propo-

sto da don Mario, con citazioni di don Tonino Bello e Papa France-sco, cui ha fatto seguito l’introdu-zione di Nives che ha ricordato le sfide vinte, anzitutto la nuova sede a Trieste, e quelle che oggi si pre-sentano, dalla riforma del Terzo Settore alle difficoltà di ricambio generazionale.

Poi una prima novità: considera-to l’impegno richiesto per adegua-re l’Associazione alla Riforma del Terzo Settore, attività avviata dal Consiglio uscente, la Presidente ha proposto di prorogarne il mandato per un anno per portare a compi-mento il processo di adeguamento stesso che prevede, tra l’altro, la revisione dello statuto entro l’anno in corso. La proposta, dopo alcune richieste di chiarimento, è stata ap-provata all’unanimità.

Ha preso poi la parola Luis Ba-dilla, medico chirurgo e giornalista, già ministro del governo Allende e perseguitato politico, in Italia, dopo aver collaborato con Radio Vaticana, è ora Direttore de “Il Si-smografo” uno dei media vaticani. A lui era stato affidato il compito di fare il punto sul significato, ai giorni nostri, dell’impegno nel volontaria-to e nella cooperazione internazio-nale.

Luis, introducendo la sua rifles-sione, ci ha invitato a trasformare un’emozione (effetto di un’espe-rienza breve) in un sentimento at-tivo (accompagnamento, condivi-sione), che è il prodotto dell’azione di volontariato, e ad organizzare la vita «guardando l’altro»; ha affron-tato il tema del pessimismo, ricor-

dando la definizione di pessimista (un ottimista bene informato), per concludere che il volontario è una persona che decide di essere ben informata, ma ha anche ricordato il proverbio africano: “un albero in fin di vita difficilmente sarà abbattuto da un fulmine, ma piuttosto dalle formiche”. Ecco, siamo noi le formi-che e, lavorando insieme, potremo aver ragione anche di ostacoli tan-to più grandi di noi, specie se sa-premo liberarci dalla nostra scarsa autostima ed appropriarci dei temi che Papa Francesco ha introdotto nell’agenda mondiale, quali il dram-ma dei migranti e la tratta di esseri umani.

Nella valutazione di Luis (in gran parte riportata nel precedente arti-colo a pagina 6), la crisi del volonta-riato internazionale ha più concau-se, quali l’eccessiva contiguità con il commercio estero e l’attenzione rivolta alle “emergenze”, anziché alle cause strutturali della povertà, e non sarà possibile uscirne senza una sincera e profonda autocritica.

Dopo una pausa per una cola-zione comunitaria (cui ciascuno ha contribuito e che è stata un mo-mento ulteriore di socialità colletti-va), il pomeriggio ha visto le relazio-ni delle aree di attività e delle sedi, affidate rispettivamente a France-sca e Paola (per EaS, Educazione allo Sviluppo di Trento e Trieste), a Laura Ursella (Formazione) e ad Adelmo (Progetti al Sud), mentre Isabella e Maddalena hanno riferito sulla situazione delle due sedi. Gli interventi hanno illustrato i punti di forza e le criticità di ciascun settore.

Il momento di confronto in as-semblea, che ne è seguito, ha avuto

come tema di particolare interesse la situazione di crisi del volontaria-to internazionale, con effetti come il calo di partecipanti ai corsi intro-duttivi e la mancanza di volontari già formati disponibili a partire per i progetti al Sud, situazione su cui la commissione di area si è interro-gata circa possibili cause e rimedi.

Ne è scaturito un dibattito viva-ce e partecipato, a partire da una domanda di fondo: va cambiato qualcosa, e se sì, in quale direzione, all’interno dell’ACCRI e nelle sue at-tività, per far fronte alla sfida di un mondo in continuo cambiamento? Non ne è emersa “la risposta”, né una indicazione univoca di linea, ma una pluralità di contributi riguar-do ad un problema complessivo in cui rientrano pure la difficoltà di ri-cambi negli incarichi associativi e la scarsa partecipazione dei soci alle iniziative proposte: i contributi han-no offerto chiavi di lettura diverse e suggerito possibile innovazioni da sperimentare come:

• incontrare i migranti, non solo al Sud, ma anche essere disponibili a collaborare con le realtà che sul territorio realizzano interventi non centrati sull’emergenza, ma sull’in-contro, per favorire integrazione e dialogo;

• mettere al centro del nostro impegno i giovani, i loro valori, attraverso le testimonianze di chi viene da un altro mondo, o questo mondo comunque ha conosciuto,

L’assemblea dell’ACCRIIl 21 aprile scorso si è tenuta a Zelarino, presso la struttura dei padri Saveriani, l’assemblea annaule della nostra Associazione. Qui di seguito il resoconto di un socio dell’ACCRI.

Davvero una bella giornata sabato 21 aprile, non solo e non tanto dal punto di vista meteorologico - una primavera luminosa - ma soprattutto per l’incontro tra amici. Eravamo una trentina all’assemblea ordinaria dell’ACCRI, e sì, Skype è utile per le riunioni operative, ma non ci si può abbracciare, guardarsi negli occhi: l’amicizia ha bisogno anche della fisicità.

Assemblea ACCRI 2018.

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A nome delle famiglie beneficiarie del progetto in Ciad ringraziamo chiunque abbia accolto il nostro RISO, con tutto il suo “indotto” nella pro-pria vita in questi giorni. Attendiamo che la campagna si concluda in tutte le località per poter comunicare e pubblicare i dati definitivi, ma intanto, fin da ora, ci teniamo a ringraziare tutti e alcuni in particolare...

• Il Parroco che ha fatto un gesto importante e simbolico: il pacco di riso sull’altare!

• I volontari più belli e sorridenti, i ragazzi/e delle scuole che ci hanno messo il cuore (e i grembiuli), chi ha gareggiato per distribuire più riso, Campagna Amica e Coldiretti che ci ha ospitato tra le bancarelle e aiutato nell’allestimento, chi ha guidato il furgone, chi ha fatto doppi o tripli turni, chi ci ha fatto pubblicità, chi - come ogni anno succede - ha dovuto sposta-re pacchi di riso di qua e di là.

• Le 94 Parrocchie che da anni ci supportano e ci riconoscono la loro fiducia.

• Chi si è adoperato per coinvolgere nuove comunità, la Comunità Greca e la Comunità Luterana che hanno risposto positivamente e si sono unite alla Campagna.

• I clown-dottori del GAU, che sono irresistibili.• Le mense di Caritas, Comunità di San Martino al Campo, Comunità di

Sant’Egidio e dei Frati Cappuccini, che a Trieste fanno tanto per la popola-zione: siamo lieti di poterli sostenere con una donazione di 144 kg di riso!

...E un grazie anche al meteo, che ci ha regalato tanta Bora, ma niente pioggia. Arrivederci all’anno prossimo!

perché i giovani sono il nostro fu-turo;

• il Sud è anche qui: gli stranie-ri nei nostri progetti possono ar-ricchirli, specie quelli sul territorio; continuando come sempre ci chiu-diamo nella nostra tenda.

Ma anche: non cadiamo nella falsa informazione, che vuol far cre-dere che tutti gli abitanti dei Paesi impoveriti sono qua; bisogna dare un appoggio a quelli che restano perché possano rimanere, ma non bisogna cadere nel dilettantismo: ad ognuno il suo compito. Tra le posizioni emerse, anche la presa d’atto della complessità dei proble-mi, come ad esempio il richiamo al lavoro di aggiornamento sul tema dell’immigrazione che si sta facen-do per la “Carta di Trento”, in col-laborazione con la fondazione Fon-tana di Trento, una ricerca su come migliorare il futuro del mondo, o l’invito a rendersi conto che viviamo in una società liquida, sicché biso-gna puntare a formare cittadini del mondo, attraverso l’educazione alla cittadinanza globale.

Al Consiglio direttivo è stato indirizzato l’invito a non occupar-si soltanto della riforma del terzo settore (oltre ai problemi che quo-tidianamente si pongono), ma a prendere in considerazione anche i suggerimenti proposti e partire da questi per un aggiornamento delle linee guida.

Dario Santin

Grazie! Vogliamo ringraziare tutti...

...i 150 volontari impegnati nelle postazioni dell’ACCRI in Trentino e Friuli Venezia Giulia; i 200 volontari che da anni, con costanza e fi-ducia, gestiscono i banchetti nelle proprie parrocchie; le associazioni amiche che ci supportano in questa inziativa che ogni anno si svolge in un fine settimana di primavera; i fedeli e i parroci, i sacerdoti, i pa-stori e i pope che hanno invitato i propri fedeli a supportare l’iniziativa Abbiamo RISO per una cosa seria…

Campagna Abbiamo riso per una cosa seria, 5 e 6 maggio 2018 a Trieste.

#risoxunacosaseriaACCRInforma

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#in queste pagine un progetto al Sud: in Africa [Ciad]

Siamo lieti di raccontare in quale modo, grazie alla campagna Abbia-mo riso per una cosa seria appena conclusa, si continua a dare supporto alle comunità dei 18 villaggi di Gagal Keunì in Ciad i cui risultati iniziano ad emergere grazie all’impegno di tutti noi anche qui, nelle parrocchie e nelle piazze!

Finalmente, nel corso dell’ultimo anno, una parte delle 100 famiglie di Gagal Keunì in Ciad che hanno ade-rito ai gruppi di contatto, sono riusci-te a superare il periodo di “sudure” (mancanza di cibo) grazie allo svilup-po delle attività progettuali.

I nostri beneficiari proseguono nel-le attività di stoccaggio che permette loro di conservare parte del raccolto per il periodo non produttivo. I tre magazzini (su sette pianificati) che sono stati costruiti si dimostrano non

solo utili, ma strategici, proprio per-ché è stata incrementata la capacità di conservazione dei prodotti agricoli. Precedentemente le famiglie contadi-ne erano costrette a vendere i propri raccolti ai commercianti e speculatori locali a prezzi stracciati a non avendo possibilità di custodirli sia per le con-dizioni di siccità che per le inondazio-ni. Il clima non dà tregua!

Ora, attraverso la realizzazione dei magazzini e l’incentivazione del lavoro comunitario, le famiglie pos-sono stoccare i loro prodotti, tenen-do una parte per il proprio consumo e vendendo il rimanente ai prezzi di mercato. I capi villaggio si stanno di-mostrando sempre più interessati alle attività, perché i risultati ci sono e si vedono, e questo stimola la comunità ad essere più partecipe. Questo di-mostra che uniti vinciamo tutti!

L’impegno però è ancora grande e la strada lunga. I beneficiari con l’aiuto del partner e degli operatori locali, vorrebbero migliorare la pro-pria sicurezza alimentare tramite lo sviluppo di quattro diverse filiere: la prima riguarda la produzione agrico-la, la seconda l’allevamento, la terza e quarta mirano alla trasformazione di prodotti alimentari (per esempio la produzione di farina di manioca, produzione di olio, ecc). Tutto ciò ri-chiede tanto impegno soprattutto da parte delle famiglie che fanno parte dei gruppi di contatto.

Le attività realizzate nell’ultimo anno sono state svolte con grande soddisfazione dei produttori. Le fami-glie possono seguire una formazione permanente grazie al supporto dei tecnici locali che regolarmente danno supporto agli agricoltori e allevatori. I 20 gruppi di contatto (costituiti da cinque famiglie) lavorando assieme e coinvolgendo altre famiglie dei propri villaggi, incrementano le proprie ca-pacità tecniche e organizzative; sono loro stessi, tramite il proprio coinvol-gimento, a costruire la strada della propria crescita.

Noi ci impegniamo a sostenerli da qui e possiamo ribadire che, se loro vincono la fame, vinciamo anche noi!

Dove vanno le offerte della campagna Abbiamo riso per una cosa seria?

Africa/Ciad/Mayo-KebbiProgetto Gagal Keunì

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in diretta dai Progetti al Sud

Foto di Silvia e Mauro.

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#

Per sapere di più sul progetto vai sul sito dell’ACCRI:

http://www.abbiamorisoperunacosaseria.it/project/accri-sicurezza-alimentare-a-gagal-keuni/

Le attività nell’ultimo periodoᐅ Supporto tecnico per rafforzare le buone pratiche per l’alimentazione e cura degli animali.ᐅ Supporto tecnico per una buona coltivazione.ᐅ Costruzione di magazzini, formazione e supporto sulla gestione del raccolto.ᐅ Monitoraggio della semina e del raccolto (mais, arachidi e sorgo).ᐅ Uso corretto dei macchinari (3 macchine decorticanti).ᐅ Socializzazione del progetto.ᐅ Supporto organizzativo ai gruppi.

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il progetto in breve...+

I risultati > Tangibiliᐅ Costruiti tre magazzini a Goumadji, Baida bara e Mbakeu. ᐅ Identificati i quattro siti dove si stanno costruendo i magazzini.ᐅ Evitata l’inondazione dei campi di Goumadji, Ngarmanbao e di Gagal.ᐅ Migliorato il raccolto di miglio in confronto agli anni precedenti.ᐅ Migliorata la produzione di mais nei campi trattati con il compost.ᐅ Controllate le malattie degli animali (caprini e ovini).

ᐅ Raccolti i dati di produzione agricola.

I risultati > Empowermentᐅ Costituiti i gruppi di lavoro.ᐅ Realizzate le riunioni mensili.ᐅ Rafforzata la rete locale.ᐅ Agricoltori e allevatori sensibilizzati sulle buone pratiche.

Il progetto

L’obiettivo

Il partner locale

I beneficiari

ᐅ Sicurezza alimentare ed autosviluppo socio-economico degli agricoltori di 18 villaggi di Gagal Keunì, Ciad.

ᐅ Realizzare quattro filiere agricole finalizzate a garantire la sicurezza alimentare di 100 famiglie nella sotto-prefettura di Gagal.

ᐅ Il BELACD “Bureau d’Etudes et de Liaison d’Action Caritatives et de Développement” Caritas, Diocesi di Pala.

ᐅ 20 gruppi organizzati in 18 villaggi, 100 famiglie inizialmente coinvolte.

Un progetto per la sicurezza alimentare

Foto di Silvia e Mauro.

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Liana NardoneSede di redazione

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Novità per il sostegno al Volontariato internazionaleCostruiamo assieme un futuro di dignità, giustizia e fraternità

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per i privati

per le aziende

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Scuola primaria di Kiria, a Mutuobare in Kenya (foto di Mirko Turatti).