I e il ruolo della Rai...Lo stato della tv in Italia e il ruolo della Rai Il servizio pubblico e la...

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Camera dei deputati Senato della Repubblica Lo stato della tv in Italia e il ruolo della Rai Il servizio pubblico e la sua identità 1° Seminario Roma, 24 novembre 2009 Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

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  • Camera dei deputati

    Senato della Repubblica

    Lo stato della tv in Italia e il ruolo della RaiIl servizio pubblico e la sua identità

    1° SeminarioRoma, 24 novembre 2009

    Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

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  • La Commissione esprime un vivo ringraziamento alPresidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per il suoAlto Patronato ai tre seminari

  • Lo stato della tv in Italia e il ruolo della RaiIl servizio pubblico e la sua identità

    1° SeminarioRoma, 24 novembre 2009

    Senatodella Repubblica

    Camera dei deputati

    Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

    Lo stato della tv in Italia e il ruolo della RaiIl servizio pubblico e la sua identità

    1° SeminarioRoma, 24 novembre 2009

    Senatodella Repubblica

    Camera dei deputati

    Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

  • Il presente volume raccoglie gli atti del Seminario promosso dalla Commissione per l’indirizzo generale e lavigilanza dei servizi radiotelevisivi.

    La raccolta degli atti è stata curatadall’Ufficio di segreteria della Commissione.

    Gli aspetti editoriali sono stati curati dall’Ufficiodelle informazioni parlamentari, dell’archivioe delle pubblicazioni del Senato.

    © 2010 Senato della Repubblica

  • PREFAZIONI

  • RENATO SCHIFANIPRESIDENTE DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

    Nella memoria e nell’immaginario dell’Italia dioggi vi sono tanti “emblemi” che hanno segnato l’im-pegno educativo della RAI. Sarebbe impossibile inpoche pagine ripercorrere tutti i suoi contributi allaformazione della cultura del nostro Popolo: dalla crea-zione di una coscienza nazionale alla lotta control’analfabetismo, dall’attenzione al pubblico infantilealla partecipazione alla gioie e alle tragedie dellanostra Nazione, le immagini trasmesse dalla RAI sonoparte essenziale della nostra “vita” di tanti decenni.

    La storia della RAI l’ha vista dunque protagoni-sta dell’arricchimento culturale italiano. Generazionisu generazioni, dalla seconda metà del secolo scorso,hanno ricevuto, tramite il vedere e l’ascoltare in TV,un apporto di conoscenza formativa molto vasta siaper quantità che per efficacia. Ogni forma di bellezzaartistica, ogni forma di approccio alla scienza, ognianalisi retrospettiva e contemporanea dei fenomeniumani e degli eventi, hanno accompagnato, grazie alServizio pubblico televisivo, la vita degli italiani.

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  • Si può parlare oggi dunque di una “pedagogiadella RAI”. A volte l’azienda si è infatti posta al servi-zio della scuola, altre volte ne ha anticipato sensibili-tà e innovazioni. Alla RAI va quindi riconosciuto l’in-dubbio merito di aver contribuito in modo decisivo aformare ed educare tanti Italiani. Lo ha fatto consen-tendo l’accesso gratuito alla letteratura, al teatro, allamusica e all’arte; settori della conoscenza umana chealtrimenti sarebbero stati spesso inaccessibili, pro-muovendo, in tal modo, con lo sviluppo della cono-scenza, anche il rispetto e la sensibilità alla saggezzae alla bellezza.

    Così, il messaggio televisivo ha contributo nonpoco a risolvere tanti piccoli e grandi problemi fami-liari, aiutando non di rado le persone ad affrontare lequestioni di ogni giorno, e rinfrancando al tempo stes-so lo spirito dei malati, di coloro che vivono isolati neipiù remoti angoli della nostra Patria, degli anzianispesso soli.

    Ma anche per coloro che costituiscono il benepiù prezioso di una comunità la RAI ha fatto tanto.Grazie ai suoi programmi educativi e di svago, i bam-bini sin dall’età prescolare sono stati infatti introdottialla lettura e all’aritmetica, alle grandezze della natu-ra e alla storia, così come i giovani hanno spessomigliorato la loro formazione scolastica e culturale.

    Su un altro piano poi la RAI ha avuto un ruolocruciale. Non sfugge ad alcuno, infatti, come, con la

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  • presenza stabile della sua voce in ogni casa, la RAIabbia favorito l’accrescimento di una identità comunetra le regioni, seppure esaltandone le peculiarità. S’ètrattato di un fenomeno complesso che ha dato senzatogliere, ha costruito senza demolire. E se l’Italia èstata figlia di Virgilio, di Dante, di Manzoni, delnostro Rinascimento e del genio nazionale di ognitempo, se la sua unità statuale è stata figlia dei padridel Risorgimento, è alla televisione che si deve buonaparte della fusione delle genti che l’abitano. Il nostroPaese è cresciuto e si è modellato anche grazie a que-sto moltiplicatore di conoscenza e di scambio.

    Certamente per alcuni questo processo di “armo-nizzazione” si è sviluppato a scapito di antiche iden-tità locali (forse a volte localistiche). Ma la sommafinale è, proprio sotto il profilo identitario, senza dub-bio positiva.

    Tuttavia il naturale percorso di ogni cosa “viva”consente e prevede trasformazioni. Queste – ed è ilcaso della televisione pubblica – adeguano il suo ser-vizio ai tempi. Se dunque il lascito storico della RAI èprezioso, radicalmente diverso è il contesto in cui essaopera oggi.

    L’evoluzione tecnologica e la crescente domandadi servizi e contenuti nuovi e interattivi rendononecessario sfruttare al meglio le possibilità offertedalla digitalizzazione e dalla diversificazione dellepiattaforme di distribuzione. Il sistema televisivo ita-

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  • liano sta infatti velocemente transitando al nuovosistema digitale: si stima che alla fine del 2010, oltre40 milioni di cittadini italiani seguiranno la TV uni-camente in ambiente digitale. In tantissime case sonopresenti il ricevitore satellitare e il personal computer,strumenti alternativi di fruizione del messaggio audio-visivo.

    Tutto ciò può tradursi in vantaggi per i cittadi-ni e per la collettività nel suo complesso. Occorre peròche il Parlamento indichi gli obiettivi primari cui deveindirizzarsi il Servizio pubblico nel futuro. In questoambito, la bussola del legislatore non può che essere latutela dell’utenza, con particolare attenzione alleaspettative degli abbonati e in particolare alle fascedeboli: giovani e anziani.

    L’obiettivo generale deve essere quello di garan-tire agli italiani un servizio di qualità, idoneo a distin-guere e qualificare il Servizio pubblico rispetto allatelevisione commerciale, senza per questo disinteres-sarsi totalmente dell’audience, che resta un riferimen-to necessario per qualsiasi azienda, privata o pubbli-ca che sia.

    Devono essere poi rispettati due princìpi irri-nunciabili del servizio pubblico: il pluralismo dell’in-formazione e la missione formativa.

    La parzialità, infatti, potrebbe formare, ma noncerto informare, cioè trasferire quegli elementi diconoscenza che consentono, al telespettatore, la libera

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  • formazione del giudizio in relazione ad un fatto o aun’idea. Il pluralismo equilibrato e la completezza del-l’informazione, invece, garantiscono la libertà dai con-dizionamenti e sono un caposaldo della vita democra-tica e dell’evoluzione della nostra civiltà.

    Occorre dunque in primo luogo una attenzioneparticolare alla qualità della informazione, obiettivoche va tutelato mediante il rispetto della deontologia edel principio di un contraddittorio adeguato, effettivoe leale; mediante il rispetto della dignità e della riser-vatezza delle persone.

    Considero la consapevolezza di garantire unaadeguata formazione l’altro grande e irrinunciabileprincipio del Servizio pubblico televisivo. Sappiamoche è un tema dibattuto. Sappiamo come vi sianoopposte tendenze in ordine a ciò che è bene e a ciò cheè utile. Io credo che, nel rispetto di ogni lecita libertàdi espressione, nell’accoglienza di ogni caratteristicaumana, ma anche nel rispetto di una sana conduzioneaziendale, la televisione pubblica debba tenere alta laconsapevolezza della propria influenza formativa edoperare di conseguenza le proprie scelte. Ma se è veroche recepire bellezza e conoscenza rende gli uominipiù liberi, se è vero, che «fatti non fummo a vivercome bruti ma per seguir virtute e conoscenza», èaltresì vero che l’esito virtuoso di questo beneficio ècorrelato all’indispensabile possesso di un altrettantoessenziale senso di responsabilità. Anche sotto questo

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  • aspetto l’apporto della televisione pubblica è impre-scindibile. Specialmente i più giovani sono portatinaturalmente, nella storia della società, a dedurrescelte e comportamenti dai prevalenti modelli umanifrequentati; ed è ai giovani che occorre quindi guarda-re innanzitutto come ai principali destinatari deglieffetti formativi della televisione.

    Qui si innesta pertanto una profonda questioneetica. Possiamo e dobbiamo infatti considerare questoscenario come uno dei fronti prevalenti su cui vincerela scommessa sul futuro, puntando alla centralità del-l’etica del bene comune, un tema sul quale più volteho inteso soffermarmi.

    La dimensione etica tocca non solo il contenutodella comunicazione televisiva (“cosa” si trasmette) eil processo di comunicazione (“come” viene fatta lacomunicazione tramite il mezzo televisivo), ma anchequestioni fondamentali che spesso coinvolgono temirelativi alle politiche di distribuzione delle tecnologie edei prodotti (“chi”, alla fine, sarà ricco e chi povero diinformazioni?). In questo senso, il ruolo della RAI, conla specialità dei contenuti da essa offerti ai cittadini-utenti, svolge un insostituibile presidio di democrazia.

    Diversamente, si può correre il rischio di alimen-tare la disaffezione verso il Servizio pubblico: nesaremmo danneggiati tutti.

    Per tutte queste ragioni è altamente meritevolel’iniziativa promossa dal Presidente Sergio Zavoli e

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  • dai componenti della Commissione parlamentare perl’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotele-visivi di cui si dà conto in questi tre seminari diapprofondimento sui temi della televisione pubblica.Essi sono stati un modo per confrontarsi, per appro-fondire, per evidenziare problemi; ma anche un modoper impegnare operatori ed esperti da un lato e istitu-zioni dall’altro, in un progetto di rilancio e sviluppodella televisione pubblica, dei suoi obiettivi e dei suoimetodi.

    Il volto dell’Italia di domani dipenderà molto daquanto in questi anni il mezzo televisivo saprà tra-smettere alle nuove generazioni.

    Renato Schifani

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  • GIANFRANCO FINIPRESIDENTE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI

    Negli ultimi cinquant’anni la televisione è pro-gressivamente entrata a far parte del nostro viverequotidiano, favorendo la circolazione di idee, di cono-scenza e di informazione. La RAI ha accompagnato gliItaliani lungo questo tratto di storia del Paese, raccon-tando e descrivendo eventi storici, culturali, di crona-ca e di costume, veicolando idee e stili di vita sui qualisi è andata plasmando l’identità del Popolo italiano. Ilsistema televisivo pubblico ha dunque svolto un ruolofondamentale per la società, perché ha contribuito adarricchire il capitale culturale dei cittadini, a svilup-parne l’autonomia critica e di pensiero, ad incorag-giarne il dibattito e la partecipazione civica. Con essoil Paese è cresciuto e la nostra democrazia si è raffor-zata. L’informazione, la libertà di espressione, loscambio di idee sono infatti linfa vitale di ogni socie-tà libera, moderna e pluralista e principi cardine dellanostra Carta costituzionale.

    Rispetto ai tempi in cui fu dato avvìo alle tra-smissioni televisive, la nostra vita è profondamente

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  • cambiata. Restano però immutate le esigenze cuirisponde il sistema televisivo pubblico che deve resta-re fedele alla propria originaria ispirazione, garanten-do un’informazione fondata sul rispetto dei principifondamentali del pluralismo e dell’imparzialità. Ilcompito di verificare modi e procedure utili a valoriz-zare il ruolo della televisione pubblica, migliorandonela funzione comunicativa e il rapporto di sintonia conl’opinione pubblica, è stato svolto nel tempo dallaCommissione parlamentare per l’indirizzo generale ela vigilanza dei servizi radiotelevisivi che oggi, con unciclo di tre seminari, ha voluto fare il punto su questitemi.

    Sono convinto che la necessità di essere compe-titivi possa costituire una importante occasione per laRAI, uno stimolo per spostare in avanti la linea deitraguardi di qualità. Il mio auspicio, in tal senso, èche siano sempre più privilegiati i prodotti di alto pro-filo, superando la logica della banalità e della standar-dizzazione, soprattutto in un Paese come l’Italia, riccodi energie creative e di un patrimonio culturale che vatramandato e sempre più ampiamente valorizzato.

    Diffondere cultura vuol dire elevare l’intelligen-za diffusa di un Paese, aumentarne le potenzialità dicrescita, migliorare la qualità del dibattito pubblico e,soprattutto, investire sui giovani, offrendo loro oriz-zonti più ampi e più ambiziosi sui quali proiettare ilproprio futuro.

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  • Desidero quindi esprimere la mia gratitudine alPresidente Sergio Zavoli ed a tutti i componenti dellaCommissione per il loro generoso e competente con-tributo a questo delicato lavoro di approfondimento.Esso costituisce un tassello importante dell’impegnodelle istituzioni teso a rafforzare il ruolo del sistematelevisivo pubblico quale autorevole agorà della dialet-tica democratica del nostro Paese e quale grande fine-stra mediatica affacciata sui diversi scenari del nostrotempo, di cui mette in luce i cambiamenti e cogliecompiutamente lo spirito e la complessità.

    Gianfranco Fini

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  • Questi tre seminari, svolti rispettivamente nelnovembre 2009 e nel dicembre e febbraio 2010, sononati allo scopo di raccogliere – con l’aiuto di studiosidella comunicazione, figure significative dello showsystem italiano, manager della Tv pubblica e privata,sociologi, uomini di Chiesa, e naturalmente dei mem-bri della Commissione – un corpo di autorevoli rifles-sioni sullo stato della televisione in Italia, con unaparticolare attenzione al ruolo del Servizio pubblico, esulle attese della comunità nazionale in un passaggiodelicato, dal punto di vista normativo e industriale, diun sistema che deve ormai misurarsi con le profondeinnovazioni del linguaggio, delle tecnologie, dei fatto-ri distributivi del prodotto televisivo.

    Sergio Zavoli

  • Primo Seminario

    Lo stato della TV in Italiae il ruolo della RAI.

    Il Servizio pubblico e la sua identità.

    ROMA, 24 NOVEMBRE 2009

    SALA CAPITOLARECHIOSTRO DEL CONVENTO DI SANTA MARIA SOPRA MINERVA

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    LO STATO DELLA TV IN ITALIA E IL RUOLO DELLA RAI

    Indirizzo di salutoRENATO SCHIFANI

    MessaggioGIANFRANCO FINI

    IntroduzioneSERGIO ZAVOLI

    PARTECIPANTI

    ETTORE BERNABEIPresidente onorario di Lux Vide

    FEDELE CONFALONIERIPresidente di Mediaset

    GIUSEPPE DE RITAPresidente del CENSIS

    FRANCO FERRAROTTISociologo

    MAURO MASIDirettore generale della RAI

    PIERO MELOGRANIStorico

    TOM MOCKRIDGEAmministratore delegato di Sky Italia

  • MARIO MORCELLINIPreside di Scienze della Comunicazione, Università La Sapienza

    GIOVANNI STELLAVicepresidente esecutivo di Telecom Italia Media

    GIOVANNI VALENTINIEditorialista de “la Repubblica”

    E i componenti della Commissione parlamentareper l’indirizzo generale e la vigilanza

    dei servizi radiotelevisivi:

    DAVIDE CAPARINI, Deputato

    ENZO CARRA, Deputato

    MAURIZIO GASPARRI, Senatore

    FABRIZIO MORRI, Senatore

    ROBERTO RAO, Deputato

    LUCIANO MARIA SARDELLI, Deputato

    LUIGI VIMERCATI, Senatore

    VINCENZO VITA, Senatore

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  • IL DIBATTITO

  • SERGIO ZAVOLI. Buongiorno a tutti e grazie dellavostra presenza. Questo seminario, il primo dei treindetti dalla Commissione parlamentare di vigilanza,ha un incipit prestigioso, la presenza in sala delPresidente del Senato, che invito a questo leggio perl’indirizzo di saluto che vorrà rivolgere ai presenti.

    RENATO SCHIFANI. Signore autorità, signore esignori, gentili oratori, sono lieto di essere qui con voie ringrazio il Presidente della Commissione, senatoreSergio Zavoli, per l’invito che ho accolto con verointeresse, data l’importanza del tema in discussione.

    Rivolgo il mio saluto cordiale e il mio apprezza-mento agli illustri partecipanti e desidero svolgerealcune riflessioni sul tema che ci apprestiamo a discu-tere, quello del Servizio pubblico, un argomento digrande attualità, ma soprattutto di notevole spessoreper ampiezza e per contenuti.

    Il Servizio pubblico televisivo ha una granderilevanza nel nostro Paese perché, storicamente, haavuto il compito di fornire ai cittadini elementi diconoscenza, di crescita e di aggiornamento conti-nuo. Sono lontani i tempi in cui la televisione rap-

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  • presentava per gli italiani, insieme alla radio, ilprincipale strumento conoscitivo di massa, in cui cisi riuniva il sabato sera a casa di un vicino, o maga-ri al bar, per vedere e ascoltare i programmi di cui sisarebbe discusso per un’intera settimana con lafamiglia e con gli amici. Un’epoca ormai consegna-ta alla storia.

    Oggi gli strumenti di conoscenza sono moltissi-mi, alla portata di tutti o quasi. Il mondo va semprepiù veloce – televisione, radio, internet, e-mail, cellu-lari – e viviamo in perenne connessione con l’esterno,con le notizie, con gli aggiornamenti dell’ultima ora.Non è certo un caso se la nostra viene definita l’«eradell’informazione».

    Il problema, allora, non è quello di avere le noti-zie, ma di selezionarle. A questo fine, la RAI riveste unruolo fondamentale perché, proprio per la sua natura,autorevolezza e intrinseco significato di Servizio pub-blico, ha il dovere di rispettare il pluralismo, l’equili-brio e la correttezza dell’informazione. La RAI devesaper assicurare agli utenti non la semplice conoscen-za di ciò che accade, ma una comunicazione obiettivae veritiera, mai parziale né demagogica.

    Se la democrazia, per essere tale, ha bisogno distrumenti che garantiscano i cittadini, l’informazionene è un elemento basilare. In questo contesto, è essen-ziale un sistema di vero ed effettivo pluralismo, stru-mento non soltanto formale o numerico, ma di vera

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  • sostanza e di reale rappresentatività delle diverse opi-nioni. Si tratta di un valore irrinunciabile.

    È quindi doveroso vigilare ogni giorno affinchénon si sottragga al cittadino utente la risorsa di un’in-formazione completa ed esauriente. Il pluralismo èportatore delle opinioni e delle culture proprie e altrui,ma è anche garante di rispetto e di attenzione in ununico contesto nel quale tutte le posizioni abbianouno spazio equilibrato e proporzionale. Quando ciònon accade, quando il pluralismo e l’obiettività nonvengono rispettati, l’etica del Servizio pubblico nesoffre e ne risentono anche i cittadini, ai quali vieneconsegnato un prodotto non obiettivo.

    A volte il Garante per la comunicazione dovero-samente interviene, ma si tratta di provvedimenti pro-nunciati a distanza di tempo, che possono non avereuna funzione riparatrice della dignità ferita di unapersona. Naturalmente – e per fortuna, aggiungo io –non è sempre così ed è per questo che dobbiamo esse-re tutti grati alla RAI e alle sue professionalità, chel’hanno resa grande e che hanno contribuito a far cre-scere l’Italia.

    Accanto al pluralismo, quale elemento indispen-sabile alla corretta conoscenza, desidero affrontare unaltro tema, quello dei valori. La RAI ha, in questo sensoe da sempre, un compito gravoso ma fondamentale,trasmettere valori condivisi ai giovani e contribuire aformare i cittadini dell’Italia del domani. Eravamo la

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  • generazione che andava a dormire dopo Carosello, mail panorama è completamente mutato. Le nostre casesono inondate di informazioni e, proprio per questo, lereti di Stato sono portatrici dei valori che devonoessere esempio di crescita etica e responsabile per lefuture generazioni. Parlo di iniziative concrete, chesappiano trasmettere ai nostri ragazzi messaggi sani.

    Oggi l’identità della RAI si rivela nella capacità disapersi adeguare ai tempi, fornendo al contempoinformazioni qualitativamente elevate. Se, in annilontani, il Servizio pubblico si preoccupava di inse-gnare agli italiani a leggere e a scrivere, con il pro-gramma Non è mai troppo tardi del maestro AlbertoManzi, perfettamente adeguato a quel particolaremomento storico, la grande sfida attuale è invecequella di trasmettere ai giovani i valori che ne formi-no le coscienze e li aiutino nella vita.

    Siamo davanti a un’esigenza improrogabile, allaquale sono certo che voi saprete dare adeguate rispo-ste. Per questo, vi rinnovo il mio augurio di buonlavoro e vi assicuro tutta la mia attenzione sugli esitidi questo importante incontro.

    SERGIO ZAVOLI. Vi leggo ora il testo di un messag-gio che ho ricevuto dal Presidente della Camera,Gianfranco Fini, impegnato in questioni di carattereistituzionale che gli impediscono di essere con noi.

    «In occasione del seminario su Lo stato della TVin Italia e il ruolo della RAI. Il Servizio pubblico e la

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  • sua identità, che si svolgerà il 24 novembre presso laSala Capitolare del Chiostro del convento di SantaMaria sopra Minerva, desidero rivolgere a tutti i par-tecipanti i miei più cordiali saluti.

    L’informazione e la circolazione di idee e opinio-ni sono cardini essenziali su cui poggia ogni democra-zia e intorno ai quali si sviluppano le libertà fonda-mentali sancite dalla nostra Costituzione. Il sistematelevisivo è un canale formidabile attraverso il qualeveicolare il flusso di notizie e di conoscenze. È nellasua capacità di raggiungere i cittadini con un’infor-mazione fedele alla verità, priva di strumentalizzazio-ni e svincolata dalle mere logiche di mercato, che sisostanzia il senso più nobile della sua funzione diServizio pubblico reso per il bene del Paese.

    Compito delle istituzioni è valorizzare le poten-zialità insite nello strumento televisivo, facendo levasu prodotti mediatici di alto livello, che arricchiscanoil capitale culturale dei cittadini, ne incoraggino unapiù consapevole partecipazione civica e migliorino laqualità della democrazia.

    Mi è gradita l’occasione per inviare a lei e a tuttigli intervenuti il mio fervido augurio per il pieno suc-cesso dei seminari programmati, che – ne sono certo –daranno un contributo autorevole all’approfondimentosul ruolo che il sistema televisivo può svolgere ai finidella crescita del Paese, non solo in termini di compe-titività economica, ma anche di vivacità del dibattito

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  • intellettuale e di miglioramento della vita socialeattraverso la trasmissione di valori positivi fondamen-tali per la comunità.

    Gianfranco Fini».

    Vi leggo anche una lettera ricevuta dall’Am -ministratore delegato di Sky Italia: «Caro Presidente,desidero innanzitutto ringraziare lei, tutti gliOnorevoli membri della Commissione parlamentare divigilanza e gli autorevoli rappresentanti del mondodei media e della cultura che partecipano all’incontroper l’invito che mi ha voluto rivolgere. Purtroppo,impegni di lavoro non mi permettono di parteciparedi persona.

    Il tema di questo importante seminario toccaprincipi fondamentali per la collettività e per il mer-cato televisivo, come il pluralismo, l’imparzialità,l’equidistanza, la missione strategica e la vocazioneuniversale insita nel Servizio pubblico, che in ogniparte del mondo sono la ragione stessa della sua esi-stenza e che tutti vorremmo fossero definitivamenteacquisiti anche in Italia.

    Auguro a tutti voi una discussione il più possi-bile serena e costruttiva, con la speranza che questodibattito possa dare un contributo concreto affinché ilServizio pubblico recuperi pienamente il senso dellasua funzione.

    Tom Mockridge, Amministratore delegato di SkyItalia».

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  • SERGIO ZAVOLI. Mi avventurerò adesso nel temafondamentale del nostro ciclo di seminari. Lo farò inragione del compito affidatomi dal Parlamento di rap-presentare una Com missione bicamerale composta damaggioranza e opposizione. Un dovere di equità – omeglio, di equidistanza – mi obbliga a trascurare con-siderazioni che, se non avessi tali vincoli, probabil-mente esprimerei in termini diversi.

    Rispetto alle osservazioni che abbiamo ascolta-to, la mia è una visione, per così dire, delicata: lamateria fa talmente parte della mia vita e della miaesperienza professionale che, per quanto sia statoattento a non cadere in questa tagliola, influenza imiei sentimenti e persino le mie idee. Penso, però,sulla base del rispetto che devo agli altri prima che ame stesso, di essere riuscito a tenermi fuori dalla ten-tazione di uscire, come si suol dire, dai gangheri.

    Ringrazio anzitutto il Presidente GiorgioNapolitano per l’Alto Patronato accordatoci. Il suogesto è per tutti di buon auspicio. Rivolgo un grazie alPresidente Schifani per le sue riflessioni e per i suoiauguri e al Presidente Fini per il suo messaggioanch’esso arricchente e augurale.

    Onorevoli parlamentari delle due Camere, tra cuii commissari della nostra Commissione bicamerale,autorità, signore e signori. Due semplici parole, «ser-vizio pubblico», devono misurarsi con una colossale eincontenibile crescita di comunicazione e con una

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  • parallela e crescente difficoltà di interpretarne e tra-smetterne il senso. Si è molto indebolita, oggi, la tran-quilla sicurezza del grande artefice di un serviziodestinato a diventare il modello per tutti gli altri. Parlodi John Reith, direttore generale della britannica BBC,il quale coniò un motto divenuto celebre: «la nazioneche parla alla nazione».

    Il rapporto tra nazione e TV ha assunto, da qual-che tempo, modalità inedite, segnate da un costumeche ha “coriandolizzato” – per così dire – vecchi statu-ti psicologici e sociali. Da ciò il prevalere dei contenu-ti di giornata, il più possibile accattivanti e suggestivi,che non di rado scambiano la complessità per unaforma di pessimismo ideologico cui dover contrappor-re scenari che si suppongono salutari, fondati sul pri-mato della leggerezza, dell’appagamento, della facilità.

    Questo è anche il tempo della velocità: non acaso, ai giovani giornalisti, non solo a quelli dellaradio, per la quale la brevità è un pregio direi ontolo-gico, viene detto che «saranno tanto più bravi quantopiù saranno brevi».

    La televisione, cui Enzensberger assegna, invece,il compito di aprire quotidianamente la strada dellacomplessità, oggi è un caleidoscopio da cui discende,in mezzo a una produzione di grande qualità e presti-gio, il flusso dilagante del gossip, del “dolorismo”,della prurigine, di un’atroce cronaca nera che trasfor-ma in spettacolo l’interesse del pubblico. Si tratta di

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  • un fenomeno favorito da una sorta di disincanto perciò che è pubblico. Nel caso nostro la diffidenza èconducibile all’indebolirsi dell’identità di una Tvprima garantita dal monopolio e poi costretta a misu-rare i propri privilegi con una realtà che introducevanuove modalità e affezioni. Si cominciava così adiscutere della qualità televisiva, come peculiarità diun Servizio pubblico trovatosi di colpo in concorren-za con l’impresa privata, per giunta definita, al suoapparire, «televisione libera».

    Mi riferisco a quando – ero presidente della RAI,prima con Willy De Luca e poi con Biagio Agnes diret-tori generali – il Servizio pubblico pensò di trovarsi aun bivio: se stare, oppure no, nel mercato. Va da sé cheil rifiuto di entrarvi significava, semplicemente, pro-grammare un suicidio. Bisognava competere, insom-ma, seppure distinguendosi, cioè non lasciandosi cat-turare dalla sindrome della concorrenza e, al tempostesso, misurandosi con una parte del suo modello.

    La declinante presenza dell’universo culturale e ilcontemporaneo affermarsi di una programmazioneregolata dal criterio dei grandi numeri hanno via viaappannato – nessuno lo nega più – l’identità di unlaboratorio che, nondimeno, conservava le energieintellettuali e d’impresa per interpretare una complessi-tà che insorgeva da scenari sempre più avanzati. Unatelevisione tra le più reputate d’Europa, e non solo,vedeva ridotte le sue vocazioni anzitutto culturali come

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  • fossero ubbìe, arrendendosi all’indice di ascolto einfiacchendo così la tutela e la crescita di un grandepatrimonio civile, uno scrupolo che sopravviveva inragione del canone e grazie a una parte non trascura-bile dell’azienda, decisa a conciliare la nuova mission –ormai si chiamava così – con la sua identità originaria.

    Non possiamo nasconderci che un’omologazio-ne dovuta a criteri prevalentemente commerciali,pronta oggi a condividere la strategia di un frontecomune per contenere la crescita di Sky, la televisio-ne multicanale a pagamento di Murdoch, fa giustiziasommaria di pregiudizi e orgogli quasi del tuttorimossi. I riferimenti al passato servono solo per dareuna metaforica piattaforma anche alla Commissioneparlamentare, chiamata a prestare la dovuta preva-lente attenzione alle questioni della RAI, ma anche,come recita la completa didascalia delle competenzeistituzionali, dei servizi radiotelevisivi nazionali,sebbene in tale didascalia si faccia pubblicamente egeneralmente riferimento soltanto al rapporto conla RAI.

    Tutto ciò deve ricondurre al mutare dei saperi,dell’antropologia e della storia. Politica, cultura edetica devono misurarsi con problemi divenuti centra-li. Ne cito alcuni: la fenditura che oggi divide moralee moralismo; il sostenere o negare che l’opinione pub-blica possa sostituirsi alla coscienza individuale nel-l’esprimersi sui valori; la contrapposizione di chi giu-

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  • dica e gestisce le ragioni insieme dell’economia e dellacomunità; il fenomeno - che annulla molte certezze,soprattutto nella popolazione giovanile - della preca-rietà; lo scontro sull’identità nazionale; le riformedella Costituzione e della giustizia; le misure per lasicurezza e la legge sull’immigrazione, specialmenteclandestina, accettando o respingendo in quanto reto-rica la lotta nientemeno tra il Bene e il Male nelladifesa della storia e della legalità; la disputa tra laici ecattolici per affermare ciascuno la propria preminentegiurisdizione morale su scelte in cui la politica puòsolo mediare con equità; il diffondersi della trasgres-sione come lascito di deboli e inefficaci percorsi,lungo i quali dover rinnovare e adeguare le norme,facendole, nello stesso tempo, rispettare.

    Si tratta, insomma, di un accumulo di questioniche non possono non investire il ruolo e i compiti delServizio pubblico radiotelevisivo, cui spetta di rappre-sentare la funzione statutaria di uno strumento, cosìinvasivo e influente, contro il ricorso alle cedevolezzedi un tempo, per molti versi esaltante, ma che, peraltri, si sta privando di molte regole e nascondendoaltrettante responsabilità.

    In questa sequela di contraddizioni si iscriveanche la storia dell’autonomia della RAI, che non devecorrispondere a un malinteso orgoglio aziendale né aun interesse meramente economicistico. Si tratta dicogliere un’altra occasione cruciale per disegnare una

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  • RAI riconducibile alla versione aggiornata di «unanazione che sa parlare alla nazione», con il linguaggiodella trasparenza, della completezza e della contestua-lità, cioè del pluralismo.

    A tutela di questo irrinunciabile criterio – cheCarlo Azeglio Ciampi, nel suo unico messaggio alleCamere, definì «una questione democratica» - l’azien-da e il sistema in cui agiscono il Paese e la politica chelo interpreta e lo governa, dispongono di tre garanzie:il consiglio di amministrazione, la Commissione bica-merale e l’Authority. Parrebbero tre buoni motivi perlasciare al Servizio pubblico il diritto-dovere diaffrontare autonomamente, seppure con i legittimivincoli e le dovute responsabilità, i suoi compiti isti-tuzionali e d’impresa. Ove persistesse un di più diingerenza esterna a maggior ragione andrebbe trova-ta una misura che ricomponga i reclamati equilibrisulla base dei riconoscimenti professionali, cui devecorrispondere una chiara, partecipe e responsabileconsapevolezza delle singole responsabilità.

    Nel secondo dei nostri seminari tornerà a farsiviva una vecchia ma irremovibile disputa, ossia l’indi-ce di gradimento, il lascito ormai negletto di una TVvotata allo star system e alla legge del consenso anzi-tutto quantitativo. Se ne parla senza indulgere troppoall’idea che il mercato cederà, per non cadere nell’il-lusione di chi – come disse Scott Fitzgerald – «confon-de gli occhi di Dio con la pubblicità dell’oculista».

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  • Non fu tutto oro colato nemmeno negli ultimianni del monopolio, quando dal latifondo si era pas-sati alla lottizzazione; ma quella RAI, in una misuraancora poco valutata, contribuì notevolmente al dina-mismo economico, sociale, politico e culturale delPaese. Vi riuscì attraverso una più aperta riflessionesui programmi, a cominciare dall’informazione, che sinutriva di confronti, dibattiti, inchieste, rubriche,momenti quotidiani di approfondimento, cui siaggiungevano gli sceneggiati d’autore, i cicli teatrali,gli eventi musicali, i programmi culturali – è qui pre-sente tra noi Fabiano Fabiani – il tutto distribuitosecondo criteri non condizionati dai numeridell’Auditel, bensì dal gradimento del pubblico.Sarebbe scorretto, o addirittura sleale, non tenereconto dell’irrompere, come si è detto, di problemi radi-calmente nuovi.

    La RAI, da allora, prese a vivere una sorta di neo-realtà non solo aziendale: in un rinnovato confrontocon la politica, la quale aveva più volte promesso dicompiere, rispetto alla televisione pubblica, un passoindietro, un proposito mai del tutto convenuto, e menche meno perseguito, lasciava che si procedesse sullascia del potere più forte, in un alternarsi di vischiosi-tà e compromessi.

    Ci si domanda come possa la politica non inte-ressarsi a un’azienda in larga parte finanziata daldenaro pubblico, per inciso il più basso d’Europa.

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  • Inoltre, l’interesse alla sua natura così speciale, perchécosì pubblica, in quale misura si giustifica se poi asse-conda, addirittura patrocinandolo, un progetto cheomologa i due primari competitor televisivi, RAI eMediaset, creando nel sistema identitario contamina-zioni di dubbia utilità? La domanda più imbarazzan-te, però, è la seguente: le carte che riguardano ilServizio pubblico sono davvero tutte in regola se,mentre rivendica il diritto alla propria autonomiagestionale, non resiste poi alla pressione politica sullenomine, una pratica di ogni tempo e di ogni maggio-ranza, seppure modulata con sistemi e modalità diver-se, e persino sulle strategie dell’azienda? Infine, quan-to è riuscito a compiere da sé il Servizio pubblico perdifendere il suo ruolo e la sua identità?

    Presto – lo si afferma senza più remore – nelmondo globalizzato la comunicazione assumerà unruolo importante quanto l’economia. La predizione,che ha già in corso le sue conferme, è dello studioso epremio Nobel indiano Amartya Sen. In un periodo cheannuncia la più invasiva evoluzione scientifica, tecno-logica e antropologica del nostro tempo, un Serviziopubblico, lungi dall’affidarsi a categorie pedagogiche oindulgere a visioni miracolistiche, dovrebbe potersidare il respiro calmo e la natura laboriosa di cuiBenedetto Croce si diceva debitore alla sua biblioteca.

    La televisione, tuttavia, si confronta con altrelogiche, che procedono secondo criteri dettati da più

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  • duttili praticismi: il sesso prima dell’amore, la religio-ne prima della fede, i partiti prima della politica, percitare alcuni esempi di una semplificazione che forseaccorcia le distanze con la vita da dover vivere, maminandone il senso, cioè l’ispirazione e la complessi-tà. Occorrerebbe dare, dunque, una lettura più leale,per non dire meno corriva, della realtà.

    La TV, intesa nella sua forma di comunicazionegenerale o generalista, non è ancora riuscita a mette-re insieme, integrandoli, criteri e principi, con l’aggra-vante di essere via via diventata la sola, onnivoraagenzia del senso: più della famiglia, della scuola, deimedia, dei partiti, della Chiesa, tanto da sembrare nonsolo il nuovo linguaggio, ma addirittura il nuovoluogo della politica. Non a caso verrà chiamata «laterza camera».

    Questo non sarebbe, tuttavia, il fenomeno piùsconcertante. Risalgono agli occhi, infatti, i grandifratelli, le isole, i pacchi, le fiction che simulano unarealtà più vera del vero. Vogliamo meravigliarci se ilPaese non è educato alla complessità, se è addiritturaincline a un eccesso di semplificazione? Non sarà acausa di ciò che i programmi più impegnati attiranosu di sé attenzioni così condivise da farli considerarevere e proprie eccezioni?

    Penso alla prima esperienza di TV7, quando unatelevisione spesso più illuminata, coraggiosa e concre-ta di quanto non si sia detto e creduto, lasciò l’infor-

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  • mazione del Palazzo per andare a coglierla tra lagente. Si scoprì che molte risposte non erano venuteperché non erano state fatte le domande.

    Faccio questo esempio per affermare che l’au-dience, di per sé, non può aggiungere nulla ai codicidi un Servizio pubblico; e il lasciarsene governare leconferirebbe un potere e una funzione del tuttoimpropri. A chi resterebbe, infatti, il compito di tute-lare le istanze civili e sociali, culturali ed etiche dellacittadinanza? Come chiedersi a quale televisione cor-risponde, se non in primis al Servizio pubblico, unpluralismo cui mancasse la completezza e la conte-stualità, e che si limitasse a sommare le parzialità, lereticenze e persino i silenzi, o a enfatizzare gli interes-si separati del cittadino e della società?

    Occorre esigere dal sistema mediatico il rispettodella deontologia, ma anche assicurargli principiaccompagnati da norme, senza le quali ogni trasgres-sione ha il suo alibi e ogni reprimenda, in fin deiconti, appare anch’essa un abuso, se non anche unarbitrio e una complicità. Solo con le regole si garan-tisce il massimo di pluralità negli orientamenti, nellescelte, negli stili, e ciò per evitare che una logicacomunicativa fondata su una “tirannica comunità delconsenso” possa determinare stereotipi sociali di com-portamento e false interpretazioni della libertà.

    La libertà di espressione non è forse la salva-guardia dei diritti alle diversità? D’altra parte, il mer-

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  • cato esige che si consumi una grande varietà di imma-gini e che la parola si faccia più leggera e scorrevole,ed ecco prendere forma qua e là una sorta di nomadi-smo verbale, la cui tracimazione al di là dello scher-mo coincide con la fine del pensiero lungo, quellodelle ideologie. Rotto il grande schema, con le sueconcrezioni e le sue liturgie, e passati a una realtàquasi erratica, ne è nato un “fragilismo” che ha smes-so di postulare immagini o parole laboriose, ma ripa-ratrici, suggestive, sorprendenti.

    Questa cedevolezza risulta tanto più frequente,quanto più sono in gioco l’emozione e il pregiudizio,quando cioè, decontestualizzati i fatti, vengono privi-legiate, scambiandole per princìpi, le presunzioni, fin-ché queste, variamente enfatizzate, prendono il postodei fatti medesimi. Da quel momento – cito un’espres-sione di Mario Pirani – «tutto si invera nelle emozio-ni e nei sentimenti di massa». È l’uso pedagogico, equindi tattico, della notizia, il bisogno di accreditarlacon un di più d’opinione perché il contenuto comuni-cato diventi simbolico e ammonitore.

    Gentili ospiti, ho messo in fila un campionariodegli argomenti che questo primo seminario affiderà trapoco alle domande dei commissari e alle risposte dellepersonalità qui convenute per fornire il contributo dellasocietà civile e intellettuale al nostro lavoro quotidiano,nel presupposto che sia interesse comune tentare digarantire al Servizio pubblico il ruolo alto da cui siamo

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  • 1 La questione del declino del generalismo è stata affrontata dachi scrive in vari contesti. Selezionando alcuni riferimenti, cfr.M. Morcellini, “Cosa cambia nella comunicazione in Italia”, inN. Piepoli, R. Baldassari, L’opinione degli italiani. Annuario2009, FrancoAngeli, Milano 2008 e M. Morcellini, M. Gavrila,“Mediaevo vs. Tecnoevo. Il mondo nuovo dei consumi culturali”in M. Morcellini (a cura di), Il Mediaevo italiano. Industria cul-turale, tv, tecnologie tra XX e XXI secolo, Carocci, Roma, 2005.

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    partiti introducendo questa sommaria premessa, cioèquello di “una nazione che parla alla nazione”.

    A tutti va il nostro ringraziamento.

    Metto le mani avanti perché l’improvvisazioneporta con sé rischi dai quali non sempre si riesce auscire come si dovrebbe: mi sembra utile interpellareper primi i personaggi che abbiamo invitato perchéesprimano, l’uno dopo l’altro, usufruendo dei minutiriservati a questa prima tornata, un parere che corri-sponda alle tesi finora accennate a proposito del rap-porto venutosi a creare tra Servizio pubblico e opi-nione pubblica.

    MARIO MORCELLINI. Presidente, vorrei iniziare conuna considerazione di carattere generale. Viviamo iltempo di un drastico riposizionamento del ruolo tra-dizionale della TV, che coincide con l’avvio del decli-no del generalismo1. Ciò rende urgente una riflessione

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    scientifica, e dunque adeguati investimenti di ricerca,ispirata all’analisi dell’attuale fase di passaggio deimedia che è tale da non produrre – senza un minimodi riflessione, che non può che svolgersi tra soggettidiversi – trasparenza e partecipazione ai cambiamen-ti. Partiamo quindi obbligatoriamente dalle novità nelsistema dei media. Ho la fortuna di essere il primo aparlarne, e approfitto del vantaggio di questa posizio-ne per segnalare che i cambiamenti sono impressio-nanti, al punto che persino la dottrina tradizionale delServizio pubblico, ammesso che fosse solida, non puòche esserne ripensata drasticamente. I dati, dunque,vengono prima di tutto. Se Benedetto Croce oggipotesse indicare la sua biblioteca, affermerebbe chesono questi.

    Il primo dato, come già anticipato, è che è inatto un declino chiaro ed evidente dei mezzi cosiddet-ti generalisti. Più che dai numeri lo si vede da elemen-ti qualitativi e da dimensioni di estraneità delle con-dotte giovanili. I giovani non sono più dentro il mer-cato televisivo e questo per noi è già un problema rile-vante per il futuro.

    Il secondo dato è che la modernità non significanuovi media e internet, come indicato da una letturasbrigativa svolta da molti studiosi, cosiddetti «nuovi-sti». Anche i dati forniti giorni fa dal CENSIS nel suo“Ottavo rapporto sulla comunicazione in Italia” ciricordano che la corsa di internet è tutt’altro che velo-

  • ce. Quello che colpisce, casomai, è il freno di talecorsa, il fatto che l’europeizzazione, di solito punto diriferimento dei consumi culturali, sulla rete sta avve-nendo molto faticosamente.

    Il terzo dato riguarda la necessità di conoscereverso quale universo dei consumi culturali si spostanogli italiani che si allontanano dall’universo televisivo.È impressionante dirlo, ma - a sorpresa – essi si rivol-gono ai consumi culturali di tipo tradizionale. I socio-logi lo dicono con difficoltà perché, come i giornali-sti, tendono a vedere le situazioni in modo più luttuo-so, ma l’aumento delle presenze registrato dal cinema,dal teatro e dai consumi culturali in generale, che inpassato stancamente avremmo definito di nicchia, èimpressionante e dura dal 1993. C’è solo bisogno diuna politica che sappia assecondare tali cambiamenti.

    Chiudo con una riflessione sulla qualità televisi-va, uno dei temi fondamentali del nostro lavoro. Perestrema chiarezza argomentativa, occorre dichiararegli interrogativi più radicali che si pongono agli stu-diosi e che consentono di non subire, anche in questosettore, il drammatico scarto tra i bruschi cambiamen-ti della realtà e delle tecnologie e la capacità della cul-tura di esprimere una qualche sintonia cognitiva conil nuovo. Il primo quesito che si pone è che cosa staveramente succedendo nella struttura semantica deldibattito culturale più recente, afflitto da coppie con-cettuali talvolta caricaturali, ma su cui è venuto il

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  • momento di fare ordine: anzitutto, sapere se c’è anti-tesi o equilibrio tra TV digitale ed analogica, tra TVtradizionale e “le altre” e, più in generale, in quellogorante capitolo che va sotto il titolo di vecchie enuove tecnologie, in un contesto in cui occorre stres-sare un adagio mortificante che intravede con bellasicurezza l’aurora di un mondo nuovo. È indiscutibile,infatti, l’assunto che, nel tempo dell’eccedenza comu-nicativa, la questione dei contenuti si ponga comestrategica almeno sotto due versanti: quello dellasconcertante penuria di innovazione di linguaggi egeneri, soprattutto nel continente del mainstream tele-visivo, che s’intreccia paradossalmente alla povertà eall’omologazione addirittura esasperante dei contenu-ti rispetto all’esplosione delle reti, del consumo e per-sino del numero di professionisti in campo. Il secondoelemento che interviene drasticamente su un’otticaaggiornata della qualità consiste in una moderna rilet-tura del valore e dei limiti della nozione di serviziopubblico e «servizio universale» nel sistema comunica-tivo contemporaneo.

    Infine, è necessario sottolineare che la retoricae la linguistica, che costruivano le loro dimensioni didefinizione in un sistema di valori e di riferimenti,sono diventate incerte e vanno rigorosamente rico-struite in un mondo in cui la multimedialità sembradavvero il punto di arrivo dei cambiamenti. In tutte levisioni del futuro ciò è rassicurante: se gran parte dei

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  • soggetti sociali si sottrae alla “monomedialità” e siavventura verso nuovi comportamenti culturali, signi-fica che la diversificazione, il primo degli elementi diun’educazione di massa al consumo, è diventata l’ele-mento forte dello scenario che stiamo vivendo. Non cisono, dunque, solo notizie negative nello scenario delnostro tempo.

    SERGIO ZAVOLI. Per quello che riguarda questaprima tornata, vi consiglio di seguire, dal punto divista quantitativo, l’esempio appena datoci dal profes-sor Morcellini. Che ringrazio, ovviamente, anche per-ché introduce considerazioni inedite offrendo spiragliper altri discorsi.

    La parola a una delle firme più reputate de laRepubblica, Giovanni Valentini.

    GIOVANNI VALENTINI. Grazie al presidente Zavoli ealla Commissione parlamentare di vigilanza per que-sto invito. L’ho accettato molto volentieri, non soloperché veniva da questo soggetto, ma anche perché iltitolo di questo seminario – a mio avviso – centra ilcuore del problema. Prima di parlare di ruolo e iden-tità del Servizio pubblico, si deve parlare infatti distato della televisione in Italia. Credo che non sipossa parlare del Servizio pubblico radiotelevisivosenza parlare del sistema televisivo nel quale la RAIopera.

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  • Conosciamo tutti la situazione. Non vorrei farela parte del guastafeste, ma ricordo che, nel momentoin cui ci stiamo interrogando sul ruolo, sull’identità,sulla mission del Servizio pubblico, ne discutiamoall’interno di un sistema che – in base alla legislazio-ne attuale – dovrebbe condurre alla privatizzazionedella RAI. Credo, dunque, che la prima domanda sullaquale dovremmo tutti riflettere è se debba esserci omeno un Servizio pubblico in Italia e, quindi, se siagiusto o meno andare avanti sulla strada della priva-tizzazione ed eventualmente a quali condizioni.

    Sappiamo tutti molto bene che un servizio pub-blico radiotelevisivo esiste praticamente in tutti i Paesieuropei, perfino negli Stati Uniti. Se esiste un Paesenel quale la televisione pubblica deve avere un ruoloe un senso istituzionale, e quindi una responsabilità, èproprio il nostro.

    La televisione pubblica è la pietra angolare diquesto sistema, soprattutto nel momento in cui sitende a passare dal vecchio duopolio analogico a unnuovo assetto del sistema televisivo che in molti,compreso il sottoscritto, temono possa replicare unnuovo duopolio digitale. La presenza di un terzo inco-modo più che di un vero e proprio competitor, come lapay tv che ha un modello di business completamentediverso, offre ulteriori spunti di riflessione.

    Penso che i due nodi da sciogliere per restituireal Servizio pubblico una sua identità e una sua mis-

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  • sione siano quelli delle fonti di finanziamento e dellacosiddetta governance.

    Il presidente Zavoli ha ricordato un motto di SirJohn Reith, padre fondatore della BBC. Ne voglio ricor-dare un altro. All’inizio degli anni venti, quando fufondata la BBC, la radio pubblica, lo stesso Reith indi-cò in questi tre elementi il compito del servizio pub-blico: educare, informare e intrattenere. Ritengo chesiano proprio questi i concetti intorno ai quali sidebba articolare una riflessione sui compiti e sul-l’identità del Servizio pubblico.

    FRANCO FERRAROTTI. Signor Presidente, ammettoun certo disagio a proposito dei temi che ci occupanooggi. Noto in questo momento in Italia, parlando dellostato della televisione pubblica e privata, una tenden-za isomorfica che rende difficile distinguere netta-mente o scorgere una marcata differenza fra l’una el’altra, data l’aggressività in entrambe della pubblicitàe la tendenza a competere in nome del commercio edel mercato.

    A mio giudizio, tale tendenza smussa gli angolie i termini del nostro problema. Non giungo a dire chela TV privata e quella pubblica siano l’una fotocopiadell’altra, però occorre – raccolgo l’appassionato invi-to del presidente Zavoli – un’importante presa dicoscienza su che cosa significhi una TV pubblica.

    Da questo punto di vista – parlo con l’esperienzache mi deriva dall’essere tuttora membro del consiglio

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  • d’amministrazione di Antenne 2 e di aver, a suo tempo,collaborato proprio con la BBC – non si può negare cheesiste questo darsi in mano, se non proprio comeostaggi o schiavi, al responso dell’Auditel e dello share,cioè al criterio commerciale di mercato. Sia chiaro, ilmercato inteso come foro di negoziazione e contratta-zione è pienamente legittimo. Meno legittima, ocomunque incerta e nebbiosa, è la sua eventuale fun-zione di direzione educativo-pedagogica in sensogenerale. Il mercato non crea valore, ma è il luogolegittimo delle contrattazioni, un foro di negoziazione.

    Si sostiene che ciò è vero per tutte le televisioni,ma mi permetto di far notare che, in effetti, non è così.Negli stessi Stati Uniti, che Valentini poco fa richia-mava, vi sono per esempio la Lehrer Newshour, chenon prevede pubblicità, e le public stations. La nostratelevisione pubblica, in un impeto veramente pedago-gico del tutto raccomandabile, a volte importa histo-ry, biography, discovery, in sostanza prodotti fabbrica-ti altrove.

    Mi domando se non vi sia, soprattutto dal puntodi vista dell’informazione che non è mai soltanto tale,qualcosa da fare anche rispetto ai telegiornali: sonoripetitivi, terribilmente noiosi e somigliano spesso, inmaniera conturbante, a bollettini di guerra. Si è igno-rata finora l’istituzione dell’anchorman, che non è ilmezzobusto, ma il narratore delle notizie, colui che lelega e le sviluppa secondo una ragionata sequenza.

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  • Non voglio neppure evocare l’ombra famosa di WalterCronkite. Tuttavia, la notizia, la verità soprattuttoinformativa e formativa – non deformativa – e quin-di pedagogica, non è una silloge, un conglomerato difatti e fatterelli, ma un’interpretazione complessiva.Non è un pacchetto bell’e pronto per l’utente e il tele-spettatore di notizie frammentarie, snocciolate inmodo paratattico.

    L’ultimo punto è il pluralismo. Oggi dobbiamoriconoscere che le vecchie categorie sono ormai con-sumate: pubblico non è solo statale, privato non è soloprivatistico. È certamente auspicabile una sinergia trapubblico e privato, ma rettamente intesa. Il pluralismonon è un conglomerato di opinioni messe insieme allabell’e meglio; soprattutto in Italia, dove non c’è cen-sura ma semmai funziona un’autocensura a volte piùgrave della censura esplicita. Il pluralismo va ricerca-to in un’interazione critica fra i diversi centri di infor-mazione e di potere potenzialmente pedagogici.

    SERGIO ZAVOLI. Professor Ferrarotti, lei ha indiret-tamente e implicitamente chiamato in causa il dottorBernabei, mitico rappresentante di una televisioneche, nel bagaglio delle sue parole, ne ignorava una: loshare.

    Lo stesso pluralismo era un termine che nonveniva usato nel senso che si intende oggi. A queitempi bastava accordarsi su una norma non scritta, né

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  • per la verità sempre osservata: cioè l’idea che tuttodovesse essere il più possibile collettivo, contestuale,confrontabile. Non si poteva lanciare un’accusa, unrilievo, un’opinione forte, una reprimenda, e tantomeno un dileggio, senza che vi fosse la replica deichiamati in causa. Osserverete che si tratta di unabanalità: succede ancora oggi che si invochi e si esigauna procedura del genere, ma oggi sarebbe necessariorivestirlo di una norma che si chiama pluralismo, tut-t’altro che una banalità, uno scrupolo accessorio.

    Ricordavo, nella mia introduzione, il monito delPresidente Ciampi, clamoroso per il momento in cuiintervenne e per il poco credito, e addirittura per ilsilenzio riservato a una parola che oggi si rifa vivagrazie anche a questo seminario. Delle persone ascol-tate finora, non una ha tralasciato un aspetto crucialedella querelle che riguarda tutta l’informazione, solle-vando un problema che va a toccare il senso stessodella democrazia.

    Chissà in quale misura il dottor Bernabei, èdisposto a riconoscere che i tempi sono cambiati, econ essi, di conseguenza, anche i codici.

    C’è qualcosa nell’informazione di oggi che lasciaogni tanto margini di nostalgia per come, a quei tempi,fu interpretata e vissuta. Non era tutto oro colato, maricordo come la politica aziendale introdotta daBernabei andò a toccare anche la grande politica.Domanderete quale sia il nesso tra un’impresa privata,

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  • seppure “incaricata di servizio pubblico”, e il grandesistema politico del Paese in cui agisce. Se è vero, comeè vero, che un «Servizio pubblico» deve poter parteci-pare alla crescita culturale e civile della società cherappresenta, e a cui si rivolge, era abbastanza natura-le, direi quasi d’obbligo, che andasse a occuparsi dellegrandi questioni che venivano regolate dalla politica.Il centrosinistra, di cui non parlo in termini ideologiciné partitici, ma come fenomeno di cambiamento, tra-sformazione, e sensibilità al nuovo, nacque durantequella gestione. Ciò non poté non essere un tentativodi conferire alla RAI il ruolo (la definizione, ripeto, èanglosassone, mutuata dalla BBC) di “una nazione cheparlava alla nazione”. Con tutti i limiti, beninteso, chequesto giudizio comporta.

    ETTORE BERNABEI. Ringrazio il presidente Zavoli,che ha voluto aggiungere questa postilla di presenta-zione. Rispondo subito che non ho nostalgie dellatelevisione di quell’epoca. Era realizzata per la societàdi quel tempo. Oggi bisogna pensare la televisione peril nostro tempo, per il ventunesimo secolo. E’stato giàaccennato da coloro che mi hanno preceduto che latelevisione è ancora molto importante. Secondo ildato fornito da Giuseppe De Rita poco tempo fa – nonso se sia stato aggiornato – nei Paesi sviluppati il 97%della popolazione guarda la televisione per almeno treore al giorno. Ciò vuole dire che, pur essendo impor-

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  • tante internet, lo è molto di più la televisione, special-mente quella generalista. In particolare la trasforma-zione tecnologica, il passaggio dall’analogico al digi-tale, permetterà in televisione tanti canali e quinditante libere espressioni di pensiero, di creazione arti-stica. Ciò postula la necessità assoluta, ancor piùcogente, di un Servizio pubblico realizzato nelle formeche più o meno conosciamo in Europa, con la orga-nizzazione, tipica della BBC, cioè di una emittentegeneralista senza pubblicità, che vive e si finanzia coni proventi di un canone in grado di coprire tutte lespese di produzione.

    Zavoli ha ben ricordato alcune definizionisignificative del primo direttore della BBC, tra cui “lanazione che parla alla nazione”. Oggi direi chepotremmo parlare di una comunità composita cheparla a tutta la comunità. E’ sempre difficile dare defi-nizioni del Servizio pubblico. Si tratta di una televi-sione fatta per chi la guarda, fatta con grande rispet-to per tutte le componenti della utenza, che non lapensano tutti alla stessa maniera, che hanno aspetta-tive e sogni diversi, ma necessità ed aspirazioni simi-li. A questo comune denominatore si deve ispirare laTV di un Servizio pubblico.

    Zavoli ha citato anche Amartya Sen, il qualeha affermato che, nel mondo globalizzato, la comuni-cazione avrà più importanza dell’economia. Oggi nonè più una profezia, è già una constatazione. Ogni

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  • comunità ha interessi legittimi da tutelare e la televi-sione di un Servizio pubblico si deve far carico di taliinteressi.

    Credo che un organismo come la RAI, che haresistito a tante tempeste nell’arco degli ultimi trent’an-ni, saprà svolgere anche questo compito. Poiché qual-cuno ha citato le tentazioni ricorrenti di privatizzazio-ne, mi riferisco ad una RAI come è ora, posseduta dalTesoro, e che svolge il Servizio pubblico nel rispetto pertutti gli abitanti di questa zona del pianeta.

    Da questo punto di vista sono ottimista per ilfuturo, anche televisivo.

    SERGIO ZAVOLI. Ascoltiamo adesso l’opinione diFedele Confalonieri, una di quelle persone che rappre-sentano, in modo intelligente, la moderazione.

    Mi permetto di avanzare questo giudizio, checredo non lo trovi contrario, anche perché sottintendeun apprezzamento, in tempi votati a confronti spessomolto duri, un bisogno di misura che immagino possaessere un valore accettato, e incoraggiabile, da tutti.

    Da questo punto di vista, ritengo possa essereaccolto l’invito di Ferrarotti a dismettere l’antagoni-smo rissoso tra il privato e il pubblico. E mi pare cheConfalonieri, in alcuni momenti cruciali, abbia svol-to questa funzione moderatrice, naturalmente nonsempre riuscendovi; così come ciò non può riuscire –scusate la divagazione – a un’altra persona cherichiama, con ben diversi ruoli e caratteristiche,

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  • Confalonieri: ossia Gianni Letta. Se ne trae a volte unsenso di sollievo, specie nelle occasioni in cui si con-ciliano interessi di carattere generale, ai quali non sipuò rimanere estranei.

    FEDELE CONFALONIERI. Ebbene, Presidente, io hoinvece tanta nostalgia della tua televisione.Sentendo ti parlare, ricordavo addirittura quandofacevi il radiocronista e parlavi di Coppi, Bartali e delGiro d’Italia. Ma ricordo anche il Terzo Programmaradiofonico dove tutti ci siamo formati la nostra partedi cultura musicale. Mi piacerebbe che la RAI tornas-se a svolgere un ruolo di pubblico servizio inteso inquel senso.

    Ricordo di aver fatto tante discussioni e cercatoanche accordi con il Servizio pubblico televisivo. Peresempio con il povero Enzo Siciliano, alloraPresidente della RAI, che fu impallinato perché trasmi-se in prime time la prima del Macbeth alla Scala.Allora come oggi, se stavi sotto un certo ascolto eranoproblemi. Ma i due milioni di telespettatori raccolti dalMacbeth sono un numero straordinario: significa mol-tiplicare la Scala per mille volte, perché nel teatroentrano meno di duemila persone.

    Invece Siciliano perse il suo posto di presidentedella RAI. Anche perché voleva stringere un accordocon noi per alzare il livello complessivo della pro-grammazione. So che gli specialisti della televisione –

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  • come il mio amico Carlo Freccero o Angelo Guglielmi– sostengono che in TV non si debba portare il teatroperché appartiene a un altro genere, estraneo al mezzotelevisivo. Ma invece io credo che usare la TV per dif-fondere consumi culturali di nicchia abbia un aspettoeducativo. Bisogna avvicinare il pubblico alla gran-dezza. Poi naturalmente ognuno è libero di prosegui-re o meno il percorso. Il mio primo Amleto è statoquello di Gassman, proposto dal Servizio pubblico.Solo in seguito andai a rivederlo al Teatro Lirico.Quanti ragazzi oggi non sanno nemmeno chi siaAmleto? Sono condannati a non saperlo, per via dellalotta all’audience, e in questo modo cadiamo semprepiù in basso. Anche io riconosco che ci sono program-mi davvero impresentabili e urlati che, tuttavia, pro-ducono ascolto.

    Fatta la professione di nostalgia, non sono com-pletamente d’accordo con te, Sergio, quando sostieniche il contributo della TV commerciale si è esaurito inun momento. Credo, invece, che abbia rappresentatouna ventata di libertà, unica nella nostra storia. Eripresidente della RAI all’inizio degli anni ottanta e haivisto che cosa ciò abbia rappresentato, in termini dirivoluzione culturale, in un’epoca dominata, comericordo, dalla parola chiave di Berlinguer, «austerità», edall’essere antiamericani. Oggi invece è facile purtrop-po deridere la nostra TV e noi italiani su questo frontenon siamo capaci di difenderci. L’altro giorno ho visto

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  • sulla BBC un servizio vergognoso, in cui si parlavadello striptease delle casalinghe, ricaduto sulle solitespalle, le nostre di Mediaset, anche se quel genere diprogramma non fu la nostra televisione a lanciarlo.

    Ho dunque nostalgia per il periodo in cui bravidirigenti fecero una grande RAI, ma anche per il perio-do successivo, parlo di trent’anni fa, nel quale siamopartiti noi. Sono due nostalgie che ricordano una fasein cui si competeva per raggiungere un alto livello,non per tendere verso il basso.

    Sono quindi contrario alla privatizzazione dellaRAI, anche se qui, in prima fila, c’è chi l’ha sostenutae l’ha anche inserita in una legge. Per me la RAI deverestare pubblica ed essere ricca di fondi. Non possoproporre di togliere la pubblicità dal Servizio pubbli-co come è da sempre in Inghilterra e come sta succe-dendo anche in altri paesi d’Europa, ultime la Franciae la Spagna, perché detto da Mediaset suonerebbecome Cicero pro domo sua; tuttavia credo che perlo-meno si debba recuperare il canone, perché non èammissibile che ci sia un 30% di evasione. La RAI deveavere i fondi necessari per realizzare gli obiettivi chetutti abbiamo in mente.

    Inoltre credo che, risorse a parte, ci debba esse-re in RAI una forte presenza dell’editore. La frase cita-ta prima, mi pare da Giovanni Valentini, «informare,educare e intrattenere» deve essere applicata senzaoffendere nessuno. Oggi nel Servizio pubblico ci sono

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  • troppe offese. Ma non specifichiamo da parte di chi,quando e come; ci addentreremmo in un terreno chepuò diventare antipatico.

    SERGIO ZAVOLI. A parte l’imbarazzo per questaduplice e concomitante nostalgia, ringrazio il dottorConfalonieri e chiamo in causa il Direttore generaledella RAI, professor Masi.

    MAURO MASI. Vorrei enfatizzare l’aspetto che inquesti giorni sta maggiormente influenzando il ruolo,la funzione e la mission della RAI, nonché la suadimensione nell’ambito del Servizio pubblico, ovveroquello del cambiamento.

    Il cambiamento che la televisione sta affrontan-do in questi anni, in questi mesi, e addirittura in que-sti giorni, costituisce con tutta probabilità la disconti-nuità più radicale della sua più che cinquantennalestoria. Stiamo assistendo a una crescita davvero espo-nenziale della gamma di offerta, in una progressivasegmentazione e specializzazione dell’utenza, che siconcretizza in nuovi canali, modelli di fruizione delmezzo televisivo e attori, che si affiancano nel merca-to dei media, ampliando il panorama e, a mio avviso,anche il pluralismo dei contenuti.

    Come negli altri Paesi europei, anche in Italiaascolti e ricavi della Tv generalista sono sotto crescen-te pressione. Ciononostante essa ha ancora un futuro

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  • grazie alle opportunità offerte – è questo il senso delcambiamento che citavo – dal digitale terrestre.

    La transizione del sistema televisivo italiano aldigitale terrestre è entrata in una fase di accelerazionee di irreversibilità, per effetto di decisioni istituzionali,ma anche della spinta delle nuove tecnologie. Fra ledecisioni istituzionali vi è la definizione del calendario,il quale ha fissato in modo rigoroso le tappe di questoprocesso, che si sta esplicando su base regionale, comesappiamo, coinvolgendo molto le autorità locali e pro-gressivamente l’intera popolazione italiana, e che siconcluderà, come è noto, entro la fine del 2012.

    La centralità del digitale terrestre come piatta-forma di riferimento per il core business RAI è il puntodi partenza della nuova strategia sulla quale si stannoconcentrando gli sforzi editoriali e gestionali.L’obiettivo RAI – i primi dati che arrivano dalle regio-ni dove è già avvenuto lo switch-off sono senz’altroincoraggianti – è e resta quello che il Servizio pubbli-co mantenga la propria centralità nel sistema televisi-vo e rafforzi il suo rapporto privilegiato con il pubbli-co, resti leader dell’offerta in chiaro, accresca la suadimensione di televisione di qualità, prosegua il rin-novamento della propria offerta multicanale e conso-lidi la sua presenza sulle piattaforme internet.

    Siamo chiamati per questo a dare risposte stra-tegiche e industriali in quella che è, per noi, una dop-pia sfida: entro la fine dell’anno, il 30% della popola-

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  • zione potrà vedere in chiaro con il digitale terrestreoltre dodici canali e, quando in estate si raggiungeràil 50% ed entro fine 2010 il 70%, l’offerta generalistae tematica della RAI sarà – ritengo – la risposta miglio-re alle trasformazioni tecnologiche e di mercato, cioèal cambiamento di cui parlavo all’inizio.

    Sono certo che il Servizio pubblico sia in regolae più forte di prima per garantire la propria mission eper uscire rafforzato dalla competizione tra e nellepiattaforme. Mi allaccio al discorso sul recupero delcanone, discorso assolutamente indispensabile: il 30%è un’evasione che noi, come RAI, riteniamo intollera-bile e naturalmente stiamo facendo di tutto per cerca-re di risolvere il problema, ma non possiamo farlosenza un’adeguata interlocuzione con il mondo delleistituzioni, con il Parlamento e con l’esecutivo.

    Un servizio pubblico, finanziato con risorse ditutti, costituisce un modello forte e accettato in tuttoil panorama europeo. Ha svolto e svolge un ruolo fon-damentale per garantire l’esistenza di una molteplici-tà di offerta, dal culturale all’educativo, che soprattut-to in un contesto di dimensioni sostanzialmente con-tenute, come quello italiano, richiedono risorse taliche la sola dinamica del mercato non potrebbe e nonpuò garantire. In aggiunta, il Servizio pubblico è eresta lo strumento più importante per la promozionedel tessuto e delle competenze locali e regionali.

    In tal senso, il passaggio dalla televisione ana-

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  • logica a quella digitale terrestre, comune in tutti iPaesi europei, si sta rivelando non un vincolo, comequalcuno temeva, ma un’autentica occasione per rin-novare l’offerta. Con una visione editoriale di largorespiro in grado di recuperare posizioni di mercatoche la televisione generalista sta perdendo un po’dappertutto.

    La diffusione dei cosiddetti «nuovi schermi», deicomputer e dei telefonini, è destinata a crescere neiprossimi anni, anche se la sostenibilità su larga scaladei dispositivi a livello di business attende ancora unapiena validazione da parte del mercato.

    Nel labirinto dei media e dei new media, in cuile notizie costituiscono una massa sempre meno gesti-bile per numero e pluralità delle fonti, il ruolo e leresponsabilità del nostro Servizio pubblico, per certiaspetti, crescono enormemente. Se per determinateclassi di beni e servizi l’offerta di più operatori orien-tati al profitto e al più largo smercio costituisce unambiente con un potenziale che può offrire ai consu-matori i prodotti migliori, questo, a mio avviso, non èvero per la televisione e i suoi contenuti.

    Il Contratto di servizio per il triennio 2010-2012,che accompagnerà il processo di transizione e cambia-mento del sistema italiano dall’analogico al digitaleterrestre, creerà i presupposti per ridefinire in terminiinnovativi e più moderni il nuovo posizionamentostrategico del Servizio pubblico nel sistema comples-

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  • sivo dei new media. In questo contesto, pertanto, laRAI considera irrinunciabile che il nuovo contratto siacaratterizzato da metodologie e impegni di carattereinnovativo, ai quali l’azienda è pronta, da parte sua, arispondere con tutto il proprio patrimonio di risorseprofessionali e tecniche, che sono senz’altro rilevanti.

    La RAI è, dunque, impegnata nel contribuire allosviluppo tecnologico ed editoriale del sistema televisi-vo nazionale, mettendo a disposizione della popola-zione i vantaggi dei nuovi servizi e delle tecnologieemergenti. E questa è una nuova funzione importantedel Servizio pubblico.

    L’imponente sforzo nella sfera della transizioneal digitale terrestre, a mio avviso, dimostra questoconcetto. La presenza di almeno dodici canali nellearee all digital – Sardegna, Val d’Aosta, Piemonte,Trentino-Alto Adige, Lazio e tra poco in Campania –consente agli utenti del Servizio pubblico di fruire diun’offerta ampia e articolata, nonché di particolarequalità: dai canali generalisti tradizionali ai due perbambini, da quello all news a quello sportivo, dallastoria al meglio del cinema, della fiction e dei docu-mentari italiani ed europei.

    Anche l’impegno del Servizio pubblico ad esse-re presente sull’insieme delle piattaforme tecnologi-che è di primaria importanza. La nostra partecipazio-ne a TV Sat fa sì che l’intera programmazione gratui-ta presente sulla piattaforma digitale terrestre possa

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  • finalmente essere vista senza limitazioni e criptaggidagli utenti che hanno il desiderio o la necessità difruire dell’offerta televisiva tramite la ricezionesatellitare. Fino a pochi mesi fa gli utenti satellitariche non disponevano dell’offerta pay non erano incondizione di vedere integralmente i programmi RAIo di altri broadcaster. Ora, con TV Sat e senza l’ob-bligo di pagare un abbonamento, possono accedere atutti i canali del digitale terrestre e si prevede che,entro la fine dell’anno, saranno circa 300 mila idecoder venduti, che saliranno a oltre un milioneentro il 2010.

    La RAI si ritrova con le carte in regola per adem-piere a quanto previsto dalle recentissime linee guidaemanate dall’AGCOM di concerto con il ministero delloSviluppo economico, laddove, in particolare, si scriveche «la RAI è tenuta a far sì che nella fase di passag-gio dalle trasmissioni in tecnologia analogica a quel-la digitale l’intera programmazione delle reti generali-ste già irradiate sulla rete terrestre analogica sia visi-bile su tutte le piattaforme tecnologiche». Ciò signifi-ca che la RAI deve essere presente su almeno una piat-taforma trasmissiva di ogni piattaforma tecnologica.

    Il Servizio pubblico si è, dunque, già attrezzatoper adempiere con efficacia a questo indispensabileservizio gratuito anche nel settore satellitare.

    È inoltre di grande importanza il nuovo concet-to di neutralità competitiva, introdotto sempre

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  • dall’AGCOM, laddove si prevede che la RAI «potrà con-sentire la messa a disposizione della propria program-mazione di Servizio pubblico finanziato dal canone, atutte le piattaforme commerciali che ne farannorichiesta nell’ambito di negoziazioni eque, trasparentie non discriminatorie, e sulla base di condizioni veri-ficate dalle autorità competenti».

    Finalmente, a mio avviso, vi è una parola chia-ve e conclusiva su un tema che è stato oggetto, e inparte lo è ancora, di accese polemiche, ma che la RAIha sempre seguito con grande attenzione e massimorispetto. Il Servizio pubblico non può regalare la pro-pria offerta televisiva a piattaforme a pagamento peril loro proprio vantaggio competitivo e commerciale,ma è in grado, se lo ritiene e se ne faranno richiesta isoggetti coinvolti, di negoziare ciò che nel recentepassato è stato ritenuto un obbligo non negoziabile.Questo conferma la correttezza del nostro operato e latrasparenza nei comportamenti che, ovviamente, nonverrà e non deve venir meno in futuro.

    Nel quadro di un sistema finalmente regolatosarà un vantaggio per gli utenti. La RAI farà di tuttoper accompagnare la transizione dall’analogico aldigitale terrestre senza escludere alcun soggetto distri-butivo, purché questo avvenga in modo conforme allenuove regole. Il Servizio pubblico, nell’era del multi-mediale e digitale, può rappresentare l’infrastrutturatecnologica operativa, ma anche culturale ed etica, a

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  • cui ricondurre l’informazione, i cosiddetti contenuti,all’interesse generale.

    Il nostro obiettivo è che la RAI possa continua-re la sua opera nella massima libertà e nel pluralismo,mantenendo il ruolo centrale che le deriva dalleresponsabilità che il Servizio pubblico ha assunto neiconfronti di tutti i cittadini. Mi permetto di ricordareil messaggio di Giovanni Paolo II per la ventottesimaGiornata mondiale delle comunicazioni sociali del1994: «Coloro che lavorano per la televisione, mana-ger, funzionari, produttori, autori, ricercatori, giorna-listi, personaggi dello schermo e tecnici, tutti hannogravi responsabilità morali verso le famiglie, checostituiscono la gran parte del pubblico». Questa è erimane la grande responsabilità del Servizio pubblicoe della RAI .

    SERGIO ZAVOLI. Le è stato accordato tanto tempoperché lei rappresenta il punto di riferimento delletante considerazioni che sono state e saranno svolte inquesto seminario. Ascoltiamo ora l’Amministratoredelegato di La7, il quale, non appartenendo a «piatta-forme», è un single che non ha vincoli se non con quelpubblico cui la sua TV si rivolge ogni giorno con pun-tualità, misura e intelligenza.

    GIOVANNI STELLA. Buongiorno e grazie dell’invito.La7 fa parte, come sapete, del Gruppo Telecom Italia.

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  • La sua presenza in tale gruppo deriva soprattutto daragioni storiche, ma la sua permanenza dipende inve-ce dalla circostanza che Telecom Italia ritiene impor-tante conservare il know-how relativo al saper comu-nicare con il linguaggio televisivo verso tutta la citta-dinanza.

    Telecom Italia ha compiuto notevoli investimen-ti sul digitale terrestre, tenuto conto della scarsa ric-chezza di La7 e del fatto che pubblicità e audience nonsono mere rappresentazioni filosofiche, ma flussi didenaro che affluiscono alle televisioni, sia pubblicheche private. Siamo estremamente favorevoli alla mas-sima introduzione del digitale terrestre, ma non c’èdubbio che essa pone problemi sulla quantità di pub-blicità in distribuzione su molti più canali che non inpassato, perdipiù in concomitanza con un fenomeno,che ancora non è molto forte in Italia, ma lo è moltoall’estero, ossia il progredire in modo esponenzialedella pubblicità su internet rispetto a quella televisiva.

    Non c’è dubbio che il digitale terrestre sia unatecnologia di transizione e non sappiamo se tale tran-sizione durerà cinque, dieci o vent’anni. È chiaro peròche si tratta di un mondo estremamente mutevole eche il futuro è sicuramente la rete dell’internet proto-col, per la sola ragione che vi è un canale di ritorno:non si è più spettatori passivi, ma attivi, non solonella formazione di un palinsesto personalizzato, maperché si può interloquire con chi offre un servizio e

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  • un contenuto. Riteniamo che questo sia un passaggioimportante.

    Il nostro Paese, per ragioni storiche ed economi-che, ha subìto un vistoso salto generazionale.L’informatizzazione non è stata diffusa in modo con-tinuo e generale e l’uso di internet è ancora un eserci-zio riservato a classi privilegiate, che hanno avutol’occasione di poterlo sperimentare. Non credo diandare molto lontano dalla verità affermando cheforse il 15-20% di chi usa internet lo fa in modo sofi-sticato e completo.

    Internet è uno strumento importante, che puòservire a farci compiere un salto importante: permet-tere al cittadino normale di usufruire della rete inter-net attraverso la televisione. Navigare attraverso ilcomputer è molto complicato e difficile. La scommes-sa sulla quale stiamo investendo è quella di utilizzareil mezzo televisivo per poter consentire alla maggiorparte della popolazione – che attraverso il telecoman-do ha un uso molto più friendly e accessibile del pro-prio video domestico – di poter navigare nella televi-sione, e usufruire così di tutti quei servizi che in altriPaesi del mondo sono molto utilizzati. Sto pensandoalla telemedicina, che eviterebbe il sovraffollamentodegli ospedali, all’e-learning o all’e-government conapplicazioni estremamente massicce, che possono per-mettere di compiere un salto importante nell’utilizzodi servizi primari a tutta la popolazione italiana.

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  • SERGIO ZAVOLI. La parola a Giuseppe De Rita, ilsociologo che da molti anni racconta organicamente –e, direi, “scientificamente” – l’Italia agli italiani. Se sipotessero aggiungere le immagini alle parole che ognianno egli mette insieme nel suo rapporto del CENSIS, sene ricaverebbe un materiale straordinario per la stes-sa televisione.

    GIUSEPPE DE RITA. Devo soltanto all’amicizia diZavoli l’essere qui. È vero che seguo l’Italia da tantianni, ma non seguo la RAI da almeno quaranta, quan-do scrissi un rapporto molto conflittuale con Bernabeinel lontano 1969. Dopo me ne sono disinteressato e laguardo dall’esterno.

    Mi sono spesso domandato se la connessionestretta che si fa tra RAI e Servizio pubblico non sia unsuicidio o un’impiccagione voluta. In fondo, se guar-diamo il mercato della comunicazione, vediamo cheesso si è allargato. Come ha detto Morcellini all’inizio,ormai la comunicazione è composta di tanti mezzi: cisono internet, i social network, Facebook, la televisio-ne, la radio, ma sono in crescita anche il cinema e ilteatro. L’unica in declino è la carta stampata.

    Si tratta di un mercato enorme, che lo diventasempre di più perché vi arrivano nuovi protagonisti.Se il mercato è tanto grande, occorre chiedersi qual èla posizione di chi ci lavora. C’è un solo destino:diventare un big player di ciscun settore. Se non si è

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  • un big player, si viene lentamente emarginati da unmercato sempre più complesso, che erode le quote,tanto di una società editrice quanto di una societàtelevisiva: una parte va su Facebook, una su internet,una torna al cinema, al teatro o al concerto. In prati-ca, si ha un sistema di mercato che non riconosce piùuno status formale, il Servizio pubblico, se non si ècontemporaneamente anche un big player.

    Quando abbiamo presentato l’ultimo RapportoCENSIS su questi argomenti, ero vicino a Confalonieri.Mi sono guardato intorno e mi sono chiesto seConfalonieri, Telecom, la RAI, Mondadori fosseroancora big player. Lo sono ancora, ma con l’esigenzadi restarci e quindi con uno sforzo enorme di gestireun mercato, pubblico o privato che sia, attraverso unaforza soggettiva enorme. L’abbiamo visto anche negliultimi tempi: i collegamenti fra alcuni big playerinternazionali, ma anche alcuni tentativi italiani dicollegare big player di telecomunicazione o di comu-nicazione e intrattenimento, fanno sì che tutti vadanoin questa direzione.

    Invece la RAI , negli ultimi anni, ha avuto sem-pre meno questo gusto. Ricordo quanti litigi ci furononel 1969, quando affermai che la RAI avrebbe dovu-to diventare una grande holding culturale a 360 gradi.Dopo quarant’anni è meno potente di allora, ma anchedi dieci anni fa o di un anno fa, proprio perché è ilmercato che si modifica e il rapporto Stato-mercato,

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  • pubblico-privato, è andato cambiando così profonda-mente da non riconoscere la legittimità del Serviziopubblico.

    Questo è il punto fondamentale: o si hanno quotedi finanziamento tali da potersi permettere grandiinvestimenti di produzione e di distribuzione o grandirapporti con altri operatori, oppure si resta all’internodi una dimensione secondaria, forse più nostalgica. Sepoi il Servizio pubblico viene svolto su una rete sola,su tre, sul canone o sul canone e sulla pubblicità, restail rimpianto di un’azienda che avrebbe potuto essere,ed era, una grande azienda, un vero big player dellacomunicazione, e resta invece chiusa soltanto nelladimensione di Servizio pubblico, senza più la carica dilegittimazione forte che deteneva – per esempio – laRAI di Bernabei, la quale poteva affermare che stavafacendo l’Italia, la lingua italiana, e trasferendo unpatrimonio di mille o duemila anni di cultura allapopolazione e alla gente. Non c’è più quella realtà, per-ché la concorrenza è data da altri aspetti e quindi siperde anche la legittimazione contenutistica.

    Stiamo, dunque, attenti ad affermare che la RAIè Servizio pubblico, perché, se resta soltanto un ser-vizio pubblico, diventerà una nicchia protetta nelsistema di comunicazione. Benché pubblica, benchédebba svolgere un servizio, sarà comunque una nic-chia. Se, invece, vogliamo ragionare di essa comel’abbiamo vista e vissuta e come qualcuno di noi l’ha

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  • gestita, ossia come una grande struttura, nello stessomodo in cui Confalonieri sente la sua struttura, cioècon la voglia di aumentare la potenza di presenza nelmercato, di essere Stato-mercato, pubblico-privato,con piena forza e non come rifugio nella nicchia,allora il problema è diverso. Ci vogliono un po’ piùdi grinta, di risorse, di dimensione soggettiva dellaRAI.

    Credo, dalla fine del 1969, di non essere piùentrato in viale Mazzini, neppure nel cortile, e non hopiù vissuto dall’interno l’azienda. Essa ha, però, biso-gno oggi di una grande forza soggettiva, che non lesarà data né dall’essere ente pubblico, né dal fornireun Servizio pubblico, né dalla dimensione politica chene legittima la gestione. Bisogna avere una RAI – io,almeno, lo spero ancora – ad alta soggettività e nondi nicchia

    SERGIO ZAVOLI. De Rita è difficilmente contestabi-le: conosce come pochi la materia e sa rendere altempo stesso suggestivo e autorevole quello chepensa, al punto che se ne rimane sempre influenzati.

    Comunque, venendo meno lo spirito della Tvcosiddetta di Bernabei, se prevalesse, per così dire, lasoggettività di chi deve interpretare i mutamenti dellasocietà e del mondo, credo che per ciò stesso verrebbemeno il riconoscimento sociale, ovvero il massimo diidentità che si può conferire al Servizio pubblico.

    Verrebbe meno, cioè, l’altro capo della questio-

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  • ne, ossia la comunità, dalla quale ricevere il giudiziodovuto a chi si occupa, appunto, di una società e di unPaese. A meno che l’invito di De Rita a Confalonieri,d’altronde ricambiato, a mettere insieme due categorieche non sono incompatibili per creare le condizioni diun mercato, possa rispondere meglio agli interessi diuna società che si sta disunendo e, in qualche circo-stanza, addirittura “coriandolizzando”. È una situazio-ne che dovrebbe fornire suggerimenti anche e soprat-tutto alla politica.

    Chiudiamo con il «respiro calmo” auspicato daBenedetto Croce per i momenti difficili, che egli dice-va di dovere, come già ho ricordato, alla presenzadella sua biblioteca. Mi sembra allora naturale che, inquesta tornata, prenda ora la parola lo storico, il pro-fessor Piero Melograni.

    PIERO MELOGRANI. Grazie, Presidente. Ringrazioinnanzitutto il Presidente Schifani per avermi invitatoa partecipare a questo seminario, insieme a tanti illu-stri ospiti molto più competenti di me, dal momentoche sono soltanto uno storico. Il mio nome è statocitato più volte per entrare a far parte del Consiglio diamministrazione della RAI , ma poi sono stato tenutosempre fuori dalla porta. Anni fa ho fatto parte, inve-ce, della Commissione di vigilanza e spero di averlasciato un buon ricordo. Qualcuno me ne ha parlato.

    Ringrazio anche De Rita– non è vero che non tioccupi più della RAI , anche se non lo fai più dall’in-

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  • terno – per averci fatto sapere nell’ultimo Rapportodel CENSIS che l’indice di gradimento della TV è, inItalia, a livelli bulgari, ovvero al 97,8 %. Tanto varreb-be dire il 100 %. La TV rappresenta, dunque, una pre-senza fissa e costante nelle case di tutti gli italiani e,al di là della qualità del prodotto in sé, non mostrasegnali di disaffezione.

    Se la televisione è stata, in origine, lo strumen-to principe dell’alfabetizzazione del Paese, appenauscito da una guerra disastrosa ma con una grandevoglia di recuperare e rinascere, oggi penso che debbaessere lo strumento di unione dei cittadini, il sillaba-rio di un nuovo senso civico per la rivalutazione deivalori repubblicani della nazione.

    La televisione costituisce quindi un