I fratelli Pollock da Peggy Il racconto degli arazzi in mostra · luse, tradotte in arabeschi, e la...

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34 Il Sole 24 Ore DOMENICA - 5 LUGLIO 2015 n. 183 Arte venezia/ 1 I fratelli Pollock da Peggy Due rassegne alla Fondazione Guggenheim : una su «murale » di Jackson, e una retrospettiva sull’opera di Charles di Ada Masoero A d aprire i Pollock 365 Days, l’anno dedicato ai Pollock dalla Peggy Guggenheim Col- lection, è stata la mostra, se- gnalata su queste pagine, sul restauro di Alchimia, 1947, lo storico dipinto di Jackson appartenuto a Peggy (il primo realizzato con il “dripping”), che grazie all’intervento dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze non solo ha ritrovato i brillanti colori originari ma ha anche rivela- to il rigore progettuale sotteso ai dipinti rea- lizzati con la tecnica del gocciolamento, sempre frutto di un progetto sorvegliato e non di quel furor gestuale di cui si è lunga- mente favoleggiato. Lo diceva lui stesso, e forse sarebbe bastato ascoltarlo: «posso controllare la colatura nella pittura; non c’è casualità, così come non c’è inizio né fine». Sono tante, del resto, le mitologie nate in- torno a questa figura d’artista maudit, alco- lizzato e morto a 44 anni, nel 1956, al volante della sua auto, poco lontano dalla casa di East Hampton. Come quella che voleva che il gi- gantesco Murale (in realtà un dipinto su lino di oltre sei metri di base, ora allo Iowa Mu- seum of Art) commissionatogli da Peggy nel 1943 per il suo appartamento newyorkese sulla 61ª East, fosse stato dipinto nell’esplo- sione di creatività di una sola, folle notte, do- po mesi di balbettii e di prove fallite. Di re- cente si è invece scoperto che il dipinto fu re- alizzato in cinque mesi densi di riflessioni, modifiche, pentimenti (anche qui il recente restauro, del Getty Conservation Institute, è stato decisivo), e che scaturì dalla stratifica- zione di numerose fonti visive. La mostra rigorosa e illuminante (tutto da leggere il catalogo) costruita da David Anfam intorno a Murale e presentata in an- teprima a Venezia, lo prova in modo più che convincente, mentre accende l’opera di si- gnificati inattesi. Dipinto quattro anni prima di avviare la stagione delle celebri gocciolature, Murale, con quell’andamento tumultuoso e labirin- tico di forme verticali ripetute in uno spazio fortemente orizzontale, con le sue figure al- luse, tradotte in arabeschi, e la composizio- ne all-over, è anch’esso – come Alchimia – un incunabolo: l’opera germinale di una sta- gione feconda. Murale si nutre della fascinazione del- l’Ovest degli Stati Uniti, di cui tutti i viaggia- tori, da Alexis de Tocqueville in poi, descris- sero l’attrazione e lo sgomento generati dal- l’immensità di quegli orizzonti, sempre percepiti non come un limite ma come un invito a spingersi oltre, a esplorare un infi- nito che qui si fa, davvero, tangibile. E Pol- lock, che amava profondamente l’Ovest, do- ve era cresciuto («sono nato a Cody, nel Wyoming» era un suo mantra), in questo la- voro che risucchia l’osservatore nel suo mo- to inarrestabile verso sinistra, manifesta la fascinazione esercitata su di lui da quegli spazi mai dimenticati. Folgorato dai murales di Orozco, Rivera e Siqueiros e da Guernica, visto a New York nel 1939, Jackson Pollock amava da sempre la grande dimensione, anche se solo da allora l’avrebbe praticata con assiduità – sebbene mai più a questo livello. A guidarlo in questa composizione incalzante, in cui riuscì a rea- lizzare il suo sogno (lo stesso dei futuristi) di «rendere visibili» l’energia e il movimento, fu la fotografia: specie la «cronofotografia» di pionieri come Muybridge o Marey, che seppero realizzare una vera «iconografia del movimento», fondendo in un unicum tempo e spazio. Ma a quelle suggestioni vanno ag- giunte sia le innumerevoli immagini viste su «Life», sia la rassegna, sinora trascurata da- gli studiosi, Action Photography, 1943, con le fotografie cinetiche di autori del tempo (al- cune esposte qui), da lui visitata al MoMA mentre lavorava a Murale. In mostra figurano poi Alchimia e altri suoi dipinti, opere della moglie Lee Krasner e di David Smith, tutte attinenti a Murale, e il grandioso Elegia per la Repubblica Spagno- la n. 126, 1965-75, un omaggio a Pollock di Robert Motherwell, realizzato per essere esposto accanto a Murale nello Iowa Mu- seum of Art. Se questa mostra è nelle stanze di Peggy, l’altra, ordinata da Philip Rylands nell’ala delle esposizioni temporanee e dedicata a Charles Pollock (1902-1988), rilegge per la prima volta il percorso di questo artista oscurato dalla luce del grande, tragico fratel- lo minore, ma rimasto anche volontaria- mente in disparte per la sua vocazione al “so- ciale”, che lo spinse a dedicarsi all’insegna- mento e al muralismo pubblico ben più che alla promozione del suo lavoro. Un artista che a conti fatti si rivela tutt’altro che mode- sto. Certo, agli esordi il paragone è impieto- so: allievi entrambi di Thomas Hart Benton, maestro della pittura tradizionale america- na del tempo, entrambi esordiscono nella sua scia. Ma il confronto tra l’apocalittico Going West, 1934-35, di Jackson (primo noc- ciolo concettuale del suo omaggio infinito all’Ovest degli States) e i dipinti coevi di Charles mostra l’iniziale, vistosa differenza di statura tra i due. E lo stesso accade con i lavori di Charles degli anni ’40 e ’50 (quasi dei “Jackson Pollock” in tono minore) ma quan- do, durante e dopo il soggiorno a Roma del 1962-63, Charles si cimenterà con una perso- nale declinazione del Color-field Painting, ecco che troverà una propria via e inaugure- rà una lunga stagione più che convincente, portata avanti a Parigi fino alla scomparsa, e solo ora tornata compiutamente alla luce. © RIPRODUZIONE RISERVATA Jackson Pollock, Murale. Energia resa visibile, Venezia, Peggy Guggenheim Collection, fino al 16 novembre, catalogo Thames&Hudson; Charles Pollock. Una retrospettiva, fino al 14 settembre, catalogo Marsilio venezia / 2 Le ricerche indiziarie di Harun Farocki di  Gabo Scardi I mpressiona constatare quanti omaggi siano stati dedicati, nel corso dell’ulti- mo anno, a Harun Farocki: l’artista, fil- maker e il teorico dei media tedesco è scomparso improvvisamente lo scorso lu- glio. Noto per l’efficacia del suo lavoro, per un instancabile vigilanza critica e per la sua generosità nei confronti degli altri artisti, Farocki continua così a esercitare una pre- minenza decisiva. Tra questi omaggi si annovera la duplice presenza alla Biennale di Venezia: nell’Ar- senale, al centro della mostra che Okwui Enwezor ha incentrato sull’idea di un’arte capace di «condividere il proprio palcosce- nico storico con il contesto politico e sociale contemporaneo», è possibile vedere sia gli ottantatré film realizzati da Farocki tra il 1966 e il 2014, insieme ai quaderni e alle co- pie della rivista «Filmkritik» che l’artista diresse tra 1974 e 1984, sia il progetto La- bour in a Single Shot attivato da Farocki in- sieme a Antje Ehmann nell’ambito di una serie di workshop realizzatisi a partire dal 2011. Il progetto vide coinvolti numerosi partecipanti, invitati a indagare le nuove forme di lavoro attraverso la realizzazione di video lunghi al massimo due minuti, ri- guardanti una determinata attività lavora- tiva e consistenti in sequenze uniche, senza possibilità di tagli o di montaggio. Sistematico, sintetico e rigoroso, Harun Farocki ha sempre lavorato per smantella- re la retorica dominante e sottrarre i fatti a una frammentazione che, deliberatamen- te, ne impedisce la corretta visione. Attra- verso montaggi che integrano immagini di origine diversa – girate dall’artista o pree- sistenti, assunte dai mass media, dai dispo- sitivi di sorveglianza, dalla propaganda po- litica – Farocki affronta temi sintomatici quali il Vietnam negli anni ’70, Auschwitz negli anni ’80, le tecnologie di sorveglianza e le bombe intelligenti negli anni ’90, le dit- tature – straordinario il film sul crollo del regime rumeno di Ceausescu – le prigioni di regime, gli shopping center e i centri di addestramento per i piloti di droni oggi. Con tono forense Farocki, nei propri film, ricontestualizza fatti, ricostruisce nessi, mostra soprattutto ciò che normal- mente non si vede; mette in campo gli esiti di ricerche indiziarie; senza per questo ri- nunciare a costruire potenti metafore. La consapevolezza che l’immagine ha il per- verso potere di rendere persino la violenza “bella” è all’origine di un’inflessibile asciuttezza formale. In Inextinguishable Fire, del 1968-1969, per esempio, l’artista ci pone a confronto con una secca constatazione: «When na- palm is burning, it is too late to extinguish it. You have to fight napalm where it is pro- duced: in the factories». E una fabbrica vie- ne nominata: si chiama Dow Chemical, si trova nel Midland, Michigan. L’azienda punta sulla razionalizzazione tecnologica, su un avanzamento scientifico fatto cieco nelle finalità. Il lavoro al suo interno si basa su una parcellizzazione estrema; così si ar- riva ad obnubilare, nei lavoratori stessi, la consapevolezza soggettiva del suo conte- nuto; e l’oggetto in questione, il napalm, potrà essere prodotto secondo formule sempre più letali senza che si levi resisten- za alcuna. Paradossalmente, ci dice Fa- rocki, non solo la distanza, ma anche la vici- nanza estrema può rendere la violenza in- tangibile; con la nostra muta complicità. La relazione tra tecnologia, politica e violenza è anche il fulcro della più recente serie di video, Serious Games. In questo caso al centro sono gli operatori di droni al lavo- ro nelle loro postazioni. L’utilizzo di droni ha modificato i principi della politica, l’esperienza della guerra e del combatti- mento, e il nostro stesso rapporto con il contesto. I videogiochi, le animazioni, il computer, i linguaggi di programmazione – creati su commissione dei ministeri della Difesa – l’impatto psicologico di una guerra che si combatte con nemici lontani migliaia di chilometri, il senso di una realtà instabile in cui i confini tra combattimento, gioco, finzione non sono più chiari; tutta la com- plessità etica delle guerre di oggi, caratte- rizzate da nuove, estreme forme di asim- metria emerge in queste opere. Grazie alle tecnologie digitali il male si fa “a distanza” e, parafrasando Hannah Arendt, la sua ba- nalità è anche più lampante. A un anno di distanza dalla morte, vale la pena di dedicare tempo a Atlas of Harun Fa- rocki’s Filmography, la vasta antologia che presenta i video dell’artista restaurati, in ordine cronologico, su schermi separate. Ne emerge una figura di prima grandezza, capace di dire cose necessarie. © RIPRODUZIONE RISERVATA milano Il racconto degli arazzi in mostra di  Marina Mojana U n’antica leggenda narra che al- cuni pastori, dopo avere appre- so dall’Homo Selvaticus i segreti per curare i propri animali, l’uso delle erbe medicinali, l’estrazione del ferro e la preparazione dei formaggi, gli chiesero di indicare loro dove si tro- vasse un torrente pieno d’oro, promet- tendogli in cambio ricchezza e palazzi con cento servi. «L’oro guasterebbe voi e la ricchezza non mi interessa – rispose l’uomo selvatico – inoltre, chiuso in un palazzo, non riuscirei ad ascoltare la voce del vento, né a danzare sotto la pioggia o a gustare i colori dell’alba... e, per quanto riguarda i servi, mi bastano i miei amici». A quel punto fischiò verso il bosco e im- mediatamente, sul crinale della monta- gna, apparvero alcuni cervi mentre l’Ho- mo Selvaticus, soddisfatto e felice, si al- lontanava con i suoi segreti. Questo è sol- tanto uno dei diciotto «racconti tessuti» in mostra fino all’11 luglio nella galleria milanese di Moshe Tabibnia (via Brera 3; www.moshetabibnia.com). Per la prima volta una grande mostra di livello museale (cose analoghe si trova- no ad esempio al Musée de Cluny di Parigi e alla Burrel Collection di Glasgow ) svela al pubblico italiano alcuni tra i più raffi- nati esemplari d’arte tessile del XV - XVIII secolo. Tabibnia – tra gli antiquari più im- portanti d’Europa nel campo degli arazzi – presenta una collezione di rara qualità, composta interamente da manufatti a tessitura piatta di varie dimensioni e usi, forma e disegno, provenienti dai maggio- ri centri di produzione di Fiandre, Paesi Bassi, Francia, Svizzera e Germania. Circa 40 esemplari della collezione Za- leski dialogano con quelli Tabibnia, in un percorso che svela il ruolo centrale svolto dall’arte tessile nell’estetica cerimoniale e nella quotidianità dell’evo antico, dal Gotico al Rinascimento. Un piccolo copri- cuscino con la storia biblica delle nozze di Sara e Tobia augurava un felice matrimo- nio; un copritavola con istoriato l’incon- tro di Abramo e i tre angeli alle querce di Mamre festeggiava l’arrivo di un erede a lungo atteso. Ma ci sono anche esemplari di tre metri per cinque, nati per essere ap- pesi alle pareti di case, castelli o sacrestie. La fortuna degli arazzi è sempre dipesa dalla loro natura ornamentale e mobile: leggeri e facilmente trasportabili, veico- lavano insegnamenti morali, allegorie edificanti o la metafora del paradiso, im- maginato come un lussureggiante giar- dino negli arazzi Millefleurs, Verdure e Feuille de Choux. Occasione per questo viaggio lungo tre secoli è la presentazione del volume su gli arazzi e i ricami della collezione Zaleski, iniziata nel 1998 e oggi tra le più impor- tanti al mondo. Curato da Moshe Tabib- nia e da Elisabetta Mero, il catalogo è fir- mato da Nello Forti Grazzini, Chiara Buss e Gian Luca Bovenzi. © RIPRODUZIONE RISERVATA visitatori | Una della sale della mostra su Jackson e Charles Pollock allestita alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia harun farocki | «Atlas of Harun Farocki’s Filmography, (2015) tessuto istoriato | «Damigella pensa il suo futuro», arazzo, Strasburgo (1490-1510) «Il Restauro sostenibile»: tavola rotonda a Roma Mercoledì 8 luglio (ore 11.00), presso l’Accademia di San Luca a Roma si terrà una tavola rotonda sul tema «Progetto Valore Restauro Sostenibile» alla quale partecipano I. Borletti Buitoni (sottosegratario di Stato) F. Moschini (Accademia di San Luca), A. M. Navarra (impreditore), G. Capponi (Direttore ISCR) e P. Daverio (critico d’arte) e K. Davi (massmediologo). Modera M. Carminati. calendart a cura di Marina Mojana _ Lugano Al Museo delle culture Heleneum (via Cortivo 26; www.mcl.lugano.ch) da oggi al 23 agosto Tidi’uma. Creatività e genere nell’arte yekuana; opere provenienti dalla collezione Acoana, nata nel 1995 per raccogliere ceste intessute in fibre vegetali e sculture in legno manufatte dagli indigeni che vivono nella foresta tropicale lungo il bacino del Rio Caura, nello stato di Bolivar, in Venezuela. _ Palermo Alla Galleria d’Arte Moderna (Via Sant’Anna 21; www.gampalermo.it) fino al 7 settembre va in scena un originale dialogo tra la pittura di Marc William Zanghi, tra i giovani siciliani la cui figurazione s’innesta sul sentiero della cosiddetta «Scuola di Palermo» e gli interventi di Gianni Pettena, uno degli esponenti più accreditati dell’architettura radicale, sorta a Firenze alla fine degli anni Sessanta. _ Venezia Ettore Spalletti è in corso a Palazzo Cini (San Vio Dorsoduro 864; www.spallettipalazzocini.com) fino al 23 agosto, in occasione della riapertura stagionale della casa museo del conte Vittorio Cini. Tra i capolavori del rinascimento toscano e ferrarese appartenuti al collezionista si articola il progetto site specific dell’artista abruzzese, classe 1940, in un percorso tra opere note e inediti. _ Viareggio (Lucca) Alla Fondazione Matteucci per l’arte moderna (Via G. D’Annunzio 28; www.cwntromatteucciartemoderna.it) da oggi al 1° novembre Silvestro Lega. Storia di un’anima. Scoperte e rivelazioni. L’evento riunisce il ciclo di ritratti Fabbroni (mai più esposti dal 1926) a capolavori del grande pittore macchiaiolo (1826-1895) rintracciati negli ultimi anni. incanti&gallerie a cura di Marina Mojana _ Latina Da oggi al 6 settembre presso Romberg Project Space (Viale Le Corbusier 39, Grattacielo Baccari; www.romberg.it) personale di Mario Velocci / The Sound Room; in mostra dipinti e sculture dell’artista laziale caratterizzati da un rapporto intimo con la natura e da materiali intrinsecamente dissimili come l’acciaio e il cartone. _ Londra Da Christie’s (8, King Street; www.chrities.com) l’8 luglio va all’asta la collezione di famiglia di un ricco gentiluomo svizzero di Zurigo, erede di una dinastia di imprenditori, medici ed editori. La raccolta, iniziata nel 1920, è formata 152 lotti di vario genere ed epoca, dal tardo gotico al barocco: argenti, manoscritti miniati, porcellane, mobili, dipinti, sculture di ambito nord europeo. Dalla vendita si stima un incasso di 1,5 milioni di sterline. _ Milano Alla Galleria Subert (Via della Spiga 42, 2° piano; www.subert.it) fino al 16 luglio Le tavole sospese; opere d’antiquariato e oggetti di design di Francesca e Carlo Mo, Thalia Maria Georgoulis, Samuele Bonomi. _ Pietrasanta (Lucca) La Galleria Poggiali & Forconi presenta fino al 7 agosto, presso lo spazio Ex Marmi Complesso Post industriale (via N. Sauro 52 e via Garibaldi 8; www.poggialieforconi.it) Punk: sculture in marmo bianco e pigmenti dell’artista piemontese Fabio Viale, classe 1975.

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34 Il Sole 24 Ore DOMENICA - 5 LUGLIO 2015 n. 183

Arte

venezia/ 1

I fratelli Pollock da PeggyDue rassegne alla Fondazione Guggenheim : una su «murale » di Jackson,e una retrospettiva sull’opera di Charles

di Ada Masoero

Ad aprire i Pollock  365  Days,l’anno dedicato ai Pollockdalla Peggy Guggenheim Col-lection, è stata la mostra, se-gnalata su queste pagine, sulrestauro di Alchimia, 1947, lo

storico dipinto di Jackson appartenuto aPeggy (il primo realizzato con il “dripping”),che grazie all’intervento dell’Opificio dellePietre Dure di Firenze non solo ha ritrovato ibrillanti colori originari ma ha anche rivela-to il rigore progettuale sotteso ai dipinti rea-lizzati con la tecnica del gocciolamento,sempre frutto di un progetto sorvegliato enon di quel furor gestuale di cui si è lunga-mente favoleggiato. Lo diceva lui stesso, eforse sarebbe bastato ascoltarlo: «possocontrollare la colatura nella pittura; non c’ècasualità, così come non c’è inizio né fine».

Sono tante, del resto, le mitologie nate in-torno a questa figura d’artista maudit, alco-lizzato e morto a 44 anni, nel 1956, al volantedella sua auto, poco lontano dalla casa di EastHampton. Come quella che voleva che il gi-gantesco Murale (in realtà un dipinto su linodi oltre sei metri di base, ora allo Iowa Mu-seum of Art) commissionatogli da Peggy nel1943 per il suo appartamento newyorkesesulla 61ª East, fosse stato dipinto nell’esplo-sione di creatività di una sola, folle notte, do-po mesi di balbettii e di prove fallite. Di re-cente si è invece scoperto che il dipinto fu re-alizzato in cinque mesi densi di riflessioni,modifiche, pentimenti (anche qui il recenterestauro, del Getty Conservation Institute, èstato decisivo), e che scaturì dalla stratifica-zione di numerose fonti visive.

La mostra rigorosa e illuminante (tuttoda leggere il catalogo) costruita da DavidAnfam intorno a Murale e presentata in an-teprima a Venezia, lo prova in modo più checonvincente, mentre accende l’opera di si-

gnificati inattesi. Dipinto quattro anni prima di avviare la

stagione delle celebri gocciolature, Murale,con quell’andamento tumultuoso e labirin-tico di forme verticali ripetute in uno spaziofortemente orizzontale, con le sue figure al-luse, tradotte in arabeschi, e la composizio-ne all-over, è anch’esso – come Alchimia – unincunabolo: l’opera germinale di una sta-gione feconda.

Murale si nutre della fascinazione del-l’Ovest degli Stati Uniti, di cui tutti i viaggia-tori, da Alexis de Tocqueville in poi, descris-sero l’attrazione e lo sgomento generati dal-l’immensità di quegli orizzonti, semprepercepiti non come un limite ma come uninvito a spingersi oltre, a esplorare un infi-nito che qui si fa, davvero, tangibile. E Pol-lock, che amava profondamente l’Ovest, do-ve era cresciuto («sono nato a Cody, nelWyoming» era un suo mantra), in questo la-voro che risucchia l’osservatore nel suo mo-to inarrestabile verso sinistra, manifesta la

fascinazione esercitata su di lui da queglispazi mai dimenticati.

Folgorato dai murales di Orozco, Rivera eSiqueiros e da Guernica, visto a New York nel1939, Jackson Pollock amava da sempre la grande dimensione, anche se solo da alloral’avrebbe praticata con assiduità – sebbenemai più a questo livello. A guidarlo in questacomposizione incalzante, in cui riuscì a rea-lizzare il suo sogno (lo stesso dei futuristi) di«rendere visibili» l’energia e il movimento,fu la fotografia: specie la «cronofotografia»di pionieri come Muybridge o Marey, cheseppero realizzare una vera «iconografia delmovimento», fondendo in un unicum tempoe spazio. Ma a quelle suggestioni vanno ag-giunte sia le innumerevoli immagini viste su«Life», sia la rassegna, sinora trascurata da-gli studiosi, Action Photography, 1943, con lefotografie cinetiche di autori del tempo (al-cune esposte qui), da lui visitata al MoMAmentre lavorava a Murale.

In mostra figurano poi  Alchimia e altri

suoi dipinti, opere della moglie Lee Krasner edi David Smith, tutte attinenti a Murale, e ilgrandioso Elegia per la Repubblica Spagno­la n. 126, 1965-75, un omaggio a Pollock diRobert Motherwell, realizzato per essereesposto accanto a Murale nello Iowa Mu-seum of Art.

Se questa mostra è nelle stanze di Peggy,l’altra, ordinata da Philip Rylands nell’ala delle esposizioni temporanee e dedicata aCharles Pollock (1902-1988), rilegge per laprima volta il percorso di questo artistaoscurato dalla luce del grande, tragico fratel-lo minore, ma rimasto anche volontaria-mente in disparte per la sua vocazione al “so-ciale”, che lo spinse a dedicarsi all’insegna-mento e al muralismo pubblico ben più chealla promozione del suo lavoro. Un artistache a conti fatti si rivela tutt’altro che mode-sto. Certo, agli esordi il paragone è impieto-so: allievi entrambi di Thomas Hart Benton,maestro della pittura tradizionale america-na del tempo, entrambi esordiscono nella

sua scia. Ma il confronto tra l’apocalitticoGoing West, 1934-35, di Jackson (primo noc-ciolo concettuale del suo omaggio infinitoall’Ovest degli States) e i dipinti coevi diCharles mostra l’iniziale, vistosa differenzadi statura tra i due. E lo stesso accade con ilavori di Charles degli anni ’40 e ’50 (quasi dei“Jackson Pollock” in tono minore) ma quan-do, durante e dopo il soggiorno a Roma del1962-63, Charles si cimenterà con una perso-nale declinazione del Color-field Painting,ecco che troverà una propria via e inaugure-rà una lunga stagione più che convincente,portata avanti a Parigi fino alla scomparsa, esolo ora tornata compiutamente alla luce.

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Jackson Pollock, Murale. Energia resa visibile, Venezia, Peggy Guggenheim Collection, fino al 16 novembre, catalogo Thames&Hudson; Charles Pollock. Una retrospettiva, fino al 14 settembre, catalogo Marsilio

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Le ricerche indiziariedi Harun Farockidi Gabo Scardi

Impressiona constatare quanti omaggisiano stati dedicati, nel corso dell’ulti-mo anno, a Harun Farocki: l’artista, fil­maker e il teorico dei media tedesco è

scomparso improvvisamente lo scorso lu-glio. Noto per l’efficacia del suo lavoro, perun instancabile vigilanza critica e per la suagenerosità nei confronti degli altri artisti, Farocki continua così a esercitare una pre-minenza decisiva.

Tra questi omaggi si annovera la duplicepresenza alla Biennale di Venezia: nell’Ar-senale, al centro della mostra che OkwuiEnwezor ha incentrato sull’idea di un’artecapace di «condividere il proprio palcosce-nico storico con il contesto politico e socialecontemporaneo», è possibile vedere sia gliottantatré film realizzati da Farocki tra il 1966 e il 2014, insieme ai quaderni e alle co-pie della rivista «Filmkritik» che l’artistadiresse tra 1974 e 1984, sia il progetto La­bour in a Single Shot attivato da Farocki in-

sieme a Antje Ehmann nell’ambito di unaserie di workshop realizzatisi a partire dal2011. Il progetto vide coinvolti numerosipartecipanti, invitati a indagare le nuoveforme di lavoro attraverso la realizzazionedi video lunghi al massimo due minuti, ri-guardanti una determinata attività lavora-tiva e consistenti in sequenze uniche, senzapossibilità di tagli o di montaggio.

Sistematico, sintetico e rigoroso, HarunFarocki ha sempre lavorato per smantella-re la retorica dominante e sottrarre i fatti auna frammentazione che, deliberatamen-te, ne impedisce la corretta visione. Attra-verso montaggi che integrano immagini diorigine diversa – girate dall’artista o pree-sistenti, assunte dai mass media, dai dispo-sitivi di sorveglianza, dalla propaganda po-litica – Farocki affronta temi sintomaticiquali il Vietnam negli anni ’70, Auschwitznegli anni ’80, le tecnologie di sorveglianzae le bombe intelligenti negli anni ’90, le dit-tature – straordinario il film sul crollo delregime rumeno di Ceausescu – le prigionidi regime, gli shopping center e i centri diaddestramento per i piloti di droni oggi.

Con tono forense Farocki, nei proprifilm, ricontestualizza fatti, ricostruisce nessi, mostra soprattutto ciò che normal-mente non si vede; mette in campo gli esitidi ricerche indiziarie; senza per questo ri-nunciare a costruire potenti metafore. Laconsapevolezza che l’immagine ha il per-verso potere di rendere persino la violenza“bella” è all’origine di un’inflessibileasciuttezza formale.

In Inextinguishable Fire, del 1968-1969,per esempio, l’artista ci pone a confrontocon una secca constatazione: «When na-

palm is burning, it is too late to extinguishit. You have to fight napalm where it is pro-duced: in the factories». E una fabbrica vie-ne nominata: si chiama Dow Chemical, sitrova nel Midland, Michigan. L’aziendapunta sulla razionalizzazione tecnologica,su un avanzamento scientifico fatto cieconelle finalità. Il lavoro al suo interno si basasu una parcellizzazione estrema; così si ar-riva ad obnubilare, nei lavoratori stessi, laconsapevolezza soggettiva del suo conte-nuto; e l’oggetto in questione, il napalm,potrà essere prodotto secondo formule

sempre più letali senza che si levi resisten-za alcuna. Paradossalmente, ci dice Fa-rocki, non solo la distanza, ma anche la vici-nanza estrema può rendere la violenza in-tangibile; con la nostra muta complicità.

La relazione tra tecnologia, politica eviolenza è anche il fulcro della più recenteserie di video, Serious Games. In questo casoal centro sono gli operatori di droni al lavo-ro nelle loro postazioni. L’utilizzo di droniha modificato i principi della politica,l’esperienza della guerra e del combatti-mento, e il nostro stesso rapporto con ilcontesto. I videogiochi, le animazioni, ilcomputer, i linguaggi di programmazione– creati su commissione dei ministeri dellaDifesa – l’impatto psicologico di una guerrache si combatte con nemici lontani migliaiadi chilometri, il senso di una realtà instabilein cui i confini tra combattimento, gioco,finzione non sono più chiari; tutta la com-plessità etica delle guerre di oggi, caratte-rizzate da nuove, estreme forme di asim-metria emerge in queste opere. Grazie alletecnologie digitali il male si fa “a distanza”e, parafrasando Hannah Arendt, la sua ba-nalità è anche più lampante.

A un anno di distanza dalla morte, vale lapena di dedicare tempo a Atlas of Harun Fa­rocki’s Filmography, la vasta antologia chepresenta i video dell’artista restaurati, in ordine cronologico, su schermi separate.Ne emerge una figura di prima grandezza,capace di dire cose necessarie.

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milano

Il raccontodegli arazziin mostra

di Marina Mojana

Un’antica leggenda narra che al-cuni pastori, dopo avere appre-so dall’Homo Selvaticus i segretiper curare i propri animali,

l’uso delle erbe medicinali, l’estrazionedel ferro e la preparazione dei formaggi,gli chiesero di indicare loro dove si tro-vasse un torrente pieno d’oro, promet-tendogli in cambio ricchezza e palazzi con cento servi. «L’oro guasterebbe voi ela ricchezza non mi interessa – risposel’uomo selvatico – inoltre, chiuso in un palazzo, non riuscirei ad ascoltare la vocedel vento, né a danzare sotto la pioggia o agustare i colori dell’alba... e, per quantoriguarda i servi, mi bastano i miei amici».A quel punto fischiò verso il bosco e im-mediatamente, sul crinale della monta-gna, apparvero alcuni cervi mentre l’Ho­mo Selvaticus, soddisfatto e felice, si al-lontanava con i suoi segreti. Questo è sol-tanto uno dei diciotto «racconti tessuti»in mostra fino all’11 luglio nella galleriamilanese di Moshe Tabibnia (via Brera 3;www.moshetabibnia.com).

Per la prima volta una grande mostradi livello museale (cose analoghe si trova-

no ad esempio al Musée de Cluny di Parigie alla Burrel Collection di Glasgow ) svelaal pubblico italiano alcuni tra i più raffi-nati esemplari d’arte tessile del XV - XVIIIsecolo. Tabibnia – tra gli antiquari più im-portanti d’Europa nel campo degli arazzi– presenta una collezione di rara qualità,composta interamente da manufatti atessitura piatta di varie dimensioni e usi,forma e disegno, provenienti dai maggio-ri centri di produzione di Fiandre, PaesiBassi, Francia, Svizzera e Germania.

Circa 40 esemplari della collezione Za-leski dialogano con quelli Tabibnia, in unpercorso che svela il ruolo centrale svoltodall’arte tessile nell’estetica cerimonialee nella quotidianità dell’evo antico, dalGotico al Rinascimento. Un piccolo copri-cuscino con la storia biblica delle nozze diSara e Tobia augurava un felice matrimo-nio; un copritavola con istoriato l’incon-tro di Abramo e i tre angeli alle querce diMamre festeggiava l’arrivo di un erede alungo atteso. Ma ci sono anche esemplaridi tre metri per cinque, nati per essere ap-pesi alle pareti di case, castelli o sacrestie.La fortuna degli arazzi è sempre dipesadalla loro natura ornamentale e mobile:leggeri e facilmente trasportabili, veico-lavano insegnamenti morali, allegorieedificanti o la metafora del paradiso, im-maginato come un lussureggiante giar-dino negli arazzi Millefleurs, Verdure eFeuille de Choux.

Occasione per questo viaggio lungo tresecoli è la presentazione del volume su gliarazzi e i ricami della collezione Zaleski,iniziata nel 1998 e oggi tra le più impor-tanti al mondo. Curato da Moshe Tabib-nia e da Elisabetta Mero, il catalogo è fir-mato da Nello Forti Grazzini, Chiara Busse Gian Luca Bovenzi.

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visitatori | Una della sale della mostra su Jackson e Charles Pollock allestita alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia

harun farocki | «Atlas of Harun Farocki’s Filmography, (2015)

tessuto istoriato | «Damigella pensa il suo futuro», arazzo, Strasburgo (1490­1510)

«Il Restauro sostenibile»: tavola rotonda a RomaMercoledì 8 luglio (ore 11.00), presso l’Accademia di San Luca a Roma si terrà una

tavola rotonda sul tema «Progetto Valore Restauro Sostenibile» alla qualepartecipano I. Borletti Buitoni (sottosegratario di Stato) F. Moschini (Accademia di

San Luca), A. M. Navarra (impreditore), G. Capponi (Direttore ISCR) e P. Daverio(critico d’arte) e K. Davi (massmediologo). Modera M. Carminati.

calendarta cura di Marina Mojana_ LuganoAl Museo delle culture Heleneum (via Cortivo 26; www.mcl.lugano.ch) da oggi al 23 agosto Tidi’uma. Creatività e genere nell’arte yekuana; opere provenienti dalla collezione Acoana, nata nel 1995 per raccogliere ceste intessute in fibre vegetali e sculture in legno manufatte dagli indigeni che vivono nella foresta tropicale lungo il bacino del Rio Caura, nello stato di Bolivar, in Venezuela.

_ PalermoAlla Galleria d’Arte Moderna (Via Sant’Anna

21; www.gampalermo.it) fino al 7 settembre va in scena un originale dialogo tra la pittura di Marc William Zanghi, tra i giovani sicilianila cui figurazione s’innesta sul sentierodella cosiddetta «Scuola di Palermo»e gli interventi di Gianni Pettena,uno degli esponenti più accreditati dell’architettura radicale, sorta a Firenzealla fine degli anni Sessanta.

_ VeneziaEttore Spalletti è in corso a Palazzo Cini(San Vio Dorsoduro 864; www.spallettipalazzocini.com) fino al 23 agosto, in occasione della riapertura stagionale della casa museo del conte

Vittorio Cini. Tra i capolavori del rinascimento toscano e ferrarese appartenutial collezionista si articola il progetto site specific dell’artista abruzzese, classe 1940,in un percorso tra opere note e inediti.

_ Viareggio (Lucca)Alla Fondazione Matteucci per l’arte moderna (Via G. D’Annunzio 28; www.cwntromatteucciartemoderna.it)da oggi al 1° novembre Silvestro Lega.Storia di un’anima. Scoperte e rivelazioni. L’evento riunisce il ciclo di ritratti Fabbroni(mai più esposti dal 1926) a capolavoridel grande pittore macchiaiolo (1826-1895) rintracciati negli ultimi anni.

incanti&galleriea cura di Marina Mojana_ LatinaDa oggi al 6 settembrepresso Romberg Project Space(Viale Le Corbusier 39,Grattacielo Baccari; www.romberg.it) personaledi Mario Velocci / The Sound Room;in mostra dipinti e sculture dell’artista laziale caratterizzatida un rapporto intimo con la natura e da materiali intrinsecamente dissimili come l’acciaio e il cartone.

_ LondraDa Christie’s (8, King Street; www.chrities.com) l’8 luglio va all’asta la collezione di famiglia di un ricco gentiluomo svizzero di Zurigo,erede di una dinastia di imprenditori, medici ed editori.La raccolta, iniziata nel 1920,è formata 152 lotti di vario genere ed epoca, dal tardo gotico al barocco: argenti, manoscritti miniati, porcellane, mobili,dipinti, sculture di ambito nord europeo. Dalla vendita si stima un incasso di 1,5 milioni di sterline.

_ MilanoAlla Galleria Subert (Via della Spiga 42, 2° piano; www.subert.it)fino al 16 luglio Le tavole sospese;opere d’antiquariato e oggetti di design di Francesca e Carlo Mo, Thalia Maria Georgoulis, Samuele Bonomi.

_ Pietrasanta (Lucca)La Galleria Poggiali & Forconi presenta fino al 7 agosto, presso lo spazio Ex Marmi Complesso Post industriale(via N. Sauro 52 e via Garibaldi 8; www.poggialieforconi.it) Punk: sculture in marmo bianco e pigmenti dell’artista piemontese Fabio Viale, classe 1975.