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I Distretti Industriali Corso di Politica Economica Corso di Politica Economica Corso di laurea SVIC Corso di laurea SVIC Prof. Cristina Brasili Prof. Cristina Brasili Anno Accademico 2014-2015 Anno Accademico 2014-2015 1

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I Distretti Industriali

Corso di Politica EconomicaCorso di Politica Economica

Corso di laurea SVICCorso di laurea SVIC

Prof. Cristina BrasiliProf. Cristina Brasili

Anno Accademico 2014-2015Anno Accademico 2014-2015

Corso di Politica EconomicaCorso di Politica Economica

Corso di laurea SVICCorso di laurea SVIC

Prof. Cristina BrasiliProf. Cristina Brasili

Anno Accademico 2014-2015Anno Accademico 2014-2015

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Modelli locali di sviluppo

In Italia gli studiosi dello sviluppo endogeno privilegiano lo studio dei sistemi locali di piccola e media impresa e cioè dei Distretti industriali

Perchè?“Paradosso strutturale dell’Italia” (Signorini, in Lo sviluppo locale, 2000) •Piccole e piccolissime imprese nei settori tradizionali•Pronunciato dualismo Nord-Sud

Produzioni a bassa intensità di capitale e a basso contenuto tecnologico

Modello di sviluppo endogeno

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I Distretti Industriali

Nel 1919 nei Principles of Economics, Marshall afferma che un’area ad alta concentrazione di piccole imprese si può definire distretto quando sussistono le caratteristiche:

•La produzione è flessibile e cerca di venire incontro alle diverse necessità dei clienti e, se il cliente è un grossista, è in grado di realizzare l’intera gamma della serie produttiva richiesta dal grossista;•ci sono molte imprese piccole e molto piccole in un dato territorio, tutte con lo stesso tipo di produzione flessibile;•fra queste imprese piccole, molto piccole o medie, alcune vendono i loro prodotti direttamente sul mercato, mentre altre eseguono processi particolari o producono componenti di un prodotto;•la separazione delle imprese che vendono i loro prodotti e quelle che operano come sub fornitrici d’altre imprese non è rigida; una piccola impresa può, in un dato momento, essere sub fornitrice e, in un altro un venditore;•le relazioni tra imprese che vendono sul mercato assumono la forma di un intreccio fra competizione e cooperazione; ciò significa che le imprese non combattono tra loro, ma cercano di trovare spazi nel mercato per nuove produzioni senza creare effetti distruttivi all’interno del distretto industriale;•il luogo è così definito perché si riferisce ad un’area geografica molto limitata che è specificatamente caratterizzata da una data produzione dominante;•c’è una forte interconnessione fra il distretto come realtà produttiva e come ambiente di vita familiare, politica e sociale.

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I Distretti Industriali

Dal distretto marshalliano come categoria di analisi……...alla sintetica definizione di distretto di Becattini (1979), “un’entità socio-territoriale caratterizzata dalla presenza attiva di una comunità di persone e da una popolazione di imprese in uno spazio geografico e storico determinato”……..

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I Distretti Industriali

Ciclo di vita di un distretto (Carminucci, Casucci, Censis 1997)

Un distretto industriale si può trovare in varie fasi della sua “vita”:• 1) LA SPECIALIZZAZIONE DI FASE: elevata parcellizzazione del processo produttivo

• 2) L’AREA SISTEMA INTEGRATA: caratteristiche di tipo endogeno, utilizzo quasi esclusivo di risorse locali

• 3) DELOCALIZZAZIONE: fase di maturità delocalizzazione degli impianti in areee a più basso costo

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(continua)Ciclo di vita di un distretto ( Censis 1997)•4) LA GERARCHIZZAZIONE CON CRESCITA PER LINEE INTERNE: per rispondere alla turbolenza dei mercati reinternalizzano alcune fasi e funzioni, emergono alcune imprese leader

• 5) LA CONCENTRAZIONE DIREZIONALE: le imprese leader dell’area finiscono sotto la proprietà di pochi soggetti interni

• 6) LA GERARCHIZZAZIONE CON CRESCITA PER LINEE ESTERNE: le imprese pur rimanendo indipendenti definiscono un sistema di accordi strutturati come se si trattasse di un’unica grande azienda

•7) IL RIPOSIZIONAMENTO: spostamento su nuove nicchie di mercato

I Distretti Industriali

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La struttura produttiva dei paesi europei(distribuzione percentuale degli addetti per classe)

PaesiClassi di addetti

0-9 10-49 50-249 >250Belgio 17.7 18.1 20.1 44.1Danimarca 12.6 20.3 25.8 41.4Germania 7.3 14.3 16 62.4Grecia 16.2 28.4 28.3 27.1Spagna 22.5 26.9 20.8 29.8Francia 13.1 18.1 20 48.7Italia 25 31 18.1 25.8Lussemburgo 6.2 12.3 20.6 60.9Olanda 13.5 16.1 20.3 50.1Austria 13.7 18.9 29.3 38.1Portogallo 17.5 27.2 29 25.6Finlandia 9.6 13.8 20.8 55.9Svezia 10.8 15 21 53.2Regno Unito 12.8 14.9 20.2 52.1Islanda 21.5 31 16 31.4Unione Europea

13.7 19.4 19.5 47.4

Fonte: Eurostat.

Viaggio nell’economia italiana, Saggine, Donzelli Ed. 2004di Pierluigi Bersani e Enrico Letta

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Spesa totale in Ricerca & Sviluppo 2001 (in % sul Pil)

1,982,17

2,42,51

0,640,96

2,231,07

1,90,84

1,89

0,470,95

0,680,39

1,570,64

2,743,06

0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5

Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat

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Il declino della grande impresa in Italia(quota percentuale occupati nelle grandi imprese)

Fonte: Censimenti Istat

0

5

10

15

20

25

30

35

40

1961 1971 1981 1997 2001

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I Distretti Industriali

I Distretti Industriali nello sviluppo economico italiano(Giacomo Becattini )

Prima peculiarità del sistema economico italiano

Il modello di specializzazione industriale italiano NON è dominato da settori industriali tecnologicamente impegnativi e/o intensivi di capitale ma predominano settori ad alta intensità di know-how, di design, di “fantasia” e poco qualificati tecnologicamente.

Ad esempio:mobili, calzature, pelli, cuoio, gioielli, articoli da regalo.

L’Italia si trova in questo modo a competere negli stessi mercati dei paesi in via di sviluppo piuttosto che con i principali paesi industrializzati.

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I Distretti Industriali

I Distretti Industriali nello sviluppo economico italiano(Il Sole 24 ore, 1992 )

Propone una mappa dei distretti:maggior numero al Nord, in embrione al Sud, pochi al Centro

Non sono rilevanti le analisi settoriali.Esistono tre gruppi di prodotti:•Beni durevoli per le persone le relative materie prime e i macchinari per produrli

•Beni durevoli per la casa e le macchine per produrli

•Prodotti alimentari e dei macchinari annessi

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I Distretti Industriali

“Made in Italy” e distretti industriali(Becattini, 1998 )

E’ una risposta a bisogni specializzati

•Il Made in Italy distrettuale è composto da un Made in Italy diretto di beni di consumo e da un made in Italy indiretto dei beni strumentali complementari ai primi

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I Distretti Industriali

I Distretti Industriali nello sviluppo economico italiano(Giacomo Becattini )

Seconda peculiarità del sistema economico italiano

Come si è re-dislocata l’industria manifatturiera nel secondo dopoguerra:il “miracolo economico”: il motore dello sviluppo industriale trainato dai settori classici (metalmeccanico e chimico) sembra il Nord-Ovest del paese e conferma il ruolo dominante del “triangolo industriale” ;la svolta si avverte tra il 1961 e il 1971, ma si afferma solo tra il 1971 e il 1981:

1961-1971 Occupazione +18%, da 4.5 milioni a 5.3 milioni Nord Ovest +10% Nord Est e Centro +20% Sud +20% addetti,Le imprese tra 11-50 addetti +31%1971-1981Occupazione +15%, Nord Ovest rimane stabile, Nord Est e Centro +35% (+470.000 mila) Sud +300.000 addetti;La grande industria perde 160.000 addettiLe imprese piccolissime + 140.000 addetti Le imprese tra 10-49 + 430.000 addetti

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I Distretti Industriali nello sviluppo economico italianoGiacomo Becattini

Terza peculiarità del sistema economico italianoLa presenza alla fine del 1991 di circa 200 sistemi locali manifatturieri di piccola e/o medio-piccola imprese, che copre quasi metà dell’occupazione manifatturiera totale (valori percentuali).

Sistemi locali 1981 1991 Var.%Industrie e serviziSistemi locali di piccola emedia impresa

26.2 29.7 19.7

Sistemi locali di grandeimpresa

26.1 22.3 -9.9

Altri sistemi locali 47.7 48.0 6.4Italia 100 100 5.6Industria manifatturieraSistemi locali di piccola emedia impresa

35.8 43.3 8.5

Sistemi locali di grandeimpresa

34.0 26.7 -29.5

Altri sistemi locali 30.2 30.0 -10.6Italia 100 100 -10.2Servizi alle impreseSistemi locali di piccola emedia impresa

22.5 25.6 64.4

Sistemi locali di grandeimpresa

29.1 26.6 32.0

Altri sistemi locali 48.4 47.8 42.4Italia 100 100 44.3

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I Distretti Industriali nello sviluppo economico italianoGiacomo Becattini

1981-1991Nel decennio 1981-1991 questi sistemi non solo non hanno perduto occupazione nell’industria manifatturiera ma l’hanno acquistata.

Nel quarantennio 1951-1991 ha avuto luogo un mutamento radicale della nostra economia industriale.

L’Italia ha scelto un metodo che valorizza la personalità del produttore contro un metodo che la comprime.

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Local Production Systems in Europe: Rise or Demise?Luigi Burroni Carlo TrigiliaOxford University Press ,2001

Ristrutturazione economica e distretti negli anni Ottanta

•Crisi del fordismo negli anni ’70:•Saturazione del mercato finale, crescente instabilita’ e segmentazione•Fine del sistema di Bretton Woods (liberalizzazione degli scambi dal 1944) •Crisi petrolifera 1973-74

Si creano rigidità, limitata flessibilità e alti volumi produttivi grazie a tecnologie e basso costo, labor saving

•Si afferma un modello con sistemi di piccola e media impresa con forti legami con le istituzioni locali e specializzazione flessibile NEC (Nord Est – Centro)

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Local Production Systems in Europe: Rise or Demise?Luigi Burroni Carlo TrigiliaOxford University Press ,2001

Ristrutturazione economica e distretti negli anni Ottanta•L’ISTAT identifica 199 distretti industriali con più di 2 milioni di occupati nelle attività manifatturiere

Sistemi locali di produzione

Addetti ai SLP Distretti industriali

Addetti ai DI

Nord Ovest 96 1,937,426 59 922,140

Nord Est 80 1,017,308 65 835,521

Centro 73 544,655 60 405,613

Sud 30 157,602 15 58,970

Italia 279 3,656,991 199 2,222,244

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Local Production Systems in Europe: Rise or Demise?Luigi Burroni Carlo TrigiliaOxford University Press ,2001

Organizzazione territoriale e cambiamenti negli anni Novanta• Ci si chiede come reti locali si rapportano alla globalizzazione, come

reagiscono• La globalizzazione porta ad una de-regionalizzazione delle attività

produttive?

Ci sono tre possibili risposte:1. De-localizzazione in Paesi a più bassi costi2. De-localizzazione di solo alcuni fasi produttive 3. Alcuni distretti maturi diventano “distretti terziari” e la fase produttiva

viene de-localizzataNon necessariamente la globalizzazione aumenta l’indeterminatezza dei

sistemi locali La concentrazione territoriale della produzione continua ad essere

importante anche negli anni ’90 con la globalizzazione

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Local Production Systems in Europe: Rise or Demise?Luigi Burroni Carlo TrigiliaOxford University Press ,2001

Organizzazione territoriale e cambiamenti negli anni Novanta

Anno Sistemi locali di produzione

% di addetti al manifatturiero negli SLP sul totale nazionale

Quoziente locale per gli SLP

1991 280 60,7 1.335

1996 292 61,2 1.385

L’analisi si basa sugli SLLCensimento Intermedio dell'Industria e dei ServiziQuoziente di Localizzazione

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Local Production Systems in Europe: Rise or Demise?Luigi Burroni Carlo TrigiliaOxford University Press ,2001

Sistemi locali di produzione per tipo di impresa

SLP di piccole imprese

SLP PMI SLP di grandi imprese

Nord Ovest 14.0 51.6 34.4

Nord Est 19.2 51.9 28.8

Centro 42.4 39.2 18.6

Sud 30.0 24.0 46.0

I Distretti Industriali

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Local Production Systems in Europe: Rise or Demise?Luigi Burroni Carlo TrigiliaOxford University Press ,2001

% di SLP Italiani che registrano un aumento dell’occupazione tra il 1991 e il 1996

SLP di piccole imprese

SLP PMI SLP di grandi imprese

Nord Ovest 6.5 64.5 29.0

Nord Est 13.3 53.4 33.3

Centro 32.4 35.1 32.4

Sud 22.2 25.9 51.9

Italia 19.2 44.8 36.0

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Sistemi Locali del Lavoro. Censimento 2001.

L’Istat diffonde oggi le informazioni sui Sistemi Locali del Lavoro individuati in base ai dati relativi agli spostamenti quotidiani per motivi di lavoro, rilevati in occasione del 14° Censimento generale della popolazione.I Sistemi Locali del Lavoro (SLL) rappresentano i luoghi della vita quotidiana della popolazione che vi risiede e lavora.

http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20050721_00/

I Distretti Industriali

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I “nuovi” distretti agroalimentari tra i “nuovi” distretti industriali di Cristina Brasili and Roberto Fanfani*"Metamorfosi del «Modello Emiliano». C’è ancora un futuro per i distretti industriali?“. Parma 2011

I Distretti Industriali

Tabella 3.1.1 Distretti industriali secondo l’industria principale

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I “nuovi” distretti agroalimentari tra i “nuovi” distretti industriali di Cristina Brasili and Roberto Fanfani*"Metamorfosi del «Modello Emiliano». C’è ancora un futuro per i distretti industriali?“. Parma 2011

I Distretti Industriali

Tabella 3.1.2. Distretti agroalimentari (ISTAT 2006)

Tabella 3.1.2. Distretti agroalimentari (ISTAT 2006)

Distretti Regioni Comuni Pop. residente

Unità locali (UL)

Occupati in UL

ULin imprese

manif.

Occupati in UL manifatt.

Cortemilia Piemonte 18 9.098 857 2.272 123 697

Saluzzo Piemonte 29 67.429 6.568 22.457 1.000 6.955

Santo Stefano Belbo Piemonte 5 6.414 623 1.845 89 573

Morbegno Lombardia 27 51.147 4.430 18.871 637 7.033

Ala Trentino-A.A. 3 12.567 1.035 4.976 138 1.701

Langhirano Emilia-R. 7 22.986 2.505 7.868 575 3.427

Lugo Emilia-R. 9 95.072 8.782 34.036 1.219 12.918

Totale distretti 2.215 12.591.475 1.180.042 4.929.721 212.410 1.928.602

Italia totale 8.101 56.995.744 4.755.636 19.410.556 590.773 4.906.315

Source: Istat (2006) I distretti industriali, Roma 2006

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All’importanza delle analisi territoriali in Italia non ha fatto riscontro per più di venti anni una politica volta ad un più esatto riconoscimento delle peculiarità positive dei sistemi locali di piccole e medie imprese ed in particolare dei distretti industriali.

•Solo nel 1991 si è avuto il riconoscimento nominalistico con l’articolo 36 della legge n. 317. E’ del 21 Aprile 1993 il Decreto attuativo della legge 317, che detta i parametri per l’identificazione dei distretti. Entrambi i provvedimenti legislativi sono stati indirizzati verso una definizione schematicamente marshalliana del distretto. L’individuazione del distretto non è però un processo meccanico e coinvolge specifici interessi locali come è stato sottolineato nel 3° Rapporto CNEL/Ceris-Cnr, 1997.

•L’applicazione dei criteri per l’individuazione dei distretti implica una approfondita analisi del territorio e non tutte le Regioni hanno messo in atto analisi in grado di sviluppare tali competenze. Inoltre, i criteri per la definizione dei distretti, individuati nel decreto del 1993, sono cinque e devono essere rispettati tutti congiuntamente.

I distretti nella legislazione italiana

I Distretti Industriali

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•Nel 1991 si è avuto il riconoscimento nominalistico dell’esistenza dei distretti industriali con l’articolo 36 della legge n. 317. •Il 21 Aprile 1993 il Decreto attuativo della legge 317, che detta i parametri per l’identificazione dei distretti. “Determinazione degli indirizzi e dei parametri di riferimento per l’individuazione, da parte delle regioni, dei distretti industriali: Le zone da prendere a riferimento per la definizione sono una o più aree territoriali contigue caratterizzate come sistemi locali del lavoro così come individuati dall’ISTAT. In tali zone devono essere verificate contestualmente le seguenti condizioni:•Un indice d’industrializzazione manifatturiera calcolato in termini di addetti, come quota percentuale di occupazione nell’industria manifatturiera locale, che sia superiore del 30% dell’analogo dato nazionale. Le regioni nelle quali l’indice di industrializzazione manifatturiera risulta inferiore a quello nazionale possono assumere come valore di riferimento il dato regionale;•Un indice di densità imprenditoriale dell’industria manifatturiera, calcolato in termini di unità locali in rapporto alla popolazione residente superiore alla media nazionale;•Un indice di specializzazione produttiva calcolato in termini di addetti come quota percentuale di occupazione in una determinata attività manifatturiera rispetto al totale degli addetti al settore manifatturiero, superiore del 30% dell’analogo dato nazionale. L’attività manifatturiera posta a riferimento deve essere riferita alla classificazione delle attività economiche dell’ISTAT e corrispondere alla realtà produttiva della zona considerata nelle sue interdipendenze settoriali;•Un livello di occupazione nell’attività manifatturiera di specializzazione che sia superiore al 30% degli occupati manifatturieri dell’area;•Una quota di occupazione nelle piccole imprese operanti nell’attività manifatturiera di specializzazione che sia superiore al 50% degli occupati in tutte le imprese operanti nell’attività di specializzazione dell’area.”

I distretti nella legislazione italiana

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L’articolo 317 e il Decreto ministeriale accolgono e ripropongono in pieno la metodologia d’identificazione dei distretti proposta da Sforzi (1987), che già sulla base dei dati del 12° Censimento della Popolazione (ISTAT) del 1981 e del 6° Censimento generale dell’Industria, del Commercio, dei Servizi e dell’Artigianato (ISTAT) del 1981 aveva proposto una mappa di 61 distretti industriali marshalliani sulla base dei sistemi locali del lavoro. Sforzi definisce il distretto industriale una “categoria di analisi economica alternativa al settore industriale e all’impresa”, inoltre esso “possiede una sua scala territoriale definita e delimitata con riferimento al sistema di interdipendenze fra imprese congregate, e fra queste e la comunità locale, che coinvolgono un'industria localizzata e una popolazione insediata”.

I distretti nella legislazione italiana

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La legge “Norme in materia di attività produttive” (Articolo 6.8) dell’11 maggio 1999 supera supera le difficoltà legate ai 5 criteri del Decreto del 1993 nell’identificare i distretti industriali, e toglie il “potere” agli indici statistici nell’individuazione delle aree produttive locali. Tale legge libera le Regioni dai rigidi vincoli statistici, nella speranza che concedendo maggiore libertà nell’individuazione delle aree produttive le regioni dimostrino effettiva volontà politica di sostenere le economie locali. Inoltre la legge definisce i sistemi produttivi locali come contesti produttivi omogenei caratterizzati da un’elevata concentrazione di imprese. Mentre definisce distretti industriali quei sistemi che hanno anche un’elevata specializzazione produttiva.

I distretti nella legislazione italiana

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Recentemente il tema dei distretti torna alla ribalta

Sylos Labini: riformiamo le norme sui distretti industrialiLa riforma delle norme sui distretti industriali, in modo da creare un ambiente più favorevole alle imprese e contribuire alla rifondazione della base industriale italiana. E' questo il nucleo della proposta avanzata attraverso un disegno di legge dall'economista Paolo Sylos Labini e sviluppata nell'articolo pubblicato sul Sole 24 Ore del 15 luglio 2005. 

http://www.clubdistretti.it/Archivi/archivi07/proposta-Sylos-Labini.htm

I distretti nella legislazione italiana

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Articolo 1 Riorganizzazione del sistema dei distretti

Il sistema dei distretti, disciplinato dalla legge del 1991, viene riorganizzato nei modi e nei termini stabiliti nella presente legge. Le norme si applicano alle imprese che operano nei distretti esistenti. Possono essere applicate, previo parere favorevole dell’organo di cui all’articolo 2, alle imprese che si costituiscono presso i distretti nuovi e delle imprese che operano fuori dai distretti, con particolare riguardo alle imprese inserite in filiere produttive.

Per la riforma dei distretti e della base industriale Bozza di un disegno di legge fondato sulle proposte emerse nel gruppo di lavoro costituito nell’ottobre 2004 dal Cnel e che lo stesso Cnel potrebbe presentare in Parlamento.

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Articolo 2 Organo distrettuale di coordinamento e d’indirizzo In seno a ogni distretto viene istituito un organo distrettuale di coordinamento e di indirizzo, d’ora in poi definito “organo distrettuale”. Le modalità del funzionamento di tale organo verranno definite per mezzo di un protocollo d’intesa fra le parti sociali – associazioni di industriali, artigiani e commercianti e sindacati – e le Regioni, cui spetta un ruolo di grande rilievo. Il criterio fondamentale, non derogabile, è di utilizzare lavoratori o tecnici già operanti in ciascun distretto o comandati da enti di ricerca e da Università, sulla base di rapporti indicati nell’articolo 6. L’organo distrettuale promuove i rapporti diretti fra le imprese del distretto al livello orizzontale nelle filiere produttive e i rapporti verticali, fra le imprese e gli enti che si occupano di ricerca e di formazione e promuove, in ciascun distretto, la creazione di scuole e istituti professionali e, d’intesa con le università, corsi di laurea e master post-laurea.

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Articolo 3 Fondo di dotazione dell’organo distrettuale

Per svolgere le sue mansioni istituzionali ogni organo distrettuale disporrà di un fondo di dotazione che si avvarrà dei contributi non solo del governo, ma anche delle parti sociali e delle Regioni, secondo quote stabilite nel protocollo d’intesa di cui all’articolo 2 e che in parte potrà reintegrarsi con le entrate derivanti dai contributi e dagli anticipi compiuti per conto delle imprese. L’organo distrettuale è autorizzato a prendere accordi con le banche e con le imprese sia per il credito normale che per quello agevolato e collabora con le imprese per la gestione degli incentivi fiscali e creditizi e per l’impiego di fondi destinati alle innovazioni.

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Articolo 4 Mansioni dell’organo distrettuale All’organo distrettuale sono attribuite cinque mansioni fondamentali. Esecuzione per conto delle imprese di tutti gli adempimenti amministrativi necessari per l’avvio e l’attività delle imprese, fornendo servizi d’informazione e di consulenza legale, amministrativa, tecnica, finanziaria e fiscale. Servizi di consulenza e di promozione delle innovazioni provenienti dal sistema della ricerca pubblica. Promozione dei rapporti con l’Unione europea. Sostegno organizzativo, anche d’intesa con gli organi di altri distretti o con organismi europei, per progetti innovativi di speciale rilevanza. Infine, dovrà collaborare con le imprese e gli organi del governo centrale per favorire gli sbocchi dei prodotti locali sia nel mercato interno ed in quelli esteri.

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Articolo 5 Modalità per l’unificazione degli adempimenti L’unificazione riguarda gli adempimenti pubblici locali e centrali e i servizi di carattere pubblico. Fra quelli pubblici rientrano gli adempimenti fiscali, i permessi di edificare, gli infortuni sul lavoro; fra i servizi di carattere pubblico rientrano gli allacciamenti per l’acqua, l’energia elettrica, il gas e per il telefono. Per attuare gli adempimenti l’organo distrettuale si doterà di un sistema telema-tico attraverso il quale trasmettere le richieste alle amministrazioni competenti, sullabase delle dichiarazioni che rilasceranno le imprese sotto la loro responsabilità. L’organo distrettuale richiederà le autorizzazioni anche prima della effettiva utilizzazione, sotto la sua responsabilità. Le amministrazioni competenti non potranno opporre impedimenti alle richieste degli organi distrettuali compiute secondo le regole qui determinate.

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Continua -Articolo 5 Modalità per l’unificazione degli adempimenti Il ministero dell’industria stabilirà i criteri che i distretti dovranno seguire per assicurare la compatibilità dei loro sistemi telematici, anche trasformando quelli già esistenti. Lo stesso ministero assicurerà che gli stessi criteri vengano via via adottati da le amministrazioni locali e da quella centrale. Nel frattempo gli organi distrettuali useranno i mezzi di cui dispongono nei rapporti reciproci e nei rapporti con le autorità centrali e locali e i soggetti che amministrano servizi di carattere pubblico. Articolo 6 Riorganizzazione della ricerca applicata L’organo distrettuale promuoverà la riorganizzazione e lo sviluppo della ricerca applicata, tenendo conto della vocazione dominante in ciascun distretto e promuovendo un centro di ricerca per la gestione dei laboratori e per regolare i rapporti fra il Centro, di cui al primo comma, gli altri organi distrettuali, gli enti di ricerca, come l’ENEA e il CNR, le Università e i centri di ricerca e gli organi europei. L’organo distrettuale favorirà la collaborazione con gli organi professionali, a cominciare con quello degli ingegneri.

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Articolo 7 Rapporti coi centri di ricerca e gli organi europei L’organo distrettuale curerà rapporti sistematici coi centri di ricerca europei, anche attraverso accordi, e con organi dell’Unione europea per promuovere sostegni organizzativi e finanziari e contribuire alle linee di una politica industriale europea.

Articolo 8 Sostegno organizzativo per progetti di innovazioni di particolare rilevanza Progetti di innovazioni di particolare rilevanza, approvati dai governi dei singoli Paesi e dagli organi tecnici dell’Ue e finanziati almeno in parte con prestiti della Banca europea degli investimenti possono godere d’incentivi e di particolare sostegno a livello nazionale e/o a livello europeo. Le modalità del finanziamento verranno stabilite con la collaborazione dell’organo distrettuale, che potrà ricevere la delega anche da imprese operanti fuori dal distretto.

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Articolo 9 Formazione dei lavoratori L’organo distrettuale è autorizzato a promuovere, d’intesa coi sindacati, con gli industriali e con le Regioni, il rafforzamento e lo sviluppo della formazione di lavoratori, anche specializzati, e di amministratori. Può inoltre sostenere i sindacati qualora intendessero rafforzare ed integrare, sulla base delle leggi esistenti, il sistema della protezione dei lavoratori contro gli infortuni. Articolo 10 Norme volte a favorire il rafforzamento delle infrastrutture specifiche L’organo distrettuale, d’intesa con le Regioni e coi ministeri competenti, prenderà le misure utili a facilitare la costruzione o l’ampliamento delle infrastrutture utili per i distretti.

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Articolo 11 Norme relative agli appalti L’organo distrettuale studierà, insieme con le imprese, le modalità adatte a evitare catene eccessivamente lunghe e complicate di appalti e subappalti, che aggravano i costi e favoriscono il lavoro nero. Articolo 12 Il problema dell’energia al livello distrettuale L’organo distrettuale individuerà le forme più adatte per rendere efficiente ed economico l’approvvigionamento dell’energia per le imprese.

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E’ possibile mettere in atto politiche per estendere un simile modello ad altre aree?

La performance superiore nei distretti non significa che siano miracolosi.Non sembra che si sia finora trovato un meccanismo, singolo, ben definito e riproducibile capace di generare distretti. La legge 317/91 prevedeva varie forme di sostegno, per i distretti, prevalentemente affidate alle regioni.In Italia esiste un’ampia gamma di strumenti e sovvenzioni che privilegiano le piccole imprese in quanto tali. Tale sistema di sovvenzioni ha contribuito a rendere la struttura produttiva italiana polverizzata.Fondamentale il ruolo degli enti localiUn quadro normativo correttamente orientato non basta

L.F. Signorini in Lo sviluppo locale, 2000

Una politica per i distretti?

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I Patti Territoriali

Introdotti in Italia nel 1995, legge n. 341 8 agosta 1995, su proposta del CNEL (1991) diventano effettivi con una normativa del CIPE del 1997.Con un atto del ministero del tesoro del 2001 si trasferisce la competenza dei Patti Territoriali alle Regioni

Una politica per i distretti?

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I Patti TerritorialiDefinizione

- Espressione del partenariato sociale….. Deve essere caratterizzato da obiettivi di promozione dello sviluppo locale in ambito subregionale compatibili con uno sviluppo ecosostenibile-Un Patto Territoriale può essere attivato in tutto il territorio nazionale ma sono finanziabili solo i patti che rientrano nelle aree obiettivo 1,2 e 5b dei Fondi strutturali- la strategia di sviluppo locale definito dal partenariato sociale trova espressione in un protocollo d’intesa, sottoscritto da tutti gli attori che danno vita al Patto - il Patto può avere un finanziamento del CIPE fino a 100 miliardi di lire e max il 30% destinato ad infrastrutture -il Patto viene approvato dal CIPE-La partecipazione finanziaria dei proponenti deve essere almeno del 30% - Si può dar luogo ad una società mista a prevalente capitale pubblico

Una politica per i distretti?

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I Patti Territoriali

Ne sono stati approvati 180Patti territoriali

Una politica per i distretti?

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Le sfide del futuro

La globalizzazione

Piccolo rimarrà “bello”?

L’evoluzione tecnologica ha effetti ambigui sulla funzione di scala può accrescere o diminuire la scala minima efficiente

L.F. Signorini in Lo sviluppo locale, 2000

Una politica per i distretti?

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Sistemi produttivi locali e commercio estero: un’analisi territoriale delle esportazioni italiane (R. Bronzini, 2000 in Signorini Lo sviluppo locale)

Modello econometrico: variabile dipendente esportazioni per addetto della provincia in rapporto alle esportazioni per addetto nazionali

Tra le variabili indipendenti: grado di distrettualità di una provincia, rapporto tra addetti dei comuni distrettuali e il totale degli addetti della provincia

Emerge:• Esistenza di un effetto distretto sulla propensione alle esportazioni• Sono statisticamente significative sia le economie di agglomerazione

che le economie di scala• Importante anche la dotazione infrastrutturale nel favorire le capacità

esportative

I Distretti Industriali

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1) IL DISTRETTO INDUSTRIALE MARSHALLIANO COME CONCETTO SOCIO-ECONOMICO, Giacomo Becattini, in Stati & Informazioni, Rivista Trimestrale sul Governo dell’Economia, 1991 

2) L’“EFFETTO DISTRETTO”: MOTIVAZIONI E RISULTATI DI UN PROGETTO DI RICERCA, Introduzione di L. Federico Signorini, in Lo Sviluppo Locale a cura di L. Federico Signorini, Meridiana Libri, 2000. 

3) POLITICHE ECONOMICHE E SVILUPPO LOCALE: ALCUNE RIFLESSIONI, Gianfranco Viesti, Sviluppo Locale, VII, 14, 2000 pp. 55-81

4) I “nuovi” distretti agroalimentari tra i “nuovi” distretti industriali di Cristina Brasili and Roberto Fanfani, "Metamorfosi del «Modello Emiliano». C’è ancora un futuro per i distretti industriali?“,

Parma 20115) I distretti industriali del terzo millennio a cura di Fabrizio Guelpa e Stefano

Micelli, il Mulino, 2007, Cap. 1 pp. 29-78 e Cap. 7 pp. 321-356

Bibliografia sullo Sviluppo Locale e i Distretti Industriali corso Politica Economica 2014-2015 da studiare

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