I Fondamenti del diritto antitrust europeo - libro

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L'obiettivo del lavoro è l'individuazione dei principi fondanti del sistema di tutela antitrust europeo mediante l'identificazione dei motivi storici sull'adozione di una disciplina antitrust europea (prima parte); della successiva previsione dei poteri antitrust attribuiti dagli Stati membri alla Comunità (e all'Unione europea, così come previsto dal Trattato costituzionale europeo), della definizione del contenuto dei divieti, del rapporto tra tali poteri e i poteri antitrust degli Stati membri (seconda parte); infine, individuando l'"allocazione" di tali poteri nel sistema di applicazione antitrust europeo (tra organi europei e degli Stati membri), le modalità di esercizio dei divieti antitrust da parte dei differenti organi e la disciplina dei "pesi e contrappesi" tra livello europeo e livello statale (terza parte). Autore: Lorenzo Federico Pace

Transcript of I Fondamenti del diritto antitrust europeo - libro

Ai giovani di Loos e del Lagazuoi

Opportunamente la Commissione di studio per l'Unione europea,

mentre ha raccomandato lo sviluppo delle intese industriali come

mezzo di riavvicinamento economico fra i vari Paesi di Europa (…), ha insistito sulla necessità che le intese abbiano la duttilità sufficiente

per evitare la cristallizzazione definitiva delle condizioni attuali della

produzione nei vari paesi e per dar modo a questi di esercitare la legittima facoltà di estendere le loro economie.

Francesco Vito, I sindacati industriali, 1932

Will the cartel movement gather momentum and finally subdue

the regions which it has already invaded with official tolerance or

positive sanction? If so, what is to be the outcome of the struggle

between the two conflicting policies represented by the Sherman Law

and the Cartel? Shall we be able to work out some practical modus vivendi permitting international trade relations to prosper under a

dual regime; or must one of these political-economic philosophies

necessarily triumph over the other because they are logically

irreconcilable? And if the Cartel idea wins universal dominion, where

is the enlightened bureaucracy which can rule a cartellized world and lead it to a higher destiny?

History offers no guiding precedents for dealing with these

questions.

They cannot be answered by business men alone, or by statesmen alone, or by jurist alone. If they do not in due time receive satisfactory

answers, the consequent inability of this capitalistic society of ours to

organize itself and present a united front can hardly fail to prove an

encouragement to "La Gauche" everywhere, and may conceivably

furnish their long-sought opportunity to the watchful enemies of the existing order.

Robert E. Olds, 1932

Noi assistiamo alla scomparsa delle forme antiche; vediamo la

vita economica passare al disopra delle antiche frontiere nazionali, e

ispirare al mondo delle speranze nuove. La vecchia economia

mondiale riposava sulla legge tradizionale delle scambio delle merci; si

tratta di scoprire una formula nuova, fondata sulla soppressione di tutto ciò che separava sino ad oggi i differenti servizi nazionali.

Gustav Stresemann, 1929

INDICE-SOMMARIO

Parte prima

LA CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA E IL PROCESSO DI

INTEGRAZIONE EUROPEA

CAPITOLO I

IL PROCESSO DI CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA NEL XIX SECOLO,

I SUCCESSIVI TENTATIVI DI UNIFICAZIONE EUROPEA FONDATI SUI

CARTELLI INDUSTRIALI E LA NASCITA DEL DIRITTO STATALE DEI

CARTELLI

SEZIONE I - Lo sviluppo industriale mondiale, la cartellizzazione dell'economia europea e il caso

del cartello mondiale dell'acciaio (1870- 1926)

1. La sentenza del 4 febbraio 1897 del Reichsgericht tedesco, il diritto antitrust CE e

l'inserimento della normativa antitrust in una Costituzione. ........................................ 4 2. La crescita industriale e "l'imperialismo gareggiante". Lo sviluppo economico della

fine del XIX secolo e la nascita dei cartelli. ....................................................................... 6 3. Lo sviluppo industriale e il problema dei cartelli negli Stati Uniti d'America. La

nascita delle leggi antitrust a livello degli Stati membri e la successiva emanazione dello Sherman Act a livello federale. ................................................................................... 9

4. La crescita industriale europea nella seconda parte del XIX secolo e la cartellizzazione dell'economia in Germania e in Italia. I motivi politici della mancata previsione di un divieto dei cartelli in Europa. ............................................. 11

5. La fine della prima guerra mondiale e le successive crisi economiche. Lo sviluppo del commercio internazionale e l'assenza di istituzioni internazionali di controllo. I motivi della cartellizzazione della metà degli anni '20. L'elenco dei cartelli industriali attivi nel 1931. .................................................................................................. 17

6. La costituzione del cartello mondiale dell'acciaio (cd. Comunità dell'acciaio - 1926), la successiva costituzione dell'accordo internazionale di esportazione dell'acciaio (1933) e lo scioglimento del cartello (1939). .................................................................... 23

INDICE

X

SEZIONE II - Le preoccupazioni internazionali riguardo ai cartelli industriali (1927) e i tentativi

di unificazione europea fondata sui cartelli (1930)

7. La Conferenza della Società delle Nazioni del 1927 e l'incapacità di prevedere un

controllo internazionale dei cartelli. ................................................................................ 32 8. Il Progetto Briand del 1929 e il fallimento della Commissione di studio sull'Unione

europea del 1931. Le modalità di riavvicinamento economico proposte dalla Commissione di studio per l'Unione europea. .............................................................. 37

9. I primi risultati positivi relativi al controllo dei cartelli tramite il Diritto internazionale: il cartello dello stagno del 1931. ............................................................ 41

SEZIONE III - Il rapporto tra i singoli Stati e la cartellizzazione: la nascita del diritto statale dei

cartelli (1922 - 1933)

10. La nascita del diritto statale dei cartelli negli anni '20. Le normative di controllo dei

cartelli nella Repubblica tedesca, nella Repubblica francese e nel Regno d'Italia. . 42

CAPITOLO II

LO SCIOGLIMENTO DEL CARTELLO MONDIALE DELL'ACCIAIO, LA

NASCITA DELLA CECA E IL FALLIMENTO DELLA CED

11. Il problema del commercio europeo dopo la seconda guerra mondiale. I problemi

conseguenti allo scioglimento del cartello mondiale dell'acciaio. .............................. 49 12. I tentativi di ricostituire il cartello dell'acciaio. La "dichiarazione Schuman",

l'assenza del riferimento a normative antitrust e i dubbi di Monnet riguardo alla natura dell'organizzazione. La previsione delle norme antitrust nel Trattato CECA e l'influenza degli Stati Uniti d'America. ....................................................................... 52

13. Il Trattato CECA, le relative finalità e il concetto di "concorrenza normale". Le norme antitrust del Trattato. ............................................................................................. 54

14. Il fallimento della CED e l'incapacità degli Stati di creare un'organizzazione politica europea. ................................................................................................................... 57

CAPITOLO III

LA "CRISI" IN EUROPA DELLA FORMA "STATO" E LA "NECESSITATA"

ISTITUZIONE DELLA CEE. LA NASCITA DEL DIRITTO COMUNITARIO

DELLA CONCORRENZA

15. La conferenza di Messina e la "Relazione Spaak". Le differenze tra il progetto della

Commissione di studio per l'Unione europea del 1930 e la "Relazione Spaak" del 1955. ....................................................................................................................................... 59

16. L'istituzione del Trattato CEE. Il mercato comune come spazio fondato sulla concorrenza tra imprese e i suoi "nemici": la nascita della res publica comunitaria. La previsione di una normativa antitrust e il passaggio dal diritto statale dei cartelli al diritto comunitario della concorrenza. ....................................................................... 60

INDICE

XI

17. Brevi cenni sul processo di integrazione europea dal Trattato CEE al Trattato costituzionale. ...................................................................................................................... 65

18. I cartelli industriali e il processo di integrazione europea del XX secolo: una prospettiva storica. Le "ricadute" del principio di uguaglianza tra imprese nel mercato interno (artt. 81 e 82 TCE — artt. 161 e 162 Cost. eu.) sull'uguaglianza degli Stati membri tra di loro (art. 5 Cost. eu.) e sull'istituzione della "Cittadinanza europea" (art. 10 Cost. eu.). Il diritto di iniziativa economica e il futuro dell'Unione europea. ................................................................................................................................. 72

Parte seconda

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

CAPITOLO I

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA: REDAZIONE, ATTUAZIONE E

CONTENUTO DEI DIVIETI

SEZIONE I - La competenza antitrust del Trattato CE (artt. 81 - 85 TCE) e del Trattato

costituzionale (artt. 161 - 165 Cost. eu.)

19. La competenza antitrust del Trattato CE: gli artt. 81 — 85 TCE. Le modifiche

apportate dal Trattato costituzionale (artt. 161 — 165 Cost. eu.). ............................. 79 20. Il ruolo del diritto antitrust nel Trattato CE (artt. 2, 3, 81, 82 TCE) e nel Trattato

costituzionale (artt. 3, 13, 161, 162 Cost. eu.). ................................................................ 84 21. Il concetto di diritto antitrust: la differenza tra normativa a tutela della concorrenza

e normativa di regolamentazione della concorrenza. .................................................. 86

SEZIONE II - I divieti antitrust del Trattato CE (artt. 81 e 82 TCE) e del Trattato costituzionale

(artt. 161 e 162 Cost. eu.)

Sottosezione I - La redazione e l'attuazione del divieto di intese anticoncorrenziali (art. 81

TCE, art. 161 Cost. eu.)

22. La dichiarazione Spaak e le norme antitrust del Trattato CEE (1957). La disciplina

dei cartelli industriali in Francia e in Germania negli anni '50 e la relativa influenza sulla redazione dell'art. 81 TCE. ..................................................................................... 91

23. La redazione dell'art. 81 TCE. La proposta francese e le "difficoltà" della rappresentanza tedesca. Il compromesso di von der Groeben. ................................... 96

24. L'attuazione dell'art. 81(3) TCE ai sensi del reg. 17/62. L'influenza della scuola di Friburgo e di E.-J. Mestmäcker nella successiva prassi di applicazione dell'art. 81(1) TCE. .................................................................................................................................... 100

25. L'attuazione dell'art. 81 TCE ai sensi del reg. 1/03. I limiti dell'applicazione dell'art. 81(3) TCE ex reg. 17/62 e il "Libro bianco sulla modernizzazione". L'art. 1 della proposta di regolamento del 2000 della Commissione. .................................... 102

INDICE

XII

26. L'attuazione dell'art. 81(3) TCE ai sensi del reg. 1/03. L'art. 2 reg. 1/03 e l'onere della prova della violazione del diritto antitrust CE. .................................................. 105

27. La critica di E.-J. Mestmäcker alla legittimità dell'art. 1 reg. 1/03. ......................... 108

Sottosezione II - La redazione e l'attuazione del divieto di abuso di posizione dominante (art.

82 TCE, art. 162 Cost. eu.)

28. La dichiarazione Spaak e la discussione sulla disciplina dei comportamenti

monopolistici delle imprese: la redazione dell'art. 82 TCE. ..................................... 110 29. L'art. 82 TCE, l'attuazione e l'"effetto diretto" della norma. ................................... 114

Sottosezione III - Il contenuto e le finalità dei divieti antitrust europei.

30. Il contenuto dei divieti antitrust europei: a) le analogie tra le due norme. ............. 116 31. (segue) b) le differenze tra le due norme. ..................................................................... 120 32. (segue) c) le finalità delle due norme: l'influenza della scuola di Friburgo e la

modifica prevista nella Comunicazione del 2004 sull'applicazione dell'art. 81(3) TCE. .................................................................................................................................... 123

33. (segue) d) Le differenti finalità del diritto antitrust CE e del diritto antitrust degli Stati membri. L'erroneità dell'impostazione che sostiene l'applicazione generale del diritto antitrust statale in sostituzione del diritto antitrust europeo per tutelare il mercato interno. ................................................................................................................. 137

Sottosezione IV - Il campo di applicazione dei divieti antitrust europei.

34. Il campo di applicazione del diritto antitrust europeo. Le violazioni che non

determinano un pregiudizio sensibile sul commercio interstatale. ......................... 138 35. Il campo di applicazione del diritto antitrust europeo e la relativa funzione:

l'irragionevolezza della richiesta di riduzione del campo dei divieti antitrust europei. ................................................................................................................................ 141

CAPITOLO II

IL RAPPORTO TRA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA E NORMATIVE

DEGLI STATI MEMBRI

SEZIONE I - La ripartizione della competenza antitrust europea tra livello comunitario e livello

degli Stati membri. I limiti di applicabilità dell'art. 5 TCE. I dubbi sollevati dall'art. 13(1) Cost.

eu.

36. Gli aspetti "verticali" della competenza antitrust europea: introduzione. La natura

della competenza trasferita dagli Stati membri alla CE in materia antitrust: il dritto antitrust europeo quale competenza normativa ex art. 5(1) TCE ed ex art. 11(2) Cost. eu.. ........................................................................................................................................ 143

INDICE

XIII

37. I motivi giuridici e storici per la non applicazione del principio di sussidiarietà alla competenza antitrust europea. Il pericolo di fraintendimento conseguente all'art. 13(1) Cost. eu.. Il differente problema dell'applicazione decentrata dei divieti antitrust europei. ................................................................................................................ 145

38. L'applicabilità del principio di proporzionalità alla competenza antitrust europea. La distinzione tra il principio ex art. 5(3) TCE e il principio generale di proporzionalità. ................................................................................................................. 152

SEZIONE II - Le norme che regolano i rapporti tra diritto antitrust europeo e normative

nazionali

Sottosezione I - Il principio generale che regola il rapporto tra diritto antitrust europeo e

normative nazionali

39. Il rapporto tra competenza antitrust europea e normative nazionali. Il principio di

soluzione dei conflitti tra diritto antitrust europeo e normative nazionali: il principio dell'effetto utile del diritto antitrust europeo. .............................................................. 155

40. L'erroneità della tesi che distingue due filoni giurisprudenziali CE: il primo relativo ai rapporti tra diritto antitrust CE e diritto antitrust degli Stati membri; il secondo relativo ai rapporti tra diritto antitrust CE e norme nazionali relative alle fattispecie disciplinate dagli artt. 81 e 82 TCE. ........................................................... 160

Sottosezione II - La disciplina emanata ex art. 83(2) lett. e TCE e il rapporto tra il diritto

antitrust europeo e le normative nazionali

41. Il rapporto tra il diritto antitrust europeo e le normative nazionali così come

regolato dal sistema antitrust europeo (artt. 84 e 85 TCE - artt. 164 e 165 Cost. eu.) e dal sistema antitrust ex reg. 17/62. .................................................................................. 162

42. L'art. 3 della proposta di regolamento del 2000 e la previsione della competenza esclusiva del diritto antitrust europeo quale naturale evoluzione della prassi della Commissione. I casi Airtours e Carnival e il ruolo di "contropotere" delle Autorità nazionali. ............................................................................................................................. 164

43. L'art. 3 reg. 1/03 e il rapporto tra il diritto antitrust europeo e le normative nazionali in materia di concorrenza. L'art. 3(1) reg. 1/03 e la modifica della proposta di regolamento del 2000. La funzione dell'art. 3(1) reg. 1/03. ....................................... 169

44. L'art. 3(2) reg. 1/03 e il rapporto tra diritto antitrust europeo e normative a tutela della concorrenza degli Stati membri. La differente finalità dell'art. 3(1) e dell'art. 3(2) reg. 1/03. Le motivazioni addotte dalla Commissione e dal Consiglio per l'emanazione dell'art. 3(2) reg. 1/03. L'(erronea) tesi della Commissione riguardo alla "competenza" antitrust europea quale "competenza esclusiva". ........................ 170

45. L'illegittimità dell'art. 3(2) reg. 1/03 per violazione del principio di proporzionalità: a) l'inidoneità dell'art. 3(2) reg. 1/03 al raggiungimento degli obiettivi dell'art. 3(1) lett. g TCE. ......................................................................................................................... 177

46. (segue) b) l'illegittimità dell'art. 3(2) reg. 1/03 in quanto norma che eccede quanto è necessario al raggiungimento delle finalità dell'art. 3(1) lett. g TCE. .................... 181

47. La non irrilevanza della scelta di applicare ad una fattispecie il diritto antitrust europeo o il diritto antitrust statale: a) le finalità differenti; b) il federalismo antitrust

INDICE

XIV

europeo; c) il differente rapporto tra il diritto d'autore e il diritto antitrust europeo e statale: la situazione italiana. ........................................................................................... 186

48. L'art. 3(3) reg. 1/03: a) il rapporto tra diritto antitrust europeo e le legislazioni nazionali in materia di fusioni. ....................................................................................... 189

49. (segue) b) il rapporto tra diritto antitrust europeo e normative che perseguono "un obiettivo differente da quello degli artt. 81 e 82 TCE". L'applicazione parallela del diritto antitrust europeo e di norme nazionali in materia di regolamentazione della concorrenza. ....................................................................................................................... 191

Sottosezione III - La vincolatività per i singoli di misure nazionali in violazione del principio

dell'effetto utile del diritto antitrust europeo e dell'art. 3(2) reg. 1/03

50. La vincolatività delle misure nazionali in violazione del principio dell'effetto utile

del diritto antitrust europeo e dell' art. 3(2) reg. 1/03. I procedimenti previsti dal reg. 1/03 finalizzati ad evitare decisioni nazionali in violazione del diritto europeo (rinvio). ................................................................................................................................ 194

Parte terza

IL SISTEMA DI APPLICAZIONE ANTITRUST EUROPEO

CAPITOLO I

GLI ORGANI E GLI ISTITUTI DEL SISTEMA ANTITRUST EUROPEO

51. Gli organi e gli istituti del sistema antitrust europeo. La Commissione. ............... 201 52. Le Autorità nazionali di tutela antitrust. ...................................................................... 204 53. Il federalismo antitrust europeo. ..................................................................................... 206 54. Le giurisdizioni nazionali. .............................................................................................. 209

CAPITOLO II

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL TRATTATO CE

(ARTT. 84 E 85 TCE) E DAL TRATTATO COSTITUZIONALE (ARTT. 164 E 165

COST. EU.)

SEZIONE I - Il sistema antitrust amministrativo europeo

Sottosezione I - Introduzione

55. Il sistema di tutela antitrust europeo disciplinato dal Trattato CE e dal Trattato

costituzionale. .................................................................................................................... 214

INDICE

XV

Sottosezione II - La Commissione

56. A) La competenza e le decisioni della Commissione nel sistema antitrust disciplinato

dal Trattato CE e dal Trattato costituzionale. ............................................................ 215 57. B) Le sanzioni comminabili dalla Commissione nel sistema antitrust disciplinato dal

Trattato CE e dal Trattato costituzionale. ................................................................... 216

Sottosezione III - Le Autorità nazionali antitrust

58. A) La competenza, le decisioni e i poteri istruttori delle Autorità nazionali. ....... 217 59. B) Le sanzioni comminabili, le decisioni emanabili e i poteri istruttori esercitabili

dalle Autorità nazionali. .................................................................................................. 219

Sottosezione IV - I meccanismi di cooperazione e di controllo nel sistema amministrativo

antitrust

60. A) I meccanismi di "cooperazione verticale" nell'applicazione del diritto antitrust

europeo. ............................................................................................................................... 220 61. B) I meccanismi di controllo dell'applicazione del diritto antitrust europeo: il

principio di stretta "cooperazione" e il controllo "verticale ascendente". Il federalismo antitrust europeo. ......................................................................................... 221

Sottosezione V - Gli effetti del sistema antitrust europeo sui sistemi nazionali antitrust

62. Gli effetti del sistema antitrust disciplinato dal Trattato CE e dal Trattato

costituzionale sui sistemi nazionali antitrust. ............................................................... 222

SEZIONE II - La tutela giurisdizionale delle norme antitrust europee

63. La competenza e la partecipazione dei giudici nazionali al sistema antitrust

disciplinato dal Trattato CE e dal Trattato costituzionale. ...................................... 223

CAPITOLO III

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 17/62

SEZIONE I - Il sistema antitrust amministrativo europeo

Sottosezione I - Introduzione

64. Il sistema di tutela antitrust disciplinato dal reg. 17/62. ............................................. 226

INDICE

XVI

Sottosezione II - La Commissione

65. A) La competenza della Commissione con particolare riferimento all'art. 81(3)

TCE. Le decisioni della Commissione disciplinate dal reg. 17/62. ......................... 228 66. B) Le sanzioni comminabili dalla Commissione e la disciplina della prescrizione e

della decadenza ai sensi del reg. 2988/74. ..................................................................... 231

Sottosezione III - Le Autorità nazionali

67. A) La competenza delle Autorità nazionali e i rapporti con la competenza della

Commissione. Il concetto di Autorità nazionale antitrust ai sensi del diritto antitrust europeo. ............................................................................................................................... 233

68. B) Le sanzioni comminabili, le decisioni emanabili e i poteri istruttori esercitabili delle Autorità nazionali. .................................................................................................. 236

Sottosezione IV - I meccanismi di cooperazione e di controllo nel sistema amministrativo

antitrust

69. A) I meccanismi di cooperazione: A.i) La "cooperazione verticale ascendente"

prevista dal reg. 17/62. L'utilizzabilità delle informazioni acquisite dalle Autorità nazionali per l'applicazione del diritto antitrust europeo e degli Stati membri. ..... 237

70. A.ii) Lo scambio di informazioni tra Commissione e Autorità nazionali antitrust.238 71. A.iii) La disciplina del segreto professionale. I casi di pubblicazione delle

informazioni acquisite. ..................................................................................................... 240 72. B) I meccanismi di controllo: il principio di "stretta collaborazione" tra

Commissione e Autorità nazionali. L'art. 10 reg. 17/62 e le fasi di redazione della norma. Il Comitato consultivo. ....................................................................................... 241

73. C) Il controllo sui generis degli Stati membri, ai sensi del reg. 17/62, nei confronti dell'esercizio dei poteri istruttori della Commissione. ............................................... 246

Sottosezione V - Gli effetti del sistema antitrust disciplinato dal reg. 17/62 sui sistemi

nazionali antitrust

74. Gli effetti del sistema antitrust disciplinato dal reg. 17/62 sui sistemi nazionali

antitrust. ............................................................................................................................... 248

SEZIONE II - La tutela giurisdizionale delle norme antitrust europee

75. A) La competenza dei giudici nazionali relativa al diritto antitrust. La competenza

ad applicare l'art. 81(3) TCE. .......................................................................................... 250 76. B) Le sanzioni emanabili dai giudici nazionali e la prescrizione dei diritti previsti

dagli artt. 81(1) e 82 TCE. ............................................................................................... 252

INDICE

XVII

CAPITOLO IV

L'EVOLUZIONE DEL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST EUROPEO SINO

ALLA RIFORMA DEL 2003

SEZIONE I - Introduzione

77. Le modifiche dell'ordinamento comunitario e lo sviluppo del sistema antitrust

europeo successivamente all'emanazione del reg. 17/62. ........................................... 253

SEZIONE II - Il sistema antitrust amministrativo europeo

Sottosezione I - La Commissione

78. L'eccessivo carico di lavoro della Commissione a seguito degli sviluppi della CE. Le

soluzioni procedimentali introdotte dalla Commissione. ......................................... 255 79. La definizione da parte della Commissione della "politica di decentramento" degli

artt. 81 e 82 TCE a seguito dell'evoluzione del sistema antitrust europeo negli anni '90. ........................................................................................................................................ 258

Sottosezione II - Le Autorità nazionali

80. La politica di decentramento antitrust nei confronti della Autorità nazionali. ..... 261

Sottosezione III - Le altre particolarità rilevanti nel rapporto tra Commissione e Autorità

nazionali

81. I limiti del reg. 17/62 in conseguenza dello sviluppo del sistema antitrust CE. ..... 264

Sottosezione IV - Gli effetti del sistema antitrust europeo sui sistemi nazionali antitrust e la

reazione degli Stati membri

82. La "perdita di indipendenza" dei sistemi antitrust nazionali rispetto al sistema

antitrust europeo. ............................................................................................................... 266 83. La reazione dei sistemi antitrust degli Stati membri a fronte della crescita di

importanza del sistema antitrust europeo. .................................................................... 268

SEZIONE III - La tutela giurisdizionale delle norme antitrust europee

84. La politica di decentramento antitrust nei confronti delle giurisdizioni nazionali. 273

INDICE

XVIII

CAPITOLO V

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

SEZIONE I - La "politica di decentramento" del diritto antitrust europeo e il reg. 1/03

85. La politica di decentramento negli anni '90 e la modifica del reg. 17/62. ................ 277 86. La politica di decentramento nella proposta di regolamento del 2000. .................. 282 87. La politica di decentramento nel reg. 1/03 e i relativi quattro criteri organizzativi.

La struttura del reg. 1/03. ................................................................................................ 284 88. Il sistema di tutela antitrust disciplinato dal reg. 1/03 in prospettiva storica: il

controllo dei cartelli in Europa negli anni '30 del XX secolo e la tutela antitrust all'inizio del XXI secolo. .................................................................................................. 287

SEZIONE II - Il sistema antitrust amministrativo europeo

Sottosezione I - La Commissione

I. - La competenza

89. A) La competenza antitrust della Commissione. ......................................................... 291 90. B) L'esercizio della competenza della Commissione: B.i) la riduzione dell'attività

repressiva diretta: B.i.a) L'assenza di un obbligo della Commissione di pervenire a decisioni di merito a seguito di denunce. La decisione di archiviazione. ............... 294

91. (segue) Il potere di archiviazione delle denunce ex art. 13 reg. 1/03. ...................... 296 92. B.i.b) Le decisioni della Commissione finalizzate a non pervenire ad una

conclusione di merito: B.i.b.1) La decisione relativa agli impegni delle imprese (art. 9 reg. 1/03). Le caratteristiche della decisione relativa agli impegni. La novità rispetto alla filosofia antitrust del reg. 17/62. ................................................................ 298

93. (segue) La trasparenza del procedimento di negoziazione tra l'impresa che propone gli impegni e la Commissione. L'esperienza statunitense dei consent decree e del Tunney Act. ......................................................................................................................... 302

94. (segue) La "vacillante" legittimità degli artt. 5 e 9 reg. 1/03. ..................................... 305 95. (segue) L'effetto della decisione relativa agli "impegni" emanata dalla Commissione

e dalle Autorità nazionali sulla competenza antitrust europea e statale. ................ 308 96. (segue) Le conseguenze sui singoli delle decisioni relative agli "impegni". ........... 310 97. B.i.b.2) La constatazione di inapplicabilità (art. 10 reg. 1/03). .................................. 310 99. B.ii) Le lettere di orientamento. Le lettere di orientamento quali provvedimenti

finalizzati alla riduzione dell'incertezza dell'applicazione del diritto antitrust europeo. ............................................................................................................................... 312

99. (segue) La non vincolatività delle lettere di orientamento e il loro effetto sulla discrezionalità della Commissione. La tutela giurisdizionale delle lettere di orientamento. ..................................................................................................................... 317

100. (segue) Il paragone tra lettere di orientamento, decisioni di "constatazione di inapplicabilità" (art. 10 reg. 1/03), lettere amministrative (cd. comfort letter) e provvedimenti di attestazione negativa (art. 2 reg. 17/62). ....................................... 319

INDICE

XIX

II. - Le sanzioni

101. Le ammende (art. 23 reg. 1/03) e le penalità di mora (art. 24 reg. 1/03). Il significato

paradigmatico, rispetto alla "politica di decentramento antitrust" del reg. 1/03, della prescrizione del potere della Commissione in materia di imposizione e di esecuzione delle sanzioni (art. 25(3) reg. 1/03). Il principio della durata ragionevole dei procedimenti. ............................................................................................................... 321

Sottosezione II - Le Autorità nazionali

I. - Gli organi nazionali partecipanti al sistema europeo di tutela amministrativa antitrust

102. La disciplina del reg. 1/03 riguardo alle Autorità nazionali. Gli obblighi di risultato

diretti agli Stati membri (art. 35 reg. 1/03). .................................................................. 330

II. - La competenza

103. A) La competenza antitrust delle Autorità nazionali (art. 5 reg. 1/03). I ruoli svolti

dalla Commissione e dalle Autorità nazionali ai sensi della competenza attribuita ex reg. 1/03. .............................................................................................................................. 331

104. (segue) I casi di perdita della competenza antitrust da parte delle Autorità nazionali (art. 11(6) reg. 1/03). L'avocazione della competenza come forma di collaborazione delle Autorità nazionali nella Rete. I motivi del divieto di procedimenti paralleli tra Commissione e Autorità nazionali ai sensi del diritto antitrust europeo. ............... 333

105. (segue) La necessità di prevedere procedimenti nazionali per l'applicazione del diritto antitrust europeo da parte delle Autorità nazionali. La distinzione tra competenza ex art. 5 reg. 1/03 e vincoli derivanti dal diritto antitrust europeo. ... 336

106. (segue) I poteri delle Autorità nazionali compresi nella competenza antitrust europea: l'"armonizzazione" delle decisioni delle Autorità nazionali. Il potere generale delle Autorità relativo alla revoca delle autorizzazioni dei regolamenti di esenzione. ............................................................................................................................ 339

107. B) L'esercizio della competenza. La facoltà di archiviazione delle denunce e l'obbligo di inizio di un procedimento istruttorio (l'art. 5 ultima parte reg. 1/03). La differenza tra l'obbligo di apertura di un procedimento delle Autorità nazionali ex art. 5 ultima parte reg. 1/03 e l'obbligo della Commissione di iniziare un procedimento per casi di "interesse comunitario". ...................................................... 340

108. (segue) L'applicazione uniforme del diritto antitrust europeo (art. 16(2) reg. 1/03). La distinzione tra l'art. 16(2) reg. 1/03 e gli artt. 3(2) e 3(3) reg. 1/03. ..................... 345

109. (segue) L'esercizio della competenza antitrust europea e le modifiche nei rapporti tra Commissione e Autorità nazionali ex reg. 1/03 rispetto al reg. 17/62. ......................

110. C) I rapporti tra competenza antitrust europea e competenza antitrust statale di cui sono titolari le Autorità nazionali. Gli aspetti relativi alla legge antitrust italiana (art. 1 l. n. 287/90)......................................................................................................................... 348

INDICE

XX

III. - Le sanzioni

111. I poteri sanzionatori delle Autorità nazionali. La prescrizione e la decadenza dei

relativi poteri. ..................................................................................................................... 353

Sottosezione III - I meccanismi di cooperazione e di controllo nel sistema amministrativo

antitrust

I. - Introduzione

112. L'art. 3(1) reg. 1/03, l'"inter-operabilità" delle Autorità nazionali, la nascita della cd.

Rete e i procedimenti di cooperazione e di controllo. ................................................ 357

II. - I meccanismi di cooperazione

113. A) La "cooperazione verticale". La cooperazione "verticale discendente": la facoltà

delle Autorità nazionali di richiedere consulenza alla Commissione per l'applicazione del diritto europeo (art. 11(5) reg. 1/03). La cooperazione "verticale ascendente": i poteri istruttori della Commissione delegati alle Autorità nazionali e disciplinati dal reg. 1/03. .................................................................................................. 361

114. B) La "cooperazione orizzontale". L'"inter-operabilità" dei sistemi antitrust, la "cooperazione orizzontale" e il "principio di concentrazione della competenza antitrust europea": B.i) La prima fase della "cooperazione orizzontale" (art. 11(4) ultima parte reg. 1/03). ..................................................................................................... 363

115. (segue) La distribuzione dei casi: i criteri di ripartizione definiti dalla Commissione. I casi antitrust "ri-attribuiti" e la tutela dei denuncianti. ............................................ 367

116. B.ii) La seconda fase della "cooperazione orizzontale". La disciplina dell'archiviazione delle denunce e la sospensione dei procedimenti delle Autorità nazionali e della Commissione (l'art. 13 reg. 1/03). L'art. 13(1) reg. 1/03 e la sospensione del procedimento o l'archiviazione della denuncia. L'uso delle informazioni delle Autorità nazionali che sospendono o archiviano il procedimento. ................................................................................................................................................ 371

117. (segue) L'art. 13(2) reg. 1/03 e le fattispecie "trattate" dalla Commissione o dalle Autorità nazionali. La carente tutela dei diritti degli artt. 81(1) e 82 TCE quale pericolo derivante dall'esercizio dell'art. 13 reg. 1/03. ............................................... 375

118. B.iii) La terza fase della "cooperazione orizzontale". I poteri delle Autorità nazionali per lo svolgimento di attività ispettiva sul territorio di altri Stati membri (art. 22(1) reg. 1/03). La ratio della norma. La necessità di tutela delle informazioni conseguente alle "cooperazioni orizzontali". ............................................................... 376

119. C) Le cooperazioni che interessano complessivamente la cd. Rete; la disciplina delle informazioni acquisiste per l'applicazione del diritto antitrust CE. C.1) La circolazione ed uso delle informazioni all'interno della Rete (art. 12 reg. 1/03). .. 379

120. (segue) L'eccezione alle regole generali dell'art. 12 reg. 1/03: l'uso delle informazioni acquisite ex reg. 1/03 per l'applicazione del diritto antitrust statale (art. 12(2) ultima parte reg. 1/03). La limitazione dell'uso dei documenti acquisiti e circolati nella Rete ex reg. 1/03 quali mezzi di prova nei confronti delle persone fisiche (art. 12(3) reg. 1/03). .............................................................................................. 382

INDICE

XXI

121. (segue) La richiesta da parte delle imprese di "trattamento favorevole" per le violazioni antitrust compiute. L'uso quali mezzi di prova delle informazioni fornite nella richiesta di "trattamento favorevole" e "immesse" nella Rete. I principi delineati dalla Commissione nella Comunicazione sulla Rete. L'utilizzabilità delle informazioni fornite quali "indizi" per altri procedimenti. ...................................... 385

122. C.2) La finalità dell'uso delle informazioni per la Commissione, le Autorità nazionali e le giurisdizioni nazionali (art. 28(1) reg. 1/03). ....................................... 390

123. C.3) Il divieto di divulgazione delle informazioni all'esterno della Rete. I documenti coperti da segreto d'ufficio (art. 28(2) reg. 1/03). I documenti interni della Commissione e delle Autorità nazionali (art. 27(2) reg. 1/03). ................................. 391

III. - I meccanismi di controllo

124. I meccanismi di controllo dell'applicazione del diritto antitrust europeo da parte

degli organi del sistema amministrativo antitrust. ...................................................... 395 125. A) Il controllo "verticale discendente". Il principio di "stretta collaborazione

nell'applicazione" del diritto antitrust europeo quale principio di "controllo" tra Commissione e Autorità nazionali. Gli obblighi delle Autorità nazionali e della Commissione al momento dell'apertura di procedimenti di applicazione del diritto antitrust europeo (artt. 11(3) e 11(2) reg. 1/03). ............................................................. 397

126. (segue) Il perno del controllo "verticale discendente": l'art. 11(4) reg. 1/03. ............ 401 127. (segue) Il potere di avocazione della Commissione (art. 11(6) reg. 1/03). ............... 403 128. (segue) La richiesta della Commissione alle Autorità nazionali di ulteriori

documenti per la valutazione del caso (art. 11(4) reg. 1/03). La circolazione delle informazioni fornite alla Commissione all'interno della Rete. ................................ 405

129. (segue) L'influenza del controllo "verticale discendente" sul federalismo antitrust

europeo. ............................................................................................................................... 407 130. B) Il controllo "collegiale". La discussione dei casi in corso di trattazione da parte

delle Autorità nazionali (art. 11(4) reg. 1/03). La ratio dell'istituto. ........................ 407 131. (segue) L'influenza del controllo collegiale sul federalismo antitrust europeo. ..... 411 132. C) Il controllo "verticale ascendente". L'aumento del potere di controllo nei

confronti della Commissione da parte degli Stati membri quale conseguenza dell'aumento del potere di controllo della Commissione verso gli Stati membri. 411

133. (segue) La composizione del Comitato consultivo (art. 14 reg. 1/03). Le funzioni minori del Comitato consultivo. ..................................................................................... 414

134. (segue) La consultazione del Comitato. Il parere emesso dal Comitato e la motivazione delle singole posizioni degli Stati membri. Il procedimento di consultazione scritto e orale. ........................................................................................... 416

135. (segue) I poteri di controllo e d'influenza delle Autorità nazionali nei confronti della Commissione (gli artt. 14(5) e 14(6) reg. 1/03). L'obbligo di pubblicazione del parere su richiesta del Comitato. .................................................................................... 419

136. D) Il Comitato consultivo in "seduta allargata" e l'influenza sulla politica di concorrenza europea (art. 14(7) ultima parte reg. 1/03). Il ruolo del Comitato consultivo in "seduta allargata" e le lettere di orientamento. .................................... 421

INDICE

XXII

IV. - I meccanismi di controllo delle Autorità nazionali e delle giurisdizioni nazionali

sull'esercizio dei poteri istruttori della Commissione

137. I meccanismi di controllo delle Autorità nazionali e delle giurisdizioni nazionali

sull'esercizio dei poteri istruttori della Commissione: un controllo sui generis. .... 425 138. (segue) La richiesta di informazioni (art. 18 reg. 1/03). ............................................. 427 139. (segue) Il potere di raccogliere dichiarazioni (art. 19 reg. 1/03). .............................. 429 140. (segue) I poteri della Commissione in materia di accertamenti (art. 20 reg. 1/03). 430 141. (segue) Il controllo delle giurisdizioni nazionali sull'esercizio dei poteri della

Commissione in materia di accertamenti (art. 20(7) reg. 1/03). ................................ 432 142. (segue) I poteri della Commissione di accertamento in "altri locali" (art. 21 reg.

1/03). ..................................................................................................................................... 433 143. (segue) Gli accertamenti effettuati dalle Autorità nazionali su delega della

Commissione (art. 22(2) ultima parte reg. 1/03). ......................................................... 434

Sottosezione IV - Gli effetti del sistema antitrust disciplinato dal reg. 1/03 sui sistemi

nazionali antitrust

144. Gli effetti del sistema disciplinato dal reg. 1/03 sui sistemi antitrust nazionali. Le

modalità di influenza dei singoli sistemi antitrust degli Stati membri sul sistema antitrust europeo. Il problema del finanziamento delle Autorità nazionali. ......... 435

SEZIONE III - La tutela giurisdizionale delle norme antitrust europee

Sottosezione I - La tutela degli artt. 81 e 82 TCE da parte delle giurisdizioni nazionali

I. - La competenza

145. A) La competenza antitrust delle giurisdizioni nazionali: A.i) La "naturale"

competenza delle giurisdizioni nazionali ad applicare il diritto antitrust europeo (art. 6 reg. 1/03). L'art. 6 reg. 1/03 quale conferma della giurisprudenza secondo la quale l'art. 81(3) TCE non è norma avente "effetto diretto". ............................................... 439

146. A.ii) La non fondatezza dei presupposti sulla base dei quali la Commissione ha attribuito alle giurisdizioni nazionali la competenza per applicare l'art. 81(3) TCE. Il limitato decentramento antitrust europeo come conseguenza dell'assenza di incentivi rivolti ai privati affinché adiscano le giurisdizioni nazionali. ................. 441

147. (segue) Il pericolo di una interpretazione ampia da parte dei giudici nazionali dell'art. 81(3) TCE e dell'inserimento di valutazioni non strettamente collegate alla politica antitrust europea. ................................................................................................. 444

148. A.iii) L'illegittimità dell'art. 6 reg. 1/03: A.iii.a) L'illegittimità dell'art. 6 reg. 1/03 per violazione dell'art. 83(2) lett. b TCE. L'interpretazione testuale e storica dell'art. 83(2) lett. b TCE. ............................................................................................................... 446

149. (segue) La competenza del Consiglio ex art. 83(2) lett. b TCE e la giurisprudenza Ahmed Saeed Flugreisen. ................................................................................................... 451

INDICE

XXIII

150. A.iii.b) L'art. 6 reg. 1/03 e la violazione del principio dell'effetto diretto. La distinzione tra "l'applicabilità diretta" delle norme dei regolamenti e "l'applicabilità diretta" (rectius "l'effetto diretto") delle norme europee. La giurisprudenza comunitaria che esclude l'"effetto diretto" dell'art. 81(3) TCE. ............................... 453

151. (segue) La distinzione tra l'art. 81(1) e l'art. 81(3) TCE: la distinzione tra interpretazione e discrezionalità. L'interpretazione storica dell'art. 81(3) TCE. . 457

152. (segue) L'(illegittimo) "effetto diretto" dell'art. 81(3) TCE e la tutela dei singoli. 460 153. (segue) L'art. 81(3) TCE quale norma avente effetto diretto e le negative

conseguenze sui singoli riguardo al risarcimento dei danni per violazione dell'art. 81 TCE. ............................................................................................................................... 462

154. (segue) La modifica della giurisprudenza ex art. 81(3) TCE e il raffronto con la giurisprudenza ex art. 86(2) TCE. ................................................................................. 466

155. (segue) L'eventuale riconoscimento da parte della Corte di giustizia dell'"effetto diretto" dell'art. 81(3) TCE e la conseguente necessaria modifica di cinque distinti filoni giurisprudenziali. Il rapporto tra natura dell'ordinamento CE e modifica da parte della Corte di giustizia della giurisprudenza relativa all'art. 81(3) TCE. ... 468

156. B) L'esercizio della competenza. Gli obblighi per l'applicazione uniforme degli artt. 81 e 82 TCE. ....................................................................................................................... 470

157. (segue) La (presunta) illegittimità costituzionale dell'art. 16(1) reg. 1/03. ............. 473 158. C) I rapporti tra competenza antitrust europea e competenza antitrust statale di cui

sono titolari i giudici nazionali. Gli aspetti relativi alla legge antitrust italiana (art. 1 l. n. 287/90) (rinvio) ........................................................................................................... 475

II. - Le sanzioni

159. Le discipline nazionali relative alle conseguenze di diritto privato e di diritto penale

delle violazioni del diritto antitrust europeo. La disciplina della prescrizioni dei diritti ex artt. 81(1) e 82 TCE ai sensi del reg. 1/03. .................................................... 476

Sottosezione II - I meccanismi di cooperazione e di controllo relativi alle giurisdizioni

nazionali

I. - Introduzione

160. L'art. 3(1) reg. 1/03, l'assenza di "inter-operabilità" tra giurisdizioni nazionali, e tra

giurisdizioni nazionali e Commissione. I procedimenti di cooperazione e di controllo. ............................................................................................................................. 479

II. - I meccanismi di cooperazione

161. I meccanismi di cooperazione delle giurisdizioni nazionali per l'applicazione

uniforme del diritto antitrust europeo: A) Il ruolo di amicus curiae della Commissione (art. 15(1) reg. 1/03). ................................................................................ 482

162. (segue) L'invio di informazioni dalla Commissione alle giurisdizioni nazionali. L'invio di informazioni sui procedimenti. L'invio di informazioni coperte dal segreto d'ufficio e la tutela delle stesse. I casi di rifiuto di invio delle informazioni ai giudici nazionali da parte della Commissione. ........................................................... 485

INDICE

XXIV

163. (segue) I pareri in merito a questioni relative all'applicazione delle regole di concorrenza europee. ........................................................................................................ 489

164. (segue) La mancanza di tutela giurisdizionale dei pareri della Commissione. ..... 492 165. B) La sospensione dei procedimenti dei giudici nazionali per evitare sentenze

contrastanti con le decisioni della Commissione. ........................................................ 493 166. C) Il rinvio pregiudiziale ex art. 234 TCE. .................................................................. 495

III. - I meccanismi di controllo

167. Il ruolo di controllo della Commissione nei confronti delle giurisdizioni nazionali.

Il valore delle osservazioni della Commissione. .......................................................... 495 168. Il ruolo di controllo delle Autorità nazionali nei confronti delle giurisdizioni

nazionali. La differente funzione delle osservazioni delle Autorità nazionali rispetto a quelle della Commissione. ............................................................................. 499

169. L'invio da parte delle giurisdizioni nazionali alla Commissione e alle Autorità nazionali delle informazioni necessarie per la preparazione delle osservazioni. . 502

Sezione IV - Conclusioni

170. Il sistema antitrust europeo disciplinato dal reg. 1/03: luci ed ombre del

regolamento. ....................................................................................................................... 503

Indice delle norme citate .................................................................................................................... 507

INTRODUZIONE

L'obiettivo del presente lavoro è l'individuazione dei principi fondanti del sistema di tutela antitrust europeo mediante l'identificazione dei motivi storici dell'adozione di una disciplina antitrust europea (prima parte); della successiva previsione dei poteri antitrust attribuiti dagli Stati membri alla Comunità (e all'Unione europea, così come previsto dal Trattato costituzionale europeo), della definizione del contenuto dei divieti, del rapporto tra tali poteri e i poteri antitrust degli Stati membri (seconda parte); infine, individuando l'"allocazione" di tali poteri nel sistema di applicazione antitrust europeo (tra organi europei e degli Stati membri), le modalità di esercizio dei divieti antitrust da parte dei differenti organi e la disciplina dei "pesi e contrappesi" tra livello europeo e livello statale (terza parte).

* * * Lo studio è stato realizzato negli ultimi tre anni tra Roma,

Amburgo e la località montana del Terminillo dietro il "paziente" e costante aiuto del prof. Gianluigi Tosato, il quale mi ha seguito, consigliato e stimolato nel lavoro. Al prof. Tosato devo la possibilità di aver potuto trascorrere tanto tempo all'estero dove ho studiato temi che non avrei altrimenti potuto analizzare in Italia con lo stesso approfondimento.

Un sentito ringraziamento va anche al prof. Paolo Picone, il quale, anni fa, mi consigliò di analizzare una "particolare" norma della legge antitrust italiana, l'art. 1 l. n. 287/90. Quella norma si è dimostrata essere la chiara indicazione del lento cambiamento che stava avvenendo in Europa nel sistema di tutela antitrust, cambiamento che ha poi reso necessario, nel 2003, l'emanazione del nuovo regolamento di applicazione del diritto antitrust europeo. Da tale indicazione, e dalla fortuna di aver potuto consultare la biblioteca del Max Planck Institut di Amburgo, si è lentamente sviluppato questo libro.

INTRODUZIONE

XXVI

I miei ringraziamenti vanno anche al prof. Jürgen Basedow, Direttore del Max Planck Institut di Amburgo, per il tempo concessomi durante i periodi di lavoro in Germania e per la possibilità che mi ha dato di frequentare l'Istituto come un libero ricercatore, senza limiti di tempo e di orario. Senza questa sua disponibilità non avrei probabilmente mai terminato questo lavoro.

Il mio ringraziamento va anche al prof. Ernst-Joachim Mestmäcker per i tanti fruttuosi colloqui che ho avuto il piacere di avere con lui ad Amburgo, e per l'aiuto fondamentale che mi ha dato per comprendere le origini storiche ed economiche della Comunità europea.

Ugualmente il mio ringraziamento va alla Dr. Heike Schweitzer, per i molti colloqui e gli scambi di idee con lei avuti ad Amburgo, durante "il pranzo del lunedì", riguardo ai tanti problemi del Diritto europeo e del Diritto dell'economia.

Un sentito ringraziamento va infine al Dr. Stefano Lombardo, per gli insegnamenti datimi riguardo all'analisi economica del diritto e per l'aiuto e il consiglio amichevole per la conclusione del presente lavoro.

* * * Tanti sono i volti di familiari, di parenti e di amici (di cui alcuni

purtroppo non sono più tra di noi) legati a questo lavoro, i quali — non ostante non compaiano nelle citazioni del libro — tanto aiuto e tanto stimolo mi hanno dato nel corso di questi anni.

Il mio pensiero va a mio padre Alessandro, a mia madre Loretta, a mio fratello Massimiliano, a mia sorella Gaia, con il ringraziamento per il loro affetto e la loro presenza; punti di riferimento nei momenti di difficoltà.

Un pensiero particolare va alla mia compianta prozia Maria Antonietta Caracciolo Verzocchi, che tanto aiuto mi dette nel prendere decisioni che, chissà, forse non avrei mai preso; mi fece capire come — a prescindere dal momento storico in cui si vive — non solo è importante, ma è insostituibile il contatto e lo scambio di idee tra persone di differenti generazioni.

Un pensiero affettuoso va alla mia amata cugina Giulia Roma, per i tanti momenti di allegria passati insieme.

INTRODUZIONE

XXVII

Un particolare ringraziamento va a Maria del Rosario Espinosa Calabuig, per il costante affetto, sostegno, allegria e serenità trasmessimi nel corso di tutto il periodo di redazione del presente lavoro.

Un ringraziamento affettuoso va a Padre Mariano Pappalardo, e a tutti i membri della Fraternità monastica della Trasfigurazione del Terminillo, con i quali tanto tempo ho passato e dai quali tanto ho imparato.

* * * L'insegnamento che ho tratto dallo studio del problema in Europa

dei cartelli industriali — e della disciplina della tutela della concorrenza — riguarda la comprensione del fenomeno dell'integrazione europea e, in primo luogo, dell'istituzione della CEE, dei suoi motivi ispiratori, del suo sviluppo.

La Comunità, come primo essenziale stadio dell'integrazione europea, non rappresenta altro che l'idea (rectius la "necessità") di sfruttare il processo storico di "concentrazione del capitale" al fine di creare uno spazio di pace in Europa. Infatti, le imprese nel corso del XIX e XX secolo erano divenute di tali dimensioni che esse o sfuggivano alla regolamentazione dei singoli Stati, o imponevano la contrapposizione delle singole economie europee, l'una contro l'altra. Le stesse imprese potevano costituire, quindi, per la prima volta nella storia, il pilastro di un ordinamento giuridico di dimensione europea fondato sul diritto di iniziativa economica (rectius sulla concorrenza) — a differenza di quanto succedeva nella non lontana Unione sovietica, in una situazione economica assolutamente differente — ; ordinamento comunitario che, se da un lato, riconosceva tale diritto di iniziativa economica, dall'altra, lo regolava.

La pace che l'Europa, la mia generazione, e le due generazioni prima della mia hanno goduto dalla fine della seconda guerra mondiale si fonda in buona sostanza su questo fatto storico.

La comprensione di ciò mi ha fatto pensare a quei giovani europei che — per soli pochi anni — non hanno avuto la fortuna di vivere nel nostro periodo di pace — periodo, però, che certamente non rappresenta "il migliore dei mondi possibili" —. Questo mi ha fatto pensare ai tanti giovani che — per soli pochi anni — al posto di poter

INTRODUZIONE

XXVIII

godere di questo tempo di pace, si trovarono a combattere sui territori europei in tempo di guerra.

Mi sono venuti allora in mente alcuni fatti di cui avevo letto. Dei francesi, inglesi e tedeschi i quali nel 1915 nella battaglia di Loos furono uccisi — per un colpo di vento, e cioè per un Caso — dalla medesima nube di gas nervino. O degli austriaci e italiani "caduti" tra il 1915 e il 1917 nella "guerra di mine" delle Dolomiti; uniti — per Caso — nei meandri degli stessi monti, ma divisi dalle "lame di pietra" nelle mine da loro costruite e che essi dovevano fare esplodere per uccidere "il nemico": battaglie di cui il profilo del monte Lagazuoi porterà per sempre i segni.

A questi giovani, che il Caso ha voluto che non vivessero in un momento storico di pace in Europa — per soli pochi anni — e che non sono tornati mai nello loro case, è dedicato questo studio. Perché il pensiero di questi "sfortunati della storia" possa permettere a noi, europei, di vivere nella coscienza della nostra "storica fortuna" e di sfruttare a pieno il nostro tempo e le infinite possibilità che esso ci fornisce.

Roma, 1 gennaio 2005

L.F.P.

CAPITOLO I

IL PROCESSO DI CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA NEL XIX SECOLO, I SUCCESSIVI TENTATIVI DI

UNIFICAZIONE EUROPEA FONDATI SUI CARTELLI INDUSTRIALI E LA NASCITA DEL DIRITTO STATALE DEI

CARTELLI

SEZIONE I

LO SVILUPPO INDUSTRIALE MONDIALE, LA CARTELLIZZAZIONE

DELL'ECONOMIA EUROPEA E IL CASO DEL CARTELLO MONDIALE

DELL'ACCIAIO (1870 - 1926)

SOMMARIO: 1. La sentenza del 4 febbraio 1897 del Reichsgericht tedesco, il diritto antitrust CE e l'inserimento della normativa antitrust in una Costituzione. — 2. La crescita industriale e "l'imperialismo gareggiante". Lo sviluppo economico della fine del XIX secolo e la nascita dei cartelli. — 3. Lo sviluppo industriale e il problema dei cartelli negli Stati Uniti d'America. La nascita delle leggi antitrust a livello degli Stati membri e la successiva emanazione dello Sherman Act a livello federale. — 4. La crescita industriale europea nella seconda parte del XIX secolo e la cartellizzazione dell'economia in Germania e in Italia. I motivi politici della mancata previsione di un divieto dei cartelli in Europa. — 5. La fine della prima guerra mondiale e le successive crisi economiche. Lo sviluppo del commercio internazionale e l'assenza di istituzioni internazionali di controllo. I motivi della cartellizzazione della metà degli anni '20. L'elenco dei cartelli industriali attivi nel 1931. — 6. La costituzione del cartello mondiale dell'acciaio (cd. Comunità dell'acciaio - 1926), la successiva costituzione della Comunità internazionale dell'esportazione dell'acciaio (1933) e lo scioglimento del cartello (1939).

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

4

1. La sentenza del 4 febbraio 1897 del Reichsgericht tedesco, il diritto

antitrust CE e l'inserimento della normativa antitrust in una

Costituzione.

"Nel marzo del 1893 numerose imprese che producevano cellulosa

nel regno di Sassonia costituirono, al fine di «evitare in futuro una concorrenza dannosa tra i fabbricanti e per determinare un prezzo equo per il loro prodotto», «l'Associazione dei produttori di cellulosa della Sassonia». Per il raggiungimento di tale obiettivo i partecipanti si obbligarono [senza facoltà di recesso dall'accordo] a vendere tale prodotto, a pena dell'irrogazione di una sanzione pecuniaria, esclusivamente tramite un'agenzia comune di vendita. L'associazione fu costituita fino al 31 ottobre 1895" 1.

Nel 1896 l'associazione convenne in giudizio davanti al Tribunale di Dresda un membro dell'associazione per il pagamento della sanzione pecuniaria in quanto, "in contrasto con lo Statuto, egli avrebbe, negli anni 1894 e 1895, più volte aggirato l'agenzia di vendita in comune vendendo il proprio prodotto direttamente a produttori di carta" 2.

Il caso arrivò, dopo la Corte di appello di Dresda, sino alla Corte superiore civile dell'Impero tedesco (Reichsgericht in Zivilsachen).

Alla domanda attorea il convenuto a sua difesa opponeva che le limitazioni contenute nel contratto di cartello erano illegittime per la violazione del principio della libertà professionale (Prinzip der

Gewerbefreiheit), previsto nell'Ordinanza sulle professioni (Gewerbeordnung) emanato dal Regno prussiano nel 1869. Tale Ordinanza, ad avviso del convenuto, riconoscendo la libertà di

1 Dall'originale sentenza: "Im März 1893 begründete eine größere Unzahl Firmen, die

im Koenigreiche Sachsen Holzstoff fabrizieren, den «Sächsischen Holzstoff-Fabrikanten-Verband» zu dem Zwecke, «in Zukunft einen verderblichen Wettbewerb der Fabrikanten untereinander zu verhindern und für ihr Fabrikat einen angemessenen Preis zu erzielen». Zur Erreichung dieses Zweckes verpflichteten sich die Mitglieder, bei Vermeidung einer Betragstrafe ihr Fabrikat ausschließlich durch eine gemeinsame Verkaufstelle zu verkaufen. Der Verband wurde zu die Zeit bis zum 31. Oktober 1895 geschlossen", Reichsgericht in Zivilsachen, Zivilsenat, Urteil 4. Februar 1897, vol. 38, p. 155.

2 Dall'originale sentenza: "Unter der Behauptung, dass der Beklagte Mitglied des Verbandes geworden sei, aber dem Statut zuwider in den Jahren 1894 und 1895 mehrfach unter Umgehung der gemeinsamen Verkaufsstelle seine Fabrikate direkt an Papierfabriken verkauft habe, klagte der Verband auf Bezahlung der Betragstrafe", Reichsgericht in Zivilsachen, Urteil 4. Februar 1897, cit., p. 155.

LA CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA EUROPEA

5

esercitare arti e mestieri, determinava l'illiceità dell'accordo di cartello in quanto esso limitava tale diritto.

La causa fu vinta dall'Associazione e il convenuto dovette pagare quella che oggi sarebbe definita una sanzione "disciplinante" un cartello tra imprese. Infatti, il Reichsgericht riconobbe con sentenza del 4 febbraio 1897 la liceità del contratto di cartello tra le imprese. Ad avviso del Reichsgericht, la Gewerbeordnung non escludeva la facoltà del singolo di rinunciare ad un proprio diritto partecipando ad un contratto di cartello. La normativa del 1869 non prevedeva, infatti, un divieto di accordo tra imprese in concorrenza tra di loro 3.

La sentenza emanata il 4 febbraio 1897 "è stata determinante per i quattro decenni successivi per il riconoscimento della liceità dei contratti di cartello in Germania" 4. Essa è stata considerata — da parte della dottrina giuridica tedesca 5 — come l'inizio del processo di "cartellizzazione" dell'economia tedesca che culminerà con l'emanazione nel 1933 della Zwangkartellgesetz. Questa legge — finalizzata al potenziamento della industria tedesca per il raggiungimento degli obiettivi bellici della Germania nazionalsocialista 6 — obbligava la creazione di cartelli tra imprese a discrezione del Ministero dell'economia .

Quanto deciso in Germania nel 1897 — con una sentenza diametralmente opposta alla decisione dello stesso anno dalla Corte suprema degli Stati Uniti United States v. Trans-Missuri Freight

Assotiation 7 — è paradigmatico di quello che successe in Europa dalla

3 CARL V. KATZLER, Die Entscheidung des Reichsgerchts vom 4. 2. 1897 über die rechtliche

Zulässigkeit von Kartellen und Syndikaten, in LUDWIG KASTL, AND MAX METZNER, Kartelle

in der Wirklichkeit Festschrift für Max Metzner zu seinem fünfundsiebzigsten Geburstag, Köln, Heymann, 1963, 143, 145.

4 Così CARL V. KATZLER, Die Entscheidung des Reichsgerchts vom 4. 2. 1897, cit. a nota 3, 143.

5 FRANZ BÖHM, Das Reichsgericht und die Kartelle, ORDO, 1948, p. 197. 6 In questo senso v. JOSEF J. LADOR-LEDERER, Capitalismo mondiale e cartelli tedeschi

tra le due guerre, Firenze, Giulio Einaudi editore, 1959, 3 ss.. 7 Infatti, nello stesso anno, nel 1897, la Corte Suprema degli Stati Uniti d'America

decideva il caso United States v. Trans-Missouri Freight Association. In essa la Corte, applicando lo Sherman Act emanato nel 1890, concludeva — con una motivazione diametralmente opposta a quella del Reichsgericht — secondo cui un accordo tra società concorrenti era illecito a prescindere, in primo luogo, dalla ragionevolezza dei prezzi definiti e, in secondo luogo, a prescindere dalla presenza dalla supposta concorrenza rovinosa nel settore

industriale di riferimento; JOSEPH P. BAUER - WILLIAM H. PAGE, Practices prohibited by the

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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fine del XIX secolo alla metà del XX secolo; cioè quel processo storico di cartellizzazione dell'economia europea che ha determinato il processo di unione dello spazio europeo per come conosciuto nel XX secolo (sul punto v. infra § 3). Tale processo ha reso necessario non solo la definizione di norme antitrust nel Trattato sulla Comunità economica europea nel 1957, ma ha anche imposto "il peculiare" fatto dell'inserimento di una compiuta normativa antitrust 8 direttamente nel testo di una Costituzione (rectius nel Trattato costituzionale europeo, artt. 161 - 162 Cost. eu.) 9.

In considerazione di ciò, prima di affrontare l'oggetto del presente studio — cioè il diritto antitrust disciplinato dal Trattato CE e dal Trattato costituzionale europeo — è necessario definire il fenomeno oggetto della disciplina antitrust europea, cioè la nascita e lo sviluppo, dalla fine del XIX secolo, dei cartelli tra imprese.

2. La crescita industriale e "l'imperialismo gareggiante". Lo sviluppo

economico della fine del XIX secolo e la nascita dei cartelli.

Al fine dello studio e della comprensione del diritto antitrust

europeo non è necessario individuare la prima normativa che, nella storia dell'uomo, abbia vietato accordi tra "imprese" nella ripartizione delle quote di produzione, abbia vietato la fissazione tra concorrenti dei prezzi di beni o abbia vietato la creazione di monopoli; tale ricerca

Sherman Act, in Federal Antitrust Law - A Treatise on the Antitrust Laws of the United States. Cincinnati, Anderson Pub. Co; 1980, 2002, vol. 2, 94. Lo Sherman Act, al contrario della prussiana Gewerbeordnung del 1869, prevedeva espressamente il divieto di accordi tra imprese in restrizione del commercio (sez. I) e il divieto di monopolizzazione (sez. II). Essa costituiva quindi — al pari delle normative degli Stati membri statunitensi emanate già negli anni 1887/1888 — una normativa antitrust; sulla differenza tra normativa antitrust e normativa di regolamentazione della concorrenza, v. infra § 122.

8 Art. 161 Cost. eu. ss.. 9 Senza voler entrare nella discussione sulla natura del Trattato che istituisce una

Costituzione per l'Europa, si vuole qui sottolineare che, da un punto di vista comparativo, nessuna delle principali Costituzioni occidentali disciplina direttamente nel testo i divieti antitrust. La normativa antitrust è emanata, ad esempio, in applicazione della competenza relativa alla disciplina sul commercio interstatale negli Stati Uniti d'America (Commerce

clause, art. I, sez. 8 U.S. Constitution) o è emanata al fine di tutelare il diritto di iniziativa economica privata nella Repubblica italiana (art. 41 Cost. it.).

LA CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA EUROPEA

7

porterebbe probabilmente fino alle discipline dell'antico Egitto 10. Per comprendere i motivi della nascita del diritto antitrust europeo (così come per comprendere il processo di unificazione dello spazio economico europeo nel XX secolo) è sufficiente rivolgere l'attenzione al fenomeno dell'industrializzazione del XIX secolo nel mondo occidentale.

Dal 1815 al 1850 e dal 1870 al 1915 lo spazio europeo godette, infatti, di due periodi di pace che furono caratterizzati da una imponente crescita economica, da numerose e fondamentali invenzioni scientifiche 11 e dallo sviluppo della concorrenza internazionale tra imprese; cioè la concorrenza non si limitava solo all'interno delle singole nazioni ma anche tra imprese aventi sede in differenti Stati. Tale periodo fu battezzato dell'"imperialismo gareggiante" 12, in considerazione della "concorrenza" tra le principali nazioni industrializzate (in particolare Francia, Gran Bretagna, Germania e Stati Uniti d'America), in opposizione al periodo della prima industrializzazione della fine del XVIII secolo, contraddistinto dall'egemonia economica inglese.

10 Cfr. le norme sul controllo del monopolio della lana e dell'"industria"

dell'abbigliamento nell'antico Egitto richiamate in NINO HERLITZKA, Bemerkungen zur

historischen Entwicklung von Kartellen, in LUDWIG KASTL, AND MAX METZNER, Kartelle in

der Wirklichkeit Festschrift für Max Metzner zu seinem fünfundsiebzigsten Geburstag, Köln, Heymann, 1963, p. 117, 121.

11 V. CORRADO BARBAGALLO, Le grandi cause del progresso dell'industria Europea ed

Americana dal 1815 al 1850, in Economia politica contemporanea - saggi di economia e finanza

in onore del prof. Camillo Supino, vol. II, Padova, CEDAM, 1930, p. 283. Ad es., vi sono importanti progressi scientifici nei seguenti settori: elettricità; meccanica (tra cui l'invenzione del motore a scoppio); industria automobilistica e aeronautica; produzione di energia tramite il carbone ma anche inizio dell'utilizzo del petrolio; industria metallurgica; industria chimica; v. MICHEL BEAUD, Storia del capitalismo - Dal Rinascimento alla New

Economy, V ed., Milano, Mondadori, 2000 (titolo originale: Histoire du capitalisme, 2000), 177 ss.; v. anche RONDO CAMERON - LARRY NEAL, Storia economica del mondo - Dalla

preistoria ad oggi, Bologna, Il Mulino, 2003 (Edizione originale: A Concise Economy History of

the World from Palaeolithic Times to the Present, Oxford, Oxford University Press, IV ed., 2003).

12 Questo periodo si caratterizza per la "frizione fra gli espansionismi nazionali, inasprimento della competizione economica e finanziaria, rivalità nazionali alleanze e rovesciamento di alleanze. Sullo sfondo caratterizzato dal nazionalismo, dallo sciovinismo e dal razzismo, da parate militari ed esposizioni universali. Le spese per gli armamenti crescono un po' ovunque, fornendo alle industrie nazionali sbocchi più ampi e agli eserciti i mezzi per nuove conquiste", MICHEL BEAUD, Storia del capitalismo, cit. a nota 11, 185.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

8

La conseguenza della concorrenza internazionale fu la comparsa di fenomeni di protezionismo delle economie nazionali 13. Nonostante le pratiche protezionistiche, la crescita delle esportazioni fu particolarmente sostenuta. Le esportazioni tra le principali nazioni industrializzate negli anni '70 e '80 del XIX secolo si moltiplicarono con una crescita del 400% (500% negli Stati Uniti, 220% in Gran Bretagna, 180% in Francia) 14.

Alla fine del XIX secolo — nel contesto dello sviluppo su scala internazionale dei capitalismi nazionali — si assistette ad una seconda "ondata" di colonizzazione da parte degli Stati industrializzati al fine, tra l'altro, di costituire nuovi sbocchi per i relativi prodotti nazionali 15. Dal punto di vista delle imprese, tale periodo — che si concluse con l'inizio della prima guerra mondiale — si caratterizzava anche per una continua crescita della dimensione media delle imprese, così come per un costante processo di concentrazione tra le imprese stesse 16.

Come ricordato, lo sviluppo economico — e quindi il passaggio da un tessuto economico prettamente agricolo e limitato al piccolo commercio ad una economia industriale — determinava anche l'aumento della concorrenza tra imprese. L'aumento generalizzato della concorrenza nei diversi settori industriali — conseguenza anche dell'estensione territoriale sulla quale i singoli imprenditori potevano svolgere la propria attività economica — determinava la creazione di accordi tra concorrenti ("accordi di cartello") al fine di eliminare quella che era percepita come "concorrenza distruttiva". Gli accordi di cartello consistevano in intese tra concorrenti finalizzate a determinare principalmente — ma non esclusivamente — i prezzi dei beni e la ripartizione delle quote di produzione 17.

13 A tale fenomeno era estranea la Gran Bretagna la quale, al contrario, cercava di

sfruttare la propria posizione di forza commerciale per "invadere" altri territori come "sbocchi" per i propri prodotti; così CORRADO BARBAGALLO, Le grandi cause del progresso dell'industria Europea, cit. a nota 11, 250.

14 MICHEL BEAUD, Storia del capitalismo, cit. a nota 11, 157 ss.. 15 MICHEL BEAUD, Storia del capitalismo, cit. a nota 11, 180. 16 MICHEL BEAUD, Storia del capitalismo, cit. a nota 11, 178 ss.. 17 LYDIA DE NOVELLIS, L'unificazione economica dell'Europa, Milano, Treves, 1931,

138.

LA CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA EUROPEA

9

In tale periodo nascerono non solo cartelli industriali all'interno dei singoli Stati nazionali, ma anche cartelli a livello internazionale — cioè accordi tra imprese aventi sede in differenti Stati — 18.

3. Lo sviluppo industriale e il problema dei cartelli negli Stati Uniti

d'America. La nascita delle leggi antitrust a livello degli Stati membri e

la successiva emanazione dello Sherman Act a livello federale.

Il problema dei cartelli industriali nasce intorno agli anni 1860/70,

tanto in Europa quanto negli Stati Uniti d'America. Nel XIX secolo gli Stati Uniti d'America costituivano uno Stato

indipendente che aveva esteso la superficie del proprio territorio, inizialmente limitata all'ambito della costa atlantica, fino alla costa pacifica. Intorno al 1870, nel momento della maggiore industrializzazione ed alla fine della guerra civile tra il "nord" industrializzato e il "sud" agricolo, gli Stati Uniti presentavano — volendo utilizzare un concetto tipico del diritto CE — un "mercato comune" costituito da un amplissimo territorio senza frontiere o dogane in cui l'industrializzazione — e conseguentemente il commercio — poteva svilupparsi liberamente 19. I commerci e la crescita economica furono favoriti dallo sviluppo delle ferrovie (4.300 chilometri nel 1878, 18.600 nel 1882 20) e da altri mezzi di trasporto che lentamente unirono punti del territorio statale inizialmente non in comunicazione tra loro 21.

18 Il presente studio prende in considerazione esclusivamente gli aspetti collegati alla

disciplina dei cartelli industriali e la relativa evoluzione. Per un excursus riguardo alla disciplina del lavoro-dipendente, v. tra i tanti MICHEL BEAUD, Storia del capitalismo, cit. a nota 11.

19 Come ricordato da Dagnino: "La posizione degli Stati Uniti di fronte ai cartelli internazionali, si può senz'altro definire come ostile. Grandi quasi quanto l'intera Europa, senza barriere interne, ricchi di tutto ciò che può esser necessario, pieni d'oro e di crediti, di benessere e di sicurezza, essi non desiderano affatto di mescolare i loro interessi con quelli degli Stati Europei. Alla fine del marzo 1927, Hoover dichiarava ad una Commissione di industriali tessili tedeschi: «The establishment of international prize — fixing machinery would never be considered by the people of the United States. The United States is more pledged to-day to open competition than any other nation in the world. It has become a social as well as an economic principle with us»", VIRGILIO DAGNINO, I cartelli industriali -

nazionali e internazionali, Torino, Fratelli Bocca editori, 1928, 131. 20 V. MICHEL BEAUD, Storia del capitalismo, cit. a nota 11, 158. 21 CORRADO BARBAGALLO, Le origini della grande industria contemporanea, Venezia, La

nuova Italia, 1929, 40.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

10

Nella seconda metà del secolo XIX è documentata negli Stati Uniti d'America la costituzione di cartelli industriali nei settori delle ferrovie, della polvere da sparo, del tabacco, del petrolio 22, dell'acciaio, del carbone, del gas, dello zucchero; in tale contesto "la potenza finanziaria portò tali organismi a spiegare (...) notevole influsso politico" 23.

Le conseguenze dei cartelli negli Stati Uniti — ad es., l'aumento dei prezzi dei beni —, ebbe quale effetto le dure proteste della popolazione e degli imprenditori colpiti dagli effetti di tali accordi. Anche in conseguenza di ciò alcuni Stati membri — enti maggiormente "reattivi" nel percepire l'"umore" dei cittadini — emanarono già nel 1887 discipline antitrust 24, cioè normative che vietavano accordi in

22 MICHEL BEAUD, Storia del capitalismo, cit. a nota 11, 176. 23 Lo stimolo iniziale alla creazione di cartelli negli Stati Uniti è stato ricondotto alla

"grave depressione industriale abbattutasi come un tremendo ciclone sull'economia mondiale intorno al 1872, la quale ebbe più profonde e disastrose ripercussioni negli Stati Uniti". In particolare "le fluttuazioni economiche si manifestarono in America rispetto all'Europa. Taluno ha opportunamente accennato alla circostanza che in America fino alla riforma del sistema bancario del 1914 mancò ogni controllo del credito". Aspetto che mancherà anche in Europa nel periodo della grande depressione e dell'economia autarchica", FRANCESCO VITO, I sindacati industriali - cartelli e gruppi, 2a ed., Milano, Giuffrè, 1932, p. 3 ss, 3, nota 9 ss..

24 V., per tutti, HERBERT HOVENKAMP, Federal antitrust policy: the law of competition

and its practice, St. Paul, Minn, West Pub. Co, 1994, 670; v. anche LORENZO FEDERICO

PACE, I rapporti tra i sistemi di tutela, infra in questa nota. La previsione di una normativa antitrust non impedì, però, che durante il periodo della

cd. Grande Depressione la stessa normativa antitrust federale statunitense fosse sentita come un limite alla crescita economica e da più parti se ne chiedesse l'abrogazione; v. FRANK

ALBERT FETTER, The masquerade of monopoly, New York, Harcourt, Brace and Company, 1931.

In questo senso la disciplina dei cartelli industriali negli Stati Uniti si sviluppa secondo una dinamica opposta a quanto accaduto in Europa. Negli Stati uniti le leggi antitrust nascono in primo luogo a livello degli Stati membri per poi essere emanate, successivamente, a livello federale. All'opposto, fino alla previsione della normativa antitrust del Trattato di Roma, in Europa non esistevano normative antitrust statali (tranne la "parziale" normativa della Francia del 1953 — derivante dalla normativa del 1810 — la quale vietava accordi tra imprese, anche se con la previsione di una deroga generale, e non il divieto di comportamenti unilaterali in pregiudizio di imprese terze); v. anche LORENZO

FEDERICO PACE, I rapporti tra i sistemi di tutela della concorrenza federali/comunitari e i

sistemi antitrust degli Stati membri nella Comunità europea e negli Stati uniti d'America, Tesi di dottorato, Università "La Sapienza" - Roma - Facoltà di Scienze politiche, Istituto di Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate, 2000.

I motivi della "dinamica" europea inversa a quella statunitense riguardo all'emanazione della normativa antitrust è da ricondursi ai motivi infra chiariti; cioè il tentativo in Europa del controllo da parte dei vari Stati dell'economia europea, l'uno verso l'altro; il cui tentativo definitivo fu posto in essere con la seconda guerra mondiale da parte

LA CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA EUROPEA

11

limitazione del commercio all'interno del territorio dei singoli Stati membri o vietavano comportamenti finalizzati a "monopolizzare" il commercio negli Stati stessi. Solo successivamente il Congresso federale emanò nel 1890, seguendo lo schema delle normative emanate dagli Stati membri, una legge di divieto dei cartelli e dei comportamenti diretti a costituire monopoli, cioè lo Sherman Act. Tale normativa non doveva sostituire le discipline antitrust statali, ma doveva tutelare il commercio interstatale dai medesimi comportamenti.

4. La crescita industriale europea nella seconda parte del XIX secolo e la

cartellizzazione dell'economia in Germania e in Italia. I motivi politici

della mancata previsione di un divieto dei cartelli in Germania e in

Europa.

In Europa, a differenza degli Stati Uniti, nel momento in cui inizia

il periodo di maggiore industrializzazione — intorno al 1870 — non esisteva un "mercato comune" europeo. Il territorio europeo era infatti ripartito tra vari Stati nazionali tra loro sovrani sul quale "insistevano" — sostanzialmente confinanti — tre delle quattro maggiori potenze economiche mondiali (Francia, Germania e Gran Bretagna). In quanto sovrani, gli Stati potevano modificare i flussi commerciali in modo discrezionale (tramite leve fiscali, doganali, etc.).

Questi paesi avevano tutti l'interesse — secondo una medesima visione "imperialistica" — ad una crescita economica avente come obiettivo il controllo di nuovi sbocchi per il commercio delle "proprie imprese" anche (e soprattutto) a discapito delle imprese degli altri Stati 25.

È nel quadro di questa situazione che sorge in Europa il fenomeno dei cartelli industriali.

della Germania nazista; in questo senso v. JOSEF J. LADOR-LEDERER, Capitalismo mondiale e

cartelli tedeschi tra le due guerre, Firenze, Giulio Einaudi editore, 1959, 4. Negli Stati Uniti, invece, esisteva già un "mercato comune" il quale doveva "essere

messo" nelle condizioni di potersi sviluppare. Obbiettivo generale era quindi quello di vietare (prima a livello degli Stati membri, poi a livello federale) quei comportamenti delle imprese che escludessero il diritto ad altre imprese di svolgere la propria attività in detrimento ai consumatori.

25 MICHEL BEAUD, Storia del capitalismo, cit. a nota 11, 179.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

12

In Germania, in considerazione della maggiore rapidità di sviluppo economico e di industrializzazione rispetto agli altri Stati 26, "date le particolari condizioni ambientali, il fenomeno [della cartellizzazione ebbe uno] sviluppo immediato e grandissimo. L'incoraggiamento più o meno palese dello Stato, la disposizione alla burocrazia propria del popolo tedesco, la mancanza di vecchie tradizioni familiari presso molti industriali, le tariffe protettive (…), e tutto un altro complesso di cose favori[ro]no il movimento di concentrazione. La riforma doganale del [1879 diede] il primo impulso, ed in seguito, non solo in corrispondenza delle crisi di assestamento ma anche negli anni di espansione, la tendenza alla cartellizzazione si [fece] sempre più manifesta" 27.

La creazione di cartelli industriali nell'Impero germanico è già costante all'inizio degli anni '70 del XIX secolo, anche se la costituzione di cartelli è documentata sin dagli anni '20 (ad es. il cartello della produzione del filo di ferro del 1822 28). Sebbene le cifre del numero di cartelli in Germania non siano precise, si calcola che all'interno dell'Impero tedesco erano presenti tra il 1889 e il 1899 circa 345 cartelli 29. Nonostante questo, la Germania non emanò alcuna normativa né di controllo dei cartelli (la prima normativa in questo senso è quella del 1923), né normative antitrust (la prima normativa è emanata nel 1957).

La differente disciplina dei cartelli in Germania — soprattutto rispetto al diritto antitrust statunitense — era allora giustificata da vari motivi di carattere teorico. In primo luogo, i cartelli erano giustificati sulla base della "teorie dei livelli" (Stufentheorien). Ad avviso di queste teorie i cartelli sarebbero stati delle forme di sviluppo non arbitrarie ma storicamente necessarie per il raggiungimento di un superiore livello dell'economia 30. In secondo luogo, i cartelli erano giustificati in quanto essi erano "una naturale e positiva reazione contro la desertificazione

26 MICHEL BEAUD, Storia del capitalismo, cit. a nota 11, 159. 27 VIRGILIO DAGNINO, I cartelli industriali, cit. a nota 14, 69. 28 V. in LUDWIG KASTL, AND MAX METZNER, Kartelle in der Wirklichkeit Festschrift für

Max Metzner zu seinem fünfundsiebzigsten Geburstag, Köln, Heymann, 1963, 461 29 FRANCESCO VITO, I sindacati industriali, cit. a nota 23, 5, nota 20 ss.. 30 KNUT WOLFGANG NÖRR, Die Leiden des Privatrechts - Kartelle in Deutschland von

der Holzstoffkartellentscheidung zum Gesetz gegen Wettbewerbsbeschränkungen, J.C.B. Mohr, Tübingen, 1994, 27.

LA CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA EUROPEA

13

dell'iper-individualismo economico, e almeno nei livelli bassi e medi [determinavano] qualche cosa di sano e positivo socialmente" 31.

Al di là di tali impostazioni teoriche, l'impero tedesco non emanò normative di divieto di cartelli in conseguenza del principio sintetizzato nel concetto di "imperi gareggianti" 32. Infatti, lo Stato tedesco "aveva bisogno di una potente economia, la quale non poteva fare a meno di avere dalla sua parte dei cartelli. I cartelli erano aspetti di un nuovo mercantilismo. Senza di essi lo Stato non era nella possibilità di espandere la propria sfera di potere economico. I cartelli svolgevano nella competizione tra Nazioni nel mercato mondiale il ruolo di organizzazioni industriali di lotta contro la concorrenza straniera e particolarmente contro i Trust transatlantici: sarebbe stata impensabile la repressione dei cartelli che si limitavano al territorio tedesco (…). I cartelli erano un fattore della politica internazionale ed essi sbocciarono dalle medesime radici del protezionismo, della politica coloniale, della politica della marina e delle altre propaggini del moderno imperialismo. Nel giudizio sui cartelli il diritto doveva confrontarsi con la Realpolitik" 33.

Una simile situazione impediva che fossero prese in considerazione le conseguenze negative che i cartelli producevano sulla popolazione. L'utilità dei cartelli industriali veniva "in considerazione, in primo luogo, per lo Stato, per l'economia e i grossi gruppi di interesse; solo in secondo luogo [la situazione derivante dai cartelli] veniva in considerazione per la sfera giuridica di tutti quelli che fecero dolorose esperienze con essi. Nel dibattito sugli accordi industriali non si voleva sentire parlare di principi giuridici" 34. La situazione non cambiò neanche nel 1902 quando in Germania vi furono — così come negli Stati Uniti nella metà degli anni '80 del XIX secolo — proteste dei consumatori per gli effetti della cartellizzazione. In Germania, in conseguenza delle proteste, fu "ordinata la prima inchiesta sui cartelli la cui esecuzione durò fino al 1906"; da essa non conseguì né una

31 KNUT WOLFGANG NÖRR, Die Leiden des Privatrechts, cit. a nota 30, 29 32 La definizione è di John A. Hobson, citata in MICHEL BEAUD, Storia del capitalismo,

cit. a nota 11, 187. 33 KNUT WOLFGANG NÖRR, Die Leiden des Privatrechts, cit. a nota 30, 29 34 KNUT WOLFGANG NÖRR, Die Leiden des Privatrechts, cit. a nota 30, 30.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

14

normativa antitrust né una disciplina di controllo dei cartelli industriali, come avvenne invece nel 1923 35.

Tali motivi, sebbene caratteristici per la Germania, permettono di comprendere — tenendo presente il problema del rapporto tra cartelli industriali, Stato nazionale e tutela dell'economia nazionale — il perché dell'assenza in Europa in questo periodo a livello statale di normative antitrust. Non è un caso che la prima normativa di tutela della concorrenza in Europa (il diritto antitrust disciplinato dal Trattato di Roma del 1957) sia appunto "europea"; cioè una medesima disciplina per l'intero territorio dei sei Stati membri CEE, e che la prima normativa antitrust statale, quella della Repubblica federale di Germania, entri in vigore "solo" lo stesso giorno della disciplina CEE (1 gennaio 1958).

Tornando al fenomeno della cartellizzazione dell'economia europea, anche in altri Stati europei prima del 1915 iniziarono ad essere costituiti cartelli industriali; tale processo ebbe però "uno sviluppo più o meno intenso a seconda delle varie condizioni ambientali. In Francia pre[sero] piede i Comptoirs de vente; l'Austria-Ungheria ed il Belgio [ebbero], dopo la Germania, il più gran numero di cartelli. Cartelli e organizzazioni analoghe di produzione e di vendita esistevano in Inghilterra[36], in Francia, in Italia, in Ispagna e in tutte le altre

35 FRANCESCO VITO, I sindacati industriali, cit. a nota 23, 199, nota 35. 36 Anche in Inghilterra la costituzione dei cartelli industriali fu rilevante. La presenza

di cartelli è provata dalla relazione di un'inchiesta governativa "condotta nel 1919 e culminata nel Report of Committee on Trusts [che constatava] che «il numero delle associazioni e dei consorzi commerciali aumenta rapidamente, e che essi godranno presto d'un diritto di controllo generale su tutte le branche importanti dell'industria inglese»; si tratta, in tutto, di circa cinquecento tra cartelli ed accordi similari, esercitanti grande influenza sull'andamento dei prezzi e particolarmente numerosi nelle industrie protette, o comunque sottratte alla concorrenza estera, e nelle industrie di recente creazione (seta artificiale, colori, ecc.). (…) Resta pur sempre vero che il grado di concentrazione dell'industria inglese è inferiore a quello dell'industria tedesca, ma la differenza effettiva non corrisponde, allo stato attuale delle cose, a ciò che la pubblica opinione in generale ritiene. Poiché, se a causa delle disposizioni legislative, contrarie ad ogni tentativo di portare limitazione alla libertà di commercio, le intese tra produttori sono in Inghilterra sovente mascherate sotto forme diverse ed il fenomeno appare poco evidente, non è esso per questo men reale. In Italia poi, quando si parla di economia inglese la mente corre subito all'industria del carbone e si giudica normalmente in base ad essa; ora, se è pur vero che in questo campo regna molto disordine e molto frazionamento, sarebbe tuttavia erroneo generalizzare la cosa ed estendere senza riserve la constatazione ad altri rami d'industria, in cui il movimento di concentrazione sta invece sempre più imponendosi", VIRGILIO

DAGNINO, I cartelli industriali, cit. a nota 14, 75.

LA CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA EUROPEA

15

Nazioni". Sono costituiti accordi "in Ispagna per il ferro, lo zucchero, il rame, in Romania per il petrolio; nei Paesi Scandinavi per il legno, la cellulosa, l'alcool; in Isvizzera per la seta, il cemento, gli orologi; in Giappone per la seta, lo zucchero, il thé, il cotone; in Russia per il carbone, lo zucchero, il rame, la cellulosa, ecc." 37.

Comunque "in linea di massima (…) tutti questi accordi sono ben lontani dall'importanza e dalla solidità dei cartelli tedeschi e dei trusts

americani". In Italia il processo di cartellizzazione economica inizia nel XX

secolo. Nel 1903 è emessa la prima sentenza che riconosce la liceità dei cartelli 38; nel 1907 è documentata la costituzione di intese industriali in vari settori: in particolare esistono in Italia — senza voler distinguere tra cartelli imposti per legge (consorzi obbligatori) e cartelli volontari — fenomeni di cartellizzazione nel settore del ferro, della seta, dello zucchero, dello zolfo, del vetro, dell'alcool, dei fiammiferi, dei trasporti marittimi, dei perifosfati. Tali cartelli nascevano con una finalità prevalentemente difensiva rispetto alla concorrenza internazionale anche in considerazione dello sviluppo ritardato dell'industrializzazione italiana 39. La maturità dell'industria in Italia fu

37 VIRGILIO DAGNINO, I cartelli industriali, cit. a nota 14, 73. 38 FRANCESCO VITO, I sindacati industriali, cit. a nota 23, 6, nota 28 ss.. 39 In conseguenza di ciò, la presenza e disciplina dei cartelli in Italia non era avversata

dalla dottrina, come d'altra parte non veniva generalmente avverstata in Europa, salvo rari casi (cfr. FRANZ BÖHM, Wettbewerb und Monopolkampf, Berlin, Heymann, 1933. Come riporta il Kronstein — in HEINRICH KRONSTEIN, Recht und Wirtschaftliche Macht, 1946, Verlag C.F. Müller, Karlsruhe, 1962 — Böhm fu sospeso dallo stipendio di professore dal regime nazionalsocialista in conseguenza delle sue idee liberali). Lo stesso Ascarelli nel suo primo scritto in materia di carelli richiamava la normativa antitrust americana con una certa ironia. Egli scriveva nel 1933 che: "Ma si può serenamente affermare che, non ostante queste disposizioni (...) i cartelli e i consorzi si sono moltiplicati ed anzi a questo proposito significativo lo sviluppo della interpretazione giurisprudenziale dello Sherman act, che, dettato per combattere i cartelli, è stato giurisprudenzialmente applicato quasi solamente a quel particolarissimo tipo di cartello che è costituito dal sindacato operaio" (corsivo aggiunto), TULLIO ASCARELLI, Note preliminari sulle intese industriali (cartelli e consorzi), in Rivista italiana per le Scienze giuridiche, 1933, p. 90, 94. L'Ascarelli si riferiva probabilmente allo "sciopero alla Pulman, stroncato con l'applicazione dello Sherman Anti-Trust Act", MICHEL BEAUD, Storia del capitalismo, cit. a nota 11, 170. Lo stesso Ascarelli nel libro che conteneva lo studio delle Note preliminari sulle intese industriali, "modificava" il proprio riferimento allo Sherman Act non più sostenendo che esso "è stato giurisprudenzialmente applicato quasi solamente a quel particolarissimo tipo di cartello che è costituito dal sindacato operaio", bensì che esso "è stato giurisprudenzialmente applicato prevalentemente a quel particolarissimo tipo di cartello che è costituito dal sindacato operaio", TULLIO ASCARELLI, Consorzi volontari tra imprenditori, Milano, Giuffrè, 1937, 14. Non è chiaro con ciò a cosa si

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

16

raggiunta intorno al 1895, circa venti anni in ritardo rispetto alla Germania e agli Stati Uniti 40.

Accanto al fenomeno della cartellizzazione nazionale si iniziò a sviluppare anche il fenomeno della cartellizzazione internazionale.

In particolare, il movimento di concentrazione internazionale aveva "fatto sì che nel 1914 un centinaio di cartelli agissero tra industrie similari di differenti paesi allo scopo di moderare volontariamente la concorrenza sui mercati esteriori" 41. Anteriormente alla prima guerra mondiale si calcolava l'esistenza di circa 114 cartelli internazionali. Tali intese, "in quanto regola[vano] la produzione tra Stati diversi, pot[evano] considerarsi protezioniste esse stesse, poiché [erano] destinate a consolidare la situazione dell'industria nazionale; non [avevano] ancora il carattere cosmopolita; e pur quando supera[vano] i limiti nazionali, [erano] quasi sempre formazioni esclusiviste, miranti a restringere l'offerta, eliminare la concorrenza, elevare i prezzi, imporre i monopoli" 42. Questo fenomeno di cartellizzazione internazionale, iniziato in quel periodo, avrà una crescita vertiginosa in particolare dal 1926.

È in questo periodo — e in particolare nel 1916 — che nasce la proposta di creare una unione doganale europea fondata sui cartelli industriali. In particolare Federic Naumann propose di giungere "all'abolizione dei diritti di dogana tra le potenze centrali, poco a poco, attraverso la istituzione di cartelli, abbraccianti per gradi successivi tutta la produzione" 43. Tale proposta sarà formulata nuovamente nel 1931 — anche se con specifiche differenze — dalla Francia in sede del Comitato di studio per l'Unione europea (v. infra § 8).

Tornando ad una valutazione più generale della situazione politico-economica europea, all'inizio del XX secolo, "al di là del rinnovamento

riferisse l'Ascarelli, è certo però che la disciplina antitrust federale statunitense dal 1890 al 1937 era stata applicata numerose volte e non solo "al sindacato operaio" (cfr. JOSEPH P. BAUER - WILLIAM H. PAGE, Practices prohibited by the Sherman Act, cit. a nota 7, 94 ss.). Riguardo alla visione dei cartelli da parte della dottrina italiana, v. ad esempio la prefazione alla terza edizione del manuale di Vito del 1939, infra a nota 128.

40 PATRIZIO BIANCHI, La rincorsa frenata: l'industria italiana dall'unita nazionale

all'unificazione europea, Bologna, Il Mulino, 2002, 25. 41 LYDIA DE NOVELLIS, L'unificazione, cit. a nota 17, 140. 42 LYDIA DE NOVELLIS, L'unificazione, cit. a nota 17, 140. 43 LYDIA DE NOVELLIS, L'unificazione, cit. a nota 17, 140.

LA CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA EUROPEA

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del capitalismo industriale, si assiste al rafforzamento a livello mondiale dei principali capitalismi nazionali, fenomeno che molti definiscono imperialismo. [...] In sostanza, sebbene non sia l'unica causa, l'espansione imperialista dei capitalismi nazionali tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo è all'origine della Grande guerra del 1914 - 1918" 44. Sono, infatti, studi successivi al 1919, aventi ad oggetto la "guerra come sbocco di crisi economiche" che, analizzando i motivi della prima guerra mondiale, giunsero alla seguente conclusione: "La conflagrazione del 1914 ha essa un'origine conosciuta da tutti i belligeranti, da tutti gli studiosi? Certamente: anzi su questo punto si ha un accordo universale. La guerra mondiale è stata una lotta per gli interessi economici" 45.

5. La fine della prima guerra mondiale e le successive crisi economiche. Lo

sviluppo del commercio internazionale e l'assenza di istituzioni

internazionali di controllo. I motivi della cartellizzazione nella metà

degli anni '20. L'elenco dei cartelli industriali attivi nel 1931.

Lo sviluppo dei cartelli tra imprese (nazionali e internazionali)

successivamente alla prima guerra mondiale è strettamente connessa alla situazione economica e politica di crisi. Le economie dei principali Stati industrializzati negli anni '20/'30 sono particolarmente fragili e mostrano alla fine degli anni '20 un forte rallentamento. Il "crollo" della borsa di New York del 1929 e la conseguente crisi economica e finanziaria americana (cd. Grande Depressione) determinarono anche il collasso delle economie europee già in difficoltà. Tale collasso fu anche causato dal fatto che il sistema economico internazionale non disponeva né di strumenti di controllo del commercio mondiale (di cui i cartelli industriali svolgevano in parte le veci), né di uno stabile sistema di pagamenti 46.

Tornando allo sviluppo della cartellizzazione europea, la prima guerra mondiale, "con lo sforzo di industrializzazione imposto agli Stati, [aveva portato] un impulso alla tendenza alla concentrazione,

44 MICHEL BEAUD, Storia del capitalismo, cit. a nota 11, 160. 45 Lumbroso citato da VIRGILIO DAGNINO, I cartelli industriali, cit. a nota 14, 151. 46 MICHEL BEAUD, Storia del capitalismo, cit. a nota 11, 160 ss..

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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onde aumentare il potenziale di produzione in Europa e nel mondo" 47. In altre parole, anche durante la prima guerra mondiale i cartelli tra imprese erano stati funzionali alle necessità (questa volta belliche) degli Stati.

Nel periodo successivo alla prima guerra mondiale i cartelli che erano stati sciolti furono ricostituiti, salvo i casi in cui ciò non fosse stato possibile per espressi divieti statali 48.

Finita la guerra, "dopo un periodo di smarrimento in cui par[ve] che le tendenze nazionaliste di isolamento [dovessero] prendere il sopravvento, per necessità imprescindibili di vita risor[se] lo spirito di organizzazione in tutte le sue manifestazioni. Le varie economie si avvicina[rono] l'una all'altra, in incerti tentativi di accordi e di organizzazioni razionali. […] [N]el campo industriale si moltiplica[rono] le intese, che, dopo il 1928, l'attenuazione delle difficoltà monetarie e degli ostacoli di carattere politico e le migliorate condizioni della organizzazione interna [degli Stati resero] sempre più frequenti. Tali intese varia[vano] a seconda che si [proponessero] di ripartire le zone di vendita (in generale alla produzione nazionale [veniva] riservato espressamente o tacitamente il mercato nazionale — es. Unione franco-germanica della potassa); di fissare i prezzi (Sindacato per le lampade a incandescenza) o infine di determinare la produzione, stabilendo un limite all'attività produttiva di ciascun aderente (Unione internazionale per la produzione dell'acciaio), o all'esportazione (Unione della potassa)" 49.

Il motivo della crescita dei cartelli internazionali dopo la guerra "coincid[eva], in fondo, con [i motivi] che [avevano] addotto un inasprimento della concorrenza o, in termini più generali, che [erano] venute a turbare gli scambi internazionali nel [primo] dopoguerra. Pertanto esse erano, in gran parte, comuni a quelle che avevano favorito l'estendersi dei cartelli interni" 50.

Il motivo della crescita dei cartelli industriali dopo la fine della prima guerra mondiale poteva riassumersi in sei differenti cause: 1) "A

47 LYDIA DE NOVELLIS, L'unificazione, cit. a nota 17, 140. 48 LESLIE SCOTT, Introduzione, in LESLIE SCOTT E ALTRI, Trade combinations in U. S. A,

France, Germany, Poland, Paris, Librairie du Recueil Sirey, 1932, 7. 49 LYDIA DE NOVELLIS, L'unificazione, cit. a nota 17, 141. 50 FRANCESCO VITO, I sindacati industriali, cit. a nota 23, 213.

LA CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA EUROPEA

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seguito di un'attività di produzione sproporzionata durante la guerra "l'urgente bisogno di disciplinare la produzione (…) allo scopo di evitare i danni della concorrenza sfrenata fece si che i produttori coordinassero i propri sforzi stringendosi in cartelli" 51

2) "Il vasto movimento di razionalizzazione, provocato dalla necessità di ridurre al massimo possibile i costi di produzione per riparare alle immense distruzioni di capitale avutesi durante la [prima] guerra [mondiale] condusse (…) ad una eccessiva espansione delle dimensioni delle aziende (…); ad un ampliamento dell'intero apparato produttivo al di là della capacità di consumo. Per ovviare alle conseguenze dannose di siffatta situazione fu necessario ricorrere ai cartelli internazionali" 52.

3) "La ripresa dell'industria europea, che si ebbe col cessare delle ostilità, segnò un inasprimento della concorrenza. In essa erano destinate ad essere soffocate le imprese sorte durante la guerra se i rispettivi governi, per spirito di indipendenza economica e per orgoglio

nazionale, non avessero preso a difenderle con le tariffe doganali (Canadà, Australia, Nuova Zelanda, India, Cile, Argentina, Africa del Sud, ecc.). Ma la produzione era eccedente rispetto ai bisogni, onde la necessità di regolarla a mezzo dei cartelli internazionali" (corsivo aggiunto) 53.

4) "L'influenza dei trattati di pace sulla formazione dei cartelli internazionali si (…) manifes[tò] per vie diverse" 54. a) "I nuovi Stati che con essi ebbero vita, in omaggio al principio di nazionalità, vollero ben presto creare proprie industrie, per difendere le quali ricorsero ai dazi doganali" 55; b) D'altra parte, nei Paesi che erano stati mutilati di alcune parti del territorio veniva a stabilirsi questa situazione. Essendosi ristretto il mercato interno, alcune industrie si trovarono a dover collocare all'estero grandi quantità di prodotti, contro i quali, peraltro, si innalzavano potenti barriere doganali. Altre industrie, invece, avendo perduto parti integranti della propria struttura, si trovarono in

51 FRANCESCO VITO, I sindacati industriali, cit. a nota 23, 210. Per una differente

ricostruzione dei motivi della cartellizzazione, v. infra nota 61. 52 FRANCESCO VITO, I sindacati industriali, cit. a nota 23, 210. 53 FRANCESCO VITO, I sindacati industriali, cit. a nota 23, 211. 54 FRANCESCO VITO, I sindacati industriali, cit. a nota 23, 211. 55 FRANCESCO VITO, I sindacati industriali, cit. a nota 23, 211.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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condizioni di non poter continuare a lavorare se non stringendo rapporti con le imprese di quei Paesi che avevano appunto assorbito parte del territorio dei primi" 56 (e cioè, in particolare, ai cartelli della potassa 57, all'industria siderurgica e al cartello dell'acciaio — preso in considerazione infra § 6 —, ai cartelli del cemento e delle ceramiche). c) "In via indiretta poi i Trattati di pace (…) provoca[rono] la costituzione di cartelli internazionali (…) in quanto [essendo stati imposto ai] Paesi vinti il pagamento di forti somme a titolo di riparazione, [ciò li aveva obbligati] ad intensificare notevolmente la produzione e ad accrescere le esportazioni. Tutto ciò [aveva cagionato], naturalmente, un ulteriore inasprimento della concorrenza negli scambi internazionali, e [aveva creato], quindi, le condizioni favorevoli per la costituzione dei cartelli" 58.

5) "Né minore importanza va attribuita ai disordini monetari del dopoguerra, come fattori indiretti dello sviluppo dei cartelli internazionali. Ciò è tanto più necessario porre in rilievo, in quanto l'inflazione monetaria è condizione sfavorevole per la esistenza dei cartelli interni, almeno per un certo periodo" 59.

6) "Un ultimo ordine di fattori (…) è quello dovuto alle tendenze all'autarchia economica, manifestatesi dappertutto [alla fine degli anni '20] con la erezione di ingenti barriere doganali, da cui non rimasero liberi neanche i Paesi che vantano tutta una lunga tradizione di liberismo economico" 60. Rispetto a ciò le impostazioni "autarchiche

56 FRANCESCO VITO, I sindacati industriali, cit. a nota 23, 211. 57 Continua il Vito: "La costituzione del sindacato franco - tedesco della potassa ha la

sua origine nella separazione dell'Alsazia dalla Germania. Essendosi con essa spezzato il monopolio goduto sino allora dalla Germania ed avendo le miniere tedesche e quelle francesi cercato di condurre una propria politica commerciale, ben presto si palesò la necessità di una condotta comune, nell'interesse di entrambe le parti. Fu così che già nel 1924 si regolò in comune la vendita negli Stati Uniti. Successivamente si mirò addirittura a ricostituire l'antica unità, organizzando una comune propaganda per la vendita nei vari Paesi del mondo, finché nel 1926 si giunse alla conclusione del cartello. Alle imprese tedesche

rimase riservata la vendita in Germania, a quelle francesi la vendita in Francia e nelle colonie. I mercati degli altri paesi ad accezione degli Stati Uniti, per i quali rimaneva in vigore il patto precedente, vennero ripartiti fra imprese tedesche e francesi secondo il rapporto: 70 a 30; per le vendite che superano però una determinata quantità (840.000 tonn.) il rapporto è di 50 a 50" (corsivo aggiunto); FRANCESCO VITO, I sindacati industriali, cit. a nota 23, 211.

58 FRANCESCO VITO, I sindacati industriali, cit. a nota 23, 213. 59 FRANCESCO VITO, I sindacati industriali, cit. a nota 23, 213. 60 FRANCESCO VITO, I sindacati industriali, cit. a nota 23, 214.

LA CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA EUROPEA

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europee (ma anche statunitensi) dovevano aver per conseguenza un enorme intralcio negli scambi internazionali. Per ovviare ad esso i produttori [stipularono] accordi internazionali" 61.

Individuati i principali motivi della rapida crescita dei cartelli internazionali nella metà degli anni '20 è utile elencare — per rendersi conto della dimensione del fenomeno e degli Stati partecipanti ad esso (nel 1929 erano stati individuati circa 200 accordi industriali) — i cartelli che erano attivi nel 1931 62.

"CARTELLI CHIMICI. — Cartello del carburo. — Cartello

dell'estratto di castagno (Jugoslavia, Germania, Italia). — Cartello delle

materie tintorie (Francia e Germania). — Cartello europeo della colla (per l'acquisto dello materie prime o la vendita dei prodotti finiti. Vi partecipano Inghilterra, Italia, Francia, Germania, Austria, Belgio, Spagna, Paesi Bassi, Ungheria, Polonia, Jugoslavia, Romania, Svizzera, Cecoslovacchia, Danimarca, Lettonia, Svezia). — Convenzione dello

iodio (Cile, Francia, Inghilterra, Norvegia). — Sindacato della potassa

(Germania e Francia). — Convenzione del chinino (tra i produttori olandesi, giavanesi, inglesi, tedeschi, francesi, svizzeri, giapponesi; americani). — Cartello dell'acido solforico (Polonia o Germania). — Cartello dei superfosfati (Belgio, Olanda, Inghilterra, Germania, Cecoslovacchia, Danimarca, Finlandia, Francia, Norvegia, Polonia, Svezia, Africa francese settentrionale, Unione sud - africana). — Sindacato della cianamide, (tra produttori tedeschi, belgi, francesi, italiani, polacchi, scandinavi, svizzeri, cecoslovacchi, jugoslavi). — Convenzione per i sali di Glauber (Inghilterra e Germania). — Sindacato

del Carburo di calcio (comprende quasi tutti i paesi produttori). — Convenzione dei colori d'anilina (Germania, Francia, Svizzera). — intesa

per il bismuto (Germania, Inghilterra, Francia, Italia). — Vi sono anche

61 FRANCESCO VITO, I sindacati industriali, cit. a nota 23, 214. Secondo lo Scagentti i

motivi che avrebbero determinato la crescita di cartelli industriali nella metà degli anni '20 dello scorso secolo furono: "produzione di gran lunga eccedente i bisogni; disorganizzazione della produzione, del commercio; scambi resi più difficili da barriere doganali, accresciute per estensione e per elevatezza", GIULIO SCAGNETTI, Cartelli industriali internazionali, con

particolare riguardo al loro sviluppo nel dopoguerra, Tipografia delle Terme, 1933, 30. 62 Per un elenco dei più importanti cartelli al 1938, v. FRITZ WERR, Internationale

Wirtschaftszusammenschlüsse (Kartell und Konzern) und Staat als Vertragspartner, Berlin, Carl Heymanns Verlag, 1936, 151.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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intese internazionali per la magnesite, per il borace, per la cerussa, per il sale

comune.

ELETTRICITÀ. — Sindacato internazionale delle lampadine

elettriche (Inghilterra, Austria, Germania, Svizzera, Olanda, Ungheria, Cecoslovacchia, Francia, Svezia, Italia, Giappone). — Convenzione fra

produttori francesi e tedeschi di grosso materiale elettrico, con partecipazione di produttori svizzeri. — Convenzione elettrica canadese-

europea (costituita nel 1930 con capitali americani, svizzeri ed italiani). PRODUZIONE VETRARIA. — Cartello dei fabbricanti di bottiglie

(Inghilterra, Germania, Austria, Ungheria, Cecoslovacchia, Olanda, Svezia, Norvegia, Danimarca). — Sindacato internazionale del vetro

cilindrato (Belgio, Francia, Olanda, Canadà). — Cartello della cristalleria

da tavola dell'Europa centrale. — Cartello degli specchi (Germania, Francia, Belgio, Cecoslovacchia).

FERRO E ACCIAIO. — Cartello europeo degli oggetti smaltati

(Germania, Cecoslovacchia, Polonia, Austria, Ungheria). — Cartello

internazionale dell'acciaio (Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Saar, Cecoslovacchia, Austria, Ungheria). — Cartello internazionale dei

fili di ferro trafilati (Germania, Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo). — Cartello internazionale delle rotaie (Inghilterra, Francia, Belgio, Lussemburgo, Germania, Polonia, Austria, Cecoslovacchia). — Cartello

internazionale dei tubi di ferro e di rame (Francia, Belgio, Germania, Lussemburgo, Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria). — Cartello

internazionale della latta (Germania, Austria, Saar, Cecoslovacchia, Ungheria). — Cartello delle scorie Thomas (Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Saar). — Cartello internazionale dei vagoni (Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Saar, Cecoslovacchia, Austria, Ungheria, Italia, Svizzera).

METALLI E MINERALI. — Cartello dell'alluminio (Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Austria, Svizzera). — Cartello del rame

(Inghilterra, Stati Uniti, Belgio, Spagna, Jugoslavia. Raggruppa il novantacinque per cento della produzione mondiale). — Cartello del

ferromanganese (Inghilterra, Germania, Norvegia, America). — Cartello

del ferrosilicio (Germania, Svizzera, Scandinavia, Austria). — Cartello

della magnesite — Sindacato europeo del mercurio (fra i produttori italiani e il Governo spagnolo). — Cartello dello stagno (fra produttori inglesi e

LA CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA EUROPEA

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americani). — Cartello del titanio (Norvegia, Francia, Germania, America). — Cartello del nichel (mondiale). — Pool finanziario

internazionale del piombo (con preminenza anglo-americana). — Sindacato dell'uranio (Cecoslovacchia e Belgio). — Cartello della biacca

(Inghilterra, Germania, Belgio, Italia, Austria, Olanda). Cartello dello

zinco (Belgio, Olanda, Francia, Germania, Polonia) — Sindacati dei

diamanti (ve ne sono parecchi, tendenti a limitare la produzione per sostenere i prezzi. Vi partecipa il Governo del Sud-Africa). Cartello

della bauxite (Italia, Svizzera, Ungheria). TESSILI. — Cartello del lino (fra i produttori dell'Europa centrale e

occidentale). — Cartello della lana (fra produttori belgi, francesi e inglesi). — Cartello della seta artificiale (fra il gruppo anglo-tedesco Glanzstoff Courtauld e l'italiana Snia - Viscosa).

CARTA E CELLULOSA. — Cartello della cellulosa

(Cecoslovacchia, Germania ed altri paesi). — Convenzione della carta da

imballaggio (Cecoslovacchia, Austria, Ungheria, Jugoslavia). VARI. — Cartello internazionale per la concia delle pelli (Belgio,

Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Olanda, Svezia). — Cartello del

legname. (Finlandia e Svezia). — Cartello del cemento (Francia, Belgio, Polonia, Germania, Scandinavia, Olanda, Lussemburgo). — Convenzione per la porcellana (Germania e Cecoslovacchia). — Sindacato

europeo delle viti di legno (raggruppa i produttori di tutti i paesi europei). — Sindacato internazionale dei chiodi (Germania, Olanda, Danimarca). — Accordo internazionale dei pneumatici (Inghilterra, Germania, Francia, Belgio, Stati Uniti). — Cartello del linoleum (Germania e Stati dell'Europa centrale). — Cartello della carne (Poker Konzern di Chicago e Nestey Gruppe di Londra). — Cartello della margarina e delle

materie grasse (mondiale). — Intesa per la produzione dello zucchero

stabilita alla fine del 1930 con l'adozione del piano di riduzione Chadbourne, riunisce i produttori di zucchero di canna (Cuba e Giava) e di barbabietole (Europa centrale, Polonia e Belgio)" 63.

6. La costituzione del cartello mondiale dell'acciaio (cd. Comunità

dell'acciaio - 1926), la successiva costituzione dell'accordo

63 LYDIA DE NOVELLIS, L'unificazione, cit. a nota 17, 141, nota 2.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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internazionale di esportazione dell'acciaio (1933) e lo scioglimento del

cartello (1939).

Per comprendere il rapporto tra i cartelli industriali e il processo di

integrazione europea è utile approfondire il caso del cartello mondiale dell'acciaio. Infatti, il settore dell'acciaio — insieme al combustibile essenziale per la relativa produzione, cioè il carbone — sarà poi oggetto del Trattato CECA, prima fase della integrazione europea 64.

Con riferimento ai motivi della nascita del cartello dell'acciaio va evidenziato, in primo luogo, la peculiare distribuzione delle materie prime per la relativa produzione (ferro e carbone coke). Infatti l'80% dei giacimenti europei dei due prodotti erano diffusi in un quadrilatero di circa 500 km per ciascun lato, che occupava trasversalmente il Belgio, la Francia, Germania e il Lussemburgo. In un quadrilatero di 1000 km per ciascun lato erano compresi tutti i giacimenti europei, compresi quelli in Italia, Cecoslovacchia, Austria e Ungheria 65. In secondo luogo, va sottolineato che mentre la Germania possedeva sul proprio territorio sia notevoli giacimenti di ferro che di carbone, la Francia disponeva di cospicui giacimenti di ferro e di ridotti giacimenti di combustibile. Entrambi gli Stati presentavano però un limite determinato dalla necessità di trovare sbocchi di vendita esterni ai relativi territori. La produzione nazionale nei due Stati — in considerazione delle necessarie economie di scala — era infatti superiore alle necessità interne 66.

L'esigenza della Francia di disporre di giacimenti di carbone era stata risolta (temporaneamente) seguendo due vie: con la previsione di alcune specifiche disposizioni nel Trattato di Versailles 67 a danno della Germania "vinta" (che però portarono ad una profonda

64 Inoltre, in considerazione dei precedenti cartelli internazionali in questo settore, Jean

Monnet si domanderà negli anni '50 se il Trattato CECA non costituisse a sua volta un cartello internazionale, v. infra.

65 GIULIO SCAGNETTI, Cartelli industriali internazionali, cit. a nota 61, 109. 66 VIRGILIO DAGNINO, I cartelli industriali, cit. a nota 14, 86; GIULIO SCAGNETTI,

Cartelli industriali internazionali, cit. a nota 61, 110. 67 Trattato di Versailles, parte X, Sez. 1, art. 268 a; v. FRANCESCO VITO, I sindacati

industriali, cit. a nota 23, 212; riguardo al contenuto della norma, v. nota successiva.

LA CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA EUROPEA

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disorganizzazione di tutta l'industria siderurgica centro-europea) 68; con l'occupazione militare, da parte della Francia, del bacino carbonifero della Ruhr nel 1923 69.

Già successivamente alla fine della prima guerra mondiale era chiaro che la situazione economica di questi settori era instabile, sia riguardo alla distribuzione dei giacimenti di carbone, sia riguardo agli sbocchi per la produzione di acciaio. Il problema del "rifornimento del

68 Come ricorda il Vito: "Con la separazione politica della Alsazia-Lorena e con quella

economica del Lussemburgo dalla Germania, di due zone industriali, cioè che prima della guerra facevano parte dell'unione doganale germanica e in Germania riversavano la maggior parte della produzione siderurgica, si disegnava per il mercato francese il pericolo della inondazione di prodotti lussemburghesi e lorenesi. Per ovviare a questo pericolo venne imposto alla Germania col Trattato di Versailles di consentire l'entrata in franchigia di tali prodotti per la durata di cinque anni, fino a quando, cioè, non si fossero trovati ad essi nuovi sbocchi. Si voleva impedire che la Francia fosse costretta a procedere all'impianto di aziende per la elaborazione di acciaio grezzo — assai costose —, facendo affluire questo in Germania, che di tali aziende possedeva a sufficienza", FRANCESCO VITO, I sindacati

industriali, cit. a nota 23, 212. Inoltre, come ricorda lo Scagnetti: "Di tali deficienze il governo francese si era subito

preoccupato ed aveva cercato di porre alle medesime in qualche modo riparo. Ad assicurare, infatti, sbocchi alla eccedente fabbricazione francese di ferro aveva potuto provvedere temporaneamente con una clausola del Trattato di Versailles, (Parte X, Sez. 1, art. 268 a), in forza della quale era consentita per cinque anni la libera ammissione, nei territori della Germania, dei prodotti in ferro ed acciaio provenienti dalla Lorena, dal Lussemburgo, dalla Saar; ad assicurare i rifornimenti di combustibile, era riuscito in parte a provvedere, garantendosi il carbone della Saar, le cui miniere erano state cedute alla Francia. Il territorio della Saar, poi, era stato occupato militarmente per 15 anni ed era stato posto sotto amministrazione della Società delle Nazioni, che l'esercitava mediante una Commissione internazionale, in cui la Francia aveva larga influenza", GIULIO SCAGNETTI, Cartelli

industriali internazionali, cit. a nota 61, 104. 69 Come era apertamente sostenuto dallo Scagnetti: "L'occupazione della Ruhr,

qualunque ne sia stata la motivazione, doveva, di fatto, consentire appunto alla Francia di ottenere il combustibile necessario alla sua industria attraverso il controllo del bacino carbonifero renano-westfaliano magari mediante la creazione di uno Stato-cuscinetto, nominalmente autonomo. Si sarebbe venuta così a creare, nel centro dell'Europa, una potentissima organizzazione minerario-siderurgica, la quale avrebbe consentito alla nazione, che la dominava, di esercitare una poderosa egemonia politico-economica su larga parte del continente europeo, con conseguenze non facilmente prevedibili". Sempre lo Scagnetti ricorda: "Questo tentativo peraltro di dominazione economica europea, sebbene accuratamente studiato ed eseguito con forze militari imponenti, doveva fallire, sia per lo spirito di sacrificio e di patriottismo della popolazione tedesca, che si oppose, a costo di ogni sofferenza, ai tentativi separatistici evidentemente appoggiati dagli eserciti di occupazione, sia per l'ostilità dell'Inghilterra, che vedeva nei tentativi francesi una minaccia per la sua potenza politica, economica in Europa, ed aveva quindi interesse a rendere impossibile che il desiderio della Francia di rimanere in qualche modo nel bacino della Rhur potesse divenire realtà", GIULIO SCAGNETTI, Cartelli industriali internazionali, cit. a nota 61, 107. Sul punto v. anche VIRGILIO DAGNINO, I cartelli industriali, cit. a nota 14, 83.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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carbone e quello della esportazione del prodotto, venivano così a trovarsi intimamente connessi, e la soluzione non poteva consistere che in un accordo" 70. Infatti, "si dissero i dirigenti [tedeschi] dell'industria: dobbiamo noi persistere ad accentuare dissolventi competizioni, o tentare invece di controllare la produzione restringendola nei limiti della capacità di assorbimento dei mercati? Dobbiamo noi francesi essere continuamente tormentati dalla preoccupazione dei rifornimenti di coke quando potremmo averlo facilmente attraverso un accordo colla Germania? Dobbiamo noi tedeschi andare a cercare il minerale per il vasto mondo quando lo abbiamo a tre passi da casa? Non si potrebbe fare un pool di questi problemi, risolverli in senso unitario ed arrivare gradatamente ad una razionalizzazione dell'industria e ad una diminuzione dei costi capace di permettere una estensione dei mercati di sbocco?" 71. La conclusione fu che ci si avviò, appunto, su questa strada 72. In tale intesa non potevano mancare di essere coinvolti gli altri Stati confinanti la Francia e la Germania e che disponevano delle relative materie prime, cioè il Belgio 73, la Saar 74 ed il Lussemburgo 75.

70 VIRGILIO DAGNINO, I cartelli industriali, cit. a nota 14, 94. 71 VIRGILIO DAGNINO, I cartelli industriali, cit. a nota 14, 103. 72 Come ricorda il Dagnino: "Nel giudicare della situazione della siderurgia europea si

devono quindi tener presenti questi dati: a) la produzione di acciaio ha raggiunto quasi il livello prebellico; b) la capacità degli impianti è di gran lunga aumentata di sorte che, lasciati i singoli produttori in balìa di lor stessi, appare netta la possibilità di un incremento della produzione; c) a causa della industrializzazione di alcuni Stati agricoli, e del sorgere di barriere doganali, il commercio di esportazione dell'acciaio ha avuto nel dopo-guerra una contrazione; d) il consumo si è mantenuto rigido, quasi diminuito; e) è facile che l'America non trovi un giorno sbocchi sufficienti sul mercato interno e sia costretta a fare una invasione di prodotti di acciaio in Europa. Quali conclusioni si traggono da tutto ciò? La sovrapproduzione potrebbe tenere per l'avvenire i prezzi ad un livello rovinoso; come

dovrebbero regolarsi i produttori? Lanciarsi in una lotta accanita l'uno contro l'altro? Con quali

prospettive? È così che Francia e Germania si decisero a prendere l'iniziativa di un accordo, mirante, almeno per il momento, a portare un po' d'ordine nella situazione. L'intesa era doppiamente nell'interesse di entrambe, in quanto non solo si proponeva la regolamentazione del momento dello smercio (conquista dei mercati), ma anche quella del momento della produzione (scambio di coke contro minerale, razionalizzazione, ecc.)", (corsivo aggiunto) VIRGILIO DAGNINO, I cartelli industriali, cit. a nota 14, 102

73 Come descrive Dagnino: "La funzione del Belgio è un po' quella di sfruttare la sua posizione di piccolo Stato posto in mezzo a tre grandi nazioni produttrici di acciaio. La quantità di minerale che esso trae dalle sue miniere è minima, ma d'altra parte il coke non manca; si acquistano allora le eccedenze di ghisa provenienti dalla Germania, dalla Francia e dall'Inghilterra, si acquistano delle quantità di minerale in Lorena ed in Spagna, ed approfittando di una mano d'opera abbondante ed esperta, della buona posizione rispetto alle grandi vie internazionali, degli sviluppati mezzi interni di trasporto, si riesce a

LA CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA EUROPEA

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Il 30 settembre 1926 fu costituito tra tali cinque Stati il cartello dell'acciaio, la cui denominazione è tanto più significativa in quanto richiama alla mente il tutt'affatto diverso Trattato della Comunità del carbone e dell'acciaio del 1952. Infatti nel 1926 il cartello fu denominato Comunità dell'acciaio (Rohstahlgemeinschaft o Entente Internationale de

l'Acier - E.I.A.) 76. Successivamente nel 1927 anche le imprese di

sostenere una fiorente industria metallurgica. L'organizzazione commerciale era prima costituita da «comptoirs» che funzionavano di tempo in tempo e come potevano; dopo la guerra, un accordo più stretto si stabilì tra le grandi imprese, ma non mancarono ciò malgrado le indecisioni e difatti, durante le trattative per il cartello internazionale, fu proprio il Belgio che, privo di una organizzazione potente e solida, mostrò maggior riluttanza", VIRGILIO DAGNINO, I cartelli industriali, cit. a nota 14, 94.

74 Sempre il Dagnino ricorda: "La produzione di carbone e di ferro della Saar, come la sua industria in genere, sono strettamente legate al sistema industriale della Germania del Sud; il trattato di Versailles veniva così a scindere una unità organica e malgrado gli sforzi fatti dalla Francia la produzione ne sentiva il contraccolpo riducendosi notevolmente. Nel dopo-guerra l'industria tedesca si è trovata, nei confronti della Saar, presa tra due opposti desideri; da una parte, mantenere con essa le migliori relazioni ed i più stretti rapporti economici in attesa che il plebiscito ritorni questo territorio alla Germania; dall'altra, ridurre al minimo le relazioni, per non recare un sia pur temporaneo vantaggio alla Francia. Tutto ciò ha avuto praticamente soluzioni disparate: per esempio, mentre ad indicare il rilassamento degli scambi si nota una diminuzione delle esportazioni di carbone verso la Germania, ad indicare la volontà di conservare rapporti, si nota l'ammissione di alcuni industriali della Saar nel Sindacato tedesco dell'acciaio", VIRGILIO DAGNINO, I

cartelli industriali, cit. a nota 14, 96 75 Riguardo al Lussemburgo, il Dagnino ricorda che esso "fa parte, dal luglio del '21,

della frontiera doganale belga. Il combustibile vi è molto scarso, il minerale deve essere importato in parte dalla Lorena ed il mercato interno ha una capacità d'assorbimento molto ridotta; posto ciò, si comprende come il distacco dallo Zollverein e l'unione ad un altro paese, pur esso esportatore della maggior parte della sua produzione, non sia priva di pericoli in periodi di crisi. La grande industria lussemburghese, venendo a mancare dopo la guerra del vasto mercato tedesco di sbocco, avrebbe almeno preferito l'unione doganale colla Francia, ma accordi precedenti, intercorsi in tempo di guerra, furono d'impedimento a tale soluzione", VIRGILIO DAGNINO, I cartelli industriali, cit. a nota 14, 95.

76 Come riporta il Dagnino: "Ecco sommariamente il contenuto dell'accordo firmato il 30 settembre 1926 a Bruxelles dai rappresentanti della siderurgia di Germania, Francia, Belgio, Lussemburgo e Saar.

Art. 1. - Ogni paese pagherà un dollaro in fondo comune per ogni tonnellata di acciaio compresa nel quantitativo assegnato.

Art. 2. - L'amministrazione del fondo comune spetta ad un Consiglio di quattro membri designati dalla Germania, Francia, Belgio, Lussemburgo; la presidenza sarà assunta a turno da uno di questi rappresentanti per la durata di un anno. Il potere di voto è in relazione alla quota nazionale fissata, ed il Consiglio dovrà prendere tutte le misure atte a rendere effettivo il controllo previsto nell'accordo come la esecuzione di tutte le disposizioni in esso contenute.

Artt. 3 e 4. - Il Consiglio fisserà trimestralmente il quantitativo di produzione per ogni paese applicando la percentuale fissa al tonnellaggio totale rappresentante i bisogni

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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Cecoslovacchia, Austria, e Ungheria si unirono in varie forme all'intesa 77.

Il cartello dell'Acciaio, il quale presentava tra le finalità principali la tutela dei mercati interni 78, mirava "a realizzare una disciplina

probabili del mercato. Tale tonnellaggio sarà fissato con maggioranza di almeno tre quarti dei voti.

Artt. 5 e 6. - Mensilmente si procederà all'accertamento della produzione e trimestralmente si faranno i computi relativi al pagamento delle multe; per ogni tonnellata prodotta in più del quantitativo trimestrale fissato, si devono versare in fondo comune quattro dollari in aggiunta al pagamento di cui all'art. 1.

Artt. 7 e 8. - Se la produzione di un paese è inferiore alla quota assegnata, esso riceverà dal fondo comune una indennità di due dollari per ogni tonnellata di deficit non oltrepassante il 10% di detta quota. Dopo la deduzione delle spese generali la somma rimasta in fondo comune sarà divisa tra i vari paesi in proporzione della loro produzione.

Art. 9. - L'accordo è valido fino all'aprile del 1931. Art. 10. - Il presente accordo è stato concluso nella presunzione che durante la sua

intera validità le tariffe applicabili ai prodotti siderurgici importati in Germania non saranno aumentate. Se la Germania aumenterà tali tariffe, il presente accordo potrà essere denunciato ad ogni momento da ognuna delle parti contraenti, ed avrà fine tre mesi dopo, essendo inteso che ognuna delle parti riavrà presso il suo governo la sua piena libertà d'azione per ciò che concerne le tariffe.

Art. 12. - Rimane aperta ai produttori di acciaio di altri paesi la possibilità di aderire all'accordo.

Secondo le comunicazioni ufficiali le percentuali di partecipazione accordate sono le seguenti: Germania 43,50 %; Francia 31,19 %; Belgio 11,56%; Lussemburgo 8,55%; Saar 5,20%.

Parallelamente a questa, due altre intese sono state condotte a termine: l'intesa franco - germano-lussemburghese della ghisa e l'intesa per l'esportazione degli acciai francesi e lussemburghesi in Germania.

La prima riserva all'industria nazionale il proprio mercato interno; il consumo della Saar è coperto dalla Germania nella proporzione del 45% e dalla Francia in quella del 55%. La Germania inoltre si impegna a far partecipare al consumo tedesco la Francia, nella proporzione del 7,895 ed il Lussemburgo per il 3,272%.

Colla seconda intesa complementare, la Francia ed il Lussemburgo partecipano al consumo interno tedesco dei prodotti laminati nelle proporzioni rispettive del 3,75% e 1,75%, e la Germania si impegna a non consegnare prodotti laminati nel territorio doganale francese", VIRGILIO DAGNINO, I cartelli industriali, cit. a nota 14, 104.

77 Come ricorda il Dagnino: "Allo stesso modo che aveva coinvolto prima i produttori dei piccoli Stati posti tra Germania e Francia, il cartello internazionale del ferro doveva coinvolgere poi i produttori dell'Europa Centrale. In Austria l'unica grande azienda metallurgica rimasta è l'Alpinen, che fu nel dopo-guerra protagonista di una serie di speculazioni; le antiche fucine di Boemia, tra cui famose le Skoda, sono passate alla Cecoslovacchia che ha così ereditata la maggior parte della antica produzione austriaca; in Ungheria la siderurgia è pochissima cosa", VIRGILIO DAGNINO, I cartelli industriali, cit. a nota 14, 97.

78 GÜNTHER KIERSCH, Die internationalen Stahlkartelle zwischen den beiden Weltkriegen, in LUDWIG KASTL, AND MAX METZNER, Kartelle in der Wirklichkeit Festschrift für Max

Metzner zu seinem fünfundsiebzigsten Geburstag, Köln, Heymann, 1963, 345.

LA CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA EUROPEA

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quantitativa della produzione, attraverso la fissazione trimestrale di un tonnellaggio-programma, di cui [veniva] attribuito una quota ad ogni gruppo nazionale in base a determinati coefficienti" 79. Tale accordo, così come costituito nel 1926, fu sciolto nel settembre del 1930 80.

La necessità di regolare la concorrenza tra imprese (e quindi le quantità prodotte e i prezzi dei beni) determinò la rinascita del cartello nel 1933. In pochi anni aderirono a tale intesa "tutti i paesi europei, compresa l'Inghilterra, e molti altri paesi non europei tra cui gli stessi Stati Uniti d'America. Gli Stati Uniti per poter partecipare al cartello dell'acciaio dovettero "sfruttare" — in considerazione del divieto previsto dallo Sherman Act del 1890 — le previsioni della legge del 1918 che permetteva alle imprese statunitensi di creare cartelli per l'esportazione, purché essi non avessero effetto sul loro mercato interno", cioè il Webb - Pomerene Export Act 81.

79 LADOR-LEDERER, Capitalismo mondiale, cit. a nota 24, 124; GIULIO SCAGNETTI, Cartelli industriali internazionali, cit. a nota 61, 101 ss..

80 L'accordo fu sciolto in conseguenza della congiuntura negativa che non permetteva alle imprese parti dell'intesa di (rectius le imprese non avevano interesse a) di mantenere la fissazione dei prezzi del prodotto-fissazione dei prezzi a cui si era estesa la competenza del cartello il quale inizialmente prevedeva solamente la disciplina delle quantità di produzione —. Come ricorda il Vito: "La politica dei prezzi alti nella fase discendente della congiuntura, quando non è contenuta entro certi limiti, può condurre alla inosservanza del patto e allo scioglimento del cartello. Le esperienze recenti specialmente nel campo internazionale, ci hanno offerto numerosi esempi. L'esempio recente del Cartello Continentale dell'acciaio è assai significativo al riguardo. Com'è noto esso è l'organizzazione centrale intorno a cui si sono costituite le varie intese particolari per la vendita di alcuni prodotti siderurgici. Conchiuso nel 1926 fra i produttori di acciaio di Germania, Belgio, Francia, Saar, Lussemburgo, abbracciò nel 1927 anche quelli dell'Ungheria, dell'Austria, della Cecoslovacchia. L'accordo si limita alla disciplina quantitativa della produzione, da fissarsi trimestralmente dal Comitato Direttivo. I gruppi nazionali che nella produzione sorpassano la quota loro assegnata sono sottoposti ad una penalità commisurata alla eccedenza di produzione, mentre i gruppi che producono in quantità inferiore alla quota ricevono un premio. Impressionati dalle sfavorevoli previsioni del mercato, i produttori francesi, tedeschi, belgi e lussemburghesi decisero di estendere il controllo dalla produzione alla vendita e dal 1° febbraio 1930 vennero istituiti cinque uffici, nell'intento di unificare i prezzi e le condizioni di vendita, e di distribuire le ordinazioni all'esportazione su una base all'incirca corrispondente agli affari effettivamente conclusi dal 1° gennaio 1928 al 31 ottobre 1929. II 31 marzo entravano nell'accordo i gruppi cecoslovacco, austriaco e ungherese. Ma l'aggravarsi della crisi portò immediatamente alla inosservanza dei prezzi ufficiali fissati dal sindacato finché in luglio il gruppo belga, dissidente, determinò la caduta degli uffici di vendita, ufficialmente sciolti il 13 settembre 1930", FRANCESCO VITO, I sindacati industriali, cit. a nota 23, 163, nota 30; v. anche LADOR-LEDERER, Capitalismo mondiale, cit. a nota 24, 123, § 13.

81 Come ricorda Lador-Lederer: "L'adesione al cartello del gruppo americano non avvenne sotto forma di partecipazione diretta, bensì per mezzo di un accordo tripartito,

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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A tale cartello aderirono sostanzialmente tutte le imprese degli Stati industrializzati del mondo. In conclusione, gli Stati che fecero parte del cartello dell'acciaio dalla costituzione nel 1926 al momento dello scioglimento nel 1939 (o che comunque parteciparono a cartelli a questo collegati) furono: Germania, Francia, Belgio e Lussemburgo (1926). Seguirono, Austria (1927), Cecoslovacchia (1927). A questi si aggiungevano molte imprese di Stati che non erano associati all'organizzazione in senso stretto ma che in vario modo cooperavano con il sistema anche solo in alcuni dei cartelli specifici, e cioè Stati Uniti (1929), Canada (1929), Olanda (1932), Danimarca (1932), Svezia (1933), Norvegia (1934), Polonia (1935), Gran Bretagna (1935), Italia (1937), Romania, Spagna, Finlandia, Iugoslavia (1939). Solo il Giappone non aderì a tale cartello — impedita dall'inizio della seconda guerra mondiale — e limitò la propria collaborazione al cartello internazionale dei tubi 82.

Il cartello dell'acciaio nel momento di massima espansione comprendeva "oltre il 90% dell'esportazione mondiale del prodotto e quasi il 5% del valore della esportazione di tutti i beni" 83. Tale intesa che "aveva dato origine alla struttura oligopolistica più formidabile che il mondo [avesse] conosciuto" 84, fu sciolta nel 1939 in conseguenza dell'inizio della seconda guerra mondiale 85.

firmato nel dicembre 1937, tra la Steel Export Association of America, l'ufficio vendite del cartello rispettivo, e la Federation of British Industries. L'aperta adesione degli industriali americani a un'intesa internazionale di cartello costituisce un fenomeno eccezionale, una deviazione dalla pratica generalmente seguita di regolare rapporti del genere per mezzo di tacite collusioni. L'adesione americana era formalmente lecita in forza delle disposizioni della legge Webb-Pomerene, che esentava le industrie americane dalla proibizione di partecipare a intese restrittive della concorrenza, nel caso che l'intesa avesse esclusivamente per oggetto mercati esteri sui quali l'esportazione americana correva il rischio di trovarsi in condizioni d'inferiorità per il fatto che i concorrenti di altri paesi operavano sotto forma di cartello", LADOR-LEDERER, Capitalismo mondiale, cit. a nota 24, § 25.

82 GÜNTHER KIERSCH, Die internationalen Stahlkartelle zwischen, cit. a nota 78, 350. LADOR-LEDERER, Capitalismo mondiale, cit. a nota 24, 290, § 25.

83 In considerazione della natura privatistica degli accordi i rapporti tra i membri del cartello furono regolati ai sensi delle norme dei relativi Stati. Una causa contro il cartello doveva essere proposta, quindi, contro le singole parti, le quali erano le uniche che presentavano personalità giuridica, v. GÜNTHER KIERSCH, Die internationalen Stahlkartelle

zwischen, cit. a nota 78, 360. 84 Così Lador-Lederer il quale continua: "Con gli accordi del 1935 anche i produttori

britannici e le officine sudafricane dell'ISCOR divennero affiliate al cartello, sicché circa il 90% delle esportazioni mondiali di ferro e acciaio venivano a trovarsi sotto il controllo del

LA CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA EUROPEA

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secondo cartello e del Terzo Reich", LADOR-LEDERER, Capitalismo mondiale, cit. a nota 24, 24.

85 Riguardo ad una più specifica descrizione della struttura e organizzazione del cartello dell'acciaio, v. LADOR-LEDERER, Capitalismo mondiale, cit. a nota 24, 290, § 25; v. anche GÜNTHER KIERSCH, Die internationalen Stahlkartelle zwischen, cit. a nota 78, 349.

SEZIONE II

LE PREOCCUPAZIONI INTERNAZIONALI RIGUARDO AI CARTELLI

INDUSTRIALI (1927) E I TENTATIVI DI UNIFICAZIONE EUROPEA FONDATA

SUI CARTELLI (1931)

SOMMARIO: 7. La Conferenza della Società delle Nazioni del 1927 e l'incapacità di prevedere un controllo internazionale dei cartelli. — 8.Il Progetto Briand del 1929 e il fallimento della Commissione di studio sull'Unione europea del 1931. Le modalità di riavvicinamento economico proposte dalla Commissione di studio per l'Unione europea. — 9.I primi risultati positivi relativi al controllo dei cartelli tramite il Diritto internazionale: il cartello dello stagno del 1931.

7. La Conferenza della Società delle Nazioni del 1927 e l'incapacità di

prevedere un controllo internazionale dei cartelli.

La discussione sul ruolo dei cartelli nell'economia internazionale —

in quel momento divenuti, in assenza di alcun controllo nazionale o internazionale, organismi economici di grande diffusione ed importanza — acquistò speciale rilevanza dalla metà degli anni '20, anche in considerazione delle difficoltà economiche in cui l'Europa si trovava. In particolare, la Conferenza economica della Società delle Nazioni del 1927 e del 1930 fu sede di discussioni — oltre per definire le modalità per risolvere la crisi economica del momento — anche, per quanto qui interessa, per definire una strategia per controllare i cartelli e, contemporaneamente, per trovare una modalità per unificare il territorio europeo 86.

86 Sulla conferenza di Ginevra del 1927, v. VIRGILIO DAGNINO, I cartelli industriali, cit.

a nota 14, 63 ss.; CHARLEY DEL MARMOL, Les Ententes industrielles en Droit comparé, Bruxelles, La Revue de la Banque, 1959, 35.

LA CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA EUROPEA

33

Durante la Conferenza Economica Internazionale di Ginevra del maggio 1927, Conferenza organizzata dalla Società delle Nazioni, "i due argomenti oggetto di maggiore attenzione furono le intese industriali e la questione delle tariffe doganali" 87. In particolare, durante la discussione generale relativa alla situazione mondiale del momento, gli oratori constatarono concordemente "i danni derivanti dai sistemi protezionistici esistenti, la poca capacità d'assorbimento dei mercati, la cresciuta pressione fiscale, la disorganizzazione permanente ancora in molti rami [economici], la diminuita importanza dell'Europa di fronte agli altri continenti, la necessità di una collaborazione tra le

nazioni" (corsivo aggiunto) 88. Nella discussione del 1927 sui cartelli internazionali vi furono —

oltre alla posizione difesa da tedeschi, inglesi e norvegesi di sostanziale contrarietà alla regolazione dei cartelli (sul perché di questa posizione, v. infra) — anche proposte — soprattutto da parte francese — per la creazione di forme di controllo dei cartelli a livello internazionale. In particolare, il rappresentante francese William Oualid propose in un memorandum di deferire ad un organo internazionale la regolamentazione delle intese private che avevano peso considerevole nella produzione e nell'economia mondiale 89.

Ripercorrendo tale periodo, un autore sottolineava un aspetto importante: "Deve essere sottolineato che dal punto di vista politico — e non strettamente giuridico — la proposta francese — la quale

87 LADOR-LEDERER, Capitalismo mondiale, cit. a nota 24, 186. 88 VIRGILIO DAGNINO, I cartelli industriali, cit. a nota 14, 63. 89 Come riportato da Lador-Lederer: "Oualid proponeva di uniformare le legislazioni

nazionali sulla base di una convenzione dettata dal desiderio di unificare le condizioni di concorrenza commerciale, e di evitare ogni manifestazione di concorrenza sleale e ogni abuso di potenza economica. Oualid proponeva inoltre che ogni intesa internazionale dovesse

firmare una dichiarazione contenente determinati particolari, da essere conservata presso la Società delle Nazioni. La firma di una tale dichiarazione avrebbe creato una presunzione di

liceità, mentre, in sua mancanza, si doveva stimare che l'intesa perseguiva scopi illeciti, e la Società delle Nazioni avrebbe avuto il diritto e il dovere di intervenire richiedendo lo scioglimento dell'intesa, riparazioni e ammende. Oualid proponeva ancora la costituzione, sul piano nazionale e su quello internazionale, di organi analoghi alle commissioni di controllo previste dalle leggi americane contro i trusts, con partecipazione di datori di lavoro, lavoratori e consumatori, oltre che di tecnici e giuristi. Sul piano internazionale, la protezione dei lavoratori sarebbe stata affidata al Bureau international du Travail. Infine, Oualid prevedeva la possibilità di procedimenti dinanzi all'Alta Corte internazionale di giustizia dell'Aja in caso di conflitti" (corsivo aggiunto), v. LADOR-LEDERER, Capitalismo

mondiale, cit. a nota 24, 187.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

34

presentava certamente un tentativo di stabilire un controllo sui cartelli industriali — rientrava nella finalità politica della Francia di limitare il potere economico tedesco, il quale" — come evidenziato supra § 4 — "si fondava proprio sui cartelli industriali" 90; puntualizzazione questa che permette di comprendere la posizione sostenuta nel 1927 dalla rappresentanza tedesca, così come dai rappresentanti delle grandi industrie tedesche 91.

La Conferenza si concluse con "una decisione "anodina" (…) che concretizzava la tesi [dei tedeschi, inglesi e norvegesi] e il fallimento di ogni iniziativa politica originata dalla Francia" 92. Infatti, la Conferenza, nel rapporto definitivo, si astenne dal dare qualsiasi giudizio di carattere generale, e mentre "condannava tra l'altro la pratica dei sussidi diretti e indiretti, ogni forma di dumping e la conseguente discriminazione per mezzo di tariffe variabili di trasporto, (...)

90 Come ricorda Lador-Lederer: "Gli economisti e i teorici francesi furono gli unici a considerare la tendenza ai cartelli non solo dal punto di vista tattico ma come un elemento eventuale di organizzazione economica degli Stati industriali dell'Europa, a patto che fossero sottoposti a una forma di controllo governativo"; LADOR-LEDERER, Capitalismo

mondiale, cit. a nota 24, 186. 91 V. su questo punto il ruolo di Carl Lammers, che Lador-Lederer riporta come

rappresentante della IG-Farben. È interessante confrontare i differenti giudizi sul medesimo documento (CLEMENS LAMMERS, Kartellgesetzgebung des Auslandes - Bericht an

den Völkerbund für die internationale Wirtschaftskonferenz, Berlin, Carl Heymanns Verlag, 1927, p. 104), successivamente pubblicato in CLEMENS LAMMERS, Internationale Industrie-

Kartelle (Völkerbunds-Denkschrift), Berlin, Carl Heymanns Verlag, 1930, p. 140): giudizio di grande apprezzamento da parte di Vito nel 1932 (cfr. FRANCESCO VITO, I sindacati industriali, cit. a nota 23, 215), da una parte; giudizio critico e diffidente quello di Lador-Lederer agli inizi degli anni '50 (e quindi dopo la fine dell'economia cartellizzata nazionalsocialista e della seconda guerra mondiale, LADOR-LEDERER, Capitalismo mondiale, cit. a nota 24, 187), dall'altra. Riguardo al ruolo della IG-Farben, è stato sottolineato che: "In qualità di grande impresa tedesca, essa era intimamente collegata al regime nazista e, in quanto produttrice di materiali chimici, contribuiva alla preparazione bellica nazista. Ci si è chiesti quanto la IG-Farben fosse responsabile degli orrori nazisti. Il quadro non è univoco. Da un lato, i dirigenti della IG-Farben non erano immuni dal terrore e dalle pressioni. Nessuna impresa, per quanto importante, poteva opporsi allo Stato totalitario. D'altro canto, la IG-Farben fece uso durante la guerra di manodopera in stato di schiavitù proveniente da Auschwitz. Non era obbligata a farlo; si trattò di una decisione presa per ottenere manodopera a basso costo. Anche se la IG-Farben non era un soggetto economico del tutto libero, essa partecipò molto più del necessario alle persecuzioni naziste degli ebrei e di altri gruppi sospetti", in CHARLES. H. FEINSTEIN - PETER TEMIN, GIANNI TONIOLO, L'economia europea tra le due guerre, Bari, Laterza, 2ed., 2000 (Edizione originale: The

European economy between the wars, Oxford, Oxford University Press, 1997), 195, nota 5; sull'IG-Farben vedi anche infra nota 121 e infra nota 147 riguado a quanto sostenuto dal Presidente degli Stati Uniti d'America Franklin D. Roosevelt.

92 LADOR-LEDERER, Capitalismo mondiale, cit. a nota 24, 187.

LA CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA EUROPEA

35

riconosceva che, in certe circostanze e con determinate garanzie, intese

internazionali nel campo dell'industria avrebbero avuto un benefico influsso

sull'organizzazione della produzione e del commercio europeo" (corsivo aggiunto) 93.

Con specifico riferimento al controllo dei cartelli, il rapporto finale concludeva sostenendo: "La Conferenza ha riconosciuto che per ciò che riguarda le intese limitate ai produttori di un solo paese, appartiene ad ogni governo di regolare come gli conviene il loro funzionamento. Quanto alle intese internazionali, è stato generalmente constatato che

93 I punti principali della risoluzione votata dalla Commissione dell'industria recitava:

"La discussione ha messo in luce alcune divergenze di punti di vista e ha dato luogo a riserve da parte di rappresentanti di diversi interessi e paesi in causa. In tali circostanze, la

Conferenza ha dovuto constatare che il problema delle intese, nato da necessità economiche, non

costituisce una prospettiva di fronte alla quale si possa prendere una posizione di principio, ma un

fatto, di cui si deve registrare lo sviluppo, e che può essere considerato come buono o cattivo a

seconda dello spirito che presiede alla costituzione ed al funzionamento delle intese" (corsivo aggiunto).

"La Conferenza crede che le intese nazionali e internazionali hanno un campo d'azione limitato il più delle volte alle branche di produzione già centralizzate ed ai prodotti forniti in masse od in serie, e che non si può quindi considerarle come una forma di organizzazione capace di eliminare da sola le cause del malessere di cui soffre l'economia mondiale e particolarmente quella europea".

"Ciò malgrado, per alcune branche di produzione determinate, esse possono — in certe condizioni e con alcune riserve —, da una parte, assicurare una organizzazione più metodica della produzione ed una riduzione dei prezzi di costo, attraverso una migliore utilizzazione degli impianti esistenti, uno sviluppo più razionale degli impianti nuovi, ed un più logico aggruppamento delle imprese —, d'altra parte, mettere a freno le competizioni antieconomiche e ridurre i mali risultanti dalle fluttuazioni dell'attività industriale".

"Tuttavia, la Conferenza crede, d'altra parte, che queste intese, se incoraggiano delle tendenze monopolistiche e l'applicazione di metodi commerciali malsani, possono arrestare il

progresso tecnico della produzione e comportare dei pericoli per gli interessi legittimi di

importanti categorie sociali e di alcuni paesi" (corsivo aggiunto). "Così, sembra alla Conferenza assolutamente necessario che le intese non conducano ad

un aumento artificiale dei prezzi che colpirebbe i consumatori, e che esse conservino una giusta considerazione per gli interessi della mano d'opera. È necessario inoltre che le intese non possano avere né per iscopo né per risultato di diminuire l'approvvigionamento di nessun paese in

materie prime e prodotti-base, né di creare arbitrariamente delle condizioni ineguali per le

industrie di trasformazione dei paesi conservatori e dei paesi produttori o di altri paesi posti nelle

stesse condizioni. Esse non devono neppure avere per iscopo o per effetto di ridurre l'armatura

economica giudicata indispensabile per una nazione, né di cristallizzare la situazione presente della produzione tanto in ciò che riguarda i progressi della tecnica, che dal punto di vista della ripartizione delle industrie tra i diversi paesi, secondo le circostanze imposte ad ognuno di essi dallo sviluppo della propria economia e della propria popolazione" (corsivo aggiunto), riportata da VIRGILIO DAGNINO, I cartelli industriali, cit. a nota 14, 66; v. anche LYDIA DE

NOVELLIS, L'unificazione, cit. a nota 17, 145.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

36

l'istituzione di una giurisdizione internazionale è impossibile di fronte alle divergenze esistenti tra le misure che i diversi paesi hanno creduto dover prendere al riguardo, e a causa delle obbiezioni di ordine nazionale e costituzionale che il principio di tale istituzione suggerirebbe a numerosi Stati. È desiderabile per contro che si generalizzi, tra i membri delle intese, il ricorso volontario a degli arbitraggi circondati da garanzie di alta competenza economica e del senso dell'interesse generale" 94.

Il Comitato consultivo economico, incaricato di tracciare per l'anno successivo un programma di studio in materia, si limitò a ricordare che "la pubblicità data alla natura ed alla attività delle intese costituisc[e] uno dei mezzi più efficaci, da una parte, per assicurare l'appoggio dell'opinione pubblica, e d'altra parte, per impedire gli abusi eventuali" 95.

In altre parole, gli Stati membri della Società delle Nazioni — Stati prevalentemente europei 96 — preferirono scientemente favorire i propri interessi nazionali (cioè permettere la costituzione e la crescita dei cartelli) piuttosto che trovare una soluzione a tale problema che avrebbe potuto essere — in considerazione della dimensione del fenomeno — esclusivamente europea. I risultati di tale scelta determinarono, poco più di dieci anni dopo, l'inizio della "guerra civile europea" — come venne definita da Keynes la seconda guerra mondiale — con cinquanta milioni di morti in tutto il mondo 97.

94 VIRGILIO DAGNINO, I cartelli industriali, cit. a nota 14. 66. 95 VIRGILIO DAGNINO, I cartelli industriali, cit. a nota 14, 63. 96 ELLINOR VON PUTTKAMER, Der Briand-Plan, Vorbote der europäischen Integration?,

in Zur Integration Europas - Festschrift für Carl Friedrich Ophüls, Karlsruhe, Verlag C.F. Müller, 1965, p. 143.

97 Il Lador-Lederer — nella sua interpretazione della cartellizzazione tedesca come obbiettivo posto quale mezzo per un più rapido sviluppo dell'economica tedesca in un regime economico autarchico, v. infra nota 115 — scriveva a margine delle conclusioni della Conferenza del 1927: "Si può ben dire che in tal modo una buona causa perdette anni preziosi,

che furono sfruttati in senso negativo per approfondire l'antagonismo tra paesi industrializzati e

cartellizzati, da un lato, e paesi agricoli, dall'altro. Già nel 1927, in pieno periodo di ripresa, il Cassel scriveva profeticamente «La generale e profonda disorganizzazione dei prezzi e dei salari prodottasi dopo la guerra e che ha provocato un livello anormale di disoccupazione, è il principale risultato tangibile delle tendenze monopolizzatrici. Uno stato di cose nel quale l'Europa, grazie alle indennità di disoccupazione, mette in riserva una mano d'opera industriale che non può così essere utilmente impiegata al servizio dell'economia mondiale, mentre simultaneamente l'agricoltura e la produzione coloniale soffrono per l'insufficienza e il caro prezzo dei prodotti industriali, deve essere considerata come l'espressione più

LA CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA EUROPEA

37

8. Il Progetto Briand del 1929 e il fallimento della Commissione di studio

sull'Unione europea del 1931. Le modalità di riavvicinamento

economico proposte dalla Commissione di studio per l'Unione europea.

Due anni dopo la Conferenza del 1927 la Francia propose

nuovamente la creazione di un sistema di regolamentazione dell'economia europea. I particolari di tale proposta furono presentati il 5 settembre 1929 in occasione della decima Assemblea generale della Società delle Nazioni a voce del Ministro degli esteri francese, Aristide Briand. Il progetto consisteva nella creazione di un collegamento tra i popoli europei tramite modalità di carattere federativo 98. Briand, in particolare, proponeva in primo luogo la creazione di rapporti economici, soprattutto in considerazione della crisi di quel periodo. Successivamente

sarebbe stata possibile la creazione di vincoli di carattere politico, ancorché influenti sulla sovranità dei singoli Stati.

La proposta francese del 1929 fu successivamente concretizzata — dopo aver apportato alcune modifiche al progetto iniziale a seguito dei commenti dei vari Stati partecipanti 99 — in un memorandum diretto alla Società delle Nazioni e depositato il 1 maggio 1930. In esso, al contrario della proposta del 1929, si proponeva la creazione di un'organizzazione di carattere politico e si escludeva — così come già nella proposta del 1929 — che tramite essa sarebbe stata "intaccata" la sovranità degli Stati ad essa partecipanti 100.

Successivamente alla presentazione del memorandum fu costituita, su proposta di Francia e Jugoslavia e in seno alla Società delle Nazioni, la "Commissione di studio per l'Unione europea" sotto la presidenza di Briand. La Commissione lavorò per tutto il 1932 ma le proposte

categorica del carattere essenzialmente fallace della tendenza monopolizzatrice». Si leggerà quindi la storia della crisi col senso amaro di essere stati avvertiti e di non aver avuto la saggezza di ascoltare la voce dei tempi" (LADOR-LEDERER, Capitalismo mondiale, cit. a nota 24, 188 - corsivo aggiunto).

98 ACHILLE ALBONETTI, Preistoria degli Stati Uniti d'Europa, Milano, Giuffrè, 1960, p. 28 ss..

99 Per i commenti degli Stati parti della Società delle Nazioni alla proposta del 1929, v. LYDIA DE NOVELLIS, L'unificazione, cit. a nota 17, 215.

100 ACHILLE ALBONETTI, Preistoria, cit. a nota 98, 29.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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presentate furono infine respinte dall'Assemblea della Società delle Nazioni 101.

Ai nostri fini è interessante approfondire le proposte che furono presentate nella sede della "Commissione di studio per l'Unione europea" riguardo alla modalità di riavvicinamento economico degli Stati europei.

Nella sessione della Commissione, tenutasi tra il 15 - 21 maggio 1931, si cercò di definire come pervenire alla creazione di un'unione doganale. Tale obiettivo sarebbe stato raggiunto secondo il seguente schema: "Poiché provvedimenti generali non hanno avuto successo nell'eliminare contemporaneamente le dogane, il governo francese propone di organizzare rapidamente le economie delle nazioni, in modo che ogni materia prima e ogni prodotto sia gestito in modo separato e, autonomamente dai confini politici, sia sviluppato un sistema di

fusioni e cartelli; questo succederà nella certezza che in questo modo, e solo in questo modo, le barriere doganali siano abolite lentamente e senza difficoltà" (corsivo aggiunto) 102.

Nel novembre 1931, la Commissione sottolineò che se, da una parte, si raccomandava "lo sviluppo delle intese industriali come mezzo di

riavvicinamento economico fra i vari Paesi di Europa, in quanto esse [potevano] riuscire ad equilibrare produzione e consumo, a rendere relativamente stabili i prezzi, a diminuire i rischi, accrescendo di conseguenza la massa dei consumatori", si insisteva, d'altra parte, sulla necessità che "le intese [avessero] la duttilità sufficiente per evitare la cristallizzazione definitiva delle condizioni (…) della produzione nei vari paesi e per dar modo a questi di esercitare la legittima facoltà di estendere le loro economie" 103.

Quindi il progetto della Commissione si fondava, sotto l'aspetto del riavvicinamento economico, su tre principi: 1. un sistema economico organizzato sulla base di cartelli internazionali; 2. l'eliminazione dei dazi doganali attraverso i cartelli; 3. il non intaccamento delle sovranità degli Stati membri da parte di tale organizzazione.

101 ACHILLE ALBONETTI, Preistoria, cit. a nota 98, 51. 102 Citato da ERNST-JOACHIM MESTMÄCKER, Offene Märkte im System unverfälschten

Wettbewerbs in der europäischen Wirtschaftsgemeinschaft, in Wirtschaftsordnung und

Rechtsordnung - Festschrift Franz Böhm, Karlsruhe, Verlag C.F. Müller, 1965, p. 345, 350. 103 V. Gino ARIAS, Paneuropa e i cartelli, in Il Popolo D'Italia, 22 settembre 1931, p. 1.

LA CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA EUROPEA

39

A ben vedere la proposta di un'unione fondata sui cartelli economici — sebbene non totalmente originale rispetto a quella del Naumann del 1916 (v. supra § 4) — era stata presa in considerazione da vari Stati della Società delle Nazioni 104. In quel periodo — in conseguenza della pervasività dei cartelli, proprio in assenza di discipline di controllo a livello internazionale — si sosteneva infatti che "le concentrazioni [tra imprese] già compiute [apparivano] a molti addirittura l'inizio della futura unione doganale europea, a base libero-scambista, di cui sarebbe [stato] non ultimo fattore la tendenza pacifista inspirata da tali intese" 105. In questo contesto il cartello internazionale dell'acciaio era visto come modello per creare questa unione doganale 106.

In Italia, lo stesso Benito Mussolini aveva dichiarato che "la tendenza generale verso la formazione di trusts e cartelli nelle differenti industrie [era] la sola praticabile dall'Unione economica europea" 107.

104 Con riferimento all'impostazione dell'Italia, Scagentti ricordava: "L'Italia dimostrava fin dal principio la sua simpatia al concetto di un accordo europeo; essa lo dichiarava apertamente per bocca dei suoi uomini politici più in vista. Per non ricordare che un esempio recentissimo, S.E. Grandi, Ministro degli Affari Esteri, parlando nel marzo 1931 alla Camera dei Deputati sull'accordo navale italo-franco-britannico, ricordava il contributo dato dall'Italia, l'azione spiegata per determinare una più stretta solidarietà fra i paesi europei ed aggiungeva di «non nutrire alcuna idea preconcetta contro il progetto di una Unione europea, ma al contrario di essere disposto a collaborare, perché l'idea possa tradursi in realtà». Questa politica che tendeva appunto «ad una più vera, intima ed efficace cooperazione fra gli Stati d'Europa», peraltro non voleva disconoscere la realtà dei fatti nella loro concretezza e voleva favorire che l'attuazione degli accordi europei non potessero danneggiare l'attività e lo sviluppo dei singoli paesi", GIULIO SCAGNETTI, Cartelli industriali

internazionali, cit. a nota 61, 32. 105 LYDIA DE NOVELLIS, L'unificazione, cit. a nota 17, 147 106 Il Lador-Lederer ricordava che "Herriot citava il cartello dell'acciaio come un

esempio che gli uomini politici avrebbero dovuto seguire", LADOR-LEDERER, Capitalismo

mondiale, cit. a nota 24, 205. 107 Cfr. LYDIA DE NOVELLIS, L'unificazione, cit. a nota 17, 146. Si criticava anche in

Italia — in modo originale — tale impostazione da un punto di vista di principio sostenendo che "arrivando ad immaginare una intesa integrale della produzione, tale liberismo, che in realtà è un pseudo-liberismo, si svaluterebbe affatto, in quanto non farebbe posto

a quella che è universalmente ritenuta la conseguenza principale della libertà economica, e cioè la

concorrenza. Questa non potrebbe aver luogo dove fosse già istituito un monopolio, e solo il monopolio potrebbe governare il mercato in cui le varie branche della produzione fossero integralmente organizzate. La mancata concorrenza potrebbe influire sui prezzi, naturalmente elevandoli. Ciò non si è notato sinora, anche perché manca una intesa integrale, e questo consente che gli estranei al cartello e i dissidenti da esso compiano opera imitatrice. Ma nessuna garanzia potrebbe aversi per l'avvenire". La De Novellis continuava: "L'affermazione è ardita ma illusoria, e per molteplici ragioni. Anzitutto non sembra che tali cartelli orientino la produzione verso il libero scambio: come in tutte le unioni doganali limitate, così in queste intese, ad un abbassamento di tariffe, deciso fra gli aderenti,

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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Come supra ricordato, le proposte della Commissione presentate nel 1932 furono però respinte dall'Assemblea della Società delle Nazioni 108.

Nonostante il fallimento, il progetto di Aristide Briand rimase comunque un primo organico tentativo di cooperazione tra gli Stati europei quale mezzo di unificazione del territorio europeo e che teneva presente la situazione di industrializzazione europea del tempo 109.

corrisponde quasi sempre un elevamento contro coloro che rimangono fuori dell'unione. Questa tendenza protezionista si manifesta inoltre pure nei rapporti tra i singoli gruppi nazionali che devono formare il cartello internazionale. L'intesa infatti dovrebbe condurre ad

un abbassamento delle tariffe doganali fino al loro limite minimo; ma nella realtà le tariffe

doganali non solo sono mantenute al loro livello nella formazione dei cartelli, ma non di rado se ne chiede il rialzo o per valorizzare questo o quel gruppo nazionale, o per compensare la

diminuzione di entrate determinata dalla diminuzione della produzione, o infine per impedire che

di un abbassamento di tariffe possano giovarsi i terzi estranei all'accordo. E ancora una volta l'azione economica si mostra guidata da interessi particolari e contingenti, prima e più che dalla considerazione dell'utilità generale" (corsivo aggiunto); LYDIA DE NOVELLIS, L'unificazione, cit. a nota 17, 147. Ma cfr. il differente accoglimento che aveva la proposta nel settembre del 1931 dall'Arias, in GINO ARIAS, Paneuropa, cit. a nota 103.

108 ACHILLE ALBONETTI, Preistoria, cit. a nota 98, 51. Non riuscita la creazione di un sistema di controllo dei cartelli a livello internazionale come proposto nella Conferenza del 1927 e 1930, l'attenzione passò nel 1932 e 1933 alla valutazione dell'"importanza dei cartelli nell'evoluzione del ciclo di congiuntura e per l'equilibrio europeo, sia economico che politico", LADOR-LEDERER, Capitalismo mondiale, cit. a nota 24, 207. Riguardo a questo aspetto, il Lador-Lederer ricordava: "In questo senso sono da interpretare le conferenze economiche internazionali di Berlino del 1932 e di Londra del 1933. Di particolare interesse sono le conclusioni della Conferenza di Londra riguardo alle forme di controllo del commercio internazionale e il ruolo dei cartelli internazionali nel commercio internazionale (…). È opportuno, per concludere, riassumere brevemente le decisioni della conferenza di Londra:"

"1. La chiave per la soluzione dei problemi originati dalla depressione si trova nelle mani dei produttori di materie prime. Il potere di consumo delle popolazioni di questi paesi deve aumentare, e questo per mezzo di un aumento dei prezzi delle materie prime sino a raggiungere un livello ragionevole. 2. La regolamentazione per mezzo di cartelli (in verità si cercò di evitare questa terminologia) deve applicarsi soprattutto agli articoli di maggior importanza per il commercio internazionale e per i quali la mancanza di sbocchi reca crisi e cadute dei prezzi. 3. Le soluzioni adottate devono essere giuste per tutte le parti interessate, sia produttori che consumatori, e senza discriminazione tra un paese e l'altro. 4. Spetta ai governi dei paesi interessati di garantire che gli scopi degli accordi vengano realizzati".

"Il sistema proposto dalla conferenza di Londra è una fedele riproduzione degli accordi internazionali per le materie prime; esso rappresenta il massimo che ci si poteva attendere, in un periodo di completo disordine monetario, da chi intendesse seguire una politica liberistica e cercasse di risuscitare i mercati liberi", LADOR-LEDERER, Capitalismo

mondiale, cit. a nota 24, 208. 109 Come ricorda mestamente Albonetti: "Gli spiriti non erano ancora maturi e gli Stati,

di fronte alla crisi economica mondiale, cercarono di difendersi rafforzando le loro barriere doganali e commerciali e affermando ancora più fortemente i diritti derivanti dalla sovranità nazionale, piuttosto che attraverso la ricerca di una maggiore collaborazione e unità continentale", ACHILLE ALBONETTI, Preistoria, cit. a nota 98, 51. Come è stato scritto riguardo tale momento storico: "Quando ogni paese si volse a proteggere il proprio interesse

LA CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA EUROPEA

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9. I primi risultati positivi relativi al controllo dei cartelli tramite il Diritto

internazionale: il cartello dello stagno del 1931.

Le discussioni proposte nel 1927 e 1930 presentavano tra le finalità

quella di sottoporre ad un controllo internazionale i cartelli industriali. Nonostante il fallimento del progetto Briand e delle proposte della Commissione di studio sull'Unione europea, "un primo successo" in questo senso sembrò essere ottenuto nel 1931 "quando il 27 gennaio (…) fu firmato l'accordo per il controllo internazionale dello stagno, il primo di una serie di accordi del genere" 110.

Infatti, il cartello dello stagno era stato creato nel "luglio del 1929, sotto la pressione del corso rapidamente cedente dei prezzi" 111. Il cartello rappresentava "più della metà della produzione mondiale (…). Detto cartello era formato non dalla adesione di cartelli nazionali, ma esclusivamente dall'accordo di singole imprese produttrici di stagno (…). [L']organizzazione si proponeva di regolamentare la produzione del metallo, allo scopo di arrestare prima la caduta dei prezzi e poi di creare un prezzo dello stagno che consentisse un lavoro rimunerativo per i produttori mondiali" 112.

Il controllo internazionale sopra richiamato fu definito nel 1931 con la modifica del cartello a cui "avevano aderito i (…) Governi interessati" 113 (corsivo aggiunto). Infatti, nel 1931 "per l'aggravarsi delle condizioni del mercato dello stagno, parve necessario di procedere ad energiche limitazioni nella produzione del metallo per opera di un Comitato

appositamente creato, cioè del Comitato Internazionale dello Stagno" (corsivo aggiunto) 114. In altre parole, si presentava la novità di una partecipazione diretta degli Stati a fenomeni prevalentemente privati, cioè i cartelli industriali; e questo per il controllo e la gestione dei relativi settori economici oggetto dell'accordo tra imprese.

nazionale, l'interesse pubblico mondiale fu messo fuori gioco; e, insieme ad esso, l'interesse privato di tutti", Charles P. Kindleberger, citato in MICHEL BEAUD, Storia del capitalismo, cit. a nota 11, 200.

110 LADOR-LEDERER, Capitalismo mondiale, cit. a nota 24, 208. 111 GIULIO SCAGNETTI, Cartelli industriali internazionali, cit. a nota 61, 201. 112 GIULIO SCAGNETTI, Cartelli industriali internazionali, cit. a nota 61, 202. 113 GIULIO SCAGNETTI, Cartelli industriali internazionali, cit. a nota 61, 204. 114 GIULIO SCAGNETTI, Cartelli industriali internazionali, cit. a nota 61, 202.

SEZIONE III

IL RAPPORTO TRA I SINGOLI STATI E LA CARTELLIZZAZIONE: LA

NASCITA DEL DIRITTO STATALE DEI CARTELLI (1922 - 1933)

SOMMARIO: 10. La nascita del diritto statale dei cartelli negli anni '20. Le normative di controllo dei cartelli nella Repubblica tedesca, nella Repubblica francese e nel Regno d'Italia.

10. La nascita del diritto statale dei cartelli negli anni '20. Le normative di

controllo dei cartelli nella Repubblica tedesca, nella Repubblica francese

e nel Regno d'Italia.

In considerazione dell'assenza di organismi internazionali che

regolassero il commercio internazionale e gestissero le eventuali crisi dell'economia mondiale, i cartelli industriali continuarono a svolgere un rilevante ruolo nella disciplina — anche se tendenzialmente privatistica — del commercio. Anche in conseguenza delle conclusioni delle Conferenze del 1927 e del 1930 — consistenti nel rifiuto degli Stati di una forma di controllo dei cartelli a livello internazionale — tale controllo rimaneva una competenza esclusivamente nazionale.

Gli Stati europei cominciarono dall'inizio degli anni '20 ad emanare normative di controllo dei cartelli — anche tramite il riconoscimento di diritti ai partecipanti delle intese industriali — ma non disciplinando un divieto generale di accordi tra imprese o di comportamenti unilaterali "monopolistici", come nel caso dello Sherman Act statunitense.

Tali normative europee erano finalizzate agli evidenti interessi di tutela dell'economia nazionale, senza alcuna considerazione — in quel momento storico — ad un eventuale "interesse europeo comune" (come

LA CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA EUROPEA

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successivamente sarà nella CEE). Queste normative erano necessarie per limitare il potere economico di cui erano titolari "le imprese cartellizzate".

In Germania, "la terra classica dei cartelli, si è prima che altrove proceduto alla elaborazione di un sistema organico di disciplina dei cartelli, se si prescinde dalla legislazione antitrustica americana che risale già al 1890" 115. In Germania la prima normativa emanata in materia fu il "Decreto per il divieto dell'abuso del potere economico" del 2 novembre 1923 (Verordnung gegen Missbrauch wirtschaftlicher

Machtstellungen - cd. Kartellverordnung). Tale normativa prevedeva per la prima volta nell'esperienza tedesca la dichiarazione di nullità delle clausole di un accordo in caso di sfruttamento abusivo da parte dei membri del cartello del relativo potere economico. Inoltre, la normativa prevedeva una giurisdizione speciale per l'applicazione della stessa, cioè il Tribunale dei Cartelli (Kartellgericht) 116. Essendo questa normativa finalizzata al controllo — e non alla soppressione — delle intese tra concorrenti, successivamente al 1923 vi fu una costante crescita dei

115 FRANCESCO VITO, I sindacati industriali, cit. a nota 23, 198. Sulla disciplina dei

cartelli in Germania, tra le tante, v. FERDINAND BAUMGARTEN - ARTHUR MESZLÉNY, Kartelle und Trusts - Ihre Stellung im Wirtschafts- und Rechtssystem der wichtigsten

Kulturstaaten, Berlin, Verlag von Otto Liebmann, 1906; CLEMENS LAMMERS, Kartellgesetzgebung des Auslandes - Bericht an den Völkerbund für die internationale Wirtschaftskonferenz, Berlin, Carl Heymanns Verlag, 1927, p. 104; KURT WIEDENFELD, Kartelle und Konzerne, Berlin, Walter de Gruyter & Co, 1927; OSWALD LEHNICH, Kartelle

und Staat unter Berücksichtigung der Gesetzgebung des In- und Auslandes, Berlin, Verlag von Reimar Hobbing, 1928; CLEMENS LAMMERS, Internationale Industrie-Kartelle (Völkerbunds-

Denkschrift), Berlin, Carl Heymanns Verlag, 1930, p. 140; ERICH ERTEL, Internationale

Kartelle und Konzerne der Industrie, Stuttgart, C.E. Poeschel Verlag, 1930; HORST

WAGENFÜHR, Kartelle in Deutschland, Nürnberg, Verlag der Hochschulbuchhandlung Krische & Co, 1931; HORST WAGENFÜHR, Kartellverträge - Deutsche ausländische und

internationale Kartellverträge im Wortlaut, Nürnberg, Verlag der Hochschulbuchhandlung Krische & Co, 1931; HORST WAGENFÜHR, Kartellgesetzgebung in Deutschland, Nürnberg, Verlag der Hochschulbuchhandlung Krische & Co, 1933; FRITZ WERR, Internationale

Wirtschaftszusammenschlüsse, cit. a nota 62; HEINRICH FRIEDLÄNDER, Die Rechtspraxis der

Kartelle und Konzerne in Europa, Zürich, Polygraphischer Verlag, 1938; FRITZ

HAUSSMANN, Konzerne und Kartelle im Zeichen der "Wirtschaftslenkung", Zürich, Verlag für Recht und Gesellschaft A.G, 1938; EMIL EGGMANN, Der Staat und die Kartelle, Zürich, Dr. H. Girsberger Verlag, 1945.

116 ARNO BLUM, The law of trade combinations (trusts and konzerns) in Germany, in LESLIE SCOTT E ALTRI, Trade combinations in U. S. A., France, Germany, Poland, Paris, Librairie du Recueil Sirey, 1932, 135.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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cartelli; il numero delle intese in Germania crebbe infatti da 1500 nel 1923/24 a 2100 nel 1930 117.

Il 26 luglio del 1930 fu emanato il cd. decreto d'urgenza (Notverordnung), anche tale normativa finalizzata al controllo e non al divieto dei cartelli. In particolare, la funzione di tale Ordinanza era costituita dal controllo dei prezzi in conseguenza del periodo di iper-inflazione tedesca. La normativa aveva ad oggetto il divieto di accordi che fissassero i prezzi o che mantenessero i prezzi fissi 118. Interessanti sono le conseguenze giuridiche degli accordi in violazione di tale divieto. L'Ordinanza, in primo luogo, dichiarava nulli di diritto gli accordi in violazione dei divieti e, in secondo luogo, permetteva ai singoli di risolvere gli eventuali accordi stipulati in contrasto con le relative disposizioni. Accanto a queste prime due conseguenze, la Notverordnung ne stabiliva una terza. E cioè il Governo, in presenza di cartelli internazionali in violazione di questa normativa, aveva il potere di aumentare o ridurre i dazi doganali al fine di non rendere remunerativa la costituzione di simili accordi 119.

Infine, nel 1933 — successivamente alla presa del potere del governo nazionalsocialista — fu emanata la cd. legge sulla cartellizzazione obbligatoria (Zwangkartellgesetz) 120. In forza di tale disciplina il Ministro dell'economia era titolare del potere di statuire in ultima istanza sulla regolamentazione della produzione e degli investimenti dell'economia nazionale, in particolar modo per la creazione di cartelli obbligatori. Il Ministro poteva promuovere "trattative per la costituzione di tali unioni, regolare i diritti e i doveri

117 LYDIA DE NOVELLIS, L'unificazione, cit. a nota 17, 138, nota 1; FRANCESCO VITO, I

sindacati industriali, cit. a nota 23, 5, nota 20; v. anche HEINRICH KRONSTEIN, Cartel control:

a record of failure, in Recht und Wirtschaftliche Macht, 1946, Verlag C.F. Müller, Karlsruhe, 1962, p. 119.

Anche altri Stati europei emanarono dall'inizio degli anni '20 normative di controllo degli accordi industriali sul modello della normativa tedesca del 1923, e in particolare l'Ungheria, la Cecoslovacchia, la Bulgaria e la Danimarca; v. FRANCESCO VITO, I sindacati

industriali, cit. a nota 23, 200. 118 ARNO BLUM, The law of trade combinations, cit. a nota 116, 138. 119 ARNO BLUM, The law of trade combinations, cit. a nota 116, 139. 120 Per un approfondimento di questi aspetti, rinviamo a VITTORIO SALANDRA, Il

diritto delle unioni di imprese (consorzi e gruppi), Padova, A. Milani, 1934, 38, HARALD

FREISE, Wettbewerb und Politik in der Rechtsordnung des Nationalsozialismus Primat der

Politik und ständischer Gedanke im Kartell-, Wettbewerbs- und Organizationsrecht 1933-36, Baden-Baden, Nomos, 1994; ARNO BLUM, The law of trade combinations, cit. a nota 116, 125.

LA CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA EUROPEA

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dei partecipanti, vietare modifiche statutarie; si [riservava] su di esse un potere di sorveglianza e di ispezione". Era questo un modo per razionalizzare l'economia tedesca e — dopo alcuni anni — di organizzare lo sforzo bellico necessario al Reich nazista 121.

Con riferimento alla Francia, essa aveva previsto una disciplina specifica per gli accordi tra imprese già nel 1791. In particolare, con legge del 14 giugno 1791 (Loi Le Chapelier) erano state abolite, com'è noto, le corporazioni di arti e mestieri. Infatti, l'interesse generale e l'interesse individuale erano riconosciuti come gli unici aspetti degni di tutela, con la conseguente esclusione di ogni interesse di gruppo. La legge sanzionava penalmente, in quanto contrario all'interesse dei cittadini 122, ogni accordo di persone esercenti una stessa attività

121 L'interpretazione di Lador-Lederer è la seguente: "Man mano che si solleva il velo

sulla storia degli anni che precedettero la seconda guerra mondiale, con l'accumularsi della documentazione e degli studi che gettano una luce sempre pii cruda sugli avvenimenti e i loro artefici, lo storico prende come punto di partenza i calcoli politici tedeschi, divenuti nel frattempo del tutto trasparenti. Questi calcoli muovevano dall'idea che sarebbe stato più

agevole creare un impero economico autarchico, dissociato dal circuito economico mondiale,

anziché integrare la Germania nell'insieme dei piani di lotta comune contro la depressione. Lo studio della politica tedesca fornisce, del resto, la risposta al quesito se la storia avrebbe potuto prendere un corso diverso ove non fosse intervenuta la cattiva volontà degli « altri » (il « marxismo giudaico », la « plutocrazia ebraica », « quell'ubriacone di Churchill, « quel depravato di Roosevelt ») che rendeva la guerra inevitabile.. A dir il vero, l'analisi della psicologia dei Führers tedeschi prova a sufficienza come essi fossero guidati essenzialmente da moventi di carattere emotivo, provocati talora anche da stati patologici. È, tuttavia, giocoforza riconoscere che l'origine e il consolidamento del loro regime non poteva essere che l'opera di collaboratori ed esecutori perfettamente sani di spirito e pienamente coscienti. Si tratta, quindi, d'indagare le azioni e i moventi di coloro che portarono all'instaurazione del regime dei maniaci nazisti, che l'appoggiarono o tollerarono e ne trassero beneficio per lunghi anni, se si tiene presente che il primo ed unico tentativo di rivolta non avvenne che nel luglio 1944, quando ormai ogni speranza di vittoria tedesca era definitivamente svanita. Questo ci permette di renderci conto di come il freddo calcolo avesse preso il posto delle emozioni e

la pressione economica quello del coraggio guerriero. Su questo piano, è assai più utile conoscere per minuto l'attività della IG-Farbenindustrie che quella del partito nazionalsocialista, e di fronte a Schacht, demiurgo dell'impero economico, Hitler stesso non appare, che come l'esecutore di piani economici che gli erano imposti e che erano stati ideati da altri. Tuttavia, non avendo di mira che i loro interessi egoistici e non conoscendo la vera

portata delle armi economiche di cui credevano di sapersi servire con arte consumata, i grandi

industriali e uomini d'affari tedeschi giocarono, senza alcun senso di responsabilità e

dimenticando ogni regola di morale, un gioco doppiamente nefasto: nefasto per il regime capitalistico, di cui essi precipitarono la crisi, e nefasto per la pace del mondo", (corsivo aggiunto), LADOR-LEDERER, Capitalismo mondiale, cit. a nota 24, 5.

122 J. TCHERNOFF - P. O. LAPIE, Industrial and trade combinations under French law, in LESLIE SCOTT E ALTRI, Trade combinations in U. S. A., France, Germany, Poland, Paris, Librairie du Recueil Sirey, 1932, 49.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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economica tendente alla determinazione dei prezzi delle prestazioni e dei servizi.

Il Code penal del 1810 — sempre con riferimento alle intese tra imprenditori — previde ai sensi dell'art. 419 il reato di "accaparramento". Tale fattispecie comprendeva qualsiasi "riunione o coalizione di detentori di merci e di titoli pubblici (industriali, commercianti, banchieri) che avesse per effetto l'"alterazione" dei prezzi determinati dalla "concorrenza naturale e libera del commercio"" 123. Il fatto che la legge penale sanzionasse non la costituzione ex se di unioni tendenti a limitare la concorrenza, ma l'esercizio di una determinata influenza sul mercato ("alterazione dei prezzi"), determinò con il tempo una caratteristica giurisprudenza. Essa distingueva le coalizioni illecite (mauvaises unions) — cioè quelle intese che creavano artificialmente un nuovo livello di prezzo diverso da quello "normale" — dalle coalizione lecite (bonnes unions) — quali quelle che determinavano la modifica di prezzi ritenuti anormali rispetto ad un livello di prezzo ritenuto "normale" —. La decisione della normalità dei prezzi era rimessa all'apprezzamento dei giudici 124.

Negli anni '20 l'art. 419 del Code penal fu modificato dalla legge 3 dicembre 1926. Quest'ultima norma dichiarava punibili gli accordi e le coalizioni (al pari delle imprese isolate, quindi per il solo fatto di essere coalizioni) quando queste avessero provocato un'alterazione dei prezzi "allo scopo di procurarsi un lucro che non [sarebbe stato] il risultato del gioco naturale dell'offerta e della domanda" 125. L'assenza di un chiaro divieto dei cartelli e la previsione del vago concetto di "lucro artificiale" — con le conseguenti difficoltà di applicazione — determinò nel 1953 la modifica di tale normativa e la previsione del "délit de coalition", il cui testo sarà preso in considerazione per disciplinare il divieto di intese anticoncorrenziali di cui all'art. 81 TCE 126.

123 CHARLEY DEL MARMOL, Les Ententes industrielle, cit. a nota 86, 79. VITTORIO

SALANDRA, Il diritto delle unioni di imprese, cit. a nota 120, 28 124 CHARLEY DEL MARMOL, Les Ententes industrielle, cit. a nota 86, 79. VITTORIO

SALANDRA, Il diritto delle unioni, cit. a nota 120, 29. 125 VITTORIO SALANDRA, Il diritto delle unioni, cit. a nota 123, 29. 126 In Inghilterra non furono emanate normative di disciplina dei cartelli industriali

fino al 1948, quando fu emanato il Fair Trade Act. Fino ad allora furono emanate esclusivamente normative temporanee, come il Profeteering Act del 1919, limitato sostanzialmente al periodo post bellico. Però, in Inghilterra, anche in assenza di specifiche

LA CARTELLIZZAZIONE DELL'ECONOMIA EUROPEA

47

In Italia il fenomeno della costituzione di cartelli — e la conseguente previsione di discipline di controllo o divieto — è stato differente rispetto a quanto accaduto in Germania. Questo anche in considerazione del ritardo dello sviluppo industriale nazionale rispetto alla Germania e ad altre economie europee 127. In Italia le prime discipline in materia di cartelli furono emanate negli anni '30 in conseguenza dei principi dell'economia autarchica fascista, normative non di controllo ma di obbligo di costituzione dei cartelli .

La prima regolamentazione in materia fu la legge 16 giugno 1932 n. 834 relativa ai consorzi obbligatori (o, come recitava il titolo, "in materia di creazione e funzionamento delle associazioni di produttori che esercitano la loro attività all'interno di una medesima branca dell'economia"). Ai sensi di tale legge il Governo aveva l'obbligo di creare consorzi (rectius cartelli) in presenza della relativa richiesta da parte di più del 70% degli imprenditori del settore. La costituzione di cartelli per legge — anche in assenza della volontà di tutti gli imprenditori — seguiva il principio secondo cui la volontà della maggioranza delle imprese di un ramo industriale rispondeva alle esigenze dell'economia generale del paese 128. normative sui cartelli, rimanevano applicabili — come era stato negli Stati Uniti prima dell'emanazione dello Sherman Act — i principi di Common Law relativi al divieto di limitazione del commercio (Restraint of Trade); principi che — così come negli Stati Uniti d'America prima dell'emanazione della disciplina antitrust statale e federale — non furono sufficienti ad evitare la cartellizzazione dell'economia non costituendo — a differenza dello Sherman Act — disposizioni sufficienti a tutelare la concorrenza, CHARLEY DEL MARMOL, Les Ententes industrielle, cit. a nota 86, 69.

127 Carlo Cipolla, Storia facile dell'economia italiana dal medioevo a oggi, Milano, Mondadori, 1995, 160; PATRIZIO BIANCHI, La rincorsa frenata, cit. a nota 40, 28.

128 Per comprendere le basi ideologiche di una simile normativa, e per comprendere "l'atmosfera" in Italia nel 1939 riguardo al diritto dell'economia, riportiamo qui una parte della prefazione alla terza edizione del manuale di Vito: "L'organizzazione economica e, in particolare, gli aggruppamenti delle imprese, hanno subìto negli ultimi anni una profonda trasformazione. Il posto della coalizione di imprese nella vita economica è oggi notevolmente diverso da quello che essa aveva dieci anni or sono. L'individualismo economico, vale a dire l'ordinamento ispirato all'idea che la vita economica debba essere regolata dalle forze naturali manifestatisi nel libero agire dei singoli e non debba essere turbata da alcuna azione artificiale, dello Stato o dei privati, viene ormai progressivamente abbandonato. In tutti i paesi economicamente progrediti, e finanche in quelli che, sul terreno politico, affermano di essere fedeli ai principi democratici si vengono attuando sistemi più o meno completi di economia regolata. Le coalizioni di imprese, quale forma di protesta contro equilibrio automatico fra la produzione e il consumo, lungi dall'essere considerate come «corpi estranei» al sistema equilibratore dell'economia, acquistano invece

pieno diritto di cittadinanza nell'economia moderna. Ciò si verifica in maniera anche più

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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Successivamente fu emanato il Decreto 16 aprile 1936 (convertito in legge 22 aprile 1937). Tale decreto ordinava la comunicazione obbligatoria alla competente corporazione dei bilanci dei cartelli e di una relazione sulla loro attività 129. In questo modo il Ministro dell'economia poteva definire, sulla base delle indicazioni fornite dalla corporazione stessa, le direttive ai sensi delle quali il cartello doveva modificare la politica di produzione o di vendita. Le normative emanate non ebbero però grande rilevanza viste le regolamentazioni speciali definite nel quadro della politica economica dirigista dello Stato fascista 130.

evidente, nell'economia corporativa che, attuando, in vista del conseguimento della giustizia sociale, la disciplina unitaria, organica e totalitaria della produzione e del mercato, e chiamando a realizzarla le categorie produttrici, sotto l'egida dello Stato, trova nelle spontanee

intese fra imprenditori uno strumento efficace" (corsivo aggiunto), FRANCESCO VITO, I sindacati industriali - cartelli e gruppi, 3a ed., Milano, Giuffrè, 1939.

Sulla disciplina italiana di quel periodo, v. tra i tanti VITTORIO SALANDRA, Il diritto, cit. a nota 124; CHARLEY DEL MARMOL, Les Ententes industrielle, cit. a nota 86; V. anche TULLIO ASCARELLI, Note preliminari sulle intese industriali (cartelli e consorzi), in Rivista

italiana per le Scienze giuridiche, 1933, p. 90; FRANCESCO VITO, I sindacati industriali, cit. a nota 23, 5.

129 V. CHARLEY DEL MARMOL, Les Ententes industrielle, cit. a nota 86, 115. 130 V. CHARLEY DEL MARMOL, Les Ententes industrielle, cit. a nota a nota 86, 115;

TULLIO ASCARELLI, Consorzi volontari tra imprenditori, Milano, Giuffrè, 1937, 141; ARTURO

CAPUTO, I consorzi d'imprese, Milano, Giuffrè editore, 1938; REMO FRANCESCHELLI, I

consorzi industriali, Milano, CEDAM, 1939; FRANCESCO MILANI, Contributo alla teoria dei

consorzi nello Stato corporativo, Milano, Giuffrè, 1942.

CAPITOLO II

LO SCIOGLIMENTO DEL CARTELLO MONDIALE DELL'ACCIAIO, LA NASCITA DELLA CECA E IL

FALLIMENTO DELLA CED

SOMMARIO: 11. Il problema del commercio europeo dopo la seconda guerra mondiale. I problemi conseguenti allo scioglimento del cartello mondiale dell'acciaio. — 12. I tentativi di ricostituire il cartello dell'acciaio. La "dichiarazione Schuman", l'assenza del riferimento a normative antitrust e i dubbi di Monnet riguardo alla natura dell'organizzazione. La previsione delle norme antitrust nel Trattato CECA e l'influenza degli Stati Uniti d'America. — 13. Il Trattato CECA, le relative finalità e il concetto di concorrenza normale. Le norme antitrust del Trattato. — 14. Il fallimento della CED e l'incapacità degli Stati di creare un'organizzazione politica europea.

11. Il problema del commercio europeo dopo la seconda guerra mondiale. I

problemi conseguenti allo scioglimento del cartello mondiale

dell'acciaio. I tentativi di ricostituire il cartello dell'acciaio.

A conclusione della seconda guerra mondiale, mentre a livello

internazionale si cercava con la Carta dell'Avana di controllare i cartelli internazionali 131, a livello europeo il controllo delle intese industriali —

131 Successivamente alla conclusione della seconda guerra mondiale si cercò di

elaborare a livello internazionale alcune modalità con le quali controllare i cartelli internazionali. In particolare, già nel 1948 la cd. Carta dell'Avana, documento redatto durante la Conferenza internazionale del commercio e del lavoro, prevedeva al capitolo V una disciplina relativa alle pratiche restrittive della concorrenza internazionale. Tali norme non prevedevano, però, né un divieto contro le intese industriali, né una condanna di principio. Diversamente, esse prevedevano un elenco di pratiche che sarebbero potute essere censurate dall'organizzazione internazionale. Ogni paese si obbligava a partecipare alla sorveglianza internazionale dei cartelli esclusivamente ai sensi delle proprie normative nazionali e in linea con la propria politica economica. L'organizzazione poteva esclusivamente presentare delle raccomandazioni agli Stati membri. La cd. Carta

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

50

dopo alcuni tentativi in sede di Consiglio d'Europa (1949) e di Commissione economica per l'Europa (1950) 132 — si inserì quale elemento centrale del processo di integrazione europea.

A sua volta l'obiettivo di unificazione europea "incrociò" problemi "ben più concreti", cioè la necessità di definire i principi della regolamentazione del commercio europeo successivamente alla fine della seconda guerra mondiale. Infatti, il commercio prima della seconda guerra mondiale era stato sostanzialmente organizzato — in assenza di una specifica disciplina di Diritto internazionale — dalle stesse imprese tramite accordi internazionali di cartello. Successivamente alla seconda guerra mondiale risultava necessario, quindi, definire le modalità di tale disciplina e decidere — come la stessa Carta dell'Avana dimostrava — se continuare ad utilizzare o meno i cartelli quali "strumenti di regolamentazione" del commercio.

In Europa uno dei settori industriali strategici che richiedeva la definizione di regolamentazione era il settore dell'acciaio a cui si univa — come individuato supra — il problema del commercio del combustibile essenziale per la relativa produzione, cioè il carbone. Tale settore in conseguenza della dimensione delle imprese, delle particolarità economiche (ad es., costi fissi di produzione alti, ciclicità economica) e della particolare distribuzione geografica delle materie prime (cioè il ferro e il carbone), aveva richiesto — dalla metà degli anni '20 — la creazione del cartello dell'acciaio (la cd. Comunità

dell'acciaio), cartello poi sciolto nel 1939. Dopo la guerra, anche in questo settore si poneva il problema— per motivi molto concreti anche in considerazione dello scioglimento del cartello stesso — di definire la disciplina del commercio (quanto meno intra-europeo) di tale settore. Tale "necessità concreta" di definire una disciplina "europea" aveva portato a tentativi di ricostituire lo stesso cartello dell'acciaio. Infatti, verso la fine del 1949 e all'inizio del 1950 "i rappresentati dei produttori

dell'Avana fu sottoscritta dalle parti ma non fu mai ratificata; v. PAOLO PICONE - ALDO

LIGUSTRO, Diritto dell'organizzazione mondiale del commercio, Padova, CEDAM, 2003, 7. 132 Successivamente alla Conferenza economica internazionale ed alle proposte in essa

contenute, vi furono altre due proposte che collegavano tra loro il controllo dei cartelli internazionali e l'unificazione europea. Il primo fu quello riferito al Consiglio dell'Europa (15 - 16 dicembre 1949) e, successivamente, quello della Commissione economica per l'Europa (1950). Riguardo al contenuto delle proposte, v. CHARLEY DEL MARMOL, Les

Ententes industrielle, cit. a nota 86, 37 ss..

LO SCIOGLIMENTO DEL CARTELLO DELL'ACCIAIO E LA CECA

51

di acciaio di Germania, Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo, Svezia, Svizzera e probabilmente Inghilterra tentarono di creare accordi per la vendita di molti beni" 133.

A tal fine, dietro lo stimolo dei paesi del Benelux — Stati le cui imprese avevano partecipato direttamente al cartello dell'acciaio degli anni '20, così come le imprese di tutti gli Stati che firmeranno il Trattato CECA — si progettò nel 1950 la creazione di un'organizzazione che ponesse, in primo luogo tra Francia e Germania, la gestione in comune della produzione del carbone e dell'acciaio 134.

Tale obiettivo fu definito nelle sue linee fondamentali nella cd. "Dichiarazione Schuman". In essa il Ministro degli esteri francese espresse la volontà di un gruppo di Stati di organizzare la produzione di carbone e di acciaio attraverso lo stabilimento — in opposizione a

quella che era stata l'impostazione del progetto Briand degli anni '30 135 — di una organizzazione la quale fosse gestita da un organo "sopranazionale", cioè indipendente dall'influenza degli Stati membri partecipanti. Tale obiettivo, ad avviso della dichiarazione Schuman, era finalizzato ad eliminare i motivi che avevano determinato il secondo conflitto mondiale, eliminando — in ultima istanza — la possibilità stessa di un simile conflitto 136. Nelle intenzioni espresse dal Ministro francese tale organizzazione di tipo economico era solo il primo passo verso un più ampio progetto di unione politica europea.

Ciò detto, da quanto supra individuato, la proposta organizzazione, in concreto, rappresentava la necessità di superare la "contraddizione" tra la dimensione territoriale degli Stati e la dimensione delle imprese — e del campo delle loro attività, che superava la stessa dimensione territoriale degli Stati —, contraddizione rimasta irrisolta alla fine della seconda guerra mondiale.

133 WYATT C. WELLS, Antitrust, cit. a nota 137, 172. 134 REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente zum Europäischen

Recht (Band 3) - Kartellrecht (bis 1957), Berlin, Springer Verlag, 2000, xxi. 135 Sebbene lo stesso ministro degli esteri Robert Schuman il 9 maggio 1950 farà

indirettamente cenno al progetto Briand, tale progetto — come è stato sostenuto — era, a differenza del Trattato di Roma, non una forma di "integrazione" ma di "cooperazione" tra gli Stati; v. sul punto ELLINOR VON PUTTKAMER, Der Briand-Plan, cit. a nota 96.

136 V. CHARLEY DEL MARMOL, Les Ententes industrielle, cit. a nota 86, 38.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

52

12. I tentativi di ricostituire il cartello dell'acciaio, La "dichiarazione

Schuman", l'assenza del riferimento a normative antitrust e i dubbi di

Monnet riguardo alla natura dell'organizzazione. La previsione delle

norme antitrust nel Trattato CECA e l'influenza degli Stati Uniti

d'America.

Relativamente alla disciplina dei cartelli industriali, la

"dichiarazione Schuman" non conteneva inizialmente alcun espresso riferimento al problema dei cartelli 137. Nella dichiarazione del 9 maggio 1950 si chiariva esclusivamente che "contrariamente ad un cartello internazionale (…) l'organizzazione progettata assicurerà la funzione dei mercati e l'espansione della produzione", inciso redatto di proprio pugno da Jean Monnet il 28 aprile 1950 138. Tale riferimento fu approfondito in una nota allegata alla dichiarazione Schuman lo stesso 9 maggio 1959 139.

Riguardo alla natura della organizzazione prevista dalla dichiarazione, i documenti ufficiali mostrano come lo stesso Monnet si ponesse il problema se l'organizzazione così definita non fosse a tutti gli effetti un cartello industriale. Egli sosteneva: "Non vogliamo un cartello, (…) ma siamo in cartello. Ogni decisione sui prezzi determina un sistema simile a quello di un cartello" (v. infra § 13) 140.

Il dubbio di Monnet probabilmente era da ricondurre al fatto che quanto previsto nel progetto Schuman — cioè la partecipazione di Stati membri alla gestione di un cartello industriale — non era una novità. Infatti, come sottolineato supra, lo stesso cartello dello stagno — così

137 Infatti, nel progetto iniziale del Trattato non si faceva cenno a norme che vietassero

"cartelli tra imprese". Tale assenza fu presto notata dagli Stati Uniti, i quali in quel periodo stavano organizzando finanziamenti per i paesi dell'Europa occidentale al fine della riorganizzazione dell'economia. Gli USA temevano infatti che la CECA, sulla scia degli accordi degli anni 1920 relativi a tale settore — il settore dell'acciaio era infatti caratterizzato da numerosi "cartelli" a livello internazionale, v. supra —, volesse far rinascere un "cartello di produzione" di dimensione europea in tale settore; WYATT C. WELLS, Antitrust and the formation of the postwar world, New York, Columbia University Press, 2002, 163 ss..

138 REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, doc. 3. 139 REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, xxi. 140 Dal testo riportato da Schulze - Thomas: "Wir wollen kein Kartell (...), aber wir

sind im Kartell. Jede Festsetzung von Preisen führt zu einem kartellnahen System", in REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, xxi, nota 15.

LO SCIOGLIMENTO DEL CARTELLO DELL'ACCIAIO E LA CECA

53

come modificato nel 1931 — prevedeva la partecipazione diretta di Stati membri alla gestione dell'accordo 141.

Successivamente Monnet — in un documento di lavoro del 24 giugno 1950 consegnato a tutte le Delegazioni nazionali — chiariva che tra gli obiettivi dell'organizzazione sarebbe dovuto essere prevista l'eliminazione delle "pratiche di cartello" 142.

È stato sostenuto che la decisiva spinta all'inserimento della normativa antitrust nel Trattato CECA sia stata fornita dal governo americano 143. È certo però che il 4 ottobre 1950 Jean Monnet stesso, durante un incontro con i direttori delle delegazioni, "ammonì con veemenza" 144 che, in assenza di chiare norme di divieto dei cartelli, il governo americano non avrebbe concesso alcun contributo finanziario per il progetto della Comunità del carbone e dell'acciaio" 145, fatto di cui lo stesso Hallstein, Segretario di Stato tedesco, era a conoscenza 146. Questa impostazione degli Stati Uniti d'America, volta ad evitare la nuova cartellizzazione dell'economia europea e in particolare di quella tedesca, era stata espressa chiaramente in una lettera interna dallo stesso Presidente degli Stati Uniti, Franklin D. Roosevelt, del 6 settembre 1944 diretta al Ministro degli esteri statunitense 147. Per tale motivo non

141 V. anche GIULIO SCAGNETTI, Cartelli industriali internazionali, cit. a nota 61, 204. 142 REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, xxi. 143 REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134,

documento 7; DAVID J GERBER, Law and competition in twentieth century Europe : protecting

Prometheus, Oxford, Oxford University Press, 1998; WYATT C. WELLS, Antitrust, cit. a nota 137, xxi.

144 Così REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, xxii.

145 REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, xxii; WYATT C. WELLS, Antitrust, cit. a nota 137, xxi.

146 Infatti, nella relazione della seduta del 19 ottobre 1950 della Commissione interministeriale per lo Schuman Plan relativa alla discussione dell'andamento delle negoziazioni per il Trattato CECA si legge: "11. Kartelle — Staatssekr. Hallstein wies darauf hin, daß gewisse kartellfreundliche Formulierungen des französischen Memorandums durch Herrn Monnet zum Anlaß genommen worden sind, die Frage noch einmal im Sinne einer Verschärfung aufzugreifen. Bei den Gedanken von Herrn Monnet spiele wohl auch der amerikanische Wunsch auf eine Ablehnung aller kartellartigen

Einrichtungen mit, ein Wunsch, der dadurch, daß er durch das von den USA später zu gebende

Geld gestützt wird, besonderes Gewicht bekommt. Die Kartellfrage wird unter diesen Gesichtspunkten von französischer Seite nochmals geprüft. Auch vom Bundesministerium für Wirtschaft wird ein entsprechender Vorschlag erbeten und zugesagt" (corsivo aggiunto).

147 "Letter of the President of the United States to the Secretary of State Concerning Cartel Policies. September 6, 1944. To the Secretary of State. Dear Mr. Secretary. During the past half century the United States has developed a tradition in opposition to private

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

54

solo Monnet chiarì — come già indicato — che la natura della CECA non era quella di un cartello del settore del carbone e dell'acciaio, ma si assunse il compito di redigere di proprio pugno i principi cardine della normativa antitrust europea; in essi si affermava che tra le finalità del Trattato CECA vi era appunto quella di vietare accordi tra concorrenti.

13. Il Trattato CECA, le relative finalità e il concetto di "concorrenza

normale. Le norme antitrust del Trattato.

Il Trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e

dell'acciaio fu firmato a Parigi il 18 aprile 1951 da Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Olanda, e ed entrò in vigore il 23 luglio 1952 per una durata di 50 anni, e cioè fino al 23 luglio 2002.

Gli obiettivi del Trattato erano costituiti dall'espansione dell'economia, dell'aumento dell'occupazione e del miglioramento delle condizioni di vita negli Stati membri (art. 2 TCECA). Le azioni per ottenere tali obiettivi erano il fornire un regolare e uguale accesso a tutti i beni e ai mercati oggetto del Trattato, il fornire incentivi per un razionale sviluppo del commercio e l'aumento della produzione (art. 3

monopolies. The Sherman and Clayton Acts have become as much a part of the American way of life as the due-process clause of the Constitution. By protecting the consumer against monopoly these statutes guarantee him the benefits of competition".

"This policy goes hand in glove with the liberal principles of international trade for which you have stood through many years of public service. The trading agreement program has as its objective the elimination of barriers to the free flow of trade in international commerce; the antitrust statutes aim at the elimination of monopolistic restraints of trade in interstate and foreign commerce".

"Unfortunately, a number of foreign countries, particularly in continental Europe, do not possess such a tradition against cartels. On the contrary, cartels have received encouragement from some of these governments. Especially is this true with respect to Germany. Moreover, cartels were utilized by the Nazis as governmental instrumentalities to

achieve political ends. The history of the use of the I.G. Farben trust by the Nazis reads like a

detective story. Defeat of the Nazi armies will have to be followed by the eradication of these weapons of economic warfare. But more than elimination of the political activities of German

cartels will be required. Cartel practices which restrict the free flow of goods in foreign commerce

will have to be curbed. With international trade involved, this end can be achieved only through collaborative action by the United Nations".

"I hope that you will keep your eyes on this whole subject of international cartels, because we are approaching the time when discussions will almost certainly arise between us and other nations. Very sincerely yours, Franklin D. Roosevelt" (corsivo aggiunto). Sul punto v. anche REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, xxii.

LO SCIOGLIMENTO DEL CARTELLO DELL'ACCIAIO E LA CECA

55

TCECA). In altre parole, il Trattato istituiva in questo modo una disciplina "internazionale" (rectius un mercato comune, art. 2 TCECA, anche se limitato ai sei Stati membri firmatari) per il settore del carbone e dell'acciaio, disciplina richiesta — in ultima istanza — dallo scioglimento nel 1939 del cartello mondiale dell'acciaio.

In quanto incompatibili con queste finalità erano vietate agli Stati membri ed ai privati le seguenti quattro categorie di comportamenti: 1. tariffe e restrizioni quantitative, 2. discriminazioni e misure dirette a mettere in difficoltà gli acquirenti nella scelta del fornitore; 3. aiuti e tasse speciali; 4. misure restrittive tendenti alla divisione o sfruttamento del mercato (art. 4 TCECA).

Il Trattato CECA prevedeva espressamente — come mezzo per raggiungere i fini del Trattato — che la Comunità avrebbe "dovuto assicurare lo stabilimento, il mantenimento e l'osservanza di normali condizioni di concorrenza" (art. 5 TCECA). In questo senso il modello di concorrenza tutelata dal TCECA non era la "libera concorrenza" — come sarà nel Trattato di Roma — ma la "concorrenza normale". Il concetto di concorrenza "normale" si riferiva al fatto che essa era espressamente finalizzata ad obiettivi quali l'espansione, l'organizzazione razionale, l'adeguata occupazione e la stabilità 148.

Con riferimento alle norme antitrust disciplinate dal Trattato, queste erano previste dagli artt. 65 TCECA e 66 TCECA 149. La prima norma riguardava il divieto di intese, la seconda le concentrazioni (art. 66(1) TCECA) e l'uso di una posizione dominante per fini contrari agli obiettivi del Trattato (art. 66(7) TCECA). Tali norme, a differenza di quanto sarà poi previsto dal Trattato CEE, erano applicabili esclusivamente al settore oggetto del Trattato CECA, cioè al settore del carbone e dell'acciaio.

148 Sulla differenza tra il concetto di concorrenza nel Trattato CECA e nel TCE, v.

HEINRICH KRONSTEIN, The Significance of the Provisions concerning Restraints of

Competition within the total Perspective of the European Coal and Steel Community Treaty and the European Economic Community Treaty, in Cartel and Monopoly in Modern Law, Karlsruhe, Verlag C.F. Muller, 1961, p. 131.

149 NICOLA CATALANO, La Comunità economica europea e l'Euratom, Milano, Giuffrè, 1957; GIANNANTONIO GUGLIELMETTI, La concorrenza e i consorzi, Torino, Unione tipografico-editrice torinese, 1970, p. 416 ss..

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

56

Di particolare importanza nel sistema del Trattato CECA era il ruolo svolto dall'Alta Autorità 150, organo "sovranazionale" — come definito dal Trattato stesso —. La natura sovranazionale dell'organo era finalizzata affinché gli Stati membri non potessero direttamente intervenire con il proprio peso politico (e con gli interessi da essi rappresentati) nella gestione del mercato disciplinato dal TCECA. L'Alta Autorità disponeva, in particolare, di un ampio potere per controllare e gestire le industrie del carbone e dell'acciaio. Essa poteva riconoscere "finanziamenti, modificare i piani d'investimento, allocare i prodotti durante periodi di limitata disponibilità, stabilire quote durante i periodi di crisi, fissare prezzi minimi e massimi in via generale o per il commercio estero, intervenire per porre fine a discriminazioni degli Stati membri, autorizzare l'assistenza alle imprese da parte degli Stati membri, autorizzare piani di compensazione al fine di mantenere un livello basso dei prezzi" 151.

Allo scadere dei 50 anni di vigenza del Trattato — cioè nel 2002 — l'evoluzione del mercato dell'acciaio, la crescita delle dimensioni delle imprese, la razionalizzazione del mercato europeo avvenuta nel corso degli anni, permise di non dover ulteriormente sottoporre tale settore ad una disciplina speciale quale quella del Trattato CECA. Conseguentemente il settore del carbone e dell'acciaio è stato assorbito integralmente nel campo di applicazione del Trattato CE, e quindi nella disciplina relativa al "mercato comune" e alla "concorrenza non falsata".

150 Riguardo alla struttura istituzionale del Trattato, esso prevedeva quali organi:

un'Alta autorità, organo esecutivo autonomo rispetto agli Stati membri; un'Assemblea con il potere di imporre lo scioglimento dell'Alta autorità; un Consiglio con il compito di approvare le decisioni e provvedimenti di maggiore rilevanza; una Corte con finalità di tutela giurisdizionale. Accanto a questi quattro organi era previsto un Comitato consultivo rappresentativo degli interessi privati, NICOLA CATALANO, La Comunità economica, cit. a nota 149; RICHARD HAMBURGER, A inter-relationship of the Cartel, Monopoly and Merger

Provisions of the European Coal and Steel Community Treaty, in Cartel and Monopoly in Modern Law, Karlsruhe, Verlag C.F. Müller, 1961, p. 243; HEINRICH KRONSTEIN, The

Significance of the Provisions concerning Restraints of Competition, a nota 148; HANS VON DER

GROEBEN, Die Aufgaben der Wettbewerbspolitik im Gemeinsamen Markt und in der

Atlantischen Partnerschaft, in Wirtschaft und Wettbewerb, 1964, p. 1003. 151 CORWIN D. EDWARDS, Control of cartels and monopolies an international comparison,

Dobbs Ferry, N.Y, Oceana Publications, 1967, 243.

LO SCIOGLIMENTO DEL CARTELLO DELL'ACCIAIO E LA CECA

57

14. Il fallimento della CED e l'incapacità degli Stati di creare

un'organizzazione politica europea.

Per concludere la sezione relativa al Trattato CECA — Trattato

inteso come soluzione al regime post-bellico degli scambi nel settore del carbone e dell'acciaio, ma anche come primo passo dell'unificazione del

territorio europeo — è necessario richiamare l'esperienza della Comunità europea di difesa; e ciò al fine di comprendere la nascita del Trattato CEE e il significato del "mercato comune" da esso disciplinato.

Infatti, il passo successivo dell'organizzazione di una Europa unita fu, com'è noto, la costituzione di una Comunità europea di difesa (CED). L'obiettivo di tale accordo era quello di creare una struttura di difesa ponendo in comune le organizzazioni militari degli Stati ad essa partecipanti. Inoltre, nel progetto di Trattato, si prevedeva all'art. 38 "l'impegno di studiare e progettare una Autorità politica europea" (il cd. Cappello politico della futura Comunità) 152. Nel 1954 tale progetto fallì a seguito della mancata ratifica del Trattato da parte della Repubblica francese 153.

Tale fallimento confermò ciò che era stato già dimostrato nel 1930 con il Progetto Briand, e cioè l'incapacità degli Stati europei (almeno in quel momento) di procedere alla organizzazione dello spazio europeo su base politica.

152 ACHILLE ALBONETTI, Preistoria, cit. a nota 98, 146. 153 ACHILLE ALBONETTI, Preistoria, cit. a nota 98, 144.

CAPITOLO III

LA "CRISI" IN EUROPA DELLA FORMA "STATO" E LA "NECESSITATA" ISTITUZIONE DELLA CEE. LA NASCITA

DEL DIRITTO COMUNITARIO DELLA CONCORRENZA

SOMMARIO: 15. La conferenza di Messina e la "Relazione Spaak". Le differenze tra il progetto della Commissione di studio per l'Unione europea del 1930 e la "Relazione Spaak" del 1955. — 16. L'istituzione del Trattato CEE. Il mercato comune come spazio fondato sulla concorrenza tra imprese e i suoi "nemici": la nascita della res

publica comunitaria. La previsione di una normativa antitrust e il passaggio dal diritto statale dei cartelli al diritto comunitario della concorrenza. — 17. Brevi cenni sul processo di integrazione europea dal Trattato CEE al Trattato costituzionale. — 18. I cartelli industriali e il processo di integrazione europea del XX secolo: una prospettiva storica. Le "ricadute" del principio di uguaglianza tra imprese nel mercato interno (artt. 81 e 82 TCE — artt. 161 e 162 Cost. eu.) per l'uguaglianza degli Stati membri tra di loro (art. 5 Cost. eu.) e sull'istituzione della "Cittadinanza europea" (art. 10 Cost. eu.). Il diritto di iniziativa economica e il futuro dell'Unione europea.

15. La conferenza di Messina e la "Relazione Spaak". Le differenze tra il

progetto della Commissione di studio per l'Unione europea del 1930 e la

"Relazione Spaak" del 1955.

Nel 1955 i paesi del Benelux si fecero nuovamente promotori di una

convenzione per organizzare in modo duraturo e pacifico la collaborazione tra gli Stati europei 154. Il fallimento della CED — così come il fallimento del progetto di Unione europea del 1931 — aveva chiarito l'impossibilità che tale collaborazione fosse fondata su basi strettamente politiche e imponeva la definizione di una differente strategia. Lo sviluppo e la crescita dell'industrializzazione europea

154 REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, xxv.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

60

permisero (rectius richiesero) che tale progetto si fondasse su basi economiche.

I principi di tale piano, definiti nella Conferenza tenuta a Messina nel 1955 ed espressi nella "Relazione finale" (cd. Relazione Spaak, dal cognome del Ministro belga estensore) 155, si caratterizzavano per una impostazione diametralmente opposta rispetto a quelli formulati appena 25 anni prima nella Conferenza internazionale del 1930, v. supra § 7.

La strategia di tale organizzazione si fondava infatti sulla creazione di uno spazio europeo comune basato sulla "concorrenza non falsata" tra imprese ed era fondato — in frontale opposizione al progetto Briand — sui seguenti principi: 1. un'organizzazione internazionale autonoma; 2. la limitazione di parte della sovranità degli Stati membri per le finalità del Trattato; 3. il primato dell'economia sulla politica.

Per quanto riguarda più specificamente i principi di regolamentazione dell'economia, il progetto Spaak si fondava su due aspetti: 1. la creazione di un'unione doganale all'interno della quale fosse tutelata la concorrenza tra imprese; 2. l'illiceità dei cartelli e dei comportamenti abusivi unilaterali delle imprese.

Le profonde differenze di questa impostazione sono chiare se si tiene presente il progetto francese degli anni '30. Questo ultimo — al fine del riavvicinamento economico tra gli Stati membri — si fondava su opposti principi, e cioè la costituzione di un'unione doganale ottenuta tramite i cartelli industriali, cartelli che sarebbero stati alla base della disciplina del sistema economico.

16. L'istituzione del Trattato CEE. Il mercato comune come spazio fondato

sulla concorrenza tra imprese e i suoi "nemici": la nascita della res publica comunitaria. La previsione di una normativa antitrust e il

passaggio dal diritto statale dei cartelli al diritto comunitario della

concorrenza.

Il Trattato della Comunità economica europea fu firmato il 25

marzo 1957 dai sei Stati membri già firmatari del Trattato CECA ed

155 REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, xxv.

L'ISTITUZIONE DELLA CEE E IL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

61

entrò in vigore il 1 gennaio 1958 per un periodo indeterminato, così come il Trattato Euratom 156.

Le finalità della Comunità erano definite all'art. 2 TCEE (1957), e cioè — oltre all'obiettivo ultimo del mantenimento della pace indicato nelle Premesse — lo sviluppo armonioso delle attività economiche nell'insieme della Comunità, un'espansione continua ed equilibrata, una stabilità accresciuta, un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita e più strette relazioni fra gli Stati che ad essa partecipano". Lo stesso art. 2 prima parte TCEE (1957) indicava i mezzi per raggiungere tali finalità; e cioè "la creazione di un mercato comune e il ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri". L'art. 3(1) TCEE (1957) disciplinava infine le azioni per il raggiungimento di quanto previsto dall'art. 2 TCEE (1957) 157.

In particolare, il "mercato comune" di cui all'art. 2 TCEE (1957) era costituito per far sì che le imprese 158 operanti nei vari Stati membri potessero svolgere la propria attività in concorrenza tra loro senza discriminazione sulla base della nazionalità.

In questo senso il "mercato comune" costituiva la nascita di una res

publica comunitaria. Per la prima volta gli Stati europei — in opposizione a quanto successo nei decenni precedenti — si univano per creare un proprio "bene comune" tutelato anche nell'interesse dei

156 Il 25 marzo 1957 fu firmato a Roma — oltre al Trattato CEE — anche il Trattato

della Comunità Atomica Europea (Euratom), anch'esso entrato in vigore il 1 gennaio 1958. Il Trattato Euratom non disciplina una specifica normativa antitrust e, per quanto riguarda l'oggetto del presente lavoro, non sarà ulteriormente oggetto di analisi. In tale Trattato sono presenti norme che riguardano brevetti per invenzioni industriali e modelli d'utilità, in particolare sulle licenze (cfr. artt. 12, 13, 14, 15, 16, 17, 22, 24, 28 del Trattato). V. GIANNANTONIO GUGLIELMETTI, La concorrenza e i consorzi, cit. a nota 149, p. 416 ss..

157 Il Trattato CEE poneva quindi degli obiettivi di carattere prettamente economico. In questo conviveva, però, come sostenuto da Hallstein — uno dei fondatori della Comunità e primo Presidente della Commissione — un obiettivo evidentemente politico che non si risolveva con la sola stipulazione del Trattato CEE; v. WALTER HALLSTEIN, Wirtschaftliche Integration als Faktor politischer Einigung, in Festgabe für Alfred Müller-

Armack, Berlin, Duncker & Humbolt, 1961, p. 267. 158 A ben vedere, l'intero procedimento di integrazione del territorio europeo nasce —

e si fonda tutt'oggi — sulla creazione e tutela di un "mercato comune" (rectius mercato interno) — come indicato dall'art. 2 prima parte TCE e dall'art. 3(2) Cost. eu. —. Lo stesso "riavvicinamento delle politiche economiche" previsto dall'art. 2 TCEE (1957) — o "l'unione economica e monetaria", così come previsto dall'art. 2 TCE dopo le modifiche del Trattato di Maastricht — così come la tutela dei diritti fondamentali (art. 6 TUE) si fondano sul prius logico dell'esistenza del "mercato comune".

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cittadini degli Stati membri; i cittadini, infatti, tramite le norme di tutela del "mercato comune" divenivano titolari di diritti soggettivi comunitari 159.

Il mercato comune europeo doveva essere perciò tutelato dai relativi "nemici", cioè dalle "spinte" che tendevano (e tendono tutt'ora) a ricondurre il "mercato comune" da uno spazio comune europeo alla sommatoria di singoli mercati nazionali (restringendo quindi la concorrenza all'interno di esso al fine di limitare — in ultima istanza — i vantaggi per i cittadini europei): "nemici" sia "interni" che "esterni" alla CEE 160.

I "nemici interni" nei confronti dei quali il TCEE tutelava il "mercato comune" potevano essere tanto gli Stati membri quanto i privati.

A tutela del mercato comune contro le attività degli Stati membri il TCEE prevedeva: 1. il divieto di limitare la circolazione delle imprese, dei fattori di produzione e dei lavoratori dipendenti sulla base di discriminazioni fondate sulla nazionalità (cioè le quattro libertà fondamentali comunitarie); 2. la competenza di armonizzare le "disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che [avevano] un'incidenza diretta sull'instaurazione o sul funzionamento del mercato comune" (art. 100 TCEE (1957) ss.); 3. le norme di tutela della concorrenza dirette agli Stati membri (art. 86 e 87 TCEE (1957)).

A tutela del mercato comune contro i comportamenti dei singoli, il TCEE (1957) prevedeva i divieti per le imprese di limitare la concorrenza nel mercato comune (rectius il divieto per le imprese di

159 Con riferimento agli artt. 81 e 82 TCE quali diritti soggettivi comunitari, v. infra §

30. 160 Sul punto, v. anche v. ERNST-JOACHIM MESTMÄCKER, Die Wirtschaftsverfassung, cit.

a nota 173, 1. Come sostenuto da Andrew Carnegie (noto imprenditore statunitense nel mercato

dell'acciaio) all'inizio del XIX secolo: "L'Europa lavorerà invano fino a che non avrà trovato una forma di unione politica ed industriale e non costituirà un unico complesso, così come avviene per l'America, in quanto è questa l'unica base sulla quale sia possibile lottare, con prospettiva di successo, con l'America pei mercati mondiali", citato da GIULIO SCAGNETTI, Cartelli industriali internazionali, con particolare riguardo al loro sviluppo nel dopoguerra, Tipografia delle Terme, 1933, 31.

L'ISTITUZIONE DELLA CEE E IL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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pregiudicare il diritto di iniziativa economica riconosciuto ad altre imprese), cioè gli artt. 85 e 86 TCEE (1957) 161.

Il mercato comune era tutelato dal Trattato CEE anche contro "nemici esterni", e cioè contro gli accordi stipulati tra i singoli Stati membri della CEE ed altri Stati o organizzazioni extra-comunitarie che potessero compromettere l'unità del mercato comune" (rectius potessero determinare "discriminazioni, (...), distorsioni della concorrenza e la destabilizzazione del mercato comunitario" 162). Contro tale "nemico", il TCEE aveva previsto la politica commerciale comune (art. 110 TCEE (1957) ss.).

Per raggiungere l'obbiettivo del "mercato comune", la Corte di giustizia definì successivamente tre principi fondamentali — che differenziano la Comunità dalle altre Organizzazioni internazionali — e cioè il principio dell'autonomia della Comunità, il principio dell'effetto diretto e il principio della prevalenza del diritto CE.

Il principio di autonomia avrebbe "cementato" la struttura istituzionale Comunità garantendo l'indipendenza della CEE rispetto all'influenza degli Stati membri 163. Il principio dell'effetto diretto 164 — principio distinto dall'"applicazione diretta", v. infra § 150 — imponeva

161 Sotto una differente prospettiva, prendendo come riferimento non la tutela del mercato comune, ma la tutela della libertà delle imprese di svolgere la propria attività economica, il TCE disciplina la tutela delle imprese dal comportamento illecito di altre imprese (artt. 81 e 82 TCE) e dai comportamenti di imprese determinati non dalla relativa capacità delle imprese, ma dall'intervento statale (attribuzione di diritti speciali o esclusivi che determinino la violazione del TCE, art. 86 TCE; aiuti di Stato alle imprese, art. 87 TCE).

162 Sentenza della Corte del 5 novembre 2002, Commissione delle Comunità europee

contro Regno di Danimarca, causa C-467/98, Raccolta della giurisprudenza, 2002, p. I — 9519, § 46. Su questo specifico punto, v. anche le "parallele" cause Commissione delle Comunità

europee contro Regno di Svezia, causa C-468/98; Commissione delle Comunità europee contro

Regno del Belgio, causa C-471/98, Commissione delle Comunità europee contro Granducato del Lussemburgo, causa C-472/98, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica

d'Austria, causa C-475/98, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica federale di

Germania, causa C-476/98. 163 V., tra le tante, Sentenza della Corte del 5 febbraio 1963, Van Gend En Loos, cit. a

nota 281, p. 3; Sentenza della Corte del 15 luglio 1964, Flaminio Costa contro l'ENEL, causa 6/64, Raccolta della giurisprudenza, 1964, p. 1129; Sentenza della Corte del 9 marzo 1978, Amministrazione delle finanze dello Stato contro SpA Simmenthal, causa 106/77, Raccolta della

giurisprudenza, 1978, p. 629; Sentenza della Corte del 3 Aprile 1968, Molkerei - Zentrale

Westfalen/Lippe GmbH contro Hauptzollamt Paderborn, cit. a nota 836; Sentenza della Corte del 19 novembre 1991, Andrea Francovich e Danila Bonifaci e altri contro Repubblica italiana, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Raccolta della giurisprudenza, 1991, p. I - 5357.

164 Con riferimento alla relativa giurisprudenza, v. infra § 150.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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ai giudici nazionali l'obbligo di tutelare le norme di diritto comunitario che presentassero determinate caratteristiche, e cioè norme che fossero chiare, non condizionate e determinate nel contenuto. Infine, in forza del principio della prevalenza del diritto comunitario 165 —strettamente collegato al principio dell'effetto diretto — la norma nazionale che fosse stata in contrasto con una norma comunitaria avente effetto diretto sarebbe dovuta essere disapplicata, e ciò al fine di garantire l'efficacia omogenea e simultanea del diritto comunitario sul territorio degli Stati membri.

Con specifico riferimento alle norme antitrust previste dal Trattato di Roma e supra richiamate, queste erano disciplinate agli artt. 85 e 86 TCEE (1957) ed erano costituite dal divieto di intese anticoncorrenziali e dal divieto di abuso di posizione dominante. Il TCEE non prevedeva originariamente, a differenza del Trattato CECA, un controllo delle concentrazioni, controllo che sarebbe stato disciplinato successivamente ai sensi del reg. 4064/89 166.

L'inserimento di norme di concorrenza dirette alle imprese (artt. 85 e 86 TCEE (1957)) determinava importanti conseguenze per il sistema nel suo complesso. Infatti, gli artt. 85 e 86 TCEE (1957) determinavano nel territorio europeo la nascita del diritto di tutela della concorrenza (Wettbewerbsrecht) in opposizione al diritto statale dei cartelli industriali (Kartellrecht), così come era stato conosciuto negli Stati europei negli anni '20 e '30 del XX secolo 167.

Nel sistema istituzionale del TCEE 168 particolare importanza era svolta dalla Commissione: un organo sovranazionale — e non

165 V., tra le tante, Sentenza della Corte del 15 luglio 1964, Flaminio Costa contro

l'ENEL, cit. a nota 162; Sentenza della Corte del 9 marzo 1978, Amministrazione delle

finanze dello Stato contro SpA Simmenthal, cit. a nota 162. 166 Regolamento n. 4064/89 del Consiglio, del 21 dicembre 1989, relativo al controllo

delle operazioni di concentrazione tra imprese, in Gazzetta ufficiale, n. L 395 del 30 dicembre 1989, p. 1.

167 Tali norme istituivano il diritto della concorrenza (rectius una disciplina antitrust) in quanto riconoscevano non solo il diritto dei singoli di esercitare attività economica — come era già stato previsto nel 1869 nella prussiana Gewerbeordnung — ma tutelavano tale diritto anche contro comportamenti di imprese terze che tendevano a costituire monopoli sul mercato. L'assenza di tale divieto — non disciplinato nella Gewerbeordnung del 1869 — aveva reso possibile — come indicato all'inizio del presente studio — la cartellizzazione dell'industria tedesca, sul punto v. supra.

168 Il disegno organizzativo del TCE richiedeva, infatti, un organico sistema istituzionale per raggiungere le finalità del Trattato. Il TCE istituisce, in particolare, quali

L'ISTITUZIONE DELLA CEE E IL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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semplicemente intergovernativo — indipendente dagli Stati membri che garantiva l'adempimento degli obblighi del Trattato di Roma, sia nei confronti degli Stati membri (art. 169 TCEE (1957) ss.), sia nei confronti dei privati (art. 89 TCEE (1957) ss.). In altre parole, la Commissione tutelava super partes la res publica comunitaria contro i singoli interessi degli Stati membri e dei singoli 169.

17. Brevi cenni sul processo di integrazione europea, dal Trattato CEE al

Trattato costituzionale.

L'organizzazione e le finalità della Comunità del 1957 sono state

profondamente modificate durante quello che è stato definito il "processo di integrazione europea" 170. Tale processo si è sviluppato sostanzialmente secondo due direttrici: l'evoluzione dell'aspetto comunitario (cioè riferito strettamente alla Comunità economica

istituzioni dell'ordinamento CE: un organo di rappresentanza dei popoli europei — il Parlamento —, un organo di rappresentanza degli Stati membri — il Consiglio —, un organo sovranazionale di tutela dell'ordinamento nel suo complesso — la Commissione — ; un organo di tutela giurisdizionale — la Corte di giustizia —, e un organo di controllo dei conti — la Corte dei conti — (art. 246 TCE).

169 La migliore dottrina comunitaria compie un errore d'impostazione e storico quando sostiene che alla Commissione non vennero riconosciuti ampi poteri in conseguenza della carenza di legittimazione dell'organo, v. KOENRAAD LENAERTS - PIET VAN NUFFEL, Constitutional Law of the European Union, London, Sweet & Maxwell, 1999, richiamato a p. v. Al contrario, era l'impostazione voluta dagli Stati membri i quali — nell'impossibilità di disciplinare il comportamento delle imprese a livello statale, da una parte, e nell'impossibilità di creare un ordinamento fondato sulla "politica", dall'altra, v. supra — si erano impegnati a creare uno spazio in cui le imprese avrebbero potuto agire in concorrenza tra di loro. In questo disegno, la Commissione era istituita come organo "sovranazionale" non in quanto organo senza legittimazione, ma come organo che disponeva, a dieci anni dalla fine della seconda guerra mondiale, il potere di deferire alla Corte di giustizia gli Stati che violavano gli obblighi imposti dal TCE. Fu proprio l'indipendenza della Commissione e l'assenza di legittimazione diretta degli Stati membri a costituire la forza di tale organo; v. sul punto il sempre chiaro MESTMÄCKER; ERNST-JOACHIM MESTMÄCKER, Die Grundlagen

einer europäischen Ordnungspolitik an der Universität Frankfurt/Main, discorso tenuto presso l'Università di Francoforte sul Meno il 16 novembre 2001 (testo dattiloscritto). Fu questo che permise di tutelare non l'interesse degli Stati membri ma l'interesse dalla comunità (e quindi la creazione e tutela della res publica comunitaria).

170 In particolare, tramite l'Atto unico europeo, sottoscritto il 17 febbraio 1986 a Lussemburgo ed entrato in vigore il 1 luglio 1987; il Trattato dell'Unione europea, sottoscritto il 7 febbraio 1992 a Maastricht (Paesi Bassi) ed entrato in vigore il 1 novembre 1993; il Trattato di Amsterdam sottoscritto il 2 ottobre 1997, ed entrato in vigore il 1 maggio 1999; il Trattato di Nizza sottoscritto il 26 febbraio 2001, ed entrato in vigore il 1 febbraio 2003.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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europea) e l'evoluzione della cooperazione esterna al metodo comunitario. Oltre a queste due, una terza direttrice, comune alle prime due, si è aggiunta nel processo di integrazione: cioè la tutela dei diritti fondamentali.

L'evoluzione dell'aspetto comunitario è stata caratterizzata da due "variabili" principali: in primo luogo, la crescita del numero di competenze attribuite alla Comunità 171; in secondo luogo, l'aumento del numero di Stati membri (come noto, i sei Stati membri fondatori sono divenuti 25 il 1 maggio 2004) 172.

Riguardo al primo aspetto, l'aumento delle competenze ha determinato cinque differenti linee di sviluppo: a) la modifica degli obiettivi della Comunità; b) la nascita del problema della legittimazione della CE; c) la necessità della regolamentazione dell'esercizio delle competenze normative della Comunità; d) l'estensione della votazione a maggioranza in Consiglio e la determinazione di modalità "flessibili" per l'ulteriore sviluppo dell'integrazione europea.

Prendendo in considerazione singolarmente questi cinque aspetti, riguardo all'aspetto sub a), la modifica degli obiettivi della Comunità costituisce, per quanto riguarda l'argomento del presente studio, un aspetto di particolare rilevanza. Infatti, come supra indicato, la Comunità era stata definita come un mezzo attraverso il quale limitare la sovranità degli Stati al fine di creare, come unico obbiettivo concreto, uno spazio economico comune europeo; all'interno di questo, le imprese avrebbero potuto svolgere la propria opera senza essere discriminate sulla base della nazionalità. Con l'attribuzione di nuove competenze

171 Cfr. le modifiche apportate dall'Atto unico, e in particolare cfr. art. 21 Atto unico ss.

relativi alla "Politica sociale" (art. 118 A TCEE (1957)); cfr. art. 23 Atto unico ss. (art. 118 A TCEE (1957)) relativi alla "Coesione economica e sociale (art. 130 A TCEE (1957)); cfr. art. 24 Atto unico ss. relativi alla "Ricerca e sviluppo tecnologico" (art. 130 F TCEE (1957); cfr. art. 25 Atto unico ss. relativi all'"Ambiente". (art. 130 R TCEE (1957). Cfr. le modifiche apportate dal Trattato di Maastricht, e in particolare: art. 102 A TCE (1957) ss. (politica economica e monetaria); art. 126 ss (1957) ss. (Istruzione, formazione professionale e gioventù); art. 128 (1957) ss (Cultura); art. 129 (1957) ss. (Sanità pubblica); art. 129 lett. a (1957) ss. (Protezione dei consumatori); art. 129 lett. b (1957) ss. (Reti transeuropee); art. 130 (1957) ss. (Industria); art. 130 lett. f TCE (1957) ss. (Ricerca e sviluppo tecnologico); art. 130 lett. U TCE (1957) ss. (Cooperazione allo sviluppo).

172 Ai sei Stati membri fondatori si sono infatti aggiunti la Gran Bretagna, l'Irlanda e la Danimarca nel 1973; la Grecia nel 1981; la Spagna e il Portogallo nel 1985, l'Austria, la Svezia e la Finlandia nel 1995; Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria nel 2004.

L'ISTITUZIONE DELLA CEE E IL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

67

tale obiettivo si modificava. In particolare, già l'attribuzione della competenza in materia di politica industriale, disciplinata dal Trattato di Maastricht (1992), modificava l'impostazione di fondo, re-introducendo una diretta possibilità di un ordinamento (non più lo Stato ma la Comunità) di "intervenire" in modo diretto nel processo economico 173. A seguito dell'ampliamento delle competenze comunitarie, erano gli stessi obiettivi della Comunità ad essere modificati, come testimoniato dalla modifica dello stesso art. 2 TCEE (1957) 174.

173 V. ERNST-JOACHIM MESTMÄCKER, Die Wirtschaftsverfassung in der europäischen

Union, in Vorträge und Berichte, n. 28, Zentrum für europäisches Wirtschaftsrecht, Rheinische Friederich-Wilhelms Universität Bonn, 1993, 1.

174 Gli artt. 2 e 3 TCEE (1957) recitavano nella formulazione originaria: "Articolo 2 - La Comunità ha il compito di promuovere, mediante l'instaurazione di

un mercato comune e il graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche nell'insieme della Comunità, un'espansione continua ed equilibrata, una stabilità accresciuta, un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita e più strette relazioni fra gli Stati che ad essa partecipano.

Articolo 3 - Ai fini enunciati all'articolo precedente, l'azione della Comunità importa, alle condizioni e secondo il ritmo previsto dal presente Trattato:

a) l'abolizione fra gli Stati membri dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative all'entrata e all'uscita delle merci, come pure di tutte le altre misure di effetto equivalente,

b) l'istituzione di una tariffa doganale comune e di una politica commerciale comune nei confronti degli Stati terzi,

c) l'eliminazione fra gli Stati membri degli ostacoli alla libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali,

d) l'instaurazione di una politica comune nel settore dell'agricoltura, e) l'instaurazione di una politica comune nel settore dei trasporti, f) la creazione di un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel

mercato comune, g) l'applicazione di procedure che permettano di coordinare le politiche economiche

degli Stati membri e di ovviare agli squilibri nelle loro bilance dei pagamenti, h) il ravvicinamento delle legislazioni nazionali nella misura necessaria al

funzionamento del mercato comune, i) la creazione di un Fondo sociale europeo, allo scopo di migliorare le possibilità di

occupazione dei lavoratori e di contribuire al miglioramento del loro tenore di vita, j) l'istituzione di una Banca europea per gli investimenti, destinata a facilitare

l'espansione economica della Comunità mediante la creazione di nuove risorse, k) l'associazione dei paesi e territori d'oltremare, intesa ad incrementare gli scambi e

proseguire in comune nello sforzo di sviluppo economico e sociale". L'art. 2 TCEE (1957) è stato così modificato dal Trattato di Maastricht: "La Comunità

ha il compito di promuovere, mediante l'instaurazione di un mercato comune e di un'unione economica e monetaria e mediante l'attuazione delle politiche e delle azioni comuni di cui agli articoli 3 e 3 A, uno sviluppo armonioso ed equilibrato delle attività economiche nell'insieme della Comunità, una crescita sostenibile, non inflazionistica e che rispetti l'ambiente, un elevato grado di convergenza dei risultati economici, un elevato

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

68

livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri".

L'art. 3 TCEE (1957) è stato così modificato dal Trattato di Maastricht: "Ai fini enunciati all'articolo 2, l'azione della Comunità comporta, alle condizioni e secondo il ritmo previsti dal presente trattato:

a) l'abolizione, tra gli Stati membri, dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative all'entrata e all'uscita delle merci come pure di tutte le altre misure di effetto equivalente;

b) una politica commerciale comune; c) un mercato interno caratterizzato dall'eliminazione, fra gli Stati membri, degli

ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali; d) misure relative all'entrata e alla circolazione delle persone nel mercato interno, come

previsto dall'articolo 100 C; e) una politica comune nei settori dell'agricoltura e della pesca; f) una politica comune nel settore dei trasporti; g) un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno; k) una politica nel settore dell'ambiente; 1) il rafforzamento della competitività dell'industria comunitaria; m) la promozione della ricerca e dello sviluppo tecnologico; n) l'incentivazione della creazione e dello sviluppo di reti trans-europee; o) un contributo al conseguimento di un elevato livello di protezione della salute; p) un contributo ad un'istruzione e ad una formazione di qualità e al pieno sviluppo

delle culture degli Stati membri; q) una politica nel settore della cooperazione allo sviluppo; r) l'associazione dei paesi e territori d'oltremare, intesa ad incrementare gli scambi e

proseguire in comune nello sforzo di sviluppo economico e sociale; s) un contributo al rafforzamento della protezione dei consumatori; t) misure in materia di energia, protezione civile e turismo". L'art. 2 del Trattato di Amsterdam recita: "1) Nel preambolo è aggiunto il seguente

punto dopo gli otto punti: "Determinati a promuovere lo sviluppo del massimo livello possibile di conoscenza nelle popolazioni attraverso un ampio accesso all'istruzione e attraverso l'aggiornamento costante,".

2) L'articolo 2 è sostituito dal testo seguente: "Articolo 2 La Comunità ha il compito di promuovere nell'insieme della Comunità, mediante l'instaurazione di un mercato comune e di un'unione economica e monetaria e mediante l'attuazione delle politiche e delle azioni comuni di cui agli articoli 3 e 3 A, uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, la parità tra uomini e donne, una crescita sostenibile e non inflazionistica, un alto grado di competitività e di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di protezione dell'ambiente ed il miglioramento della qualità di quest'ultimo, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri."

3) L'articolo 3 è modificato come segue: a) il testo attuale è numerato e diventa paragrafo 1; b) nel nuovo paragrafo 1, la lettera d) è sostituita dal testo seguente: "d) misure riguardanti l'ingresso e la circolazione di persone, come previsto dal titolo

III bis;" c) nel nuovo paragrafo 1, dopo la lettera h) è inserita la nuova lettera i): "i) la promozione del coordinamento tra le politiche degli Stati membri in materia di

occupazione al fine di accrescerne l'efficacia con lo sviluppo di una strategia coordinata per l'occupazione;";

d) nel nuovo paragrafo 1, l'attuale lettera i) diventa lettera j) e le successive lettere sono rinumerate di conseguenza;

L'ISTITUZIONE DELLA CEE E IL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

69

Anche il problema della legittimazione della Comunità, l'aspetto sub b), è conseguenza della crescita delle competenze normative comunitarie. Infatti, il problema della legittimazione non è conseguenza della "sovranazionalità" della Comunità (cioè dal fatto che la Comunità sia costituita da un ordinamento "sostanzialmente" indipendente rispetto agli Stati membri — ma su questo aspetto, cfr. le ricadute dell'(illegittimo) art. 6 reg. 1/03, v. infra § 148 — ). Infatti, nell'organizzazione iniziale della Comunità economica europea sussisteva una legittimazione — ancorché funzionale 175 — determinata dai precisi e limitati obiettivi della CEE 176.

Il problema della legittimazione della Comunità è nato, quindi, in conseguenza della crescita del numero di competenze e della discrezionalità che queste richiedevano per la loro attuazione (riguardo la differenza, ad es., tra la competenza ambientale, la competenza in materia di salute e la disciplina antitrust, v. infra § 43). Per la soluzione di questo problema si è inserito nel processo di integrazione europea il cd. processo di democratizzazione della Comunità (tramite, ad es., il maggiore ruolo del Parlamento europeo 177 — al livello delle Istituzioni —, e il riconoscimento della cittadinanza europea 178 — al livello dei singoli — ).

Riguardo all'aspetto sub c), l'aumento del numero di competenze (e gli "ammonimenti" delle Corti costituzionali nazionali, v. infra § 73) ha reso necessaria la definizione di una disciplina per l'esercizio di queste. A tal fine il Trattato di Maastricht ha inserito nel Trattato di Roma l'(attuale) art. 5 TCE 179 e i relativi principi delle competenze di

e) è aggiunto il seguente paragrafo: "2. L'azione della Comunità a norma del presente articolo mira a eliminare le

ineguaglianze, nonché a promuovere la parità, tra uomini e donne." 175 V. ERNST-JOACHIM MESTMÄCKER, Die Wirtschaftsverfassung, cit. a nota 173, 13. 176 Sul punto, v. ERNST-JOACHIM MESTMÄCKER,. Die Wirtschaftsverfassung der EG

zwischen Wettbewerb und Intervention, in THOMAS BRUHA - JOACHIM JENS HESSE - CARSTEN NOWAK, Welche Verfassung für Europa?, Baden-Baden, Nomos Verlagsgeselschaft, 2001, p. 163..

177 Sul punto v. UGO VILLANI, Il "deficit democratico" nella formazione delle norme comunitarie, in Jus, 1994, p. 295.

178 Cfr. il Trattato di Maastricht che inserisce all'art. 8 TCE la "cittadinanza dell' Unione".

179 Cfr. il Trattato di Maastricht che inserisce l'art 3b TCE (1957) e il Trattato di Amsterdam che inserisce il "Protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità".

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

70

attribuzione, di sussidiarietà e di proporzionalità (con riferimento all'applicazione dell'art. 5 TCE agli artt. 81 e 82 TCE, v. infra § 36).

Riguardo all'aspetto sub d), la crescita del numero di competenze ha inoltre richiesto, sin dall'Atto unico (1987), l'abbandono del principio della votazione all'unanimità all'interno del Consiglio (scelta fondamentale per il raggiungimento — inizialmente — del cd. "mercato interno" entro il 31 dicembre 1992 180). La persistenza del voto all'unanimità riguardo alle competenze comunitarie, infatti, avrebbe attribuito un potere di veto a ciascuno Stato membro con riferimento allo sviluppo della Comunità stessa.

Proprio la necessità di definire modalità per procedere all'integrazione per nuove competenze escludendo il "veto" da parte di altri Stati membri ha richiesto negli anni '90 — anche in considerazione dell'aumento degli Stati membri — la previsione di procedimenti "elastici" in forza dei quali permettere agli Stati membri interessati di procedere e di sviluppare accordi su ulteriori competenze o azioni specifiche. Questi procedimenti riconoscevano però agli Stati non interessati la facoltà di non partecipare ad esse (cd. cooperazioni rafforzate) 181.

Con riferimento alla crescita del numero di Stati membri della Comunità (la seconda "variabile" del processo di evoluzione dell'aspetto comunitario), essa ha determinato una maggiore complessità del funzionamento del "sistema istituzionale". In conseguenza di ciò, ad iniziare dal Trattato di Amsterdam (1998), il processo di integrazione ha richiesto, anche in previsione del cd. "allargamento ad est", la previsione di modifiche strutturali delle Istituzioni comunitarie 182.

Accanto all'evoluzione dell'aspetto comunitario, la seconda

"direttrice" di evoluzione dell'integrazione europea è stata, come supra ricordato, l'evoluzione della cooperazione esterna al metodo comunitario. Questo indirizzo di sviluppo è stato disciplinato

180 Cfr. l'art. 18 Atto unico (art. 100 A TCEE (1957)). 181 Cfr. art. 1 n. 12) Trattato di Amsterdam; Cfr. art. 2 n. 5) Trattato di Amsterdam ss.,

cfr. art. 1 n. 6) e 2 n. 1) Trattato di Nizza. 182 Cfr. il Protocollo sulle istituzioni nella prospettiva dell'allargamento dell'Unione

europea allegato al Trattato di Amsterdam; cfr. la Dichiarazione n. 20 allegata al Trattato di Nizza relativa all'"allargamento dell'Unione europea"; cfr. la Dichiarazione n. 23 allegata al Trattato di Nizza relativa al "futuro dell'Unione"; cfr. il Protocollo inserito nel Trattato di Nizza relativo all'"allargamento dell'unione europea".

L'ISTITUZIONE DELLA CEE E IL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

71

inizialmente nell'Atto unico con la previsione della cooperazione politica europea (CPE) 183; successivamente la CPE è stata modificata con il Trattato di Maastricht, divenendo "politica estera e sicurezza comune". Essa è stata affiancata, sempre nel Trattato di Maastricht, dalla "cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni" 184.

Come supra ricordato, alle due direttrici (comunitaria e di cooperazione esterna al metodo comunitario) si è sviluppata una terza linea del processo di integrazione europea, linea di sviluppo comune alle prime due: cioè la tutela dei diritti fondamentali.

Sotto il profilo della CE, la tutela dei diritti fondamentali si è concretizzata con la giurisprudenza comunitaria che ha riconosciuto la tutela dei diritti fondamentali tutelati a livello comunitario (processo che si è concluso con la solenne proclamazione a Nizza della Carta dei Diritti fondamentali) 185. Sotto il profilo dell'UE, la tutela dei diritti fondamentali si è sviluppata sotto altro aspetto: cioè, oltre al riconoscimento della tutela dei diritti fondamentali così come previsti nelle tradizioni costituzionali degli Stati membri e così come riconosciuti dalla CEDU (art. 6 TUE), il Trattato UE ha disciplinato

183 Cfr. Titolo III Atto unico relativo a "Disposizioni sulla cooperazione europea in

materia di politica esterna". 184 Cfr. gli artt. J e K Trattato di Maastricht relativi rispettivamente a "disposizioni

relative alla politica estera e sicurezza comune" e "cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni" (modificato dal Trattato di Amsterdam in "disposizioni sulla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale").

Cfr. art. 1 n. 2) Trattato di Nizza ss. in materia di "politica estera e di sicurezza comune" e l'art. 1 n. 8 Trattato di Nizza in materia di "cooperazione giudiziaria in materia penale".

Il Trattato di Maastricht istituisce l'Unione europea. In particolare il Trattato UE (1992) prevede: "Articolo A — Con il presente trattato, le Alte Parti Contraenti istituiscono tra loro un'Unione Europea, in appresso denominata "Unione".

Il presente trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un'unione sempre più stretta tra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini.

L'Unione è fondata sulle Comunità europee, integrate dalle politiche e forme di cooperazione instaurate dal presente trattato. Essa ha il compito di organizzare in modo coerente e solidale le relazioni tra gli Stati membri e tra i loro popoli".

185 Sul punto v. GIAN LUIGI TOSATO, La tutela dei diritti fondamentali nella

giurisprudenza della Corte delle Comunità europee, in Studi in onore di Giuseppe Sperduti, Milano, 1983, p. 167. V. anche UGO VILLANI, I diritti fondamentali tra Carta di Nizza,

Convenzione europea dei diritti dell'uomo e progetto di Costituzione europea, in Il Diritto

dell'Unione Europea, 2004, p. 73.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

72

dei vincoli (e delle eventuali sanzioni) per gli Stati nel caso di violazione dei diritti fondamentali (art. 7 TUE) 186.

Le tre direttrici dell'integrazione europea (quella comunitaria, quella della cooperazione esterna al metodo comunitario e quella riferita alla tutela dei diritti fondamentali) sono state infine "fuse" nel testo del "Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa", firmato a Roma il 29 ottobre 2004.

Tale documento svolge una triplice funzione: in esso sono stati "trasfusi" in norme giuridiche i "valori comuni" di 25 Stati membri e di oltre 450 milioni di persone 187; esso stabilisce, inoltre, le regole di un complesso sistema istituzionale a cui partecipano 25 Stati membri 188; infine, esso permette all'Unione europea (rectius allo "spazio europeo") di presentarsi verso gli Stati terzi con "maggiore coordinazione" riguardo alla politica estera 189, e non più solo con riferimento alla politica commerciale.

18. I cartelli industriali e il processo di integrazione europea del XX secolo:

una prospettiva storica. Le "ricadute" del principio di uguaglianza tra

imprese nel mercato interno (artt. 81 e 82 TCE — artt. 161 e 162 Cost.

eu.) sull'uguaglianza degli Stati membri tra di loro (art. 5 Cost. eu.) e

sull'istituzione della "Cittadinanza europea" (art. 10 Cost. eu.). Il diritto

di iniziativa economica e il futuro dell'Unione europea.

Passando ad una valutazione conclusiva riguardo al fenomeno dei

cartelli industriali (e alla conseguente nascita del diritto statale dei cartelli e il successivo passaggio al diritto comunitario di tutela della concorrenza) è possibile individuare i motivi della nascita della CEE e del conseguente processo di integrazione europea così come avvenuto nel XX secolo.

A fronte di quanto supra indicato è possibile affermare che la CEE non è un organizzazione istituita per facilitare la concentrazione del

186 Cfr. art. 2 n. 8 Trattato di Amsterdam che modifica l'art. F TUE (1992). Cfr. art. 2

n. 57 Trattato di Amsterdam che inserisce l'art. 236 TCE (1997); cfr. art. 1 n. 1 Trattato di Nizza che modifica l'art. 7 TUE (1997).

187 Cfr. Parte II Cost. eu., Carta dei Diritti fondamentali dell'unione. 188 Cfr. Parte III Cost. eu., Le politiche e il funzionamento dell'Unione. 189 Cfr. Parte III - Titolo V - Cost. eu., Azione esterna dell'Unione.

L'ISTITUZIONE DELLA CEE E IL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

73

capitale, né per aprire i mercati interni degli Stati membri. Essa consegue dalla concreta necessità di disciplinare il "fenomeno economico" successivamente alla fine della seconda guerra mondiale — ad iniziare dal Trattato CECA per i settori del carbone e dell'acciaio —. In particolare, la nascita della Comunità economica europea è stata determinata dalla "crisi" in Europa della forma "Stato" nel governo del "fenomeno economico" nella sua globalità ("fenomeno economico" che superava ormai grandemente la dimensione dei singoli territori nazionali europei).

In altre parole la nascita della Comunità è dovuta alla "crisi" della forma Stato in Europa, forma "Stato" intesa come ordinamento generale capace di disciplinare ogni fenomeno socio-economico 190. La dimensione dell'industria europea — e i figli di questa, cioè i cartelli industriali — avevano sostanzialmente escluso che lo Stato potesse svolgere integralmente tale funzione 191. A conferma di questo, è stato sostenuto — con riferimento al rapporto tra i cartelli industriali e gli Stati nazionali — che "ogni cartello rappresenta una deroga alla pretesa degli Stati ad una sovranità illimitata: in questo senso, il cartello si trova in lotta perpetua contro lo Stato e contro la politica economica da esso seguita" 192.

Ma anche le profonde trasformazioni della iniziale Comunità economica europea — avvenute nel corso di oltre cinquanta anni di integrazione — non cancellano le radici "economiche" di tale processo così come iniziato nel XX secolo.

190 Come sostenuto da Orlando: "Lo Stato esiste in quanto comanda e vale in quanto ha

la forza di far rispettare il suo comando", VITTORIO EMANUELE ORLANDO, Sul concetto di

Stato, in Diritto pubblico generale - Scritti vari (1881 - 1940), Milano, Giuffrè, 1954, p. 199, 219.

191 La nascita della CEE (rectius la creazione del mercato comune europeo) evidenzia quindi lo sfruttamento di "una finestra di tempo" in cui — in conseguenza della '"concentrazione" del capitale — era ormai svanita la possibilità degli Stati europei di gestire i processi economici di maggiore dimensione — e quindi di maggiore importanza politica —. L'ideale di unire l'Europa in un ordinamento fondato sull'uguaglianza e libertà degli uomini, ideale sperato nei secoli "da Dante a Kant e Novalis, da Lamartine a Victor Hugo, Rousseau e Michelet, da Bentham a Voltaire, Cobden e Saint Simon, da Mazzini a Cattaneo e Gioberti" (come ricordato da Albonetti, ACHILLE ALBONETTI, Preistoria, cit. a nota 98, p. 47) è quindi ottenuto nel XX secolo — nei limiti di quanto allora possibile — grazie allo "sfruttamento della "concentrazione" del capitale.

192 LADOR-LEDERER, Capitalismo mondiale, cit. a nota 24, 18.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

74

Tali radici "lasciano traccia" nello stesso Trattato costituzionale. Infatti, proprio il processo di integrazione europea fondato sulla creazione di un "mercato comune" in cui le imprese possono svolgere la propria azione senza essere discriminate sulla base della nazionalità costituisce il principale motivo per il quale agli Stati membri ai sensi del TCE, prima, e del Trattato costituzionale 193, ora, è riconosciuta una situazione di uguaglianza. Infatti, il principio essenziale dell'uguaglianza delle imprese "nel mercato" presupponeva necessariamente, "a monte", che il Trattato di Roma si fondasse sull'uguaglianza dei singoli Stati membri all'interno della Comunità; uguaglianza non riconosciuta in altre forme di unione territoriale europea non fondate sul riconoscimento e regolamentazione dell'iniziativa economica privata 194.

Tale principio di uguaglianza, derivante dalla regola di base dell'esercizio del diritto di iniziativa economica in un sistema di concorrenza non falsata, ha avuto successivamente delle conseguenze per tutti i cittadini degli Stati membri appartenenti alla Comunità. Infatti, tale originario principio di uguaglianza tra imprese di differenti Stati ha permesso poi la trasformazione di tale principio — a differenza di altre esperienze storiche 195 — nell'uguaglianza tra tutti i cittadini di differenti Stati (e non più solo tra le imprese); e ciò fino a pervenire

193 Cfr. art. 5 Cost. eu., rubricato come "Relazioni tra l'Unione e gli Stati membri", il

quale recita: "L'Unione rispetta l'uguaglianza degli Stati membri davanti alla Costituzione". 194 V. ad esempio il processo di "integrazione europea" nel periodo romano

(successivamente al III a.C.), processo che permette un paragone con l'integrazione europea del XX secolo limitatamente alle dimensioni del territorio oggetto di disciplina degli ordinamenti giuridici. In quel caso, l'(evidente) inesistenza nel periodo romano di una struttura industriale (cfr. TOHMAS PEKÀRY, Storia economica del mondo antico, Bologna, Il Mulino, 2003, 195 - Titolo originale Die Wirtschaft der griechisch-römischen Antike, 1979) che permettesse la creazione di una organizzazione giuridica sovranazionale per un territorio così vasto, imponeva che il controllo di Roma sui territori provinciali avvenisse non sulla base di uguaglianza tra le parti, ma sulla base della "dominazione", v. MARIO TALAMANCA, Istituzioni di Diritto romano, I, Milano, Giuffrè, 1989, 111.

195 V. "l'unificazione europea" realizzata nell'esperienza romana. In conseguenza dell'inesistenza di un principio di uguaglianza sulla base del quale era organizzato il sistema giuridico romano nei rapporti tra Roma e territori provinciali conquistati, le popolazioni di tali territori furono subordinate ad essa. Infatti, i membri delle popolazioni dei territori provinciali non furono considerati "cittadini romani" (rectius parificati ai romani) fino alla Constitutio Antoniniana (212 d.C.); v. AA.VV. (sotto la direzione di MARIO

TALAMANCA), Lineamenti di Storia del Diritto romano, Milano, Giufrè, 1989, II ed., 520.

L'ISTITUZIONE DELLA CEE E IL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

75

all'istituzione della Cittadinanza europea 196; status per cui i cittadini di differenti Stati membri "godono [degli stessi] diritti e sono soggetti ai [medesimi] doveri" (art. 10 Cost. eu.) 197.

In altre parole, il processo di unificazione europea è stato fondato (e fonda tutt'oggi la sua "costruzione") sulla capacità dei privati di esercitare il proprio diritto di iniziativa economica. Il futuro dell'Unione europea, il suo successo o il suo declino, dipenderà (come è solitamente per gli ordinamenti giuridici) anche da come nell'Unione europea sarà disciplinato tale diritto, così come dalla capacità del "sistema economico europeo" di essere in competizione con altri e nuovi "mercati comuni" nel più ampio "mercato globale" 198.

196 V. però come la dottrina spagnola la quale, nella "La igual libertad de todos come

postulado", non riconosce tale positive "ricadute" dell'integrazione economica europea del XX sui cittadini: "Pues bien, esta igual libertad para todos de la tradiciones constitucionales italiana, alemana y espanola que gravita hoy sobre la Carta de derechos, debe ser entendida come contrapunto del concepto economicista de libertad que subyacea las libertades econòmicas de los Tratados - libertad de circulaciòn de personas, mercancìas, capitales, sercios, libertad de establecimiento, libre competencia -", ANTONIO LÒPEZ PINA, Europa, un

proyecto irrenunciable - La Constituciòn para Europa desde la teorìa constitucional, Madrid, Dykinson, 2004, 236 (corsivo aggiunto).

197 L'art. 10 Cost. eu., rubricato come "Cittadinanza dell'Unione", recita: "È cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. (…) I cittadini dell'Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti nella Costituzione".

198 Ci riferiamo ovviamente a quegli Stati (ad es., Cina, India) i quali presentano al loro interno un "mercato comune" di dimensione sufficiente da permettere la crescita al loro interno di imprese che possano competere efficacemente con le imprese di altri "mercati comuni" (come quello europeo, quello statunitense, etc.) all'interno del più ampio mercato mondiale.

CAPITOLO I

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA: REDAZIONE, ATTUAZIONE E CONTENUTO DEI DIVIETI

SEZIONE I

LA COMPETENZA ANTITRUST DEL TRATTATO CE (ARTT. 81 - 85 TCE) E

DEL TRATTATO COSTITUZIONALE (ARTT. 161 - 165 COST. EU.)

SOMMARIO: 19. La competenza antitrust del Trattato CE: gli artt. 81 — 85 TCE. Le

modifiche apportate dal Trattato costituzionale (artt. 161 — 165 Cost. eu.). — 20. Il ruolo del diritto antitrust nel Trattato CE (artt. 2, 3, 81, 82 TCE) e nel Trattato costituzionale (artt. 3, 13, 161, 162 Cost. eu.). — 21. Il concetto di diritto antitrust: la differenza tra normativa a tutela della concorrenza e normativa di regolamentazione della concorrenza.

19. La competenza antitrust del Trattato CE: gli artt. 81 - 85 TCE. Le

modifiche apportate dal Trattato costituzionale (artt. 161 - 165 Cost.

eu.).

La previsione nel Trattato CE di norme dirette alle imprese che

vietino comportamenti in violazione della concorrenza è, come supra sottolineato, conseguenza della impostazione del Trattato di Roma 199.

199 Alle norme antitrust CE si aggiungono anche le norme di concorrenza dirette agli

Stati membri (artt. 86 TCE ss.). La necessità di norme di tutela della concorrenza dirette sia alle imprese che agli Stati membri per la protezione del mercato comune europeo è chiarito dalla Corte di giustizia nella Sentenza Regno dei Paesi bassi c. Commissione. In essa la Corte ha sostenuto: "L' ammettere che la Commissione disponga [del potere di tutela della concorrenza nei confronti degli Stati membri] si rivela del pari indispensabile per consentirle di adempiere il compito, affidatole dagli artt. [81-89] del Trattato, di vigilare

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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Infatti, la creazione di un mercato comune in cui le imprese di differenti Stati esercitino le loro attività in concorrenza (e non la creazione di uno spazio comune fondato sui cartelli, come proposto a più riprese nel 1916 e nel 1930, v. supra § 8) presume, da una parte, il riconoscimento del diritto di iniziativa economica alle imprese ma, dall'altra, anche la previsione di limiti all'esercizio di tale diritto.

La "competenza antitrust" del TCE — attribuita dagli Stati membri alla Comunità — non è limitata ai divieti di cui agli artt. 81 e 82 TCE, ma è costituita più generalmente dagli artt. 81 - 85 TCE. Infatti, anche il potere riconosciuto al Consiglio di emanare regolamenti e direttive ex art. 83 TCE 200 costituisce parte della competenza antitrust. In

sull'applicazione delle norme in materia di concorrenza e di contribuire quindi all'instaurazione di un regime di concorrenza non alterata nel mercato comune, ai sensi dell'art. 3, lett. [g], del Trattato. // La Commissione sarebbe infatti nell'impossibilità di adempiere per intero il proprio compito se potesse unicamente reprimere i comportamenti anticoncorrenziali delle imprese, in forza del potere di decisione attribuitole dal Consiglio, a norma dell' art. [85] del Trattato, senza poter agire direttamente, a norma dell' art. [86], n. 3, dello stesso, contro gli Stati membri che adottino o conservino in vigore, per quanto riguarda le imprese pubbliche e quelle alle quali essi attribuiscono diritti speciali od esclusivi, dei provvedimenti che abbiano analoghi effetti anticoncorrenziali. // Va del pari rilevato che i poteri che la Commissione può esercitare nei confronti degli Stati membri mediante decisione, in forza dell' art. [86], n. 3, del Trattato, vanno posti in relazione con quelli, attribuitile dall'art. [88] dello stesso, di accertare l'incompatibilità con il mercato comune di un aiuto statale che alteri o possa alterare la concorrenza. // In entrambi i casi, infatti, la Commissione ha il potere di intervenire, non già nei confronti dell'impresa che è stata posta in grado di eludere le norme sulla concorrenza, bensì nei confronti dello Stato membro che è responsabile di tale lesione della concorrenza", Sentenza della Corte del 12 Febbraio 1992, Regno Dei Paesi Bassi e Koninklijke Ptt Nederland Nv e Ptt Post Bv contro

Commissione delle Comunità Europee, cause riunite C-48/90 E C-66/90, Raccolta della

giurisprudenza 1992, p. I - 565, § 29 ss.. 200 Ai sensi dell'art. 83(1) TCE l'ordinamento CE ha la facoltà di emanare regolamenti

o direttive (o regolamenti europei, ai sensi dell'art. 163 Cost. eu.) che devono pervenire a cinque differenti scopi, e cioè: "a) garantire l'osservanza dei divieti di cui all'articolo 81, paragrafo 1, e all'articolo 82, comminando ammende e penalità di mora; b) determinare le modalità di applicazione dell'articolo 81, paragrafo 3, avendo riguardo alla necessità di esercitare una sorveglianza efficace e, nel contempo, semplificare, per quanto possibile, il controllo amministrativo; c) precisare, eventualmente, per i vari settori economici, il campo di applicazione delle disposizioni degli articoli 81 e 82; d) definire i rispettivi compiti della Commissione e della Corte di giustizia nell'applicazione delle disposizioni contemplate dal presente paragrafo; e) definire i rapporti fra le legislazioni nazionali da una parte e le disposizioni della presente sezione nonché quelle adottate in applicazione del presente articolo, dall'altra" (art. 83(2) TCE).

A tal fine il TCE prevede che il Consiglio CE, su proposta della Commissione e sentito il parere non vincolante del Parlamento, "deve" stabilire regolamenti e direttive utili per applicare i principi degli artt. 81 e 82 TCE. Con riferimento a tale aspetto il Consiglio dispone di ampia discrezionalità nello stabilire quale siano le norme a tal fine "utili".

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

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particolare, mentre gli artt. 81 e 82 TCE stabiliscono i divieti del diritto antitrust, i regolamenti e direttive ex art. 83 TCE — la cui finalità è sostanzialmente la realizzazione dell'azione ex art. 3 lett. g TCE 201 e la creazione di un regime inteso a garantire l'instaurazione di un mercato comune 202 — disciplinano in concreto il sistema di tutela antitrust (ad

I regolamenti sono finalizzati alla creazione di un regime inteso a garantire la

concorrenza e l'instaurazione di un mercato comune come previsto dall'art. 2 TCE e sono diretti alle finalità dell'art. 3(1) lett. g TCE.

201 Sentenza della Corte del 18 maggio 1982, Am And S Europe Limited contro Commissione delle Comunità europee, causa 155/79, Raccolta della giurisprudenza, 1982 p. 1575, § 15.

202 Sentenza della Corte del 13 luglio 1966, Governo della Repubblica italiana contro il

Consiglio della CEE e la Commissione della CEE, causa 32/65, Raccolta della giurisprudenza, 1966, p. 296; Sentenza della Corte del 13 febbraio 1969, Walt Wilhelm e altri contro

Bundeskartellamt, causa 14/68, Raccolta della giurisprudenza, 1969, p. 1, § 4; Sentenza della Corte del 15 luglio 1970, Acf Chemiefarma Nv contro Commissione delle Comunità europee, causa 41/69, Raccolta della giurisprudenza, 1970, p. 661; Sentenza della Corte del 10 luglio 1980, Anne Marty Sa contro Estee Lauder Sa, causa 37/79, Raccolta della giurisprudenza, 1980, p. 2481; Sentenza della Corte del 18 maggio 1982, Am And S Europe Limited, cit. a nota 201; Sentenza della Corte del 26 giugno 1980, National Panasonic (UK) Limited contro

Commissione delle Comunità europee, causa 136/79, Raccolta della giurisprudenza, 1980, p. 2033, § 20; Sentenza della Corte del 30 aprile 1986, Ministere Public contro Lucas Asjes, Andrew Gray, Jacques Maillot, Leo Ludwig e altri, cause riunite 209 a 213/84, Raccolta della

giurisprudenza, 1986, p. 1425; Sentenza della Corte del 21 settembre 1989, Hoechst AG contro

Commissione delle Comunità europee, cause riunite 46/87 e 227/88, Raccolta della

giurisprudenza 1989, p. 2859, § 25; Sentenza della Corte del 17 ottobre 1989, Dow Benelux

Nv., Ex Dow Chemical (Nederland) Bv contro Commissione delle Comunità europee, causa 85/87, Raccolta della giurisprudenza, 1989, p. 3137, § 36; Sentenza della Corte del 17 ottobre 1989, Dow Chemical Iberica Sa e Alcudia, Empresa Para La Industria Quimica, Sa e Empresa Nacional Del Petroleo Sa contro Commissione delle Comunità europee, cause riunite 97/87, 98/87 e 99/87, Raccolta della giurisprudenza 1989, p. 3165, § 22; Sentenza della Corte del 18 ottobre 1989, Orkem Sa. ex Cdf Chimie Sa contro Commissione delle Comunità europee, causa 374/87, Raccolta della giurisprudenza, 1989, p. 3283, § 19; Sentenza della Corte del 10 luglio 1980, causa 253/78, causa 1/79, Procuratore della Repubblica e Signora Ulm, Epouse

Windenberger contro Yves Pierre Lanvin e Lanvin Parfums Sa., causa 2/79, Procuratore della

Repubblica e Signora Ulm, Epouse Windenberger contro Andre Albert Favel e Nina Ricci Sarl, causa 3/79, cause riunite 253/78 e 1-3/79, Raccolta della giurisprudenza, 1980, p. 2327; Sentenza della Corte del 19 marzo 1991, Repubblica francese contro Commissione delle

Comunità europee, causa C-202/88, Raccolta della giurisprudenza, 1991 p. I - 1223; Sentenza del Tribunale di primo grado del 10 luglio 1990, Tetra Pak Rausing Sa contro Commissione

delle Comunità europee, causa T-51/89, Raccolta della giurisprudenza 1990, p. II - 309, § 22; Sentenza del Tribunale di primo grado del 18 settembre 1992, Automec Srl contro Commissione delle Comunità europee, causa T-24/90, Raccolta della giurisprudenza, 1992, p. II - 2223; Sentenza della Corte del 9 novembre 1995, Repubblica federale di Germania contro

Consiglio dell'Unione europea, causa C-426/93, Raccolta della Giurisprudenza, 1995, p. I - 3723. Con riferimento alle finalità dell'art. 83 TCE, paragonato all'art. 95 TCE e 86(3) TCE, la Corte di giustizia ha sostenuto che: "L'art. [95] riguarda le misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

82

es., la distribuzione della competenza tra gli organi, il rapporto tra di essi, le sanzioni per le violazioni) sostituendo così il sistema provvisorio di tutela antitrust definito dal TCE (ex artt. 84 e 85 TCE).

Infine, anche gli artt. 84 e 85 TCE costituiscono parte di tale competenza per la tutela della concorrenza. Essi, sebbene disciplinino il sistema transitorio di tutela antitrust in assenza dei regolamenti o direttive ex art. 83 TCE, continuano a svolgere una funzione importante riguardo ai poteri trasferiti dagli Stati membri alla CE (ad es. il ruolo di direzione della politica antitrust CE da parte della Commissione, il potere della Commissione di emettere sanzioni, il ruolo delle Autorità nazionali come partecipanti al sistema antitrust CE) 203.

Quanto qui sostenuto riguardo alla competenza antitrust del Trattato CE è valido anche con riferimento al Trattato costituzionale europeo. Infatti, gli artt. da 161 - 165 Cost. eu. ripropongono sostanzialmente il testo degli artt. da 81 - 85 TCE 204.

Come unica rilevante modifica del testo del TCE, il Trattato costituzionale ha espressamente introdotto il potere della Commissione di "adottare regolamenti europei concernenti le categorie di accordi per le quali il Consiglio ha adottato un regolamento europeo conformemente all'articolo III - 163, paragrafo 2, lettera b)" (art. 165(3) Cost. eu.). Deve però essere ricordato che tale potere era stato attribuito, già nella vigenza del Trattato di Roma, dal Consiglio all'Autorità CE in

membri che hanno per oggetto l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno. Oggetto dell'art. 87 è l'adozione di tutti i regolamenti o tutte le direttive utili ai fini dell'applicazione dei principi sanciti dagli artt. 85 e 86, ossia delle regole di concorrenza applicabili a tutte le imprese. Quanto all' art. [86], questo concerne le misure adottate dagli Stati membri nei confronti delle imprese con le quali essi hanno stabilito particolari legami indicati dalle disposizioni di questo articolo. Solo nei confronti di tali misure esso impone alla Commissione un dovere di vigilanza da esercitare, ove occorra, rivolgendo agli Stati membri direttive o decisioni. // È d'uopo pertanto constatare che l'oggetto della competenza conferita alla Commissione dall'art. [86], n. 3, è diverso e più specifico rispetto a quello delle competenze attribuite al Consiglio dall'art. [95], da un lato, e dall'art. [83], dall'altro", Sentenza della Corte del 19 marzo 1991, Repubblica francese contro Commissione delle Comunità europee, causa C-202/88, Raccolta della giurisprudenza, 1991 p. I - 1223, § 23.

203 In particolare, gli aspetti riguardanti gli artt. 84 e 85 TCE, in quanto relativi al sistema di applicazione antitrust CE piuttosto che alla competenza antitrust CE, saranno trattati nella terza parte del presente studio.

204 Con riferimento alle differenze del testo delle norme da 161 a 165 Cost. eu. rispetto a quelle degli artt. da 81 a 85 TCE, v. infra.

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

83

singoli regolamenti di delega 205. Tale attribuzione è stata anche oggetto di valutazione da parte della Corte di giustizia 206.

Per determinare l'estensione della competenza antitrust nel Trattato costituzionale, rispetto al TCE, è però necessario richiamare anche l'art. 13 Cost. eu. (rubricato come "settori di competenza esclusiva"). L'art. 13(1) Cost. eu. include tra i settori di competenza esclusiva "la definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno". Tale norma non determina modifiche rispetto al contenuto della competenza antitrust disciplinata dal TCE. A ben vedere, però, la formulazione e la collocazione della norma non risulta,

205 V. ad esempio, reg. (CEE) n. 2821/71 del Consiglio, del 20 dicembre 1971, relativo

all'applicazione dell'articolo [81], paragrafo 3, del Trattato a categorie di accordi, di decisioni e di pratiche concordate (Gazzetta ufficiale n. L 285 del 29 dicembre 1971 pag. 46 - 48). La parte dei considerando del regolamento prevede: "Considerando che le modalità di

applicazione dell'articolo [81], paragrafo 3, devono essere stabilite con regolamento basato

sull'articolo [83]; (…) considerando che è opportuno porre la Commissione in grado di dichiarare mediante regolamento inapplicabili le disposizioni dell'articolo [81], paragrafo 1, a talune categorie di accordi, decisioni e pratiche concordate, per facilitare alle imprese una cooperazione economicamente auspicabile e senza inconvenienti sotto l'aspetto della politica della concorrenza; (…) considerando che occorre precisare le condizioni in cui la Commissione

potrà esercitare tale potere, in collegamento stretto e costante con le Autorità competenti degli

Stati membri; considerando che, in virtù dell'articolo 6 del regolamento n. 17, la Commissione può disporre che una decisione adottata ai sensi dell'articolo [81], paragrafo 3, del Trattato si applichi con effetto retroattivo; che conviene che la Commissione possa adottare

tale decisione anche in un regolamento; considerando che in virtù dell'articolo 7 del regolamento

n. 17 possono essere sottratti al divieto, mediante decisione della Commissione, gli accordi, le

decisioni e le pratiche concordate, (…) Articolo 1 - 1. Fatta salva l'applicazione del regolamento n. 17, la Commissione può dichiarare, mediante regolamento ed in conformità all'articolo 85, paragrafo 3, del Trattato, che l'articolo [81], paragrafo 1, non è applicabile a

categorie di accordi tra imprese, di decisioni di associazioni di imprese e di pratiche concordate che hanno come oggetto (…)".

Successivamente il reg. 2658/00 (regolamento (CE) n. 2658/2000 della Commissione, del 29 novembre 2000, relativo all'applicazione dell'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato a categorie di accordi di specializzazione (Testo rilevante ai fini del SEE), Gazzetta ufficiale n. L 304 del 5 dicembre 2000 pag. 3 — 6) ha previsto: "Visto il regolamento (CEE) n. 2821/71 del Consiglio, del 20 dicembre 1971, relativo all'applicazione dell'articolo [81], paragrafo 3, del Trattato a categorie di accordi, di decisioni e di pratiche concordate, modificato da ultimo dall'atto di adesione dell'Austria, della Finlandia e della Svezia, in particolare l'articolo 1, paragrafo 1, lettera c), (…) ([considerando] 1) Il regolamento (CEE) n. 2821/71 conferisce alla Commissione il potere di applicare, mediante regolamento, l'articolo 81, paragrafo 3 (ex articolo 85, paragrafo 3), del Trattato CE a categorie di accordi, decisioni e pratiche concordate rientranti nel campo di applicazione del paragrafo 1 dello stesso articolo e aventi per oggetto la specializzazione, ivi compresi gli accordi necessari per la sua realizzazione (…)".

206 Sentenza della Corte del 15 luglio 1970, Acf Chemiefarma Nv contro Commissione

delle Comunità europee, causa 41/69, Raccolta della giurisprudenza, 1970, p. 661, § 59.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

84

per quanto riguarda il diritto antitrust, particolarmente felice. La norma potrebbe far presumere (erroneamente) l'esistenza di una competenza esclusiva dell'Unione europea (anche) con riferimento al diritto antitrust CE (sul punto, in modo esteso v. infra § 37).

20. Il ruolo del diritto antitrust nel Trattato CE (artt. 2, 3, 81, 82 TCE) e

nel Trattato costituzionale (artt. 3, 13, 161, 162 Cost. eu.).

Al fine di individuare concretamente quale ruolo svolga la

competenza antitrust all'interno del Trattato CE, è necessario ricordare il rapporto presente nel TCE tra "obiettivi, azioni e mezzi". Infatti, la prima parte del Trattato — secondo un principio generale — individua agli artt. 2 e 3 TCE gli obiettivi e le azioni della Comunità; la terza parte del Trattato individua i mezzi di cui la Comunità è titolare per svolgere le relative politiche o le relative azioni. Solo la lettura complessiva di questi tre distinti piani (obiettivi della CE, obiettivi delle azioni, mezzi per l'esercizio delle stesse) permette di comprendere e interpretare le competenze e i poteri riconosciuti alla Comunità, anche con riferimento al diritto antitrust CE.

Affrontando il rapporto tra "obiettivi, azioni, mezzi" secondo una "direzione inversa", nell'impianto del sistema di tutela della concorrenza comunitario, gli artt. 81 e 82 TCE rappresentano i mezzi di attuazione dell'art. 3(1) lett. g TCE, cioè essi sono disposizioni fondamentali "per l'adempimento dei compiti affidati alla Comunità e, in particolare, per il funzionamento del mercato interno" 207.

A sua volta, l'art. 3(1) lett. g TCE disciplina tra le azioni della Comunità "un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno". Secondo la giurisprudenza CE l'art. 3(1) lett. g TCE rappresenta uno scopo generale del Trattato, costituendo inoltre "parte dei principi generali del mercato comune che sono applicati unitamente ai rispettivi capi del Trattato" 208.

207 Sentenza della Corte del 1. giugno 1999, Eco Swiss China Time, cit. a nota 301, § 36;

Sentenza della Corte del 20 settembre 2001, Courage, cit. a nota 298, § 20. Gli artt. 81(1) e 82 TCE costituiscono inoltre le uniche norme i quali, diversamente dall'art. 2 e 3 TCE, dispongono di effetto diretto.

208 Sentenza della Corte del 10 gennaio 1985, causa 229/83, Raccolta della giurisprudenza, 1985, p. 1, § 8; Sentenza della Corte (quinta sezione) del 29 gennaio 1985, Henri Cullet e

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

85

Infine, l'art. 2 TCE — costituendo il fine ultimo della previsione degli artt. 81 e 82 TCE — "descrive la missione" della CE (tra i quali obiettivi fondamentali è indicato il "mercato comune", art. 2 TCE, e a cui si è aggiunto successivamente il "mercato interno", art. 14 TCE); l'art. 3 TCE "determina gli ambiti e gli obiettivi sui quali verte l'azione della Comunità, enuncia i principi generali del mercato comune, che sono applicati unitamente ai capi rispettivi del Trattato destinati ad attuare tali principi".

Volendo individuare all'interno del Trattato costituzionale quale ruolo svolga la competenza antitrust, è interessante notare che a livello generale il Trattato costituzionale europeo ha modificato leggermente la struttura relativa al rapporto "obbiettivi, azioni e mezzi" disciplinata nel TCE. Infatti, gli obiettivi dell'Unione sono indicati nella parte prima del Trattato costituzionale; l'indicazione delle azioni e dei mezzi, diversamente dal TCE, sono invece contenuti nella parte terza del Trattato costituzionale.

A questa organizzazione fa eccezione la competenza relativa alla politica di concorrenza (e quindi anche alla competenza antitrust). Infatti, gli obiettivi dell'Unione e l'obiettivo della politica di concorrenza sono entrambi contenuti nella prima parte del Trattato costituzionale. In particolare l'art. 3(1) Cost. eu., rubricato come "Obiettivi dell'Unione", recita: "l'Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli". L'art. 3(2) Cost. eu., presentando quelli che sono stati i risultati del processo di integrazione europea, recita: "L'Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne e un mercato interno nel

quale la concorrenza è libera e non è falsata" (corsivo aggiunto). Quindi, all'interno del Trattato costituzionale, la funzione della

disciplina antitrust (rectius la funzione della concorrenza) è quella di "mezzo" per pervenire a quanto disposto dall'art. 3(2) Cost. eu. ("un mercato interno nel quale la concorrenza è libera e non è falsata").

Chambre Syndicale des Reparateurs automobiles et detaillants de produits petroliers contro Centre

Leclerc di Tolosa e Centre Leclerc di Saint-Orens de Gameville, causa 231/83, § 10; Sentenza della Corte dell'11 marzo 1992, Compagnie commerciale de l'ouest e altri contro Receveur

principal des Douanes de la Pallice port, cause riunite C-78/90, C-79/90, C-80/90, C-81/90, C-82/90 e C-83/90, Raccolta della giurisprudenza, 1992, p. I-1847, § 18.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

86

21. Il concetto di diritto antitrust: la differenza tra normativa a tutela della

concorrenza e normativa di regolamentazione della concorrenza.

Passando ad affrontare lo studio della competenza antitrust CE è

necessario prendere in considerazione un aspetto poco affrontato dalla dottrina e dalla giurisprudenza ma dagli importanti risvolti pratici, sia a livello comunitario (art. 3 reg. 1/03), che a livello nazionale; e cioè, in

primo luogo, in cosa consista la normativa antitrust e, in secondo luogo, quale sia la differenza tra normativa a tutela della concorrenza e normativa di regolamentazione della concorrenza 209.

Con riferimento al primo punto, la disciplina antitrust coincide concettualmente con il diritto di tutela della concorrenza. Con disciplina antitrust ci si riferisci infatti alle normative finalizzate ad evitare che la concorrenza tra imprese (e quindi il mercato stesso) sia eliminata (rectius che, in ultima istanza, il diritto di iniziativa economica sia esercitato in modo che alla concorrenza non sia sostituito il monopolio privato) 210. Le normative a tutela della concorrenza coincidono quindi con le normative emanate a seguito della seconda industrializzazione (a partire dalla seconda parte del XIX secolo); in particolare coincidono con le norme emanate negli Stati uniti d'America (Sherman Act, 1890) e, in Europa, con le normative emanate nella seconda parte del XX secolo al fine di creare il "mercato comune" e di tutelare compiutamente il diritto di iniziativa economica; ad iniziare dalla disciplina "a livello europeo" del Trattato di Roma (artt. 85 e 86 TCE (1957)) e dalla disciplina del tedesco Gesetz gegen

Wettbewerbsbeschränkungen — entrambe entrate in vigore il 1 gennaio 1958 —.

209 A ben vedere, lo stesso considerando 9 reg. 1/03 opera una distinzione tra norme

"dirette a proteggere la concorrenza" (rectius normative antitrust) e norme che siano dirette alla tutela di "altri legittimi interessi". Ad avviso della Commissione le prime si caratterizzerebbero in quanto "hanno l'obiettivo di proteggere la concorrenza sul mercato". Le seconde si riferiscono a normative che abbiano un obiettivo distinto da quello degli artt. 81 e 82 CE (nell'esempio presentato dalla Commissione, la "legislazione che vieta alle imprese di imporre ai loro partner commerciali, di ottenere o di tentare di ottenere dagli stessi condizioni non giustificate, sproporzionate o irragionevoli", considerando 9 reg. 1/03).

210 Le normative a tutela della concorrenza presumono, quindi, il riconoscimento del diritto di iniziativa economica nel relativo ordinamento (precedentemente all'emanazione della normativa antitrust — come avvenuto nella Costituzione italiana ex art. 41 Cost. it. — o in coincidenza con l'emanazione della normativa antitrust — come nel caso del TCE — ).

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

87

Le normative a tutela della concorrenza si distinguono dalle normative di controllo dei cartelli emanate in Europa negli anni '20 e '30 del XX secolo e già prese in considerazione supra § 10. Queste seconde, infatti, al contrario di tutelare la concorrenza avevano la finalità, da una parte, di rafforzare le economie nazionali (attraverso la cartellizzazione) per "sopraffare" le altre economie europee (ad es., in parte, nel caso della Germania); dall'altra, esse avevano la funzione di tutelare le economie nazionali dalle economie degli altri paesi (ad es., in parte, nel caso dell'Italia). In altre parole, queste normative — sebbene emanate con la finalità di un (presunto) interesse della tutela della complessiva economia nazionale — avevano quale obbiettivo l'eliminazione della concorrenza tra imprese o la costituzione dei monopoli nazionali (v. ad es. il tedesco Zwangkartellgesetz del 1933, o l'italiana Legge sui consorzi obbligatori del 1923). Non è un caso che le normative degli anni '20 e '30 erano definite "diritto dei cartelli" (Kartellrecht) e non "diritto a tutela della concorrenza" (Wettbewerbsrecht), come sarà poi per le normative emanate in Europa dagli anni '50 in poi.

Le norme antitrust si caratterizzano per due elementi: 1. disciplinano i divieti di comportamenti conseguenti all'esercizio del diritto di iniziativa economica che possano determinare l'esclusione della concorrenza e la sostituzione ad essa del monopolio privato (cioè il divieto di accordi di cartello e il divieto di comportamenti unilaterali di imprese con tale obiettivo). L'interpretazione dei divieti può poi essere differente e modificarsi nel corso del tempo (ad es., tutela del diritto di iniziativa economica, tutela dell'efficienza allocativa, stimolo per la differenziazione dei prodotti - v. infra 32), modificando quindi la "concreta" finalità del divieto; 2. le norme a tutela della concorrenza hanno un'applicazione generale; esse cioè disciplinano tutti i settori economici e tutte le imprese in modo indeterminato salvo eccezioni espresse. In altre parole, la disciplina antitrust costituisce la regola generale del comportamento (lecito) delle imprese. In questo senso non esiste un "diritto antitrust speciale" 211.

211 Cfr. MARIO LIBERTINI, Una disciplina antitrust speciale per le comunicazioni

elettroniche, in Contratto e impresa - Europa, 2002, p. 910. In questo senso, non è da ritenersi corretta la rubrica del Capo II, l. n. 112/04 (cd.

Legge Gasparri), la quale recita, riprendendo testualmente il titolo della legge antitrust

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

88

Questi due aspetti (obiettivo della normativa e genericità dell'applicazione) permettono, ad esempio, di distinguere le norme a tutela della concorrenza da altre normative che disciplinano il rapporto tra imprese (ad es. norme sulla concorrenza sleale, norme relative alla dipendenza economica). Infatti, le normative antitrust sono le uniche le quali tutelano in modo generale (e quindi a tutela di tutte le imprese senza distinzione) la concorrenza in opposizione al monopolio privato 212.

Ciò detto, da un punto di vista di fatto, negli Stati membri della CE è relativamente semplice individuare quali siano le normative antitrust rispetto alle normative che tutelano altri interessi. Di regola, infatti, in considerazione del fenomeno della "comunitarizzazione" del diritto antitrust degli Stati membri (v. infra § 83), quasi tutti i divieti delle normative nazionali presentano una formulazione simile a quella degli artt. 81 e 82 TCE.

Differentemente dalla categoria di normative a tutela della

concorrenza, le normative di regolamentazione della concorrenza sono quelle che non presentano entrambi i requisiti supra individuati. In particolare, per norme di regolamentazione della concorrenza si intendono normative le quali disciplinino il diritto all'esercizio di una specifica attività in un dato settore economico, le modalità con cui le imprese possono o debbono esercitare il loro diritto di iniziativa economica, i rapporti tra imprese stesse o tra imprese e soggetti pubblici.

Le norme del TCE forniscono degli esempi per chiarire la differenza tra norme di tutela e di regolamentazione della concorrenza. In particolare all'interno della Parte terza, Titolo VI, Capo I del TCE italiana: "Tutela della concorrenza e del mercato". Questo in quanto la normativa italiana "a tutela della concorrenza" (rectius la legge italiana antitrust) è esclusivamente la l. n. 278/90. La legge Gasparri è quindi una legge di regolazione della concorrenza le cui norme di cui agli artt. 14 ss. l. n. 112/04 non svolgono la funzione di tutela della concorrenza (cioè non sono norme antitrust), ma la tutela del pluralismo; sul punto v. l'intervista a Mario Monti, in Corriere della Sera del 22 dicembre 2003, p. 11.

212 Con particolare riferimento alla normativa sulla dipendenza economica, tale disciplina tutela una specifica categoria di imprese, cioè le imprese fornitrici le quali si trovino in una situazione di "dipendenza" rispetto ad altre imprese della stessa filiera economica. In assenza di una simile normativa, le imprese "economicamente dipendenti" potrebbero "concentrarsi" tra loro al fine di escludere tale situazione di dipendenza e garantire la loro sopravvivenza (cioè l'esercizio del diritto di iniziativa economica) rispetto al soggetto che si trova in una situazione di monopsonio. Differentemente, nulla può fare l'impresa la quale sia boicottata da imprese concorrenti che si uniscono in cartello.

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

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— definito "regole di concorrenza" (artt. 81 — 89 TCE) — gli artt. 81 e 82 TCE costituiscono norme di tutela della concorrenza 213.

Gli artt. 86 e 87 TCE ss. sono anch'essi regole di concorrenza — come indicato dal relativo Capo del TCE —, ma non sono norme a tutela della concorrenza. In particolare, con riferimento agli artt. 86 e 87 TCE, l'obiettivo costituito dal mercato comune — e cioè uno spazio in cui le imprese di differenti Stati possano agire senza essere discriminate dagli Stati membri sulla base della nazionalità — ha richiesto come

regola (anche se con eccezioni espresse 214) l'astensione degli Stati membri dall'intervento in economia tale da poter alterare la concorrenza sul "mercato comune"; ciò al fine di creare appunto … il "mercato comune" europeo 215.

Infine, sotto altro profilo, la disciplina relativa alle quattro libertà fondamentali nel TCE costituisce anch'essa una normativa di regolamentazione della concorrenza. La normativa sulle quattro libertà fondamentali, in particolare, è una normativa che aumenta la

concorrenza — che è cosa differente dalla tutela della concorrenza —. Tali norme, infatti, in considerazione del divieto degli Stati membri di emanare normative che discriminino le imprese sulla base della nazionalità, permettono la concorrenza su di un piano di uguaglianza tra imprese aventi sede in differenti Stati membri.

213 Ma v. la Commissione quando si esprime in questi termini: "In tali casi, tuttavia, le

informazioni trasmesse alla Rete ai sensi dell'articolo 11 non potranno essere utilizzate dagli altri membri della Rete per avviare un'indagine per loro conto ai sensi delle regole di

concorrenza comunitarie o, nel caso delle Autorità nazionali garanti della concorrenza, ai sensi del diritto nazionale in materia di concorrenza e di altre disposizioni nazionali", (Comunicazione sulla Rete, § 39 - corsivo aggiunto).

214 Ci si riferisce, in particolare, alla politica comune agricola, artt. 32 TCE ss.. 215 Tale valutazione è inoltre sostenuta dalla rubrica dell'art. 3 reg. 1/03, rubrica titolata

genericamente: "Rapporto fra gli articoli 81 e 82 e le legislazioni nazionali in materia di

concorrenza" (corsivo aggiunto). La norma disciplina infatti sia il rapporto tra normativa antitrust CE e discipline antitrust nazionali (art. 3(2) reg. 1/03), sia i rapporti tra gli artt. 81 e 82 TCE e le normative di regolamentazione della concorrenza (art. 3(3) reg. 1/03).

SEZIONE II

I DIVIETI ANTITRUST DEL TRATTATO CE (ARTT. 81 E 82 TCE) E DEL

TRATTATO COSTITUZIONALE (ARTT. 161 E 165 COST. EU.)

SOMMARIO: — Sottosezione I — La redazione e l'attuazione del divieto di intese

anticoncorrenziali (art. 81 TCE, art. 161 Cost. eu.). — 22. La dichiarazione Spaak e le norme antitrust del Trattato CEE (1957). La disciplina dei cartelli industriali in Francia e in Germania negli anni '50 e la relativa influenza sulla redazione dell'art. 81 TCE. — 23. La redazione dell'art. 81 TCE. La proposta francese e le "difficoltà" della rappresentanza tedesca. Il compromesso di von der Groeben. — 24. L'attuazione dell'art. 81(3) TCE ai sensi del reg. 17/62. L'influenza della scuola di Friburgo e di E.-J. Mestmäcker nella successiva prassi di applicazione dell'art. 81(1) TCE. — 25. L'attuazione dell'art. 81 TCE ai sensi del reg. 1/03. I limiti dell'applicazione dell'art. 81(3) TCE ex reg. 17/62 e il "Libro bianco sulla modernizzazione". L'art. 1 della proposta di regolamento del 2000 della Commissione. — 26. L'attuazione dell'art. 81(3) TCE ai sensi del reg. 1/03. L'art. 2 reg. 1/03 e l'onere della prova della violazione del diritto antitrust CE. — 27. La critica di E.-J. Mestmäcker alla legittimità dell'art. 1 reg. 1/03. — Sottosezione II — La redazione e l'attuazione del divieto di abuso di posizione

dominante (art. 82 TCE, art. 162 Cost. eu.). — 28. La dichiarazione Spaak e la discussione sulla disciplina dei comportamenti monopolistici delle imprese: la redazione dell'art. 82 TCE. — 29. L'art. 82 TCE, l'attuazione e l'"effetto diretto" della norma. — Sottosezione III — Il contenuto e le finalità dei divieti antitrust europei. — 30. Il contenuto degli artt. 81 e 82 TCE: a) le analogie tra le due norme. — 31. (segue) b) le differenze tra le due norme. — 32. (segue) c) La finalità delle due norme: l'influenza della scuola di Friburgo e la modifica prevista nella Comunicazione del 2004 sull'applicazione dell'art. 81(3) TCE. — 33. (segue) d) Le differenti finalità del diritto antitrust CE e del diritto antitrust degli Stati membri. L'erroneità dell'impostazione che sostiene l'applicazione generale del diritto antitrust statale in sostituzione del diritto antitrust europeo per tutelare il mercato interno. — Sottosezione IV — Il campo di

applicazione dei divieti antitrust europei. — 34. Il campo di applicazione del diritto antitrust europeo. Le violazioni che non determinano un pregiudizio sensibile sul commercio interstatale. — 35. Il campo di applicazione del diritto antitrust europeo e la relativa funzione: l'irragionevolezza della richiesta di riduzione del campo dei divieti antitrust europei.

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

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SOTTOSEZIONE I

LA REDAZIONE E L'ATTUAZIONE DEL DIVIETO DI INTESE

ANTICONCORRENZIALI (ART. 81 TCE, ART. 161 COST. EU.)

22. La dichiarazione Spaak e le norme antitrust del Trattato CEE (1957).

La disciplina dei cartelli industriali in Francia e in Germania negli anni

'50 e la relativa influenza sulla redazione dell'art. 81 TCE.

Passando alle norme di divieto antitrust disciplinate nel TCE, il cd.

Rapporto Spaak del 1955 prevedeva, nella parte relativa alle regole di concorrenza dirette alle imprese, la formulazione di due ordini di disposizioni, il primo relativo al divieto di cartelli industriali; il secondo relativo al divieto di comportamenti monopolistici delle imprese 216.

Con riferimento al divieto di cartelli, la redazione della norma — norma che poi costituirà l'art. 85 TCEE (1957) — rappresenta un interessante fenomeno di confronto di (almeno) due culture giuridiche, quella francese e quella tedesca.

Riguardo alla Repubblica francese, essa aveva emanato (già negli anni '20) normative che regolamentavano gli accordi tra imprese 217. All'inizio degli anni '50 era stata istituita una Commissione di riforma dell'allora vigente normativa in quanto essa si era dimostrata non efficace e di difficile applicazione. Con riferimento all'impostazione di base della nuova normativa, la proposta di legge del 10 luglio 1952 218 era probabilmente influenzata dal modello di regolamentazione del mercato europeo della prima parte del XX secolo. Essa, infatti, prendeva le mosse dal presupposto (differente da quello del successivo Gesetz gegen Wettbewerbsbeschränkungen tedesco) che gli accordi di cartello tra imprese non fossero necessariamente negativi per la concorrenza e che vi fosse quindi la necessità di distinguere tra "accordi

216 REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, xxiv. 217 Per un excursus della disciplina francese in materia fino agli anni '50, v. PLAISANT

ROBERT - LASSIER JACQUES, Les Ententes Industrielles sous forme de Sociétés ou d'Associations, Paris, Juris-Classeurs, 1956.

218 JOSEPH HAMEL - GASTON LAGARDE, § 231. Controle des ententes industrielles, in Traite de Droit Commercial, Paris, Librairie Dalloz, p. 280.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

92

buoni" e "accordi cattivi" 219. Tale progetto di legge prevedeva infatti, in linea di principio, la liceità degli accordi tra imprese funzionali a

migliorare, nell'interesse generale, la produzione e la distribuzione (art. 1 Progetto n. 9951); il Progetto solo successivamente vietava gli atti finalizzati alla costituzione di monopoli, alla creazione di "coalition" o alla limitazione e alla soppressione della concorrenza sleale (art. 2 Progetto n. 9951) 220.

Tale impostazione, criticata dalla dottrina 221, determinò — anche grazie a studi di diritto comparato compiuti in Francia con riferimento alla disciplina dei cartelli in Germania e negli USA 222 — una successiva radicale modifica del testo. In conseguenza di ciò la formulazione finale della norma, l'art. 59 bis decreto 9 agosto 1953 disciplinò il "délit de

coalition", cioè il divieto di tutti gli accordi che avessero ad oggetto o effetto

di alterare la concorrenza, accordi questi espressamente vietati di diritto. In particolare, il délit de coalition previsto dall'art. 59 bis decreto del 9 agosto 1953 relativo al mantenimento e al ristabilimento della libera concorrenza 223 recitava: "Sont prohibées, sous réserve des dispositions de l'article 59 ter, — toutes les actions concertées, conventions, ententes expresses ou tacites, ou coalitions sous quelque forme et pour quelque cause que ce soit, allant pour objet ou pouvant avoir pour effet d'entraver le plein exercice de la concurrence en faisant obstacle à l'abaissement des prix de revient ou de vente ou en favorisant une hausse artificielle des prix.

Tout engagement ou convention se rapportant à une pratique ainsi prohibée est nul de plein droit.

Cette nullité peut être invoquée par les parties et par les tiers, elle ne peut être opposée aux tiers par les orties; elle est éventuellement

219 VITTORIO SALANDRA, Il diritto delle unioni di imprese (consorzi e gruppi), Padova, A.

Milani, 1934, 28 220 CHARLEY DEL MARMOL, Les Ententes industrielle, cit. a nota 86, 86. 221 CHARLEY DEL MARMOL, Les Ententes industrielle, cit. a nota 86, 86. 222 V. PIERRE GIDE, Le Projet Français de Loi Anti-Trust et les expériences etrangères -

Etats-Unis - Angleterre - Allemagne, Paris, Librairie Du Recueil Sirey, 1953. 223 ANDRE TOULEMON, Le Décret-loi du 9 août 1953 relatif au maintien ou au

rétablissement de la libre concurrence industrielle ou commerciale, Revue trimestrielle de Droit

Commercial, 1954, p. 269. Pierre Fortunet, Dirigisme et libre concurrence - De la

réglementation des ententes professionnelles et des conditions de vente par le décret du 9 août

1953, in Revue des Sociétés, 1954, p. 236.

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

93

constatée par les tribunaux de droit commun à qui l'avis de la commission, s'il en est intervenu un doit être communiqué".

Solo due categorie di intese rientranti in tale divieto e previste dall'art. 59 ter del decreto erano esentate dall'illiceità: le intese imposte da normative statali — normative ben conosciute al diritto CE in quanto prese in considerazione da una serie di decisioni e di sentenze negli anni '90 224 — e gli accordi che determinavano specifici vantaggi per la concorrenza. L'art. 59 ter prevedeva infatti: "Ne sont pas visées par les dispositions de l'article 59 bis, les actions concertées, conventions ou ententes:

1. Qui résultent de l'application d'un texte législatif ou réglementaire;

2. Dont les auteurs seront en mesure de justifier qu'elles ont pour effet d'améliorer et d'étendre les débouchés de la production, ou d'assurer le développement du progrès économique par la rationalisation et la spécialisation".

Quindi la riforma del 1953 — pur tenendo fermo il principio secondo cui era necessario distinguere tra accordi "buoni" e "cattivi" — modificava radicalmente l'impostazione del 1950 nei confronti delle intese anticoncorrenziali: da un presupposto di liceità dei cartelli ad un presupposto di illiceità, salvo l'esenzione del divieto per due ipotesi specifiche.

Ne consegue che, prima della negoziazione delle norme antitrust del Trattato di Roma, la Francia disponeva già nel 1952 di una normativa in materia di accordi anticoncorrenziali, normativa espressione di una chiara impostazione riguardo alla valutazione giuridica degli accordi tra imprese.

La situazione si presentava differente in Germania. La Germania aveva infatti già emanato nel 1920 normative relative alla disciplina dei cartelli. Esse, pur non dichiarando tali accordi illeciti, ne vietavano l'utilizzazione abusiva. Anche in conseguenza di questa scelta di

224 Sentenza della Corte del 3 dicembre 1987, Bureau National Interprofessionnel du

Cognac contro Yves Aubert, causa 136/86, Raccolta della giurisprudenza, 1987, p. 4789; 82/896/CEE: Decisione della Commissione, del 15 dicembre 1982, (IV/29.883 — UGAL/BNIC), Gazzetta ufficiale, n. L 379 del 31 dicembre 1982, p. 1 — 18; Sentenza della Corte del 30 gennaio 1985, Bureau National Interprofessionnel Du Cognac contro Guy Clair, causa 123/83, Raccolta della giurisprudenza 1985, p. 391.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

94

politica economica, l'economia tedesca nei primi 40 anni del XX secolo era stata organizzata sulla base di cartelli tra imprese piuttosto che sulla concorrenza tra di esse (v. supra § 10).

Alla fine della seconda guerra mondiale, successivamente all'emanazione da parte delle forze di occupazione di una legge sulla decartellizzazione 225, era stata istituita dal Governo una Commissione di studio per la redazione di una normativa in materia di tutela della concorrenza. Tale Commissione terminò i lavori in concomitanza (quasi negli stessi giorni) con la discussione sulla redazione delle norme antitrust del Trattato di Roma. Questo fatto determinò delle "interessanti" difficoltà — da poco chiarite grazie alla pubblicazione dei relativi documenti ufficiali 226 — per i rappresentanti tedeschi in sede di redazione del Trattato.

Per comprendere la posizione tenuta dalla Repubblica federale di Germania nel 1956/57 al tavolo delle trattative del Trattato di Roma — così come per comprendere le critiche di parte della dottrina tedesca alla riforma del reg. 17/62 delineata nel 2001 227 — è necessario sottolineare che all'interno della stessa dottrina tedesca era presente una intensa discussione riguardo al modello di disciplina dei cartelli. La dottrina era infatti divisa tra i sostenitori del Verbotprinzip e i sostenitori del Missbrauchtprinzip. I primi sostenevano — nel ricordo del disastro politico ed economico della Germania nazista e delle leggi di cartellizzazione — la necessità di vietare qualunque accordo orizzontale tra imprese anche al fine di tutelare il diritto di iniziativa economica dei singoli. Inoltre, tale dottrina sosteneva che la "dispersione" del potere economico e il riconoscimento generalizzato del diritto di iniziativa economica avrebbe determinato dei risultati di "giustizia sociale". Secondo questa impostazione gli accordi anticoncorrenziali tra imprese dovevano essere privi di efficacia

225 V. HAROLD RASCH, Wettbewerbsbeschränkungen Kartell- und Monopolrecht, 2a ed.,

Berlin, Verlag neue Wirtschaftsriefe, 1958, p. 5. 226 E cioè limitatamente a quelli pubblicati in REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a

cura di), Dokumente, cit. a nota 134. 227 V. ERNST-JOACHIM MESTMÄCKER, The EC Commission's Modernization, cit. a nota

501.

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

95

giuridica. Essi avrebbero acquisito la propria efficacia solo dopo la notifica dell'accordo ad uno specifico organo autonomo di controllo 228.

I sostenitori del Missbrauchprinzip sostenevano, al contrario, la necessità di formulare una norma che vietasse i cartelli — e ne escludesse la relativa efficacia giuridica — successivamente all'accertamento dell'illiceità del cartello 229. Parte dei propugnatori di tale principio asserivano, inoltre, l'illegittimità costituzionale del Verbotprinzip 230.

Il principio che venne poi assorbito nella legge tedesca del 1957 riguardo ai cartelli industriali — dopo durissimi scontri politici e dottrinari 231 — era quella del Verbotprinzip con specifiche esenzioni a tale principio 232. La disciplina degli accordi verticali era invece regolata da una norma distinta che non rientrava nel Verbotprinzip (art. 15 GWB ss.).

La legge sulla tutela della concorrenza tedesca fu votata nel 1957 ed entrò in vigore il 1 gennaio 1958, cioè lo stesso giorno dell'entrata in vigore del Trattato di Roma e delle relative norme antitrust.

Per concludere, la Repubblica federale di Germania — durante la redazione del Trattato di Roma del 1956/57 — non poteva presentare una chiara "politica concorrenziale" riguardo alla valutazione degli

228 FRANZ BÖHM, Verstößt ein gesetzliches Kartellverbot gegen das Grundgesetz?, in

Wirtschaft und Wettbewerb, 1956, p. 173. 229 V. RUDOLF ISAY, Wirtschaftliche und rechtliche Konsequenzen des Böhm-Entwurfs, in

Wirtschaft und Wettbewerb, 1955, p. 339. 230 Per i vari motivi di illegittimità sollevati, v. WERNER BENISCH, Ist das Kartellverbot

Grundgesetzwidrig?, in Der Betrieb, 1956, p. 37. Il Nörr riporta che alcuni di questi pareri erano stati commissionati dalla grande industria tedesca, KNUT WOLFGANG NÖRR, Die

Leiden des Privatrechts, cit. a nota 30, 203, nota 61. 231 Per una relazione su tale discussione v. Harold Rasch, Wettbewerbsbeschränkungen

Kartell- und Monopolrecht; Kommentar zum Gesetz gegen Wettbewerbsbeschränkungen, 2ed., Herne, Verlag Neue Wirtschafts-Briefe, 1958. V. anche tra i tanti, ERNST-JOACHIM

MESTMÄCKER, Der Böhm-Entwurf eines Gesetzes gegen Wettbewerbsbeschränkungen, in Wirtschaft und Wettbewerb, 1955, p. 285; WOLFRUM DOERINKEL, Abriß der 1. Lesung des

Kartellgesetzentwurfs im Bundestag, in Wirtschaft und Wettbewerb, 1955, p. 572; HAROLD

RASCH, Kartellverbot und Grundgesetz, in Wirtschaft und Wettbewerb, 1955, p. 679; WERNER

BENISCH, Zur Problematik eines gesetzlichen Schutzes des Leistungswettbewerbs, in Wirtschaft

und Wettbewerb, 1955, p. 421. 232 V. HAROLD RASCH, Wettbewerbsbeschränkungen, cit. a nota 225; v. anche i commenti

francesi di ALBERT TOMASI, La nouvelle Loi allemande sur les cartels - Loi contre les

limitations de la concurrence du 27 juillet 1957, in Revue trimestrielle de Droit commercial, 1958, p. 35.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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accordi tra imprese non disponendo in quel momento di una definitiva normativa antitrust nazionale.

23. La redazione dell'art. 81 TCE. La proposta francese e le "difficoltà"

della rappresentanza tedesca. Il compromesso di von der Groeben.

Durante la redazione delle norme antitrust del Trattato di Roma, i

rappresentanti della Repubblica francese proposero una norma relativa al divieto di accordi la quale, da una parte, armonizzasse le normative nazionali relative alla "discriminazione sulla base del prezzo 233 e, dall'altra, conteneva — relativamente alle pratiche restrittive di concorrenza 234 — gli stessi principi degli artt. 59 bis e 59 ter del decreto francese 9 agosto 1953. Tale seconda parte della proposta, in particolare, presentava il principio degli accordi "buoni" e "cattivi", cioè il divieto di accordi anticoncorrenziali salvo la possibilità di esentare specifiche intese che avessero avuto un effetto positivo sulla concorrenza.

Diversamente, i rappresentati dell'allora Repubblica federale di Germania avevano difficoltà a prendere posizione sul punto, non avendo essi stessi ben chiaro quale sarebbe stata la formulazione della relativa normativa nazionale. I rappresentanti tedeschi temevano che la redazione della norma comunitaria sui cartelli risultasse in contrasto con il diritto nazionale. Era già chiaro, infatti, che il diritto della concorrenza del Trattato avrebbe avuto una rilevante influenza sul diritto statale 235.

I rappresentanti della Repubblica federale di Germania, dopo un primo momento di esitazione, proposero una norma contenente il

233 Dal testo riportato da Schulze - Thomas: "Diskriminierungen auf dem Gebiet der

Preise - Artikel x - Innerhalb des gemeinsamen Marktes sind verboten: Preiserhöhungen und -senkungen, sowie Änderungen von Verkaufsbedingungen für vergleichbare Geschäfte gegenüber Käufern oder Verkäufern, die miteinander im Wettbewerb stehen", v. REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, 158, documento 51. Cfr. la somiglianza di tale proposta con quanto era stato sostenuto dal Oualid in sede di Convenzione di Ginevra del 1927, v. surpa.

234 Dal testo: "Einschränkende Praktiken im Wettbewerb", v. REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, 158, documento 51.

235 REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, 195, documento 62.

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

97

Verbotprinzip senza eccezioni, qualificando tale proposta come unica e immodificabile 236.

A fronte di tale proposta i rappresentanti francesi — così come le altre rappresentanze — irrigidirono le loro posizioni pervenendo quindi ad una situazione di stallo 237. I documenti ufficiali indicano come i rappresentanti della Repubblica federale di Germania riconoscevano però che: "È impossibile imporre a livello europeo un principio [cioè il Verbotprinzip] che è oggetto di discussione nella Germania stessa" 238.

La situazione fu risolta dal Presidente del sottogruppo relativo alle norme della concorrenza — il tedesco Hans von der Groeben, successivamente primo Direttore della Direzione generale della concorrenza della Commissione 239 —. Il compromesso proposto da von der Groeben, e accettato dalle parti, fu la previsione di una norma relativa al divieto di accordi tra imprese che prevedesse la possibilità di autorizzare gli accordi vietati, sul modello proposto dalla rappresentanza francese 240.

La formulazione finale dell'art. 81 TCE disponeva (e dispone): "Sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune" (corsivo aggiunto). La norma elencava inoltre alcuni tipi di pratiche vietate 241. Il

236 REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, xxvii. 237 REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, xxvii. 238 REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, 205,

documento 65. 239 Hans von der Groeben era stato uno dei redattori del Relazione Spaak ed aveva

degli stretti rapporti con la scuola ordoliberale di Friburgo; v. DAVID J GERBER, Law and

competition, cit. a nota 143, 263. 240 REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, xxxi. 241 Cioè le pratiche "consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi

d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione, b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti, c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento, d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza, e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi" (art. 81(1) TCE).

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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Trattato costituzionale ha modificato tale norma sostituendo al concetto di "mercato comune", il concetto di "mercato interno", quale obbiettivo concretamente raggiunto durante il processo di integrazione europea.

L'art. 81(2) TCE prescriveva — così come l'art. 53 bis del decreto francese del 1953 ma anche come la Notverordnung tedesca del 1931, e così come ai sensi dell'art. 161(2) Cost. eu. — che "gli accordi e decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto" 242.

L'art. 81(3) TCE, come già anticipato, prevedeva (e prevede) un'eccezione al divieto dell'art. 81(1) TCE disciplinando inoltre i requisiti in presenza dei quali dichiarare non applicabile il divieto ex art. 81(1) TCE. L'art. 81(3) TCE recitava (e recita): "Tuttavia, le disposizioni del paragrafo 1 possono essere dichiarate inapplicabili: — a qualsiasi accordo o categoria di accordi fra imprese, — a qualsiasi decisione o categoria di decisioni di associazioni di imprese, e — a qualsiasi pratica concordata o categoria di pratiche concordate che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a

promuovere il progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell'utile che ne deriva, ed evitando di: a) imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi, b) dare a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi" (corsivo aggiunto) 243.

242 La previsione della conseguenza civilistica della nullità dell'accordo costituiva

quindi il retaggio dell'evoluzione delle norme di controllo dei cartelli industriali. Gli Stati europei non previdero fino agli anni '20 — come spiegato supra — normative che riconoscessero ai singoli partecipanti il cartello — nel loro interesse e a tutela del diritto di iniziativa economica — il diritto di risolvere l'accordo.

243 Le esenzioni dal divieto dell'art. 81(1) TCE possono essere riconosciute tramite decisioni dirette a singoli casi o tramite regolamento. I regolamenti definiscono le categorie di intese alle quali è riconosciuta l'esenzione. La giurisprudenza ha sostenuto che l'emanazione di questi regolamenti di esenzione per categoria è funzionale alla certezza del diritto, Sentenza della Corte del 13 luglio 1966, Governo della Repubblica italiana contro il

Consiglio della CEE e la Commissione della CEE, causa 32/65, Raccolta della giurisprudenza, 1966 p. 296.

Vi è però una profonda differenza tra esenzione riconosciuta tramite decisione e tramite regolamento; il fatto che un accordo sia inserito in un regolamento di esenzione non significa che esso sia necessariamente vietato ex art. 81(1) TCE. Al contrario, un accordo esentato tramite decisione ex art. 81(3) TCE è necessariamente contrario all'art. 81(1) TCE, Sentenza della Corte del 13 luglio 1966, Governo della Repubblica italiana, cit. supra nella stessa nota, p. 296; Sentenza del Tribunale di primo grado del 10 luglio 1990, Tetra Pak

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

99

Von der Groeben propose inoltre di rinviare la decisione che aveva determinato lo "stallo", cioè la modalità di applicazione dell'autorizzazione (tramite il Verbotprinzip o il Missbrauchprinzip), in un regolamento successivo alla firma del Trattato di Roma (ciò è dimostrato anche dalle prese di posizioni del Governo olandese, del Parlamento francese e del Parlamento italiano nel 1957 244). A tal fine il 28 novembre 1956 fu redatta la bozza dell'articolo poi divenuto — dopo successive elaborazioni — l'art. 83(2) lett. e TCE 245.

In forza di tale compromesso — e ai sensi degli artt. 84 e 85 TCE — si decise che l'art. 81(1) e (3) TCE sarebbe stato applicato, "fino al momento dell'entrata in vigore delle disposizioni adottate in applicazione dell'articolo 83", dalle "Autorità degli Stati membri (…) in conformità del diritto nazionale interno" (art. 84 TCE). Quindi le Autorità nazionali, ai sensi dell'art. 84 TCE, erano competenti anche ad applicare l'eccezione prevista dall'art. 81(3) TCE "in conformità del diritto nazionale interno". Secondo il compromesso, la scelta "costituzionale" della modalità di applicazione dell'art. 81(3) TCE (secondo il Verbotprinzip o Missbrauchprinzip) era così temporaneamente lasciata alla scelta degli Stati membri 246 (sul punto v. infra § 58).

Il Trattato costituzionale ha "assorbito" nell'art. 161(3) Cost. eu., senza sostanziali modifiche, il testo dell'art. 81(3) TCE 247.

Rausing Sa contro Commissione delle Comunità europee, causa T-51/89, Raccolta della giurisprudenza 1990, p. II - 309, § 28.

244 V. i documenti citati da ALBRECHT SPENGLER, infra nota 268. 245 REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, xxxi. 246 Quindi, il compromesso del von der Groeben prevedeva che fino all'emanazione

delle norme del regolamento ex art. 83 TCE gli Stati membri avrebbero applicato, secondo le rispettive discipline nazionali, direttamente l'art. 81(3) TCE. Questo fatto giustificava, perciò, il richiamo delle Autorità nazionali — ai sensi degli artt. 84 e 85 TCE — direttamente dalle norme del Trattato. Con riferimento alla differente opinione del Goyder relativamente ai motivi del richiamo nel Trattato delle Autorità nazionali, v. infra nota 506.

La discussione sulla redazione dell'art. 81(3) TCE ha degli evidenti effetti sull'attuale discussione della riforma del 2002. La struttura dell'art. 81 TCE, ripresa in parte dalla normativa francese, ha determinato, infatti, le difficoltà della trasformazione di tale norma in norma avente effetto diretto, v. infra. Non è un caso che il Mestmäcker neghi espressamente che il testo dell'art. 81 TCE sia correlato alla proposta francese in sede di redazione del Trattato CEE, cfr. ERNST-JOACHIM MESTMÄCKER, The EC Commission's

Modernization, cit. a nota 501, 416. 247 Salvo la sostituzione della frase "Tuttavia, le disposizioni del paragrafo 1 possono

essere dichiarate inapplicabili" in "Tuttavia‚ il paragrafo 1 può essere dichiarato inapplicabile" (art. 161(3) Cost. eu.).

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

100

24. L'attuazione dell'art. 81(3) TCE ai sensi del reg. 17/62. L'influenza

della scuola di Friburgo e di E.-J. Mestmäcker nella successiva prassi di

applicazione dell'art. 81(1) TCE.

Anche la redazione nel 1961 del testo del primo regolamento ex art.

83 TCE — e in particolare della modalità di applicazione dell'art. 81(3) TCE — fu oggetto di forti discussioni. Infatti, il differente principio di giudizio dei cartelli industriali -da parte dei francesi e dei tedeschi- non era cambiato.

La rappresentanza tedesca sosteneva, infatti, l'applicazione dell'art. 81(3) TCE a guisa del Verbotprinzip — recepito nel Gesetz gegen

Wettbewerbsbeschränkungen del 1957 — 248. La rappresentanza francese sosteneva invece — come previsto dal

decreto del 1953 — un'applicazione dell'art. 81(3) TCE a guisa del Missbrauchprinzip, cioè validità degli accordi stipulati dalle parti fino al momento in cui non fosse stata accertata la violazione dell'art. 81 TCE 249.

Il "difficile" compromesso tra le differenti posizioni venne raggiunto con l'aiuto del relatore del regolamento — il tedesco Arved Deringer — e fu trasposto nel reg. 17/62, primo regolamento di attuazione degli artt. 81 e 82 TCE. Esso consisteva (come richiesto dalla Germania federale) nell'obbligo di notifica degli accordi presso un unico organo competente al fine ottenere l'esenzione ex art. 81(3) TCE (cioè la Commissione, art. 9(1) reg. 17/62 250). A ciò si accompagnava la previsione dell'illiceità retroattiva dell'accordo in caso di rigetto dell'esenzione 251. Però, anche in caso di illiceità dell'accordo, la notifica dell'intesa rendeva non comminabili alle parti le sanzioni per la violazione dell'art. 81(1) TCE, e ciò per il periodo di tempo intercorso tra notifica e decisione di merito della Commissione (art. 15(5) reg.

248 ARVED DERINGER, Das Kartellrecht des EWG-Vertrages im Verhältnis zum nationalen

Recht, Karlsruhe, Verlag C.F. Müller, Schriftenreihe/Juristische Studiengesellschaft Karlsruhe - n. 68, 1965, 9 ss..

249 ARVED DERINGER, Das Kartellrecht, cit. a nota 248, 9 ss.. 250 ARVED DERINGER, Das Kartellrecht, cit. a nota 248, 10. 251 V. Sentenza della Corte del 6 febbraio 1973, Sa. Brasserie di Haecht contro Wilkin-

Janssen, causa 48/72, Raccolta della giurisprudenza, 1973, p. 77, § 25.

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

101

17/62). Inoltre, il reg. 17/62 prevedeva (come richiesto dalla Francia) l'efficacia temporanea degli accordi fino alla decisione della Commissione — in presenza o meno della notifica dell'intesa —. Però, in assenza di notifica e nel caso in cui l'accordo fosse stato vietato ai sensi dell'art. 81(1) TCE, era prevista l'illiceità dell'accordo ex tunc e senza possibilità di valutazione ex art. 81(3) TCE.

La modalità di attuazione dell'art. 81 TCE ex reg. 17/62 aveva quindi mantenuto, nella relativa formula di compromesso, un certo equilibrio tra principio tedesco e principio francese 252. Da questa situazione di "equilibrio", l'impostazione finale sarebbe stata più vicina al regime proposto dalla Germania o dalla Francia a seconda della scelta di fondo relativa all'applicazione dell'art. 81(1) TCE. Infatti, una interpretazione più rigida del divieto avrebbe sostanzialmente imposto alle imprese — secondo il Verbotprinzip tedesco — di notificare gli accordi sia al fine di richiedere l'esenzione ex art. 81(3) TCE, ma anche per non incorrere nelle sanzioni in caso di rifiuto dell'esenzione ex art. 81(3) TCE. Una interpretazione meno rigida del divieto dell'art. 81(1) TCE avrebbe determinato un minore incentivo a notificare alla Commissione gli accordi e quindi un divieto più simile al Missbrauchprinzip francese.

La successiva prassi decisionale della Commissione optò per una interpretazione rigida dell'art. 81(1) TCE, rendendo tendenzialmente vietati tutti gli accordi orizzontali e rendendo conseguentemente più ampia l'applicazione dell'art. 81(3) TCE 253. Tale prassi ha sostanzialmente trasformato l'art. 81(1) TCE in una norma di Verbotprinzip, con la necessità (ma non l'obbligo formale) di notificare le intese alla Commissione; e ciò quanto meno per "assicurarsi" la temporanea efficacia degli accordi stessi e per evitare le sanzioni in caso di illiceità dell'intesa (art. 81(2) TCE) conseguente al rigetto dell'autorizzazione. In ultima istanza, tale applicazione proponeva a

252 L'art. 1 reg. 17/62 — rubricata come "Disposizione di principio" — prevedeva

infatti: "Gli accordi, le decisioni e le pratiche concordate di cui all'articolo [81], paragrafo 1 del Trattato, e lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante sul mercato ai sensi dell'articolo 82 del Trattato, sono vietati senza che occorra una decisione preventiva in tal senso". Questo divieto assoluto era derogato dallo stesso art. 1 reg. 17/62 che faceva "salvi gli articoli 6, 7 e 23 del presente regolamento".

253 V. infra § 32 le critiche che la Commissione formula rispetto a tale prassi.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

102

livello comunitario un sistema simile a quanto previsto dalla normativa antitrust tedesca.

A ben vedere, tale prassi della Commissione riguardo all'art. 81(1) TCE è stata determinata dall'influenza tedesca a livello CE (e in particolare della scuola ordoliberale di Friburgo). Il motivo sostanziale di tale influenza fu la nomina nel 1960 — dietro indicazione dell'allora presidente della Commissione, Walter Hallstein — del prof. Ernst-Joachim Mestmäcker quale consulente speciale (Sonderberater) della Commissione per la concorrenza.

Il prof. Ernst-Joachim Mestmäcker, allora trentaquattrenne, era allievo di Franz Böhm, fondatore insieme a Walter Eucken della scuola di Friburgo. La sua nomina rifletteva la necessità della Commissione di definire (rectius creare) 254 la politica di concorrenza comunitaria. Il prof. Mestmäcker rimase consulente speciale della Commissione dal 1960 al 1970 255 influenzando l'interpretazione dei principi degli artt. 81 TCE e 82 TCE secondo la scuola tedesca.

25. L'attuazione dell'art. 81 TCE ai sensi del reg. 1/03. I limiti

dell'applicazione dell'art. 81(3) TCE ex reg. 17/62 e il "Libro bianco

sulla modernizzazione". L'art. 1 della proposta di regolamento del 2000

della Commissione.

L'applicazione dell'art. 81 TCE ex reg. 17/62 è rimasta

sostanzialmente invariata sino alla fine degli anni '90 256. A ben vedere,

254 OSKAR KLUG, Die Problematik der amtlichen deutschen Kartellpolitik, in LUDWIG

KASTL, AND MAX METZNER, Kartelle in der Wirklichkeit Festschrift für Max Metzner zu

seinem fünfundsiebzigsten Geburstag, Köln, Heymann, 1963, p. 153, 171. 255 V. HANS FRIEDRICH ZACHER, Grußwort, in Festschrift für Ernst-Joachim Mestmäcker

zum siebzigsten Geburstag, Ulrich Immenga (a cura di), Baden - Baden, Nomos Verlagsgeselschaft, 1996, pag. 24.

256 Da un punto di vista dei principi del reg. 17/62, il regolamento rimase sostanzialmente immutato fino al 1999. Nel 1999 è stata apportata una prima rilevante modifica all'art. 4(2) reg. 17/62 TCE. In particolare l'articolo unico del reg. 1219/99 recitava "All'articolo 4, paragrafo 2 del regolamento n. 17, il punto 2 è sostituito dal seguente: "2. a) tali accordi o pratiche concordate sono conclusi da due o più imprese operanti ciascuna, ai fini dell'accordo, ad un livello differente della catena di produzione o di distribuzione e si riferiscono alle condizioni alle quali le parti possono acquistare, vendere o rivendere alcuni beni o servizi; // b) vi partecipano soltanto due imprese ed il loro unico effetto è di imporre all'acquirente o all'utilizzatore di diritti di proprietà industriale — e in particolare di brevetti, modelli di utilità, modelli e disegni ornamentali o marchi — limitazioni

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

103

già all'inizio degli anni '90 la prassi della Commissione aveva chiaramente evidenziato i limiti del sistema ex reg. 17/62 257. Infatti, all'aumento del numero di denunce per violazione del diritto antitrust CE pervenute alla Commissione, si aggiungeva il problema "cronico" delle notifiche di intese al fine di ottenere l'esenzione ex art. 81(3) TCE 258.

A fronte di ciò, la Commissione presentava nel 1999 il cd. "Libro bianco sulla modernizzazione" antitrust nel quale proponeva una radicale riforma del reg. 17/62.

Al fine di eliminare il carico di lavoro relativo alle notifiche per le esenzioni ex art. 81(3) TCE, l'Autorità CE proponeva di modificare il regime autorizzatorio del reg. 17/62. La finalità era quelle di creare "un sistema di eccezione legale che permett[esse] un controllo a posteriori delle intese. Il passaggio a un tale sistema [poteva] essere attuato" — ad avviso della Commissione — "mediante un regolamento del Consiglio fondato sull'articolo [83] del Trattato, il quale [avrebbe] dispo[sto] che qualsiasi Autorità amministrativa o giudiziaria chiamata ad applicare le disposizioni dell'articolo [81], paragrafo 1, [avrebbe] po[tuto] applicare simultaneamente anche le disposizioni dell'articolo [81], paragrafo 3. In all'esercizio di tali diritti, oppure di imporre al beneficiario di contratti di cessione o di concessione di procedimenti di fabbricazione o di cognizioni relative all'utilizzazione e all'applicazione di tecniche industriali, limitazioni all'utilizzazione e all'applicazione di tali procedimenti o cognizioni", art. 1 reg. 1219/99.

Tale modifica era funzionale alla riforma del regolamento sugli accordi verticali, cioè il reg. 2789/99. La riforma avrebbe infatti permesso di escludere la notifica per ottenere esenzioni ex art. 81(3) TCE per gli accordi verticali. La novità del reg. 2789/99 consiste, infatti, nell'assenza di specifiche liste bianche e nere (ovvero elenchi di clausole contrattuali valutate lecite o illecite a secondo del tipo di contratto preso in considerazione dal regolamento di esenzione). La nuova impostazione del regolamento sugli accordi verticali consiste nella definizione di regole generali — solitamente indicate con quote di mercato delle imprese parti degli accordi — in forza delle quali le singole intese sono valutate come esentate o meno anche ai sensi dell'art. 81(3) TCE.

257 Cfr. prassi della Commissione riportata nelle sentenze: Sentenza della Corte del 28 febbraio 1991, Stergios Delimitis contro Henninger Bräu AG, causa C-234/89, Raccolta della

giurisprudenza, 1991 p. I - 935; Sentenza del Tribunale di primo grado del 18 settembre 1992, Automec, cit. nota 202; Sentenza del Tribunale di primo grado (seconda sezione) del 24 gennaio 1995, BEMIM, cit. a nota 359; con riferimento a questa ci permettiamo di rinviare al nostro LORENZO FEDERICO PACE, L'evoluzione della tutela amministrativa della

concorrenza nel diritto antitrust comunitario e nazionale, in Il Diritto dell'Unione europea, 1999, p. 355.

258 La stessa dottrina aveva iniziato a discutere già dal 1994 della necessità della riforma del reg. 17/62; cfr. CLAUS-DIETER EHLERMANN, C. D., Ist die Verordnung Nr. 17 noch

zeitgemäß?, 1993, p. 996.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

104

tal modo, l'articolo [81] [sarebbe] diven[uto] una norma unitaria

composta da una disposizione che [avrebbe] sanci[to] il principio del divieto

e da un'eccezione volta a temperare il rigore di un tale principio. L'articolo [81] [sarebbe] diven[uto] così, nella sua integralità, una norma direttamente applicabile che i singoli soggetti [avrebbero] pot[uto] invocare davanti ai tribunali o a qualsiasi autorità competente. Tale interpretazione [avrebbe] re[so] lecite, dalla loro conclusione e senza la necessità di una decisione preventiva, le intese vietate dal paragrafo 1 dell'articolo [81] ma rispondenti alle condizioni di cui al paragrafo 3 dello stesso articolo. Parallelamente, le intese restrittive della concorrenza non conformi a tali condizioni [sarebbero rimaste] illecite. Tale nuova regolamentazione non [avrebbe] richie[sto] più alcuna notifica ai fini di una convalida degli accordi. Il regime d'applicazione dell'articolo [81] nel suo insieme [sarebbe] diven[uto] così identico a quello dell'articolo [81], paragrafo 1 e dell'articolo [82]" (§ 69 — corsivo presente) 259.

Tale impostazione fu successivamente recepita nella proposta di regolamento emanata nel 2000 dalla Commissione stessa. L'art. 1 della proposta di regolamento del 2000 — rubricata "Applicabilità diretta" 260 — prevedeva, secondo quanto sostenuto dalla Commissione nel Libro bianco, che "gli accordi, le decisioni e le pratiche concordate di cui all'articolo 81, paragrafo 1 del Trattato che non soddisfano le condizioni di cui all'articolo 81, paragrafo 3 (…) sono vietati senza che occorra una previa decisione in tal senso".

259 Tale obiettivo sarebbe stato raggiunto tramite un sistema più coeso tra Commissione

e Autorità nazionali. La Commissione sosteneva infatti: "Dopo 35 anni di attuazione delle regole di concorrenza comunitarie, è oggi necessario sfruttare meglio la complementarità che esiste fra gli organi nazionali e la Commissione, e favorire l'applicazione di tali norme attraverso una cd. Rete di Autorità operanti in base a principi comuni e in stretta collaborazione" (Libro bianco sulla modernizzazione antitrust, § 91).

260 L'art. 1 della proposta di regolamento del 2000 recitava: "Gli accordi, le decisioni e le pratiche concordate di cui all'articolo 81, paragrafo 1 del Trattato che non soddisfano le condizioni di cui all'articolo 81, paragrafo 3 e lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante ai sensi dell'articolo 82 sono vietati senza che occorra una previa decisione in tal senso". Riguardo all'utilità di questa rubrica — e della rubrica dell'art. 3 reg. 1/03 — per comprendere l'illegittimità dell'art. 3(2) reg. 1/03, v. infra § 45.

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

105

26. L'attuazione dell'art. 81(3) TCE ai sensi del reg. 1/03. L'art. 2 reg. 1/03

e l'onere della prova della violazione del diritto antitrust CE.

Passando a valutare l'attuazione dell'art. 81(3) TCE da parte del

reg. 1/03 è necessario non confondere due aspetti distinti della riforma. Il primo riguarda la modalità di applicazione dell'art. 81(3) TCE, il secondo concerne l'attribuzione delle competenze per l'applicazione della medesima norma. Con il primo aspetto è deciso se l'art. 81(3) TCE sia applicabile ai sensi del Verbot- o del Missbrauchprinzip (art. 3 reg. 1/03). Questo primo aspetto, quindi, è riferito ad una scelta di carattere "costituzionale" riguardo all'oggetto di tutela del sistema antitrust CE 261. Il secondo aspetto, essendo relativo

261 In teoria, secondo quanto affermato dalla Commissione, il principio di applicazione

delle norme antitrust CE non è cambiato, con particolare riferimento all'art. 81(3) TCE. Secondo la Commissione sia il reg. 17/62, sia il reg. 1/03, manterrebbero — con riferimento all'art. 81 TCE — il principio di divieto con eccezione. L'unico aspetto che cambierebbe, consisterebbe nel fatto che se nel reg. 17/62 l'eccezione è riconosciuta tramite un sistema di notifica, nel reg. 1/03 tale eccezione è riconosciuta direttamente nel momento dell'applicazione dell'art. 81 TCE (cd. principio di eccezione legale). A ben vedere, il cambiamento è ben più rilevante e riguarda non solo la modalità di applicazione dell'art. 81 TCE ma anche, in ultima istanza, le finalità tutelate dall'art. 81 TCE. Non è un caso che con l'occasione della modifica delle modalità di applicazione dell'art. 81 TCE siano state modificate radicalmente anche le finalità stesse del diritto antitrust CE; v. infra § 32.

In vigenza del reg. 17/62, in conseguenza dell'influenza della dottrina tedesca, l'art. 81(1) TCE vietava sostanzialmente ogni accordo richiedendo necessariamente — per riconoscere la liceità degli accordi — la valutazione sull'esenzione ex art. 81(3) TCE.

Secondo quanto sostenuto dalla Commissione nella Comunicazione sull'applicazione dell'art. 81(3) TCE, la modalità di valutazione dell'art. 81 TCE dopo la riforma del reg. 1/03 seguirà il seguente schema: "La valutazione a norma dell'articolo 81 comporta pertanto due fasi. La prima fase consiste nel valutare se un accordo tra imprese, che possa pregiudicare il commercio tra Stati membri, abbia un oggetto anticoncorrenziale o effetti anticoncorrenziali, effettivi o potenziali. La seconda fase, che interviene solo qualora si ritenga che un accordo sia restrittivo della concorrenza, consiste nel determinare i benefici sotto il profilo della concorrenza prodotti dall'accordo in questione e nel valutare se tali effetti

positivi superino gli effetti negativi per la concorrenza. La valutazione comparata degli effetti

anticoncorrenziali e degli effetti favorevoli alla concorrenza è effettuata esclusivamente nell'ambito dell'articolo 81, paragrafo 3. Prima di procedere alla valutazione dei benefici

compensativi ai sensi dell'articolo 81, paragrafo 3, è necessario aver determinato il carattere restrittivo dell'accordo ed il suo impatto. Per situare l'articolo 81, paragrafo 3 nel giusto contesto, è opportuno delineare brevemente l'obiettivo e il contenuto principale del divieto di cui all'articolo 81, paragrafo 1. Le linee direttrici della Commissione sulle restrizioni verticali, sugli accordi di cooperazione orizzontale e sugli accordi di trasferimento di tecnologia danno ampie indicazioni sull'applicazione dell'articolo 81, paragrafo 1 a vari tipi di accordi. Le presenti linee direttrici si limitano dunque a delineare il quadro analitico di base per l'applicazione dell'articolo 81, paragrafo 1", Comunicazione sull'applicazione

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

106

all'attribuzione delle competenze tra organi per l'applicazione dell'art. 81(3) TCE, riguarda il differente problema dell'organizzazione amministrativa del sistema antitrust CE: esso può prevedere (cfr. artt. 4, 5 e 6 reg. 1/03) la competenza esclusiva della Commissione, la competenza concorrente con le Autorità nazionali, o anche la competenza concorrente con i giudici nazionali come previsto dal reg. 1/03. Tale secondo aspetto della riforma del reg. 1/03, essendo riferito a problemi di organizzazione amministrativa del sistema, sarà trattato nella terza parte di questo studio.

Con riferimento alle modalità di applicazione dell'art. 81(3) TCE, l'art. 1 reg. 1/03 — rubricato "Applicazione degli articoli 81 e 82 del

Trattato" e non più "Applicabilità diretta", come era nella proposta di regolamento del 2000 — determina l'applicazione unitaria dell'art. 81

TCE (cioè degli artt. 81(1) e 81(3) TCE insieme): esso esclude infatti l'esistenza di un particolare procedimento per riconoscere l'esenzione di cui all'art. 81(3) TCE. In particolare, l'art. 1(1) reg. 1/03 prescrive che "gli accordi, le decisioni e le pratiche concordate di cui all'articolo 81,

dell'art. 81(3) TCE, § 11-12. Il reale cambiamento di applicazione dell'art. 81 TCE è ulteriormente chiarito dai funzionari stessi della Commissione. Essi, spiegando il funzionamento della riforma, ammettono che l'applicazione dell'art. 81 TCE è radicalmente modificata rispetto all'impostazione del reg. 17/62. Essi sostengono infatti: "The Guidelines strike a reasonable and necessary balance between on the one hand the application of the prohibition rule of Article 81(1) and on the other hand the exception rule of Article 81(3). It is important to keep in mind that in recent years the application of the prohibition rule of Article 81(1) has been re-thought considerably. As stated in the Guidelines, for Article 81(1) to apply the agreement must produce negative effects on the market by allowing the parties to obtain, maintain or strengthen market power. In the absence of hardcore restrictions, Article 81(1) only applies where the parties have a sufficient degree of market power to produce a negative impact on the market. This means that Article 81(1) only applies when the competitive process and consumers are likely to suffer. In such circumstances it is necessary to follow an equally strict approach under Article 81(3). Article

81(3) should only apply when the restrictive agreement is reasonably necessary to produce

efficiencies that compensate consumers for the likely negative effects of the restrictions. For the restrictions to be acceptable firms should produce real evidence to that effect. It is not sufficient that they make unsubstantiated assertions. The quid pro quo is that plaintiffs and enforcers have to make a real case under Article 81(1). Both elements are contained in the Guidelines which thereby create a balance between Article 81(1) and Article 81(3) based on sound economic principles", CÉLINE GAUER - LARS HJOLBYE - DOROTHE DALHEIMER - EDDY DE SMIJTER - DOMINIK SCHNICHELS - MAIJA LAURILA, Regulation 1/2003 and the

Modernisation Package fully applicable since 1 May 2004, in Competition Policy Newsletter, 2004, p .1, 5. Sulla modifica dell'interpretazione dell'art. 81(1) e 81(3) TCE, v. ancora infra § 32.

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

107

paragrafo 1, del Trattato che non soddisfino le condizioni di cui all'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato sono vietati senza che occorra una previa decisione in tal senso" 262.

L'art. 1(2) reg. 1/03 disciplina i casi di accordi vietati ai sensi del diritto antitrust CE. Esso prevede che "gli accordi, le decisioni e le pratiche concordate di cui all'articolo 81, paragrafo 1, del Trattato che soddisfano le condizioni di cui all'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato non sono vietati senza che occorra una previa decisione in tal senso" 263.

L'art. 2 reg. 1/03 — così come già nella proposta di regolamento — disciplina inoltre l'onere della prova della violazione del diritto antitrust CE 264. Il reg. 17/62 non disciplinava questo aspetto. In tale regime era infatti evidente — in relazione all'art. 81(1) TCE — che l'onere della prova della violazione fosse in capo alle Autorità nazionali. Riguardo all'art. 81(3) TCE, dal momento che tale norma era valutata esclusivamente dalla Commissione — e non dai giudici nazionali — e che per l'applicazione di essa era necessaria una richiesta tramite notifica, l'onere della prova per ottenere l'esenzione era in capo alle imprese notificanti l'accordo.

Ai sensi del reg. 1/03, al contrario, il fatto che non esista più un sistema di notifiche per ottenere l'esenzione di cui all'art. 81(3) TCE

262 Tale previsione svolge una finalità sostanzialmente differente rispetto a quella

dell'art. 3(1) reg. 1/03, in forza del quale le Autorità e le giurisdizioni nazionali quando applicano il diritto antitrust degli Stati membri a fattispecie di rilevanza comunitaria sono obbligate anche ad applicare gli artt. 81 e 82 TCE. L'art. 3(1) reg. 1/03 — oltre a "garantire l'effettiva applicazione delle regole di concorrenza comunitarie" — ha infatti la funzione — insieme alla disciplina dei rapporti "inter-organici" contenuti nel regolamento stesso — di creare l'"inter-operabilità" tra differenti sistemi antitrust nazionali e tra tali sistemi e il sistema antitrust CE.

263 La norma è quindi norma avente "applicabilità diretta" ma non "effetto diretto". Infatti, come affermato dalla Commissione nel "Libro bianco sulla modernizzazione", la conseguenza dell'applicazione congiunta degli artt. 81(1) e 81(3) TCE determinerebbe l'"applicabilità diretta" dell'art. 81(3) TCE, ma non quanto necessario per l'applicazione di tale norma da parte dei giudici nazionali, cioè l'"effetto diretto" della norma stessa. Infatti — come sarà meglio chiarito infra v. § 150 — l'"effetto diretto" di una norma comunitaria non deriva da come un regolamento attribuisce la competenza per applicare una specifica norma, ma dalla formulazione della norme stessa.

264 L'art. 2 reg. 1/03 — rubricato come "Onere della prova" — recita: "In tutti i procedimenti nazionali o comunitari relativi all'applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato, l'onere della prova di un'infrazione dell'articolo 81, paragrafo 1, o dell'articolo 82 del Trattato incombe alla parte o all'Autorità che asserisce tale infrazione. Incombe invece all'impresa o associazione di imprese che invoca l'applicazione dell'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato l'onere di provare che le condizioni in esso enunciate sono soddisfatte".

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

108

avrebbe potuto far presumere — in assenza di una specifica disciplina — che l'onere della prova dell'inesistenza dei requisiti dell'art. 81(3) TCE sarebbe stato in capo alle Autorità nazionali. Tale medesima situazione, nell'ipotesi dell'applicazione dell'art. 81(3) TCE da parte dei giudici nazionali, avrebbe potuto far presumere che l'onere della prova dell'inesistenza dei requisiti dell'art. 81(3) TCE sarebbe stato in capo agli attori della causa.

Una simile impostazione — in assenza dell'obbligo di una qualche forma di partecipazione per sostenere l'applicabilità dell'art. 81(3) TCE da parte delle imprese parti dell'accordo oggetto di valutazione — avrebbe reso difficile (se non impossibile) per la Commissione, per le Autorità nazionali o per gli attori di causa di escludere l'esistenza dei requisiti dell'art. 81(3) TCE sostenuta dalle parti dell'accordo.

Infine, l'art. 3 reg. 1/03 — ultima norma contenuta nel Capitolo I rubricato come "Principi" — oltre a definire il rapporto tra diritto antitrust CE e legislazioni nazionali (artt. 3(2) e (3) reg. 1/03, sul punto, v. infra § 43 ss.) — disciplina l'obbligo di applicazione degli artt. 81 e 82 TCE da parte degli organi degli Stati membri (art. 3(1) reg. 1/03).

27. La critica di E.-J. Mestmäcker alla legittimità dell'art. 1 reg. 1/03.

Il Mestmäcker ha criticato la legittimità dell'art. 1 reg. 1/03 265. Egli

nega infatti che l'art. 81(3) TCE possa essere applicato congiuntamente all'art. 81(1) TCE. In tale ipotesi — sostiene l'Autore — l'art. 81(1) TCE perderebbe l'"efficacia diretta" riconosciutagli dalla giurisprudenza CE. Per tale motivo il Mestmäcker sostiene che l'art. 81(1) TCE debba essere necessariamente applicato autonomamente rispetto all'art. 81(3) TCE in adempimento del principio del Verbotprinzip. In conclusione, egli sostiene l'illegittimità dell'art. 1(1) reg. 1/03 e 1(2) reg. 1/03 in quanto i regolamenti ex art. 83 TCE non potrebbero determinare l'applicazione congiunta degli artt. 81(1) e 81(3) TCE.

265 V. ERNST-JOACHIM MESTMÄCKER, The EC Commission's Modernization, cit. a nota

501. Tale critica prende le mosse da presupposti e perviene a conclusioni differenti a quelli che si sosterranno infra §§ 45 e 148.

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

109

L'interpretazione del Mestmäcker parte dal presupposto — in coerenza con il Verbotprinzip e degli insegnamenti della scuola di Friburgo 266 — che, da una parte, sia necessario negare la liceità di tutti gli accordi orizzontali e, dall'altra, sia necessaria una qualche forma di notifica preventiva delle intese a specifici organi perché questi valutino l'eventuale esistenza dei requisiti ex art. 81(3) TCE.

Alle critiche presentate dall'Autore — che determinerebbe la radicale impossibilità di funzionamento del reg. 1/03 267 — si può però sommessamente replicare sotto due diversi aspetti.

Sotto un primo aspetto di carattere storico, i resoconti Parlamentari francesi e italiani del 1957, oltre che la presa di posizione del Governo olandese dello stesso anno, escludono che gli Stati firmatari il Trattato avessero deciso che l'art. 81(1) TCE dovesse essere necessariamente applicato — secondo il principio di divieto piuttosto che dell'abuso — autonomamente rispetto all'art. 81(3) TCE 268. Lo stesso Arved Deringer, relatore del reg. 17/62, affermava nel 1962 che l'art. 1 reg. 17/62 rappresentava un compromesso tra le impostazioni tedesche (Verbotprinzip) e francesi (Missbrauchprinzip). Deringer in questo modo confermava che, ancora prima del reg. 17/62, in sede di redazione dell'art. 81 TCE non era stata decisa l'applicazione dell'art. 81(1) TCE disgiunta dall'art. 81(3) TCE secondo il Verbotprinzip proposto dalla Delegazione tedesca 269.

Sotto un secondo aspetto, all'impostazione del Mestmäcker può essere sommessamente eccepito che anche la giurisprudenza

266 Sul pensiero della scuola di Friburgo, v. ANDREAS HEINEMANN, Die Freiburger

Schule und ihre geistigen Wurzeln, München, VVF, 1989. V. anche WALTER EUCKEN, Die

Wettbewerbsordnung und ihre Verwirklichung, Ordo, 1949, p. 1. 267 L'impostazione del Mestmäcker determinerebbe non solo l'illegittimità dell'art. 1(1)

reg. 1/03 e dell'art. 1(2) reg. 1/03 ma la sostanziale inapplicabilità del nuovo sistema di cui al reg. 1/03. Infatti, l'art. 1 reg. 1/03 costituisce la norma con cui è decisa la modalità di applicazione dell'art. 81(3) TCE. In assenza di una norma che decida la modalità di applicazione dell'art. 81(3) TCE — situazione conseguente all'illegittimità degli artt. 1(1) reg. 1/03 e 1(2) reg. 1/03 — l'art. 81(1) TCE potrebbe essere applicato esclusivamente dalla Commissione e dalle Autorità nazionali, v. infra. In questa ipotesi, infatti, la modalità di applicazione dell'art. 81 TCE è quella prevista dal sistema antitrust disciplinato direttamente dal TCE (artt. 84 e 85 TCE).

268 Riguardo a tali documenti citati, v. ALBRECHT SPENGLER, Die Wettbewerbsregeln

der Europäischen Wirtschaftsgemeinschaft, Köln, 1957, Bundesverband der deutschen Industrie, n. 46.

269 ARVED DERINGER, Das Kartellrecht, cit. a nota 249, 10, 9 ss..

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

110

comunitaria esclude che il TCE imponga l'applicazione autonoma dell'art. 81(1) TCE rispetto all'art. 81(3) TCE (rectius che il TCE abbia previsto il divieto di applicazione congiunta degli artt. 81(1) e 81(3) TCE). Infatti, la Corte di giustizia ha costantemente affermato (sentt. Bosch 270, Ahmed Saeed Flugreisen 271) che le modalità di applicazione degli artt. 81(1) e 81(3) TCE non sono disciplinate direttamente dal Trattato ma sono definite dai regolamenti ex art. 83 TCE.

SOTTOSEZIONE II

LA REDAZIONE E L'ATTUAZIONE DEL DIVIETO DI ABUSO DI POSIZIONE

DOMINANTE (ART. 82 TCE, ART. 162 COST. EU.)

28. La dichiarazione Spaak e la discussione sulla disciplina dei

comportamenti monopolistici delle imprese: la redazione dell'art. 82

TCE.

Come già ricordato, il Rapporto Spaak prevedeva che il TCE

disciplinasse, oltre ad una norma sul divieto di accordi, anche una norma relativa al divieto di comportamenti monopolistici delle imprese.

Dai documenti ufficiali risulta che la redazione dell'art. 82 TCE sia stata meno problematica della redazione dell'art. 81 TCE. Ciò è determinato dalla presenza di una simile norma nel Trattato CECA e dall'assenza, al momento della redazione del Trattato, di norme similari negli ordinamenti dei sei Stati fondatori. Infatti, solo in Germania si poneva in quel periodo la necessità di introdurre nella legge di tutela della concorrenza una norma contro i comportamenti unilaterali delle imprese. Tale norma fu poi inserita nel Gesetz gegen

270 Sentenza della Corte del 6 aprile 1962, Kledingverkoopbedrijf De Geus En

Uitdenbogerd contro Robert Bosch GmbH (Bosch), causa 13/61, Raccolta della giurisprudenza

edizione italiana, 1962, p. 89. 271 Sentenza della Corte dell'11 aprile 1989, Ahmed Saeed Flugreisen e Silver Line

Reisebuero GmbH contro Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs E. V. (Ahmed

Saeed Flugreisen), causa 66/86, Raccolta della giurisprudenza, 1989, p. 803.

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

111

Wettbewerbsbeschränkungen all'art. 22, cioè l'abuso di posizione dominante.

Riguardo alla previsione di una simile norma nel Trattato di Roma, la discussione si sviluppò maggiormente sulla modalità di limitare il potere delle singole imprese e sul se prevedere nel Trattato il controllo delle concentrazioni, così come previsto nel Trattato CECA.

I rappresentanti francesi erano disposti alla previsione di vincoli azionari in conseguenza dei quali le imprese non avrebbero potuto detenere più di una certa quota di azioni nelle singole società. Gli stessi rappresentanti erano invece contrari alla previsione di una disciplina di controllo delle concentrazioni. Essi sostenevano, infatti, che una simile normativa riguardasse aspetti esclusivamente interni degli Stati membri 272.

La posizione tedesca si differenziava da quella francese in quanto favoriva l'esistenza del controllo delle concentrazioni. In via subordinata i tedeschi favorivano la previsione di una norma relativa ai comportamenti monopolistici delle imprese secondo il principio dell'abuso 273.

Nel Trattato di Roma fu poi inserita, com'è noto, una norma di divieto dei comportamenti monopolistici delle imprese secondo il principio dell'abuso, e non fu inserito un sistema di controllo delle concentrazioni. In particolare l'art. 82 TCE, titolato "abuso di posizione dominante", recitava (e recita): "È incompatibile con il mercato comune e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo" (testo sostanzialmente così mantenuto anche all'art. 162 Cost. eu. 274). L'art. 82 TCE, così come l'art. 81 TCE, elencava in via esemplificativa delle pratiche che rientravano nel divieto

272 REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, xxxii. 273 REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134,

documenti 7 e 53. 274 Salvo la sostituzione del concetto di "mercato comune" con "mercato interno". Sui

motivi di questo, v. infra nota 474.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

112

dell'art. 82 TCE 275. Diversamente dall'art. 81 TCE, per l'art. 82 TCE non era (né è) prevista alcuna ipotesi di esenzione.

Riguardo al concetto di posizione dominante, la giurisprudenza ha sostenuto che l'art. 82 TCE, facendo riferimento a tale concetto, "richiama nozioni che non sono nuove ma che sono state già precisate dalla prassi delle Autorità incaricate nella maggior parte degli Stati membri di controllare e reprimere i comportamenti anticoncorrenziali" 276.

La giurisprudenza comunitaria ha poi definito la posizione dominante come "una situazione di potenza economica grazie alla quale l'impresa che la detiene è in grado di ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva sul mercato di cui trattasi e ha la possibilità di tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei suoi clienti e, in ultima analisi, dei consumatori. Siffatta posizione non esclude l'esistenza di una certa concorrenza, ma pone la ditta che la detiene in grado, se non di decidere, almeno di influire notevolmente sul modo in cui si svolgerà detta concorrenza e, comunque, di comportarsi sovente senza doverne tener conto e senza che, per questo, simile condotta le arrechi pregiudizio" 277. In particolare, la Corte ha affermato che questo articolo" [...] "letto alla stregua dei suoi

275 L'art. 82 TCE recita: "Tali pratiche abusive possono consistere in particolare: a)

nell'imporre direttamente od indirettamente prezzi d'acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque; b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori; c) nell'applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza; d) nel subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi".

276 Sentenza della Corte del 13 febbraio 1979, Hoffmann-La Roche et Co. AG contro Commissione, causa 85/76, Raccolta della giurisprudenza 1979, p. 461, § 132.

277 Sentenza della Corte del 13 febbraio 1979, Hoffmann-La Roche et Co. AG contro

Commissione, causa 85/76, Raccolta della giurisprudenza 1979, p. 461, §§ 38 e 39. Da ultimo citato dalla Commissione nelle decisioni 2003/6/CE: Decisione della Commissione del 13

dicembre 2000 (COMP/33.133 - C: Carbonato di sodio - Solvay), Gazzetta ufficiale n. L 10 del

15 gennaio 2003, pag. 10 - 32, § 42; 91/300/CEE: Decisione della Commissione del 19 dicembre 1990 (IV/33.133 - D: Carbonato di sodio - ICI), Gazzetta ufficiale n. L 152 del 15 giugno1991, p. 40 - 53; v. anche Sentenza della Corte del 14 febbraio 1978, United Brands Company e

United Brands Continentaal B.V. contro Commissione delle Comunità europee, causa 27/76, Raccolta della giurisprudenza, 1978 p. 207, §§ 63/66; Sentenza della Corte (sesta sezione) del 4 maggio 1988, Corinne Bodson contro Sa Pompes Funebres des Regions Liberees, causa 30/87, Raccolta della giurisprudenza, 1988, p. 2479, § 26.

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

113

obiettivi e delle sue finalità" [...] "poneva a carico di un'impresa in posizione dominante — indipendentemente dalle cause di tale posizione — la particolare responsabilità di non compromettere con il suo comportamento lo svolgimento di una concorrenza effettiva e non falsata nel mercato comune, conformemente all'obiettivo generale enunciato nell'art. 3 [g] del Trattato" 278.

Del pari la giurisprudenza comunitaria ha definito l'abuso di posizione dominante come "una nozione oggettiva, che riguarda il comportamento dell'impresa in posizione dominante atto ad influire sulla struttura di un mercato in cui, proprio per il fatto che vi opera detta impresa, il grado di concorrenza è già sminuito e che ha come effetto di ostacolare, ricorrendo a mezzi diversi da quelli su cui si impernia la concorrenza normale tra prodotti o servizi, fondata sulle prestazioni degli operatori economici, la conservazione del grado di concorrenza ancora esistente sul mercato o lo sviluppo di detta concorrenza" 279.

Anche il testo del divieto dell'abuso di posizione dominante disciplinato dal Trattato costituzionale (art. 162 Cost. eu.) — così come il divieto di intese anticoncorrenziali (art. 161 Cost. eu.) — è rimasto sostanzialmente immutato rispetto al Trattato CE. L'unica modifica riguarda la correzione di una discordanza tra il testo della norma in lingua italiana già presente nel Trattato di Roma (1957) e le altre lingue ufficiali. Infatti, l'art. 82 lett. c TCE recitava: "determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza". Il testo della norma è stato modificato all'art. 162 lett. c Cost. eu in modo che esso, così come il testo del Trattato nelle altre lingue, reciti: "determinando così per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza" (corsivo aggiunto) 280.

278 Sentenza del Tribunale di primo grado (seconda sezione) del 6 ottobre 1994, Tetra

Pak International Sa contro Commissione delle Comunità europee (Tetra Pak II), causa T-83/91, Raccolta della giurisprudenza, 1994, p. II - 755.

279 Sentenza della Corte del 13 febbraio 1979, Hoffmann - La Roche Et Co. AG contro

Commissione, causa 85/76, Raccolta della giurisprudenza 1979, p. 461, § 91. 280 Nel testo italiano l'art. 81 TCE recita: "d) applicare, nei rapporti commerciali con gli

altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza"; mentre l'art. 82 TCE recita: "c) nell'applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la

concorrenza". Il Trattato costituzionale prevede agli artt. 161 e 162, rispettivamente: "d) applicare‚ nei rapporti commerciali con gli altri contraenti‚ condizioni dissimili per

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

114

29. L'art. 82 TCE, l'attuazione e l'"effetto diretto" della norma.

L'art. 82 TCE, a differenza dell'art. 81(3) TCE, non necessita di

norme di attuazione. Anzi, esso presenta — come riconosciuto dalla successiva giurisprudenza CE — i requisiti dell'"effetto diretto" delle norme CE (v. infra § 30) 281.

prestazioni equivalenti‚ così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza" e "c) nell'applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti‚ determinando così per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza", (corsivo aggiunto).

Nel testo tedesco sul punto l'art. 81 TCE prescriveva: "d) die Anwendung unterschiedlicher Bedingungen bei gleichwertigen Leistungen gegenüber Handelspartnern, wodurch diese im Wettbewerb benachteiligt werden"; mentre l'art. 82 TCE prescriveva: "c) der Anwendung unterschiedlicher Bedingungen bei gleichwertigen Leistungen gegenüber Handelspartnern, wodurch diese im Wettbewerb benachteiligt werden". Ugulamente il Trattato costituzionale prevede all'art. 161 e 162, rispettivamente: "d) die Anwendung unterschiedlicher Bedingungen bei gleichwertigen Leistungen gegenüber Handelspartnern, wodurch diese im Wettbewerb benachteiligt werden" e "c) der Anwendung unterschiedlicher Bedingungen bei gleichwertigen Leistungen gegenüber Handelspartnern, wodurch diese im Wettbewerb benachteiligt werden".

Nel testo francese, l'art. 81 TCE prescrive: "d) appliquer, à l'égard de partenaires commerciaux, des conditions inégales à des prestations équivalentes en leur infligeant de ce fait un désavantage dans la concurrence"; mentre l'art. 82 TCE prescrive: "c) appliquer à l'égard de partenaires commerciaux des conditions inégales à des prestations équivalentes, en leur infligeant de ce fait un désavantage dans la concurrence". Ugulamente il Trattato costituzionale prevede all'art. 161 e 162, rispettivamente: "d) appliquer, à l'égard de partenaires commerciaux, des conditions inégales à des prestations équivalentes en leur infligeant de ce fait un désavantage dans la concurrence" e "c) appliquer à l'égard de partenaires commerciaux des conditions inégales à des prestations équivalentes en leur infligeant de ce fait un désavantage dans la concurrence".

Nel testo inglese, l'art. 81 TCE prescrive: "d) apply dissimilar conditions to equivalent transactions with other trading parties, thereby placing them at a competitive disadvantage"; mentre l'art. 82 TCE prescrive: "c) applying dissimilar conditions to equivalent transactions with other trading parties, thereby placing them at a competitive disadvantage". Ugulamente il Trattato costituzionale prevede all'art. 161 e 162, rispettivamente: "d) apply dissimilar conditions to equivalent transactions with other trading parties, thereby placing them at a competitive disadvantage" e "c) applying dissimilar conditions to equivalent transactions with other trading parties, thereby placing them at a competitive disadvantage".

281 A ben vedere, il problema dell'"effetto diretto" delle norme antitrust CE fu posto ancora prima dell'entrata in vigore del Trattato CEE (1 gennaio 1958). Tale problema determinò nel 1957 grande preoccupazione da parte degli industriali tedeschi i quali dovevano prepararsi — così come tutti gli imprenditori degli Stati membri — ad adeguarsi dal 1 gennaio 1958 oltre alle normative nazionali a tutela della concorrenza (quando esistenti) anche alle norme antitrust del Trattato di Roma; v. ALBRECHT SPENGLER, Die

Wettbewerbsregeln, cit. a nota 268.

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

115

Senza la necessità di un'attuazione dell'art. 82 TCE e in presenza dell'"effetto diretto" di essa, sia il reg. 17/62 che il reg. 1/03 hanno previsto norme tra loro simili. Infatti, l'art. 1 reg. 17/62 — rubricato come "Disposizione di principio" — recitava : "(…) Lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante sul mercato ai sensi dell'articolo [82] del Trattato, [è] vietat[o] senza che occorra una decisione preventiva in tal senso (…)". Similarmente, l'art. 1(3) reg. 1/03 recita: "Lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante ai sensi dell'articolo 82 del Trattato è vietato senza che occorra una previa decisione in tal senso".

Sebbene la giurisprudenza CE, nei quaranta anni dall'entrata in vigore del TCEE, non

abbia avuto interesse a risolvere espressamente il "dubbio" relativo all'effetto diretto dell'art. 82 TCE nei primi tre anni dall'entrata in vigore del Trattato di Roma, è ragionevole supporre che in questo periodo la norma sull'abuso di posizione dominante non disponesse, al pari dell'art. 81 TCE in quel momento, di "effetto diretto". Infatti, in primo luogo, sebbene l'art. 82 TCE sia norma che in conseguenza della propria formulazione abbia "effetto diretto", la specifica giurisprudenza sull'"effetto diretto" è stata chiaramente espressa dalla Corte di giustizia solo cinque anni dopo l'entrata in vigore del Trattato (Sentenza della Corte del 5 febbraio 1963, Nv Algemene Transport — En Expeditie Onderneming Van Gend

En Loos e l'Amministrazione olandese delle Imposte (Van Gend En Loos), causa 26/62, Raccolta

della giurisprudenza, 1963, p. 3), cioè due anni dopo il termine del periodo previsto dall'art. 87 TCEE (1957). In secondo luogo, appare ragionevole supporre, seguendo la giurisprudenza Bosch (Sentenza della Corte del 6 aprile 1962, Bosch, cit. a nota 270), che anche l'art. 82 TCE — specularmente all'art. 81 TCE — non potesse essere applicato direttamente dai giudici per i primi tre anni dall'entrata in vigore del Trattato. Il termine triennale previsto dall'art. 87 TCEE (1957) costituiva, in questo senso, una sorta di normativa transitoria rispetto alla piena efficacia delle norme antitrust CE.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

116

SOTTOSEZIONE III

IL CONTENUTO E LE FINALITÀ DEI DIVIETI ANTITRUST EUROPEI

30. Il contenuto e le finalità degli artt. 81 e 82 TCE: a) le analogie tra le

due norme.

Affrontata l'evoluzione e la redazione delle norme di divieto

antitrust CE, passiamo ora a considerare — in linea con la giurisprudenza CE — il contenuto degli artt. 81 e 82 TCE 282.

Gli artt. 81 e 82 TCE sono ambedue norme dirette alle imprese 283. Questo è uno degli elementi innovativi del Trattato di Roma, cioè un Trattato internazionale che preveda delle norme dirette non solo agli Stati membri firmatari ma anche ai privati.

Le finalità di tali norme (cioè l'attuazione dei "mezzi dell'azione garantita ai sensi dell'art. 3 TCE") determinano i criteri di interpretazione degli artt. 81 e 82 TCE 284. Infatti, dal momento che i divieti costituiscono "espressione dell'obiettivo dell'art. 3(1) lett. g TCE", esse devono essere interpretate, con riferimento allo spirito e alla struttura dell'articolo, "alla luce di tale norma e dell'art. 2 TCE" 285. In ogni caso, "gli artt . [81] e [82] non possono essere interpretati in modo contraddittorio, dal momento che servono all'attuazione dello stesso obiettivo" 286. In particolare, essi vanno interpretati alla luce delle dichiarazioni contenute nel preambolo del Trattato, in ispecie di quelle

282 Con riferimento alla posizione della Commissione e della giurisprudenza

comunitaria riguardo a quando degli accordi tra imprese sono anticoncorrenziali, v. infra § 32.

283 V. Sentenza della Corte del 13 febbraio 1969, Walt Wilhelm e altri contro

Bundeskartellamt, causa 14/68, Raccolta della giurisprudenza, 1969, p. 1, p. 5. 284 Sentenza della Corte del 13 luglio 1966, Governo della Repubblica italiana contro il

Consiglio della CEE e la Commissione della CEE, causa 32/65, Raccolta della giurisprudenza, 1966 p. 296; Sentenza della Corte dell'11 aprile 1989, Ahmed Saeed Flugreisen, cit. a nota 271.

285 Sentenza della Corte del 13 febbraio 1979, Hoffmann - La Roche et Co. AG contro

Commissione, causa 85/76, Raccolta della giurisprudenza 1979, p. 461. 286 Sentenza della Corte del 21 febbraio 1973, Europemballage Corporation e Continental

Can Company Inc. contro Commissione delle Comunità europee (Continental Can), causa 6/72, Raccolta della giurisprudenza, 1973 p. 215, § 25.

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

117

relative all'eliminazione degli ostacoli e alla lealtà nella concorrenza, indispensabili per la realizzazione dell'unità di mercato" 287.

La formulazione degli artt. 81(1) e 82 TCE attribuisce loro la natura di norme aventi "effetto diretto" 288 (cioè che siano "direttamente efficaci" 289): esse sono infatti — secondo la giurisprudenza CE — norme chiare, non condizionate e determinate nel contenuto. In considerazione di ciò, esse possono essere applicate direttamente dai giudici nazionali 290. L'art. 81(3) TCE, al contrario, non è norma avente "effetto diretto"; essa è infatti carente del requisito della determinatezza (v. infra § 150). Perciò — a prescindere dalla modalità di applicazione dell'art. 81(3) TCE ai sensi del regolamenti ex art. 83(2) lett. b TCE, compreso il reg. 1/03 — una intesa vietata ex art. 81(1) TCE — ma che possa essere autorizzata ex art. 81(3) TCE — non può essere valutata direttamente dai giudici nazionali 291.

Inoltre, la giurisprudenza CE ha riconosciuto non solo che gli artt. 81(1) e 82 TCE sono norme aventi "effetto diretto", ma ha anche sostenuto che essi riconoscono ai singoli un diritto soggettivo 292. Questo

287 V. Sentenza della Corte del 13 luglio 1966, Governo della Repubblica italiana contro il

Consiglio della CEE, cit. a nota 305, al secondo motivo di ricorso. 288 Cfr. Sentenza della Corte del 6 aprile 1962, Bosch, cit. a nota 270; Sentenza della

Corte del 30 gennaio 1974, Belgische Radio en Televisie contro Sv Sabam e Nv Fonior (Sabam -

Fonior), causa 127/73, Raccolta della giurisprudenza, 1974, p. 51; Sentenza della Corte del 10 luglio 1980, Anne Marty Sa contro Estee Lauder Sa, causa 37/79, Raccolta della giurisprudenza, 1980, p. 2481.

289 Sentenza della Corte del 13 luglio 1972, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana, causa 48/71, Raccolta della giurisprudenza, 1972, p. 529, § 6.

290 Sentenza della Corte del 18 marzo 1997, Guérin automobiles contro Commissione delle

Comunità europee, causa C-282/95 P, Raccolta della giurisprudenza, 1997 p. I - 1503. 291 Su tale aspetto e sull'illegittimità dell'art. 6 reg. 1/03, v. infra § 148. Per l'aspetto delle

vecchie intese notificate ex reg. 17/62, anche in quel caso il giudice nazionale poteva dichiarare la violazione dell'art. 81(2) TCE solo dopo la valutazione della Commissione, v. Sentenza della Corte del 6 febbraio 1973, Sa Brasserie di Haecht contro Wilkin - Janssen, causa 48/72, Raccolta della giurisprudenza, 1973, p. 77, § 8.

292 Sentenza della Corte del 14 dicembre 1995, Jeroen van Schijndel e Johannes Nicolaas

Cornelis van Veen contro Stichting Pensioenfonds voor Fysiotherapeuten, cause riunite C-430/93 e C-431/93, Raccolta della Giurisprudenza, 1995 p. I - 4705, § 14; Sentenza della Corte del 5 marzo 1996, Brasserie du Pêcheur SA contro Bundesrepublik Deutschland e The Queen contro

Secretary of State for Transport, ex parte: Factortame Ltd e altri, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Raccolta della giurisprudenza, 1996, p. I - 1029; Sentenza della Corte del 30 gennaio 1974, Sabam - Fonior, cit. a nota 288, § 16. Cfr. Sentenza della Corte del 17 marzo 1993, Firma Sloman Neptun Schiffahrts AG contro Seebetriebsrat Bodo Ziesemer der Sloman Neptun

Schiffahrts AG, cause riunite C-72/91 e C-73/91, Raccolta della giurisprudenza, 1993, p. I - 887, nella quale si sostiene che: "Sebbene il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

118

principio, ormai ampiamente accettato, non deve far sottovalutare l'innovatività di una simile lettura 293. Nei primi anni di vigenza del TCE, infatti, l'impostazione dominante sosteneva che gli artt. 81 e 82 TCE rappresentassero politiche generali del TCE senza alcun effetto diretto in favore dei singoli 294. L'influenza della dottrina tedesca, e del Mestmäcker in particolare 295, determinarono l'interpretazione attuale. Tale interpretazione seguiva uno dei capisaldi della scuola di Friburgo, cioè la necessità di riconoscere ai singoli il diritto ad esercitare attività economica, così come per altro sostenuto in Italia in sede di Assemblea costituente da Luigi Einaudi (il quale era egli stesso in contatto con la scuola di Friburgo, e in particolare con Wilhelm Röpke) 296.

Il fatto che gli artt. 81 e 82 TCE riconoscano dei diritti soggettivi per i singoli determina una conseguenza rilevante nell'ipotesi della loro violazione da parte dei singoli o degli Stati membri.

Com'è noto, la giurisprudenza CE — attraverso un'interpretazione analogica delle norme sulla responsabilità extra-contrattuale della Comunità — ha sostenuto l'esistenza, all'interno dell'ordinamento CE, dell'obbligo generalizzato di risarcimento dei danni in caso di violazione di un diritto soggettivo riconosciuto dall'ordinamento CE 297.

costituisca uno degli obiettivi fondamentali del Trattato, come è stabilito nel preambolo e negli artt. 2 e 117 del medesimo, gli Stati membri dispongono, in tale ambito, una discrezionalità che esclude che l'obbligo sancito dall'art. [10] possa far sorgere in capo ai singoli diritti ai quali i giudici nazionali siano tenuti ad apprestare tutela", § 28.

293 V. infatti l'impostazione del Balladore Pallieri il quale nel 1959 — come sottolineato dal Catalano, NICOLA CATALANO, Relazione tra le regole di concorrenza stabilite dal Trattato

istitutivo della C.E.E. e le legislazioni degli Stati membri, in Rivista di Diritto Europeo, 1962, p. 335, p. 337, nota 1 — negava l'esistenza di diritto soggettivo ex artt. 81 e 82 TCE per i singoli. Gli artt. 81 e 82 TCE potevano solamente attribuire ai singoli un interesse, e quindi il solo diritto di adire la Corte di giustizia (escludendo quindi l'effetto diretto delle norme stesse); GIORGIO BALLADORE PALLIERI, Il mercato comune europeo e la legislazione italiana antimonopolistica, in Diritto Internazionale, 1959, p. 407. V. la posizione di Balladore Pallieri criticata del Draetta; UGO DRAETTA, Il regolamento di applicazione degli artt. 85 e 86 del

Trattato di Roma, in Rivista di Diritto internazionale, 1961, p. 144. 294 HANS VON DER GROEBEN, Ernst Joachim Mestmäckers Beitrag zur Gestaltung einer

europäischen Wettbewerbspolitik, in Festschrift für Ernst-Joachim Mestmäcker zum siebzigsten

Geburstag, Baden-Baden, Nomos Verlagsgeselschaft, 1996, p. 29. 295 HANS VON DER GROEBEN, Ernst Joachim Mestmäckers Beitrag, cit. a nota 294. 296 Sul punto v. DAVID J. GERBER, Law and competition, cit. a nota 143, 263; riguardo

alla posizione di Luigi Einaudi in Assemblea costituente, v. ALESSANDRO PACE, Problematica delle libertà costituzionali lezioni (parte speciale), Padova, CEDAM, 1992.

297 Riguardo alla giurisprudenza relativa al risarcimento del danno per violazione del diritto CE, v. — tra le tante — Sentenza della Corte del 19 novembre 1991, Andrea

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

119

Tale principio è stato formulato inizialmente in caso della mancata trasposizione di una direttiva — e della violazione del diritto da essa riconosciuto —. Tale costruzione teorica — e quindi l'obbligo di risarcimento per violazione di un diritto riconosciuto dall'ordinamento CE — è stato poi applicata a prescindere dal soggetto che avesse violato il diritto soggettivo (cioè lo Stato membro oppure il soggetto privato). Al fine di riconoscere il risarcimento dei danni — nel caso di violazione di un diritto CE da parte dei privati — è necessario che la norma che riconosca il diritto soggettivo abbia — a differenza dell'ipotesi di violazione da parte degli Stati membri — "effetto diretto" 298. Diversamente, l'obbligo di risarcimento dei danni da parte degli Stati membri per violazione degli artt. 81(1) e 82 TCE è configurabile in applicazione del principio di effetto utile del diritto antitrust CE (rectius in ogni caso in cui lo Stato membro non permetta al singolo di godere di un diritto soggettivo riconosciuto dall'ordinamento CE 299).

Il riconoscimento del diritto di iniziativa economica definito nella giurisprudenza CE è stato poi recepito prima dalla Carta dei Diritti fondamentali di Nizza e poi dal Trattato costituzionale europeo. L'art. 76 Cost. eu. (titolato come "Libertà d'impresa") recita infatti: "È riconosciuta la libertà d'impresa, conformemente al diritto dell'Unione e alle legislazioni e prassi nazionali" 300.

In considerazione del ruolo svolto dall'art. 81 TCE — così come dall'art. 82 TCE — la giurisprudenza CE ha equiparato tali norme alle norme di ordine pubblico disciplinate negli Stati membri; da ciò conseguono degli effetti di natura processuale dinanzi ai giudici

Francovich e Danila Bonifaci e Altri contro Repubblica italiana, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Raccolta della giurisprudenza, 1991, p. I - 5357.

298 La possibilità che la violazione degli artt. 81(1) e 82 TCE determini l'obbligo di risarcimento del danno tra singoli è stato espressamente riconosciuto dalla Corte di giustizia nel caso Sentenza della Corte del 20 settembre 2001, Courage Ltd contro Bernard Crehan e

Bernard Crehan contro Courage Ltd e altri, causa C-453/99, Raccolta della giurisprudenza, 2001 p. I - 6297.

299 Sul punto, v. Sentenza della Corte (Sesta Sezione) del 5 marzo 1998, Solred SA contro

Administración General del Estado, causa C-347/96, Raccolta della giurisprudenza, 1998, p. I - 937.

300 Cfr. i primi commenti di Schwarze, Jürgen, Der Grundrechtsschutz für Unternehmen

in der Europäischen Grundrechtescharta, in Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht, 2001, 517.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

120

nazionali 301. Infatti, le giurisdizioni nazionali che, a norma del loro diritto interno, sono tenute ad applicare d'ufficio disposizioni nazionali di ordine pubblico sono tenute ad applicare d'ufficio anche gli artt. 81 e 82 TCE 302.

Con riferimento all'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE da parte dei giudici nazionali, è d'uopo ricordare che le procedure per "l'applicazione del diritto comunitario della concorrenza da parte delle giurisdizioni nazionali" (ma ciò vale anche per le Autorità nazionali) "e le sanzioni che esse possono comminare in caso di infrazione alle norme di tale diritto sono disciplinate in gran parte dal diritto nazionale" (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 9). Le normative nazionali devono comunque essere conformi ai principi generali del diritto comunitario (ad es. principio di efficacia, principio di equivalenza).

31. (segue) b) le differenze tra le due norme.

Sempre con riferimento al contenuto degli artt. 81 e 82 TCE, oltre

alle caratteristiche comuni, la giurisprudenza CE ne ha anche definito delle differenze.

Infatti, i due divieti costituiscono "strumenti giuridici indipendenti che contemplano situazioni distinte" 303. Ciò è determinato non solo dalla differente fattispecie presa in considerazione (comportamenti tra due o più imprese nel caso dell'art. 81 TCE; comportamenti unilaterali nel caso dell'art. 82 TCE), ma anche dalla modalità di valutazione degli artt. 81 e 82 TCE. L'art. 81 TCE, infatti, è norma che richiede due fasi per la relativa applicazione (e cioè la prima fase relativa all'art. 81(1) TCE e la successiva relativa all'esenzione ex art. 81(3) TCE). L'art. 82 TCE, diversamente, presenta una singola fase di applicazione, cioè la

301 Sentenza della Corte del 1. giugno 1999, Eco Swiss China Time Ltd contro Benetton

International NV, causa C-126/97, Raccolta della giurisprudenza, 1999, p. I - 3055, § 39. 302 Sentenza della Corte del 14 dicembre 1995, Jeroen van Schijndel, cit. a nota 292, § 14 303 Sentenza del Tribunale di primo grado del 10 luglio 1990, Tetra Pak Rausing Sa

contro Commissione delle Comunità europee, causa T-51/89, Raccolta della giurisprudenza, 1990, p. II - 309, § 25.

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

121

valutazione dell'abuso della posizione dominante da parte di una specifica impresa 304.

L'art. 82 TCE, in considerazione della relativa formulazione, è inoltre applicabile dai giudici nazionali (rectius dispone di "effetto diretto") senza la necessità — a differenza dell'art. 81(3) TCE — di una normativa di esecuzione ex art. 83(2) lett. b TCE. Al contrario, l'art. 81(1) TCE, in assenza di una simile normativa ex art. 83(2) lett. b TCE, è applicabile — secondo il sistema antitrust disciplinato dal Trattato di Roma ex artt. 84 e 85 TCE — esclusivamente da parte della Commissione e delle Autorità nazionali 305; in questa ipotesi l'art. 81(3) TCE è applicabile dai giudici nazionali solo dopo che la Commissione o le Autorità nazionali abbiano definito l'applicabilità di essa alla singola fattispecie 306.

A differenza dell'art. 82, il TCE disciplina inoltre la nullità dell'accordo in violazione dell'art. 81(1) TCE. A tale riguardo, l'art. 81(2) TCE prevede espressamente che gli accordi in violazione dell'art. 81(1) TCE — e che quindi non siano esentati ex art. 81(3) TCE — sono "nulli di diritto". La Corte di giustizia ha giustificato tale norma sostenendo che l'importanza dell'art. 81(1) ha indotto a prevedere espressamente nel TCE la nullità di pieno diritto delle intese vietate 307; in particolare, la Corte l'ha definita come essenziale per i compiti della Comunità e del mercato comune 308. L'applicazione della nullità è — secondo la giurisprudenza comunitaria — di esclusiva spettanza del

304 Sentenza del Tribunale di primo grado del 10 luglio 1990, Tetra Pak, cit. nota

precedente, § 25. 305 Cfr. Sentenza della Corte dell'11 aprile 1989, Ahmed Saeed Flugreisen, cit. a nota 271,

§ 32; Sentenza della Corte del 30 aprile 1986, Ministere Public contro Lucas Asjes, Andrew Gray, Jacques Maillot, Leo Ludwig e altri, cause riunite 209 a 213/84, Raccolta della

giurisprudenza, 1986, p. 1425, § 88; Sentenza della Corte del 13 luglio 1966, Governo della

Repubblica italiana contro il Consiglio della CEE e la Commissione della CEE, causa 32/65, Raccolta della giurisprudenza, 1966, p. 296; Sentenza della Corte del 21 febbraio 1973, Continental Can, cit. a nota 286, § 25.

306 In questo caso gli Stati membri, al fine di permettere l'applicazione dell'art. 81 TCE, dovranno individuare tramite una disciplina nazionale (oltre all'organo che applichi il diritto antitrust CE, ai relativi procedimenti di applicazione e alle sanzioni conseguenti alla violazione) anche la modalità di applicazione dell'art. 81(3) TCE all'interno dell'ordinamento nazionale (ad es. secondo il principio di violazione o di abuso, etc.).

307 Sentenza della Corte del 1. giugno 1999, Eco Swiss China Time, cit. a nota 301, § 36. 308 Sentenza della Corte del 1. giugno 1999, Eco Swiss China Time, cit. a nota 301.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

122

giudice nazionale 309. La chiarezza della sanzione prevista dall'art. 81(2) TCE determina inoltre una limitazione alla discrezionalità del Consiglio riguardo al contenuto dei regolamenti o delle direttive ex art. 83 TCE. Tali normative non possono infatti modificare le conseguenze dell'art. 81(2) TCE 310.

Sebbene gli artt. 81 e 82 TCE svolgano una funzione differente, la Corte di giustizia ha riconosciuto che essi possano essere applicati simultaneamente alla medesima fattispecie. In particolare la Corte ha sostenuto che ciò è possibile "se l'impresa in posizione dominante [è] riuscita a far applicare da altre imprese" accordi che altrimenti esse non avrebbe accettato 311.

In presenza di questa ipotesi, la giurisprudenza ha inoltre risolto il problema posto dall'applicazione simultanea su di una medesima fattispecie dell'art. 81(3) e dell'art. 82 TCE 312. Infatti, la giurisprudenza CE ha valutato la conseguenza di una intesa esentata ex art. 81(3) TCE che contemporaneamente costituisca un abuso di posizione dominante. Tale problema deve essere risolto riconoscendo che l'intesa non viola l'art. 81 TCE pur rimanendo applicabile ad essa l'art. 82 TCE. Una conclusione opposta — che permettesse l'esenzione ex art. 81(3) TCE dell'abuso ai sensi dell'art. 82 TCE — significherebbe che l'art. 82 TCE

309 Sentenza della Corte del 6 febbraio 1973, Sa Brasserie di Haecht, cit. nota 251, § 4;

come la sentenza ricorda: "2/3 Fin dalla sua entrata in vigore, con l'art. [81], n . 2, il Trattato ha sancito la nullità ipso jure degli accordi e delle decisioni vietati dall' articolo stesso. Benché il divieto di cui al n. 1 dell' art. [81] sia attenuato dal fatto che il n. 3 contempla la facoltà di concedere deroghe, il Trattato non contiene tuttavia alcuna disposizione transitoria relativa agli effetti del n. 2, per quanto riguarda gli accordi e le decisioni esistenti alla data di entrata in vigore del trattato stesso o del regolamento n . 17. // 4/5 Questa

omissione ha portato ad una situazione tanto più ambigua in quanto, accanto al possibile intervento della Commissione in forza dei regolamenti e delle direttive contemplate dall' art. [83], i giudici nazionali, grazie all'efficacia diretta dell'art. [81], n. 2, sono competenti a conoscere degli accordi e delle decisioni vietate ed a dichiararne la nullità. Mentre il primo tipo di procedimento presenta l'elasticità necessaria per tener conto delle circostanze particolari di ciascun caso, il numero 2 dell' art. [81], il cui scopo e quello di colpire con una

severa sanzione una violazione grave, non lascia al giudice alcun margine di valutazione" (corsivo aggiunto).

310 Sentenza della Corte del 6 febbraio 1973, Sa Brasserie di Haecht, cit. nota 251, § 4/5. 311 Sentenza della Corte dell'11 aprile 1989, Ahmed Saeed Flugreisen, cit. a nota 271, §

37. 312 V. Sentenza della Corte del 21 febbraio 1973, Continental Can, cit. a nota 286, § 25;

Sentenza del Tribunale di primo grado del 10 luglio 1990, Tetra Pak Rausing Sa contro

Commissione delle Comunità europee, causa T-51/89, Raccolta della giurisprudenza, 1990, p. II - 309, § 25.

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

123

verrebbe reso applicabile o meno da una norma, cioè l'art. 81 TCE, la quale, sebbene prevista nello stesso Capo del TCE, svolge una differente funzione.

32. (segue) c) La finalità delle due norme: l'influenza della scuola di

Friburgo e la modifica prevista nella Comunicazione del 2004

sull'applicazione dell'art. 81(3) TCE.

La determinazione delle finalità delle norme antitrust riveste, da un

punto di vista giuridico, un aspetto di particolare importanza. Infatti, a seconda di quello che sia l'obiettivo della tutela della concorrenza, differente è il contenuto e l'estensione del diritto di iniziativa economica (infatti, differente sarà il contenuto del diritto di iniziativa economica se la finalità del diritto antitrust consiste nella tutela di tale diritto in sé, rispetto all'ipotesi in cui il diritto antitrust tuteli il diritto di iniziativa economica nei limiti dell'efficienza dei comportamenti delle imprese (v. infra in questo §).

Con riferimento alle finalità del diritto antitrust CE, il Trattato di Roma individua tra gli obiettivi delle azioni della Comunità il raggiungimento di "un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno" (art. 3(1) lett. g TCE). Il Trattato non specifica ulteriormente cosa si intenda per concorrenza non falsata. Per questo motivo, la determinazione del concetto di "concorrenza non falsata" (rectius la determinazione della finalità del diritto antitrust CE) è rimessa alla discrezionalità della Commissione. Essa, ex art. 211 TCE, è infatti titolare — salvo il controllo giurisdizionale comunitario — del potere esclusivo di orientamento della politica antitrust CE (v. art. 26(1) Cost. eu.; v. anche infra § 51).

Per individuare le finalità degli artt. 81 e 82 TCE è quindi necessario individuare la politica di concorrenza definita dalla Commissione nel corso del tempo e come la giurisprudenza CE l'abbia recepita. A questo fine è possibile individuare tre differenti periodi: il periodo degli anni '60, il periodo che si estende dagli anni '70 alla fine degli anni '90, il periodo che va dalla fine degli anni '90 fino ad oggi.

Nel primo periodo (gli anni '60) la finalità del diritto antitrust è stata individuata, secondo la giurisprudenza comunitaria, nella tutela della

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

124

"unità del mercato" e nell'evitare la creazione tramite comportamenti privati "delle barriere tra gli Stati", questo mentre gli Stati membri stessi stavano gradualmente eliminando le barriere normative che dividevano i rispettivi mercati nazionali 313.

Nel secondo periodo (tra gli anni '70 e '90) la finalità del diritto antitrust CE può essere individuata richiamando quanto espresso dalla Commissione nella Relazione sulla politica di concorrenza del 1985. In essa l'Autorità CE sosteneva: "Tutti gli Stati membri della Comunità si sono impegnati a salvaguardare i diritti individuali, i valori democratici e le libere istituzioni. Tali diritti, valori e istituzioni forniscono i correttivi necessari al buon funzionamento dei sistemi politici a livello sia nazionale che europeo. Il buon funzionamento dell'economia di mercato richiede gli stessi tipi di correttivi, che possono risultare soltanto da un regime di concorrenza effettiva. La concorrenza effettiva

salvaguarda la libertà e il diritto di iniziativa del singolo operatore

economico e alimenta lo spirito imprenditoriale, creando un contesto entro il quale l'industria europea può crescere e svilupparsi con la massima efficienza senza peraltro trascurare traguardi sociali. La politica

di concorrenza, dovrebbe evitare che lo sfruttamento abusivo di una

posizione dominante da parte di pochi leda i diritti della maggioranza, o dovrebbe impedire distorsioni artificiali della concorrenza e far sì che sia lo stesso mercato a stimolare l'innovazione e la competitività globale delle imprese europee" (corsivo aggiunto) 314.

313 Riguardo sentenze in cui si sostiene che le norme antitrust sono finalizzate ad

"eliminare o evitare la creazione di barriere tra stati o l'isolamento parte dei mercati", v. Sentenza della Corte del 13 luglio 1966, Governo della Repubblica italiana contro il

Consiglio della CEE e la Commissione della CEE, causa 32/65, Raccolta della giurisprudenza, 1966, p. 296; Sentenza della Corte del 13 maggio 1971, Nv International Fruit Company ed

Altri contro Commissione delle Comunità europee, cause riunite 41 a 44/70, Raccolta della giurisprudenza, 1971 p. 411, § 6; Sentenza della Corte del 21 febbraio 1973, Continental Can, cit. a nota 286, § 25.

Riguardo a sentenze in cui si sostiene che le norme antitrust sono finalizzate a "svolgere una certa azione positiva per promuovere un armonico sviluppo delle attività economiche", v. Sentenza della Corte del 13 febbraio 1969, Walt Wilhelm e altri contro Bundeskartellamt, causa 14/68, Raccolta della giurisprudenza, 1969, p. 1; Sentenza della Corte del 13 luglio 1966, Governo della Repubblica italiana contro il Consiglio della CEE e la Commissione della CEE, causa 32/65, Raccolta della giurisprudenza, 1966 p. 296.

314 XV Relazione sulla politica di concorrenza, p. 11. Con riferimento alla concentrazione tra imprese, in assenza di un regolamento di controllo delle fusioni nel 1985, la Commissione sosteneva che: "Se è vero che le fusioni tra imprese possono portare ad economie di scala e ad una maggiore propensione ad assumere rischi e investire in attività di

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

125

Tale interpretazione del diritto antitrust CE è comprensibile solo riconducendo tale impostazione all'influenza della scuola di pensiero liberale di Friburgo (cd. scuola ordoliberale). Come spiegato supra, tale impostazione trova le sue radici nella situazione dell'economia cartellizzata tedesca degli anni '30. Tale "scuola" di pensiero individuava nella titolarità del diritto di iniziativa economica e nella possibilità di esercitare tale diritto un prerequisito centrale per una società libera e socialmente giusta 315.

Tale impostazione, che "salvaguarda la libertà e il diritto di iniziativa del singolo operatore economico", si caratterizzava, con riferimento all'art. 81 TCE, con il tendenziale divieto "automatico" — senza ulteriore valutazione — di tutti gli accordi tra concorrenti. Tale impostazione seguiva la ratio del divieto di accordi anticoncorrenziali previsto dalla normativa antitrust tedesca, non ostante il differente testo delle norme (v. supra § 24). Ai sensi del diritto comunitario, tali accordi in violazione dell'art. 81(1) TCE potevano essere eventualmente esentati dal divieto ex 81(3) TCE 316.

La finalità del diritto antitrust, come "salvaguardia della libertà e del diritto di iniziativa del singolo operatore economico", si manifesta nell'applicazione dell'art. 82 TCE secondo una differente modalità, anche se con la medesima ispirazione di origine ordoliberale. Secondo quella che è stata la prassi della Commissione fino alla fine degli anni '90 317, l'art. 82 TCE, in particolare, "vuole colpire tanto le pratiche atte a

ricerca ad alta intensità di capitale, è altresì vero, e questo vale in particolare per le fusioni fra

"giganti", che esse possono portare ad un predominio sui mercati, a una riduzione della

concorrenza e dei relativi incentivi, e alla creazione di ostacoli per l'accesso al mercato. Date le caratteristiche sempre più oligopolistiche dei mercati della Comunità, è sempre più avvertita a livello comunitario l'esigenza di distinguere fra fusioni favorevoli e contrarie alla concorrenza e di applicare una politica di concorrenza conseguente" (p. 12). "Concludendo, è evidente l'importanza di una vigorosa politica di concorrenza nella strategia globale della Commissione per una crescita economica più dinamica e quindi anche per la prosperità e l'occupazione. Questa politica dovrà favorire l'apertura e l'adattabilità dei mercati, eliminandone le rigidità. (…) La politica di concorrenza è al tempo stesso uno strumento per la creazione di un mercato comunitario senza barriere interne" (corsivo aggiunto), XV Relazione sulla politica di concorrenza, p. 14.

315 V. ANDREAS HEINEMANN, Die Freiburger Schule und ihre geistigen Wurzeln, München, VVF, 1989.

316 Per l'influenza tedesca e francese sulla formulazione del reg. 17/62, v. infra. 317 Ancora nel 1999 la Commissione richiama la sentenza Commercial Solvents in

1999/485/CE: Decisione della Commissione del 30 aprile 1999 (Caso IV/34.250 - Europe Asia

Trades Agreement), Gazzetta ufficiale n. L 193 del 26/07/1999, p. 23 - 60, § 174, nota 75.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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danneggiare direttamente i consumatori, quanto quelle che ledono i loro interessi in forma indiretta, falsando le condizioni di effettiva concorrenza, previste dal citato articolo 3, lettera f)" (corsivo aggiunto) 318. Cioè, "il danno sofferto dal consumatore vittima di pratiche proibite dalle norme comunitarie in materia di concorrenza consiste non solo nel danno pecuniario diretto (…) ma anche nel danno indiretto costituito dal pregiudizio arrecato alle condizioni della concorrenza" (corsivo aggiunto) 319.

318 Sentenza della Corte del 6 marzo 1974, Istituto Chemioterapico Italiano SpA e

Commercial Solvents Corporation contro Commissione delle Comunità europee, cause riunite 6 e 7/73, Raccolta della giurisprudenza, 1974, p. 223. Prosegue la sentenza: "Le istituzioni comunitarie devono perciò valutare il comportamento criticato in funzione di tutti gli effetti ch'esso può avere sul mantenimento di un'effettiva concorrenza nell'ambito del mercato comune, senza necessità di distinguere fra merce prodotta per il consumo comunitario e merce da esportare nei paesi terzi. // Allorché il detentore d'una posizione dominante, con sede nella comunità, cerca, mediante lo sfruttamento abusivo della posizione stessa, di eliminare un concorrente, anch'esso con sede nella comunità, diviene irrilevante l'accertare se l'abuso tenda a soffocare il commercio intra-comunitario oppure le esportazioni del concorrente; ciò che conta e il fatto che la sparizione dell' impresa rivale modificherà i rapporti di

concorrenza entro il mercato comune" (corsivo aggiunto), §§ 32-33. 319 Sentenza del Tribunale di primo grado (seconda sezione) del 7 luglio 1994, Dunlop

Slazenger International LTD contro Commissione delle Comunità europee, causa T-43/92, Raccolta della giurisprudenza, 1994 p. II - 441, § 171. Prosegue il Tribunale di primo grado: "È chiaro al riguardo che un divieto generale di esportazione imposto a una rete di distribuzione esclusiva, garantendo ai membri della rete autorizzati dal fornitore una protezione territoriale assoluta, priva il consumatore delle condizioni di effettiva concorrenza volute dal Trattato CEE, in particolare dal suo articolo 3, lett. f). Un'organizzazione commerciale di tal genere infatti (...) pone in tal modo il consumatore in una situazione di dipendenza nei confronti di un unico offerente. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, una simile organizzazione del mercato provoca di conseguenza al consumatore un danno particolarmente marcato. Per di più, per quanto concerne il danno meramente pecuniario quale descritto dalla ricorrente, il Tribunale ritiene che, contrariamente a quanto da quest'ultima sostenuto, l'eliminazione o il rallentamento delle importazioni parallele possono di per sé stessi avere un effetto dannoso per il consumatore, in quanto essi finiscono con l'ostacolare la diminuzione dei prezzi, normalmente generata dalle importazioni parallele. Per quanto concerne la giustificazione delle misure adottate dalla ricorrente in materia di prezzi, il Tribunale ritiene che, qualunque possa essere peraltro la

giustificazione economica del comportamento degli operatori sul mercato, il fatto che tale

comportamento rientri nell' ambito di una concertazione vietata dall'art. [81], n. 1, del Trattato

porta alla conseguenza di rendere ininfluenti i mezzi e gli argomenti relativi all' asserito carattere

economicamente giustificabile di un simile comportamento, per lo meno dal momento che detto comportamento non è, come nella fattispecie, riconducibile nel campo di applicazione dell' art. [81], n. 3, del Trattato" (corsivo aggiunto), Sentenza del Tribunale di primo grado (seconda sezione) del 7 luglio 1994, Dunlop Slazenger International, cit. a nota 319, § 171.

Nella sentenza Continental Can a questo riguardo si legge: "L'art . [82] non riguarda soltanto le pratiche che possano causare direttamente un danno ai consumatori, bensì anche quelle che recano loro pregiudizio, modificando un regime di concorrenza effettiva, quale è

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

127

Quindi, a tal fine, il danno concorrenziale (secondo una impostazione economica che trova le sue radici nella teoria della Workable Competition) non si limita agli effetti negativi sul consumatore finale; infatti, i danni alla concorrenza derivano anche dalla modifica della struttura del mercato conseguente ai comportamenti delle imprese tra loro 320.

Questa impostazione è stata origine di una copiosa giurisprudenza comunitaria secondo la quale l'obiettivo del diritto antitrust è, variamente, la tutela della workable competition 321, della concorrenza

quello di cui all' art. 3, lettera [g]), del Trattato. Può quindi costituire un abuso il fatto che

un'impresa in posizione dominante rafforzi tale posizione al punto che il grado di dominio così

raggiunto rappresenti un sostanziale ostacolo per la concorrenza, nel senso di lasciar sussistere solo

imprese dipendenti, per il loro comportamento, dall'impresa dominante. A prescindere dalla colpa, si può considerare abusiva la posizione dominante che giunga al punto di eludere gli obiettivi del Trattato mediante una modifica così profonda della struttura dell'offerta da compromettere gravemente la libertà d'azione del consumatore sul mercato. In questa ipotesi rientra necessariamente la pratica eliminazione di qualsiasi tipo di concorrenza" (corsivo aggiunto), Sentenza della Corte del 21 febbraio 1973, Continental Can, cit. a nota 286, § 12. Riguardo a tale impostazione formulata dal Mestmäcker, v. ERNST-JOACHIM

MESTMÄCKER, Die Beurteilung von Unternehmenszusammenschlüssen nach Art. 86 des

Vertrages über die Europäische Wirtschaftsgemeinschaft, in Festschrift für Walter Hallstein, Frankfurt am Main, 1966, p. 322.

Inoltre, la Corte di giustizia ricordava in altra sentenza che "ai fini dell' applicazione di questa disposizione, debbono essere prese in considerazione le circostanze che accompagnano una siffatta acquisizione, ed in particolare i suoi effetti sulla struttura della

concorrenza nel mercato considerato" (corsivo aggiunto), Sentenza del Tribunale di primo grado del 10 luglio 1990, Tetra Pak Rausing Sa contro Commissione delle Comunità europee, causa T-51/89, Raccolta della giurisprudenza, 1990, p. II - 309, § 23.

320 Sentenza della Corte del 13 febbraio 1979, Hoffmann-La Roche et Co. AG contro

Commissione, causa 85/76, Raccolta della giurisprudenza 1979, p. 461, § 38. La medesima giurisprudenza ricorda che l'art. 82 TCE, "in quanto contempla l'esistenza di una posizione dominante ne vieta lo sfruttamento abusivo, si inserisce in un complesso sistematico di

disposizioni — come gli artt. 3 lett. [g], [31].1, 40 n. 3, [81] e [86] — che mirano tutte all'instaurazione di una concorrenza efficacie e non falsata in un mercato che presenta le caratteristiche di un mercato unico", § 132 (corsivo aggiunto). Inoltre, l'art. 82 è "espressione dello scopo generale assegnato dall'art. 3 lett. f del Trattato all'azione della Comunità, cioè l'instaurazione di un regime che garantisca che la concorrenza non venga falsata nel mercato

comune" (corsivo aggiunto). 321 La CGCE, nella ricerca di una impostazione fondata su valutazioni più strettamente

economiche tramite cui valutare i comportamenti delle imprese, si è anche riferita alla tutela della concorrenza come workable competition. Così facendo i giudici comunitari si sono riferiti ad una scuola economica nata alla fine degli anni '40 e che ha quale esponente principale James M. Clark. La CGCE si è infatti espressamente riferita alla necessità dell' "esistenza sul mercato di concorrenza efficace (workable competition)", e cioè "l'attività concorrenziale sufficiente a far ritenere che siano rispettate le esigenze fondamentali e conseguite le finalità del Trattato e — in particolare — la creazione di un mercato unico che offra condizioni analoghe a quelle di un mercato interno" (v. nota successiva). Così

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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effettiva 322, della concorrenza efficace 323, della struttura del mercato 324, o che la tutela della concorrenza comunitaria riguarda la tutela dell'"interesse pubblico, dei consumatori ma anche delle singole imprese" (corsivo aggiunto) 325.

Con riferimento al terzo periodo supra individuato — cioè l'impostaizone attualmente vigente —, la finalità del diritto antitrust comunitario è chiarita nella Comunicazione sull'applicazione dell'art. 81(3) TCE 326. Nella Comunicazione del 2004 la Commissione, dopo

come si è riferita alla tutela della struttura della concorrenza, essa si è anche riferita — richiamando la finalità della disciplina antitrust del TCECA — alla tutela della "concorrenza normale" sul mercato CE. Sul punto, e in generale sul rapporto tra diritto antitrust e modelli economici, v. ROGER VAN DEN BERGH - PETER D. CAMESASCA, European

competition law and economics: a comparative perspective, Antwerpen, Intersentia, 2001; per la discussione del concetto di workable competition, v. p. 27.

322 La concorrenza non falsata ex artt. 3 e 81 TCE implica l'esistenza sul mercato di "concorrenza efficace (workable competition) cioè attività concorrenziale sufficiente a far ritenere

che siano rispettate le esigenze fondamentali e conseguite le finalità del Trattato e — in

particolare — la creazione di un mercato unico che offra condizioni analoghe a quelle di un mercato interno in cui natura e intensità concorrenza variano a seconda prodotti e servizi e struttura economica dei relativi mercati di settore giustificazione concorrenza ex art. [81] TCE, ma questo non prevede esclusivamente la concorrenza di prezzo", Sentenza della Corte del 25 ottobre 1977, Metro SB - Grossmaerkte GmbH et Co. KG contro Commissione

delle Comunità europee, causa 26/76, Raccolta della giurisprudenza, 1977, p. 1875, § 21. 323 Sentenza della Corte del 21 febbraio 1973, Continental Can, cit. a nota 286, § 25. 324 V. Sentenza della Corte (quinta sezione) del 3 luglio 1991, Akzo Chemie Bv contro

Commissione delle Comunità europee, causa C-62/86, Raccolta della giurisprudenza, 1991, p. I - 3359, §§ 64 e 69; Sentenza della Corte del 21 febbraio 1973, Continental Can, cit. a nota 286, § 21; Sentenza della Corte del 14 febbraio 1978, United Brands, cit. a nota 277, § 86.

325 "Come risulta dal 4 comma del preambolo dell'art. 3[g], dagli artt. [81] e [82], hanno la funzione di evitare che la concorrenza sia alterata a danno dell'interesse pubblico delle singole imprese dei consumatori", Sentenza della Corte del 21 settembre 1989, Hoechst AG

contro Commissione delle Comunità europee, cause riunite 46/87 e 227/88, Raccolta della

giurisprudenza 1989, p. 2859, § 25; Sentenza della Corte del 17 ottobre 1989, Dow Benelux

Nv, Ex Dow Chemical (Nederland) Bv contro Commissione delle Comunità europee, causa 85/87, Raccolta della giurisprudenza, 1989, p. 3137, § 36; Sentenza della Corte del 17 ottobre 1989, Dow Chemical Iberica Sa e Alcudia, Empresa Para La Industria Quimica, Sa e Empresa

Nacional Del Petroleo Sa contro Commissione delle Comunità europee, cause riunite 97/87, 98/87 e 99/87, Raccolta della giurisprudenza 1989, p. 3165, § 22; Sentenza della Corte del 18 ottobre 1989, Orkem Sa, Ex Cdf Chimie Sa contro Commissione delle Comunità europee, causa 374/87, Raccolta della giurisprudenza, 1989, p. 3283, § 19.

Ma v. anche il richiamo al concetto di concorrenza richiamato nel TCECA, cioè la "concorrenza normale", Sentenza del Tribunale di primo grado del 10 luglio 1990, Tetra

Pak Rausing Sa contro Commissione delle Comunità europee, causa T-51/89, Raccolta della

giurisprudenza, 1990, p. II - 309, § 23. 326 E questo non ostante il Tribunale nel 1998 avesse già emanato in materia di politica

antidumping una sentenza importante dai "toni" simili. Nella sentenza Industrie des Poudres

Sphériques si legge: "Inoltre, se si vuole mantenere una concorrenza non falsata nel mercato

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

129

aver indicato che "l'obiettivo dell'articolo 81 è quello di proteggere la

concorrenza effettiva assicurando che i mercati rimangano aperti e competitivi" (corsivo aggiunto, § 47), sostiene che "l'obiettivo delle regole di concorrenza comunitarie è tutelare la concorrenza sul mercato come strumento per incrementare il benessere dei consumatori e per assicurare un'allocazione efficiente delle risorse" (§§ 13, 33). In altre parole, "l'obiettivo ultimo (...) è proteggere il processo concorrenziale" (§ 105) cioè, secondo l'impostazione della Comunicazione, la "conquista di clienti mediante l'offerta di prodotti o di prezzi migliori di quelli offerti dai concorrenti" (§ 33) 327.

In questa impostazione il perno per valutare tanto la restrizione concorrenziale derivante da un accordo, quanto la detenzione di una posizione dominante, è definito dall'indicazione del "potere di mercato" (Comunicazione sull'applicazione dell'art. 81(3) TCE, §§ 25 e 26.).

La modifica della finalità del diritto antitrust CE rispetto a quanto sostenuto nel 1985 è netta.

comune, non si può rinunciare ad imporre dazi antidumping per il solo motivo che essi causerebbero l'eliminazione delle imprese concorrenti che hanno i costi di produzione più elevati. Infatti, poiché l'istituzione di un regime che assicuri che la concorrenza non sia falsata nel mercato comune previsto all'art. 3, lett. g), del Trattato ha come fine essenziale di

rendere possibile una corretta allocazione delle risorse economiche, non si può giustificare l'eliminazione di imprese economicamente vitali per garantire la sopravvivenza di un'impresa che ha costi di produzione più elevati", Sentenza del Tribunale di primo grado (quinta sezione ampliata) del 15 ottobre 1998, Industrie des Poudres Sphériques contro Consiglio dell'Unione europea, causa T-2/95, Raccolta della giurisprudenza, 1998, p. II-3939, § 308.

V. però quanto sostenuto sempre dal Tribunale di primo grado nel 1994 nella Sentenza del Tribunale di primo grado (seconda sezione) del 7 luglio 1994, Dunlop Slazenger

International, cit. a nota 319. Il Tribunale di primo grado aveva sostenuto: "Il danno sofferto dal consumatore vittima di pratiche proibite dalle norme comunitarie in materia di concorrenza consiste non solo nel danno pecuniario diretto, del tipo di quello asserito dalla

ricorrente, ma anche nel danno indiretto costituito dal pregiudizio arrecato alle condizioni della

concorrenza (v, nell' ambito dell' interpretazione dell' art. [82] del Trattato, Sentenza della Corte del 6 marzo 1974, Istituto Chemioterapico Italiano, cit. a nota 318, § 32)" (corsivo aggiunto), § 171.

327 V. anche il § 21 dove la Commissione sostiene: "Le restrizioni per oggetto, quali la fissazione dei prezzi e la ripartizione del mercato, provocano riduzioni della produzione ed aumenti dei prezzi, determinando una cattiva allocazione delle risorse, in quanto i beni e i servizi richiesti dai consumatori non vengono prodotti. Tali restrizioni determinano inoltre una riduzione del benessere dei consumatori, i quali devono pagare un prezzo più elevato per i beni e i servizi in questione", Comunicazione sull'applicazione dell'art. 81(3) TCE, § 21.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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Vi è infatti il passaggio dalla tutela della concorrenza intesa come tendenziale tutela "strutturale" del mercato (e quindi tutela dei consumatori quanto dei concorrenti) ad una tutela della concorrenza intesa come tendenziale tutela dell'"efficienza" del mercato (e quindi tutela del diritto di iniziativa economica nei limiti dell'efficienza dei comportamenti delle imprese) 328.

Tale modifica è confermata da quanto sostenuto dall'attuale Direttore generale della D.G. Comp, l'inglese Philip Lowe. Egli, di fronte ad una platea statunitense, ha sostenuto che: "Enforcement action aims at protecting competition. This fundamental goal is enshrined in the Treaties establishing the European Union, namely that we aim for «a system ensuring that competition in the Internal Market is not distorted». The interest for consumers in the broad sense — individuals and

businesses — is the primary concern. The concerns of competitors are relevant to the extent and only to the extent, that they provide evidence of actual or potential harm to competition and consumer interests" (corsivo aggiunto) 329.

I motivi della modifica della finalità del diritto antitrust, in assenza di una espressa giustificazione della Commissione, sembrano potersi individuare nella situazione economica mondiale, così come espresso nella Comunicazione del 2001 sugli accordi orizzontali. In essa si legge che la modifica dell'interpretazione del diritto antitrust è dovuta al fatto che "le imprese devono reagire alla crescente pressione concorrenziale e adeguarsi ad un mercato in costante evoluzione dovuta alla mondializzazione, al ritmo dei progressi tecnici e, in generale, al maggiore dinamismo dei mercati" (§ 3). In altre parole, la Commissione sembra implicitamente sostenere che se essa avesse mantenuto la precedente impostazione, avrebbe sì tutelato il diritto di iniziativa economica delle singole imprese all'interno del mercato europeo, ma ciò avrebbe determinato il pericolo di una possibile scomparsa delle

328 Ma vedi come la Commissione ancora nella Comunicazione sull'applicazione

dell'art. 81(3) TCE richiami il concetto di concorrenza effettiva. L'Autorità CE sostiene infatti : "Poiché inoltre gli articoli 81 e 82 perseguono entrambi l'obiettivo di mantenere una

concorrenza effettiva sul mercato, si deve per coerenza ritenere che l'articolo 81, paragrafo 3, precluda l'applicazione di tale disposizione agli accordi restrittivi che costituiscono un abuso di posizione dominante" (corsivo aggiunto).

329 Philip Lowe, Competition Policy in the European Union, discorso tenuto presso l'American Antitrust Institute il 1 luglio 2002.

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

131

imprese che agiscono su tale mercato per via della concorrenza operata dalle imprese attive anche in altre parti del mondo.

Come supra individuato, quanto espresso nella Comunicazione del 2004 è la conclusione di un'evoluzione che ha visto, sin dal 1998, il graduale abbandono dei capisaldi della precedente impostazione influenzata dalla dottrina tedesca. Tale modifica è iniziata, con riferimento all'art. 81 TCE, con l'abbandono dell'interpretazione relativa all'automaticità della violazione dell'art. 81(1) TCE, ed è poi continuata con il passaggio verso la generale valutazione positiva di alcuni accordi tra concorrenti, per poi terminare con la modifica — supra indicata — relativa alla lettura dell'art. 81(3) TCE.

L'abbandono dell'interpretazione relativa all'automaticità della violazione dell'art. 81(1) TCE è compiuta nel 1998 nella sentenza European Night Services Ltd. 330. Il Tribunale propone, infatti, una interpretazione — in contrasto con quanto affermato dallo stesso Tribunale appena quattro anni prima 331 — in cui sia posta in essere una approfondita valutazione ai sensi dell'art. 81(1) TCE riguardo all'esistenza della restrizione della concorrenza da parte dell'accordo in

330 In questo modo anticipando anche il contenuto del Libro bianco sulla

modernizzazione antitrust del 1999. Come sostenuto dalla Commissione nel Libro bianco sulla modernizzazione: "Per l'esame dei casi individuali, la Commissione adotterà un approccio più economico nell'applicazione dell'articolo [81], paragrafo 1, e ciò limiterà la portata di tale disposizione alle sole imprese che detengono un certo potere di mercato" (corsivo aggiunto), Sentenza del Tribunale di primo grado (Seconda Sezione) del 15 settembre 1998, European Night Services Ltd (ENS), Eurostar (UK) Ltd, già European Passenger Services Ltd

(EPS), Union internationale des chemins de fer (UIC), NV Nederlandse Spoorwegen (NS) e

Société nationale des chemins de fer français (SNCF) contro Commissione delle Comunità europee (European Night Services), cause riunite T-374/94, T-375/94, T-384/94 e T-388/94, Raccolta della giurisprudenza, 1998, p. II - 3141, § 78.

331 Il Tribunale di primo grado aveva sostenuto: "Per quanto concerne la giustificazione delle misure adottate dalla ricorrente in materia di prezzi, il Tribunale ritiene che, qualunque possa essere peraltro la giustificazione economica del comportamento degli operatori sul mercato, il fatto che tale comportamento rientri nell'ambito di una concertazione vietata dall' art. [81], n. 1, del Trattato porta alla conseguenza di rendere ininfluenti i mezzi e gli argomenti relativi all'asserito carattere economicamente giustificabile di un simile comportamento, per lo meno dal momento che detto comportamento non è, come nella fattispecie, riconducibile nel campo di applicazione dell'art. [81], n. 3, del Trattato", Sentenza del Tribunale di primo grado (seconda sezione) del 7 luglio 1994, Dunlop Slazenger International, cit. a nota 319, § 171.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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oggetto 332; in questo modo escludendo la divisione di compiti tra gli artt. 81(1) e (3) TCE 333.

Il passaggio verso l'abbandono dell'impostazione secondo cui tutti i "contatti" tra concorrenti sono da considerarsi una violazione insanabile dell'art. 81(1) TCE avviene con la Comunicazione sugli accordi orizzontali tra concorrenti 334. In essa la Commissione, presentando la

332 È interessante notare come sempre nel 1998 gli stessi Avvocati generali presso la

Corte di giustizia iniziano a citare membri della cd. scuola giuridico/economica di Chicago per valutare l'applicazione del diritto antitrust CE in modo comparato con diritto antitrust statunitense. L'elemento di interesse è che la scuola di Chicago presenta un'impostazione differente dalla "scuola" collegata all'impostazione della Workable Competition. V. sul punto le conclusioni dell'Avvocato generale Jacobs del 28 maggio 1998 nella causa Oscar Bronner (causa C-7/97, Raccolta della giurisprudenza, 1998, p. I - 7791). Egli sostiene con riferimento alla essential facility doctrine: "Un'impresa in posizione dominante che detenga il controllo di un'infrastruttura essenziale può giustificare il rifiuto di stipulare per legittimi motivi tecnici o commerciali. È anche possibile giustificare un rifiuto adducendo ragioni di efficienza produttiva". Egli, a tal fine, richiama nella nota 48 "R.H. Bork: «The Antitrust Paradox», 1978 (ristampa 1993)".

333 Nel Libro bianco sulla modernizzazione antitrust, l'Autorità CE aveva sostenuto che: "L'attuale divisione, nell'applicazione dell'articolo [81], fra paragrafo 1 e paragrafo 3 risulta infine artificiale e contraria al carattere inscindibile dell'articolo stesso, che richiede un'analisi economica dell'insieme degli effetti imputabili ad un accordo", § 49.

334 L'impostazione comunitaria riguardo agli accordi orizzontali era stata indicata inizialmente nella sentenza Suiker Unie e poi era stata già "edulcorata" dalla sentenza ANIC. Nella sent. Suiker Unie la Corte di giustizia aveva sostenuto con riferimento agli accordi tra concorrenti che: "I criteri del coordinamento e della collaborazione, messi in evidenza nella giurisprudenza della Corte, non richiedono l'elaborazione di un vero e proprio "piano", ma vanno intesi alla luce della concezione inerente alle norme del Trattato in

materia di concorrenza, e secondo la quale ogni operatore economico deve autonomamente determinare la condotta ch'egli intende seguire sul mercato comune, anche riguardo alla scelta dei destinatari delle merci da lui offerte e vendute. Se è vero che non esclude il diritto degli operatori economici di reagire intelligentemente al comportamento noto o presunto dei concorrenti, la suddetta esigenza di autonomia vieta però rigorosamente che fra gli

operatori stessi abbiano luogo contatti diretti o indiretti aventi lo scopo o l'effetto d'influire sul

comportamento tenuto sul mercato da un concorrente attuale o potenziale, ovvero di rivelare ad

un concorrente il comportamento che l'interessato ha deciso, o prevede, di tenere egli stesso sul

mercato" (corsivo aggiunto), Sentenza della Corte del 16 dicembre 1975, Cooperatieve Vereniging Suiker Unie U.A. ed altri contro Commissione delle Comunità europee, cause riunite 40 a 48, 50, 54 A 56, 111, 113 e 114/73, Raccolta della giurisprudenza, 1975, p. 1663, §§ 173-174. Impostazione "rigorosa" già "edulcorata" nella sent. ANIC. In quest'ultima sentenza la Corte di giustizia ha infatti sostenuto: "Secondo questa stessa giurisprudenza, se è vero che la suddetta esigenza di autonomia non esclude il diritto degli operatori economici di reagire intelligentemente al comportamento noto o presunto dei concorrenti, essa vieta però rigorosamente che fra gli operatori stessi abbiano luogo contatti diretti o indiretti che possano influenzare il comportamento sul mercato di un concorrente attuale o potenziale, o rivelare a tale concorrente la condotta che essi hanno deciso o intendono seguire sul mercato

quando tali contatti abbiano lo scopo o l'effetto di creare condizioni di concorrenza non

corrispondenti alle condizioni normali del mercato di cui trattasi, tenuto conto della natura della

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

133

propria politica di concorrenza sulle intese che formano "oggetto di un accordo o di pratiche concordate che intervengono tra imprese che si situano allo stesso livello del mercato" (§ 1), riconosce in via generale 335 che esse possono sì "dar luogo a problemi di concorrenza" (§ 2) 336, ma che in taluni casi tali accordi "possono comportare notevoli benefici economici" (§ 3) 337.

merce e delle prestazioni fornite, dell'importanza e del numero delle imprese e del volume di detto

mercato (v. in tal senso, le citate sentenze Suiker Unie e altri/Commissione, punto 174; Züchner, punto 14 e Deere/Commissione, punto 87)" (corsivo aggiunto), Sentenza della Corte (Sesta Sezione) dell'8 luglio 1999, Commissione delle Comunità europee contro Anic Partecipazioni SpA., causa C-49/92 P, Raccolta della giurisprudenza 1999, p. I - 4125, § 117.

Non ostante questa differenza, la Commissione giustappone le due sentenze alla nota 12 della Comunicazione sull'applicazione dell'art. 81(3) TCE. L'Autorità CE sostiene che: "Il divieto di cui all'articolo 81, paragrafo 1 si applica agli accordi restrittivi ed alle pratiche concordate tra imprese, nonché alle decisioni di associazioni di imprese nella misura in cui possano pregiudicare il commercio tra Stati membri. Un principio generale alla base

dell'articolo 81, paragrafo 1, ribadito nella giurisprudenza degli organi giurisdizionali comunitari, è il fatto che ogni operatore economico deve autonomamente determinare la condotta

ch'egli intende seguire sul mercato" (corsivo aggiunto), § 14. V. sul punto PETRA POHLMANN, Der Unternehmensverbund im Europäischen

Kartellrecht, Berlin, Duncker & Humblot, 1999, 216. 335 La Commissione in tale Comunicazione sostiene che: "In passato, le indicazioni da

seguire nella valutazione della compatibilità di una cooperazione orizzontale con il disposto dell'articolo 81 erano contenute in due comunicazioni della Commissione e in due regolamenti di esenzione per categoria. Il regolamento (CEE) n. 417/85 della Commissione, modificato da ultimo dal regolamento (CE) n. 2236/97 ed il regolamento (CEE) n. 418/85 della Commissione, modificato da ultimo dal regolamento (CE) n. 2236/97, disponevano l'esenzione per alcune forme di accordi, rispettivamente, di specializzazione e di ricerca e sviluppo (R&S). Tali regolamenti sono ora stati sostituiti dal regolamento (CE) n. 2658/2000 della Commissione, del 29 novembre 2000, relativo all'applicazione dell'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato a categorie di accordi di specializzazione (in appresso il "regolamento di esenzione per categorie di accordi di specializzazione") e dal regolamento (CE) n. 2659/2000 della Commissione, del 29 novembre 2000, relativo all'applicazione dell'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato a categorie di accordi in materia di ricerca e sviluppo (in appresso il "regolamento di esenzione per categorie di accordi di R&S"). Le due comunicazioni fornivano indicazioni in merito a determinati tipi di accordi di cooperazione che non rientrano nel campo di applicazione dell'articolo 81 ed in merito alla valutazione delle imprese comuni aventi natura di cooperazione" (Comunicazione sugli accordi orizzontali, § 5).

336 Continua la Commissione: "Tale è il caso, ad esempio, se le parti di un accordo di cooperazione convengono di fissare i prezzi o la produzione, di ripartire i mercati, oppure se la cooperazione fa sì che le parti mantengano, ottengano o aumentino potere di mercato, provocando quindi effetti di mercato negativi sui prezzi, la produzione, l'innovazione, o la varietà e la qualità dei prodotti" (Comunicazione sugli accordi orizzontali, § 2).

337 Continua la Commissione: "Le imprese devono reagire alla crescente pressione concorrenziale e adeguarsi ad un mercato in costante evoluzione dovuta alla mondializzazione, al ritmo dei progressi tecnici e, in generale, al maggiore dinamismo dei mercati. La cooperazione tra imprese può costituire uno strumento idoneo a condividere i

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

134

Infine, l'ultima modifica di impostazione riguardo all'art. 81 TCE consiste nella modifica dell'interpretazione dell'art. 81(3) TCE, modifica iniziata nel regolamento sugli accordi verticali 338 e poi generalizzata nella Comunicazione sull'applicazione dell'art. 81(3) TCE 339.

Riguardo alla nuova interpretazione dell'art. 81(3) TCE la Commissione premette: "La valutazione a norma dell'articolo 81 comporta (...) due fasi. La prima fase consiste nel valutare se un accordo tra imprese, che possa pregiudicare il commercio tra Stati membri, abbia un oggetto anticoncorrenziale o effetti anticoncorrenziali, effettivi o potenziali. La seconda fase, che interviene solo qualora si ritenga che un accordo sia restrittivo della concorrenza, consiste nel determinare i benefici sotto il profilo della concorrenza prodotti dall'accordo in questione e nel valutare se tali effetti positivi superino gli effetti negativi per la concorrenza. La valutazione comparata degli effetti anticoncorrenziali e degli effetti favorevoli alla concorrenza è effettuata

rischi, realizzare economie, mettere in comune il 'know-how' e lanciare più rapidamente le innovazioni sul mercato. Soprattutto per le piccole e medie imprese la cooperazione costituisce un importante strumento che consente loro di adeguarsi all'evoluzione del mercato" (Comunicazione sugli accordi orizzontali, § 3).

A fronte di quanto espresso nella Comunicazione sugli accordi orizzontali e nella Comunicazione sull'applicazione dell'art. 81(3) TCE, l'ormai labile limite della liceità della cooperazione tra concorrenti ha quale ultima barriere invalicabile la quarta condizione di cui all'art. 81(3) TCE. Interpretando il significato di tale requisito relativo alla non eliminazione della concorrenza perché un accordo possa essere esentato ex art. 81(3) TCE, la Commissione sostiene: "In definitiva, la protezione della rivalità [tra concorrenti] e del processo concorrenziale viene considerata prioritaria rispetto agli incrementi di efficienza favorevoli alla concorrenza che potrebbero derivare da accordi restrittivi" (Comunicazione sull'applicazione art. 81(3) TCE, §105 - corsivo aggiunto).

338 Riguardo alla percezione degli operatori economici della radicale modifica operata con riferimento alla "politica di concorrenza" relativamente agli accordi verticali ai sensi del reg. 2790/1999, cfr. il contenuto del ricorso di annullamento proposto contro il relativo regolamento, Ordinanza della Corte (Quinta Sezione) del 5 luglio 2001, Conseil national des

professions de l'automobile, Fédération nationale des distributeurs, loueurs et réparateurs de

matériels de bâtiment-travaux publics et de manutention, Auto Contrôle 31 SA, Yam 31 SARL,

Roux SA, Marc Foucher-Creteau e Verdier distribution SARL contro Commissione delle

Comunità europee, causa C-341/00 P, Raccolta della giurisprudenza 2001, p. I - 5263, § 28. 339 La Commissione riconosce la modifica dell'interpretazione dell'art. 81(3) TCE in un

paragrafo inserito solo nella versione finale della Comunicazione; in esso l'Autorità CE sostiene che "per quel che riguarda talune questioni, le presenti linee direttrici riflettono lo stato attuale della giurisprudenza della Corte di giustizia. Tuttavia, la Commissione intende

anche illustrare la sua politica riguardante le questioni che non sono ancora state trattate dalla giurisprudenza, o che sono soggette a interpretazione" (corsivo aggiunto, § 7).

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

135

esclusivamente nell'ambito dell'articolo 81, paragrafo 3" (Comunicazione sull'applicazione dell'art. 81(3) TCE, § 11) 340. Quindi, "l'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato diventa pertinente solo quando un accordo tra imprese restringe la concorrenza ai sensi dell'articolo 81, paragrafo 1. Nel caso di accordi non restrittivi, non vi è alcuna necessità di esaminare i benefici prodotti dall'accordo" (Comunicazione sull'applicazione dell'art. 81(3) TCE, § 40) 341.

340 Continua la Commissione: "La valutazione delle restrizioni per oggetto e per effetto

ai sensi dell'articolo 81, paragrafo 1 è solo un aspetto dell'analisi. L'altro aspetto, recepito nell'articolo 81, paragrafo 3, è la valutazione degli effetti economici positivi degli accordi restrittivi", § 32.

341 In questo modo escludendo il bilanciamento tra elementi pro- e anti-concorrenziali nell'ambito dell'art. 81(1) TCE. La Commissione nel Libro bianco del 1999 aveva già escluso un'applicazione dell'art. 81 TCE in modo che il bilanciamento tra elementi pro — e anti-concorrenziali fosse compiuto solo nell'ambito dell'art. 81(1) TCE. La Commissione aveva sostenuto che: "Una delle possibilità di riforma talora evocate consiste in una diversa interpretazione dell'articolo [81] per integrare, nella valutazione delle intese condotta ai sensi del paragrafo 1, l'analisi degli effetti negativi e positivi delle stesse. In un tale sistema, l'applicazione dell'esenzione ai sensi del paragrafo 3 sarebbe limitata ai soli casi in cui ragioni di coerenza fra la politica di concorrenza e altre politiche comunitarie prevalessero sui risultati dell'analisi concorrenziale. Si tratterebbe in un certo senso di interpretare l'articolo [81], paragrafo 1 come incorporante un "principio di ragionevolezza". Un tale sistema alleggerirebbe le imprese dagli obblighi di notifica, poiché esse non sarebbero tenute a notificare gli accordi ai fini di un'attestazione negativa. // La Commissione ha già adottato in maniera limitata questo approccio effettuando una valutazione degli aspetti pro- e anti-concorrenziali di talune intese ai sensi dell'articolo [81], paragrafo 1 del trattato. Tale approccio è stato confermato dalla Corte di giustizia. La struttura dell'articolo [81] non permette tuttavia di sfruttarlo più a fondo: effettuare con maggiore sistematicità, nel quadro dell'articolo [81], paragrafo 1, un'analisi degli aspetti pro- e anti-concorrenziali di un'intesa restrittiva porterebbe difatti a svuotare del suo contenuto il paragrafo 3 dello stesso articolo e solo una revisione del trattato potrebbe introdurre una simile modifica. Sarebbe quanto meno paradossale privare della sua sostanza l'articolo [81], paragrafo 3, laddove tale disposizione contiene in realtà tutti gli elementi di un "principio di ragionevolezza". Sarebbe inoltre rischioso basare la modernizzazione delle regole di concorrenza su un'evoluzione della prassi decisionale, fatto salvo il controllo delle Corti comunitarie. Un tale approccio farebbe dipendere la modernizzazione delle norme di concorrenza dai casi presentati alla Commissione, e potrebbe richiedere numerosi anni di lavoro. Questa soluzione rischierebbe infine di sviare l'articolo [81], paragrafo 3 dal suo stesso oggetto, che è quello di fornire un quadro giuridico alla valutazione economica delle intese e non quello di permettere di evitare l'applicazione delle regole di concorrenza in base a considerazioni politiche", Libro bianco sulla modernizzazione, §§ 56 e 57.

Può essere interessante ricordare che la formulazione del divieto di accordi anti-concorrenziali così come disciplinato dal TCE attribuisce alla Commissione un "rilevante" potere di "regolamentazione" del mercato. Infatti l'Autorità CE può, tramite l'esercizio della competenza per emanare i regolamenti di esenzione per categoria, disciplinare il mercato in un modo difficilmente realizzabile con semplici decisioni di applicazione del divieto antitrust; ad esempio in presenza di un divieto come quello della Sez. I Sherman Act.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

136

Premesso questo, la Commissione definisce un principio generale riguardo ai casi in cui un accordo che restringe la concorrenza ex art. 81(1) TCE possa essere esentato ex art. 81(3) TCE. L'Autorità CE sostiene infatti: "L'obiettivo delle regole di concorrenza comunitarie è tutelare la concorrenza sul mercato come strumento per incrementare il benessere dei consumatori e per assicurare un'allocazione efficiente delle risorse. Gli accordi che determinano restrizioni della concorrenza possono al tempo stesso produrre effetti favorevoli alla concorrenza mediante incrementi di efficienza. Questi incrementi di efficienza possono generare un incremento di valore, in quanto riducono i costi di fabbricazione di un prodotto, ne migliorano la qualità o portano alla realizzazione di un nuovo prodotto. Quando gli effetti di un accordo favorevoli alla concorrenza [ai sensi dell'art. 81(3) TCE] superano gli effetti anticoncorrenziali [vietati dall'art. 81(1) TCE], l'accordo è in definitiva favorevole alla concorrenza e compatibile con gli obiettivi delle regole di concorrenza comunitarie. L'effetto netto di tali accordi è di promuovere l'essenza stessa del processo concorrenziale, vale a dire la conquista di clienti mediante l'offerta di prodotti o di prezzi migliori di quelli offerti dai concorrenti" (Comunicazione sull'applicazione dell'art. 81(3) TCE, § 33).

Con riferimento alle conseguenze sull'interpretazione dell'art. 82 TCE della modifica delle finalità del diritto antitrust CE, la Commissione non si è espressa in modo approfondito. Nella Comunicazione sull'applicazione dell'art. 81(3) TCE è sostenuto che l'esistenza di una posizione dominante è individuata tramite la valutazione del grado di potere di mercato dell'impresa. La Commissione ricorda infatti, dopo aver definito il concetto di potere di mercato 342, che: "Il grado di potere di mercato necessario di norma

342 La Commissione sostiene che: "Il potere di mercato è la capacità di mantenere i

prezzi ad un livello superiore a quello competitivo per un periodo significativo o di mantenere la produzione, in termini di quantitativi prodotti, di qualità e varietà dei prodotti o di innovazione, ad un livello inferiore a quello competitivo per un periodo significativo. (…) La creazione, il mantenimento o il rafforzamento del potere di mercato possono derivare da una restrizione della concorrenza tra le parti dell'accordo. Essi possono inoltre risultare da una restrizione della concorrenza tra una delle parti e terzi, ad esempio in quanto l'accordo determina una preclusione nei confronti dei concorrenti o in quanto ne aumenta i costi, limitando la loro capacità di competere efficacemente con le parti dell'accordo. Il potere di mercato è una questione di grado" (Comunicazione sull'applicazione dell'art. 81(3) TCE, § 26).

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

137

perché venga riscontrata un'infrazione ai sensi dell'articolo 81, paragrafo 1, nel caso di accordi restrittivi della concorrenza per effetto, è inferiore al grado di potere di mercato necessario perché venga constatata l'esistenza di una posizione dominante ai sensi dell'articolo 82" (§ 26).

33. (segue) d) Le differenti finalità del diritto antitrust CE e del diritto

antitrust degli Stati membri. L'erroneità dell'impostazione che sostiene

l'applicazione generale del diritto antitrust statale in sostituzione del

diritto antitrust europeo per tutelare il mercato interno.

Con riferimento al contenuto del diritto antitrust CE è necessario

infine valutare se le finalità di esso coincidano con quelle del diritto antitrust degli Stati membri.

A ben vedere — sul presupposto della coincidenza delle relative finaltià — è stato sostenuto che l'applicazione del diritto antitrust nazionale potrebbe tutelare il mercato comune in sostituzione del diritto antitrust CE 343. Tale impostazione presuppone, qundi, non solo il fatto che il diritto antitrust statale tuteli le stesse finalità del diritto di tutela della concorrenza CE. Inoltre, esso presuppone che le decisione ai sensi del diritto antitrust statale coincidano con le decisioni eventualmente prese sulla medesima fattispecie ai sensi del diritto antitrust CE.

Tale tesi — in considerazione del principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE (v. infra § 39) — non è corretta.

Infatti, riguardo alla coincidenza delle finalità del diritto antitrust della CE e degli Stati membri, il diritto antitrust CE svolge una funzione differente rispetto al diritto antitrust nazionale — come riconosciuto anche dalla Corte di giustizia 344 —. Il primo è finalizzato a

343 La Gran Bretagna, nella discussione dell'inizio degli anni '90 su come pervenire ad

una maggiore efficacia nell'applicazione delle norme antitrust CE, sosteneva infatti che a tal fine non era necessaria l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE, ma era sufficiente l'applicazione delle norme antitrust degli Stati membri; sulla discussione degli anni '90, v. infra; v. anche LORENZO FEDERICO PACE, L'evoluzione, cit. in 257, § 6.

344 Come ricordato dalla sent. Walt Wilhelm (Sentenza della Corte del 13 febbraio 1969, Walt Wilhelm e altri contro Bundeskartellamt, causa 14/68, Raccolta della giurisprudenza, 1969, p. 1, p. 3), il diritto antitrust nazionale e il diritto antitrust CE considerano la tutela

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

138

tutelare la concorrenza nel mercato comune secondo le finalità di cui agli artt. 2 e 3 lett. g TCE (o ex art. 3(2) Cost. eu.). Il secondo è finalizzato a perseguire gli obiettivi individuati a livello nazionale (nel caso italiano la disciplina antitrust è finalizzata agli obiettivi di cui all'art. 41 Cost. it. — cfr. art. 1(1) l n. 287/90).

Inoltre, riguardo alla coincidenza delle decisioni ai sensi del diritto antitrust della CE o degli Stati membri il diritto antitrust nazionale può pervenire — nei limiti del principio dell'effetto utile — a risultati differenti rispetto a quelli del diritto antitrust CE. In particolare, il diritto nazionale può pervenire (solamente) a soluzioni più rigide del diritto antitrust CE, salvo l'impossibilità di vietare intese esentate ex art. 81(3) TCE.

Quindi, allo scopo di tutelare il mercato comune da parte degli organi nazionali, è necessario applicare esclusivamente il diritto antitrust CE. Nel caso in cui si applicasse il diritto antitrust nazionale per tutelare il mercato comune non solo dovrebbe essere accertato che tale diritto nazionale non pervenga a soluzioni in violazione del principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE — obiettivo peraltro tenuto in considerazione dal reg. 1/03 —, ma il diritto antitrust statale dovrebbe addirittura pervenire ai medesimi risultati degli artt. 81 e 82 TCE 345. Infatti, nel caso in cui i risultati del diritto antitrust statale non coincidessero con quelli ex artt. 81 e 82 TCE, la tutela proposta dal diritto statale sarebbe diretta a finalità differenti da quelle della "tutela del mercato interno".

SOTTOSEZIONE IV

IL CAMPO DI APPLICAZIONE DEI DIVIETI ANTITRUST EUROPEI

34. Il campo di applicazione del diritto antitrust europeo. Le violazioni che

non determinano un pregiudizio sensibile sul commercio interstatale.

della concorrenza sotto differenti aspetti; V. anche sent. Sentenza della Corte del 16 luglio 1992, Banche spagnole, cit. a nota 366, § 28.

345 D'altra parte in questo consisteva la politica della Commissione nei confronti delle Autorità nazionali negli anni '90, v. infra Parte terza, Capitolo quarto.

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

139

I redattori del Trattato CEE definirono, accanto al contenuto dei divieti antitrust, il relativo campo di applicazione. Essi stabilirono l'applicabilità degli artt. 81 e 82 TCE per quelle fattispecie determinanti "pregiudizio sul commercio tra gli Stati membri".

La successiva giurisprudenza CE ha evidenziato tre distinti filoni

giurisprudenziali riguardo alle ipotesi in cui gli artt. 81 e 82 TCE "pregiudichino" il commercio tra Stati membri 346. Il primo, relativo ai casi in cui sussista "un grado di probabilità adeguato, in base ad un complesso di elementi oggettivi di diritto o di fatto", del "pregiudizio sul commercio". Il secondo, relativo all'"incidenza sulle "correnti degli scambi tra Stati membri" di comportamenti rientranti negli artt. 81 e 82 TCE. Il terzo, relativo all'"influenza, diretta o indiretta, attuale o potenziale" di tali comportamenti sulle correnti degli scambi tra Stati membri (Comunicazione sulla nozione di pregiudizio al commercio tra Stati membri, § 23 ss.).

Riguardo ai casi specifici di applicazione del concetto di "pregiudizio del commercio tra gli Stati membri", la giurisprudenza ha orientativamente distinto tre differenti categorie — come indicato anche nella Comunicazione sulla nozione di pregiudizio al commercio tra Stati membri —, e cioè: 1. accordi e abusi che riguardano o vengono attuati in più Stati membri 347; 2. accordi ed abusi relativi ad un singolo Stato membro o ad una parte di esso 348; 3. accordi ed abusi relativi ad

346 A tal proposito, il giudice nazionale deve valutare autonomamente se gli accordi

concreti pregiudicano in modo rilevante l'interscambio comunitario, Sentenza della Corte del 3 febbraio 1976, Sa Fonderies Roubaix Wattrelos contro Societe Nouvelle des Fonderies A.

Roux e Societe des Fonderies Jot, causa 63/75, Raccolta della giurisprudenza, 1976, p. 111, § 9. 347 Con riferimento a questa categoria, la giurisprudenza CE si divide in due filoni

relativi agli accordi e agli abusi di posizione dominante. In particolare la prima si suddivide ulteriormente in quattro sottocategorie, e cioè: 1. Accordi relativi ad importazioni ed esportazioni; 2. Cartelli che si estendono a più Stati membri; 3. Accordi di cooperazione orizzontale che riguardano più Stati membri; 4. Accordi verticali concernenti più Stati membri; cfr. Comunicazione sulla nozione di pregiudizio al commercio tra Stati membri.

348 Con riferimento a questa seconda categoria, la giurisprudenza CE differenzia tra accordi e abusi di posizione dominante. Il primo gruppo si suddivide ulteriormente in: 1. Cartelli relativi ad un unico Stato membro; 2. Accordi di cooperazione orizzontale relativi ad un unico Stato membro; 3. Accordi verticali relativi ad un unico Stato membro; 4. Accordi relativi ad una sola parte di uno Stato membro. A sua volta il secondo gruppo si suddivide in: 1. Abusi di posizione dominante relativi ad un unico Stato membro; 2. Abusi di posizione dominante relativi ad una sola parte di uno Stato membro; cfr. Comunicazione sulla nozione di pregiudizio al commercio tra Stati membri.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

140

importazioni ed esportazioni con imprese situate in paesi terzi o posti in essere da imprese poste in paesi terzi.

Al fine dell'applicabilità dei divieti di cui agli artt. 81 e 82 TCE, le fattispecie non solo devono "pregiudicare" il commercio tra gli Stati membri, ma il "pregiudizio" sul commercio interstatale deve essere inoltre "sensibile" 349. I comportamenti che non determinino tale "sensibile" pregiudizio non sono — salvo i casi di maggiore gravità — comportamenti in violazione del diritto antitrust CE 350.

349 Sentenza della Corte del 9 luglio 1969, Franz Voelk contro J. Vervaecke S.p.r.l., causa

5/69, Raccolta della giurisprudenza, 1969, p. 295, 302; Sentenza della Corte del 6 maggio 1971, Societe anonyme Cadillon contro Firma Hoess, Maschinenbau KG., causa 1/71, Raccolta della

giurisprudenza, 1971, p. 351, 356; Sentenza della Corte del 10 luglio 1980, Distillers Company

Limited contro Commissione delle Comunità europee, causa 30/78, Raccolta della

giurisprudenza, 1980, p. 2229, p. 3824; Sentenza del Tribunale di primo grado (seconda sezione) del 2 luglio 1992, Dansk pelsdyravlerforening contro Commissione delle comunità europee, causa T-61/89, Raccolta della giurisprudenza, 1992, p. II-1931, 1986 ss.; v. anche Comunicazione della Commissione relativa agli accordi di importanza minore che non determinano restrizioni sensibili della concorrenza ai sensi dell'articolo 81, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea (de minimis), in GUCE 22 dicembre 2001, C 368, p. 13; Sentenza della Corte dell'11 dicembre 1980, Nv l'Oreal e Sa l'Oreal contro PVBA de

Nieuwe Amck, causa 31/80, Raccolta della giurisprudenza, 1980, p. 3775, §§ 18, 28; Sentenza della Corte del 25 ottobre 1979, Greenwich film production contro Société des Auteurs,

Compositeurs et Editeurs de musique (SACEM) e Société des editions Labrador, causa 22/79, in Raccolta della giurisprudenza, 1979, p. 3275, p. 3289.

350 Il TCE, oltre a regolare il campo di applicazione del diritto antitrust all'interno del territorio della CE/UE, definisce anche il campo di applicazione degli artt. 81 e 82 TCE su territori non parte della CE (la cd. applicazione extraterritoriale del diritto antitrust CE). Sul punto, v. LAURA FALCIONI, Ambito di applicazione, in GIAN LUIGI TOSATO - LEONARDO

BELLODI (A CURA DI), Il nuovo Diritto europeo della concorrenza - aspetti procedurali, Milano, Giuffrè, 2004, p. 49, dove ampia giurisprudenza; v. anche PAOLO PICONE, L'applicazione

extraterritoriale delle regole sulla concorrenza e il diritto internazionale, in CAPOTORTI - DI

SABATO -PATRONI GRIFFI - PICONE - UBERTAZZI, Il fenomeno delle concentrazioni di

imprese nel diritto interno e internazionale, Padova, CEDAM,1989, p. 81. I limiti dell'applicazione extraterritoriale — costituiti principalmente dall'inefficacia

dell'applicazione del diritto antitrust sul territorio di un altro Stato in assenza della cooperazione internazionale — ha determinato la ricerca di nuovi mezzi di tutela internazionale. In particolare nell'ultimo quindicennio — in coincidenza con l'ampliamento del "campo di azione del capitale" — vi è stata la nascita dei cd. accordi bilaterali di cooperazione antitrust.

Recentemente, dopo lunghe discussioni, è sorta un'ulteriore modalità di cooperazione antitrust internazionale, e cioè la nascita di "gruppi di discussione" tra Autorità antitrust di vari Stati; "gruppi" aventi come finalità la valutazione di problemi generali della concorrenza tra più Stati. Tale modalità si affianca, ma non sostituisce, il fenomeno degli accordi bilaterali in materia di cooperazione antitrust. A tal proposito nel 2003 è stato istituito l'International antitrust network, organizzazione a cui partecipa la stessa CE; v. MARIO MONTI, La dimensione internazionale della politica di concorrenza europea, in Mercato,

Concorrenza e Regole, 2001, p. 423; v. anche FRANCESCO CANINO, La cooperazione

LA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

141

35. Il campo di applicazione del diritto antitrust europeo e la relativa

funzione: l'irragionevolezza della richiesta di riduzione del campo dei

divieti antitrust europei.

L'ampiezza del campo di applicazione del diritto antitrust CE

definita dalla prassi e dalla giurisprudenza comunitaria è stata criticata, sottintendendo quindi la necessità di una relativa limitazione 351. Per valutare la correttezza di questa critica è necessario stabilire da una parte se la riduzione del campo di applicazione del diritto antitrust CE possa essere una conseguenza ragionevole della "maturazione" del mercato comune; dall'altra, se sia possibile sostenere che l'applicazione del diritto antitrust statale sia in grado di sostituire l'applicazione del diritto antitrust CE per tutelare il mercato comune.

Avendo già risposto, supra § 33, alla seconda questione (negando la coincidenza delle finalità del diritto antitrust della CE e degli Stati membri), passiamo a valutare la prima questione. A ben vedere, risulta irragionevole che con l'evoluzione del "mercato comune" il campo di applicazione del diritto antitrust CE sia ridotto piuttosto che ampliato. Infatti, il campo di applicazione del diritto antitrust CE è determinato dalla idoneità delle singole fattispecie a "pregiudicare il commercio tra Stati membri". È al contrario ragionevole ritenere che, con il tempo, siffatte ipotesi siano più facilmente individuabili in conseguenza dell'eliminazione di barriere normative statali e della crescita della dimensione delle singole imprese attive in Europa. Quindi l'ampiezza del campo di applicazione del diritto antitrust CE dovrebbe essersi ampliato con il passare del tempo, e certamente non ridotto.

internazionale, in GIAN LUIGI TOSATO - LEONARDO BELLODI (A CURA DI), Il nuovo Diritto

europeo della concorrenza - aspetti procedurali, Milano, Giuffrè, 2004, p. 255. 351 V. la posizione della Gran Bretagna al § 33.

CAPITOLO II

IL RAPPORTO TRA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA E NORMATIVE DEGLI STATI MEMBRI

SEZIONE I

LA RIPARTIZIONE DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA TRA

LIVELLO COMUNITARIO E LIVELLO DEGLI STATI MEMBRI. I LIMITI DI

APPLICABILITÀ DELL'ART. 5 TCE. I DUBBI SOLLEVATI DALL'ART. 13(1) COST.

EU..

SOMMARIO: 36. Gli aspetti "verticali" della competenza antitrust europea: introduzione. La natura della competenza trasferita dagli Stati membri alla CE in materia antitrust: il dritto antitrust europeo quale competenza normativa ex art. 5(1) TCE ed ex art. 11(2) Cost. eu.. — 37. I motivi giuridici e storici per la non applicazione del principio di sussidiarietà alla competenza antitrust europea. Il pericolo di fraintendimento conseguente all'art. 13(1) Cost. eu.. Il differente problema dell'applicazione decentrata dei divieti antitrust europei. Il differente problema dell'applicazione decentrata dei divieti antitrust europei. — 38. L'applicabilità del principio di proporzionalità alla competenza antitrust europea. La distinzione tra il principio ex art. 5(3) TCE e il principio generale di proporzionalità.

36. Gli aspetti "verticali" della competenza antitrust europea: introduzione.

La natura della competenza trasferita dagli Stati membri alla CE in

materia antitrust: il dritto antitrust europeo quale competenza

normativa ex art. 5(1) TCE ed ex art. 11(2) Cost. eu..

Dopo aver definito la competenza e i relativi poteri conferiti dagli

Stati membri alla Comunità in materia di tutela della concorrenza,

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

144

passiamo ad affrontare gli aspetti "verticali" della "competenza" antitrust: in particolare, in primo luogo, la ripartizione della competenza antitrust CE tra livello comunitario e livello degli Stati membri e, in

secondo luogo, i rapporti tra diritto antitrust CE e normative nazionali. Con riferimento al primo aspetto, valuteremo tre differenti

questioni: a) se la disciplina antitrust CE ricada nel concetto di "competenze" di cui all'art. 5(1) TCE (cfr. art. 11(2) Cost. eu.); b) se a tale disciplina sia applicabile il principio di sussidiarietà (art. 5(2) TCE (cfr. art. 11(3) Cost. eu.); c) se a tale disciplina sia applicabile il principio di proporzionalità (art. 5(3) TCE — cfr. art. 11(4) Cost. eu.).

Riguardo alla prima questione sub a), il Trattato di Maastricht (1992) — com'è noto — ha inserito nel TCE l'art. 5 quale norma di disciplina dell'esercizio delle competenze normative CE, norma ripresa all'art. 11 Cost. eu.. In particolare tale norma stabilisce: 1. il principio delle competenze di attribuzione; 2. il principio di sussidiarietà; 3. il principio di proporzionalità. Per valutare se l'art. 5 TCE sia applicabile alla competenza antitrust CE — e con quali limiti — è quindi necessario in

primo luogo valutare se essa costituisca una competenza normativa ai sensi dell'art. 5(1) TCE 352.

La risposta è positiva (come confermato dall'art. 13(1) lett. b Cost. eu., il quale elenca la "definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno" tra le competenze" dell'UE). Le "regole [di concorrenza] applicabili alle imprese" — che costituiscono parte integrante della "regole di concorrenza" (Parte III, Titolo VI, Capo I TCE; — ma anche Titolo III, Capo I, Sez. V Cost. eu.) — rappresentano una "competenza" che si sostanzia in una serie di poteri attribuiti dagli Stati membri alla Comunità, poteri antitrust che determinano dei corrispondenti limiti — che saranno analizzati infra § 39 ss. — per le competenze nazionali 353.

352 In particolare, se essa, cioè, rientri nel concetto di "competenze che (…) sono

conferite" dagli Stati membri alla Comunità (art. 5(1) TCE), e di "competenze che (...) sono attribuite [all'Unione] dagli Stati membri nella Costituzione per realizzare gli obiettivi da questa stabiliti" (art. 11(2) Cost. eu.).

353 V. in modo differente ERNST STEINDORFF, The Provisions Against Restraints of

Competition in the European Community Treaties And The National Law, in Kartelle und

Monopole im Modernen Recht, Karlsruhe, Verlag C.F., Muller, Vol. I, 1961, p. 191.

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

145

In particolare, la "competenza" antitrust europea è costituita da "regole" dirette alle imprese (artt. 81 e 82 TCE — artt. 161 e 162 Cost. eu.) la cui concretizzazione è rimessa, in parte, ai regolamenti e alle direttive ex art. 83 TCE (così come ex art. 163 Cost. eu.) e, in parte, alle norme degli artt. 84 e 85 TCE (e degli artt. 164 e 165 Cost. eu.).

37. I motivi giuridici e storici per la non applicazione del principio di

sussidiarietà alla competenza antitrust europea. Il pericolo di

fraintendimento conseguente all'art. 13(1) Cost. eu.. Il differente

problema dell'applicazione decentrata dei divieti antitrust europei.

Accertata la natura di "competenza ", ai sensi dell'art. 5(1) TCE,

degli artt. 81 — 85 TCE, passiamo a valutare se all'"esercizio" di tale competenza sia applicabile il principio di sussidiarietà (art. 5(2) TCE).

Com'è noto, la previsione dell'art. 5(2) TCE costituisce un effetto della "crescita" delle competenze normative della CE iniziata negli anni '70 354, e delle reazioni degli anni '80 degli Stati membri — in particolare del tedesco Bundesverfassungsgericht 355 —, finalizzate a porre termine al surrettizio trasferimento di competenze, senza seguire quindi le procedure statali costituzionalmente previste 356.

In particolare, il principio di sussidiarietà prevede che "nei settori che

non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario" (art. 5(2) TCE) 357.

354 V. ANTONIO TIZZANO, Lo sviluppo delle competenze materiali delle Comunità

europee, in Rivista di diritto europeo, 1981, p. 139. 355 Sul punto v. CHRISTIAN CALLIES, Art. 5 EGV, in CHRISTIAN CALLIESS - MATTHIAS

RUFFERT - HERMANN-JOSEF BLANKE, Kommentar des Vertrages über die Europäische Union

und des Vertrages zur Gründung der Europäischen Gemeinschaft EUV/EGV, 2ed., Neuwied, Luchterhand, 2002, 382.

356 V. sul punto, JOSEPH H. H. WEILER, The Transformation of Europe, in Yale Law

Journal, 1991, p. 243. 357 Il Trattato costituzionale recita: "In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori

che non sono di sua competenza esclusiva, l'Unione interviene soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente raggiunti dagli Stati membri, sia a livello centrale sia a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

146

Tale principio si applica, quindi, solo in presenza di una competenza

normativa ripartita che permetta agli Stati membri l'attuazione della stessa

a livello nazionale 358. Riguardo al quesito se la disciplina antitrust costituisca una

competenza esclusiva o ripartita, la Commissione e parte della dottrina hanno sostenuto che la competenza antitrust CE costituirebbe una competenza esclusiva (anche se poi la stessa Commissione contraddittoriamente ha richiamato il principio di sussidiarietà per l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE) 359.

Quindi, ai sensi di tale impostazione, il principio di sussidiarietà non potrebbe essere applicato a tale materia in quanto essa non sarebbe

una competenza "ripartita" (art. 5(2) TCE) 360. Tale posizione, che contrasta con quanto contenuto al considerando

34 reg. 1/03 361, non è però soddisfacente. portata o degli effetti dell'azione in questione, essere meglio raggiunti a livello di Unione. Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di sussidiarietà conformemente al Protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. I Parlamenti nazionali vigilano sul rispetto di tale principio secondo la procedura prevista in detto protocollo", art. 11(3) Cost. eu..

Inoltre, il Trattato costituzionale recita: "In virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell'azione dell'Unione non vanno al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi della Costituzione. Le istituzioni applicano il principio di proporzionalità conformemente al protocollo di cui al paragrafo 3" (art. 11(4) Cost. eu.).

358 In questo senso l'esempio tipico di competenza a cui è applicabile il principio di sussidiarietà, è la competenza ambientale; v. infra.

359 V. Commissione CE, Il principio di sussidiarietà Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo, SEC(92) 1990 def, p. 7. E questo non ostante il fatto che la Commissione stessa, in altri casi, ha sostenuto l'applicabilità del principio di sussidiarietà agli artt. 81 e 82 TCE; cfr. Sentenza del Tribunale di primo grado (seconda sezione) del 24 gennaio 1995, Bureau Europeen des Medias de l'industrie Musicale (BEMIM) contro

Commissione delle Comunità europee, causa T-114/92, Raccolta della giurisprudenza,1995, p. II - 147.

360 Una seconda scuola di pensiero (NICOLA CATALANO, Relazione tra le regole di concorrenza stabilite dal Trattato istitutivo della C.E.E. e le legislazioni degli Stati membri, in Rivista di Diritto Europeo, 1962, p. 335) sostiene che le norme antitrust debbano sempre prevalere sul diritto antitrust nazionale. Questo sarebbe giustificato dal fatto che alla Comunità è stata trasferita l'intera competenza degli Stati membri per la tutela della concorrenza nel mercato comune. In particolare, Catalano sosteneva che non potevano essere vietate o sanzionate a livello degli Stati membri le intese e abusi che non erano stati vietati dal diritto antitrust CE o a cui non era applicabile l'art. 81(3) TCE. È interessante notare che nei documenti relativi alla redazione del TCE è richiamato un rappresentate del Governo italiano, dal cognome Catalano, il quale già in tale sede sosteneva che gli Stati membri avrebbero potuto vietare più di quanto previsto dalle norme antitrust comunitarie; cfr. REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, 229, documento 73.

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

147

Infatti, com'è noto, la natura esclusiva di una competenza CE ha quale conseguenza l'impossibilità per gli Stati membri di disciplinare la medesima materia a livello nazionale. L'emanazione da parte degli Stati membri di normative rientranti in una competenza esclusiva determinerebbe, infatti, l'illegittimità della normativa nazionale per violazione del diritto CE (questo è il caso, ad esempio, della competenza commerciale comune e della politica comune della pesca; competenze anch'esse riconosciute dal Trattato costituzionale come competenze esclusive, alla pari — con le differenze di cui infra in questo §— della "definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno", cfr. art. 13(1) lett. b Cost. eu.). Al contrario, è constatazione evidente che gli Stati membri non solo hanno adottato normative antitrust nazionali, ma che la stessa Corte di giustizia nella sent. Walt Wilhelm ne ha riconosciuto la legittimità 362.

Accertato che la competenza antitrust CE non costituisce una competenza esclusiva (ma essa non costituisce parimenti una competenza ripartiva, v. infra in questo §), si pone l'(apparente) contrasto con quanto disciplinato nel Trattato costituzionale. L'art. 13(1) lett. b Cost. eu. elenca, infatti, tra le competenze esclusive la "definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno" 363.

361 Infatti, tale considerando, sostenendo l'applicazione del principio di sussidiarietà alla competenza antitrust CE (in particolare il regolamento supererebbe il test della sussidiarietà) presuppone che tale competenza sia ripartita. Il considerando 34 reg. 1/03 recita: " (...) Conformemente ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità enunciati all'articolo 5 del Trattato, il presente regolamento non va al di là di quanto necessario per raggiungere il proprio obiettivo, che è quello di permettere un'applicazione efficace delle regole di concorrenza comunitarie".

362 La Corte di giustizia, infatti, nella sent. Walt Wilhelm ha sostenuto che il diritto antitrust degli Stati membri può essere applicato, nel rispetto della tutela dell'effetto utile delle norme antitrust CE, parallelamente al diritto antitrust CE, senza che questo determini l'illegittimità della relativa normativa nazionale; Sentenza della Corte del 13 febbraio 1969, Walt Wilhelm e altri. contro Bundeskartellamt, causa 14/68, Raccolta della giurisprudenza, 1969, p. 1.

363 Il Trattato costituzionale recita: "L'Unione ha competenza esclusiva nei seguenti settori: a) unione doganale; b) definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno; c) politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l'euro; d) conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca; e) politica commerciale comune" (art. 13(1) Cost. eu.).

Il Trattato costituzionale recita: "L'Unione ha inoltre competenza esclusiva per la conclusione di accordi internazionali allorché tale conclusione è prevista in un atto legislativo dell'Unione, o è necessaria per consentirle di esercitare le sue competenze a

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

148

Una più approfondita riflessione permette di chiarire che il Trattato non configura la competenza in materia di concorrenza (e quindi anche la competenza antitrust) al pari, ad esempio, della "conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca"; della "politica commerciale comune" (art. 13(1) Cost. eu.).

Infatti, se così fosse — così come supra ricordato per il TCE — al momento di entrata in vigore del Trattato costituzionale tutte le normative antitrust statali — limitando qui l'attenzione alla "competenza antitrust" — diverrebbero, ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 Cost. eu. 364 e 12(1) Cost. eu. 365, normative in violazione del diritto UE.

livello interno o nella misura in cui può incidere su norme comuni o alterarne la portata" (art. 13(2) Cost. eu.).

Riguardo alle competenze concorrenti, il Trattato costituzionale recita: "L'Unione ha una competenza concorrente con quella degli Stati membri quando la Costituzione le attribuisce una competenza che non rientra nei settori di cui agli articoli I - 12 e I - 16" (art. 14(1) Cost. eu.). Inoltre: "Le competenze concorrenti tra l'Unione e gli Stati membri si applicano ai seguenti settori principali: a) mercato interno, b) politica sociale, per quanto riguarda gli aspetti definiti nella parte III, c) coesione economica, sociale e territoriale, d) agricoltura e pesca, tranne la conservazione delle risorse biologiche del mare, e) ambiente, f) protezione dei consumatori, g) trasporti, h) reti transeuropee, i) energia, j) spazio di libertà, sicurezza e giustizia, k) problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica, per quanto riguarda gli aspetti definiti nella Parte III" (art. 14(2) Cost. eu.). Il Trattato costituzionale prosegue: "Nei settori della ricerca, dello sviluppo tecnologico e dello spazio, l'Unione ha competenza per condurre azioni, segnatamente la definizione e l'attuazione di programmi, senza che l'esercizio di tale competenza possa avere per effetto di impedire agli Stati membri di esercitare la loro" (art. 14(3) Cost. eu.). Infine il Trattato costituzionale recita: "Nei settori della cooperazione allo sviluppo e dell'aiuto umanitario, l'Unione ha competenza per avviare azioni e condurre una politica comune, senza che l'esercizio di tale competenza possa avere per effetto di impedire agli Stati membri di esercitare la loro" (art. 14(4) Cost. eu.).

364 L'art. 6 Cost. eu. (rubricato come "Diritto dell'Unione") recita: "La Costituzione e il diritto adottato dalle istituzioni dell'Unione nell'esercizio delle competenze a questa attribuite prevalgono sul diritto degli Stati membri".

365 Infatti, il Trattato costituzionale recita: "Quando la Costituzione attribuisce all'Unione una competenza esclusiva in un determinato settore, solo l'Unione può legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti. Gli Stati membri possono farlo autonomamente solo

se autorizzati dall'Unione oppure per attuare gli atti dell'Unione" (corsivo aggiunto - art. 12(1) Cost. eu.), art. 12(1) Cost. eu..

Inoltre, il Trattato costituzionale, con riferimento alle competenze ripartite, recita: "Quando la Costituzione attribuisce all'Unione una competenza concorrente con quella degli Stati membri in un determinato settore, l'Unione e gli Stati membri possono legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti in tale settore. Gli Stati membri esercitano la loro

competenza nella misura in cui l'Unione non ha esercitato la propria o ha deciso di cessare di

esercitarla" (corsivo aggiunto), art. 12(2) Cost. eu..

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

149

Differentemente, però, l'intenzione del Trattato costituzionale non è quella di escludere la competenza statale per l'emanazione di normative a tutela della concorrenza. Non è un caso che l'art 163 Cost. eu. mantenga ancora — al pari dell'art. 83 TCE — tra i motivi per i quali sono emanati i regolamenti "per l'applicazione dei principi contemplati dagli articoli 161 e 162" Cost. eu., la definizione dei "rapporti fra le legislazioni nazionali da una parte e la presente sezione e i regolamenti europei adottati in applicazione del presente articolo"‚ dall'altra (art. 163(2) lett. e Cost. eu.). L'art. 163 Cost. eu. presuppone, quindi, la coesistenza degli artt. 161 e 162 Cost. eu. con (tra le altre) le normative antitrust nazionali.

A ben vedere, l'art. 13(1) Cost. eu. indica come "competenza esclusiva" solamente la "definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno". Tale riferimento svolge la sola funzione di chiarire che le "regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno" sono differenti, ed hanno una funzione differente — tipica dell'UE — rispetto alle norme di concorrenza (e tra queste, quelle antitrust) nazionali: in questo senso esse possono essere emanate esclusivamente dall'Unione europea. Ma questo, più che essere una novità, è un principio espresso dalla stessa Corte di giustizia già nel 1992 nella sentenza Banche spagnole 366 (sul punto v. supra § 33).

Accertato, quindi, che la competenza antitrust non costituisce una competenza esclusiva — neanche per il Trattato costituzionale — e tornando all'applicabilità del principio di sussidiarietà, è necessario ricordare che parte della dottrina ha sostenuto l'applicabilità del principio ex art. 5(2) TCE agli artt. 81 e 82 TCE: in questo senso la competenza antitrust costituirebbe, quindi, una competenza ripartita 367.

A ben vedere, però, nello specifico caso degli artt. 81 e 82 TCE il principio di sussidiarietà non è tout court applicabile 368. Infatti, gli artt.

366 Sentenza della Corte del 16 luglio 1992, Direccion General de Defensa de la

Competencia contro Asociacion Espanola de Banca privada e Altri (Banche spagnole), causa C-67/91, Raccolta della giurisprudenza, 1992, p. I - 4785.

367 CHRISTIAN H.A. JUNG, Subsidiarität im Recht der Wettbewerbsbeschränkungen, Heidelberg, C.F. Mueller, 1995; LUCIANO DI VIA, L'applicazione del principio di sussidiarietà

nel diritto della concorrenza italiano e comunitario, in Contratto e Impresa - Europa, 1996, p. 71. 368 È certo possibile sostenere l'applicazione del "principio di sussidiarietà" con

riferimento al diritto antitrust CE ma solo intendendo tale principio — come compiuto

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

150

81 e 82 TCE sono costituiti da divieti aventi "effetto diretto" (quindi norme chiare, non condizionate e determinate nel contenuto, salvo l'art. 81(3) TCE, v. infra § 150) 369. Con riferimento alla "competenza" antitrust CE (rectius agli artt. 81 e 82 TCE) non sussiste quindi la possibilità di valutare, ai sensi del principio di sussidiarietà, se sia l'ordinamento CE o quello degli Stati membri che abbiano "competenza"

a disciplinare tale materia (rectius tali divieti), né tanto meno quale dei due

livelli debba applicarli 370. Per riassumere, la "competenza" CE in materia antitrust non

costituisce, quindi, né una competenza normativa esclusiva della Comunità (se non nei limiti della disciplina emanata ex art. 83 TCE e, per il Trattato costituzionale, ex art. 163 Cost. eu.), né tanto meno una competenza ripartita tra Comunità e Stati membri e che come tale possa essere esercitata alternativamente tra i due livelli, ai sensi dell'art. 5(2) TCE o dell'art. 11(3) Cost. eu.. La competenza antitrust CE si sostanzia (così come ancora nel Trattato costituzionale) 371 in divieti

alcune volte — in modo "non tecnico", ma come principio di divisione del carico di lavoro tra Commissione e Autorità nazionali; v. LEON BRITTAN, The Future of Competition Policy, in European Business Law Review, 1993, p. 27, 27.

369 La soluzione dei rapporti tra diritto antitrust CE e normative antitrust degli Stati membri proposta da Balladore Pallieri (e cioè che gli Stati membri possano prevedere normative che siano più restrittive della disciplina antitrust CE rispetto a fattispecie rientranti nel campo di applicazione degli artt. 81 e 82 TCE) era così motivata: "Se lo Stato ha assunto impegni internazionali in un determinato ambito, non perde la potestà di disporre della medesima materia fuori di quell'ambito o, come avviene di solito, di legiferare in modo generale per quella materia, restando inteso che tale legislazione sarà derogata nell'ambito particolare in cui si applicano le norme internazionali e per quel tanto in cui la deroga è necessaria onde evitare il contrasto con queste" (GIORGIO BALLADORE

PALLIERI, Il mercato comune europeo, cit. a nota 319). Sui limiti della impostazione "internazionalistica" del Balladore Pallieri — e che sottovaluta le caratteristiche della Comunità — v. infra.

370 In questo senso v. Calliess, il quale esclude genericamente l'applicabilità del principio di sussidiarietà al diritto antitrust CE, non tanto per la struttura delle norme, ma perché presentano " - ähnlich wie die Grundfreiheiten - eine primärrechtliche und damit originäre Kontrollkompetenz der Gemeinschaft (...), auf die der für Legislativkompetenzen gedachte Art. 5 bereits sachlogisch keine Anwendung finden kann"; CHRISTIAN CALLIES, Art. 5 EGV, cit. a nota 355, p. 390, n. 27.

371 L' attribuzione "alla Comunità, effettuata dagli Stati membri, dei diritti [rectius in divieti aventi effetto diretto indirizzati ai singoli (eccetto l'art. 81(3) TCE)] e poteri contemplati dalle disposizioni del Trattato, implica infatti una limitazione definitiva dei loro poteri sovrani, sulla quale non può prevalere il richiamo a disposizioni di diritto interno di qualsivoglia natura", Sentenza della Corte del 13 luglio 1972, Commissione delle

Comunità europee contro Repubblica italiana, causa 48/71, Raccolta della giurisprudenza, 1972, p. 529, § 9.

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

151

aventi effetto diretto (eccetto l'art. 81(3) TCE) indirizzati ai singoli, la cui esecuzione è in parte rimessa alle direttive e regolamenti ex art. 83 TCE (e, nel Trattato costituzionale, ex art. 163 Cost. eu.). Da ciò consegue che gli Stati membri mantengono — parallelamente alla CE — la competenza ad emanare normative che abbiano ad oggetto la disciplina delle fattispecie previste dagli artt. 81 e 82 TCE; normative le quali — in quanto possono pervenire a conclusioni distinte nei limiti del principio dell'effetto utile, v. infra § 39 — possono tutelare finalità differenti 372 (v. supra § 33).

La non applicabilità dell'art. 5(2) TCE alla competenza antitrust CE in considerazione della "struttura" di tali divieti ha inoltre una giustificazione storica. La competenza antitrust CE — come pure i divieti relativi alle quattro libertà fondamentali — sono infatti "competenze" previste direttamente dal TCEE del 1957. Tali competenze — in quanto costituiti da puntuali divieti aventi "effetto diretto" nei confronti degli Stati membri o dei privati (divieti i quali eventualmente avevano necessità di una disciplina di esecuzione, come previsto dall'art. 83 TCE) — non richiedevano l'applicazione del principio di sussidiarietà previsto solo successivamente nel 1993. Esse — in quanto formulate come divieti aventi "effetto diretto" nei confronti dei privati (salvo il caso dell'art. 81(3) TCE) — costituivano (e costituiscono) "i puntelli" attraverso i quali garantire il mercato comune, v. supra § 16.

Diversamente, il principio di sussidiarietà — come già indicato — è stato emanato in un momento storicamente successivo alla redazione nel 1957 del Trattato di Roma; ed, in particolare, nel momento in cui sono state trasferite alla CE competenze normative non costituite da

divieti aventi "effetto diretto". Tali competenze (come la competenza in materia di ambiente o della salute) si caratterizzano per il fatto di prevedere una finalità più o meno definita ma che richiede necessariamente una successiva specificazione e attuazione normativa.

Gli Stati membri non possono quindi esercitare la "competenza" antitrust CE in applicazione del principio di sussidiarietà, né il principio di sussidiarietà è stato disciplinato per essere applicato ad essi.

372 In questo senso, v. la Sentenza della Corte del 16 luglio 1992, Banche spagnole, cit. a

nota 366.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

152

In presenza di una simile "competenza" normativa (cioè una competenza costituita sostanzialmente da divieti aventi "effetto diretto") il problema dell'applicazione della competenza antitrust CE tra livello CE e

livello degli Stati membri si trasforma nella decisione dell'organo che deve applicare i divieti degli artt. 81 e 82 TCE 373; e cioè se sia la Commissione o le Autorità nazionali l'organo che deve intervenire per applicare gli artt. 81 e 82 TCE ad una specifica fattispecie. Però tale aspetto (collegato strettamente al problema dell'applicazione decentrata del diritto antitrust CE da parte degli Stati membri) riguarda — in modo sostanzialmente differente rispetto al principio di sussidiarietà — l'applicazione decentrata delle medesime norme da parte di organi decentrati (v. infra § 79 ss.), aspetto che sarà trattato nella terza parte del presente studio relativa al sistema di applicazione del diritto antitrust CE.

38. L'applicabilità del principio di proporzionalità alla competenza

antitrust europea. La distinzione tra il principio ex art. 5(3) TCE e il

principio generale di proporzionalità.

Passiamo ora a valutare l'applicazione del principio di

proporzionalità (art. 5(3) TCE) alla competenza antitrust CE. Com'è noto tale norma prevede che "l'azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente

Trattato" (corsivo aggiunto). Ebbene, per quanto interessa in questa sede, il principio di

proporzionalità ex art. 5(3) TCE è applicabile alla "competenza"

373 Non si può non notare che i due princìpi citati sono tra loro confliggenti; infatti il

principio di sussidiarietà si applica solo "nei settori che non sono di (...) esclusiva competenza"

della Comunità (art. 5(2) TCE) e attribuisce agli Stati membri una discrezionalità nell'esercizio della competenza normativa; il principio di decentramento, invece, si applica con riferimento all'applicazione di specifiche norme, tra le quali sono comprese, per l'appunto, le norme di tutela antitrust (sul punto per la dottrina più risalente v. NICOLA. CATALANO, Relazione tra le regole di concorrenza, cit., p. 335 ss, v. anche ANTONIO

TIZZANO, L'applicazione decentrata degli articoli 85 e 86 del Trattato CE in Italia. La tutela

della concorrenza: regole, istituzioni e rapporti internazionali, Roma, Autorità garante della concorrenza e del mercato (Temi e problemi - edizione speciale), 1996, p. 95, p. 98 ss.); egli correttamente sostiene che quello a cui la Commissione si riferisce è l'applicazione decentrata del diritto antitrust CE.

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

153

antitrust CE e, in particolare, ai regolamenti e direttive ex art. 83 TCE (provvedimenti che stabiliscono "i poteri del sistema antitrust CE" 374).

Il principio dell'art. 5(3) TCE non deve essere però confuso con l'"omonimo" principio di proporzionalità inteso quale principio generale

dell'ordinamento CE. Questo secondo principio si applica, infatti, non all'esercizio delle competenze normative CE, ex art. 5 TCE, ma ai singoli provvedimenti di attuazione della competenza normativa CE, cioè — ad esempio — alle decisioni della Commissione in materia antitrust 375.

374 Con riferimento a questo aspetto, v. infra riguardo all'illegittimità dell'art. 3(2) reg.

1/03 quale norma emanata ex art. 83(3) lett. e TCE in violazione del principio di proporzionalità, v. infra § 45.

375 Tale distinzione è facilmente comprensibile riflettendo sul fatto che l'eventuale eliminazione dell'art. 5 TCE dal Trattato di Roma avrebbe eliminato, sì, il principio di proporzionalità inteso come principio di esercizio delle competenze normative; tale (ipotetica) modifica non avrebbe eliminato però il principio di proporzionalità quale principio generale dell'ordinamento CE. Con riferimento al principio di proporzionalità come principio generale dell'ordinamento CE, il Tribunale di primo grado ha sostenuto: "Va rilevato come il suddetto mezzo si confonda, in realtà, con quello relativo alla violazione dell'art. 3, n. 1, del regolamento n. 17, in precedenza esaminato. Infatti, il principio di proporzionalità viene implicitamente sottinteso da questa disposizione, la quale autorizza la Commissione ad imporre obblighi alle imprese interessate al solo fine di far cessare l'infrazione. Orbene, come giustamente sostiene la Commissione, il principio di proporzionalità va inteso, nel caso di specie, nel senso che gli oneri imposti alle imprese per porre fine all' infrazione alle norme sulla concorrenza non devono eccedere i limiti di quanto è appropriato e necessario per conseguire lo scopo prefisso, vale a dire il ripristino della situazione conforme al diritto in relazione alle norme che nella fattispecie sono state violate (sul principio di proporzionalità, v. in particolare sentenza 24 settembre 1985, Man (Sugar), punto 20 della motivazione, causa 181/84, Racc. pag. 2889)", Sentenza del Tribunale di primo grado (seconda sezione) del 10 luglio 1991, Independent Television

Publications Ltd contro Commissione delle Comunità europee, causa T-76/89, Raccolta della

giurisprudenza, 1991 p. II - 575, § 80.

SEZIONE II

LE NORME CHE REGOLANO I RAPPORTI TRA DIRITTO ANTITRUST

EUROPEO E NORMATIVE NAZIONALI

SOMMARIO: — Sottosezione I — Il principio generale che regola il rapporto tra diritto antitrust europeo e normative nazionali. — 39. Il rapporto tra competenza antitrust europea e normative nazionali. Il principio di soluzione dei conflitti tra diritto antitrust europeo e normative nazionali: il principio dell'effetto utile del diritto antitrust europeo. — 40. L'erroneità della tesi che distingue due filoni giurisprudenziali CE: il primo relativo ai rapporti tra diritto antitrust CE e diritto antitrust degli Stati membri; il secondo relativo ai rapporti tra diritto antitrust CE e norme nazionali relative alle fattispecie disciplinate dagli artt. 81 e 82 TCE. — Sottosezione II — La disciplina emanata ex art. 83(2) lett. e

TCE e il rapporto tra il diritto antitrust europeo e le normative nazionali. — 41. Il rapporto tra il diritto antitrust europeo e le normative nazionali così come regolato dal sistema antitrust europeo (artt. 84 e 85 TCE - artt. 164 e 165 Cost. eu.) e dal sistema antitrust ex reg. 17/62. — 42. L'art. 3 della proposta di regolamento del 2000 e la previsione della competenza esclusiva del diritto antitrust europeo quale naturale evoluzione della prassi della Commissione. I casi Airtours e Carnival e il ruolo di "contropotere" delle Autorità nazionali. — 43. L'art. 3 reg. 1/03 e il rapporto tra il diritto antitrust europeo e le normative nazionali in materia di concorrenza. L'art. 3(1) reg. 1/03 e la modifica della proposta di regolamento del 2000. La funzione dell'art. 3(1) reg. 1/03. — 44. L'art. 3(2) reg. 1/03 e il rapporto tra diritto antitrust europeo e normative a tutela della concorrenza degli Stati membri. La differente finalità dell'art. 3(1) e dell'art. 3(2) reg. 1/03. Le motivazioni addotte dalla Commissione e dal Consiglio per l'emanazione dell'art. 3(2) reg. 1/03. L'(erronea) tesi della Commissione riguardo alla "competenza" antitrust europea quale "competenza esclusiva". — 45. L'illegittimità dell'art. 3(2) reg. 1/03 per violazione del principio di proporzionalità: a) l'inidoneità dell'art. 3(2) reg. 1/03 al raggiungimento degli obiettivi dell'art. 3(1) lett. g TCE. — 46. (segue) b) l'illegittimità dell'art. 3(2) reg. 1/03 in quanto norma che eccede quanto è necessario al raggiungimento delle finalità dell'art. 3(1) lett. g TCE. — 47. La non irrilevanza della scelta di applicare ad una fattispecie il diritto antitrust europeo o il diritto antitrust statale: a) le finalità differenti; b) il federalismo antitrust europeo; c) il differente rapporto tra il diritto d'autore e il diritto antitrust europeo e statale: la situazione italiana. — 48. L'art. 3(3) reg. 1/03: a) il rapporto tra diritto antitrust europeo e le legislazioni nazionali in materia di fusioni. — 49. (segue) b) il rapporto tra diritto antitrust europeo e normative che perseguono "un obiettivo differente da quello degli

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

155

artt. 81 e 82 TCE". L'applicazione parallela del diritto antitrust europeo e di norme nazionali in materia di regolamentazione della concorrenza. — Sottosezione III — La

vincolatività per i singoli di misure nazionali in violazione del principio dell'effetto utile del

diritto antitrust europeo e dell'art. 3(2) reg. 1/03. — 50. La vincolatività delle misure nazionali in violazione del principio dell'effetto utile del diritto antitrust europeo e dell' art. 3(2) reg. 1/03. I procedimenti previsti dal reg. 1/03 finalizzati ad evitare decisioni nazionali in violazione del diritto europeo (rinvio).

SOTTOSEZIONE I

IL PRINCIPIO GENERALE CHE REGOLA IL RAPPORTO TRA DIRITTO

ANTITRUST EUROPEO E NORMATIVE NAZIONALI

39. Il rapporto tra competenza antitrust europea e normative nazionali. Il

principio di soluzione dei conflitti tra diritto antitrust europeo e

normative nazionali: il principio dell'effetto utile del diritto antitrust europeo.

Passiamo ora al secondo aspetto dell'"rapporto verticale" della

competenza antitrust CE — dopo aver affrontato quello della ripartizione della "competenza" antitrust tra ordinamento CE e ordinamenti nazionali —; cioè passiamo a valutare il rapporto (e la soluzione degli eventuali conflitti) tra competenza antitrust CE e normative nazionali.

Infatti, non essendo la competenza antitrust CE "una competenza" esclusiva — ma neanche una competenza ripartita (v. supra § 37) — da una parte essa non impedisce agli Stati membri di emanare normative antitrust (o normative che si applichino alle fattispecie di cui agli artt. 81 e 82 TCE, v. infra § 41) e, dall'altra non è da escludere, in assenza di tale competenza esclusiva, il conflitto tra il diritto antitrust CE e le regolamentazioni statali.

Ai sensi del diritto CE, due sono i criteri in base ai quali risolvere i conflitti tra diritto antitrust CE e normative nazionali: in primo luogo, ai sensi dei principi generali del diritto CE; in secondo luogo, ai sensi delle direttive o regolamenti emanate ex art. 83(2) lett. e TCE.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

156

Prima di passare a individuare i principi generali che regolano il rapporto tra diritto CE e normative nazionali, bisogna sottolineare che ai fini del TCE è irrilevante la distinzione tra conflitto fra diritto antitrust CE e normative antitrust nazionali, o fra conflitto tra diritto antitrust CE e normative che disciplinano fattispecie rientranti nel campo di applicazione degli artt. 81 e 82 TCE (come per altro chiarito dal testo dello stesso art. 83(2) lett. e TCE 376). Infatti, quello che per il TCE rileva non è lo specifico rapporto tra diritto antitrust CE e normative

antitrust degli Stati membri — cfr. però l'art. 3(3) reg. 1/03, v. infra § 48 —. Quello che rileva è che gli artt. 81 e 82 TCE mantengano il loro "effetto utile", cioè che gli Stati membri non prevedano normative — qualunque sia la finalità di queste — che escludano l'efficacia di tali divieti. Sotto questo profilo, le leggi antitrust degli Stati membri rientrano nella generale categoria delle norme nazionali che si applicano

alle fattispecie disciplinate dagli artt. 81 e 82 TCE. La particolarità delle normative antitrust nazionali è che esse presentano — parafrasando l'art. 3(3) reg. 1/03 — "un obiettivo simile" a quello degli artt. 81 e 82 TCE (ma riguardo alla differente finalità del diritto antitrust della CE e degli Stati membri, v. supra § 33).

Prendiamo ora in considerazione, in primo luogo, i principi generali CE che risolvono i conflitti tra il diritto antitrust CE e le normative nazionali che si applicano alle fattispecie degli artt. 81 e 82 TCE (non limitando, quindi, l'ipotesi al conflitto tra diritto antitrust CE e norme antitrust degli Stati membri).

La giurisprudenza CE ha chiarito che gli Stati membri non possano emanare — pena l'illegittimità della relativa disciplina — normative che rendano "praticamente inefficaci le regole di concorrenza [CE] applicabili alle imprese" 377. In altre parole, gli Stati membri non possono emanare normative che permettano alle imprese di porre in essere

376 L'art. 83(2) lett. e TCE non distingue tra i due tipi di norme, ma prescrive

semplicemente che "le disposizioni di cui al paragrafo 1 hanno, in particolare, lo scopo di (…) definire i rapporti fra le legislazioni nazionali da una parte e le disposizioni della presente sezione nonché quelle adottate in applicazione del presente articolo, dall'altra" (corsivo aggiunto).

377 V. giurisprudenza Sentenza della Corte del 13 febbraio 1969, Walt Wilhelm e altri

contro Bundeskartellamt, causa 14/68, Raccolta della giurisprudenza, 1969, p. 1; Sentenza della Corte (quinta sezione) del 13 dicembre 1991, Regie des Telegraphes et des Telephones contro

Gb - Inno - Bm Sa, causa 18/88, Raccolta della giurisprudenza, 1991 p. I - 5941.

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

157

comportamenti vietati dagli artt. 81(1) e 82 TCE (o vietare comportamenti esentati ex 81(3) TCE).

Sarebbe infatti contraddittorio, in primo luogo da un punto di vista giuridico, che gli Stati membri abbiano attribuito all'ordinamento CE (e per esso ai suoi organi) delle competenze attuative dei divieti degli artt. 81 e 82 TCE e che, successivamente, gli Stati emanino delle misure che (al contrario) permettano alle imprese di porre in essere comportamenti vietati dal diritto antitrust CE. Simili (contraddittorie) normative avrebbero la conseguenza di evitare tout court l'applicabilità del diritto antitrust CE; esse pregiudicherebbero il cd. l'effetto utile — cioè l'efficacia — di tali norme.

Alla stessa conclusione si perviene, in secondo luogo, per mezzo di una valutazione di carattere economico. Con riferimento all'art. 81 TCE, tale divieto è stato inserito nel TCE al fine di evitare, tra l'altro, che le imprese re-introducano, mediante accordi, quelle barriere tra gli Stati membri che gli Stati stessi si sono impegnati ad eliminare per costituire il mercato comune. Le normative nazionali che permettessero la creazione di simili barriere, e cioè normative che non vietassero accordi in violazione dell'art. 81(1) TCE, porrebbero in pericolo l'obiettivo stesso del mercato comune (art. 2 TCE). Parimenti, l'art. 82 TCE è stato previsto, tra l'altro, al fine di evitare che in uno spazio fondato sulla libertà delle imprese di agire in concorrenza tra di loro, le imprese stesse siano escluse dal mercato in conseguenza di comportamenti unilaterali abusivi di imprese in "posizione dominante" sul mercato. Ciò ostacolerebbe — in ultima istanza — la persistenza della concorrenza non falsata sul mercato comune (art. 3(1) lett. g TCE). Nel caso in cui delle normative nazionali permettessero alle singole imprese in posizione dominante di porre in essere simili abusi, l'obiettivo stesso del mercato comune (art. 2 TCE) sarebbe messo in pericolo — così come sottolineato con riferimento all'art. 81 TCE —.

Ciò detto, questo non esclude che le normative nazionali possano vietare più di quanto vietato ex artt. 81(1) e 82 TCE. Il fatto che una normativa nazionale vieti un accordo non vietato dall'art. 81(1) TCE o che essa vieti un comportamento unilaterale non vietato dall'art. 82 TCE non determina — non essendo la competenza antitrust una

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

158

politica comune CE — alcun pregiudizio per il mercato comune (art. 2 e 3(1) lett. g TCE) o il mercato interno (art. 14 TCE).

Sotto questo aspetto l'art. 81(3) TCE presenta una particolarità. Come già sottolineato, l'art. 81(3) CE disciplina una eccezione al

divieto di cui all'art. 81(1) TCE. Riconoscere che le normative nazionali possano vietare intese esentate dall'art. 81(3) TCE significherebbe violare — seguendo la motivazione della sent. Walt Wilhelm 378 e INNO-

ATAB 379 — il principio dell'effetto utile. Ed infatti, in forza di una

378 Riguardo alla giurisprudenza relativa a tale principio, espresso per la prima volta

nella sentenza della Corte del 13 febbraio 1969, Walt Wilhelm e altri contro Bundeskartellamt, causa 14/68, Raccolta della giurisprudenza, 1969, p. 1, v. Sentenza della Corte del 10 luglio 1980, Anne Marty Sa contro Estee Lauder Sa, causa 37/79, Raccolta della giurisprudenza, 1980, p. 2481; Sentenza della Corte (terza sezione) dell'11 luglio 1985, S.A. Saint Herblain

Distribution, Centre Distributeur Leclerc, ed altri contro Syndicat des Libraires de Loire - Ocean, causa 299/83, Raccolta della giurisprudenza, 1985 p. 2515, § 14; Sentenza della Corte del 28 marzo 1985, Comite des Industries Cinematographiques des Communautes Europeennes (C.I.C.C.E.) contro Commissione delle Comunità europee, causa 298/83, Raccolta della

giurisprudenza, 1985, p. 1105; Sentenza della Corte del 27 gennaio 1987, Verband der

Sachversicherer E. V. contro Commissione delle Comunità europee, causa 45/85, Raccolta della

giurisprudenza, 1987, p. 405, § 20; Sentenza del Tribunale di primo grado (prima sezione) del 6 aprile 1995, Sotralentz Sa contro Commissione delle Comunità europee, causa T-149/89, Raccolta della giurisprudenza, 1995 p. II - 1127; Sentenza della Corte del 16 luglio 1992, Banche spagnole, cit. a nota 366; Sentenza della Corte (Sesta Sezione) del 26 novembre 1998, Oscar Bronner GmbH & Co. KG contro Mediaprint Zeitungs - und Zeitschriftenverlag GmbH

& Co. KG, Mediaprint Zeitungsvertriebsgesellschaft mbH & Co. KG e Mediaprint

Anzeigengesellschaft mbH & Co. KG, causa C-7/97, Raccolta della giurisprudenza, 1998 p. I - 7791; Sentenza della Corte del 19 febbraio 2002, J. C. J. Wouters, J. W. Savelbergh e Price

Waterhouse Belastingadviseurs BV contro Algemene Raad van de Nederlandse Orde van Advocaten (Wouters), causa C-309/99, Raccolta della giurisprudenza, 2002, pagina I - 1577.

379 Sentenza della Corte del 16 novembre 1977, S.A. G.B.- B.M. c. Association des

détaillants en tabac (ATAB), causa 13/77, in Raccolta della giurisprudenza, 1977, p. 2115, § 33. Tale giurisprudenza, con riferimento al combinato disposto degli artt. 10 e 82 TCE ha sostenuto che "anche se di per sé l'articolo 81 del Trattato riguarda esclusivamente la condotta delle imprese e non le disposizioni legislative o regolamentari emanate dagli Stati membri, è pur vero che detto articolo, letto congiuntamente all'articolo 10 del Trattato, obbliga gli Stati membri a non adottare o mantenere in vigore misure, anche di natura legislativa o regolamentare, che possano rendere praticamente inefficaci le regole di concorrenza applicabili alle imprese". V. anche, Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 18 giugno 1998, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana, causa C-35/96, Raccolta della giurisprudenza, 1998, p. I - 3851, dove la Corte di giustizia ha sostenuto che "ricorre in particolare siffatta ipotesi allorquando uno Stato membro imponga o agevoli la conclusione di accordi in contrasto con l'articolo 81, o rafforzi gli effetti di siffatti accordi, ovvero qualora privi la propria normativa del carattere statuale che le è proprio, demandando la responsabilità di adottare decisioni d'intervento in materia economica ad operatori privati", § 53.

Riguardo alla giurisprudenza relativa al combinato disposto degli artt. 10 e 82 TCE, v. Sentenza della Corte (seconda sezione) del 17 Ottobre 1995, Dip Spa contro Comune di

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

159

simile interpretazione la funzione dell'art. 81(3) TCE — cioè la creazione di "un armonico sviluppo delle attività economiche nel complesso della comunità" 380 — sarebbe vanificata. Da ciò consegue — in modo differente da quanto sostenuto dalla Commissione 381 e da parte della dottrina 382 — che le intese a cui sia applicabile l'art. 81(3) CE — sia tramite decisioni individuali, sia tramite regolamenti di esenzione — non possono essere vietate da normative nazionali.

Ciò detto, deve essere sottolineato che l'importanza del principio generale di soluzione dei conflitti tra gli artt. 81 e 82 TCE e le normative nazionali (cioè il principio dell'effetto utile del diritto antitrust

CE) non è limitata solo ai casi in cui non sussista una disciplina ex art. 83(2) lett. e TCE. Infatti, anche in presenza di simili discipline, tale principio generale mantiene la propria efficacia e, in caso di violazione di esso da parte di norme emanate ai sensi dell'art. 83(2) lett. e TCE, esso costituisce la disposizione parametro riguardo all'illegittimità di tali normative.

Bassano del Grappa, Lidl Italia Srl contro Comune di Chioggia e Lingral Srl contro Comune di

Chiogga, cause riunite C-140/94, C-141/94 e C-142/94, Raccolta della giurisprudenza, 1995 p. I - 3257, § 24; Sentenza della Corte (Sesta Sezione) del 5 ottobre 1995, Centro Servizi

Spediporto Srl contro Spedizioni Marittima del Golfo Srl, causa C-96/94, Raccolta della

giurisprudenza, 1995, p. I - 02883, § 31; Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 1. ottobre 1998, Autotrasporti Librandi Snc di Librandi F. & C. contro Cuttica spedizioni e servizi

internationali Srl., causa C-38/97, Raccolta della giurisprudenza, 1998, p. I - 5955, § 27. 380 Sentenza della Corte del 13 febbraio 1969, Walt Wilhelm e altri contro

Bundeskartellamt, causa 14/68, Raccolta della giurisprudenza, 1969, p. 1, § 5. 381 Cfr. come la Commissione a volte essa sostenga che il divieto per gli Stati membri di

vietare intese comprese in regolamenti di esenzione ex art. 81(3) TCE sia conseguenza della natura dell'atto, cioè il regolamento (v. il Regolamento (CE) n. 2790/1999 della Commissione, del 22 dicembre 1999, relativo all'applicazione dell'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato CE a categorie di accordi verticali e pratiche concordate, in Gazzetta ufficiale n. L 336 del 29 dicembre 12 1999, p. 21 - 25. Il considerando 17 recita: "Secondo il principio di

supremazia del diritto comunitario, nessuna misura presa in attuazione di disposizioni nazionali in materia di concorrenza deve ledere l'applicazione uniforme delle norme comunitarie in materia di concorrenza all'interno del mercato comune e la piena efficacia delle misure adottate in applicazione di tali norme, incluso il presente regolamento"). Altre

volte la Commissione sostiene che una simile conclusione sarebbe contraria al concetto di "mercato interno" (cfr. parte IV della proposta del regolamento 2000, v. infra § 45). Diversamente, tale limite è determinato dal principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE, v. supra § 39, piuttosto che dal principio di supremazia del diritto comunitario, che ne è una (necessaria) conseguenza, o dall'(asserito) principio di applicazione uniforme delle norme

comunitarie in materia di concorrenza, i cui fondamenti giuridici non vengono chiariti dalla Commissione (v., anche con riferimento all'illegittimità dell'art. 3(2) reg. 1/03, infra § 45).

382 UGO DRAETTA, Le regole di concorrenza applicabili alle imprese della Comunità

economica europea, in Diritto Internazionale, 1961, p. 48.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

160

40. L'erroneità della tesi che distingue due filoni giurisprudenziali CE: il

primo relativo ai rapporti tra diritto antitrust CE e diritto antitrust degli Stati membri; il secondo relativo ai rapporti tra diritto antitrust CE e norme nazionali relative alle fattispecie disciplinate dagli artt. 81 e

82 TCE.

La giurisprudenza CE relativa alla soluzione dei conflitti tra

normative nazionali che disciplinano le fattispecie di cui agli artt. 81 e 82 TCE (cd. principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE) potrebbe fare pensare all'esistenza di due filoni di sentenze tra loro autonomi: il primo relativo al rapporto tra diritto antitrust CE e discipline antitrust nazionali (giurisprudenza Walt Wilhelm 383); il secondo relativo al rapporto tra norme antitrust CE e norme che disciplinano fattispecie rientranti negli artt. 81 e 82 TCE (giurisprudenza INNO-ATAB 384).

A ben vedere tali (presunti) distinti filoni giurisprudenziali riguardano esattamente lo stesso aspetto, cioè il caso di misure nazionali che eliminino l'effetto utile degli artt. 81 e 82 TCE. La differenza tra la giurisprudenza Walt Wilhelm e la giurisprudenza INNO-ATAB è che nella seconda il principio dell'effetto utile è stato esteso a tutte le norme di tutela della concorrenza CE; non solo agli artt. 81 e 82 TCE — come nel caso Walt Wilhelm —, ma anche — ad esempio — all'art. 86(1) TCE.

La mancata considerazione del fatto che entrambi i filoni giurisprudenziali abbiano la medesima finalità e giustificazione normativa (rectius che i principi della giurisprudenza INNO-ATAB abbiano esteso il principio della giurisprudenza Wilhelm ad altre norme del TCE in materia di regolamentazione della concorrenza) è forse da attribuire alla forza "immaginifica" della teoria tedesca delle due barriere (Zweischrankentheorie) che, fino all'emanazione della sent. Walt Wilhelm (cioè fino alla fine degli anni '60), ha cercato di definire il rapporto tra diritto antitrust CE e diritto antitrust degli Stati membri.

383 Sentenza della Corte del 13 febbraio 1969, Walt Wilhelm e a. contro Bundeskartellamt,

causa 14/68, Raccolta della giurisprudenza, 1969, p. 1. 384 Sentenza della Corte del 16 novembre 1977, S.A. G.B.- B.M. c. Association des

détaillants en tabac (ATAB), causa 13/77, in Raccolta della giurisprudenza, 1977, p. 2115.

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

161

Secondo tale teoria, il diritto antitrust CE e il diritto degli Stati membri perseguirebbero differenti obiettivi. Mentre il diritto nazionale tutelerebbe esclusivamente la concorrenza all'interno degli Stati membri, il diritto CE tutelerebbe esclusivamente la concorrenza interstatuale. Secondo questa impostazione, i conflitti tra diritto antitrust CE e diritto antitrust nazionale non potrebbero quindi sorgere; ciò in quanto non vi sarebbe la possibilità di applicazione parallela dei due set di divieti antitrust 385. Per comprendere la ratio di tale impostazione, deve essere ricordato che essa mirava a garantire l'integrale applicazione delle normative antitrust nazionali rispetto al diritto antitrust CE; essa avrebbe (soprattutto) permesso l'applicazione del "giovane" diritto antitrust tedesco del 1957, entrato in vigore, come il Trattato di Roma, il 1 gennaio 1958 386.

La cd. teoria delle due barriere è stata però rifiutata dalla Corte di giustizia, com'è noto, nella sent. Walt Wilhelm nel 1969. In essa la Corte ha sostenuto che "le Autorità nazionali competenti in materia di intese possono instaurare un procedimento [ai sensi della disciplina antitrust nazionale] anche nei casi che costituiscono oggetto di una decisione della Commissione" (§ 4).

Nonostante il chiaro rigetto di tale teoria da parte della Corte di giustizia, la forza "immaginifica" del concetto di "doppia barriere" continua a "dispiegare" i suoi effetti. Che sia stata la "Teoria delle due barriere" ad evitare l'approfondimento del (corretto) principio di rapporto tra diritto antitrust CE e normative nazionali, sembra dimostrato da recenti contributi dottrinari. Infatti ancora nel 2003 — dopo ben 35 anni dall'emanazione della sent. Walt Wilhelm — il principio di soluzione dei conflitti tra disciplina antitrust CE e disciplina

385 V. NORBERT KOCH, Das Verhältnis der Kartellvorschriften des EWG Vertrages zum

GWB, in Betriebsberater, 1959, p. 241; anche in INGO BRINKER, Art. 83 EGV, in JURGEN

SCHWARZE (A CURA DI) EU-Kommentar, Baden-Baden, Nomos Verlagsgeselschaft, 2000, § 12.

386 La teoria delle due barriere permetteva, quindi, di riconoscere il campo di applicazione più ampio possibile per l'unica disciplina antitrust statale in quel momento prevista in Europa (quella tedesca) e la più ampia discrezionalità riguardo alle relative conclusioni. Ai sensi di tale teoria, la normativa tedesca non sarebbe stata vincolata dalle "parallele" valutazioni del diritto antitrust CE (rectius dal principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE). Riguardo ai timori dei rappresentanti tedeschi in sede di redazione dell'art. 81 TCE per le limitazioni sulla normativa tedesca conseguenti al "futuro" diritto antitrust CE, v. infra.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

162

antitrust degli Stati membri è stato definito da alcuni come "Teoria modificata della doppia barriera" (modifizierte Zweischrankenthorie) 387. In altre parole, si suppone che la soluzione di tali conflitti tra diritto antitrust della CE e degli Stati membri definiti dalla sent. Wilhelm sia conseguenza della Zweischrankenthorie (modificata o meno) e non — come, al contrario, correttamente è — che la soluzione di tali conflitti sia conseguenza dell'obbligo degli Stati membri di non emanare normative che escludano l'effetto utile degli artt. 81 e 82 TCE.

SOTTOSEZIONE II

LA DISCIPLINA EMANATA EX ART. 83(2) LETT. E TCE E IL RAPPORTO TRA

IL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO E LE NORMATIVE NAZIONALI

41. Il rapporto tra il diritto antitrust europeo e le normative nazionali così

come regolato dal sistema antitrust europeo (artt. 84 e 85 TCE - artt.

164 e 165 Cost. eu.) e dal sistema antitrust ex reg. 17/62.

Definito il criterio generale per la soluzione dei conflitti tra gli artt.

81 e 82 TCE e le normative nazionali, passiamo ora a valutare i criteri speciali per la soluzione dei conflitti tra diritto CE e normative nazionali ai sensi della disciplina regolata ex art. 83(2) lett. e TCE nei sistemi antitrust succedutisi nel tempo (sistema ex artt. 84 e 85 TCE, sistema ex reg. 17/62 e sistema ex reg. 1/03).

Iniziando con il sistema di applicazione antitrust disciplinato dal Trattato (artt. 84 e 85 TCE), esso prevede solo la fonte normativa in base alla quale stabilire tale disciplina, cioè l'art. 83(2) lett. e TCE. Il Trattato CE non detta direttamente alcuna norma di esecuzione di tale articolo; questo in considerazione del fatto che il Consiglio stesso

387 V. anche CLAUDIA SEITZ, One-stop Shop und Subsidiarität, Köln, Carl Heymanns

Verlag KG, 2002, 83; v. CHRISTIAN H.A. JUNG, Subsidiarität im Recht der

Wettbewerbsbeschränkungen, Heidelberg, C.F. Mueller, 1995, 130; v. anche l'impostazione di ALDO FRIGNANI, Art. 1 l. 287/90, in Diritto antitrust italiano - Commento alla legge 10 ottobre

1990, n. 287, a cura di A. Frignani, R. Pardolesi, A. Patroni Griffi, L.C. Ubertazzi, 1990, volumi I e II, Zanichelli, Bologna, 1993, 93.

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

163

avrebbe emanato entro tre anni dall'entrata in vigore del TCE le relative — eventuali — norme di attuazione (art. 87(2) TCEE (1957)).

Anche il reg. 17/62 non ha previsto norme di applicazione dell'art. 83(2) lett. e TCE. In conseguenza di ciò, la soluzione dei conflitti tra disciplina antitrust CE e normative nazionali è stata regolata dal principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE (v. supra § 39).

Giova ricordare che nel 1972 l'Autorità CE, dopo l'emanazione della sent. Walt Wilhelm, fece presente la necessità di definire ex art. 83(2) lett. e TCE i rapporti tra diritto antitrust CE e diritto antitrust degli Stati membri. Infatti, dopo tale sentenza vi erano stati altri casi — come quelli esposti nella sent. Walt Wilhelm — di procedimenti paralleli tra Commissione e Autorità nazionali 388. In considerazione di ciò, e del conseguente rischio di conclusioni illegittime tra i procedimenti, la Commissione aveva espresso l'intenzione di disciplinare, ai sensi di tale norma del Trattato, la soluzione dei casi di applicazione simultanea del diritto antitrust CE e del diritto antitrust nazionale 389. Tale intenzione non ebbe però seguito.

Nella IV Relazione sulla politica di concorrenza (1974), la Commissione rese noto che, anche a seguito di contatti con gli Stati membri, non riteneva più necessaria l'adozione di provvedimenti atti a definire in modo più preciso il rapporto tra la disciplina antitrust CE e le previsioni nazionali. Ad avviso della Commissione l'obiettivo di ridurre il rischio di conflitti tra le Autorità nazionali e l'Autorità CE poteva essere raggiunto, in primo luogo, tramite il miglioramento dello scambio di informazioni nei casi in cui fosse stata applicabile sia la disciplina antitrust CE sia la disciplina antitrust nazionale e, più in generale, procedendo all'armonizzazione della politica di concorrenza tra Comunità e Stati membri" 390.

Negli anni successivi la Commissione, tenendo presenti i principi espressi dalla giurisprudenza sull'effetto utile del diritto antitrust CE, indicò alcune misure che le Autorità nazionali, in applicazione dell'art. 10 TCE, avrebbero dovuto porre in essere in presenza di procedimenti

388 Vedi Il Relazione sulla politica di concorrenza, 1972, § 27 ss.. Vedi anche VI

relazione sulla politica di concorrenza, 1976, § 111 ss.. 389 Vedi II Relazione sulla politica della concorrenza, 1972, § 27. 390 IV Relazione sulla politica della concorrenza, 1974, § 47. Vedi anche VI Relazione

sulla politica della concorrenza, 1976, § 115.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

164

paralleli con la Commissione affinché i provvedimenti nazionali non fossero in violazione del diritto CE 391. La prima misura consisteva nella sospensione del procedimento nazionale in attesa dell'emanazione della decisione della Commissione; la seconda misura consisteva nella consultazione della Commissione da parte dell'Autorità nazionale riguardo al contenuto della decisione che quest'ultima avrebbe adottato (riguardo all'inserimento di tali due misure nel reg. 1/03, v. infra § 161 ss.). Tale consultazione avrebbe permesso all'Autorità nazionale di pervenire ad una decisione non in violazione del diritto CE 392, sebbene emanata prima della conclusione del procedimento comunitario 393.

42. L'art. 3 della proposta di regolamento del 2000 e la previsione della

competenza esclusiva del diritto antitrust europeo quale naturale

evoluzione della prassi della Commissione. I casi Airtours e Carnival e il

ruolo di "contropotere" delle Autorità nazionali.

Come già indicato, la Corte di giustizia nella sentenza Walt Wilhelm

— diversamente da quanto poi sostenuto nel 2000 dalla Commissione 394

391 Nella I Relazione sulla politica di concorrenza (1971, § 129), la Commissione

precisava che, così come espresso al § 8 della sent. Walt Wilhelm, in presenza di un procedimento parallelo tra Commissione e Autorità nazionale sarebbe stata la seconda a dovere attivarsi affinché il pieno effetto della decisione dell'Autorità comunitaria non fosse stato limitato.

392 I Relazione sulla politica di concorrenza, 1971. 393 IV Relazione sulla politica della concorrenza (1974, § 46); cfr. la Comunicazione,

cit., § 53. 394 V. quanto sostenuto dalla Commissione nella parte IV della proposta di

regolamento 2000: "Per affrontare in modo efficace tale problema è necessario adottare la soluzione prospettata dalla Corte di giustizia nella causa Walt Wilhelm, ossia regolare il rapporto fra le legislazioni nazionali e il diritto comunitario della concorrenza come previsto dall'articolo 83, paragrafo 2, lettera e) del Trattato CE". Al contrario, nella citata sentenza Walt Wilhelm (Sentenza della Corte del 13 febbraio 1969, Walt Wilhelm e altri

contro Bundeskartellamt, causa 14/68, Raccolta della giurisprudenza, 1969, p. 1), e in particolare al § 4, la Corte di giustizia non prende in considerazione la necessità di disciplinare il rapporto tra norme antitrust degli Stati membri e il diritto antitrust CE. Diversamente, la Corte mutua dalla possibilità di disciplinare "norme interne e norme comunitarie sulla concorrenza" ex articolo 83(2) lett. e TCE (ibidem, § 4) due principi distinti: in primo luogo, che il TCE non esclude la competenza antitrust degli Stati membri; in secondo luogo, "il carattere preminente del diritto comunitario" (ibidem, § 5). Bisogna ricordare che (curiosamente) già il Catalano aveva dato nel 1969 la medesima interpretazione della Commissione alla sentenza Walt Wilhelm; v. NICOLA CATALANO, Nota alla sentenza Walt Wilhelm, in Il Foro Italiano, 1969, p. 86. A dimostrazione della non

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

165

— non aveva ravvisato la necessità che il Consiglio CE esercitasse la competenza di cui all'art. 83(2) lett. e TCE. Il Consiglio CE, oltre trent'anni dopo tale sentenza, ha ritenuto viceversa che ciò fosse necessario. Infatti, il reg. 1/03 attua per la prima volta quanto previsto dall'art. 83(2) lett. e TCE. L'art. 3 reg. 1/03 — rubricato come "Rapporto fra gli articoli 81 e 82 e le legislazioni nazionali in materia di concorrenza" — regola due aspetti: da una parte, il rapporto tra la disciplina antitrust CE e la "legislazione nazionale in materia di concorrenza" (art. 3(2) reg. 1/03); dall'altra, il rapporto tra il diritto antitrust CE e le altre legislazioni nazionali in materia di concorrenza (cioè "la legislazione nazionale in materia di controllo delle fusioni" e le "norme nazionali che perseguono principalmente un obiettivo differente rispetto a quello degli articoli 81 e 82 del Trattato", art. 3(3) reg. 1/03).

Quanto disciplinato dall'art. 3 reg. 1/03 non può essere compreso se non valutando quanto regolato dall'art. 3 della proposta di regolamento del 2000.

Tale norma — rubricata, al pari dell'art. 3 reg. 1/03, come "Rapporto fra gli articoli 81 e 82 e le legislazioni nazionali in materia di concorrenza" — disciplinava la competenza esclusiva del diritto antitrust CE per la valutazione di casi di rilevanza comunitaria rientranti nelle fattispecie degli artt. 81 e 82 TCE. Tale norma recitava: "Quando un accordo, una decisione di associazione di imprese o una pratica concordata ai sensi dell'articolo 81 del Trattato oppure lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante ai sensi dell'articolo 82 sono tali da pregiudicare il commercio fra Stati membri, si applica il diritto comunitario della concorrenza ad esclusione delle legislazioni nazionali in materia".

La previsione della proposta del 2000, piuttosto che essere una novità inaspettata 395, costituiva la naturale 396 evoluzione della prassi decisionale della Commissione relativa al ruolo delle Autorità e dei giudici nazionali per l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE. Tale norma, infatti, "cristallizzava" in norma il tentativo della Commissione necessità di una simile norma, v. infra la motivazione dell'illegittimità dell'art. 3(2) reg. 1/03 per violazione del principio di proporzionalità.

395 ERNST-JOACHIM MESTMÄCKER, The EC Commission's Modernization, cit. a nota 501. 396 LORENZO FEDERICO PACE, L'evoluzione, cit. a nota 257.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

166

di imporre — con particolare riferimento alle Autorità nazionali — l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE o di imporre che le Autorità pervenissero — ai sensi del diritto antitrust nazionale — alle conclusioni a cui la Commissione sarebbe pervenuta applicando il diritto antitrust CE (v. infra § 79 ss.). Questo avrebbe garantito alla Commissione che le Autorità nazionali avrebbero tutelato in sostituzione della Commissione — applicando il diritto antitrust CE o anche il diritto

antitrust degli Stati membri — la concorrenza CE, piuttosto che tutelare la concorrenza secondo i paradigmi e le finalità del diritto antitrust statale (con riferimento al ruolo dei giudici nazionali secondo tale prassi della Commissione, v. infra § 84; inoltre, con riferimento alla differente funzione del diritto antitrust della CE e degli Stati membri, v. supra § 33).

Per tanto, l'art. 3 proposta di regolamento del 2000 garantiva alla Commissione che le Autorità e i giudici nazionali avrebbero agito esclusivamente quali organi del sistema antitrust CE, in questo modo aiutando coattivamente la riduzione dell'eccessivo carico di lavoro della Commissione rispetto alle relative risorse umane. Ciò avrebbe determinato quale risultato ultimo la creazione di un rigido sistema — in cui avrebbero partecipato anche gli organi dei sistemi antitrust nazionali — inquadrato intorno alla Commissione ed alla politica di concorrenza da essa dettata. Tale modifica dell'art. 3 della proposta, però, non riconosceva agli Stati membri dei rilevanti "contropoteri" di controllo nei confronti della Commissione.

Che la finalità ultima del disegno dell'art. 3 della proposta fosse — secondo gli obbiettivi di tale politica di decentramento antitrust CE — la sostanziale eliminazione degli autonomi sistemi di tutela antitrust nazionali, è chiarito in più punti della proposta di regolamento. In

primo luogo, nella motivazione iniziale della proposta del 2000 si legge che la presenza di più normative antitrust avrebbe determinato il funzionamento non efficiente della "Rete di Autorità". In secondo luogo, la proposta di regolamento del 2000 sosteneva espressamente l'inutilità (ed anzi la contrarietà al mercato interno) dell'applicazione parallela del diritto antitrust della CE e degli Stati membri. La proposta del 2000 era quindi la concretizzazione di un sistema antitrust dall'impianto "centralistico" in cui il potere della Commissione era notevolmente

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

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accresciuto; questo senza la presenza di sostanziali poteri di controllo verso la Commissione stessa da parte degli Stati membri (ma v. ancora adesso l'illegittimità dell'art. 3(2) reg. 1/03 e dell'art. 6 reg. 1/03, v. infra

rispettivamente § 45 e § 148). Il caso ha voluto che dopo alcuni mesi dalla presentazione della

proposta del 2000 è accaduto quello che, col "senno del poi", dimostra l'importanza del ruolo di contropotere che le Autorità nazionali svolgono nel sistema antitrust CE applicando il diritto nazionale antitrust — quello che indirettamente la proposta di riforma avrebbe eliminato —.

Nel 2001 il Tribunale di primo grado ha infatti annullato la decisione Airtorus, decisione emanata dalla Commissione ai sensi del regolamento sul controllo delle concentrazioni. Inoltre, nello stesso periodo, la Commissione ha modificato in modo radicale il previsto divieto di una ulteriore concentrazione tra imprese 397. L'importanza di

397 Nel primo caso, il caso Airtours, il Tribunale di primo grado ha annullato la decisione

della Commissione in quanto essa non aveva motivato la differente conclusione a cui essa era pervenuta rispetto all'Autorità nazionale, conclusione che l'impresa ricorrente aveva sottoposto all'attenzione della Commissione durante il procedimento amministrativo; Sentenza del Tribunale di primo grado (Quinta Sezione ampliata) del 6 giugno 2002, Airtours Plc contro Commissione delle Comunità europee, causa T-342/99, Raccolta della

giurisprudenza, 2002, p. II - 2585. Nel secondo caso, il caso Carnival, la Commissione ha modificato la propria prevista

impostazione in quanto gli effetti della concentrazione notificata alla Commissione era stata nel frattempo decisa — anche se rispetto a differenti soggetti notificanti — dall'Autorità antitrust del Regno Unito di Gran Bretagna e valutata come non anticoncorrenziale. A fronte di tale decisione la Commissione — che secondo indicazioni della stampa sembrava intenzionata a vietare la concentrazione, v. infra in questa nota — non solo non ha vietato la concentrazione ma non ha neanche imposto degli impegni per l'autorizzazione della concentrazione. In questo modo la Commissione sembra aver voluto evitare di trovarsi nuovamente in una situazione simile a quella del ricorso Airtours. Cfr. quanto sostenuto dalla Commissione al termine del procedimento Carnival: "The European Commission has granted clearance under the European Union's Merger Regulation to the proposed acquisition of British cruise operator P&O Princess Pic by US-based cruise operator Carnival Corp. The Commission was initially concerned about the parties' strong position in the

cruise market in the UK and in Germany. But after an in-depth analysis it concluded that the strong growth enjoyed in the market, the absence of substantial barriers to entry and the ability for rivals in the market to shift capacity, for example from the US to the UK, would exert a sufficient competitive pressure on Carnival.

On 16 December 2001, Carnival announced a unilateral pre-conditional offer to acquire all the shares of P&O Princess, a UK-based worldwide cruise company which operates the brands Princess Cruises, P&O Cruises, Swan Hellenic, Aida Cruises, Seetours, and A'Rosa. Carnival is also a cruise company active worldwide. Its brands include

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

168

tale sentenza — o della modifica delle conclusioni del procedimento di controllo della concentrazione — è costituita dalle motivazioni del provvedimento di annullamento e dai motivi che hanno portato la Commissione a modificare le proprie intenzioni iniziali. Infatti l'annullamento da parte del Tribunale di primo grado — o la modifica radicale della decisione finale da parte dell'Autorità CE — è avvenuta a fronte di decisioni o studi emanati da Autorità nazionali (rectius dall'Autorità antitrust del Regno Unito di Gran Bretagna) che pervenivano a conclusioni opposte. Nel caso Airtorus, infatti, la Commissione non aveva giustificato la differente (opposta) conclusione a cui l'Autorità nazionale era pervenuta sul medesimo caso. Nel caso

Carnival, la Commissione aveva radicalmente modificato la prevista conclusione dopo che l'Autorità nazionale della Gran Bretagna era pervenuta sullo stesso caso a valutazioni opposte.

In conclusione, mentre la Commissione nella proposta di regolamento del 2000 modificava il sistema antitrust preesistente in un sistema in cui essa avrebbe avuto una sorta di "potere assoluto" sulla tutela antitrust per l'intero territorio europeo, casi concreti dimostravano l'importanza del ruolo di "contropotere" delle Autorità nazionali in applicazione del diritto nazionale antitrust, anche con riferimento ai controlli "esterni" di queste (riguardo al ruolo delle Autorità nel federalismo antitrust europeo e del concetto di controlli "esterni", v. infra § 53).

Carnival Cruise Lines, Holland America Line, Costa Cruises, Cunard Line, Seabourn Cruise Lines and Windstar Cruises.

The takeover bid was notified to the Commission for regulatory clearance in February 2002.

The UK competition authorities had requested referral of the case pursuant to Article 9 of the

Merger Regulation citing their own concerns about the deal's impact in the United Kingdom's cruise market. However, the Commission decided to continue with the review as the deal originally raised concerns also in other Member States, particularly in Germany. (...)

In the course of its investigation of the Carnival bid, the Commission had fruitful contacts with the UK's Competition Commission, which was assessing and has now cleared a

rival bid by Royal Caribbean, as well as with the Federal Trade Commission of the United States, which is still examining both bids for P&O Princess.

The Commission's in-depth investigation of the Carnival bid has, in the meantime, revealed that the initial concerns were unjustified" (corsivo aggiunto), Commission clears Carnival's takeover bid for P&O Princess, IP/02/1141 del 24 luglio 2002.

A tal proposito il quotidiano Wall Street Journal Europe titolava: "Monti changes Course on Carnival", PAUL HOFHEINZ - EVAN PEREZ, Monti changes Course on Carnival, in The Wall Street Journal Europe, 22 luglio 2002, p. 5.

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

169

43. L'art. 3 reg. 1/03 e il rapporto tra il diritto antitrust europeo e le

normative nazionali in materia di concorrenza. L'art. 3(1) reg. 1/03 e la

modifica della proposta di regolamento del 2000. La funzione dell'art.

3(1) reg. 1/03.

La versione finale dell'art. 3 reg. 1/03 ha modificato l'art. 3 della

proposta di regolamento del 2000 ed ha limitato la competenza esclusiva del diritto antitrust CE all'art. 81 TCE, costituendo infatti una competenza esclusiva "di fatto" (v. infra § 44).

L'art. 3 reg. 1/03 disciplina tre differenti norme relative al rapporto tra diritto antitrust CE e normative nazionali: e cioè l'obbligo di applicazione del diritto antitrust CE da parte delle Autorità e dei giudici nazionali nell'ipotesi in cui esse decidano casi di rilevanza comunitaria rientranti nelle fattispecie di cui agli artt. 81 e 82 TCE (art. 3(1) reg. 1/03) 398; la competenza esclusiva di fatto dell'art. 81 TCE riguardo alle intese disciplinate da tale norma (art. 3(2) reg. 1/03) 399; la previsione di eccezioni agli artt. 3(1) e 3(2) reg. 1/03 riguardo all'applicazione delle discipline nazionali per il controllo delle concentrazioni o delle discipline nazionali che abbiano finalità differenti rispetto al diritto antitrust CE (art. 3(3) reg. 1/03).

Con espresso riferimento all'art. 3(1) reg. 1/03, esso apporta una rilevante modifica a quanto imposto dall'art. 3 della proposta di regolamento del 2000 riguardo alla competenza esclusiva del diritto antitrust CE per le fattispecie di rilevanza comunitaria. L'art. 3(1) reg. 1/03 disciplina infatti — senza la competenza esclusiva del diritto

398 L'art. 3(1) prima parte reg. 1/03 recita: "Quando le Autorità garanti della

concorrenza degli Stati membri o le giurisdizioni nazionali applicano la legislazione nazionale in materia di concorrenza ad accordi, decisioni di associazioni di imprese o pratiche concordate ai sensi dell'articolo 81, paragrafo 1, del Trattato che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri ai sensi di detta disposizione, esse applicano anche l'articolo 81 del trattato a siffatti accordi, decisioni o pratiche concordate".

L'art. 3(1) seconda parte reg. 1/03 recita: "Quando le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri o le giurisdizioni nazionali applicano la legislazione nazionale in materia di concorrenza agli sfruttamenti abusivi vietati dall'articolo 82 del Trattato, esse applicano anche l'articolo 82 del Trattato".

399 L'art. 3(2) ultima parte reg. 1/03 recita: "Il presente regolamento non impedisce agli Stati membri di adottare e applicare nel loro territorio norme nazionali più rigorose che vietino o sanzionino le condotte unilaterali delle imprese".

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

170

antitrust CE — l'obbligo per gli organi statali (sia per le Autorità che per i giudici nazionali) di applicare gli artt. 81 e 82 TCE ogni qualvolta essi inizino un procedimento ai sensi del diritto antitrust degli Stati membri per casi di rilevanza comunitaria che rientrino nelle fattispecie di cui agli artt. 81 e 82 TCE. È quindi ipotizzabile, al contrario dell'art. 3 della proposta di regolamento del 2000, l'applicazione parallela del diritto antitrust della CE e degli Stati membri su di una medesima fattispecie. Il reg. 1/03 chiarisce che tale obbligo dell'art. 3(1) reg. 1/03 ha la finalità di "garantire l'effettiva applicazione delle regole di concorrenza comunitarie e il corretto funzionamento del meccanismo di cooperazione contenuto [in tale] regolamento" (considerando 8 reg. 1/03) — con riferimento alla funzione di tale norma nell'economia del reg. 1/03 rispettivamente per le Autorità e le giurisdizioni nazionali, v. infra § 112 e § 160).

44. L'art. 3(2) reg. 1/03 e il rapporto tra diritto antitrust europeo e

normative a tutela della concorrenza degli Stati membri. La differente

finalità dell'art. 3(1) e dell'art. 3(2) reg. 1/03. Le motivazioni addotte

dalla Commissione e dal Consiglio per l'emanazione dell'art. 3(2) reg.

1/03. L'(erronea) tesi della Commissione riguardo alla "competenza"

antitrust europea quale "competenza esclusiva".

Passiamo ora alla disciplina relativa al rapporto tra diritto antitrust

CE e normative nazionali, e in particolar modo al rapporto tra diritto antitrust CE e diritto antitrust degli Stati membri (art. 3(2) reg. 1/03) 400.

L'art. 3(2) reg. 1/03 disciplina la competenza esclusiva di fatto del diritto CE con riferimento alle intese che rientrino nel campo di applicazione dell'art. 81 TCE. Cioè, ancorché il reg. 1/03 riconosca (a differenza dell'art. 3 proposta del 2000) la possibilità di applicazione parallela del diritto antitrust CE e del diritto antitrust degli Stati

400 L'art. 3(2) reg. 1/03 prescrive: "Dall'applicazione della legislazione nazionale in

materia di concorrenza non può scaturire il divieto di accordi, decisioni di associazioni di imprese o pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri che [in primo luogo,] non impong[a]no restrizioni alla concorrenza ai sensi dell'articolo 81, paragrafo 1, del Trattato" e che, in secondo luogo, soddisfino "le condizioni dell'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato o che [siano] disciplinati da un regolamento per l'applicazione dell'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato".

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

171

membri, tale norma impone che "dall'applicazione della legislazione nazionale non [possa] scaturire un risultato diverso da quello prodotto dall'applicazione dell'articolo 81 del Trattato CE" 401.

Questa disposizione determina una deroga al principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE indicato supra § 39. Infatti, secondo l'art. 3(2) reg. 1/03, le discipline nazionali non possono vietare più di quanto imposto dall'art. 81 TCE. Il principio generale, al contrario, non proibisce — in quanto non necessario per il raggiungimento degli obiettivi di cui all'art. 3(1) lett. g TCE — che le normative nazionali vietino più di quanto non vietato dall'art. 81(1) TCE (salvo il caso delle intese esentate ex art. 81(3) TCE) 402.

L'art. 3(2) seconda parte reg. 1/03 disciplina il rapporto tra l'art. 82 TCE e le normative antitrust nazionali che regolano fattispecie concrete rientranti nell'art. 82 TCE. L'art. 3(2) seconda parte reg. 1/03 prevede — in coincidenza con il principio generale dell'effetto utile del diritto antitrust CE — che le discipline nazionali possano vietare più di quanto vietato dall'art. 82 TCE 403.

La previsione dell'art. 3(2) ha una finalità sostanzialmente differente rispetto a quella dell'art. 3(1) reg. 1/03. L'art. 3(1) svolge infatti la funzione di creare — insieme alla disciplina dei rapporti "inter-organici" del regolamento stesso —, l'"inter-operabilità" tra sistemi amministrativi antitrust nazionali e tra tali sistemi e il sistema antitrust CE, da una parte, e di "garantire l'effettiva applicazione delle

401 Commissione, XXXII Relazione sulla politica di concorrenza, § 17.4. 402 Correttamente il reg. 1/03 distingue tra accordi che "soddisfano le condizioni

dell'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato" e "che sono disciplinati da un regolamento per l'applicazione dell'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato". La distinzione è operata in quanto, secondo la giurisprudenza comunitaria, mentre un accordo a cui è riconosciuta una decisione di autorizzazione ex art. 81(3) TCE è certamente vietato ai sensi dell'art. 81(1) TCE, al contrario, un accordo che rientri nella disciplina di un regolamento di esenzione ex 81(3) TCE non è necessariamente in violazione dell'art. 81(1) TCE; Sentenza della Corte del 13 luglio 1966, Governo della Repubblica italiana contro il Consiglio della CEE e la

Commissione della CEE, cit. a nota 202. 403 Tale principio impedisce, infatti, solamente che le normative nazionali che regolano

fattispecie concrete rientranti nell'art. 82 TCE vietino meno di quanto previsto da tale norma; il principio non vieta — in quanto non necessario per il raggiungimento dell'art. 3(1) lett. g TCE — che le normative possano proibire più dell'art. 82 TCE. Inoltre, la differenza tra la formulazione dell'art. 3(1) prima parte reg. 1/03 e dell'art. 3(1) seconda parte reg. 1/03 — e in particolare la puntualizzazione del "commercio tra Stati membri" previsto solo per l'art. 81 — è reso necessario solamente dalla differente formulazione degli artt. 81 e 82 TCE.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

172

regole di concorrenza comunitarie" (cioè l'applicazione costante delle norme antitrust CE), dall'altra 404.

Diversamente, la competenza esclusiva del diritto antitrust CE con riferimento alle intese rientranti nel campo di applicazione dell'art. 81 TCE (ex art. 3(2) reg. 1/03) è giustificata — ad avviso del Consiglio — dalla creazione di "condizioni eque per gli accordi, per le decisioni di associazioni di imprese e per le pratiche concordate nel mercato interno" (considerando 8 reg. 1/03) 405. Per tale motivo — sempre secondo il Consiglio — sarebbe necessario "definire, a norma dell'articolo 83, paragrafo 2, lettera e), del Trattato, i rapporti fra le legislazioni nazionali e il diritto comunitario in materia di concorrenza" (considerando 8 reg. 1/03).

La criptica motivazione del reg. 1/03 con riguardo alla necessità della (parziale) competenza esclusiva del diritto antitrust CE — necessità chiarita, ci permettiamo sommessamente di notare, in modo insoddisfacente nella XXXII Relazione sulla politica di concorrenza 406 — diviene intelligibile tenendo presente la prassi decisionale della Commissione. Infatti, come sostenuto nel 1992 nel caso Bemim, la

404 V. infra § 112. 405 Deve essere sottolineato che il Consiglio, però, non chiarisce espressamente il perché

della distinzione della differente disciplina, da una parte, per l'art. 81 TCE e, dall'altra, per l'art. 82 TCE. A ben vedere, il reg. 1/03, tramite la disciplina dell'art. 81 TCE ai sensi dell'(illegittimo) art. 3(2) reg. 1/03 e del (legittimo) art. 12(2) ultima parte reg. 1/03, cerca di creare nuovamente la competenza esclusiva del diritto antitrust CE disciplinata dall'art. 3 proposta di regolamento del 2000.

406 La Commissione ha chiarito la finalità di tale norma nella XXXII Relazione sulla politica di concorrenza. Con riferimento all'art. 3(2) reg. 1/03 la Commissione ha infatti sostenuto che "la conseguente convergenza delle norme applicabili agli accordi e alle pratiche di cui all'articolo 81 del Trattato CE, la cosiddetta «parità di condizioni», agevolerà le attività commerciali in Europa, oltre ad essere essenziale per il completamento del mercato interno e l'applicazione coerente del diritto comunitario della concorrenza, una volta che la Commissione abbia rinunciato al suo monopolio sulla concessione di esenzioni ai sensi dell'articolo 81, comma 3, del Trattato CE" (XXXII Relazione sulla politica di concorrenza, § 17.4).

A ciò si può però rispondere — anticipando quanto sostenuto infra — che, in primo

luogo, i regolamenti ex art. 83(2) lett. e TCE — sulla base dei quali è stato emanato l'art. 3(2) reg. 1/03 — hanno la finalità di pervenire all'obiettivo dell'art. 3(2) lett. g TCE; l'obiettivo di tale norma non è l'agevolazione delle "attività commerciali in Europa" ma — come noto — la creazione di "un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato

interno", concorrenza tutelata dagli artt. 81 e 82 TCE; in secondo luogo, il mercato interno è già stato "completato" il 31 dicembre 1992 (art. 14(1) TCE); in terzo luogo, l'applicazione coerente del diritto comunitario della concorrenza nulla ha a che fare con la (legittima) applicazione più rigida del diritto antitrust degli Stati membri rispetto all'art. 81 TCE.

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

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Commissione considera le norme antitrust CE non come norme di divieto, ma come se esse costituissero (al pari della competenza ambientale CE) una "competenza normativa" che possa essere trasferita dalla Commissione alle Autorità nazionali nel caso in cui le fattispecie oggetto di valutazione non siano di interesse comunitario 407. In particolare, il fatto che le Autorità e i giudici nazionali — cioè gli organi statali competenti ad applicare gli artt. 81 e 82 TCE — applichino anche normative antitrust statali che pervengano a conclusioni che non coincidano con quelle degli artt. 81 e 82 TCE, costituisce ad avviso della Commissione una situazione contraria al concetto di "mercato interno".

La Commissione, otto anni dopo la decisione Bemim, ha confermato questa impostazione, precisandola in modo da disciplinare non solo per le Autorità ma anche per le giurisdizioni nazionali l'obbligo di "applicazione comunitaria conforme" del diritto antitrust statale 408. Essa, in contrasto con l'art. 3(1) lett. g TCE 409, ha infatti

407 Da ciò l'impostazione — errata — della Commissione secondo cui la "competenza"

antitrust CE costituirebbe una "competenza esclusiva" (rectius una "sorta" di politica comune o di "organizzazione comune dei mercati", v. infra), impostazione che non trova giustificazione neanche nel testo del Trattato costituzionale, v. infra.

408 È interessante notare in questa sede come vi sia stato un apparente cambio di strategia della Commissione riguardo all'obbligo delle Autorità nazionali di pervenire alle medesime conclusioni del diritto antitrust CE anche in applicazione del diritto antitrust statale.

Infatti, in un primo momento, la Commissione aveva configurato il diritto antitrust CE quale competenza che poteva essere trasferita dalla Commissione alle sole Autorità nazionali. In particolare, tale impostazione non poteva essere estesa anche alle giurisdizioni nazionali.

In un secondo momento, nella proposta di regolamento del 2000, la Commissione ha modificato tale impostazione facendo rientrare in questo obbligo di "applicazione comunitaria conforme" del diritto antitrust statale anche i giudici nazionali. Infatti, la Commissione, al fine di "obbligare" anche le giurisdizioni nazionali a pervenire alle stesse conclusioni del diritto antitrust CE applicando il diritto antitrust statale, ha sostenuto (trasformando la competenza antitrust in una sorta di politica comune, v. infra) che sarebbe stato in contrasto con il concetto di mercato interno il fatto che una medesima fattispecie fosse oggetto di più normative antitrust. Su questa base la Commissione ha emanato una norma che ha previsto la (illegittima) competenza esclusiva antitrust CE. Tale impostazione, differentemente alla prima, si poteva estendere non solo alle Autorità nazionali ma anche ai giudici nazionali.

409 Il Trattato di Roma recita all'art. 3(1) lett. g TCE: "Ai fini enunciati all'articolo 2, l'azione della Comunità comporta, alle condizioni e secondo il ritmo previsti dal presente Trattato (…) un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno". La rilevanza dell'indicazione fornita dall'art. 3 TCE è essenziale per poi interpretare il contenuto dei divieti ex artt. 81 e 82 TCE in quanto "l'art. 3 del Trattato

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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sostenuto — utilizzando per la competenza antitrust CE la stessa impostazione dei rapporti tra competenza della CE e degli Stati membri nelle "organizzazioni europee del mercato" 410 o nelle "politiche

determina gli ambiti e gli obiettivi sui quali deve vertere l'azione della Comunità. Esso

enuncia così i principi generali del mercato comune, che sono applicati unitamente ai capi rispettivi del Trattato destinati ad attuare tali principi (v. sentenza 14 luglio 1998, causa C-341/95, Bettati, Racc. pag. I - 4355, punto 75)" (corsivo aggiunto), Sentenza della Corte del 5 dicembre 2000, Procedimento penale a carico di Jean - Pierre Guimont, causa C-448/98, Raccolta della giurisprudenza, 2000 p. I - 10663, § 12.

410 Come espresso dalla Commissione all'art. 3 della proposta di regolamento del 2000 con riferimento alla competenza esclusiva antitrust CE: "La proposta della Commissione è quindi pienamente in linea con il principio sancito dall'articolo 5 del Trattato, in base al quale le azioni devono essere intraprese al livello più efficace. Tale proposta promuove l'interesse comunitario creando condizioni di concorrenza uniformi in tutto il mercato interno e garantisce al tempo stesso che le Autorità garanti della concorrenza e i giudici degli Stati membri possano applicare pienamente ed effettivamente gli articoli 81 e 82 in tutti i casi in cui l'intervento a livello nazionale risulti più efficace" (corsivo aggiunto), Parte I, lett. A Proposta di regolamento del 2000.

All'impostazione della Commissione si può sommessamente replicare che, come noto, l'art. 3(1) g TCE ha quale obiettivo la creazione di "un regime inteso a garantire che la

concorrenza non sia falsata nel mercato interno" (art. 3(1) lett. g TCE) e non la creazione di condizioni uniformi di concorrenza (tipiche di una politica comune CE).

Secondo l'impostazione della Commissione si verrebbe a creare per la competenza antitrust una situazione simile a quanto disciplinato dalle organizzazioni europee del mercato agricolo ex art. 34(1) lett. c TCE.

Infatti, è stato sostenuto dalla Corte di giustizia, similmente a quanto riportato dalla Commissione per la competenza antitrust: "Si deve perciò concludere che nei settori regolati da un'organizzazione comune di mercato — e a più forte ragione quando l'organizzazione poggia su un regime comune dei prezzi — gli Stati membri non possono più intervenire con atti unilaterali nel sistema di formazione dei prezzi determinato dall' organizzazione comune. // Di conseguenza, il regime nazionale che, bloccando i prezzi ed esigendo per le variazioni dei medesimi un'autorizzazione amministrativa, alteri il processo di formazione dei prezzi previsto dall' organizzazione comune di mercato è incompatibile sia coi regolamenti

gia citati, sia con la norma generale posta dall' art. 5, 2) comma, del Trattato, secondo cui gli Stati membri devono astenersi da qualsiasi misura "che rischi di compromettere" la realizzazione degli scopi del Trattato. // Il potere d'adottare i provvedimenti che si rendono

necessari per fronteggiare l'aumento dei prezzi sui mercati considerati e riservato alle istituzioni

comunitarie (…). // La sola via, compatibile col diritto comunitario, per raggiungere, in un settore disciplinato da un'organizzazione comune di mercato, i fini perseguiti da una

normativa nazionale contro l'aumento dei prezzi consiste quindi, per gli Stati membri, nell'assumere, a livello comunitario, le iniziative necessarie a far sì che la competente autorità

comunitaria emani o autorizzi provvedimenti conformi alle esigenze del mercato unico istituito dai regolamenti nn. 120/67 e 136/66" (corsivo aggiunto), Sentenza della Corte del 23 gennaio 1975, Filippo Galli, causa 31/74, Raccolta della giurisprudenza, 1975 p. 47, §§ 29 — 32.

V. inoltre la Sentenza International Fruit si legge: "Dal sistema instaurato col regolamento 459/70, e in ispecie con l'art. 2, n. 2, risulta d'altra parte che la decisione in merito al rilascio delle licenze d'importazione spetta alla Commissione. Secondo questa

norma, la Commissione ha una competenza esclusiva a valutare la situazione economica che deve

costituire il fondamento della suddetta decisione. Nello stabilire che "nelle condizioni previste

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

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comuni" CE 411 — che "il fatto che gli accordi e le pratiche che possono pregiudicare il commercio fra Stati membri siano soggetti a norme diverse (…) è contrario alla nozione di mercato interno" (parte IV della proposta del regolamento 2000).

Sulla base di questi presupposti la Commissione aveva disciplinato nella proposta di regolamento del 2000 la competenza esclusiva del diritto antitrust CE per i casi di rilevanza comunitaria (v. supra § 42). Nel reg. 1/03 il Consiglio ha eliminato la competenza esclusiva del diritto antitrust CE con riguardo all'art. 82 TCE, mantenendo però la competenza esclusiva di fatto con riferimento all'art. 81 TCE. Tale

dall'art. 2, gli Stati membri rilasciano il titolo a tutti gli interessati che ne facciano richiesta ", l'art. 1, n . 2, del Regolamento 459/70 fa intendere chiaramente che le Autorità nazionali

non dispongono di alcun potere discrezionale circa il rilascio delle licenze e le condizioni richieste per dar seguito alle domande degli interessati. Dette Autorità hanno unicamente il

compito di raccogliere gli elementi necessari perché la Commissione possa emanare la decisione ai sensi dell'art. 2, n. 2, del Regolamento, nonché quello di adottare poi in sede nazionale i

provvedimenti necessari per dare esecuzione alla decisione stessa", Sentenza della Corte del 13 maggio 1971, International Fruit Company, cit. a nota 313, §§ 23 - 26.

411 Cfr. inoltre anche la somiglianza dell'impostazione della Commissione relativa alla competenza antitrust e i rapporti tra competenza nazionale e comunitaria riguardo alle politiche comuni. Infatti, la Commissione con riferimento alla competenza antitrust CE sembra imporre agli Stati membri degli obblighi tipici delle politiche comuni, come quella della pesca, dove la Comunità (e come indicato anche nel Trattato costituzionale) dispongono di competenza esclusiva. E questo sebbene il Trattato di Roma non abbia definito la competenza antitrust CE come una politica comune, ma come un azione della Comunità così come definita dall'art. 3 lett. g TCE e dagli artt. 81 e 82 TCE.

A tal fine è utile richiamare la Sentenza della Corte del 15 dicembre 1987, Irlanda contro Commissione delle Comunità europee, causa 239/86, Raccolta della giurisprudenza, 1987 p. 5271. In essa la Corte di giustizia, riguardo una politica comune della Comunità, ha sostenuto: "Al fine di analizzare la situazione nel 1982, va ricordato che la Corte, nella sentenza 5 maggio 1981 (causa 804/79, Commissione/Regno unito, Racc. pag. 1045), ha ritenuto che, in una situazione caratterizzata dall'inazione del Consiglio, a norma dell'art. [10] del Trattato, gli Stati membri hanno l'obbligo di facilitare alla Comunità l'assolvimento dei

suoi compiti e di astenersi da qualsiasi provvedimento che possa mettere a repentaglio la realizzazione delle finalità del Trattato; che questa disposizione impone agli Stati membri doveri particolari di azione e di astensione in una situazione in cui la Commissione, per far fronte ad esigenze urgenti di conservazione, ha presentato al Consiglio proposte che, pur se non adottate da quest'ultimo, rappresentano il punto di partenza di un'azione comunitaria concertata. La Corte ha inoltre ricordato che, trattandosi di un settore riservato alla competenza

della Comunità, e nel cui ambito gli Stati membri possono ormai agire solo come gestori dell'interesse comune, uno Stato membro non può, qualora il Consiglio non intraprenda un'azione adeguata, porre in vigore provvedimenti provvisori di conservazione eventualmente imposti dalla situazione se non collaborando con la Commissione; che gli Stati membri avevano il dovere di non adottare provvedimenti nazionali di conservazione in spregio di obiezioni, riserve o condizioni che la Commissione poteva esprimere" (corsivo aggiunto - § 13).

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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scelta è stata compiuta — come già ricordato — al fine di creare delle "condizioni eque per gli accordi, per le decisioni di associazioni di imprese e per le pratiche concordate nel mercato interno" (considerando 8 reg. 1/03). In questo modo il Consiglio sembra aver ritenuto valido quanto sostenuto dalla Commissione nelle motivazioni della proposta di regolamento del 2000. La Commissione in tale sede ha affermato che la possibilità che "un accordo considerato non dannoso (…) ai sensi del diritto comunitario possa essere vietato da una legge nazionale sulla concorrenza è contraria alla nozione di mercato interno" (parte IV della proposta del regolamento 2000).

A ben vedere il Consiglio, sostenendo la necessità dell'art. 3(2) reg. 1/03 al fine della tutela del "mercato interno" (o, indifferentemente, della tutela del "mercato comune", art. 2 TCE) 412, mette in questo modo (giustamente) in evidenza un legame tra l'obiettivo del "mercato interno" (art. 14 TCE), i regolamenti ex art. 83(2) lett. e TCE e la previsione di norme che disciplinino il rapporto tra norme antitrust CE e legislazioni degli Stati membri (come l'art. 3(2) reg. 1/03) 413. Infatti, secondo giurisprudenza costante, i regolamenti ex art. 83 TCE sono diretti al raggiungimento delle finalità dell'art. 3(1) lett. g TCE 414.

412 Per "mercato interno" di cui all'art. 14(2) TCE si intende quella "versione limitata" del "mercato comune" (art. 2 TCE) che gli Stati membri hanno definito come obiettivo con l'Atto unico; sul punto v. CLAUS-DIETER EHLERMANN, The Internal Market following the

Single European Act, in Common Market Law Review, 1987, p. 409. Detto questo, richiamare ai fini qui indicati la tutela del "mercato comune" o tutela del "mercato interno" non determina alcuna differenza per le presenti conclusioni.

413 Infatti, l'art. 2 TCE prevede, tra l'altro, quale obiettivo per il raggiungimento dei fini disciplinati dal TCE la creazione di un mercato comune. L'art. 3 TCE, elencando le varie "azioni" per il raggiungimento dell'obiettivo del mercato comune, prevede anche "un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno" (art. 3(1) lett. g TCE). Per quanto qui rileva, tra le norme che il TCE disciplina per il raggiungimento della "concorrenza non falsata" nel mercato comune (ex art. 3(1) lett. g TCE) vi sono le regole antitrust CE, il cui sistema di applicazione è disciplinato dai regolamenti o direttive ex art. 83 TCE. Tra gli obiettivi dei regolamenti ex art. 83 TCE vi è pure quella di "definire i rapporti fra le legislazioni nazionali da una parte e le disposizioni della presente sezione nonché quelle adottate in applicazione del presente articolo, dall'altra" (art. 83(2) lett. e TCE).

414 I regolamenti e direttive ex 83 TCE, in particolare, sono previsti, ad. es., per definire le modalità di applicazione dell'art. 81(3) TCE, per definire i poteri della Commissione per applicare gli artt. 81 e 82 TCE, per la creazione del regime di libera concorrenza. Sul punto, v. Sentenza della Corte del 26 giugno 1980, National Panasonic (UK) Limited contro

Commissione delle Comunità europee, causa 136/79, Raccolta della giurisprudenza, 1980, p. 2033, § 20; Sentenza della Corte del 18 maggio 1982, Am And S Europe Limited contro

Commissione delle Comunità europee, causa 155/79, Raccolta della giurisprudenza, 1982, p.

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

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Quindi, in tanto è necessario esercitare la competenza normativa al fine di disciplinare "i rapporti fra le legislazioni nazionali" e il diritto antitrust CE (art. 83(2) lett. e TCE), in quanto l'applicazione delle norme (nel caso di specie, le norme antitrust) degli Stati membri non permettano — mettendo a rischio la tutela del mercato interno — il raggiungimento delle finalità dell'art. 3(1) lett. g TCE.

45. L'illegittimità dell'art. 3(2) reg. 1/03 per violazione del principio di

proporzionalità: a) l'inidoneità dell'art. 3(2) reg. 1/03 al raggiungimento

degli obiettivi dell'art. 3(1) lett. g TCE. L'erroneità dell'impostazione

secondo cui la finalità dell'art. 3(2) reg. 1/03 sarebbe quella di agevolare

"le attività commerciali in Europa".

Il fatto che la Commissione abbia stabilito il rapporto tra "mercato

interno" e disciplina ex art. 83(2) lett. e TCE non risolve il problema della necessità (rectius della "legittima proporzionalità") della competenza esclusiva di fatto ex art. 3(2) reg. 1/03 in rapporto alle finalità del TCE. Al fine di pervenire ad una conclusione sulla "legittima proporzionalità" dell'art. 3(2) reg. 1/03 è quindi necessario risolvere un secondo problema; e cioè stabilire in quali casi l'applicazione delle norme richiamate dall'art. 3(2) reg. 1/03 — cioè le norme antitrust degli Stati membri — sia pregiudizievole per la tutela del mercato interno.

Trasferendo il principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE — definito supra § 39 — ai rapporti specifici tra diritto antitrust CE e leggi antitrust statali, si può affermare che gli Stati membri sono obbligati (nel caso emanino normative a tutela della concorrenza) ad emanare

1575, § 15; Sentenza della Corte del 21 settembre 1989, Hoechst AG contro Commissione delle

Comunità europee, cause riunite 46/87 e 227/88, Raccolta della giurisprudenza 1989, p. 2859, § 25; Sentenza della Corte del 17 ottobre 1989, Dow Benelux Nv, Ex Dow Chemical

(Nederland) Bv contro Commissione delle Comunità europee, causa 85/87, Raccolta della

giurisprudenza, 1989, p. 3137, § 36; Sentenza della Corte del 17 ottobre 1989, Dow Chemical

Iberica Sa e Alcudia, Empresa Para La Industria Quimica, Sa e Empresa Nacional Del Petroleo Sa contro Commissione delle Comunità europee, cause riunite 97/87, 98/87 e 99/87, Raccolta

della giurisprudenza 1989, p. 3165, § 22; Sentenza della Corte del 18 ottobre 1989, Orkem Sa,

Ex Cdf Chimie Sa contro Commissione delle Comunità europee, causa 374/87, Raccolta della

giurisprudenza, 1989, p. 3283, § 19; Sentenza del Tribunale di primo grado del 10 luglio 1990, Tetra Pak Rausing Sa contro Commissione delle Comunità europee, causa T-51/89, Raccolta della giurisprudenza 1990, p. II - 309, § 22.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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normative antitrust che abbiano come risultato il divieto di accordi o di pratiche unilaterali che siano vietate dagli artt. 81 e 82 TCE. Da ciò consegue, però, che le normative antitrust degli Stati membri mantengono il potere di vietare fattispecie non contrarie agli artt. 81(1) e 82 TCE, salvo il caso di intese che presentino i requisiti di esenzione ex art. 81(3) TCE (ciò in coerenza con il principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE).

Le conclusioni a cui si perviene in applicazione di tale principio generale del diritto CE sono in aperta contraddizione con quanto sostenuto dalla Commissione nella proposta di regolamento del 2000. L'Autorità CE ha infatti sostenuto che sarebbe contrario alla nozione di mercato interno il divieto di "un accordo considerato non dannoso" [cioè non vietato dall'art. 81 TCE] "o vantaggioso" [cioè un accordo esentato ai sensi dell'art. 81(3) TCE] "ai sensi del diritto comunitario" (parte IV della proposta del regolamento 2000).

Nel primo caso, ai sensi del diritto CE è lecito (anche tenendo presente il concetto di mercato interno, art. 14 TCE) che le legislazioni antitrust degli Stati membri vietino più di quanto proibito dagli artt. 81 e 82 TCE. Nel secondo caso, una intesa che presenti i requisiti per ottenere l'esenzione di cui all'art. 81(3) TCE non può essere

legittimamente vietata dal diritto antitrust statale. Se questi sono i principi generali del rapporto tra disciplina antitrust

CE e disciplina antitrust degli Stati membri — principi che negano la necessità di una norma quale quella ex art. 3(2) reg. 1/03 che impedisce alle norme antitrust degli Stati membri di vietare più di quanto proibito dall'art. 81(1) TCE —, da una parte il TCE attribuisce al Consiglio la competenza per disciplinare "i rapporti fra le legislazioni nazionali" e il diritto antitrust CE (art. 83(2) lett. e TCE). Ai sensi di tale norma sulla produzione il Consiglio potrebbe prevedere — così come nella proposta di regolamento del 2000 — la competenza esclusiva del diritto antitrust CE per i casi di rilevanza comunitaria. Dall'altra, però, il Consiglio deve esercitare tale competenza nei limiti in cui ciò sia necessario per il raggiungimento delle finalità dell'art. 3(1) lett. g TCE — obiettivo per il quale sono emanati i regolamenti ex art. 83 TCE —, cioè nel rispetto del principio di proporzionalità (ex art. 5(3) TCE).

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

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Sulla base di questi presupposti è quindi possibile risolvere il problema supra posto, e cioè la legittimità, alla luce del principio di proporzionalità, dell'art. 3(2) reg. 1/03.

Secondo la giurisprudenza CE, "al fine di stabilire se una norma di diritto comunitario sia conforme al principio di proporzionalità, si deve accertare se i mezzi da essa contemplati siano idonei a conseguire lo scopo perseguito e non eccedano quanto è necessario per raggiungere detto

scopo" (corsivo aggiunto) 415. È cioè necessario valutare, nel presente caso, se l'art. 3(2) reg. 1/03 sia idoneo al raggiungimento delle finalità dell'art. 3(1) lett. g TCE (e quindi se esso sia idoneo alla tutela del mercato interno così come richiesto dal TCE) e, in caso positivo, se esso non ecceda quanto necessario per il raggiungimento di tale scopo.

La particolarità relativa all'esercizio della competenza ex art. 83(2) lett. e TCE — con riferimento alla proporzionalità dei provvedimenti emanati — è dato dal fatto che la competenza in materia antitrust si concretizza — come approfondito supra § 37 — in due divieti (gli artt. 81 e 82 TCE). Questi divieti permettono di definire chiaramente quando l'applicazione di una norma antitrust statale determina un pregiudizio per la tutela del mercato interno (e cioè nel caso in cui le norme antitrust statali vietino meno del diritto antitrust CE, salvo l'ipotesi di intese esentate ex art. 81(3) TCE). La Commissione con riferimento alla "competenza" antitrust (rectius ai due divieti degli artt. 81 e 82 TCE) non ha alcuna discrezionalità nello sviluppo della stessa; essa ha solamente l'obbligo di applicare i divieti. Questa ipotesi è sostanzialmente differente rispetto a competenze normative in senso stretto — quali la competenza ambientale 416 — per le quali gli organi

415 Sentenza della Corte del 9 novembre 1995, Repubblica federale di Germania contro

Consiglio dell'Unione europea, causa C-426/93, Raccolta della Giurisprudenza, 1995, p. I - 3723, § 42; v. anche Sentenza della Corte del 12 novembre 1996, Regno Unito di Gran

Bretagna e Irlanda del Nord contro Consiglio dell'Unione europea, causa C-84/94, Raccolta della

giurisprudenza, 1996, p. I - 5755, § 57. 416 Con riferimento alla competenza ambientale, il Trattato CEE, così come modificato

dall'Atto unico, disponeva: "la Comunità agisce in materia ambientale nella misura in cui gli obiettivi di cui al paragrafo 1 possano essere meglio realizzati a livello comunitario piuttosto che a livello dei singoli Stati membri" (art. 130 R TCEE). I primi commentatori di tale norma avevano sottolineato che l'art. 130 R (4) TCEE non si presentava come una norma che definisse chiaramente e definitivamente le competenze rispettive della Comunità e degli Stati membri, ma piuttosto come una norma che indicasse semplicemente una linea direttrice di orientamento per gli organi della Comunità; v. LUDWIG KRÄMER, L'Acte

Unique Européen et la protection de l'environnement, in Revue Juridique de l'Environnement,

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

180

CE dispongono di un'ampia discrezionalità su come attuare la relativa materia 417.

Ciò detto, la previsione dell'art. 3(2) reg. 1/03, come supra osservato, non è idonea al raggiungimento delle finalità dell'art. 3(1) lett. g TCE, né a garantire la tutela del mercato interno come richiesto dal TCE: non esiste infatti alcun rapporto tra la tutela del mercato interno e la competenza esclusiva del diritto antitrust CE con riferimento alle intese rientranti nel campo di applicazione dell'art. 81 TCE. Come il reg. 1/03 stesso riconosce, "per istituire un sistema che impedisca distorsioni della concorrenza nel mercato comune occorre provvedere all'applicazione efficace e uniforme degli articoli 81 e 82 del Trattato nella Comunità" (considerando 1 reg. 1/03). Ma questo non richiede — come previsto al contrario dall'art. 3(2) reg. 1/03 — anche l'applicazione uniforme al diritto antitrust CE delle norme antitrust statali in materia di accordi anticoncorrenziali.

Inoltre, sotto un differente profilo, non solo l'art. 3(2) reg. 1/03 non è idoneo a raggiungere tali obiettivi, ma — tenendo presente il rapporto tra l'art. 3(2) reg. 1/03, le finalità dei regolamenti ex art. 83(2) lett. e TCE, l'art. 3(1) lett. g TCE e il concetto di mercato interno — la finalità di una norma come l'art. 3(2) reg. 1/03 non può legittimamente essere quella di agevolare "le attività commerciali in Europa", come sostenuto dalla Commissione 418. Infatti, i regolamenti ex art. 83(2) lett. e TCE — sulla base dei quali è stato emanato l'art. 3(2) reg. 1/03 — hanno la finalità di pervenire all'obiettivo dell'art. 3(1) lett. g TCE; lo

1987, p. 454, p. 454 - 456; PASCALE KROMAREK, Commentaire de l'Acte Unique européen en

matière d'environnement, in Revue Juridique de l'Environnement, 1988, p. 82, p. 82. Inoltre, con riferimento all'esercizio di essa a livello comunitario ed a livello degli Stati membri, è stato sostenuto: "Il s'agit d'une disposition devant avoir une portée essentiellement pratique, elle n'a pas pour but d'établir une primauté au sens juridique du terme, mais de permettre de fixer dans des cas concrets les priorités d'action selon l'opportunité de la situation", PASCALE KROMAREK, Commentaire, cit., p. 82. Tale "primauté", al contrario, è espressamente definita dagli artt. 81 e 82 TCE in considerazione della loro natura di divieti. Tale differenza è essenziale per definire la proporzionalità dell'art. 3(2) reg. 1/03.

417 Sul rapporto nella giurisprudenza CE tra discrezionalità per l'attuazione della competenza normativa e valutazione della proporzionalità dei provvedimenti emanati — nel senso che meno è ampia la discrezionalità per l'attuazione della competenza, più è possibile definire la proporzionalità dei provvedimenti emanati degli organi CE —, v. TAKIS TRIDIMAS, The General Principles of EC Law, Oxford, Oxford University Press, 1999, 89 ss.; JOHN A. USHER, General Principles of EC Law, London, Longman, 1998, 37 ss..

418 XXXII Relazione sulla politica di concorrenza, § 17.4.

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

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scopo di tale norma non è l'agevolazione delle "attività commerciali in Europa" ma — come già sottolineato — la creazione di "un regime inteso a garantire che la concorrenza" — concorrenza nel caso di specie tutelata dagli artt. 81 e 82 TCE — "non sia falsata nel mercato interno".

Quanto fin qui sostenuto accerta una prima violazione del principio di proporzionalità da parte dell'art. 3(2) reg. 1/03. Quanto da esso previsto non è infatti "idone[o] a conseguire lo scopo perseguito", cioè la tutela del mercato interno (rectius il raggiungimento delle finalità dell'art. 3(1) lett. g TCE ).

46. (segue) b) l'illegittimità dell'art. 3(2) reg. 1/03 in quanto norma che

eccede quanto è necessario al raggiungimento delle finalità dell'art. 3(1)

lett. g TCE.

Passando al secondo requisito indicato dalla giurisprudenza CE per

determinare la proporzionalità di una misura, è necessario valutare se l'art. 3(2) reg. 1/03 sia proporzionato al raggiungimento del fine. A ben vedere, anche volendo ipotizzare che tale norma sia idonea per la tutela del mercato interno — cosa che è stata supra esclusa — l'art. 3(2) reg. 1/03 vìola tale secondo requisito per quattro differenti motivi.

In primo luogo, il reg. 1/03 prevede quello che è realmente necessario

per evitare che l'applicazione delle norme antitrust degli Stati membri sia

contraria alla tutela del mercato interno come richiesto dal TCE; cioè esso prevede un sistema di controllo che permette di verificare che le norme antitrust degli Stati membri non pervengano a conclusioni in violazione del diritto CE (rectius vietino meno di quanto vietato ai sensi degli artt. 81(1) e 82 TCE, salvo l'ipotesi dell'art. 81(3) TCE). Infatti, i procedimenti di controllo della Commissione nei confronti di tali organi degli Stati membri permettono incidentalmente alla Commissione di constatare immediatamente se tali organi, applicando il diritto antitrust degli Stati membri, siano pervenuti a conclusioni illegittime con riferimento al diritto CE. In considerazione dell'obbligo di applicazione del diritto antitrust CE, quando le Autorità e i giudici nazionali applicano il diritto antitrust degli Stati membri (art. 3(1) reg. 1/03), la Commissione riceve dagli organi statali — tramite i procedimenti di controllo rispettivamente indicati infra § 124 e § 167 —

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

182

sia le proposte di decisione delle Autorità nazionali (ex art. 11(4) reg. 1/03), sia le sentenze dei giudici nazionali (ex art. 15(2) reg. 1/03) emanate ai sensi del diritto antitrust CE; documenti in cui si farà incidentalmente riferimento anche all'eventuale applicazione e conclusione delle fattispecie ai sensi del diritto antitrust degli Stati membri 419. In questo modo la Commissione, in presenza di (presunte) misure nazionali che siano in violazione del diritto CE, potrà iniziare un procedimento di controllo ai sensi del reg. 1/03 — ex art. 11(4) reg. 1/03 o art. 15(3) reg. 1/03 — o un procedimento ex art. 226 TCE.

In secondo luogo, la proporzionalità (rectius, in questo caso, la necessità) dell'art. 3(2) reg. 1/03 è ulteriormente messa in discussione in quanto le ipotesi in cui il diritto antitrust degli Stati membri possa essere applicato in contrasto con il mercato interno (rectius che gli organi statali possano vietare meno di quanto vietato dagli artt. 81 e 82 TCE o vietino intese esentate ex art. 81(3) TCE) è già ridotta da altri procedimenti disciplinati dal reg. 1/03.

L'art. 12(2) ultima parte reg. 1/03, ad esempio, riduce il rischio che le Autorità nazionali pervengano ad applicazioni difformi tra normativa antitrust CE e normativa antitrust degli Stati membri, e questo in una forma meno vincolante dell'art. 3(2) reg. 1/03 — e quindi in modo più aderente al principio di proporzionalità —. L'art. 12(2) ultima parte reg. 1/03 permette infatti alle Autorità nazionali di utilizzare le informazioni acquisite ai sensi del reg. 1/03 anche per l'applicazione del diritto antitrust degli Stati membri. In tal caso, il reg. 1/03 prevede però due requisiti, e cioè [1.] "la legislazione nazionale in

materia di concorrenza" deve essere "applicata allo stesso caso e in parallelo al diritto comunitario in materia di concorrenza" e, soprattutto, che [2.] l'utilizzo di tali informazioni "non porti ad un risultato

diverso" rispetto al diritto antitrust CE (corsivo aggiunto). L'art. 12(2) reg. 1/03 prevede quindi un incentivo affinché le norme antitrust statali, quando sono applicate dalle Autorità nazionali, pervengano alle stesse conclusioni sia dell'art. 81 che dell'art. 82 TCE.

A ben vedere, però, tale norma "spinge" ad una (e più stringente ma non vincolante) armonizzazione del testo della norma statale corrispondente all'art. 82 TCE. Infatti, perchè le Autorità nazionali

419 V. infra § 115, nota 711.

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

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possano sfruttare con costanza l'incentivo dell'art. 12(2) ultima parte reg. 1/03 — cioè utilizzare le informazioni raccolte ai sensi del reg. 1/03 per l'applicazione del divieto statale di comportamenti unilaterali anticoncorrenziali delle imprese — devono applicare una norma di divieto simile a quella dell'art. 82 TCE così da pervenire alle medesime conclusioni raggiunte applicando l'art. 82 TCE. In questo modo, l'art. 12(2) ultima parte reg. 1/03 costituisce un incentivo per gli Stati membri a ricostituire (volontariamente — con riferimento all'art. 82 TCE) la

competenza esclusiva (anche se di fatto) del diritto antitrust CE così come precedentemente disciplinata espressamente dall'art. 3 della proposta di regolamento del 2000 (v. supra § 42).

In terzo luogo, l'eventualità che le norme antitrust statali pervengano a conclusioni in contrasto con la tutela del mercato interno (rectius che gli organi proibiscano meno di quanto vietato dagli artt. 81(1) e 82 TCE o vietino intese esentate ex art. 81(3) TCE) è già stata esclusa — a prescindere dalle norme del reg. 1/03 — dalla naturale evoluzione dei

sistemi antitrust degli Stati membri. Essi si sono sviluppati — in rapporto al sistema antitrust CE — proprio con l'obiettivo di pervenire all'applicazione del diritto antitrust degli Stati membri non in contrasto con il diritto CE 420. Infatti, le discipline antitrust degli Stati membri sono state "comunitarizzate" riguardo ai divieti previsti dagli artt. 81 e 82 TCE 421. Alcuni Stati membri hanno previsto inoltre l'obbligo di interpretazione delle norme antitrust degli Stati membri secondo i principi antitrust CE 422. Infine, la normativa italiana ha addirittura previsto un campo di applicazione "residuale" rispetto a quello del diritto antitrust CE (art. 1(1) l. n. 287/90) 423.

420 Sul punto ci permettiamo di rinviare al nostro LORENZO FEDERICO PACE, Il sistema

italiano di tutela della concorrenza e il "vincolo comunitario" imposto al legislatore nazionale:

l'art. 1 l. n. 287/90, in Rivista italiana di Diritto pubblico comunitario, 2001, 997, p. 997, in cui ampia dottrina.

421 Sul punto v. MANFRED DREHER, Gemeineuropäisches Kartellrecht, in Festschrift

Alfred Söllner, München, Beck Verlag, 2000, p. 217; v. anche BERTHOLD SCHANZE, Die

europaorientierte Auslegung des Kartellverbots, Frankfurt am Main, Peter Lang, 2003, p. 161 ss..

422 Con riferimento all'impostazione della legge antitrust italiana ed inglese, v. LORENZO FEDERICO PACE, Il sistema italiano di tutela, a nota 420, § 4 e 8; v. anche BERTHOLD SCHANZE, Die europaorientierte, cit. a nota 421, 36 ss.

423 In altre parole la normativa italiana antitrust si applica quando non si applica il diritto antitrust CE o il regolamento di controllo delle concentrazioni CE. Sulla "modifica a

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

184

Una simile situazione di diritto — scaturita da una volontaria evoluzione dei sistemi antitrust degli Stati membri e non dall'esercizio dell'art. 83(2) lett. e TCE — evita che le leggi statali pervengano a conclusioni in violazione del diritto antitrust CE, cioè che esse vietino meno di quanto previsto dagli artt. 81(1) e 82 TCE o che vietino intese esentate ex art. 81(3) TCE.

A ben considerare, simili normative statali antitrust "armonizzate" (o anche vincolate nell'interpretazione dal diritto antitrust CE) evitano, inoltre, che le norme antitrust statali non solo pervengano a conclusioni più rigide dell'art. 81 TCE — come imposto dall'art. 3(2) reg. 1/03 — ma evitano (anche in questo caso, oltre a quanto previsto all'art. 12(2) ultima parte reg. 1/03) che esse pervengano anche a conclusioni più rigide dell'art. 82 TCE.

Ebbene, il problema che l'art. 3(2) reg. 1/03 intende risolvere è stato perciò sostanzialmente eliminato direttamente dagli Stati membri. Questo non esclude però che gli Stati membri, ai sensi delle loro leggi antitrust, possano vietare — in quanto legittimo ai sensi del diritto CE — fattispecie non vietate dal diritto antitrust comunitario (salvo l'ipotesi dell'art. 81(3) TCE) senza che ciò abbia conseguenze negative con riferimento all'obiettivo ex art. 3(1) lett. g TCE.

In quarto luogo, la necessità di una norma quale quella prevista dall'art. 3(2) reg. 1/03, al fine della tutela del mercato interno, è ancora meno giustificata se si tengono presenti i risultati a cui l'ordinamento CE è pervenuto in assenza di una simile disposizione. Infatti, nella

vigenza del reg. 17/62 si è pervenuti — il 31 dicembre 1992 — al mercato

interno (art. 14(1) TCE) 424. E ciò senza che il reg. 17/62 avesse previsto una norma che disciplinasse i rapporti tra diritto antitrust CE e norme antitrust degli Stati membri; e, ulteriormente, nonostante il fatto che le allora normative antitrust nazionali — quando erano previste nei singoli Stati membri 425 — erano differenti come formulazione e

testo inalterato" della previsione dell'art. 1(1) l. n. 287/90 da parte della prassi e della giurisprudenza italiana, v. infra.

424 L'art. 14(1) TCE prevede che "la Comunità adotta le misure destinate all'instaurazione del mercato interno nel corso di un periodo che scade il 31 dicembre 1992, conformemente alle disposizioni del presente articolo e degli articoli 15, 26, 47, paragrafo 2, 49, 80, 93 e 95 e senza pregiudizio delle altre disposizioni del presente Trattato".

425 V. LORENZO FEDERICO PACE, L'evoluzione, cit. in 257, § 1 - 3.

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

185

determinavano il rischio di conclusioni in violazione del diritto antitrust CE 426. D'altra parte, ad escludere che tale assenza sarebbe stata un rischio per le finalità dell'art. 2 TCE e 3(1) lett. g TCE, la stessa Commissione aveva deciso nel 1972 di non emanare normative in attuazione dell'art. 83(2) lett. e TCE.

Non sembra quindi che dopo 40 anni dalla firma del TCE una disciplina come quella dell'art. 3(2) reg. 1/03 (di cui per altro la Corte di giustizia, differentemente da quanto affermato dalla Commissione, non ha mai indicato la necessità 427) sia necessaria per la tutela del mercato interno. Anzi la Corte stessa ha riconosciuto espressamente nel 1999 che le leggi antitrust nazionali perseguono (legittimamente) finalità differenti rispetto al diritto antitrust CE, in questo modo ricordando nuovamente la loro legittimità comunitaria 428.

Questi aspetti — non presi in considerazione dal reg. 1/03 — chiariscono ulteriormente l'illegittimità dell'art. 3(2) reg. 1/03 per violazione del principio di proporzionalità (anche nel caso — rigettato

supra § 45 — in cui si sostenga che l'art. 3(2) sia idoneo al raggiungimento delle finalità dell'art. 3(1) lett. g TCE) 429. L'art. 3(2) reg. 1/03, infatti, manifestamente "ecced[e] quanto è necessario per raggiungere [lo] scopo" 430 per il quale i regolamenti ex 83 TCE sono emanati, cioè, in ultima istanza, la creazione di "un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno".

L'illegittimità dell'art. 3(2) reg. 1/03 determina quindi la "riemersione" dei principi generali relativi al rapporto tra diritto antitrust CE e diritto antitrust degli Stati membri.

426 OSKAR KLUG, Die Problematik, cit. a nota 262, 171. 427 Nella citata sent. Walt Wilhelm, e in particolare ai §§ 4 e 5, la Corte di giustizia non

prende in considerazione la necessità di disciplinare il rapporto tra norme antitrust degli Stati membri e il diritto antitrust CE. Diversamente, la Corte mutua dalla possibilità di disciplinare "norme interne e norme comunitarie sulla concorrenza" ex art. 83(2) lett. e TCE due principi distinti: in primo luogo, il TCE non esclude la competenza antitrust degli Stati membri; in secondo luogo, "il carattere preminente del diritto comunitario" (§ 5).

428 Sentenza della Corte del 16 luglio 1992, Banche spagnole, cit. a nota 366. 429 L'illegittimità dell'art. 3(2) reg. 1/03 è stata già sostentua nel nostro PACE LORENZO

FEDERICO, Die Dezentralisierungspolitik im EG-Kartellercht. Sind Art. 3 II, 6 der VO 1/2003

rechtmässig?, in Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht, 2004, 301. 430 Sentenza della Corte del 9 novembre 1995, Repubblica federale di Germania contro

Consiglio dell'Unione europea, causa C-426/93, Raccolta della Giurisprudenza, 1995, p. I - 3723, § 42.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

186

47. La non irrilevanza della scelta di applicare ad una fattispecie il diritto

antitrust europeo o il diritto antitrust statale: a) le finalità differenti; b)

il federalismo antitrust europeo; c) il differente rapporto tra il diritto

d'autore e il diritto antitrust europeo e statale: la situazione italiana.

Come osservato (v. supra § 45), il reg. 1/03 sostiene la irrilevanza del

fatto che si applichi il diritto antitrust CE oppure il diritto antitrust degli Stati membri o, addirittura, che "l'applicazione parallela delle normative nazionali e del diritto comunitario in materia di concorrenza deve essere evitato poiché porta a procedimenti paralleli

inutili" (corsivo aggiunto) 431. In questa sede si vuole contestare tale impostazione. A tal fine è

utile ricordare che, in primo luogo, se si applica il diritto antitrust CE si tutelano gli obiettivi disciplinati dall'art. 2 TCE; al contrario se si applica il diritto antitrust statale si tutelano le finalità definite dai singoli Stati membri — e ciò, in presenza della discrezionalità degli Stati membri di vietare intese e pratiche unilaterali non vietate dal diritto antitrust CE (salvo il caso delle intese esentate ex art. 81(3) TCE), permette alla disciplina nazionale antitrust di pervenire a conclusioni differenti da quelle del diritto antitrust CE, v. supra § 33 —. Con riferimento alle differenti finalità del diritto antitrust della CE e degli Stati membri, nel caso dell'ordinamento italiano, nell'ipotesi in cui l'Autorità o i giudici nazionali applichino la legge antitrust italiana essi, come previsto dall'art. 1(1) l. n. 287/90, perseguono le finalità relative all'art. 41 Cost. it.. Al contrario essi, nel caso in cui applichino gli artt. 81 e 82 TCE, perseguono le finalità previste dall'art. 2 TCE (o, applicando gli artt. 161 e 162 Cost. eu., essi perseguiranno gli obiettivi dell'art. 3 Cost. eu.) 432.

In secondo luogo, l'impostazione della Commissione richiamata, non tiene presente l'importanza del cd. federalismo antitrust CE. Rinviando a quanto esposto infra § 53, in questa sede è sufficiente ricordare che, da

una parte, la possibilità che in un sistema a due livelli ("two tier") come

431 V. parte IV della proposta di regolamento del 2000, parte relativa all'art. 3, rubricato

come "Rapporto fra gli articoli 81 e 82 e le legislazioni nazionali in materia di concorrenza". 432 Riguardo a tale distinzione, e a come questa sia stata sottovalutata dal TAR Lazio,

v. LORENZO FEDERICO PACE, Ragionieri e Commercialisti: tra Bnic Clair e Reiff, in Giurisprudenza costituzionale, 2000, 1913.

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

187

quello antitrust CE — in cui le Autorità nazionali partecipano a tale sistema — è utile e necessario mantenere una forma di controllo "esterno" — rispetto ai controlli "interni" emanati ai sensi dell'art. 83(2) lett. e TCE — da parte degli Stati membri nei confronti della Commissione (sul concetto di controlli "esterni" ed "interni", v. infra § 53). Dall'altra, l'applicazione del diritto antitrust degli Stati membri secondo il principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE — e non secondo l'art. 3(2) reg. 1/03 — crea incidentalmente "un (positivo) colloquio" tra livello CE e livello degli Stati membri per la definizione della politica di concorrenza CE. In questo modo le Autorità nazionali — potendo applicare parallelamente il diritto antitrust statale e il diritto antitrust CE — mantengono la possibilità di reagire a fronte di eventuali politiche antitrust definite unilateralmente dalla Commissione, pervenendo legittimamente — ai sensi della disciplina antitrust degli Stati membri — a conclusioni più rigide di quanto previsto dalla politica di concorrenza CE.

Sempre con riferimento alla contestazione di quanto sostenuto dalla Commissione riguardo alla coincidenza dell'applicazione del diritto antitrust della CE o degli Stati membri, in terzo luogo è d'uopo ricordare che il fatto che un'Autorità nazionali applichi il diritto antitrust della CE o del relativo Stato membro può attribuire ad essa poteri differenti per contrastare una medesima violazione antitrust. È questo il caso, ad esempio, in cui l'Autorità antitrsut italiana applichi l'art. 82 TCE a fronte di violazioni le quali richiedano — al fine della loro eliminazione — uno specifico facere all'impresa che pone in essere il comportamento vietato (quali, ad es., l'abuso di posizione dominante relativo all'essential

facility doctrine 433). In questa ipotesi l'Autorità avrebbe la facoltà di imporre la licenza obbligatoria per lo sfruttamento da parte dei

433 Con riferimento alla definizione del concetto di essential facility, v. Comunicazione

della Commissione sull'applicazione delle regole di concorrenza agli accordi in materia di accesso nel settore delle telecomunicazioni — Quadro normativo, mercati rilevanti e principi, in GUCE C 265 del 22 agosto 1998, p. 2, § 68. Con riferimento a casi di applicazione dell'essential facility doctrine nel diritto comunitario antitrust v, tra le tante, decisione della Commissione del 21 dicembre 1993, Sea Containers/Stena Sealink, in GUCE L 15 del 18 gennaio 1994, p. 8, § 66 e Sentenza della Corte (Sesta Sezione) del 26 novembre 1998, Oscar Bronner, cit. a nota 374.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

188

concorrenti di beni tutelati dal diritto d'autore, ipotesi questa non permessa dalla disciplina nazionale 434.

434 Infatti, come altrove rilevato (LORENZO FEDERICO PACE, Il sistema italiano di tutela,

a nota 420), perché possa essere imposto l'obbligo a rilasciare una licenza relativamente allo sfruttamento di un'opera coperta dal diritto d'autore per comportamenti aventi "effetto negativo sulla concorrenza nel mercato corrispondente", è necessario — ai sensi della regolamentazione di Diritto internazionale (cfr. l'art. 9(2) della Convenzione di Berna, così come modificata dalla Convenzione di Parigi del 1971; gli artt. 8(2) e 40(2) dell'accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (accordo TRIPs del 1994) — che ciò sia espressamente previsto dalla normativa dello Stato contraente i relativi Trattati (sul punto v. ANDREAS HEINEMANN, Antitrust Law of Intellectual Property in the TRIPs Agreement of the World Trade Organization, in Studies in Industrial Property and

Copyright Law, München, Max Planck Institut München, 1996, p. 239, p. 241). A tutt'oggi l'ordinamento italiano non disciplina l'ipotesi in presenza della quale l'Autorità nazionale antitrust, a seguito di un abuso di posizione dominante posto in essere tramite l'esercizio di un diritto esclusivo d'autore, possa imporre la concessione di una licenza obbligatoria. Ne consegue che — ad esempio — anche nel caso in cui fosse configurabile in capo ad un soggetto la violazione dell'art. 3 l. n. 287/90 — e ciò a seguito del rifiuto di concedere la licenza per lo sfruttamento di un bene (considerato una essential facility) e coperto dalla legge sul diritto d'autore — tale soggetto non potrebbe comunque essere obbligato a concedere una licenza siffatta se non in violazione delle relative norme stesse della legge sul diritto d'autore (l. 22 aprile 1941, n. 633) (sul punto v. Massimo Scuffi, I rapporti tra i giudizi avanti alla Corte di appello e al Tribunale. Diritto processuale antitrust, tutela giurisdizionale della concorrenza, Milano: Giuffrè , 1998, p. 132). Né sarebbe obiettabile ex adverso che la concessione della licenza da parte del titolare dell'opera non sarebbe imposta (e quindi non sarebbe una licenza obbligatoria) in quanto tale licenza sarebbe conseguenza della generica diffida a porre fine al comportamento vietato (art. 15(1) l. n. 287/90). Infatti, in primo luogo, l'unica modalità per porre fine all'abuso ai sensi della essential facility doctrine è la concessione dell'uso del bene che costituisce l'essential facility, e quindi — nel caso di specie — nella licenza dell'opera. In secondo luogo, se è vero che la l. n. 633/41 non prevede la possibilità che un siffatto obbligo sia imposto in presenza di tale fattispecie, allora è altrettanto vero che anche la diffida dell'Autorità garante la quale, pur non specificando il comportamento "dovuto" per l'eliminazione dell'infrazione, indirettamente si risolvesse in una coartazione dell'impresa, dovrebbe parimenti ritenersi non consentito. Si tratterebbe, infatti, di un obbligo "sotto le mentite spoglie" di un "onere" (Sul punto, per pertinenti osservazioni in sede di teoria generale, v. GIACOMO GAVAZZI, L'onere: tra la libertà e l'obbligo, Torino, Giappichelli, 1970, p. 145 ss.). Ne conseguirebbe che il relativo provvedimento dell'Autorità garante sarebbe giudizialmente censurabile sia per il vizio di violazione di legge, che per il vizio di eccesso di potere per sviamento.

Differente è la soluzione nel caso il comportamento abusivo fosse valutato ai sensi del diritto comunitario di tutela della concorrenza. Infatti, l'efficacia del diritto antitrust CE non può essere limitata né dalle norme di Trattati internazionali, né tanto meno da normative degli Stati membri CE. D'altra parte, con riferimento ai Trattati internazionali di cui la Comunità è stata firmataria ai sensi dell'art. 300 TCE (come ad esempio l'accordo TRIPs) essi costituiscono atti della Comunità ai sensi dell'art. 234 lett. b TCE. Come tali essi — se ratificati — sono conseguentemente (rectius necessariamente) compatibili con le norme del Trattato CE, tra cui anche l'art. 82 TCE. D'altra parte, i Trattati internazionali stipulati dagli Stati membri anteriormente alla firma o al relativo loro ingresso nella Comunità europea — ma non sottoscritti dalla Comunità — non possono essere fatti valere al fine di limitare l'efficacia delle norme del Trattato CE nel seguente caso; cioè nell'ipotesi

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

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48. L'art. 3(3) reg. 1/03: a) il rapporto tra diritto antitrust europeo e le

legislazioni nazionali in materia di fusioni.

Dopo la disciplina del rapporto tra gli artt. 81 e 82 TCE e le

legislazioni antitrust nazionali (art. 3(2) reg. 1/03), l'art. 3(3) regola delle eccezioni a quanto disposto dagli artt. 3(1) e 3(2) reg. 1/03.

L'art. 3(3) reg. 1/03 prevede che "fatti salvi i principi generali ed altre

disposizioni di diritto comunitario, i paragrafi 1 e 2", da una parte, "non si applicano quando le Autorità garanti della concorrenza e le giurisdizioni degli Stati membri applicano la legislazione nazionale in

in cui la fattispecie materiale coinvolta si esaurisca nell'ambito dell'area comunitaria e non vengano in rilievo diritti di paesi terzi non appartenenti alla CE, paesi che abbiano a loro volta ratificato quei Trattati internazionali (V. sent. Sentenza della Corte del 6 aprile 1995, Radio Telefis Eireann (RTE) e Independent Television Publications LTD (ITP) contro

Commissione delle Comunità europee, cause riunite C-241/91 P e C-242/91 P, Raccolta della

giurisprudenza, 1995 p. I - 743, § 84-86). Inoltre, i Trattati internazionali sottoscritti da Stati membri CE con paesi terzi successivamente all'entrata in vigore del Trattato CE, o successivamente al momento dell'adesione alla Comunità, devono, in forza dell'art. 10 TCE, essere coerenti con il Trattato CE. Infine, con riferimento alla prevalenza degli artt. 81 e 82 TCE sulle normative nazionali anche relative alla tutela del diritto d'autore, basti ricordare quanto sostenuto dal Tribunale di primo grado nel caso Magill. Il Tribunale ha sostenuto che "il diritto comunitario e in ispecie i suoi principi fondamentali, come [quello] della libera concorrenza, prevalgono sull'uso, non conforme a questi principi, di una norma nazionale in materia di proprietà intellettuale" (v. Sentenza della Corte del 6 aprile 1995, ITP, cit. a nota 434, § 86).

Quindi, confermando quanto supra sostenuto in contrasto con l'impostazione della Commissione, se è vero che in assenza di una espressa previsione normativa l'Autorità garante italiana non dispone della facoltà di imporre il rilascio di licenze obbligatorie (art. 15 l. n. 287/90), tale limitazione non sussiste allorché l'Autorità proceda all'applicazione diretta dell'art. 82 TCE. Dal momento che l'art. 82 TCE prevale "sull'uso (…) di una norma nazionale in materia di proprietà intellettuale", l'Autorità garante dispone, "utilizzando i poteri ed agendo secondo le procedure di cui al titolo II, capo II, della (…) legge n. 287 del 1990" (art. 54(5) l. n. 52/96), della facoltà di imporre il rilascio di licenze obbligatorie (con riferimento alla facoltà della Commissione di imporre il rilascio di licenze obbligatorie ai sensi dell'art. 3 reg. 17/62 CE, v. sent. Magill). In tal caso la Corte di Giustizia ha infatti sostenuto: "Si deve rilevare che l'applicazione dell'art. 3 del regolamento n. 17 va adeguata alla natura della trasgressione accertata e può consistere tanto nell'ordine di tenere certi comportamenti o effettuare certe prestazioni, illegalmente omesse, quanto nel divieto di persistere in certi comportamenti e pratiche o di mantenere ferme certe situazioni contrarie al Trattato" (Sentenza della Corte del 6 aprile 1995, ITP, cit. a nota 434, § 90). Con una posizione leggermente differente, v. ANNA GENOVESE, Il risarcimento del

danno da illecito concorrenziale (ed. provv.), Napoli, ESI, 2004, 95. Con riferimento alla problematica del rapporto tra diritto antitrust e proprietà

intellettuale, v. ROSARIA ROMANO, Discussione di alcune relazioni in tema di opere

dell'ingegno e antitrust, in Annali Italiani del Diritto d'Autore, 2001, p. 253.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

190

materia di controllo delle fusioni"; dall'altra, i paragrafi 1 e 2 non "precludono l'applicazione di norme nazionali che persegu[a]no principalmente un obiettivo differente rispetto a quello degli articoli 81 e 82 del Trattato" (corsivo aggiunto).

La necessità di non applicare l'art. 3(1) reg. 1/03 riguardo alle normative nazionali in materia di concentrazioni consegue da ciò; le concentrazioni sono configurabili anche come accordi o come pratiche tra imprese; come tali ricadono nel campo di applicazione degli artt. 81 o 82 TCE ai sensi della giurisprudenza Philip Morris e Continental Can 435. Se l'obbligo dell'art. 3(1) reg. 1/03 fosse esteso anche a tale ipotesi, le Autorità o i giudici nazionali — valutando una concentrazione non di rilevanza comunitaria secondo il diritto statale (art. 21(3) reg. 139/04) 436 — dovrebbero iniziare — ma non nel caso italiano 437 — un procedimento anche ex artt. 81 e 82 TCE.

L'art. 3(3) reg. 1/03 ha stabilito, per evitare la moltiplicazione di procedimenti di valutazione ai sensi del diritto antitrust CE e della disciplina nazionale sulle concentrazioni, una deroga a quanto definito dall'art. 3(1) reg. 1/03. Nei casi sopra elencati, quindi, le Autorità o i giudici nazionali non sono obbligati ad iniziare — parallelamente ai procedimenti di valutazione delle concentrazioni — anche procedimenti ai sensi degli artt. 81 e 82 TCE. Questo non esclude che

435 Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia espressa nelle sentenze Philip Morris e Continental Can gli artt. 81 e 82 TCE sono applicabili al controllo delle concentrazioni. Sul punto CLAUDIA SEITZ, One-stopShop und Subsidiarität, Köln, Carl Heymanns Verlag KG, 2002, 18 ss..

436 Regolamento 139/04 del Consiglio del 20 gennaio 2004 relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese («Regolamento comunitario sulle concentrazioni»), in GU L 24 del 29 gennaio 2004. L'art. 21(3) reg. 139/03 recita: "3. Gli Stati membri non applicano la loro normativa nazionale sulla concorrenza alle concentrazioni di dimensione comunitaria. Il primo comma lascia impregiudicato il potere degli Stati membri di procedere alle indagini necessarie all'applicazione dell'articolo 4, paragrafo 4, e dell'articolo 9, paragrafo 2, e di prendere, dopo il rinvio, conformemente all'articolo 9, paragrafo 3, primo comma, lettera b), o paragrafo 5, le misure strettamente necessarie in applicazione dell'articolo 9, paragrafo 8".

437 Con riferimento all'Italia, il problema della duplicazione dei procedimenti è già stato risolto dal legislatore del 1990. L'art. 1(1) l. n. 287/90 prevede infatti che tale legge sia applicabile solo quando non siano applicabili gli artt. 81 e 82 TCE e, per quanto riguarda il controllo sulle concentrazioni, l'art. 1(1) l. n. 287/90 prevede che la l. n. 287/90 si applichi "alle intese, agli abusi di posizione dominante e alle concentrazioni di imprese che non ricadano nell'ambito di applicazione (…) dei regolamenti della CEE". Tale disposizione ha la funzione di definire, rinviando alla normativa comunitaria vigente, l'ambito di applicazione del controllo statale delle concentrazione tra imprese.

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

191

gli artt. 81 e 82 TCE rimangano comunque criteri di giudizio (ai sensi del principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE) della legittimità delle concentrazioni non di rilevanza comunitaria e che siano valutate dalle normative nazionali in materia di controllo delle concentrazioni. Infatti, l'art. 3(3) reg. 1/03 — prescrivendo che "i paragrafi 1 e 2 non si applicano quando le Autorità garanti della concorrenza e le giurisdizioni degli Stati membri applicano la legislazione nazionale in materia di controllo delle fusioni" — prevede una deroga alla disciplina dei casi di conflitto tra diritto antitrust CE e normative antitrust nazionali (art. 3(2) reg. 1/03). La conseguenza della deroga dell'art. 3(3) reg. 1/03 a quanto previsto dall'art. 3(2) reg. 1/03 — cioè la deroga … alla deroga dell'art. 3(2) reg. 1/03 rispetto al principio dell'effetto utile del

diritto antitrust CE, v. supra § 39 — determina niente altro che la "riemersione" dei principi generali del rapporto tra art. 81 e 82 TCE e normative degli Stati membri (divieto per le normative antitrust statali di considerare leciti comportamenti vietati dagli artt. 81(1) e 82 TCE, salvo il caso di intese esentate ex art. 81(3) CE). La conseguenza di ciò — rispetto all'art. 3(2) reg. 1/03 — determina quindi che le normative degli Stati membri relative al controllo delle concentrazioni possano vietare fusioni (rectius accordi) che non siano vietate ex art. 81(1) TCE. Per le altre due ipotesi, le normative statali sul controllo delle concentrazioni devono vietare fusioni (rectius accordi) che siano vietati ex art. 81(1) TCE; esse non possono vietare fusioni (rectius accordi o parti di accordi) che, sebbene vietati ai sensi dell'art. 81(1) TCE, siano esentati ex art. 81(3) TCE o rientrino in regolamenti di esenzione ex art. 81(3) TCE.

49. (segue) b) il rapporto tra diritto antitrust europeo e normative che

perseguono "un obiettivo differente da quello degli artt. 81 e 82 TCE".

L'applicazione parallela del diritto antitrust europeo e di norme

nazionali in materia di regolamentazione della concorrenza.

L'art. 3(3) reg. 1/03 prevede, con riferimento a quanto disciplinato

dagli artt. 3(1) e 3(2) reg. 1/03, una seconda deroga. Se nella prima ipotesi prevista dall'art. 3(3) reg. 1/03 l'applicazione delle normative statali sulle concentrazioni escludeva tout court l'applicazione degli artt.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

192

3(1) e 3(2), l'art. 3(3) seconda parte reg. 1/03 prevede che — sempre "fatti salvi i principi generali ed altre disposizioni di diritto comunitario" — gli artt. 3(1) e 3(2) reg. 1/03 non "precludono l'applicazione di norme nazionali che persegu[a]no principalmente un obiettivo differente rispetto a quello degli articoli 81 e 82 del Trattato".

Con riferimento alla differenza tra norme di "tutela della concorrenza" (quali gli artt. 81 e 82 TCE) e normative che siano dirette alla tutela di "altri legittimi interessi", rinviamo a quanto già detto supra

§ 21. Il fatto che una norma persegua "principalmente un obiettivo

differente rispetto a quello degli articoli 81 e 82 del Trattato" determina delle conseguenze rilevanti. In particolare, nel caso di applicazione di simili normative l'organo nazionale competente non deve iniziare un procedimento ai sensi degli artt. 81 e 82 TCE e, nei rapporti tra diritto antitrust CE e tali normative, si applica il principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE e non le (illegittime, v. supra § 45) regole definite ex art. 3(2) reg. 1/03 438.

Passando all'art. 3(3) seconda parte reg. 1/03, esso prescrive che gli artt. 3(1) e 3(2) "non precludono l'applicazione di norme nazionali che perseguono principalmente un obiettivo differente rispetto a quello degli articoli 81 e 82 del Trattato". Nulla esclude, da una parte, che possa essere istruito un procedimento di valutazione della liceità di un accordo ai sensi di una normativa nazionale siffatta, e ciò senza obbligo — ad esempio ex art. 3(1) reg. 1/03 — dell'apertura di un procedimento per valutare la violazione da parte di una intesa dell'art. 81 TCE. D'altra, nulla esclude — e infatti la norma "non preclude" tale possibilità — che sia aperta una duplice valutazione da parte delle competenti Autorità statali: la prima, nei confronti dell'intesa ai sensi

438 Il considerando 9 reg. 1/03 prevede inoltre che "nella misura in cui tale legislazione

nazionale persegue prevalentemente un obiettivo diverso da quello della protezione della concorrenza sul mercato, le Autorità garanti della concorrenza e le giurisdizioni degli Stati membri possono applicare tale legislazione nei rispettivi territori. Gli Stati membri possono pertanto, a norma del presente regolamento, attuare nei rispettivi territori una legislazione nazionale che vieti o sanzioni pratiche commerciali sleali, siano esse unilaterali o contrattuali. Una siffatta legislazione persegue un obiettivo specifico, a prescindere dagli effetti reali o presunti di tali atti sulla concorrenza nel mercato. Ciò è particolarmente vero per la legislazione che vieta alle imprese di imporre ai loro partner commerciali, di ottenere o di tentare di ottenere dagli stessi condizioni non giustificate, sproporzionate o irragionevoli".

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

193

della normativa che protegge "un obiettivo differente rispetto agli articoli 81 e 82" TCE; la seconda, in applicazione della disciplina antitrust CE e degli Stati membri. In altre parole, l'art. 3(3) seconda parte reg. 1/03 permette di applicare parallelamente due discipline aventi finalità differenti le quali si applicano entrambe — anche se con finalità differenti — alle fattispecie regolate dagli artt. 81 e 82 TCE.

Inoltre, l'art. 3(3) reg. 1/03 ha previsto che le normative statali che "perseguono (…) un obiettivo differente" dagli articoli 81 e 82 del Trattato, possono derogare alla previsione di cui all'art. 3(2) reg. 1/03. In altre parole, anche in questo caso (così come nel caso delle normative relative al controllo delle concentrazioni) la deroga dell'art. 3(3) reg. 1/03 non ha altra conseguenza — prevedendo una deroga … alla deroga dei principi generali imposta dall'art. 3(2) reg. 1/03 — se non quella di permettere nuovamente l'applicazione del principio dell'effetto

utile del diritto antitrust CE (v. supra § 39). Quello che sarebbe potuto accadere in assenza di una simile

eccezione è che una normativa nazionale avente una funzione differente da quella degli artt. 81 e 82 TCE (ad es. in materia di dipendenza economica o, in Italia, alcune disposizioni della cd. Legge Gasparri 439) non avrebbe potuto vietare un accordo che al contrario fosse stato valido ai sensi dell'art. 81(1) TCE. Infatti, in questa ipotesi l'art. 3(2) reg. 1/03 avrebbe imposto che l'intesa — in quanto rientrante nella fattispecie disciplinata dall'art. 81 TCE — non fosse vietata ai sensi della normativa antitrust nazionale se essa non fosse anche vietata dall'art. 81(1) TCE. Questa situazione avrebbe avuto quale conseguenza ultima quella di non permettere l'applicazione efficace di normative nazionali aventi finalità differenti dagli artt. 81 e 82 TCE.

Quindi, ai sensi dell'art. 3(3) reg. 1/03, nel caso di un procedimento parallelo come ipotizzato supra, per il primo procedimento — quello ai

439 Quindi, riferendosi alla cd. legge Gasparri (l. n. 112/04), ad una simile normativa si

applicherà — in quanto persegue "principalmente un obiettivo differente rispetto a quello degli articoli 81 e 82 del Trattato" — l'art. 3(3) reg. 1/03 e non l'art. 3(1) reg. 1/03 e 3(2) reg. 1/03. Ciò significa che l'apertura di procedimenti ai sensi degli artt. 14 ss. l. n. 112/04 non obbliga anche l'apertura di un procedimento ai sensi degli artt. 81 e 82 TCE. Inoltre, la disciplina nazionale antitrust italiana — nel caso in cui la fattispecie contestata non sia di rilevanza comunitaria, in considerazione dell'art. 1(1) l. n. 287/90 — manterrà in pieno la propria discrezionalità, non essendo applicabile il principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

194

sensi del diritto antitrust CE — sono validi gli (illegittimi) limiti di cui all'art. 3(2) reg. 1/03 (v. supra § 45); al contrario, per le legislazioni che tutelano interessi differenti da quelli degli artt. 81 e 82 TCE, si applica il generale principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE. Tale eccezione dell'art. 3(3) reg. 1/03 non permette però anche la deroga ai principi generali del rapporto tra diritto antitrust CE e normative nazionali 440. Non è infatti ipotizzabile che tali normative — le quali tutelano interessi distinti da quelli dell'art. 81 e 82 TCE — deroghino al principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE.

SOTTOSEZIONE III

LA VINCOLATIVITÀ PER I SINGOLI DI MISURE NAZIONALI IN

VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DELL'EFFETTO UTILE DEL DIRITTO

ANTITRUST EUROPEO E DELL'ART. 3(2) REG. 1/03

50. La vincolatività delle misure nazionali in violazione del principio

dell'effetto utile del diritto antitrust europeo e dell' art. 3(2) reg. 1/03. I

procedimenti previsti dal reg. 1/03 finalizzati ad evitare decisioni

nazionali in violazione del diritto europeo (rinvio).

Con riferimento al rapporto tra diritto CE e legislazioni nazionali

rimane un ultimo aspetto da prendere in considerazione, e cioè la vincolatività delle misure nazionali (leggi, decisioni delle Autorità o dei giudici nazionali) in violazione del cd. principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE o dell'(illegittimo) art. 3(2) reg. 1/03.

440 Infatti, il reg. 1/03 prescrive: "A condizione che (…) sia compatibile con i principi

generali e con le altre disposizioni del diritto comunitario (…), non osta a che gli Stati membri applichino nei rispettivi territori una legislazione nazionale che tutela altri legittimi interessi" (considerando 9 reg. 1/03 — corsivo aggiunto). Infatti, il regolamento non avrebbe potuto disciplinare una esenzione ad un divieto in assenza di una espressa disposizione nel Trattato. Sul punto v. la giurisprudenza comunitaria la quale sostiene che "la concessione di un'esenzione mediante un atto di diritto derivato non può, in mancanza di una disposizione del Trattato che l'autorizzi, derogare ad una disposizione del Trattato", Sentenza del Tribunale di primo grado del 10 luglio 1990, Tetra Pak Rausing Sa contro Commissione delle

Comunità europee, causa T-51/89, Raccolta della giurisprudenza 1990, p. II - 309, § 25.

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

195

Secondo il diritto CE, come chiarito nella sent. CIF, il singolo non è obbligato a disapplicare una misura nazionale che egli supponga essere illegittima per violazione del principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE 441. Il singolo ha la facoltà di continuare ad applicare tale misura — sebbene essa non sia vincolante per i singoli 442 — fin quando non sia stata "formalmente" accertata l'illegittimità della stessa da parte di specifici organi pubblici 443. In questa ipotesi, se il singolo applica la normativa che potrebbe essere illegittima (o che successivamente sarà formalmente dichiarata illegittima) egli non pone in essere una violazione del diritto CE; conseguentemente da tale applicazione non è dovuto alcun risarcimento degli eventuali danni procurati ai singoli 444

Nel caso in cui l'applicazione da parte del singolo di tale misura normativa — che sarà solo successivamente formalmente dichiarata illegittima — abbia determinato dei danni ai terzi, il risarcimento di essi sarà dovuto — in presenza dei requisiti previsti dalla giurisprudenza CE 445 — dallo Stato membro che ha emanato la misura stessa 446.

441 Ma ciò vale ora anche per la violazione dell'(illegittimo) art. 3(2) reg. 1/03. V. infra. 442 Sentenza della Corte del 9 settembre 2003, Consorzio Industrie Fiammiferi (CIF)

contro Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, causa C-198/01, Raccolta della

giurisprudenza, 2003 p. I - 8055; su tale sentenza, v. il commento di PAOLO CASSINIS, La

sentenza della Corte nel caso del "Consorzio industrie fiammiferi" (CIF): prevalenza del diritto

comunitario e tutela della concorrenza in contesti regolamentati, in Foro Amministrativo, 2004, 292, p. 313.

443 V. Sentenza della Corte del 9 settembre 2003, CIF, cit. a nota 442. Sul contrasto tra tale giurisprudenza e la prassi della Commissione e del Tribunale di primo grado, v. infra.

444 Sentenza della Corte del 9 settembre 2003, CIF, cit. a nota 442. Quindi il singolo, fermo restando la non vincolatività delle norme nazionali in violazione del diritto CE, è obbligato a non applicare la norma illegittima. Con riferimento ai limiti dell'obbligo di riesame dell'atto amministrativo illegittimo per violazione del diritto CE, v. Sentenza della Corte del 13 gennaio 2004, Kühne & Heitz NV contro Produktschap voor Pluimvee en Eieren, causa C-453/00, Raccolta della giurisprudenza, 2004, non ancora pubblicata, con commento di GIACOMO GATTINARA, Il ruolo comunitario delle amministrazioni nazionali alla luce della

sentenza Kühne & Heitz, in Diritto comunitario e degli Scambi internazionali, p. 489. 445 Riguardo ai criteri in presenza dei quali sussiste l'obbligo di risarcimento per

violazione del diritto CE, v. tra le tante: Sentenza della Corte del 19 novembre 1991, Francovich, cit. a nota 297, §§ da 33 a 36; Sentenza della Corte del 2 agosto 1993, M. Helen Marshall contro Southampton and South West Hampshire Area Health Authority, causa C-271/91, Raccolta della giurisprudenza, 1993, p. I - 4367, §§ 30 e da 34 a 35; Sentenza della Corte del 5 marzo 1996, Brasserie du Pêcheur SA contro Bundesrepublik Deutschland e The

Queen contro Secretary of State for Transport, ex parte: Factortame Ltd e altri, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Raccolta della giurisprudenza, 1996, p. I - 1029; Sentenza della Corte del 26 marzo 1996, The Queen contro H. M. Treasury, ex parte British Telecommunications plc, causa

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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La Corte di giustizia, nella medesima sentenza CIF, ha anche determinato in quale momento il singolo è obbligato a disapplicare la misura nazionale in violazione del principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE — impostazione che vale quindi anche per l'ipotesi di misure in violazione dell'(illegittimo) art. 3(2) reg. 1/03 —. La Corte ha sostenuto — in base al principio di effettività del diritto CE — che il singolo ha l'obbligo (e non più solo la facoltà) di disapplicare la misura nazionale illegittima nel momento in cui ne è formalmente accertata la contrarietà al diritto CE. Per quanto rileva in questa sede, la Corte di giustizia ha riconosciuto che — affinché il singolo sia obbligato a disapplicare la misura normativa — l'accertamento "formale" dell'illegittimità non deve necessariamente avvenire tramite una procedura ex art. 226 TCE. A tal fine è sufficiente una decisione definitiva di un'Autorità nazionale antitrust la quale abbia constatato tale illegittimità 447.

Successivamente all'accertamento della contrarietà al diritto CE, i singoli destinatari della misura illegittima, i quali continuassero ad applicarla, porrebbero in essere essi stessi una violazione del diritto antitrust CE. Da ciò sorgerebbe — in presenza dei requisiti della giurisprudenza CE — l'obbligo di questi al risarcimento dei danni nei confronti di soggetti terzi danneggiati 448. C-392/93, Raccolta della Giurisprudenza, 1996, p. I - 1631, §§ da 39 a 46; Sentenza della Corte dell'8 ottobre 1996, Erich Dillenkofer, Christian Erdmann, Hans - Jürgen Schulte, Anke Heuer, Werner, Ursula e Trosten Knor contro Bundesrepublik Deutschland, cause riunite C-178/94, C-179/94, C-188/94, C-189/94 e C-190/94, Raccolta della giurisprudenza, 1996, p. I - 4845, §§ da 22 a 26 e 72.

446 Sentenza della Corte del 9 settembre 2003, CIF, cit. a nota 442. 447 Sentenza della Corte del 9 settembre 2003, CIF, cit. a nota 442. 448 Quindi, nell'ipotesi in cui lo Stato membro emani una misura in violazione del

principio dell'effetto utile degli artt. 81 e 82 TCE o dell'(illegittimo) art. 3(2) reg. 1/03 si presentano due ipotesi distinte. In primo luogo, l'ipotesi in cui la misura illegittima sia emanata prima di una decisione della Commissione che accerti l'illegittimità CE. In questo caso, ferma la facoltà dei singoli di disapplicare tale misura (in assenza della vincolativitá di essa), essi non sono obbligati a disapplicare tali misure fino a quando l'illegittimità sia accertata (accertata da giudice o, secondo le previsioni del TCE, ex art. 226 TCE o — ai sensi della giurisprudenza CIF — anche successivamente alla decisione definitiva di un'Autorità antitrust nazionale). A questo si aggiunge che nel caso in cui la misura statale in violazione del diritto CE abbia determinato un danno ai singoli, lo Stato membro sarà obbligato — ai sensi della giurisprudenza CE — a risarcire il relativo danno.

In secondo luogo, nel caso in cui la misura statale sia emanata dopo la decisione della Commissione che ne accerti l'illegittimità, in questa ipotesi i singoli destinatari della misura normativa saranno obbligati a disapplicare tale misura. Nel caso in cui il singolo continui ad

GLI ASPETTI "VERTICALI" DELLA COMPETENZA ANTITRUST EUROPEA

197

Infine, deve essere ricordato che il reg. 1/03, affinché le Autorità e i giudici nazionali non emanino misure in violazione del principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE — o dell'(illegittimo) art. 3(2) reg. 1/03 —, ha disciplinato una serie di procedimenti di controllo. Ai sensi di questi, la Commissione verifica (rispettivamente ai sensi degli artt. 11 e 15 reg. 1/03) che le decisioni delle Autorità antitrust e dei giudici nazionali in applicazione del diritto antitrust CE (e incidentalmente anche i provvedimenti in applicazione del diritto antitrust degli Stati membri) non siano contrari al diritto antitrust CE 449.

applicare quanto disposto dalla misura illegittima, egli porrà in essere una violazione del diritto CE che lo obbliga ai sensi del diritto CE — in presenza dei requisiti previsti dalla giurisprudenza comunitaria — a risarcire i danni causati a terzi.

449 Sul punto rinviamo v. infra § 115, nota 711.

CAPITOLO I

GLI ORGANI E GLI ISTITUTI DEL SISTEMA ANTITRUST EUROPEO

SOMMARIO: 51. Gli organi e gli istituti del sistema antitrust europeo. La Commissione. — 52. Le Autorità nazionali di tutela antitrust. — 52. Il federalismo antitrust europeo. — 53. Le giurisdizioni nazionali.

51. Gli organi e gli istituti del sistema antitrust europeo. La Commissione.

La terza parte della presente monografia approfondisce il sistema di

applicazione antitrust CE disciplinato dal reg. 1/03. Al fine, però, di rendere evidente le linee di evoluzione del sistema di applicazione antitrust europeo che hanno portato alla redazione del vigente regolamento, è approfondita anche la disciplina del sistema di applicazione disciplinato dal TCE agli artt. 84 e 85 TCE (e le modifiche a questi apportate dal Trattato costituzionale) e dal reg. 17/62. In particolare, dopo una breve descrizione degli organi del sistema antitrust CE al fine di facilitare l'orientamento nell'evoluzione e modifica del sistema antitrust CE nel suo complesso (capitolo I), è affrontato il sistema di applicazione antitrust disciplinato dal TCE e dal Trattato costituzionale (capitolo II), per poi passare alla disciplina del reg. 17/62 (capitolo III). Infine, dopo aver preso in considerazione i fattori che negli anni '90 hanno reso necessaria la modifica del reg. 17/62 (capitolo IV), è approfondita la disciplina degli reg. 1/03 (capitolo V).

I quattro capitoli presentano una struttura speculare tra loro in modo che si possa con facilità individuare — e comparare — come un

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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medesimo istituto sia stato disciplinato nei vari sistemi di tutela antitrust europei sino ad ora succedutisi.

Passando ad affrontare il primo degli organi del sistema di tutela antitrust comunitario, la Commissione svolge un ruolo centrale nel sistema antitrust CE. Com'è noto nel disegno del Trattato di Roma essa rappresenta, ex art. 211 TCE, "la custode della legalità comunitaria" 450. Tale ruolo, in considerazione delle caratteristiche strutturali della Comunità, richiede che essa sia indipendente dagli Stati membri o, in altre parole, che sia un organo "sovranazionale" 451 (indipendenza riconosciuta alla Commissione anche dal Trattato costituzionale, art. 26(7) Cost. eu., sebbene con un'eccezione riguardo all'attività del Ministro degli affari esteri dell'Unione, anch'esso componente della Commissione quale uno dei "vicepresidenti", art. 28(4) Cost. eu. 452).

450 V. Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 18 giugno 1998, Commissione delle

Comunità europee contro Repubblica italiana, cit. a nota 379, § 26. In conseguenza di tale competenza, nel momento in cui la Commissione agisce nell'esercizio delle competenze previste dal TCE, essa non deve dimostrare il proprio interesse all'azione, v. tra le tante, Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 10 aprile 2003, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica federale di Germania, cause riunite C-20/01 e C-28/01, Raccolta

della giurisprudenza, 2003, p. I - 3609, § 29; Sentenza della Corte del 5 novembre 2002, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica federale di Germania, causa C-476/98, Raccolta della giurisprudenza, 2002, p. I - 9855, § 38.

V. ora l'art. 26 Cost. eu., il quale recita: "1. La Commissione promuove l'interesse generale dell'Unione e adotta le iniziative appropriate a tal fine. Vigila sull'applicazione della Costituzione e delle misure adottate dalle istituzioni in virtù della Costituzione. Vigila sull'applicazione del diritto dell'Unione sotto il controllo della Corte di giustizia dell'Unione europea. Dà esecuzione al bilancio e gestisce i programmi. Esercita funzioni di coordinamento, di esecuzione e di gestione, alle condizioni stabilite dalla Costituzione. Assicura la rappresentanza esterna dell'Unione, fatta eccezione per la politica estera e di sicurezza comune e per gli altri casi previsti dalla Costituzione. Avvia il processo di programmazione annuale e pluriennale dell'Unione per giungere ad accordi interistituzionali".

451 Com'è noto l'Alta Autorità per il carbone e l'acciaio era definita, ai sensi dell'art. 9(6) Trattato CECA, organo avente natura sopranazionale. Tale definizione non è stata riferita anche alla Commissione nel Trattato CE, ancorché nella sostanza le caratteristiche dell'organo e dei membri della Commissione garantiscano un'autonomia dagli Stati membri simile a quella della Alta Autorità CECA.

452 L'art. 26(7) Cost. eu. recita: "La Commissione esercita le sue responsabilità in piena indipendenza. Fatto salvo l'articolo I - 28, paragrafo 2, i membri della Commissione non sollecitano né accettano istruzioni da alcun governo, istituzione, organo o organismo. Essi si astengono da ogni atto incompatibile con le loro funzioni o con l'esecuzione dei loro compiti". A sua volta l'art. 28 Cost. eu. (rubricato come "Il ministro degli affari esteri dell'Unione") recita: "Il ministro degli affari esteri dell'Unione guida la politica estera e di sicurezza comune dell'Unione. Contribuisce con le sue proposte all'elaborazione di detta

GLI ORGANI E GLI ISTITUTI DEL SISTEMA ANTITRUST EUROPEO

203

Anche nello specifico settore della tutela della concorrenza (artt. 81 ss. TCE), di cui il diritto antitrust costituisce un aspetto, la Commissione svolge — sempre in considerazione della natura di organo sopranazionale — un ruolo centrale. In particolare il compito affidato alla Commissione "dagli artt. [81 - 89] TCE [è quello] di vigilare sull'applicazione delle norme in materia di concorrenza e di contribuire quindi all'instaurazione di un regime di concorrenza non alterata nel mercato comune, ai sensi dell'art. 3 comma 2 lett. g TCE" 453. L'Autorità CE, ai sensi del TCE, è "responsabile dell'attuazione e dell'orientamento della politica comunitaria della concorrenza" 454, cioè di stabilire concretamente il tipo e il grado di concorrenza presente nel mercato comune. Infine, nel settore della tutela antitrust, la Commissione svolge, nel suo ruolo di "funzione generale di sorveglianza e controllo" 455, il "compito di vigilare sull'applicazione dei principi fissati dagli artt. 81 e 82 TCE" 456.

politica e la attua in qualità di mandatario del Consiglio. Egli agisce allo stesso modo per quanto riguarda la politica di sicurezza e di difesa comune" (art. 28(2) Cost. eu.).

453 Sentenza del Tribunale di primo grado (Terza Sezione) del 15 gennaio 1997, Syndicat français de l'express international, DHL international, Service CRIE e May Courier contro Commissione delle Comunità europee, causa T-77/95, Raccolta della giurisprudenza, 1997, p. II - 1.

454 Cfr. Sentenza della Corte del 28 febbraio 1991, Stergios Delimitis, cit. nota 257; Sentenza del Tribunale di primo grado del 18 settembre 1992, Automec, cit. nota 202, § 73; Sentenza del Tribunale di primo grado (seconda sezione) del 24 gennaio 1995, BEMIM, cit. a nota 359; Sentenza della Corte del 14 dicembre 2000, Masterfoods Ltd contro HB Ice Cream Ltd, causa C-344/98, Raccolta della giurisprudenza, 2000 p. I - 11369, § 73.

455 Sentenza della Corte del 6 aprile 1962, Bosch, cit. a nota 270, p. 6. 456 La Commissione svolge un ruolo particolare all'interno della Rete rispetto alle

Autorità nazionali. Come la stessa Autorità CE ricorda, "secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, la Commissione, cui l'articolo 85, paragrafo 1, del Trattato conferisce il compito di vigilare sull'applicazione dei principi fissati dagli articoli 81 e 82 del Trattato, è responsabile dell'attuazione e dell'orientamento della politica comunitaria della concorrenza. In qualsiasi momento essa può adottare decisioni individuali ai sensi degli articoli 81 e 82 del Trattato" (Comunicazione relativa alla Rete, § 50). Inoltre, "la Corte di giustizia ha stabilito che la Commissione, a cui l'articolo 85, paragrafo 1, del Trattato CE conferisce il compito di vigilare sull'applicazione dei principi fissati dagli articoli 81 e 82 del Trattato CE, è responsabile della definizione e dell'orientamento della politica comunitaria della concorrenza e che, per assolvere efficacemente questo compito, essa ha il diritto di attribuire un diverso grado di priorità alle denunce che le vengono presentate", Comunicazione sulle denunce, § 8. V. anche Sentenza della Corte del 14 dicembre 2000, Masterfoods, cit. a nota 454, § 88; Sentenza del Tribunale di primo grado del 18 settembre 1992, Automec, cit. nota 202, §§ 73 - 77.

Con riferimento al potere di vigilanza demandato alla Commissione, v. la giurisprudenza relativa all'art. 86(3) TCE. In essa si sostiene che "l'ampiezza di tale potere

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

204

52. Le Autorità nazionali di tutela antitrust.

Le Autorità nazionali, in conseguenza del richiamo degli artt. 84 e

85 TCE, sono organi che partecipano al sistema comunitario antitrust 457. Per Autorità nazionali si intendono gli organi che nei rispettivi Stati membri sono titolari della competenza ad applicare il diritto antitrust nazionale.

La presenza di organi che svolgono una duplice funzione (organi del sistema antitrust nazionale e che partecipano al sistema antitrust CE) è conseguenza delle negoziazioni relative alla redazione del Trattato CEE (v. supra § 24). In tale sede fu fatta presente la necessità di individuare degli organi negli Stati membri i quali, in attesa del primo regolamento di applicazione degli artt. 81 e 82 TCE (ex art. 83 TCE), applicassero le norme antitrust comunitarie. Tali organi degli Stati membri, richiamati espressamente nel TCE, hanno mantenuto, anche dopo l'emanazione dei regolamenti ex art. 83 TCE, il duplice ruolo di organi antitrust degli Stati membri e di organi partecipanti al sistema antitrust della CE.

Ancorché le Autorità nazionali siano richiamate direttamente dal TCE, esse non costituiscono però organi della Comunità ma dipende dalla portata delle norme delle quali si tratta di assicurare l'osservanza", Sentenza della Corte del 19 marzo 1991, Repubblica francese contro Commissione delle Comunità europee, causa C-202/88, Raccolta della giurisprudenza, 1991 p. I - 1223, § 21. Con riferimento al potere della Commissione relativamente al controllo degli aiuti di Stato, v. Sentenza del Tribunale di primo grado (Quinta Sezione ampliata) del 30 aprile 1998, Het Vlaamse Gewest

(Regione fiamminga) contro Commissione delle Comunità europee, causa T-214/95, Raccolta

della giurisprudenza, 1998, p. II - 717, § 89; anche Ordinanza della Corte del 20 settembre 1983, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica francese, causa 171/83 R, Raccolta della giurisprudenza, 1983, p. 2621, § 10.

457 Prima del reg. 1/03, le "Autorità nazionali" rappresentavano, come è stato chiarito dalla giurisprudenza CE, quegli organi istituiti nei singoli Stati membri e aventi lo specifico compito di applicare le leggi nazionali antitrust e cioè, nella normalità dei casi, le Autorità nazionali garanti della concorrenza (v. Sentenza della Corte del 30 gennaio 1974, Sabam —

Fonior, cit. a nota 288, § 19); organi che l'avv. Lenz, nelle conclusioni del 17 gennaio 1989 nella causa Ahmed Saeed Flugreisen, causa 66/86, Raccolta della giurisprudenza, 1989, p. 803, ha definito come: "Autorità degli Stati membri competenti per le questioni relative al diritto della concorrenza" (§ 15). Con il reg. 1/03 le Autorità di cui all'art. 5 reg. 1/03 e individuate ex art. 35 reg. 1/03 sono necessariamente organi che applicano gli artt. 81 e 82 TCE. Sul concetto di Autorità nazionale v. anche Sentenza della Corte del 30 aprile 1986, Ministere

Public contro Lucas Asjes, Andrew Gray, Jacques Maillot, Leo Ludwig e altri, cause riunite 209 a 213/84, Raccolta della giurisprudenza, 1986, p. 1425, § 54.

GLI ORGANI E GLI ISTITUTI DEL SISTEMA ANTITRUST EUROPEO

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mantengono la loro natura di organi degli Stati membri. Tale puntualizzazione non è inutile (basti ricordare che la Commissione ha recentemente definito impropriamente le Autorità nazionali come "autorità pubbliche (…) della Comunità" 458) e presenta delle importanti conseguenze riguardo alla responsabilità per la violazione del diritto CE 459.

Applicando il diritto antitrust CE le Autorità nazionali tutelano, così come la Commissione, l'interesse comunitario. Esse non sono però titolari della competenza di orientamento della politica antitrust CE, competenza di cui è esclusiva titolare la Commissione. Tale differenza attribuisce alle Autorità nazionali una posizione di subordinazione rispetto alla Commissione nel sistema comunitario antitrust 460.

458 A tal fine basti riferirsi al Progetto di comunicazione sulle denunce. In esso era

(erroneamente) sostenuto che le Autorità nazionali fossero, insieme alla Commissione, "Autorità pubbliche (…) della Comunità" (§ 20, corsivo aggiunto). La versione finale della Comunicazione prevede diversamente: "Il regolamento si propone di assicurare l'efficace applicazione degli articoli 81 e 82 attraverso una suddivisione flessibile dell'esame dei casi tra le Autorità che agiscono nell'interesse pubblico all'interno della Comunità" (ibidem, § 20).

459 Tale puntualizzazione della Commissione nel Progetto di Comunicazione faceva riecheggiare la teoria del dédoublement fonctionnel. Secondo tale teoria, "gli organi statali quando provvedono a dare attuazione al diritto comunitario, agiscono nella veste di organi della Comunità" (GIAN LUIGI TOSATO, I regolamenti delle Comunità europee, Milano, Giuffrè, 1965, p. 22, nota 54). Tale impostazione era gia stata respinta in sede di Trattato CECA nella sentenza 17 dicembre 1959, in causa 23/59, in Racc. V 502. "In questa causa il ricorrente chiedeva che venisse riconosciuta la responsabilità dell'Alta Autorità per il fatto di un funzionario olandese del Ministero degli Affari Economici, sostenendo che tale funzionario aveva operato in qualità di agente della Comunità. La Corte invece, rilevava l'inesistenza di un rapporto diretto di subordinazione del funzionario olandese nei confronti dell'Alta Autorità, ha ritenuto che tale funzionario avesse agito nella sua veste di organo nazionale e non già in nome e per conto della Comunità" (ibidem, p. 22, nota 54).

Ancorché la posizione espressa dal Progetto di Commissione nel Progetto di

comunicazione sulla procedura applicabile alle denunce non volesse certamente sostenere la validità della teoria del dédoublement fonctionnel (e non è un caso che tale passaggio sia stato eliminato nella versione finale) è certo che ciò chiarisca come la Commissione consideri le Autorità nazionali all'interno del sistema di tutela antitrust CE.

460 La Commissione ricorda che "il regolamento riconosce in particolare le funzioni complementari della Commissione e delle Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri che agiscono nell'interesse pubblico e delle giurisdizioni degli Stati membri che si pronunciano su controversie private per la tutela dei diritti individuali derivanti dagli articoli 81 ed 82" TCE (Comunicazione sulle denunce, § 1). Tale complementarietà — che coincide nel concetto richiamato dalla Commissione con la "competenza parallela tra Commissione, Autorità nazionali e giurisdizioni nazionali" — non sottolinea sufficientemente (oltre alla illegittimità dell'applicazione dell'art. 81(3) TCE da parte dei giudici nazionali, art. 6 reg. 1/03), quali siano i differenti poteri di cui tali organi sono

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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Il ruolo svolto dalle Autorità nazionali nel sistema antitrust CE — ex artt. 84 e 85 TCE — e la subordinazione delle Autorità alla Commissione permette ad esse — in considerazione del combinato disposto degli artt. 10 e 84 TCE — di collaborare con la Commissione per tutelare la finalità dell'art. 3 lett. g TCE e di imporre ad esse, tramite i regolamenti e direttive ex art. 83 TCE, obblighi e facoltà riguardo all'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE (ad es. riguardo alla struttura e alle competenze delle Autorità, allo scambio di informazioni tra gli organi), aspetti altrimenti non definibili nei confronti di altri organi degli Stati membri.

53. Il federalismo antitrust europeo.

Il federalismo, ancorché non sia espressamente richiamato o

disciplinato dal diritto CE in modo espresso, rappresenta un aspetto importante del sistema di tutela antitrust comunitario.

Con federalismo antitrust intendiamo la modalità con cui l'ordinamento CE e gli Stati membri possono vicendevolmente influire sulla rispettiva competenza antitrust.

L'ordinamento CE influisce sull'applicazione del diritto antitrust degli

Stati membri, da una parte, tramite la definizione delle soluzioni dei conflitti tra diritto antitrust CE e diritto antitrust degli Stati membri (soluzioni disciplinate o dal principio generale dell'effetto utile del diritto antitrust CE (v. supra § 39) o, eventualmente, dai regolamenti e dalle direttive ex art. 83(2) lett. e TCE) — v. supra § 41 ss. 461 — ; dall'altra, attraverso i procedimenti — disciplinati dai regolamenti ex titolari e la conseguente organizzazione gerarchica che tali attribuzioni determinano tra gli organi.

Questo non esclude, sotto altro profilo, che le decisioni delle Autorità nazionali svolgano — come riconosciuto dalla sentenza CIF — un ruolo importante con riferimento all'obbligo delle imprese di non applicare misure nazionali — tra l'altro — in violazione del combinato disposto degli artt. 10 e 81 e 10 e 82 TCE.

461 Come già affermato, il rapporto tra tali competenze è disciplinato non secondo il rapporto tra due competenze normative — ad esempio la competenza in materia ambientale o di tutela della salute —. Tale rapporto è disciplinato, diversamente, come rapporto tra i divieti dell'ordinamento CE e le competenze e misure concrete degli Stati membri. A questo si aggiunga che la disciplina ex art. 83(2) lett. e TCE permette di escludere tout court la competenza antitrust degli Stati membri imponendo alle Autorità nazionali — ma in questo caso anche ai giudici nazionali — di applicare esclusivamente il diritto antitrust CE.

GLI ORGANI E GLI ISTITUTI DEL SISTEMA ANTITRUST EUROPEO

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art. 83 TCE — che controllano che le misure nazionali non vìolino il diritto antitrust CE.

All'opposto, le modalità con cui gli organi statali influiscono sulle

decisioni della Commissione ai sensi dell'art. 81 e 82 TCE sono disciplinati in modo differente a seconda dei sistemi di applicazione antitrust europei (ex artt. 84 e 85 TCE, ex reg. 17/62, ex reg. 1/03).

Delineato cosa si intenda per federalismo antitrust, passiamo ad indicare quale sia l'importanza di esso.

In primo luogo, il federalismo antitrust CE — soprattutto per gli Stati membri — ha la funzione di "contrappeso" rispetto al potere della Commissione di decidere l'orientamento della politica antitrust. La politica antitrust CE, intesa come parte della politica di concorrenza CE, influisce infatti su tutti gli Stati membri e determina effetti differenti (ma diretti) su ognuno di essi e sulla stessa competenza antitrust statale 462. È quindi importante che gli Stati membri dispongano di strumenti (non solo disciplinati tramite i regolamenti ex art. 83(2) lett. c TCE) con cui esprimere la propria posizione, eventualmente in contrasto con quella della Commissione. All'interno del sistema antitrust CE gli Stati membri dispongono, quali strumenti di influenza, dei procedimenti previsti dai regolamenti o direttive ex art. 83 TCE. All'esterno del sistema

antitrust CE, gli Stati membri dispongono quale strumento di influenza della possibilità, tramite la competenza antitrust nazionale (salvo la previsione della competenza esclusiva del diritto antitrust CE per i casi di rilevanza comunitaria, v. art. 3 della proposta di regolamento del 2000) di poter vietare fattispecie non vietate dal diritto antitrust CE

462 Questo in quanto le decisioni dell'Autorità CE hanno effetto sui territori dei singoli

Stati in due forme: nella forma di singole decisioni e nella forma di prassi decisionale della Commissione. La prassi decisionale ha influenza sugli organi degli Stati membri e sulle relative decisioni dirette ai singoli, sia con riferimento all'applicazione degli art. 81 e 82 TCE (ad es. v. l'art. 16 reg. 1/03), sia con riferimento all'applicazione del diritto antitrust degli Stati membri (ad es. v. art. 3(2) reg. 1/03). Infatti, gli Stati membri applicando il diritto antitrust nazionale non possono decidere — in conseguenza del vincolo costituito dal combinato disposto degli artt. 10 e 81 e 10 e 82 TCE (rectius dal principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE) —la medesima fattispecie in modo meno rigido (nel caso degli artt. 81(1) e 82 TCE) o differente (nel caso dell'art. 81(3) TCE).

Il reg. 1/03, in conseguenza della previsione dell'art. 3(2) reg. 1/03, ha modificato — fermo restando la vincolatività assoluta dell'art. 81(3) TCE — l'effetto ex art. 81(1) TCE. Ai sensi di tale norma, anche l'art. 81(1) TCE determina un vincolo assoluto nei confronti degli Stati membri (v. infra art. 3 reg. 1/03): le normative antitrust statali non possono né vietare di più, né vietare meno dell'art. 81(1) TCE.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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(salvo il caso delle intese esentate ex art. 81(3) TCE, le quali non possono essere vietate ai sensi del diritto antitrust statale, v. supra § 39). Tale seconda modalità degli Stati membri di esprimere una politica antitrust differente da quella CE è particolarmente importante per le Autorità nazionali. Esse, in assenza di questa possibilità e in considerazione del fatto che esse partecipano anche al sistema antitrust CE, avrebbero quale unico strumento di "contrapposizione" alla politica di concorrenza CE gli strumenti previsti dai regolamenti o direttive ex art. 83 TCE. In altre parole, esse sarebbero assorbite dal sistema antitrust CE stesso (sul punto v. infra § 80 e v. anche la politica di concorrenza della Commissione negli anni '90 nonché l'art. 3 della proposta di regolamento del 2000 463). Per riassumere, il federalismo antitrust CE in questa prima funzione permette, sotto il profilo del controllo "verticale discendente", di evitare che gli Stati membri pongano in essere misure in contrasto con il diritto CE e con il mercato comune; secondo un controllo "verticale ascendente", il federalismo antitrust evita che la politica antitrust CE sia semplicemente "calata" dall'alto sugli Stati membri. L'"influenza" degli Stati membri sull'ordinamento CE trova il necessario limite nell'autonomia della Commissione, organo che si caratterizza per la propria "sopranazionalità".

In secondo luogo, il federalismo antitrust è importante come meccanismo di tutela dei singoli affinché le decisioni della Commissione dirette ad essi — ma anche le decisioni delle Autorità nazionali ai sensi del diritto antitrust CE — non siano illegittime. Tale possibilità è favorita, in particolar modo, dagli strumenti "all'interno del sistema antitrust CE" — strumenti disciplinati dai regolamenti o direttive ex art. 83 TCE — con cui gli Stati membri esprimono la propria posizione, eventualmente in contrasto con quella della Commissione. Nell'ordinamento CE — e in particolare ai sensi degli artt. 14(3-6) reg. 1/03 — le Autorità nazionali svolgono infatti il ruolo di rendere più trasparenti i procedimenti di decisione della Commissione

463 Infatti, non deve essere dimenticato che, con riferimento all'influenza vicendevole

dei sistemi antitrust degli Stati membri e della CE, non esiste una netta distinzione tra i rispettivi organi. Infatti, gli organi del sistema antitrust CE coincidono in parte con quelli degli Stati membri, essendo le Autorità nazionali organi che partecipano sia al sistema antitrust CE che al sistema antitrust degli Stati membri; v. LORENZO FEDERICO PACE, L'evoluzione, cit. in nota 257.

GLI ORGANI E GLI ISTITUTI DEL SISTEMA ANTITRUST EUROPEO

209

— ma anche di rendere più trasparenti i procedimenti delle stesse Autorità nazionali (cfr. art. 14(7) reg. 1/03) in modo che le eventuali illegittimità nei progetti di decisioni siano individuati ed eliminati prima che i provvedimenti (illegittimi) divengano vincolanti per i singoli e richiedano, quindi, una diretta tutela giurisdizionale (v. infra § 124 ss.).

54. Le giurisdizioni nazionali.

I giudici nazionali svolgono all'interno del TCE un ruolo essenziale

464. Infatti "è compito dei giudici nazionali, secondo il principio di collaborazione enunciato dall'art. [10] del Trattato, garantire la tutela

giurisdizionale spettante ai singoli in forza delle norme di diritto

comunitario aventi effetto diretto" (corsivo aggiunto) 465. Con riferimento al ruolo che i giudici nazionali svolgono nel

sistema di tutela antitrust CE, come ricordato dalla Commissione, "secondo una giurisprudenza comunitaria costante, i giudici nazionali sono tenuti a tutelare i diritti attribuiti ai singoli per effetto diretto dell'articolo 81, paragrafo 1 e dell'articolo 82" (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 12) 466.

464 I giudici nazionali sono individuati nell'ordinamento comunitario come organi "che

sono competenti per applicare gli articoli 81 e 82 del Trattato CE e che sono legittimati a chiedere alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee di pronunciarsi in via pregiudiziale ai sensi dell'articolo 234 del Trattato" (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 1).

465 Tra le tante, Sentenza della Corte del 24 ottobre 1996, Aannemersbedrijf P.K.

Kraaijeveld BV e. altri contro Gedeputeerde Staten van Zuid - Holland, causa C-72/95, Raccolta

della giurisprudenza, 1996 p. I - 5403, § 58. I giudici nazionali hanno l'obbligo di "tutelare i

diritti dei singoli". In particolare, essi "devono garantire la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi effetto diretto", Sentenza della Corte del 14 dicembre 1982, Procuratore della Repubblica e Comite National de Defense contre

l'alcoolisme contro Alex Waterkeyn e altri (causa 314/81), Procuratore della Repubblica contro

Jean Cayard e altri (causa 315/81), Procuratore della Repubblica et le Comite national de defense

contro l'alcoolisme contro Rodolphe Joel e altri (causa 316/81), Procuratore della Repubblica

contro Jean Cayard e altri (causa 83/82), cause riunite 314 a 316/81 e 83/82, Raccolta della giurisprudenza, 1982, p. 4337.

466 V. Sentenza della Corte del 30 gennaio 1974, Sabam - Fonior, cit. a nota 288, § 16; Sentenza della Corte del 18 marzo 1997, Guérin automobiles, cit. a nota 290, § 39; Sentenza della Corte del 20 settembre 2001, Courage, cit. a nota 298, § 23. Relativamente all'illegittimità dell'applicazione dell'art. 81(3) TCE da parte dei giudici nazionali ex art. 6 reg. 1/03, v. infra p. 439.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

210

Con riferimento alle procedure per "l'applicazione del diritto comunitario della concorrenza da parte delle giurisdizioni nazionali e le sanzioni che esse possono comminare in caso di infrazione alle norme di tale diritto, [queste] sono disciplinate in gran parte dal diritto nazionale" (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 9). Tali normative devono però essere conformi ai principi generali del diritto comunitario (ad es., il principio di efficacia o il principio di equivalenza).

Il ruolo che i giudici nazionali svolgono nell'applicazione del diritto antitrust CE presenta delle differenze rispetto alla Commissione e alle Autorità nazionali 467. I giudici nazionali, infatti, sono titolari: del potere di riconoscere ai singoli il risarcimento dei danni conseguenti alla violazione del diritto antitrust CE anche in assenza del riconoscimento di una espressa competenza in tal senso 468; di condannare le parti al

467 Come riassunto dalla Commissione stessa: "Un'azione dinanzi alle giurisdizioni nazionali presenta i seguenti vantaggi per i ricorrenti: — Le giurisdizioni nazionali possono riconoscere il risarcimento del danno subito a causa di una violazione degli articoli 81 e 82; — Le giurisdizioni nazionali possono pronunciarsi in merito alle richieste di pagamento o a obbligazioni contrattuali fondate su un accordo da loro esaminato in sede di applicazione dell'articolo 81; — Spetta ai giudici nazionali sancire la nullità di cui all'articolo 81, paragrafo 2, nell'ambito dei rapporti contrattuali tra soggetti privati. In particolare, essi sono in grado di valutare, secondo il diritto nazionale applicabile, la portata e le conseguenze della nullità di talune clausole contrattuali ai sensi dell'articolo 81, paragrafo 2, del Trattato CE, con specifico riferimento a tutti gli altri elementi contenuti nell'accordo; — I giudici nazionali si trovano di norma in una posizione migliore rispetto alla Commissione per l'adozione di provvedimenti provvisori; — Dinanzi ai giudici nazionali è possibile far valere congiuntamente pretese basate sul diritto comunitario della concorrenza e altre pretese fondate sul diritto nazionale; — I giudici hanno di norma il potere di condannare la parte soccombente a sopportare le spese legali incorse dalla controparte. Questa possibilità non esiste mai in un procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione" (Comunicazione sulle denunce, § 16).

468 Come ricordato dalla Commissione: "Le giurisdizioni nazionali possono decidere della nullità o validità dei contratti e solo le giurisdizioni nazionali possono riconoscere il risarcimento dei danni ad un soggetto privato in caso di violazione degli articoli 81 e 82. Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, al fine di garantire la piena efficacia del diritto comunitario della concorrenza, chiunque è legittimato a chiedere il risarcimento del danno causatogli da un contratto o da un comportamento idoneo a restringere o falsare il gioco della concorrenza. Le azioni per il risarcimento dei danni dinanzi ai giudici nazionali possono contribuire sostanzialmente al mantenimento di un'effettiva concorrenza nella Comunità in quanto scoraggiano le imprese a convenire o applicare accordi o pratiche restrittivi " (Comunicazione sulle denunce, § 13). V. anche Sentenza della Corte del 20 settembre 2001, Courage, cit. a nota 298, § 26 e 27.

Lo stesso considerando 7 reg. 1/03 ricorda che: "Le giurisdizioni nazionali svolgono una funzione essenziale nell'applicazione delle regole di concorrenza comunitarie. Esse tutelano i diritti soggettivi garantiti dal diritto comunitario nelle controversie fra privati, in

GLI ORGANI E GLI ISTITUTI DEL SISTEMA ANTITRUST EUROPEO

211

pagamento dei costi del procedimento; di emettere provvedimenti cautelari.

In primo luogo, con particolare riferimento alla differenza tra

competenza dei giudici nazionali e della Commissione riguardo all'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE, i giudici nazionali tutelano i diritti soggettivi dei privati. La Commissione è titolare invece della competenza di orientamento della politica antitrust CE e, quindi, applicando gli artt. 81 e 82 TCE tutela l'interesse pubblico comunitario 469.

La titolarità della competenza di orientamento della politica antitrust CE ha quale conseguenza che, nonostante il differente ruolo che i due organi svolgono, i giudici nazionali siano comunque vincolati nell'interpretazione degli artt. 81 e 82 TCE operata dalla Commissione (riguardo a questo aspetto, e in particolare alla (presunta) incostituzionalità dell'art. 16(1) reg. 1/03, v. infra § 162). Più in generale, come ricordato dalla Commissione, "le giurisdizioni nazionali sono vincolate dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e del Tribunale di primo grado come pure dai regolamenti della Commissione che applicano l'articolo 81, paragrafo 3 del Trattato CE a determinate categorie di accordi, decisioni di associazioni di imprese e pratiche concordate" (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 8) 470.

particolare accordando risarcimenti alle parti danneggiate dalle infrazioni. Le giurisdizioni nazionali svolgono sotto questo aspetto un ruolo complementare rispetto a quello delle Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri. Occorrerebbe quindi consentire loro di

applicare pienamente gli articoli 81 e 82 del Trattato" (corsivo aggiunto). 469 Come riassunto dalla Commissione nella Comunicazione sulle denunce: "La

Commissione, diversamente dalle giurisdizioni civili, che hanno il compito di tutelare i diritti individuali dei privati, è un'Autorità amministrativa che deve agire nell'interesse pubblico. Il margine di discrezionalità di cui dispone la Commissione nella fissazione dei gradi di

priorità, costituisce una caratteristica inerente alla sua funzione di Autorità che agisce

nell'interesse pubblico" (ibidem, § 27, corsivo aggiunto). V. anche Sentenza della Corte del 14 dicembre 2000, Masterfoods, cit. a nota 454. Come supra ricordato, il TCE attribuisce infatti alla Commissione la competenza di definire quale siano "principi fissati dagli articoli 81 e 82" (art. 85 TCE).

470 Riguardo ai rapporti tra Commissione e giudici nazionali nell'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE, v. Sentenza della Corte del 28 febbraio 1991, Stergios Delimitis, cit. nota 257; Sentenza della Corte del 14 dicembre 2000, Masterfoods, cit. a nota 454.

Sui limiti della vincolatività dei regolamenti di esenzione ex art. 81(3) TCE per categoria, v. supra § 39

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

212

In secondo luogo, con riferimento al ruolo dei giudici nazionali rispetto

alle Autorità nazionali nell'applicazione del diritto antitrust CE, i giudici tutelano l'"interesse dei privati" (rectius i diritti riconosciuti loro dall'ordinamento CE), mentre le Autorità nazionali tutelano — insieme alla Commissione — l'interesse pubblico comunitario 471.

In assenza di una scala gerarchica tra giudici nazionali e Autorità antitrust — in quanto entrambe applicano il diritto antitrust CE ma nessuno dei due organi è titolare della competenza di orientamento della politica antitrust CE — non è possibile determinare una presunzione di maggiore correttezza delle decisioni delle Autorità nazionali rispetto ai provvedimenti dei giudici nazionali che applicano gli artt. 81 e 82 TCE e viceversa 472. Né, d'altra parte, le decisioni delle Autorità nazionali (al contrario delle decisioni della Commissione) vincolano i giudici nazionali riguardo all'interpretazione degli artt. 81 e 82 TCE.

471 Cfr. Sentenza del Tribunale di primo grado del 18 settembre 1992, Automec, cit.

nota 202. 472 Cfr. l'art. 15(1) reg. 1/03 il quale sembra attribuire alle Autorità nazionali la

competenza nel definire quale sia la corretta applicazione degli artt. 81 e 82 TCE; fatto questo che, lungi dal contraddire quanto qui sostenuto, è giustificato dal ruolo che esse svolgono nel TCE e dai peculiari rapporti tra esse e la Commissione.

CAPITOLO II

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL TRATTATO CE (ARTT. 84 E 85 TCE) E DAL TRATTATO

COSTITUZIONALE (ARTT. 164 E 165 COST. EU.)

SEZIONE I

IL SISTEMA ANTITRUST AMMINISTRATIVO EUROPEO

SOMMARIO: — Sottosezione I — Introduzione. — 55. Il sistema di tutela antitrust europeo disciplinato dal Trattato CE e dal Trattato costituzionale. — Sottosezione II — La

Commissione. — 56. A) La competenza e le decisioni della Commissione nel sistema antitrust disciplinato dal Trattato CE e dal Trattato costituzionale. 57. B) Le sanzioni comminabili dalla Commissione nel sistema antitrust delineato dal Trattato CE e dal Trattato costituzionale. — Sottosezione III — Le Autorità nazionali antitrust. — 58. A) La competenza, le decisioni e i poteri istruttori delle Autorità nazionali. 59. B) Le sanzioni comminabili, le decisioni emanabili e i poteri istruttori esercitabili dalle Autorità nazionali. — Sottosezione IV — I meccanismi di cooperazione e di controllo nel

sistema amministrativo antitrust europeo. — 60. A) I meccanismi di "cooperazione verticale" nell'applicazione del diritto antitrust europeo. 61. B) I meccanismi di controllo dell'applicazione del diritto antitrust europeo: il principio di stretta "cooperazione" e il controllo "verticale ascendente". Il federalismo antitrust europeo. — Sottosezione V — Gli effetti del sistema antitrust europeo sui sistemi nazionali antitrust. — 62. Gli effetti del sistema antitrust disciplinato dal Trattato CE e dal Trattato costituzionale sui sistemi nazionali antitrust.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

214

SOTTOSEZIONE I

INTRODUZIONE

55. Il sistema di tutela antitrust europeo disciplinato dal Trattato CE e dal

Trattato costituzionale.

Il primo sistema di tutela antitrust CE è disciplinato dallo stesso

TCE. Gli artt. 84 e 85 TCE stabiliscono — nell'intenzione dei redattori del Trattato di Roma — una disciplina sufficiente — sebbene provvisoria in attesa dell'emanazione dei regolamenti o direttive ex art. 83 TCE — per il funzionamento del sistema di tutela antitrust CE.

Le norme degli artt. 84 e 85 TCE svolgono ancora oggi, anche in presenza dei regolamenti ex art. 83 TCE 473, alcuni effetti. Infatti, tale sistema determina in nuce il ruolo e le competenze che gli organi del sistema antitrust svolgono. Come nel proseguo si osserverà, i regolamenti emanati ai sensi dell'art. 83 TCE seguono (rectius sono obbligati a seguire) la falsariga del sistema così come delineato dagli artt. 84 e 85 TCE. Infine, il sistema antitrust disciplinato dal TCE costituisce comunque il sistema applicabile nell'ipotesi di illegittimità dei regolamenti o direttive ex art. 83 TCE.

Non è un caso che il Trattato costituzionale "riporti" negli artt. 164 e 165 Cost. eu. il testo degli artt. 84 e 85 TCE. Tali norme sono tra loro sostanzialmente coincidenti 474 salvo l'inserimento dell'art. 165(3) Cost. eu. 475.

473 Sulle conseguenze in assenza di tali regolamenti o direttive ex art. 83 TCE, v.

Sentenza della Corte del 30 aprile 1986, Ministere Public contro Lucas Asjes, Andrew Gray,

Jacques Maillot, Leo Ludwig e altri, cause riunite 209 a 213/84, Raccolta della giurisprudenza, 1986, p. 1425, § 52; Sentenza della Corte dell'11 aprile 1989, Ahmed Saeed Flugreisen, cit. a nota 271, § 20.

474 In particolare, il concetto di "mercato interno" è sostituito dal concetto di "mercato comune" come risultato a cui l'integrazione europea è concretamente pervenuta. Il Trattato costituzionale recita infatti: "L'Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne e un mercato interno nel quale la concorrenza è libera e non

distorta" (corsivo aggiunto), art. 3(2) Cost. eu.. In particolare, così come già disciplinato dall'art. 14 TCE: "Il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne‚ nel quale

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST EUROPEO

215

SOTTOSEZIONE II

LA COMMISSIONE

56. A) La competenza e le decisioni della Commissione nel sistema antitrust disciplinato dal Trattato CE e dal Trattato costituzionale.

Nel sistema antitrust delineato dagli artt. 84 e 85 TCE (e dagli artt.

164 e 165 Cost. eu.) la competenza della Commissione è fortemente limitata dalla mancanza dei procedimenti di applicazione degli artt. 81 e 82 TCE. L'art. 85(1) TCE prevede esclusivamente che "la Commissione vigil[i] perché siano applicati i principi fissati dagli articoli 81 e 82" TCE. L'art. 85 TCE, oltre a prevedere la competenza della Commissione, individua i soggetti che possono determinare l'esercizio di tale potere, e cioè la Commissione — d'ufficio — o gli Stati membri 476.

Il TCE regola inoltre i provvedimenti che la Commissione emana in caso di accertamento di violazione degli artt. 81 e 82 TCE. L'art. 84(1) TCE (così come l'art. 164(1) Cost. eu.) prescrive infatti che "qualora essa constati l'esistenza di un'infrazione, [l'Autorità CE] propone i mezzi atti a porvi termine". Successivamente, nel caso in cui l'impresa non abbia posto termine all'infrazione, "la Commissione constata l'infrazione ai principi con una decisione motivata" (art. 85(2) TCE).

è assicurata la libera circolazione delle persone‚ dei servizi, delle merci e dei capitali secondo le disposizioni della Costituzione" (corsivo aggiunto), art. 130(2) Cost. eu..

475 L'art. 165(3) Cost. eu. recita: "La Commissione può adottare regolamenti europei concernenti le categorie di accordi per le quali il Consiglio ha adottato un regolamento europeo conformemente all'articolo 163, paragrafo 2, lettera b)".

476 L'art. 85(1) TCE prevede: "Essa istruisce, a richiesta di uno Stato membro o d'ufficio (…) i casi di presunta infrazione ai principi suddetti".

L'art. 165(1) Cost. eu. recita similmente: "La Commissione vigila perché siano applicati i principi fissati dagli articoli III - 161 e III - 162. Istruisce‚ a richiesta di uno Stato membro o d'ufficio e in collegamento con le Autorità competenti degli Stati membri che le prestano assistenza‚ i casi di presunta infrazione ai principi suddetti".

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

216

Il TCE attribuisce all'Autorità CE, infine, la facoltà di "autorizzare gli Stati membri ad adottare le necessarie misure, di cui definisce le condizioni e modalità, per rimediare alla situazione" conseguente alla violazione degli artt. 81 e 82 TCE (art. 85(2) TCE) 477. L'intervento degli Stati membri per "adottare le misure per rimediare alla situazione" è dovuto alla mancata previsione dei poteri della Commissione per l'applicazione dei divieti antitrust CE.

57. B) Le sanzioni comminabili dalla Commissione nel sistema antitrust

delineato dal Trattato CE e dal Trattato costituzionale.

L'art. 85(2) TCE (similmente all'art. 165(2) Cost. eu.), oltre a

prevedere che la Commissione autorizza "gli Stati membri ad adottare le necessarie misure, di cui definisce le condizioni e modalità, per rimediare alla situazione" conseguente alla violazione degli artt. 81 e 82 TCE, prevede anche la sanzione ai sensi del diritto antitrust CE. Infatti, l'art. 85(2) TCE prescrive che, "qualora non sia posto termine alle infrazioni, la Commissione constata l'infrazione ai principi con una decisione motivata. Essa può pubblicare tale decisione" 478. In questo modo il TCE — stabilendo quale sia la conseguenza della violazione delle norme antitrust CE — indica quale sia l'organo (certamente) titolare del potere di sanzione delle imprese che violino gli artt. 81 e 82 TCE, cioè la Commissione. Le sanzioni sono poi precisate dai regolamenti o dalle direttive ex art. 83(2) lett. a TCE.

477 L'art. 165(2) Cost. eu. recita, in modo leggermente differente: "Qualora non sia posto

termine alle infrazioni‚ la Commissione adotta una decisione europea motivata in cui constata l'infrazione ai principi. Può pubblicare tale decisione e autorizzare gli Stati membri ad adottare le necessarie disposizioni‚ di cui definisce le condizioni e modalità‚ per rimediare alla situazione".

478 Il rendere pubblica un deliberazione quale forma di sanzione non è — com'è noto — un unicum del settore della concorrenza. L'art. 99 TCE, relativo alla disciplina dell'Unione economica, prevede infatti che "il Consiglio (…) può rivolgere (...) allo Stato membro (…) le necessarie raccomandazioni [e] (…) può decidere di render[le] pubbliche […], [q]ualora si accerti (…) che le politiche economiche di uno Stato membro non sono coerenti con gli indirizzi di massima (…) o rischiano di compromettere il corretto funzionamento dell'Unione economica e monetaria". Sul punto v. RICCARDO BASSO, L'unione economica e monetaria e l'euro: principi di base e misure di attuazione, in GIAN LUIGI

TOSATO (A CURA DI), L' unione economica e monetaria e l'euro: aspetti giuridici e istituzionali -

studio introduttivo e materiali di base, Giappichelli, 1999.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST EUROPEO

217

SOTTOSEZIOINE III

LE AUTORITÀ NAZIONALI ANTITRUST

58. A) La competenza, le decisioni e i poteri istruttori delle Autorità

nazionali.

Come supra ricordato, il TCE (e il Trattato costituzionale) richiama

anche le "Autorità degli Stati membri" quali organi partecipanti al sistema antitrust europeo (art. 84 TCE, art. 164 Cost. eu.) 479. La necessità di prevedere nel TCE organi degli Stati membri che applichino, oltre alle norme antitrust nazionali, il diritto antitrust CE è la conseguenza del compromesso avvenuto in sede di redazione dell'art. 81 TCE. Come già evidenziato (v. supra § 23), l'impossibilità di definire le modalità di applicazione dell'art. 81(3) TCE come norma di abuso (come sostenuto dai rappresentanti francesi) o di divieto (come sostenuto dai rappresentanti tedeschi) aveva creato una impasse. Il compromesso tra le parti consisteva nel rinviare la decisione sulla modalità di applicazione dell'art. 81(3) ad un successivo regolamento ex art. 83 TCE. In considerazione dell'impossibilità (provvisoria) della Commissione di applicare l'art. 81 TCE, e vista inoltre la necessità di rendere immediatamente operante una competenza importante come quella della tutela antitrust, la situazione richiedeva che gli organi degli Stati membri — nel caso essi fossero già istituiti nei singoli ordinamenti — applicassero — non molto diversamente da quanto sarà poi previsto nel reg. 1/03 — gli artt. 81 e 82 TCE in sostituzione della Commissione. A

479 Negli artt. 84 e 85 TCE sono richiamate tre categorie di organi statali: 1. le Autorità

degli Stati membri che applicano gli artt. 81 e 82 TCE (art. 84 TCE); 2. le Autorità competenti degli Stati membri che svolgono la funzione di collaborare con la Commissione per le istruttorie (art. 85.1 TCE); 3. gli Stati membri quali soggetti che devono adottare misure per eliminare le infrazioni degli artt. 81 e 82 TCE (art. 85(2) TCE).

L'art. 164 Cost. eu. recita: "Fino all'entrata in vigore dei regolamenti europei adottati in applicazione dell'articolo III - 163‚ le Autorità degli Stati membri decidono in merito all'ammissibilità di intese e allo sfruttamento abusivo di una posizione dominante nel mercato interno, in conformità con il loro diritto nazionale e con l'articolo III - 161‚ in particolare il paragrafo 3‚ e l'articolo III - 162".

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

218

tal fine il TCE ha attribuito alle Autorità nazionali — e non è un caso che la competenza delle Autorità nazionali sia prevista all'art. 84 TCE, cioè prima di quella della Commissione — in via transitoria — cioè fino "al momento dell'entrata in vigore delle disposizioni adottate in applicazione dell'articolo 83" TCE — la competenza di decidere "in merito all'ammissibilità di intese e allo sfruttamento abusivo di una posizione dominante" all'interno "del mercato comune" 480. E ciò non solo "in conformità del diritto nazionale interno" 481, ma anche "delle disposizioni dell'articolo 81, in particolare del paragrafo 3, e dell'articolo 82" TCE. In questo modo, da una parte, l'art. 84 TCE riconosceva (in assenza della disciplina emanata ex art. 83 TCE, o ex 163 Cost. eu.) la competenza degli Stati membri a continuare ad applicare le normative nazionali alle intese e allo sfruttamento abusivo di posizione dominante; dall'altra, si lasciava agli Stati membri la discrezionalità se e come applicare l'art. 81(3) TCE in attesa del primo regolamento ex art. 83 TCE.

Gli Stati membri che intendevano esercitare la competenza prevista dall'art. 84 TCE dovevano individuare — in via non molto dissimile da quanto disciplinato dal reg. 17/62 e dal reg. 1/03 — l'organo competente all'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE, i procedimenti di applicazione degli artt. 81 e 82 TCE e, in via eccezionale per il sistema antitrust disciplinato dal TCE, la modalità di applicazione dell'art. 81(3) TCE secondo il principio di divieto o di abuso. In adempimento a ciò la Repubblica federale tedesca, la Repubblica francese e il Regno olandese attuarono nei rispettivi ordinamenti tale facoltà. In particolare, la Germania applicò più volte, tramite il Bundeskartellamt, l'art. 81(3) TCE 482. Al pari, il Regno belga, il quale come l'Italia non prevedeva al

480 Diversamente, per i motivi indicati infra, l'art. 164 Cost. eu. (così come tutto il

Trattato costituzionale) richiama quale obbiettivo non il concetto di "mercato comune" ma quello di "mercato interno".

481 L'art. 165 Cost. eu. recita in modo leggermente differente: "(…) in conformità con il diritto nazionale interno" (corsivo aggiunto).

482 V. ALBRECHT SPENGLER, Die Wettbewerbsregeln, cit. a nota 268. In questo senso, v. GRANT W. KELLEHER, The Common Market Antitrust Laws: the first Ten Years, in The

Antitrust Bulletin, 1967, p. 1219. La previsione di tale competenza, e l'esercizio della stessa da parte delle Autorità nazionali, ha reso necessario l'inserimento dell'art. 23 reg. 17/62; esso disciplinava il "regime transitorio applicabile alle decisioni delle Autorità degli Stati membri".

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST EUROPEO

219

tempo una normativa di divieto dei cartelli industriali o di divieto di comportamenti unilaterali anticoncorrenziali delle imprese, non emanò normative che permisero l'applicazione dell'art. 81(3)TCE da parte di organi nazionali. La Repubblica italiana, a tal fine, emanò un decreto delegato con cui attribuiva al Governo il potere di emanare normative per applicare l'art. 81(3) TCE, potere mai esercitato 483.

Per il TCE, la natura giuridica dell'organo dello Stato membro che svolge il ruolo di Autorità nazionale è irrilevante. Unico elemento di rilievo è che gli Stati membri attribuiscano ad un organo tale competenza. La struttura e caratteristiche di esso sono lasciate alla discrezionalità degli Stati membri (cfr. art. 5 reg. 1/03 — sul punto v. infra § 102). Con riferimento a ciò va ricordato che — ancora successivamente all'entrata in vigore del reg. 17/62 — il concetto di Autorità nazionale era così indeterminato che la Corte di giustizia stessa ebbe difficoltà a definire se in esso rientrassero anche le giurisdizioni nazionali.

A fronte della competenza delle Autorità nazionali ad applicare gli artt. 81 e 82, il TCE attribuisce alla Commissione la competenza di orientamento della politica antitrust CE; l'Autorità CE svolge infatti — ai sensi dell'art. 85 TCE — il ruolo di vigilanza affinché "siano applicati i principi fissati dagli articoli 81 e 82 TCE".

59. B) Le sanzioni comminabili, le decisioni emanabili e i poteri istruttori

esercitabili dalle Autorità nazionali.

Il TCE, oltre all'attribuzione della competenza antitrust, non regola

altri aspetti relativi all'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE da parte delle Autorità nazionali.

Tra gli aspetti non disciplinati dal TCE, alcuni sono di particolare importanza, e cioè: 1. le decisioni che le Autorità nazionali devono

Il Belgio, al contrario, non emanò alcuna normativa in materia. In Italia, invece, il

Parlamento emanò un decreto legislativo (art. 4 lett. d legge del 14 ottobre 1957 n. 1203) con il quale si delegava il governo ad emanare i provvedimenti di attuazione dell'art. 84 TCE, delega non esercitata. Il Draetta individuava nella mancata emanazione da parte dello Stato italiano di un provvedimento che permettesse l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE una violazione dell'art. 10 TCE; UGO DRAETTA, Le regole di concorrenza applicabili alle imprese

della Comunità economica europea, in Diritto Internazionale, 1961, p. 48, 65. 483 V. ALBRECHT SPENGLER, Die Wettbewerbsregeln, cit. a nota 268.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

220

emanare applicando gli artt. 81 e 82 TCE; 2. i poteri istruttori che le Autorità nazionali utilizzano per applicare gli artt. 81 e 82 TCE; 3. le sanzioni che le Autorità nazionali possono comminare per la violazione del diritto antitrust CE.

Di particolare interesse è l'aspetto dei poteri istruttori. Infatti, il TCE riconosce agli Stati membri, da una parte, l'obbligo di collaborare ex art. 85 TCE (ma anche ex art. 165 Cost. eu.) con la Commissione nei procedimenti da questa istruiti per l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE ("in collegamento con le Autorità competenti degli Stati membri che le prestano la loro assistenza", art. 85 TCE e art. 165 Cost. eu.); dall'altra, il TCE nulla stabilisce riguardo ai poteri istruttori degli Stati membri — e in particolare riguardo ai poteri istruttori delle Autorità nazionali — con riferimento all'applicazione diretta degli artt. 81 e 82 TCE. Il TCE lascia quindi agli Stati membri, oltre alla discrezionalità dell'an e del quamodo dell'applicazione dell'art. 81(3) TCE, anche la discrezionalità della disciplina dei poteri delle Autorità nazionali rispetto all'applicazione del diritto antitrust CE.

SOTTOSEZIONE IV

I MECCANISMI DI COOPERAZIONE E DI CONTROLLO NEL SISTEMA

AMMINISTRATIVO ANTITRUST EUROPEO

60. A) I meccanismi di "cooperazione verticale" nell'applicazione del diritto

antitrust europeo.

Il sistema ex art. 84 e 85 TCE disciplina una "larvale" forma di

cooperazione e di controllo tra Commissione e Autorità nazionali per l'applicazione del diritto antitrust CE.

Con riferimento alla cooperazione, il TCE obbliga le Autorità nazionali a collaborare con la Commissione per l'istruzione dei casi di violazione degli artt. 81 e 82 TCE. Il TCE delinea in modo conciso anche i poteri istruttori — sia della Commissione che delle Autorità nazionali — finalizzati ad accertare la violazione agli artt. 81 e 82 TCE.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST EUROPEO

221

Se infatti l'art. 85(1) TCE (ma anche l'art. 165(1) Cost. eu.) prevede che "la Commissione (...) istruisce (…) i casi di presunta infrazione ai principi" degli artt. 81 e 82 TCE, l'art. 85(2) TCE (e l'art. 165(2) Cost. eu.) dispone che le "Autorità competenti degli Stati membri" sono obbligate a prestare "l'assistenza" necessaria all'interno dei rispettivi Stati membri per istruire i casi di presunta infrazione del diritto antitrust CE. Ciò è conseguenza dell'impossibilità della Commissione — in assenza dell'espressa disciplina dei relativi poteri — di istruire direttamente i procedimenti nei confronti delle imprese.

61. B) I meccanismi di controllo dell'applicazione del diritto antitrust

europeo: il principio di stretta "cooperazione" e il controllo "verticale

ascendente". Il federalismo antitrust europeo.

Il TCE regola agli artt. 84 e 85 TCE anche la modalità con cui gli

Stati membri partecipano — secondo il concetto di federalismo indicato supra § 53 — ai procedimenti istruttori della Commissione. In particolare, l'art. 85(1) TCE (e l'art. 165(1) Cost. eu.) dispone che "la Commissione (…) istruisce (…) in collegamento con le Autorità

competenti degli Stati membri (…) i casi di presunta infrazione ai principi" degli artt. 81 e 82 TCE (corsivo aggiunto). Tali norme, le quali come supra ricordato prevedono che le stesse "Autorità competenti degli Stati membri (…) prestano (…) assistenza" alla istruzione della Commissione, chiarisce quindi il doppio ruolo di tali Autorità nazionali. Da una parte, un ruolo di assistenza meramente esecutiva nei procedimenti antitrust della Commissione; dall'altra, un ruolo di partecipazione ("in collegamento") delle Autorità nazionali all'istruzione stessa.

Tali previsioni stabiliscono quindi il principio del collegamento tra Commissione e specifiche Autorità nazionali nella fase di istruzione di casi di (presunta) violazione degli artt. 81 e 82 TCE — e quindi indirettamente nella fase di decisione — 484. Non è quindi un caso che

484 In altre parole, la Commissione è affiancata dagli organi statali nei procedimenti

antitrust comunitari. A ben vedere, nel periodo che termina con l'entrata in vigore del reg. 17/62, gli Stati membri, più che influire sull'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE, sono essi stessi che applicano le norme antitrust CE, nei limiti dell'art. 85 TCE. Come supra sottolineato, il TCEE (1957) prevedeva che, fino all'emanazione del regolamento ex art 83

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

222

l'art. 10 reg. 17/62 (e, anche se in modo differente, l'art. 11 reg. 1/03) abbia poi stabilito — seguendo il principio espresso dall'art. 85(1) TCE e, successivamente, dall'art. 165(1) Cost. eu. — dei procedimenti di controllo "verticali ascendenti" delle Autorità degli Stati membri nei confronti della Commissione.

SOTTOSEZIONE V

GLI EFFETTI DEL SISTEMA ANTITRUST EUROPEO SUI SISTEMI NAZIONALI

ANTITRUST

62. Gli effetti del sistema antitrust disciplinato dal Trattato CE e dal

Trattato costituzionale sui sistemi nazionali di tutela antitrust.

Gli effetti che il sistema disciplinato dagli artt. 84 e 85 TCE ha determinato sui sistemi antitrust degli Stati membri sono stati rilevanti, non ostante il breve periodo in cui tale sistema è stato in vigore. L'elemento che ha avuto maggiori conseguenze nel tempo è stata l'attribuzione — ex art. 84 TCE — alle Autorità nazionali della competenza antitrust CE. È stata proprio tale attribuzione che ha di fatto "comunitarizzato" tali organi e — richiamandoli all'interno del sistema antitrust CE — li ha resi parte del sistema antitrust comunitario (fermo restando la natura non comunitaria di tali organi, v. supra § 52). Questo aspetto — che caratterizza il federalismo CE — è stato di grande importanza per l'evoluzione del sistema antitrust CE negli anni '90 e per la definizione dei procedimenti regolati dal reg. 1/03.

TCE, la Commissione non potesse applicare direttamente le norme antitrust CE. Erano infatti gli Stati membri, per mezzo delle Autorità nazionali ex art. 84 TCE, ad applicare gli artt. 81 TCE, compreso l'art. 81(3) TCE e l'art. 82 TCE.

SEZIONE II

LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLE NORME ANTITRUST EUROPEE

SOMMARIO: 63. La competenza e la partecipazione dei giudici nazionali al sistema antitrust disciplinato dal Trattato CE e dal Trattato costituzionale.

63. La competenza e la partecipazione dei giudici nazionali al sistema

antitrust disciplinato dal Trattato CE e dal Trattato costituzionale.

Il sistema di tutela antitrust disciplinato dagli artt. 84 e 85 TCE (e

degli artt. 164 e 165 Cost. eu.) si riferisce solo a due categorie di organi che applicano gli artt. 81 e 82 TCE, cioè alla Commissione e alle "Autorità nazionali competenti". Il TCE (e il Trattato costituzionale) non prevedono — a differenza del reg. 1/03 — una disciplina specifica relativa al ruolo dei giudici nazionali all'interno del sistema antitrust europeo.

I giudici nazionali, in assenza dei regolamenti ex art. 83 TCE ed art. 163 Cost. eu., hanno svolto un limitato ruolo nel sistema disciplinato ex art. 84 e 85 TCE (così come nel Trattato costituzionale). Questo perché, com'è noto, i giudici nazionali applicano e tutelano i diritti riconosciuti ai sensi degli artt. 81(1) TCE e 82 TCE in considerazione dell'effetto diretto di tali norme 485. Ma se l'art. 82 TCE presenta di per sé i requisiti della norma avente "effetto diretto", questo non è il caso del divieto comunitario di intese anticoncorrenziali. Infatti il giudice nazionale, nel definire la liceità di un comportamento ex art. 81(2) — cioè se l'accordo

485 Quanto qui sottolineato ovviamente vale anche nel caso di illegittimità delle norme

sull'applicazione dell'art. 81(3) TCE emanate ai sensi dei regolamenti o di direttive ex art. 83 TCE. Riguardo a ciò, v. infra le conseguenze della contestazione dell'illegittimità dell'art. 1 reg. 1/03 da parte del Mestmäcker.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

224

sia nullo — deve accertare non solo che l'accordo sia vietato ai sensi dall'art. 81(1) TCE, ma anche che esso non sia esentabile ex art. 81(3) TCE 486. Quindi, per determinare in quali casi i giudici nazionali possano applicare l'art. 81(3) TCE è necessario definire in precedenza — ai sensi dell'art. 83(2) lett. b TCE o dell'art. 163(2) lett. b Cost. eu. — le modalità di applicazione di tale norma (ad es. secondo il principio di divieto o di abuso). È da sottolineare che questo aspetto precede il differente problema se i giudici nazionali possano applicare una norma quale l'art. 81(3) TCE in quanto disposizione non avente "effetto diretto" (per un rapporto tra questa impostazione e la sent. Bosch, v. infra § 75). In altre parole, secondo la giurisprudenza CE, fin quando un provvedimento ex art. 83(1) TCE non abbia determinato come applicare l'art. 81(3) TCE, l'art. 81(2) TCE non può essere applicato direttamente dai giudici nazionali. In assenza di un simile regolamento essi possono dichiarare la nullità di un accordo ex art. 81(2) TCE solo dopo che la Commissione e le Autorità nazionali abbiano applicato tali norme ad un caso specifico. E cioè, in particolar modo, dopo che la Commissione abbia valutato — ex art. 85 TCE o ex art. 165 Cost. eu. — l'intesa ai sensi dell'art. 81 TCE, ovvero dopo che l'Autorità nazionale abbia deliberato su di essa — ex art. 84 TCE o ex art. 164 Cost. eu. — avendo accertato che l'intesa sia vietata ex art. 81(1) TCE e che essa non presenti i requisiti per essere autorizzata ex art. 81(3) TCE 487.

486 Come espresso da costante giurisprudenza comunitaria, v. Sentenza della Corte del

6 aprile 1962, Bosch, cit. a nota 270; Sentenza della Corte dell'11 aprile 1989, Ahmed Saeed Flugreisen, cit. a nota 271. V. anche Sentenza della Corte del 6 febbraio 1973, Sa Brasserie di

Haecht contro Wilkin - Janssen, causa 48/72, Raccolta della giurisprudenza, 1973, p. 77, per le intese notificate e per quelle stipulate prima di 1962.

487 In tanto questo è possibile, in quanto lo Stato membro abbia individuato l'Autorità competente, la modalità di applicazione dell'art. 81(3) TCE e i procedimenti che l'Autorità debba utilizzare per l'applicazione di tali norme; sul punto v. infra.

CAPITOLO III

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 17/62

SEZIONE I

IL SISTEMA ANTITRUST AMMINISTRATIVO EUROPEO

SOMMARIO: — Sottosezione I — Introduzione. — 64. Il sistema di tutela antitrust disciplinato dal reg. 17/62. — Sottosezione II — La Commissione. — 65. A) La competenza della Commissione con particolare riferimento all'art. 81(3) TCE. Le decisioni della Commissione disciplinate dal reg. 17/62. — 66. B) Le sanzioni comminabili dalla Commissione e la disciplina della prescrizione e della decadenza ai sensi del reg. 2988/74. — Sottosezione III — Le Autorità nazionali. — 67. A) La competenza delle Autorità nazionali e i rapporti con la competenza della Commissione. Il concetto di Autorità nazionale antitrust ai sensi del diritto antitrust europeo. — 68. B) Le sanzioni comminabili, le decisioni emanabili e i poteri istruttori esercitabili delle Autorità nazionali. — Sottosezione IV — I meccanismi di cooperazione e di controllo nel sistema

amministrativo antitrust. — 69. A) I meccanismi di cooperazione: A.i) La "cooperazione verticale ascendente" prevista dal reg. 17/62. L'utilizzabilità delle informazioni acquisite dalle Autorità nazionali per l'applicazione del diritto antitrust europeo e degli Stati membri. — 70. A.ii) Lo scambio di informazioni tra Commissione e Autorità nazionali antitrust. — 71. A.iii) La disciplina del segreto professionale. I casi di pubblicazione delle informazioni acquisite. — 72. B) I meccanismi di controllo: il principio di "stretta collaborazione" tra Commissione e Autorità nazionali. L'art. 10 reg. 17/62 e le fasi di redazione della norma. Il Comitato consultivo. — 73. C) Il controllo sui generis degli Stati membri, ai sensi del reg. 17/62, nei confronti dell'esercizio dei poteri istruttori della Commissione. — Sottosezione V —

Gli effetti del sistema antitrust disciplinato dal reg. 17/62 sui sistemi nazionali antitrust. — 74. Gli effetti del sistema antitrust disciplinato dal reg. 17/62 sui sistemi nazionali antitrust.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

226

SOTTOSEZIONE I

INTRODUZIONE

64. Il sistema di tutela antitrust disciplinato dal reg. 17/62.

Il primo regolamento di applicazione degli artt. 81 e 82 TCE è stato

emanato il 6 febbraio 1962 488— dopo circa cinque anni dalla firma del Trattato di Roma (1957) —. Il regolamento è entrato in vigore il 13 marzo 1962 489 ed ha terminato il periodo di vigenza il 30 aprile 2004. Tale provvedimento ha avuto quale obiettivo, in primo luogo, la definizione delle modalità di applicazione dell'art. 81(3) TCE e, in

secondo luogo, la definizione dei poteri del sistema antitrust CE. Rispetto al primo punto, lo specifico aspetto dell'applicazione

dell'art. 81(3) TCE è stato trattato supra, nella "Parte seconda" relativa alla definizione della competenza antitrust CE. Questo in quanto la modalità di applicazione dell'art. 81(3) TCE non rappresenta un mero problema di struttura amministrativa del sistema antitrust CE — anche se formalmente esso è disciplinato da un regolamento ex art. 83 TCE —, né rappresenta esclusivamente un problema di competenza dei singoli organi del sistema antitrust CE per l'applicazione dell'art. 81(3) TCE. Tale aspetto costituisce, infatti, una scelta di carattere "fondante" riguardo al tipo di concorrenza tutelata nel mercato comune; esso, in

488 V. i primi commenti del reg. 17/62 di REMO FRANCESCHELLI, Il primo regolamento

di applicazione degli artt. 85 e 86 del Trattato di Roma, in particolare la parte concernente

l'applicazione dell'art . 85, § 3, in Rivista di Diritto commerciale, 1962, p. 429; GUSTAVO

MINERVINI, La disciplina C.E.E. della libertà di concorrenza - Il primo regolamento della CEE per la tutela della libertà di concorrenza, in Il Diritto dell'economia, 1962, p. 895; AURELIO

PAPPALARDO, I1 primo regolamento di applicazione degli artt. 85 e 86 del Trattato della CEE, in Rivista delle Società, 1962, p. 345; ARVED DERINGER, Die erste Durchführungsverordnung

zu den Artikeln 85 und 86 des EWG Vertrages, in Wirtschaft und Wettbewerb, p. 82; H. SCHUMACHER, Die Durchführung der Artikel 85 und 86 des Rom-Vertrages, in Wirtschaft und

Wettbewerb, 1962, p. 475; AIME DE CALUWE, Premier règlement d'application des articles .85

et 86 du Traité de Rome, in Revue de droit intellectuel, 1962, p. 10; JEAN GODFRIN, Les dispositions favorables a la concurrence selon les articles 85 et 86 du Traité de Rome et le premier

règlement d'application de ces articles compte rendu présente, in Revue de droit intellectuel, 1962, p. 26.

489 Regolamento n. 17, primo regolamento d'applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato CEE, in GUCE P 13 del 21 febbraio 1962, p. 204.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 17/62

227

ultima istanza, influisce direttamente sulla filosofia della politica antitrust dell'ordinamento CE.

Riguardo al secondo punto, il reg. 17/62 — oltre a regolare il centrale elemento della modalità di applicazione dell'art. 81(3) TCE (art. 1 reg. 17/62), le conseguenze sulla particolare disciplina delle decisioni della Commissione (artt. 2 - 8 reg. 17/62) e gli organi competenti ad applicare l'art. 81(3) TCE (art. 9 reg. 17/62) — non disciplinava aspetti altrimenti non già previsti (anche se succintamente) nel TCEE (1957). Rispetto al sistema regolato dagli artt. 84 e 85 TCE, il reg. 17/62 disciplinava in modo esteso il segreto professionale (peraltro, già disciplinato in via generale ex art. 287 TCE). Il regolamento disciplinava inoltre lo scambio delle informazioni tra Commissione e Autorità nazionali (rectius la finalità delle informazioni raccolte — anche se ciò era già implicito nella disciplina del TCE relativa all'attività esecutiva svolta dalle Autorità nazionali per la Commissione e ai poteri ispettivi della Commissione — ).

I rapporti tra Commissione e Autorità nazionali — salvo il caso dell'art. 9 reg. 17/62, relativo alla competenza delle Autorità nazionali ed all'avocazione dei casi da parte della Commissione (art. 9(3) reg. 17/62) — non erano quasi presi in considerazione, in evidente contrasto con il reg. 1/03. Tale assenza era giustificata, in primo luogo, dalla non rilevanza — in quel momento storico — di tale aspetto e, in secondo

luogo, dal fatto che al momento dell'emanazione del reg. 17/62 non tutti gli Stati membri dell'allora CEE avevano istituito una Autorità nazionale che applicasse il diritto antitrust CE.

In considerazione del ridotto numero di aspetti che il reg. 17/62 disciplinava (aspetti la cui definizione a livello di Consiglio aveva determinato però difficili e impegnative negoziazioni — v. supra § 23) il provvedimento era relativamente breve, soprattutto se paragonato al reg. 1/03 (v. infra § 88); esso constatava infatti di soli 24 articoli.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

228

SOTTOSEZIONE II

LA COMMISSIONE

65. A) La competenza della Commissione con particolare riferimento

all'art. 81(3) TCE. Le decisioni della Commissione disciplinate dal reg.

17/62.

Con riferimento alla competenza della Commissione, l'art. 9(1) reg.

17/62 attribuiva all'Autorità CE la competenza esclusiva di applicazione dell'art. 81(3) TCE 490. A ben vedere il riconoscimento di tale competenza esclusiva era nel 1962 sostanzialmente obbligato. Una competenza decentrata del potere di autorizzazione ex art. 81(3) TCE avrebbe infatti determinato il rischio di prassi non coerenti tra le varie Autorità nazionali e la Commissione (soprattutto in un momento in cui le culture giuridiche ed economiche relative alla tutela dai cartelli tra imprese erano così differenti tra i singoli Stati membri, ed in particolare tra Germania e Francia; v. supra § 22 ss.).

Con riferimento alle modalità di applicazione dell'art. 81(3) TCE da parte della Commissione, esse presentavano (come ricordato supra § 24) un compromesso tra impostazione francese e tedesca, compromesso che determinava delle conseguenze sul contenuto di quasi tutte le norme del reg. 17/62. Tale soluzione consisteva — come evidenziato supra — nel divieto di intese salvo l'eventuale esenzione ex art. 81(3) TCE a seguito della notifica dell'accordo e della relativa valutazione da parte della Commissione. In particolare, il reg. 17/62 prevedeva la validità provvisoria degli accordi notificati alla Commissione sino al momento della decisione della Commissione (elemento questo imposto dai

490 Ciò detto, il principio di divieto con sistema di notifica (Verbotprinzip mit

Anmeldungsystem) disciplinato dal reg. 17/62 deve essere tenuto distinto dal problema della definizione degli organi che possano applicare l'art. 81(3) TCE. Riguardo all'art. 81(3) TCE, infatti, tanto la Commissione (art. 85 TCE), quanto le Autorità nazionali (art. 84 TCE), erano idonee ad essere titolari della competenza a ricevere e valutare le notifiche. Questo è utile per comprendere la discussione e la critica che parte della dottrina tedesca (e in particolare del Mestmäcker, ERNST-JOACHIM MESTMÄCKER, The EC Commission's

Modernization, cit. a nota 501) ha rivolto al reg. 1/03.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 17/62

229

rappresentanti francesi) 491. Gli effetti della decisione, sia nell'ipotesi di rigetto che di riconoscimento dell'esenzione, erano ex tunc (elemento imposto dai rappresentanti tedeschi) 492. Anche nel caso in cui la richiesta di esenzione ex art. 81(3) TCE fosse stata rigettata, le parti dell'intesa vietata non erano sanzionabili "per comportamenti (…) posteriori alla notificazione alla Commissione ed anteriori alla decisione con la quale questa concede[va] o rifiuta[va] l'applicazione dell'articolo [81], paragrafo 3 del Trattato" (art. 15(5) lett. b reg. 17/62). La notifica dell'accordo avrebbe permesso alla Commissione — secondo un impostazione simile a quella della scuola ordoliberale di Friburgo recepita dal tedesco Gesetz gegen Wettbewerbsbeschränkungen — di valutare ex ante, al momento della notifica, gli effetti dell'intesa su una determinata struttura di mercato, prima che essa avesse alterato in modo sostanziale la struttura dello stesso 493. Inoltre, i dati notificati insieme all'accordo avrebbero permesso alla Commissione — sempre secondo tale impostazione — di disporre di informazioni relative ai mercati. Queste avrebbero permesso di comprendere più facilmente l'esistenza di accordi o pratiche in restrizione della concorrenza 494.

Le decisioni che la Commissione poteva emanare in applicazione degli artt. 81 e 82 TCE ai sensi del reg. 17/62 erano la conseguenza dei due elementi sopra indicati, cioè: da una parte, la previsione del sistema di notifica per l'applicazione dell'art. 81(3) TCE; dall'altra, la competenza esclusiva in capo alla Commissione dell'applicazione dell'art. 81(3) TCE. Infatti, tra le decisioni della Commissione disciplinate, solo gli artt. 2 reg. 17/62 (attestazione negativa) 495 e 3 reg. 17/62 (eliminazione delle infrazioni) 496 non riguardavano decisioni di

491 ARVED DERINGER, Das Kartellrecht, cit. a nota 249. 492 ARVED DERINGER, Das Kartellrecht, cit. a nota 249. 493 ERNST-JOACHIM MESTMÄCKER, The EC Commission's Modernization, cit. a nota 501. 494 Cfr. MONOPOLKOMMISSION, Kartellpolitische Wende in der Europäischen Union?,

Sondergutachten n. 28 vom 28. April 1999, § 55; MONOPOLKOMMISSION, Folgeprobleme der

europäischen Kartellrechtsreform, Sondergutachten n. 32 vom 30. Oktober 2001, § 20. 495 L'art. 2 reg. 17/62 ("attestazione negativa") prevedeva il caso in cui la Commissione,

dietro richiesta delle parti dell'accordo, facesse presente di non dovere intervenire ai sensi dell'art. 81(1) TCE. Tale decisione, a differenza delle decisioni relative all'art. 81(3) TCE, aveva la caratteristica di essere un provvedimento dichiarativo, v. ERNST-JOACHIM

MESTMÄCKER, The EC Commission's Modernization, cit. a nota 501. 496 L'art. 3 reg. 17/62 disciplinava le decisioni relative all'eliminazione delle infrazioni

degli artt. 81 e 82 TCE. In particolare, la norma prescriveva che la Commissione, nel caso in cui avesse constatato un'infrazione degli artt. 81 e 82 TCE, avrebbe potuto obbligare le parti

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

230

applicazione dell'art. 81(3) TCE. Tutte le altre norme riguardavano il sistema di notifica degli accordi, e cioè: art. 4 reg. 17/62 (notificazione dei nuovi accordi, decisioni e pratiche) 497; art. 5 reg. 17/62 (notificazione degli accordi, decisioni e pratiche esistenti) 498; art. 6 reg. 17/62 (dichiarazioni ai sensi dell'articolo 81, paragrafo 3) 499; art. 7 reg. 17/62

a porre fine a tale comportamento. La Commissione era solo facoltizzata ad emanare una decisione, i denuncianti non disponevano quindi del diritto ad ottenere una decisione di merito. Questo elemento sarà di grande importanza negli anni '90 nella definizione dei limiti della competenza della Commissione, v. infra. Inoltre, l'art. 3 reg. 17/62 prevedeva che la Commissione, prima di prendere una decisione formale di infrazione, avrebbe potuto dirigere raccomandazioni dirette a far cessare l'infrazione.

L'apertura di un'istruttoria di accertamento della violazione degli artt. 81 e 82 TCE poteva avvenire, come già previsto dall'art. 85 TCE, sia d'ufficio, sia dietro richiesta degli Stati membri. Il reg. 17/62 disciplinava, a differenza del sistema di cui agli artt. 84 e 85 TCE, che anche persone fisiche o giuridiche erano titolari della legittimazione a presentare una denuncia. Come detto, questi ultimi non erano però titolari del diritto di obbligare la Commissione ad aprire un procedimento istruttorio a seguito della denuncia.

497 In particolare l'art. 4(1) reg. 17/62 recitava: "Fino a quando [gli accordi] non siano stati notificati, la dichiarazione di cui all'articolo 81, paragrafo 3 non può essere rilasciata".

L'art. 4(3) reg. 17/62 — modificato successivamente nel 2000 in previsione del nuovo regolamento sugli accordi verticali, reg. 2790/99 — disciplinava i casi in cui le intese, in presenza di determinate caratteristiche, non dovevano essere notificate alla Commissione (sebbene le parti fossero comunque facoltizzate a presentare la notifica, v. art. 4(3) reg. 17/62). È stato notato (KOENRAAD LENAERTS, Le Juge et la Constitution aux États-Unis

d'Amérique et dans l'Ordre juridique Européen, Bruxelles, Bruylant, 1988, 154) come tale norma, che aveva la funzione di limitare il campo di applicazione dell'art. 81 TCE, fu successivamente ampliata — in particolare con la Sentenza della Corte del 18 marzo 1970, Brauerei A. Bilger Soehne GmbH contro Heinrich Jehle E Marta Jehle, causa 43/69, Raccolta

della giurisprudenza, 1970, p. 127 — e portata fino a comprendere anche intese aventi effetto meramente interstatale.

498 L'art. 5 reg. 17/62 regolava, invece, la notifica degli accordi, decisioni e pratiche esistenti al momento dell'entrata in vigore del regolamento. Tale norma, ancorché avesse perduto con il passare del tempo importanza, rimaneva comunque — insieme alla relativa giurisprudenza — di rilievo per determinare quale tipo di sistema di applicazione dell'art. 81(3) TCE fosse disciplinato dal Trattato di Roma.

499 L'art. 6 reg. 17/62 disciplinava i provvedimenti con cui la Commissione — in virtù della competenza esclusiva ex art. 9(3) reg. 17/62 — riconosceva le esenzioni di cui all'art. 81(3) TCE. Tale norma attribuiva natura dichiarativa al provvedimento di autorizzazione, aspetto essenziale per determinare il momento in cui eventualmente sarebbe sorto in capo alle parti dell'intesa l'obbligo di risarcire i danni da loro causati (sul tale problema con riferimento al reg. 1/03 v. infra). Tale norma prescriveva inoltre che l'esenzione non poteva essere anteriore alla data di notifica, salvo alcune eccezioni (cd. le intese esistenti). L'art. 6 reg. 17/62 — ai sensi del combinato disposto degli artt. 4(1) reg. 17/62 e 15(5) reg. 17/62 — determinava, quindi, che la notifica fosse necessaria per l'ottenimento di una esenzione ex art. 81(3) TCE, e che tale esenzione non potesse avere effetto anteriore alla data di notifica. La notifica, inoltre, escludeva la possibilità di sanzionare le imprese notificanti. Come infra ricordato, fin quando non era notificato, l'accordo era valutato esclusivamente ai sensi dell'art. 81(1) TCE e, in considerazione della successiva interpretazione rigida dell'art. 81(1)

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 17/62

231

(disposizioni particolari per gli accordi, decisioni e pratiche esistenti) 500; art. 8 reg. 17/62 (durata della validità e revoca delle dichiarazioni ai sensi dell'articolo 81, paragrafo 3) 501; art. 23 reg. 17/62 (regime transitorio applicabile alle decisioni delle Autorità degli Stati membri) 502.

66. B) Le sanzioni comminabili dalla Commissione e la disciplina della

prescrizione e della decadenza ai sensi del reg. 2988/74.

Il reg. 17/62 disciplinava nel dettaglio — ai sensi dell'art. 83(2) lett. a

TCE e concretizzando quanto già previsto all'art. 85 TCE — il potere sanzionatorio della Commissione per la violazione degli artt. 81 e 82 TCE. Il regolamento prevedeva, in particolare, la facoltà della Commissione di comminare alle imprese sia ammende (art. 15 reg. 17/62) che penalità di mora (art. 16 reg. 17/62). Il reg. 17/62 stabiliva inoltre per queste ultime — in attuazione dell'art. 83(2) lett. d TCE e

TCE, la mancanza della notifica aveva quale conseguenza la "più che probabile" illiceità dell'accordo stesso ex art. 81(1) TCE.

500 L'art. 7 reg. 17/62 disciplinava delle disposizioni particolari per gli accordi, le decisioni e le pratiche esistenti. E cioè la possibilità delle imprese che avessero notificato intese che non presentavano i requisiti di cui all'art. 81(3) TCE — intese esistenti al momento dell'entrata in vigore del reg. 17/62 e notificate prima del 1 agosto 1962 —, di porre fine o di modificare tali intese così che non fossero vietate dall'art. 81(1) TCE o che presentassero i requisiti ex art. 81(3) TCE. In tal caso il divieto ex art. 81(1) TCE sarebbe stato limitato a quanto deciso dalla Commissione.

501 L'art. 8 reg. 17/62 regolava la validità e la revoca delle dichiarazioni ex art. 81(3) TCE. In particolare, esso prescriveva che "la dichiarazione di cui all'articolo [81], paragrafo 3 del Trattato è rilasciata per un periodo determinato e può essere sottoposta a condizioni ed oneri" (art. 8(1) reg. 17/62) e che "la dichiarazione può essere rinnovata su domanda, qualora continuino a sussistere le condizioni previste dall'articolo [81], paragrafo 3 del Trattato" (art. 8(2) reg. 17/62). Infine, l'art. 8(3) reg. 17/62 recitava: "La Commissione può revocare o modificare la dichiarazione o vietare agli interessati determinati comportamenti: a) se cambia la situazione di fatto relativa ad un elemento essenziale della dichiarazione, b) se gli interessati non osservano un onere imposto dalla dichiarazione, c) se la dichiarazione è stata rilasciata in base a indicazioni inesatte ovvero ottenuta con frode, d) se gli interessati abusano dell'esenzione dalle disposizioni dell'articolo [81], paragrafo 1 del Trattato che è stata loro concessa con la dichiarazione". L'ipotesi sub d) era l'unico caso disciplinato dal reg. 17/62 in cui sussistesse il principio di abuso, v. ERNST-JOACHIM MESTMÄCKER, The EC

Commission's Modernization of Competition Policy: a Challenge to the Community's Constitutional Order, in European Business Organization Law Review, 2000, p. 401.

502 La Corte di giustizia, sulla base delle decisioni previste dal reg. 17/62, riconobbe in via interpretativa l'ulteriore potere della Commissione di emanare misure cautelari; v. Ordinanza della Corte del 17 gennaio 1980, Camera Care Ltd. contro Commissione delle

Comunità europee, causa 792/79 R, Raccolta della giurisprudenza, 1980, p. 119.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

232

dell'art. 229 TCE — la competenza della Corte di giustizia sia per profili di legittimità del procedimento, che per profili di merito della sanzione.

Con riferimento alle sanzioni comminate dalla Commissione, quello che qui interessa — soprattutto per le conseguenze sul reg. 1/03 — riguardava la prescrizione del potere della Commissione di sanzionare le violazioni degli artt. 81 e 82 TCE. Com'è noto, il reg. 17/62 non disciplinava la prescrizione o la decadenza del potere della Commissione di comminare le sanzioni ex artt. 15 reg. 17/62 e 16 reg. 17/62. Solo nel 1969 fu sollevata dalle parti del caso ACF 503 un'eccezione riguardo all'assenza di tale disciplina. La Corte di giustizia, rigettando il motivo di ricorso, sostenne che "i testi che attribuiscono alla Commissione il potere d'infliggere ammende in caso di violazione delle norme sulla concorrenza non prevedono la prescrizione. Onde adempiere la sua funzione di garantire la certezza del diritto, il termine di prescrizione deve essere stabilito in precedenza. La determinazione della sua durata e delle modalità d'applicazione è di competenza del legislatore comunitario" 504. A seguito di ciò il Consiglio, al fine di limitare temporalmente i poteri sanzionatori della Commissione, emise il reg. 2988/74 505.

503 Sentenza della Corte del 15 luglio 1970, Acf Chemiefarma Nv contro Commissione

delle Comunità europee, causa 41/69, Raccolta della giurisprudenza, 1970, p. 661 504 Sentenza della Corte del 15 luglio 1970, Acf Chemiefarma Nv contro Commissione

delle Comunità europee, causa 41/69, Raccolta della giurisprudenza, 1970, p. 661, §§ 19 e 20. 505 Regolamento n. 2988 del Consiglio del 26 novembre 1974, relativo alla prescrizione

in materia di azioni e di esecuzione nel settore del diritto dei trasporti e della concorrenza della Comunità economica europea, in GUCE L 319 del 29 novembre, 1974, p. 1. Sul punto v. MICHEL WAELBROECK - ALDO FRIGNANI, Concurrence (Commentaire Megret - 4), 2a ed., Bruxelles, Éditions de l'Université de Bruxelles, 1997, p. 435.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 17/62

233

SOTTOSEZIONE III

LE AUTORITÀ NAZIONALI

67. A) La competenza delle Autorità nazionali e i rapporti con la

competenza della Commissione. Il concetto di Autorità nazionale

antitrust ai sensi del diritto antitrust europeo.

Il reg. 17/62 manteneva in capo alle Autorità nazionali la

competenza ad applicare gli artt. 81 e 82 TCE, così come già ai sensi dell'art. 84 TCE. L'art. 9(3) reg. 17/62 prevedeva infatti che "fino a quando la Commissione non abbia iniziato alcuna procedura a norma degli artt. 2, 3 o 6, le Autorità degli Stati membri restano competenti per l'applicazione dell'articolo [81], paragrafo 1 e dell'articolo [82], in conformità dell'articolo [84] del Trattato, anche se non sono scaduti i termini per la notificazione, indicati nell'articolo 5, paragrafo 1 e nell'articolo 7, paragrafo 2". D'altro canto, non vi sarebbe stato motivo per eliminare tale competenza, soprattutto in presenza negli Stati membri di organi che avrebbero potuto cooperare con la Commissione per la tutela antitrust CE 506.

506 Come già anticipato infra, vi è chi sostiene che la scelta di attribuire alle Autorità

nazionali la competenza per applicare gli artt. 81 e 82 TCE era stata operata per via della generale attività di tutela antitrust nella CEE; impegno che sarebbe stato l'aspetto discriminate rispetto al Trattato CECA, dove non erano richiamate le Autorità nazionali quali organi competenti ad applicare il diritto (parziale) antitrust TCECA, v. DANIEL G. GOYDER, EC Competition Law, 3rd ed., Oxford, Oxford University Press, 1998, 18. A ben vedere, certamente il TCE richiedeva una maggiore attività di tutela antitrust, ciò determinato dal controllo ex artt. 81 e 82 TCE di tutti i settori economici — e non solo per il settore carbonsiderurgico, come nel Trattato CECA —. Ma tale dottrina non tiene presente gli accadimenti che dal 1952 al 1957 erano avvenuti in Europa; in particolare la riforma della legge francese sulla disciplina dei cartelli, l'emanazione del tedesco Gesetz gegen Wettbewerbsbeschränkungen e l'istituzione, nel caso tedesco, di uno specifico organo di applicazione della disciplina. Sono questi fatti — e la relativa contrapposizione tra scuola francese e scuola tedesca — che determinano la necessità di disciplinare nel TCE le Autorità nazionali quali organi che si sostituissero alla Commissione per l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE. Ciò era conseguenza dalla necessità degli Stati membri di "prendere tempo" per definire un compromesso sull'applicazione dell'art. 81(3) TCE.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

234

La competenza riconosciuta dal reg. 17/62 alle Autorità nazionali non si estendeva però — a differenza dell'art. 84 TCE — all'applicazione dell'art. 81(3) TCE, competenza esclusiva della Commissione (art. 9(1) reg. 17/62).

Inoltre, le Autorità nazionali non potevano esercitare la propria competenza ex artt. 81 e 82 TCE parallelamente alla Commissione riguardo ad una medesima fattispecie 507 (art. 9(3) reg. 17/62). Infatti, in conseguenza dell'apertura di un procedimento da parte della Commissione sul medesimo caso oggetto di valutazione di un'Autorità nazionale, l'Autorità CE avocava a sé la competenza antitrust per poter giudicare tale fattispecie. Parimenti l'Autorità nazionale non poteva iniziare un procedimento ai sensi del diritto antitrust CE per casi oggetto in quel momento di un procedimento istruttorio della Commissione. Ciò non escludeva però che le Autorità nazionali potessero applicare parallelamente — sebbene nella vigenza del reg. 17/62 questo fosse una mera ipotesi di scuola — la competenza antitrust CE per la medesima fattispecie.

Al contrario, il reg. 17/62 non escludeva, come confermato dalla sent. Walt Wilhelm, procedimenti paralleli della Commissione e delle Autorità nazionali su di una medesima fattispecie: la Commissione ai sensi del diritto antitrust CE e l'Autorità ai sensi del diritto antitrust nazionale.

Sempre con riferimento all'avocazione della competenza antitrust CE ex art. 9(3) reg. 17/62, la Corte di giustizia aveva chiarito l'importante problema se i giudici nazionali costituissero "Autorità nazionali" ai sensi dell'art. 9(3) reg. 1/03. La Corte aveva inizialmente risolto il problema per l'affermativa, in questo modo escludendo che vi fosse una distinzione tra Autorità e giudici nazionali nell'applicazione degli artt. 81(1) e 82 TCE 508. Con un repentino cambio di giurisprudenza la Corte aveva poi escluso che l'art. 9(3) reg. 17/62 si rivolgesse ai giudici nazionali 509. Tale modifica era conseguenza degli

507 Cfr. l'art. 11(6) reg. 1/03 e l'impossibilità dell'applicazione parallela del diritto

antitrust CE riguardo ad una medesima fattispecie antitrust tra Commissione e Autorità nazionali, ma non al divieto per le varie Autorità nazionali di applicare parallelamente il diritto antitrust CE su di una medesima fattispecie.

508 Sentenza della Corte del 18 marzo 1970, Brauerei A. Bilger, cit. a nota 497. 509 Sentenza della Corte del 30 gennaio 1974, Sabam - Fonior, cit. a nota 288.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 17/62

235

effetti che la prima interpretazione avrebbe determinato sulla tutela dei diritti riconosciuti dagli artt. 81(1) e 82 TCE. Il fatto che i giudici nazionali avessero dovuto interrompere i relativi procedimenti in caso di apertura da parte della Commissione di una istruttoria sulla medesima fattispecie avrebbe, infatti, impedito ai singoli la tutela giurisdizionale dei diritti riconosciuti dall'ordinamento CE.

Per altro, il reg. 17/62 non obbligava gli Stati membri a costituire o a individuare un organo che applicasse il diritto antitrust CE, e ciò nonostante l'attribuzione alle Autorità nazionali della competenza ex artt. 81 e 82 TCE (art. 9(3) reg. 17/62). Inoltre, il fatto che Autorità antitrust nazionali potessero esercitare il diritto antitrust statale ai sensi di discipline interne non costituiva condizione sufficiente perché esse potessero porre in essere anche il diritto antitrust CE (art. 9(3) reg. 17/62). Per l'applicazione della disciplina CE da parte delle Autorità nazionali era (ed è) necessaria una espressa disciplina nazionale 510.

A tal fine, in primo luogo erano (e sono) necessarie norme interne che individuino espressamente quale sia l'organo competente ex art. 9(3) reg. 17/62 511. Infatti, come già sottolineato, il rinvio dell'art. 9(3) reg. 17/62 all'art. 84 TCE non determinava automaticamente l'applicabilità degli artt. 81 e 82 TCE da parte delle Autorità nazionali 512. Il rinvio

510 Al contrario, il reg. 17/62 obbligava gli Stati membri a determinare le modalità — e

quindi anche gli organi degli Stati membri — per mezzo dei quali fornire l'assistenza necessaria per l'esecuzione degli accertamenti ex art. 14(3) reg. 17/62. Tale ruolo era svolto in Italia, prima dell'emanazione della l. n. 287/90, dal Ministero dell'industria e del commercio per tramite dei suoi funzionari, così come previsto dall'articolo unico d.p.r. 22 settembre 1963, n. 1884, v. infra.

511 Sotto questo aspetto, nell'esperienza italiana non è sufficiente che l'organo sia definito "Autorità garante della concorrenza e del mercato" per individuare che esso sia l'organo competente ad applicare gli artt. 81 e 82 TCE. Infatti, l'individuazione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato quale titolare della competenza ex art. 9(3) reg. 17/92 (e quindi dell'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE) è avvenuta solo successivamente con l'art. 54 l. n. 52/96. La stessa l. n. 287/90 prevede una ulteriore specificazione riguardo al ruolo dell'Autorità italiana. Infatti, l'art. 10 l. n. 287/90 chiarisce che è l'Autorità che, "in quanto Autorità nazionale competente per la tutela della concorrenza e del mercato, intrattiene con gli organi delle Comunità europee i rapporti previsti dalla normativa comunitaria in materia" (art. 10(4) l. n. 287/90).

512 Infatti, anche ai sensi dell'art. 84 TCE era necessaria una normativa dei singoli Stati membri affinché le Autorità nazionali potessero applicare gli artt. 81(1), 81(3) e 82 TCE, necessità dimostrata anche nell'esperienza italiana. Infatti, con l'art. 4 lett. d legge del 14 ottobre 1957 n. 1203 il Parlamento italiano aveva delegato il Governo alla definizione delle modalità di applicazione del divieto di cui all'art. 81(3) TCE. Tra l'altro, questo fatto fa quindi supporre che l'Italia valutasse gli artt. 81 e 82 TCE come direttamente applicabili dai

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

236

dell'art. 9(3) reg. 17/62 all'art. 84 TCE era infatti una semplice indicazione della coincidenza delle Autorità competenti di cui all'art. 84 TCE con quelle di cui all'art. 9(3) TCE 513. Inoltre, il rinvio alle norme del TCE era comunque un fatto costante nel reg. 17/62 e non caratteristico solo dell'art. 9(3) reg. 17/62. Né, d'altra parte, la giurisprudenza CE si era mai espressa in modo differente. In secondo

luogo, la disciplina nazionale doveva (e deve) stabilire, affinché l'Autorità possa applicare il diritto antitrust CE, quali siano i relativi procedimenti. In terzo luogo, nell'ordinamento italiano è inoltre necessaria una normativa statale che stabilisca le sanzioni conseguenti alla violazione degli artt. 81 e 82 TCE (per una visione più ampia di questi tre punti, v. infra § 105).

68. B) Le sanzioni comminabili, le decisioni emanabili e i poteri istruttori

esercitabili delle Autorità nazionali.

Il reg. 17/62 non disciplinava né i tipi di decisione che le Autorità

nazionali emanavano in applicazione degli artt. 81 e 82 TCE, né i poteri istruttori che a tal fine esse esercitavano, né le sanzioni conseguenti alle violazioni degli artt. 81 e 82 TCE. Questo in quanto l'obiettivo principale del reg. 17/62 — come supra ricordato — era infatti, da una

parte, la definizione della modalità di applicazione dell'art. 81(3) TCE e, dall'altra, la definizione dei poteri della Commissione per applicare direttamente nei confronti delle imprese gli artt. 81 e 82 TCE. Al

giudici nazionali nel momento stesso dell'entrata in vigore del TCEE (1957), come suggerito da ALBRECHT SPENGLER, Die Wettbewerbsregeln, cit. a nota 268.

513 Infatti, l'art. 84 TCE attribuisce alle Autorità nazionali una competenza che nulla ha a che vedere con quella dell'art. 9(3) reg. 17/62. Infatti, ai sensi dell'art. 84 TCE viene attribuito alle Autorità nazionali — in assenza di un regolamento o direttiva ex art. 83 TCE — anche la competenza di applicazione dell'art. 81(3) TCE, competenza di cui le medesime Autorità nazionali, ai sensi dell'art. 9(3) reg. 17/62, non sono titolari. L'art. 9(3) reg. 17/62 disciplina cioè, una fattispecie distinta rispetto all'art. 84 TCE.

Riguardo a questo punto, si confronti il reg. 1/03 il quale — in modo differente dal reg. 17/62 — non ricollega l'esercizio di tali poteri di richiesta di informazioni all'"assolvimento dei compiti affidatile dall'articolo [85] e dalle norme emanate in applicazione dell'articolo [83] del Trattato" (art. 11(1) reg. 17/62). L'art. 18(1) reg. 1/03 prevede, senza che ciò modifichi le finalità degli istituti, che la richiesta di informazioni è diretta all'"assolvimento dei compiti affidatile dal presente regolamento", con questo "recidendo" ogni formale rapporto con il sistema disciplinato dagli artt. 84 e 85 TCE (come per altro avvenuto anche con riferimento alle Autorità nazionali e al richiamo dell'art. 83 TCE).

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 17/62

237

momento dell'emanazione del reg. 17, cioè nel 1962, non era quindi una priorità il definire a livello CE l'aspetto relativo all'applicazione (eventuale) degli artt. 81 e 82 TCE da parte delle Autorità nazionali (cfr. art. 5 reg. 1/03).

SOTTOSEZIONE IV

I MECCANISMI DI COOPERAZIONE E DI CONTROLLO NEL SISTEMA

AMMINISTRATIVO ANTITRUST

69. A) I meccanismi di cooperazione: A.i) La "cooperazione verticale

ascendente" prevista dal reg. 17/62. L'utilizzabilità delle informazioni

acquisite dalle Autorità nazionali per l'applicazione del diritto antitrust europeo e degli Stati membri.

Il reg. 17/62, così come già l'art. 85 TCE, prevedeva delle norme

relative alla cooperazione e controllo tra Commissione e Autorità nazionali.

Con riferimento alla cooperazione "verticale ascendente", l'art. 13 reg. 17/62 — così come l'art. 85 TCE — disciplinava l'obbligo delle Autorità di svolgere attività ispettive su richiesta della Commissione 514. Tale norma prescriveva che "su domanda della Commissione, le Autorità competenti degli Stati membri proced[esser]o agli accertamenti che la Commissione [avesse ritenuto] opportuni", e questo vale sia per gli accertamenti decisi dalla Commissione tramite semplice domanda sia tramite decisione (art. 13(1) reg. 17/62). L'art. 13(1) reg.

514 Il reg. 17/62 prevedeva, infatti, che "per l'assolvimento dei compiti affidatile

dall'articolo 85 e dalle norme emanate in applicazione dell'articolo 83 del Trattato, la Commissione può raccogliere tutte le informazioni necessarie presso i Governi e le Autorità competenti degli Stati membri, nonché presso le imprese e associazioni di imprese" (art. 11(1) reg. 17/62). Tale norma costituiva un obbligo di cooperazione tra Commissione, Autorità nazionali e Governi ben superiore a quanto già disposto dall'art. 10 TCE. Essa infatti imponeva di fornire tutte le informazioni — nei limiti dall'art. 296 TCE — di cui la Commissione avesse necessità ai fini del reg. 17/62. Tale obbligo rendeva gli uffici dei Governi e delle Autorità nazionali sostanzialmente "trasparenti" alle richieste della Commissione; sul punto, v. C. S. KERSE, E.C. Antitrust procedure, 4ed., London, Sweet & Maxwell, 1998, 15.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

238

17/62 prevedeva inoltre che "gli agenti delle Autorità competenti degli Stati membri incaricati di procedere agli accertamenti esercita[va]no i loro poteri su presentazione di un mandato scritto rilasciato dall'Autorità competente dello Stato membro nel cui territorio [doveva] essere compiuto l'accertamento. Tale mandato specifica[va] l'oggetto e lo scopo dell'accertamento" (art. 13(1) reg. 17/62). In tal caso era la Commissione che disponeva della facoltà di inviare propri agenti affinché "assistessero" gli agenti di tale Autorità "nell'assolvimento dei loro compiti" (art. 13(2) reg. 17/62) 515. I poteri di accertamento che le Autorità nazionali esercitavano erano disciplinati — in assenza di disciplina comunitaria e salvo quanto previsto dal reg. 17/62 — dalle normative dei singoli Stati membri 516.

Anticipando quanto trattato infra, nel caso di accertamenti delegati da parte della Commissione, le Autorità nazionali — diversamente dal reg. 1/03 — non potevano conservare e utilizzare le informazioni e i documenti acquisiti su delega della Commissione per autonomi procedimenti istruttori a livello nazionale, né ai sensi del diritto antitrust CE, né ai sensi del diritto antitrust nazionale 517. Il reg. 17/62, come confermato dalla giurisprudenza Banche spagnole 518, disciplinava infatti i poteri istruttori solo per le finalità del reg. 17/62, e cioè l'applicazione da parte della Commissione del diritto antitrust CE. In altre parole, tali informazioni potevano essere utilizzate esclusivamente come mezzo di prova dalla Commissione e non dalle Autorità nazionali.

70. A.ii) Lo scambio di informazioni tra Commissione e Autorità nazionali

antitrust. Il reg. 17/62 prevedeva due occasioni di scambio di informazioni e

documenti tra Commissione e Autorità nazionali: la prima riguardava

515 Quanto detto relativamente al ruolo di controllo e di partecipazione delle Autorità

competenti degli Stati membri, o allo svolgimento di poteri di accertamento delegati dalla Commissione agli Stati membri, vale anche con riferimento ai poteri istruttori di cui era titolare la Commissione per lo svolgimento di "inchieste per settore economico" (art. 12 reg. 17/62).

516 Con riferimento all'ordinamento italiano, v. art. 54 l. n. 52/96 e successive modifiche. 517 Sul punto v. Sentenza della Corte del 16 luglio 1992, Banche spagnole, cit. a nota 366. 518 Sentenza della Corte del 16 luglio 1992, Banche spagnole, cit. a nota 366.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 17/62

239

l'invio di informazioni dalle Autorità nazionali — e anche dai Governi — alla Commissione nell'esercizio dei propri poteri ispettivi (art. 11(1) e art. 13 reg. 17/62), informazioni funzionali a procedimenti antitrust della Commissione 519.

La seconda riguardava l'invio di informazioni e di documenti dalla Commissione alle Autorità nazionali per mantenere con queste seconde un "collegamento stretto e costante" durante i procedimenti della Commissione (art. 10(1) reg. 17/62). Il reg. 17/62 prevedeva quindi una disciplina relativa allo scambio di informazioni "verticale discendente" tra i due livelli (tra Commissione e Autorità nazionali) non al fine dell'utilizzo di queste per l'applicazione del diritto antitrust CE —

519 Lo "scambio" di informazioni previsto dal reg. 17/62 è quindi limitato solo all'invio

"coattivo" di informazioni e documenti dalle Autorità nazionali o dai Governi alla Commissione nell'esercizio dei mezzi istruttori disciplinati dal regolamento stesso (e cioè: richiesta di informazioni, delega alle Autorità nazionali dello svolgimento di accertamenti nei relativi territori nazionali, con i limiti di utilizzo delle stesse da parte delle Autorità nazionali per i procedimenti nazionali).

Alle ipotesi infra elencate di invio "obbligatorio" delle informazioni dalle Autorità o Governi alla Commissione, si distingue il caso in cui erano gli stessi Stati membri a prevedere l'invio — nella loro discrezionalità — di informazioni e documenti alla Commissione. Due esempi, in questo senso, sono disciplinati in Italia e in Gran Bretagna.

Nel primo caso, l'art. 1(2) l. n. 287/90 impone all'Autorità antitrust italiana, qualora valuti che "una fattispecie al suo esame non rientri nell'ambito di applicazione della [legge italiana antitrust, di informarne] la Commissione delle Comunità europee, cui trasmette tutte le informazioni in suo possesso". L'art. 1(2) l. n. 287/90 è relativo alla fattispecie in cui l'Autorità garante della concorrenza e del mercato abbia "al suo esame" fattispecie anticoncorrenziali che siano di "rilevanza comunitaria". In tale ipotesi l'Autorità, non potendo iniziare essa stessa un procedimento ai sensi della disciplina antitrust italiana — in considerazione dei limiti del campo di applicazione previsti dall'art. 1(1) l. n. 287/90 — invia tutte le informazioni a sua disposizione alla Commissione.

Nel secondo caso, il Competition Act 1998 disciplina all'art. 55 una norma che permette di inviare documentazione alla Commissione in caso di necessità. Tale norma, relativa a "Confidentiality and immunity from defamation", al comma 3 prevede delle eccezioni al segreto d'ufficio relativamente ai documenti e informazioni acquisiti dall'Autorità nazionale del Regno Unito. Tra le eccezioni si elencano, tra le altre, "(i) facilitating the

performance of any functions of the Commission in respect of Community law about competition; (…) (iv) criminal proceedings in any part of the United Kingdom" (corsivo aggiunto).

Con riferimento ai rapporti tra Commissione e Autorità nazionali per l'uso di informazioni quali mezzi di prova, v. Sentenza della Corte del 16 luglio 1992, Banche spagnole, cit. a nota 366; Sentenza del Tribunale di primo grado (seconda sezione) del 24 gennaio 1995, BEMIM, cit. a nota 359; Sentenza del Tribunale di primo grado (prima sezione) del 6 aprile 1995, Sotralentz, cit. a nota 378; Sentenza del Tribunale di primo grado (Prima Sezione ampliata) del 20 febbraio 2001, Mannesmannröhren - Werke AG contro

Commissione delle Comunità europee, causa T-112/98, Raccolta della giurisprudenza, 2001, p. II - 729.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

240

come già indicato nel § precedente e differentemente dal reg. 1/03 (v. art. 12 reg. 1/03) — ma al fine del controllo da parte delle Autorità nazionali dell'attività della Commissione.

Il reg. 17/62 non disciplinava — a maggior ragione — lo scambio "orizzontale" di informazioni tra le Autorità nazionali (come diversamente regola ora l'art. 12 reg. 1/03). Ciò non era infatti necessario nel disegno del reg. 17/62; in esso le Autorità nazionali costituivano sostanzialmente organi di esecuzione delle decisioni della Commissione o, tutt'al più, organi di collaborazione della Commissione.

71. A.iii) La disciplina del segreto professionale. I casi di pubblicazione delle

informazioni acquisite.

Sempre con riferimento al sistema di tutela amministrativa antitrust

CE, il reg. 17/62 disciplinava il "segreto professionale" (art. 20 reg. 17/62). In particolare, questa norma disciplinava tre aspetti relativi alle informazioni acquisite "in applicazione" del reg. 17/62, e cioè: a) lo scopo dell'utilizzazione delle informazioni raccolte ex reg. 17/62; b) il divieto

di divulgazione delle informazioni da parte dei soggetti che dispongono di tali informazioni; c) i casi di deroga ai primi due punti al fine della pubblicazione delle informazioni.

Con riferimento al primo punto, la norma prevedeva che le informazioni raccolte in applicazione dell'art. 11 reg. 17/62 (richiesta informazioni), art. 12 reg. 17/62 (inchieste per settore economico), art. 13 reg. 17/62 (accertamenti effettuati dalle autorità nazionali) e art. 14 reg. 17/62 (poteri di accertamento della Commissione) potevano " essere utilizzate soltanto per lo scopo per il quale [erano] state richieste" (corsivo aggiunto) 520.

520 È interessante notare come l'oggetto dell'art. 21(1) reg. 17/62 — cioè lo scopo

dell'utilizzazione delle informazioni raccolte — poco ha a che vedere con la rubrica dell'art. 21 reg. 17/62 (Segreto professionale). Il reg. 1/03, al contrario, prevede una specifica norma a tal fine. Tale differenza è conseguenza del fatto che il reg. 17/62, proprio in quanto limita l'utilizzo delle informazioni raccolte esclusivamente per l'uso della Commissione, non richiede una disciplina separata di tale problema. Tale problema si pone invece nel reg. 1/03 in considerazione dell'utilizzabilità delle informazione da parte di tutta la cd. Rete.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 17/62

241

Con riferimento al secondo punto, l'art. 20(2) reg. 17/62 disciplinava il divieto di divulgazione delle informazioni coperte dal segreto professionale. Tale norma, estendendo l'obbligo ex art. 287 TCE anche alla "Commissione e [alle] Autorità competenti degli Stati membri nonché [ai] loro funzionari ed [ad] altri agenti", imponeva ad essi di non divulgare le informazioni che "per loro natura, [erano] protette dal segreto professionale" e raccolte in applicazione del reg. 17/62. L'art. 20(2) reg. 17/62 prevedeva anche due eccezioni a tale divieto, e cioè l'art. 19(3) reg. 17/62 (rubricato come "Audizione degli interessati e dei terzi" — relativo ai procedimenti sulle decisioni di attestazione negativa e di esenzione ex art. 81(3) reg. 17/62) e l'art. 21 reg. 17/62 (rubricato come "Pubblicazione delle decisioni — relativo alle modalità di pubblicazione delle decisioni" (art. 21(2) reg. 17/62) — ).

Infine, con riferimento al terzo punto, l'art. 20(3) reg. 17/62 disciplinava i casi di pubblicazione delle informazioni di cui ai primi due commi dell'art. 20 reg. 17/62 521.

72. B) I meccanismi di controllo: il principio di "stretta collaborazione" tra

Commissione e Autorità nazionali. L'art. 10 reg. 17/62 e le fasi di

redazione della norma. Il Comitato consultivo.

Con riferimento al controllo "verticale ascendente" svolto dagli Stati

membri nei confronti della Commissione, l'art. 10(2) reg. 17/62 disciplinava il "principio del collegamento stretto e costante con le Autorità nazionali", concetto introdotto già nell'art. 85 TCE 522. Sulla

521 L'art. 20(3) reg. 17/62 prescriveva che i primi due commi "non ostano alla

pubblicazione di informazioni di carattere generale o di studi nei quali non compaiono indicazione su singole imprese o associazioni di imprese".

522 Il reg. 17/62 disciplinava, al pari dell'art. 85 TCE, la modalità con cui la Commissione mantiene una "stretta collaborazione" con le Autorità nazionali. Infatti, il sistema antitrust disciplinato direttamente dal TCE costituisce — in considerazione della divisione di competenze lì definita — la "falsa riga" sulla quale i regolamenti e direttive ex art. 83 TCE sono organizzati. Tale influenza non si limita ad aspetti più evidenti, quali il ruolo che la Commissione e le Autorità nazionali svolgono nel sistema antitrust CE, ma anche con riferimento al rapporto tra Commissione e Autorità nazionali. A tal fine la Commissione doveva, in primo luogo, trasmettere "immediatamente alle Autorità competenti degli Stati membri copia delle domande, delle notificazioni e dei documenti più importanti che le sono presentati ai fini della constatazione delle infrazioni all'articolo 81 o all'articolo 82 del Trattato, del rilascio di un'attestazione negativa o di una dichiarazione ai sensi dell' articolo 85, paragrafo 3" ai fini degli artt. 2, 3 e 6 reg. 17/62 (art. 10(1) reg. 17/62).

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

242

base di tale principio, il reg. 17/62 regolava "la partecipazione degli Stati membri alla fase della decisione" dei procedimenti della Commissione relativi agli artt. 2, 3 e 6 reg. 17/62 523. Al fine di tale partecipazione, il reg. 17/62 istituiva un organo collegiale ad hoc di rappresentanza degli Stati membri; organo composto da funzionari designati dagli Stati stessi, cioè il Comitato consultivo in materia di intese e posizioni dominanti (art. 10(4) reg. 17/62) 524. A ben vedere, tale "collegamento In secondo luogo, essa era obbligata a svolgere tali procedure "in collegamento stretto e costante con le Autorità competenti degli Stati membri, le quali sono autorizzate a formulare osservazioni su tali procedure" (art. 10(2) reg. 17/62).

523 A riprova della funzione di controllo "verticale ascendente" svolta dal Comitato consultivo ex art. 10(2) reg. 17/62, v. il già citato regolamento (CEE) n. 2821/71 (v. infra). I considerando del regolamento recitano: "Considerando che le modalità di applicazione dell'articolo [81], paragrafo 3, devono essere stabilite con regolamento basato sull'articolo [83]; (…) considerando che è opportuno porre la Commissione in grado di dichiarare mediante regolamento inapplicabili le disposizioni dell'articolo [81], paragrafo 1, a talune categorie di accordi, decisioni e pratiche concordate, per facilitare alle imprese una cooperazione economicamente auspicabile e senza inconvenienti sotto l'aspetto della politica della concorrenza; (…) considerando che occorre precisare le condizioni in cui la Commissione

potrà esercitare tale potere, in collegamento stretto e costante con le Autorità competenti degli

Stati membri; considerando che, in virtù dell'articolo 6 del regolamento n. 17, la Commissione può disporre che una decisione adottata ai sensi dell'articolo [81], paragrafo 3, del Trattato si applichi con effetto retroattivo ; che conviene che la Commissione possa adottare tale decisione anche in un regolamento; considerando che in virtù dell'articolo 7 del regolamento

n. 17 possono essere sottratti al divieto, mediante decisione della Commissione, gli accordi, le

decisioni e le pratiche concordate (…)". 524 L'art. 10(4) reg. 17/62 prescriveva: "Il Comitato consultivo è composto di funzionari

competenti in materia di intese e posizioni dominanti. Ogni Stato membro designa un funzionario che lo rappresenta e che, in caso d'impedimento, può essere sostituito da un altro funzionario". Nella prassi, comunque, i componenti del Comitato erano costituiti da funzionari delle Autorità nazionali.

Il regolamento prevedeva quindi una distinzione tra gli organi che fornivano un'assistenza nella fase istruttoria e che dovevano essere designati dagli Stati membri (generalmente le Autorità nazionali) e i soggetti che partecipavano alla fase della decisione dei provvedimenti previsti ai sensi degli artt. 2, 3 e 6 reg. 17/62. La differenza sembra da ricondursi al fatto che le Autorità disponevano di una approfondita conoscenza del mercato nazionale e sotto questo aspetto potevano essere d'aiuto alla Commissione nella fase istruttoria. Diversamente i funzionari componenti il Comitato, fermo restando il fatto che era richiesta loro competenza tecnica in materia di intese e posizioni dominanti (art. 10(4) reg. 17/62), era loro richiesto una funzione maggiormente "tecnica".

L'art. 10 reg. 17/62 rappresentava — in ossequio al principio dell'art. 85 TCE — un mezzo per mantenere il controllo "indiretto" nei confronti di un organo — la Commissione — la cui natura "sopranazionale" garantiva l'autonomia dagli Stati membri.

I sei commi dell'art. 10 reg. 17/62 potevano essere divisi in tre gruppi. Il primo, costituito dall'art. 10(3) reg. 17/62, stabiliva l'esistenza di un principio di

"collegamento stretto e costante" tra Commissione e Autorità nazionali competenti, le quali erano autorizzate a formulare osservazioni sulle relative procedure. Il secondo gruppo, costituito dall'art. 10(1) reg. 17/62, stabiliva le modalità con cui tale "collegamento" tra

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 17/62

243

stretto e costante con le Autorità nazionali" — di cui all'art. 10 reg. 17/62 — era disciplinato in due distinte ipotesi: 1. il "collegamento" tra Commissione e singole Autorità nazionali (art. 10(1) reg. 17/62); 2. il "collegamento" tra Commissione e organo di rappresentanza degli Stati membri, cioè il Comitato consultivo (art. 10(3) ss. reg. 17/62).

Non dev'essere sottovalutato che la modalità di definizione del "collegamento" tra Commissione e Stati membri era, al momento della redazione del reg. 17/62, tutt'altro che chiara. Dai documenti preparatori del reg. 17/62 risulta che gli Stati membri — e in particolare Francia e Germania — concepivano differenti modalità ed intensità di "collegamento" (rectius controllo) degli Stati membri nei confronti della Commissione.

In un primo momento, da una parte la Francia proponeva che la Commissione dividesse con gli Stati membri la responsabilità di applicare gli artt. 81 e 82 TCE. Secondo tale impianto gli Stati membri avrebbero avuto un ruolo "costitutivo" della decisione antitrust, limitando quindi l'autonomia (rectius la sopranazionalità) dell'Autorità CE 525. Dall'altra, la Germania sosteneva la necessità di limitare l'influenza degli Stati membri nei confronti della Commissione nell'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE — con il (probabile) scopo di garantire l'indipendenza dell'Autorità CE —. La Germania proponeva, infatti, un'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE in due distinte fasi: nella

prima, l'Autorità nazionale avrebbe emesso una decisone sul caso oggetto di valutazione; nella seconda fase, la Commissione avrebbe deciso il caso in modo definitivo 526. La proposta tedesca fu "bollata" dal Presidente della sottocommissione competente, il tedesco Hans von der Groeben, come troppo complessa 527.

In un momento successivo, le posizioni degli Stati membri si modificarono sensibilmente. La Francia manteneva però l'impostazione secondo la quale sarebbe dovuta sussistere una divisione della

Commissione e singole Autorità nazionali si sostanziava. Il terzo gruppo, costituito dagli artt. 10 (3-6) reg. 17/62, stabiliva un momento di collegialità in tale "collegamento"; ciò tramite la costituzione di un "Comitato consultivo in materia di intese e posizioni dominanti" e la relativa disciplina di funzionamento. Il Comitato, come supra ricordato, poteva "dare un suo parere" alle proposte di decisione della Commissione ad esso sottoposte.

525 REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, 455. 526 REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, 333. 527 REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, 333.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

244

competenza tra Commissione e Stati membri per l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE; essa prevedeva quindi un intervento diretto e vincolante degli Stati membri nell'applicazione da parte della Commissione delle norme antitrust CE 528. La Germania e gli Stati del Benelux, al contrario, sostenevano la necessità di riconoscere una competenza esclusiva della Commissione nei procedimenti di applicazione degli artt. 81 e 82 TCE da essa istruiti 529.

La modalità di "collegamento" tra Commissione e Stati membri disciplinata dal reg. 17/62 ha seguito evidentemente l'impianto proposto dalla Germania e dagli Stati del Benelux. Infatti, l'art. 10(3) reg. 17/62 prevedeva l'istituzione del citato Comitato consultivo, Comitato composto da "funzionari competenti in materia di intese e posizioni dominanti" (art. 10(4) reg. 17/62) 530.

528 REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, 484. 529 REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, 484. 530 Il Comitato svolgeva una funzione di mera consulenza per determinati

provvedimenti del reg. 17/62; tali provvedimenti erano "ogni decisione da prendere in seguito a una delle procedure di cui [all'art. 10(1) reg. 17/62], e prima di ogni decisione relativa al rinnovo, alla modifica o alla revoca di una dichiarazione ai sensi dell'articolo [81], paragrafo 3 del Trattato" (art. 10(3) reg. 17/62).

La consultazione del Comitato era specificamente disciplinata nel regolamento, il quale regolava che essa fosse effettuata "nel corso di una riunione comune, su invito della Commissione, e comunque non prima di quattordici giorni dall'invio della convocazione. A quest'ultima [sarebbero stati] allegati un'esposizione della questione, con l'indicazione dei documenti più importanti della pratica, e un progetto preliminare di decisione per ogni caso da esaminare" (art. 10(5) reg. 17/62).

Con riferimento all'art. 10(6) reg. 17/62, il parere del Comitato non era vincolante ed esso poteva essere reso anche "se alcuni membri [erano] assenti e non si [erano] fatti rappresentare" (art. 10(6) reg. 17/62). Il considerando 13 del reg. 2842/98 della Commissione del 22 dicembre 1998 relativo alle audizioni in taluni procedimenti a norma dell'articolo 81 e dell'articolo 82 del TCE (G.U. n. L 354 del 30 dicembre 1998, p. 18), in proposito recitava: "Considerando che il Comitato consultivo di cui rispettivamente all'articolo 10, paragrafo 3, del regolamento n. 17 deve essere sentito sulla base del progetto preliminare di decisione; che deve quindi essere sempre sentito a conclusione dell'istruzione della pratica; che, tuttavia, la sua consultazione non deve precludere ulteriori eventuali accertamenti da parte della Commissione". L'assenza di vincolatività delle posizioni sostenute dai membri del Comitato garantiva alla Commissione la propria indipendenza di giudizio rispetto agli Stati membri. L'esito della consultazione era riportato in un rendiconto scritto che veniva unito al progetto di decisione e che non era reso pubblico.

Il medesimo procedimento era previsto per l'applicazione delle penalità di mora (art. 16 reg. 17/62) e per la "fase decisoria" delle inchieste per settore economico, ancorché in questa ipotesi non fosse applicabile l'art. 10(5) reg. 17/62.

Riguardo all'art. 10(3) reg. 17/62, nella realtà il Comitato non aveva — come previsto dalla impostazione tedesca e dei paesi del Benelux in sede di redazione del regolamento — una reale influenza sulla decisione della Commissione. A parte la possibilità riconosciuta al

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245

Ai sensi del reg. 17/62 l'organo doveva "essere sentito prima di ogni decisione da prendere in seguito a una delle procedure di cui al paragrafo 1, e prima di ogni decisione relativa al rinnovo, alla modifica o alla revoca di una dichiarazione ai sensi dell'art. [81], paragrafo 3 del Trattato" (art. 10(3) reg. 17/62 — corsivo aggiunto). La consultazione era effettuata "nel corso di una riunione comune" nella quale la Commissione forniva, insieme alla convocazione della riunione, "un'esposizione della questione, con l'indicazione dei documenti più importanti della pratica e un progetto preliminare di decisione per ogni caso da esaminare" (art. 10(5) reg. 17/62).

Il risultato della consultazione consisteva nell'emanazione di un parere, e questo "anche se alcuni membri [erano] assenti e non si [erano] fatti rappresentare". Il parere, "che non [era] vincolante per la Commissione, [era] allegato al progetto di decisione" e rimaneva un documento interno che "non [era] reso pubblico" (art. 10(6) reg. 17/62).

Come appare evidente, il Comitato consultivo — come proposto dalla Germania e dagli Stati del Benelux — non era titolare quindi di poteri incisivi di intervento sull'attività della Commissione, anche in considerazione dell'autonomia riconosciuta dal TCE all'Autorità CE. Il Comitato svolgeva quindi "esclusivamente" un ruolo di rappresentanza e di "pressione" degli Stati membri nei confronti della Commissione. Il

"Comitato consultivo" di fornire "il suo parere, anche se alcuni dei membri [erano] assenti e non si [erano] fatti rappresentare" — al fine di evitare un evidente blocco delle attività di applicazione degli artt. 81 e 82 TCE —, l'art. 10(5) reg. 17/62 prevedeva che "l'esito della consultazione [era] riportato in un rendiconto scritto che [veniva] unito al progetto di decisione". Inoltre, la consultazione "non [era] res[a] pubblico" (art. 10(6) reg. 17/62) e non vincolava la Commissione.

Tale limitato potere di "controllo" verso la Commissione non escludeva però che esso costituisse un elemento di "pressione" per la Commissione. Infatti, ferma restando la necessaria autonomia della Commissione, un parere contro una determinata proposta di decisione della Commissione votato all'unanimità dai partecipanti al Comitato avrebbe svolto un evidente stimolo nei confronti dell'Autorità CE stessa.

Come affrontato infra, tale pressione informale degli Stati membri nei confronti dell'Autorità CE, disciplinata nel reg. 17/62, diviene nel reg. 1/03 un vero e proprio potere del Comitato consultivo di obbligare la Commissione a giustificare per iscritto e pubblicamente i motivi della propria decisione (art. 14(6) reg. 1/03).

La disciplina relativa al federalismo antitrust CE del reg. 17/62 è rimasta invariata fino all'emanazione del reg. 1/03. Ciò detto, nel corso degli anni vi sono stati alcuni cambiamenti rilevanti — nella giurisprudenza e nell'evoluzione dei rapporti tra sistema antitrust CE e sistema antitrust degli Stati membri — che hanno influenzato la successiva modifica del reg. 1/03.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

246

Comitato svolgeva, in particolare, la funzione di far presente all'Autorità CE le "considerazioni" dei singoli Stati membri riguardo alle proposte di decisioni ad esse sottoposte. Tale modalità di rapporto nel sistema a due livelli ("two tier") CE tra livello comunitario (livello superiore) e livello degli Stati membri (livello inferiore) costituiva la modalità con cui gli Stati membri CE "influivano" sul (e "controllavano" il) sistema antitrust CE 531.

Tale "scarna" disciplina del reg. 17/62 rappresentava — in modo simile a quanto disposto dall'art. 85 TCE — la regolamentazione della disciplina "verticale ascendente" del federalismo antitrust CE.

73. C) Il controllo sui generis degli Stati membri, ai sensi del reg. 17/62, nei

confronti dell'esercizio dei poteri istruttori della Commissione.

Sempre con riferimento al controllo degli Stati membri nei

confronti della Commissione, il reg. 17/62 — così come il reg. 1/03 — disciplinava una forma di controllo sui generis con riferimento all'esercizio da parte della Commissione dei propri poteri istruttori 532. Il reg. 17/62 prescriveva, infatti, che le Autorità competenti degli Stati membri fossero sempre informate dell'esercizio dei poteri della Commissione sul territorio dei singoli Stati membri, ciò con la finalità sia di cooperazione con la Commissione, sia di controllo — appunto controllo sui generis — dell'attività svolta dall'Autorità CE.

A tal fine, l'art. 11(2) reg. 17/62 prevedeva che "quando la Commissione rivolge[va] una richiesta di informazioni ad un'impresa o ad un'associazione d'imprese, invia[va] contemporaneamente una copia

531 In particolare, questo avveniva riconoscendo alle Autorità nazionali l'autorizzazione

"a formulare osservazioni [sulle] procedure" relative alla "constatazione delle infrazioni all'art. 81, o all'art. 82 del Trattato, del rilascio di un'attestazione negativa o di una dichiarazione ai sensi dell'art. [81], paragrafo 3" (art. 10(1) reg. 17/62).

532 Il reg. 17/62 sviluppava e precisava i poteri istruttori di cui la Commissione era titolare ai sensi dell'art. 85 TCE al fine di valutare i casi di presunta infrazione agli artt. 81 e 82 TCE. Al pari dell'art. 85 TCE, tali poteri riconosciuti dal reg. 17/62 potevano essere suddivisi in poteri istruttori propri della Commissione, e poteri istruttori delegati alle Autorità competenti degli Stati membri. Il reg. 17/62 attribuiva alla Commissione il potere di richiesta di informazioni (art. 11 reg. 17/62), il potere di svolgere inchieste per settore economico (art. 12 reg. 17/62) e il potere di accertamento della Commissione stessa (art. 14 reg. 17/62).

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 17/62

247

di questa domanda all'Autorità competente dello Stato membro nel cui territorio [aveva] sede l'impresa o l'associazione di imprese" 533.

Inoltre la Commissione, nel caso in cui ai sensi dell'art. 14 reg. 17/62 [avesse esercitato] i propri poteri di accertamento presso imprese o associazioni di imprese, "avvisa[va] in tempo utile, prima dell'accertamento, l'Autorità competente dello Stato membro nel cui territorio [doveva] essere compiuto l'accertamento, della missione di accertamento e dell'identità dei suddetti agenti" (corsivo aggiunto).

Diversamente, nel caso in cui la Commissione avesse svolto accertamenti sulla base di una decisione ex art. 14(3) reg. 17/62 — nel qual caso "le imprese e le associazioni di imprese [erano] obbligate a sottoporsi agli accertamenti ordinati dalla Commissione mediante decisione" (art. 14(3) reg. 17/62) — essa "prende[va] le decisioni di cui al paragrafo 3 dopo aver sentito l'Autorità competente dello Stato membro nel cui territorio [doveva] essere effettuato l'accertamento" (art. 14(4) reg. 17/62 — corsivo aggiunto). In tale caso il reg. 17/62 disciplinava la facoltà dell'Autorità nazionale stessa, nel cui territorio era svolto l'accertamento, "di prestare assistenza agli agenti della Commissione nell'assolvimento dei loro compiti" (art. 14(5) reg. 17/62). Detto in altro modo, l'Autorità nazionale era titolare del potere di collaborare — ma anche di controllare — i funzionari della Commissione durante tali accertamenti. La stessa Commissione era titolare della facoltà di chiedere la collaborazione dei funzionari dell'Autorità competente nel cui territorio era svolto l'accertamento.

Nel caso di accertamenti determinati con una decisione della Commissione, se un'impresa "si oppone[va] ad un accertamento ordinato" con decisione della Commissione, l'intervento dello Stato membro diveniva non facoltativo ma obbligatorio. In questo caso, infatti, lo Stato membro interessato "presta[va] agli agenti incaricati dalla Commissione l'assistenza necessaria per l'esecuzione del loro mandato" per garantire l'intervento della forza pubblica. A tal fine, l'art. 14(6) reg. 17/62 prescriveva che "gli Stati membri, anteriormente al 1 ottobre 1962, e dopo aver consultato la Commissione, prend[evano] le

533 La Commissione era parimenti obbligata, in caso di richiesta di informazioni tramite decisione, a inviare "copia della decisione all'Autorità competente dello Stato membro nel cui territorio [aveva] sede l'impresa o l'associazione di imprese" (art. 11(5) reg. 17/62, corsivo aggiunto), v. infra.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

248

necessarie misure" 534. Questo era l'unico caso disciplinato dal reg. 17/62 in cui gli Stati membri erano obbligati alla collaborazione con la Commissione.

SOTTOSEZIONE V

GLI EFFETTI DEL SISTEMA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 17/62 SUI

SISTEMI NAZIONALI ANTITRUST

74. Gli effetti del sistema antitrust disciplinato dal reg. 17/62 sui sistemi

nazionali antitrust. Il sistema di tutela antitrust disciplinato dal reg. 17/62 — e la

relativa applicazione — non ha avuto rilevanti influenze sui singoli sistemi nazionali di tutela della concorrenza. Da una parte, esso non aveva la funzione di intervenire sui singoli sistemi antitrust nazionali; dall'altra, non tutti gli originari sei Stati membri della CEE avevano istituito nel 1962 un'Autorità nazionale antitrust e una disciplina antitrust interna. Eventuali previsioni riguardo ai sistemi antitrust nazionali sarebbero stati, quindi, di difficile applicazione.

L'influenza determinante sui sistemi antitrust nazionali, e che determinerà la modifica del reg. 1/03, è conseguenza più che del sistema ex reg. 17/62, dell'evoluzione istituzionale ed economica europea. Questa — e il conseguente aumento del numero di casi antitrust sottoposti alla Commissione — determinerà la necessaria riduzione dell'attività repressiva diretta dell'Autorità CE — con la relativa concentrazione dell'attività repressiva sui casi più importanti — e la previsione di collegamenti più stretti tra Commissione e Autorità nazionali al fine di stimolare l'applicazione decentrata antitrust da parte delle Autorità e dei giudici nazionali.

534 Prima dell'emanazione della l. n. 287/90, tale obbligo fu adempiuto in Italia, ai sensi

dell'articolo unico d.p.r. 22 settembre 1963 n. 1884, dal Ministero dell'industria e del commercio.

SEZIONE II

LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLE NORME ANTITRUST EUROPEE

SOMMARIO: 75. A) La competenza dei giudici nazionali relativa al diritto antitrust. La competenza ad applicare l'art. 81(3) TCE. — 76. B) Le sanzioni emanabili dai giudici nazionali e la prescrizione dei diritti previsti dagli artt. 81(1) e 82 TCE.

75. A) La competenza dei giudici nazionali relativa al diritto antitrust. La

competenza ad applicare l'art. 81(3) TCE.

Il reg. 17/62, così come gli artt. 84 e 85 TCE, non prevedeva — al

contrario del reg. 1/03 — alcun riferimento ai giudici nazionali; né, in

primo luogo, con riferimento alla competenza di applicazione degli artt. 81 e 82 TCE, né, in secondo luogo, sotto il profilo della collaborazione con la Commissione o le Autorità nazionali.

Riguardo al primo aspetto, ciò era comprensibile in quanto i giudici applicavano gli artt. 81(1) e 82 TCE in conseguenza dell'effetto diretto di tali due norme. Essi, quindi, non necessitavano di specifiche norme che ai sensi dei regolamenti ex art. 83 TCE riconoscessero ad essi specifiche competenze.

Sotto questo aspetto, il reg. 17/62 risolveva — anche se indirettamente — uno dei problemi osservati agli artt. 84 e 85 TCE con riferimento al potere dei giudici nazionali di applicare gli artt. 81 e 82 TCE (e in particolare con riferimento all'art. 81(3) TCE). L'art. 1 reg. 17/62 infatti prevedeva — come già evidenziato — che le intese ai sensi dell'art. 81(1) (ma anche gli abusi di posizione dominante ex art. 82 TCE) erano "vietati senza che [fosse] necessaria una preventiva decisione in tale senso". In questo modo era chiarito che i giudici

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 17/62

251

nazionali, ai sensi dell'art. 1 reg. 17/62, applicavano gli artt. 81(1) e 82 TCE in considerazione del relativo effetto diretto.

Sebbene il reg. 17/62 avesse quindi risolto il problema relativo alla modalità di applicazione dell'art. 81 TCE, rimaneva comunque come limite per l'applicabilità della norma da parte dei giudici nazionali il fatto che l'art. 81(3) TCE non disponesse di "effetto diretto" 535. D'altro canto, come chiarito dalla giurisprudenza Sabam 536 e confermato dalla giurisprudenza Delimitis 537, se l'art. 81(3) TCE fosse stata norma avente effetto diretto, la competenza esclusiva della Commissione relativa a tale norma non avrebbe potuto escludere l'applicazione di tale norma da parte dei giudici nazionali.

Sempre la giurisprudenza Delimitis aveva però chiarito — in conseguenza della disciplina del reg. 17/62 — che nel caso di intese notificate alla Commissione, i giudici non potevano decidere della fattispecie fino a quando l'Autorità CE non avesse deciso sulla notifica

535 A ben vedere, la competenza dei giudici nazionali ad applicare l'art. 81(3) TCE non

varia — a differenza delle Autorità nazionali — a seconda del contenuto dei regolamenti o delle direttive ex art. 83 TCE. I giudici nazionali, infatti, applicano le norme comunitarie in quanto aventi "effetto diretto".

Già nella sentenza Delimitis la Corte di giustizia ha indirettamente risolto il problema se i giudici nazionali in regime del reg. 17/62 non potevano applicare l'art. 81(3) TCE in considerazione della carenza di effetto diretto della norma, o per via della competenza esclusiva di applicazione dell'art. 81(3) TCE da parte della Commissione (art. 9(3) reg. 17/62). Infatti la Corte ha sostenuto che è competenza della Commissione "adottare, sotto il controllo del Tribunale e della Corte, decisioni individuali conformemente ai regolamenti di procedura in vigore ed emanare regolamenti di esenzione. L'esecuzione di questo compito implica necessariamente valutazioni complesse in materia economica, specie quando si tratta di

valutare se un accordo rientri nell' art. [81], n. 3. La Commissione dispone di una competenza esclusiva per l'adozione delle decisioni di applicazione di detta disposizione in virtù dell' art. 9, n. 1, del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento di applicazione degli artt. [81] e [82] del Trattato CEE (GU 1962, n. 13, p. 204)" (Sentenza della Corte del 28 febbraio 1991, Stergios Delimitis, cit. a nota 257, § 44, corsivo aggiunto).

Da un lato, la Corte di giustizia ha quindi giustificato, sulla base dell'art. 9(1) reg. 1/03, la competenza esclusiva di applicazione dell'art. 81(3) TCE da parte della Commissione nel sistema amministrativo antitrust CE. Dall'altra, la Corte di giustizia ha giustificato la competenza esclusiva della Commissione di applicazione dell'art. 81(3) TCE in rapporto alle giurisdizioni nazionali; cioè sulla base dell'assenza di "effetto diretto" della norma e quindi dell'impossibilità dei giudici di applicare tale norma direttamente (rectius della necessità della Commissione di porre in essere "necessariamente valutazioni complesse in materia economica, specie quando si tratta di valutare se un accordo rientri nell'art. [81], n. 3").

536 Sentenza della Corte del 30 gennaio 1974, Belgische Radio en Televisie contro Sv

Sabam e Nv Fonior (Sabam - Fonior), causa 127/73, Raccolta della giurisprudenza, 1974, p. 51. 537 V. supra nota 535.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

252

stessa. Nel caso in cui la Commissione avesse rigettato la richiesta di autorizzazione, il giudice poteva però applicare l'art. 81(1) TCE. Nel caso di intese non notificate, i giudici potevano decidere immediatamente su tali accordi valutando esclusivamente la violazione o meno dell'art. 81(1) TCE, senza possibilità di valutare l'applicabilità dell'art. 81(3) TCE.

In secondo luogo, il reg. 17/62 non prevedeva norme relative al collegamento tra Commissione o Autorità nazionali (differentemente dal reg. 1/03). Questo in quanto l'obiettivo principale del regolamento era definire, da una parte, le modalità per applicare l'art. 81(3) TCE e, dall'altra, definire i poteri della Commissione per realizzare gli obiettivi dell'art. 3(1) lett. g TCE.

76. B) Le sanzioni emanabili dai giudici nazionali e la prescrizione dei

diritti previsti dagli artt. 81(1) e 82 TCE.

Il reg. 17/62 non prendeva in considerazione i giudici nazionali

neanche sotto l'aspetto delle sanzioni che essi potevano comminare per la violazione del diritto antitrust CE. Infatti, questo aspetto era lasciato alla discrezionalità dei singoli Stati membri, permettendo quindi ad essi di decidere delle conseguenze della violazione (ad es., sanzioni di carattere penale, risarcimento punitivo).

Lo stesso vale con riferimento alla prescrizione dei diritti di risarcimento conseguenti alla violazione degli artt. 81 e 82 TCE. In considerazione del fatto che nessuna disciplina era emanata in sede comunitaria 538, la prescrizione dei diritti ex artt. 81(1) e 82 TCE era disciplinata dai singoli Stati membri, fermo restando i principi generali di diritto (ad es., principio di effettività, di equivalenza, di non discriminazione) 539.

538 Principio espresso — tra le altre — nella Sentenza della Corte del 5 marzo 1980, H.

Ferwerda Bv contro Produktschap Voor Vee En Vlees, causa 265/78, Raccolta della giurisprudenza, 1980, p. 617, § 6.

539 V. ad esempio il caso Palmisani, nel quale è stata riconosciuta legittima una normativa nazionale che prevedeva un periodo di prescrizione o decadenza del diritto di risarcimento sebbene la direttiva da trasporre non prescrivesse tale istituto; Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 10 luglio 1997, Rosalba Palmisani contro Istituto nazionale della

previdenza sociale (INPS), causa C-261/95, Raccolta della giurisprudenza, 1997 p. I - 4025.

CAPITOLO IV

L'EVOLUZIONE DEL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST EUROPEO SINO ALLA RIFORMA DEL 2003

SEZIONE I

INTRODUZIONE

SOMMARIO: 77. Le modifiche dell'ordinamento comunitario e lo sviluppo del sistema antitrust europeo successivamente all'emanazione del reg. 17/62.

77. Le modifiche dell'ordinamento comunitario e lo sviluppo del sistema

antitrust europeo successivamente all'emanazione del reg. 17/62.

Il reg. 17/62 negli oltre 40 anni di vigenza è rimasto sostanzialmente

invariato 540. L'ordinamento CE nel contempo è cambiato profondamente, sia riguardo agli aspetti più propriamente normativi (le modifiche del TCE, anche in conseguenza della crescita del numero di Stati membri 541), sia per quanto riguarda gli aspetti più fattuali (la crescita del numero di casi rientranti nel campo di applicazione del diritto antitrust CE conseguenza della "realizzazione" del mercato comune). Tali cambiamenti hanno determinato l'emersione di nuovi problemi nel sistema di tutela antitrust CE, in particolare riguardo al rapporto "verticale" tra Commissione e organi dei sistemi di tutela della concorrenza degli Stati membri.

540 Il reg. 17/62 entra in vigore il 13 marzo 1962 e il relativo periodo di vigenza termina il 30 aprile 2004.

541 V. supra § 17.

SEZIONE II

IL SISTEMA ANTITRUST AMMINISTRATIVO EUROPEO

SOMMARIO: — Sottosezione I — La Commissione. — 78. L'eccessivo carico di lavoro della Commissione a seguito degli sviluppi della CE. Le soluzioni procedimentali introdotte dalla Commissione. — 79. La definizione da parte della Commissione della "politica di decentramento" degli artt. 81 e 82 TCE a seguito dell'evoluzione del sistema antitrust europeo negli anni '90. — Sottosezione II — Le Autorità nazionali. — 80. La politica di decentramento antitrust nei confronti della Autorità nazionali. — Sottosezione III —

Le altre particolarità rilevanti nel rapporto tra Commissione e Autorità nazionali. — 81. I limiti del reg. 17/62 in conseguenza dello sviluppo del sistema antitrust CE. — Sottosezione IV — Gli effetti del sistema antitrust europeo sui sistemi nazionali antitrust e

la reazione degli Stati membri. — 82. La "perdita di indipendenza" dei sistemi antitrust nazionali rispetto al sistema antitrust europeo. — 83. La reazione dei sistemi antitrust degli Stati membri a fronte della crescita di importanza del sistema antitrust europeo.

SOTTOSEZIONE I

LA COMMISSIONE

78. L'eccessivo carico di lavoro della Commissione a seguito degli sviluppi

della CE. Le soluzioni procedimentali introdotte dalla Commissione.

Il rapporto "verticale" tra Commissione, Autorità nazionali e

giurisdizioni nazionali non diviene un aspetto rilevante del sistema antitrust CE fino all'inizio degli anni '90. Inizialmente, i problemi relativi ai "rapporti verticali" tra ordinamento CE e Stati membri in materia antitrust riguardavano quasi esclusivamente il rapporto tra competenza antitrust CE e competenza antitrust degli Stati membri

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

256

(aspetto successivamente chiarito dalla sentenza Walt Wilhelm nel 1969) 542.

I cambiamenti degli anni '90 riguardo al rapporto "verticale" tra Commissione e organi degli Stati membri è stata conseguenza del numero eccessivo di casi antitrust (notifiche ex art. 81(3) TCE, denunce presentate all'Autorità CE, casi iniziati d'ufficio) a cui era sottoposta la Commissione rispetto al numero di funzionari a disposizione della Direzione generale della concorrenza della Commissione stessa (cd. D.G. Comp.).

A parte il fenomeno "fisiologico" dell'aumento nel tempo del numero di denunce presentate all'Autorità CE (fatto avvenuto in Europa quanto negli Stati Uniti d'America e derivante dalla crescita di fattispecie che hanno effetto sul commercio interstatale), la crescita del numero di notifiche per ottenere l'esenzione ex art. 81(3) TCE — al contrario — presentava una "dinamica" esclusiva del sistema europeo che vale la pena prendere espressamente in considerazione.

L'alto numero di notifiche depositate presso la Commissione per ottenere l'esenzione ex art. 81(3) TCE era, da una parte, conseguenza dell'interpretazione restrittiva dell'art. 81(1) TCE. Le imprese notificavano frequentemente le intese poste in essere in considerazione, in un primo momento, dell'incertezza di quale sarebbe stata l'impostazione della Commissione riguardo a tale norma di esenzione. Le imprese, in un secondo momento, notificavano le intese ex art. 81(3) TCE in considerazione dell'interpretazione restrittiva dell'art. 81(1) TCE determinata dall'Autorità CE 543. Le conseguenze dell'eventuale

542 A ben vedere, infatti, la sentenza Walt Wilhelm non riguarda tanto il rapporto tra

gli organi facenti parte, ex art. 84 e 85 TCE, del medesimo sistema antitrust; essa prende le mosse dal presupposto che tali organi siano relativi a sistemi di tutela antitrust distinti e, conseguentemente, con competenze antitrust distinte; e cioè il sistema CE, da una parte, e il sistema degli Stati membri, dall'altra. In particolare, la Corte di giustizia ha definito in occasione della sentenza Walt Wilhelm due principi: il primo, riguarda — in contrasto con la Zweischrankentheorie, v. infra — la possibilità di esercitare la competenza antitrust della CE e degli Stati membri sulla medesima fattispecie (e quindi la facoltà di istruire procedimenti paralleli tra Commissione e Autorità nazionali nel caso in cui la prima applichi il diritto antitrust CE e la seconda il diritto antitrust dello Stato membro); il secondo, riguarda la prevalenza del diritto antitrust CE rispetto alla competenza antitrust degli Stati membri (cioè la prevalenza del diritto antitrust CE).

543 La Commissione ha infatti interpretato in modo letterale il concetto di intesa restrittiva della concorrenza. L'Autorità comunitaria ha preferito sostenere, almeno fino alla riforma del reg. 1/03 — cfr. Comunicazione della Commissione sull'art. 81(3) TCE; cfr.

L'EVOLUZIONE DEL SISTEMA ANTITRUST EUROPEO SINO AL 2003

257

illiceità ex tunc delle intese non notificate (e della non applicabilità delle sanzioni nel caso di rigetto dell'esenzione e violazione dell'art. 81(1) TCE, v. supra § 24) erano per le imprese infatti tali da consigliare la notifica.

L'alto numero di notifiche era determinato, dall'altra, anche da una interpretazione restrittiva dell'art. 4(2) reg. 17/62 544, norma che era stata prevista appunto per ridurre i casi in cui notificare intese poste in essere dalle imprese attive nello stesso territorio 545.

La Commissione aveva "tamponato" inizialmente il problema del numero di notifiche tramite soluzioni di carattere procedurale. In primo

luogo, negli anni '60 la Commissione aveva emanato una serie di regolamenti di esenzione per categoria, evitando che le imprese notificassero alla Commissione determinate categorie di accordi 546. In

secondo luogo, negli anni '80, la Commissione aveva cercato di "tamponare" ulteriormente la crescita del carico di lavoro derivante dalle notifiche delle intese tramite le cd. lettere amministrative (cd. comfort letter). Con tali provvedimenti informali la Commissione avvertiva i soggetti che avevano notificato le intese che il caso

CÉLINE GAUER, Regulation 1/2003, cit. a nota 261 —, la contrarietà di un'intesa ai sensi dell'art. 81(1) TCE per poi valutare positivamente l'esistenza dei requisiti di esenzione ex art. 81(3) TCE. Così facendo la Commissione, per via della competenza esclusiva ad essa attribuita per l'applicazione dell'art. 81(3) TCE, ha determinato una forte centralizzazione dell'applicazione dell'art. 81(1) TCE.

544 L'art. 4(2) reg. 17/62 prevedeva che la notifica delle intese per l'ottenimento dell'esenzione ex art. 81(3) TCE "non si applica[va] agli accordi, decisioni e pratiche concordate, quando 1) vi partecipa[va]no imprese di un solo Stato membro e gli accordi, le decisioni e le pratiche non riguarda[va]no l'importazione o l'esportazione tra Stati membri, 2) vi partecipa[va]no soltanto due imprese e gli accordi [avevano] unicamente per effetto: a) di limitare la libertà di formazione dei prezzi o delle condizioni contrattuali di uno dei contraenti nella rivendita di merci che egli acquista dall'altro contraente, b) di imporre all'acquirente o all'utilizzatore di diritti relativi alla proprietà industriale, e in particolare di brevetti, modelli di utilità, modelli e disegni ornamentali o marchi, limitazioni all'esercizio di tali diritti oppure di imporre al beneficiario di contratti di cessione o di concessione di procedimenti di fabbricazione o di cognizioni relative all'utilizzazione o all'applicazione di tecniche industriali, limitazioni all'utilizzazione di questi procedimenti o cognizioni, 3) [avevano] come unico oggetto: a) l'elaborazione o l'applicazione uniforme di norme e tipi, b) la ricerca in comune di miglioramenti tecnici, se il risultato [era] accessibile a tutti i partecipanti e [poteva] essere utilizzato da ciascuno di essi".

545 Cfr. Sentenza della Corte del 18 marzo 1970, Brauerei A. Bilger, cit. a nota 497; v. il commento di KOENRAAD LENAERTS, Le Juge et la Constitution aux États-Unis d'Amérique et

dans l'Ordre juridique Européen, Bruxelles, Bruylant, 1988. 546 V. DANIEL G. GOYDER, EC Competition Law, 3rd ed., Oxford, Oxford University

Press, 1998, 242.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

258

presentava o meno i requisiti per ottenere l'esenzione ex art. 81(3) TCE oppure che l'intesa rientrava nel campo di applicazione di un regolamento di esenzione. Le comfort letter presentavano però il limite della loro natura di atti non vincolanti per i singoli, con l'evidente limite per la certezza del diritto 547.

79. La definizione da parte della Commissione della "politica di

decentramento" degli artt. 81 e 82 TCE a seguito dell'evoluzione del

sistema antitrust europeo negli anni '90.

Con l'inizio degli anni '90 il carico di lavoro della Commissione

relativo alle notifiche e ai procedimenti di cui agli artt. 81 e 82 TCE era divenuto insostenibile. Tale ulteriore aumento di attività della Commissione era conseguenza del completamento del mercato interno nel 1992, e quindi della maggiore importanza del diritto antitrust CE in un momento in cui le barriere normative tra gli Stati membri erano lentamente eliminate. Questo favoriva infatti gli investimenti e le attività economiche "interstatali" (rectius di rilevanza comunitaria) con la conseguente applicabilità — per via del pregiudizio sul "commercio tra Stati membri" — del diritto antitrust CE. All'aumento del carico di lavoro si aggiungeva la lentezza con cui le richieste di esenzione ex art. 81(3) TCE erano decise dalla Commissione — anche in considerazione del limitato personale della D.G. Comp. — ; lentezza riconosciuta dalla stessa Corte di giustizia 548 e che avrebbe influito anche sulla redazione del campo di applicazione della legge antitrust italiana 549.

547 V. Sentenza della Corte del 10 luglio 1980, Anne Marty Sa contro Estee Lauder Sa,

causa 37/79, Raccolta della giurisprudenza, 1980, p. 2481. 548 Cfr. Sentenza della Corte del 6 febbraio 1973, Sa Brasserie di Haecht contro Wilkin -

Janssen, causa 48/72, Raccolta della giurisprudenza, 1973, p. 77. 549 Il Sen. Cassola, riguardo ai procedimenti definiti dall'art. 1 l. n. 287/90, affermava

che le relative norme dovevano far sì che l'Autorità antitrust italiana "riassumesse la competenza di cui si era spogliata (…) in presenza di un fumus di competenza comunitaria (…) di fronte ad una dichiarazione degli organi comunitari per cui il diritto comunitario non è posto in causa, od anche (l'ipotesi tutt'altro che teorica, com'è noto) di fronte ad un loro

prolungato silenzio" (corsivo aggiunto); relazione del Sen. Cassola comunicata il 15 marzo 1989 sui disegni di legge n. 1240 e n. 1012, in GIUSEPPE SENA - MARIO FRANZOSI, Antitrust

progetti italiani, Regolamento C.E.E., legislazioni straniere, Milano, Giuffrè, 1990. p. 61. Sull'art. 1 l. n. 287/90 v. in modo più esteso, LORENZO FEDERICO PACE, Il sistema italiano di

tutela, a nota 420, § 6.2.1.

L'EVOLUZIONE DEL SISTEMA ANTITRUST EUROPEO SINO AL 2003

259

Questi fatti imposero alla Commissione di trovare un modo — in assenza della modifica del reg. 17/62 — di ridurre il relativo carico di lavoro. Fu in questo periodo che "il problema dell'eccesso di lavoro della

Commissione" diviene un aspetto dei rapporti "verticali" tra Commissione e Autorità nazionali. Infatti, la Commissione cercava di risolvere tale problema secondo una strategia complessa riassunta nello "slogan": "decentramento del diritto antitrust CE".

Tale strategia (in assenza di un aumento dei finanziamenti per la politica di concorrenza che avrebbe permesso alla Commissione di svolgere le competenze previste ex reg. 17/62) prevedeva, da una parte, la riduzione — nei limiti della competenza esclusiva relativa all'art. 81(3) TCE (art. 9(1) reg. 17/62) — dell'attività repressiva diretta della Commissione limitandola ai casi più importanti; dall'altra, il mantenimento dello stesso livello di tutela antitrust CE tramite la cooperazione da parte delle Autorità e delle giurisdizioni nazionali nell'applicazione diretta (rectius decentrata) degli artt. 81 e 82 TCE.

Con riferimento al primo aspetto (cioè la riduzione dell'attività della

Commissione) la strategia della Commissione si componeva di due elementi distinti. Da una parte, il riconoscimento della facoltà dell'Autorità CE di stabilire dei gradi di priorità per la valutazione delle denunce ad essa pervenute, priorità definite (anche) secondo l'"interesse comunitario" della fattispecie. Dall'altra, il chiarimento dell'inesistenza di un obbligo per la Commissione di pervenire ad una decisione di merito per ogni denuncia ad essa presentata. Questo permetteva alla Commissione, da una parte, di archiviare le denunce ad essa presentate che non fossero di interesse per la politica di concorrenza CE e, dall'altra, di lasciare quindi alle Autorità nazionali di decidere tali fattispecie — nei limiti dell'interesse delle Autorità stesse riguardo al relativo caso — 550.

550 In altre parole, la Commissione aveva definito le modalità con le quali essa, senza

essere obbligata a pervenire ad una decisione di merito per ogni denuncia — salvo i casi di "interesse comunitario" — poteva "scegliere" quando e nei confronti di quali fattispecie esercitare la propria attività repressiva. Con riferimento agli obblighi dell'Autorità CE relativi alle valutazioni che la Commissione doveva compiere prima di archiviare una denuncia, i giudici comunitari hanno emanato oltre quaranta sentenze in circa dieci anni. Per la relativa giurisprudenza, v. infra nota 578.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

260

Con riferimento al secondo aspetto (cioè alla cooperazione tra

Commissione, Autorità e giurisdizioni nazionali per l'applicazione

decentrata del diritto antitrust CE) la Commissione, in assenza dell'obbligo di applicazione del diritto antitrust CE per le Autorità e le giurisdizioni nazionali, doveva stimolare tali organi — per mantenere lo stesso livello di vigilanza antitrust CE — ad applicare il diritto antitrust CE. A tal fine la Commissione — sempre rimanendo nel quadro normativo del reg. 17/62, e quindi con l'obbligo di notifica delle intese e con la competenza esclusiva dell'Autorità CE relativamente all'art. 81(3) TCE — iniziò a definire informalmente dei procedimenti che favorissero l'applicazione decentrata degli artt. 81 e 82 TCE. Infatti, nel reg. 17/62 mancavano delle indicazioni certe riguardo alla cooperazione tra organi finalizzata alla politica di decentramento (ad es. il rapporto tra tali organi, l'allocazione dei casi tra la Commissione e le varie Autorità nazionali).

Questo primo tentativo di decentramento del diritto antitrust CE tramite la "procedimentalizzazione" si concretizzò, con riferimento alle

giurisdizioni nazionali, nel chiarire le possibilità di applicazione decentrata degli artt. 81 e 82 TCE; indicazioni contenute nella prassi della Commissione — prassi poi accolta dalla Corte di giustizia nella giurisprudenza Delimitis (1992) 551 — e poi oggetto di una successiva Comunicazione 552 —.

Successivamente la Commissione spostò l'attenzione anche verso la "procedimentalizzazione" dei rapporti con le Autorità nazionali. Con riferimento alle Autorità nazionali ciò avvenne tramite la prassi della Commissione poi accolta dalla Corte di giustizia e dal Tribunale di primo grado con le sentenze Automec II (1992) 553 e Bemim (1994) 554. La Commissione aveva emanato nel 1996 — così come per i giudici

551 Sentenza della Corte del 28 febbraio 1991, Stergios Delimitis contro Henninger Bräu

AG, causa C-234/89, Raccolta della giurisprudenza, 1991 p. I - 935. 552 Comunicazione relativa alla cooperazione tra i giudici nazionali e la Commissione

nell'applicazione degli artt. 85 e 86 del trattato CE, in GUCE 1993 C 39 del 13 febbraio 1993, p. 6.

553 Sentenza del Tribunale di primo grado del 18 settembre 1992, Automec Srl contro

Commissione delle Comunità europee, causa T-24/90, Raccolta della giurisprudenza, 1992, p. II - 2223.

554 Sentenza del Tribunale di primo grado (seconda sezione) del 24 gennaio 1995, BEMIM, cit. a nota 359.

L'EVOLUZIONE DEL SISTEMA ANTITRUST EUROPEO SINO AL 2003

261

nazionali e sulla base della prassi e giurisprudenza CE — una Comunicazione sulla cooperazione tra Commissione e Autorità nazionali per l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE.

Il tentativo della Commissione di decentrare l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE tramite la "procedimentalizzazione" dei rapporti tra Commissione e organi degli Stati membri aveva in ultima istanza la funzione di obbligare gli organi degli Stati membri (e in particolar modo le Autorità nazionali) ad applicare — in sostituzione della normativa antitrust statale — gli artt. 81 e 82 TCE 555. Tale tentativo di decentramento "coatto" — "anticipato" dall'art. 1 l. n. 287/90 556 — è stato in seguito "cristallizzato" nell'art. 3 della proposta di regolamento redatta dalla Commissione nel 2000.

Come meglio si vedrà infra, tale "impostazione" relativa al decentramento "coatto" definito dalla Commissione non trovava una base giuridica in nessuna norma del TCE (essendo eventualmente altri gli obblighi delle Autorità nazionali ai sensi del combinato disposto degli artt. 10 e 84 TCE). Né, d'altro canto, tale "politica di decentramento" — quanto meno con riferimento all'applicazione diretta degli artt. 81(1) TCE e 82 TCE — fu seguita dalle Autorità nazionali.

SOTTOSEZIONE II

LE AUTORITÀ NAZIONALI

80. La politica di decentramento antitrust nei confronti della Autorità

nazionali.

555 Tale impostazione limitava quanto la giurisprudenza Walt Wilhelm permetteva,

ovvero l'istruzione di procedimenti paralleli tra Commissione e Autorità nazionali ai sensi del diritto antitrust CE, il primo, e ai sensi del diritto antitrust statale, il secondo.

556 L'esperienza italiana mostra come la necessità di procedimentalizzare i rapporti tra Commissione e Autorità nazionali era sentita non solo dalla Commissione, ma dagli Stati membri stessi. L'art. 1 l. n. 287/90, infatti, disciplina — in assenza di qualunque obbligo comunitario — i procedimenti di collegamento tra Autorità nazionale e Commissione. Sul punto ci permettiamo di rinviare al nostro LORENZO FEDERICO PACE, Il sistema italiano di

tutela, a nota 420, § 6.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

262

La strategia della Commissione finalizzata a decentrare

l'applicazione degli artt. 81(1) e 82 TCE verso le Autorità nazionali si sviluppava su tre direttrici: 1. la struttura e la competenza delle Autorità nazionali; 2. la cooperazione con la Commissione; 3. il tentativo di obbligare le Autorità nazionali ad applicare gli artt. 81 e 82 TCE.

Con riguardo al primo aspetto, la Commissione, nella Comunicazione sulla cooperazione con le Autorità nazionali, richiedeva agli Stati membri che le Autorità nazionali fossero dotate di una struttura e mezzi che permettessero un'applicazione efficace del diritto antitrust CE — sul punto v. le relative norme del reg. 1/03 infra § 102 —. Tale aspetto era divenuto infatti essenziale nella politica di decentramento antitrust della Commissione verso le Autorità nazionali 557, essendo l'efficacia dell'azione repressiva determinata tra l'altro dai poteri di cui le Autorità disponevano, dal tipo di decisioni che esse potevano emanare, dal numero di funzionari che svolgevano l'attività di vigilanza.

I rapporti tra Commissione e Autorità nazionali — passando al secondo aspetto indicato supra — trovavano la propria base giuridica nell'obbligo di collaborazione tra ordinamento CE e Stati membri (art. 10 TCE) e si concretizzavano — non essendo disciplinati ex reg. 17/62 — nella prassi della Commissione e nella successiva giurisprudenza comunitaria. In particolare, lo sviluppo della prassi della Commissione e la giurisprudenza CE avevano delineato due gruppi di principi relativi ai rapporti tra Commissione e Autorità nazionali, e cioè: gli

557 Tale problema sorge per la prima volta nella giurisprudenza CE relativa

all'archiviazione per carenza di interesse comunitario delle denunce pervenute alla Commissione.

Nella sent. Automec (cit. nota 202) la Corte di giustizia infatti chiarisce che uno degli elementi che la Commissione deve valutare per definire l'esistenza o meno dell'interesse comunitario di una denuncia, e quindi — in ultima istanza — della possibilità di archiviare tale denuncia, è che le Autorità nazionali siano titolari di poteri sufficienti per tutelare i diritti riconosciuti ai singoli ai sensi degli artt. 81 e 82 TCE.

Non è un caso che la Commissione già nella Comunicazione sulla cooperazione tra Commissione e Autorità nazionali per l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE (1997) sottolineava l'importanza dei poteri di cui le Autorità nazionali disponevano per poter svolgere efficacemente il ruolo di organi decentralizzati del sistema antitrust CE. La rilevanza di questo aspetto trova espressa disciplina agli artt. 5 reg. 1/03 e 35 reg. 1/03.

L'EVOLUZIONE DEL SISTEMA ANTITRUST EUROPEO SINO AL 2003

263

obblighi delle Autorità nazionali nei confronti della Commissione e di altre Autorità nazionali; la facoltà delle Autorità nazionali nei confronti della Commissione. In primo luogo, con riferimento agli obblighi delle

Autorità nazionali nei confronti della Commissione, gli organi nazionali dovevano comunicare alla Commissione l'inizio dei procedimenti ai sensi degli artt. 81 e 82 TCE 558; dovevano sospendere il procedimento ai sensi del diritto antitrust nazionale nel caso in cui la Commissione avesse deciso in breve tempo sulla medesima fattispecie 559. In secondo

luogo, con riferimento alle facoltà di cui le Autorità nazionali erano

titolari, le Autorità nazionali potevano richiedere alla Commissione pareri con riferimento all'applicazione del diritto antitrust CE.

Meno successo ebbe il terzo aspetto relativo alla politica di decentramento verso le Autorità nazionali, cioè il tentativo della

Commissione di obbligare le Autorità ad applicare gli artt. 81(1) e 82 TCE. Tale politica della Commissione — collegata all'obbiettivo di limitare l'attività repressiva diretta della Commissione — era stata definita nelle decisioni della Commissione richiamate nelle sentenze Automec II e Bemim 560. Tale politica consisteva nell'obbligare le Autorità nazionali, in caso di valutazione di fattispecie di rilevanza comunitaria ai sensi del diritto antitrust nazionale, a pervenire alla conclusione a cui sarebbe pervenuta la Commissione applicando gli artt. 81 e 82 TCE. La Commissione giustificherà successivamente — nella proposta di regolamento del 2000, v. supra § 44 — l'obbligo di applicare il diritto antitrust CE con il fatto che valutazioni differenti tra norme antitrust della CE e degli Stati membri sarebbero state contrarie al "mercato interno".

558 Tale obbligo è per altro previsto nell'ordinamento italiano dall'art. 54 l. n. 52/96. 559 Infatti, ex art. 9(3) reg. 17/62, le Autorità nazionali non erano competenti — così

come ai sensi dell'art. 11(6) reg. 1/03 — ad applicare il diritto antitrust CE ad una medesima fattispecie oggetto di un procedimento antitrust della Commissione.

560 Tale politica di decentramento sembrava concretizzarsi — in assenza del suo successo nella pratica — nella disciplina sul rapporto tra diritto antitrust della CE e degli Stati membri (art. 3 della proposta di regolamento del 2000), v. infra.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

264

SOTTOSEZIONE III

LE ALTRE PARTICOLARITÀ RILEVANTI NEL RAPPORTO TRA

COMMISSIONE E AUTORITÀ NAZIONALI

81. I limiti del reg. 17/62 in conseguenza dello sviluppo del sistema

antitrust CE.

Mentre la Commissione sviluppava la politica di decentramento del

diritto antitrust CE, nel tentativo di "modernizzare" il sistema antitrust CE forzando i principi del reg. 17/62 CE relativi al rapporto tra Commissione e Autorità nazionali, il sistema disciplinato dal reg. 17/62 mostrava i propri limiti sotto due distinti profili: 1. lo scambio di informazioni tra Commissione e Autorità nazionali e l'utilizzabilità di esse come mezzi di prova da parte delle Autorità nazionali 561; 2. il limite del segreto professionale di cui all'art. 20 reg. 17/62 562.

561 Cfr. Sentenza della Corte del 16 luglio 1992, Banche spagnole, cit. a nota 366. In

particolare, con riferimento alla possibilità di utilizzare le informazioni notificate alla Commissione ed inviate alle Autorità nazionali, ai sensi dell'art. 10(1) reg. 17/62, per l'istruzione di autonomi procedimenti a livello degli Stati membri, v. infra.

562 Il limite del sistema antitrust comunitario, con riferimento alla tutela del segreto professionale di cui all'art. 20 reg. 17/62, è stato approfondito nelle sentenza del Tribunale di primo grado (seconda sezione) del 12 dicembre 1991, Nv Samenwerkende Elektriciteits -

Produktiebedrijven contro Commissione delle Comunità europee (SEP I), causa T-39/90, Raccolta della giurisprudenza, 1991, p. II - 1497 e Sentenza della Corte (quinta sezione) del 19 maggio 1994, Samenwerkende Elektriciteits - Produktiebedrijven (SEP) Nv contro Commissione

delle Comunità europee (SEP II), causa C-36/92 P, Raccolta della giurisprudenza, 1994, p. I - 1911.

Le sentenze SEP riguardavano il rifiuto da parte della società SEP, società olandese attiva nel settore della produzione di energia elettrica, di fornire alla Commissione la copia di un accordo stipulato tra tale società e la società Statoil, società norvegese attiva nel settore della fornitura di gas naturale. La società Statoil, a sua volta, era concorrente della società Gasunie N.V., società la quale aveva tra i suoi clienti appunto la SEP. In particolare, il capitale della Gasunie era detenuto al 50% dallo Stato olandese e le decisioni fondamentali in materia di politica di vendita di tale società erano subordinate all'approvazione del Ministero degli affari economici olandese.

La SEP rifiutava di fornire alla Commissione il contratto stipulato con la società Statoil in quanto sosteneva che la copia di tale contratto sarebbe stata successivamente inviata, ai sensi dell'art. 10(1) reg. 17/62, dall'Autorità CE all'Autorità antitrust olandese, organo individuato in una delle direzione generali del Ministero degli affari economici. In conseguenza di ciò, la SEP sosteneva che la Gasunie — tramite l'organo che aveva l'obbligo

L'EVOLUZIONE DEL SISTEMA ANTITRUST EUROPEO SINO AL 2003

265

Sotto un primo punto di vista, tali limiti derivavano dalla "commistione" dei ruoli svolti dalle Autorità nazionali quali organi dei sistemi di tutela antitrust degli Stati membri e, contemporaneamente, del sistema di tutela antitrust CE. Sotto un secondo punto di vista, tali problemi — conseguenti al rapporto tra Commissione e Autorità nazionali — indicavano la lenta creazione di rapporti sempre più stretti tra

di approvare le decisioni fondamentali in materia di vendita, cioè il Ministero degli affari economici — sarebbe venuta a conoscenza delle condizioni commerciali concesse al suo cliente, cioè la SEP, da parte di un fornitore concorrente, la Statoil.

Il Tribunale di primo grado, fornendo una interpretazione formale della disciplina, aveva sostenuto l'illiceità del rifiuto della SEP di fornire i documenti richiesti dalla Commissione; questo in quanto il timore di un possibile passaggio di notizie all'interno del Ministero degli affari economici era da considerarsi infondato. Il Tribunale fondava la sua decisione sulla asserita efficacia della garanzia di riservatezza riconosciuta dagli artt. 20 (1) reg, 17/62 e 20(2) reg. 17/62 (Sentenza SEP I, §§ 55 e 57). L'art. 20 reg. 17/62 avrebbe impedito non solo la divulgazione di informazioni relative a detto contratto all'esterno del settore amministrativo interessato, ma anche la circolazione di tali informazioni in seno allo stesso settore amministrativo. Di conseguenza i funzionari ed agenti delle Autorità antitrust che, a seguito della trasmissione da parte della Commissione, fossero venuti a conoscenza del contenuto del contratto Statoil, sarebbero stati tenuti a non divulgarlo (e in particolare presso i servizi incaricati delle questioni dell'energia all'interno del Ministero degli affari economici).

La Corte di giustizia, annullando parzialmente la decisione del Tribunale di primo grado rigettava l'impostazione secondo la quale l'art. 20 reg. 17/62 avrebbe garantito la riservatezza delle informazioni del contratto citato. In particolare, la Corte sosteneva, secondo una impostazione più realistica di quella del Tribunale, che l'art. 20(1) reg. 17/62 — il quale poteva garantire esclusivamente che le informazioni ottenute dalla Commissione non fossero "utilizzate" per scopi diversi da quello per il quale erano state richieste — non potesse "impedire gli effetti irreversibili derivanti dalla semplice conoscenza, da parte di un fornitore — o dell'Autorità alla cui vigilanza esso era sottoposto —, delle condizioni commerciali concesse al suo cliente da un fornitore concorrente". In conseguenza di ciò, la Corte di giustizia sosteneva che nei casi in cui un'impresa avesse comunicato espressamente alla Commissione che un determinato documento presentava carattere riservato nei riguardi delle Autorità nazionali competenti (in quanto esse conteneva segreti commerciali), il principio generale di tutela del segreto commerciale — previsto dall'art. 287 TCE e dagli artt. 19(3) reg. 17/62, 20(2) reg. 17/62 e 21(2) reg. 17/62 — poteva limitare l'obbligo della Commissione (di cui all'art. 10(1) reg. 17/62) di trasmettere il documento in questione alle Autorità nazionali competenti, nel caso di specie alle Autorità antitrust olandese (Sentenza SEP II, §§ 37 e 41). In questo modo, la Corte di giustizia aveva previsto quindi la deroga all'obbligo ex art. 10(1) reg. 17/62; cioè l'obbligo della Commissione di inviare i documenti alle Autorità nazionali, invio funzionale all'esercizio del potere delle Autorità di "formulare osservazioni" sulle procedure della Commissione (art. 10(2) reg. 17/62) e quindi di partecipare all'istruttoria dei procedimenti individuati dal reg. 17/62. Tale deroga era tanto più importante in quanto, come sottolineato dal Tribunale di primo grado nella sentenza SEP I, era riferita ad una circostanza "destinata in pratica a verificarsi frequentemente"; o meglio, circostanza che poteva "presentarsi ogni volta che un'inchiesta della Commissione riguarda[va] rapporti commerciali intercorrenti fra una società privata ed un'impresa pubblica o una società ad economia mista" (Sentenza SEP I, § 57).

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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Commissione e Autorità nazionali a seguito dello sviluppo del sistema antitrust CE, della crescita del numero di casi di rilevanza CE e della necessità per la Commissione della cooperazione delle Autorità nazionali.

SOTTOSEZIONE IV

GLI EFFETTI DEL SISTEMA ANTITRUST EUROPEO SUI SISTEMI NAZIONALI

ANTITRUST E LA REAZIONE DEGLI STATI MEMBRI

82. La "perdita di indipendenza" dei sistemi antitrust nazionali rispetto al

sistema antitrust europeo.

Prima di valutare quali siano state le reazioni da parte dei sistemi

nazionali rispetto allo sviluppo e alla crescita di importanza del sistema antitrust CE, è necessario valutare l'aspetto della perdita d'indipendenza dei sistemi antitrust degli Stati nazionali riguardo alla discrezionalità che essi avrebbero potuto disporre in assenza del diritto antitrust CE.

Come già indicato, i rapporti tra competenza antitrust CE e competenza antitrust degli Stati membri ai sensi del principio dell'effetto utile del diritto CE è chiara (v. supra § 39); la disciplina nazionale deve vietare quanto vietato dal diritto antitrust CE e può vietare quanto non vietato dal diritto antitrust CE (salvo il caso dell'art. 81(3) TCE, in forza del quale la disciplina nazionale non può vietare quanto esentato da tale norma). Ciò detto, questo problema, come supra dimostrato, rimane a livello di prassi della Commissione e dottrina una questione ancora aperta 563.

563 V., ad esempio, la difficoltà della Commissione stessa nel definire i principi di tale

rapporto con riferimento ai limiti collegati all'art. 81(3) TCE; v. supra a nota 381. V. del pari JOHN TEMPLE LANG, European Community Competition Law and Member

State Action, in EC Competition Law, 1989, p. 114, il quale nel 1989 sosteneva che nella sent. Amhed Saeed la Corte di giustizia aveva per la prima volta espressamente sostenuto che tutti gli organi degli Stati membri erano vincolati dagli artt. 81 e 82 TCE nel momento in cui essi approvavano tariffari. Diversamente, l'impostazione della sentenza Saeed non era altro che la conseguenza della sent. Walt Wilhelm (1969) e della sent. INNO-ATAB (1991).

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In conseguenza di questa mancanza di "punti fermi", sembra che gli Stati membri abbiano lentamente acquisito consapevolezza del limite della loro discrezionalità non tanto con riferimento ai principi del rapporto tra competenza antitrust della CE e degli Stati membri, ma, piuttosto, tramite singoli fatti avvenuti nel corso degli anni e che hanno fornito la "sensazione" della perdita di autonomia dei singoli sistemi antitrust nazionali (fatto di cui l'art. 1 l. n. 287/90 è prova 564).

Tra questi "fatti" vi erano, in via esemplificativa, in primo luogo, la progressiva realizzazione del mercato interno e la crescita del numero di casi rientranti nel campo di applicazione degli artt. 81 e 82 TCE. In

secondo luogo, la competenza esclusiva della Commissione per l'applicazione dell'art. 81(3) TCE. In terzo luogo, i problemi collegati alla prassi e alla giurisprudenza comunitaria; prassi e giurisprudenza che avevano definito la limitazione della discrezionalità del diritto antitrust statale rispetto al diritto antitrust CE e — nell'impostazione della Commissione collegata al caso Bemim — addirittura il tentativo di escludere la competenza antitrust degli Stati membri per casi di rilevanza comunitaria. In quarto luogo, la struttura istituzionale dell'ordinamento CE, e in particolare il ruolo della Corte di giustizia. Ci si riferisce alla competenza della Corte di emettere sentenze ex art. 234 TCE rispetto agli artt. 81 e 82 TCE al fine di interpretare il diritto antitrust statale che presenti un testo simile a quello delle norme antitrust comunitarie 565. L'utilizzo dell'art. 234 TCE a questi fini

564 Come noto, l'art. 1(1) l. n. 287/90 disciplina un campo di applicazione della

normativa antitrust italiana in modo che il diritto antitrust nazionale sia applicabile solo quando non siano applicabili gli artt. 81 e 82 TCE. Riguardo a ciò la relazione al disegno di legge n. 1249 Senato (legge Battaglia) sosteneva con riferimento all'art. 1 l. n. 287/90: "Nel momento in cui si introduce una normativa ispirata ai principi del Trattato allo scopo di evitare ogni contrasto tra la normativa nazionale e la normativa comunitaria, la competenza della legislazione deve essere limitata a pratiche i cui effetti riguardino ambiti territoriali non coperti dal diritto comunitario". È chiara l'erroneità di tale dell'impostazione. È infatti di tutta evidenza che i "contrasti" richiamati dalla Relazione della legge non si evitano non facendo applicare parallelamente il diritto antitrust della CE e degli Stati membri. A questo fine è sufficiente che il diritto antitrust statale sia applicato in modo da non violare il principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE.

565 V. da ultima la sentenza Sentenza della Corte (Sesta Sezione) del 26 novembre 1998, Oscar Bronner, cit. a nota 374. In essa la Corte di giustizia ha affermato espressamente che i giudici nazionali — al fine di evitare decisioni contrastanti con il diritto antitrust CE — hanno la facoltà — in presenza di normative antitrust degli Stati membri con una formulazione simile a quelle degli artt. 81 e 82 TCE — di proporre richieste di interpretazione pregiudiziale relative al diritto antitrust dello Stato membro ex art. 234

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determinava "una sensazione" di ulteriore (indiretta) limitazione della discrezionalità della competenza antitrust degli Stati membri (rectius la convinzione della necessità di normative antitrust degli Stati membri che non determinassero contrasti con il diritto antitrust CE).

A fronte di tali elementi poteva sembrare che (quanto meno) il sistema di tutela amministrativa antitrust degli Stati membri — in ragione della struttura prevista dal reg. 17/62 (sistema a due livelli in cui le Autorità nazionali svolgono contemporaneamente il duplice ruolo di organi di tutela della concorrenza nazionale e comunitaria) — fosse sostanzialmente assorbito all'interno di tale sistema CE. Questo avrebbe imposto alle Autorità nazionali la piena collaborazione al sistema comunitario di tutela antitrust 566, contribuendo quindi alla "sensazione" di mancanza di indipendenza dei sistemi antitrust statali rispetto al sistema antitrust CE.

83. La reazione dei sistemi antitrust degli Stati membri a fronte della

crescita di importanza del sistema antitrust europeo.

Passiamo a valutare quali sono state le reazioni degli Stati membri a

fronte della crescita di importanza del sistema di tutela antitrust CE e della politica di decentramento antitrust della Commissione.

Gli Stati membri hanno reagito secondo due differenti orientamenti.

TCE. Tale giurisprudenza è una conseguenza della sentenza della Corte del 18 ottobre 1990, Massam Dzodzi contro Etat Belge, cause riunite 297/88 e C-197/89, Raccolta della

giurisprudenza, 1990 p. I - 3763. Con riferimento alla rilevanza di questa giurisprudenza per l'art. 1 l. n. 287/90, v. LORENZO FEDERICO PACE, Il sistema italiano di tutela, a nota 420.

566 Tale centralizzazione del ruolo della Commissione era originariamente finalizzato a tutelare la coerenza della disciplina nel mercato comune. Non pare quindi sostenibile che il decentramento dell'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE — peraltro imposto dalla Commissione e dalla giurisprudenza comunitaria —, sia da ricollegare, tra l'altro, ad "un più generale processo di democratizzazione dei modelli decisionali propri dell'ordinamento comunitario tradizionalmente caratterizzati da un accentuato centralismo e da scarsa trasparenza", MARIO TODINO, L'Autorità e l'applicazione decentrata degli articoli 85 e 86 del Trattato CE, Roma, Autorità garante della concorrenza e del mercato (Temi e problemi), n. 6, p. 9. Il decentramento dell'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE è infatti finalizzato principalmente — se non esclusivamente — a ridurre il carico di lavoro relativo all'attività antitrust della Commissione utilizzando — legittimamente — le Autorità antitrust degli Stati membri quali organi partecipanti al sistema comunitario di tutela della concorrenza. Sul punto LORENZO FEDERICO PACE, L'evoluzione, cit. in 257, 375.

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Da una parte, vi è stata la tendenza ad emanare, o modificare, le leggi antitrust nazionali secondo la lettera degli artt. 81 e 82 TCE. Infatti, attualmente ognuno dei venticinque Stati membri della CE ha emanato nel proprio ordinamento una specifica legge di tutela antitrust. Tendenzialmente tutte le norme di divieto sono formulate seguendo strettamente la lettera degli artt. 81 e 82 TCE 567. Inoltre, due Stati membri, l'Italia e la Gran Bretagna, hanno previsto, per l'applicazione delle relative discipline nazionali, un rinvio interpretativo vincolante ai principi del diritto comunitario di tutela della concorrenza 568.

Non è un caso che tale "comunitarizzazione" del diritto antitrust degli Stati membri sia un fenomeno relativamente recente, iniziato verso la fine degli anni '80, cioè nel momento in cui è cominciata a livello CE la politica di decentramento antitrust. Le leggi antitrust nazionali che erano state emanate anteriormente a questo periodo prevedevano, al contrario, divieti redatti in modo sostanzialmente differente dalla lettera degli artt. 81 e 82 TCE; inoltre esse disciplinavano sistemi di tutela antitrust secondo impostazioni distinte dal principio dell'effetto previsto dalla CE 569.

567 Sul punto, v. in generale il volume JÜRGEN BASEDOW (A CURA DI), Limits and

control of competition with a view to international harmonization, The Hague, Kluwer law international, 2002.

568 L'art. 1(4) l. n. 287/90 recita: "L'interpretazione delle norme contenute nel presente titolo è effettuata in base ai principi dell'ordinamento delle Comunità europee in materia di disciplina della concorrenza".

L'art. 60 del Competition Act del 9 novembre 1998, con rubrica "Principles to be applied in determining questions", recita: "(1) The purpose of this section is to ensure that so far as is possible (having regard to any relevant differences between the provisions concerned), questions arising under this Part in relation to competition within the United Kingdom are dealt with in a manner which is consistent with the treatment of corresponding questions arising in Community law in relation to competition within the Community. (2) At any time when the Court determines a question arising under this Part, it must act (so far as is compatible with the provisions of this Part and whether or not it would otherwise be required to do so) with a view to securing that there is no inconsistency between — (a) the principles applied, and decision reached, by the Court in determining that question; and; (b) the principles laid down by the Treaty and the European Court, and any relevant decision of that Court, as applicable at that time in determining any corresponding question arising in Community law. (3) The Court must, in addition, have regard to any relevant decision or statement of the Commission".

569 A tal proposito è sufficiente far riferimento al sistema di tutela della concorrenza inglese il quale, prima della riforma del Competition Act 1998, prevedeva un sistema antitrust nel quale la valutazione di anti-concorrenzialità dei comportamenti era fondato non sull'effetto di questi sul mercato, bensì sulla struttura giuridica delle pratiche previste dalla legge. Sul punto v. JOHN MAITLAND-WALKER, The New U.K. Competition Law

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Dall'altra parte, a fronte di questa prima tendenza verso la "comunitarizzazione" delle discipline antitrust nazionali vi è stato un opposto orientamento relativo all'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE; infatti le Autorità nazionali hanno applicato raramente la normativa antitrust CE. Ciò è stato determinato sostanzialmente da cinque distinti motivi.

In primo luogo, da un'impossibilità di carattere normativo — ma determinata da chiari intenti politici —. Infatti, alcuni Stati membri non avevano definito i procedimenti in forza dei quali applicare gli artt. 81 e 82 TCE da parte delle Autorità nazionali 570. In secondo luogo, gli Stati membri — sebbene avessero individuato l'Autorità competente ad applicare gli artt. 81 e 82 TCE e i procedimenti per applicare il diritto antitrust CE — non si erano sentiti obbligati, in base a quanto previsto dal reg. 17/62 (secondo un comportamento legittimo), ad applicare la disciplina antitrust CE 571. In terzo luogo, la Commissione aveva interpretato in modo letterale il concetto di intesa restrittiva della concorrenza ex art. 81(3) TCE. L'Autorità CE aveva preferito, nella sua impostazione, sostenere "rigidamente" la contrarietà di un'intesa all'art. 81(1) TCE per poi valutare positivamente l'esistenza dei requisiti di esenzione ex art. 81(3) TCE. Così facendo la Commissione, in conseguenza della competenza esclusiva ad essa attribuita per l'applicazione dell'art. 81(3) TCE, aveva determinato una forte centralizzazione dell'applicazione dell'art. 81(1) TCE. Se le Autorità nazionali avessero voluto applicare direttamente l'art. 81(1) TCE — dovendo quindi interpretare tale norma alla luce della prassi della Commissione e della giurisprudenza comunitaria — si sarebbero

Regime, in European Competition Law Review, 1999, p. 51. Cfr. la situazione tedesca in BERTHOLD SCHANZE, Die europaorientierte, cit. a nota 421.

570 Ad esempio, il legislatore britannico non ha previsto i procedimenti affinché l'Autorità nazionale potesse applicare direttamente gli artt. 81 e 82 TCE. È stato sottolineato che la richiesta della Commissione contenuta nella Comunicazione 1997 — nella quale si chiedeva agli Stati membri di predisporre le procedure affinché le Autorità nazionali potessero applicare direttamente la disciplina comunitaria antitrust — "was clearly ignored in the United Kingdom", non ostante il fatto che essa "was made in time to be incorporated into the Competition Act 1998", MARK FURSE, Competition law of the UK and

EC, London, Blackstone Press, 1999, p. 276. 571 Ad esempio, nell'esperienza italiana, i primi procedimenti di applicazione degli artt.

81 e 82 TCE sono stati iniziati rispettivamente il 5 dicembre 1998, proc. I - 318, Consorzio

industrie fiammiferi, e il 12 dicembre 1998, proc. A - 263, UNAPACE/ENEL.

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trovate molto spesso davanti ad una impasse: e cioè nella situazione di dover, da un lato, constatare l'anti-concorrenzialità dell'intesa ai sensi dell'art. 81(1) TCE e, dall'altra, la necessità di applicare l'art. 81(3) TCE. Così facendo le Autorità nazionali avrebbero dovuto, però, rinviare la valutazione dell'intesa alla Commissione stessa in considerazione della competenza esclusiva dell'Autorità CE per l'applicazione dell'art. 81(3) TCE (art. 9(1) reg. 17/62). In quarto luogo, l'applicazione della normativa antitrust comunitaria esponeva le Autorità nazionali all'avocazione del caso da parte della Commissione. Infatti, l'Autorità CE, iniziando un procedimento istruttorio su di un caso oggetto di valutazione da parte di un'Autorità nazionale ai sensi del diritto antitrust CE, avrebbe avocato — ai sensi dell'art. 9(3) reg. 17/62 — la soluzione di esso non permettendo alla relativa Autorità di pervenire ad una decisione definitiva (problema tanto sentito dagli Stati membri che è stato infatti oggetto di attenzione del Consiglio in sede di redazione del reg. 1/03, v. infra § 127). In quinto luogo, un ulteriore motivo per cui le Autorità nazionali non applicavano frequentemente la disciplina antitrust CE era dato dalla somiglianza dei divieti 572. Infatti, un'Autorità nazionale (o un privato davanti al giudice nazionale) potendo scegliere di contestare una violazione del diritto antitrust sia ai sensi del diritto nazionale che ai sensi del diritto antitrust CE, naturalmente tendeva ad applicare la normativa dallo Stato di appartenenza (almeno in assenza di incentivi a decidere altrimenti); ciò soprattutto se l'applicazione del diritto nazionale o degli artt. 81 e/o 82 TCE determinava conclusioni simili. La disciplina del reg. 17/62 non prevedeva — ma a ben vedere neanche il reg. 1/03 li prevede, v. infra § 146 — incentivi per una più frequente applicazione del diritto antitrust CE.

572 L'Autorità ha sostenuto: "Il ricorso all'applicazione diretta della normativa

comunitaria, elaborato dagli organi della Comunità al fine di eliminare e ridurre le disparità di trattamento tra situazioni analoghe all'interno del mercato comune, non sembra necessario in un ordinamento nazionale come quello italiano che ha introdotto norme analoghe a quelle comunitarie" (Relazione annuale dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, 1992, p. 12). Questa impostazione dell'Autorità non tiene conto, però, di quanto prescritto dall'art. 1(1) l. n. 287/90. In forza di tale norma è fatto obbligo all'Autorità garante di applicare la normativa antitrust comunitaria nel caso di fattispecie di rilevanza comunitaria; sul punto rinviamo al nostro LORENZO FEDERICO PACE, Il sistema italiano di

tutela, a nota 420.

SEZIONE III

LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLE NORME ANTITRUST EUROPEE

SOMMARIO: 83. La politica di decentramento antitrust nei confronti delle giurisdizioni nazionali.

84. La politica di decentramento antitrust nei confronti delle giurisdizioni

nazionali.

La strategia della Commissione per l'applicazione decentrata del

diritto antitrust CE da parte dei giudici nazionali — a differenza del caso delle Autorità nazionali — si è concentrata esclusivamente sulla "procedimentalizzazione" dei rapporti tra Commissione e giudici nazionali (cioè il secondo dei tre aspetti disciplinati riguardo alle Autorità nazionali, v. supra § 80). Questo perché nel caso dei giudici nazionali non era possibile applicare mutatis mutandis la politica di decentramento proposta per le Autorità (cioè obbligare i privati — in assenza di espresse disposizioni del reg. 17/62 — ad applicare dinnanzi ai giudici nazionali gli artt. 81 e 82 TCE nel caso di fattispecie di rilevanza comunitaria, sia per casi di interesse comunitario che per semplici casi di rilevanza CE). Infatti, la politica di decentramento della Commissione nei confronti delle Autorità nazionali si fondava sull'esistenza di una competenza normativa antitrust CE che sarebbe dovuta essere trasferita agli organi statali nel caso in cui la fattispecie oggetto di valutazione non fosse stata di "interesse comunitario". Tale politica di decentramento non poteva essere applicata ai giudici

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nazionali dal momento che, tra l'altro, sono le parti private che decidono in base a quale norma proporre la causa 573.

La "procedimentalizzazione" tra giudici nazionali e Commissione — così come per le Autorità nazionali — si fondava sugli obblighi di cui all'art. 10 TCE e si concretizzava nelle direttrici previste anche per la cooperazione tra Commissione e Autorità nazionali, e cioè: la definizione di obblighi dei giudici nazionali nei confronti della Commissione; la previsione di obblighi della Commissione nei confronti dei giudici nazionali.

In primo luogo, con riferimento agli obblighi dei giudici nei confronti della Commissione, la prassi e la giurisprudenza indicavano l'obbligo di sospendere i procedimenti in presenza del rischio di conclusioni configgenti tra giudice e Commissione 574. Tale aspetto si differenziava da quello delle Autorità nazionali in quanto i giudici non erano oggetto della disciplina dell'art. 9(3) reg. 17/62. Da ciò conseguiva che in caso di apertura di un procedimento della Commissione sulla medesima fattispecie oggetto del procedimento giurisdizionale, i giudici nazionali non avrebbero perduto la competenza sul caso (sia che essi avessero applicato il diritto antitrust della CE sia, a maggior ragione, che avessero applicato il diritto antitrust dello Stato membro).

573 In particolare, i privati avrebbero dovuto applicare il diritto antitrust CE dinnanzi ai

giudici nazionali, piuttosto che presentare denunce alla Commissione o alle Autorità nazionali. Il (modesto) vantaggio di questo sarebbe stata, ad es., la possibilità per i giudici nazionali di poter riconoscere il risarcimento dei danni per la violazione delle norme antitrust CE, condannare alle spese la parte soccombente. Il vantaggio della presentazione di una denuncia ad una Autorità amministrativa era invece la rapidità dalla valutazione, e i costi relativamente ridotti per la presentazione della denuncia stessa.

Come infra evidenziato, il reg. 1/03 ha risolto tale problema imponendo l'applicazione del diritto antitrust CE (e quindi coartando la libertà del singolo) quando il giudice — ma anche le Autorità nazionali — decidono di un caso avente rilevanza comunitaria (art. 3(1) reg. 1/03). In più la Commissione, con riferimento all'art. 81(1) TCE, avendo di fatto eliminato la competenza antitrust degli Stati membri relativa alle intese anticoncorrenziali (art. 3(2) reg. 1/03), impone che il divieto di accordi anticoncorrenziali ai sensi del diritto antitrust degli Stati membri sia deciso esattamente come sarebbe stato deciso ai sensi dell'art. 81 TCE.

574 Sentenza della Corte del 30 gennaio 1974, Sabam - Fonior, cit. a nota 288; Sentenza della Corte del 28 febbraio 1991, Stergios Delimitis, cit. a nota 257; Sentenza della Corte del 14 dicembre 2000, Masterfoods, cit. a nota 454; v. Sentenza della Corte del 6 febbraio 1973, Sa

Brasserie di Haecht contro Wilkin - Janssen, causa 48/72, Raccolta della giurisprudenza, 1973, p. 77, § 13.

CAPITOLO V

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

SEZIONE I

LA "POLITICA DI DECENTRAMENTO" DEL DIRITTO ANTITRSUT EUROPEO

E IL REG. 1/03

SOMMARIO: 85. La politica di decentramento negli anni '90 e la modifica del reg. 17/62. — 86. La politica di decentramento nella proposta di regolamento del 2000. — 87. La politica di decentramento nel reg. 1/03 e i relativi quattro criteri organizzativi. La struttura del reg. 1/03. — 88. Il sistema di tutela antitrust disciplinato dal reg. 1/03 in prospettiva storica: il controllo dei cartelli in Europa negli anni '30 del XX secolo e la tutela antitrust all'inizio del XXI secolo.

85. La politica di decentramento negli anni '90 e la modifica del reg. 17/62.

Il reg. 1/03 è — come osservato supra — conseguenza della crescita

di importanza del sistema antitrust CE dagli anni '90 in poi; in particolare, la riforma è il risultato dell'aumento dei casi di rilevanza comunitaria. Come supra osservato, il primo tentativo degli anni '90 di risolvere tale problema si era concretizzato nella cd. "politica di decentramento" del diritto antitrust CE 575. Essa, in tale primo momento,

575 Volendo fare "un passo indietro" rispetto a quanto già chiarito riguardo

all'organizzazione del reg. 1/03, il problema della riduzione dell'attività repressiva diretta della

Commissione poteva essere risolto secondo due direttrici. In primo luogo aumentando i finanziamenti della D.G. Comp. perché la Commissione potesse svolgere le competenze previste dal reg. 17/62. In secondo luogo, vi era la possibilità di sfruttare l'attività degli organi degli Stati membri (cioè le Autorità nazionali e le giurisdizioni nazionali) per decentrare

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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era costituita da due elementi: la limitazione dell'attività repressiva diretta, quale primo elemento, e il decentramento dell'attuazione degli artt. 81(1) e 82 TCE in modo che le Autorità e le giurisdizioni nazionali si sostituissero all'Autorità CE nell'applicazione del diritto CE 576, quale

secondo elemento. Riguardo al primo elemento, la riduzione dell'attività della

Commissione si fondava, come ricordato nel precedente capitolo, sul riconoscimento del potere dell'Autorità CE di iniziare procedimenti istruttori ex artt. 81 e 82 TCE solo in presenza di casi di "interesse comunitario" e del potere di attribuire delle priorità nella valutazione delle denunce ad essa pervenute 577. Questo permetteva alla

l'applicazione del diritto antitrust CE e conseguentemente ridurre il carico di lavoro della Commissione.

Non presa in considerazione l'ipotesi dell'aumento dei finanziamenti, la Commissione e il Consiglio non hanno potuto fare altro che "rivolgersi" al TCE per determinare cosa il Trattato permmettesse. L'ordinamento CE prevedeva l'applicazione del diritto antitrust CE da parte della Commissione (art. 85 TCE), delle Autorità nazionali (art. 84 TCE) e attribuiva ai giudici nazionali la tutela delle norme aventi effetto diretto (e quindi gli artt. 81(1) e 82 TCE).

576 Al fine di comprendere la redazione del reg. 1/03 — frutto di evidenti compromessi — non deve essere dimenticato che l'approvazione del testo doveva avvenire in tempo utile perché il nuovo regolamento entrasse in vigore prima dell'accessione dei nuovi dieci Stati membri alla CE/UE, cioè il 1 maggio 2004. Tale aspetto — e quindi la possibilità che il regolamento fosse redatto da soli 15 Stati membri al posto di 25 — ha sicuramente impresso alla redazione del regolamento una ulteriore accelerazione. Inoltre, deve essere parimenti ricordato che il regolamento — in considerazione delle rilevanti modifiche apportate dal Consiglio alla proposta della Commissione e per evitare di rinviare la proposta alla Commissione — è stato approvato all'unanimità dal Consiglio.

577 Bisogna ricordare che la Commissione, mentre da un lato definiva i principi in base ai quali avrebbe archiviato le denunce non aventi interesse comunitario, dall'altro provvedeva, con la collaborazione delle Autorità nazionali, a precisare le modalità attraverso le quali ottenere un attivo coinvolgimento di queste ultime nell'applicazione del diritto antitrust comunitario.

A questo fine la Commissione istituì, agli inizi degli anni '90, un gruppo di lavoro ad hoc di cui facevano parte i rappresentanti delle Autorità nazionali e della Commissione stessa. In particolare, il compito di tale gruppo era quello: di rendere più efficace la politica di concorrenza nei confronti delle imprese su tutto il territorio comunitario; di far partecipare in modo più attivo le Autorità nazionali all'applicazione di tale politica; di migliorare le procedure comunitarie; di suddividere in modo più soddisfacente il carico di lavoro tra Comunità e Stati membri (XXIII Relazione sulla politica di concorrenza, 1993, § 191). I membri di tale gruppo erano d'accordo sul fatto che l'efficacia delle regole di concorrenza sarebbe aumentata con il miglioramento delle procedure comunitarie e in presenza di un maggiore coinvolgimento delle Autorità nazionali. Differenti erano, però, le modalità proposte dai vari Stati membri attraverso le quali ottenere tale partecipazione.

Da un lato, le delegazioni tedesca e francese, erano favorevoli ad un'applicazione frequente degli artt. 81 e 82 TCE. Esse richiedevano, al contempo, che fosse riconosciuta

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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Commissione, da una parte, di archiviare le denunce ad essa presentate e che non fossero di interesse per la politica di concorrenza CE e, dall'altra, di rimandare la valutazione di denunce non considerate rilevanti per la tutela del mercato comune 578.

alle Autorità nazionali, nel medio/lungo termine, la facoltà di emanare esenzioni ai sensi dell'art. 81(3) TCE per casi aventi interesse prevalentemente nazionale (in generale, le Autorità nazionali e la Commissione erano d'accordo sul fatto di non modificare in tale occasione la divisione delle competenze così come prevista nel reg. 17/62. In XXIV Relazione della politica di concorrenza, 1994, § 40.).

Dall'altro, le delegazioni italiana e britannica sostenevano la necessità della riduzione dell'ambito di applicazione degli artt. 81 e 82 TCE e di una più ampia applicazione del diritto antitrust nazionale. La delegazione italiana asseriva, però, che, per ottenere una efficace politica della concorrenza all'interno della Comunità, sarebbe stata necessaria l'armonizzazione delle legislazioni nazionali con il testo degli artt. 81 e 82 TCE.

Al contrario, la delegazione inglese sosteneva che tale armonizzazione non sarebbe stata necessaria in quanto l'applicazione del diritto antitrust nazionale non avrebbe potuto compromettere il raggiungimento degli obbiettivi del Trattato CE, così come indicato ai sensi dell'art. 10 TCE. Quest'ultima impostazione "sottovalutava", però, l'impossibiltà — secondo il sistema di applicazione antitrust CE ex reg. 17/62 — di poter "controllare" da parte della Commissione che il diritto antitrust degli Stati membri non fosse stato applicato in violazione del diritto antitrust CE.

Successivamente agli incontri del gruppo di lavoro, la Commissione annunciò che avrebbe emanato una Comunicazione sull'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE da parte delle Autorità nazionali. Tramite questa, la Commissione avrebbe cercato, in primo luogo, di convincere le imprese a rivolgersi più spesso alle Autorità nazionali e, in secondo luogo, essa avrebbe indicato i criteri in base ai quali ripartire la competenza tra Commissione e Autorità nazionali per la soluzione dei casi di rilevanza comunitaria (XXIV Relazione sulla politica di concorrenza, 1994, § 42).

I contenuti del documento finale del gruppo di lavoro ad hoc costituirono la base per la Comunicazione della Commissione, emanata nel 1997, riguardante la cooperazione tra la Commissione e le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri per l'esame dei casi disciplinati dagli artt. 81 e 82 TCE. Il 5 settembre 1996 la Commissione pubblicava un progetto preliminare della Comunicazione, in GUCE 5 settembre 1996, 96/C 262, p. 5. Il 15 ottobre 1997, dopo un periodo di consultazioni, fu infine pubblicata la versione definitiva del documento.

578 Tra le tante sentenze in merito, emanate in solo un decennio, v. Sentenza del Tribunale di primo grado (Seconda Sezione) del 14 febbraio 2001, Système européen promotion (SEP) SARL contro Commissione delle Comunità europee, causa T-115/99, Raccolta

della giurisprudenza, 2001, p. II - 691; Sentenza del Tribunale di primo grado del 18 settembre 1992, Automec, cit. nota 202; Sentenza del Tribunale di primo grado (Seconda Sezione ampliata) del 12 dicembre 1996, Groupement d'achat Édouard Leclerc contro

Commissione delle Comunità europee, causa T-88/92, Raccolta della giurisprudenza, 1996, p. II - 1961; Sentenza del Tribunale di primo grado (Seconda Sezione) del 25 maggio 2000, Union française de l'express (Ufex), DHL International, Service CRIE e May Courier contro Commissione delle Comunità europee, causa T-77/95 RV, Raccolta della giurisprudenza, 2000, p. II - 2167; Sentenza del Tribunale di primo grado (Quarta Sezione ampliata) del 9 gennaio 1996, Casper Koelman contro Commissione delle Comunità europee, causa T-575/93, Raccolta della giurisprudenza, 1996, p. II - 1; Sentenza del Tribunale di primo grado (Terza Sezione ampliata) del 16 settembre 1998, International Express Carriers Conference (IECC)

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

282

quello di fare in modo che esse applicassero sempre il diritto antitrust CE o che, applicando il diritto antitrust statale, esse arrivassero alle conclusioni a cui sarebbero pervenute applicando gli artt. 81 e 82 CE 579. Con riferimento alle giurisdizioni nazionali, la Commissione aveva chiarito in una Comunicazione la possibilità di applicazione decentrata degli artt. 81 e 82 TCE 580.

La politica di "decentramento" — così come sviluppatasi nella metà degli anni '90 — aveva quindi quale obbiettivo, da un lato, l'applicazione da parte delle Autorità e delle giurisdizioni nazionali del diritto antitrust CE in sostituzione del diritto antitrust degli Stati membri e, dall'altro, l'"assorbimento" delle Autorità nazionali — in qualità di partecipanti al sistema di tutela antitrust CE — nel sistema antitrust comunitario 581. Tale prassi, in assenza di una riforma del reg. 17/62, non prevedeva però dei procedimenti ad hoc con cui la Commissione potesse controllare che le misure, con le quali le Autorità e i giudici nazionali applicavano il diritto antitrust CE o il diritto antitrust degli Stati membri, pervenissero — secondo l'allora politica di "applicazione decentrata" — alle stesse conclusioni che la Commissione avrebbe raggiunto.

86. La politica di decentramento nella proposta di regolamento del 2000.

I risultati insoddisfacenti di questa forma di "decentramento" del

diritto antitrust CE avevano manifestato la necessità di una riforma del reg. 17/62. Le linee direttrici di tale revisione erano state presentate dalla Commissione nel "Libro bianco sulla modernizzazione dell'applicazione degli articoli 81 e 82 TCE" del 1999. Tale riforma prevedeva, da una parte, "che qualsiasi Autorità amministrativa o giudiziaria chiamata ad applicare le disposizioni dell'articolo [81],

579 Sul punto, in modo più esteso, v. il nostro, LORENZO FEDERICO PACE, L'evoluzione,

cit. a nota 257, 270. Inoltre, v. Comunicazione della Commissione concernente la cooperazione

tra la Commissione e le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri per l'esame dei casi disciplinati dagli articoli 85 e 86 del trattato CE, in GUCE n. 1997 C 313 del 15 ottobre 1997, p. 3, § 16.

580 Comunicazione relativa alla cooperazione tra i giudici nazionali e la Commissione

nell'applicazione degli articoli 85 e 86 del trattato CE, in GUCE 1993 C 39 del 13 febbraio 1993, p. 6.

581 V. anche LORENZO FEDERICO PACE, L'evoluzione, cit. in 257, § 6.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

283

paragrafo 1, [poteva] applicare simultaneamente anche le disposizioni dell'articolo [81], paragrafo 3" (Libro bianco, § 69). Dall'altra, la proposta contemplava la creazione di un "sistema coordinato" tra Commissione e Autorità nazionali per l'applicazione degli articoli 81 e 82 TCE — la cd. Rete di Autorità antitrust — (Libro bianco, § 91) 582.

Sulla base del Libro bianco la Commissione emanò, nel dicembre 2000, una proposta di regolamento ai sensi dell'art 83 TCE 583. In esso la strategia della politica di decentramento subiva una leggera modifica ed era composta da tre distinti elementi. Infatti, fermo restando l'obiettivo di ridurre l'attività repressiva diretta della Commissione al fine di concentrarne l'attività sui casi più importanti — primo elemento della politica di decentramento antitrust —, la proposta di regolamento stabiliva — quale secondo elemento della politica di decentramento e in linea con la prassi della Commissione degli anni '90 — la competenza esclusiva del diritto antitrust CE per le fattispecie di rilevanza comunitaria (norma, così come l'art. 3(2) reg. 1/03, di dubbia legittimità comunitaria). Cioè le Autorità e le giurisdizioni nazionali, in presenza di fattispecie rientranti nel campo di applicazione del diritto antitrust CE (e quindi i casi più importanti da un punto di vista economico e politico) non avrebbero potuto applicare il diritto antitrust degli Stati membri e sarebbero state obbligate ad applicare esclusivamente il diritto antitrust CE. Questo elemento presentava un triplice vantaggio per la Commissione. Infatti, in primo luogo, era risolto il problema della mancanza di applicazione del diritto antitrust CE da parte delle Autorità e dei privati dinnanzi ai giudici nazionali (anche se "coartando" la libertà dei singoli). In secondo luogo, in assenza dell'applicazione del diritto antitrust degli Stati membri ai casi di rilevanza comunitaria, non sarebbe sorto più il problema di una incoerente applicazione della disciplina antitrust nazionale rispetto agli

582 Rispetto al regolamento 17/62, la riforma implicava quindi l'eliminazione della

competenza esclusiva della Commissione per l'applicazione dell'art. 81(3) TCE (art. 9(1) reg. 17/62), con estensione della medesima anche alle Autorità e alle giurisdizioni nazionali (Cfr. Libro bianco, § 69).

583 Proposta di Regolamento del Consiglio concernente l'applicazione alle imprese delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato recante modifica dei regolamenti (CEE) n. 1017/68, (CEE) n. 2988/74, (CEE) n. 4056/86 e (CEE) n. 3975/87 («Regolamento d'applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato») in GUCE n. 2000 C 365 E del 19 dicembre 2000, pag. 284 - 296.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

284

artt. 81 e 82 TCE. In terzo luogo, erano eliminati i "costi" per le imprese per "adattarsi" a più normative antitrust, quella comunitaria e quelle degli Stati membri.

La proposta di regolamento disciplinava per la prima volta, come terzo elemento, anche dei procedimenti per valutare se gli organi degli Stati membri avessero applicato il diritto antitrust CE secondo la politica di concorrenza comunitaria 584.

87. La politica di decentramento nel reg. 1/03 e i relativi quattro criteri

organizzativi. La struttura del reg. 1/03.

Passando agli elementi costitutivi della politica di decentramento

antitrust del reg. 1/03 585, essi sono ulteriormente diversi rispetto a quelli della proposta del regolamento del 2000 (fermi restando i due obiettivi generalissimi, cioè la riduzione del carico di lavoro della Commissione e la partecipazione alla tutela antitrust CE degli organi degli Stati membri) 586.

Il reg. 1/03, accanto alla riduzione del carico di lavoro della Commissione, non stabilisce più — in secondo luogo — la competenza esclusiva del diritto antitrust CE per le fattispecie di rilevanza

584 Proposta di regolamento del 2000, art. 15(3) secondo capoverso, §§ 11 — 16. 585 Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002, concernente

l'applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato, in GUCE 2003 L 1 del 4 gennaio 2003, p. 1 - 25.

586 Infatti, il reg. 1/03 ha quale principale obiettivo la riorganizzazione del sistema antitrust CE — o come sostenuto dalla Commissione, il reg. 1/03 "mir[a] a rimettere l'accento sull'obiettivo principale di un'applicazione efficace delle regole di concorrenza" (Comunicazione sulle lettere di orientamento, § 1) —; questo è ottenuto anche "eliminando il precedente sistema di notifica e consentendo così alla Commissione di concentrare la sua politica repressiva sulle infrazioni più gravi" (Comunicazione sulle lettere di orientamento, § 6). A tale obiettivo si perviene in due modi: tramite il "riorientare l'uso delle risorse a (…) disposizione" della Commissione, concentrandole sui casi antitrust più importanti" e, in

secondo luogo, in modo che gli organi degli Stati membri che applicano il diritto antitrust CE (Autorità e giurisdizioni nazionali) partecipino maggiormente a tale sistema. Con riferimento al primo punto, cioè al riorientare l'uso delle risorse della Commissione, l'Autorità CE sostiene: "Nell'ambito di questo nuovo quadro legislativo la Commissione intende riorientare l'uso delle risorse a sua disposizione secondo i seguenti indirizzi: — applicazione delle regole di concorrenza comunitarie nei casi in cui si trova in una posizione idonea per intervenire, concentrando le sue risorse sulle infrazioni più gravi; — trattazione dei casi in relazione ai quali è opportuno che la Commissione intervenga per definire la politica di concorrenza comunitaria e/o garantire un'applicazione coerente degli articoli 81 o 82", (Comunicazione sulle denunce, § 11 - corsivo aggiunto).

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

285

comunitaria. Esso prevede esclusivamente l'obbligo per le Autorità nazionali e per le giurisdizioni nazionali di applicare gli art. 81 e 82 CE per i casi di rilevanza comunitaria, eventualmente insieme al diritto antitrust degli Stati membri (art. 3(1) reg. 1/03).

In terzo luogo il reg. 1/03, al fine di controllare l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE da parte delle Autorità e delle giurisdizioni nazionali secondo la politica della concorrenza definita dalla Commissione — ma anche al fine di cooperare per l'applicazione del diritto antitrust CE —, prevede — così come già la proposta del 2000 — l'istituzione di appositi procedimenti (v. infra § 124 ss. e § 167 ss.). Tali procedimenti, sebbene riferiti al controllo dell'applicazione degli art. 81 e 82 TCE, permettono incidentalmente di accertare se l'eventuale applicazione parallela del diritto antitrust degli Stati membri pervenga a conclusioni in violazione del diritto antitrust CE (rectius in violazione del principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE, v. supra § 39, e dell'art. 3(2) reg. 1/03, v. supra § 45). Quest'ultimo problema non era presente nella proposta di regolamento in conseguenza della competenza esclusiva del diritto antitrust CE (v. art. 3. proposta di regolamento del 2000).

In quarto luogo, il reg. 1/03, sul presupposto della necessità di creare delle "condizioni eque per gli accordi, per le decisioni di associazioni di imprese e per le pratiche concordate nel mercato interno" (considerando 8 reg. 1/03), ha introdotto un "nuovo" elemento della strategia di decentramento; cioè la competenza esclusiva di fatto del diritto antitrust CE con riferimento alle intese rientranti nel campo di applicazione dell'art. 81 TCE (art. 3(2) reg. 1/03). Ai sensi di questa norma, l'applicazione del divieto di intese anticoncorrenziali disciplinato dal diritto statale deve pervenire alle medesime conclusioni a cui si perverrebbe applicando l'art. 81 TCE. In questo modo, con la finalità di limitare l'applicazione divergente del diritto antitrust nazionale rispetto al diritto antitrust CE per la tutela del mercato interno (rectius con la finalità di agevolare "le attività commerciali in Europa", come sostenuto dalla Commissione nella XXXII Relazione sulla politica di concorrenza, § 17.4), l'art. 3(2) reg. 1/03 ha definito una deroga al principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE riguardo alle intese rientranti nel campo di applicazione dell'art. 81 TCE (v. sull'illegittimità dell'art. 3(2) reg. 1/03 supra § 45). A ben vedere l'art.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

286

3(2) reg. 1/03 presenta uno scopo simile ad una delle funzioni dell'art. 3 della proposta di regolamento del 2000. Cioè quello di ridurre (e non più eliminare, in quanto la norma si applica solo all'art. 81 TCE) i "costi" per le imprese per "adattarsi" a più normative antitrust, cioè al diritto antitrust della CE e degli Stati membri. Deve essere sottolineato che l'art. 12(2) ultima parte reg. 1/03, inoltre, crea un legittimo incentivo per le Autorità nazionali perché esse pervengano, anche applicando il divieto di abuso di posizione dominante disciplinato dal diritto statale, alle medesime conclusioni a cui si perverrebbe applicando l'art. 82 TCE. Con queste due norme (artt. 3(2) e 12(2) ultima parte reg. 1/03), il reg. 1/03 ri-crea di fatto la competenza esclusiva antitrust CE disciplinata dall'art. 3 della proposta di regolamento del 2000.

Riassumendo, la "politica di decentramento del diritto antitrust" definita nel reg. 1/03 presenta quattro criteri organizzativi i quali non

riguardano semplicemente, come supra sottolineato, la mera applicazione

degli artt. 81 e 82 TCE da parte degli organi degli Stati membri. Tali criteri sono: a) la disciplina relativa alla riduzione dell'attività repressiva diretta della Commissione e la conseguente concentrazione di essa sui casi più importanti; b) l'obbligo per le Autorità e le giurisdizioni nazionali di applicare gli artt. 81 e 82 TCE per i casi di rilevanza comunitaria; c) i procedimenti di cooperazione e controllo relativi alle Autorità e alle giurisdizioni nazionali; d) il rapporto tra diritto antitrust CE e normative antitrust degli Stati membri 587.

Questi quattro elementi — che in seguito non saranno presi in considerazione secondo l'ordine qui indicato — costituiscono i criteri organizzativi della politica di decentramento del diritto antitrust CE del reg. 1/03; come tali essi rappresentano dei punti di riferimento per comprendere ed interpretare il nuovo regolamento di applicazione degli artt. 81 e 82 TCE.

Gli obiettivi del regolamento — e la loro complessità — hanno determinato la maggiore lunghezza del reg. 1/03 rispetto al reg. 17/62. Il reg. 1/03 disciplina infatti 38 "considerando" e 45 articoli. Il reg. 17/62, diversamente, prevedeva "solo" 12 "considerando" e 24 articoli. Il reg.

587 Con riferimento ad una valutazione complessiva di tali aspetti, rinviamo al nostro LORENZO FEDERICO PACE, La politica di decentramento del diritto antitrust CE come principio

organizzatore del regolamento 1/03: luci ed ombre del nuovo regolamento di applicazione degli

articoli 81 e 82 CE, in Rivista italiana di Diritto pubblico comunitario, 2004, p. 147.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

287

1/03 mantiene, però, l'ordine delle materie trattate del reg. 17/62 dividendole — al contrario del precedente regolamento — in undici distinti capitoli (I. principi; II. competenze; III. decisioni della Commissione; IV. cooperazione; V. poteri di indagine; VI. sanzioni; VII. prescrizione; VIII. audizioni e segreto d'ufficio; IX. regolamenti di esenzione; X. disposizioni generali; XI. disposizioni transitorie di modifica e finali). Tale suddivisione non era stata ritenuta necessaria nel reg. 17/62.

88. Il sistema di tutela antitrust disciplinato dal reg. 1/03 in prospettiva

storica: il controllo dei cartelli in Europa negli anni '30 del XX secolo e

la tutela antitrust all'inizio del XXI secolo.

Definita l'evoluzione della "politica di decentramento" del diritto

antitrust CE e osservato come tale politica sia stata disciplinata nel reg. 1/03, è utile considerare in prospettiva storica le difficoltà che i redattori del reg. 1/03 all'inizio del XXI secolo hanno incontrato nel creare un sistema di tutela della concorrenza in cui partecipino più Stati. In particolare, l'importanza del risultato raggiunto appare più chiara se si paragona l'obiettivo raggiunto con il reg. 1/03 ai tentativi — sebbene in un periodo storico sostanzialmente differente — della Conferenza internazionale nel 1930 finalizzati alla creazione di un sistema tra più Stati di controllo dei cartelli industriali.

Infatti, paradossalmente, i redattori del reg. 1/03 hanno dovuto risolvere problemi simili a quelli che si erano posti negli anni '30 dello scorso secolo riguardo alla costituzione di una Comunità fondata sui cartelli economici (v. supra § 7 ss.). E cioè, il reg. 1/03 doveva permettere che organi di strutture statali — le Autorità e le giurisdizioni nazionali — predisponessero una forma di controllo su comportamenti di imprese i cui effetti superassero notevolmente l'estensione del territorio su cui lo Stato esercitava la propria sovranità (rectius il proprio potere coercitivo diretto). In particolare, il regolamento doveva essere tale da permettere che la tutela prevista fosse efficace ed immediata; occorreva, in altre parole, trovare delle modalità per superare i "tempi morti"

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

288

conseguenti ai controlli connessi a procedimenti internazionali di collaborazione tra Stati 588.

Nella prima parte del secolo scorso il controllo del "mercato" non aveva trovato soluzione proprio per la difficoltà di creare un sistema a "Rete" tra differenti Stati. Nelle discussioni degli anni '30 relative al controllo dei cartelli a livello europeo si sosteneva che "il controllo [dei cartelli avrebbe dovuto] essere internazionale secondo alcuni; secondo altri, data la limitatezza delle intese, [avrebbe dovuto] richiedere che ogni paese prendesse delle misure di sicurezza nei riguardi dei cartelli. Questo nella pratica [accadeva], ché non vi [era] intesa privata che [potesse] estraniarsi dallo Stato in cui [viveva]. Ma difficile sarebbe

organizzare concordemente il controllo da parte di tutti i paesi in uno sforzo

compatto di razionalizzazione" (corsivo aggiunto) 589. Di fatto, la soluzione al problema fu trovata … con il riconoscimento dell'incapacità dello Stato nazionale di affrontare il problema. Infatti, tale era l'estensione dell'attività del "capitale" oltre il territorio del singolo Stato — sia tramite singole imprese che tramite accordi tra di esse — che ogni Stato (rectius la stessa forma "Stato") dovette "ammettere la propria incapacità" di disciplinare autonomamente tale fenomeno. A tal fine, la forma Stato in Europa aveva dovuto cedere parte della propria sovranità ad organizzazioni (la CECA, la CEE) affinchè esse regolassero questi aspetti. Nella metà del XX secolo, in altre parole, lo Stato aveva dimostrato la propria incapacità di "far rispettare il suo comando" sul "mercato " e come tale aveva dimostrato la sua "crisi" come ordinamento capace di disciplinare efficacemente tutte le fattispecie presenti sul proprio territorio; infatti: "lo Stato esiste

588 Tale attività — cioè il controllo efficace nei confronti di fattispecie antitrust "inter-

statali" — sarebbe stata molto complessa se svolta esclusivamente ai sensi delle normative dei singoli Stati membri: sarebbe stato infatti sostanzialmente impossibile per i funzionari delle singole Autorità nazionali svolgere ispezioni a sorpresa nelle imprese (o nelle sedi decentrate di imprese) in altri Stati membri al fine di ottenere prove delle violazioni antitrust. Le Autorità nazionali — anche in presenza della cooperazione degli altri Stati europei — non avrebbero potuto disporre con rapidità di informazioni relative al caso oggetto del procedimento al di fuori del territorio dello Stato di appartenenza. Anzi, le attività richieste dalle Autorità nazionali per le "vie internazionali" sarebbero potute essere ritardate dagli Stati stessi nell'interesse di questi ultimi di non mettere in difficoltà imprese operanti nel proprio territorio.

589 LYDIA DE NOVELLIS, L'unificazione, cit. a nota 17, 151.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

289

in quanto comanda e vale in quanto ha la forza di far rispettare il suo comando" 590.

Per i redattori della riforma del reg. 1/03 i problemi posti, pur nella loro complessità, sono stati risolti in modo più "facile". La differenza rispetto agli anni '30 del XX secolo è, appunto, l'esistenza dell'ordinamento CE, cioè di un ordinamento giuridico sovranazionale le cui norme hanno effetto simultaneamente nei territori degli Stati appartenenti all'organizzazione; norme che sono interpretate in modo omogeneo grazie ad un organo giurisdizionale centralizzato. In altre parole, il reg. 1/03, per risolvere il problema del controllo antitrust, ha utilizzato a pieno la "novità" costituita … dall'ordinamento CE.

Il reg. 1/03 ha istituito, infatti, la cd. Rete di Autorità antitrust, cioè un sistema "chiuso" di organi appartenenti a differenti Stati (sebbene appartenenti alla CE) che applicano tutti (rectius sono tutti obbligati ad applicare) il diritto antitrust CE; il cui funzionamento "interorganico" è disciplinato dal diritto CE e la finalità del sistema è la tutela della concorrenza interstatale (rectius comunitaria). Attraverso tale "Rete" — Rete costituita unicamente per applicare il diritto antitrust CE, salvo l'eccezione di cui all'art. 12(2) reg. 1/03 — le singole Autorità possono avere informazioni e documenti "in tempo reale" da zone non sottoposte alla sovranità dello Stato membro di cui l'Autorità antitrust procedente è parte. In questo modo sono superati i supra richiamati "tempi morti" dei controlli connessi a procedimenti di collaborazione tra Stati.

La forma di controllo antitrust disciplinata dal reg. 1/03 su un territorio così ampio come quello della CE non sarebbe potuta sussistere senza la presenza di un ordinamento come la CE; un territorio che comprende 25 Stati membri e che si estende dal Mar baltico al Mar mediterraneo e, con il previsto accesso della Repubblica di Romania nel 2007, dall'Oceano atlantico al Mar nero.

590 VITTORIO EMANUELE ORLANDO, Sul concetto di Stato, cit. a nota 190, 219.

SEZIONE II

IL SISTEMA ANTITRUST AMMINISTRATIVO EUROPEO

SOTTOSEZIONE I

LA COMMISSIONE

SOMMARIO: — I. — La competenza. — 89. A) La competenza antitrust della Commissione. — 90. B) L'esercizio della competenza della Commissione: B.i) la riduzione dell'attività repressiva diretta: B.i.a) L'assenza di un obbligo della Commissione di pervenire a decisioni di merito a seguito di denunce. La decisione di archiviazione. — 91. (segue) Il potere di archiviazione delle denunce ex art. 13 reg. 1/03. — 92. B.i.b) Le decisioni della Commissione finalizzate a non pervenire ad una conclusione di merito: B.i.b.1) La decisione relativa agli impegni delle imprese (art. 9 reg. 1/03). Le caratteristiche della decisione relativa agli impegni. La novità rispetto alla filosofia antitrust del reg. 17/62. — 93. (segue) La trasparenza del procedimento di negoziazione tra l'impresa che propone gli impegni e la Commissione. L'esperienza statunitense dei consent decree e del Tunney Act. — 94. (segue) La "vacillante" legittimità degli artt. 5 e 9 reg. 1/03. — 95. (segue) L'effetto della decisione relativa agli "impegni" emanata dalla Commissione e dalle Autorità nazionali sulla competenza antitrust europea e statale. — 96. (segue) Le conseguenze sui singoli delle decisioni relative agli "impegni". — 97. B.i.b.2) La constatazione di inapplicabilità (art. 10 reg. 1/03). — 98.B.ii) Le lettere di orientamento. Le lettere di orientamento quali provvedimenti finalizzati alla riduzione dell'incertezza dell'applicazione del diritto antitrust europeo. — 99. (segue) La non vincolatività delle lettere di orientamento e il loro effetto sulla discrezionalità della Commissione. La tutela giurisdizionale delle lettere di orientamento. — 100. (segue) Il paragone tra lettere di orientamento, decisioni di "constatazione di inapplicabilità" (art. 10 reg. 1/03), lettere amministrative (cd. comfort letter) e provvedimenti di attestazione negativa (art. 2 reg. 17/62). — II. — Le sanzioni. — 101. Le ammende (art. 23 reg. 1/03) e le penalità di mora (art. 24 reg. 1/03). Il significato paradigmatico, rispetto alla "politica di decentramento antitrust" del reg. 1/03, della prescrizione del potere della Commissione in materia di imposizione e di esecuzione delle sanzioni (art. 25(3) reg. 1/03). Il principio della durata ragionevole dei procedimenti.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

291

I. La competenza

89. A) La competenza antitrust delle Commissione.

Il reg. 1/03, dopo aver disciplinato nel primo capitolo I (artt. 1 - 3

reg. 1/03) i "principi" del regolamento, attribuisce nel capitolo II (artt. 4 — 6 reg. 1/03) le "competenze" agli organi che applicano gli artt. 81 e 82 TCE. In particolare, l'art. 4 reg. 1/03 disciplina le competenze di cui la Commissione è titolare 591. Sebbene la competenza generale della Commissione sia già prevista dall'art. 85 TCE, l'art. 4 reg. 1/03 è necessario in quanto, nel momento in cui si definisce ai sensi dell'art. 83 TCE un nuovo sistema di tutela antitrust che sostituisca quello di cui agli artt. 84 e 85 TCE, è necessario specificare gli organi del nuovo sistema e quali siano le competenze loro attribuite.

I poteri riconosciuti alla Commissione ex reg. 1/03 sono sostanzialmente coincidenti con quelli previsti dal reg. 17/62. Il reg. 1/03 introduce però tre novità: in primo luogo, il potere della Commissione di imporre "modifiche strutturali" alle imprese che abbiano violato gli artt. 81 e 82 TCE (art. 7(1) reg. 1/03) 592; in secondo luogo, i poteri istruttori della Commissione e, in particolare, la possibilità di compiere accertamenti in luoghi prima esclusi alla Commissione stessa (art. 21 reg. 1/03); in terzo luogo, il generale potere della Commissione di revocare le esenzioni ex art. 81(3) TCE riconosciute da regolamenti CE (art. 29 reg. 1/03) 593.

591 L'art. 4 reg. 1/03 recita infatti: "Ai fini dell'applicazione degli art. 81 e 82 del

Trattato, alla Commissione sono attribuite le competenze previste dal presente regolamento".

592 Tale potere era infatti escluso dalle competenze della Commissione. Come riconosciuto dal Tribunale di primo grado, le "infrazioni di tal genere possono essere infatti eliminate anche mediante l'abbandono o una modificazione del sistema di distribuzione. Pertanto, alla Commissione compete certamente il potere di accertare l'infrazione e di ordinare alle parti interessate di porvi fine, ma non di imporre alle parti la propria scelta in

ordine alle varie possibilità di condotta tutte conformi al Trattato" (Sentenza del Tribunale di primo grado del 18 settembre 1992, Automec, cit. nota 202, § 52), elemento questo (cioè l'imposizione di un facere, e in particolare la modifica non solo del comportamento ma della struttura della impresa stessa) che caratterizza, tra l'altro, il potere di imporre modifiche strutturali alle imprese.

593 L'art. 29 reg. 1/03 prevede che "quando la Commissione, autorizzata da un regolamento del Consiglio (…) ad applicare l'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato, abbia

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

292

Il reg. 1/03 — così come il reg. 17/62 — disciplina le decisioni che la Commissione può emanare (artt. 7, 8, 9, 10, 29 reg. 1/03) e la relativa modalità di pubblicazione (art. 30 reg. 1/03) 594. L'eliminazione della notifica preventiva delle intese, regolata dal reg. 17/62, determina un rilevante effetto sulle decisioni disciplinate nel reg. 1/03. Infatti, mentre sei delle otto decisioni della Commissione disciplinate dal reg. 17/62 erano finalizzate (direttamente o indirettamente) all'applicazione del sistema di notifica (e quindi si riferivano esclusivamente all'art. 81 TCE), solo due decisioni erano dirette all'applicazione sia dell'art. 81 TCE che dell'art. 82 TCE.

Diversamente, ai sensi del reg. 1/03, solo una delle cinque decisioni che la Commissione può emanare è diretta esclusivamente all'applicazione dell'art. 81 TCE: cioè la decisione di revoca dell'esenzione per categoria (art. 29 reg. 1/03, per altro disciplinata nel capitolo IX — Regolamenti d'esenzione — e non nel capitolo II — Competenze —). I quattro rimanenti tipi di decisioni sono riferiti sia all'applicazione dell'art. 81 che dell'art. 82 TCE, e cioè: decisioni di constatazione ed eliminazione delle infrazioni (art. 7 reg. 1/03); misure cautelari (art. 8 reg. 1/03 595); impegni (art. 9 reg. 1/03); constatazione di inapplicabilità (art. 10 reg. 1/03). Ad esse si deve aggiungere un quinto tipo di decisione non espressamente disciplinata dal regolamento — cioè la "decisione di archiviazione della denuncia" o di "rigetto" —,

dichiarato mediante regolamento che l'articolo 81, paragrafo 1, del Trattato è inapplicabile a determinate categorie di accordi, decisioni di associazioni di imprese e pratiche concordate, essa può, agendo d'ufficio o in seguito a denuncia, revocare il beneficio di tale regolamento d'esenzione qualora constati che in uno specifico caso un accordo, una decisione o una pratica concordata cui si applica il regolamento di esenzione ha effetti incompatibili con l'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato". Il reg. 17/62 prevedeva la revoca dell'esenzione in conseguenza dell'"abuso" della stessa; v. supra nota 497.

594 Il reg. 1/03 disciplina anche la pubblicazione delle decisioni della Commissione. L'art. 30(1) reg. 1/03 recita: "La Commissione pubblica le decisioni adottate in applicazione degli articoli da 7 a 10 e degli articoli 23 e 24". L'art. 30(2) reg. 1/03 prescrive: "La pubblicazione indica le parti interessate e il contenuto essenziale della decisione, comprese le sanzioni irrogate. Essa tiene conto del legittimo interesse delle imprese alla protezione dei propri segreti aziendali".

595 L'art. 8(1) reg. 1/03 prescrive: "Nei casi di urgenza dovuta al rischio di un danno grave e irreparabile per la concorrenza la Commissione può, d'ufficio, ove constati prima

facie la sussistenza di un'infrazione, adottare mediante decisione misure cautelari". L'art. 8(2) reg. 1/03 recita: "Le decisioni adottate ai sensi del paragrafo 1 sono

applicabili per un determinato periodo di tempo e possono, se necessario ed opportuno, essere rinnovate".

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

293

decisione di particolare importanza nell'economia del nuovo regolamento 596.

A ben vedere, tutti i cinque tipi di decisione erano già stati previsti dal reg. 17/62 o dalla giurisprudenza CE. Infatti, la decisione di constatazione ed eliminazione delle infrazioni (art. 7 reg. 1/03) e la decisione di constatazione di inapplicabilità (art. 10 reg. 1/03) sono rinvenibili in qualche forma già nel reg. 17/62. Inoltre, sebbene le misure cautelari (art. 8 reg. 1/03), gli impegni (art. 9 reg. 1/03) e la revoca dell'esenzione dei regolamenti per categoria (art. 10 reg. 1/03) sono decisioni disciplinate per la prima volta in un regolamento ex art. 83 TCE, esse erano già state direttamente o indirettamente "abbozzate" dalla prassi o dalla giurisprudenza comunitaria precedente. Infatti, la competenza della Commissione ad emanare misure cautelari era stata riconosciuta dalla giurisprudenza comunitaria nel caso "Camera care" 597. Gli impegni ex art. 9 reg. 1/03 costituiscono una evoluzione dell'art. 3(3) reg. 17/62 "interpolata" dalla giurisprudenza comunitaria relativa all'"interesse comunitario". Il potere della Commissione di rendere vincolanti gli impegni offerti dalle imprese era già stato previsto dal Regolamento CE sul controllo delle concentrazioni agli artt. 6(2) e 8(2) reg. 4064/89 (ora artt. 6(2) e 8(2) reg. 139/04). Infine, la revoca

dell'esenzione dei regolamenti (art. 29 reg. 1/03) era già stata prevista dall'art. 8(3) lett. d reg. 17/62 — relativo all'abuso dell'esenzione — e — in via generale — dal reg. 2790/99 sugli accordi verticali 598.

596 Le decisioni emanate dalla Commissione e disciplinate dal reg. 1/03 possono essere

anche organizzate secondo la loro funzione, e cioè: 1. decisioni tipiche dei procedimenti istruttori (constatazione ed eliminazione delle infrazioni, art. 7 reg. 1/03; misure cautelari, art. 8 reg. 1/03); 2. decisioni collegate direttamente o indirettamente alla rapida soluzione dei procedimenti (archiviazione delle denunce, artt. 11(1) reg. 1/03 e 11(2) reg. 1/03; decisioni sugli impegni, art. 9 reg. 1/03; constatazione di inapplicabilità, art. 10 reg. 1/03; sospensione o chiusura del procedimento; art. 13 reg. 1/03); 3. decisioni collegate alla competenza relativa alla eliminazione delle autorizzazioni ex art. 81(3) TCE disciplinate da regolamenti CE (revoca dell'esenzione prevista da un regolamento di esenzione, art. 29 reg. 1/03).

597 Riguardo al potere della Commissione di emettere provvedimenti provvisori ai sensi del principio della buona amministrazione della giustizia, v. Ordinanza del Presidente della Corte del 6 Settembre 1982, Ford Werke AG contro Commissione delle Comunità europee, causa 229/82 R, Raccolta della giurisprudenza, 1982, p. 2849, § 7.

598 Regolamento n. 2790/1999 della Commissione, del 22 dicembre 1999, relativo all'applicazione dell'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato CE a categorie di accordi verticali e pratiche concordate, GUCE 21 L 336.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

294

In conclusione, le decisioni emanate dalla Commissione pur non costituendo il principale aspetto caratterizzante la novità della riforma del reg. 1/03, partecipano (e in particolare con riferimento alla decisione relativa agli impegni delle imprese, art. 9 reg. 1/03, e alla decisione relativa alla constatazione di inapplicabilità, art. 10 reg. 1/03) al disegno complessivo della politica di decentramento antitrust del reg. 1/03.

90. B) L'esercizio della competenza della Commissione: B.i) la riduzione

dell'attività repressiva diretta: B.i.a) l'assenza di un obbligo della

Commissione di pervenire a decisioni di merito a seguito di denunce. La

decisione di archiviazione.

Relativamente all'esercizio della competenza antitrust, il reg. 1/03

prevede due modalità con cui limitare l'attività repressiva diretta della Commissione. In primo luogo, tramite la facoltà di non pervenire ad una decisione di merito per ogni denuncia ricevuta; e cioè sia archiviando le

denunce relative a fattispecie non di interesse comunitario — come già riconosciuto dalla giurisprudenza comunitaria 599 —, sia archiviando — e queste sono le novità del reg. 1/03 — le denunce relative a fattispecie

"all'esame" di Autorità nazionali (art. 13(1) reg. 1/03) o che siano già state

da esse "trattate" (art. 13(2) reg. 1/03). In secondo luogo, il reg. 1/03 prevede

delle specifiche decisioni al fine della riduzione dell'attività repressiva diretta della Commissione e, in particolare, la decisione sugli impegni

599 La Comunicazione sulla Rete definisce l'ipotesi in cui sia presente l'interesse

comunitario; e cioè la Commissione "è in una posizione particolarmente idonea per trattare i casi che presentano una stretta relazione con altre disposizioni comunitarie per la cui

applicazione la Commissione ha competenza esclusiva o che possono essere meglio applicate dalla Commissione, come pure i casi nei quali la tutela dell'interesse comunitario richiede l'adozione di

una decisione della Commissione per adeguare la politica di concorrenza comunitaria a problemi di concorrenza nuovi o per assicurare il rispetto effettivo delle regole di concorrenza" (ibidem, § 15).

Lo stesso paragrafo della Proposta di Comunicazione prevedeva diversamente: "Deve ritenersi che la Commissione sia in una posizione particolarmente idonea per trattare i casi per i quali la tutela dell'interesse comunitario richieda l'adozione di decisioni a livello comunitario per sviluppare la politica di concorrenza o per assicurare il controllo efficace sul rispetto delle regole di concorrenza, ovvero quando un caso è in stretta relazione con altre disposizioni comunitarie che possono essere applicate meglio dalla Commissione o per la cui applicazione la Commissione ha la competenza esclusiva", (Proposta di Comunicazione sulla Rete, § 15).

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

295

delle imprese (art. 9 reg. 1/03) 600 e la constatazione di inapplicabilità (art. 10 reg. 1/03).

Riguardo alla prima modalità con cui il reg. 1/03 riduce l'attività repressiva della Commissione (cioè il potere di non pervenire a decisioni di merito per ogni denuncia ad essa presentata) due sono le ipotesi in cui la Commissione può archiviare le denunce; cioè le ipotesi previste dall'art. 7 reg. 1/03 e dall'art. 13 reg. 1/03.

L'art. 7 reg. 1/03 601 disciplina il generale potere della Commissione di archiviare le denunce ad essa presentate. Esso — così come l'art. 3(2) reg. 17/62 — prevede che "se la Commissione constata" un'infrazione all'art. 81 o all'art. 82 del Trattato, essa "può obbligare, mediante decisione, le imprese e associazioni di imprese interessate a porre fine all'infrazione constatata" (corsivo aggiunto). La mera eventualità della decisione repressiva della Commissione ("se la Commissione constata (…) può obbligare") attribuisce all'Autorità CE — già secondo la

600 L'art. 9(1) reg. 1/03 prescrive che l'Autorità CE, "qualora intenda adottare una

decisione volta a far cessare un'infrazione e le imprese interessate propongano degli impegni tali da rispondere alle preoccupazioni espresse loro dalla Commissione nella sua valutazione preliminare, [essa] può, mediante decisione, rendere detti impegni obbligatori per le imprese. La decisione può essere adottata per un periodo di tempo determinato e giunge alla conclusione secondo cui l'intervento della Commissione non è più giustificato".

L'art. 9(2) reg. 1/03 recita: "La Commissione, su domanda o d'ufficio, può riaprire il procedimento: a) se si modifica la situazione di fatto rispetto a un elemento su cui si fonda la decisione; b) se le imprese interessate contravvengono agli impegni assunti; oppure c) se la decisione si basa su informazioni trasmesse dalle parti che sono incomplete, inesatte o fuorvianti".

601 L'art. 7(1) reg. 1/03 recita infatti: "Se la Commissione constata, in seguito a denuncia o d'ufficio, un'infrazione all'articolo 81 o all'articolo 82 del Trattato, può obbligare, mediante decisione, le imprese e associazioni di imprese interessate a porre fine all'infrazione constatata. A tal fine può imporre loro l'adozione di tutti i rimedi comportamentali o strutturali, proporzionati all'infrazione commessa e necessari a far cessare effettivamente l'infrazione stessa. I rimedi strutturali possono essere imposti solo quando non esiste un rimedio comportamentale parimenti efficace o quando un rimedio comportamentale parimenti efficace risulterebbe più oneroso, per l'impresa interessata, del rimedio strutturale. Qualora la Commissione abbia un legittimo interesse in tal senso, essa può inoltre procedere alla constatazione di un'infrazione già cessata".

L'art. 7(2) reg. 1/03 attribuisce la facoltà di presentare "denuncia" alle "persone fisiche o giuridiche che abbiano legittimo interesse e [a]gli Stati membri"; e non più come disciplinato dall'art. 3 reg. 1762: "Sono autorizzati a presentare domanda a tal fine: a. gli Stati membri, b. le persone fisiche o giuridiche e le associazioni sprovviste di personalità giuridica che sostengano di avervi interesse"; o — come ai sensi dell'art. 85 TCE — : "[la Commissione] istruisce, a richiesta di uno Stato membro o d'ufficio (…) i casi di presunta infrazione ai principi suddetti".

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

296

giurisprudenza comunitaria degli anni '90 602 — una semplice facoltà — e non un obbligo — di emanare una decisione di merito per la singola fattispecie (sempre però nei limiti in cui la fattispecie non sia di interesse comunitario). In altre parole, l'art. 7 reg. 1/03 "contiene in sé" il potere della Commissione di emanare la decisione di "rigetto". Tale tipo di decisione, non formalizzata dal reg. 1/03, rappresenta — come già indicato — una decisione definitiva e vincolante per i singoli — a differenza dalle cd. lettere amministrative (cd. comfort letter) previste in vigenza del reg. 17/62 — ed è quindi impugnabile davanti ai giudici comunitari. La Commissione nell'emanare tale provvedimento, a differenza delle decisioni ex art. 13 reg. 1/03, deve motivare — secondo i criteri stabiliti dalla giurisprudenza CE relativa al cd. "interesse comunitario" — le ragioni che determinano l'archiviazione della denuncia.

91. (segue) Il potere di archiviazione delle denunce ex art. 13 reg. 1/03.

Anche l'art. 13 reg. 1/03 — oltre all'art. 7 reg. 1/03 — attribuisce

alla Commissione la facoltà di non giungere a decisioni di merito per ogni denuncia ad essa presentata. Questa norma permette all'Autorità CE di archiviare denunce in due ipotesi: nel caso in cui la fattispecie denunciata sia già all'esame di un'Autorità nazionale (art. 13(1) reg. 1/03) 603, oppure nel caso in cui la fattispecie sia "già trattata dalle Autorità nazionali" ai sensi degli artt. 81 e 82 TCE (art. 13(2) reg. 1/03) 604.

602 Giurisprudenza iniziata con la sentenza Automec, Sentenza del Tribunale di primo

grado del 18 settembre 1992, Automec Srl contro Commissione delle Comunità europee, causa T-24/90, Raccolta della giurisprudenza, 1992, p. II - 2223.

603 L'art. 13(1) reg. 1/03 prescrive: "Quando le Autorità garanti della concorrenza di due o più Stati membri hanno ricevuto una denuncia o agiscono d'ufficio ai sensi dell'articolo 81 o dell'articolo 82 del Trattato riguardo al medesimo accordo, alla medesima decisione di un'associazione o alla medesima pratica, il fatto che un'Autorità garante della concorrenza stia esaminando il caso costituisce, per le altre Autorità, un motivo sufficiente per sospendere il procedimento o per respingere la denuncia".

In particolare, l'art. 13(1) ultima parte reg. 1/03 prescrive: "La Commissione può analogamente respingere la denuncia qualora questa sia all'esame delle Autorità nazionali degli Stati membri".

604 L'art. 13(2) reg. 1/03 prescrive: "Qualora un'Autorità garante della concorrenza di uno Stato membro o la Commissione abbiano ricevuto una denuncia contro un accordo, una decisione di un'associazione o una pratica già trattata da un'altra Autorità garante della

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

297

La decisione richiamata dagli artt. 13(1) e 13(2) reg. 1/03 con cui la Commissione "respinge" una denuncia non coincide con la decisione di "rigetto" o "archiviazione" come elaborata dalla giurisprudenza CE riguardo all'interesse comunitario. Questo perché, ai sensi degli artt. 13(1) reg. 1/03 e 13(2) reg. 1/03, la Commissione non è obbligata a motivare approfonditamente la causa dell'archiviazione — così come differentemente è per le decisioni di "archiviazione" per carenza di interesse comunitario — ma può semplicemente rinviare al potere attribuitole dall'art. 13 reg. 1/03.

Il rigetto previsto dall'art. 13 reg. 1/03 ha una differente finalità se esso è compiuto dalla Commissione o dalle Autorità nazionali. Infatti, il rigetto compiuto dalla Commissione è giustificato dalla carenza di interesse

comunitario della denuncia. Così facendo la Commissione mantiene però il potere di controllo diretto (ex art. 11(3) reg. 1/03 ss.) e vincolante (attraverso il potere di avocazione, art. 11(6) reg. 1/03) della eventuale decisione dell'Autorità nazionale.

Al contrario l'Autorità nazionale respinge la denuncia ex art. 13 reg.

1/03 non perché il caso antitrust non sia di interesse comunitario, ma perché la fattispecie può essere meglio valutata da un'altra Autorità (rectius un'altra Autorità si trova nella situazione migliore per valutare il caso) e

perché la fattispecie non ricopre per il primo organo un particolare interesse. In questa seconda ipotesi — a differenza della Commissione — l'Autorità nazionale mantiene solamente un potere di controllo indiretto

concorrenza, tale denuncia può essere respinta". Tale eventualità costituisce il "procedimento" opposto a quanto previsto dall'art. 11(6) reg. 1/03; ai sensi di questa seconda norma, la Commissione al posto di archiviare la denuncia, avoca il caso oggetto di valutazione da parte di un'Autorità nazionale.

Le Autorità nazionali potranno però — nel caso in cui abbiano già iniziato un procedimento parallelo ai sensi del diritto antitrust dello Stato membro — continuare tale procedimento. Alternativamente, esse potranno aprire un procedimento nei confronti della stessa fattispecie ai sensi del diritto antitrust statale nei limiti dei relativi poteri di prescrizione e decadenza previsti dai singoli Stati membri (e sempre che la normativa antitrust nazionale possa essere applicata anche a fattispecie di rilevanza comunitaria, come escluso per il caso della legge antitrust italiana ex art. 1(1) l. n. 287/90).

In questo secondo caso, il concetto di fattispecie "già trattata dalle Autorità nazionali" (art. 13(2) reg. 1/03) si riferisce sia a casi in cui l'Autorità nazionale sia già pervenuta ad una decisione di merito (ad es. decisioni di divieto o di non violazione), sia ai casi previsti dall'art. 5 ultima parte reg. 1/03 (decisione di archiviazione per insufficienza di prova).

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

298

sulla valutazione della fattispecie antitrust compiuta dall'Autorità a vantaggio della quale è stata respinta la denuncia (art. 14(7) reg. 1/03) 605.

Inoltre, l'art. 13 reg. 1/03 non disciplina le conseguenze per la Commissione o per le Autorità nazionali nel caso in cui una giurisdizione nazionale — e non un'Autorità nazionale — abbia già trattato o stia trattando un caso di rilevanza comunitaria 606. Questo è conseguenza del fatto che, con riferimento ai rapporti verticali "Commissione - giurisdizioni nazionali", non esiste, come nel caso dei rapporti "Commissione - Autorità nazionali", un "passaggio di competenza antitrust CE" tra Commissione e giurisdizioni nazionali. Questo in quanto le giurisdizioni nazionali devono essere sempre competenti ad applicare gli artt. 81(1) e 82 TCE al fine di tutelare i diritti in essi riconosciuti 607. Per tale motivo non è applicabile ai giudici nazionali, in quanto non appartenenti al sistema amministrativo antitrust CE, il principio di "stretta collaborazione nell'applicazione" del diritto antitrust europeo (art. 11(1) reg. 1/03 - v. infra § 125).

92. B.i.b) Le decisioni della Commissione finalizzate a non pervenire ad

una conclusione di merito: B.i.b.1) La decisione relativa agli impegni

delle imprese (art. 9 reg. 1/03). Le caratteristiche della decisione relativa

agli impegni. La novità rispetto alla filosofia antitrust del reg. 17/62.

La seconda modalità con cui il reg. 1/03 riduce l'attività repressiva

della Commissione — oltre ai poteri dell'Autorità CE di non pervenire

605 L'Autorità che ha respinto la denuncia può infatti chiedere l'intervento del

Comitato consultivo perché quest'ultimo valuti del caso ex art. 14(7) reg. 1/03, v. infra. Deve essere tenuto presente, però, che l'Autorità può — a differenza della Commissione — non solo respingere la denuncia ma — potendo esercitare parallelamente ad altre Autorità il diritto antitrust CE — può anche continuare ad esercitare la propria competenza parallelamente ad altre Autorità nazionali e successivamente sospendere (eventualmente) tale procedimento.

606 Dal momento che la norma prevede la facoltà della Commissione di "respingere" le denunce solo con riferimento alle Autorità nazionali, il fatto che una fattispecie sia oggetto di una causa dinanzi ad una giurisdizione nazionale non determina la facoltà per la Commissione — o per le Autorità nazionali — di prevedere le conseguenze di cui all'art. 13 reg. 1/03 (cioè respingere la denuncia); bisogna però ricordare che la giurisprudenza CE valuta il fatto che una giudice sia stato adito su di un presunto caso anticoncorrenziale come un elemento di valutazione per decidere se archiviare la denuncia relativa alla medesima fattispecie.

607 Sentenza della Corte del 30 gennaio 1974, Sabam - Fonior, cit. a nota 288.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

299

ad una decisione di merito, v. supra § 90 — consiste nella definizione di specifiche decisioni che permettano ciò, e cioè: la decisione relativa agli impegni delle imprese (art. 9 reg. 1/03); la decisione relativa alla constatazione di inapplicabilità (art. 10 reg. 1/03).

Con riferimento alla decisione di cui all'art. 9 reg. 1/03 608, le imprese — nei confronti delle quali la Commissione abbia iniziato un procedimento istruttorio — hanno la facoltà di proporre all'Autorità CE "degli impegni" relativi ai comportamenti oggetto del procedimento qualora la Commissione "intenda adottare una decisione volta a far cessare [l'infrazione]" 609. Tali impegni devono essere "tali da rispondere alle preoccupazioni espresse (…) dalla Commissione nella sua valutazione preliminare". In questo caso "la Commissione può, mediante decisione, rendere detti impegni obbligatori per le imprese". Tale decisione "può essere adottata per un periodo di tempo determinato" e deve giungere alla conclusione che l'"intervento [della Commissione] non è più giustificato" 610 (salvo la facoltà della

608 La previsione dell'art. 3(3) reg. 17/62 [il quale recita: "la Commissione, prima di

prendere la decisione di cui al paragrafo 1, può rivolgere alle imprese ed alle associazioni di imprese interessate raccomandazioni dirette a far cessare l'infrazione"] è stata quindi sviluppata e trasformata nel reg. 1/03 in una forma autonoma di decisione della Commissione (anche se dalla caratteristiche molto differenti, v. testo del presente §), e cioè la decisione relativa agli impegni delle imprese oggetto di istruttoria (art. 9 reg. 1/03).

L'art. 9(1) reg. 1/03 recita: "[L'Autorità CE], qualora intenda adottare una decisione volta a far cessare un'infrazione e le imprese interessate propongano degli impegni tali da rispondere alle preoccupazioni espresse loro dalla Commissione nella sua valutazione preliminare, [essa] può, mediante decisione, rendere detti impegni obbligatori per le imprese".

609 V. la prima decisione ex art. 9 reg. 1/03 del 17 settembre 2004 della Commissione relativa alla richiesta della Federazione tedesca di calcio (DFL) riguardo alla vendita dei diritti di trasmissione del campionato di calcio tedesco (IP/04/1110). V. anche il procedimento ex art. 9 reg. 1/03 iniziato il 18 ottobre 2004 con la presentazione da parte della Coca - Cola Company alla Commissione degli impegni riguardo alla propria rete distributiva (IP/04/1247).

610 Tale decisione è frutto dell'esperienza della Commissione sia con riferimento al regolamento di controllo delle concentrazione — il quale prevede una simile fattispecie agli artt. 6(2) e 8(2) reg. 4064/89 e ora artt. 6(2) e 8(2) reg. 139/04 —, così come all'"interminabile" caso IECC (Sentenza del Tribunale di primo grado (Terza Sezione ampliata) del 16 settembre 1998, International Express Carriers Conference (IECC) contro Commissione delle

Comunità europee, causa T-110/95, Raccolta della giurisprudenza, 1998, p. II - 3605; Sentenza del Tribunale di primo grado (Terza Sezione ampliata) del 16 settembre 1998, International

Express Carriers Conference (IECC) contro Commissione delle Comunità europee, cause riunite T-133/95 e T-204/95, Raccolta della giurisprudenza, 1998, p. II - 3645; Sentenza della Corte del 17 maggio 2001, International Express Carriers Conference (IECC) contro Commissione

delle Comunità europee, La Poste, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e The Post

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

300

Commissione di riaprire il procedimento — sia d'ufficio che su denuncia — in alcuni casi specifici) 611. In altre parole, grazie a questo provvedimento la Commissione, al posto di adottare "una decisione volta a far cessare un'infrazione" (art. 7 reg. 1/03) può, tramite una "valutazione preliminare" (quindi interrompendo il procedimento istruttorio prima della decisione di merito) rendere tali impegni obbligatori per le imprese che li hanno proposti 612.

Tale decisione — sebbene sia disciplinata espressamente per la prima volta nel reg. 1/03 — era stata definita nella prassi dalla Commissione nel procedimento IECC 613. In tale caso l'Autorità CE aveva cercato di "chiudere" l'istruttoria, in primo luogo, accettando degli impegni da parte dell'impresa oggetto del procedimento per poi, in

secondo luogo, archiviare l'istruttoria stessa sul presupposto della mancanza di "interesse comunitario".

Office, causa C-449/98 P, Raccolta della giurisprudenza, 2001, p. I - 3875). In particolare, cfr. il considerando 30 reg. 139/04 il quale recita: "Quando le imprese interessate modificano un progetto di concentrazione notificato, in particolare offrendo di assumere impegni per rendere la concentrazione compatibile con il mercato comune, la Commissione dovrebbe poter dichiarare la concentrazione, così modificata, compatibile con il mercato comune. Gli impegni dovrebbero essere proporzionati al problema sotto il profilo della concorrenza e risolverlo interamente. È parimenti opportuno accettare impegni prima di iniziare un procedimento nei casi in cui il problema che sorge sotto il profilo della concorrenza è ben identificabile e può essere risolto facilmente. Si dovrebbe espressamente stabilire che la Commissione può subordinare la sua decisione a condizioni e obblighi destinati a garantire che le imprese interessate adempiano in modo tempestivo ed efficace agli impegni assunti per rendere la concentrazione compatibile con il mercato comune. Occorre garantire, in tutto il corso del procedimento, la trasparenza e l'effettiva consultazione degli Stati membri e dei terzi interessati".

611 L'art. 9(2) reg. 1/03 disciplina la possibilità per la Commissione di riaprire il procedimento — sia d'ufficio che su denuncia — in tre casi specifici; e cioè, l'Autorità CE, "su domanda o d'ufficio, può riaprire il procedimento: a) se si modifica la situazione di fatto rispetto a un elemento su cui si fonda la decisione; b) se le imprese interessate contravvengono agli impegni assunti; oppure c) se la decisione si basa su informazioni trasmesse dalle parti che sono incomplete, inesatte o fuorvianti". La Commissione può quindi, successivamente alla riapertura del procedimento, pervenire ad una decisione definitiva ex art. 7 reg. 1/03, oppure emettere nuovamente una decisione ex art. 9 reg. 1/03.

612 Ai sensi dell'art. 9 reg. 1/03, la Commissione al posto di adottare "una decisione volta a far cessare un'infrazione" (art. 7 reg. 1/03) può quindi ricevere dalle imprese oggetto dell'indagine delle proposte — da cui deriva una negoziazione tra le parti — al fine di concludere il procedimento senza una espressa decisione di merito (di violazione o meno) degli artt. 81 e 82 TCE. La decisione avrà quindi il ruolo di rendere tali impegni obbligatori per le imprese — anche solo per un periodo determinato — e giungendo "alla conclusione che l'intervento della Commissione non è più giustificato".

613 V. supra nota 610.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

301

La decisione relativa agli impegni presenta numerosi aspetti di interesse che richiedono un approfondimento, e cioè: la novità della decisione rispetto alla filosofia antitrust del reg. 17/62; l'aspetto della trasparenza del procedimento di "negoziazione" tra l'impresa che propone gli impegni e la Commissione o le Autorità nazionali; la "vacillante" legittimità degli artt. 9 e 5 reg. 1/03; l'effetto della decisione sugli "impegni" rispetto alla competenza antitrust della CE e degli Stati membri; le conseguenze delle decisioni sugli impegni sui singoli.

Con riferimento alla novità rispetto alla filosofia antitrust, la decisione sugli impegni non sarebbe mai potuta essere disciplinata nel reg. 17/62. Essa presenta una impostazione estranea al regolamento del 1962. Infatti, il reg. 17/62 si fondava su due principi di base.

Da una parte, un sistema in cui il ruolo della Commissione — secondo l'impostazione tedesca — consisteva esclusivamente nel valutare la violazione o non violazione del diritto antitrust CE tramite uno specifico comportamento. La politica di concorrenza su cui si basava il reg. 17/62 — politica già in qualche modo modificata dall'emanazione del regolamento sul controllo delle concentrazioni 614 — escludeva quindi in radice che un organo pubblico potesse negoziare

con le imprese i comportamenti che queste avrebbero potuto tenere sul

mercato. La stessa previsione dell'art. 3(3) reg. 17/62 riconosceva esclusivamente la facoltà della Commissione di "rivolgere alle imprese ed alle associazioni di imprese interessate raccomandazioni dirette a far cessare l'infrazione".

Dall'altra, il reg. 17/62 prevedeva — con riferimento al divieto di intese anticoncorrenziali — la necessità che tali accordi vietati avessero effetto per il minor periodo di tempo possibile. Questo avrebbe evitato che le modifiche della "struttura concorrenziale" del mercato fossero di

fatto irreversibili 615. A tal fine il reg. 17/62 disciplinava, in primo luogo, un obbligo di notifica preventiva degli accordi per ottenere l'esenzione di cui all'art. 81(3) TCE e, in secondo luogo, la validità provvisoria degli

614 V. ERNST JOACHIM MESTMÄCKER, Fusionskontrolle im Gemeinsamen Markt zwischen

Wettbewerbspolitik und Industriepolitik, in Europarecht, 1988, p. 349. 615 Tale impostazione, ripresa nella giurisprudenza CE, si fondava infatti su di una

politica di concorrenza basata sul "principio di divieto" finalizzato a tutelare l'indipendenza delle singole imprese; V. sul punto PETRA POHLMANN, Der Unternehmensverbund, cit. a nota 334, 216.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

302

accordi notificati. In caso di rigetto dell'autorizzazione, l'intesa era illecita sin dal momento della notifica.

Il reg. 1/03 modifica questi due punti fermi del reg. 17/62. Infatti, da una parte, ai sensi dell'art. 9 reg. 1/03 la Commissione può

"negoziare" con le imprese le modifiche dei comportamenti delle imprese stesse, comportamenti resi poi vincolanti da una decisione dell'Autorità CE e che, conseguentemente, costituiscono comportamenti non vietati dal diritto antitrust CE. Questo permette alla Commissione di concludere con rapidità il relativo procedimento istruttorio. Tale primo aspetto attribuisce alle imprese la "contropartita" di non essere oggetto di una decisione di violazione antitrust (v. sulla rilevanza di questo per i privati, infra § 96).

Dall'altra, ai sensi dell'art. 9 reg. 1/03, non rileva, a differenza del reg. 17/62, che le intese anticoncorrenziali modifichino durante la loro efficacia la "struttura concorrenziale" del mercato. Infatti, l'art. 9 reg. 1/03 attribuisce a tal fine alla Commissione il potere di imporre alle imprese modifiche strutturali per ricostituire la (presunta) situazione quo ante (art. 7(1) reg. 1/03).

93. (segue) La trasparenza del procedimento di negoziazione tra l'impresa

che propone gli impegni e la Commissione. L'esperienza statunitense dei

consent decree e del Tunney Act.

Un secondo aspetto di interesse relativo alla decisione ex art. 9 reg. 1/03 è la trasparenza del procedimento di negoziazione tra l'impresa che propone gli impegni e la Commissione (o l'Autorità nazionale) che li accettano. Il pericolo che può conseguire da tale negoziazione è che la decisione dell'Autorità CE non sia determinata esclusivamente nell'interesse pubblico, e ciò in quanto l'organo comunitario sia "catturato" dal soggetto regolato (cd. cattura del regolatore) 616. Cioè l'organo amministrativo agisce non nell'interesse pubblico, ma esercita la propria competenza nell'interesse del soggetto regolato. Altro pericolo di tale decisione consiste nel fatto che la Commissione preferisca scendere "a patti" con le imprese oggetto del procedimento —

616 V. sul punto in STEFANO LOMBARDO, Regulatory competition in company law in the

European community. Prerequisites and limits, Frankfurt am Main, Peter Lang, 2002.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

304

decrees, and it will ensure that the courtroom rather than the back room becomes the final arbiter in antitrust enforcement" 621.

Il problema della corrispondenza della decisione ex art. 9 reg. 1/03 con l'interesse pubblico CE non è stato preso in considerazione nel reg. 1/03, né il reg. 1/03 prevede delle modalità per evitare la "cattura del regolatore". La decisione della Commissione potrebbe quindi non essere necessariamente finalizzata a tutelare l'interesse comunitario — come già successo nell'esperienza antitrust USA supra indicata —.

La tutela nell'ordinamento CE contro questi potenziali abusi della decisione ex art. 9 reg. 1/03 si concretizza "esclusivamente" — come negli Stati Uniti prima dello scandalo citato — nella motivazione del provvedimento della Commissione (o dei provvedimenti delle Autorità nazionali). La motivazione delle decisioni ex art. 9 reg. 1/03 permetterà ai singoli legittimati attivi di valutare il provvedimento dell'Autorità CE e di (eventualmente) impugnare la decisione e di chiederne l'annullamento. Essi non potranno però contestare, com'è noto, il merito (rectius le complesse valutazioni economiche) del provvedimento della Commissione 622.

In assenza di una specifica normativa, e per cercare di eliminare possibili abusi della decisione sugli impegni delle intese, la Commissione (così come le Autorità nazionali) potrebbe volontariamente prevedere un espresso paragrafo nella motivazione del provvedimento ex art. 9 reg. 1/03 in cui essa motiva l'aspetto della coincidenza della decisione con l'"interesse pubblico comunitario".

Il problema della trasparenza e della tutela dell'interesse comunitario si pone a maggior ragione con riferimento alle decisioni sugli impegni emanate dalle Autorità nazionali, le quali ex art. 5 reg. 1/03 sono ugualmente competenti ad emanare tali provvedimenti. Le Autorità nazionali potrebbero essere, per i seguenti motivi, più facilmente oggetto di "cattura" da parte delle imprese rispetto alla Commissione, e cioè: per la loro "ridotta dimensione" rispetto alla Commissione; per la struttura delle Autorità nazionali (e le relative modalità di garanzia dell'autonomia dell'organo) che sono disciplinate variamente a livello

621 Riguardo alla disciplina del Tunney Act, v. JULIAN O. VON KALINOWSKI - PETER

SULLIVAN - MAUREEN MCGUIRL, Antitrust Laws, cit. a nota 617, Capitolo 96.03. 622 Per un elenco di sentenze relative a questa giurisprudenza, v. infra.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

305

degli Stati membri (con una conseguente variabile "forza" dei differenti organi nazionali di "difendersi" da "influenze esterne"); perché la coincidenza dell'"interesse comunitario" con le decisioni di "impegno" delle Autorità nazionali è oggetto di minore attenzione da parte dell'opinione pubblica "europea" rispetto alle decisioni sugli "impegni" della Commissione (in considerazione del ruolo che le Autorità nazionali svolgono ex art. 84 TCE, anche le loro decisioni sugli "impegni", al pari di quelle della Commissione, devono infatti tutelare l'interesse comunitario). Comunque, a parziale soluzione di quest'ultimo problema, con riferimento alle decisioni di "impegno" emanate dalle Autorità nazionali è disciplinato sia il controllo "verticale discendente" della Commissione (art. 11(3) reg. 1/03 ss.), che il controllo "collegiale" delle Autorità nazionali (art. 14(7) reg. 1/03 ss.).

94. (segue) La "vacillante" legittimità degli artt. 5 e 9 reg. 1/03.

Un terzo aspetto di interesse dei provvedimenti di "impegno",

riguarda la legittimità stessa degli artt. 9 e 5 reg. 1/03. Infatti, la legittimità dei provvedimenti relativi agli impegni è strettamente collegata alla giurisprudenza comunitaria sul principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE (rectius in particolare al combinato disposto degli artt. 10 e 81 TCE e 10 e 82 TCE). Infatti, com'è noto, una costante giurisprudenza CE sostiene che "anche se di per sé [i divieti antitrust] del Trattato riguarda[no] esclusivamente la condotta delle imprese e non le disposizioni legislative o regolamentari emanate dagli Stati membri, è pur vero che dett[i] articol[i], lett[i] congiuntamente all'articolo 10 del Trattato, obbliga[no] gli Stati membri a non adottare o mantenere in vigore misure, anche di natura legislativa o regolamentare, che possano rendere praticamente inefficaci le regole di concorrenza applicabili alle imprese" 623. Ad avviso di tale giurisprudenza CE, e con particolare riferimento al combinato disposto degli artt. 10 e 81 TCE, ricorre questa ipotesi "allorquando uno Stato

623 Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 18 giugno 1998, Commissione delle

Comunità europee contro Repubblica italiana, causa C-35/96, Raccolta della giurisprudenza, 1998, p. I - 3851, § 53. Su tale giurisprudenza, v. LORENZO FEDERICO PACE, In tema di

norme nazionali illegittime per violazione del combinato disposto degli artt. 10 e 81 TCE, in Rivista italiana di Diritto pubblico comunitario, 2002, p. 454.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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membro imponga o agevoli la conclusione di accordi in contrasto con l'articolo 81, o rafforzi gli effetti di siffatti accordi, ovvero qualora privi la propria normativa del carattere statuale che le è proprio, demandando la responsabilità di adottare decisioni d'intervento in materia economica ad operatori privati" 624.

Tale giurisprudenza, sebbene sviluppata con riferimento alle normative nazionali, è applicabile anche nei confronti delle istituzioni CE. Non vi è infatti motivo per cui la ratio di questa giurisprudenza — il mantenere l'effetto utile degli artt. 81 e 82 TCE — non vincoli anche le istituzioni CE 625.

Ebbene, i provvedimenti di "impegno" di cui agli artt. 9 e 5 reg. 1/03 rientrano nello schema della giurisprudenza Reiff, e in particolare nei casi di misure che privino "la propria normativa del carattere statuale che

le è proprio, demandando la responsabilità di adottare decisioni

624 Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 18 giugno 1998, Commissione delle

Comunità europee contro Repubblica italiana, cit. a nota 379, § 54. 625 V. ERNST-JOACHIM MESTMÄCKER, Zur Anwendbarkeit der Wettbewerbsregeln auf die

Mitgliedstaaten und die Europäischen Gemeinschaften, in Europarecht - Energierecht -

Wirtschaftsrecht, (a cura di ) Jürgen F. Baur - Peter-Christian Müller-Graff - Manfred Zuleeg, Köln, Carl Heymanns Verlag KG, 1992, p. 277.

Riprendendo le parole della sentenza del TAR Lazio relativa ai Ragionieri e Commercialisti, la fattispecie disciplinata dagli artt. 9 e 5 reg. 1/03 riguarda "una sequenza procedimentale" nella quale intervengono anche soggetti privati, i quali siano anche destinatari del provvedimento finale. Al termine di tali procedimenti sono prese, quindi, delle decisioni nelle quali gli interventi dei privati "perdono la loro autonoma rilevanza per fondersi nella determinazione finale, che rappresenta il contemperamento coordinato delle diverse istanze chiamate dalla legge ad esprimersi in vista dell'interesse pubblico da soddisfare", Sentenza TAR Lazio n. 466/2000, in Giurisprudenza costituzionale, 2000, 1912, con nostro commento LORENZO FEDERICO PACE, Ragionieri e Commercialisti: tra Bnic Clair

e Reiff, in Giurisprudenza costituzionale, 2000, 1913. Tale "rischio di intesa" può essere escluso o facendo sì che la partecipazione dei privati

non rappresenti esclusivamente interessi riconducibili ai destinatari del provvedimento stesso (così che l'interesse dei privati destinatari del provvedimento sia assorbito dalle valutazioni di altri soggetti che rappresentano istanze di interesse pubblico rispetto ai primi); oppure facendo sì che il procedimento statale permetta, tramite controlli operati da organi indipendenti, di intervenire sulle determinazioni dei privati destinatari del procedimento finale, così che essi non riescano a far prevalere i loro interessi rispetto all'interesse pubblico al quale il provvedimento finale è diretto (Sentenza della Corte del 17 novembre 1993, Bundesanstalt für den Gueterfernverkehr contro Gebrueder Reiff GmbH & Co. Kg, causa C-185/91, Raccolta della giurisprudenza, 1993 p. I - 5801, §14 — 18. Sul punto v. anche la recente Sentenza della Corte del 19 febbraio 2002, Procedimento penale a carico di

Manuele Arduino, con l'intervento di: Diego Dessi, Giovanni Bertolotto e Compagnia

Assicuratrice RAS SpA, causa C-35/99, Raccolta della giurisprudenza, 2002, p. I - 1529, §§ 36 ss.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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d'intervento in materia economica ad operatori privati". Infatti, tali decisioni riguardano provvedimenti normativi che disciplinano un procedimento così organizzato: l'Autorità pubblica propone o invita dei privati ad indicare una proposta di intesa ai sensi dell'art. 81 TCE al fine di poi renderla obbligatoria tramite un provvedimento vincolante (nel caso di specie la decisione della Commissione o delle Autorità nazionali).

La Corte di giustizia ha lungamente affinato la propria giurisprudenza nel determinare in quali casi l'intesa formulata dai privati dietro richiesta o indicazione dell'organo pubblico — e successivamente resa obbligatoria da un provvedimento normativo — costituisca il rafforzamento di una "intesa" vietata dall'art. 81 TCE. In particolare, la Corte ha sostenuto nella recente sentenza Arduino 626 che la normativa pubblica è in violazione del combinato disposto degli artt. 10 e 81 TCE se, in primo luogo, il contenuto della proposta dei privati sia definita da organi non indipendenti rispetto ai soggetti che saranno poi disciplinati dal provvedimento finale (assenza dei cd. esperti

indipendenti). In secondo luogo, la normativa è illegittima se l'organo pubblico che emette il provvedimento finale non ha il potere di rifiutare la proposta ma deve necessariamente emettere il provvedimento normativo che recepisce la proposta dei privati (in questo senso la proposta dei privati costituirebbe una "intesa sotto condizione sospensiva" di autorizzazione 627).

Ebbene, nei limiti della giurisprudenza Arduino gli artt. 9 e 5 reg. 1/03 sono legittimi ai sensi del combinato disposto degli artt. 10 e 81 TCE. Infatti, in primo luogo, sebbene il contenuto dell'"impegno" delle imprese di cui agli artt. 9 e 5 reg. 1/03 non è formulato da "esperti

indipendenti", in secondo luogo, la disciplina del reg. 1/03 riconosce alla Commissione (e alle Autorità nazionali) il potere di rigettare tale proposta (rectius tale intesa "sottoposta a condizione sospensiva"). In particolare, gli impegni delle imprese devono essere "tali da rispondere

626 Sentenza della Corte del 19 febbraio 2002, Procedimento penale a carico di Manuele

Arduino, con l'intervento di: Diego Dessi, Giovanni Bertolotto e Compagnia Assicuratrice RAS

SpA, causa C-35/99, Raccolta della giurisprudenza, 2002, p. I - 1529, §§ 37 - 40. 627 V. conclusioni dell'avvocato generale Darmon del 14 luglio 1993 nel procedimento

Bundesanstalt für den Gueterfernverkehr contro Gebrueder Reiff GmbH & Co. Kg, causa C-185/91, Raccolta della giurisprudenza, 1993, p. I - 5801, § 105.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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alle preoccupazioni espresse (…) dalla Commissione [e dalle Autorità nazionali] nella (…) valutazione preliminare".

Deve però sottolinearsi che, nel caso in cui la Corte di giustizia rendesse più rigidi i requisiti in presenza dei quali è ritenuta illegittima ai sensi del combinato disposto degli artt. 10 e 81 TCE una misura nazionale, tale modifica riverberebbe i suoi effetti anche sugli artt. 9 e 5 reg. 1/03. In particolare, nel caso in cui la Corte limitasse la valutazione di legittimità delle normative nazionali al fatto che "la proposta dell'intesa" sia necessariamente formulata dai cd. esperti indipendenti (escludendo la rilevanza del rigetto da parte dell'organo pubblico della proposta di intesa), in questo caso gli artt. 9 e 5 reg. 1/03 sarebbero illegittimi per violazione del combinato degli artt. 10 e 81 TCE (rectius per violazione dell'effetto utile dell'art. 81 TCE, v. supra § 39).

95. (segue) L'effetto della decisione relativa agli "impegni" emanata dalla

Commissione e dalle Autorità nazionali sulla competenza antitrust europea e statale.

Un quarto aspetto di interesse delle decisioni sugli "impegni"

riguarda il rapporto tra esse e la discrezionalità di applicazione del diritto antitrust della CE e degli Stati membri.

In particolare, le decisioni ex art. 9 reg. 1/03, oltre ad essere vincolanti per le imprese a cui sono dirette, costituiscono anche decisioni ex artt. 16(1) e 16(2) reg. 1/03. In altre parole, tali decisioni della Commissione vincolano per la medesima fattispecie oggetto del provvedimento nazionale, ai sensi del diritto antitrust della CE e — nei limiti indicati infra — ai sensi del diritto antitrust degli Stati membri, anche le Autorità e le giurisdizioni nazionali.

Con riferimento ai rapporti tra la decisione della Commissione sugli impegni delle imprese ed (eventuali) decisioni successive delle Autorità nazionali o delle giurisdizioni nazionali, la decisione ex art. 9 reg. 1/03 — dal momento che essa accerta a seguito degli impegni che non è più giustificato un intervento per la relativa fattispecie — esclude che i comportamenti oggetto dell'"impegno" costituiscano una violazione di cui agli artt. 81 o 82 TCE. A fronte di ciò le Autorità e le giurisdizioni nazionali per il periodo successivo alla decisione della Commissione —

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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rectius per la fattispecie definita nella decisione di "impegno" — dovranno pervenire ai sensi del diritto antitrust CE ad un provvedimento di "archiviazione". Ciò non esclude, però, che le Autorità e le giurisdizioni nazionali possano concludere il procedimento per il periodo precedente alla decisione ex art. 9 reg. 1/03 — e quindi per la fattispecie contestata inizialmente dalla Commissione — con un provvedimento di violazione degli artt. 81 e/o 82 TCE.

La decisione della Commissione ha delle conseguenze dirette — ai sensi dell'art. 3(2) reg. 1/03 — anche con riferimento alla competenza

antitrust degli Stati membri. Infatti, in considerazione dell'(illegittimo) rapporto tra diritto antitrust CE e diritto antitrust degli Stati membri di cui all'art. 3(2) reg. 1/03 — v. supra § 45 —, le decisioni ex art. 9 reg. 1/03 non permettono per periodi successivi alla decisione di "impegno" (rectius con riferimento al comportamento definito dalla decisione di impegno) di giungere ai sensi del divieto di intese anticoncorrenziali degli Stati membri ad una decisione più rigida. Diversamente, sempre per il periodo successivo, ma riguardo al divieto di abuso di posizione dominante CE, il diritto antitrust degli Stati membri può pervenire a decisioni più rigide di quanto previsto dall'art. 82 TCE.

Diversamente, per periodi precedenti alle decisioni di impegno (rectius con riferimento alla fattispecie contestata dalla Commissione) il diritto antitrust degli Stati membri può pervenire a conclusioni di divieto, sia riguardo al divieto di intese che di abuso di posizione dominante.

Differente è il problema delle decisioni di impegno emanate dalle Autorità nazionali ex art. 5 reg. 1/03. Tali decisioni non determinano infatti un vincolo per eventuali decisioni della Commissione o per decisioni "simultanee" di altre Autorità nazionali (ma anche per sentenze dei giudici nazionali). Questo determina il rischio dell'emanazione di decisioni ex art. 5 reg. 1/03 confliggenti tra differenti organi (determinando un vulnus del principio di certezza del diritto) non solo per le imprese oggetto del procedimento ma anche per i concorrenti e consumatori pregiudicati dal (presunto) comportamento anticoncorrenziale. Al fine di eliminare il (generale) pericolo di decisioni delle Autorità nazionali tra loro contrastanti, il reg. 1/03 ha disciplinato il cd. principio di concentrazione della competenza CE e i

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relativi procedimenti di cooperazione e controllo anche con riferimento ai provvedimenti di impegno (v. infra § 112 ss.).

96. (segue) Le conseguenze sui singoli delle decisioni relative agli "impegni".

Un quinto aspetto di interesse delle decisioni di "impegno" riguarda

la posizione dei singoli a seguito dell'emanazione delle decisioni ex artt. 9 e 5 reg. 1/03. Infatti, se la decisione prevista dall'art. 9 reg. 1/03 da una

parte, favorisce la riduzione del lavoro della Commissione e delle Autorità nazionali, dall'altra, limita la tutela dei consumatori, i quali — non va dimenticato — sono tra i destinatari dei diritti contenuti negli artt. 81 e 82 TCE 628. Questo in quanto la decisione sugli "impegni" determina la conclusione del procedimento prima della decisione che eventualmente accerti la violazione del diritto antitrust. L'assenza dell'eventuale decisione di violazione esclude la possibilità per i singoli — i quali possono aver ricevuto dalla (presunta) violazione antitrust un pregiudizio economico — di utilizzare tale decisione alla stregua di un "titolo esecutivo" per richiedere ai giudici nazionali il risarcimento dei danni subiti. I singoli — a fronte di una decisione ex art. 9 reg. 1/03 — possono quindi trovarsi in difficoltà nell'individuare un'altra modalità attraverso la quale tutelare i diritti degli artt. 81(1) e 82 TCE e violati dalla fattispecie oggetto della decisione ex art. 9 reg. 1/03. Infatti, come indicato successivamente — v. art. 5 ultima parte reg. 1/03, infra § 107 — spesso le giurisdizioni nazionali non sono nella "migliore" posizione per valutare le (presunte) violazioni delle norme antitrust (ad es., per carenza di poteri istruttori approfonditi e, quindi, carenza di informazioni per applicare i divieti).

97. B.i.b.2) La constatazione di inapplicabilità (art. 10 reg. 1/03).

Il reg. 1/03 disciplina un secondo tipo di decisione che limita l'attività

repressiva diretta della Commissione, oltre all'art. 9 reg. 1/03, cioè la decisione di "constatazione di inapplicabilità" (art. 10 reg. 1/03). Ai sensi

628 Sul punto e sulla funzione in questo caso dell'art. 5 ultima parte reg. 1/03 con riferimento all'obbligo delle Autorità nazionali di iniziare un procedimento nel caso in cui "in base alle informazioni di cui dispongono, (…) sussistono le condizioni per un divieto", v. infra.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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dell'art. 10 reg. 1/03, la Commissione ha la facoltà "per ragioni di interesse pubblico comunitario" di accertare "d'ufficio" e "mediante decisione" che gli artt. 81 o 82 TCE non siano applicabili a specifici accordi o pratiche unilaterali 629.

Tali decisioni permettono alla Commissione, a fronte di nuove fattispecie non ancora oggetto di prassi dell'Autorità CE, di chiarire — essendo queste decisioni dichiarative 630 — l'orientamento della politica di concorrenza CE, in questo modo aumentando — nell'interesse delle imprese — la chiarezza e la prevedibilità dei divieti antitrust CE.

Inoltre, queste decisioni eliminano (tendenzialmente) l'"interesse comunitario" riguardo alle denunce relative a fattispecie oggetto dei provvedimenti ex art. 10 reg. 1/03. Infatti, la Commissione, avendo chiarito con i provvedimenti ex art. 10 reg. 1/03 la relativa politica di concorrenza rispetto a tali "specifici accordi o pratiche unilaterali",

629 L'art. 10 reg. 1/03 recita: "L'articolo 81 del Trattato è inapplicabile a un accordo, a

una decisione di un'associazione di imprese o a una pratica concordata, o perché le condizioni di cui all'articolo 81, paragrafo 1, del Trattato non sono soddisfatte, o perché sono soddisfatte le condizioni di cui all'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato" (art. 10(1) reg. 1/03). Inoltre, la Commissione "può effettuare una tale constatazione anche in relazione all'articolo 82 del Trattato" (art. 10(2) reg. 1/03).

La constatazione di inapplicabilità (art. 10 reg. 1/03) svolge una funzione sostanzialmente differente dalla decisione di attestazione negativa di cui all'art. 3 reg. 17/62. Infatti, essa è una decisione emanata d'ufficio — e non su richiesta di parte — ed è emanata "per ragioni di interesse pubblico comunitario". Inoltre, essa — come l'attestazione negativa — è una decisione dichiarativa. Essa rappresenta un modo con cui la Commissione, d'ufficio e nell'interesse comunitario, "può stabilire mediante decisione che l'articolo 81 del Trattato è inapplicabile a un accordo, a una decisione di un'associazione di imprese o a una pratica concordata, o perché le condizioni di cui all'articolo 81, paragrafo 1, del Trattato non sono soddisfatte, o perché sono soddisfatte le condizioni di cui all'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato" (art. 10 reg. 1/03).

630 La natura dichiarativa della decisione di constatazione di inapplicabilità è conseguenza del principio di divieto con eccezione legale disciplinato dal reg. 1/03 riguardo all'applicazione dell'art. 81 TCE. In considerazione del fatto che gli artt. 81 e 82 TCE si applicano senza necessità di una preventiva decisione — anche con riferimento all'art. 81(3) TCE — le decisioni non possono che essere dichiarative della violazione o della non violazione di un accordo, ex art. 81 TCE, o di una pratica unilaterale, ex art. 82 TCE.

Nel sistema di cui al reg. 17/62 il provvedimento di attestazione negativa (ex art. 3 reg. 17/62) presentava natura dichiarativa; questo in quanto la decisione si limitava ad accertare la non violazione di norme direttamente applicabili ai sensi del reg. 17/62 (cioè gli artt. 81(1) e 82 TCE). Al contrario, sempre nel sistema con principio di divieto ed esenzione tramite notifica di cui all'art. 17/62, la decisione di esenzione ex art. 81(3) TCE poteva essere accertata, tramite decisione costitutiva, solo dopo la valutazione dell'intesa notificata (o nell'ipotesi in cui la violazione dell'art. 81(1) TCE poteva essere valutata direttamente nel caso in cui la notifica non fosse stata presentata).

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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esclude l'interesse comunitario per la valutazione nel merito di tali fattispecie. L'Autorità CE può quindi archiviare — ex art. 7 reg. 1/03 — le eventuali successive denunce relative alle fattispecie oggetto della "constatazione di inapplicabilità".

98. B.ii) Le lettere di orientamento. Le lettere di orientamento quali

provvedimenti finalizzati alla riduzione dell'incertezza dell'applicazione

del diritto antitrust europeo.

Sempre con riferimento all'esercizio della competenza antitrust di

cui la Commissione è titolare, l'Autorità CE ha definito — in una specifica Comunicazione — un nuovo provvedimento non regolato dal reg. 1/03 e che essa può emanare: le lettere di orientamento. Le lettere di orientamento "mirano in primo luogo ad aiutare le imprese ad effettuare da sole una valutazione dei loro accordi e delle loro pratiche con cognizione di causa" (Comunicazione sulle lettere di orientamento, § 22), quindi sia riguardo all'art. 81 che all'82 TCE.

Tra i motivi che hanno determinato la definizione delle lettere di orientamento vi è l'(illegittimo) "effetto diretto" dell'art. 81(3) (art. 6 reg. 1/03 - v. infra § 148). Che uno dei motivi che hanno richiesto la definizione delle "lettere di orientamento" sia proprio l'art. 81(3) TCE è affermato dalla stessa Commissione; in particolare, l'Autorità CE ricorda che, grazie alle modifiche dei regolamenti di esenzione e alla definizione delle lettere di orientamento, esse "permettono alle imprese di valutare in maniera affidabile i loro accordi ai sensi dell'articolo 81" (Comunicazione sulle lettere di orientamento, § 4). Dal momento che il contenuto dell'art. 81(3) TCE è indeterminato e prevede una ampia discrezionalità nei concetti in esso richiamati, sorge la necessità — nell'impostazione della Commissione — di chiarire alle imprese e ai giudici nazionali, nel caso in cui non sussistano già delle indicazioni nella prassi dell'Autorità CE o della giurisprudenza comunitaria, quali siano i comportamenti leciti ai sensi del diritto antitrust CE.

L'evidente difficoltà in cui si trovano le imprese in conseguenza dell'"effetto diretto" attribuito (illegittimamente) all'art. 81(3) TCE nel definire il contenuto della norma è espresso nel "singolare" concetto di "autovalutazione"; concetto "coniato" dalla Commissione nella

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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Comunicazione sulle lettere di orientamento. L'Autorità CE ha infatti affermato che "parallelamente alla riforma delle regole di applicazione degli articoli 81 e 82 realizzata dal Regolamento 1/2003, la Commissione ha effettuato una revisione dei regolamenti di esenzione per categoria, delle comunicazioni e delle linee guida della Commissione al fine di facilitare ulteriormente l'autovalutazione da parte degli operatori economici" (Comunicazione sulle lettere di orientamento, § 4, corsivo aggiunto) 631. Evidentemente, il concetto di "autovalutazione" rinvia al compimento di un'attività — cioè la valutazione (rectius "la determinazione") del contenuto dell'art. 81(3) TCE — che dovrebbe essere posto in essere non dalle imprese, ma dagli organi (legittimamente) competenti a tale "valutazione" (rectius determinazione), cioè dalla Commissione e dalle Autorità nazionali. La Commissione, per rendere "meno complessa" tale attività di "(auto)valutazione" (anche e soprattutto) per l'art. 81 TCE, ha definito le "lettere di orientamento".

I soggetti che possono richiedere l'emanazione di una lettera di orientamento sono le imprese che "abbiano concluso un accordo o abbiano adottato una pratica che può rientrare nel campo di applicazione degli articoli 81 e/o 82 del Trattato, o che abbiano intenzione di farlo" (Comunicazione sulle lettere di orientamento, § 12).

La richiesta delle imprese alla Commissione è presentata in modo informale, senza la compilazione di un formulario ma con un semplice promemoria contenente le informazioni indicate nella relativa Comunicazione dell'Autorità CE 632.

631 Nella proposta di Comunicazione sulle lettere di orientamento, l'Autorità CE

sosteneva che la "riforma delle regole di applicazione degli articoli 81 e 82 realizzata dal regolamento 1/2003", la "revisione dei regolamenti di esenzione per categoria, delle comunicazioni e delle linee guida della Commissione" avevano la funzione di "assistere ulteriormente gli operatori economici per l'effettuazione dell'autovalutazione" (Proposta di comunicazione sulle lettere di orientamento, § 4, corsivo aggiunto).

632 Come puntualizza la Commissione, "dovrà essere presentato un promemoria che indichi con chiarezza: — l'identità di tutte le imprese interessate e un indirizzo unico per i contatti con la Commissione; — le questioni specifiche in merito alle quali si chiede orientamento; — informazioni complete ed esaurienti su tutti i punti utili per valutare con cognizione di causa le questioni sollevate nonché la documentazione pertinente; — l'esposizione dettagliata, alla luce del punto 8, lettera a), dei motivi per cui le questioni sollevate nella richiesta sono nuove; — qualsiasi altra informazione che permetta di valutare la domanda alla luce degli aspetti indicati ai punti 8 - 10 della presente comunicazione, ivi compresa in particolare una dichiarazione che l'accordo o pratica cui si

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I quesiti proposti dalla Commissione non devono essere teorici ma devono avere una loro rilevanza pratica. La Commissione, infatti, non emanerà "lettere di orientamento su accordi o pratiche che non [sono] più attuati dalle parti" (Comunicazione sulle lettere di orientamento, § 10).

La Comunicazione sulle lettere di orientamento elenca quello che la Commissione certamente porrà in essere in presenza di una richiesta di un simile provvedimento: in primo luogo, "se non viene pubblicata alcuna lettera di orientamento la Commissione ne darà comunicazione al richiedente/ai richiedenti" (ibidem, § 17); in secondo luogo, "alle informazioni fornite dal richiedente/dai richiedenti si applicano le normali regole sul segreto professionale" (ibidem, § 15) 633.

riferisce la domanda non sono oggetto di procedimenti in corso presso un Tribunale o un'Autorità garante della concorrenza di uno Stato membro; — qualora la domanda contenga elementi considerati come segreti aziendali, l'indicazione precisa di tali elementi; — qualsiasi altra informazione o documento rilevante nel caso concreto" (Comunicazione sulle lettere di orientamento, § 14).

633 Aspetto questo che ricorda una delle funzioni secondarie che nel reg. 17/62 svolgeva la notifica; cioè quella di fornire alla Commissione informazioni sui mercati attraverso le quali l'Autorità CE avrebbe potuto individuare comportamenti illeciti di altre imprese. V. MONOPOLKOMMISSION, Kartellpolitische Wende in der Europäischen Union?, Sondergutachten n. 28 vom 28. April 1999, § 55; MONOPOLKOMMISSION, Folgeprobleme der

europäischen Kartellrechtsreform, Sondergutachten n. 32 vom 30. Oktober 2001, § 20. V. su questo problema v. MARIO SIRAGUSA, Notification of Agreements in the EEC: to Notify of Not

to Notify?, in Annual proceedings of the Fordham corporate law institute, 1987, 243. La necessità di acquisire informazioni da parte della Commissione per valutare le

(presunte) violazioni antitrust delle imprese, in assenza delle informazioni fornite dalle notifiche obbligatorie per ottenere l'esenzione ex art. 81(3) TCE, rimane ovviamente presente per l'Autorità CE anche in regime del reg. 1/03.

Vedi a tal proposito la richiesta della Commissione pubblicata all'indirizzo Internet http://europa.eu.int/comm/competition/antitrust/others/ nel settembre 2004: "Market information and Complaints — "The Commission wishes to encourage citizens and undertakings to inform it about suspected infringements of the competition rules. There are two different ways to do this, one is by lodging a complaint pursuant to Article 7(2) of Regulation 1/2003. Complaints of this type must fulfil certain legal requirements. In particular, to be admissible, a complaint shall provide the information required by Form C. Exhaustive information on the handling of complaints by the Commission under Articles 81 and 82 of the EC Treaty can be found in the Commission Notice on that subject. Complaint Form "C" explains how to make a complaint regarding antitrust matters. It can also be found in all languages as an annex to: Commission Regulation (EC) No 773/2004 of 7 April 2004 relating to the conduct of proceedings by the Commission pursuant to Articles 81 and 82 of the EC Treaty".

"The other way is the provision of market information that can be provided in any form and

does not have to comply with the requirements for complaints pursuant to Article 7(2) of

Regulation 1/2003. For the latter purpose, the Commission has created a mailbox that can be

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L'Autorità CE avverte nella Comunicazione che, nel caso in cui la richiesta del provvedimento sia ritirata, tali informazioni e documenti non saranno restituiti, chiarendo quindi che essi potranno essere utilizzati in successivi procedimenti istruttori (ibidem, § 18), quindi anche contro le stesse imprese che li hanno forniti 634.

Le lettere di orientamento — proprio in quanto collegate all'orientamento della politica di concorrenza CE, anche se riguardo ad una fattispecie concreta — possono essere emanate solo dalla Commissione e non dalle Autorità nazionali; l'orientamento della politica antitrust CE è infatti competenza esclusiva della Commissione (art. 85 TCE) 635.

L'Autorità CE indica tre requisiti cumulativi perché essa pubblichi una lettera di orientamento: 1. il problema proposto non deve essere stato chiarito "né nel quadro giuridico comunitario esistente, inclusa la giurisprudenza comunitaria, né negli orientamenti generali pubblicamente disponibili, la prassi decisionale o le lettere di orientamento precedenti" (Comunicazione, § 8 lett. a); 2. vi sia utilità a chiarire il problema posto dalle imprese — utilità definita dalla Commissione tramite degli indici da essa individuati 636 — ; 3. non deve essere necessario per la Commissione operare delle indagini

used by citizens and undertakings and their associations who wish to inform the Commission about suspected infringements of Articles 81 and 82. Such information can be the starting point for an investigation by the Commission. To send information about suspected infringements by e-mail to COMP MARKET INFORMATION" (corsivo aggiunto).

634 Come indicato dalla Commissione: "Un'impresa può ritirare la richiesta in qualsiasi momento. La Commissione conserva in ogni caso le informazioni fornitele nell'ambito di una richiesta di orientamento e può utilizzarle in procedimenti successivi ai sensi del regolamento 1/2003". (Comunicazione sulle lettere di orientamento, § 18).

635 Anche nel caso di pareri ex art. 15(3) reg. 1/03 le osservazioni delle Autorità nazionali sono "in merito a questioni relative all'applicazione dell'articolo 81 o dell'articolo 82 del Trattato", ma non risolvono problemi collegati all'"applicazione uniforme dell'articolo 81 o dell'articolo 82 del Trattato" (art. 15(3) reg. 1/03), competenza, questa, esclusiva della Commissione.

636 Tali indici sono: " — l'importanza economica, dal punto di vista del consumatore, delle merci o servizi interessati dall'accordo, o dalla pratica, e/o; — la misura in cui l'accordo o pratica corrisponde o può corrispondere ad un utilizzo economico più diffuso nel mercato e/o; — l'importanza degli investimenti legati all'operazione rispetto alla dimensione delle imprese interessate e la misura in cui l'operazione costituisce un'operazione strutturale come la formazione di un'impresa comune non pienamente autonoma" (Comunicazione sulle lettere di orientamento, § 8 b).

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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supplementari per ottenere informazioni necessarie per emanare la lettera di orientamento 637.

La Commissione elenca anche due ipotesi in presenza delle quali essa non pubblicherà un simile provvedimento; e cioè: 1. i problemi oggetto della richiesta sono identici o simili a quelli sollevati in una causa pendente davanti al Tribunale di primo grado o alla Corte di giustizia europea" (Comunicazione sulle lettere di orientamento, § 9); ovvero 2. l'accordo o la pratica cui si riferisce la richiesta sono oggetto di un procedimento pendente dinanzi alla Commissione, alle Autorità antitrust o alle giurisdizioni nazionali (ibidem, § 9). In altre parole, la richiesta di lettera di orientamento non deve esser un mezzo con cui le parti di un procedimento antitrust (istruito da un'Autorità o dinnanzi ad una giurisdizione nazionale) acquisiscano indicazioni dalla Commissione su come le Autorità o le giurisdizioni nazionali debbano decidere il caso. Il reg. 1/03 definisce, infatti, altre modalità con cui tali organi possono direttamente richiedere informazioni alla Commissione — dietro loro iniziativa e senza intervento dei privati — riguardo a come orientarsi rispetto ad una specifica fattispecie (artt. 11(5) reg. 1/03 e 15 reg. 1/03).

Le Commissione si riserva comunque la discrezionalità di affrontare solo parte dei problemi proposti nella richiesta del provvedimento, così come mantiene la discrezionalità di prendere in considerazione aspetti non trattati nella richiesta stessa. Inoltre, la Commissione non indica un termine entro cui essa fornisce la lettera di orientamento. L'Autorità CE aggiunge che essa "può (…) fornire orientamenti informali alle singole imprese soltanto nella misura in cui ciò sia compatibile con le priorità in materia di applicazione" (Comunicazione sulle lettere di orientamento, § 8). Questo è ricollegato al fatto che le lettere di orientamento costituiscono un provvedimento

637 Da quanto indicato nella Comunicazione sulle lettere di orientamento: "La

Commissione in linea di massima valuterà la richiesta sulla base delle informazioni fornite. Nonostante quanto stabilito al punto 8 lettera c), la Commissione può utilizzare informazioni supplementari di cui dispone provenienti da fonti pubbliche, procedimenti precedenti o da qualsiasi altra fonte e può chiedere al richiedente/ai richiedenti di fornire informazioni supplementari. Alle informazioni fornite dal richiedente/dai richiedenti si applicano le normali regole sul segreto professionale" (ibidem, § 15). Infatti, la lettera di orientamento "può essere preparata sulla base delle informazioni fornite, non è richiesta cioè alcuna indagine supplementare" (ibidem, § 8 lett. c).

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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eccezionale che trova applicazione in assenza di altre indicazioni dalla prassi o giurisprudenza CE.

Infine, la Comunicazione prevede che le lettere di orientamento presentino una struttura standard, e cioè che siano divise in una parte in fatto e in una parte in diritto (ibidem, § 19) 638.

99. (segue) La non vincolatività delle lettere di orientamento e il loro effetto

sulla discrezionalità della Commissione. La tutela giurisdizionale delle

lettere di orientamento.

La Commissione riconosce alle lettere di orientamento l'effetto

indiretto e tipico delle Comunicazioni, cioè l'"autovincolo" sulla discrezionalità dell'Autorità CE 639. La Commissione riconosce, infatti, che se una denuncia riguarda gli stessi fatti alla base di una lettera di orientamento, essa — nella valutazione della denuncia — "terrà conto di una lettera di orientamento precedente, subordinatamente in particolare ad eventuali cambiamenti dei fatti su cui essa si fondava, ad

638 Come sostiene la Commissione: "Una lettera di orientamento contiene: — una

descrizione sintetica dei fatti su cui si basa; — la motivazione giuridica principale che è alla base dell'interpretazione da parte della Commissione delle questioni nuove e non risolte relative agli articoli 81 e/o 82 sollevate dalla richiesta" (Comunicazione sulle lettere di orientamento, § 19).

639 Come sostenuto dal Tribunale di prima istanza: "A tal riguardo, occorre ricordare che

la Commissione può imporsi indirizzi per l'esercizio dei suoi poteri discrezionali mediante atti

come gli orientamenti ora discussi, se essi contengono regole indicative sulla condotta che l'istituzione deve tenere e se non derogano alle norme del Trattato [...]. Ora, la ricorrente non ha dimostrato che gli orientamenti si discostassero dal Trattato. […] // Nell'ambito dell'ampio potere discrezionale di cui essa dispone nell'applicazione dell'art. [88], n. 3, lett. c), del Trattato, la convenuta è legittimata ad adottare i criteri che ritiene più opportuni per accertare se un aiuto possa essere dichiarato compatibile con il mercato comune, sempre ché questi criteri siano pertinenti relativamente agli artt. 3, lett. g), e [88] del Trattato. A tal

riguardo, essa può precisare i criteri che intende applicare in orientamenti conformi al Trattato (…). L'adozione da parte della Commissione di tali orientamenti deriva dall'esercizio del suo

potere discrezionale e comporta solo un'autolimitazione di questo potere nell'esame degli aiuti

considerati da questi orientamenti, nel rispetto del principio della parità di trattamento. Non si può ritenere che la Commissione, nell'esaminare un aiuto individuale alla luce di tali orientamenti, che essa ha previamente adottato, superi i limiti del suo potere discrezionale o vi rinunci. Infatti, essa conserva il potere di abrogare o di modificare questi orientamenti se le

circostanze lo impongano. D'altra parte, i detti orientamenti riguardano un settore delimitato e sono motivati dall'intento di seguire una politica che essa ha determinato", Sentenza del Tribunale di primo grado (Quinta Sezione ampliata) del 30 aprile 1998, Het Vlaamse Gewest

(Regione fiamminga) contro Commissione delle Comunità europee, causa T-214/95, Raccolta

della giurisprudenza, 1998, p. II - 717, §§ 79 - 89.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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elementi nuovi sollevati da una denuncia, a sviluppi nella giurisprudenza comunitaria o a mutamenti più generali nella politica della Commissione" (ibidem, § 24).

In questo modo la Commissione ha "edulcorato" nella forma, ma non nella sostanza, quanto indicato nella proposta della Comunicazione stessa. In quest'ultima si sosteneva che "una lettera di orientamento non vincola la successiva valutazione delle stesse questioni da parte della Commissione" (Proposta di Comunicazione sulle lettere di orientamento, § 25). La non vincolatività delle lettere di orientamento è conseguenza — così come per le cd. comfort letter emanate in regime del reg. 17/62 — della natura informale di tali provvedimenti; provvedimenti definiti da una comunicazione, atto atipico e non vincolante. Infatti, né il TCE, né il reg. 1/03 prevedono un simile atto, anche se il considerando 38 reg. 1/03 aveva "anticipato" che il regolamento lasciava "impregiudicata la capacità della Commissione di

fornire un (…) orientamento" informale. Tornando alla Comunicazione, l'Autorità CE non esclude che essa

esamini, successivamente alla pubblicazione della lettera, l'accordo o la pratica ai sensi di un procedimento formale (ibidem, § 24). Deve essere inoltre sottolineato che la mera richiesta di lettera di orientamento non esclude la competenza della Commissione di iniziare un procedimento ispettivo sull'intesa o pratica oggetto della richiesta stessa (Comunicazione sulle lettere di orientamento, § 11). In questo modo la Commissione chiarisce che la richiesta delle lettere di orientamento non determina la medesima conseguenza della notifica di una intesa ex reg. 17/62. 640. Parimenti le lettere di orientamento non limitano la

640 Ai sensi del reg. 17/62 la notifica degli accordi poteva essere un modo per ritardare le decisioni delle Autorità nazionali. Per evitare questa conseguenza la Commissione, nella Comunicazione sulla cooperazione tra Commissione e Autorità nazionali (1997), aveva definito una specifica categoria di notifiche, le quali si presumevano essere finalizzate a ritardare la decisione di merito di un'Autorità nazionale: le cd. notifiche dilatorie. Le "notifiche dilatorie", nelle parole della Commissione, riguardavano "il caso in cui un'impresa confrontata con il rischio che l'intesa venga vietata nell'ambito di un procedimento avviato da un'Autorità nazionale in applicazione dell'articolo 81, paragrafo 1, o del diritto nazionale, notifichi l'accordo contestato alla Commissione chiedendo un'esenzione ai sensi dell'articolo [81], paragrafo 3 del Trattato. Siffatta notificazione ha lo scopo di indurre la Commissione ad avviare un procedimento in applicazione degli articoli 2, 3 o 6 del regolamento n. 17 e, pertanto, di sottrarre alle Autorità degli Stati membri, in virtù dell'articolo 9, paragrafo 3 dello stesso regolamento, la competenza ad applicare le disposizioni dell'articolo [81] paragrafo 1" (ibidem, § 55 ss): sul punto con riferimento al

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valutazione degli organi giurisdizionali CE sulla medesima fattispecie antitrust 641. Infine, le lettere di orientamento non vincolano le Autorità o le giurisdizioni nazionali competenti ad applicare il diritto antitrust CE (ibidem, § 25) 642.

In considerazione della natura non vincolante delle lettere di orientamento è da escludersi la tutela giurisdizionale di tali provvedimenti, così come era già stata esclusa per altri strumenti informali della Commissione (ad es., le comfort letter).

100. (segue) Il paragone tra lettere di orientamento, decisioni di

"constatazione di inapplicabilità" (art. 10 reg. 1/03), lettere

amministrative (cd. comfort letter) e provvedimenti di attestazione

negativa (art. 2 reg. 17/62).

Al fine di delineare le caratteristiche delle lettere di orientamento, è

utile presentare gli elementi di distinzione tra questo provvedimento informale ed altre misure previste dal reg. 1/03 e dal reg. 17/62.

In primo luogo, le lettere di orientamento si distinguono dalle decisioni di "constatazione di inapplicabilità" (art. 10 reg. 1/03) in quanto le prime sono rivolte al chiarimento di singoli casi concreti sollevati direttamente dalle imprese (e quindi emanate in assenza di interesse pubblico comunitario). Al contrario, la "constatazione di inapplicabilità" è emanata d'ufficio dalla Commissione solo in presenza di interesse pubblico comunitario.

Inoltre, sebbene solo le decisioni ex art. 10 reg. 1/03 dovrebbero acquisire un carattere di generalità — proprio in considerazione della pubblicazione di queste in presenza di interesse pubblico comunitario — anche le lettere di orientamento acquistano però — tenendo presente tutte le differenze supra esposte e con tutti i limiti derivanti dalla

rapporto tra notifiche dilatorie e art. 1 l. n. 287/90, v. LORENZO FEDERICO PACE, Il sistema

italiano di tutela, a nota 420, § 7. 641 La Comunicazione sulle lettere di orientamento recita infatti: "Una lettera di

orientamento non può pregiudicare la valutazione della stessa questione da parte degli organi giurisdizionali comunitari" (ibidem, § 23).

642 La Commissione ricorda però: "Tuttavia le Autorità garanti della concorrenza e le giurisdizioni degli Stati membri possono tenere conto delle lettere di orientamento emesse dalla Commissione nella maniera che esse giudichino conveniente nell'ambito di un caso specifico" (Comunicazione sulle lettere di orientamento, § 25).

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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mancanza di vincolatività delle stesse — un valore generale. Questo in quanto le lettere di orientamento — da quanto annunciato dalla Commissione — sono rese pubbliche sul sito Internet della Commissione. Ciò attribuirà a tale provvedimento la funzione di fornire delle indicazioni di massima per casi successivi 643.

In secondo luogo, raffrontando le lettere di orientamento e i provvedimenti del reg. 17/62, le lettere di orientamento sono riconducibili — per alcuni aspetti — alle lettere amministrative (cd. comfort letter) e — per altri — ai provvedimenti di attestazione negativa (art. 2 reg. 17/62).

Con riguardo alle cd. comfort letter, le lettere di orientamento non sono vincolanti, così come non lo erano le cd. lettere amministrative. Il campo di applicazione delle lettere di orientamento è però più limitato. Le cd. comfort letter, infatti, erano dirette al chiarimento dell'applicazione dell'art. 81(3) TCE (ad es., richiesta di esenzione individuale, applicabilità di regolamento di esenzione). Al contrario, le lettere di orientamento possono essere pubblicate sia con riferimento all'art. 81(1), sia all'art. 81(3), sia all'art. 82 TCE. Inoltre, le lettere amministrative erano emanate a prescindere dal fatto che la fattispecie oggetto della notifica fosse stata già oggetto di un precedente provvedimento di autorizzazione ex art. 81(3) TCE. Al contrario, le lettere di orientamento possono essere emanate solo per casi non precedentemente oggetto di valutazione dalla prassi della Commissione o dalla giurisprudenza CE.

A ben vedere la differenza tra i due provvedimenti è da individuarsi nella loro rispettiva ratio. Le cd. comfort letter, infatti, sono state definite in conseguenza dell'obbligo di notifica delle intese ex reg. 17/62. Esse avevano la funzione di fornire alle imprese rapidamente una indicazione di massima — non vincolante — sul riconoscimento dell'esenzione ex art. 81(3) TCE ad una specifica intesa 644. Al contrario, le lettere di orientamento sono elaborate dalla Commissione principalmente (anche se non solo) in conseguenza dell'(illegittimo) "effetto diretto " riconosciuto all'art. 81(3) TCE ex art. 6 reg. 1/03 (e

643 Comunicazione sulle lettere di orientamento, § 21. 644 Le cd. comfort letter sono state definite in conseguenza dell'interpretazione rigida

della Commissione riguardo all'art. 81(1) TCE e dal conseguente alto numero di notifiche presentate dalla imprese per ottenere l'esenzione ex art. 81(3); sul punto v. supra.

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quindi dell'applicabilità diretta da parte delle giurisdizioni nazionali di tale norma) e non in conseguenza della notifica preventiva delle intese per ottenere l'esenzione ex art. 81(3) TCE.

Passando al confronto con i provvedimenti di attestazione negativa

disciplinati dal reg. 17/62, le lettere di orientamento si riferiscono non solo agli artt. 81(1) e 82 TCE — come per i provvedimenti ex art. 2 reg. 17/62 — ma anche all'art. 81(3) TCE. Inoltre, i provvedimenti di attestazione negativa erano vincolanti per le parti riguardo alla singola intesa o pratica da esse presentate. Diversamente, le lettere di orientamento non sono vincolanti, salvo l'auto-vincolo per la Commissione, chiarito supra, riguardo alla propria discrezionalità.

II. Le sanzioni

101. Le ammende (art. 23 reg. 1/03) e le penalità di mora (art. 24 reg. 1/03).

Il significato paradigmatico, rispetto alla "politica di decentramento

antitrust" del reg. 1/03, della prescrizione del potere della Commissione

in materia di imposizione e di esecuzione delle sanzioni (art. 25(3) reg.

1/03). Il principio della durata ragionevole dei procedimenti.

Una ulteriore importante novità del reg. 1/03 riguarda la

prescrizione dei poteri sanzionatori della Commissione. In via generale, il reg. 1/03 prevede al capitolo VI — rubricato come "Sanzioni" — che l'Autorità CE possa comminare nei confronti delle imprese sia ammende (art. 23 reg. 1/03) 645 che penalità di mora (art. 24 reg. 1/03) 646.

645 L'art. 23 reg. 1/03 disciplina due categorie di ammende. La prima categoria riguarda

la violazione degli obblighi conseguenti all'esercizio da parte della Commissione e delle Autorità nazionali dei poteri di indagine (capitolo V, art. 17 reg. 1/03 ss.). Tali violazioni sono punite con un'ammenda "il cui importo può giungere fino all'1 % del fatturato totale realizzato durante l'esercizio sociale precedente [se esse sono compiute] intenzionalmente o per negligenza".

L'art. 23(1) reg. 1/03 recita: "La Commissione può, mediante decisione, irrogare (…) ammende il cui importo può giungere fino all'1% del fatturato totale realizzato durante l'esercizio sociale precedente, quando esse, intenzionalmente o per negligenza: a) forniscono informazioni inesatte o fuorvianti in risposta a una domanda rivolta a norma dell'articolo 17 o dell'articolo 18, paragrafo 2; b) in risposta ad una richiesta formulata mediante decisione adottata ai sensi dell'articolo 17 o dell'articolo 18, paragrafo 3, forniscono informazioni inesatte, incomplete o fuorvianti oppure non forniscono le informazioni entro il termine stabilito; c) presentano in maniera incompleta, nel corso degli accertamenti effettuati a norma dell'articolo 20, i libri o altri documenti richiesti, connessi all'azienda, o

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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Inoltre, l'art. 31 reg. 1/03 ha stabilito riguardo alle sanzioni — e in attuazione dell'art. 83(2) lett. d TCE e dell'art. 229 TCE — che "la Corte di giustizia ha competenza giurisdizionale anche di merito per decidere sui ricorsi presentati avverso le decisioni con le quali la Commissione irroga un'ammenda o una penalità di mora. Essa può estinguere, ridurre o aumentare l'ammenda o la penalità di mora irrogata".

Il reg. 1/03 disciplina, quale parte integrante del provvedimento — a differenza del reg. 17/62 — la prescrizione del potere d'imposizione di sanzioni (art. 25 reg. 1/03 647) — o, come definito dal reg. 2988/74, la

disposizioni dell'articolo 81 o dell'articolo 82 del Trattato conformemente a una decisione adottata in applicazione dell'articolo 7; b) a rispettare una decisione che dispone provvedimenti provvisori in applicazione dell'articolo 8; c) a rispettare un impegno reso obbligatorio mediante decisione ai sensi dell'articolo 9; d) a fornire in maniera completa ed esatta un'informazione richiesta mediante decisione adottata ai sensi dell'articolo 17 o dell'articolo 18, paragrafo 3; e) a sottoporsi agli accertamenti che essa ha ordinato mediante decisione adottata ai sensi dell'articolo 20, paragrafo 4". L'importo delle penalità di mora "può giungere fino al 5 per cento del fatturato medio giornaliero realizzato durante l'esercizio sociale precedente per ogni giorno di ritardo a decorrere dalla data fissata nella decisione" (art. 24(1) reg. 1/03). Il reg. 1/03 riconosce alla Commissione, "quando le imprese o associazioni di imprese hanno adempiuto all'obbligo per la cui osservanza è stata inflitta la penalità di mora", la facoltà di "fissare l'ammontare definitivo [delle penalità di mora] in una misura inferiore a quella che risulta dalla decisione originaria" (art. 24(2) reg. 1/03).

Anche alle penalità di mora "si applicano per analogia le disposizioni dell'articolo 23, paragrafo 4" reg. 1/03 relative al pagamento delle sanzioni da parte delle associazioni di imprese. L'art. 24(1) reg. 1/03 recita: "La Commissione può, mediante decisione, irrogare alle imprese e associazioni di imprese penalità di mora il cui importo può giungere fino al 5 per cento del fatturato medio giornaliero realizzato durante l'esercizio sociale precedente per ogni giorno di ritardo a decorrere dalla data fissata nella decisione".

647 L'art. 25(1) reg. 1/03 recita: "I poteri conferiti alla Commissione in virtù degli articoli 23 e 24 sono soggetti ai termini di prescrizione seguenti: a) tre anni per le infrazioni alle disposizioni relative alla richiesta di informazioni o all'esecuzione di accertamenti; b) cinque anni per le altre infrazioni". L'art. 25(2) reg. 1/03 prescrive: "La prescrizione decorre dal giorno in cui è stata commessa l'infrazione. Tuttavia, per quanto concerne le infrazioni continuate o ripetute, la prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata l'infrazione". L'art. 25(3) reg. 1/03 disciplina l'interruzione della prescrizione. In particolare, esso recita: "La prescrizione riguardante l'imposizione di ammende o di penalità di mora si interrompe con qualsiasi atto della Commissione o dell'Autorità garante della concorrenza di uno Stato membro destinato all'accertamento o alla repressione dell'infrazione. La prescrizione è interrotta a partire dal giorno in cui l'atto è notificato ad almeno un'impresa, o associazione di imprese, che abbia partecipato all'infrazione. Gli atti interruttivi della prescrizione comprendono in particolare: a) le domande scritte di informazioni formulate dalla Commissione o da un'Autorità garante della concorrenza di uno Stato membro; b) i mandati scritti ad eseguire accertamenti rilasciati ai propri agenti dalla Commissione o da un'Autorità garante della concorrenza di uno Stato membro; c) l'avvio di un procedimento da parte della Commissione o di un'Autorità garante della concorrenza di uno Stato

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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"prescrizione dell'azione" — e la prescrizione in materia di esecuzione delle sanzioni (art. 26 reg. 1/03) 648.

La disciplina degli artt. 25 e 26 reg. 1/03 — che recepisce quasi pedissequamente il contenuto del reg. 2988/74 — si riferisce — come già il reg. 2988/74 — esclusivamente alla prescrizione dei poteri della Commissione e non dei poteri delle Autorità nazionali 649. Da ciò consegue che la prescrizione dei poteri delle Autorità nazionali rimane disciplinato dalle normative nazionali nei limiti dei principi generali del diritto CE (ad es., il principio di eguaglianza, il principio di effettività).

La prescrizione del potere di azione della Commissione e del potere di esecuzioni delle decisioni relative alle ammende e alle penalità di mora non deve essere però confuso con "il principio della durata ragionevole dell'adozione di decisioni a conclusione di procedimenti

membro; d) la comunicazione degli addebiti mossi dalla Commissione o da un'Autorità garante della concorrenza di uno Stato membro". L'art. 25(4) reg. 1/03 disciplina i soggetti nei confronti dei quali ha effetto l'interruzione della prescrizione; in particolare esso recita: "L'interruzione della prescrizione vale nei confronti di tutte le imprese ed associazioni di imprese che abbiano partecipato all'infrazione". L'art. 25(5) reg. 1/03 disciplina il termine massimo in cui il potere della Commissione possa essere esercitato; esso prevede che "per effetto dell'interruzione si inizia un nuovo periodo di prescrizione. La prescrizione opera tuttavia al più tardi allo spirare del doppio del termine previsto, se la Commissione non ha irrogato un'ammenda o una penalità di mora entro tale termine. Detto termine è prolungato della durata della sospensione in conformità al paragrafo 6" (norma così prevista già ex art. 2(3) reg. 2988/74). L'art. 25(6) reg. 1/03 disciplina la sospensione della prescrizione, prevedendo che "la prescrizione in materia di imposizione di ammende o di penalità di mora rimane sospesa per il tempo in cui pende dinanzi alla Corte di giustizia un ricorso contro la decisione della Commissione".

648 L'art. 26 reg. 1/03 disciplina la prescrizione in materia d'esecuzione delle sanzioni, o come il reg. 2988/74 indicava, "la prescrizione dell'esecuzione delle decisioni che comminano ammende, sanzioni o penalità di mora". L'art. 26(1) reg. 1/03 recita: "Il potere della Commissione di procedere all'esecuzione delle decisioni adottate ai sensi degli articoli 23 e 24 si prescrive dopo cinque anni". Riguardo all'inizio della prescrizione, l'art. 26(2) reg. 1/03 recita: "La prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui la decisione è divenuta inoppugnabile". L'art. 26(4) reg. 1/03 recita: "Dopo ogni interruzione inizia un nuovo periodo di prescrizione". L'art. 26(5) reg. 1/03 prescrive, con riferimento alla sospensione della prescrizione del potere di esecuzione delle sanzioni, che "la prescrizione in materia di esecuzione delle sanzioni è sospesa: a) per tutto il periodo nel quale è consentito il pagamento; b) per tutto il periodo nel quale l'esecuzione forzata è sospesa in virtù di una decisione della Corte di giustizia".

649 La norma prevede infatti, con riferimento alle disposizioni in materia di sanzioni, che "i poteri conferiti alla Commissione in virtù degli articoli 23 e 24 sono soggetti ai termini di prescrizione" (art. 25(1) reg. 1/03). Con riferimento alla prescrizione del potere di azione, l'art. 26(1) reg. 1/03 prevede che "il potere della Commissione di procedere all'esecuzione delle decisioni adottate ai sensi degli articoli 23 e 24 si prescrive dopo cinque anni".

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amministrativi in materia di politica di concorrenza" 650. Tale principio relativo alla durata ragionevole dei procedimenti — disciplinato nell'ordinamento italiano tramite la decadenza dell'esercizio dei poteri dell'Autorità antitrust, v. infra — costituisce un principio generale del diritto comunitario ed è collegato al principio di sana amministrazione. La giurisprudenza CE a tale riferimento ha sostenuto che "la Commissione non può procrastinare sine die la sua presa di posizione e che, per garantire la certezza del diritto ed una tutela giuridica adeguata, la Commissione deve prendere una decisione o inviare una lettera amministrativa quando tale lettera sia stata richiesta, entro un termine ragionevole" 651.

Riguardo alla disciplina della prescrizione, la principale modifica che il reg. 1/03 apporta alla disciplina del reg. 2988/74 concerne gli atti che ne determinano l'interruzione. A tal riguardo l'art. 25(3) reg. 1/03 prevede quanto segue: "La prescrizione riguardante l'imposizione di ammende o di penalità di mora si interrompe con qualsiasi atto della Commissione o dell'Autorità garante della concorrenza di uno Stato

membro destinato all'accertamento o alla repressione dell'infrazione" (corsivo aggiunto) 652. Anche la normativa del reg. 2988/74 prevedeva tra gli atti che interrompevano la prescrizione i comportamenti posti in essere dalle Autorità nazionali, ma solo nell'ipotesi in cui le Autorità nazionali avessero svolto attività ispettiva delegata dalla Commissione 653.

650 V. Sentenza del Tribunale di primo grado (Terza Sezione) del 19 marzo 2003, CMA

CGM e altri contro Commissione delle Comunità europee, causa T-213/00, Raccolta della

giurisprudenza, 2003, p. II - 913. 651 V. Sentenza del Tribunale di primo grado (Terza Sezione) del 19 marzo 2003, CMA

CGM e altri contro Commissione delle Comunità europee, causa T-213/00, Raccolta della

giurisprudenza, 2003, p. II - 913, § 318. Secondo tale giurisprudenza "il carattere ragionevole della durata del procedimento deve essere valutato in funzione delle circostanze proprie di ciascuna causa e, in particolare, del loro contesto del comportamento delle parti nel corso del procedimento, della rilevanza della causa per le diverse imprese interessate e del suo grado di complessità", § 318.

652 L'art. 26 reg. 1/03 recita: "La prescrizione in materia di esecuzione delle sanzioni è interrotta: a) dalla notificazione di una decisione che modifica l'ammontare iniziale dell'ammenda o della penalità di mora, oppure respinge una domanda intesa ad ottenere una tale modifica; b) da ogni atto compiuto dalla Commissione o da uno Stato membro su richiesta della Commissione, ai fini dell'esecuzione forzata dell'ammenda o della penalità di mora".

653 Il reg. 2988/74 determinava l'interruzione della prescrizione del potere della Commissione a fronte del fatto che l'attività ispettiva delle Autorità nazionali fosse stata ordinata dalla Commissione e delegata alle Autorità nazionali. L'art. 1 reg. 2988/74 recitava:

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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In altre parole, intanto l'atto dell'Autorità nazionale aveva effetto sulla prescrizione del potere della Commissione, in quanto esso era esercizio della competenza antitrust da parte della Commissione stessa, anche se concretizzato successivamente in un provvedimento delegato delle Autorità nazionali. Questo era conseguenza dell'impostazione di principio — determinata dalla situazione di fatto di quel momento storico — secondo cui la Commissione e le Autorità nazionali svolgevano la loro attività in sistemi antitrust distinti (sistema antitrust CE e sistema antitrust degli Stati membri). In questo senso, la Commissione svolgeva la funzione di tutelare gli artt. 81 e 82 TCE, mentre le Autorità nazionali — ove esistenti — tutelavano la concorrenza nei rispettivi Stati membri secondo la normativa nazionale.

Al contrario, l'art. 25(3) reg. 1/03 collega delle conseguenze per il potere della Commissione anche tramite atti delle Autorità nazionali che non siano esercizio della competenza antitrust (anche se delegata) della Commissione stessa (la prescrizione avviene "con qualsiasi atto (…) dell'Autorità garante della concorrenza di uno Stato membro destinato

all'accertamento o alla repressione dell'infrazione" in applicazione del diritto antitrust CE).

Per comprendere la previsione dell'art. 25(3) reg. 1/03 è necessario prendere in considerazione la norma della proposta di regolamento del 2000 che disciplinava la competenza esclusiva del diritto antitrust CE per le fattispecie di rilevanza comunitaria (art. 3 della proposta di regolamento 2000). La previsione della competenza esclusiva permetteva alla Commissione di controllare le decisioni delle Autorità nazionali — in ultima istanza — tramite l'avocazione del caso. In considerazione dell'art. 3 della proposta era infatti necessario

"La prescrizione dell'azione si interrompe con qualsiasi atto della Commissione o di uno Stato membro, su richiesta della Commissione, ai fini dell'accertamento o della repressione dell'infrazione". Conseguentemente, l'apertura di un procedimento da parte della Commissione non determinava la prescrizione dell'azione dell'Autorità nazionale. In particolare l'art. 1(1) seconda parte reg. 2988/74 recitava: "Costituiscono in particolare atti interruttivi della prescrizione: a) le domande scritte di informazioni della Commissione o dell'Autorità competente di uno Stato membro, su richiesta della Commissione, nonché le decisioni con cui la Commissione esige le informazioni richieste; b) i mandati scritti di accertamento rilasciati ai propri agenti dalla Commissione o dall'Autorità competente di uno

Stato membro, su richiesta della Commissione, nonché le decisioni con cui la Commissione ordina accertamenti; c) l'apertura di un procedimento da parte della Commissione; d) la comunicazione degli addebiti mossi dalla Commissione" (corsivo aggiunto).

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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permettere alla Commissione di poter avocare sempre i casi valutati dalle Autorità nazionali ai sensi del diritto antitrust CE per garantire l'applicazione coerente della politica di concorrenza comunitaria. Nella vigenza del reg. 2988/74 poteva infatti accadere, in assenza di termini comuni a livello CE e a livello degli Stati membri relativi alla prescrizione del potere d'imposizione delle sanzioni, un fatto limitante il controllo della Commissione. Infatti, le Autorità nazionali avrebbero potuto iniziare un procedimento ai sensi del diritto antitrust CE nei confronti di una fattispecie in un momento in cui il potere della Commissione di imposizione delle sanzioni con riferimento a quella specifica fattispecie fosse già prescritto. In questa eventualità la Commissione — nel sistema della proposta di regolamento del 2000 — non avrebbe potuto più avocare a sé il caso, perdendo — in ultima istanza — il controllo sulle decisioni delle Autorità nazionali e quindi il controllo sull'applicazione uniforme del diritto antitrust CE.

Il nuovo elenco di atti che determinano la sospensione della prescrizione del potere della Commissione — cioè anche tramite autonomi atti istruttori delle Autorità nazionali non delegati dalla Commissione — si è mantenuta anche nel reg. 1/03, e ciò non ostante la riduzione della competenza esclusiva del diritto antitrust CE per le fattispecie rientranti nel divieto di cui all'art. 81 TCE (art. 3(2) reg. 1/03). L'art. 25(3) reg. 1/03 permette infatti alla Commissione di avocare in qualunque momento 654 le fattispecie che abbiano effetto sul commercio tra gli Stati membri e siano oggetto di un procedimento istruttorio di un'Autorità nazionali; e ciò a prescindere dal momento in cui il comportamento oggetto di valutazione sia stato posto in essere.

La nuova modalità di interruzione della prescrizione del potere d'imposizione di ammende o di penalità di mora della Commissione è quindi paradigmatica 655. Il reg. 17/62 prevedeva una situazione in cui la

654 Ma vedi i limiti a ciò previsti prima dal Consiglio e poi recepiti dalla Commissione

nella relativa Comunicazione sulla Rete, v. infra nel § sul potere di avocazione. 655 Riguardo al testo dell'art. 25(5) reg. 1/03, v. infra nota 648, p. 324. Tale modifica è

resa necessaria al fine di permettere l'efficacia del controllo del sistema antitrust CE e l'efficacia della funzione di orientamento della politica di concorrenza della Commissione; e cioè che la Commissione, nel caso in cui le Autorità nazionali — in quanto più vicine alla realtà dei singoli Stati membri — individuino una (presunta) fattispecie anticoncorrenziale di rilevanza comunitaria, disponga sempre del potere di avocare a sé tale fattispecie. Questo,

SOTTOSEZIONE II

LE AUTORITÀ NAZIONALI

SOMMARIO: — I. — Gli organi nazionali partecipanti al sistema europeo di tutela

amministrativa antitrust. — 102. La disciplina del reg. 1/03 riguardo alle Autorità nazionali. Gli obblighi di risultato diretti agli Stati membri (art. 35 reg. 1/03). — II. —

La competenza. — 103. A) La competenza antitrust delle Autorità nazionali (art. 5 reg. 1/03). I ruoli svolti dalla Commissione e dalle Autorità nazionali ai sensi della competenza attribuita ex reg. 1/03. — 104. (segue) I casi di perdita della competenza antitrust da parte delle Autorità nazionali (art. 11(6) reg. 1/03). L'avocazione della competenza come forma di collaborazione delle Autorità nazionali nella Rete. I motivi del divieto di procedimenti paralleli tra Commissione e Autorità nazionali ai sensi del diritto antitrust europeo. — 105. (segue) La necessità di prevedere procedimenti nazionali per l'applicazione del diritto antitrust europeo da parte delle Autorità nazionali. La distinzione tra competenza ex art. 5 reg. 1/03 e vincoli derivanti dal diritto antitrust europeo. — 106. (segue) I poteri delle Autorità nazionali compresi nella competenza antitrust europea: l'"armonizzazione" delle decisioni delle Autorità nazionali. Il potere generale delle Autorità relativo alla revoca delle autorizzazioni dei regolamenti di esenzione. — 107. B) L'esercizio della competenza. La facoltà di archiviazione delle denunce e l'obbligo di inizio di un procedimento istruttorio (l'art. 5 ultima parte reg. 1/03). La differenza tra l'obbligo di apertura di un procedimento delle Autorità nazionali ex art. 5 ultima parte reg. 1/03 e l'obbligo della Commissione di iniziare un procedimento per casi di "interesse comunitario". — 108. (segue) L'applicazione uniforme del diritto antitrust europeo (art. 16(2) reg. 1/03). La distinzione tra l'art. 16(2) reg. 1/03 e gli artt. 3(2) e 3(3) reg. 1/03. — 109. (segue) L'esercizio della competenza antitrust europea e le modifiche nei rapporti tra Commissione e Autorità nazionali ex reg. 1/03 rispetto al reg. 17/62. — 110. C) I rapporti tra competenza antitrust europea e competenza antitrust statale di cui sono titolari le Autorità nazionali. Gli aspetti relativi a alla legge antitrust italiana (art. 1 l. n. 287/90). — III. — Le sanzioni. — 111. I poteri sanzionatori delle Autorità nazionali. La prescrizione e la decadenza dei relativi poteri.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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I. Gli organi nazionali partecipanti al sistema europeo di tutela

amministrativa antitrust

102. La disciplina del reg. 1/03 riguardo alle Autorità nazionali. Gli

obblighi di risultato diretti agli Stati membri (art. 35 reg. 1/03).

Le Autorità nazionali, in conseguenza dell'importante ruolo che

esse svolgono per il funzionamento del sistema disciplinato dal reg. 1/03, sono oggetto di una penetrante regolamentazione riguardo sia all'attribuzione della competenza antitrust CE di cui sono titolari, sia riguardo all'esercizio della stessa, sia riguardo agli organi che devono esercitare tale competenza.

Con riferimento a questo ultimo punto, il reg. 1/03 obbliga gli Stati membri ad istituire ed individuare gli organi che applichino gli artt. 81 e 82 TCE 656 (art. 35(1) reg. 1/03) 657 — al contrario del reg. 17/62, il quale non lo prevedeva, v. supra § 67 — 658.

L'obbligo sugli Stati membri di individuare gli organi che svolgano il ruolo di Autorità nazionali ex reg. 1/03 non interessa però la discrezionalità di essi nel decidere la struttura e le caratteristiche delle rispettive Autorità (e quindi il livello di autonomia di cui esse

656 Il considerando 8 reg. 1/03 prevede che "è necessario imporre alle Autorità garanti della concorrenza e alle giurisdizioni degli Stati membri di applicare anche gli articoli 81 e 82 del Trattato allorché applicano il diritto nazionale in materia di concorrenza ad accordi e prassi che possono pregiudicare il commercio tra Stati membri".

657 L'art. 35(1) reg. 1/03 (rubricato come "Designazione delle Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri") prevede, infatti, che "gli Stati membri designano l'Autorità o le Autorità garanti della concorrenza responsabili dell'applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato in modo da garantire un'efficace conformità alle disposizioni del presente regolamento. Le misure necessarie per conferire a tali autorità il potere di applicare detti articoli sono adottate entro il 10 maggio 2004. Tra le Autorità designate possono figurare le giurisdizioni nazionali".

658 Il reg. 17/62, al contrario, non disciplinava l'obbligo degli Stati membri di istituire o individuare un'Autorità nazionale. Questo in quanto il regime ex reg. 17/62 aveva quale principale obiettivo la definizione delle modalità di applicazione dell'art. 81(3) TCE e l'attribuzione dei relativi poteri alla Commissione.

Il fatto che il reg. 17/62 non prescrivesse l'esistenza di organi nazionali che applicassero il diritto antitrust CE — come già chiarito nella sent. Walt Wilhelm — ha caratterizzato la prassi della Commissione dall'inizio degli anni '90. In considerazione di ciò, e della lenta istituzione di Autorità antitrust statali, la Commissione aveva tentato di trasferire a tali Autorità — ma lentamente anche alle giurisdizioni nazionali — la responsabilità della tutela antitrust CE.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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dispongono rispetto ad altri organi statali o rispetto all'influenza di soggetti privati — il reg. 1/03 riconosce anche la facoltà per gli Stati membri di individuare quale Autorità uno specifico giudice nazionale 659 —); ciò salvo alcuni vincoli. Infatti, il reg. 1/03 obbliga l'istituzione (o l'individuazione) di un'Autorità nazionale ex art. 3(1) reg. 1/03, e prevede per gli Stati membri un obbligo (anche se generico) "di risultato" relativamente ai mezzi finanziari e di personale da attribuire alle Autorità nazionali. L'art. 35 reg. 1/03 prescrive infatti che "gli Stati membri designano l'Autorità o le Autorità garanti della concorrenza responsabili dell'applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato in modo da garantire un'efficace conformità alle disposizioni del presente regolamento".

Le Autorità nazionali così determinate non sono titolari esclusivamente dell'applicazione del diritto antitrust CE; esse svolgono ulteriori compiti all'interno della cd. Rete. Infatti, le Autorità designate ex art. 35 reg. 1/03 costituiscono anche gli organi che partecipano al Comitato consultivo (art. 14(2) reg. 1/03); sono titolari del potere di presentare memorie in cause relative agli artt. 81 e 82 TCE (art. 15(3) reg. 1/03).

II. La competenza

103. A) La competenza antitrust delle Autorità nazionali (art. 5 reg. 1/03).

I ruoli svolti dalla Commissione e dalle Autorità nazionali ai sensi della

competenza attribuita ex reg. 1/03.

Oltre ad alcune caratteristiche delle Autorità nazionali, il reg. 1/03

disciplina inoltre — in considerazione della finalità del regolamento — la competenza di cui le Autorità nazionali sono titolari e le modalità di esercizio della stessa.

659 L'art. 35(2) reg. 1/03 recita: "Qualora l'applicazione del diritto comunitario in

materia di concorrenza sia demandata ad Autorità amministrative e giudiziarie nazionali, gli Stati membri possono attribuire competenze e funzioni a tali Autorità nazionali, sia amministrative che giudiziarie". L'art. 35(2) reg. 1/03 riconosce, quindi, la possibilità che le Autorità nazionali possano essere giurisdizioni nazionali, oltre a riconoscere che possa sussistere più di un'Autorità nazionale per ogni Stato membro.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

332

Infatti, l'art. 5 reg. 1/03 attribuisce alle Autorità nazionali, così come per la Commissione — e come (illegittimamente) previsto anche per le giurisdizioni nazionali — la competenza ad applicare "gli artt. 81 e 82 del Trattato in casi individuali".

L'art. 5 reg. 1/03 attribuisce alle Autorità nazionali la competenza ad applicare non solo gli artt. 81(1) TCE e 82 TCE — come già previsto dal reg. 17/62 — ma anche l'art. 81(3) TCE. L'applicabilità dell'art. 81(3) TCE da parte delle Autorità nazionali, rispetto al precedente sistema di applicazione, è conseguenza della modifica di due differenti elementi del reg. 17/62: 1. la soppressione della competenza esclusiva della Commissione per l'art. 81(3) TCE e, contemporaneamente, l'attribuzione della generale competenza antitrust CE (riguardo agli artt. 81(1), 81(3) e 82 TCE) agli organi del sistema antitrust. Questo è stato previsto ai sensi degli artt. 4 reg. 1/03 (competenza della Commissione) e 5 reg. 1/03 (competenza delle Autorità nazionali); 2. l'abolizione del sistema preventivo di notifica alla Commissione delle intese, sistema precedentemente disciplinato dal reg. 17/62. Ai sensi del nuovo sistema, l'applicazione dell'art. 81(3) TCE non richiede più la notifica dell'intesa. Ai sensi del reg. 1/03 l'eccezione di cui all'art. 81(3) TCE è riconosciuta — nel caso in cui sussistano i presupposti — direttamente al momento della valutazione dell'art. 81(1) TCE.

Concludendo l'analisi dell'aspetto relativo alla competenza antitrust attribuita alle Autorità nazionali ai sensi del reg. 1/03, è interessante valutare se i poteri di cui le Autorità nazionali sono titolari, determinino delle modifiche nei rapporti tra Commissione e Autorità nazionali rispetto al reg. 17/62.

A ben vedere, i poteri attribuiti dalla competenza antitrust alle Autorità nazionali coincidono — a differenza del reg. 17/62 — con quelli della Commissione. Il reg. 1/03 riconosce infatti alle Autorità nazionali anche la competenza ad applicare l'art. 81(3) TCE. Ma a fronte dell'equivalenza di tali poteri, le Autorità nazionali continuano a svolgere un ruolo subordinato alla Commissione; ciò in considerazione della competenza esclusiva di orientamento della politica antitrust CE di cui è titolare la Commissione (art. 85 TCE). Sotto questo aspetto il nuovo "principio di cooperazione" tra Commissione e Autorità nazionali (art. 11(1) reg. 1/03, v. infra) non modifica i termini della

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

333

questione; anzi, il reg. 1/03 chiarisce ulteriormente la subordinazione delle Autorità nazionali alla Commissione tramite le seguenti norme: in

primo luogo, la disciplina dell'avocazione della competenza antitrust CE (art. 11(6) reg. 1/03), già prevista all'art. 9(3) reg. 17/62; in secondo luogo, i procedimenti di controllo della Commissione nei confronti delle decisioni ex artt. 81 e 82 TCE delle Autorità nazionali (art. 11(4) reg. 1/03); in terzo luogo, la facoltà della Commissione di presentare osservazioni alle giurisdizioni nazionali esclusivamente per la tutela "dell'applicazione uniforme dell'articolo 81 e 82 del Trattato" (artt. 15(3) reg. 1/03 e 15(4) reg. 1/03, corollario questo della competenza di orientamento della politica antitrust della Commissione) 660; in quarto

luogo, le "lettere di orientamento" — provvedimento previsto dalla Commissione nella relativa Comunicazione — sono emanate esclusivamente dalla Commissione e non dalle Autorità nazionali (la Commissione in tali provvedimenti delinea, infatti, la politica antitrust CE su nuove fattispecie non oggetto di precedente prassi o giurisprudenza CE, v. supra § 98 661).

104.(segue) I casi di perdita della competenza antitrust da parte delle

Autorità nazionali (art. 11(6) reg. 1/03). L'avocazione della competenza

come forma di collaborazione delle Autorità nazionali nella Rete. I

motivi del divieto di procedimenti paralleli tra Commissione e Autorità

nazionali ai sensi del diritto antitrust europeo.

Oltre a definire la competenza di cui le Autorità nazionali sono

titolari, il reg. 1/03 disciplina anche i casi di perdita della competenza stessa. Infatti, l'art. 11(6) reg. 1/03 prescrive la perdita della competenza delle Autorità nazionali a seguito dell'apertura di un procedimento

660 Nella medesima ipotesi le Autorità nazionali possono presentare alle giurisdizioni

nazionali osservazioni esclusivamente "in merito a questioni relative all'applicazione dell'articolo 81 o dell'articolo 82 del Trattato" (art. 15(3) reg. 1/03).

Tale potere di intervento delle Autorità nazionali, in particolare, mostra anche in questo caso la tendenza del reg. 1/03 al decentramento dell'attività di tutela antitrust — anche se con le particolarità dell'art. 15(3) reg. 1/03 —; e ciò non solamente riguardo all'espressa applicazione del diritto antitrust CE, ma anche con riferimento all'attività di consulenza dalla Commissione alle Autorità nazionali.

661 Il ruolo delle Autorità nazionali, in tale contesto, è limitato ad un'eventuale scambio di valutazioni tra Commissione e Autorità nazionali; v. infra.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

334

della Commissione 662. In particolare, l'esercizio della competenza di cui all'art. 5 reg. 1/03 è esclusa per quelle fattispecie nei confronti delle quali la Commissione abbia iniziato un procedimento ai sensi del reg. 1/03 (art. 11(6) reg. 1/03). L'art. 11(6) reg. 1/03 non si applica alle giurisdizioni nazionali, salvo il caso in cui l'Autorità nazionale sia costituita da un giudice 663.

662 In particolare l'art. 11(6) reg. 1/03 prescrive che "l'avvio di un procedimento da parte

della Commissione per l'adozione di una decisione ai sensi del capitolo III priva le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri della competenza ad applicare gli articoli 81 e 82 del Trattato. Qualora un'Autorità garante della concorrenza di uno Stato membro stia già svolgendo un procedimento, la Commissione avvia il procedimento unicamente previa consultazione di quest'ultima".

663 Infatti, dal momento che il reg. 1/03 prevede, da una parte, la possibilità di adire a sé fattispecie decise ai sensi degli artt. 81 e 82 TCE dalle Autorità nazionali (art. 11(6) reg. 1/03) e, dall'altra, che le cause trattate dalle giurisdizioni nazionali in applicazione degli artt. 81 e 82 TCE non possano essere avocate dalla Commissione (Sentenza della Corte del 30 gennaio 1974, Sabam - Fonior, cit. a nota 288), determina conseguentemente la necessità per il reg. 1/03 di disciplinare nel dettaglio il rapporto tra giudici nazionali che costituiscono Autorità nazionali e organi di tutela giurisdizionale degli artt. 81 e 82 TCE.

Nel caso in cui i giudici nazionali siano Autorità nazionali ai sensi dell'art. 5 reg. 1/03, ad essi si applica l'art. 11(6) reg. 1/03. Invece, nel caso in cui il giudice nazionale svolga esclusivamente la funzione di tutela giurisdizionale, ad esso non si applica l'art. 11(6) reg. 1/03. L'art. 35(3) reg. 1/03 prevede infatti che "le disposizioni di cui all'articolo 11, paragrafo 6, si applicano alle Autorità designate dagli Stati membri, incluse le giurisdizioni che esercitano funzioni relative alla preparazione e all'adozione dei tipi di decisioni di cui all'articolo 5 del presente regolamento. Le disposizioni dell'articolo 11, paragrafo 6, non si applicano alle giurisdizioni nella misura in cui esse agiscono quali istanze di ricorso per i tipi di decisioni di cui all'articolo 5". Infine, nel caso in cui sia previsto che per l'emanazione di alcune decisioni ex art. 5 reg. 1/03 siano necessarie due fasi (fase di istruzione tramite uno specifico organo, e fase di decisione tramite un giudice nazionale), l'organo che è oggetto dell'avocazione della competenza ex art. 11(6) reg. 1/03 è esclusivamente il soggetto che istruisce il procedimento. Questo, però, deve poi revocare "l'azione promossa davanti all'autorità giudiziaria" cosicché la revoca ponga "definitivamente fine al procedimento nazionale" (art. 35(4) reg. 1/03). In particolare, l'art. 35(4) reg. 1/03 recita: "Fatto salvo il paragrafo 3, negli Stati membri in cui per l'adozione di taluni tipi di decisioni di cui all'articolo 5 del presente regolamento un'Autorità promuove un'azione davanti ad un'Autorità giudiziaria separata e diversa dall'Autorità responsabile della fase istruttoria, e purché siano rispettate le condizioni del presente paragrafo, l'applicazione dell'articolo 11, paragrafo 6, è limitata all'Autorità responsabile della fase istruttoria la quale, laddove la Commissione avvii un procedimento, revoca l'azione promossa davanti all'autorità giudiziaria. Tale revoca è tale da porre definitivamente fine al procedimento nazionale".

L'avocazione della competenza antitrust CE non elimina però la competenza delle Autorità nazionali con riferimento all'applicazione della disciplina antitrust degli Stati membri, sempre che la normativa nazionale antitrust sia applicabile anche a casi di rilevanza comunitaria (fatto escluso dall'art. 1(1) l. n. 287/90 della legge italiana di tutela della concorrenza).

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

335

Il divieto di applicazione parallela del diritto antitrust CE che ne consegue è giustificata da un principio di economia procedurale. È infatti inutile la duplicazione di procedimenti tra due organi per valutare la medesima fattispecie ai sensi dei medesimi divieti del medesimo

ordinamento. Tale duplicazione determinerebbe esclusivamente il rischio di decisioni contrastanti per la medesima fattispecie.

Il potere di avocazione è stato riconosciuto alla Commissione — e ovviamente non alle Autorità nazionali — in quanto tra i due organi (Autorità CE e Autorità nazionali) è la Commissione ad essere titolare del potere di orientamento della politica antitrust CE (art. 85 TCE). In considerazione di ciò, in caso di decisioni contrastanti tra Commissione e Autorità nazionali, le decisioni della Commissione sono quelle da considerare legittime.

Il potere di avocazione — già previsto all'art. 9(3) reg. 17/62 nell'articolo rubricato come "Competenza" — è disciplinato nel reg. 1/03 nel capitolo rubricato come "Cooperazione" (cap. IV). Esso, più in particolare, è regolato nella norma relativa alla cooperazione fra la Commissione e le Autorità nazionali. L'art. 11(6) reg. 1/03, non ostante la differente collocazione rispetto al reg. 17/62, ha effetto direttamente sulla competenza delle Autorità nazionali. La differente collocazione è giustificata dal fatto che nel reg. 1/03 le Autorità nazionali svolgono a tutti gli effetti il ruolo di organi del livello inferiore del sistema "two

tier" antitrust CE (ruolo definito dal principio della "stretta collaborazione tra Commissione e Autorità nazionali", v. sul punto supra § 125). In altre parole, l'avocazione della competenza delle Autorità nazionali da parte della Commissione è valutata dal reg. 1/03 come parte integrante della "cooperazione" tra Commissione e Autorità nazionali. L'avocazione del caso si ha solo nel momento in cui la Commissione emana un atto formale di inizio di un procedimento ispettivo 664.

Ciò detto, deve essere sottolineata l'evidente "irrequietezza" degli Stati membri riguardo al potere della Commissione di avocare

664 La giurisprudenza relativa al reg. 17/62 aveva chiarito che per atto formale ex art.

9(3) reg. 17/62 si intendevano i provvedimenti con cui era instaurato un procedimento ex artt. 2 reg. 17/62, 3 reg. 17/62 e 6 reg. 17/62. Non erano da considerare atti formali di inizio la decisione di attestazione negativa o la notifica di una intesa; Sentenza della Corte del 6 febbraio 1973, Sa Brasserie di Haecht, cit. nota 251, § 14.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

336

fattispecie oggetto di istruttoria dalle Autorità nazionali ai sensi del diritto antitrust CE (soprattutto in presenza dell'obbligo delle Autorità nazionali di applicare il diritto antitrust CE). Tra l'altro, l'avocazione determina delle evidenti conseguenze, ex art. 3(2) reg. 1/03, anche rispetto alla competenza antitrust degli Stati membri. Ciò è dimostrato dalla redazione di un documento in sede di adozione del reg. 1/03 da parte del Consiglio CE. In esso si indicano i casi in cui la Commissione può esercitare il potere di cui all'art. 11(6) reg. 1/03 (v. Dichiarazione comune del Consiglio e della Commissione sul funzionamento della Rete delle Autorità garanti della concorrenza del 10 dicembre 2003, § 21, v. infra § 127) 665, ipotesi poi assorbite nella relativa Comunicazione (Comunicazione sulla Rete, § 54).

105.(segue) La necessità di prevedere procedimenti nazionali per

l'applicazione del diritto antitrust europeo da parte delle Autorità

nazionali. La distinzione tra competenza ex art. 5 reg. 1/03 e vincoli

derivanti dal diritto antitrust europeo.

Il fatto che l'art. 5 reg. 1/03 attribuisca la competenza antitrust CE

alle Autorità nazionali, non determina automaticamente la possibilità per le Autorità di applicare gli artt. 81 e 82 TCE (così come è stato già per il reg. 17/62). A differenza del reg. 17/62, però, il reg. 1/03 obbliga gli Stati membri — oltre a costituire e individuare le Autorità nazionali (art. 35 reg. 1/03) — a prevedere le normative necessarie affinché le Autorità nazionali possano svolgere le competenze ad esse attribuite (obbligo conseguente all'art. 3(1) reg. 1/03).

La necessità di normative nazionali affinché le Autorità possano applicare integralmente il diritto antitrust CE è richiesto per due ordini di motivi.

In primo luogo, lo Stato membro — dopo aver individuato quali siano gli organi che svolgono il ruolo di Autorità nazionali ex art. 5 reg.

665 Come ricordato, il rischio dell'avocazione della competenza antitrust CE è stato uno

dei motivi per cui, da un parte, determinati Stati membri non hanno attribuito alle Autorità nazionali i poteri affinché esse applicassero gli artt. 81(1) e 82 TCE e, dall'altra, il motivo per cui gli stessi Stati membri in sede di Consiglio CE hanno specificato i casi in cui è applicabile l'art. 11(6) reg. 1/03, su questo secondo punto, v. infra nel § relativo all'avocazione.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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1/03 (art. 35(1) reg. 1/03) 666 — deve stabilire quali siano i procedimenti per l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE. Infatti, anche nel caso in cui le Autorità nazionali siano costituite da giudici (ad es., è il caso della Spagna e dell'Austria) è necessario determinare i procedimenti che esse debbono applicare (ad es., se le norme generali di procedura civile o se altri procedimenti speciali). Tale impostazione è per altro confermata dalla giurisprudenza tedesca 667.

La necessità dell'individuazione dei procedimenti per l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE deve essere tenuta distinta dalla vincolatività per tutti gli organi degli Stati membri delle norme aventi "effetto diretto", norme quali gli artt. 81(1) e 82 TCE. In particolare, le Autorità

666 Infatti, è necessario che le norme interne individuino espressamente quale sia

l'organo che svolga la competenza prevista dall'art. 5 reg. 1/03 (art. 35 reg. 1/03 — sotto questo aspetto la giurisprudenza CE non si è mai espressa in modo differente). Sempre sotto questo aspetto, nell'esperienza italiana non è sufficiente che un organo sia definito come Autorità garante della concorrenza e del mercato per individuare essa in modo vincolante come organo competente ad applicare gli artt. 81 e 82 TCE. L'art. 10 l. n. 287/90 prevede solamente che l'Autorità garante italiana è l'Autorità che, "in quanto Autorità nazionale competente per la tutela della concorrenza e del mercato, intrattiene con gli organi delle Comunità europee i rapporti previsti dalla normativa comunitaria in materia" (art. 10(4) l. n. 287/90). L'individuazione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato quale titolare della competenza ex art. 9(3) reg. 17/92 — e dei procedimenti che essa debba esercitare per applicare gli artt. 81 e 82 TCE — è avvenuta solo successivamente con l'art. 54 l. n. 52/96.

667 A confortare la tesi secondo cui gli artt. 81 e 82 TCE non possono essere applicati dalle Autorità nazionali se non dopo aver disciplinato dei procedimenti, è utile riferirsi al Beschluß des Kammergerichtes vom 4. November 1988 - Kart. 11188 (»Landegebühr« ), in WuW - Entscheidungssammlung - 1989, OLG 4291. La Corte di appello di Berlino ha infatti concluso sostenendo che affinché l'Autorità antitrust tedesca, il Bundeskartellamt, potesse applicare gli artt. 81 e 82 TCE era necessaria una espressa previsione normativa.

La massima della sentenza recita: "Keine Zuständigkeit des BKartA für Untersuchungsrechte zur Verfolgung von Verstößen gegen EWG-Wettbewerbsregeln. Dem Bundeskartellamt stehen Untersuchungsrechte zur Verfolgung von Verstößen gegen EG-Recht nicht zu. Der Erlaß belastender, in individuelle Rechte eingreifender Verwaltungsakte bedarf einer hinreichend bestimmten gesetzlichen Ermächtigung".

Sempre a confortare, anche se a contrario, la tesi della necessità di normative nazionali che individuino le procedure di applicazione del diritto antitrust CE, parte della dottrina — e in particolare l'ex Direttore della D.G. Comp. (già D.G. IV) — aveva ventilato la possibilità di contestare la violazione dell'art. 10 TCE nei confronti degli Stati membri che non avessero previsto tali procedimenti di applicazione, CLAUS-DIETER EHLERMANN, Cooperation between Competition Authorities within the European Union, in Antitrust fra

diritto nazionale e diritto comunitario, Milano, Giuffrè, 1996, p. 472, p. 472. Con riferimento a quella prassi della Commissione secondo la quale, applicando il

diritto antitrust degli Stati membri, le Autorità nazionali — anche in assenza di procedimenti per l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE — sarebbero dovute pervenire alle medesime conclusioni degli artt. 81 e 82 TCE, v. infra.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

338

nazionali sono vincolate dall'effetto diretto degli artt. 81(1) e 82 TCE (così come dal combinato disposto degli artt. 10 e 81 TCE) a prescindere dalla previsione di procedimenti per l'applicazione di queste (v. giurisprudenza Costanzo); esse possono però applicare gli artt. 81 e 82 TCE solo in presenza di procedimenti nazionali che disciplinino le modalità con cui applicare tali norme 668.

In secondo luogo, nell'ordinamento italiano è inoltre necessario prevedere per legge le sanzioni per la violazione degli artt. 81 e 82 TCE. Infatti, in forza del principio della stretta legalità delle sanzioni amministrative (art. 1 l. n. 689/91), è necessario emanare una norma di

668 Con riferimento alla giurisprudenza Costanzo, com'è noto la Corte di giustizia ha

sostenuto che "qualora sussistano i presupposti necessari, secondo la giurisprudenza della Corte affinché le disposizioni di una direttiva siano invocabili dai singoli dinanzi ai giudici nazionali [N.d.A. cioè le disposizioni presentino il cd. effetto diretto delle direttive], tutti gli organi dell'amministrazione, compresi quelli degli enti territoriali, come i Comuni, sono tenuti ad applicare le suddette disposizioni" (Sentenza della Corte del 22 giugno 1989, Fratelli Costanzo SpA contro Comune di Milano ed Impresa Ing. Lodigiani SpA, causa 103/88, Raccolta della giurisprudenza, 1989, p. 1839, § 33). Tale giurisprudenza va intesa nel senso che gli organi della pubblica amministrazione non applicano tanto la direttiva, quanto disapplicano la normativa nazionale contraria alla norma illegittima per violazione del diritto CE (in questo caso la norma di una direttiva dotata del cd. effetto diretto), e in questo senso essi censurano il provvedimento di un'amministrazione.

Passando agli artt. 81 e 82 TCE, il principio della giurisprudenza Costanzo non è quindi riferibile al caso di specie perché — sempre con riferimento a tale giurisprudenza —, le Autorità nazionali non applicano gli artt. 81 e 82 TCE in considerazione del loro effetto diretto — a differenza dei giudici o delle Autorità nazionali costituite da giurisdizioni —, ma perché a tali Autorità è attribuita una competenza ai sensi — rispettivamente — dell'art. 84 TCE, dell'art. 9(3) reg. 17/62 e dell'art. 5 reg. 1/03. Proprio in considerazione di tale competenza — e della conseguente tutela dell'interesse comunitario che le Autorità svolgono — esse possono applicare l'art. 81(3) TCE. Al contrario, i giudici nazionali — in quanto applicano gli artt. 81(1) e 82 TCE in presenza dell'effetto diretto di questi — non possono riconoscere l'esenzioni ex art. 81(3) TCE. Riguardo all'illegittimità dell'art. 6 reg. 1/03 v. infra § 148.

Questo caso è differente dall'ipotesi (che al contrario coincide con fattispecie della giurisprudenza Costanzo) della constatazione da parte delle Autorità nazionali che una determinata normativa nazionale è contraria al combinato disposto degli artt. 10 e 81 e 10 e 82 TCE. Infatti, le Autorità possono (rectius devono) utilizzare, anche applicando il diritto antitrust statale, tali norme aventi effetto diretto (rectius devono non applicare le disposizioni nazionali in violazione del combinato disposto degli artt. 10 e 81 e 10 e 82 TCE) anche in assenza di procedimenti nazionali per l'applicazione delle norme antitrust CE (sempre nel limite in cui la normativa nazionale antitrust presenti un campo di applicazione limitato a casi non di rilevanza comunitaria, come ad esempio l'art. 1(1) l. n. 287/90).

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

339

legge che preveda quali siano le conseguenze dell'infrazione degli artt. 81 e 82 TCE 669.

106.(segue) I poteri delle Autorità nazionali compresi nella competenza

antitrust europea: l'"armonizzazione" delle decisioni delle Autorità

nazionali. Il potere generale delle Autorità relativo alla revoca delle

autorizzazioni dei regolamenti di esenzione.

Il reg. 1/03 disciplina, oltre all'attribuzione della competenza alle

Autorità nazionali, anche le decisioni che le Autorità antitrust devono

poter emanare e per le quali gli Stati membri devono prevedere i relativi procedimenti di applicazione. Il reg. 1/03 prescrive infatti che le Autorità nazionali, "agendo d'ufficio o in seguito a denuncia, possono adottare le seguenti decisioni: — ordinare la cessazione di un'infrazione; — disporre misure cautelari; — accettare impegni; — comminare ammende, penalità di mora o qualunque altra sanzione prevista dal diritto nazionale" (art. 5 reg. 1/03).

L'indicazione delle decisioni che le Autorità nazionali possono emanare in applicazione del diritto antitrust CE determina una sorta di "armonizzazione" dei poteri dalle Autorità nazionali, adempiendo una richiesta già formulata dalla Commissione agli Stati membri nella Comunicazione del 1994 670. In questo modo la Commissione, archiviando le denunce o non aprendo procedimenti con riferimento a specifiche fattispecie, ha la certezza che le Autorità nazionali dispongano di poteri sufficienti per applicare efficacemente il diritto antitrust CE. Tale certezza costituisce un'importante garanzia anche per quelle Autorità nazionali che sospendano un procedimento o

669 V. sul punto, MARIO TODINO, L'Autorità, cit. a nota 590, p. 12, nota 18, e più in

generale, ANTONIO SAGGIO, Competenze rispettive delle Autorità comunitarie e nazionali in

materia di controllo e repressione delle attività anticoncorrenziali delle imprese, in Quaderni di

ricerca giuridica della consulenza legale - Banca d'Italia, Perugia, 1996, p. 186, p. 186. 670 Tale specifico inserimento è da ricondursi alla richiesta della Commissione nella

Comunicazione relativa alla cooperazione tra Commissione e Autorità nazionali per l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE (1997). In tale sede la Commissione esprimeva la speranza che gli Stati membri — in assenza di una espressa previsione del reg. 17/62 — avrebbero dotato le Autorità nazionali dei poteri necessari per una efficace applicazione delle norme antitrust CE.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

340

archivino una denuncia a favore del proseguimento dell'istruttoria da parte di un'altra Autorità antitrust (art. 13 reg. 1/03).

Oltre alle decisioni elencate all'art. 5 reg. 1/03, le Autorità nazionali emanano anche decisioni di revoca delle autorizzazioni ex 81(3) TCE previste da regolamenti di esenzione (art. 29(2) reg. 1/03). Tale norma prevede infatti la facoltà delle Autorità nazionali, "qualora in un caso specifico, taluni accordi (...) producano effetti incompatibili con l'art. 81(3) TCE sul territorio di uno Stato membro (…) o in una parte di esso avente tutte le caratteristiche di un mercato geografico distinto, [di] revocare il beneficio di tale regolamento sul territorio di tale Stato". È questa la prima volta in cui si attribuisce una competenza generale di revoca delle autorizzazioni riconosciute dai regolamenti di esenzione 671. Una simile competenza di revoca era già stata prevista per la Commissione limitatamente all'abuso dell'autorizzazione ex art. 8(3) lett. d reg. 17/62. Tale potere era inoltre già stato disciplinato per le Autorità nazionali — con evidenti influenze del regolamento di controllo delle concentrazioni 672 — nello specifico regolamento di esenzione relativo alle intese verticali (art. 7 reg. 2790/99 673).

107. B) L'esercizio della competenza. La facoltà di archiviazione delle

denunce e l'obbligo di inizio di un procedimento istruttorio (l'art. 5

ultima parte reg. 1/03). La differenza tra l'obbligo di apertura di un

procedimento delle Autorità nazionali ex art. 5 ultima parte reg. 1/03 e

671 Come ricordato dalla Commissione: "Se un accordo soddisfa le condizioni prescritte

per beneficiare di un'esenzione per categoria, si presume che esso soddisfi le condizioni di cui all'articolo 81, paragrafo 3. Perché la Commissione possa revocare il beneficio di un'esenzione per categoria ai sensi dell'articolo 29 del regolamento 1/2003, deve accertare, a seguito di un esame individuale, che un accordo che rientra nel campo d'applicazione del regolamento di esenzione per categoria produce tuttavia effetti incompatibili con l'articolo 81, paragrafo 3" (Comunicazione sulle denunce, § 51).

672 Tale istituto sembra trovare le proprie radici, in particolare, nel regolamento sul controllo delle concentrazioni. In esso, infatti, è prevista espressamente la competenza delle Autorità nazionali — tramite il rinvio ex art. 9 reg. 4064/89, ora art. 9 reg. 139/04 — di valutare concentrazioni che interessano fattispecie che riguardino un mercato rilevante limitato al territorio di uno Stato membro o di una sua parte.

673 L'art. 7 reg. 2790/99 recita: "Quando, in un caso determinato, gli accordi verticali cui si applica l'esenzione di cui all'articolo 2 producano effetti incompatibili con le condizioni stabilite dall'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato, nel territorio di uno Stato membro, o in una parte di esso avente tutte le caratteristiche di un mercato geografico distinto l'Autorità competente di tale Stato membro può revocare il beneficio dell'applicazione del presente regolamento su tale territorio, alle stesse condizioni previste dall'articolo 6".

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

341

l'obbligo della Commissione di iniziare un procedimento per casi di

"interesse comunitario".

Il reg. 1/03, oltre a disciplinare l'attribuzione della competenza delle

Autorità nazionali, disciplina inoltre l'esercizio della competenza stessa. In particolare, il reg. 1/03 regola i requisiti in presenza dei quali le Autorità nazionali non devono iniziare un procedimento. L'art. 5 ultima parte reg. 1/03 prevede che le Autorità nazionali, "qualora in base alle informazioni di cui dispongono non sussistono le condizioni per un divieto, possono anche decidere di non aver motivo di intervenire". Tale norma sarebbe giustificata con la funzione di "armonizzare" gli obblighi delle Autorità nazionali a fronte della presentazione di una denuncia. Infatti, alcuni Stati membri obbligano le Autorità nazionali a decidere nel merito ogni fattispecie denunciata ad esse.

L'art. 5 ultima parte reg. 1/03 — inserita nel disegno complessivo del reg. 1/03 — svolge un ulteriore ruolo. Essa prescrive infatti l'obbligo per le Autorità nazionali di iniziare un procedimento istruttorio in presenza di determinati requisiti; e cioè — parafrasando l'art. 5 ultima parte reg. 1/03 — nel caso in cui "in base alle informazioni di cui"

l'Autorità dispone è accertato che sussistono "le condizioni per un

divieto". L'art. 5 ultima parte reg. 1/03, prevedendo un chiaro obbligo per le Autorità nazionali, determina conseguentemente un diritto in capo ai soggetti in favore dei quali è previsto tale obbligo, in questo caso un diritto all'azione delle Autorità nazionali.

Il diritto — e contestualmente l'obbligo per le Autorità nazionali — ex art. 5 ultima parte reg. 1/03 ha la funzione di limitare i pericoli derivanti dalla "flessibilizzazione" della competenza antitrust CE 674; cioè il caso in cui la Commissione abbia archiviato una denuncia per carenza di interesse comunitario (art. 7 reg. 1/03) e le Autorità nazionali abbiano

674 La "flessibilizzazione" nell'esercizio della competenza antitrust CE è prevista dal

reg. 1/03 sia relativamente alla Commissione che relativamente alle Autorità nazionali. Infatti, come l'art. 7(1) reg. 1/03 determina i limiti di esercizio della competenza antitrust della Commissione (escludendo l'obbligo di iniziare un procedimento in assenza di un caso di interesse comunitario), così l'art. 5 ultima parte reg. 1/03 determina il limite di esercizio della competenza antitrust delle Autorità nazionali per l'apertura di un procedimento in assenza di sufficienti informazioni di prova della violazione. Il reg. 1/03 disciplina, quindi, i casi in cui le Autorità nazionali non siano obbligate ad iniziare un procedimento.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

342

archiviato a loro volta — ai sensi dell'art. 5 ultima parte reg. 1/03 — una denuncia a loro presentata 675. Infatti, la facoltà della Commissione e delle Autorità nazionali di rigettare le denunce ad esse presentate e di non pervenire ad una decisione di merito, determina il rischio per le imprese di non poter tutelare dinanzi alle giurisdizioni nazionali i diritti soggettivi ad esse riconosciuti dall'ordinamento CE. Questa situazione si verifica, in particolar modo, nei casi in cui — a fronte di una evidente violazione del diritto antitrust CE — la rilevanza economica del pregiudizio causato dalla violazione degli artt. 81 e 82 TCE non sia tale da giustificare per il singolo la tutela giudiziale dei propri diritti soggettivi (ad es. il caso in cui la conseguenza della violazione antitrust sul costo del prodotto o servizio sia minima) 676.

Sebbene le ipotesi relative all'obbligo di applicazione degli artt. 81 e 82 TCE da parte delle Autorità nazionali siano obbiettivamente ridotte 677 e richiedano una interpretazione restrittiva (quindi solo nel caso in

675 V. in particolare quanto sostenuto dalla Commissione nella Comunicazione sulla

Rete: "Un'Autorità nazionale garante della concorrenza può sospendere o chiudere il procedimento avviato, non è però obbligata a farlo. L'articolo 13 del Regolamento del Consiglio lascia ampio margine di valutazione delle specificità di ogni singolo caso. Questa flessibilità è importante: qualora una denuncia venisse respinta da un'Autorità a seguito di

un'indagine sugli elementi sostanziali del caso, un'altra Autorità potrebbe non voler riesaminare il

caso. D'altra parte, se una denuncia venisse respinta per altri motivi (ad esempio perché l'Autorità non è stata in grado di raccogliere prove sufficienti a comprovare l'infrazione), un'altra Autorità potrebbe voler condurre le proprie indagini e trattare il caso. Tale flessibilità si riflette anche, per i casi pendenti, nella scelta lasciata ad ogni Autorità nazionale garante della concorrenza di chiudere o di sospendere il procedimento da essa avviato. Un'Autorità potrebbe non essere disposta a chiudere un caso se non è prima ben chiaro

l'esito del procedimento svolto da un'altra Autorità. Sospendendo il proprio procedimento l'Autorità garante della concorrenza si riserva la facoltà di decidere in un momento successivo se chiudere o meno il procedimento. Questa flessibilità facilita anche l'applicazione uniforme delle regole di concorrenza" (Comunicazione sulla Rete, § 22).

676 I singoli hanno due opzioni per far valere i loro diritti davanti ad organi degli Stati membri; e cioè presentare una causa dinnanzi ad una giurisdizione nazionale o denunciare un caso alle Autorità nazionali. Vi sono però casi in cui i giudici, fermo restando la competenza delle giurisdizioni nazionali ad applicare gli artt. 81(1) e 82 TCE, non hanno la possibilità di tutelare tali diritti soggettivi CE per la mancanza di sufficienti poteri istruttori.

677 Si potrebbe sostenere che una simile impostazione determinerebbe un carico di lavoro eccessivo in capo alle Autorità nazionali. In particolare si potrebbe sostenere che la denuncia presentata ad un'Autorità antitrust relativa ad un singolo contratto che non presenti tutti i requisiti per poter ottenere l'esenzione di cui all'art. 81(3) TCE costituirebbe — in quanto la denuncia presenta un documento da cui è desumibile la non corrispondenza del contratto alle previsioni del reg. 81(3) TCE — una fattispecie che determini l'obbligo delle Autorità nazionali di iniziare un procedimento antitrust ex art. 5 ultima parte reg. 1/03.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

343

cui, "in base alle informazioni di cui dispongono[,] sussistono le condizioni per un divieto", le Autorità nazionali hanno "motivo di intervenire"), l'art. 5 ultima parte reg. 1/03 svolge un ruolo di principio di grande importanza, cioè l'obbligo delle Autorità nazionali di tutelare i diritti riconosciuti dagli artt. 81 e 82 TCE, diritti che non potrebbero essere altrimenti tutelati.

Così interpretato, l'art. 5 ultima parte reg. 1/03 — inserito nell'articolo relativo alla competenza delle Autorità nazionali — costituisce la norma di chiusura dell'esercizio della competenza antitrust CE da parte delle Autorità nazionali. E cioè, ricordando quanto già detto, essa disciplina i casi in cui le Autorità nazionali hanno l'obbligo di esercitare la competenza antitrust CE.

L'art. 5 ultima parte reg. 1/03 deve essere quindi inteso come un compromesso tra due necessità: cioè da una parte, l'obbligo degli organi decentrati che partecipano al sistema antitrust CE di tutelare i diritti riconosciuti dagli artt. 81(1) e 82 TCE — obbligo che, essendo

Tale impostazione non sarebbe condivisibile. Infatti, in tale ipotesi, la costante giurisprudenza comunitaria prevede che "un accordo, quando non soddisfa tutte le condizioni previste da un regolamento di esenzione, rientra nel divieto dell'art. [81], n. 1, solo se ha per oggetto o per effetto di restringere in modo sensibile la concorrenza all'interno del mercato comune e può esercitare un influsso sulle correnti di scambi tra Stati membri" (v. Sentenza della Corte del 30 giugno 1966, Societe Technique Miniere contro

Maschinenbau Ulm GmbH, causa 56/65, Raccolta della giurisprudenza, 1966, p. 262; Sentenza della Corte del 13 luglio 1966, Etablissements Consten e Grundig - Verkaufs - GmbH, Sostenute

dal Governo della Repubblica italiana e dal Governo della Repubblica federale di Germania contro la Commissione della CEE, sostenuta dalla Sa Willy Leissner e dalla UNEF sarl, cause riunite 56 e 58/64, Raccolta della giurisprudenza, 1966, p. 458). Inoltre, "spetta al giudice a quo stabilire, in base al complesso dei dati di cui dispone e tenendo conto del contesto economico e giuridico nel cui ambito l'accordo è inserito, se, nella causa sottoposta al suo esame, le suddette condizioni siano soddisfatte", Sentenza della Corte (sesta sezione) del 30 aprile 1998, Cabour SA e Nord Distribution Automobile SA contro Arnor "SOCO" SARL, causa C-230/96, Raccolta della giurisprudenza, 1998, p. I - 2055. Un simile obbligo non può essere configurato in altre norme del reg. 1/03 che disciplinano obblighi in capo alla Commissione o alle Autorità nazionali. Si veda, ad esempio, l'obbligo previsto dall'art. 35(1) reg. 1/03. Esso configura in capo agli Stati membri l'obbligo di designare "l'Autorità o le Autorità garanti della concorrenza responsabili dell'applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato in modo da garantire un'efficace conformità alle disposizioni del presente regolamento. Le misure necessarie per conferire a tali Autorità il potere di applicare detti articoli sono adottate entro il 1 maggio 2004". Tale obbligo, ancorché finalizzato — indirettamente — alla tutela degli artt. 81 e 82 TCE, non può essere valutato come diritto dei privati affinché lo Stato membro preveda una specifica struttura di vigilanza. Diversamente, la Commissione potrebbe accertare ai sensi dell'art. 226 TCE una eventuale violazione di tale obbligo.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

344

disciplinato ex reg. 1/03, non si applica per il diritto antitrust degli Stati membri — ; dall'altra, la necessità di limitare — per quanto possibile — l'obbligo delle Autorità nazionali di iniziare — per fattispecie che non presentino manifestamente la violazione del diritto antitrust CE — procedimenti ai sensi degli artt. 81 e 82 TCE 678.

Al pari delle Autorità nazionali, anche la Commissione è obbligata ad iniziare un procedimento istruttorio, anche se nella distinta ipotesi di casi di "interesse comunitario" 679. In tali eventualità, infatti, la Commissione non può archiviare la denuncia o non valutare il caso pervenuto all'attenzione della Commissione e deve iniziare un procedimento istruttorio.

La differenza tra l'obbligo di iniziare un procedimento istruttorio della Commissione — ai sensi della giurisprudenza relativa all'"interesse comunitario" — e delle Autorità nazionali — ai sensi dell'art. 5 ultima parte reg. 1/03 — consiste nel fatto che la Commissione ha l'obbligo di iniziare un procedimento in presenza di un caso di interesse comunitario sebbene non sia definita quale sia la conclusione dello stesso (conclusione che può consistere in decisioni di violazione e di non violazione, decisioni di cui agli artt. 9 reg. 1/03 — impegni — e 10 reg. 1/03 — contestazione di inapplicabilità — ). Al contrario, le Autorità nazionale hanno l'obbligo di iniziare un procedimento solo nei limiti in cui la documentazione presentata dai denuncianti, o la documentazione a disposizione dell'Autorità nazionali, sia sufficiente a provare l'esistenza di una violazione del

678 L'art. 5 ultima parte reg. 1/03 disciplina quindi un obbligo minimo di intervento

delle Autorità nazionali — e quindi un diritto per i singoli dell'azione della Commissione riguardo ad una specifica fattispecie —; non a caso tale obbligo è previsto nell'articolo che disciplina la competenza antitrust attribuita alle Autorità nazionali come organi che partecipano al sistema antitrust CE.

Al contrario, nel reg. 17/62, era la Commissione la quale — nel valutare la facoltà di archiviare la denuncia — doveva anche considerare la possibilità per le Autorità e le giurisdizioni nazionali di poter tutelare i diritti di cui agli artt. 81(1) TCE e 82 TCE.

679 Nell'ordinamento CE l'obbligo di pervenire ad una decisione di merito sussiste in capo alla Commissione solo con riferimento ai casi di interesse comunitario. Per i casi la cui soluzione non sia necessaria per il corretto funzionamento del mercato comune, la Commissione non è titolare — diversamente dalle Autorità nazionali — di un simile obbligo. Diversamente, l'art. 5 ultima parte reg. 1/03 prevede l'obbligo per le Autorità nazionali di aprire un procedimento quando "in base alle informazioni di cui dispongono, (…) sussistono le condizioni per un divieto" (tramite i documenti in possesso dell'Autorità nazionale, o tramite i documenti allegati alla denuncia di soggetti terzi).

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

345

diritto antitrust CE. In altre parole, l'istruttoria inizia con la certezza che la conclusione consisterà in una decisione di violazione del diritto antitrust CE.

108. (segue) L'applicazione uniforme del diritto antitrust europeo (art.

16(2) reg. 1/03). La distinzione tra l'art. 16(2) reg. 1/03 e gli artt. 3(2) e

3(3) reg. 1/03.

Sempre con riferimento all'esercizio della competenza antitrust CE da

parte delle Autorità nazionali, il reg. 1/03 disciplina gli obblighi delle Autorità per l'applicazione uniforme degli artt. 81 e 82 TCE.

L'art. 16(2) reg. 1/03 — in modo simile alla proposta di regolamento del 2000 680 — prevede che "quando le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri si pronunciano su accordi, decisioni o pratiche ai sensi dell'articolo 81 o dell'articolo 82 del Trattato che sono già oggetto di una decisione della Commissione, [esse] non possono

prendere decisioni che siano in contrasto con la decisione adottata dalla Commissione" (corsivo aggiunto). Questa ipotesi riguarda il caso in cui un'Autorità nazionale concluda un procedimento relativo ad una fattispecie già oggetto di decisione della Commissione. Questa eventualità non è esclusa dal reg. 1/03 in quanto la conclusione del procedimento della Commissione ri-attribuisce alle Autorità nazionali la competenza (competenza avocata nel momento dell'apertura del procedimento della Commissione, art. 11(6) reg. 1/03) ad applicare il diritto antitrust CE sul caso già deciso dalla Commissione. A ben vedere, l'obbligo per le Autorità nazionali — ma anche per le giurisdizioni nazionali, v. infra § 156 — di non "prendere decisioni che siano in contrasto con la decisione adottata dalla Commissione" quando applicano il diritto antitrust CE è la conseguenza di due (distinti) principi: 1. la competenza della Commissione per la tutela dei "principi di cui agli artt. 81 e 82 TCE"; 2. l'effetto diretto degli artt. 81(1) e 82 TCE.

680 L'art. 16 della proposta di regolamento del 2000 — rubricato come "Applicazione

uniforme del diritto comunitario della concorrenza" — recitava: "In virtù dell'articolo 10 del Trattato e del principio d'applicazione uniforme del diritto comunitario, gli organi giudiziari e le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri devono adoperarsi affinché non siano adottate decisioni in contrasto con le decisioni adottate dalla Commissione".

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

346

In primo luogo, la Commissione è l'organo il quale, in virtù della competenza esclusiva di orientamento della politica antitrust CE, decide come debbano essere applicati "i principi di cui agli artt. 81 e 82 TCE" (art. 85 TCE). In secondo luogo, le Autorità nazionali sono vincolate dai "principi degli artt. 81(1) e 82 TCE" in considerazione non della competenza ad applicare il diritto antitrust CE (art. 5 reg. 1/03) ma dell'effetto diretto di tali norme (rectius del combinato disposto degli artt. 10 e 81 TCE), effetto diretto che determina — secondo la giurisprudenza Costanzo 681 — obblighi per tutti gli organi degli Stati membri (giurisdizioni e Autorità nazionali; sul punto v. supra § 105.

Da questi due (distinti) principi consegue il corollario — espresso anche dall'art. 16(2) reg. 1/03 — secondo cui le Autorità nazionali non possono pervenire, applicando gli artt. 81 e 82 TCE, a conclusioni differenti da quelle a cui la Commissione sia pervenuta (ma tale principio vale anche per le decisioni a cui l'Autorità nazionale perverrebbe in futuro).

L'art. 16(2) reg. 1/03 (rispetto all'art. 16(1) reg. 1/03, che riguarda il rapporto tra sentenze delle giurisdizioni nazionali e decisioni della Commissione) disciplina esclusivamente il caso di decisioni delle Autorità nazionali ex art. 81 e 82 TCE successive a provvedimenti della Commissione relativi alla medesima fattispecie concreta (e non anche a procedimenti paralleli tra Commissione e Autorità nazionali) 682. Con riferimento al rapporto tra Autorità nazionali e Commissione è prevista solo questa ipotesi in quanto, nel caso in cui la Commissione inizi un procedimento su di una fattispecie oggetto di istruttoria di un'Autorità ai sensi del diritto antitrust CE, ciò "priva le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri della competenza ad applicare gli articoli 81 e 82 del Trattato" (art. 11(6) reg. 1/03).

Diversamente, l'art. 16(2) reg. 1/03 non disciplina gli obblighi delle Autorità nazionali per l'applicazione uniforme del diritto antitrust CE nell'ipotesi in cui esse decidano prima o anche in assenza di una successiva

decisione della Commissione. In questo caso l'applicazione uniforme del

681 V. supra nota 668 682 Infatti, differentemente, l'art. 16(1) reg. 1/03 prevede la possibilità che le

giurisdizioni nazionali si pronuncino ai sensi degli artt. 81 e 82 TCE contemporaneamente alla Commissione — cioè nelle more di un procedimento dell'Autorità CE — relativamente alla stessa fattispecie; v. infra.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

347

diritto CE è assicurata dal procedimento di controllo della Commissione di cui all'art. 11(3) reg. 1/03 ss..

Infine, è utile chiarire la distinzione tra l'art. 16(2) reg. 1/03 e gli artt. 3(2) e 3(3) reg. 1/03 — presi in considerazione supra § 43 ss. —. L'art. 16(2) reg. 1/03 si differenzia dalle altre due norme in quanto essa vieta che la competenza antitrust CE sia applicata dalle Autorità nazionali in modo incoerente con la politica di concorrenza CE. Diversamente, gli artt. 3(2) reg. 1/03 e 3(3) reg. 1/03 limitano la

discrezionalità della competenza antitrust degli Stati membri rispetto alla competenza antitrust CE tramite una disposizione emanata ex art. 83(2) lett. e TCE.

109. (segue) L'esercizio della competenza antitrust europea e le modifiche

nei rapporti tra Commissione e Autorità nazionali ex reg. 1/03 rispetto al

reg. 17/62.

Concludendo l'analisi dell'aspetto relativo all'esercizio della

competenza antitrust CE da parte delle Autorità nazionali ex reg. 1/03, è interessante valutare come i rapporti tra Commissione e Autorità nazionali siano stati modificati dal reg. 1/03 rispetto al reg. 17/62.

A tal proposito ricordiamo che ai sensi del regolamento del 1962 — in conseguenza dell'art. 9(3) reg. 17/62 e dei principi contenuti nella sent. Walt Wilhelm — era possibile istruire procedimenti paralleli tra Commissione e Autorità nazionali sulla medesima fattispecie nel caso in cui il primo organo avesse applicato gli artt. 81 e 82 TCE e il secondo avesse applicato la disciplina nazionale antitrust. In assenza di norme in attuazione dell'art. 83(2) lett. e TCE, le Autorità nazionali potevano pervenire — in applicazione del principio dell'effetto utile del diritto antitrust CE, v. supra § 39 — a decisioni più rigide degli artt. 81(1) TCE e 82 TCE, salvo l'eccezione dell'art. 81(3) TCE. Al contrario, non era legittimo istruire procedimenti paralleli tra Commissione e Autorità nazionali nel caso in cui entrambi gli organi avessero applicato gli artt. 81 e 82 TCE.

Ai sensi del reg. 1/03 rimangono ipotizzabili i procedimenti paralleli tra Commissione e Autorità nazionali, i primi ai sensi del diritto antitrust CE e i secondi ai sensi del diritto antitrust degli Stati

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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membri. La differenza principale rispetto al reg. 17/62 consiste nel fatto che, ai sensi del reg. 1/03, le Autorità nazionali (così come le giurisdizioni nazionali) applicando il divieto di intese anticoncorrenziali del diritto antitrust statale devono pervenire — in considerazione dell'(illegittimo) art. 3(2) reg. 1/03 — alle medesime conclusioni a cui perverrebbero applicando l'art. 81 TCE — v. supra § 45 —. Invece le Autorità nazionali (ma anche le giurisdizioni nazionali) mantengono la discrezionalità di pervenire a conclusioni più rigide applicando il divieto di abuso di posizione dominante previsto dalla rispettiva normativa statale rispetto alle conclusioni a cui la Commissione perverrebbe applicando l'art. 82 TCE 683.

Diversamente, il reg. 1/03 mantiene — come per il reg. 17/62 — il divieto di procedimenti paralleli tra Commissione e Autorità nazionali ai sensi degli artt. 81 e 82 TCE (art. 11(6) reg. 1/03).

110. C) I rapporti tra competenza antitrust europea e competenza antitrust

statale di cui sono titolari le Autorità nazionali. Gli aspetti relativi alla

legge antitrust italiana (art. 1 l. n. 287/90).

Passiamo ora a considerare la competenza antitrust CE di cui, ai

sensi dell'art. 5 reg. 1/03, le Autorità nazionali sono titolari e gli eventuali limiti che essa può determinare con riferimento all'applicazione parallela del diritto antitrust statale; ciò anche in considerazione dell'obbligo di applicazione degli artt. 81 e 82 TCE in presenza di casi di rilevanza comunitaria (art. 3(1) reg. 1/03).

A tal fine è necessario distinguere tra normative nazionali antitrust che permettono l'applicazione del diritto antitrust statale anche a casi di rilevanza comunitaria (cioè a casi che "pregiudicano il commercio tra Stati membri"), e normative (come quella italiana) le quali prevedono un campo di applicazione della disciplina antitrust solo per i casi non di rilevanza comunitaria 684.

Con riferimento al primo caso (cioè alla disciplina che si applica anche a fattispecie di rilevanza CE), ai sensi dell'art. 5 reg. 1/03 e dell'art. 3(1) reg. 1/03 la normativa nazionale antitrust potrà essere

683 Riguardo ai procedimenti di controllo su tali conclusioni, v. infra § 124 ss.. 684 Per il testo dell'art. 1(1) l. n. 287/90, v. infra nota 687.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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applicata dall'Autorità nazionale (ma anche dal giudice nazionale, v. infra § 158) parallelamente al diritto antitrust CE. In deroga al principio generale dell'effetto utile del diritto antitrust CE (v. supra § 39), il divieto di intese anticoncorrenziali disciplinato dal diritto nazionale non potrà però pervenire, per casi di rilevanza comunitaria e ai sensi dell'(illegittimo) 685 art. 3(2) reg. 1/03, a conclusioni differenti da quelle a cui si perviene applicando l'art. 81 TCE (v. supra § 45) 686.

Nell'ipotesi in cui una simile legge antitrust nazionale disciplini un'eccezione alle intese anticoncorrenziali (in modo simile all'art. 81(3) TCE), né l'art. 3(2) reg. 1/03, né l'art. 5 reg. 1/03 determinano l'illegittimità comunitaria della norma che disciplini l'eccezione, né la norma che attribuisca il potere di applicazione di tale esenzione. Le Autorità nazionali possono quindi sempre, ai sensi del diritto antitrust statale, esentare accordi anticoncorrenziali. Ma perché tali provvedimenti di esenzione non siano in violazione dell'art. 3(2) reg. 1/03, essi devono comunque addivenire alla conclusione a cui essi sarebbero pervenuti applicando l'art. 81 TCE. In altre parole, l'accordo anticoncorrenziale ed esentato dal divieto antitrust nazionale dovrà essere un accordo il quale, ai sensi del diritto antitrust CE, sia o esentato o non sia vietato ex art. 81 TCE.

Passiamo al secondo caso, cioè a quello di normative antitrust nazionali le quali limitino, come nel caso della legge italiana n. 287/90, il campo di applicazione a casi non di rilevanza comunitaria 687. In questa

685 Sull'illegittimità dell'art. 3(2) reg. 1/03 v. supra § 45. 686 Come già ampiamente discusso, la novità rispetto al principio dell'effetto utile del

diritto antitrust CE, in particolare, consiste nel non poter vietare ai sensi del diritto antitrust statale intese non vietate dall'art. 81(1) TCE; sul punto v. supra § 39.

687 Com'è noto, l'art. 1(1) l. n. 287/90 recita: "Le disposizioni della presente legge in attuazione dell'articolo 41 della Costituzione a tutela e garanzia del diritto di iniziativa economica, si applicano alle intese (...) che non ricadono nell'ambito di applicazione (...) degli articoli [81] e/o [82] del Trattato istitutivo della Comunità economica europea (CEE)". Tale norma definisce pertanto il campo di applicazione della normativa nazionale antitrust in via "residuale" rispetto a quello comunitario. Per le fattispecie anticoncorrenziali che ricadono nel campo di applicazione degli artt. 81 e 82 TCE non è quindi applicabile la disciplina nazionale, e cioè gli artt. 2 l. n. 287/90 e 3 l. n. 287 del 1990. Riguardo a questi aspetti dell'art. 1 l. n. 287/90 ci permettiamo di rinviare al nostro LORENZO FEDERICO

PACE, Il sistema italiano di tutela, a nota 420. Che questa fosse la volontà del legislatore del 1990 è chiarito dal testo della Relazione

al disegno di legge n. 1249 Senato (legge Battaglia). In esso si legge: "Nel momento in cui si introduce una normativa ispirata ai principi del Trattato allo scopo di evitare ogni contrasto tra la normativa nazionale e la normativa comunitaria, la competenza della legislazione deve

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

350

essere limitata a pratiche i cui effetti riguardino ambiti territoriali non coperti dal diritto

comunitario". La scelta del legislatore è stata determinata dall'esigenza di facilitare l'applicazione della norma. La relazione della legge continua, infatti, sostenendo: "L'armonizzazione della normativa nazionale con quella comunitaria derivante dalla comune ispirazione, e la delimitazione degli ambiti di competenza in maniera non controversa, rendono oltretutto minimo il grado di incertezza di fronte al quale si potrebbero trovare le imprese e gli enti soggetti alla normativa" (corsivo aggiunto). La relazione della legge continua: "L'armonizzazione della normativa nazionale con quella comunitaria derivante dalla comune ispirazione, e la delimitazione degli ambiti di competenza in maniera non

controversa, rendono oltretutto minimo il grado di incertezza di fronte al quale si potrebbero trovare le imprese e gli enti soggetti alla normativa".

Rilevante, in questo senso, è la testimonianza di questa ratio resa da uno dei padri della legge antitrust, il prof. Franco Romani; egli, presentando nel 1991 la l. n. 287/90 ad una platea internazionale, chiariva come la funzione dell'art. 1(1) l. n. 287/90 fosse quella di "coordinare la legge comunitaria e nazionale per ridurre al minimo il rischio di decisioni conflittuali e procedimenti istruttori paralleli" tra Commissione e Autorità antitrust italiana, FRANCO ROMANI, The new Italian Antitrust law, in Annual proceedings of the Fordham

corporate law institute, New York, 1992, p. 479, 481, traduzione dall'inglese dell'A.. Diversamente, l'art. 1(1) l. n. 287/90 è stato applicato dall'Autorità italiana e dal TAR

Lazio e del Consiglio di Stato secondo il cd. "principio dell'applicazione concreta", cioè la legge antitrust italiana è stata applicata non solo a casi di esclusiva rilevanza nazionale, ma anche a fattispecie di rilevanza comunitaria nei limiti in cui la Commissione non avesse iniziato un procedimento ai sensi del diritto antitrust CE (in questo senso, per tutte, v. la sent. TAR Lazio n. 96/98), e ciò in espresso conflitto con la lettera dell'art. 1(1) l. n. 287/90. Sulla critica a questa interpretazione, ci permettiamo di rinviare al nostro LORENZO

FEDERICO PACE, Il sistema italiano di tutela, a nota 420. Vedi l'interessante testimonianza di un funzionario dell'Autorità italiana secondo la

quale: "l'Autorità (…) è riuscita, con l'appoggio dei giudici italiani, a negare sostanzialmente l'esistenza di tale norma, mantenendo la competenza [ai sensi della l. 287/90] fin quando la Commissione non inizi un procedimento istruttorio", ALBERTO

HEIMLER, National Priorities, National Law and European Law: The Italian Experience, in European Competition Law Review, 1998, p. 315, p. 316, traduzione dall'inglese dell'A..

L'esistenza di questa evidente contraddizione tra la previsione testuale dell'art. 1(1) l. n. 287/90 e la prassi e giurisprudenza citata è sottolineata dal fatto che la dottrina straniera (la quale conosce la l. 287/90, ma non i relativi indirizzi giurisprudenziali) ha continuato a sostenere ancora nel 1999 che la l. 287/90 prevederebbe un campo di applicazione "residuale" rispetto al campo di applicazione degli artt. 81 e 82 TCE, MARTIN COLEMAN - MICHAEL GRENFELL, The Competition Act 1998: Law and Practice, Oxford, Oxford University Press, 1999, 27, nota 7).

Riguardo all'ammissione da parte dello stesso TAR Lazio della "contraddizione" di tale giurisprudenza, v. l'ordinanza Lazio 24 gennaio 2001. Il TAR Lazio chiarisce infatti che l'art. 1(1) l. n. 287/90 subordina "la competenza dell'Autorità al presupposto che le restrizioni della concorrenza non [ricadano] nel campo di applicazione del diritto comunitario" (ibidem, § 31). Su tale ordinanza, ci permettiamo di rinviare al nostro LORENZO FEDERICO PACE, In tema di norme nazionali illegittime per violazione del combinato disposto degli artt. 10 e 81 TCE, in Rivista italiana di Diritto pubblico comunitario, 2002, p. 454, nota 63.

Sui procedimenti dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, v. FRANCESCA

SQUILLANTE, La procedura nell'Ordinamento italiano, in GIAN LUIGI TOSATO - LEONARDO BELLODI (A CURA DI), Il nuovo Diritto europeo della concorrenza - aspetti

procedurali, Milano, Giuffrè, 2004, 505 ss..

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

351

ipotesi, le Autorità nazionali (ma anche i giudici nazionali), dovendo valutare un caso di rilevanza comunitaria dovranno applicare unicamente il diritto antitrust CE (la cui applicazione è obbligatoria ex art. 3(1) reg. 1/03) e non potranno applicare, in conseguenza del campo di applicazione della normativa nazionale, il diritto antitrust dello Stato membro 688.

688 Per quanto riguarda il controllo sulle concentrazioni, l'art. 1(1) l. n. 287/90 prevede

che la l. n. 287/90 si applichi "alle intese, agli abusi di posizione dominante e alle concentrazioni di imprese che non ricadono nell'ambito di applicazione (…) dei regolamenti della CEE". Tale disposizione ha la funzione di prevedere l'ambito del controllo nazionale di concentrazione tra imprese rinviando alla normativa comunitaria vigente, senza escludere — come è stato sostenuto — che la normativa italiana sulle concentrazioni abbia "un qualche reale ambito di applicazione". Infatti, è stato sostenuto con notevole acume — ma anche con evidente intento provocatorio — che il legislatore italiano abbia formulato l'art. 1(1) l. n. 287/90 in modo tale da rendere praticamente inapplicabile il controllo delle concentrazioni tra imprese previsto dalla l. n. 287/90, v. MARINO BIN, La normativa italiana sulle concentrazioni ha un qualche reale ambito di applicazione?, in Contratto e Impresa - Europa, 2001, p. 1. Infatti, secondo l'autore, l'art. 1(1) l. n. 287/90 prescriverebbe che: "le disposizioni della presente legge (…) si applicano (…) alle concentrazioni di imprese che non ricadono nell'ambito di applicazione (…) [dell'articolo 81] e/o del Trattato istitutivo della Comunità economica europea (CEE)". L'Autore, ricordando che secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia espressa nelle sentt. Philip Morris e Continental Can gli artt. 81 e 82 TCE sono applicabili al controllo delle concentrazioni non di dimensione comunitaria, sostiene che il controllo delle concentrazioni previsto dalla l. n. 287/90 sarebbe applicabile solo nel caso in cui la concentrazione notificata all'Autorità non rientri nel campo di applicazione degli artt. 81 e 82 TCE. Dal momento che certamente tutte le concentrazioni che, ai sensi dell'art. 16 l. n. 287/90, devono essere notificate all'Autorità hanno effetto sul commercio tra gli Stati membri, ebbene il controllo previsto dalla l. n. 287/90 non sarebbe mai applicabile. Infatti, le concentrazioni che debbono essere notificate all'Autorità, secondo quanto espresso dal legislatore del 1990, sono solamente di rilevanti dimensioni. Esse, in particolare, sono quelle il cui "il fatturato totale realizzato a livello nazionale dall'insieme delle imprese interessate sia superiore a cinquecento miliardi di lire, ovvero qualora il fatturato totale realizzato a livello nazionale dall'impresa di cui è prevista l'acquisizione sia superiore a cinquanta miliardi di lire" (art. 16 l. n. 287/90), valore del fatturato che è aggiornato annualmente.

Tale interpretazione non è condivisibile in quanto il legislatore italiano, formulando l'art. 1(1) l. n. 287/90, non ha voluto limitare il campo di applicazione del controllo delle concentrazioni previsto dall'art. 16 l. n. 287/90 "anche" al caso in cui l'operazione di concentrazione abbia effetto "sul commercio tra Stati membri" (artt. 81 e 82 TCE) ma ha voluto imporre tale limitazione — per altro conseguenza dell'obbligo dell'allora vigente art. 21(2) reg. 4064/89, ora art. 21(3) reg. 139/04 — solo nel caso in cui ad una concentrazione a cui sia applicabile l'art. 16 l. n. 287/90 sia applicabile parimenti un regolamento CE (o rientrasse nel campo di applicazione dell'allora vigente Trattato CECA, v. infra nella presente nota). Infatti, la limitazione della competenza dell'Autorità prevista dall'art. 1(1) l. n. 287/90 con riferimento agli artt. 81 e 82 TCE (a differenza dell'art. 21(2) reg. 4064/89) non è conseguenza di un obbligo comunitario, ma di una autonoma decisione del legislatore italiano: la volontà del legislatore non era certamente quella di limitare la competenza relativa al controllo delle concentrazioni prevista dall'art. 1(1) l. n. 287/90 in modo tale da

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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Nel caso in cui tali normative nazionali disciplinino l'esenzione dal divieto statale di accordi anticoncorrenziali (come ad esempio l'art. 4 l. n. 287/90), l'esenzione potrà continuare ad essere applicato anche in vigenza del reg. 1/03, ma solamente con riguardo a casi non di rilevanza comunitaria (cioè a casi che non pregiudichino "il commercio tra Stati membri"). La limitazione dell'applicazione dell'esenzione è conseguenza non tanto dell'art. 3(1) reg. 1/03 o dell'art. 5 reg. 1/03, ma della normativa nazionale (come sembra confermare la prassi dell'Autorità nazionale italiana successiva al 1 maggio 2004) 689. In questa ipotesi, però, la (legittima) applicazione dell'esenzione dal divieto nazionale di intese anticoncorrenziali — anche se fortemente limitata dal campo di applicazione della normativa nazionale — non dovrà rispettare, né i limiti del principio generale dell'effetto utile del diritto antitrust CE, né i limiti (illegittimi) dell'art. 3(2) reg. 1/03; questo escludere, ancora prima della sua entrata in vigore, l'applicabilità della normativa stessa. Infatti, il legislatore aveva un interesse reale nel limitare il campo di applicazione delle norme relative agli artt. 2 l. n. 287/90 e 3 l. n. 287/90 (cioè evitare i procedimenti paralleli tra Commissione e Autorità nazionali): certamente un tale interesse non sussisteva con riferimento al controllo delle concentrazioni. Infatti, il problema dell'eventuale conflitto con la normativa comunitaria delle concentrazioni era stato autonomamente risolto già nel 1989 ai sensi del reg. 4064/89: l'art. 21(2) reg. 4064/89 prevedeva infatti che "gli Stati membri non applicano la loro normativa nazionale sulla concorrenza alle operazioni di concentrazione di dimensione comunitaria". Inoltre, se la volontà del legislatore fosse stata quella indicata dall'Autore (cioè di valutare le concentrazioni tra imprese anche per mezzo degli artt. 81 e 82 TCE), l'obbligo di notifica preventiva delle concentrazioni, ai sensi dell'art. 16 l. n. 287/90, sarebbe stato definito non in base al raggiungimento di specifiche soglie di fatturato, come previsto dall'art. 16 l. n. 287/90, ma con riferimento agli effetti sul "commercio tra Stati membri" delle relative concentrazioni.

689 L'Autorità nazionale italiana, in recenti provvedimenti, è pervenuta a queste conclusioni archiviando notifiche ex art. 13 l. n. 287/90 valutate dall'Autorità dopo l'entrata in vigore del reg. 1/03 con le quali le parti chiedevano l'esenzione ex art. 4 l. n. 287/90 dal divieto dell'art. 2 l. n. 287/90. V. in particolare il provvedimento 15 giugno 2004, proc. I - 609. L'Autorità ha infatti sostenuto: "In relazione alla comunicazione in oggetto, si rappresenta che l'Autorità, nell'adunanza del 10 giugno 2004, ha deliberato che l'istanza presentata dalle Società in epigrafe è improcedibile ai fini e per gli effetti di cui all'art. 13 ed, in subordine, all'art. 4 della l. n. 287/90, concernendo un'intesa atta a pregiudicare il commercio tra Stati membri (cfr. Comunicazione della Commissione sulle Linee direttrici sulla nozione di pregiudizio al commercio tra Stati membri, di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato, GUCE C 101 del 27 aprile 2004) a cui si applica obbligatoriamente l'art. 81 CE, e per la quale il Regolamento CE n. 1/2003, art. 5, non consente di procedere a valutazioni di merito su notifica delle imprese" (corsivo aggiunto).

Evidentemente l'Autorità, sebbene non richiamando espressamente l'art. 1(1) l. n. 287/90 ma altre norme inconferenti (quali l'art. 5 reg. 1/03), ha archiviato la domanda di esenzione ex art. 4 l. n. 287/90 in quanto la relativa fattispecie era di rilevanza comunitaria e, quindi, non rientrava nel campo di applicazione della legge antitrust italiana.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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perché la normativa nazionale non si applica a casi che ricadono nel campo degli artt. 81 e 82 TCE 690.

III. Le sanzioni

111. I poteri sanzionatori delle Autorità nazionali. La prescrizione e la

decadenza dei relativi poteri.

Il reg. 1/03 non disciplina né i poteri sanzionatori per la violazione

degli artt. 81 e 82 TCE, né la prescrizione o la decadenza di tali poteri di cui le Autorità nazionali sono titolari.

Con riferimento al primo punto (cioè ai poteri sanzionatori), il reg. 1/03 stesso prevede che le Autorità nazionali, "agendo d'ufficio o in seguito a denuncia, possono (…) comminare ammende, penalità di

690 L'art. 1(4) l. n. 287/90 è una disposizione che non riguarda in senso stretto — diversamente dagli artt. 1(2) l. 287/90 e 1(3) l. n. 287/90 — il rapporto tra sistema italiano di tutela amministrativa della concorrenza e sistema antitrust CE. Esso è, al contrario, relativo esclusivamente al sistema italiano antitrust ed è rivolto sia all'Autorità garante che ai giudici nazionali. Tale norma prevede, infatti, che gli artt. da 1 a 9 l. n. 287/90, i quali disciplinano casi di esclusiva rilevanza nazionale, debbano essere interpretati "in base ai principi dell'ordinamento delle Comunità europee in materia di disciplina della concorrenza". A ben vedere, tale norma è conseguenza di un'altra (distinta) scelta del legislatore italiano operata nella l. n. 287/90; cioè la redazione delle norme del titolo primo della l. n. 287/90 secondo il modello degli artt. 81, 82, 86 TCE e degli artt. 2 reg. 4064/89 e 3 reg. 4064/89 CE. Tale scelta è funzionale a trasferire nel "mercato — esclusivamente — nazionale" un sistema di tutela antitrust fondato sulle medesime fattispecie — ma sempre nei limiti della coincidenza del testo — previste dall'ordinamento comunitario (v. sul punto GIULIANO

AMATO, Antitrust con regole europee e più vicine al mercato, in Il Sole - 24 Ore, 1995, p. 1). Al fine di garantire il raggiungimento di tale obiettivo il legislatore ha dovuto però prevedere l'interpretazione delle norme del titolo I della l. n. 287/90, vincolando la relativa interpretazione ai "principi dell'ordinamento delle Comunità europee in materia di disciplina della concorrenza" (art. 1(4) l. n. 287/90). Infatti, in assenza di tale previsione, le fattispecie astratte delle norme antitrust italiane sarebbero potute essere — legittimamente — interpretate dai giudici nazionali e dall'Autorità garante in modo autonomo — se non addirittura contrastante — dall'interpretazione fornita dall'ordinamento CE a medesime fattispecie astratte. Il rinvio interpretativo dell'art. 1(4) l. n. 287/90 ai principi antitrust comunitari — rinvio interpretativo peraltro comune nelle leggi antitrust degli Stati membri del sistema di tutela della concorrenza statunitense, anche se ai principi federali antitrust, v. LORENZO FEDERICO PACE, Il sistema italiano di tutela, a nota 420 —, insieme alla formulazione delle norme della l. n. 287/90 secondo il testo degli artt. 81, 82, 86 TCE e degli artt. 2 reg. 4064/89 e 3 reg. 4064/89 CE, ha quindi la funzione di definire delle fattispecie normative astratte coerenti con quelle dell'ordinamento CE — non solo nel testo, ma anche nell'interpretazione —. Esse, però, devono essere poi concretamente applicate, come previsto dall'art. 1(1) l. n. 287/90, secondo le finalità dell'art. 41 Cost. it. e non secondo le finalità dell'art. 2 TCE (o art. 3(2) Cost. eu.).

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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mora o qualunque altra sanzione prevista dal diritto nazionale" (art. 5 reg. 1/03). La mancata previsione nel reg. 1/03 delle conseguenze della violazione del diritto antitrust CE nei singoli ordinamenti nazionali permette agli Stati membri di mantenere la propria autonomia nell'individuare differenti modalità di sanzione delle imprese (ad es., sanzioni civili, penali, risarcimento sanzionatorio). Comunque, anche in assenza di una specifica disciplina del reg. 1/03 per tale aspetto, le normative degli Stati membri relative alle sanzioni di comportamenti in violazione degli artt. 81 e 82 TCE sono vincolate dai principi generali dell'ordinamento CE (ad es., principio di equivalenza 691, di effettività 692 e di non discriminazione) 693.

Con riferimento al secondo punto, il reg. 1/03 nulla prevede riguardo alla prescrizione e alla decadenza del potere delle Autorità nazionali di perseguire e sanzionare le violazioni degli artt. 81 e 82 TCE. Infatti, l'art. 25 reg. 1/03 (prescrizione in materia di imposizione di sanzioni) e l'art. 26 reg. 1/03 (prescrizione in materia d'esecuzione delle sanzioni — previsti al capitolo VII reg. 1/03 — ) disciplinano esclusivamente il potere della Commissione. In assenza di una specifica disciplina comunitaria 694, sono gli Stati membri a determinare (eventualmente) il termine di decadenza del potere delle Autorità nazionali per contestare la violazione dei divieti antitrust CE 695 o la decadenza del potere

691 Il principio di equivalenza esige che "le modalità procedurali di trattamento di

situazioni che trovano la loro origine nell'esercizio di una libertà comunitaria non siano meno favorevoli di quelle relative al trattamento di situazioni puramente interne" (Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 19 giugno 2003, Sante Pasquini contro Istituto nazionale

della previdenza sociale (INPS), causa C-34/02, Raccolta della giurisprudenza, 2003 p. I - 6515, § 57).

692 Il principio di effettività impone "che tali modalità procedurali non rend[a]no in pratica impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dal diritto comunitario", Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 19 giugno 2003, Sante Pasquini, cit. a nota 691, § 58.

693 L'ordinamento italiano, in applicazione dei principi sopra richiamati, con riferimento alla modalità di sanzione delle violazione degli artt. 81 e 82 TCE da parte delle Autorità nazionali rinvia direttamente alla disciplina nazionale delle sanzioni per le violazioni degli artt. 2 e 3 l. n. 287/90; v. art. 54 l. n. 52/96.

694 Principio espresso — tra le altre — nella Sentenza della Corte del 5 marzo 1980, Ferwerda, cit. a nota 538, § 6.

695 Sul punto, con riferimento all'ordinamento italiano, rinviamo al nostro LORENZO

FEDERICO PACE, Il sistema italiano di tutela, a nota 420. Nell'ordinamento italiano la prescrizione del potere dell'Autorità antitrust relativa alla contestazione della violazione degli artt. 81 e 82 TCE è disciplinata dall'art. 28 l. n. 689/81; la decadenza del potere

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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dell'Autorità antitrust riguardo alla durata di un procedimento relativo alla violazione degli artt. 81 e 82 TCE 696 (v. in Italia gli artt. 14 l. n. 689/81 e 28 l. n. 689/81).

dell'Autorità antitrust italiana relativa alla conclusione di un procedimento in applicazione degli artt. 81 e 82 TCE è disciplinata dall'art. 14 l. n. 689/81.

Con riferimento alla prescrizione del potere dell'Autorità antitrust italiana di contestare le infrazioni ai sensi degli artt. 81 e 82 TCE, l'art. 28 l. n. 689/81 prevede quanto segue: "Il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione". Con riferimento alla natura di tale prescrizione, la Corte di Cassazione ha affermato, in relazione agli effetti del decorso temporale previsto dall'art. 28 l. n. 689/91, che "quanto, in particolare, alla prescrizione (art. 28), (...) essa, pur risultando formalmente articolata con riguardo al diritto alla riscossione delle somme dovute per le violazioni commesse, e cioè con apparente riguardo alla sanzione inflitta, è, invece, sostanzialmente e strettamente riferita alla stessa violazione e cioè proprio all'illecito amministrativo, dalla cui data di commissione inizia, per l'appunto, a decorrere. L'inutile decorso del termine quinquennale in proposito stabilito, non può, pertanto, che produrre effetto estintivo della fattispecie tipica posta dalla norma ad oggetto della prescrizione e cioè dello stesso illecito amministrativo, al pari di quanto previsto per la medesima fattispecie tipica, qualificata come reato, nel sistema penale previgente (art. 157 c.p.)". (Cass., sez. lav n. 4119 del 17 aprile 1991). Tale norma prevede — quindi — non tanto la prescrizione del potere dell'Autorità italiana di riscuotere le somme dovute, quanto piuttosto la prescrizione dell'illecito.

Riguardo al momento in cui inizia a decorrere il dies a quo, la Suprema Corte di Cassazione si è espressa sostenendo che "l'art. 28 l. n. 689/81 individua il dies a quo del termine di prescrizione ivi previsto nel «giorno in cui è stata commessa la violazione», per cui (...) è da ritenersi che essa resti operante anche con riferimento a quegli illeciti che (...) siano unitariamente considerati in virtù del vincolo della continuazione; illeciti in relazione ai quali il decorso della prescrizione decorerà pur sempre, quindi, dall'epoca della loro commissione, individuata in relazione a ciascuno di essi" (Cass. sez. lav., 15 giugno 1998, n. 5957).

696 Con riferimento al periodo entro il quale l'Autorità antitrust italiana deve pervenire alla conclusione di un procedimento antitrust, esso è disciplinato dall'art. 14 l. n. 689/81 il quale prevede che "la violazione quando è possibile, deve essere contestata immediatamente (...). Se non è avvenuta la contestazione immediata (...) gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all'estero entro il termine di trecentosessanta giorni dall'accertamento". Con riferimento ad essa, la Suprema Corte ha statuito che "è giurisprudenza assolutamente costante di questa Corte che il termine di 90 giorni dall'accertamento, previsto dall'art. 14 della legge 24 novembre 1981 n. 689 per la notificazione degli estremi della violazione, inizia a decorrere dal momento in cui è compiuta (o si sarebbe dovuta compiere anche in relazione alla complessità della fattispecie) l'attività amministrativa intesa a verificare l'esistenza dell'infrazione, dato che l'accertamento presuppone il completamento, da parte dell'autorità amministrativa competente, delle indagini intese a riscontrare la sussistenza di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi dell'infrazione medesima. Per il compimento di tali indagini non sono fissati dei limiti temporali (come avviene, a norma dell'art. 28, per la prescrizione che si verifica al compimento dei 5 anni dalla commissione della violazione), ma da ciò non consegue l'assoluta libertà dell'amministrazione di redigere il verbale conclusivo dell'attività accertativa nel tempo da essa ritenuto più opportuno. L'attività di accertamento

SOTTOSEZIONE III

I MECCANISMI DI COOPERAZIONE E DI CONTROLLO NEL SISTEMA

AMMINISTRATIVO ANTITRUST

I. Introduzione

SOMMARIO: 111. L'art. 3(1) reg. 1/03, l'"inter-operabilità" delle Autorità nazionali, la nascita della cd. Rete e i procedimenti di cooperazione e di controllo.

112. L'art. 3(1) reg. 1/03, l'"inter-operabilità" delle Autorità nazionali, la

nascita della cd. Rete e i procedimenti di cooperazione e di controllo.

Nel sistema antitrust disciplinato ex art. 1/03 un ruolo essenziale è

svolto dall'art. 3(1) reg. 1/03. Il reg. 1/03 chiarisce che tale norma ha la finalità di "garantire l'effettiva applicazione delle regole di concorrenza comunitarie e il corretto funzionamento del meccanismo di cooperazione contenuto nel presente regolamento" (considerando 8 reg. 1/03). Come ricordato, l'art. 3(1) reg. 1/03 obbliga le Autorità e le giurisdizioni nazionali ad applicare gli artt. 81 e 82 TCE quando esse inizino un procedimento nei confronti di fattispecie di rilevanza comunitaria.

Per quanto riguarda il rapporto tra Commissione e Autorità nazionali, l'importanza dell'art. 3(1) reg. 1/03 consiste nel fatto che l'obbligo degli organi statali di applicare uno stesso set di divieti (gli artt. 81 e 82 TCE) ai sensi di una medesima normativa (cioè il reg. 1/03) avente "applicabilità diretta" su tutto il territorio europeo, permette — non differentemente dal collegamento di differenti computer tra di loro per mezzo del medesimo "sistema operativo" — "l'inter-operabilità'" tra

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

358

sistemi antitrust; e non tanto tra sistema antitrust CE e sistemi nazionali antitrust — già parzialmente prevista dal reg. 17/62 — ma anche (e questa è la novità) l'"inter-operabilità" "orizzontale" tra i sistemi nazionali stessi, creando una "Rete" di Autorità che applicano

costantemente il diritto antitrust CE. Tale "inter-operabilità" determina quindi il sostanziale superamento

dei limiti della dimensione statuale in cui le Autorità nazionali agiscono — come al contrario non si riuscì nella Conferenza internazionale del 1930 (v. supra § 7) —, proiettando le stesse Autorità in un sistema in parte distinto dal primo, prettamente "comunitario" e disciplinato da proprie regole (cd. Rete di Autorità antitrust) 697.

Per attivare tale "inter-operabilità", il reg. 1/03 ha disciplinato due gruppi di procedimenti: i primi, finalizzati alla cooperazione tra Commissione e Autorità nazionali, sono attivati, a seconda dell'istituto, o dalla Commissione o dalle Autorità nazionali; i secondi, finalizzati al controllo delle decisioni a cui tali organi pervengono, sono esercitati sia dalla Commissione che dalle Autorità nazionali.

Riguardo ai procedimenti di cooperazione tra Commissione e Autorità nazionali, il reg. 1/03 disciplina cooperazioni "verticali ascendenti" — come già previsto dagli artt. 84 e 85 TCE e dal reg. 17/62 — e — quale novità del reg. 1/03 — cooperazioni "verticali discendenti". A queste si aggiungono dei meccanismi di cooperazione "orizzontale" tra le Autorità nazionali. In particolare, tali procedimenti di cooperazione "orizzontale" — che partecipano al principio generale della cd. "concentrazione della competenza antitrust CE" (su tale principio, v. infra

§ 114) — svolgono numerose funzioni: permettono di decidere quale sia il "nodo" del sistema nella posizione migliore per intervenire nei singoli casi; permettono la circolazione delle informazioni acquisite ai sensi del reg. 1/03 tra le Autorità nazionali (ma anche con la Commissione); permettono che le Autorità nazionali siano "utilizzate" quali "organi esecutivi" sul proprio territorio per l'attività ispettiva di altre Autorità nazionali della Rete.

697 Questo non modifica il fatto, però, che i "nodi" di questa rete siano costituiti dagli

organi degli Stati membri — e che non sono quindi "Autorità pubbliche (…) della

Comunità", come sostenuto dalla Commissione nel Progetto di comunicazione sulle denunce, § 20 —. Questi organi — nei limiti in cui la loro azione non sia disciplinata dal diritto CE — sono soggetti al diritto dei singoli Stati membri.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

359

Riguardo ai procedimenti di controllo tra Commissione e Autorità nazionali, il reg. 1/03 prevede il controllo "verticale discendente" da parte della Commissione nei confronti delle Autorità nazionali (art. 11(3) reg. 1/03 ss.). Inoltre, il reg. 1/03 prevede da parte delle Autorità nazionali un procedimento di controllo "collegiale" nei confronti dell'applicazione del diritto antitrust CE da parte delle altre Autorità nazionali (art. 14(7) reg. 1/03). Infine, il reg. 1/03 prevede dei procedimenti di controllo "verticali ascendenti" da parte dell'organo di rappresentanza degli Stati membri, il cd. Comitato consultivo, nel caso di applicazione del diritto antitrust CE da parte della Commissione (art. 14(1) reg. 1/03).

In particolare i procedimenti di controllo "verticali discendenti" permettono di evitare che l'"l'inter-operabilità" dei sistemi antitrust nazionali non determini la nascita di una "Rete" anarchica. È infatti la Commissione, da un punto di vista dell'organizzazione gerarchica del sistema, che imporrà alle Autorità nazionali uno specifico orientamento della politica di concorrenza nell'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE. Inoltre, la Commissione, mediante tali procedimenti, ha il potere — in ultima istanza — di verificare che le conclusioni a cui le Autorità (ma anche le giurisdizioni nazionali) pervengono siano coerenti con la politica di concorrenza della Commissione.

I procedimenti di "controllo collegiale" costituiscono un incentivo all'applicazione del "principio di concentrazione della competenza antitrust CE".

Infine, i procedimenti di controllo "verticali ascendenti" costituiscono invece delle forme di "contropotere" degli Stati membri (rectius delle Autorità nazionali) nei confronti della Commissione.

Di seguito affronteremo, in primo luogo, i procedimenti di cooperazione tra Commissione e Autorità nazionali e tra le stesse Autorità nazionali ex reg. 1/03. In secondo luogo, affronteremo i procedimenti di controllo (verticali discendenti, collegiali e verticali ascendenti) delle decisioni emanate dagli organi del sistema amministrativo antitrust CE.

II. I meccanismi di cooperazione

SOMMARIO: 113. A) La cooperazione verticale. La cooperazione "verticale discendente". La facoltà delle Autorità nazionali di richiedere consulenza alla Commissione per l'applicazione del diritto europeo (art. 11(5) reg. 1/03). La cooperazione "verticale ascendente". II poteri istruttori della Commissione delegati alle Autorità nazionali e disciplinati dal reg. 1/03. — 114. B) La "cooperazione orizzontale". L'"inter-operabilità" dei sistemi antitrust, la "cooperazione orizzontale" e il "principio di concentrazione della competenza antitrust europea": B.i) La prima fase della "cooperazione orizzontale" (art. 11(4) ultima parte reg. 1/03). — 115. (segue) La distribuzione dei casi: i criteri di ripartizione definiti dalla Commissione. I casi antitrust "ri-attribuiti" e la tutela dei denuncianti. — 116. B.ii) La seconda fase della "cooperazione orizzontale". La disciplina dell'archiviazione delle denunce e la sospensione dei procedimenti delle Autorità nazionali e della Commissione (l'art. 13 reg. 1/03). L'art. 13(1) reg. 1/03 e la sospensione del procedimento o l'archiviazione della denuncia. L'uso delle informazioni delle Autorità nazionali che sospendono o archiviano il procedimento. — 117. (segue) L'art. 13(2) reg. 1/03 e le fattispecie "trattate" dalla Commissione o dalle Autorità nazionali. La carente tutela dei diritti degli artt. 81(1) e 82 TCE quale pericolo derivante dall'esercizio dell'art. 13 reg. 1/03. — 118. B.iii) La terza fase della "cooperazione orizzontale". I poteri delle Autorità nazionali per lo svolgimento di attività ispettiva sul territorio di altri Stati membri (art. 22(1) reg. 1/03). La ratio della norma. La necessità di tutela delle informazioni conseguente alle "cooperazioni orizzontali". — 119. C) Le cooperazioni che interessano complessivamente la cd. Rete; la disciplina delle informazioni acquisiste per l'applicazione del diritto antitrust CE. C.1) La circolazione ed uso delle informazioni all'interno della Rete (art. 12 reg. 1/03). — 120. (segue) L'eccezione alle regole generali dell'art. 12 reg. 1/03: l'uso delle informazioni acquisite ex reg. 1/03 per l'applicazione del diritto antitrust statale (art. 12(2) ultima parte reg. 1/03). La limitazione dell'uso dei documenti acquisiti e circolati nella Rete ex reg. 1/03 quali mezzi di prova nei confronti delle persone fisiche (art. 12(3) reg. 1/03). — 121. (segue) La richiesta da parte delle imprese di "trattamento favorevole" per le violazioni antitrust compiute. L'uso quali mezzi di prova delle informazioni fornite nella richiesta di "trattamento favorevole" e "immesse" nella Rete. I principi delineati dalla Commissione nella Comunicazione sulla Rete. L'utilizzabilità delle informazioni fornite quali "indizi" per altri procedimenti. — 122. C.2) La finalità dell'uso delle informazioni per la Commissione, le Autorità nazionali e le giurisdizioni nazionali (art. 28(1) reg. 1/03). — 123. C.3) Il divieto di divulgazione delle informazioni all'esterno della Rete. I documenti coperti

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

361

da segreto d'ufficio (art. 28(2) reg. 1/03). I documenti interni della Commissione e delle Autorità nazionali (art. 27(2) reg. 1/03).

113. A) La cooperazione verticale. La cooperazione "verticale discendente".

La facoltà delle Autorità nazionali di richiedere consulenza alla

Commissione per l'applicazione del diritto europeo (art. 11(5) reg. 1/03).

La cooperazione "verticale ascendente". II poteri istruttori della

Commissione delegati alle Autorità nazionali e disciplinati dal reg. 1/03.

Con riferimento all'aspetto della cooperazione tra Commissione e

Autorità nazionali, l'art. 11(5) reg. 1/03 è l'unico comma dell'art. 11 reg. 1/03 — non ostante l'articolo sia rubricato come "cooperazione fra la Commissione e le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri" — che disciplina una forma di cooperazione tra Commissione e Autorità nazionali (in particolare, una cooperazione "verticale discendente"). Gli altri commi dell'art. 11 reg. 1/03 regolano, da una

parte, il controllo della Commissione per l'applicazione del diritto antitrust CE operata dalle Autorità nazionali e, dall'altra, regolano la prima fase di controllo delle Autorità nazionali nei confronti della Commissione (art. 11(2) reg. 1/03) 698.

Riguardo alla prima forma di cooperazione tra Commissione e Autorità nazionali, l'art. 11(5) reg. 1/03 disciplina che "le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri poss[o]no consultare la Commissione su qualsiasi caso che implichi l'applicazione del diritto comunitario". Tale competenza, prevista al fine di facilitare l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE da parte dell'Autorità nazionale, era stata sviluppata — com'è noto — nella giurisprudenza Automec II e Bemim ed era stata "formalizzata" nella Comunicazione sulla cooperazione tra Commissione e Autorità nazionali (1997).

Un interessante aspetto è costituito dal differente contenuto dell'art. 11(5) reg. 1/03 rispetto all'art. 15(1) reg. 1/03 (relativo ai rapporti tra

698 Operando quindi una distinzione logica tra strumenti di controllo e strumenti di

cooperazione, gli aspetti disciplinati dall'art. 11 reg. 1/03 — cioè "il principio della stretta collaborazione" — saranno presi in considerazione — salvo il caso dell'art. 11(5) reg. 1/03 — nella sezione relativa ai mezzi di controllo della Commissione nei confronti delle Autorità nazionali.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

362

Commissione e giurisdizioni nazionali). Nel caso dell'art. 11(5) reg. 1/03 la facoltà delle Autorità nazionali di consultare la Commissione attiene non solo "a questioni relative all'applicazione delle regole di concorrenza comunitarie", così come previsto all'art. 15(1) reg. 1/03 699, ma anche a "qualsiasi caso che implichi l'applicazione del diritto comunitario". Tale differenza è giustificata dal differente ruolo che le Autorità nazionali svolgono all'interno del sistema di tutela antitrust CE rispetto alle giurisdizioni nazionali, e dal tentativo di attribuire alle Autorità nazionali tutti i poteri necessari per applicare gli artt. 81 e 82 TCE in sostituzione della Commissione (salvo, appunto, richiedere puntuali consulenze all'Autorità CE 700). Ciò è inoltre disciplinato per evitare di riconoscere ai numerosi giudici nazionali che applicano il diritto antitrust CE (sicuramente ben più delle 25 Autorità nazionali) un potere generale di consulenza nei confronti della Commissione in materia di diritto CE. Una previsione differente avrebbe determinato la sottoposizione della Commissione ad un'attività "obbligatoria" di consulenza alle giurisdizioni nazionali estesa al di là delle norme di concorrenza.

Una seconda forma di cooperazione verticale (questa volta "ascendente") è costituita dall'"esecuzione delegata" da parte delle Autorità nazionali dei poteri istruttori della Commissione. Infatti, ai

699 L'art. 15(1) reg. 1/03 prevede infatti che "nell'ambito dei procedimenti per l'applicazione dell'articolo 81 o dell'articolo 82 del Trattato le giurisdizioni degli Stati membri possono chiedere alla Commissione di trasmettere loro le informazioni in suo possesso o i suoi pareri in merito a questioni relative all'applicazione delle regole di concorrenza

comunitarie" (corsivo aggiunto). 700 L'esperienza dell'Autorità antitrust italiana dimostra infatti che vi possano essere

casi in cui l'applicazione del diritto antitrust è strettamente collegato ad altre norme di diritto CE. Cfr. ad es., caso Telsystem, provv. 2662 del 10 gennaio 1995, proc. A - 71 Telsystem/Sip. In esso l'Autorità italiana aveva dovuto tenere presente non solo la disciplina antitrust italiana, ma anche numerose direttive comunitarie (Direttiva della Commissione 90/388/CEE del 28 giugno 1990, relativa alla concorrenza nei mercati dei servizi di telecomunicazioni; Direttiva del Consiglio 92/44/CEE del 5 giugno 1992, sull'applicazione della fornitura di una rete aperta, Open Network Provision - ONP; Direttiva della Commissione 94/46/CE del 13 ottobre 1994, relativa alle comunicazioni via satellite) oltre alla Comunicazione della Commissione Europea 91/C233/02 in materia di applicazione delle regole di concorrenza al settore delle telecomunicazioni. Cfr. anche il caso Monopoli di

Stato, provv. 6473 del 20 ottobre 1998, proc. A - 130 - International tobacco

agency/Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, in Boll. 43/98. In tale procedimento, l'Autorità ha iniziato, in data 21 novembre 1996, un procedimento istruttorio relativamente ad alcune (presunte) fattispecie anticoncorrenziali di "rilevanza comunitaria" la cui valutazione era strettamente connessa all'applicazione dell'art. 28 TCE.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

363

sensi del reg. 1/03 — così come ai sensi dell'art. 13 reg. 17/62 — la Commissione può delegare alle Autorità sia gli accertamenti tramite semplice domanda (art. 20(1) reg. 1/03), sia tramite decisione (art. 20(4) reg. 1/03). La normativa nazionale, con riferimento agli accertamenti delegati alla Commissione, regola i poteri dei "funzionari delle Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri incaricati di procedere agli accertamenti così come quelli da esse autorizzati o nominati" (art. 22(2) reg. 1/03) 701. Tale disciplina relativa ai poteri istruttori delegati delle Autorità nazionali ai sensi del reg. 1/03 costituisce un'eccezione. Infatti, il reg. 1/03 nulla prevede riguardo ai poteri istruttori di cui le Autorità nazionali sono titolari per l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE 702. La disciplina dei poteri istruttori delle Autorità nazionali per l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE rimane, nel rispetto dei vincoli e finalità del reg. 1/03 e dei principi generali del diritto CE, competenza esclusiva dei singoli Stati membri (cfr. a contrario ex art. 22(1) reg. 1/03).

114. B) La "cooperazione orizzontale". L'"inter-operabilità" dei sistemi

antitrust, la "cooperazione orizzontale" e il "principio di concentrazione

della competenza antitrust europea": B.i) La prima fase della

"cooperazione orizzontale" (art. 11(4) ultima parte reg. 1/03).

Come ricordato supra, il reg. 1/03 disciplina, oltre alle due forme di

cooperazione "verticale" prese ora in considerazione, anche tre differenti strumenti di cooperazione "orizzontale" tra le Autorità nazionali stesse (artt. 13(1) reg. 1/03, 11(4) ultima parte reg. 1/03 e 22(1) reg. 1/03) 703. In particolare tali strumenti di cooperazione "orizzontale"

701 E ciò a differenza dell'ipotesi di accertamenti delegati dalle Autorità nazionali ad altre Autorità (art. 22(1) reg. 1/03). In quest'ultimo caso, infatti, il reg. 1/03 rinvia alla normativa dello Stato membro dell'Autorità che deve agire.

702 Con riferimento alle Autorità nazionali, il reg. 1/03 disciplina esclusivamente le decisioni che le Autorità nazionali devono poter emanare (art. 5 reg. 1/03); le procedure necessarie ad una efficace applicazione degli artt. 81 e 82 TCE da parte delle Autorità; gli aspetti relativi alla designazione delle Autorità nazionali (art. 35 reg. 1/03); il potere di avocazione (art. 11(6) reg. 1/03); i poteri delegati dalla Commissione e dalle altre Autorità nazionali per le indagini sul proprio territorio (art. 22 reg. 1/03).

703 Come infra indicato, il reg. 1/03, oltre alla disciplina degli interventi cd. amicus

curiae e alla delega delle attività ispettive dalla Commissione alle Autorità nazionali (cooperazione "verticale") prevede anche forme di cooperazione "orizzontale" tra Autorità nazionali; forme di cooperazione che sono la conseguenza della "inter-operabilità" dei singoli sistemi antitrust tra di loro. Al fine della "cooperazione orizzontale" il reg. 1/03

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

364

sono elementi del più ampio "principio di concentrazione della competenza antitrust CE" a cui partecipa anche la Commissione 704.

Con "principio di concentrazione della competenza antitrust CE" intendiamo quel principio — che si concretizza in una serie di procedimenti disciplinati dal reg. 1/03 — finalizzato all'applicazione del diritto antitrust CE su di una fattispecie da parte di una sola Autorità (Commissione o Autorità antitrust nazionale). I procedimenti che disciplinano tale principio sono: le tre fasi della "cooperazione orizzontale" tra Autorità nazionali (artt. 13(1) reg. 1/03, 11(4) ultima parte reg. 1/03 e 22(1) reg. 1/03), la facoltà della Commissione di archiviare le denunce se "trattate" o oggetto di procedimento delle

disciplina tre differenti istituti. In primo luogo, il reg. 1/03 permette alle Autorità nazionali di scambiarsi informazioni per la valutazione di un caso antitrust di cui esse si occupino ai sensi del diritto antitrust CE (art. 11(4) ultima parte reg. 1/03). In secondo luogo, l'art. 13 reg. 1/03 disciplina la facoltà delle Autorità nazionali di "sospendere il procedimento o (…) respingere la denuncia"; questo eventualmente dopo che le Autorità nazionali stesse abbiano deciso quale Autorità nazionale debba iniziare il procedimento istruttorio. In terzo luogo, l'art. 22(1) reg. 1/03 prevede la possibilità che le Autorità nazionali di uno Stato membro — "per stabilire l'esistenza di un'infrazione all'articolo 81 o all'articolo 82 CE" — possano esercitare sul proprio territorio le attività ispettive regolate dal proprio diritto nazionale "in nome e per conto dell'Autorità garante della concorrenza di un altro Stato membro" (art. 22(1) reg. 1/03). E cioè, anche a seguito dei contatti ex art. 11(4) ultima parte reg. 1/03, le Autorità nazionali potrebbero non solo aver determinato quale Autorità nazionale debba istruire il caso — e quindi alcune di esse abbiano deciso di sospendere o archiviare la denuncia ex art. 13(2) reg. 1/03 — ma le Autorità potrebbero aver deciso anche l'eventuale divisione dei compiti istruttori tra Autorità nazionali con riferimento ai rispettivi territori. Oltre a questi tre strumenti di cooperazione orizzontale — e sempre con riferimento ai meccanismi di cooperazione per una efficace allocazione dei casi all'interno della cd. Rete (ma anche al fine di un'efficace uso delle informazioni in possesso delle singole Autorità nazionali) il reg. 1/03 regola inoltre lo scambio delle informazioni tra le Autorità nazionali e la Commissione. L'art. 12 reg. 1/03, in particolare, permette sia lo scambio "verticale ascendente" delle informazioni (già previsto dal regolamento 17/62), che lo scambio di informazioni "verticale discendente" (da Commissione ad Autorità nazionali), che lo scambio orizzontale tra Autorità nazionali.

704 V. così anche la Comunicazione relativa alla Rete, § 7. In applicazione del principio della "concentrazione della competenza antitrust CE", al

fine di individuare l'Autorità nazionale che si trovi nella situazione migliore per istruire il caso e anche per evitare la duplicazione dei procedimenti tra Autorità nazionali, il formulario redatto dalla Commissione per la presentazione delle denunce richiede di "fornire informazioni esaurienti su eventuali esposti presentati, sul medesimo oggetto o oggetti strettamente connessi, ad un'altra Autorità garante della concorrenza e indicare se è stata intentata una causa dinanzi ad una giurisdizione nazionale. In caso affermativo, specificare quale sia l'organo amministrativo o giudiziario al quale ci si è rivolti e indicare gli elementi sottoposti al suo giudizio", Modello C denuncia — ruolo procedimenti paralleli nella denuncia — IV. Procedimenti in corso presso Autorità nazionali garanti della concorrenza o giurisdizioni nazionali.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

365

Autorità nazionali (art. 13 reg. 1/03) e il procedimento di "controllo collegiale" del Comitato consultivo (art. 14(7) reg. 1/03).

Come detto, tramite i tre istituti relativi alla cooperazione "orizzontale", il reg. 1/03 regola la modalità con cui decidere quale dei "nodi" della Rete sia nella posizione migliore per valutare ai sensi degli artt. 81 e 82 TCE un determinato caso. Dal momento che tutte le Autorità nazionali sono titolari della competenza antitrust CE, l'applicazione sullo stesso caso degli artt. 81 e 82 TCE in parallelo tra le Autorità nazionali potrebbe determinare, in ultima istanza, il pericolo di decisioni contrastanti 705.

Passando ad approfondire in modo più analitico i tre istituti di cooperazione orizzontale individuati supra § 113, il primo di essi — l'art. 11(4) ultima parte reg. 1/03 — introduce una novità di grande importanza, e cioè la possibilità per le "Autorità garanti della concorrenza [di potersi scambiare] le informazioni necessarie alla valutazione di un caso di cui si occupano a norma degli articoli 81 o 82 del Trattato". Tale norma, con particolare riferimento al principio della "concentrazione della competenza antitrust CE", ha la funzione di favorire un contatto tra le differenti Autorità nazionali per definire quale sia l'Autorità nazionale che meglio possa valutare lo specifico comportamento (questo permette inoltre, in un momento temporalmente successivo, di scambiarsi informazioni nel caso di un procedimento parallelo tra di esse).

705 La Commissione sottolinea come elemento importante per la creazione di un

sistema in cui sia applicato efficacemente il diritto antitrust CE l'esistenza di "competenze parallele per l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE"; con ciò intendendo "una competenza (…) per l'applicazione nella loro interezza degli articoli 81 e 82" TCE (Comunicazione sulle lettere di orientamento, § 2). In particolare, "il sistema creato dal Regolamento 1/2003, pur introducendo una competenza parallela per Commissione, Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri e giurisdizioni degli Stati membri per l'applicazione degli articoli 81 e 82 TCE nella loro interezza, limita con una serie di misure il rischio di un'applicazione non coerente, garantendo così la principale componente della certezza giuridica per le imprese evidenziato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, ovvero l'applicazione coerente delle regole di concorrenza in tutta la Comunità" (Comunicazione sulle lettere di orientamento, § 2).

Dal momento che tale competenza parallela era già presente nel reg. 17/62, anche se con l'esclusione dell'art. 81(3) TCE — e sotto alcuni aspetti già nel 1958 nel sistema ex artt. 84 e 85 TCE —, è chiaro che il cambiamento rilevante per la Commissione sia l'applicazione decentrata dell'art. 81(3) TCE (riguardo all'illegittimità dell'art. 6 reg. 1/03, v. infra § 148).

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

366

L'art. 11(4) ultima parte reg. 1/03 sembrerebbe disciplinare un procedimento distinto rispetto a quanto previsto ai sensi dell'art. 11(4) prima parte reg. 1/03 706. Tale norma — a differenza dell'art. 11(4) prima parte reg. 1/03 — riguarda infatti la facoltà delle Autorità nazionali di potersi scambiare direttamente — senza quindi il tramite della Commissione — informazioni da esse detenute e che riguardino "un caso di cui si occupano a norma degli artt. 81 e 82 TCE". L'art. 11(4) ultima parte reg. 1/03 inserisce, accanto al caratteristico rapporto

verticale "Commissione - Autorità nazionali" dell'art. 11(4) prima parte reg. 1/03, un rapporto orizzontale tra Autorità nazionali 707.

Ciò non significa che le eventuali decisioni su singole fattispecie antitrust delle Autorità nazionali scaturite dagli scambi di informazioni e di valutazioni tra Autorità nazionali ex art. 11(4) ultima parte reg. 1/03 "sfuggano" al controllo della Commissione. Il sistema ex reg. 1/03 prevede, infatti, che le decisioni delle Autorità nazionali — a prescindere dall'esercizio della "cooperazione orizzontale" tra Autorità nazionali — debbano necessariamente essere oggetto di controllo da parte della Commissione ex art. 11(4) reg. 1/03.

706 L'art. 11(4) prima parte reg. 1/03 recita: "Al più tardi 30 giorni prima dell'adozione

di una decisione volta a ordinare la cessazione di un'infrazione, ad accettare impegni o a revocare l'applicazione di un regolamento d'esenzione per categoria, le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri informano la Commissione. A tal fine esse forniscono alla Commissione una presentazione del caso in questione, la decisione prevista o, in sua mancanza, qualsiasi altro documento che esponga la linea d'azione proposta. Tali informazioni possono essere fornite anche alle Autorità garanti della concorrenza degli altri Stati membri. Su richiesta della Commissione, l'Autorità garante della concorrenza che agisce rende disponibili alla Commissione altri documenti in suo possesso necessari alla valutazione della pratica. Le informazioni fornite alla Commissione possono essere messe a disposizione delle Autorità garanti della concorrenza degli altri Stati membri".

707 Questo aspetto orizzontale non sembra essere coerente con il resto del contenuto dell'articolo stesso. Tale elemento è forse determinato dalla radicale ri-formulazione dell'art. 11 reg. 1/03 rispetto a come era stato inizialmente redatto nella proposta di regolamento del 2000.

Tale "collaborazione" nulla ha a che fare né con la "collaborazione tra Commissione e Autorità nazionali per l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE" di cui all'art. 11(1) reg. 1/03, né con quanto trattato dall'art. 11(3) reg. 1/03 e dall'art. 11(4) reg. 1/03 (cioè con la collaborazione — rectius il controllo — della Commissione nei confronti del comportamento delle Autorità nazionali), né con quanto trattato ai sensi dell'art. 11(2) reg. 1/03 (cioè uno degli elementi del controllo delle Autorità nei confronti della Commissione).

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

367

115. (segue) La distribuzione dei casi: i criteri di ripartizione definiti dalla

Commissione. I casi antitrust "ri-attribuiti" e la tutela dei denuncianti.

Mentre l'art. 11(4) ultima parte reg. 1/03 disciplina il principio

relativo allo scambio di informazioni tra Autorità nazionali (anche) per determinare quale sia l'Autorità nazionale che si trovi nella posizione migliore per decidere di una fattispecie antitrust, la Commissione ha definito i criteri per determinare la concreta distribuzione dei casi all'interno della Rete. La Commissione sostiene che un'Autorità nazionale sia nella posizione idonea per trattare un caso se sono soddisfatte le seguenti tre condizioni cumulative:

"1. l'accordo o la pratica produce sensibili effetti diretti, attuali o prevedibili, sulla concorrenza nell'ambito del suo territorio; viene attuato o ha origine nel suo territorio;"

"2. l'Autorità è in grado di far cessare efficacemente l'infrazione nel suo complesso, vale a dire che può emettere un ordine di porre termine all'infrazione i cui effetti siano sufficienti a far cessare la stessa. Inoltre, l'Autorità può, qualora lo ritenga opportuno, sanzionare adeguatamente l'infrazione;"

"3. l'Autorità può raccogliere, eventualmente con l'assistenza di altre Autorità, le prove necessarie per comprovare l'infrazione" (Comunicazione relativa alla Rete, § 8).

A seconda della presenza di questi requisiti si troverà nella migliore posizione per decidere lo specifico caso antitrust una singola Autorità (Comunicazione relativa alla Rete delle Autorità nazionali, §§ 10 e 11) 708, due o più Autorità nazionali parallelamente (ibidem, §§ 12 e 13) 709, oppure unicamente la Commissione (ibidem, §§ 14 e 15) 710.

708 La Commissione sostiene: "Si può pertanto affermare che in genere un'unica

Autorità nazionale garante della concorrenza è nella posizione idonea per trattare gli accordi o le pratiche che pregiudicano in maniera sensibile la concorrenza nell'ambito del proprio territorio (…). Inoltre, l'azione autonoma di un'Autorità nazionale garante della concorrenza può essere adeguata anche quando, pur potendosi ritenere che più di un'Autorità nazionale garante della concorrenza sia nella posizione idonea, l'azione di un'unica Autorità è sufficiente a far cessare l'infrazione" (Comunicazione sulla Rete, §§ 10 e 11).

709 La Commissione chiarisce che "l'azione parallela di due o di tre Autorità nazionali garanti della concorrenza potrebbe rivelarsi adeguata qualora un accordo o una pratica producano effetti sensibili sulla concorrenza principalmente nei rispettivi territori e l'azione

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

368

Definiti i criteri di ripartizione dei casi antitrust, l'applicazione concreta di essi richiede — da un punto di vista pratico — una stretta cooperazione tra Commissione e Autorità nazionali (e tra Autorità nazionali fra di loro). Ad avviso della Commissione, momento iniziale per tale cooperazione è la comunicazione da parte di una Autorità nazionale dell'avvio di un procedimento ai sensi del diritto antitrust CE (art. 11(3) reg. 1/03). L'art. 11(3) reg. 1/03 obbliga le Autorità nazionali ad informare "per iscritto la Commissione" dell'apertura di procedimenti ai sensi degli artt. 81 e 82 TCE, "prima o immediatamente dopo l'avvio della prima misura formale di indagine" (ciò che incidentalmente rende noto alla Commissione anche l'eventuale apertura di procedimenti antitrust nazionali) 711. A seguito di tale informazione inizia un periodo definito dalla Commissione di "ri-

attribuzione" (ibidem, § 6); cioè un periodo in cui è valutato dalla di un'unica Autorità nazionale garante della concorrenza non sia sufficiente a far cessare l'infrazione nel suo complesso e/o a sanzionarla adeguatamente. (…) Le Autorità che trattano il caso in parallelo devono coordinare per quanto possibile le loro attività. A tal fine, esse possono trovare utile designare una di loro come Autorità capofila e delegare ad essa compiti quali, ad esempio, il coordinamento delle misure d'indagine, mentre ciascuna Autorità resta responsabile della conduzione dei propri procedimenti" (ibidem, §§ 12 e13).

710 La Comunicazione prevede che "la Commissione è nella posizione più idonea quando uno o più accordi o pratiche, ivi comprese le reti di accordi o di pratiche simili, incidono sulla concorrenza in più di tre Stati membri (mercati transfrontalieri che coprono più di tre Stati membri o diversi mercati nazionali). (…) Inoltre, la Commissione è in una posizione particolarmente idonea per trattare i casi che presentano una stretta relazione con altre disposizioni comunitarie per la cui applicazione la Commissione ha competenza esclusiva o che possono essere meglio applicate dalla Commissione, come pure i casi nei quali la tutela dell'interesse comunitario richiede l'adozione di una decisione della Commissione per adeguare la politica di concorrenza comunitaria a problemi di concorrenza nuovi o per assicurare il rispetto effettivo delle regole di concorrenza" (Comunicazione sulla Rete, §§ 14 e 15).

711 Questo obbligo sostanzialmente impone alle Autorità nazionali di rendere noto alla Commissione tutte le più importanti attività istruttorie svolte dalle Autorità nazionali ai sensi del diritto antitrust degli Stati membri. Infatti, in considerazione dell'ampio campo di applicazione del diritto antitrust CE — che comprende anche le fattispecie aventi effetti limitati a settori dei territori degli Stati membri — difficilmente saranno configurabili procedimenti nazionali che non abbiano ad oggetto fattispecie di rilevanza comunitaria. Quindi le Autorità nazionali, iniziando ai sensi del diritto antitrust statale procedimenti relativi a fattispecie che interessino l'intero territorio nazionale — cioè la maggior parte dei procedimenti — devono iniziare parallelamente — ai sensi dell'art. 3(1) reg. 1/03 — anche un procedimento ai sensi del diritto antitrust CE. Così facendo le Autorità nazionali, notificando alla Commissione — ex art 11(3) reg. 1/03 — l'inizio del procedimento ai sensi del diritto antitrust CE, indirettamente danno notizia anche della maggior parte dei procedimenti istruiti dalle relative Autorità nazionali ai sensi del diritto antitrust degli Stati membri.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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Commissione e dalle (altre) Autorità nazionali — eventualmente in sede di Comitato consultivo 712 — se l'Autorità nazionale che ha iniziato il procedimento si trovi — comparativamente agli altri "nodi" della Rete — nella situazione migliore per risolvere il caso. Finito tale periodo, che dovrebbe avere una durata massima di due mesi 713, l'Autorità (o le Autorità nazionali) dovrebbero (in principio) poter continuare il procedimento istruttorio fino alla relativa decisione, salvo le cinque eccezioni definite dalla Commissione (Comunicazione relativa alla Rete delle Autorità nazionali, § 54) 714.

Il reg. 1/03 fornisce ampia autonomia alle Autorità nazionali per definire tra loro — prima della notifica alla Commissione ex art. 11(3) reg. 1/03 e quindi senza l'intervento della Commissione — la distribuzione dei casi antitrust proprio in applicazione delle tre "cooperazioni orizzontali" (artt. 13(1) reg. 1/03, 11(4) ultima parte reg. 1/03 e 22(1) reg. 1/03 — v. supra § 113). Tali cooperazioni "orizzontali" permettono alle Autorità nazionali di creare delle "occasioni" di dialogo tra di esse e — in ossequio al principio di "concentrazione della competenza antitrust CE" 715 — di "concentrare" la valutazione della fattispecie nella decisione di una sola Autorità. Tutto ciò senza intervento diretto della Commissione (rectius senza impegnare il limitato personale della Commissione). Come supra ricordato (v. supra § 114), questo non significa che nel caso di procedimenti che abbiano beneficiato delle "cooperazioni orizzontali" tra Autorità nazionali, la

712 La Commissione stessa ha indicato che "per i casi importanti, il Comitato consultivo

può anche costituire la sede in cui discutere dell'attribuzione dei casi" (Comunicazione relativa alla Rete, § 62).

713 Come sostenuto dalla Commissione: "Nell'ambito [della Rete], le informazioni sui casi oggetto di indagine a seguito di una denuncia saranno messe a disposizione degli altri membri della rete prima o immediatamente dopo l'avvio della prima misura formale di indagine. Se la stessa denuncia è stata presentata a più Autorità o se il caso non è stato denunciato ad un'Autorità in posizione idonea per trattarlo, i membri della rete si adopereranno per determinare entro un termine indicativo di due mesi quale o quali Autorità deve o devono trattare il caso" (Comunicazione sulle denunce, § 23).

714 La Comunicazione relativa alla Rete delle Autorità nazionali recita: "Qualora per ragioni di tutela efficace della concorrenza e dell'interesse comunitario si ritenga necessaria la ri-attribuzione del caso, i membri della rete tenteranno, ogniqualvolta ciò sia possibile, di ri-

attribuire il caso ad un'unica Autorità che sia nella posizione idonea per intervenire. In ogni caso, la ri-attribuzione dovrebbe avvenire in modo rapido ed efficiente e non dovrebbe determinare ritardi nelle indagini in corso" (Comunicazione sulla Rete, § 7).

715 Su tale principio v. supra § 114.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

370

Commissione non svolga il proprio potere di controllo ex art. 11(4) reg. 1/03 716 (v. sul potere di controllo infra § 124).

La "ri-attribuzione" dei casi all'interno della cd. Rete determina degli effetti rilevanti sui denuncianti. Infatti, a seguito della "ri-attribuzione" la fattispecie denunciata non è istruita dall'Autorità nazionale a cui il singolo ha segnalato il comportamento. A tal fine, la Commissione ha individuato alcuni profili di tutela delle imprese denuncianti nel caso in cui una (presunta) violazione antitrust sia stata

successivamente "ri-attribuita" ad altra Autorità nazionale. Riguardo a ciò la Commissione ha premesso che, avendo il regolamento "creato un sistema di competenze parallele, l'attribuzione dei casi tra membri della Rete costituisce una semplice divisione del lavoro sulla base della quale alcune Autorità si astengono dall'agire. Pertanto, l'attribuzione dei casi non implica che le imprese partecipanti ad un'infrazione o da essa interessate acquisiscano il diritto a che il loro caso venga trattato da una particolare Autorità" (Comunicazione sulla Rete, § 31).

Con riferimento ai denuncianti, "qualora un caso venga ri-attribuito nell'ambito della Rete, le imprese interessate e i denuncianti ne vengono informati il più rapidamente possibile ad opera delle Autorità garanti della concorrenza interessate" (Comunicazione relativa alla Rete, § 34). Oltre a ciò il denunciante, "qualora conformemente all'articolo 7 del Regolamento del Consiglio venga presentata una denuncia alla Commissione e qualora la Commissione non avvii le indagini a seguito della denuncia o non vieti l'accordo o la pratica oggetto della denuncia, ha il diritto di ottenere che venga adottata una decisione di rigetto della denuncia", escluso il caso previsto dall'art. 7(3) reg. 773/04 717 (Comunicazione relativa alla Rete, § 35). L'eventuale tutela giurisdizionale dei soggetti che presentano una denuncia ad

716 Infatti, l'art. 11(4) reg. 1/03, prima che l'Autorità nazionale emani la propria

decisione su un caso di rilevanza CE, riattiva i poteri di controllo della Commissione. Tale norma prevede che l'Autorità nazionale fornisca alla Commissione in primo luogo una presentazione del caso in corso di decisione e, in secondo luogo, "la decisione prevista o, in sua mancanza, qualsiasi altro documento che esponga la linea d'azione proposta" (art. 11(4) reg. 1/03).

717 L'art. 7(3) reg. 773/04 prevede che "se il denunciante non presenta osservazioni entro il termine fissato dalla Commissione, la denuncia si considera ritirata". Tale possibilità di archiviazione si aggiunge a quanto previsto — e supra valutato — dall'art. 13 reg. 1/03.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

371

un'Autorità nazionale sono disciplinati dal diritto nazionale (Comunicazione sulla Rete, § 35).

116. B.ii) La seconda fase della "cooperazione orizzontale". La disciplina

dell'archiviazione delle denunce e la sospensione dei procedimenti delle

Autorità nazionali e della Commissione (l'art. 13 reg. 1/03). L'art. 13(1)

reg. 1/03 e la sospensione del procedimento o l'archiviazione della

denuncia. L'uso delle informazioni delle Autorità nazionali che

sospendono o archiviano il procedimento.

L'art. 13 reg. 1/03 costituisce la seconda fase della "cooperazione

orizzontale" tra Autorità 718, dopo che le Autorità nazionali si sono scambiate informazioni "di un caso di cui si occupano a norma degli articoli 81 o 82 del Trattato" (art. 11(4) reg. 1/03). Esso disciplina inoltre alcuni istituti con cui la Commissione — secondo il principio della concentrazione della competenza antitrust CE (v. supra § 114), principio che comprende anche le "cooperazioni orizzontali" tra Autorità nazionali (v. supra § 113) — permetta che un caso antitrust sia deciso da un solo organo 719.

Infatti, l'art. 13(1) reg. 1/03 prevede che le Autorità nazionali (ma anche la Commissione) abbiano la facoltà — in ipotesi, successivamente ai contatti di cui all'art. 11(4) ultima parte reg. 1/03 — di archiviare la denuncia, o le Autorità nazionali abbiano la facoltà di sospendere il relativo procedimento, lasciando (definitivamente o temporaneamente) ad una sola Autorità nazionali la decisione del caso 720. Ciò avviene

718 L'art. 13 reg. 11/03 recita: "Quando le Autorità garanti della concorrenza di due o

più Stati membri hanno ricevuto una denuncia o agiscono d'ufficio ai sensi dell'articolo 81 o dell'articolo 82 del Trattato riguardo al medesimo accordo, alla medesima decisione di un'associazione o alla medesima pratica, il fatto che un'Autorità garante della concorrenza stia esaminando il caso costituisce, per le altre Autorità, un motivo sufficiente per sospendere il procedimento o per respingere la denuncia. La Commissione può analogamente respingere una denuncia qualora questa sia all'esame dell'Autorità garante della concorrenza di uno Stato membro".

719 L'art. 13 reg. 1/03 infatti disciplina sia i rapporti di "cooperazione orizzontali" tra Autorità, sia gli istituti con cui anche la Commissione permette la concentrazione della competenza antitrust perché un caso sia deciso da una singola Autorità.

720 Tale norma dovrebbe non tanto evitare quello che è stato icasticamente definito "il palleggiamento" di competenze tra Commissione e Autorità nazionali e, ai sensi del reg. 1/03, tra Autorità stesse, ma dovrebbe favorire l'incardinamento di un solo procedimento

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

372

quando più Autorità abbiano ricevuto una medesima denuncia, o più Autorità abbiano iniziato un procedimento relativo alla medesima fattispecie o quando alla Commissione sia stata presentata la denuncia di una fattispecie "all'esame" di un'Autorità nazionale. Invece, l'art. 13(2) reg. 1/03 disciplina la facoltà delle Autorità nazionali — e della Commissione — di respingere una denuncia relativa ad un caso antitrust "già trattat[o] da un'altra Autorità garante della concorrenza".

La novità dei due commi dell'art. 13 reg. 1/03 consiste nell'attribuire alle Autorità nazionali (ma anche alla Commissione) la facoltà di archiviare una denuncia senza dover motivare tale provvedimento, situazione questa simile a quanto previsto dall'art. 5 ultima parte reg. 1/03. La previsione dell'art. 13 reg. 1/03 — relativamente alle Autorità nazionali — rimane per esse una mera facoltà e non costituisce un obbligo (Comunicazione sulla Rete, § 22) 721. L'eventuale sospensione o archiviazione sarà decisa dalle singole Autorità antitrust a seconda dell'interesse che esse riconoscono alla specifica fattispecie 722.

Come ricordato dalla Commissione, la sospensione o archiviazione può essere anche parziale, cioè relativa solo ad alcune fattispecie di un procedimento aperto dalle Autorità nazionali. L'art. 13 reg. 1/03 costituisce infatti una modalità per archiviare — nei limiti dell'obbligo dell'art. 5 ultima parte reg. 1/03, v. supra § 107 — denunce ritenute dalle singole Autorità nazionali non di particolare interesse per la parte del territorio comunitario interessato dalla (presunta) fattispecie

tra le varie Autorità nazionali europee per ogni singolo caso antitrust di rilevanza comunitaria.

721 Ai sensi di tale norma, quando le Autorità nazionali ricevono una denuncia per una medesima fattispecie di rilevanza comunitaria, "il fatto che un'Autorità garante della concorrenza stia esaminando il caso costituisce, per le altre Autorità, un motivo sufficiente per sospendere il procedimento o per respingere la denuncia" (art. 13(1) reg. 1/03). Inoltre, qualora un'Autorità nazionale abbia "ricevuto una denuncia contro [una fattispecie] già trattata da un'altra Autorità garante della concorrenza, tale denuncia può essere respinta" (art. 13(2) reg. 1/03).

722 L'Autorità preferirà la sospensione nel caso di procedimenti per i quali essa ritenga — in considerazione del baricentro del comportamento contestato e per l'importanza del caso — di dover pervenire essa stessa ad una conclusione, anche solo ai sensi del diritto antitrust dello

Stato membro. Infatti, nel momento in cui un procedimento di un'Autorità nazionale perviene ad una conclusione di merito ai sensi del diritto antitrust CE — e rispetto ad essa un'Autorità ha sospeso il procedimento —, ciò non esclude che la seconda Autorità nazionale possa continuare l'istruttoria con riferimento alle norme antitrust dello Stato membro.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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anticoncorrenziale (cioè il territorio dello Stato membro di appartenenza dell'Autorità nazionale).

Passando a valutare l'art. 13(1) reg. 1/03, esso prevede che "il fatto che un'Autorità garante della concorrenza stia esaminando il caso costituisce, per le altre Autorità, un motivo sufficiente per sospendere il procedimento o per respingere la denuncia" relativa al medesimo caso antitrust. Con "esame del caso" il reg. 1/03 si riferisce — per entrambi gli artt. 13(1) reg. 1/03 e 13(2) reg. 1/03 — sia alla fase pre-istruttoria così come alla fase formale del procedimento; questo in quanto il primo momento in cui la Commissione — ma anche eventualmente le Autorità nazionali — possono avere contezza del fatto che le Autorità "agiscono ai sensi dell'articolo 81 o 82 del Trattato" è sia "prima" che

"immediatamente dopo l'avvio della prima misura formale di indagine" (art. 11(3) reg. 1/03, corsivo aggiunto). In questo modo la Commissione è informata "per iscritto", e tale "informazione può essere resa disponibile anche alle Autorità garanti" (art. 11(3) ultima parte reg. 1/03).

Anche nel caso in cui l'Autorità — dopo aver iniziato un procedimento istruttorio e dopo aver posto in essere le varie attività di preparazione ed attuazione di questo (notifiche, attività ispettive, etc.) — archivi il procedimento ex art. 13(1) reg. 1/03, ciò non determina le conseguenze negative riscontrabili in regime del reg. 17/62. Infatti, l'Autorità nazionale che sospenda il procedimento non ha posto in essere dei comportamenti inutili (con particolare riferimento alle attività ispettive svolte) in quanto le informazioni acquisite in questa sede possono essere trasferite, ai sensi dell'art. 12 reg. 1/03, all'Autorità "eletta" a portare a termine il procedimento antitrust. Anzi, la possibilità di concentrare le informazioni e i documenti presso una singola Autorità ai sensi dell'art. 12 reg. 1/03 — al posto di tenere tali informazioni "disperse" tra più Autorità — rende possibile l'inizio di procedimenti nei confronti di casi i quali altrimenti non sarebbero stati oggetto di valutazione.

Nel caso in cui un'Autorità nazionale sospenda (e non archivi) un procedimento ai sensi dell'art. 13(1) reg. 1/03 a favore del procedimento di un'altra Autorità, essa potrà — quando la seconda Autorità è pervenuta a decisione e nei limiti dell'identità delle fattispecie oggetto

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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del procedimento — o confermare le conclusioni della seconda Autorità, o archiviare il procedimento (come si può mutuare per

relationem dal caso Walt Wilhelm). Nel caso di conferma della violazione del diritto antitrust CE, essa non potrà però emanare una seconda sanzione pecuniaria nei confronti delle imprese; ciò in applicazione del principio del ne bis in idem 723 (riguardo agli effetti della decisione della prima Autorità nazionale ai sensi del diritto antitrust CE sulla competenza antitrust degli altri Stati membri, v. infra).

L'art. 13(1) reg. 1/03 si riferisce anche all'esercizio della competenza antitrust CE da parte della Commissione. L'art. 13(1) ultima parte reg. 1/03 prevede che, mentre le Autorità nazionali possono o archiviare la denuncia o sospendere il procedimento, la Commissione può esclusivamente respingere la denuncia "qualora questa sia all'esame dell'Autorità garante della concorrenza di uno Stato membro". Ciò in quanto, ai sensi dell'art. 11(6) reg. 1/03, non è ipotizzabile un procedimento parallelo tra Commissione e Autorità nazionali sulla stessa fattispecie in cui entrambi gli organi applichino il diritto antitrust CE. Al contrario, nel caso in cui la Commissione apra un procedimento ex art. 81 e 82 TCE — e le Autorità perdano quindi la loro competenza riconosciuta dall'art. 5 reg. 1/03 (art. 11(6) reg. 1/03) — queste ultime possono comunque applicare — o continuare ad applicare — la disciplina antitrust nazionale, sempre però nei limiti derivanti dall'art. 3 reg. 1/03 (v. supra § 44; con riferimento alle particolarità della disciplina antitrust italiana, v. supra § 110).

723 Però, riguardo alla legittimità di una duplice sanzione per la medesima fattispecie,

ai sensi sia del diritto antitrust CE, sia del diritto antitrust degli Stati membri, v. il caso Sotralentz. In esso si legge: "La ricorrente critica il fatto che la Commissione le abbia inflitto un'ammenda 115 volte più elevata di quella irrogata dalle autorità francesi competenti in materia di concorrenza. Il Tribunale ha già dichiarato (...) che la Commissione poteva giungere alle proprie conclusioni in base alle prove in suo possesso, che non erano necessariamente le stesse di cui disponevano le autorità francesi, e ch'essa non può essere vincolata dalle conclusioni di dette Autorità. Inoltre, secondo una giurisprudenza costante, le analogie eventualmente esistenti fra la legislazione di uno Stato membro in materia di concorrenza e il regime degli artt. [81] e [82] del Trattato non possono in alcun caso limitare l'autonomia di cui la Commissione dispone nell'applicazione degli artt. [81] e [82], imponendole di adottare lo stesso punto di vista degli organi incaricati di applicare una siffatta legislazione nazionale (sentenza della Corte 28 marzo 1985, causa 298/83, CICCE/Commissione, Racc. pag. 1105, punto 27). La censura della ricorrente va quindi respinta", Sentenza del Tribunale di primo grado (prima sezione) del 6 aprile 1995, Sotralentz, cit. a nota 378, § 78.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

375

Rimane comunque una differenza di finalità tra i motivi dell'archiviazione di una denuncia, ex art. 13 reg. 1/03, da parte della Commissione e da parte delle Autorità nazionali. L'archiviazione da parte della Commissione ha infatti la finalità di ridurre il carico di lavoro della Commissione, decentrando verso le Autorità nazionali la valutazione del caso non di interesse comunitario, lasciando ad esse l'eventuale apertura del procedimento istruttorio. Diversamente, l'archiviazione da parte di un'Autorità nazionale ha la funzione di "concentrare" — per casi non di interesse comunitario — l'esercizio della competenza antitrust CE su di una sola Autorità nazionale.

117. (segue) L'art. 13(2) reg. 1/03 e le fattispecie "trattate" dalla

Commissione o dalle Autorità nazionali. La carente tutela dei diritti

degli artt. 81(1) e 82 TCE quale pericolo derivante dall'esercizio

dell'art. 13 reg. 1/03.

Passando a considerare l'art. 13(2) reg. 1/03, tale norma attribuisce

alle Autorità nazionali (ma anche alla Commissione) il potere di archiviare una denuncia nel caso in cui una determinata fattispecie sia già stata "trattata" da altra Autorità nazionale 724. Il concetto di "fattispecie trattata dalle Autorità" si riferisce sia ad un caso sul quale l'Autorità nazionale sia già pervenuta ad una decisione di merito (decisione di violazione o di non violazione del diritto antitrust CE), sia ad una archiviazione della denuncia per insufficienza di prove presentate dai denuncianti (art. 5 ultima parte reg. 1/03).

Con riferimento all'applicazione dell'art. 13(2) reg. 1/03 da parte della Commissione, l'Autorità CE può archiviare le denuncie pervenute non solo per i motivi espressi da tale norma, ma anche per la carenza di

724 L'art. 13(2) reg. 1/03 prevede che "qualora un'Autorità garante della concorrenza di

uno Stato membro o la Commissione abbiano ricevuto una denuncia contro un accordo, una decisione di un'associazione o una pratica già trattata da un'altra Autorità garante della concorrenza, tale denuncia può essere respinta".

Questa norma potrebbe riferirsi anche ai casi in cui imprese non sufficientemente informate di procedimenti già terminati in altri Stati membri, propongano — con evidente perdita di tempo sia per le parti che per le Autorità nazionali — una nuova denuncia per la stessa fattispecie già risolta. Proprio per evitare tale situazione, sarebbe utile che la Commissione inserisca nel proprio sito Internet una sezione in cui siano elencati i procedimenti in corso e chiusi dalle Autorità nazionali degli Stati membri.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

376

interesse comunitario della denuncia (v. supra § 90 ss.) o per la natura della denuncia stessa (art. 7(3) reg. 773/04, v. Comunicazione sulle denunce, § 41 ss.).

L'art. 13 reg. 1/03 — previsto per facilitare e razionalizzare l'attività della Commissione e delle Autorità nazionali — potrebbe però determinare delle conseguenze negative per i privati. Infatti, la facoltà delle Autorità nazionali di archiviare le denunce potrebbe divenire (surrettiziamente) un mezzo per le Autorità nazionali per "liberarsi" di denunce ad esse pervenute e fondate nel merito; cioè non iniziando — nessuna delle Autorità nazionali che abbia ricevuto la denuncia — un procedimento o non motivando le ragioni dell'archiviazione. Non iniziando il procedimento istruttorio, le prime Autorità che affrontano il caso potrebbero infatti limitarsi a richiamare l'art. 13(1) reg. 1/03 sostenendo che la fattispecie è oggetto di un procedimento da parte di altre Autorità; le successive Autorità che mantengono il procedimento ancora aperto, potrebbero rinviare più semplicemente all'art. 5 ultima parte reg. 1/03. Per evitare questo, vale quanto supra detto con riferimento alla "garanzia" dell'art. 5 ultima parte reg. 1/03 (v. supra § 107). E cioè, in presenza di informazioni che provino la violazione del diritto antitrust CE, almeno una delle Autorità nazionali — e la Commissione nel caso di una fattispecie di interesse comunitario — è obbligata ad aprire un procedimento istruttorio. Questo obbligo è disciplinato al fine di fornire una tutela concreta dei diritti soggettivi che, ai sensi degli artt. 81(1) e 82 TCE, l'ordinamento CE attribuisce ai singoli (v. supra § 30).

118. B.iii) La terza fase della "cooperazione orizzontale". I poteri delle

Autorità nazionali per lo svolgimento di attività ispettiva sul territorio di

altri Stati membri (art. 22(1) reg. 1/03). La ratio della norma. La

necessità di tutela delle informazioni conseguente alle "cooperazioni

orizzontali".

L'art. 22(1) reg. 1/03 disciplina un ideale terzo momento del

principio di "cooperazione orizzontale" tra Autorità nazionali; cioè, in

primo luogo, dopo che le Autorità nazionali abbiano valutato tra di loro le informazioni relative a casi antitrust ex art. 14(3) ultima parte 1/03; in

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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secondo luogo, dopo che un'Autorità — per ipotesi — abbia archiviato la denuncia ad essa pervenuta o abbia sospeso un procedimento già iniziato a favore del proseguimento dell'istruttoria di un'altra Autorità nazionale ex art. 13 reg. 1/03. In questa linea di avvenimenti, l'art. 22(1) reg. 1/03 prevede — in terzo luogo — la possibilità che le Autorità nazionali (per ipotesi, le stesse che hanno archiviato la denuncia o sospeso il procedimento, ma certamente non solo in questi due casi) svolgono procedimenti istruttori "in nome e per conto" dell'Autorità nazionale "eletta" a portare a termine la valutazione del caso 725.

Il problema risolto dall'art. 22(1) reg. 1/03 è di particolare rilevanza. Infatti, le Autorità nazionali sono obbligate ex art. 3(1) reg. 1/03 ad applicare costantemente gli artt. 81 e 82 TCE e quindi si trovano nella necessità di valutare fattispecie che hanno effetto su più Stati membri (rectius che pregiudicano il commercio tra Stati membri). Per questo è essenziale che le Autorità nazionali dispongano di informazioni sugli effetti che le fattispecie oggetto di istruttoria abbiano determinato negli altri Stati membri (ad. es. l'eventuale aumento dei prezzi in un determinato settore); inoltre, è essenziale che esse dispongano di documenti non presenti nel singolo Stato membro ed (eventualmente) "nascosti" presso imprese (o uffici di imprese) parte del procedimento in altri Stati membri 726 (come dimostrato nei fatti dal recente procedimento I-623 iniziato dall'Autorità antitrust italiana 727).

725 L'art. 22(1) reg. 1/03 prevede che, al fine di "stabilire l'esistenza di un'infrazione

all'articolo 81 o all'articolo 82 del Trattato (...) l'Autorità garante della concorrenza di uno Stato membro può procedere, sul proprio territorio, a qualsiasi accertamento o altra misura di acquisizione dei fatti prevista dalla legislazione nazionale in nome e per conto dell'Autorità garante della concorrenza di un altro Stato membro".

726 Esse, in assenza di quanto previsto dall'art. 22(1) reg. 1/03, si troverebbero in una situazione sub-ottimale con riferimento alle informazioni che esse possono ottenere (e valutare) tramite i poteri riconosciuti dai singoli Stati membri. Infatti, la situazione ottimale per valutare una fattispecie non è determinata esclusivamente dalla posizione di vertice dell'organo (come nel caso della Commissione) ma dal numero di informazioni che si dispongono riguardo ad una determinata fattispecie.

Precedentemente al reg. 1/03, ai sensi del reg. 17/62 la Commissione era l'unico organo che si trovava nella situazione ottimale per valutare fattispecie che avevano effetto su più Stati membri; essa, infatti, poteva ottenere informazioni da tutte le Autorità nazionali, potendo così valutare a pieno il comportamento oggetto del procedimento istruttorio. Ai sensi del reg. 1/03 tutte le Autorità nazionali si troveranno in una situazione simile a quella in cui la Commissione si trovava ex reg. 17/62.

La Commissione, anche ai sensi del reg. 1/03, mantiene però (a differenza delle Autorità nazionali) il potere di avocare a sé la competenza su di un singolo caso, in questa

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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L'art. 22(1) reg. 1/03 permette quindi ad un organo nazionale antitrust di svolgere attività istruttoria "per il tramite di un'altra Autorità nazionale" sul territorio di altri Stati membri e di disporre quindi — sempre ai sensi del reg. 1/03 e in modo simile a quanto accade per la Commissione stessa — di informazioni da tutte le Autorità. Ai sensi dell'art. 22(1) reg. 1/03, l'Autorità antitrust di uno Stato membro diviene il braccio esecutivo di un altro Stato membro della CE (rectius di un'altra Autorità antitrust).

L'art. 22(1) reg. 1/03 — istituto dal grande significato non solo pratico ma ideale — determina la soluzione della contraddizione tra l'estensione territorialmente limitata dei poteri coercitivi degli Stati e l'obiettivo di perseguire — con rapidità ed efficacia — violazioni antitrust che abbiano effetto sul territorio di più Stati; cioè il superamento della contraddizione, già chiarita negli anni '30 dello scorso secolo, tra estensione della concorrenza e la dimensione limitata dello Stato nazionale (v. supra § 7 ss.). Questo è un problema che ripropone il motivo che ha determinato la costituzione della CEE, cioè l'impossibilità degli Stati nazionali di controllare autonomamente la dimensione "internazionale" della "concentrazione" del capitale (v. supra § 88).

Va da sé che una cooperazione istruttoria quale quella prevista dall'art. 22(1) reg. 1/03 (ma, a ben vedere, tutte e tre le fasi della "cooperazione orizzontale", così come il principio di "concentrazione

ipotesi obbligando le Autorità nazionali a chiudere il relativo procedimento. Ciò è la conseguenza della competenza esclusiva di orientamento della politica antitrust CE di cui è titolare la Commissione. V., su questi aspetti, JÜRGEN BASEDOW, Who will Protect

Competition in Europe? From central enforcement to authority networks and private litigation, in European Business Organization Law Review, 2001 (Liber Amicorum E.-J. Mestmäcker), p. 443.

727 V. il comunicato stampa dell'Autorità antitrust italiana del 15 luglio 2004 relativa all'apertura di un procedimento istruttorio volto ad accertare l'eventuale sussistenza di un'intesa restrittiva della concorrenza in violazione dell'articolo 81 del Trattato CE nei confronti dei produttori di latte per l'infanzia (provv. 13350, proc. I - 623). In esso l'Autorità sostiene che: considerato "che i dati finora disponibili hanno messo in luce l'assenza di importazioni parallele, pur in presenza di una rilevantissima differenza tra i prezzi praticati in Italia e quelli osservati, per gli stessi prodotti, in altri Stati membri, l'Autorità ha ritenuto

opportuno avvalersi della collaborazione di Autorità antitrust di altri Paesi della Comunità, possibilità offerta dal regolamento comunitario n. 1/2003 (entrato in vigore il 1° maggio 2004). I relativi accertamenti ispettivi presso alcune delle imprese nei cui confronti è stata avviata

l'istruttoria sono stati pertanto contemporaneamente effettuati, oltre che in Italia, anche in

Francia, Germania e Spagna" (corsivo aggiunto).

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

379

della competenza antitrust CE", v. supra § 113 ss.) richiede una affinata disciplina sia dello scambio delle informazioni tra Autorità nazionali e Commissione e tra Autorità nazionali tra di loro, sia del relativo uso e tutela delle informazioni riservate. Non è una coincidenza che l'art. 22(1) reg. 1/03 termini ricordando che "qualsiasi scambio o uso delle informazioni raccolte è effettuato ai sensi dell'articolo 12", norma che disciplina i limiti di utilizzo delle informazioni circolanti all'interno della cd. Rete.

119. C) Le cooperazioni che interessano complessivamente la cd. Rete; la

disciplina delle informazioni acquisiste per l'applicazione del diritto

antitrust CE. C.1) La circolazione ed uso delle informazioni all'interno

della Rete (art. 12 reg. 1/03).

La possibilità prevista dal reg. 1/03 della circolazione delle

informazioni detenute dalle singole Autorità all'interno della Rete di Autorità (cioè di 25 Autorità antitrust nazionali e della Commissione) ha richiesto parallelamente una dettagliata disciplina — sempre nel reg. 1/03 — della "gestione" di tali "dati". A tal fine il reg. 1/03 prevede una radicale riforma — rispetto al reg. 17/62 — della disciplina delle informazioni acquisite per l'applicazione del diritto antitrust CE. Il reg. 1/03 in particolare disciplina, in primo luogo, la circolazione e l'uso delle informazioni all'interno della Rete quali mezzi di prova (tra Commissione e Autorità nazionali e tra le Autorità nazionali stesse, art. 12 reg. 1/03); in secondo luogo, disciplina il principio generale — per la Commissione, per le Autorità e per i giudici nazionali — della finalità dell'uso delle informazioni (art. 28(1) reg. 1/03); in terzo luogo, il regolamento disciplina il divieto di divulgazione all'esterno della Rete (segreto d'ufficio, art. 28(2) reg. 1/03, e la limitazione della circolazione dei documenti interni, art. 27(2) reg. 1/03) 728.

728 Come notato infra, il reg. 17/62 prevedeva in una sola norma — rubricata "segreto

d'ufficio" — sia gli aspetti relativi allo scopo dell'utilizzabilità delle informazioni (art. 20(1) reg. 17/62), sia gli aspetti relativa alla tutela del "segreto professionale" per le informazioni raccolte (art. 20(2) reg. 17/62), sia infine gli aspetti relativi alla possibilità di pubblicare le informazioni raccolte secondo determinate modalità (art. 20(3) reg. 17/62). In particolare, l'art. 20(1) reg. 17/62 riconosceva che "le informazioni raccolte [in applicazione degli articoli 11, 12, 13 e 14] possono essere utilizzate soltanto per lo scopo per il quale sono state richieste". La giurisprudenza successiva ha chiarito che esse potevano essere utilizzate come

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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La prima modifica relativa alla "gestione" delle informazioni, rispetto al reg. 17/62, riguarda la circolazione e l'uso delle informazioni quali mezzi di prova. In particolare, l'art. 12 reg. 1/03 disciplina tre differenti aspetti con riferimento alla circolazione e all'uso delle

informazioni: 1. la circolazione e l'utilizzo delle informazioni tra Commissione, Autorità nazionali e tra Autorità nazionali stesse (art. 12(1) reg. 1/03); 2. la finalità e l'uso delle informazioni in possesso della cd. Rete di Autorità (art. 12(2) reg. 1/03); 3. la limitazione dell'utilizzo delle informazioni per sanzionare persone fisiche (art. 12(3) reg. 1/03).

Con riferimento al primo punto, l'art. 12(1) reg. 1/03 prevede che "ai fini dell'applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato, la Commissione e le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri hanno la facoltà di scambiare e utilizzare come mezzo di prova qualsiasi elemento di fatto o di diritto, comprese informazioni riservate" (corsivo aggiunto) 729. Questo permette alle Autorità nazionali e alla Commissione di disporre di informazioni in possesso agli organi della Rete non solo come mezzi di prova, ma anche come indizi su comportamenti in violazione degli artt. 81 e 82 TCE posti in essere dalle imprese.

La piena circolazione delle informazioni tra Commissione e Autorità nazionali al fine dell'applicazione del diritto antitrust CE è conseguenza del tipo di "politica di decentramento" disciplinata dal reg. 1/03 e dal conseguente obbligo delle Autorità nazionali (ma anche delle giurisdizioni nazionali) di applicare gli artt. 81 e 82 TCE a casi di rilevanza comunitaria (art. 3(1) reg. 1/03). Infatti, le Autorità nazionali — essendo obbligate a valutare (presunte) fattispecie anticoncorrenziali che "pregiudicano il commercio tra gli Stati membri" ai sensi del diritto antitrust CE — devono poter disporre — così come per l'art. 22(1) reg.

mezzo di prova esclusivamente dalla Commissione (cfr. Sentenza della Corte del 16 luglio 1992, Banche spagnole, cit. a nota 366).

729 Il considerando 16 reg. 1/03 recita: "Nonostante disposizioni nazionali contrarie, lo scambio di informazioni e l'utilizzo delle stesse come mezzo di prova dovrebbe essere consentito tra i membri della Rete anche se le informazioni sono riservate. Tali informazioni possono essere utilizzate per l'applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato così come per l'applicazione parallela della legislazione nazionale sulla concorrenza, purché questa ultima applicazione si riferisca allo stesso caso e non porti a un risultato diverso" (corsivo aggiunto).

L'art. 12(1) reg. 1/03 prescrive: "Ai fini dell'applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato, la Commissione e le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri hanno la facoltà di scambiare e utilizzare come mezzo di prova qualsiasi elemento di fatto o di diritto, comprese informazioni riservate" (corsivo aggiunto).

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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1/03 nei rapporti "orizzontali" tra Autorità nazionali (v. infra § 118) — di informazioni relative agli effetti che tali fattispecie determinano sul territorio di altri Stati membri; le Autorità nazionali devono anche poter ottenere i documenti rinvenuti (o nascosti) negli uffici di società oggetto del procedimento istruttorio in altri Stati membri. L'art. 12 reg. 1/03 costituisce quindi un elemento imprescindibile dell'applicazione decentrata del diritto antitrust CE. Senza il "pieno" scambio delle informazioni non può infatti sussistere un'efficace applicazione decentrata del diritto antitrust CE. Tale essenzialità non è contraddetta dal fatto che già ai sensi del reg. 17/62 le Autorità e le giurisdizioni nazionali — senza tale "pieno scambio" — potevano già applicare gli artt. 81 e 82 TCE. Allora, infatti, l'applicazione decentrata del diritto antitrust CE era meramente eventuale. Sotto questo aspetto è un elemento secondario che l'art. 12 reg. 1/03 — così come l'art. 22 reg. 1/03 — abbia la funzione di incoraggiare l'applicazione del diritto antitrust CE (Comunicazione sulle denunce, § 19); questo in quanto l'applicazione del diritto antitrust CE non è incoraggiata dal reg. 1/03, bensì … è obbligata dall'art. 3(1) reg. 1/03.

Se l'art. 12(1) reg. 1/03 prevede la completa circolazione delle informazioni tra le singole Autorità nazionali tra di loro e con la stessa Commissione, l'art. 12(2) reg. 1/03 limita l'utilizzo di tali informazioni quali mezzi di prova 730: da una parte, la norma limita l'uso delle informazioni circolate per l'applicazione del solo diritto antitrust CE; dall'altra, la norma limita — a giusta tutela delle imprese — l'uso di tali informazioni esclusivamente per l'"oggetto dell'indagine per il quale sono state raccolte dall'Autorità che le trasmette" 731. In questo modo la

730 L'art. 12(2) reg. 1/03 prevede infatti: "Le informazioni scambiate possono essere utilizzate come mezzo di prova soltanto ai fini dell'applicazione degli articoli 81 o 82 del Trattato e riguardo all'oggetto dell'indagine per il quale sono state raccolte dall'Autorità che le trasmette. Tuttavia qualora la legislazione nazionale in materia di concorrenza sia applicata allo stesso caso e in parallelo al diritto comunitario in materia di concorrenza e non porti ad un risultato diverso, le informazioni scambiate ai sensi del presente articolo possono essere utilizzate anche per l'applicazione della legislazione nazionale in materia di concorrenza".

731 Il considerando 16 reg. 1/03 indica che "quando le informazioni scambiate sono utilizzate dall'Autorità che le riceve per comminare sanzioni alle imprese, non dovrebbero sussistere altri limiti all'uso delle informazioni oltre all'obbligo di utilizzarle per lo scopo per

le quali sono state raccolte, dal momento che le sanzioni comminate alle imprese sono dello stesso tipo in tutti gli ordinamenti. I diritti di difesa di cui godono le imprese nei vari ordinamenti possono essere considerati sufficientemente equivalenti". L'art. 28(2) reg. 1/03

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

382

norma costituisce una espressa deroga al principio generale di cui all'art. 28(1) reg. 1/03 la quale disciplina che, "salvo il disposto degli articoli 12 e 15, le informazioni raccolte" in applicazione dei poteri istruttori previsti dal reg. 1/03 "possono essere utilizzate soltanto per lo

scopo per il quale sono state assunte" (art. 28(1) reg. 1/03 — corsivo aggiunto — sul punto v. infra § 122). Infatti, ai sensi dell'art. 12(2) reg. 1/03, le informazioni possono essere utilizzate non tanto "per lo scopo per

il quale sono state assunte", ma in funzione dell'"oggetto dell'indagine per il quale sono state raccolte dall'Autorità che le trasmette".

120. (segue) L'eccezioni alle regole generali dell'art. 12 reg. 1/03: l'uso delle

informazioni acquisite ex reg. 1/03 per l'applicazione del diritto

antitrust statale (art. 12(2) ultima parte reg. 1/03). La limitazione

dell'uso dei documenti acquisiti e circolati nella Rete ex reg. 1/03 quali

mezzi di prova nei confronti delle persone fisiche (art. 12(3) reg. 1/03).

Il limite dell'utilizzo delle informazioni acquisite ex reg. 1/03 alla

sola applicazione del diritto antitrust CE — e non del diritto antitrust degli Stati membri — trova una eccezione nell'art. 12(2) ultima parte reg. 1/03 732. Tale norma ammette l'utilizzo delle informazioni ex reg. 1/03 quali mezzi di prova per l'applicazione del diritto antitrust degli Stati membri in presenza di tre condizioni cumulative; cioè qualora la legislazione nazionale in materia antitrust sia applicata: 1. allo stesso caso (e che quindi abbia lo stesso oggetto, ex art. 12(2) reg. 1/03); 2. che il diritto antitrust dello Stato membro sia applicato parallelamente al diritto antitrust CE (sia da parte della stessa Autorità nazionale che da parte di più Autorità nazionali, o dalla Commissione e dalle Autorità

prevede che "salvo il disposto degli articoli 12 e 15 le informazioni raccolte ai sensi degli articoli da 17 a 22 possono essere utilizzate soltanto per lo scopo per il quale sono state assunte". Il limite dell'uso non è quindi collegato al fatto che le informazioni siano acquisite in uno specifico procedimento, ma è collegato all'oggetto dell'indagine in cui le informazioni sono state acquisite. Con riferimento la disciplina italiana in materia, v. LORENZO

FEDERICO PACE, Il sistema italiano di tutela, a nota 420. 732 L'art. 12(2) ultima parte reg. 1/03 recita: "Qualora la legislazione nazionale in

materia di concorrenza sia applicata allo stesso caso e in parallelo al diritto comunitario in materia di concorrenza e non porti ad un risultato diverso, le informazioni scambiate ai sensi del presente articolo possono essere utilizzate anche per l'applicazione della legislazione nazionale in materia di concorrenza".

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

383

nazionali); 3. la conclusione ai sensi del diritto antitrust statale non determini un risultato differente da quello del diritto antitrust CE 733.

Tale previsione — non presente nella proposta di regolamento del 2000 734 — è giustificata dall'obiettivo di evitare che il diritto antitrust degli Stati membri pervenga a conclusioni distinte rispetto al diritto

antitrust CE (secondo il principio espresso ex art. 3(2) reg. 1/03, ma già disciplinato ex art. 3 proposta di regolamento del 2000 — v. supra § 44) 735. L'art. 12(2) ultima parte reg. 1/03 costituisce infatti un incentivo affinché le Autorità nazionali, applicando il diritto antitrust degli Stati membri a fattispecie di rilevanza comunitaria, pervengano — anche con riferimento al divieto di abuso di posizione dominante disciplinato dal diritto antitrust statale 736 — alle conclusioni ex artt. 81 e 82 TCE. In altre parole, tale norma determina per le singole Autorità nazionali la facoltà di scegliere tra due opzioni: da una parte, la scelta della discrezionalità del diritto antitrust dello Stato membro a pervenire a conclusioni più rigide con riferimento al divieto di abuso di posizione dominante della normativa nazionale rispetto a quella CE; dall'altra, l'utilizzazione di informazioni già a disposizione dell'Autorità nazionale e scambiate ai sensi del reg. 1/03 per l'applicazione del divieto statale di abuso di posizione dominante, ma limitando la discrezionalità di applicazione del diritto antitrust degli Stati membri.

Inoltre, la deroga prevista dall'art. 12(2) ultima parte reg. 1/03 al principio dell'utilizzo delle informazioni acquisite ex reg. 1/03 solo per

733 Il fatto che sia stata direttamente una specifica Autorità a chiedere ad altra Autorità

di agire in suo nome e in suo conto non permette di evitare la "strettoia" dell'art. 12(2) reg. 1/03. L'art. 22(1) reg. 1/03 — relativo alle "Indagini effettuate dalle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri" — impone che "qualsiasi scambio o uso delle informazioni raccolte [sia] effettuato ai sensi dell'articolo 12".

734 Tale norma non era presente nella proposta regolamento del 2000 in quanto in essa — in conseguenza della competenza esclusiva del diritto antitrust CE per le fattispecie di rilevanza comunitaria (art. 3 della proposta di regolamento del 2000) — non sorgeva il problema dell'applicazione parallela del diritto antitrust CE e del diritto antitrust degli Stati membri.

735 I principi generali del rapporto tra diritto antitrust CE e diritto antitrust degli Stati membri prescrive che il diritto antitrust degli Stati membri debba vietare accordi e abusi di posizione dominante vietati dagli artt. 81(1) e 82 TCE, ma può vietare fattispecie non vietate dagli artt. 81(1) e 82 TCE (salvo le intese esentate ex art. 81(3) TCE che non possono essere vietate).

736 Come indicato infra, la (illegittima) competenza esclusiva di fatto dell'art. 81 TCE è prevista dall'art. 3(2) reg. 1/03; v. infra § 45.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

384

l'applicazione del diritto antitrust CE, non determina conseguenze negative per il sistema CE. Tale deroga non presenta, infatti, un incentivo per la non applicazione del diritto antitrust CE (infatti la deroga prevede come requisito di applicazione l'esercizio parallelo del diritto CE e degli Stati membri); al contrario, essa costituisce un (legittimo) incentivo affinché le conclusioni ai sensi del diritto antitrust nazionale siano coincidenti a quelle ai sensi del diritto antitrust CE.

Inoltre, l'art. 12(3) reg. 1/03 prevede delle limitazioni all'uso delle informazioni scambiate ex art. 12(1) reg. 1/03 quale mezzo di prova per comminare sanzioni a persone fisiche per violazione del diritto antitrust CE 737. In generale, affinché tali informazioni possano essere utilizzate quale mezzi di prova nei confronti di persone fisiche, l'art. 12(3) reg. 1/03 richiede una terza condizione — oltre al requisito dell'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE e oltre a che l'oggetto per il quale le informazioni sono state acquisite coincida con l'oggetto del procedimento nel quale esse saranno utilizzate (art. 12(2) reg. 1/03) — ; e cioè o che "il diritto dell'Autorità che trasmette le informazioni preved[a] sanzioni di tipo analogo in caso di infrazione all'articolo 81 o

all'articolo 82 del Trattato [N.d.A. in tale caso le informazioni possono essere utilizzate anche per imporre pene detentive, se entrambi gli Stati membri prevedono tale sanzione]; [oppure — in via subordinata — che] le informazioni [siano] state raccolte in un modo che rispett[i] lo stesso livello di tutela dei diritti di difesa delle persone fisiche di quello previsto dalle norme nazionali dell'Autorità che le riceve" (corsivo aggiunto). In questo secondo caso "le informazioni scambiate non possono tuttavia essere utilizzate dall'Autorità che le riceve per imporre sanzioni detentive" (corsivo aggiunto).

La giustificazione di tale disciplina è chiarita dallo stesso considerando 16 reg. 1/03. Il reg. 1/03 ricorda che "per quanto riguarda le persone fisiche [,] esse possono formare oggetto di tipi di sanzioni

737 L'art. 12(3) reg. 1/03 recita: "Le informazioni scambiate a norma del paragrafo 1

possono essere utilizzate come mezzo di prova per comminare sanzioni a persone fisiche soltanto quando: — il diritto dell'Autorità che trasmette le informazioni prevede sanzioni di

tipo analogo in caso di infrazione all'articolo 81 o all'articolo 82 del Trattato o, in mancanza, — le informazioni sono state raccolte in un modo che rispetta lo stesso livello di tutela dei

diritti di difesa delle persone fisiche di quello previsto dalle norme nazionali dell'Autorità che le riceve. In tal caso le informazioni scambiate non possono tuttavia essere utilizzate dall'Autorità che le riceve per imporre sanzioni detentive" (corsivo aggiunto).

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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sostanzialmente diversi da un ordinamento all'altro. In tal caso è necessario garantire che le informazioni possano essere utilizzate soltanto se sono state raccolte in un modo che rispetta lo stesso livello di

protezione dei diritti di difesa delle persone fisiche di quello previsto dalle

norme nazionali delle autorità che le ricevono" (corsivo aggiunto).

121. (segue) La richiesta da parte delle imprese di "trattamento favorevole"

per le violazioni antitrust compiute. L'uso quali mezzi di prova delle

informazioni fornite nella richiesta di "trattamento favorevole" e

"immesse" nella Rete. I principi delineati dalla Commissione nella

Comunicazione sulla Rete. L'utilizzabilità delle informazioni fornite

quali "indizi" per altri procedimenti.

Sempre con riferimento all'uso delle informazioni che "circolano"

all'interno della cd. Rete, la Commissione ha avvertito la necessità di chiarire i limiti di utilizzo quali mezzi di prova delle informazioni fornite dalle imprese ai membri della Rete per il "trattamento favorevole" — ai sensi della disciplina della CE o degli Stati membri — della valutazione di violazioni antitrust da queste compiute 738.

Bisogna premettere che la richiesta di "trattamento favorevole" dell'impresa per la violazione della disciplina antitrust esplica effetto esclusivamente con riferimento all'Autorità nazionale a cui è stata presentata. La Commissione ricorda infatti che la richiesta di "trattamento favorevole" di un'impresa ad un'Autorità nazionale non ha effetto per tutte le Autorità della Rete. A tal fine la Commissione stessa consiglia alle imprese — anche in considerazione dei tempi di tali procedimenti — di valutare se "sia opportuno presentare la domanda

738 Per disciplina di "trattamento favorevole" la Commissione intende quelle discipline

nazionali e CE il cui obbiettivo è quello di "facilitare l'individuazione dei cartelli da parte delle Autorità garanti della concorrenza e di servire, in tal modo, da deterrente alla partecipazione ai cartelli " (Comunicazione relativa alla Rete, § 37). La Commissione indica che è "nell'interesse della Comunità accordare un trattamento favorevole alle imprese che collaborano con essa alle indagini riguardanti i cartelli. Alcuni Stati membri hanno anch'essi adottato disposizioni relative al trattamento favorevole in materia di indagini sui cartelli" (Comunicazione relativa alla Rete, § 37).

Gli Stati membri che al settembre 2004 dispongono di una disciplina relativa al "trattamento favorevole" sono: Belgio; Cipro; Repubblica Ceca; Filandia; Francia; Germania; Ungheria; Irlanda; Lettonia; Lituania; Lussemburgo; Olanda; Slovacchia; Svezia;Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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contestualmente alle varie Autorità potenzialmente competenti" (Comunicazione relativa alla Rete delle Autorità nazionali, § 38) 739.

L'incertezza che la Commissione cerca di risolvere nella Comunicazione riguarda in particolare il rapporto tra circolazione delle informazioni fornite dal richiedente del "trattamento favorevole" e "immesse" nella "Rete" e uso che sia legittimo compierne. Sotto questo aspetto i principi delineati dalla Commissione sono sostanzialmente due: il primo riguarda le informazioni fornite dall'impresa e "immesse" nella Rete ai sensi degli artt. 11(2) reg. 1/03 e 11(3) reg. 1/03; il secondo riguarda le informazioni fornite dall'impresa e "immesse" nella Rete ai sensi dell'art. 12 reg. 1/03.

Con riferimento al primo aspetto relativo alle informazioni immesse

nella Rete ex artt. 11(2) reg. 1/03 e 11(3) reg. 1/03, "come avviene per tutti i casi in cui vengono applicati gli articoli 81 e 82 del Trattato, quando un'Autorità garante della concorrenza tratta un caso avviato a seguito di una richiesta di trattamento favorevole, deve informarne la Commissione e può rendere l'informazione disponibile anche ad altri membri della Rete, conformemente all'articolo 11, paragrafo 3 del Regolamento del Consiglio. La Commissione ha accettato un obbligo equivalente di informare le Autorità nazionali garanti della concorrenza in virtù dell'articolo 11, paragrafo 2 del Regolamento del Consiglio. In tali casi, tuttavia, le informazioni trasmesse alla Rete ai sensi dell'articolo 11 non potranno essere utilizzate dagli altri membri della Rete per avviare un'indagine per loro conto ai sensi delle regole di concorrenza comunitarie o, nel caso delle Autorità nazionali garanti della concorrenza, ai sensi del diritto nazionale in materia di

739 In particolare, la Commissione ricorda: "In assenza di un regime di trattamento

favorevole pienamente armonizzato a livello di Unione europea, una domanda di trattamento favorevole presentata ad una data Autorità non viene considerata presentata anche ad altre Autorità. Il richiedente ha pertanto interesse a presentare una domanda di trattamento favorevole a tutte le Autorità garanti della concorrenza competenti per l'applicazione dell'articolo 81 e 82 del Trattato nel territorio interessato dall'infrazione e che possano essere considerate nella posizione idonea per intervenire contro l'infrazione in oggetto. Data l'importanza della tempistica nell'applicazione della maggior parte delle attuali disposizioni in materia di trattamento favorevole, i richiedenti dovranno anche valutare se sia opportuno presentare la domanda contestualmente alle varie Autorità potenzialmente competenti. Spetterà al richiedente compiere i passi che riterrà opportuni per tutelare la propria posizione relativamente ad un eventuale procedimento che possa essere avviato da dette Autorità" (Comunicazione sulla Rete, § 38).

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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concorrenza e di altre disposizioni nazionali. Ciò non pregiudica tuttavia il potere dell'Autorità di avviare un'indagine sulla base delle informazioni ricevute da altre fonti o, fatto salvo quanto precisato di seguito ai punti 40 e 41, di richiedere, ottenere e utilizzare informazioni a norma dell'articolo 12 del Regolamento del Consiglio da qualsiasi Autorità appartenente alla Rete, compresa quella alla quale era stata presentata la richiesta di trattamento favorevole " (Comunicazione sulla Rete, § 39).

Con riferimento al secondo aspetto relativo alle informazioni immesse

nella Rete ex art. 12 reg. 1/03, le informazioni "fornite volontariamente dal soggetto che ha richiesto di beneficiare del trattamento favorevole [,] fatto salvo quanto disposto al punto 41, […] possono essere trasmesse ad un altro membro della Rete conformemente all'articolo 12 del Regolamento del Consiglio solo con il consenso del soggetto che ha richiesto il trattamento favorevole. Parimenti, le altre informazioni raccolte nel corso o a seguito di indagini o grazie o a seguito di altre misure di acquisizione dei fatti che non avrebbero potuto essere eseguite se non vi fosse stata la richiesta di beneficiare del trattamento favorevole verranno trasmesse ad un'altra Autorità conformemente all'articolo 12 del Regolamento del Consiglio solo qualora il soggetto che ha richiesto il trattamento favorevole abbia fornito il proprio consenso alla trasmissione a detta Autorità delle informazioni che ha presentato volontariamente nella sua domanda di trattamento favorevole" (Comunicazione sulla Rete, § 40). Tale principio relativo al divieto di trasmissione ad altra Autorità nazionale ex art. 12 reg. 1/03 è

derogato nel "caso in cui il soggetto che ha richiesto il trattamento favorevole abbia dato il consenso alla trasmissione all'Autorità delle informazioni che ha presentato volontariamente nella sua domanda di trattamento favorevole" 740. Dal momento in cui il consenso alla trasmissione delle informazioni è stato fornito, esso non può essere

740 La Commissione aggiunge che "i membri della Rete inviteranno i soggetti che

hanno richiesto il trattamento favorevole a dare il loro consenso, in particolare per quanto riguarda la comunicazione delle informazioni alle Autorità presso le quali sia possibile per il richiedente ottenere il trattamento favorevole. Una volta concesso il consenso alla trasmissione delle informazioni ad un'altra Autorità, esso non può essere ritirato. Tuttavia, il presente paragrafo non pregiudica la responsabilità del richiedente di presentare domanda di trattamento favorevole alle Autorità che ritiene indicate" (Comunicazione sulla Rete, § 40).

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

388

ritirato (Comunicazione relativa alla Rete delle Autorità nazionali, § 40). La Commissione individua altre ipotesi in cui non è richiesto il consenso dell'impresa all'invio delle informazioni ad un'altra Autorità nazionale ex art. 12 reg. 1/03. E cioè: 1. quando l'Autorità nazionale che ha ricevuto le informazioni abbia ottenuto per la medesima fattispecie una richiesta di trattamento favorevole 741; 2. quando l'Autorità nazionale ricevente si sia impegnata per iscritto a non utilizzare le informazioni ricevute per imporre sanzioni ai soggetti coperti dal trattamento favorevole 742; 3. quando le informazioni sono raccolte da un'altra Autorità nazionale in nome e per conto di un'Autorità; a questo secondo organo — cioè l'Autorità che ha richiesto di porre in essere indagini ex art. 22(1) reg. 1/03 — è stata presentata la richiesta di trattamento favorevole e a quest'ultimo le informazioni sono inviate (Comunicazione sulla Rete, § 41) 743.

Dal momento che tali aspetti, non disciplinati espressamente dal reg. 1/03, sono precisati da parte della Commissione in una Comunicazione, quindi un provvedimento non vincolante, l'Autorità CE ha dovuto definire i limiti di efficacia della regolamentazione in essa contenuti. In considerazione a ciò la Commissione sottolinea che "le

741 La Commissione ricorda che "il consenso non è richiesto, qualora anche l'Autorità ricevente abbia ricevuto domanda di trattamento favorevole in merito alla medesima infrazione da parte del medesimo richiedente che ha presentato domanda all'Autorità trasmittente, a condizione che al momento in cui le informazioni vengono trasmesse il richiedente non abbia la possibilità di ritirare le informazioni fornite alla predetta Autorità ricevente" (Comunicazione sulla Rete, § 41.1).

742 Con riferimento a questa ipotesi, la Commissione ricorda che "il consenso non è richiesto, qualora l'Autorità ricevente si sia impegnata per iscritto dichiarando che né le informazioni ad essa trasmesse né qualsiasi altra informazione di cui essa possa entrare in possesso dopo la data e l'ora di trasmissione indicata dall'autorità trasmittente, verranno utilizzate da essa o da qualunque altra Autorità a cui le informazioni saranno trasmesse per imporre sanzioni: a) a carico del soggetto che ha richiesto il trattamento favorevole; b) a carico di ogni altra persona fisica o giuridica coperta dal trattamento favorevole offerto dall'Autorità trasmittente, in base alle proprie disposizioni in materia, a seguito della domanda presentata dal soggetto richiedente valendosi delle disposizioni sul trattamento favorevole dell'Autorità; c) a carico dei dipendenti o degli ex dipendenti dei soggetti di cui alle lettere a) e b). Al richiedente verrà fornita copia dell'impegno scritto dell'Autorità ricevente" (Comunicazione sulla Rete, § 41.2).

743 Con riferimento a ciò la Commissione ricorda che "nel caso di informazioni raccolte da un membro della Rete ai sensi dell'articolo 22, paragrafo 1, del Regolamento del Consiglio in nome e per conto del membro della Rete al quale è stata presentata la domanda di trattamento favorevole, non è richiesto alcun consenso per la trasmissione e per l'utilizzo delle informazioni da parte del membro della rete al quale la domanda di beneficiare del trattamento favorevole è stata presentata" (Comunicazione sulla Rete, § 41.3).

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

389

informazioni riguardanti casi avviati a seguito di una domanda di trattamento favorevole e che sono state fornite alla Commissione in base all'articolo 11 paragrafo 3 del Regolamento del Consiglio, saranno rese disponibili solo alle Autorità nazionali garanti della concorrenza che si sono impegnate a rispettare i principi in precedenza illustrati. (...) Lo stesso principio trova applicazione nell'ipotesi in cui un caso è avviato dalla Commissione a seguito di una domanda di trattamento favorevole indirizzata alla Commissione. Quanto sopra non pregiudica il potere di ciascuna Autorità nazionale garante della concorrenza di ottenere le informazioni previste all'articolo 12 del Regolamento del Consiglio, sempre che le disposizioni contenute ai punti 40 e 41 siano rispettate" (Comunicazione sulla Rete, § 42) 744.

La disciplina relativa alla richiesta di "trattamento favorevole" di violazioni antitrust propone nuovamente il problema dell'utilizzabilità delle informazioni ricevute dalle Autorità nazionali o dalla Commissione quali indizi (e non quali mezzi di prova) per iniziare un procedimento istruttorio sia ai sensi del diritto antitrust della CE che degli Stati membri. Infatti, la Comunicazione cerca di escludere l'utilizzabilità di tali informazioni quali indizi. La Commissione sostiene: "In tali casi, tuttavia, le informazioni trasmesse alla Rete ai sensi dell'articolo 11 non potranno essere utilizzate dagli altri membri

744 Le Autorità nazionali che si sono impegnate a rispettare tali principi sono: AUSTRIA: Bundeswettbewerbsbehörde; BELGIO: Belgian Federal Minister of Economy, Energy, Foreign Trade and Science Policy, Corps des rapporteurs, Conseil de la Concurrence; CIPRO: Commission for the Protection of Competition; REPUBBLICA CECA: The Office for the Protection of Competition; DANIMARCA: Danish Competition Authority; ESTONIA: Estonian Competition Board; FINLANDIA: Finnish Competition Authority; FRANCIA: Conseil de la Concurrence, Ministry of Economy; GERMANIA: Bundeskartellamt; GRECIA Hellenic Competition Commission; UNGHERIA: Office of Economic Competition; IRLANDA: The Competition Authority; ITALIA: Banca d'Italia, Autorità garante della concorrenza e del mercato; LATVIA: Competition Council; LITUANIA: Competition Council; LUSSEMBURGO: Ministry of Economics; MALTA: Ministry of Finance and Economic Affairs; OLANDA: The Netherlands Competition Authority; POLONIA: Office for Competition and Consumer Protection; PORTOGALLO: National Competition Authority; REPUBBLICA SLOVACCA: Antimonopoly Office of the Slovak Republic; SLOVENIA: Competition Protection Office; SPAGNA: Ministerio de Economía - Servicio de Defensa de la Competencia; SVEZIA: Swedish Competition Authority; GRAN BRETAGNA: Office of Fair Trading (OFT), Office of Communications (Ofcom), Gas and Electricity Markets Authority (Ofgem), Northern Ireland Authority for Energy Regulation (Ofreg NI), Office of Water Services (Ofwat), Office of Rail Regulation (ORR), The Civil Aviation Authority (CAA).

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

390

della Rete per avviare un'indagine per loro conto ai sensi delle regole di

concorrenza comunitarie o, nel caso delle Autorità nazionali garanti della concorrenza, ai sensi del diritto nazionale in materia di concorrenza e di

altre disposizioni nazionali", (corsivo aggiunto - Comunicazione sulla Rete, § 39). Nella "realtà dei fatti" tale utilizzazione non è da escludere. Come "ragionevolmente" sottolineato dalla Corte di giustizia nel caso Banche spagnole, non è pensabile che le Autorità nazionali, ricevendo determinate informazioni che esse non possono utilizzare quali mezzi di prova, siano tenute ad ignorarle ed a soffrire quindi di "amnesia acuta" 745.

122. C.2) La finalità dell'uso delle informazioni per la Commissione, le

Autorità nazionali e le giurisdizioni nazionali (art. 28(1) reg. 1/03).

Come supra ricordato, la seconda modifica relativa alla "gestione"

delle informazioni riguarda — dopo la circolazione e l'uso delle informazioni quali mezzi di prova, v. supra § 119 — il principio generale della finalità dell'uso delle informazioni (e quindi non limitato all'uso nella Rete) e le relative deroghe (art. 28(1) reg. 1/03).

L'art. 28(1) reg. 1/03 — disciplinato nel capitolo VIII, rubricato come "Audizioni e segreto d'ufficio" — definisce lo scopo e le finalità

dell'uso di tali informazioni raccolte tramite i poteri d'indagine disciplinati dal reg. 1/03. Tale norma prescrive che "le informazioni

raccolte ai sensi degli articoli da 17 a 22 possono essere utilizzate soltanto per lo scopo per il quale sono state assunte" (art. 28(1) reg. 1/03, corsivo aggiunto). L'art. 28(1) reg. 1/03 prevede una deroga a tale principio, in

primo luogo con riferimento alle Autorità nazionali (art. 12(1) reg. 1/03) — deroga già presa in considerazione supra — e, in secondo luogo, con riferimento alle giurisdizioni nazionali (art. 15(1) reg. 1/03, v. infra § 162). Con riferimento a questa seconda ipotesi, l'art. 15(1) reg. 1/03 prescrive infatti che "nell'ambito dei procedimenti per l'applicazione dell'articolo 81 o dell'articolo 82 del Trattato le giurisdizioni degli Stati membri possono chiedere alla Commissione di trasmettere loro le

informazioni in suo possesso o i suoi pareri in merito a questioni relative all'applicazione delle regole di concorrenza comunitarie". La deroga al

745 Sentenza Banche spagnole, cit. a nota 557, § 39.

III. I meccanismi di controllo

SOMMARIO: 124. I meccanismi di controllo dell'applicazione del diritto antitrust europeo da parte degli organi del sistema amministrativo antitrust. — 125. A) Il controllo "verticale discendente". Il principio di "stretta collaborazione nell'applicazione" del diritto antitrust europeo quale principio di "controllo" tra Commissione e Autorità nazionali. Gli obblighi delle Autorità nazionali e della Commissione al momento dell'apertura di procedimenti di applicazione del diritto antitrust europeo (artt. 11(2) reg. 1/03 e 11(3) reg. 1/03). — 126. (segue) Il perno del controllo "verticale discendente": l'art. 11(4) reg. 1/03. — 127. (segue) Il potere di avocazione della Commissione (art. 11(6) reg. 1/03). — 128. (segue) La richiesta della Commissione alle Autorità nazionali di ulteriori documenti per la valutazione del caso (art. 11(4) reg. 1/03). La circolazione delle informazioni fornite alla Commissione all'interno della Rete. — 129. (segue) L'influenza del controllo "verticale discendente" sul federalismo antitrust europeo. — 130. B) Il controllo "collegiale". La discussione dei casi in corso di trattazione da parte delle Autorità nazionali (art. 11(4) reg. 1/03). La ratio dell'istituto. — 131. (segue) L'influenza del controllo collegiale sul federalismo antitrust europeo. — 132. C) Il controllo "verticale ascendente". L'aumento del potere di controllo nei confronti della Commissione da parte degli Stati membri quale conseguenza dell'aumento del potere di controllo della Commissione verso gli Stati membri. — 133. (segue) La composizione del Comitato consultivo (art. 14 reg. 1/03). Le funzioni minori del Comitato consultivo. — 134. (segue) La consultazione del Comitato. Il parere emesso dal Comitato e la motivazione delle singole posizioni degli Stati membri. Il procedimento di consultazione scritto e orale. — 135. (segue) I poteri di controllo e d'influenza delle Autorità nazionali nei confronti della Commissione (gli artt. 14(5) reg. 1/03 e 14(6) reg. 1/03). L'obbligo di pubblicazione del parere su richiesta del Comitato. — 136. D) Il Comitato consultivo in "seduta allargata" e l'influenza sulla politica di concorrenza europea (art. 14(7) ultima parte reg. 1/03). Il ruolo del Comitato consultivo in "seduta allargata" e le lettere di orientamento.

124. I meccanismi di controllo dell'applicazione del diritto antitrust europeo

da parte degli organi del sistema amministrativo antitrust. Il reg. 1/03 modifica in modo sostanziale — rispetto alla precedente

disciplina dell'art. 85 TCE e dell'art. 10 reg. 17/62 — il controllo

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

396

dell'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE da parte degli organi del sistema antitrust comunitario. La previsione di innovativi procedimenti di controllo è da ricondursi alla specifica "politica di decentramento" del reg. 1/03 (v. supra § 87); politica che si propone l'obiettivo di limitare l'attività repressiva diretta della Commissione ai casi antitrust più importanti, favorendo la più frequente applicazione del diritto antitrust CE da parte delle Autorità (e delle giurisdizioni nazionali) e la necessaria definizione di modalità per cui ogni singola fattispecie sia valutata da una singola Autorità, CE o statale (cd. principio di concentrazione del diritto antitrust CE, v. supra § 114).

Il decentramento dell'applicazione del diritto antitrust CE (cioè l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE da parte di organi statali e non dall'Autorità CE) determina, in primo luogo, la necessità per la Commissione di controllare che l'applicazione del diritto antitrust CE da parte degli organi nazionali non sia in contrasto con il diritto CE. Questa "nuova" forma di controllo "verticale discendente" è però bilanciata, in secondo luogo, dalla crescita del potere di controllo "verticale ascendente" da parte degli Stati membri nei confronti della Commissione quando essa applica il diritto antitrust. Ad essa si accompagna, in terzo luogo, il controllo "collegiale" tra Autorità nazionali come conseguenza del principio di concentrazione del diritto antitrust CE 752.

Il reg. 1/03 istituisce — ed è questa un'ulteriore novità — una specifica sede per la discussione di problematiche generali in materia di concorrenza (art. 14(7) terzo capoverso reg. 1/03), e cioè il Comitato consultivo in forma allargata (art. 14(2) reg. 1/03).

752 Tale impostazione si concretizza nella definizione da parte del reg. 1/03 — e in

ossequio al (nuovo) principio di cooperazione di cui all'art. 11(1) reg. 1/03 — di un "penetrante" controllo "verticale discendente" — e vincolante tramite il potere di avocazione ex art. 11(6) reg. 1/03 — da parte della Commissione nei confronti delle Autorità nazionali (art. 11(3) reg. 1/03 ss.). Inoltre, il reg. 1/03 disciplina dei procedimenti di controllo "verticali ascendenti" — in forma indiretta e non vincolante — da parte dell'organo di rappresentanza degli Stati membri, il cd. Comitato consultivo, nei procedimenti di applicazione del diritto antitrust CE della Commissione (art. 11(2) reg. 1/03 e art. 14 reg. 1/03). Infine, il reg. 1/03 prevede da parte delle Autorità nazionali dei procedimenti di controllo "collegiali" (anche se in forma indiretta e non vincolante) nei confronti dell'applicazione del diritto antitrust CE da parte delle altre Autorità nazionali (art. 14(7) reg. 1/03).

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

397

125. A) Il controllo "verticale discendente". Il principio di "stretta

collaborazione nell'applicazione" del diritto antitrust europeo quale

principio di "controllo" tra Commissione e Autorità nazionali. Gli

obblighi delle Autorità nazionali e della Commissione al momento

dell'apertura di procedimenti di applicazione del diritto antitrust europeo (artt. 11(2)reg. 1/03 e 11(3) reg. 1/03).

Passando a valutare i procedimenti di controllo "verticali

discendenti", il reg. 1/03 definisce un nuovo principio, cioè "il principio della stretta collaborazione tra Commissione e Autorità nazionali nell'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE" (art. 11(1) reg. 1/03) 753. Il concetto di "cooperazione tra Commissione e Autorità nell'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE" — ancorché possa sembrare che richiami il comune principio dell'art. 10 TCE — contiene una rivoluzione nei

rapporti tra Commissione e Autorità nazionali rispetto a quanto previsto dall'art. 85 TCE e dall'art. 10(3) reg. 17/62. Infatti, "il principio della stretta collaborazione" sottintende più che la "cooperazione" tra gli organi, un vicendevole "controllo" per l'applicazione del diritto antitrust comunitario all'interno del sistema amministrativo antitrust CE (aspetto quindi distinto da quanto disposto dall'art. 10 TCE 754). Infatti, tale principio "contiene" non più solo il (vecchio) "controllo" ("verticale

753 Il capitolo IV del reg. 1/03 (rubricato come "Cooperazione") dedica sei articoli alla

disciplina sulla "cooperazione" tra organi del sistema antitrust CE. L'art. 11 reg. 1/03 disciplina in particolare la "cooperazione fra la Commissione e le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri".

L'art. 11(1) reg. 1/03 — rubricato come "Cooperazione fra la Commissione e le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri" — recita: "La Commissione e le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri applicano le regole di concorrenza comunitarie in stretta collaborazione". Questo principio svolge una funzione affatto differente dal principio del "collegamento stretto e costante" di cui all'art. 84 TCE e all'art. 10 reg. 17/62.

754 Diversamente, la Commissione, limitandosi al concetto di "cooperazione", sostiene: "Inoltre, gli articoli 11 e 15 del Regolamento istituiscono una serie di meccanismi mediante i quali le giurisdizioni e le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri cooperano con la Commissione nell'applicazione degli articoli 81 e 82" (Comunicazione sulle denunce, § 10, corsivo aggiunto).

L'art. 10 reg. 1/03 recita: "Gli Stati membri adottano tutte le misure di carattere generale e particolare atte ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dal presente Trattato ovvero determinati dagli atti delle istituzioni della Comunità. Essi facilitano quest'ultima nell'adempimento dei propri compiti. Essi si astengono da qualsiasi misura che rischi di compromettere la realizzazione degli scopi del presente Trattato".

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

398

ascendente") delle Autorità nazionali nei confronti della Commissione (secondo quello che era il precedente principio del "collegamento stretto e costante" tra Commissione e Autorità nazionali di cui all'art. 85 TCE e all'art. 10(1) reg. 17/62 755); esso aggiunge a tale controllo la previsione del (nuovo) "controllo" vincolante ("verticale discendente") della Commissione verso le Autorità nazionali per l'applicazione del diritto antitrust CE 756.

Tale principio di "stretta collaborazione nell'applicazione" degli artt. 81 e 82 TCE caratterizza e qualifica esclusivamente il rapporto tra Commissione e Autorità nazionali, e non il rapporto tra Commissione e giurisdizioni nazionali. Questo è conseguenza del ruolo particolare che il TCE riconosce alle Autorità nazionali stesse (art. 84 TCE) e dei conseguenti particolari obblighi che ad esse sono imputabili.

755 Il rapporto tra singole Autorità nazionali e Commissione, che ai sensi dell'art. 10

reg. 17/62 rientrava nel generale "collegamento tra le Autorità degli Stati membri", si fondava sul principio del "collegamento stretto e costante" della Commissione con le Autorità nazionali nello svolgimento delle procedure previste dall'art. 10 reg. 17/62.

756 Quindi, il principio della "cooperazione" del reg. 1/03 — prevedendo un controllo vicendevole tra Commissione e Autorità nazionali nell'applicazione del diritto antitrust CE — contiene al suo interno anche il principio del "collegamento stretto e costante" tra Commissione e Autorità nazionali (cioè il controllo "verticale ascendente" delle Autorità nazionali nei confronti della Commissione). Infatti, già il sistema antitrust CE disciplinato dagli artt. 84 e 85 TCE, così come quello disciplinato dal reg. 17/62, prevedeva un collegamento tra Commissione e Autorità nazionali al fine del controllo (indiretto) "verticale ascendente" degli Stati membri tramite le Autorità nazionali nei confronti della Commissione. Tale rapporto tra singole Autorità e Commissione — che ai sensi dell'art. 10 reg. 17/62 rientrava nel generale "collegamento tra le Autorità degli Stati membri" — si fondava sul principio del "collegamento stretto e costante" tra di esse.

Il reg. 1/03, invece, disciplina il rapporto tra Commissione e Autorità nazionali non più tramite il (solo) principio del "collegamento stretto e costante" della Commissione (controllo "verticale ascendente", controllo disciplinato dall'art. 14 reg. 1/03) ma anche il controllo "verticale discendente" della Commissione.

Il principio di "stretta collaborazione nell'applicazione" degli artt. 81 e 82 TCE è conseguenza della modifica dell'art. 10 reg. 17/62 in due norme distinte: la prima relativa al controllo verticale discendente; la seconda relativa al controllo verticale ascendente (controllo già previsto dall'art. 85 TCE e dal reg. 17/62). Il reg. 1/03 separa quindi: (i) l'aspetto del rapporto tra la Commissione e le singole Autorità nazionali (disciplinato dall'art. 10(2) reg. 17/62 e dall'art. 11 reg. 1/03) (ii) dall'aspetto dei rapporti tra Commissione e Comitato consultivo (disciplinato dall'art. 10(3) reg. 17/62 e dall'art. 14 reg. 1/03).

Entrambi tali aspetti sono disciplinati nel reg. 1/03 nel capitolo "cooperazione". La prima fattispecie (rapporto tra Commissione e singola Autorità nazionale) diviene da controllo "verticale ascendente" a controllo "verticale discendente" — quale novità del controllo della Commissione —. La seconda fattispecie (rapporto tra Commissione e Comitato consultivo) rimane strumento di controllo degli Stati membri nei confronti della Commissione ("verticale ascendente").

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

399

Con riferimento al "nuovo" controllo "verticale discendente", l'inserimento di tale procedimento è conseguenza della necessità della Commissione di valutare l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE da parte delle Autorità a fronte del decentramento del diritto antitrust CE 757. In altre parole, tale principio (e le norme che concretizzano il principio, cioè gli artt. 11(3) reg. 1/03 e 11(4) reg. 1/03) hanno la funzione — in ultima istanza — di eliminare una lacuna presente nel reg. 17/62 — ma che nel 1962 sicuramente non costituiva una priorità —; cioè la possibilità di controllare che il diritto antitrust CE non sia applicato dagli Stati membri in violazione della politica antitrust CE (rectius del diritto CE) 758.

Passando agli aspetti procedurali del controllo "verticale discendente" del reg. 1/03, il controllo della Commissione sulle Autorità nazionali — attuazione di uno degli aspetti del principio di "cooperazione" (art. 11(1) reg. 1/03) — è disciplinato dagli artt. 11(3) reg. 1/03 e 11(4) reg. 1/03.

Il procedimento di controllo inizia, ai sensi dell'art. 11(3) reg. 1/03, con l'obbligo per le Autorità nazionali di informare "per iscritto la Commissione" dell'apertura di procedimenti ai sensi degli artt. 81 e 82 TCE, "prima o immediatamente dopo l'avvio della prima misura formale di indagine" 759.

757 Tale controllo "verticale discendente" dei procedimenti della Commissione nei

confronti delle Autorità nazionali, ai sensi degli artt. 11(3-6) reg. 1/03, è conseguenza della necessità dell'Autorità CE di controllare le decisioni degli organi degli Stati membri ai sensi del diritto antitrust CE. Questo controllo non era disciplinato nel reg. 17/62 in quanto allora l'applicazione del diritto antitrust CE era meramente eventuale e sottoposta alla discrezionalità degli Stati membri. Ai sensi del reg. 1/03, al contrario, l'applicazione del diritto antitrust CE da parte delle Autorità nazionali è obbligatoria per i casi di rilevanza comunitaria (art. 3(1) reg. 1/03).

758 L'art. 16 della proposta del 2000, rubricato come "Applicazione uniforme del diritto comunitario della concorrenza", recitava: "In virtù dell'articolo 10 del Trattato e del principio d'applicazione uniforme del diritto comunitario, gli organi giudiziari e le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri devono adoperarsi affinché non siano adottate decisioni in contrasto con le decisioni adottate dalla Commissione".

759 Ci riferiamo all'art. 11(3) reg. 1/03, il quale disciplina un primo obbligo nei confronti delle Autorità nazionali. Tale norma prescrive infatti che "quando le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri agiscono ai sensi dell'articolo 81 o 82 del Trattato, esse ne informano per iscritto la Commissione prima o immediatamente dopo l'avvio della prima misura formale di indagine. L'informazione può essere resa disponibile anche alle Autorità garanti della concorrenza degli altri Stati membri".

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

400

Nell'economia del controllo della Commissione, è da notare che la comunicazione di apertura dei procedimenti da parte delle Autorità nazionali costituisce l'unica modalità con cui l'Autorità CE viene a conoscenza di procedimenti iniziati dalle Autorità nazionali ex artt. 81 e 82 TCE e poi archiviati o per i quali non si perviene a decisione di violazione. Infatti, l'obbligo dell'Autorità nazionale di informare l'Autorità CE della chiusura di un procedimento istruttorio riguarda solo le decisioni finalizzate alla "cessazione di un'infrazione, ad accettare impegni o a revocare l'applicazione di un regolamento d'esenzione per categoria" (art. 11(4) reg. 1/03). Per i casi di archiviazione, al contrario, non è previsto ex art. 11(4) reg. 1/03 l'obbligo da parte delle Autorità nazionali di comunicazione alla Commissione.

Inoltre, non deve essere dimenticato che con riferimento alla notizia

dell'apertura di procedimenti ai sensi del diritto antitrust degli Stati membri, l'obbligo di informazione ex art. 11(3) reg. 1/03 — in considerazione sia dell'art. 3(1) reg. 1/03, sia del concetto ampio di fattispecie rientranti nel campo degli artt. 81 e 82 TCE che tende a prendere in considerazione anche fattispecie aventi rilevanza tendenzialmente nazionale — permette incidentalmente alla Commissione di venire a conoscenza dell'apertura della gran parte delle istruttorie formali svolte dalle Autorità nazionali anche ai sensi del diritto antitrust degli Stati membri (sulla rilevanza di questo per l'illegittimità dell'art. 3(2) reg. 1/03, v. supra § 45). Infatti, nella comunicazione delle Autorità nazionali alla Commissione si darà notizia anche dell'eventuale apertura per la medesima fattispecie di un procedimento ai sensi del diritto antitrust degli Stati membri.

Paragonando l'obbligo delle Autorità nazionali di informare la Commissione dell'apertura di procedimenti antitrust di cui all'art. 11(3) reg. 1/03, da una parte, e l'invito alle Autorità nazionali a notificare l'apertura di procedimenti ex artt. 81 e 82 TCE previsto nella Comunicazione sulla cooperazione del 1997 760, dall'altra, questa seconda

760 Infatti, l'art. 11(3) reg. 1/03 — e il conseguente obbligo di informare dell'apertura

dei procedimenti istruttori — rappresenta una "cristallizzazione" normativa dei principi già espressi nella Comunicazione sulla cooperazione tra Commissione e Autorità nazionali (1997), e che comunque svolge un ruolo importante nel sistema del reg. 1/03. Tali principi erano divenuti "spontaneamente" obblighi nell'ordinamento italiano già prima della Comunicazione stessa (Cfr. art. 1(2) l. n. 287/90 e nell'art. 54 l. n. 52/96 — legge comunitaria

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

401

ipotesi svolgeva la funzione di evitare la duplicazione di procedimenti tra Commissione e Autorità nazionali. L'art. 11(3) reg. 1/03, invece, oltre ad evitare tale duplicazione, costituisce il momento iniziale con cui la Commissione svolge la (nuova) attività di controllo "verticale discendente" relativa all'applicazione del diritto antitrust CE da parte delle Autorità nazionali 761.

Visto che la Commissione è messa a conoscenza dell'inizio dei procedimenti da parte delle Autorità nazionali ai sensi dell'art. 11(3) reg. 1/03, sarebbe utile che l'Autorità CE sfruttasse questa conoscenza "centralizzata" e predisponesse la pubblicazione (quantomeno) dell'elenco di tali procedimenti (e delle relative conclusioni) nel sito Internet della Commissione. Questo nel generale interesse della funzionalità del sistema della cd. Rete, così come al fine di evitare la duplicazione di denunce dei privati e per facilitare questi ultimi — a fronte della conoscenza dei risultati a cui i procedimenti sono pervenuti — nella richiesta del risarcimento danni per le violazione della disciplina antitrust CE 762.

126. (segue) Il perno del controllo "verticale discendente": l'art. 11(4) reg.

1/03.

1994 — ). Tali norme prevedono l'obbligo dell'Autorità antitrust italiana di trasmettere, nel caso in cui essa individui un caso rientrante nel campo di applicazione del diritto antitrust CE, le informazioni disponibili all'Autorità CE. Questo in quanto il campo di applicazione delle legge antitrust italiana è limitata ai casi non di rilevanza comunitaria (art. 1(1) l. n. 287/90). L'art. 54(5) l. n. 52/96 prescrive l'obbligo dell'Autorità italiana di comunicare alla Commissione il momento di inizio del procedimento antitrust ai sensi del diritto antitrust CE. Sul punto, v. LORENZO FEDERICO PACE, Il sistema italiano di tutela, a nota 420.

761 Si deve notare che la Commissione, al contrario, non è obbligata da norme del reg. 1/03 a rendere noto alle Autorità nazionali — ovviamente nella unica sede possibile, ovvero nella collegialità del Comitato consultivo — l'apertura delle istruttorie. Essa è obbligata solo a "consultare un Comitato esecutivo prima" dell'emanazione di specifiche decisioni (art. 14(1) reg. 1/03).

Con una interessante modifica di impostazione, la Commissione solo nella versione definitiva della Comunicazione sulla Rete ha riconosciuto di obbligarsi nei confronti delle Autorità nazionali a notificare l'apertura dei procedimenti antitrust CE (Comunicazione sulla Rete, § 49).

762 Questo eviterebbe che le imprese, nel caso di non coincidenza dei denuncianti, depositino molteplici denunce presso varie Autorità nazionali le quali abbiano già deciso di non iniziare un procedimento in quanto la fattispecie di loro interesse è già oggetto di una istruttoria da parte di altra Autorità nazionale.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

402

L'art. 11(4) reg. 1/03 costituisce il perno del sistema di controllo della Commissione, e in particolare di come l'Autorità CE possa "controllare" l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE da parte delle Autorità nazionali. In particolare, l'art. 11(4) reg. 1/03 impone alle singole Autorità antitrust di informare "la Commissione (…) al più tardi 30 giorni prima dell'adozione di una decisione volta a ordinare la cessazione di un'infrazione, ad accettare impegni o a revocare l'applicazione di un regolamento d'esenzione per categoria" 763. Le Autorità nazionali sono inoltre obbligate a fornire "alla Commissione una presentazione del caso in questione, la decisione prevista o, in sua mancanza, qualsiasi altro documento che esponga la linea d'azione proposta" 764. Questo non esclude però che le Autorità nazionali abbiano la facoltà di informare di qualunque altra decisione a cui esse pervengano in applicazione degli artt. 81 e 82 TCE. La Commissione sostiene infatti che "tutti i membri della Rete dovrebbero informarsi reciprocamente della chiusura del procedimento da esse avviato e notificato alla Rete ai sensi dell'articolo 11, paragrafi 2 e 3 del Regolamento del Consiglio" (Comunicazione sulla Rete, § 49) 765.

Grazie a questa "presentazione" delle Autorità nazionali, la Commissione è edotta sulle conclusioni — oltre che sulla relativa motivazione — a cui le Autorità nazionali intendono pervenire. La

763 La Commissione ricorda però: "Qualora, a causa di circostanze specifiche, si renda necessario adottare una decisione nazionale prima della scadenza del termine di 30 giorni dalla trasmissione delle informazioni di cui all'articolo 11, paragrafo 4 del Regolamento del Consiglio, l'Autorità nazionale garante della concorrenza può chiedere alla Commissione di reagire in tempi più rapidi. La Commissione cercherà di esprimersi sul caso nel più breve tempo possibile" (Comunicazione sulla Rete, § 47).

764 Come sostenuto dalla Commissione, "secondo quanto previsto dall'articolo 11, paragrafo 3 del Regolamento del Consiglio, oltre ad informare la Commissione, le Autorità nazionali garanti della concorrenza possono rendere disponibili tali informazioni anche agli altri membri della Rete" (Comunicazione sulla Rete, § 45). Diversamente, la proposta di Comunicazione disponeva che "analogamente a quanto previsto dall'articolo 11, paragrafo 3 regolamento 1/03, l'obbligo è di informare la Commissione; tuttavia le informazioni possono essere comunicate dalla Commissione agli altri membri della Rete" (Progetto di comunicazione relativa alla Rete, § 45).

765 Il reg. 1/03 non disciplina un obbligo della Commissione di notificare l'apertura di un procedimento istruttorio (e in particolare un procedimento sulla cui decisione dovrà poi chiedere il parere del Comitato consultivo). Non ostante questo, la Commissione nella Comunicazione sulla Rete (§ 49, ma non nel medesimo paragrafo del Progetto di questa) equipara l'obbligo di comunicazione delle Autorità nazionali ex art. 11(3) reg. 1/03 con il contenuto dell'art. 11(2) reg. 1/03. In questo modo la Commissione sostiene (informalmente) un proprio obbligo di notifica di avvio.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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Commissione — in caso di dubbio sulla legittimità della proposta di decisione rispetto al diritto antitrust CE — può "cercare di convincere" l'Autorità nazionale a modificare le relative conclusioni. Tale "processo di convincimento" può spingersi, nell'ipotesi in cui l'Autorità nazionale non modifichi la conclusione controversa, fino all'apertura di un procedimento da parte della Commissione sulla medesima fattispecie (in questo modo avocando a sé il caso ex art. 11(6) reg. 1/03 — v. infra § 127). Alternativamente, la Commissione potrebbe attendere che l'Autorità concluda il procedimento e, nel caso in cui la decisione ex artt. 81 e 82 TCE sia, ad avviso della Commissione, in violazione dei principi del diritto antitrust CE, essa potrebbe successivamente aprire, ex art. 226 TCE, un procedimento di infrazione contro l'Autorità nazionale (rectius contro lo Stato membro di appartenenza dell'Autorità). Inoltre, nel caso in cui sia proposto ricorso contro la (presunta) decisione contraria al diritto antitrust CE, la Commissione potrebbe presentare osservazioni alle giurisdizioni nazionali al fine di far annullare la decisione stessa (art. 15(1) reg. 1/03 - v. infra § 167).

127. (segue) Il potere di avocazione della Commissione (art. 11(6) reg.

1/03).

Come notato poc’anzi, anche il reg. 1/03 ha disciplinato — come già

l'art. 9(3) reg. 17/62 — il potere di avocazione da parte della Commissione della competenza antitrust esercitata dalle Autorità nazionali rispetto ad una specifica fattispecie (art. 11(6) reg. 1/03). Ma mentre il potere di avocazione ex art. 9(3) reg. 17/62 era disciplinato nella norma rubricata come "Competenza", il potere di avocazione ex art. 11(6) reg. 1/03 è disciplinato nell'articolo rubricato come "Cooperazione" (per una giustificazione di ciò, v. supra § 103).

Il potere di avocazione — come constatato nel precedente § — svolge il ruolo di garantire alla Commissione il ruolo di orientamento della concorrenza all'interno della Rete. L'avocazione avviene in conseguenza dell'atto formale di inizio di un procedimento da parte della Commissione (Comunicazione sulla Rete, § 52).

L'Autorità CE nella Comunicazione sulla Rete individua due casi in cui l'art. 11(6) reg. 1/03 possa essere esercitato (oltre ovviamente al

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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caso in cui la Commissione inizi per prima il procedimento istruttorio; ibidem, § 53). In primo luogo, nell'ipotesi in cui le Autorità nazionali abbiano già iniziato — prima dell'Autorità CE — un procedimento ai sensi degli artt. 81 e 82 CE. In questa ipotesi la Commissione può iniziare — entro il periodo di due mesi dalla notifica ex art. 11(3) reg. 1/03, il cd. periodo di "ri-attribuzione" — un procedimento e così avocare a sé la soluzione del caso; questo però dopo essersi consultata con le Autorità nazionali interessate (ibidem, § 54). In secondo luogo, nel caso in cui le Autorità nazionali abbiano già iniziato un procedimento istruttorio e sia già passato il periodo di ri-attribuzione di due mesi, la Commissione può esercitare il potere di cui all'art. 11(6) reg. 1/03 solo in cinque casi — ipotesi definite nella Dichiarazione comune del Consiglio e della Commissione sul funzionamento della Rete delle Autorità garanti della concorrenza del 10 dicembre 2003, § 21 e recepiti nella relativa Comunicazione sulla Rete, § 54; e cioè nell'ipotesi in cui: "(a) i membri della Rete prevedono di adottare decisioni contrastanti sullo stesso caso;"

"(b) i membri della Rete prevedono di adottare una decisione palesemente in conflitto con la giurisprudenza consolidata. I principi enunciati dalla giurisprudenza degli organi giurisdizionali comunitari e nelle decisioni e nei regolamenti precedenti della Commissione dovrebbero servire da parametro di valutazione. In merito alla valutazione dei fatti (ad esempio, la definizione del mercato), la Commissione interverrà solo in caso di divergenze significative;"

"(c) i membri della Rete prolungano indebitamente il procedimento;"

"(d) l'adozione di una decisione della Commissione è necessaria per sviluppare la politica comunitaria della concorrenza — in particolare quando il medesimo problema di concorrenza si presenti in vari Stati membri — ovvero per assicurare l'effettiva applicazione della politica comunitaria della concorrenza;"

"(e) le Autorità garanti della concorrenza non si oppongono" (Comunicazione sulla Rete, § 54).

Inoltre, l'Autorità CE stessa ha indicato che "quando la Commissione intende applicare l'articolo 11, paragrafo 6 del Consiglio trascorso il periodo iniziale di attribuzione, il caso può essere discusso

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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dal Comitato consultivo prima dell'avvio del procedimento da parte della Commissione. Il Comitato consultivo può rilasciare una dichiarazione informale sul caso" (Comunicazione sulla Rete, § 62). La Commissione è comunque obbligata ad informare dell'avocazione non solo l'Autorità nazionale interessata direttamente, ma anche la Rete di Autorità nazionali in tempo utile perché i membri convòchino — come previsto dall'art. 11(6) reg. 1/03 — il Comitato consultivo (Comunicazione sulla Rete, § 56) 766.

Infine, con riferimento all'esercizio del potere di avocazione, la Commissione sottolinea che l'adempimento delle notifiche disciplinate dagli artt. 11(3) reg. 1/03 e 11(4) reg. 1/03 — a prescindere dalle conseguenze giuridiche della violazione di questi obblighi comunitari — determina "di fatto" la limitazione dell'utilizzo dell'art. 11(6) reg. 1/03. Questo perché le comunicazioni di cui agli artt. 11(3) reg. 1/03 e 11(4) reg. 1/03 danno la possibilità alla Commissione di presentare le proprie indicazioni sulla proposta di decisione delle Autorità nazionali (Comunicazione sulla Rete, § 57) 767, in questo modo evitando il rischio che le Autorità nazionali pervengano a conclusioni non condivise dalla Commissione.

128. (segue) La richiesta della Commissione alle Autorità nazionali di

ulteriori documenti per la valutazione del caso (art. 11(4) reg. 1/03). La

circolazione delle informazioni fornite alla Commissione all'interno

della Rete.

La Commissione è titolare della facoltà (specularmente alle Autorità

nazionali nei confronti della stessa Autorità CE, ex art. 11(2) reg. 1/03,

766 La Commissione ricorda — citando il § 22 della Dichiarazione comune del

Consiglio e della Commissione — che "se un'Autorità nazionale garante della concorrenza ha già iniziato l'esame del caso, la Commissione dovrà fornire per iscritto all'Autorità nazionale garante della concorrenza interessata e agli altri membri della Rete le motivazioni dell'applicazione dell'articolo 11, paragrafo 6 del Regolamento del Consiglio" (Comunicazione sulla Rete, § 55).

767 La Commissione ricorda infatti che "di norma — e nella misura in cui non sia in gioco l'interesse comunitario — la Commissione non adotterà una decisione in conflitto con una decisione di un'Autorità nazionale garante della concorrenza nel caso in cui si sia provveduto nei modi dovuti alle comunicazioni di cui all'articolo 11, paragrafi 3 e 4 del Regolamento del Consiglio e la Commissione non abbia fatto ricorso all'articolo 11, paragrafo 6 del Regolamento del Consiglio" (Comunicazione sulla Rete, § 57).

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nel caso del controllo "verticale ascendente") di chiedere all'Autorità nazionale — la quale ha presentato la relazione sul caso — di rendere disponibili "alla Commissione altri documenti in suo possesso necessari alla valutazione della pratica" (art. 11(4) reg. 1/03); questo affinché la Commissione disponga delle informazioni necessarie per valutare le conclusioni a cui l'Autorità nazionale è (provvisoriamente) pervenuta ai sensi del diritto antitrust CE. Tanto le prime informazioni date alla Commissione in sede di relazione, quanto quelle inviate su richiesta della Commissione, "possono essere fornite anche alle Autorità garanti della concorrenza degli altri Stati membri" (art. 11(4) reg. 1/03).

Tale norma, come altre norme del reg. 1/03, riconosce che una informazione inviata alla Commissione "possa essere resa disponibile anche alle Autorità garanti della concorrenza degli altri Stati membri". Tale norma, non chiarendo quali siano i soggetti che devono decidere sulla ulteriore circolazione all'interno della Rete, sembra costituire un compromesso dei redattori del reg. 1/03 che richiede un chiarimento tramite la prassi applicativa. La Commissione sembra, però, aver preso già una posizione su questo specifico punto prevedendo un automatico passaggio delle informazioni a tutti i membri della Rete. Nella Comunicazione sulla Rete, la Commissione — richiamando gli artt. 11(2) reg. 1/03 e 11(3) reg. 1/03 — ha infatti sostenuto che nell'ambito della cd. Rete, "le informazioni sui casi oggetto di indagine a seguito di una denuncia saranno messe a disposizione degli altri membri della Rete prima o immediatamente dopo l'avvio della prima misura formale di indagine" (Comunicazione sulle denunce, § 23) 768. In questo modo la Commissione sembra sostenere l'obbligatorietà di tale trasferimento di informazioni. Deve essere però sottolineato che l'art. 11(3) reg. 1/03 — richiamato in nota dalla Commissione 769 — nulla dice relativamente alle informazioni da trasferire tra le Autorità nazionali e al relativo obbligo di circolazione delle stesse. La norma disciplina esclusivamente che "quando le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri agiscono ai sensi dell'articolo 81 o 82 del Trattato, esse ne informano per

768 Nel Progetto di Comunicazione, la Commissione aveva limitato lo scambio alle

"informazioni sulle denunce" (Proposta di Comunicazione sulle denunce, § 23) e non alle "informazioni sui casi oggetto di indagine a seguito di una denuncia".

769 La nota 22 della Comunicazione sulla Rete recita infatti: "In particolare i paragrafi 2 e 3 dell'articolo 11 del regolamento 1/2003".

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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iscritto la Commissione prima o immediatamente dopo l'avvio della prima misura formale di indagine. L'informazione può essere resa disponibile anche alle Autorità garanti della concorrenza degli altri Stati membri" (corsivo aggiunto).

129. (segue) L'influenza del controllo "verticale discendente" sul federalismo

antitrust europeo.

Volendo considerare l'influenza del controllo "verticale

discendente" sulla disciplina del federalismo antitrust CE (v. supra § 53), esso svolge una funzione importante. Tale strumento "verticale discendente", infatti, è strumentale affinché la competenza antitrust degli Stati membri non sia applicata in contrasto ai principi generali (o alle discipline specifiche ex reg. 83(2) lett. b TCE) del rapporto tra competenza antitrust della CE e degli Stati membri. Nel caso specifico del reg. 1/03 i procedimenti di controllo evitano che il diritto antitrust degli Stati membri sia applicato in contrasto con gli artt. 3(2) reg. 1/03 e 3(3) reg. 1/03.

130. B) Il controllo "collegiale". La discussione dei casi in corso di

trattazione da parte delle Autorità nazionali (art. 11(4) reg. 1/03). La

ratio dell'istituto.

Ai sensi dell'art. 11(4) reg. 1/03 il controllo dei provvedimenti delle

Autorità nazionali è svolto esclusivamente dalla Commissione. L'art. 14(7) reg. 1/03 prevede però la possibilità di proporre, per "i casi che sono in corso di trattazione da parte" di un'Autorità nazionale ai sensi del diritto antitrust CE, anche una discussione in sede di Comitato consultivo. La norma prevede tre differenti legittimati attivi per proporre tale discussione; e cioè in primo luogo, sono le Autorità nazionali che possono chiedere alla Commissione di iscrivere "all'ordine del giorno del Comitato consultivo (…) i casi che sono in corso di trattazione da parte dell'Autorità garante della concorrenza di uno Stato membro" in applicazione degli artt. 81 e 82 TCE (art. 14(7) reg. 1/03). In secondo luogo, la discussione dei casi istruiti dalle Autorità nazionali può essere proposta anche dalla "Commissione (…) di propria

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iniziativa". In terzo luogo, può giovarsi di questa facoltà anche l'Autorità nazionale nei confronti della quale la Commissione intenda avocare un procedimento ai sensi dell'art. 11(6) reg. 1/03. In quest'ultimo caso la Commissione preventivamente "ne informa l'Autorità garante della concorrenza interessata" (per le differenze tra discussione in sede di Comitato consultivo di casi trattati dall'Autorità nazionale, ex art. 14(7) reg. 1/03, rispetto alle fattispecie di consultazione del Comitato riguardo ai procedimenti istruiti dalla Commissione, ex art. 14(3-6) reg. 1/03, v. infra § 134).

La ratio dell'istituto disciplinato dall'art. 14(7) reg. 1/03 è strettamente collegata al "principio di concentrazione della competenza antitrust CE" 770. L'art. 14(7) reg. 1/03 costituisce, infatti, un incentivo affinché le Autorità nazionali "concentrino" l'istruzione di fattispecie antitrust in una sola Autorità nazionale. Le Autorità nazionali, grazie all'art. 14(7) reg. 1/03, hanno la certezza che anche archiviando una denuncia o sospendendo un procedimento (ex art. 13 reg. 1/03) relativo ad un caso antitrust deciso ai sensi degli artt. 81 e 82 TCE, esse mantengono il potere di proporre una discussione sulle modalità con cui l'Autorità nazionale "eletta" a valutare tale fattispecie stia istruendo il procedimento. La possibilità di discussione ex art. 14(7) reg. 1/03 attribuisce quindi alle singole Autorità nazionali la garanzia che, nell'ipotesi di valutazioni manifestamente illegittime da parte di un'altra Autorità, il caso sia messo, in primo luogo, all'ordine del giorno del Comitato consultivo e, in secondo luogo, il caso sia deciso dalla Commissione dopo l'avocazione, ex art. 11(6) reg. 1/03, dello stesso.

L'importanza di un simile istituto consiste nel fatto che l'archiviazione di una denuncia o la sospensione di un procedimento da parte di un'Autorità nazionale a favore del proseguimento dell'istruzione di un'altra Autorità antitrust presenta, per il primo organo, un doppio significato: da una parte, una "benvenuta" limitazione della propria attività repressiva, così da permettere l'utilizzo delle "risparmiate" risorse umane per l'istruzione di altre fattispecie non oggetto di valutazione contemporanea ad altre Autorità; dall'altra, però, una simile scelta significa per l'Autorità nazionale mettere "nelle mani" di un'altra Autorità (rectius di un differente Stato, anche se membro

770 Riguardo al concetto del principio di concentrazione, v. supra § 114.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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della CE) la soluzione di un caso, la cui decisione influenzerà direttamente anche la concorrenza dello Stato che ha sospeso il procedimento o archiviato la denuncia (ciò, in quanto il caso di rilevanza comunitaria "pregiudica il commercio tra Stati membri"). Inoltre, la decisione della seconda Autorità antitrust, emanata ai sensi del diritto antitrust CE, influenzerà direttamente — in considerazione della disciplina dei rapporti tra diritto antitrust CE e diritto antitrust degli Stati membri ex art. 3(2) reg. 1/03 — anche la discrezionalità dell'Autorità nazionale — Autorità che sospende o archivia il procedimento — nell'applicazione del diritto antitrust statale.

La "garanzia" fornita dall'art. 11(7) reg. 1/03 è particolarmente rilevante in quanto essa costituisce l'unico mezzo con cui le Autorità nazionali possano intervenire sui procedimenti istruiti da altre Autorità antitrust ai sensi del diritto di tutela della concorrenza CE. Le decisioni formali per i casi istruiti da Autorità nazionali in applicazione degli artt. 81 e 82 TCE non sono infatti oggetto — diversamente dalle decisioni della Commissione ex art. 14(1) reg. 1/03 — di consultazione in sede di Comitato consultivo da parte delle Autorità nazionali. Tale differenza, in primo luogo, è da ricondursi alla necessità di evitare che ogni decisione delle Autorità nazionali sia oggetto di un controllo molto complesso posto in essere da un organo composto dalla rappresentanza di 25 Autorità nazionali; in secondo luogo, la limitazione del controllo della decisione delle singole Autorità da parte della sola Commissione si giustifica dalla "riottosità" degli Stati membri a sottoporsi ad un controllo operato da altre Autorità nazionali (rectius da altri Stati membri), anche se il controllo è in applicazione del diritto CE. Infine, ciò è conseguenza del "monopolio" dell'orientamento della politica di concorrenza di cui è titolare la Commissione (art. 85 TCE).

Oltre alle Autorità che non istruiscono il procedimento oggetto di discussione, l'art. 14(7) reg. 1/03 permette, in secondo luogo, anche alla Commissione di porre all'ordine del giorno un caso trattato da un'Autorità nazionale ai sensi degli artt. 81 e 82 TCE. Questo nell'ipotesi in cui la Commissione voglia richiamare un'Autorità — e richiamare quindi anche l'attenzione delle altre Autorità in sede di Comitato — sul fatto che l'Autorità nazionale non stia pervenendo — ad avviso della Commissione — a conclusioni coerenti con la politica

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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antitrust CE o comunque in violazione del diritto CE. Tale richiamo può concludersi con l'avocazione del caso stesso da parte della Commissione ai sensi dell'art. 11(6) reg. 1/03 771. In considerazione dell'eventuale avocazione finale, i casi in cui la Commissione esercita questa facoltà sono collegati alle cinque ipotesi di applicazione dell'art. 11(6) reg. 1/03 definite nella relativa Comunicazione sulla Rete, § 54 (v. supra § 127).

In terzo luogo, ai sensi dell'art. 11(7) reg. 1/03 anche l'Autorità nazionale nei confronti della quale la Commissione è in procinto di avocare un procedimento ex art. 11(6) reg. 1/03 (rectius a cui potenzialmente sarà precluso a breve l'esercizio della competenza antitrust CE su uno specifico caso) è titolare della facoltà di proporre la discussione dell'imminente provvedimento della Commissione davanti al Comitato consultivo; ciò al fine di permettere al Comitato di prendere posizione (anche se non pubblica) 772 su tale provvedimento. In questo caso l'intervento del Comitato in tanto si comprende in quanto esso è l'organo di rappresentanza degli Stati membri. La possibilità di discussione del caso da parte di tale organo svolge molteplici funzioni: 1. costituisce una sorta di "freno" contro decisioni "affrettate" della Commissione ex art. 11(6) reg. 1/03 o contro decisioni che non rientrino nelle cinque ipotesi di avocazione della competenza (v. supra § 127); 2. rappresenta, inoltre, una forma di tutela "collegiale" da parte delle Autorità nazionali (rectius da parte degli Stati membri) a favore dell'Autorità nazionale (rectius di un altro Stato membro) che ha richiesto la discussione nel Comitato; infatti la decisione della Commissione costituisce una informale censura nei confronti dell'Autorità stessa; 3 . infine la discussione, e l'eventuale posizione non

pubblica presa dal Comitato (v. supra p. 407), rappresenta una forma di tutela di tutte le Autorità nazionali nei confronti di una decisione della Commissione che rappresenterebbe un precedente per esse. Ciò detto, la

771 Tale istituto permette anche alla Commissione di discutere di un procedimento

decentrato di un'Autorità nazionale; questo anche per valutare se tale Autorità si trovi nella situazione migliore rispetto agli altri "nodi della Rete" per istruire la pratica. La Commissione potrebbe infatti, sfruttando il potere di pressione costituito dall'art. 11(6) reg. 1/03, convincere l'Autorità a sospendere il procedimento a favore di un'altra Autorità.

772 Come ricordato infra, l'art. 14(7) terzo capoverso reg. 1/03 prevede che "il Comitato consultivo non emette pareri su casi trattati dalle Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri".

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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Commissione rimane comunque "sovrana" — tutelata dalla propria indipendenza regolata dal TCE — riguardo all'applicazione dell'art. 11(6) reg. 1/03; infatti, il Comitato consultivo non dispone del potere di impedire il provvedimento di avocazione.

131. (segue) L'influenza del controllo collegiale sul federalismo antitrust

europeo.

La novità del controllo collegiale del Comitato consultivo nei

confronti delle Autorità nazionali non ha influenza sulla disciplina del cd. federalismo antitrust CE (v. supra § 53). Tale tipo di controllo "collegiale " qui oggetto di analisi svolge infatti una differente funzione; e cioè quella di tutelare i singoli Stati membri (per il tramite delle Autorità nazionali e del Comitato consultivo) da conclusioni di altre Autorità nazionali non coerenti con la politica antitrust CE o in violazione del diritto CE; tale controllo svolge anche la funzione di tutelare gli Stati membri da ingiustificate decisioni di avocazione della Commissione.

In questo senso, intanto il controllo "collegiale" può farsi rientrare nella disciplina del federalismo antitrust CE in quanto esso costituisce un'ulteriore modalità affinché l'esercizio della competenza antitrust degli

Stati membri, per via (tra l'altro) dell'obbligo di applicazione del diritto antitrust CE per i casi di rilevanza comunitaria (art. 3(1) reg. 1/03), non sia applicata in violazione degli artt. 3(2) reg. 1/03 e 3(3) reg. 1/03.

132. C) Il controllo "verticale ascendente". L'aumento del potere di controllo

nei confronti della Commissione da parte degli Stati membri quale

conseguenza dell'aumento del potere di controllo della Commissione

verso gli Stati membri.

Il maggiore potere di controllo diretto e vincolante della

Commissione nei confronti degli Stati membri (Autorità e giurisdizioni nazionali) e la (illegittima, v. supra § 45) limitazione della discrezionalità della competenza antitrust nazionale (art. 3(2) reg. 1/03)

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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773 richiede — rispetto a quanto era previsto dal reg. 17/62 — un maggiore potere di controllo "verticale ascendente" da parte degli Stati membri nei confronti dell'organo sopranazionale.

A ben vedere, la proposta di regolamento del 2000 non aveva previsto un aumento del potere di controllo nei confronti della Commissione. E ciò non ostante la crescita del potere della Commissione tramite la propria prassi che aveva di fatto escluso la discrezionalità degli Stati membri nel dirigere la politica di concorrenza ai sensi del diritto antitrust nazionale sui relativi territori (v. supra § 80). Tale prassi imponeva agli Stati membri di applicare il diritto antitrust nazionale in modo da pervenire, per i casi di rilevanza comunitaria, alle conclusioni a cui sarebbero pervenuti applicando il diritto antitrust CE.

L'art. 3 del progetto di regolamento — cristallizzando tale impostazione — aveva escluso l'applicazione del diritto antitrust statale a fattispecie di rilevanza comunitaria. Esso imponeva, infatti, la competenza esclusiva del diritto antitrust CE per i casi di rilevanza comunitaria. In altre parole, ai sensi di tale norma era escluso il potere degli Stati membri di applicare il proprio diritto antitrust alle fattispecie più rilevanti dal punto di vista politico ed economico.

In opposizione a questa tendenza di rafforzamento dei poteri della Commissione, la proposta di regolamento non prevedeva — rispetto al reg. 17/62 — rilevanti modifiche riguardo al potere di controllo "verticale ascendente" da parte degli Stati membri. La proposta della Commissione del nuovo regolamento non prevedeva infatti differenze rispetto all'art. 10 reg. 17/62, se non per alcuni ridotti aspetti; da una

parte, riguardo alla struttura del Comitato consultivo, dall'altra, riguardo alla pubblicazione delle conclusioni del Comitato stesso. Infatti, la proposta attribuiva al Comitato — quale limitato "controbilanciamento" all'aumento del potere della Commissione — la facoltà di richiedere la pubblicazione delle conclusioni del Comitato, pubblicazione comunque sottoposta alla discrezionalità della Commissione.

773 Ai sensi degli artt. 84 e 85 TCE e del reg. 17/62 il controllo avveniva — in assenza di

espressi procedimenti — tramite la diretta efficacia e vincolatività degli artt. 81 e 82 TCE. Nei precedenti sistemi di tutela antitrust CE la Commissione svolgeva un ruolo meno attivo in carenza di espliciti poteri di intervento; questo senza la previsione dell'obbligo di applicazione del diritto antitrust CE da parte degli organi statali (art. 3(1) reg. 1/03).

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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La formulazione finale del reg. 1/03 presenta una evidente influenza degli Stati membri in sede di Consiglio rispetto alla proposta del 2000. Infatti, i poteri di influenza "verticali ascendenti" degli Stati membri nei confronti di decisioni antitrust della Commissione sono sensibilmente aumentati, pur rispettando l'autonomia della Commissione. Il controllo degli Stati membri nei confronti della Commissione, ai sensi del reg. 1/03, è disciplinato esclusivamente nel Comitato consultivo (artt. 11(2) reg. 1/03 e art. 14(1-6) reg. 1/03) — a differenza del reg. 17/62 il quale prevedeva una sorta di controllo anche da parte di singole Autorità nazionali, art. 10(1) reg. 17/62 —. In particolare, il reg. 1/03 disciplina: l'invio di informazioni dalla Commissione alle Autorità nazionali per predisporre il controllo in sede di Comitato (art. 11(2) reg. 1/03). Inoltre, l'art. 14 reg. 1/03 disciplina: i casi di consultazione del Comitato; la formazione dello stesso 774; i termini di convocazione e i procedimenti di consultazione di tale organo 775; l'obbligo di allegare il parere del Comitato al progetto di decisione della Commissione; i rapporti tra parere del Comitato e

774 L'art. 14(2) reg. 1/03 prescrive che "ai fini della discussione di casi individuali il

Comitato consultivo è composto da rappresentanti delle Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri. Per le riunioni in cui si discutono temi diversi da casi individuali può essere designato un ulteriore rappresentante degli Stati membri competente in materia di concorrenza. In caso di impedimento i rappresentanti possono essere sostituiti da altri rappresentanti".

775 L'art. 14(3) reg. 1/03 prescrive che "la consultazione può essere effettuata nel corso di una riunione convocata e presieduta dalla Commissione, da tenersi non prima di quattordici giorni da quando viene inviata la convocazione, unitamente all'esposizione della questione, all'indicazione dei documenti più importanti della pratica e a un progetto preliminare di decisione. Per quanto riguarda le decisioni di cui all'articolo 8, la riunione può aver luogo sette giorni dopo l'invio della parte operativa di un progetto di decisione. Se la Commissione invia la convocazione della riunione con un termine di convocazione inferiore a quelli summenzionati, la riunione può svolgersi alla data proposta se non vi sono obiezioni da parte degli Stati membri. Il Comitato consultivo emette per iscritto un parere sul progetto preliminare di decisione della Commissione. Il parere può essere formulato anche se alcuni dei membri sono assenti e non si sono fatti rappresentare. Su richiesta di uno o più membri le posizioni assunte nel parere sono motivate".

L'art. 14(4) reg. 1/03 prescrive che "la consultazione può anche avere luogo mediante procedura scritta. Tuttavia, se uno Stato membro lo richiede, la Commissione convoca una riunione. In caso di procedura scritta la Commissione stabilisce un termine, non inferiore a quattordici giorni, entro il quale gli Stati membri devono formulare le loro osservazioni da trasmettere a tutti gli altri Stati membri. Per quanto riguarda le decisioni da prendere ai sensi dell'articolo 8, il termine di quattordici giorni è sostituito da quello di sette giorni. Se la Commissione fissa per la procedura scritta un termine inferiore a quelli summenzionati, si applica il termine proposto se non vi sono obiezioni da parte di nessuno Stato membro".

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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decisione finale della Commissione 776; infine, l'eventuale pubblicazione del parere del Comitato consultivo 777.

133. (segue) La composizione del Comitato consultivo (art. 14 reg. 1/03). Le

funzioni minori del Comitato consultivo.

Come ricordato supra, ai sensi del reg. 1/03 la funzione di controllo

è effettuata esclusivamente — diversamente dal reg. 17/62 — dal Comitato consultivo 778. Tale organo costituisce "la sede in cui gli esperti delle varie Autorità garanti della concorrenza discutono i singoli casi e le questioni generali di diritto comunitario della concorrenza" 779.

L'art. 14(2) reg. 1/03, rispetto al vecchio art. 10 reg. 17/62 e alla proposta di regolamento del 2000, specifica che "il Comitato consultivo

776 L'art. 14(5) reg. 1/03 prescrive che "la Commissione tiene in massima considerazione

il parere del Comitato consultivo. Essa lo informa del modo in cui ha tenuto conto del parere".

L'art. 14(6) reg. 1/03 recita: "Se il parere del Comitato consultivo è formulato per iscritto, esso è unito al progetto di decisione. Se il Comitato consultivo ne raccomanda la pubblicazione, la Commissione provvede alla pubblicazione del parere tenendo debitamente conto dell'interesse legittimo delle imprese a che non vengano divulgati segreti aziendali". Infine, la norma disciplina il controllo collegiale operato dalle eventuali riunioni del Comitato per valutare i casi ex artt. 81 e 82 TCE trattati dalle Autorità nazionali, aspetto già preso in considerazione supra.

777 L'art. 14(7) reg. 1/03 prescrive che "su richiesta dell'Autorità garante della concorrenza di uno Stato membro la Commissione iscrive all'ordine del giorno del Comitato consultivo i casi che sono in corso di trattazione da parte dell'Autorità garante della concorrenza di uno Stato membro ai sensi degli articoli 81 e 82 del Trattato. La Commissione può agire in tal senso anche di propria iniziativa. Preventivamente, la Commissione ne informa l'Autorità garante della concorrenza interessata. // La richiesta può essere avanzata in particolare dall'Autorità garante della concorrenza di uno Stato membro per i casi in cui la Commissione intende avviare il procedimento di cui all'articolo 11, paragrafo 6. // Il Comitato consultivo non emette pareri su casi trattati dalle Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri. Il Comitato consultivo può anche discutere problemi generali riguardanti il diritto comunitario in materia di concorrenza".

Ai sensi del reg. 17/62 tale potere di controllo era concentrato da una parte nelle singole Autorità nazionali (artt. 10(1) reg. 1/03 e 10(2) reg. 17/62) e, dall'altra, nell'organo di rappresentanza collegiale delle Autorità nazionali, cioè nel Comitato consultivo (art. 10(3) reg. 17/62).

778 Nel sistema antitrust disciplinato dal TCE, il controllo era individuato, in modo generico, nel "collegamento" tra Commissione e Autorità nazionali (art. 85(1) TCE). Diversamente, l'art. 10(3) reg. 17/62 prevedeva che "un Comitato consultivo in materia di intese e posizioni dominanti deve essere sentito prima di ogni decisione". Infine, l'art. 14(1) della proposta del 2000 recitava: "Un Comitato consultivo in materia di intese e posizioni dominanti deve essere sentito prima dell'adozione di qualsiasi decisione" (corsivo aggiunto).

779 Comunicazione relativa alla Rete, § 58.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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è composto da rappresentanti delle Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri". Tale chiarimento — già superato dalla prassi in vigenza del reg. 17/62, in forza della quale i componenti del Comitato erano membri delle Autorità nazionali — acquista interesse sotto due punti di vista. In primo luogo, tale nuova formulazione costituisce un elemento importante della Rete di Autorità antitrust; essa permette, infatti, di creare un organo dalla composizione coesa 780. In secondo

luogo, il fatto che la composizione del Comitato sia limitata a membri delle Autorità nazionali e il fatto che l'organo non possa discutere di casi singoli nella composizione del cd. Comitato allargato (cioè in presenza di soggetti terzi rispetto ai membri delle Autorità nazionali, art. 14(7) terzo capoverso reg. 1/03) non deve far presumere una generale autonomia dei componenti del Comitato da influenze (anche se legittime) degli Stati membri. Infatti, la natura ed indipendenza delle Autorità nazionali (rectius la struttura e le garanzie delle Autorità nazionali) rispetto ad influenze esterne rimane di esclusiva discrezionalità dei singoli Stati membri (v. supra § 102).

Il Comitato consultivo, oltre alle competenze richiamate supra, è titolare anche di funzioni minori. Tale organo, oltre alla consultazione per le decisioni della Commissione e delle Autorità nazionali, deve essere infatti sentito dalla Commissione — ex art. 33 reg. 1/03 — nel procedimento di emanazione di alcune misure (ad es., misure di esecuzione del reg. 1/03, definizione dei regolamenti di esenzione per categoria, delle linee direttrici) 781. Inoltre il Comitato "può costituire" da sede di discussione per "l'attribuzione dei casi" tra le varie Autorità nazionali.

780 È interessante notare come l'evoluzione dei rapporti tra Commissione, Stati membri

e Autorità nazionali si sia riverberata anche nella formazione del Comitato stesso. Infatti, il reg. 17 CE prevedeva nel 1962 che il Comitato fosse composto da rappresentanti degli Stati membri. Tale modifica era conseguenza non tanto della istituzione delle Autorità nazionali — esse dovevano infatti sussistere per alcune competenze già nel 1962 (v. supra nel caso italiano il ruolo del Ministero dell'industria) — ma dalla graduale emanazione di leggi antitrust in tutti gli Stati membri, e l'istituzione delle conseguenti Autorità di applicazione.

781 In particolare, "prima di pubblicare il progetto [di qualsivoglia misura ai sensi del paragrafo 1] e di procedere all'adozione della misura la Commissione consulta il comitato consultivo sulle intese restrittive e le posizioni dominanti" (art. 33(2) reg. 1/03).

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

416

134. (segue) La consultazione del Comitato. Il parere emesso dal Comitato e

la motivazione delle singole posizioni degli Stati membri. Il

procedimento di consultazione scritto e orale.

Riguardo al controllo vero e proprio del Comitato, l'art. 14(1) reg.

1/03 prescrive che "la Commissione consulta un Comitato consultivo prima dell'adozione di qualsiasi decisione ai sensi degli articoli" 7 reg. 1/03 [contestazione], 8 reg. 1/03 [misure cautelari], 9 reg. 1/03 [impegni], 10 reg. 1/03 [contestazione di inapplicabilità], 23 reg. 1/03 [ammende], 24(2) reg. 1/03 [ammontare definitivo della penalità di mora ridotta rispetto al totale], 29(1) reg. 1/03 [revoca delle esenzioni disciplinate da regolamenti per categoria].

Il reg. 1/03 prevede — così come ai sensi dell'art. 10(5) reg. 17/62 — che "la consultazione può essere effettuata (…) nel corso di una riunione convocata e presieduta dalla Commissione" (art. 14(3) reg. 1/03); riunione da tenersi, salvo eccezioni 782, "non prima di quattordici giorni da quando viene inviata la convocazione" (art. 14(3) reg. 1/03) 783. Alla convocazione deve essere allegata "l'esposizione della questione, [l]'indicazione dei documenti più importanti della pratica e (…) un progetto preliminare di decisione" (art. 14(3) reg. 1/03).

L'art. 11(2) reg. 1/03, affinché le Autorità nazionali dispongano di tutti i documenti per prendere posizione all'interno del Comitato consultivo sulle decisioni della Commissione, prevede — così come ex art. 10(1) reg. 17/62 — degli obblighi per l'Autorità CE. L'art. 11(2) reg. 1/03 prescrive in particolare che "la Commissione trasmette alle Autorità nazionali copia dei principali documenti raccolti al fine dell'applicazione" degli artt. 7 reg. 1/03 [constatazione ed eliminazione delle infrazioni], 8 reg. 1/03 [misure cautelari], 9 reg. 1/03 [impegni], 10 reg. 1/03 [constatazione di inapplicabilità], 29(1) reg. 1/03 [revoca dell'esenzione dai regolamenti di esenzione da parte della

782 Ciò nel caso relativo a provvedimenti provvisori e salvo la rinuncia ai termini (nel

caso di riunione "con un termine di convocazione inferiore a quelli summenzionati") in assenza di obiezioni degli Stati membri. L'art. 14(3) reg. 1/03 prescrive infatti che "per quanto riguarda le decisioni di cui all'articolo 8, la riunione può aver luogo sette giorni dopo l'invio della parte operativa di un progetto di decisione".

783 L'art. 14(3) reg. 1/03 prescrive che "se la Commissione invia la convocazione della riunione con un termine di convocazione inferiore a quelli summenzionati, la riunione può svolgersi alla data proposta se non vi sono obiezioni da parte degli Stati membri".

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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Commissione] 784. In aggiunta a ciò l'art. 11(2) ultima parte reg. 1/03, affinché le Autorità nazionali abbiano a disposizione tutti i documenti necessari per tale "controllo", prescrive l'obbligo per la Commissione — innovando quanto previsto dal reg. 17/62 — di fornire all'Autorità, "su richiesta della Autorità [stessa] (…)[,] altri documenti esistenti necessari alla valutazione della pratica trattata" (corsivo aggiunto). Il controllo nei confronti della Commissione dopo il ricevimento dei documenti richiesti dalla singola Autorità nazionale avviene però solo nella collegialità del Comitato consultivo, e non più — come era previsto dagli artt. 10(1) reg. 17/62 e 10(2) reg. 17/62 — anche da parte delle singole Autorità.

L'art. 14(3) reg. 1/03 regola un primo aspetto di grande rilevanza, cioè la forma del parere. Il reg. 17/62 disciplinava in modo molto generico il risultato della consultazione del Comitato (v. supra § 72) 785. Al contrario, l'art. 14(3) reg. 1/03 prevede che "il Comitato consultivo emette per iscritto un parere sul progetto preliminare di decisione della Commissione"; fermo restando — come già previsto nel reg. 17/62 — che "il parere è formulato anche se alcuni dei membri sono assenti e non si sono fatti rappresentare".

Il fatto che il Comitato emetta un parere costituisce la principale differenza tra le ipotesi di discussione in sede di Comitato consultivo ex art. 11(7) reg. 1/03 (casi trattati dalle Autorità nazionali ex artt. 81 e 82 TCE), rispetto alle fattispecie di consultazione del Comitato per i procedimenti istruiti dalla Commissione (ex art. 14(3-6) reg. 1/03). Infatti, ai sensi dell'art. 11(7) reg. 1/03, "il Comitato consultivo non

784 A ben vedere tale norma ricorda l'art. 10(1) reg. 17/62 il quale recitava: "La

Commissione trasmette immediatamente alle Autorità competenti degli Stati membri copia delle domande, delle notificazioni e dei documenti più importanti che le sono presentati ai fini della constatazione delle infrazioni all'articolo 81 o all'articolo 82 del Trattato, del rilascio di un'attestazione negativa o di una dichiarazione ai sensi dell'articolo 81, paragrafo 3".

Ai sensi del reg. 1/03, i documenti inviati o richiesti dalle Autorità nazionali potranno ovviamente essere poi utilizzati — in conseguenza dell'art. 12 reg. 1/03 — dalle Autorità nazionali per ulteriori procedimenti, sebbene nei limiti dell'art. 12(2) reg. 1/03.

785 Il reg. 17/62 prevedeva una consultazione che veniva "effettuata nel corso di una riunione comune" (art. 10(5) reg. 17/62) e il cui esito era "riportato in un rendiconto scritto che [veniva] unito al progetto di decisione e non [era] reso pubblico" (art. 10(6) reg. 17/62).

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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emette pareri su casi trattati dalle Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri" (corsivo aggiunto) 786.

Un'interessante novità riguarda la possibilità di richiedere, da parte di uno o più rappresentanti delle Autorità nazionali, che "le posizioni assunte nel parere [siano] motivate" (art. 14(3) ultima parte reg. 1/03). Tale interessante previsione, che si sostanzia nell'obbligo da parte delle singole Autorità di giustificare le rispettive posizioni (di maggioranza o di minoranza) è da ricondursi alla necessità di trasparenza delle posizioni da esse assunte rispetto ai singoli casi (impostazioni che posso risultare quindi in contrasto alle posizioni degli altri membri del Comitato).

Comunque, la consultazione del Comitato riguarda esclusivamente le decisioni conclusive dei procedimenti istruttori richiamati dall'art. 14(1) reg. 1/03. Infatti, le Autorità nazionali (rectius gli Stati membri) non hanno potere di influenza sulle decisioni della Commissione relative all'inizio dei procedimenti istruttori (rectius riguardo all'individuazione di quali casi debbano essere sottoposti a valutazione da parte dell'Autorità CE); e ciò a tutela dell'indipendenza della Commissione.

Il reg. 1/03 disciplina — diversamente dal reg. 17/62 — anche la possibilità che la consultazione avvenga tramite procedura scritta (art. 14(4) reg. 1/03) 787. Questa procedura — in assenza di ulteriori precisazioni riguardo a quando la procedura orale o quella scritta debbano essere utilizzate — sembra divenire la procedura ordinaria per la consultazione. Con riferimento a questo aspetto, l'art. 11(4) reg. 1/03

786 Questa previsione, da una parte, costituisce una forma di tutela per le Autorità

nazionali contro un eventuale "giudizio pubblico" per i propri procedimenti (non è un caso che tale norma non era presente nella proposta di regolamento della Commissione, cfr. art. 14(6) della proposta del 2000). Dall'altra, un ipotizzabile "costante" "giudizio pubblico" costituirebbe per le Autorità nazionali un disincentivo ad iniziare procedimenti per fattispecie in cui si debba applicare il diritto antitrust CE; cioè proprio per quei casi per i quali la Commissione cerca di decentrare l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE. Quindi il "controllo pubblico" dei procedimenti antitrust CE — ex art. 14(6) reg. 1/03 — è previsto esclusivamente per l'organo che è titolare del potere di orientamento della politica di concorrenza, cioè per la Commissione.

787 L'art. 14(4) reg. 1/03 prescrive che in caso di procedura scritta la Commissione "stabilisce un termine, non inferiore a quattordici giorni" — salvo le decisioni di cui all'art. 8 reg. 1/03 (provvedimenti provvisori) o la rinuncia a termini degli Stati membri — "entro il quale gli Stati membri devono formulare le loro osservazioni da trasmettere a tutti gli altri Stati membri".

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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regola esclusivamente il caso in cui la procedura scritta sia obbligatoriamente sostituita da quella orale; infatti nel caso in cui anche solo "uno Stato membro lo richiede, la Commissione convoca una riunione" (art. 14(4) reg. 1/03).

135. (segue) I poteri di controllo e d'influenza delle Autorità nazionali nei

confronti della Commissione (gli artt. 14(5) reg. 1/03 e 14(6) reg. 1/03).

L'obbligo di pubblicazione del parere su richiesta del Comitato.

Gli aspetti di maggiore interesse, riguardo ai poteri di controllo e

d'influenza delle Autorità nazionali nei confronti della Commissione, sono previsti dagli artt. 14(5) reg. 1/03 e 14(6) reg. 1/03. Tali due norme — norme che fanno parte della più generale disciplina del "federalismo antitrust CE" — prevedono, a fronte della perdita di importanza dei sistemi antitrust degli Stati membri sin dall'inizio degli anni '90, un (auspicato) 788 maggiore potere di influenza (anche se indiretta) degli Stati membri nei confronti della Commissione.

Infatti, l'art. 14(5) reg. 1/03 impone alla Commissione di tenere "in massima considerazione il parere del Comitato consultivo". Tale obbligo, che così come formulato, sarebbe potuto rimanere "lettera morta" (come in parte successo all'art. 10 reg. 17/62), impone inoltre che l'Autorità CE "inform[i il Comitato] del modo in cui ha tenuto conto del parere". La norma non prevede però il modo in cui la Commissione dia contezza dell'aver tenuto presente le indicazioni del Comitato nel parere.

L'art. 14(6) reg. 1/03, oltre all'obbligo di allegare il parere al progetto di decisione nel caso sia formulato per iscritto — imposizione già presente ex art. 10(6) reg. 17/62 —, disciplina, in un crescendo di controllo per la Commissione della giustificazione del proprio operato, una novità di grande importanza; cioè la pubblicazione di tale provvedimento da parte della Commissione su richiesta del Comitato 789.

788 In questo senso v. LORENZO FEDERICO PACE, L'evoluzione, cit. in 257, § 9. La

perdita di importanza dei sistemi nazionali — che ha richiesto un riequilibrio del sistema CE anche tramite il reg. 1/03 — era già stata preannunciata dalla prassi della Commissione sul decentramento del diritto antitrust CE dell'inizio degli anni '90, v. infra.

789 L'art. 14(6) reg. 1/03 recita: "Se il parere del Comitato consultivo è formulato per iscritto, esso è unito al progetto di decisione. Se il Comitato consultivo ne raccomanda la

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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La norma prescrive, infatti, che "se il Comitato consultivo ne raccomanda la pubblicazione, la Commissione provvede alla pubblicazione del parere tenendo debitamente conto dell'interesse legittimo delle imprese a che non vengano divulgati segreti aziendali".

Tale norma rappresenta il momento massimo di "conflitto" tra Comitato consultivo e Commissione. Infatti, l'applicazione di tale disposizione (cioè l'obbligo da parte della Commissione di pubblicare il parere del Comitato) presuppone che gli altri strumenti che il reg. 1/03 attribuisce al Comitato per influire sulla decisione dell'Autorità CE siano stati inutili. Come ultima ratio il Comitato obbliga la Commissione alla pubblicazione del proprio parere. Tale fatto, da un punto di vista di valutazione del giudice comunitario della legittimità della decisione della Commissione, svolge un rilevante effetto.

Infatti, nel caso in cui la decisione della Commissione contrasti con il parere del Comitato e il parere sia pubblicato (congiunto o meno alla decisione finale), questo obbliga la Commissione a chiarire (a pena di illegittimità del provvedimento finale) dei motivi per cui essa si sia distaccata dalle indicazioni del Comitato; tale espressa giustificazione è dovuta a maggior ragione (ma non solo per questo) in quanto la Commissione deve tenere "in massima considerazione il parere del Comitato consultivo" (art. 14(5) reg. 1/03).

Quindi, l'obbligo di pubblicare il parere determina una "spinta" verso una maggiore trasparenza delle decisioni della Commissione.

L'importanza dell'eventuale obbligo per la Commissione di motivare la propria posizione a fronte della richiesta del Comitato (pena l'illegittimità della decisione) è tanto più rilevante in quanto — riferendoci qui al "federalismo antitrust comunitario" e, in questa sede, alle modalità con cui gli Stati membri influiscono sulla competenza antitrust CE —, ciò impone all'Autorità CE di giustificare la propria differente conclusione rispetto a quella del Comitato consultivo.

Tale obbligo di motivazione dell'Autorità CE costituisce una tutela aggiuntiva dei singoli. Esso facilita infatti l'individuazione, prima della decisione finale, di eventuali errate valutazioni della Commissione. La

pubblicazione, la Commissione provvede alla pubblicazione del parere tenendo debitamente conto dell'interesse legittimo delle imprese a che non vengano divulgati segreti aziendali".

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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forma di tutela dei singoli contro l'esercizio illegittimo del potere della Commissione non deve infatti limitarsi necessariamente ai soli mezzi di

tutela giurisdizionale, ma può manifestarsi anche tramite altre tecniche che tendano ad evitare l'illegittimità dell'atto prima che esso divenga vincolante. Riguardo a questo aspetto, i casi Airtours e Carnival 790 hanno dimostrato — in vigenza del reg. 17/62 — che il potere di "contrasto" del Comitato consultivo nei confronti delle proposte di decisioni della Commissione — come tecnica di controllo del potere della Commissione da parte degli Stati membri anche a tutela dei singoli — non era efficace per evitare gli errori dell'Autorità CE 791.

La valutazione in sede giurisdizionale della sufficiente considerazione da parte della Commissione del parere del Comitato — affinché l'art. 14(5) reg. 1/03 non sia violato — non riguarda ovviamente il merito della decisione (tale valutazione è infatti esclusa dai poteri dei giudici comunitari — salvo l'aspetto delle sanzioni — ). Tale valutazione è operata sulla motivazione della decisione della Commissione; e in particolare con riferimento alla sufficiente e non manifesta irragionevolezza della motivazione dell'Autorità CE. La mancata valutazione del parere o la mancata motivazione dell'allontanamento da parte della Commissione dal contenuto del parere del Comitato determina conseguentemente l'illegittimità del provvedimento dell'Autorità CE.

136. D) Il Comitato consultivo in "seduta allargata" e l'influenza sulla

politica di concorrenza europea (art. 14(7) ultima parte reg. 1/03). Il

ruolo del Comitato consultivo in "seduta allargata" e le lettere di

orientamento.

L'art. 14(7) terzo capoverso reg. 1/03, seguendo una scelta che

potrebbe sembrare inizialmente un errore di redazione della norma, stabilisce — dopo aver prescritto che "il Comitato consultivo non emette pareri su casi trattati dalle Autorità garanti della concorrenza

790 V. supra 394. 791 L'obbligo della Commissione di prendere in considerazione il parere espresso dal

Comitato è quindi un modo per introdurre una maggiore forma di garanzia dei singoli; e questo in assenza dell'obbligo — come negli USA — che le conclusioni dell'Autorità antitrust siano "vagliate" — su basi paritarie tra le parti — davanti ad un giudice imparziale.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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degli Stati membri" — che "il Comitato consultivo può anche discutere problemi generali riguardanti il diritto comunitario in materia di concorrenza". Infatti, le questioni trattate nel medesimo capoverso sono tra loro sostanzialmente distinte. La prima riguarda il procedimento di controllo — su proposta delle Autorità nazionali — delle conclusioni di un procedimento ex artt. 81 e 82 TCE a cui una determinata Autorità ha intenzione di pervenire. La seconda concerne, invece, la valutazione di questioni generali relative alla politica di concorrenza CE. Però, entrambe le disposizioni si riferiscono alla tendenza del reg. 1/03 di attribuire alle Autorità nazionali (rectius agli Stati membri) un maggiore ruolo di controllo e di influenza nei confronti della Commissione — sempre nei limiti dell'autonomia dell'Autorità CE —. La possibilità di discutere in sede di Comitato consultivo di problemi generali "riguardanti il diritto comunitario in materia di concorrenza" — fermo restando il fatto che l'orientamento della politica della concorrenza costituisce competenza esclusiva della Commissione — è di particolare importanza. In tal modo si attribuisce al Comitato consultivo (rectius agli Stati membri in esso rappresentati) un potere di (indiretta) influenza sulla politica antitrust della Commissione (e anche un potenziale potere di co-ruolo nella "cabina di regia" della politica di concorrenza CE, fermo restando comunque l'autonomia della Commissione sul punto) 792.

Per la discussione di "problemi generali riguardanti il diritto comunitario in materia di concorrenza", l'art. 14(1) reg. 1/03 prevede che alle riunioni possano essere presenti soggetti differenti dai funzionari delle Autorità nazionali. L'art. 14(2) reg. 1/03 prescrive infatti una doppia, differente composizione del Comitato: la prima, per la "discussione di casi individuali" (in questa ipotesi "il Comitato consultivo è composto da rappresentanti delle Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri"); la seconda, per la discussione di "temi diversi da casi individuali". In tale ipotesi per ogni Stato membro "può

792 In altre parole, questo aspetto — insieme ai procedimenti di controllo da parte delle

Autorità nazionali nei confronti della Commissione — costituisce parte della disciplina del "federalismo antitrust europeo".

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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essere designato un ulteriore rappresentante (…) competente in materia di concorrenza" 793.

La seconda composizione ("in seduta allargata" 794) non era disciplinata nella proposta di regolamento del 2000. In questo senso la norma — evidentemente inserita su indicazione degli Stati membri nel Consiglio — si inserisce nella direzione di un maggiore ruolo delle Autorità nazionali in sede di Comitato consultivo (rectius di maggiore influenza degli Stati membri nei confronti della Commissione).

È interessante notare che il procedimento relativo alla convocazione e all'attività del Comitato "in struttura allargata" non è definito nel regolamento, non essendo in questo caso neanche previsto un richiamo alle norme dei procedimenti scritti e orali di cui agli artt. 14(3) reg. 1/03 e 14(4) reg. 1/03. Non è quindi precisato, ad es., chi sia titolare del potere di convocare l'organo, gli argomenti che di volta in volta possono essere trattati. Il contenuto della norma è perciò lasciato alla prassi applicativa e non è escluso che sia il Comitato stesso — in caso di necessità — a proporne la convocazione (e ciò a differenza dell'art. 14(3) reg. 1/03 secondo cui "la consultazione può essere effettuata nel corso di una riunione convocata e presieduta dalla Commissione"). Al termine della riunione il reg. 1/03 non prevede l'emanazione da parte del Comitato di pareri o prese di posizione.

Il Comitato consultivo — e in particolare il Comitato "allargato" — svolge un ruolo anche nel caso delle lettere di orientamento, provvedimenti di natura informale che "mirano in primo luogo ad aiutare le imprese ad effettuare da sole una valutazione dei loro accordi e delle loro pratiche con cognizione di causa" (Comunicazione sulle lettere di orientamento, § 22, v. supra § 98). La Commissione sostiene nella relativa Comunicazione che essa potrebbe inviare alle singole Autorità nazionali le informazioni ricevute dalle imprese al fine di pubblicare la lettera di orientamento. Successivamente, prima di pubblicare la relativa lettera di orientamento, la Commissione potrebbe

793 La norma disciplina anche una regola di sostituzione dei membri. L'art. 14(2) reg.

1/03 recita: "In caso di impedimento i rappresentanti possono essere sostituiti da altri rappresentanti" (art. 14(2) reg. 1/03).

794 Agli "ulteriori rappresentanti", che qualificano la formazione del Comitato "in seduta allargata", si estende il divieto di divulgazione delle informazioni coperte dal segreto d'ufficio (art. 28(2) reg. 1/03).

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

424

discutere dell'argomento oggetto della lettera con le Autorità nazionali (sebbene non sia chiarito né quale sia il procedimento, né la sede in cui essa fornirebbe tali informazioni alle Autorità — Comunicazione sulle lettere di orientamento, § 16). La sede opportuna per discutere non del singolo caso, ma della problematica alla base della richiesta di chiarimento, potrebbe essere proprio il Comitato consultivo in seduta allargata. E ciò in considerazione del fatto che le lettere di orientamento riguardano fattispecie che non sono state oggetto della prassi della Commissione o della giurisprudenza CE, e quindi richiedono un chiarimento della politica di concorrenza sul punto. La discussione non avrebbe in senso stretto ad oggetto un caso specifico — fatto che altrimenti determinerebbe l'impossibilità della convocazione del Comitato allargato ex art. 14(7) seconda parte reg. 1/03 —. La discussione sarebbe invece incentrata sulle problematiche generali della concorrenza, competenza riconosciuta ex art. 14(7) seconda parte reg. 1/03 proprio al Comitato in composizione allargata 795.

795 La Comunicazione sulle lettere di orientamento ricorda che "la Commissione può

comunicare alle Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri le informazioni ricevute e a sua volta ricevere informazioni da queste ultime. Potrà discutere il merito della richiesta con le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri prima di adottare una lettera di orientamento" (ibidem, §16).

IV. I meccanismi di controllo delle Autorità nazionali e delle giurisdizioni nazionali sull'esercizio dei poteri istruttori della

Commissione

SOMMARIO: 137 I meccanismi di controllo delle Autorità nazionali e delle giurisdizioni nazionali sull'esercizio dei poteri istruttori della Commissione: un controllo sui generis. — 138. (segue) La richiesta di informazioni (art. 18 reg. 1/03). — 139. (segue) Il potere di raccogliere dichiarazioni (art. 19 reg. 1/03). — 140. (segue) I poteri della Commissione in materia di accertamenti (art. 20 reg. 1/03). — 141. (segue) Il controllo delle giurisdizioni nazionali sull'esercizio dei poteri della Commissione in materia di accertamenti (art. 20(7) reg. 1/03). — 142. (segue) I poteri della Commissione di accertamento in "altri locali" (art. 21 reg. 1/03). — 143. (segue) Gli accertamenti effettuati dalle Autorità nazionali su delega della Commissione (art. 22(2) ultima parte reg. 1/03).

137. I meccanismi di controllo delle Autorità nazionali e delle giurisdizioni

nazionali sull'esercizio dei poteri istruttori della Commissione: un

controllo sui generis.

Dopo aver preso in considerazione i procedimenti di controllo per

l'applicazione del diritto antitrust CE da parte della Commissione e delle Autorità nazionali, passiamo ora a considerare una categoria sui

generis di controlli "verticali ascendenti" previsti dal reg. 1/03; e cioè i controlli svolti dagli Stati membri nei confronti della Commissione durante l'esercizio dei poteri istruttori di quest'ultima. Il reg. 1/03 — così come il reg. 17/62 — disciplina infatti i poteri ispettivi che la Commissione può esercitare durante le istruttorie ai sensi degli artt. 81 e 82 TCE 796.

796 Il reg. 1/03 — così come il reg. 17/62 — divide tali poteri istruttori, da una parte, in

poteri esercitati direttamente dalla Commissione, dall'altra, in poteri istruttori delegati dalla Commissione alle Autorità nazionali.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

426

Con riferimento ai poteri istruttori di cui è titolare la Commissione, il reg. 1/03 disciplina le seguenti ipotesi: le indagini per settore economico e per tipo di accordi 797 (art. 17 reg. 1/03); la richiesta di

797 Il reg. 1/03, modificando l'ordine dei poteri istruttori attribuiti alla Commissione ai

sensi del reg. 17/62, disciplina all'inizio del capitolo V — rubricato "Poteri di indagine" — le "indagini per settore economico e per tipo di accordi" (art. 17 reg. 1/03). Cioè, il reg. 1/03, modificando l'ordine dei poteri regolati dall'art. 17/62, disciplina per primo lo strumento con cui la Commissione ha la possibilità di "apprezzare" l'esistenza di comportamenti anticoncorrenziali anche in assenza di denunce di concorrenti o di soggetti interessati. Al contrario, il reg. 17/62 disciplinava in primo luogo, con una impostazione "pregna" di significato, i propri poteri istruttori nei confronti degli Stati membri. In particolare, l'art. 11(1) reg. 17/62 recitava: "La Commissione può raccogliere tutte le informazioni necessarie presso i Governi e le Autorità competenti degli Stati membri, nonché presso le imprese e associazioni di imprese". Solo all'articolo successivo il regolamento disciplinava le "inchieste per settore economico" (corsivo aggiunto).

L'art. 17(1) reg. 1/03 prevede infatti che "se l'evoluzione degli scambi fra Stati membri, la rigidità dei prezzi o altre circostanze fanno presumere che la concorrenza può essere ristretta o falsata all'interno del mercato comune, la Commissione può procedere ad una sua indagine in un settore specifico dell'economia o nell'ambito di un tipo particolare di accordi in

vari settori. Nel corso di tale indagine la Commissione può richiedere alle imprese o alle associazioni di imprese interessate di fornire le informazioni necessarie per l'applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato e svolgere i necessari accertamenti" (corsivo aggiunto); e, in particolare, "la Commissione può (…) chiedere alle imprese o associazioni di imprese interessate di comunicarle tutti gli accordi, decisioni e pratiche concordate". Ai sensi del reg. 17/62, la comunicazione delle intese non era disciplinata, in quanto si presupponeva che in tale sistema le intese fossero già notificate alla Commissione.

La richiesta dell'invio degli accordi in tanto si comprende in quanto è stato abolito il sistema di notifica preventiva delle intese. Il reg. 17/62 prevedeva, infatti, con riferimento alle "indagini per settore economico", che durante tali procedimenti "la Commissione [poteva], in particolare, chiedere a tutte le imprese e gruppi di imprese del settore considerato di comunicarle tutti gli accordi, decisioni e pratiche concordate esentati dalla notificazione in virtù dell'articolo 4, paragrafo 2 e dell'articolo 5, paragrafo 2" (art. 12 reg. 17/62).

Parimenti, ma con riferimento all'art. 82 TCE, il reg. 1/03 non prevede più alcuno specifico potere della Commissione di richiesta alle imprese per la valutazione della situazione di mercato. L'art. 12(3) reg. 17/62 prescriveva, al contrario: "Quando la Commissione procede alle inchieste previste dal paragrafo 2, chiede anche alle imprese e ai gruppi di imprese, la cui dimensione fa presumere che occupino una posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo, di comunicare gli elementi relativi alla struttura delle imprese ed al loro comportamento, necessari per valutare la loro posizione nei confronti dell'articolo 82 del Trattato".

L'art. 17(1) terzo capoverso reg. 1/03, in una apertura verso la partecipazione delle imprese e ai soggetti interessanti, disciplina la facoltà della Commissione di "pubblicare una relazione sui risultati della sua indagine in settori specifici dell'economia o nell'ambito di tipi particolari di accordi in vari settori e invitare le parti interessate a presentare le loro osservazioni".

La Commissione, ai sensi dell'art. 17(2) reg. 1/03, prescrive per tali indagini la possibilità di applicare mutatis mutandis le norme relative al Comitato consultivo (art. 14 reg. 1/03); alla richiesta informazioni (art. 18 reg. 1/03); al potere raccogliere dichiarazioni (art.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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informazioni (art. 18 reg. 1/03); il potere di raccogliere dichiarazioni (art. 19 reg. 1/03); i poteri della Commissione in materia di accertamenti (art. 20 reg. 1/03); le indagini effettuate dall'Autorità nazionale su delega della Commissione (art. 22(2) ultima parte reg. 1/03).

Lo studio dei procedimenti di controllo svolti dagli Stati membri nei confronti della Commissione durante l'esercizio dei poteri istruttori di quest'ultima presenta un duplice interesse. Infatti, in primo luogo, tali procedimenti svolgono la funzione di controllo da parte degli Stati membri dell'esercizio sul proprio territorio dei poteri istruttori della Commissione. In secondo luogo, questi controlli costituiscono degli strumenti di tutela indiretta per i singoli da parte delle Autorità e delle giurisdizioni nazionali. Gli organi statali, infatti, svolgono un controllo rispetto all'esercizio dell'attività ispettiva della Commissione nei confronti dei singoli stessi.

138. (segue) La richiesta di informazioni (art. 18 reg. 1/03).

Limitando la nostra attenzione a quei procedimenti in cui è prevista

una forma di controllo da parte degli organi statali (quindi non prendendo in considerazione specificamente la disciplina delle indagini per settore economico e per tipo di accordi — art. 17 reg. 1/03) passiamo ad affrontare il procedimento relativo alla "richiesta di informazioni".

Il reg. 1/03 divide le richieste di informazioni della Commissione in tre distinte ipotesi: 1. le richieste di informazioni nei confronti delle "imprese e associazioni di imprese" mediante semplice domanda 798; 2. le

19 reg. 1/03); ai poteri della Commissione in materia di accertamenti (art. 20 reg. 1/03); alle indagini delle Autorità nazionali (art. 22 reg. 1/03); alla penalità di mora (art. 23 reg. 1/03); alle ammende (art. 24 reg. 1/03).

798 L'art. 18(2) reg. 1/03 recita: "Nell'inviare una semplice domanda di informazioni ad un'impresa o associazione di imprese, la Commissione indica le basi giuridiche e lo scopo della domanda, precisa le informazioni richieste e stabilisce il termine entro il quale le informazioni devono essere fornite nonché le sanzioni previste dall'articolo 23 nel caso in cui siano fornite informazioni inesatte o fuorvianti. Diversamente, l'art. 11(2-4) 17/62 prevedeva che: "Quando la Commissione rivolge una domanda di informazioni ad un'impresa o ad un'associazione d'imprese, invia contemporaneamente una copia di questa domanda all'Autorità competente dello Stato membro nel cui territorio ha sede l'impresa o l'associazione di imprese. 3. Nella sua domanda la Commissione indica le basi giuridiche e lo scopo della domanda, nonché le sanzioni previste dall'articolo 15, paragrafo 1, lettera b) nel caso in cui siano fornite informazioni inesatte. 4. L'obbligo di fornire le informazioni richieste incombe ai proprietari delle imprese o ai loro rappresentanti e, se si tratta di

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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richieste di informazioni nei confronti delle "imprese e associazioni di imprese" tramite decisione 799; 3. la richiesta di informazioni ai Governi degli Stati membri e alle Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri 800. L'art. 18(5) reg. 1/03 disciplina il ruolo di cooperazione e controllo delle Autorità nazionali sia nel caso di richiesta di informazioni tramite semplice domanda (art. 18(2) reg. 1/03), sia nel caso di richiesta di informazioni tramite decisione della Commissione (art. 18(3) reg. 1/03).

Il reg. 1/03 — modificando sostanzialmente quanto disciplinato dal reg. 17/62, sia nell'organizzazione che nel contenuto 801 — ha infatti previsto all'art. 18(5) reg. 1/03: "La Commissione trasmette senza indugio copia della semplice domanda o della decisione all'Autorità garante della concorrenza dello Stato membro nel cui territorio è situata

la sede dell'impresa o associazione di imprese e all'Autorità garante della concorrenza dello Stato membro il cui territorio è interessato" (corsivo aggiunto) 802.

persone giuridiche, di società o di associazioni sprovviste di personalità giuridica, a coloro che, per legge, o in base allo statuto, ne hanno la rappresentanza".

799 L'art. 18(3) reg. 1/03 recita: "Quando richiede alle imprese o associazioni di imprese di comunicare informazioni mediante decisione, la Commissione indica le basi giuridiche e lo scopo della domanda, precisa le informazioni richieste e stabilisce un termine entro il quale esse devono essere fornite. Indica altresì le sanzioni previste dall'articolo 23 e indica o commina le sanzioni di cui all'articolo 24. Fa menzione inoltre del diritto di presentare ricorso dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee avverso la decisione". Diversamente l'art. 11(4) reg. 17/62 recitava: "L'obbligo di fornire le informazioni richieste incombe, a nome dell'impresa o associazione di imprese interessate, ai proprietari delle imprese o ai loro rappresentanti e, se si tratta di persone giuridiche, di società, o di associazioni non dotate di personalità giuridica, a coloro che, per legge o in base allo statuto, ne hanno la rappresentanza. Gli avvocati debitamente incaricati possono fornire le informazioni richieste in nome dei loro clienti. Questi ultimi restano pienamente responsabili qualora le informazioni fornite siano incomplete, inesatte o fuorvianti".

800 L'art. 18(6) reg. 1/03 recita: "A richiesta della Commissione i governi e le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri forniscono alla Commissione tutte le informazioni necessarie per assolvere i compiti affidatile dal presente regolamento".

801 Infatti, mentre da una parte l'art. 11(2) reg. 17/62 disciplinava il caso in cui la Commissione avesse "[rivolto] una domanda di informazioni ad un'impresa o ad un'associazione d'imprese, [in tale ipotesi essa avrebbe inviato] contemporaneamente una copia di questa domanda all'Autorità competente dello Stato membro nel cui territorio [aveva] sede l'impresa o l'associazione di imprese"; dall'altra parte l'art. 11(6) reg. 17/62 prescriveva esclusivamente che "la Commissione [inviava] contemporaneamente copia della decisione all'Autorità competente dello Stato membro nel cui territorio ha sede l'impresa o l'associazione di imprese".

802 Infine, l'art. 18(6) reg. 1/03 disciplina la facoltà della Commissione di chiedere informazioni direttamente ai governi e alle Autorità nazionali degli Stati membri. Come

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

429

139. (segue) Il potere di raccogliere dichiarazioni (art. 19 reg. 1/03).

Il procedimento relativo al potere di raccogliere dichiarazioni (art.

19 reg. 1/03) — insieme al procedimento relativo all'accesso in altri locali che non siano quelli dell'impresa (art. 21 reg. 1/03) 803 — determina nel reg. 1/03 l'ampliamento dei poteri istruttori della Commissione.

In particolare, l'art. 19(1) reg. 1/03 prevede che "per l'assolvimento dei compiti affidatile dal presente regolamento, la Commissione può sentire ogni persona fisica o giuridica che vi acconsenta ai fini della raccolta di informazioni relative all'oggetto di un'indagine". Se l'art. 19(1) reg. 1/03 non prevede né l'intervento né la notifica di tali audizioni all'Autorità nazionale, l'art. 19(2) reg. 1/03 disciplina — nel caso in cui "'l'audizione di cui al paragrafo 1 si [svolga] nei locali di

un'impresa" (corsivo aggiunto) — che la Commissione abbia l'obbligo di

informare l'Autorità nazionale "nel cui territorio ha luogo l'audizione" — e non l'Autorità nel cui Stato ha sede l'impresa, così come nel caso della richiesta di informazioni (art. 18(5) reg. 1/03) —. In questa ipotesi — in

infra ricordato, oltre alla differente collocazione della disciplina di tale facoltà della Commissione rispetto al reg. 17/62, la formulazione è leggermente differente, a dimostrazione di un modificato rapporto tra Commissione e Stati membri. Infatti, l'art. 11(1) reg. 17/62 prevedeva: "La Commissione può raccogliere tutte le informazioni necessarie presso i Governi e le Autorità competenti degli Stati membri, nonché presso le imprese e associazioni di imprese" (inserendo quindi i Governi e le Autorità nazionali al pari delle imprese come soggetti da cui ottenere delle informazioni). Il reg. 1/03 modifica questo rapporto, il testo e la collocazione della norma stessa, anche se non modificandone, nella sostanza, la norma che impone agli Stati membri e ai loro organi di trasmettere alla Commissione — nei limiti dell'oggetto dell'istruttoria — i documenti da essa richiesti. L'art. 18(6) reg. 1/03 recita infatti: "A richiesta della Commissione i governi e le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri forniscono alla Commissione tutte le informazioni necessarie per assolvere i compiti affidatile dal presente regolamento" (corsivo aggiunto).

803 Con riferimento al potere di raccogliere dichiarazioni, già l'art. 14(1) lett. c reg. 17/62 (relativo ai poteri di accertamento della Commissione) prescriveva: "Per l'assolvimento dei compiti affidatile dall'articolo [85] e dalle norme emanate in applicazione dell'articolo [83] del Trattato, la Commissione può […] richiedere spiegazioni orali «in loco»". L'art. 19 reg. 1/03 sviluppa questo potere disciplinando espressamente tale generale facoltà della Commissione. La norma recita infatti: "Per l'assolvimento dei compiti affidatile dal presente regolamento, la Commissione può sentire ogni persona fisica o giuridica che vi

acconsenta ai fini della raccolta di informazioni relative all'oggetto di un'indagine" (corsivo aggiunto, art. 19(1) reg. 1/03).

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

430

modo simile ai casi disciplinati dal reg. 17/62, in cui le Autorità nazionali avevano il potere di presenziare all'esercizio di alcuni poteri istruttori — il reg. 1/03 attribuisce alle Autorità nazionali — e non alla Commissione — il potere di richiedere che "i funzionari [dell'Autorità nazionale] poss[a]no (…) assistere gli agenti della Commissione e le altre persone che li accompagnano incaricati di svolgere l'audizione" (corsivo aggiunto).

140. (segue) I poteri della Commissione in materia di accertamenti (art. 20

reg. 1/03).

L'art. 20 reg. 1/03 attribuisce alla Commissione, "per l'assolvimento

dei compiti affidatile", il potere di "procedere a tutti gli accertamenti necessari presso le imprese e associazioni di imprese" (art. 20(1) reg. 1/03). Il reg. 1/03 elenca da una parte quali siano i poteri di cui essa dispone — prevedendo espressamente due facoltà in più rispetto al reg. 17/62 804 — e, dall'altra, le modalità con cui tali poteri devono essere esercitati 805. Con riferimento ai rapporti tra Commissione e Autorità nazionali, l'art. 20(4) reg. 1/03 obbliga inoltre la Commissione — senza però determinare le conseguenze della relativa violazione — ad avvisare in tempo utile, "prima degli accertamenti, […] l'Autorità

garante della concorrenza dello Stato membro nel cui territorio essi devono essere compiuti" (corsivo aggiunto) 806.

Così come per le richieste di informazioni, anche gli accertamenti possono essere disposti tramite decisione. In tal caso "le imprese e le associazioni di imprese sono obbligate a sottoporsi agli accertamenti ordinati dalla Commissione" (art. 20(4) reg. 1/03 — corsivo aggiunto). L'art. 20(4) reg. 1/03 disciplina specificamente i requisiti di tale

804 Riguardo al testo dell'art. 20(2) reg. 1/03, v. infra nota 808. 805 L'art. 20(3) reg. 1/03 recita: "Gli agenti e le altre persone che li accompagnano

autorizzati dalla Commissione a procedere agli accertamenti esercitano i loro poteri su presentazione di un mandato scritto che precisa l'oggetto e lo scopo degli accertamenti, nonché la sanzione prevista dall'articolo 23 per il caso in cui i libri e gli altri documenti connessi all'azienda richiesti siano presentati in modo incompleto e per il caso in cui le risposte fornite alle domande poste in applicazione del paragrafo 2 del presente articolo siano inesatte o fuorvianti".

806 Ciò senza obbligare la Commissione a specificare — differentemente da come previsto nel reg. 17/62 — "l'identità degli agenti" della Commissione, e senza avvertire anche l'Autorità nazionale dove ha sede la società (come nell'ipotesi dell'art. 18(5) reg. 1/03).

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

431

provvedimento 807 e prevede espressamente che "la Commissione adotta

tali decisioni dopo aver sentito l'Autorità garante della concorrenza dello

Stato membro nel cui territorio devono essere effettuati gli accertamenti" (corsivo aggiunto).

Gli artt. 20(5) reg. 1/03 e 20(6) reg. 1/03, invece, disciplinano le modalità di partecipazione degli "agenti dell'Autorità garante della

concorrenza dello Stato membro nel cui territorio devono essere effettuati gli accertamenti o le persone da essa autorizzate o incaricate" (corsivo aggiunto). Essi, non solo "su domanda di tale Autorità" ma anche "della Commissione", prestano attivamente assistenza — secondo "i poteri definiti" dall' art. 20(2) reg. 1/03 808 — agli agenti e alle altre persone che li accompagnano autorizzati dalla Commissione.

La norma prescrive inoltre che "qualora gli agenti e le altre persone che li accompagnano autorizzati dalla Commissione constatino che un'impresa si oppone ad un accertamento ordinato a norma del presente articolo, lo Stato membro interessato presta loro l'assistenza

necessaria per l'esecuzione degli accertamenti, ricorrendo se del caso alla

forza pubblica o a un'Autorità equivalente incaricata dell'applicazione della

legge" (art. 20(6) reg. 1/03 — corsivo aggiunto) 809.

807 L'art. 20(4) reg. 1/03 recita: "La decisione precisa l'oggetto e lo scopo degli

accertamenti, ne fissa la data di inizio ed indica le sanzioni previste dagli articoli 23 e 24, nonché il diritto di presentare ricorso dinanzi alla Corte di giustizia avverso la decisione" (corsivo aggiunto).

808 L'art. 20(2) reg. 1/03 prescrive che "gli agenti e le altre persone che li accompagnano autorizzati dalla Commissione a procedere agli accertamenti dispongono dei seguenti poteri: a) accedere a tutti i locali, terreni e mezzi di trasporto di imprese e associazioni di imprese; b) controllare i libri e qualsiasi altro documento connesso all'azienda, su qualsiasi forma di supporto; c) fare o ottenere sotto qualsiasi forma copie o estratti dei suddetti libri o documenti; d) apporre sigilli a tutti i locali e libri o documenti aziendali per la durata degli accertamenti e nella misura necessaria al loro espletamento; e) chiedere a qualsiasi rappresentante o membro del personale dell'impresa o dell'associazione di imprese spiegazioni su fatti o documenti relativi all'oggetto e allo scopo degli accertamenti e verbalizzarne le risposte".

809 La norma chiarisce degli importanti aspetti riguardo all'art. 14(6) reg. 17/62. L'art. 14(6) reg. 17/62 recitava infatti: "Quando un'impresa si oppone ad un accertamento ordinato a norma del presente articolo, lo Stato membro interessato presta agli agenti incaricati dalla Commissione l'assistenza necessaria per l'esecuzione del loro mandato. A tal fine, gli Stati membri, anteriormente al 1 ottobre 1962, e dopo aver consultato la Commissione, prendono le necessarie misure".

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

432

141. (segue) Il controllo delle giurisdizioni nazionali sull'esercizio dei poteri

della Commissione in materia di accertamenti (art. 20(7) reg. 1/03).

L'art. 20 reg. 1/03 prevede anche una nuova e specifica disciplina

rispetto ai casi in cui "l'assistenza [di cui all'art. 20(6) reg. 1/03] richiede l'autorizzazione di un'Autorità giudiziaria ai sensi della legislazione nazionale". In questi casi, "l'autorizzazione viene richiesta. Essa può anche essere richiesta in via preventiva" (art. 20(7) reg. 1/03). In particolare, la norma definisce quali siano i poteri di "delibazione" delle giurisdizioni nazionali rispetto alla decisione della Commissione. L'autorità giudiziaria ha infatti la facoltà di: 1. "controlla[re] l'autenticità della decisione della Commissione; 2. "verifica[re] che le misure coercitive previste non siano né arbitrarie né sproporzionate rispetto all'oggetto degli accertamenti" 810.

Con riferimento alla verifica della proporzionalità delle misure coercitive, la norma prevede un interessante procedimento tra giurisdizioni nazionali e Commissione con l'eventuale partecipazione delle Autorità nazionali. La norma prevede infatti che "l'Autorità

giudiziaria nazionale può chiedere alla Commissione, direttamente o

attraverso l'Autorità garante della concorrenza dello Stato membro, una spiegazione dettagliata, in particolare, dei motivi per i quali la Commissione sospetta un'infrazione agli articoli 81 e 82 del Trattato nonché della gravità della presunta infrazione e della natura del coinvolgimento dell'impresa interessata. Tuttavia l'Autorità giudiziaria

nazionale non può né mettere in discussione la necessità degli accertamenti né chiedere che siano fornite informazioni contenute nel fascicolo della Commissione" (art. 20(8) reg. 1/03 — corsivo aggiunto). Il controllo di legittimità della decisione della Commissione — secondo i principi generali del diritto CE 811 — è riservato alla Corte di giustizia (art. 20(8) reg. 1/03).

810 Disciplina che sostanzialmente segue le indicazioni fornite dalla Corte di giustizia

nella Sentenza della Corte del 22 ottobre 2002, Roquette Frères SA contro Directeur Général

de la Concurrence, de la Consumation et de la Répressione des Fraudes, causa C-94, in Raccolta della giurisprudenza, 2002, I-9011, con commenti di MAX LIENEMEYER - DENIS

WAELBROECK, in Common Market Law Review, 2003, 1481; e di PIERANTONIO D'ELIA, I

poteri ispettivi della Commissione e la sentenza Roquette Frères: verso un controllo più efficace

del giudice nazionale, Giustizia Civile, 2003, p. 1437. 811 Sentenza della Corte del 22 ottobre 1987, Foto- Frost, cit. a nota 883.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

433

142. (segue) I poteri della Commissione di accertamento in "altri locali" (art.

21 reg. 1/03).

L'art. 21 reg. 1/03 disciplina — quale importante novità — il potere

della Commissione di procedere ad accertamenti in locali che non siano quelli dell'impresa, locali quali "terreni e mezzi di trasporto, compreso il domicilio di amministratori, direttori e altri membri del personale delle imprese o associazioni di imprese interessate" 812. L'art. 21(2) reg. 1/03 prescrive i requisiti della decisione della Commissione che autorizzi gli accertamenti in tali "altri locali". In particolare, devono sussistere "motivi ragionevoli di sospettare che libri o altri documenti connessi all'azienda e all'oggetto degli accertamenti, che possono essere pertinenti per provare un'infrazione grave all'articolo 81 o all'articolo 82 del Trattato", si trovino in tali "altri locali". L'art. 21(4) reg. 1/03 disciplina invece i poteri della Commissione relativi all'esercizio degli accertamenti in altri locali che non siano quelli dell'impresa 813.

812 In particolare, l'art. 21(1) reg. 1/03 recita: "Se vi sono motivi ragionevoli di sospettare

che libri o altri documenti connessi all'azienda e all'oggetto degli accertamenti, che possono essere pertinenti per provare un'infrazione grave all'articolo 81 o all'articolo 82 del Trattato, sono conservati in altri locali, terreni e mezzi di trasporto, compreso il domicilio di amministratori, direttori e altri membri del personale delle imprese o associazioni di imprese interessate, la Commissione può, mediante decisione, ordinare che siano effettuati

accertamenti in siffatti locali, terreni e mezzi di trasporto" (corsivo aggiunto). L'art. 21(2) reg. 1/03 prescrive che "la decisione specifica l'oggetto e lo scopo degli accertamenti, ne stabilisce la data d'inizio e fa menzione del diritto di presentare ricorso dinanzi alla Corte di giustizia avverso la decisione. Essa precisa in particolare, i motivi che hanno indotto la Commissione a concludere che esiste un motivo di sospetto ai sensi del paragrafo 1".

Uno dei problemi che tale aspetto ha posto riguardava il limite relativamente a quali soggetti fosse possibile estendere gli accertamenti fuori delle sedi di impresa, e in particolare se fosse anche possibile riconoscere lo status di difensore, e quindi impedire accertamenti nei relativi locali, agli avvocati interni delle imprese. La norma ha risolto il problema delimitando la sfera soggettiva "agli amministratori, direttori e altri membri del personale delle imprese o associazioni di imprese interessate" (art. 21(1) reg. 1/03).

813 L'art. 21(4) reg. 1/03 recita: "Gli agenti e le altre persone che li accompagnano autorizzati dalla Commissione ad effettuare accertamenti ordinati in conformità del paragrafo 1 dispongono dei poteri previsti all'articolo 20, paragrafo 2, lettere a), b) e c)" Essi cioè possono: a) accedere a tutti i locali, terreni e mezzi di trasporto di imprese e associazioni di imprese; b) controllare i libri e qualsiasi altro documento connesso all'azienda, su qualsiasi forma di supporto; c) fare o ottenere sotto qualsiasi forma copie o estratti dei suddetti libri o documenti". Essi non possono però "d) apporre sigilli a tutti i locali e libri o documenti aziendali per la durata degli accertamenti e nella misura necessaria al loro espletamento; e) chiedere a qualsiasi rappresentante o membro del personale dell'impresa o

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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L'art. 21(2) reg. 1/03 prescrive — per quanto qui interessa — l'obbligo della Commissione di consultare, prima di adottare tali decisioni, l'"Autorità garante della concorrenza dello Stato membro nel cui

territorio devono essere effettuati gli accertamenti" (corsivo aggiunto). Nel caso dell'art. 20(6) reg. 1/03 l'intervento dell'Autorità

giudiziaria è eventuale, nel caso dell'art. 21(1) reg. 1/03 la decisione "non

può essere eseguita senza l'autorizzazione preliminare dell'Autorità

giudiziaria nazionale dello Stato membro interessato" (corsivo aggiunto) 814. L'art. 21(1) reg. 1/03 — così come l'art. 20 reg. 1/03 — prevede un procedimento tramite il quale l'Autorità giudiziaria possa mettersi in contatto con la Commissione "direttamente o attraverso l'Autorità garante della concorrenza dello Stato membro"; e ciò al fine di ottenere "una spiegazione dettagliata degli elementi che sono necessari per permetterle di verificare la proporzionalità delle misure coercitive previste" (art. 20(3) reg. 1/03). Il procedimento e il limite relativo alla delibazione dell'Autorità giudiziaria previsto all'art. 20(8) reg. 1/03 si applica anche al caso dell'art. 21 reg. 1/03. Inoltre — con riferimento a questo secondo aspetto — "l'Autorità giudiziaria nazionale non può mettere in discussione la necessità degli accertamenti né chiedere che siano fornite informazioni contenute nel fascicolo della Commissione". Anche in questo caso il controllo della legittimità della decisione della Commissione è riservato alla Corte di giustizia (art. 21(3) reg. 1/03).

143. (segue) Gli accertamenti effettuati dalle Autorità nazionali su delega

della Commissione (art. 22(2) ultima parte reg. 1/03).

L'art. 22(2) ultima parte reg. 1/03 disciplina — secondo una

"direzione" opposta a quanto fin ora valutato, cioè una direzione

dell'associazione di imprese spiegazioni su fatti o documenti relativi all'oggetto e allo scopo degli accertamenti e verbalizzarne le risposte". Riguardo all'art. 20(5) reg. 1/03 e 20(6) reg. 1/03, essi "si applicano mutatis mutandis".

814 Anche in questo caso il giudice nazionale è titolare di un potere di delibazione sulla decisione della Commissione. Esso controlla: 1. "l'autenticità della decisione della Commissione"; 2. "verifica che le misure coercitive previste non siano né arbitrarie né sproporzionate in considerazione, in particolare, della gravità della presunta infrazione, dell'importanza della prova richiesta, del coinvolgimento dell'impresa interessata e della ragionevole probabilità che i registri e i documenti aziendali relativi all'oggetto degli accertamenti siano detenuti nei locali per i quali è chiesta l'autorizzazione".

SEZIONE III

LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLE NORME ANTITRUST EUROPEE

SOTTOSEZIONE I

LA TUTELA DEGLI ARTT. 81 E 82 TCE DA PARTE DELLE GIURISDIZIONI

NAZIONALI

SOMMARIO: — I. — La competenza. — 145.A) La competenza antitrust delle giurisdizioni nazionali: A.i) La naturale competenza delle giurisdizioni nazionali ad applicare il diritto antitrust europeo (art. 6 reg. 1/03). L'art. 6 reg. 1/03 quale conferma della giurisprudenza secondo la quale l'art. 81(3) TCE non è norma avente "effetto diretto". — 146. A.ii) La non fondatezza dei presupposti sulla base dei quali la Commissione ha attribuito alle giurisdizioni nazionali la competenza per applicare l'art. 81(3) TCE. Il limitato decentramento antitrust europeo come conseguenza dell'assenza di incentivi rivolti ai privati affinché adiscano le giurisdizioni nazionali. — 147. (segue) Il pericolo di una interpretazione ampia da parte dei giudici nazionali dell'art. 81(3) TCE e dell'inserimento di valutazioni non strettamente collegate alla politica antitrust

europea. — 148. A.iii) L'illegittimità dell'art. 6 reg. 1/03. A.iii.a) L'illegittimità dell'art. 6 reg. 1/03 per violazione dell'art. 83(2) lett. b TCE. L'interpretazione testuale e storica dell'art. 83(2) lett. b TCE. — 149. (segue) La competenza del Consiglio ex art. 83(2) lett. b TCE e la giurisprudenza Ahmed Saeed Flugreisen. — 150. A.iii.b) L'art. 6 reg. 1/03 e la violazione del principio dell'effetto diretto. La distinzione tra "l'applicabilità diretta" delle norme dei regolamenti e "l'applicabilità diretta" (rectius "l'effetto diretto") delle norme europee. La giurisprudenza comunitaria che esclude l'"effetto diretto" dell'art. 81(3) TCE. — 151. (segue) La distinzione tra l'art. 81(1) e l'art. 81(3) TCE: la distinzione tra interpretazione e discrezionalità. L'interpretazione storica dell'art. 81(3) TCE. — 152. (segue) L'(illegittimo) "effetto diretto" dell'art. 81(3) TCE e la tutela dei singoli. — 153. (segue) L'art. 81(3) TCE quale norma avente effetto diretto e le negative conseguenze sui singoli riguardo al risarcimento dei danni per violazione dell'art. 81 TCE. — 154. (segue) La modifica della giurisprudenza ex art. 81(3) TCE e il raffronto con la giurisprudenza ex art. 86(2) TCE. — 155. (segue) L'eventuale riconoscimento da parte della Corte di giustizia dell'"effetto diretto" dell'art. 81(3) TCE e la conseguente necessaria modifica di cinque distinti filoni giurisprudenziali. Il

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rapporto tra natura dell'ordinamento CE e modifica da parte della Corte di giustizia della giurisprudenza relativa all'art. 81(3) TCE. — 156. B) L'esercizio della competenza. Gli obblighi per l'applicazione uniforme degli artt. 81 e 82 TCE. — 157. (segue) La (presunta) illegittimità costituzionale dell'art. 16(1)reg. 1/03. — 158. C) I rapporti tra competenza antitrust europea e competenza antitrust statale di cui sono titolari i giudici nazionali. Gli aspetti relativi alla legge antitrust italiana (art. 1 l. n. 287/90) (rinvio). — II. — Le sanzioni. — 159. Le discipline nazionali relative alle conseguenze di diritto privato e di diritto penale della violazione del diritto antitrust europeo. La disciplina della prescrizioni dei diritti ex artt. 81(1) e 82 TCE ai sensi del reg. 1/03.

I. La competenza

145. A) La competenza antitrust delle giurisdizioni nazionali: A.i) La

naturale competenza delle giurisdizioni nazionali ad applicare il diritto

antitrust europeo (art. 6 reg. 1/03). L'art. 6 reg. 1/03 quale conferma

della giurisprudenza secondo la quale l'art. 81(3) TCE non è norma

avente "effetto diretto".

Il reg. 1/03 disciplina — per quanto necessario per la politica di

"decentramento" degli artt. 81 e 82 TCE — la competenza delle giurisdizioni nazionali e alcuni profili dell'esercizio di essa. Il reg. 1/03 regola in particolare: 1. l'attribuzione e l'esercizio della competenza delle giurisdizioni nazionali; 2. gli strumenti di cooperazione e controllo per l'applicazione del diritto antitrust CE da parte delle giurisdizioni nazionali.

Il reg. 1/03 disciplina anche per le giurisdizioni nazionali l'attribuzione della competenza antitrust CE. L'art. 6 reg. 1/03 prescrive che "le giurisdizioni nazionali sono competenti ad applicare gli articoli 81 e 82 del Trattato". Il reg. 17/62 non prevedeva una simile norma di attribuzione della competenza. Non ostante questo le giurisdizioni nazionali, in regime del reg. 17/62, potevano applicare ugualmente gli artt. 81(1) e 82 TCE. Questo in quanto, come già previsto dalla Corte di giustizia nel 1973, "per loro natura, i divieti sanciti dagli artt. [81] comma 1 e [82] sono atti a produrre direttamente degli effetti nei

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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rapporti tra i singoli, detti articoli attribuiscono direttamente a questi dei diritti che i giudici nazionali devono tutelare" 817.

Da ciò appare chiaro che l'art. 6 reg. 1/03 non è stato disciplinato per quello che era già possibile senza tale norma, e cioè l'applicazione e la tutela dei diritti previsti dagli artt. 81(1) e 82 TCE da parte delle giurisdizioni nazionali 818. Infatti, come affermato dall'art. 6 della proposta di regolamento del 2000 — così come dal considerando 4 reg. 1/03 819 — tale norma permetterebbe alle giurisdizioni nazionali di essere "altresì competenti ad applicare l'articolo 81, paragrafo 3" TCE (corsivo aggiunto). Però, secondo giurisprudenza costante (v. infra § 150) l'art. 81(3) TCE — al contrario degli artt. 81(1) e 82 TCE — non dispone di effetto diretto e come tale non è applicabile dalle giurisdizioni nazionali. Infatti, se l'art. 81(3) TCE avesse avuto "effetto diretto", già ai sensi del reg. 17/62 i giudici nazionali — non ostante la competenza esclusiva della Commissione rispetto all'art. 81(3) (art. 9(1) reg. 17/62) — avrebbero potuto applicare tale norma. Cosa che, com'è noto, non è mai stata sostenuta dalla prassi della Commissione e respinta dalla giurisprudenza Delimitis 820.

Per concludere, la necessità di prevedere l'art. 6 reg. 1/03 affinché l'art. 81(3) TCE sia applicato dai giudici nazionali conferma tale giurisprudenza: l'art. 81(3) TCE non può essere direttamente applicato dalle giurisdizioni nazionali senza un ulteriore (illegittimo) intervento normativo 821 (sulla illegittimità dell'art. 6 reg. 1/03 per la violazione

817 Sentenza della Corte del 30 gennaio 1974, Sabam - Fonior, cit. a nota 288, § 16; v.

anche Sentenza della Corte del 20 settembre 2001, Courage, cit. a nota 298. 818 V. al contrario quanto sostenuto dalla Commissione nella Comunicazione sulla

cooperazione con le giurisdizioni nazionali: in essa si sostiene che "il regolamento non si

limita a conferire alle giurisdizioni nazionali il compito di applicare il diritto comunitario della concorrenza", (ibidem, § 6 — corsivo aggiunto).

819 Il considerando 4 reg. 1/03 recita: "Le giurisdizioni degli Stati membri [sono] competenti non solo ad applicare l'articolo 81, paragrafo 1 e l'articolo 82 del Trattato, direttamente applicabili in virtù della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, ma anche l'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato" (corsivo aggiunto).

820 V. supra nota 535. 821 Come la Commissione riconosce nel "Libro bianco sulla modernizzazione" (1999),

tramite il regolamento, "l'articolo [81] [sarebbe] diven[uto] così, nella sua integralità, una norma direttamente applicabile che i singoli soggetti [avrebbero] pot[uto] invocare davanti ai tribunali o a qualsiasi autorità competente", § 69.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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dell'art. 83 TCE, così come del principio dell'effetto diretto, v. infra § 148) 822.

146. A.ii) La non fondatezza dei presupposti sulla base dei quali la

Commissione ha attribuito alle giurisdizioni nazionali la competenza

per applicare l'art. 81(3) TCE. Il limitato decentramento antitrust europeo come conseguenza dell'assenza di incentivi rivolti ai privati

affinché adiscano le giurisdizioni nazionali.

Ancora prima di affrontare il problema dell'illegittimità dell'art. 6

reg. 1/03, è necessario considerare il presupposto su cui la Commissione fonda la necessità di applicazione dell'art. 81(3) TCE da parte delle giurisdizioni nazionali, e cioè che l'applicazione dell'art. 81(3) TCE da parte dei giudici nazionali sia necessaria per l'efficace decentramento del diritto antitrust CE. Infatti, tale norma avrebbe la finalità di evitare le (presunte) conseguenze del "sistema centralizzato istituito dal regolamento n. 17", e cioè la ridotta "applicazione delle regole di concorrenza comunitarie da parte delle giurisdizioni (…) degli Stati membri" (considerando 3 reg. 1/03) 823. In altre parole, l'esperienza fallita degli anni '90 di far applicare tali norme dalle giurisdizioni nazionali — con particolare riferimento all'art. 81 TCE — avrebbe

822 Sotto altra impostazione, il problema dell'applicabilità da parte dei giudici nazionali

dell'art. 81(3) TCE è considerato non da un punto di vista giuridico, ma da un punto di vista meramente fattuale, cioè se i giudici nazionali siano "equipped" per applicare tale norma. Sotto questo aspetto tale dottrina riconosce tale possibilità in quanto: "Judges understand and decide on large range of complex matters", CÉLINE GAUER, Regulation

1/2003, cit. a nota 261, 5. A questa impostazione si può certamente replicare che se è un dato di fatto che i giudici "understand and decide on large range of complex matters", il punto dirimente è (come già ricordato) che essi nell'ordinamento CE possono applicare norme aventi "effetto diretto", caratteristica non presente nel caso dell'art. 81(3) TCE.

823 Contra MONOPOLKOMMISSION, Kartellpolitische Wende in der Europäischen Union?, Sondergutachten n. 28 vom 28. April 1999, § 55; MONOPOLKOMMISSION, Folgeprobleme der

europäischen Kartellrechtsreform, Sondergutachten n. 32 vom 30. Oktober 2001, § 20. Il tentativo di permettere l'applicazione dell'art. 81(3) TCE anche ai giudici nazionali

sembra essere riconducibile ad uno degli elementi per cui il reg. 1/03 è stato redatto: cioè la creazione di una competenza parallela. In altre parole, "la necessità di riconoscere una generale e totale applicazione decentrata degli artt. 81 e 82 TCE da parte di tutti i soggetti che ai sensi del reg. 1/03 possono applicare gli artt. 81 e 82 TCE (cioè, oltre alla Commissione, le Autorità e le giurisdizioni nazionali). Tale obiettivo — sembra sostenere il regolamento — sarebbe limitato nel caso in cui i giudici non potessero applicare anche l'art. 81(3) TCE.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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imposto — per eliminare il (presunto) limite a tale applicazione decentrata — la previsione di una norma che determinasse l'applicabilità — e l'eventuale obbligo di applicazione — da parte delle giurisdizioni nazionali anche dell'art. 81(3) TCE.

Un breve confronto con l'esperienza degli Stati Uniti d'America dimostra che la valutazione da parte dei giudici nazionali di casi rientranti nell'art. 81(3) TCE non sia essenziale per una effettiva politica di decentramento del diritto antitrust. Infatti, negli Stati Uniti d'America l'applicazione da parte dei privati del diritto antitrust (federale e statale) davanti ai giudici (federali e statali) supera di gran lunga il numero di procedimenti conclusi annualmente dalle Autorità antitrust (federali e statali) 824. Ebbene, negli USA i casi proposti dai privati dinnanzi a giudici riguardano — con riferimento alle intese — prevalentemente comportamenti vietati per sé, cioè casi di evidenti comportamenti anticoncorrenziali (ad es., accordi orizzontali sul prezzo) per i quali non è possibile determinare una giustificazione secondo la rule of reason 825. Un simile fenomeno è la conseguenza della difficoltà, oltre che dei costi economici e dei rischi, correlati alla prova di comportamenti non manifestamente anticoncorrenziali o che non siano già stati oggetto di decisione da parte delle Autorità antitrust federali.

824 Infatti, "during the first 50 years of the Sherman Act private antitrust action was not very widespread. Since the 1940's, however, private suits have been the predominant form of antitrust litigation . Between 1941 and 1984, there were about ten times more private cases than cases commenced by the U.S. government. A large majority of the cases were settled - only 5.4 percent of all cases reached the trial stage. Excluding the extraordinarily high award of $276 million in Litton v. AT&T, the average monetary awards, excluding legal fees, were $456,000 in 1984 dollars, the median was $194,000. An estimated $250 million are spent each year for all private antitrust cases filed, including counselling and negotiating".

"These figures may sufficiently demonstrate the outstanding role private litigation plays in the US-American antitrust enforcement system . Add to these already impressive figures that (public) antitrust enforcement has never stopped being in the center of public debate, and that critics on the "right" side of the economic-political system might be inclined to look at antitrust law as being more often than not counterproductive, private enforcement has become an important though not undisputed buttress of America's antitrust law enforcement", FRANK WAMSER, Enforcement of antitrust law a comparison of

the legal and factual situation in Germany, the EEC, and the USA, Frankfurt am Main, Peter Lang, 1994, 42.

825 Sull'applicazione da parte dei privati del diritto antitrust negli Stati uniti v. JULIAN

O. VON KALINOWSKI - PETER SULLIVAN - MAUREEN MCGUIRL, Antitrust, cit. a nota 617, Capitolo 160.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

443

Le fattispecie che sono solitamente oggetto di cause dinnanzi a giudici negli USA rientrerebbero — ai sensi del diritto antitrust CE — nel divieto ex art. 81(1) TCE senza possibilità di esenzione ex art. 81(3) TCE. Ma, con riferimento a tali fattispecie vietate dall'art. 81(1) TCE, le giurisdizioni nazionali degli Stati membri erano competenti sin dal 1962, in forza del reg. 17/62, ad applicare il diritto antitrust CE 826.

Per tale motivo non appare fondata l'opinione della Commissione secondo cui l'impossibilità per le giurisdizioni nazionali di applicare l'art. 81(3) TCE abbia determinato — in regime del reg. 17/62 — il fallimento dell'applicazione decentrata del diritto antitrust CE e — nel futuro — limiterebbe una efficace applicazione del reg. 1/03.

I motivi che hanno determinato il generale insuccesso dell'applicazione decentrata del diritto antitrust CE — e non solo dell'art. 81(3) TCE — sono da ricercare altrove. In particolare, nell'assenza di incentivi che inducano le imprese ad avviare una causa davanti ad un giudice nazionale piuttosto che — come accade normalmente — a presentare una denuncia alla Commissione o alle Autorità nazionali antitrust. Infatti, nell'attuale sistema è molto più semplice per il singolo (e fornisce una tutela più rapida e, solitamente, meno costosa) presentare una denuncia alla Commissione 827 o ad un'Autorità nazionale. A seguito dell'(eventuale) decisione di violazione, il denunciante può richiedere giudizialmente ai soggetti che hanno violato la disciplina antitrust il risarcimento dei relativi danni; e ciò presentando la decisione della Commissione o dell'Autorità nazionale come una sorta di "titolo esecutivo" 828.

Al contrario, il reg. 1/03 non ha previsto alcun incentivo per i privati perché essi applichino gli artt. 81 e 82 TCE davanti alle giurisdizioni nazionali (ad. es., incentivi solitamente collegati ai risarcimenti

826 Prima del reg. 17/62, come infra ricordato, i giudici nazionali non potevano

applicare l'art. 81 TCE senza una preventiva valutazione della Commissione o delle Autorità nazionali; questo in quanto non era stata definita la modalità di applicazione dell'art. 81(3) TCE.

827 La Commissione, in conseguenza di questa tendenza — cioè di presentare le denunce alla Commissione piuttosto che alle Autorità nazionali o presentando delle cause dinnanzi alle giurisdizioni nazionali —, ha poi definito la politica relativa ai cd. casi di "interesse comunitario", v. supra.

828 In questo modo ottenendo quello che — in modo meno costoso e meno problematico — si potrebbe ottenere (con i necessari distinguo) tramite l'eventuale apertura di un procedimento da parte della Commissione o di una Autorità nazionale.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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sanzionatori o alle conseguenze che i giudici possono determinare per la violazione del diritto antitrust) 829. In assenza di tali incentivi è prevedibile che anche in regime di reg. 1/03 le imprese difficilmente inizieranno procedimenti dinnanzi alle giurisdizioni nazionali ai sensi dell'art. 81 TCE per fattispecie che esulino i casi vietati all'art. 81(1) TCE (ma anche ai sensi dell'art. 82 TCE); soprattutto non in numero radicalmente superiore a quanto accaduto in regime del reg. 17/62. I privati continueranno a preferire la presentazione di denunce alla Commissione o alle Autorità nazionali.

147. (segue) Il pericolo di una interpretazione ampia da parte dei giudici

nazionali dell'art. 81(3) TCE e dell'inserimento di valutazioni non

strettamente collegate alla politica antitrust europea.

Anche risolvendo il problema indicato nel capitolo precedente — e

quindi prevedendo a livello degli Stati membri degli incentivi in modo che i concorrenti e i consumatori abbiano interesse a ricorrere con costanza alle giurisdizioni nazionali — il riconoscimento (illegittimo) di tale competenza presenta più pericoli che vantaggi. Infatti rimangono comunque — a prescindere dall'illegittimità dell'art. 6 reg. 1/03, per cui v. infra § 148 — le potenziali conseguenze negative dell'applicazione dell'art. 81(3) TCE da parte delle giurisdizioni nazionali che sconsigliano il riconoscimento ad esse dell'applicazione dell'art. 81(3) TCE nell'attuale formulazione 830.

Tre sono gli aspetti negativi che deriverebbero da una simile (ipotetica) applicazione dell'art. 81(3) TCE da parte delle giurisdizioni nazionali.

829 La Commissione "ritiene che il nuovo sistema instaurato dal regolamento 1/2003

aumenta per i denuncianti le possibilità di chiedere e ottenere una tutela efficace dinanzi alle giurisdizioni nazionali" (Comunicazione sulle denunce, § 18). Tale impostazione — che cerca di attribuire un appeal all'obbligo di applicazione decentrata dell'art. 81(3) TCE — si limita ad una affermazione di principio; e ciò senza prendere in considerazione i rischi e le spese che i singoli devono compiere per ottenere il risarcimento dei danni.

830 Differente è l'ipotesi in cui fosse modificato il testo dell'art. 81 TCE, e fosse eliminato l'art. 81 (3) TCE. In tal caso, anche da un punto di vista dei principi del diritto CE, sarebbe giustificato che i giudici nazionali applicassero integralmente l'art. 81 TCE, e cioè sia l'art. 81(1) TCE che l'art. 81(3) TCE.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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Il primo profilo riguarda la possibilità che le giurisdizioni nazionali, per intese palesemente vietate ex art. 81(1) TCE e non esentabili secondo la prassi della Commissione, riconoscano ugualmente l'esenzione ex art. 81(3) TCE per evitare le conseguenze sociali (rectius facendosi carico delle conseguenze sociali del divieto) di una dichiarazione di nullità dell'accordo.

Il secondo profilo di preoccupazione riguarda un'interpretazione dell'art. 81(3) TCE (sia secondo la modalità che l'estensione) che si faccia carico di interessi non strettamente rientranti nella tutela antitrust (e cioè, ad es., interessi quali la politica industriale, la politica sociale, la politica ambientale; problema questo temuto dalla Commissione stessa e manifestato nella Proposta di Comunicazione sull'applicazione dell'art. 81(3) TCE 831).

Il riconoscimento di tale contemperamento è (eventualmente) riconosciuto nella CE agli organi competenti ad applicare l'art. 81(3) TCE — e cioè, in regime del reg. 17/62, esclusivamente alla Commissione e, in regime del reg. 1/03, anche alle Autorità nazionali —. Ma ciò è comprensibile, tra l'altro, in quanto la Commissione e le Autorità nazionali sono organi dotati di "discrezionalità" e quindi sono titolari del potere per formulare una simile valutazione. Tale possibilità è invece da escludere per organi quali le giurisdizioni nazionali, organi che "interpretano" il diritto (v. infra § 151).

A questi due primi aspetti, che riguardano entrambi l'applicazione eccessivamente ampia dell'art. 81(3) TCE da parte delle giurisdizioni nazionali, si aggiunge un terzo profilo di preoccupazione. Infatti, il riconoscere l'applicabilità dell'art. 81(3) TCE alle giurisdizioni nazionali creerebbe il rischio di una giurisprudenza relativa a tale norma differente tra i vari Stati membri CE in contrasto al concetto di diritto comunitario come diritto omogeneo sull'intero mercato comune.

831 La Commissione nella Proposta di Comunicazione sull'applicazione dell'art. 81(3)

TCE aveva sostenuto: "38. (…) Non è invece compito dell'articolo 81 e delle Autorità che applicano [l'art. 81(3) TCE] consentire alle imprese di restringere la concorrenza per realizzare obiettivi di interesse generale". Questo principio, di fatto immotivato e senza una giustificazione giuridica convincente — se non quella del pericolo di interpretazione qui sottolineato — è stato modificato nella versione finale della Comunicazione. Nella versione finale della Comunicazione si legge infatti diversamente: "48. (…) Gli obiettivi perseguiti da altre disposizioni del Trattato possono essere presi in considerazione nella misura in cui possano essere fatti rientrare nelle quattro condizioni di cui all'articolo 81, paragrafo 3".

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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I pericoli qui presentati, riguardo ad un'applicazione ampia dell'art. 81(3) TCE, non sono eliminati dall'obbligo degli Stati membri di inviare alla Commissione le sentenze in cui si applica il diritto antitrust CE affinché l'Autorità CE ne valuti la correttezza (art. 15(2) reg. 1/03). Il controllo delle singole sentenze da parte della Commissione non solo sarebbe — in primo luogo — di difficile attuazione visto l'alto numero di giurisdizioni nazionali che applicano il diritto antitrust CE nei 25 Stati membri CE; in secondo luogo, tale controllo determinerebbe anche un grande impegno del limitato numero di funzionari della D.G. Comp.; tale attività sarebbe a detrimento dell'attività principale della Commissione, cioè l'attività repressiva antitrust diretta.

Per tali motivi dovrebbe essere valutato come elemento positivo — prescindendo dalla illegittimità dell'art. 6 reg. 1/03, v. infra § 148 — che l'art. 81(3) TCE sia applicato da un numero ristretto di soggetti (la Commissione e le 25 Autorità nazionali). Organi i quali, inoltre, dispongono della discrezionalità necessaria per applicare una norma non avente "effetto diretto" — in quanto non determinata nel contenuto — come l'art. 81(3) TCE. Questo permetterebbe alla Commissione — tra l'altro — di esercitare un effettivo controllo sulle conclusioni ex art. 81(3) TCE da parte delle Autorità nazionali tramite gli strumenti individuati supra (art. 11(3 - 4) reg. 1/03).

148. A.iii) L'illegittimità dell'art. 6 reg. 1/03. A.iii.a) L'illegittimità dell'art.

6 reg. 1/03 per violazione dell'art. 83(2) lett. b TCE. L'interpretazione

testuale e storica dell'art. 83(2) lett. b TCE.

Dopo aver contestato il presupposto su cui la Commissione ha

fondato la necessità di applicazione dell'art. 81(3) TCE da parte delle giurisdizioni nazionali, passiamo ora a valutare i due motivi di illegittimità dell'art. 6 reg. 1/03 832. Contesteremo — come primo motivo — non solo che il TCE, ex art. 83(2) lett. b TCE, riconosca le giurisdizioni nazionali quali organi competenti ad applicare l'art. 81(3) TCE, ma anche — come secondo motivo — che l'art. 81(3) TCE sia o

832 L'illegittimità di tale norma è stata già sostentua nel nostro PACE LORENZO

FEDERICO, Die Dezentralisierungspolitik im EG-Kartellercht. Sind Art. 3 II, 6 der VO 1/2003

rechtmässig?, in Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht, 2004, 301.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

447

possa divenire norma avente "effetto diretto", e come tale sia applicabile direttamente dalle giurisdizioni nazionali.

Riguardo al primo motivo di illegittimità, ai sensi del sistema antitrust previsto dal TCE (artt. 84 e 85 TCE) e ai sensi del reg. 17/62, le giurisdizioni nazionali non potevano applicare l'art. 81(3) TCE in quanto tale norma non presentava i requisiti per avere "effetto diretto". Le giurisdizioni nazionali potevano applicare tale norma solo successivamente ad una decisione dell'organo competente ad applicare tale eccezione, cioè, ai sensi del sistema ex artt. 84 e 85 TCE, la Commissione e le Autorità nazionali e, ai sensi dell'art. 9(1) reg. 17/62, la sola Commissione.

Il reg. 1/03 — in opposizione frontale con il passato — si fonda sul principio secondo il quale le giurisdizioni nazionali possano applicare l'art. 81(3) TCE purché ad esso sia espressamente riconosciuta tale competenza tramite una norma emessa ai sensi dell'art. 83(2) lett. b TCE 833. Infatti, l'art. 6 reg. 1/03 è dettato sul presupposto che sia il regolamento stesso, ai sensi dell'art. 83(2) lett. b TCE, ad attribuire alle giurisdizioni nazionali la competenza ad applicare l'art. 81(3) TCE. A ben vedere, se l'art. 81(3) TCE fosse stato applicabile in quanto norma avente "effetto diretto", non sarebbe stato necessario l'art. 6 reg. 1/03 per la relativa applicazione da parte delle giurisdizioni nazionali (v. supra § 148).

Ebbene, l'art. 83(2) lett. b TCE prevede tutt'altra cosa, e cioè che le disposizioni dei regolamenti ex art. 83 TCE abbiano, in particolare, "lo scopo di (…) determinare le modalità di applicazione dell'articolo 81, paragrafo 3, avendo riguardo alla necessità di esercitare una sorveglianza efficace e, nel contempo, semplificare, per quanto possibile, il controllo amministrativo" 834 (corsivo aggiunto). Infatti, appare chiaro

833 Il considerando 2 reg. 1/03 ricorda infatti che "è necessario, in particolare, rivedere le

modalità di applicazione della deroga al divieto di accordi restrittivi della concorrenza di cui all'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato. A tale riguardo va tenuto conto, ai sensi dell'articolo 83, paragrafo 2, lettera b), del Trattato, la necessità di esercitare una sorveglianza efficace e, nel contempo, di semplificare, per quanto possibile, il controllo amministrativo" (corsivo aggiunto).

834 La versione tedesca del TCE chiarisce meglio della versione italiana che "la

sorveglianza efficace" e "il controllo amministrativo" si riferiscono alla valutazione dei medesimi soggetti (cioè la Commissione ed eventualmente alle Autorità nazionali) e non si riferiscono, conseguentemente, alle giurisdizioni nazionali. L'art. 83(2) lett. b TCE nella versione tedesca recita infatti: "Die in Absatz 1 vorgesehenen Vorschriften bezwecken

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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dal testo stesso dell'art. 83(2) lett. b TCE che un regolamento ex art. 83 TCE non possa attribuire alle giurisdizioni nazionali la competenza per applicare l'art. 81(3) TCE … in quanto tale articolo non è ad essi diretto. Questo perché, in primo luogo, un regolamento ex art. 83 TCE non può rivolgersi alle giurisdizioni nazionali affinché esse esercitino "una sorveglianza efficace" nei confronti dell'art. 81(3) TCE. Ciò è conseguenza del fatto che l'art. 81(3) TCE, come già chiarito supra § 145 e approfondito infra § 150, non è una norma avente "effetto diretto" e come tale non può essere applicata dalle giurisdizioni nazionali. Infatti, "è compito dei giudici nazionali, secondo il principio di collaborazione enunciato dall'art. [10] del Trattato, garantire la tutela giurisdizionale" — e non la sorveglianza amministrativa — "spettante ai singoli in forza delle

norme di diritto comunitario aventi effetto diretto" (corsivo aggiunto) 835. In secondo luogo, un regolamento ex art. 83 TCE non può rivolgersi

alle giurisdizioni nazionali affinché esse pongano in essere un "controllo amministrativo" dell'art. 81(3) TCE. Le giurisdizioni nazionali, infatti, non svolgono un controllo amministrativo, ma hanno la funzione di "salvaguardare (…) i diritti soggettivi" riconosciuti dall'ordinamento CE 836. Sono al contrario gli organi previsti dal TCE (Commissione ed insbesondere (...) die Einzelheiten der Anwendung des Artikels 81 Absatz 3 festzulegen; dabei ist dem Erfordernis einer wirksamen Überwachung bei möglichst einfacher

Verwaltungskontrolle Rechnung zu tragen" (corsivo aggiunto). 835 Sentenza della Corte del 24 ottobre 1996, Aannemersbedrijf P.K. Kraaijeveld BV e

altri contro Gedeputeerde Staten van Zuid - Holland, cit. a nota 465, § 58; così anche Sentenza della Corte del 14 dicembre 1995, Jeroen van Schijndel, cit. a nota 292, § 14.

Come riconosciuto dall'Autorità CE, "la Commissione, diversamente dalle giurisdizioni civili, che hanno il compito di tutelare i diritti individuali dei privati, è un'Autorità amministrativa che deve agire nell'interesse pubblico (Proposta di Comunicazione sulla Rete, § 27). E questo distingue, quindi, il compito di "tutela amministrativa" di cui all'art. 83(2) lett. e TCE dalla funzione delle giurisdizioni nazionali.

836 Sentenza della Corte del 3 Aprile 1968, Molkerei - Zentrale Westfalen/Lippe GmbH contro Hauptzollamt Paderborn, causa 28/67, Raccolta della giurisprudenza, 1968, p. 192, p. 206. Inoltre, la giurisprudenza ha sostenuto che "qualsiasi giudice nazionale adito nell'ambito

della sua competenza, ha l'obbligo di applicare integralmente i diritto comunitario e di tutelare i

diritti che questo attribuisce ai singoli, disapplicando le disposizione eventualmente confliggenti della legge interna sia anteriore sia successiva alla normativa comunitaria", Sentenza della Corte (Sesta Sezione) del 5 marzo 1998, Solred SA contro Administración General del Estado, causa C-347/96, Raccolta della giurisprudenza, 1998, p. I - 937, § 30 (corsivo aggiunto).

Il TCE non indica che le giurisdizioni nazionali abbiano la funzione, applicando l'art. 81(3) TCE, di esercitare un "controllo amministrativo" né, contestualmente, l'esercizio di "una sorveglianza efficace" nei confronti dell'art. 81(3) TCE. Il TCE individua i compiti delle "giurisdizioni nazionali" esclusivamente al fine dell'"espletamento della procedura

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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eventualmente le Autorità nazionali) che svolgono la funzione — tramite un controllo amministrativo — di "garantire il rispetto generale ed uniforme del diritto comunitario" 837.

A ben vedere questi concetti (differenza tra Commissione, Autorità e giudici nazionali) sono ben chiari alla Commissione. Basti riferirsi alla recente Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali. In essa la Commissione distingue l'attività della Commissione e delle Autorità nazionali da quella delle giurisdizioni nazionali. L'Autorità CE individua tale distinzione ricordando che "quando una persona fisica o giuridica chiede al giudice nazionale di tutelare i suoi diritti soggettivi, le giurisdizioni nazionali svolgono nell'applicazione degli articoli 81 e 82 una funzione specifica"; esse "possono applicare gli articoli 81 e 82 stabilendo la nullità di un contratto o concedendo il risarcimento di danni" (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 4). Esse — in altre parole — hanno il compito di tutelare "i diritti soggettivi riconosciuti dall'ordinamento CE" (il che, con riferimento agli artt. 81(1) e 82 TCE, significa contestualmente tutelare norme aventi effetto diretto); competenza che — sempre come sostenuto dalla Commissione — "è diversa dall'applicazione fattane nell'interesse pubblico dalla Commissione o dalle Autorità nazionali garanti della concorrenza " (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 4). Non ostante questa affermazione, la Commissione sostiene (contraddittoriamente) che i regolamenti emanati dall'art. 83(2) lett. b TCE — e quindi tra l'altro il relativo "controllo amministrativo" (rectius l'applicazione nell'interesse pubblico) — possano essere riferiti all'attività delle giurisdizioni nazionali.

Che i giudici non siano i destinatari dell'art. 83(2) lett. e TCE è ulteriormente accertato da un'analisi storica di tale norma. L'art. 83(2) lett. e TCE costituisce infatti il compromesso definito in sede di redazione del Trattato di Roma dal tedesco Hans Von der Groeben —

giudiziaria" (art. 193 TCE), di decidere di "un giudizio" (art. 234(3) TCE), o per definire gli organi statali davanti ai quali può essere proposto "giudizio" (art. 68(1) TCE).

837 Sentenza della Corte del 3 Aprile 1968, Molkerei - Zentrale Westfalen/Lippe GmbH

contro Hauptzollamt Paderborn, cit. a nota 836, p. 206.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

450

Presidente del sottogruppo relativo alle norme della concorrenza — 838. Egli, come già ricordato supra, a fronte di una situazione di conflitto insanabile tra rappresentanti della Repubblica federale di Germania e della Repubblica di Francia riguardo al tipo di impostazione che il divieto di accordi anticoncorrenziali avrebbe dovuto disciplinare (cioè principio di divieto o principio di abuso — come dimostrato anche dalle prese di posizione del Governo olandese, del Parlamento francese e del Parlamento italiano nel 1957 839 — ) propose di rinviare la decisione sul punto contestato in un regolamento successivo alla firma del Trattato di Roma. A tal fine il 28 novembre 1956 fu redatta la bozza dell'articolo poi divenuto — dopo successive elaborazioni — l'art. 83(2) lett. e TCE 840. Questa norma — come ricordato supra § 23 — rinvia la decisione della "modalità di applicazione dell'art. 81(3) TCE" ad un successivo regolamento, fermo restando che ai sensi del TCE le norme antitrust CE siano comunque applicate — in attesa del regolamento ex art. 83 TCE — dalle Autorità nazionali (ex art. 84 TCE) o dalla Commissione (art. 85 TCE) 841 (cioè all'interno del sistema amministrativo antitrust CE — Commissione e Autorità nazionali). L'art. 83(2) lett. e TCE ha quindi la funzione di decidere, per gli organi che partecipano al sistema amministrativo antitrust CE, la modalità con cui essi devono applicare tale norma (ad es., secondo il principio del divieto o dell'abuso, con obbligo di notifica preventiva o meno).

Da ciò consegue che il Consiglio, ai sensi del testo (e della storia) dell'art. 83(2) lett. e TCE, non ha il potere di attribuire alle giurisdizioni

838 Sul punto, v. REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a

nota 134, xxxi. 839 A tal fine rinviamo ai testi originali citati da Spengler relativi alle posizioni

sostenute dal Governo olandese nella memoria esplicativa al Parlamento (ALBRECHT

SPENGLER, Die Wettbewerbsregeln, cit. a nota 268, 39) e al testo della discussione nella Camera dei Deputati dalla Repubblica francese del 23 luglio 1957 (ibidem, 40) e del Parlamento italiano (ibidem, 40). In questi si conferma che in sede di redazione del TCE non era stata scelta la modalità di applicazione dell'art. 81 TCE, e cioè né secondo il principio del divieto (Verbotprinzip), né secondo il principio dell'abuso (Missbrauchprinzip).

840 Sul punto, v. REINER SCHULZE - THOMAS HOEREN (a cura di), Dokumente, cit. a nota 134, xxxi.

841 In attesa di tale regolamento — emanato appunto ai sensi di quello che sarà l'art. 83(2) lett. e TCE — le Autorità nazionali avrebbero applicato non solo il diritto antitrust degli Stati membri, ma anche il diritto antitrust CE. In particolare, l'art. 81(3) TCE sarebbe stato applicato nei rispettivi Stati membri nel modo in cui in essi era disciplinato il divieto di intese anticoncorrenziali, cioè, ad es., secondo il principio di divieto, di abuso.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

451

nazionali la competenza di applicazione dell'art. 81(3) TCE, e non solo

perché essa è una norma non avente effetto diretto, ma anche perché l'art. 83(2) lett. b TCE disciplina la modalità di applicazione dell'art. 81(3) TCE — come chiarito dal testo — esclusivamente per il sistema amministrativo di tutela antitrust CE. Le giurisdizioni nazionali, infatti, non possono svolgere le funzioni per le quali i regolamenti ex art. 83 TCE sono previsti, cioè "una sorveglianza efficace" e, "nel contempo", il "controllo amministrativo" dell'art. 81(3) TCE 842.

149. (segue) La competenza del Consiglio ex art. 83(2) lett. b TCE e la

giurisprudenza Ahmed Saeed Flugreisen. A ben vedere, vi è una linea giurisprudenziale relativa all'art. 83(2)

lett. b TCE che potrebbe far supporre che i regolamenti che disciplinano l'art. 82(2) lett. b TCE possano determinare, oltre alla modalità di applicazione dell'art. 81(3) TCE (ad. es. il principio di divieto o il principio dell'abuso), anche gli organi che possano applicare l'art. 81(3) TCE (compresi organi non partecipanti al sistema amministrativo di tutela antitrust CE). Ci si riferisce in questa sede alla giurisprudenza Ahmed Saeed Flugreisen 843.

In tale sentenza la Corte di giustizia ha sostenuto che "gli accordi in violazione dell'art. 81(1) TCE possono fruire di un'esenzione a norma del [comma] 3 di questo articolo e che la politica di concorrenza viene elaborata mediante scelte effettuate dalle istituzioni dichiarate competenti,

in forza delle norme di applicazione adottate sulla base dell'art. [83], per

concedere o rifiutare tali esenzioni" 844 (corsivo aggiunto). Tale passaggio

842 I regolamenti ex art. 83(2) lett. b TCE possono quindi solo "determinare le modalità di applicazione dell'articolo 81, paragrafo 3" TCE stabilendo — alla fine della valutazione delle giurisdizioni nazionali — se la nullità dell'art. 81(2) TCE possa essere definita solo dopo l'accertamento della Commissione e delle Autorità nazionali (così come è previsto dal sistema ex artt. 84 e 85 TCE) o dopo notifica dell'intesa da parte della sola Commissione (come era previsto dal sistema ex reg. 17/62) o da parte della Commissione e delle Autorità nazionali (come previsto ex artt. 1(1) reg. 1/03, 1(2) reg. 1/03, art. 4 reg. 1/03 e 5 reg. 1/03). È certo, però, che a prescindere dai requisiti in presenza dei quali le giurisdizioni nazionali possono applicare l'art. 81(2) TCE — requisiti disciplinati dai regolamenti ex art. 83(2) lett. b TCE — l'art. 81(3) TCE non è però applicabile da parte dei giudici nazionali.

843 Sentenza della Corte dell'11 aprile 1989, Ahmed Saeed Flugreisen, cit. a nota 271. 844 Parimenti non è possibile richiamare la giurisprudenza Bosch per sostenere la

legittimità dell'applicazione dell'art. 81(3) TCE da parte dei giudici nazionali. In tale sentenza è stato sostenuto che "il Consiglio deve decidere come applicare l'art. 81(3) TCE",

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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della sentenza potrebbe dare l'impressione che la Corte di giustizia abbia sostenuto che il Consiglio, tramite la competenza ex art. 83(2) lett. b TCE, sia titolare del potere di "dichiarare" quali siano le "istituzioni" competenti ad applicare l'art. 81(3) TCE, e quindi attribuire tale competenza a qualunque organo, comprese le giurisdizioni nazionali.

Ad una più attenta lettura appare chiaro che la discrezionalità che la sentenza riconosce al Consiglio è relativa alla scelta — secondo quanto sostenuto supra § 23 — se attribuire la competenza dell'applicazione dell'art. 81(3) TCE alla sola Commissione o anche alle Autorità nazionali. Infatti, è il testo della sentenza stessa che recita: "Le istituzioni dichiarate competenti, in forza delle norme di applicazione adottate sulla base dell'art. [83], per concedere o rifiutare tali esenzioni [elaborano] la politica di concorrenza" (corsivo aggiunto).

Le giurisdizioni nazionali, secondo tale interpretazione mutuata dalla sentenza Ahmed Saeed, per poter applicare l'art. 81(3) TCE dovrebbero poter elaborare "la politica di concorrenza". Ma se questo fosse possibile, esse si trasformerebbero da organi che devono tutelare i diritti soggettivi riconosciuti dall'ordinamento CE, in organi che — come la Commissione e le Autorità nazionali — elaborano la politica di

concorrenza: ciò è contrario alla costante giurisprudenza CE. Le giurisdizioni nazionali, infatti, hanno la funzione — come ricordato più volte supra §§ 54 e 148 — di "tutelare" i diritti soggettivi dei singoli e non di "elaborare la politica di concorrenza" CE.

Sentenza della Corte del 6 aprile 1962, Bosch, cit. a nota 270. Il Consiglio avrebbe quindi — volendo sostenere l'impostazione secondo cui il Consiglio può decidere quali siano i soggetti che applicano l'art. 81(3) TCE — il potere di imporre l'applicazione ai giudici nazionali di una norma non avente effetto diretto.

A ben vedere la Corte di giustizia, quando prendeva in considerazione la discrezionalità del "Consiglio [di] decidere come applicare l'art. 81(3) TCE", non si riferiva alla possibilità di applicare l'art. 81(3) TCE da parte delle giurisdizioni nazionali. E questo in quanto, in primo luogo, il principio dell'effetto diretto non era stato ancora definito. La sentenza Bosch è stata infatti pronunciata il 6 aprile 1962, e la sentenza Van Gend en Loss — dove per la prima volta è stato definito il principio dell'effetto diretto — è stata pronunciata solo sei mesi dopo, cioè il 5 febbraio 1963. In secondo luogo, come già sostenuto supra, la scelta dell'applicazione dell'art. 81(3) TCE era riferita esclusivamente alla modalità di applicazione (e non all'individuazioni di soggetti che potessero applicare la norma oltre alla Commissione e, eventualmente, alle Autorità nazionali). Infatti, tale discrezionalità dell'applicazione dell'art. 81(3) TCE era riferita alla funzione "della sorveglianza efficace" collegata al "controllo amministrativo", e cioè agli organi previsti dal sistema amministrativo disciplinato nel TCE, e cioè Commissione (art. 85 TCE) e Autorità nazionali, queste secondo la struttura poi decisa dagli Stati membri (art. 84 TCE).

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

453

Quindi, la sent. Ahmed Saeed Flugreisen costituisce il primo dei cinque distinti filoni giurisprudenziali che corroborano l'illegittimità dell'art. 6 reg. 1/03 (per gli altri quattro v. infra § 150).

Per concludere, non solo il testo e la storia dell'art. 83(2) lett. b TCE escludono che le giurisdizioni nazionali possano applicare l'art. 81(3) TCE, ma anche la giurisprudenza comunitaria prova che l'art. 83(2) lett. b TCE attribuisce la competenza per l'applicazione dell'art. 81(3) TCE esclusivamente agli organi del sistema amministrativo di tutela antitrust CE (cioè alla Commissione ed eventualmente alle Autorità nazionali).

Il Consiglio, emanando l'art. 6 reg. 1/03, ha quindi violato l'art. 83(2) lett. b TCE, in quanto ha previsto una norma per la quale esso non ha competenza 845.

L'illegittimità dell'art. 6 reg. 1/03 ha come conseguenza che l'art. 81(3) TCE debba essere applicato esclusivamente dalla Commissione e dalle Autorità nazionali.

150. A.iii.b) L'art. 6 reg. 1/03 e la violazione del principio dell'effetto

diretto. La distinzione tra "l'applicabilità diretta" delle norme dei

regolamenti e "l'applicabilità diretta" (rectius "l'effetto diretto") delle

norme europee. La giurisprudenza comunitaria che esclude l'"effetto

diretto" dell'art. 81(3) TCE.

Passiamo ora ad affrontare il secondo, distinto motivo di

illegittimità dell'art. 6 reg. 1/03. L'art. 6 reg. 1/03 è illegittimo in quanto impone alle giurisdizioni nazionali l'applicazione di una norma che non ha "effetto diretto".

Prima di passare ad affrontare tale motivo di illegittimità, è necessario ricordare la differenza nell'ordinamento CE tra norme aventi "applicabilità diretta" e norme aventi "effetto diretto". Infatti, sebbene la giurisprudenza CE sembri utilizzare tali termini in modo indifferenziato (spesso i giudici CE si riferiscono a norme "direttamente applicabili" per indicare una disposizione che sia applicabile direttamente dalle giurisdizioni nazionali, cioè una norma avente

845 Su tale possibilità, v. LENAERTS K. — BRAY R., Procedural Law of the European

Union, London, Sweet and Maxwell, 1999, p. 185 ss..

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

454

"effetto diretto"), tali due concetti — in considerazione delle conseguenze che da essi derivano — devono essere tenuti distinti.

Infatti, una norma perché abbia "effetto diretto" deve presentare tre distinti requisiti, e cioè "la norma deve essere chiara, deve essere incondizionata, ossia la sua esecuzione non deve essere subordinata ad alcuna condizione di merito, e la sua attuazione non deve essere

subordinata all'intervento di ulteriori provvedimenti che potrebbero adottare, con un potere discrezionale, le istituzioni comunitarie e gli Stati membri" (corsivo aggiunto) 846. La presenza di tali caratteristiche non è conseguenza del tipo di atto che contiene la norma, ma dalla formulazione della norma stessa.

Differentemente, l'"applicabilità diretta" è la caratteristica delle norme dei regolamenti CE (art. 249 TCE). Cioè, le norme dei regolamenti sono direttamente applicabili negli Stati membri a prescindere da norme di "adattamento" degli Stati membri. In questo senso, l'"applicabilità diretta" è elemento che distingue i regolamenti dalle direttive comunitarie. Infatti, le direttive sono atti che richiedono norme di "adattamento" da parte dei singoli Stati membri. Ciò detto, una norma di un regolamento — la quale di per sé è "direttamente applicabile" all'interno degli Stati membri — non presenta necessariamente i requisiti per essere "direttamente applicabile" dai

giudici nazionali (cioè non è necessariamente una norma avente "effetto diretto").

L'aspetto relativo alla carenza di "effetto diretto" dell'art. 81(3) TCE — e quindi il problema della non applicabilità di tale norma da parte delle giurisdizioni nazionali — è lasciato nell'ombra nelle motivazione del reg. 1/03. Questo perché l'art. 6 reg. 1/03 risolve il problema dell'applicabilità dell'art. 81(3) TCE solo secondo una prospettiva di

competenza delle giurisdizioni nazionali. In altre parole, secondo tale impostazione (rigettata dalla stessa giurisprudenza CE) 847, il fatto che i

846 Sentenza del Tribunale di primo grado (Quarta Sezione ampliata) dell'11 dicembre

2001, David Petrie, Victoria Jane Primhak, David Verzoni e altri contro Commissione delle

Comunità europee, causa T-191/99, Raccolta della giurisprudenza, 2001, p. II - 3677, § 34. V., ovviamente, anche Sentenza della Corte del 5 febbraio 1963, Van Gend En Loos, cit. a nota 281, p. 3.

847 V. supra nota 535. Giurisprudenza Delimitis che costituisce il quarto filone giurisprudenziale che conferma l'illegittimtà dell'art. 6 reg. 1/03.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

455

giudici nazionali ex reg. 17/62 non avrebbero applicato l'art. 81(3) TCE era conseguenza — secondo questa (erronea) teoria — di una mera scelta di politica della concorrenza della Commissione e del Consiglio in sede di redazione del regolamento di applicazione degli artt. 81 e 82 TCE, e non (come al contrario correttamente è) dalla mancanza di effetto diretto dell'art. 81(3) TCE

Ciò detto, non solo è lo stesso art. 6 reg. 1/03 a comprovare che l'art. 81(3) TCE non è norma avente "effetto diretto" (v. supra § 145), ma è direttamente la giurisprudenza CE che conferma che l'art. 81(3) TCE non è norma avente "effetto diretto" in quanto carente di determinatezza (rectius l'art. 81(3) TCE, per la sua attuazione, "deve

essere subordinat[o] all'intervento di ulteriori provvedimenti [emanati] con un potere discrezionale, [dalle] istituzioni comunitarie e [dagli] Stati membri" 848, corsivo aggiunto). Ciò è affermato dai giudici CE in tre distinti filoni giurisprudenziali relativi all'art. 81(3) TCE che riguardano, rispettivamente: 1. la funzione della norma; 2. i possibili contenuti della norma; 3. il tipo di valutazioni per definire il contenuto di tale norma.

Con riferimento al primo aspetto, la Corte di giustizia ha sostenuto che l'applicazione dell'art. 81(3) TCE svolge la funzione di creare — anche se in via indiretta — "un armonico sviluppo delle attività economiche nel complesso della Comunità" 849. La funzione stessa dell'"armonico sviluppo" economico tramite l'art. 81(3) TCE presume una discrezionalità dell'organo che deve applicare tale disposizione, discrezionalità che ex se esclude la determinatezza dell'art. 81(3) TCE.

Con riferimento al secondo aspetto, la Corte di giustizia ha sostenuto che il contenuto dell'art. 81(3) TCE non è di per sé determinato in quanto tramite esso "le esigenze della conservazione di una concorrenza efficace, possono venir conciliate con la tutela di finalità di natura diversa"

848 Sentenza del Tribunale di primo grado (Quarta Sezione ampliata) dell'11 dicembre

2001, David Petrie, cit. a nota 846, § 34. 849 Sentenza della Corte del 13 febbraio 1969, Walt Wilhelm e altri contro

Bundeskartellamt, causa 14/68, Raccolta della giurisprudenza, 1969, p. 1, § 5. Inoltre, la Corte di giustizia ha sostenuto nella sent. Ahmed Saeed che "la politica di concorrenza [comunitaria] viene elaborata mediante le scelte operate dalle istituzioni competenti, in forza delle norme di applicazione adottate sulla base dell'art. [83] TCE, per concedere o rifiutare" le esenzioni di cui all'art. [81](3) TCE; Sentenza della Corte dell'11 aprile 1989, Ahmed Saeed Flugreisen, cit. a nota 271, § 63.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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850 (corsivo aggiunto). La Corte di giustizia riconosce espressamente, in capo agli organi che applicano tale norma (Commissione ed eventualmente Autorità nazionali), una discrezionalità che contrasta con l'"effetto diretto" e quindi l'applicabilità della norma da parte dei giudici nazionali.

Con riferimento al terzo aspetto, la costante giurisprudenza della Corte di giustizia ha sostenuto che, al fine di definire il contenuto dell'art. 81(3) TCE, sono necessarie complesse valutazioni di carattere economico 851. Proprio in considerazione di tali valutazioni, la Corte di

giustizia ha sostenuto che essa stessa non può entrare nel merito della

decisione della Commissione 852, riconoscendo quindi — nuovamente — la mancanza della relativa determinatezza della norma.

850 Sentenza della Corte del 25 ottobre 1977, Metro, cit. a nota 322, § 21. 851 Tra le tante, Sentenza della Corte del 13 luglio 1966, Consten e Grundig, cit. a nota

677, p. 501; Sentenza della Corte del 28 febbraio 1991, Stergios Delimitis, cit. a nota 257, § 44. 852 Sentenza del Tribunale di primo grado (Quinta Sezione) del 26 ottobre 2000, Asia

Motor France SA, Jean - Michel Cesbron, Monin Automobiles SA e Europe auto service SA

contro Commissione delle Comunità europee, causa T-154/98, Raccolta della giurisprudenza, 2000, p. II - 3453; Sentenza del Tribunale di primo grado (Terza Sezione ampliata) del 15 settembre 1998, Breda Fucine Meridionali SpA (BFM) e Ente partecipazioni e finanziamento industria manifatturiera (EFIM) contro Commissione delle Comunità europee, cause riunite T-126/96 e C-127/96, Raccolta della giurisprudenza, 1998, p. II - 3437; Sentenza della Corte (sesta sezione) del 17 novembre 1987, British American Tobacco Company Ltd E R. J.

Reynolds Industries, INC. contro Commissione delle Comunità europee, cause riunite 142 e 156/84, Raccolta della giurisprudenza, 1987, p. 4487, § 62; Sentenza del Tribunale di primo grado (Quinta Sezione ampliata) del 13 giugno 2000, EPAC - Empresa para a

Agroalimentação e Cereais, SA contro Commissione delle Comunità europee, cause riunite T-204/97 e T-270/97, Raccolta della giurisprudenza, 2000, p. II - 2267; Sentenza del Tribunale di primo grado (Seconda Sezione ampliata) del 15 dicembre 1999, Freistaat Sachsen,

Volkswagen AG e Volkswagen Sachsen GmbH contro Commissione delle Comunità europee, cause riunite T-132/96 e T-143/96, Raccolta della giurisprudenza, 1999 p. II - 3663; Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 28 maggio 1998, John Deere Ltd contro Commissione delle

Comunità europee, causa C-7/95 P, Raccolta della giurisprudenza, 1998, p. I - 3111; Sentenza del Tribunale di primo grado (Quarta Sezione ampliata) del 4 aprile 2001, Regione Friuli

Venezia Giulia contro Commissione delle Comunità europee, causa T-288/97, Raccolta della

giurisprudenza, 2001, p. II - 1169; Sentenza del Tribunale di primo grado (Quarta Sezione ampliata) del 22 ottobre 1997, Stichting Certificatie Kraanverhuurbedrijf (SCK) e Federatie

van Nederlandse Kraanbedrijven (FNK) contro Commissione delle Comunità europee, cause riunite T-213/95 e T-18/96, Raccolta della giurisprudenza, 1997 p. II - 1739.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

457

151. (segue) La distinzione tra l'art. 81(1) e l'art. 81(3) TCE: la distinzione

tra interpretazione e discrezionalità. L'interpretazione storica dell'art.

81(3) TCE.

Per comprendere la distinzione tra l'art. 81(1) TCE, norma avente

"effetto diretto", e l'art. 81(3) TCE, norma non avente effetto diretto, è utile fare riferimento alla distinzione tra "interpretazione" e "discrezionalità". Secondo tale distinzione si può sostenere che l'art. 81(1) TCE — in considerazione del relativo testo — è una norma che richiede "interpretazione" in quanto la norma "statuisce essa stessa che

cosa esige l'interesse pubblico" 853. Al contrario, l'art. 81(3) TCE — sempre in considerazione del testo della disposizione — è norma che richiede "discrezionalità" nell'applicazione. Infatti, l'Autorità è chiamata a porre in essere "una valutazione di opportunità" scegliendo "fra più linee di condotta possibili (ossia fra più scopi immediati dell'azione), quella che meglio risponde all'esigenza indefinita dell'interesse pubblico, e così a foggiare la massima della decisione fra più massime disgiuntivamente proponibili" 854. Quindi, se "l'apprezzamento interpretativo ha la sua

853 E cioè, l'interpretazione si ha quando "la legge statuisce essa stessa che cosa esige l'interesse pubblico. In questo modo (…) l'interprete trova già scontata la valutazione di questo interesse e già operata dalla legge la decisione del conflitto fra gli interessi in giuoco, trova, a dir così, già fissata l'opzione fra le varie possibilità: onde l'apprezzamento

interpretativo è subordinato e vincolato" (EMILIO BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, Giuffrè, 1949, 64 — corsivo aggiunto). "Per quanto elastico possa essere il criterio extragiuridico al quale la norma rinvia (…) l'idea di legge è che esista oggettivamente un criterio ben definito, e che il giudice-interprete non abbia se non a scoprirlo, senza poter sostituire a tale ricerca un mero apprezzamento discrezionale" (ibidem, 65).

E continua l'Autore con riferimento alla discrezionalità che "per contro, colà dove la legge non decide essa stessa, ma si rimette alla determinazione discrezionale del potere esecutivo, ivi a questo è rimessa la decisione entro i confini segnati: vale a dire, l'organo di questo potere è chiamato a fissare da sé la massima del proprio operare. Salva sempre l'osservanza delle finalità generali della società e dello Stato, la discrezionalità importa, da parte dell'autorità, una valutazione non vincolata, ma autonoma, degli interessi concorrenti nel caso in questione e una conseguente libertà di scelta, secondo un criterio di opportunità, fra più soluzioni possibili, rispondenti del pari all'esigenza dell'interesse pubblico: essa importa, pertanto, una libertà di scelta fra più massime del proprio comportamento (provvedimento), ossia fra più scopi immediati della concreta azione" (ibidem, 64 - corsivo aggiunto)

854 Al contrario, la "discrezionalità importa, da parte dell'autorità, una valutazione non

vincolata, ma autonoma" (ibidem, 64 - corsivo aggiunto). Infatti, "mancando una valutazione legislativa insita in una norma di carattere univoco, è rimessa all'autorità la valutazione di

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

458

sede per eccellenza nell'attività giurisdizionale" (corsivo aggiunto) 855, "la discrezionalità ha la sua sede naturale nell'attività amministrativa" (corsivo aggiunto) 856.

A ben vedere, che l'art. 81(3) TCE sia una norma che — secondo le categorie comunitarie — richiede per "la sua attuazione (…) l'intervento di ulteriori provvedimenti [da adottare] con un potere discrezionale" 857 — e quindi non sia norma avente "effetto diretto" — è chiarito non solo dalla giurisprudenza richiamata supra § 150, ma dalle stesse origini storiche dell'art. 81(3) TCE.

Come supra ricordato, il testo dell'art. 81(3) TCE è mutuato dalle norme francesi degli artt. 59 bis e ter decreto 9 agosto 1953 (v. supra § 23). Tali disposizioni, com'è noto, si fondavano sul presupposto dell'esistenza di "intese buone" e "intese cattive". Affinché fosse possibile comprendere se una intesa fosse stata buona o cattiva era quindi necessaria una "ponderazione" tra elementi "buoni" ed eventuali elementi "cattivi" dell'accordo. Tale valutazione — nell'ordinamento francese — era posta in essere dai giudici stessi 858.

La necessità di operare una ponderazione tra elementi buoni e cattivi dell'intesa è rimasta presente anche nel testo del divieto di intese anticoncorrenziali del TCE: infatti, mentre l'art. 81(1) TCE è norma chiara, incondizionata e determinata, l'art. 81(3) TCE è norma che presenta la necessità di ponderazione (rectius discrezionalità) nella sua definizione e che richiede, quindi, la "discrezionalità" anche dell'organo che applica tale norma 859 (discrezionalità di cui sono titolari la

ciò che esige nel caso concreto l'interesse pubblico: e questa è essenzialmente una valutazione di opportunità chiamata a scegliere, fra più linee di condotta possibili (ossia fra più scopi immediati dell'azione), quella che meglio risponde all'esigenza indefinita dell'interesse pubblico, e così a foggiare la massima della decisione fra più massime disgiuntivamente proponibili" (ibidem, p. 66).

855 EMILIO BETTI, Interpretazione, cit., 67. 856 EMILIO BETTI, Interpretazione, cit., 67. 857 Sentenza del Tribunale di primo grado (Quarta Sezione ampliata) dell'11 dicembre

2001, David Petrie, cit. a nota 846, § 34. V., ovviamente, Sentenza della Corte del 5 febbraio 1963, Van Gend En Loos, cit. a nota 281, p. 3.

858 V. CHARLEY DEL MARMOL, Les Ententes industrielle, cit. a nota 86, 86. 859 La difficoltà di interpretazione dell'art. 81(3) TCE è anche uno dei motivi che ha

determinato la nascita delle cd. "lettere di orientamento"; v. supra nel § relativo alle lettere di orientamento.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

459

Commissione e le Autorità nazionali, ma non le giurisdizioni nazionali) 860.

860 La Comunicazione sull'applicazione dell'art. 81(3) TCE, nel presentare le linee

direttive sull'applicazione dell'art. 81(3), pone al lettore il fondato dubbio riguardo a come i giudici possano applicare l'art. 81(3) TCE rispettando il principio secondo il quale essi applicano norme aventi "effetto diretto" (cioè norme chiare, non condizionate e determinate nel contenuto). Parimenti, leggendo tale Comunicazione è difficile sostenere che i privati abbiano la possibilità di definire il contenuto del divieto a cui essi sono sottoposti prima della valutazione della Commissione. Cfr. infatti i seguenti estratti della Comunicazione: - "75. (…) Le parti devono limitarsi a spiegare e dimostrare per quali ragioni tali alternative apparentemente realistiche e sensibilmente meno restrittive dell'accordo sarebbero state molto meno efficienti";

- "85. Il concetto di «congrua parte» implica che il trasferimento dei benefici deve almeno compensare gli utilizzatori degli effetti negativi, effettivi o possibili, determinati nei loro confronti dalla restrizione della concorrenza constatata ai sensi dell'articolo 81, paragrafo 1. In linea con l'obiettivo generale dell'articolo 81, che è quello di impedire accordi anticoncorrenziali, l'effetto netto dell'accordo deve almeno essere neutro dal punto di

vista di quei consumatori che, direttamente o indirettamente, subiscono gli effetti dell'accordo. (…) Gli effetti positivi di un accordo devono essere confrontati con gli effetti negativi sugli

utilizzatori e devono almeno compensare tali effetti negativi"; - "86. Non è necessario che agli utilizzatori sia riservata una parte di tutti i singoli

incrementi di efficienza individuati in base alla prima condizione, è sufficiente che vengano

loro trasferiti benefici tali da compensare gli effetti negativi dell'accordo restrittivo"; - "87. L'elemento decisivo è l'impatto sugli utilizzatori dei prodotti sul mercato

rilevante considerati globalmente e non l'impatto su singoli membri di questo gruppo di utilizzatori. In alcuni casi, può essere necessario un certo periodo di tempo perché gli incrementi

di efficienza si concretizzino. (…) Tuttavia, maggiore è il lasso di tempo che intercorre, maggiori dovranno essere gli incrementi di efficienza richiesti per compensare la perdita subita dagli utilizzatori durante il periodo precedente il trasferimento";

- "88. Nell'effettuare questa valutazione si deve tenere conto del fatto che il valore di

benefici futuri e di benefici presenti per gli utilizzatori non è lo stesso. (…) Al fine di permettere un raffronto corretto delle perdite presenti e dei benefici futuri per gli utilizzatori, il valore

dei benefici futuri deve essere attualizzato. Il tasso di sconto applicato deve riflettere il tasso dell'eventuale inflazione e gli interessi persi come indicazione del valore minore dei benefici futuri";

- "94. Nell'applicazione dei principi illustrati di seguito, la Commissione terrà conto del

fatto che in molti casi è difficile calcolare accuratamente il tasso di trasferimento degli incrementi di efficienza agli utilizzatori. Le imprese sono soltanto tenute a documentare le loro affermazioni

fornendo stime ed altri dati per quanto ragionevolmente possibile tenuto conto delle circostanze

del caso specifico"; - "103. Una simile valutazione richiede sempre un giudizio in termini di valore. È

difficile attribuire un valore preciso ad incrementi di efficienza dinamici di questa natura" (corsivo aggiunto).

La Commissione dimentica che se i giudici non applicavano in regime del reg. 17/62 l'art. 81(3) TCE, ciò non era dovuto alla competenza esclusiva della Commissione ex art. 9(1) reg. 17/62. Infatti, l'art. 9(1) reg. 17/62 aveva effetto esclusivamente sulla competenza delle Autorità nazionali. Le giurisdizioni nazionali non applicavano l'art. 81(3) TCE in quanto norma non avente effetto diretto. V. anche la giurisprudenza riportata supra a nota 535.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

460

Il fatto che in Francia una norma similare all'art. 81(3) TCE era applicata dai giudici, e che l'art. 81(3) TCE al contrario non sia applicabile dalle giurisdizioni nazionali è conseguenza delle differenze dei due ordinamenti; in particolare, ciò è determinato da uno degli elementi caratterizzanti il Trattato CE, cioè il principio dell'"effetto diretto" del diritto CE (vale a dire, la possibilità che un Trattato internazionale imponga — in determinati casi — obblighi direttamente ai singoli — v. supra).

152. (segue) L'(illegittimo) "effetto diretto" dell'art. 81(3) TCE e la tutela

dei singoli.

Il fatto che l'art. 6 reg. 1/03 imponga l'applicazione dell'art. 81(3)

TCE da parte delle giurisdizioni nazionali come se fosse una norma avente "effetto diretto" — anche se per il tramite di una (illegittima) norma emanata ai sensi di un regolamento ex art. 83 TCE — determina due rilevanti conseguenze negative nei confronti dei singoli: 1. la (illegittima) prevalenza della tutela del funzionamento del sistema antitrust CE rispetto alla tutela dei singoli; 2. l'(illegittimo) risarcimento da parte dei singoli della violazione di una norma la quale — nei fatti — non presenta le caratteristiche di norma chiara, incondizionata e determinata nel contenuto — cioè le caratteristiche delle norme aventi "effetto diretto" —.

In primo luogo, l'art. 6 reg. 1/03 impone — ai sensi di un regolamento ex art. 83 TCE — in capo ai singoli un divieto — costituito dal combinato disposto dell'art. 81(1) e dell'art. 81(3) TCE — sebbene esso non presenti i caratteri dell'effetto diretto. Imporre ai singoli (persone fisiche o giuridiche, non rileva) quale obbligo avente "effetto diretto" una norma che non presenta tali caratteristiche al fine — in ultima istanza — di ridurre il carico di lavoro della Commissione (cfr. considerando 3 reg. 1/03), è in contraddizione con quanto si legge nelle parole del Preambolo della "Carta dei diritti fondamentali dell'Unione", carta che costituisce la seconda parte del Trattato costituzionale. In esso si legge che "l'Unione […] pone la persona al centro della sua azione".

Orbene, nella previsione dell'art. 6 reg. 1/03 appare (al contrario) che l'Unione, piuttosto che la persona, ponga al centro della sua azione

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

461

la necessità di decentramento dell'applicazione dell'art. 81(3) TCE anche nei confronti delle giurisdizioni nazionali. Infatti, la scelta contenuta nell'art. 6 reg. 1/03 evidentemente pregiudica la posizione dei

singoli a favore di un presunto migliore funzionamento dell'ordinamento

CE — cioè l'applicazione decentrata da parte delle giurisdizioni nazionali dell'art. 81(3) TCE —. Infatti i singoli, ai sensi dell'art. 6 reg. 1/03, sono obbligati da una norma (il combinato disposto degli artt. 81(1) e 81(3) TCE) come se essa avesse "effetto diretto" — e con tutte le conseguenze relative all'eventuale risarcimento del danno per violazione dell'art. 81 TCE 861 — ancorché essa non presenti un contenuto determinato (addirittura ad avviso della Commissione per l'applicazione di tale norma i singoli devono porre in essere la cd. "autovalutazione" 862). In altre parole, l'art. 6 reg. 1/03 impone ai singoli un divieto di cui essi stessi non possono autonomamente valutare "l'estensione", ma per la cui violazione essi debbono risarcire il danno 863.

Ciò detto, deve essere qui sottolineato che la Corte di giustizia — in contrasto a simili impostazioni che pongono maggiore rilevanza alla tutela

del funzionamento dell'ordinamento CE rispetto alla tutela dei singoli (rectius rispetto al principio secondo cui l'Unione pone la persona al centro della sua azione) — ha recentemente confermato nella sentenza CIF una opposta sensibilità, sensibilità più in linea anche con quanto richiamato nel Trattato costituzionale 864. Nella sentenza CIF — e nella

861 Sentenza della Corte del 20 settembre 2001, Courage, cit. a nota 298, §§ 26 e 27. 862 Cfr. Comunicazione sulle lettere di orientamento, § 4. 863 Con riferimento al "Libro bianco" v. la dura critica di Basedow J.: "Dans sa

substance, le projet révèle que la perspective de ses auteurs est celle de bureaucrates s'intéressant

plutôt á l'efficacité de leur institution qu'a la mise en œuvre efficace du droit communautaire dans l'intérêt général", BASEDOW JÜRGEN, La renationalisation du droit communautaire de la

concurrence, in Revue Des Affaires Européennes, 2001, p. 92, 100 (corsivo aggiunto). 864 Sentenza della Corte del 9 settembre 2003, CIF, cit. a nota 442. La Corte di giustizia

ha infatti rigettato l'impostazione secondo cui a fronte di una norma nazionale illegittima per violazione del combinato disposto degli artt. 10 e 81 TCE, i singoli dovrebbero disapplicare tale normativa a prescindere da una presa di posizione di un giudice o di altra Autorità nazionale. La Corte di giustizia ha sostenuto che l'obbligo di disapplicazione da parte dei singoli di una normativa nazionale in violazione del combinato disposto degli artt. 10 e 81 TCE sorge solo nel momento in cui un organo pubblico — nel caso di specie, un'Autorità nazionale antitrust — abbia precedentemente accertato tale illegittimità (ibidem, §§ 53 e 54).

Al contrario la Commissione, nella Sentenza della Corte dell'11 novembre 1997, Commissione delle Comunità europee e Repubblica francese contro Ladbroke Racing Ltd, cause riunite C-359/95 P e C-379/95 P, Raccolta della giurisprudenza, 1997, p. I - 6265, aveva

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

462

precedente giurisprudenza — la Corte di giustizia, al fine di tutelare la posizione del singolo rispetto alla tutela di un efficace funzionamento dell'ordinamento CE, non solo ha rigettato le precedenti decisioni della Commissione ma ha anche annullato precedenti sentenze del Tribunale di primo grado 865.

153. (segue) L'art. 81(3) TCE quale norma avente effetto diretto e le

negative conseguenze sui singoli riguardo al risarcimento dei danni per

violazione dell'art. 81 TCE. La "riforma" dell'art. 6 reg. 1/03 come

funzionale alla prevalenza della tutela del funzionamento del sistema

antitrust CE rispetto alla tutela dei singoli.

Tramite l'(illegittima) "trasformazione" dell'art. 81(3) TCE in

norma avente "effetto diretto" 866, l'art. 6 reg. 1/03 determina in secondo

luogo (oltre alla prevalenza della tutela del funzionamento del sistema

sostenuto: "La Commissione ritiene che l'art. [81] rimanga applicabile al comportamento delle imprese malgrado l'esistenza di obblighi di legge nazionali, a prescindere dall'eventuale applicazione, rispetto ai detti provvedimenti statali, degli artt. 3 lett. g, [10], [81] del Trattato. La Commissione ritiene infatti che un'impresa potrebbe e dovrebbe, in forza della preminenza del diritto comunitario e dell'effetto diretto degli artt. [81], n. 1, e [82] del

Trattato, rifiutare di conformarsi a un provvedimento statale che imponga un comportamento

contrastante con tali disposizioni" (ibidem, § 20, corsivo aggiunto). Tale contraria impostazione della Commissione — in conseguenza del principio dell'obbligo di prevalenza del diritto CE — avrebbe posto "sulle spalle" dei singoli — se ciò non fosse stato modificato dalla

sentenza CIF — il rischio di dover disapplicare autonomamente una (presunta) norma nazionale illegittima, (presunta) illegittimità che è conseguenza — e questo è l'aspetto qui rilevante — non del comportamento del singolo ma della violazione dello Stato membro del diritto CE.

Parimenti, ai sensi dell'art. 6 reg. 1/03, il Consiglio (ma a ben vedere la Commissione stessa) "carica sulle spalle"del singolo il rischio di adempiere ad un obbligo non determinato — ma obbligandolo ad agire come se esso fosse determinato — non in conseguenza della

responsabilità o incapacità del singolo. 865 L'art. 6 reg. 1/03 determina il principio secondo cui l'effetto diretto di una norma —

norma diretta nei confronti dei privati — non è la conseguenza del relativo testo e dell'interpretazione datane dalla Corte di giustizia. Diversamente, l'effetto diretto della norma è conseguenza della volontà degli Stati membri.

866 Il comportamento degli organi comunitari con riferimento alla volontà di riconoscere l'effetto diretto ad una norma che effetto diretto non ha, ricorda il racconto di quel Cardinale il quale, il giorno di Venerdì santo, avendo desiderio di mangiare carne si fece portare una bistecca. A fronte dell'avvertimento che il giorno di Venerdì santo ciò non era consentito, il Cardinale, dopo essersi fatto mettere davanti a sé la pietanza, benedicendola disse: "Ego te baptizo piscem", e mangiò! La Commissione e il Consiglio, in modo non molto differente, hanno trasformato una disposizione da norma non avente effetto diretto, a norma avente (presunto) effetto diretto.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

463

antitrust CE rispetto alla tutela dei singoli, v. supra § 152), una ulteriore conseguenza nei confronti dei privati; in particolare, riguardo al risarcimento del danno per violazione del diritto CE.

Come accennato supra, la violazione di una norma CE che attribuisca un diritto ad un singolo, sia che tale norma abbia "effetto diretto" (cioè sia applicabile direttamente dalle giurisdizioni nazionali) o meno, determina — in presenza di specifici requisiti — l'obbligo di risarcimento dei danni procurati da tale violazione (sia che la violazione venga causata dagli organi della CE, dagli Stati membri o dai singoli) 867. Con riferimento a questa ultima ipotesi, il risarcimento per danni causati dalla violazione di un diritto soggettivo "comunitario" da parte di altri soggetti privati richiede la presenza di un requisito non necessario nel caso di danni procurati dalla violazione del diritto CE da parte degli Stati membri: cioè l'"effetto diretto" della norma violata. Infatti, intanto esiste un diritto soggettivo "comunitario" la cui violazione può essere tutelata nei confronti dei privati, in quanto esista

867 Affinché vi sia tale obbligo di risarcimento la giurisprudenza comunitaria ha

previsto l'esistenza di tre elementi: 1. la violazione di una norma che attribuisce un diritto; 2. la violazione sia grave e manifesta (in particolare una violazione può essere grave e manifesta dopo la valutazione "del grado di chiarezza e di precisione della norma violata; del carattere intenzionale o involontario; della trasgressione commessa; o del danno causato; la scusabilità o inescusabilità di un eventuale errore di diritto; la circostanza che i comportamenti adottati da un'istituzione comunitaria abbiano potuto concorrere all'adozione o al mantenimento in vigore di provvedimenti o di prassi nazionali in contrasto col diritto comunitario"); 3. il nesso di causalità tra violazione della norma e danno subito dal soggetto; cfr. Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 28 giugno 2001, Gervais Larsy

contro Institut national d'assurances sociales pour travailleurs indépendants (INASTI), causa C-118/00, Raccolta della giurisprudenza, 2001 p. I - 5063. La giurisprudenza relativa al risarcimento dei danni derivanti da violazione del diritto comunitario si riferisce ovviamente ad ogni caso in cui un soggetto abbia violato un diritto soggettivo riconosciuto dall'ordinamento CE. Non ostante il principio sia nato e applicato quasi unicamente con riferimento alla violazione del diritto CE posto in essere dagli Stati membri nei confronti dei singoli, questo ovviamente non esclude che tale principio sia applicabile anche nel caso della violazione da parte di un privato di un diritto soggettivo riconosciuto ad un altro privato. Infatti, come infra ricordato, un diritto soggettivo CE è riconosciuto non solo nell'ipotesi in cui una norma del TCE lo preveda espressamente. La giurisprudenza ha sostenuto che un diritto soggettivo CE sia conferito anche come "contropartita" di un obbligo chiaro e determinato verso un soggetto. Questo è il caso degli artt. 81(1) e 82 TCE. Dall'esistenza dell'obbligo chiaro e determinato nei confronti dei singoli di non violare gli artt. 81 e 82 TCE, consegue il diritto di risarcimento nei confronti degli altri privati a cui tale norma attribuisce un diritto soggettivo. Tale conclusione riguardo agli artt. 81 e 82 TCE, che dal punto di vista di teoria generale trova le sue radici nella sent. Francovich e costituisce una naturale conseguenza di questa, è stata riconosciuta espressamente dalla Corte di giustizia nella Sentenza della Corte del 20 settembre 2001, Courage, cit. a nota 298.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

464

un obbligo chiaro, preciso e determinato (in altre parole, un obbligo avente "effetto diretto") verso altri privati 868.

Con riferimento all'effetto diretto delle norme antitrust CE, mentre non sorgono dubbi sulla configurabilità dell'art. 82 TCE quale norma avente effetto diretto 869, con riferimento all'art. 81 TCE la valutazione è più complessa. Infatti, come supra sottolineato, solo l'art. 81(1) TCE è norma avente effetto diretto, mentre l'art. 81(3) TCE non lo è essendo carente dell'elemento della determinatezza (v. supra § 150). L'art. 81 TCE ha "effetto diretto" in due ipotesi: 1. nel caso in cui l'intesa sia vietata direttamente dall'art. 81(1) TCE e questa non presenti chiaramente i requisiti per ottenere l'esenzione ai sensi dell'art. 81(3) TCE; 2. successivamente ad una decisione nella quale gli organi competenti abbiano operato sulla specifica intesa "le complesse

valutazioni economiche" relative all'applicazione dell'art. 81(3) TCE. In altre parole, in questa seconda ipotesi, le giurisdizioni nazionali possono applicare l'art. 81(3) TCE solo dopo che il contenuto di esso sia stato "determinato" dagli organi a questo competenti (e che dispongono della richiesta discrezionalità), cioè la Commissione ed eventualmente le Autorità antitrust nazionali.

Chiarito questo, il fatto che il Consiglio abbia previsto che l'art. 81(3) TCE sia applicato direttamente dalle giurisdizioni nazionali come se fosse norma avente "effetto diretto", impone ai singoli l'obbligo di risarcimento del danno per la violazione di una norma il cui contenuto non è "determinato" o — nel caso la Commissione o le Autorità nazionali pervengano successivamente ad una applicazione dell'art. 81(3) TCE — il risarcimento è dovuto per un periodo di tempo in cui la "determinatezza" dell'obbligo violato non era valutabile dai singoli.

868 Intanto è possibile prevedere in capo a dei soggetti un obbligo che possa essere

applicato direttamente dalle giurisdizioni nazionali, in quanto tale obbligo sia chiaro (e quindi permetta al soggetto di essere cosciente dell'obbligo e, poi, conformarsi ad esso). Se il soggetto, a fronte di una norma comunitaria, può conoscere in modo determinato quello che debba essere il proprio comportamento, tale norma non può costituire per esso un obbligo chiaro e avente effetto diretto. Da questo principio generale sorge il dubbio sulla correttezza del concetto di "autovalutazione" utilizzato dalla Commissione nella Comunicazione sulle lettere di orientamento, v. supra § 98.

869 La discussione si potrebbe spostare sulla domanda (ormai ipotetica) se nei primi tre anni di esistenza del Trattato CEE — cioè il periodo entro il quale il Consiglio doveva emanare i regolamenti o direttive ex art. 83(1) TCE — tale norma abbia avuto effetto diretto, v. supra relativamente al sistema antitrust disciplinato dal TCE.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

465

Sommessamente notiamo che quanto qui riportato pone in dubbio la correttezza di quanto sostenuto dalla Commissione in sede di proposta del regolamento del 2000. In quell'occasione l'Autorità CE aveva sostenuto che l'applicazione dell'art. 81(3) TCE da parte delle giurisdizioni nazionali avrebbe permesso di "rafforzare la tutela dei diritti soggettivi" contenuti in tale norma. A ben vedere, l'applicazione dell'art. 81(3) TCE come se fosse norma avente "effetto diretto", se permette di contestare (illegittimamente, ex art. 6 reg. 1/03) dinanzi alle giurisdizioni nazionali la violazione del combinato disposto degli artt. 81(1) e 81(3) TCE, determina contemporaneamente la violazione di un principio fondamentale dell'ordinamento CE, cioè il principio dell'effetto diretto. Infatti, l'art. 6 reg. 1/03 impone ai singoli un divieto di cui essi non possono (secondo i principi comunitari) determinare il contenuto, la cui violazione però impone loro il risarcimento dei danni.

Quindi, da una parte, l'art. 6 reg. 1/03 attribuisce (illegittimamente) ai singoli in quanto destinatari del diritto soggettivo di cui all'art. 81 TCE la possibilità di applicare direttamente l'art. 81(3) TCE dinnanzi alle giurisdizioni nazionali (attribuendo una possibilità in più di far valere un diritto soggettivo CE — per altro non necessaria nell'attuale politica di decentramento antitrust CE, v. supra § 146 — ).

Dall'altra, lo stesso art. 6 reg. 1/03 impedisce agli stessi singoli che "acquistano tale facoltà in più" di applicare l'art. 81(3) TCE dinnanzi alla giurisdizioni nazionali — questa volta nel ruolo di soggetti obbligati dal divieto dell'art. 81 TCE — l'applicazione (e la tutela) di un principio fondamentale di diritto CE, il principio dell'"effetto diretto".

Questo dimostra ulteriormente (v. già supra § 152) che la riforma relativa all'art. 81(3) TCE non è tanto finalizzata a favorire i soggetti a cui l'art. 81 TCE riconosce diritti e impone obblighi, cioè i privati; tale riforma è bensì funzionale alla prevalenza della tutela del funzionamento del sistema antitrust CE nel suo complesso rispetto alla tutela dei singoli.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

466

154. (segue) La modifica della giurisprudenza ex art. 81(3) TCE e il

raffronto con la giurisprudenza ex art. 86(2) TCE.

Al fine di sostenere l'legittimità dell'art. 6 reg. 1/03 è stato affermato

che una modifica della giurisprudenza relativa all'art. 81(3) TCE non determinerebbe altro che quanto già accaduto con l'interpretazione dell'art. 86(2) TCE. La Corte di giustizia ha riconosciuto a tale norma — nella sentenza Ahmed Saeed 870 — "l'effetto diretto" dopo che una precedente giurisprudenza aveva escluso tale caratteristica 871.

A ben vedere, con tale tesi 872 si tenta, in primo luogo, un paragone tra due norme sostanzialmente differenti e, in secondo luogo, tale tesi non considera le conseguenze che tale modifica determina per i singoli; in terzo luogo, tale tesi non tiene presente quali organi nei due differenti

casi abbiano modificato l'interpretazione del diritto CE. Riguardo al primo punto, con riferimento alla differenza tra le due

norme (cioè l'impossibilità del raffronto tra di esse), l'art. 81(3) TCE costituisce parte di una disposizione relativa ad un divieto in capo ai

singoli, cioè il divieto di intese anticoncorrenziali tra imprese (l'art. 81 TCE). Diversamente, l'art. 86(2) TCE disciplina una esenzione dalla

violazione del TCE in conseguenza di una normativa statale 873.

870 Come sostenuto dalla Corte di giustizia, "spetta al giudice nazionale valutare se comportamenti contrastanti con l'art. 86 di un'impresa incaricata della gestione di un servizio d'interesse economico generale possano essere giustificati dalle necessità derivanti dai compiti particolari affidati a detta impresa. Da tale giurisprudenza emerge che la Commissione non è investita di una competenza esclusiva per applicare l'art. 86 n. 2 prima frase del Trattato" (Sentenza della Corte dell'11 aprile 1989, Ahmed Saeed Flugreisen, cit. a nota 271, § 53).

871 Per tutte v. Sentenza della Corte del 14 luglio 1971, Pubblico Ministero

Lussemburghese contro Madeleine Muller Vedova J. P. Hein ed altri, causa 10/71, Raccolta della giurisprudenza, 1971, p. 723, 730.

872 Questa è la medesima impostazione che considera (erroneamente) l'applicabilità dell'art. 81(3) TCE da parte delle giurisdizioni nazionali come mero problema di competenza e che "sovrappone" il concetto di applicabilità diretta ex art. 249 TCE dal concetto di applicabilità diretta delle norme CE da parte delle giurisdizioni nazionali (cioè il principio dell'"effetto diretto"), v. infra § 145.

873 L'art. 86(2) TCE è norma che determina per le "imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale" un'eccezione alle norme del TCE nel caso in cui "l'applicazione di tali norme (…) osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto" […] della "specifica missione loro affidata ", e nei limiti in cui lo "sviluppo degli scambi non [sia] compromesso in misura contraria agli interessi della Comunità". L'art. 86(2) TCE è norma che presuppone una misura statale con cui è

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

467

Riguardo al secondo punto, con riferimento ai differenti esiti conseguenti all'attribuire "effetto diretto" all'art. 81(3) TCE e all'art. 86(2) TCE, l'"effetto diretto" dell'art. 81(3) TCE (e quindi l'applicabilità

diretta dell'art. 81(3) TCE da parte delle giurisdizioni nazionali) impone al singolo l'obbligo di risarcimento dei danni per periodi in cui tale obbligo non è valutabile dai singoli stessi nella sua precisa estensione 874.

Al contrario, "l'effetto diretto" dell'art. 86(2) TCE — e la relativa applicabilità da parte delle giurisdizioni nazionali — costituendo un'esenzione dalla violazione del TCE, non impone, diversamente dall'art. 81(3) TCE, un divieto nei confronti di privati da cui può derivare il risarcimento dei danni. Nel caso dell'art. 86(2) TCE, il risarcimento dei danni avrebbe quale fondamento la violazione della norma diretta al singolo (ad es. l'art. 82 TCE), e mai tale norma a cui è stato riconosciuto l'effetto diretto (cioè l'art. 86(2) TCE). La conseguenza dell'"effetto diretto" dell'art. 86(2) TCE consiste, quindi, esclusivamente nella facoltà dei singoli (e delle giurisdizioni nazionali) di valutare direttamente l'esistenza (e l'estensione) di questa deroga a seguito di un comportamento imposto da una norma statale.

Passiamo ora al terzo punto, e cioè al fatto che già l'art. 86(2) TCE aveva ricevuto una interpretazione che escludeva l'"effetto diretto" della norma e, solo successivamente, tale giurisprudenza era stata modificata riconoscendo ad essa l'effetto diretto. A tal fine non può essere infatti dimenticata una differenza centrale in questo cambiamento; e cioè che la modifica della giurisprudenza dell'art. 86(2) TCE è stata conseguenza di una valutazione autonoma della Corte di giustizia, cioè l'organo che interpreta il diritto CE (art. 220 TCE). Nel caso dell'art. 81(3) TCE, al contrario, il riconoscimento dell'"effetto diretto" è conseguenza diretta (o indiretta, v. infra note a piè di p. 878 e 879) di un

attribuito ad un'impresa pubblica o privata un compito, i cui atti di esecuzione (eventualmente in violazione del diritto CE) sono necessari all'attuazione del compito e possono essere "scriminati" dalla relativa illegittimità.

874 V. supra la posizione di Mestmäcker il quale con riferimento all'art. 86(2) TCE sostiene che la competenza esclusiva sia finalizzata a ridurre la discrezionalità degli organi — non è un caso che egli ponga un vincolo stretto tra il ruolo dell'art. 81(3) TCE nel regime del reg. 17/62 e dell'art. 86(2) TCE —. Ci permettiamo sommessamente di notare che in questo modo tale dottrina, in modo coerente con l'impostazione di fondo della scuola ordoliberale — che indicava quale necessità il limitare la discrezionalità dello Stato nelle scelte di carattere economico — sottovaluta le rilevanti differenze tra le due norme. V. supra nel presente §.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

468

provvedimento del Consiglio, cioè l'organo di rappresentanza degli Stati membri (per le conseguenze di questo sulla natura dell'ordinamento CE, v. infra § 155).

155. (segue) L'eventuale riconoscimento da parte della Corte di giustizia

dell'"effetto diretto" dell'art. 81(3) TCE e la conseguente necessaria

modifica di cinque distinti filoni giurisprudenziali. Il rapporto tra

natura dell'ordinamento CE e modifica da parte della Corte di giustizia

della giurisprudenza relativa all'art. 81(3) TCE.

Non ostante quanto qui sostenuto, nulla esclude (ovviamente) che la

Corte di giustizia modifichi la propria giurisprudenza relativa alla mancanza di effetto diretto dell'art. 81(3) TCE. Anzi, la formulazione dell'art. 6 reg. 1/03 — formulazione differente rispetto a quella dell'art. 6 della proposta di regolamento — così come la modifica della rubrica dell'art. 1 reg. 1/03 875, rende meno "complesso" per la Corte di giustizia l'eventuale modifica della propria giurisprudenza (sostenendo quindi l'esistenza dell'"effetto diretto" dell'art. 81(3) TCE).

Infatti, l'art. 6 della proposta di regolamento prevedeva che "le giurisdizioni nazionali (…) sono (…) competenti ad applicare l'articolo 81, paragrafo 3" reg. 1/03. Una simile norma avrebbe reso difficile la modifica della giurisprudenza della Corte di giustizia senza attribuire il fatto alla previsione del regolamento (rectius alla decisione del Consiglio). Differentemente l'art. 6 reg. 1/03 prevede che "le giurisdizioni nazionali sono competenti ad applicare gli articoli 81 e 82 del Trattato". Un'eventuale modifica della giurisprudenza della Corte, con riferimento all'"effetto diretto" dell'art. 81(3) TCE, non richiederebbe nessuna modifica di tale articolo e, inoltre, eliminerebbe qualunque collegamento tra modifica della giurisprudenza e "imposizione" prevista dal reg. 1/03.

Come supra ricordato, una simile modifica d'interpretazione da parte della Corte di giustizia significherebbe però modificare non uno, ma tre distinti (e costanti) filoni giurisprudenziali relativi alla carenza

875 Infatti, la rubrica dell'art. 1 della proposta di regolamento del 2000 — "Applicabilità

diretta" — è stata modificata nella più generica rubrica "Applicazione degli articoli 81 e 82 del

Trattato", art. 1 reg. 1/03.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

469

di effetto diretto dell'art. 81(3) TCE (v. supra § 150) e, ugualmente, non risolverebbe l'illegittimità dell'art. 6 reg. 1/03 per violazione dell'art. 83 TCE (a ben vedere la Corte dovrebbe modificare — sotto differente profilo — anche un quarto filone giurisprudenziale, quello che esclude che le giurisdizioni nazionali siano organi che "elaborano la politica di concorrenza", v. supra § 148, ed un quinto relativo alla non applicabilità dell'art. 81(3) TCE da parte dei giudici non essendo questa una norma avente "effetto diretto", v. supra nota 535).

Inoltre, la modifica della giurisprudenza relativa all'art. 81(3) TCE — attribuendo (illegittimamente) alle giurisdizioni nazionali la competenza ad applicare l'art. 81(3) TCE — farebbe "saltare" uno dei principi "fondanti" dell'"effetto diretto" stesso: infatti, secondo la giurisprudenza CE, l'"effetto diretto" delle norme CE è conseguenza della formulazione della norma stessa 876. Il reg. 1/03 prevede invece che l'effetto diretto di una norma (l'art. 81(3) TCE) sia conseguenza diretta 877

(o indiretta 878) della volontà del Consiglio CE (rectius dalla volontà degli

Stati membri) espressa in un regolamento. In questo modo tale norma rischia pericolosamente di incrinare un principio cardine dell'ordinamento CE; e cioè che "gli Stati membri sono i Signori [dei Trattati] riguardo alla modifica delle basi costituzionali della Comunità; ma essi non sono i Signori dei Trattati riguardo

876 Infatti, sin dalla sentenza van Gend en Loos (Sentenza della Corte del 5 febbraio

1963, Van Gend En Loos, cit. a nota 281) e come infra citato, "i criteri che consentono di decidere se una disposizione del Trattato sia direttamente applicabile [dai giudici nazionali] sono quelli secondo cui la norma deve essere chiara, deve essere incondizionata" e determinata nel contenuto (Sentenza del Tribunale di primo grado (Quarta Sezione ampliata) dell'11 dicembre 2001, David Petrie, cit. a nota 846, § 34 - corsivo aggiunto).

877 Cfr. la Comunicazione sulle denunce, la quale prevede che tale regolamento,

"nell'estendere alle giurisdizioni nazionali il potere di applicare l'articolo 81, paragrafo 3, (…) esclude la possibilità che le imprese ritardino un procedimento giudiziario a livello nazionale mediante una notifica alla Commissione ed elimina quindi un ostacolo ad un'azione di diritto privato che era presente nel regime del regolamento n. 17" (ibidem, § 14, corsivo aggiunto). V. supra il tentativo della Commissione di risolvere il problema delle "notifiche dilatorie" nella vigenza del reg. 17/62.

878 E questo nel caso in cui la Corte di giustizia modificasse la propria giurisprudenza. Infatti, che l'applicabilità dell'art. 81(3) TCE sia conseguenza non della giurisprudenza della Corte di giustizia ma dell'effetto del regolamento è chiarito dal già citato considerando 4 reg. 1/03, il quale prevede che "le giurisdizioni degli Stati membri [sono] competenti non solo ad applicare l'articolo 81, paragrafo 1 e l'articolo 82 del Trattato, direttamente applicabili

in virtù della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, ma anche l'articolo

81, paragrafo 3, del Trattato" (corsivo aggiunto).

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

470

all'interpretazione e all'applicazione del diritto comunitario vigente" 879. L'art. 6 reg. 1/03 — attraverso la (illegittima) norma di un regolamento — estende il potere degli Stati membri anche alla modifica

dell'interpretazione di una disposizione (e in particolare all'interpretazione dell'art. 81(3) TCE fornita dalla Corte di giustizia in oltre quarant'anni di giurisprudenza) alterando, inoltre, una caratteristica essenziale della natura "sovranazionale" della CE, e cioè l'autonomia dell'interpretazione della Corte di giustizia (anche) dalle "imposizioni" degli Stati membri.

Per concludere, l'art. 6 reg. 1/03, "imponendo" l'applicazione dell'art. 81(3) TCE alle giurisdizioni nazionali, apre un vaso di Pandora relativamente al principio dell'effetto diretto e dei suoi elementi costitutivi (così come relativamente all'autonomia della Corte di giustizia nell'interpretazione del diritto CE). Si tratta di una scelta (illegittima 880) di cui adesso è comprensibile il motivo, ma le cui conseguenze ultime — con riferimento alla natura dell'ordinamento CE e con riferimento ai soggetti che tale ordinamento tutela, cioè i singoli — non sono prevedibili.

156. B) L'esercizio della competenza. Gli obblighi per l'applicazione

uniforme degli artt. 81 e 82 TCE.

879 Dall'originale, "Die Mitgliedsstaaten sind die Herren über die Änderung der

verfassungsmäßigen Grundlagen der Gemeinschaft; aber sie sind nicht die Herren der Verträge in der Auslegung und Anwendung des geltenden Gemeinschaftsrechts", ERNST-JOACHIM MESTMÄCKER, Wirtschaft und Verfassung in der Europäischen Union, Baden-Baden, Nomos Verlagsgesellschaft, 2003, p. 5.

880 Tale illegittimità non presenta effetti sulla funzionalità dell'art. 1/03 nel suo complesso. Infatti, anche la dichiarazione di illegittimità dell'art. 6 reg. 1/03 non determina conseguenze negative — a differenza della contestata violazione dell'art. 1 reg. 1/03 sostenuta dal Mestmäcker — sulla funzionalità del regolamento. Mentre la disciplina della competenza della Commissione e delle Autorità nazionali, così come quella delle modalità di applicazione degli artt. 81 e 82 TCE, non sarebbero modificati, le giurisdizioni nazionali — da parte loro — potrebbero applicare comunque l'art. 81(1) e l'art. 82 TCE. Si verrebbe a ricreare — per le giurisdizioni nazionali — la situazione disciplinata in regime del reg. 17/62. In particolare, per i casi in violazione dell'art. 81(1) TCE in cui non risulta necessario applicare l'art. 81(3) TCE, i giudici possono comunque vietare autonomamente l'accordo. Nel caso in cui vi sia la necessità di valutare l'accordo secondo aspetti relativi all'art. 81(3) TCE, le giurisdizioni nazionali devono chiarire la loro incompetenza o attendere la valutazione della Commissione o delle Autorità nazionali.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

471

Il reg. 1/03 disciplina con riferimento alle giurisdizioni nazionali — così come per le Autorità nazionali — alcuni aspetti relativi all'esercizio della competenza antitrust. L'art. 16(1) reg. 1/03 — così come nella proposta di regolamento del 2000 — detta una norma relativa all'"applicazione uniforme del diritto comunitario in materia di concorrenza" 881. Il contenuto di tale disposizione si fonda sui medesimi principi dell'art. 16(2) reg. 1/03 relativi alle Autorità nazionali; le due norme costituiscono infatti "l'esplicazione" di due principi generali del diritto antitrust CE (v. supra § 108) 882.

L'art. 16(1) reg. 1/03 presenta due ipotesi. L'ipotesi in cui la giurisdizione nazionale pervenga a decisione, rispettivamente, dopo e prima la Commissione sulla medesima fattispecie. Nel primo caso, cioè nell'ipotesi in cui la giurisdizione nazionale decida dopo la Commissione, il giudice è vincolato dalla decisione della Commissione stessa. Infatti, come supra ricordato, una misura nazionale — e in questo caso la sentenza di una giurisdizione nazionale — che applichi gli artt. 81 e 82 TCE non può pervenire ad una conclusione differente rispetto a quella della Commissione — o comunque, in assenza di decisione dell'Autorità CE, differente dalla politica antitrust CE (o, più in generale, della giurisprudenza CE) —. Infatti, è l'Autorità CE che — in conseguenza della competenza esclusiva di orientamento della politica di concorrenza CE (art. 85 TCE) — determina la corretta interpretazione degli artt. 81 e 82 TCE 883.

881 L'art. 16(1) reg. 1/03 prevede che "quando le giurisdizioni nazionali si pronunciano

su accordi, decisioni e pratiche ai sensi dell'articolo 81 o 82 del Trattato che sono già oggetto di una decisione della Commissione, non possono prendere decisioni che siano in contrasto con la decisione adottata dalla Commissione. Esse devono inoltre evitare decisioni in contrasto con una decisione contemplata dalla Commissione in procedimenti da essa avviati. A tal fine le giurisdizioni nazionali possono valutare se sia necessario o meno sospendere i procedimenti da esse avviati. Tale obbligo lascia impregiudicati i diritti e gli obblighi di cui all'articolo 234 del Trattato".

882 La circolarità del principio espresso dall'art. 16(1) reg. 1/03 (che può riassumersi con il principio "le giurisdizioni nazionali non devono violare il diritto CE") è talmente evidente (ma parimenti utile per gli operatori del diritto) che l'eventuale conseguenza della violazione dell'art. 16(2) reg. 1/03 consiste nient'altro che nella violazione da parte dei giudici nazionali (rectius del relativo Stato membro) del diritto CE.

883 V. il commento dell'Autorità antitrust italiana relativa al cd. modernisation package riportata nel sito Internet della Commissione. L'Autorità antitrust italiana ha infatti sostenuto che "in particular (…) the reference to the recent ECJ judgment on CIF, point 49 (see footnote 15) may be interpreted as applicable in case of conflicting decisions, while that

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

472

Nel secondo caso, cioè nell'ipotesi in cui la giurisdizione nazionale decida una fattispecie già oggetto di istruttoria della Commissione ma non di un provvedimento finale dell'Autorità CE, la giurisdizione nazionale "dev[e] (…) evitare decisioni in contrasto con una decisione contemplata dalla Commissione in procedimenti da essa avviati" (art. 16(1) reg. 1/03). L'art. 16(1) reg. 1/03 orienta in questo modo le giurisdizioni nazionali riguardo a quale sia la conclusione legittima del procedimento nazionale ai sensi del diritto antitrust CE. Tale ipotesi non è prevista all'art. 16(2) reg. 1/03 — relativamente all'applicazione uniforme del diritto comunitario da parte delle Autorità nazionali —. Infatti, nel caso in cui le Autorità nazionali applichino il diritto antitrust CE ad una fattispecie nei confronti della quale la Commissione abbia iniziato a sua volta un procedimento istruttorio, l'Autorità nazionale perde la competenza ad applicare gli artt. 81 e 82 TCE su tale fattispecie. Al contrario, la Commissione non può, ex art. 16(1) reg. 1/03, avocare a sé la competenza antitrust delle giurisdizioni nazionali, e ciò perché in questo caso escluderebbe la tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi riconosciuti dagli artt. 81(1) e 82 TCE.

L'art. 16(1) reg. 1/03 fornisce anche un espresso fondamento giuridico affinché le giurisdizioni nazionali possano sospendere il procedimento e non pervengano quindi a conclusioni contrastanti con la successiva decisione della Commissione (rectius al fine di garantire l'applicazione uniforme del diritto antitrust CE). Tale norma — come meglio evidenziato infra — prevede che "le giurisdizioni nazionali possono valutare se sia necessario o meno sospendere i procedimenti da esse avviati". In questo caso i giudici, fermo restando l'art. 16(1) reg. 1/03, dispongono comunque della facoltà di chiedere alla Commissione — tramite informazioni sul procedimento — i termini orientativi di conclusione del procedimento stesso (art. 15(1) reg. 1/03).

judgment deals with the disapplication of national rules which are contrary to Community rules" (§ 4 b ii).

Inoltre, nel caso in cui il giudice nazionale dovesse ritenere la decisione della Commissione in violazione del diritto CE, il giudice non può disapplicare direttamente la decisione dell'Autorità CE. Se del caso, la giurisdizione nazionale può proporre un rinvio pregiudiziale di validità alla Corte di giustizia (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 13). Cfr. Sentenza della Corte del 22 ottobre 1987, Foto - Frost

contro Hauptzollamt Luebeck- Ost, causa 314/85, Raccolta della giurisprudenza, 1987, p. 4199, § 12 ss.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

473

157. (segue) La (presunta) illegittimità costituzionale dell'art. 16(1) reg.

1/03. Il rapporto inscindibile tra contenuto degli artt. 81 e 82 TCE,

competenza esclusiva di orientamento della politica di concorrenza e

indipendenza (rectius sopranazionalità) della Commissione.

È stata ipotizzata l'illegittimità dell'art. 16(1) reg. 1/03 rispetto alle

Costituzioni nazionali in quanto, ai sensi di tale norma, le giurisdizioni nazionali sarebbero vincolate dalle previsioni di un organo amministrativo (cioè la Commissione) 884. Ciò sarebbe in contrasto con l'indipendenza riconosciuta ai giudici.

A ben vedere il vincolo tra Commissione e giurisdizioni nazionali non costituisce una novità del reg. 1/03 essendo esso — in primo luogo — un aspetto caratteristico dell'ordinamento CE sin dal 1957, e — in

secondo luogo — esso è stato chiarito — in regime del reg. 17/62 — sia dalla sent. Delimitis nel 1992 885 e, successivamente, dalla sent. Masterfood nel 2000 886.

Tale eccezione di incostituzionalità può essere respinta sulla considerazione che il TCE ha attribuito alla Commissione la competenza di definire " i principi fissati dagli articoli 81 e 82" TCE (art. 85 TCE). Tale competenza è stata attribuita alla Commissione in considerazione della indipendenza di tale organo dagli Stati membri. Il fatto che la giurisdizione nazionale sia vincolata dalla politica di concorrenza della Commissione, costituisce l'"altra faccia di una medesima medaglia"; e cioè l'autonomia (o sopranazionalità, che dir si voglia) della Commissione rispetto agli Stati membri. Quindi, nell'ordinamento CE vi è un rapporto inscindibile tra contenuto degli artt. 81 e 82 TCE, competenza esclusiva di orientamento della politica di concorrenza e indipendenza (rectius sopranazionalità) della Commissione.

884 V. la dottrina richiamata da GIAN LUIGI TOSATO, Il processo di modernizzazione, in

GIAN LUIGI TOSATO - LEONARDO BELLODI (A CURA DI), Il nuovo Diritto europeo della concorrenza - aspetti procedurali, Milano, Giuffrè, 2004, p. 25, 47.

885 Cfr. prassi della Commissione riportata nella Sentenza della Corte del 28 febbraio 1991, Stergios Delimitis contro Henninger Bräu AG, causa C-234/89, Raccolta della

giurisprudenza, 1991 p. I - 935. 886 Sentenza della Corte del 14 dicembre 2000, Masterfoods Ltd contro HB Ice Cream

Ltd, causa C-344/98, Raccolta della giurisprudenza, 2000 p. I - 11369.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

474

Da ciò, il sostenere che le giurisdizioni nazionali debbano essere titolari del potere di orientamento della politica antitrust CE al fine di garantire la loro indipendenza indebolisce, da una parte, il carattere di sovranazionalità che l'ordinamento CE (e in particolare la Commissione) necessita; dall'altra, il concetto stesso di autonomia del potere giudiziario non presuppone "l'autonomia" di esso da qualunque altro soggetto. A tal fine viene in aiuto il concetto di indipendenza dei giudici ai sensi dell'art. 6 CEDU 887. Ai sensi di tale norma, l'indipendenza dei giudici non consiste nella libertà di questi di interpretare le norme del proprio ordinamento "ad libitum", come sostiene la tesi qui riportata con riferimento all'autonomia dei giudici nazionali rispetto alla Commissione. Diversamente, tale norma concretizza il concetto di autonomia nel senso che le giurisdizioni "devono essere liber[e] di applicare le proprie norme di procedura per quel che riguarda i poteri del giudice, lo svolgimento del procedimento in generale e la riservatezza dei documenti del fascicolo in particolare" (corsivo aggiunto) 888. Tale concetto di autonomia delle giurisdizioni non è quindi in contrapposizione con il fatto che la Comunità abbia attribuito, nel 1957, ad uno specifico organo l'orientamento della politica di concorrenza; orientamento che i giudici nazionali devono rispettare nelle proprie decisioni. Inoltre, il reg. 1/03, al fine di tutelare questo concetto di indipendenza delle giurisdizioni nazionali, disciplina degli istituti specifici di cooperazione (e di controllo) tra giudici nazionali e Commissione (v. infra § 160 ss.), istituti differenti rispetto a quelli previsti per le Autorità nazionali (per altre forme di tutela

887 L'art. 6(1) Convenzione europea dei Diritti dell'uomo (rubricata come "Diritto ad

un processo equo") recita: "Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un Tribunale indipendente e

imparziale, costituito per legge, il quale deciderà sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla sala d'udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o nella misura giudicata strettamente necessaria dal Tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità può pregiudicare gli interessi della giustizia" (corsivo aggiunto).

888 Sentenza della Corte dell'11 gennaio 2000, Regno dei Paesi Bassi e Gerard van der Wal

contro Commissione delle Comunità europee, cause riunite C-174/98 P e C-189/98 P, Raccolta

della giurisprudenza, 2000, p. I - 1.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

475

dell'indipendenza delle giurisdizioni nazionali, v. infra pp. 485, 490, 497).

158. C) I rapporti tra competenza antitrust europea e competenza antitrust

statale di cui sono titolari i giudici nazionali. Gli aspetti relativi alla

legge antitrust italiana (art. 1 l. n. 287/90) (rinvio).

Con riferimento alla competenza antitrust CE di cui sono titolari i

giudici nazionali, ai sensi dell'art. 6 reg. 1/03, e agli eventuali limiti che tale competenza può determinare con riferimento all'applicazione parallela del diritto di tutela della concorrenza statale è necessario, così come già indicato supra § 110, distinguere due ipotesi: e cioè l'ipotesi di normative nazionali antitrust che permettono l'applicazione del diritto di tutela della concorrenza statale anche a casi di rilevanza comunitaria; e l'ipotesi di normative le quali disciplinano il campo di applicazione della normativa antitrust solo per i casi non di rilevanza comunitaria.

Con riferimento alle discipline nazionali antitrust che permettono l'applicazione del diritto di tutela della concorrenza statale anche a casi di rilevanza comunitaria, i giudici nazionali, ai sensi dell'(illegittimo) art. 6 reg. 1/03 e dell'art. 3(1) reg. 1/03, possono applicare la normativa nazionale antitrust parallelamente al diritto antitrust CE (riguardo all'impossibilità per i giudici nazionali di applicare l'art. 81(3) TCE, nei limti in cui essi non costituiscano un'Autorità nazionale ex art. 5 reg. 1/03, v. supra § 145 ss.).

Con riferimento a normative di tutela della concorrenza statali (come quella italiana) le quali prevedono un campo di applicazione esclusivamente per casi non di rilevanza comunitaria 889, i giudici nazionali, dovendo valutare un caso di rilevanza comunitaria, dovranno applicare unicamente il diritto antitrust CE (la cui applicazione è obbligatoria ex art. 3(1) reg. 1/03) e non potranno applicare, per via del campo di applicazione della normativa statale, il diritto antitrust nazionale.

889 Per il testo dell'art. 1(1) l. n. 287/90, v. supra nota 687.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

476

II. Le sanzioni

159. Le discipline nazionali relative alle conseguenze di diritto privato e di

diritto penale della violazione del diritto antitrust europeo. La

disciplina della prescrizioni dei diritti ex artt. 81(1) e 82 TCE ai sensi

del reg. 1/03.

Il reg. 1/03 nulla prevede — al pari del reg. 17/62 — né riguardo

alle conseguenze di diritto privato (e di diritto penale) della violazione degli artt. 81(1) e 82 TCE, né riguardo alla prescrizione dei diritti riconosciuti da tali norme.

Nel reg. 17/62 queste assenze erano conseguenza della finalità del regolamento. Esso definiva le modalità di applicazione dell'art. 81(3) TCE e individuava i poteri della Commissione per l'applicazione del diritto antitrust CE. Gli aspetti relativi alle conseguenze della violazione del diritto di tutela della concorrenza CE negli ordinamenti nazionali non costituivano, quindi, una finalità della disciplina.

Ai sensi del reg. 1/03 gli Stati membri mantengono la propria discrezionalità nel disciplinare i due aspetti supra elencati, e cioè le conseguenze di diritto privato (e di diritto penale) della violazione degli artt. 81 e 82 TCE, la prescrizione dei diritti riconosciuti da tali norme.

Con riguardo alle conseguenze della violazione degli artt. 81 e 82 TCE vi sono però dei vincoli che l'ordinamento CE impone ai legislatori degli Stati membri.

In primo luogo, il diritto al risarcimento dei danni per violazione degli artt. 81 e 82 TCE — a prescindere dalla disciplina nazionale in materia — è conseguenza diretta dall'ordinamento CE 890. In secondo

luogo, il fatto che gli Stati membri possano prevedere variamente — ai

890 Come infra ricordato, le norme antitrust CE hanno la particolarità di essere norme

dirette ai singoli e disciplinate da un (peculiare) Trattato internazionale. Ai singoli sono imposti dei divieti (artt. 81(1) TCE e 82 TCE) i quali, in considerazione del fatto che sono chiari, incondizionati e determinati nel contenuto, riconoscono parimenti dei diritti per soggetti terzi. Da ciò consegue che una violazione di tali divieti costituisce, contestualmente, la violazione del diritto di un altro soggetto. Da tale violazione — e in presenza dei requisiti della giurisprudenza relativa al risarcimento dei danni per violazione del diritto CE — sorge in capo al soggetto pregiudicato dalla violazione degli artt. 81(1) e 82 TCE il diritto al risarcimento dei danni.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

477

sensi del proprio ordinamento — le conseguenze di diritto privato (o di diritto penale) della violazione degli artt. 81 e 82 TCE (ad es., risarcimenti sanzionatori, eventuali sanzioni penali) trova però un limite nell'ordinamento CE, e in particolare, nei principi generali del diritto CE (ad es., principio di equivalenza 891, di effettività 892). In terzo

luogo, in assenza di specifica disciplina del reg. 1/03, anche la prescrizione dei diritti riconosciuti dagli artt. 81 e 82 TCE è disciplinata dagli Stati membri 893, sempre nei limiti dei principi generali del diritto CE.

891 Cioè che "le modalità procedurali di trattamento (…) non siano meno favorevoli di

quelle aventi ad oggetto il trattamento di situazioni puramente interne", v. Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 19 giugno 2003, Sante Pasquini, cit. a nota 691, § 95.

892 Il principio di effettività prevede che le norme nazionali "non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti risultanti dalla situazione di origine comunitaria", Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 19 giugno 2003, Sante

Pasquini, cit. a nota 691, § 58. 893 Come previsto dalla giurisprudenza CE: "Tali principi si applicano all'insieme delle

modalità procedurali di trattamento di situazioni che trovano la loro origine nell'esercizio di una libertà comunitaria, indipendentemente dal fatto che dette modalità siano di natura amministrativa o giudiziaria, come le norme nazionali in materia di prescrizione e di ripetizione dell'indebito o quelle che impongono alle istituzioni competenti di prendere in considerazione la buona fede degli interessati o di controllare regolarmente la loro posizione pensionistica", Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 19 giugno 2003, Sante

Pasquini, cit. a nota 691, § 95.

SOTTOSEZIONE II

I MECCANISMI DI COOPERAZIONE E DI CONTROLLO RELATIVI ALLE

GIURISDIZIONI NAZIONALI

SOMMARIO: — I. — Introduzione. — 160. L'art. 3(1) reg. 1/03, l'assenza di "inter-operabilità" tra giurisdizioni nazionali, e tra giurisdizioni nazionali e Commissione. I procedimenti di cooperazione e di controllo. — II. — I meccanismi di cooperazione. — 161.I meccanismi di cooperazione delle giurisdizioni nazionali per l'applicazione uniforme del diritto antitrust europeo: A) Il ruolo di amicus curiae della Commissione (art. 15(1) reg. 1/03). — 162. (segue) L'invio di informazioni dalla Commissione alle giurisdizioni nazionali. L'invio di informazioni sui procedimenti. L'invio di informazioni coperte dal segreto d'ufficio e la tutela delle stesse. I casi di rifiuto di invio delle informazioni ai giudici nazionali da parte della Commissione. — 163. (segue) I pareri in merito a questioni relative all'applicazione delle regole di concorrenza europee. — 164. (segue) La mancanza di tutela giurisdizionale dei pareri della Commissione. — 165. B) La sospensione dei procedimenti dei giudici nazionali per evitare sentenze contrastanti con le decisioni della Commissione. — 166. C) Il rinvio pregiudiziale ex art. 234 TCE. — III. — I meccanismi di controllo. — 167. Il ruolo di controllo della Commissione nei confronti delle giurisdizioni nazionali. Il valore delle osservazioni della Commissione. — 168. Il ruolo di controllo delle Autorità nazionali nei confronti delle giurisdizioni nazionali. La differente funzione delle osservazioni delle Autorità nazionali rispetto a quelle della Commissione. — 169. L'invio da parte delle giurisdizioni nazionali alla Commissione e alle Autorità nazionali delle informazioni necessarie per la preparazione delle osservazioni.

I. Introduzione

160. L'art. 3(1) reg. 1/03, l'assenza di "inter-operabilità" tra giurisdizioni

nazionali, e tra giurisdizioni nazionali e Commissione. I procedimenti di

cooperazione e di controllo.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

480

Come sottolineato supra, il tentativo della Commissione degli anni '90 di convincere i singoli ad applicare il diritto antitrust CE in sostituzione del diritto di tutela della concorrenza nazionale è stato un "fallimento aspettato". I singoli, in assenza di incentivi per "preferire" il diritto antitrust CE, hanno "naturalmente" continuato ad applicare il diritto nazionale. D'altra parte, non si poteva attendere che i privati agissero non come soggetti razionali, ma che agissero spontaneamente per tutelare il mercato comune. Nel reg. 1/03 la Comunità, al fine di "sollecitare" i privati ad applicare il diritto antitrust CE, al posto di creare degli incentivi perché essi scegliessero le normative per loro più utili, ha direttamente "coartato" la libertà di scelta del singolo imponendo l'applicazione obbligatoria del diritto antitrust CE per i casi di rilevanza comunitaria (art. 3(1) reg. 1/03).

Valutato il motivo della definizione dell'obbligo ex art. 3(1) reg. 1/03 per i giudici nazionali, passiamo ora a valutare il ruolo di tale norma nel sistema complessivo, e la differenza della funzione dell'art. 3(1) reg. 1/03 per il sistema amministrativo antitrust CE e per la tutela giurisdizionale degli artt. 81 e 82 TCE.

Infatti, è stata supra individuata l'importanza che l'obbligo di applicazione del diritto antitrust CE ai casi di rilevanza comunitaria (art. 3(1) reg. 1/03) svolge per creare l'"inter-operabilità" tra i sistemi antitrust europei parti della cd. Rete e quindi "il corretto funzionamento

del meccanismo di cooperazione contenuto nel (...) regolamento" (considerando 8 reg. 1/03 - corsivo aggiunto). Con riferimento alle giurisdizioni nazionali, l'obbligo dell'art. 3(1) reg. 1/03 svolge una funzione differente, e cioè di "decentrare" l'applicazione del diritto antitrust CE (rectius al fine dell'"effettiva applicazione delle regole di

concorrenza comunitarie", considerando 8 reg. 1/03). I singoli, quando contestano la (presunta) violazione del diritto antitrust degli Stati membri da parte di una fattispecie di rilevanza comunitaria, sono infatti obbligati a contestare anche la (presunta) violazione del diritto antitrust CE.

Non ostante l'assenza dell'inter-operabilità tra giurisdizioni nazionali — determinata dalla necessità di garantire l'indipendenza di essi — il reg. 1/03 al capitolo IV (rubricato come "Cooperazione") disciplina — oltre ai rapporti tra gli organi del sistema amministrativo

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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di tutela antitrust CE (Commissione e Autorità nazionali) — anche i rapporti tra giurisdizioni nazionali e Commissione (e in via meno estesa anche i rapporti tra giurisdizioni nazionali e Autorità nazionali).

In particolare, il reg. 1/03 disciplina tra Commissione e giudici nazionali, così come nei rapporti tra Commissione e Autorità nazionali, due categorie di procedimenti: la prima riguarda gli strumenti di cooperazione con la Commissione che le giurisdizioni nazionali possono autonomamente attivare; la seconda concerne gli strumenti di controllo diretto che la Commissione — ed anche le Autorità nazionali — possono esercitare d'ufficio. Tali procedimenti di cooperazione e controllo, proprio in considerazione dell'indipendenza delle giurisdizioni nazionali, sono strutturati in modo differente rispetto a quelli del sistema amministrativo antitrust CE.

Con riferimento ai procedimenti di cooperazione, essi si sostanziano esclusivamente in procedimenti "verticali discendenti"; in particolare, nei procedimenti attraverso i quali la Commissione svolge il ruolo di amicus curiae (e quindi l'obbligo della Commissione di fornire informazioni e documenti ai giudici nazionali), insieme alle altre facoltà riconosciute alle giurisdizioni nazionali (sospensione del processo, richiamo nel testo del reg. 1/03 del rinvio alla Corte di giustizia ex art. 234 TCE). In particolare, i procedimenti collegati al ruolo di amicus

curiae della Commissione hanno la funzione di rendere meno complessa l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE da parte delle giurisdizioni nazionali (ed anche in modo che i privati si rivolgano ad essi piuttosto che alla Commissione o alle Autorità nazionali); questi procedimenti permettono inoltre ai giudici nazionali di attivarsi autonomamente — a prescindere dai distinti procedimenti di controllo — per evitare conclusioni in violazione del diritto antitrust CE 894.

Con riferimento ai procedimenti di controllo, essi sono esclusivamente (a differenza di quelli del sistema amministrativo antitrust) "verticali discendenti" (Commissione — giurisdizioni

894 Infatti, anche i giudici nazionali — così come le Autorità nazionali — hanno

l'obbligo, quando applicano il diritto antitrust CE, di pervenire alle conclusioni a cui la Commissione stessa — in quanto titolare della competenza di orientamento della concorrenza CE — sarebbe pervenuta. Tale obbligo è codificato, con riferimento alle giurisdizioni nazionali, nell'art. 16(1) reg. 1/03.

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nazionali e Autorità nazionali — giurisdizioni nazionali) e sono finalizzati a prevenire sentenze in violazione del diritto CE.

II. I meccanismi di cooperazione

161. I meccanismi di cooperazione delle giurisdizioni nazionali per

l'applicazione uniforme del diritto antitrust europeo: A) Il ruolo di

amicus curiae della Commissione (art. 15(1) reg. 1/03).

Con riferimento agli strumenti di cooperazione che le giurisdizioni

nazionali possono attivare d'ufficio, il reg. 1/03 disciplina, al fine di facilitare l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE da parte dei giudici e per evitare che essi pervengano a sentenze in violazione del diritto CE 895, rispettivamente: 1. il ruolo di amicus curiae della Commissione (art. 15(1) reg. 1/03); 2. la sospensione dei procedimenti nazionali (16(1) terzo capoverso reg. 1/03); 3. il rinvio all'art. 234 TCE (16(1) quarto capoverso reg. 1/03). Tale disciplina del reg. 1/03 relativa ai rapporti tra le giurisdizioni nazionali e la Commissione — prevista informalmente già nella Comunicazione sulla cooperazione tra Commissione e giudici nazionali (1993) — costituisce una novità per l'ordinamento CE. Infatti, lo stesso Trattato CE, "che pure instaura un meccanismo di cooperazione tra le giurisdizioni nazionali e la Corte di giustizia all'articolo 234, non prevede invece esplicitamente una cooperazione tra le giurisdizioni nazionali e la Commissione" (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 15).

Con riferimento alla prima modalità di cooperazione tra giudici nazionali e Commissione — il ruolo di amicus curiae della Commissione —, essa non è da confondersi con la cd. "cooperazione"

895 Passando ad individuare tali istituti, la disciplina della cooperazione tra

giurisdizioni nazionali e Commissione prevede facoltà e obblighi in capo ai giudici nazionali ordinati in via inversa rispetto alla disciplina dei rapporti tra Commissione e Autorità nazionali: in primo luogo sono disciplinate le facoltà di cui le Autorità nazionali sono titolari (art. 15(1) reg. 1/03); in secondo luogo sono disciplinati gli obblighi delle giurisdizioni nazionali nei confronti della Commissione e delle Autorità nazionali per l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE (artt. 15(3) reg. 1/03 e 15(4) reg. 1/03); in terzo luogo, sono infine disciplinati gli obblighi delle giurisdizioni nazionali per l'applicazione uniforme degli artt. 81 e 82 TCE (art. 16 reg. 1/03). A ciò si aggiungono degli specifici obblighi in capo

agli Stati membri nei confronti della Commissione (art. 15(2) reg. 1/03).

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che sottintende al rapporto tra Commissione e Autorità nazionali (art. 11(1) reg. 1/03). Come individuato supra (v. § 125), il principio ex 11(1) reg. 1/03 caratterizza esclusivamente il rapporto tra Commissione e Autorità nazionali (riguarda cioè solo i rapporti "interorganici" del sistema amministrativo antitrust CE) e si sostanzia nel controllo vicendevole (anche se con intensità molto differenti) tra Commissione e Autorità nazionali (e indirettamente anche tra le Autorità nazionali fra di loro) 896. Al contrario, la cooperazione tra giurisdizioni nazionali e Commissione non si fonda sul principio della cd. "cooperazione" ex art. 11(1) reg. 1/03, e ciò è conseguenza dell'autonomia riconosciuta alle giurisdizioni nazionali 897, anche rispetto al sistema amministrativo antitrust CE.

Ai sensi dell'art. 15(1) reg. 1/03, le giurisdizioni nazionali possono chiedere alla Commissione di trasmettere loro — nel caso in cui esse applichino il diritto antitrust CE —: a. "le informazioni in possesso" all'Autorità CE; b. "i suoi pareri in merito a questioni relative all'applicazione delle regole di concorrenza comunitarie" (art. 15(1) reg. 1/03) 898. In questo modo l'art. 15(1) reg. 1/03 disciplina — in modo

896 E cioè, il controllo "verticale ascendente" da parte delle Autorità nazionali nei

confronti della Commissione tramite gli artt. 11(2) reg. 1/03 e art. 14 reg. 1/03; il controllo "verticale discendente" da parte della Commissione nei confronti delle Autorità nazionali ex artt. 11(3) reg. 1/03, 11(4) reg. 1/03, 11(5) reg. 1/03, 11(6) reg. 1/03 e 14(7) reg. 1/03; il controllo "collegiale" tra le Autorità nazionali fra di loro ex art. 14(7) reg. 1/03.

897 Non è un caso che la Commissione possa — in ultima istanza — avocare la competenza ex artt. 81 e 82 TCE dalle Autorità nazionali (art. 11(6) reg. 1/03); ipotesi non prevista, al contrario, nei confronti delle giurisdizioni nazionali. Questo è determinato per permettere ad esse la tutela dei diritti ex artt. 81(1) e 82 TCE (v. Sentenza della Corte del 30 gennaio 1974, Sabam - Fonior, cit. a nota 288, § 16) e, indirettamente, per tutelare la loro indipendenza.

898 L'art. 15 reg. 1/03 — rubricato come "Cooperazione con le giurisdizioni nazionali" — prevede che "nell'ambito dei procedimenti per l'applicazione dell'articolo 81 o dell'articolo 82 del Trattato le giurisdizioni degli Stati membri possono chiedere alla Commissione" da una parte "di trasmettere loro le informazioni in suo possesso" o, dall'altra, "i suoi pareri in merito a questioni relative all'applicazione delle regole di concorrenza comunitarie".

L'art. 11(5) reg. 1/03 — diversamente dall'art. 15(1) reg. 1/03 — disciplina per le Autorità nazionali un ambito maggiore con riferimento al quale chiedere "consulenza" alla Commissione; e cioè con riferimento "a qualsiasi caso che implichi l'applicazione del diritto comunitario".

Non molto diversamente l'art. 15(1) della proposta di regolamento del 2000 — rubricato come "cooperazione con le giurisdizioni nazionali" — prevedeva che "nell'ambito dei procedimenti per l'applicazione degli articoli 81 o 82 del Trattato gli organi giudiziari degli Stati membri possono chiedere alla Commissione informazioni in suo possesso o

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simile ma non identico a quanto previsto per le Autorità nazionali (art. 11(5) reg. 1/03) — un mezzo per facilitare l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE da parte delle giurisdizioni nazionali tramite l'intervento della Commissione 899.

Tale istituto permette di ridurre contestualmente il carico di lavoro della Commissione e delle Autorità nazionali 900. Infatti, grazie a tale norma i giudici nazionali sono messi nella condizione di poter applicare direttamente e autonomamente gli artt. 81 e 82 TCE; in questo modo essi possono risolvere — in collegamento con l'Autorità CE — dubbi che sorgano in merito all'applicazione del diritto comunitario. Tale collaborazione — aumentando l'autonomia delle giurisdizioni nazionali nell'applicare il diritto antitrust CE — tende a ridurre anche le denunce che la Commissione — o le Autorità nazionali — debbano decidere direttamente.

L'assistenza della Commissione ai giudici nazionali è riconosciuta esclusivamente nell'interesse della cooperazione con le giurisdizioni

nazionali per l'applicazione coerente del diritto antitrust CE — ed in questo senso è un'attività amicus curiae — 901. Per tale motivo, nel

pareri in merito a questioni relative all'applicazione delle regole di concorrenza comunitarie".

Tale istituto — già previsto nella giurisprudenza Delimitis (Sentenza della Corte del 28 febbraio 1991, Stergios Delimitis, cit. a nota 257) — era delineato, anche se con alcune differenze, nella Comunicazione sulla cooperazione tra Commissione e giurisdizioni nazionali (1993). Già in tale Comunicazione questo tipo di cooperazione era definito dalla Commissione come il ruolo di amicus curiae dell'Autorità CE (ibidem, § 43).

899 La Proposta di Comunicazione con riferimento all'art. 15(1) reg. 1/03 sosteneva che "questa disposizione mira a facilitare l'applicazione degli articoli 81 e 82 da parte delle giurisdizioni nazionali". Infatti, la Commissione, come previsto dalla giurisprudenza Delimitis, "in forza dell' art. [10] deI Trattato, è tenuta ad un obbligo di leale cooperazione con le Autorità giudiziarie degli Stati membri incaricate di vigilare sull'applicazione e sul rispetto del diritto comunitario nell'ordinamento giuridico nazionale", Sentenza della Corte del 28 febbraio 1991, Stergios Delimitis, cit. a nota 257, § 53.

900 Tali istituti sono finalizzati — secondo il principio centrale del reg. 1/03 — a limitare l'attività repressiva diretta della Commissione — e indirettamente, in questo caso, anche delle Autorità nazionali — incentivando l'applicazione del diritto antitrust CE dinnanzi alle giurisdizioni nazionali — o, indirettamente, alle Autorità nazionali — e, ulteriormente, facilitando la corretta applicazione del diritto antitrust CE da parte delle giurisdizioni nazionali.

901 Già la modalità della partecipazione della Commissione quale amicus curiae previsto dalla Comunicazione sulla cooperazione tra Commissione e giurisdizioni nazionali (1993) disciplinava una cooperazione la quale "rispettava la neutralità e l'obbiettività giudiziaria". In conseguenza di ciò, la Commissione si riproponeva di rispondere "solo alle richieste d'informazioni provenienti dal giudice che le siano rivolte direttamente da quell'ultimo, o

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procedimento di cooperazione la Commissione non ha interesse a sentire direttamente le parti. L'Autorità CE ha già avvertito che, nel caso in cui ciò dovesse accadere, essa ne informerebbe la giurisdizione nazionale quale forma di tutela dell'indipendenza dei giudice stesso 902.

162. (segue) L'invio di informazioni dalla Commissione alle giurisdizioni

nazionali. L'invio di informazioni sui procedimenti. L'invio di

informazioni coperte dal segreto d'ufficio e la tutela delle stesse. I casi di

rifiuto di invio delle informazioni ai giudici nazionali da parte della

Commissione.

L'art. 15(1) reg. 1/03 prevede (oltre all'invio da parte della

Commissione di pareri in merito a questioni relative all'applicazione delle regole di concorrenza comunitarie, v. infra § 163) anche l'obbligo della Commissione di inviare alle giurisdizioni nazionali le informazioni in suo possesso e di cui i giudici facciano richiesta. La concisione della norma determina una ampia discrezionalità della Commissione nell'applicazione della stessa. Alcune indicazioni

indirettamente tramite le parti incaricate dal giudice stesso di fornire determinate informazioni. In quest'ultima ipotesi la Commissione provvederà a far pervenire la sua risposta a tutte le parti in giudizio" (ibidem, § 43).

902 La Commissione ha infatti affermato: "Va ribadito che, quale che sia la forma assunta dalla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, la Commissione rispetterà l'indipendenza delle giurisdizioni nazionali. Di conseguenza l'assistenza offerta dalla Commissione non vincola la giurisdizione nazionale. La Commissione deve anche badare a rispettare l'obbligo del segreto d'ufficio e a salvaguardare il proprio funzionamento e la propria indipendenza. Nell'adempimento del dovere impostole dall'articolo 10 del Trattato di assistere le giurisdizioni nazionali nell'applicazione del diritto comunitario della concorrenza, la Commissione è tenuta a mantenersi neutrale ed obiettiva. In effetti l'assistenza fornita dalla Commissione alle giurisdizioni nazionali si iscrive nel suo dovere di tutela dell'interesse pubblico. Essa non è quindi volta a servire l'interesse delle parti della causa pendente dinanzi al giudice nazionale. Di conseguenza la Commissione non intende sentire alcuna delle parti in merito all'assistenza data alla giurisdizione nazionale. Qualora sia stata consultata da qualsiasi delle parti della causa pendente dinanzi alla giurisdizione nazionale in merito a questioni sollevate dinanzi a questa, la Commissione ne informerà il giudice nazionale, a prescindere dal fatto che i contatti con le parti abbiano avuto luogo prima o dopo la richiesta di assistenza della giurisdizione nazionale" (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 19).

Inoltre, come indicato dalla Commissione: "La Commissione riferirà sinteticamente in merito alla sua cooperazione con le giurisdizioni nazionali nell'ambito della sua relazione annuale sulla politica di concorrenza. Essa potrà anche pubblicare sul suo sito web i suoi pareri e le sue osservazioni" (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 20).

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riguardo all'applicazione dell'art. 15(1) reg. 1/03 sono fornite dalla Commissione stessa nella Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali. In essa l'Autorità CE si concentra su due categorie particolari di informazioni che le giurisdizioni nazionali possono richiedere: le informazioni sui procedimenti e le informazioni coperte dal segreto d'ufficio.

Con riferimento alla prima categoria di informazioni (cioè le informazioni sui procedimenti), una giurisdizione nazionale — come già previsto nella giurisprudenza Delimitis 903 e nella Comunicazione del 1993 904 — "può per esempio chiedere alla Commissione di trasmetterle documenti in suo possesso o di comunicarle informazioni di natura procedurale per poter accertare se un determinato caso è all'esame della Commissione, se la Commissione ha avviato un procedimento o se abbia già preso posizione. Una giurisdizione nazionale può anche chiedere alla Commissione quando sarà presumibilmente presa una decisione, al fine di determinare le condizioni di un'eventuale decisione di sospensione del procedimento o se sia necessario adottare misure provvisorie" (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 21). In questo caso la Commissione si impegna ad inviare tali documenti ed informazioni entro un mese dal giorno in cui è pervenuta presso l'indirizzo indicato dall'Autorità CE la richiesta (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 22)

905.

903 V. supra nota 899. 904 È interessante notare che il reg. 1/03 "cristallizza" in norma un altro principio della

sentenza Delimitis e della Comunicazione sulla cooperazione tra Commissione e giurisdizioni nazionali (1993). In particolare il principio secondo cui "il giuidice nazionale ha sempre la possibilità, nei limiti del diritto nazionale processuale applicabile e fatto salvo l'art. 214 del Trattato, di informarsi presso la Commissione sullo stato del procedimento che detta istituzione avesse eventualmente iniziato e sulla probabilità che la stessa si pronunci ufficialmente sul contratto controverso in applicazione del regolamento n. 17" (Sentenza della Corte del 28 febbraio 1991, Stergios Delimitis, cit. nota 257, § 53). Tale principio è stato definito sempre con la finalità di facilitare l'applicazione del diritto antitrust CE da parte delle giurisdizioni nazionali.

905 La Commissione specifica che "qualora la Commissione debba chiedere alla giurisdizione nazionale di precisare la sua richiesta o debba consultare le parti direttamente interessate dalla trasmissione dell'informazione, il termine inizierà a decorrere dal momento in cui essa riceve la risposta" (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 22).

L'indirizzo della Commissione è "Commissione europea, Direzione generale Concorrenza, B - 1049 Bruxelles/Brussel, Belgio". L'indirizzo di posta elettronica della

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Con riferimento alla seconda categoria di informazioni prese in considerazione dall'Autorità CE nella Comunicazione e che possono essere inviate alle giurisdizioni nazionali ex art. 15(1) reg. 1/03 — cioè le informazioni coperte dal segreto d'ufficio (informazioni riservate e segreti aziendali) 906 — si presenta — come già prospettato nella Comunicazione sulla cooperazione con i giudici nazionali (1993) — la questione della tutela delle stesse 907.

Prima di affrontare tale problema, è d'uopo ricordare che in applicazione degli artt. 28(1) reg. 1/03 e 28 (2) reg. 1/03 (v. supra § 122 ss.), le giurisdizioni nazionali possono ricevere "dalla Commissione" (ex art. 15(1) reg. 1/03) informazioni altrimenti non divulgabili da parte della Commissione e delle Autorità nazionali in quanto coperte da segreto d'ufficio; informazioni che le giurisdizioni nazionali possono utilizzare per "scopi" differenti da quelli per le quali sono state assunte 908. Ciò ricordato, la Commissione — nella Comunicazione sulla

Commissione per tale funzione è "[email protected] " (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 18).

906 Per "segreti aziendali" la Commissione intende "informazioni di cui non soltanto la divulgazione al pubblico, ma anche semplicemente la trasmissione ad un soggetto di diritto diverso da quello che ha fornito l'informazione può ledere gravemente gli interessi di quest'ultimo" (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 23).

907 Il reg. 1/03 modifica sostanzialmente quanto era prima reso possibile dal reg. 17/62. La Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali (1993) prevedeva, riguardo al primo punto, che il primo limite riguardava il fatto che "i dati richiesti si trovino effettivamente in suo possesso. La Commissione potrà comunicarli inoltre, solo nella misura consentita dal principio generale della diligenza amministrativa. L'articolo [287] del Trattato, il cui disposto è precisato dall'art. 20 del regolamento n. 17 per quanto riguarda le regole di concorrenza, obbliga infatti la Commissione a non divulgare informazioni di carattere riservato. Inoltre, l'obbligo di cooperazione leale sancito dall'articolo [10] del Trattato riguarda le relazioni tra i giudici nazionali e la Commissione e non la posizione delle parti in giudizio davanti a tali giudici". […] Al di là di tali scambi d'informazioni, necessari ma circoscritti, la Commissione si preoccupava di sviluppare nel modo migliore una politica d'informazione più generale. In questa prospettiva, l'Autorità CE faceva presente l'intenzione di pubblicare un opuscolo illustrativo sull'applicazione delle regole di concorrenza a livello nazionale (ibidem, §§ 41, 42 e 43).

908 In particolare, come affrontato infra, si pone, con riferimento all'art. 15(1) reg. 1/03 e alle informazioni inviate dalla Commissione alle giurisdizioni nazionali, il problema del segreto d'ufficio disciplinato all'art. 28 reg. 1/03. Infatti, l'art. 28(1) reg. 1/03, regolando lo scopo e la finalità dell'uso delle informazioni raccolte ex artt. 17- 22 reg. 1/03 — e quindi all'interno del sistema amministrativo di tutela antitrust CE — prevede che "le informazioni raccolte ai sensi di tali articoli possono essere utilizzate soltanto per lo scopo per il quale sono state assunte" (corsivo aggiunto).

L'art. 28(1) reg. 1/03 disciplina un'eccezione rispetto a quanto "disposto [dagli] articoli 12 e 15", permettendo quindi che "le informazioni acquisite e in possesso dalla Commissione

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cooperazione con le giurisdizioni nazionali — si presenta disponibile — seguendo i principi della giurisprudenza CE — a scambiare con i giudici nazionali informazioni anche se protette dal segreto d'ufficio, ma solo nei limiti in cui permanga una tutela efficace dell'art. 287 TCE. Infatti, con riferimento alla cooperazione tra Commissione e giurisdizioni nazionali, la giurisprudenza CE conferma che "il dovere di leale collaborazione impone alla Commissione di comunicare alle giurisdizioni nazionali qualsiasi informazione da queste richiesta, anche se si tratta di informazioni protette dal segreto d'ufficio. Tuttavia, nel prestare assistenza alle giurisdizioni nazionali la Commissione non può in alcun caso pregiudicare la tutela del segreto garantita dall'articolo 287" (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 24). Per questo motivo, come sottolineato dalla Commissione riprendendo il contenuto della giurisprudenza CE 909, "nel trasmettere informazioni alle giurisdizioni nazionali la Commissione deve garantire alle persone fisiche e giuridiche la tutela offerta dall'articolo 287 del Trattato CE. L'articolo 287 del Trattato CE vieta ai membri, funzionari e altri agenti della Commissione di divulgare informazioni protette dal segreto d'ufficio" (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 23) 910.

possano essere applicate dai giudici nazionali per scopi differenti da quelli per cui sono state raccolte".

Inoltre l'art. 28(2) reg. 1/03 — regolando il divieto di divulgazione di informazioni protette dal segreto d'ufficio — prescrive che specifici soggetti (Commissione, Autorità nazionali e soggetti collegati a questi due organi) "sono tenuti a non divulgare le informazioni acquisite o scambiate in applicazione del presente regolamento e che, per la loro natura, sono protette dal segreto d'ufficio". Anche l'art. 28(2) reg. 1/03 prevede una eccezione a tale obbligo, e cioè "lo scambio e l'uso delle informazioni previste dagli articoli" 11 reg. 1/03 (cooperazione fra Commissione e Autorità nazionali), 12 reg. 1/03 (scambio di informazioni), 14 reg. 1/03 (Comitato consultivo), 15 reg. 1/03 (cooperazione con le giurisdizioni nazionali), 27 reg. 1/03 (audizioni delle parti, dei ricorrenti e degli altri terzi).

909 Sentenza del Tribunale di primo grado (Prima Sezione ampliata) del 18 settembre 1996, Postbank NV contro Commissione delle Comunità europee, causa T-353/94, Raccolta della

giurisprudenza, 1996, p. II - 921, §§ 86 e 87; Sentenza della Corte del 7 novembre 1985; Stanley George Adams contro Commissione delle Comunità Europee, causa 145/83, Raccolta

della giurisprudenza, 1985, p. 3539, § 34. 910 La Commissione ha ricordato: "Il combinato disposto degli articoli 10 e 287 del

Trattato CE non comporta un divieto assoluto per la Commissione di trasmettere alle giurisdizioni nazionali informazioni che siano protette dal segreto d'ufficio" (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 24).

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A tal fine l'Autorità CE istituisce un procedimento attraverso il quale il giudice nazionale esprime l'impegno di mantenere determinati standard di riservatezza nell'utilizzo delle informazioni. In particolare, prima di trasmettere informazioni protette dal segreto d'ufficio ad una giurisdizione nazionali, la Commissione "ricorderà che anche questa è tenuta, a norma del diritto comunitario, a tutelare i diritti conferiti dall'articolo 287 del Trattato CE alle persone fisiche e giuridiche e le chiederà se sia in grado di e se voglia impegnarsi a garantire la tutela delle informazioni riservate e di quelle che costituiscono segreti commerciali. Se la giurisdizione nazionale non è in grado di assumere tale impegno, la Commissione non le trasmetterà informazioni protette dal segreto d'ufficio. Solo se la giurisdizione nazionale si sarà impegnata a non divulgare le informazioni riservate e quelle che costituiscono segreti commerciali la Commissione trasmetterà le informazioni richieste, specificando quali parti sono protette dal segreto d'ufficio e quali non lo sono e possono perciò essere divulgate" (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 25).

Non ostante questa disciplina — come osservato supra § 123 — rimangono comunque dei casi in cui la Commissione può legittimamente rifiutarsi di inviare le informazioni richieste dalle giurisdizioni nazionali; in particolare, "per preminenti motivi attinenti alla necessità di salvaguardare i suoi interessi o di evitare che siano compromessi il funzionamento e l'indipendenza della Comunità, in particolare pregiudicando l'assolvimento dei compiti affidatile. Di conseguenza, la Commissione non trasmetterà alle giurisdizioni nazionali le informazioni presentate volontariamente da un'impresa che abbia richiesto un trattamento favorevole senza il consenso di quest'ultima" (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 26).

163. (segue) I pareri in merito a questioni relative all'applicazione delle

regole di concorrenza europee.

Oltre alla prima categoria di informazioni che le giurisdizioni

nazionali possono richiedere alla Commissione (e cioè le informazioni in possesso alla Commissione), i giudici nazionali — ai sensi dell'art.

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15(1) reg. 1/03 — possono richiedere all'Autorità CE una seconda

categoria di informazioni "in merito a questioni relative all'applicazione delle regole di concorrenza comunitarie"; e, in particolare, nella forma di quesiti specifici in merito all'analisi economica e giuridica di problemi sorti nelle more di un procedimento nazionale; ciò sempre al fine di evitare che le giurisdizioni nazionali pervengano a conclusioni in contrasto con il diritto CE.

La Commissione sottolinea che i giudici nazionali dovrebbero ricorrere a tale facoltà esclusivamente nel caso in cui esse non riescano a pervenire — anche tramite le indicazioni mutuate dalla prassi della Commissione — ad una valutazione di una specifica fattispecie (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 27).

A fronte della richiesta di parere, la Commissione si impegna a rispondere entro quattro mesi dal momento in cui è pervenuta la domanda (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 28) 911.

La Commissione nell'esprimere il parere si limita a fornire alle giurisdizioni nazionali — a tutela dell'indipendenza dei giudici — "gli elementi di fatto o i chiarimenti economici o giuridici richiesti, senza entrare nel merito della controversia sottoposta alla giurisdizione nazionale. Inoltre, diversamente dall'interpretazione formale del diritto comunitario da parte delle giurisdizioni comunitarie, il parere della Commissione non vincola giuridicamente la giurisdizione nazionale" (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 29).

Tale principio, già precedentemente definito nella giurisprudenza Delimitis 912, presenta una particolarità se confrontato con l'art. 11(5) reg.

911 La Commissione aggiunge: "qualora la Commissione debba chiedere alla giurisdizione nazionale informazioni complementari per essere in grado di formulare il suo parere, il termine inizierà a decorrere dal momento del ricevimento delle informazioni complementari" (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 28).

912 Le informazioni a cui la Comunicazione sulla cooperazione con i giudici nazionali (1993) si riferiva riguardavano "dati di fatto, quali statistiche, studi di mercato e analisi economiche" (ibidem, § 40).

Oltre a quanto indicato dalla Commissione riguardo alle informazioni sui procedimenti, le giurisdizioni nazionali possono anche chiedere alla Commissione specifiche informazioni relative a dati "economici o giuridici". Tale facoltà risale già alla giurisprudenza Delimitis (v. supra nota 899). In questa sentenza era sostenuto: "Il giudice a

quo può, ["nei limiti del diritto nazionale processuale applicabile e fatto salvo l'art. [287] del Trattato"], contattare la Commissione qualora l'applicazione concreta dell'art. [81], n. 1, o dell'art. [82] sollevi particolari difficoltà al fine di ottenere i dati economici e giuridici che

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1/03 (relativo alla consulenza della Commissione alle Autorità nazionali). Infatti, l'art. 15(1) reg. 1/03 limita lo spettro dei quesiti che le giurisdizioni nazionali possono proporre all'Autorità CE esclusivamente "a questioni relative all'applicazione delle regole di

concorrenza comunitarie" (corsivo aggiunto). Diversamente, la previsione relativa alle Autorità nazionali prevede il potere di "consultare la Commissione su qualsiasi caso che implichi l'applicazione del diritto

comunitario" (corsivo aggiunto). Il minore ambito riguardo al quale le giurisdizioni nazionali possono proporre pareri alla Commissione si collega al principio che "innerva" tutto il reg. 1/03; e cioè la limitazione — per quanto possibile — dell'intervento diretto della Commissione. Ciò detto, nei limiti di "procedimenti per l'applicazione degli articoli 81 e 82" TCE, le giurisdizioni nazionali — da quanto si mutua dal testo della norma — possono comunque proporre questioni con riferimento non solo al diritto antitrust CE, ma anche con riferimento alle altre regole comunitarie di tutela della concorrenza.

Dal testo dell'art. 15(1) reg. 1/03 si desume che le giurisdizioni nazionali non possono richiedere "alla Commissione di trasmettere loro le informazioni in (…) possesso" dell'Autorità CE al fine di applicare il diritto antitrust dello Stato membro. L'unica eccezione — cioè il caso in cui sia possibile utilizzare documenti acquisiti ai sensi del reg. 1/03 per applicare il diritto antitrust degli Stati membri — è disciplinato dall'art. 12(2) reg. 1/03 913 con riferimento allo "scambio di informazioni", ma ciò esclusivamente tra Commissione e Autorità nazionali. D'altra parte, l'art. 28 reg. 1/03 — relativo al "segreto d'ufficio" — non prevede (oltre alle altre deroghe previste dagli artt. 11 reg. 1/03, 12 reg. 1/03, 14 reg. 1/03, 15 reg. 1/03 e 27 reg. 1/03) l'ulteriore deroga allo "scambio e uso" delle informazioni" ex reg. 1/03 per l'applicazione del diritto antitrust degli Stati membri. Tale deroga avrebbe permesso anche alle

detta istituzione è in grado di fornirgli" (§ 53). Tale principio è stato poi assorbito nella successiva Comunicazione sulla cooperazione tra Commissione e giurisdizioni nazionali per l'applicazione del diritto antitrust CE (1993).

913 L'art. 12(2) ultima parte reg. 1/03 — relativo esclusivamente ai rapporti tra Commissione e Autorità nazionali — recita: "Tuttavia qualora la legislazione nazionale in materia di concorrenza sia applicata allo stesso caso e in parallelo al diritto comunitario in materia di concorrenza e non porti ad un risultato diverso, le informazioni scambiate ai sensi del presente articolo possono essere utilizzate anche per l'applicazione della legislazione nazionale in materia di concorrenza".

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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giurisdizioni nazionali di ottenere a tale fine le informazioni dalla Commissione.

164. (segue) La mancanza di tutela giurisdizionale dei pareri della

Commissione.

I pareri della Commissione, sebbene atti privi di forza obbligatoria,

dimostrano — come sostenuto dal Tribunale di primo grado — che "l'osservanza volontaria degli atti non vincolanti delle istituzioni è un elemento essenziale nella realizzazione degli scopi del Trattato" 914. Deve essere però sottolineato che tali pareri — atti non vincolanti rivolti alle giurisdizioni nazionali — offrono una limitata tutela giurisdizionale per le parti dei procedimenti nazionali. Infatti, le parti non possono ottenere un sindacato giurisdizionale da parte del giudice comunitario dei pareri — non vincolanti — espressi dalla Commissione e a cui poi l'organo nazionale si è adeguato 915. Quindi, nel caso in cui il

914 Sentenza del Tribunale di primo grado (prima sezione) del 13 dicembre 1990,

Nederlandse Associatie Van de Farmaceutische Industrie "Nefarma" e Bond Van

Groothandelaren in Het Farmaceutische Bedrijf contro Commissione delle Comunità europee, causa T-113/89, Raccolta della giurisprudenza, 1990, p. II - 797, § 79.

915 Sul punto, v. Sentenza del Tribunale di primo grado (prima sezione) del 13 dicembre 1990, Nefarma, cit. § precedente. In essa il Tribunale di primo grado ha sostenuto: "79. Dal carteggio fra il governo olandese e la Commissione risulta che il comportamento di questo governo è dovuto all'intento di evitare, adeguando volontariamente la normativa nazionale in modo da conformarsi alla posizione espressa nella lettera del membro della Commissione, il rischio di agire in violazione del diritto comunitario in occasione dell'attuazione dell'accordo OPA. Del resto, il Trattato, in particolare nei suoi artt. [211] e [249], primo comma, contempla espressamente siffatta cooperazione volontaria fra le Autorità nazionali e le istituzioni comunitarie includendo, fra gli atti che possono essere adottati dalle istituzioni, in particolare dalla Commissione, le raccomandazioni e i pareri. Questo espresso potere di adottare atti privi di forza obbligatoria dimostra che l'osservanza

volontaria degli atti non vincolanti delle istituzioni è un elemento essenziale nella realizzazione

degli scopi del Trattato. Ne consegue che il carattere non obbligatorio di una presa di posizione da parte di un'istituzione comunitaria non può essere contestato per il fatto che il governo destinatario dell'atto si è conformato ad esso. // […] 97. Le ricorrenti hanno fatto valere anche che la protezione giurisdizionale spettante ai privati non è sufficientemente garantita se il Tribunale ammettesse che la Commissione possa procedere per applicare il diritto della concorrenza ad una concertazione con le Autorità nazionali, che porti a provvedimenti obbligatori per i privati sul piano nazionale, senza che le prese di posizione della Commissione in materia siano soggette ad un sindacato da parte del giudice comunitario. // 98. A questo proposito si deve osservare che la protezione giurisdizionale richiesta

dalle ricorrenti mirerebbe in sostanza ad ottenere dal Tribunale una dichiarazione relativa alla

compatibilità del loro accordo col diritto comunitario della concorrenza e alla fondatezza della

posizione adottata da Sir Leon Brittan nella lettera 6 marzo 1989. Orbene, siffatta forma di

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

493

giudice nazionale, direttamente — o dietro sollecitazione delle parti di causa —, richieda alla Commissione dei "pareri in merito a questioni sull'applicazione delle regole di concorrenza comunitarie", quanto espresso dalla Commissione non potrà essere oggetto di sindacato giurisdizionale. Sono quindi i giudici nazionali che decidono se applicare (eventualmente) quanto indicato nel relativo parere dalla Commissione; inoltre, sono le giurisdizioni nazionali che eventualmente (in seguito e oltre al parere della Commissione) propongono alla Corte di giustizia una richiesta di interpretazione pregiudiziale ex art. 234 TCE.

165. B) La sospensione dei procedimenti dei giudici nazionali per evitare

sentenze contrastanti con le decisioni della Commissione.

Oltre all'invio di informazioni e pareri previsto dall'art. 15(1) reg.

1/03, una seconda modalità di cooperazione tra giurisdizioni nazionali e Commissione è costituita dall'art. 16(1) terzo capoverso reg. 1/03. Anche tramite tale istituto i giudici nazionali possono evitare sentenze in contrasto con la decisione della Commissione nel caso di procedimenti paralleli sulla medesima fattispecie. L'art. 16(1) reg. 1/03 prevede che "le giurisdizioni nazionali possono valutare se sia necessario o meno sospendere i procedimenti da esse avviati" in attesa che la Commissione pervenga ad una decisione finale 916.

La Commissione chiarisce che, in caso di sospensione del procedimento nazionale istruito dalla giurisdizione nazionale parallelamente a quello della Commissione, l'Autorità CE "farà il protezione giurisdizionale non è contemplata dall'art. [230] del Trattato. Anche se le disposizioni sul diritto di impugnazione dei privati non possono essere interpretate restrittivamente (v. sentenza della Corte 15 luglio 1963, Plaumann/Commissione, causa 25/62, Racc. pag. 195, in particolare pag. 219), si oltrepasserebbero tuttavia i limiti dell'interpretazione del Trattato qualora si accogliesse un ricorso estraneo a detto articolo. // 99. Per tutti i motivi di cui sopra il Tribunale constata che la lettera inviata il 6 marzo 1989 da Sir Leon Brittan al segretario di Stato olandese per gli Affari economici e al suo collega del ministero per il Benessere, la Sanità e gli Affari culturali, considerata isolatamente, oppure insieme alle tre lettere del direttore Rocca, datate 16 marzo, 4 e 28 aprile 1989, considerate in subordine dal presente ricorso, non ha prodotto effetti giuridici obbligatori né riguardo al Regno dei Paesi Bassi né riguardo alle ricorrenti; nella fattispecie, manca quindi una decisione che possa essere impugnata" (§§ 79; 97 ss., corsivo aggiunto).

916 V. già Sentenza della Corte del 6 febbraio 1973, Sa Brasserie di Haecht, cit. nota 251, § 13.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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possibile per dare la precedenza ai casi per i quali ha deciso di avviare un procedimento ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 1 del regolamento (CE) n. 773/2004 della Commissione e che sono oggetto di procedimenti nazionali rimasti di conseguenza sospesi, soprattutto quando ne dipenda l'esito di una controversia civile" (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 12) 917.

166. C) Il rinvio pregiudiziale ex art. 234 TCE.

Una terza modalità di cooperazione con cui le giurisdizioni nazionali

possono evitare sentenze in contrasto con il diritto antitrust CE è "ricordata" dall'art. 16(1) quarto capoverso reg. 1/03. L'art. 16(1) reg. 1/03 termina "rammentando" la facoltà per i giudici nazionali, in caso di incertezza sull'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE, di richiedere alla Corte di giustizia un'interpretazione pregiudiziale ai sensi dell'art. 234 CE 918.

917 Continua la Commissione: "Tuttavia, quando la giurisdizione nazionale non abbia

motivi ragionevoli per dubitare del tenore della decisione contemplata dalla Commissione o quando la Commissione ha già adottato una decisione su un caso analogo, la giurisdizione nazionale ha facoltà di pronunciarsi sulla causa pendente conformemente alla decisione contemplata o anteriore senza essere tenuta a chiedere alla Commissione le informazioni di cui sopra o ad attendere la decisione della Commissione" (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 12).

La sospensione del procedimento nazionale per evitare sentenze in violazione del diritto CE è tanto più importante in quanto in tale ipotesi il singolo è vincolato dalla (rectius non ha l'obbligo di disapplicare la) sentenza illegittima dell'organo nazionale fino a quando la misura non sia dichiarata — anche da un'Autorità nazionale — in violazione del diritto CE. Il singolo pregiudicato dalla sentenza nazionale può però — in presenza dei requisiti della giurisprudenza CE — richiedere allo Stato membro del giudice che ha emanato la sentenza il risarcimento dei danni; v. supra § 50.

918 L'art. 16(1) reg. 1/03 prevede, inoltre, che l'obbligo nei confronti delle giurisdizioni nazionali di "evitare decisioni in contrasto con una decisione contemplata dalla Commissione in procedimenti da essa avviati" lascia "impregiudicati i diritti e gli obblighi di cui all'articolo 234 del Trattato".

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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III. I meccanismi di controllo

167. Il ruolo di controllo della Commissione nei confronti delle giurisdizioni

nazionali. Il valore delle osservazioni della Commissione.

L'art. 15(3) reg. 1/03 disciplina una seconda categoria di procedimenti

volti a facilitare la corretta applicazione del diritto antitrust CE, strumenti di controllo che la Commissione (ma anche le Autorità nazionali) esercitano di propria iniziativa, diversamente dagli istituti fin ora presi in considerazione, proposti o attuati d'ufficio dai giudici nazionali. In particolare, l'art. 15(3) reg. 1/03 prevede la facoltà dell'organo CE di presentare delle osservazioni scritte ai giudici degli Stati membri 919 — e, previa autorizzazione del giudice competente, anche "osservazioni orali" 920 — "qualora sia necessario ai fini dell'applicazione uniforme" del diritto antitrust CE 921.

Poiché il reg. 1/03 non contiene disposizioni procedurali per la presentazione delle osservazioni, la procedura applicabile — come ricorda la Commissione — "è determinata dalle norme e dalle prassi degli Stati membri in materia. Se uno Stato membro non ha ancora previsto una procedura applicabile al riguardo, spetta alla giurisdizione

919 La giurisdizione nazionale è formalmente edotta di quale organo possa presentare le

osservazioni ex art. 15 reg. 1/03 tramite l'indicazione fornita dallo Stato membro alla Comunità ex art. 35(1) reg. 1/03.

920 La norma non prevede quale siano i soggetti che possono essere delegati dalla Commissione o dalle Autorità nazionali per presentare delle "osservazioni orali". È quindi ipotizzabile che per casi di particolare importanza sia addirittura il Commissario con competenza in materia di concorrenza o il Presidente dell'Autorità nazionale a presentare le osservazioni davanti ai giudici.

L'art. 15 reg. 1/03 prevede una norma di salvaguardia con riferimento ai "più ampi poteri di presentare osservazioni dinanzi alle giurisdizioni che siano conferiti alle Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri in forza della legislazione dei rispettivi Stati membri" (art. 15(4) reg. 1/03).

L'art. 15(3) reg. 1/03 della proposta di regolamento del 2000 prescriveva — a differenza dal reg. 1/03 — che la Commissione o le Autorità nazionali in caso di presentazione delle "osservazioni orali" non sarebbero dovute essere espressamente autorizzate dal giudice nazionale.

921 Tale istituto si inserisce (come in generale tutte le norme del capitolo IV, rubricato come "Cooperazione") nella direzione indicata dal regolamento 1/03; e cioè, da una parte, verso un maggiore decentramento delle norme antitrust CE e, dall'altra, definendo degli istituti di controllo delle decisioni o sentenze degli organi degli Stati membri.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

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nazionale interessata determinare quali siano le regole procedurali da seguire per la presentazione di osservazioni nella causa pendente dinanzi ad essa" (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 34). Gli Stati membri, nell'emanazione di tali normative (così come le giurisdizioni nazionali nella relativa applicazione) saranno comunque vincolati dai principi generali del diritto comunitario (ad es., principio di efficacia, principio di equivalenza).

L'art. 15(3) reg. 1/03 è preceduto da una disposizione che obbliga gli Stati membri a trasmettere alla Commissione "copia delle sentenze scritte" delle giurisdizioni nazionali competenti a pronunciarsi sull'applicazione del diritto antitrust CE 922. Tale norma — che si inserisce nel procedimento disciplinato dall'art. 15(3) reg. 1/03 — costituisce il mezzo con cui la Commissione è messa formalmente al corrente delle sentenze delle giurisdizioni nazionali in applicazione degli artt. 81 e 82 TCE 923.

L'istituto di cui all'art. 15(3) reg. 1/03 è un elemento (come in generale tutte le norme del capitolo IV — rubricato come "Cooperazione" — ) della strategia del reg. 1/03 diretta, da una parte,

922 Tale istituto, così come l'art. 11(4) reg. 1/03, disciplina un ulteriore mezzo per

evitare un'eventuale violazione del diritto CE e quindi il successivo obbligo della Commissione di proporre un procedimento ex art. 226 TCE.

Si deve inizialmente sottolineare che la norma non disciplina alcuna sanzione specifica per la violazione dell'obbligo di cui all'art 15(2) reg. 1/03, salvo — ovviamente — l'eventuale procedimento di violazione di cui all'art. 226 TCE. Con riferimento a ciò, non è però da sottovalutare il rischio che lo Stato membro corra non inviando alla Commissione le sentenze ex art. 15(2) reg. 1/03. Infatti, nel caso in cui la Commissione non fosse messa al corrente di una sentenza e tale decisione risultasse in violazione del diritto CE, non solo lo Stato membro avrebbe posto in essere una prima violazione ex art. 15(3) reg. 1/03 del diritto CE non notificando la sentenza, ma avrebbe violato ulteriormente il diritto CE con una sentenza contraria al diritto CE. In conseguenza di ciò lo Stato membro — in presenza dei requisiti previsti dalla giurisprudenza CE — dovrebbe inoltre risarcire gli eventuali danni causati ai privati da tale (seconda) violazione.

923 Diversamente l'art. 15(2) della proposta del 2000 recitava: "Gli organi giudiziari degli Stati membri trasmettono alla Commissione copia delle sentenze riguardanti l'applicazione degli articoli 81 o 82 del Trattato entro un termine di un mese a partire dalla loro pronuncia".

Le informazioni ricevute dall'art. 15(2) reg. 1/03 attribuiscono alla Commissione anche l'opportunità di creare — come per i procedimenti antitrust delle Autorità nazionali — un sistema di informazione delle sentenze ad essa pervenute. V. il nuovo settore del sito Internet della D.G. Comp. in cui sono elencate le sentenze dei giudici nazionali emanate in applicazione degli artt. 81 e 82 TCE.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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verso una maggiore applicazione decentrata delle norme antitrust CE e, dall'altra, verso la creazione di istituti di controllo delle decisioni degli organi degli Stati membri. In particolare, l'art. 15(3) reg. 1/03 si fonda sul ruolo che la Commissione svolge ai sensi dall'art. 211 TCE quale organo di orientamento della politica di concorrenza CE (quindi l'unico soggetto legittimato a chiarire il contenuto dei "principi degli artt. 81 e 82 TCE" al fine di salvaguardare — in ultima istanza — "l'applicazione uniforme" degli artt. 81 e 82 TCE).

L'istituto è sostanzialmente differente dal ruolo della Commissione cd. di amicus curiae, di cui all'art. 15(1) reg. 1/03. Infatti, mentre l'art. 15(1) reg. 1/03 costituisce una forma di cooperazione tra Commissione e giurisdizioni nazionali, l'art. 15(3) reg. 1/03 disciplina nei confronti dei giudici nazionali — così come l'art. 11(3) reg. 1/03 nei confronti delle Autorità nazionali — un penetrante mezzo di controllo delle sentenze delle

giurisdizioni nazionali. Il procedimento di controllo delle sentenze — intervento più limitato rispetto alla proposta di regolamento del 2000 924 — permette alla Commissione di valutare (ed eventualmente contestare) le decisioni delle giurisdizioni nazionali 925, sia prima che la

924 L'art. 15(3) della proposta regolamento del 2000 prevedeva che "per ragioni di

interesse pubblico comunitario la Commissione può, agendo d'ufficio, presentare osservazioni scritte o orali agli organi giudiziari degli Stati membri in merito ai procedimenti che implicano questioni d'applicazione degli articoli 81 o 82 del Trattato. La Commissione può farsi rappresentare dalle Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri. Queste ultime possono a loro volta, di propria iniziativa, presentare osservazioni scritte o orali agli organi giudiziari del loro Stato. (…) A tal fine la Commissione e le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri possono chiedere agli organi giudiziari nazionali di trasmettere loro qualsiasi documento necessario".

925 È utile distinguere l'istituto di cui all'art. 15(3) reg. 1/03 da quello di cui all'art. 15(1) reg. 1/03. In primo luogo, nella norma qui in commento l'intervento della Commissione e delle Autorità nazionali per presentare osservazioni scritte o orali davanti ai giudici nazionali è proposto d'ufficio. Diversamente, ai sensi dell'art. 15(3) reg. 1/03, la richiesta avviene su istanza dei giudici. In secondo luogo, nel caso dell'art. 15(1) reg. 1/03, l'unico organo competente per tale compito è la Commissione; mentre ai sensi dell'art. 15(3) reg. 1/03 — aspetto modificato rispetto alla proposta di regolamento del 2000 — gli organi competenti sono sia la Commissione che le Autorità nazionali. In terzo luogo, nel caso dell'art. 15(1) reg. 1/03 la richiesta, proveniente dal giudice, può rimanere anche tendenzialmente vaga nella formulazione e con riferimento al caso su cui essa debba essere applicata ("i suoi pareri in merito a questioni relative all'applicazione delle regole di concorrenza comunitarie"). Al contrario, ai sensi dell'art. 15(3) reg. 1/03, l'intervento d'ufficio della Commissione o delle Autorità nazionali, sia che sia solo scritto o orale, riguarda casi specifici "individuati" dalla Commissione e dalle Autorità nazionali ("in merito a questioni relative all'applicazione dell'articolo 81 o dell'articolo 82 del Trattato"). Per tale motivo è previsto che tali organi "possono chiedere alla competente giurisdizione

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

498

sentenza finale sia emessa, sia quando la sentenza sia passata in giudicato, ma sempre in modo da tutelare l'indipendenza di essi 926.

Tale controllo può essere attivato, in una prima ipotesi, quando la decisione del giudice sia ancora pendente 927, o quando una sentenza che applica gli artt. 81 e 82 TCE (sentenza comunicata alla Commissione ai sensi dell'art. 15(2) reg. 1/03) sia stata successivamente appellata. In questo caso la Commissione, ai sensi dell'art. 15(3) reg. 1/03, dispone della facoltà di "presentare osservazioni (…) alle giurisdizioni degli Stati membri (…) ai fini dell'applicazione uniforme" del diritto antitrust CE. Questo permette alla Commissione di chiarire ai giudici nazionali quale sia nello specifico caso l'interpretazione corretta degli artt. 81 e 82 TCE, garantendo così la "nomofilachia" dei principi degli artt. 81 e 82 TCE 928. La Commissione — data la finalità delle osservazioni ex art. 15(3) reg. 1/03 — "si limiterà ad una analisi economica e giuridica dei fatti su cui verte la causa pendente dinanzi alla giurisdizione nazionale" (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 32).

Il controllo da parte della Commissione nei confronti delle giurisdizioni nazionali può essere attivato, in una seconda ipotesi, nell'eventualità in cui la sentenza che applica gli artt. 81 e 82 TCE — comunicata alla Commissione ai sensi dell'art. 15(2) reg. 1/03 — abbia acquisito forza di giudicato e pervenga (ad avviso della Commissione) a dello Stato membro di trasmettere o di garantire che vengano loro trasmessi i documenti necessari alla valutazione del caso trattato" (art. 15(3) secondo capoverso reg. 1/03).

926 Come ricordato dalla Commissione: "Quale che sia la forma assunta dalla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, la Commissione rispetterà l'indipendenza delle giurisdizioni nazionali" (Comunicazione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali, § 19). La Commissione specifica ulteriormente: "In effetti l'assistenza fornita dalla Commissione alle giurisdizioni nazionali si iscrive nel suo dovere di tutela dell'interesse pubblico. Essa non ha quindi titolo a servire l'interesse delle parti della causa pendente dinanzi al giudice. Di conseguenza la Commissione non intende sentire alcuna delle parti in merito all'assistenza data alla giurisdizione nazionale" (ibidem, § 19).

927 In questo caso la Commissione ha ricevuto informazione del procedimento non tramite lo strumento formale dell'art. 15(2) reg. 1/03, ma tramite mezzi informali (informazioni da parte delle Autorità nazionali o notizie acquisite tramite mezzi di comunicazione di massa, etc.).

928 Tale istituto rappresenta orientativamente quello che l'art. 11(4) reg. 1/03 rappresenta per i rapporti tra Commissione e Autorità nazionali. A differenza di questo, le prese di posizione della Commissione, ex art. 15(3) reg. 1/03, non sono oggetto di valutazione da parte del Comitato consultivo ex art. 14 reg. 1/03; inoltre, la Commissione non dispone del potere di avocazione del caso nei confronti delle giurisdizioni nazionali, e ciò al fine di permettere sempre la tutela giurisdizionale dei diritti conferiti dall'art. 81(1) e 82 TCE (v. Sentenza della Corte del 30 gennaio 1974, Sabam - Fonior, cit. a nota 288).

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

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conclusioni in contrasto con il diritto CE. In questo caso l'Autorità CE può aprire un procedimento di infrazione nei confronti dello Stato membro ai sensi dell'art. 226 TCE 929.

L'art. 15(3) reg. 1/03 non prevede espressamente quale rilevanza i giudici nazionali debbano attribuire alle "osservazioni" della Commissione. Ebbene, il provvedimento con cui l'Autorità CE emana tali indicazioni è un provvedimento non vincolante, in quanto non è compreso tra gli atti di cui all'art. 249 TCE, né è disciplinato dal reg. 1/03. In questo modo si propone nuovamente il problema — osservato supra — relativo ai pareri ex art. 15(1) reg. 1/03; cioè il provvedimento della Commissione non può essere oggetto di sindacato giurisdizionale — per le conseguenze, v. supra —. Da ciò consegue che il giudice nazionale può non seguire le "osservazioni" emanate d'ufficio dalla Commissione e invece può proporre, successivamente all'emanazione delle "osservazioni" dell'Autorità CE, la richiesta di una interpretazione pregiudiziale alla Corte di giustizia ex art. 234 TCE.

Ciò detto, il giudice nazionale — in assenza di una sentenza pregiudiziale della Corte — dovrà attribuire alle "osservazioni" della Commissione una rilevante importanza in conseguenza della finalità dell'istituto (cioè evitare che lo Stato membro ponga in essere, tramite le giurisdizioni nazionali, una violazione del diritto CE) e delle conseguenze di ciò per i singoli (v. supra § 50).

168. Il ruolo di controllo delle Autorità nazionali nei confronti delle

giurisdizioni nazionali. La differente funzione delle osservazioni delle

Autorità nazionali rispetto a quelle della Commissione.

L'art. 15(3) reg. 1/03 attribuisce anche alle Autorità antitrust la

facoltà di presentare alle giurisdizioni nazionali osservazioni concernenti il diritto antitrust CE. In particolare, le Autorità nazionali possono presentare ai giudici nazionali, agendo d'ufficio, "osservazioni scritte" — e, dietro autorizzazione del giudice competente, "osservazioni orali" — "in merito a questioni relative all'applicazione dell'articolo 81 o dell'articolo 82 del Trattato" (art. 15(3) reg. 1/03).

929 Sul punto, v. Sentenza della Corte del 30 settembre 2003, Gerhard Köbler contro

Republik Österreich, causa C-224/01, Raccolta della giurisprudenza, 2003 p. I - 10239.

I FONDAMENTI DEL DIRITTO ANTITRUST EUROPEO

500

L'art. 15(3) reg. 1/03, come appare chiaro dalla lettera della norma, attribuisce alle Autorità nazionali — nell'economia del medesimo istituto — un ruolo differente rispetto a quello della Commissione. Le Autorità nazionali, infatti, intervengono presentando osservazioni scritte in merito "a questioni relative all'applicazione dell'articolo 81 o dell'articolo 82 del Trattato" (art. 15(3) reg. 1/03). La Commissione interviene invece — in considerazione della competenza esclusiva di orientamento della politica di concorrenza 930 — solo "qualora sia necessario ai fini dell'applicazione uniforme dell'articolo 81 o dell'articolo 82 del Trattato" (corsivo aggiunto).

L'interesse delle Autorità nazionali — ex art. 15(3) reg. 1/03 — non è quindi quello di salvaguardare "l'applicazione uniforme" della politica di concorrenza — come per il caso della Commissione — ma è quello di evitare che lo Stato membro di appartenenza ponga in essere, tramite la sentenza di un "proprio" giudice, una violazione del diritto CE. Il reg. 1/03, in altre parole, ha delegato alle Autorità nazionali il controllo della "correttezza" delle sentenze delle giurisdizioni nazionali del relativo Stato membro rispetto al diritto antitrust CE; e ciò con l'obiettivo di limitare l'attività della Commissione — obiettivo generale del regolamento 1/03 —, e in particolare di limitare l'attività della Commissione alla tutela "dell'applicazione uniforme" del diritto antitrust CE — competenza esclusiva dell'Autorità comunitaria —.

La differente finalità dell'intervento dell'Autorità nazionale rispetto alla Commissione — e cioè evitare che lo Stato membro ponga in essere tramite le giurisdizioni nazionali una violazione del diritto CE — giustifica, inoltre, il fatto che l'art. 15(3) reg. 1/03 non disciplini le modalità con cui le Autorità nazionali conoscono delle sentenze emesse dalle giurisdizioni nazionali ai sensi degli artt. 81 e 82 TCE (anche se è da darsi per presupposto il fatto che gli organi dello Stato debbano conoscere le disposizioni e la giurisprudenza dell'ordinamento giuridico di appartenenza). Questo è infatti un aspetto meramente di rilevanza

930 La posizione "subordinata" delle Autorità nazionali rispetto alla Commissione

dovrebbe evitare quindi possibili conflitti tra Commissione e Autorità nazionali nel caso in cui entrambi gli organi vogliano intervenire con osservazioni. Tra le osservazione dei due organi, l'impostazione della Commissione — in quanto titolare della competenza di orientamento della politica di concorrenza CE — prevale su quanto indicato dall'Autorità nazionale.

IL SISTEMA DI TUTELA ANTITRUST DISCIPLINATO DAL REG. 1/03

501

interna agli Stati membri. Saranno gli Stati membri stessi a regolare — come sembra sottointendere la norma di salvaguardia dell'art. 15(4) reg. 1/03 — specifiche normative in materia. Queste, ad esempio, potrebbero obbligare a far pervenire alle Autorità nazionali — secondo modalità varie — non solo le singole sentenze, ma anche la notifica delle cause iniziate ai sensi degli artt. 81 e 82 TCE dei giudici dell'ordinamento giuridico di appartenenza 931.

Infine, il fatto che il reg. 1/03 riguardi "l'applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato" non permette alla Commissione o alle Autorità nazionali di intervenire, ex art. 15(3) reg. 1/03, per "presentare osservazioni scritte alle giurisdizioni nazionali dei rispettivi Stati membri in merito" alle norme nazionali antitrust e alla loro applicazione 932. Però, in considerazione di quanto supra sostenuto — ovvero che l'art. 15(3) reg. 1/03 costituisce una modalità per le Autorità di evitare che le giurisdizioni nazionali emanino delle "misure" in violazione del diritto CE — le Autorità nazionali possono predisporre "d'ufficio" osservazioni riguardo agli artt. 81 e 82 TCE in casi di applicazione parallela del diritto antitrust della CE e degli Stati membri. Questo con l'intento di evitare che le giurisdizioni nazionali — applicando parallelamente il diritto antitrust della CE e degli Stati membri — pervengano a conclusioni in violazione dell'art. 3(2) reg. 1/03 933.

931 Cioè, anche se in una dinamica inversa, in modo simile a quanto previsto in Italia ai

sensi degli artt. 16(4) l. n. 287/90, 16(8) l. n. 287/90 e 18(2) l. n. 287/90. Ai sensi di tali norme, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato è obbligata a comunicare al Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato le proprie decisioni in materia di concentrazioni tra imprese.

Riguardo ad ulteriori aspetti nascenti dalla riforma e rilevanti per i giudici nazionali, v. FAUSTO CAPELLI, La riforma della disciplina comunitaria della concorrenza e i nuovi compiti affidati ai giudici nazionali (con particolare riferimento alla situazione italiana), in Diritto

comunitario e degli scambi internazionali, 2000, p. 395. 932 Tali osservazioni possono essere infatti formulate esclusivamente "nell'ambito dei

procedimenti per l'applicazione dell'articolo 81 o dell'articolo 82 del Trattato" (art. 15(1) reg. 1/03, corsivo aggiunto).

933 Infatti, nel caso in cui la fattispecie sia di rilevanza comunitaria, l'art. 3(1) reg. 1/03 obbliga anche l'applicazione degli artt. 81 e 82 TCE — essendo questa indicazione rivolta ad evitare che il giudice tanto con riferimento agli artt. 81 e 82 TCE, quanto con riferimento al diritto antitrust degli Stati membri, rischi di emanare una sentenza che sia in contrasto con l'art. 3(2) reg. 1/03 —.

Questo rischio presume, però, che il campo di applicazione della normativa antitrust dello Stato membro permetta un'applicazione parallela agli artt. 81 e 82 TCE. Questa

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169. L'invio da parte delle giurisdizioni nazionali alla Commissione e alle

Autorità nazionali delle informazioni necessarie per la preparazione

delle osservazioni.

L'art. 15(3) secondo capoverso reg. 1/03 prevede infine che, affinché

la Commissione e le Autorità nazionali dispongano delle informazioni per la preparazione delle rispettive osservazioni, esse "possono chiedere alla competente giurisdizione dello Stato membro di trasmettere o di garantire che vengano loro trasmessi i documenti necessari alla valutazione del caso trattato". La norma esclude che i documenti che le giurisdizioni nazionali sono obbligate ad inviare alla Commissione e all'Autorità nazionale "ai fini della preparazione delle rispettive osservazioni", siano oggetto della disciplina dell'art. 12 reg. 1/03 (cioè la norma relativa allo scambio e utilizzo delle informazioni tra organi del sistema amministrativo antitrust CE — v. supra p. 379). Parimenti, tali informazioni non possono essere utilizzate come mezzi di prova per altri procedimenti della Commissione o delle Autorità nazionali.

Ma anche se le informazioni ex art. 15(3) secondo capoverso reg. 1/03 non possono essere utilizzate come mezzo di prova in un procedimento antitrust, i documenti depositati durante il procedimento (anche dalla parte attrice) possono essere utilizzati successivamente dalla Commissione o dalle Autorità nazionali come meri indizi per iniziare un autonomo procedimento antitrust. Infatti, secondo la citata giurisprudenza Banche spagnole, le Autorità nazionali non possono essere obbligate a soffrire di "amnesia acuta" 934 e quindi di "fare finta di non aver visto" determinati documenti anche se essi non sono utilizzabili

quali mezzi di prova. Questo permette alla Commissione e alle Autorità nazionali — successivamente all'apertura del procedimento sulla base degli indizi mutuati dai documenti inviati ex art. 15(3) reg. 1/03 — di esercitare i propri poteri istruttori per accertare una violazione del diritto antitrust, non solo ai sensi degli artt. 81 e 82 TCE ma anche ai sensi del diritto antitrust nazionale. eventualità, come supra indicato, è esclusa nella vigente legge antitrust italiana. L'art. 1(1) l. n. 287/90 prescrive, infatti, che la legge sia applicabile solo quando non siano applicabili gli artt. 81 e 82 TCE.

934 Sentenza della Corte del 16 luglio 1992, Banche spagnole, cit. a nota 366, § 39.

SEZIONE IV

CONCLUSIONI

SOMMARIO: 170. Il sistema antitrust europeo disciplinato dal reg. 1/03: luci ed ombre del regolamento.

170. Il sistema antitrust europeo disciplinato dal reg. 1/03: luci ed ombre del

regolamento.

Il presente studio ha chiarito che la finalità del reg. 1/03 (finalità

organizzata intorno alla politica di decentramento antitrust CE) è costituita da due generali obiettivi: da una parte, liberare la Commissione da una eccessiva attività repressiva diretta, e ciò (anche) tramite l'obbligo delle Autorità e dei giudici nazionali di applicare il diritto antitrust CE; dall'altra, organizzare il controllo della Commissione riguardo all'applicazione del diritto antitrust CE da parte delle Autorità e delle giurisdizioni nazionali.

Le modalità con cui la politica di decentramento è stata disciplinata nel reg. 1/03 sono, da una parte, interessanti e innovative; dall'altra, in alcuni casi manifestamente eccessive in rapporto agli obiettivi dell'ordinamento CE.

Da una parte, infatti, il reg. 1/03 è pervenuto ad un risultato storico (soprattutto se esso è apprezzato valutando le discussioni e le difficoltà degli anni '30 relative alla creazione di una Rete "internazionale" di Stati per il controllo dei cartelli; v. supra § 7); il reg. 1/03, in particolare, ha definito delle interessanti soluzioni: 1. con riferimento alla gestione, cooperazione e controllo da parte della Commissione di una Rete di Autorità antitrust appartenenti a differenti Stati (sebbene membri della CE); 2. con riferimento alla cooperazione e al controllo da parte della

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Commissione dei giudici nazionali per l'applicazione del diritto antitrust CE.

Dall'altra, il reg. 1/03 ha disciplinato delle soluzioni non necessarie e illegittime in rapporto agli obiettivi della CE.

Infatti, il regolamento, al fine di limitare l'attività repressiva diretta della Commissione, ha cercato di ampliare la competenza delle giurisdizioni nazionali attribuendo loro l'applicazione dell'art. 81(3) TCE (art. 6 reg. 1/03). Tale norma è illegittima per falsa applicazione dell'art. 83(2) lett. b TCE e per violazione del principio dell'effetto diretto (v. supra§ 148).

Inoltre, il reg. 1/03, con l'(asserito) obiettivo di tutelare il mercato interno, ha limitato l'applicazione divergente del diritto antitrust nazionale rispetto al diritto antitrust CE; il reg. 1/03 ha infatti disciplinato (illegittimamente) la competenza esclusiva di fatto del diritto antitrust CE con riferimento alle intese anticoncorrenziali che rientrano nel campo di applicazione dell'art. 81 TCE (art. 3(2) reg. 1/03). Tale norma, proprio perché non necessaria all'obiettivo della tutela del mercato interno, è illegittima per violazione del principio di proporzionalità (art. 5(3) TCE; v. supra§ 45).

Ciò detto, il reg. 1/03 fa sorgere un timore con riferimento alla possibilità che esso possa garantire il controllo antitrust lì previsto.

Se infatti il regolamento pone quale obiettivo quello di ridurre l'attività di controllo diretto della Commissione nei confronti delle

imprese, il reg. 1/03 prevede però numerosi procedimenti di controllo della Commissione nei confronti delle Autorità e delle giurisdizioni

nazionali riguardo ai provvedimenti emanati da questi in applicazione del diritto antitrust CE. In altre parole, ai sensi del reg. 1/03 l'attività di controllo della Commissione non solo rimane (giustamente) presente, ma (al fine dell'applicazione coerente del diritto antitrust CE nei 25 differenti Stati membri) estende il proprio ambito di attività; il controllo si estende, infatti, dalle imprese la cui attività ha effetto sul territorio dell'ordinamento CE, a 25 Autorità nazionali e ad un numero molto maggiore di giurisdizioni nazionali 935.

935 Il problema generale è quindi la necessità di un maggiore finanziamento della D.G. Comp. per permettere al reg. 1/03 — e ai meccanismi lì definiti — di funzionare correttamente. V. supra nota 816. Questo incide direttamente su di un altro aspetto del reg. 1/03, e cioè il grado di approfondimento con cui la Commissione potrà svolgere le attività di

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Il timore che sorge riguarda, quindi, come possa essere contemperato tale nuovo obiettivo di cooperazione e controllo con "la mancanza di risorse umane di cui [soffre] l'istituzione", come ammesso recentemente dalla stessa Autorità CE 936. Il rischio è che il problema alla base della riforma del reg. 17/62 — l'eccesso di attività della Commissione rispetto alle proprie capacità — continui ad essere il problema centrale anche del reg. 1/03. Per risolvere tale "rischio" non è però necessario modificare il reg. 1/03, ma è "sufficiente" aumentare sensibilmente la dotazione finanziaria e di personale della D.G. Comp..

controllo nei confronti dell'Autorità e delle giurisdizioni nazionali, al fine della tutela che i singoli ricevono con riferimento agli artt. 81 e 82 TCE. Il problema generale è quindi la necessità di un maggiore finanziamento della D.G. Comp. per permettere al reg. 1/03 — e ai meccanismi lì definiti — di funzionare correttamente.

936 V. Sentenza del Tribunale di primo grado (Terza Sezione) del 19 marzo 2003, CMA CGM e altri contro Commissione delle Comunità europee, causa T-213/00, Raccolta

della giurisprudenza, 2003, p. II - 913, § 320.