I dipartimenti ospedalieri nelle regioni italiane

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I DIPARTIMENTI OSPEDALIERI NELLE REGIONI

ITALIANE.

1. I MODELLI DI DIPARTIMENTO. La carenza di esperienze forti e diffuse di dipartimento ha fatto sì che le regioni italiane interpretassero l’organizzazione dipartimentale in modo assai diverso l’una dall’altra. Non c’è un solo schema organizzativo che coincida con quello di un’altra regione. Una descrizione non guidata dei vari modelli può portare ad una sterile e confusa elencazione delle varie strade scelte a livello regionale. Per questo prima di iniziare un percorso analitico di valutazione si ritiene utile anticipare uno schema classificatorio di riferimento dei modelli dipartimentali che serva come punto di riferimento costante per affrontare i tanti aspetti relativi alla organizzazione dipartimentale. Per arrivare a questo primo risultato abbiamo dovuto stabilire - fra i tanti - gli elementi caratterizzanti i modelli dipartimentali che, a nostro avviso, sono due:

la potestà del dipartimento rispetto alle risorse , con le due ipotesi di gestione diretta delle risorse o, in alternativa, di semplice coordinamento delle attività delle varie unità operative afferenti;

l’identificazione del livello decisionale , con le due ipotesi di potestà decisionale affidata al capo dipartimento o al comitato di dipartimento.

La fig.1 evidenzia che, con queste premesse, i modelli di dipartimento prescelti dalle regioni italiane sono 3:

1. il modello che potremmo definire “aziendale” in cui una serie di risorse sono in comune e il dipartimento gestisce direttamente le risorse ad esso assegnate attraverso decisioni assunte dal capo dipartimento;

2. un modello che potremmo definire “partecipativo” in cui il dipartimento - come il precedente - gestisce direttamente le risorse ad esso assegnate attraverso decisioni assunte dal Comitato di dipartimento;

3. un modello che potremmo definire “non gestionale” in cui il dipartimento non gestisce direttamente le risorse ma coordina blandamente, attraverso il capo dipartimento, l’attività delle singole unità operative afferenti.

Abbiamo voluto anticipare questa classificazione, che più correttamente avrebbe dovuto collocarsi alla fine di questo capitolo, perché questo schema, seguendoci nell’esposizione, possa aiutarci a collocare e a comprendere le varie differenze e le migliori ipotesi organizzative. Il compito di questo lavoro è quello di presentare il quadro normativo dei dipartimenti ospedalieri nelle varie regioni italiane occupandosi pertanto solo dei modelli organizzativi già approvati dalle regioni italiane con l'unica aggiunta della proposta sui dipartimenti della Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali (ASSR) del Ministero della Sanità sia per l'autorevolezza della proposta che per l'influenza che ha avuto nel panorama regionale.

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Fig.1 - I PRINCIPALI MODELLI DIPARTIMENTALI DELLE REGIONI ITALIANE.

Tav.1 - I PRINC IPAL I MOD ELLI DI

DIPARTIM ENTO

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MODELLI

DIPARTIMENTALI

RISOR SE IN

COMUNE

Marche-Veneto-Friuli-Pie m.-

Lomb.-Puglia - Sicilia - Bas ilicata - Molise -Toscana-Campania- E.Romag.-

ASSR

COORDINAM ENT

OATTIV ITA Õ

Valle dÕAosta -Sardegna -

Lazio

DECIDECOMITA TO

MOD.

PARTEC IPATIV O:Marche, Molise,

Campania Sicil ia,

ASSR

DECIDEDIRETTOR E

MODELLOA ZIENDA LE:Friuli,Ve neto, Pie m., P uglia,

E.Romag .,Lomb.,Basi lic.,Tosca

n

DECIDEDIRETTOR E

MODELLOCOLLABORATIV

O:Lazio, Sardegna

MODELLI DIPARTIMENTALI

RISORSE IN COMUNE

ASSR – Bolzano - Abruzzo -

Basilicata – Campania - E. Romagna - Friuli V.G. - Lombardia - Marche - Molise - Piemonte - Puglia - Sicilia - Veneto - Toscana – Umbria – Valle

d’Aosta

COORDINAMENTO ATTIVITA'

RISORSE NON IN COMUNE

Lazio - Sardegna

DECIDE

DIRETTORE

MODELLO

AZIENDALE Basilicata - E.

Romagna - Friuli V.G. - Lombardia - Piemonte - Puglia –

Sicilia - Veneto - Toscana

DECIDE COMITATO

MODELLO

PARTECIPATIVO ASSR – Bolzano

Abruzzo - Campania - Marche - Molise -

Umbria – Valle d’Aosta

DECIDE

DIRETTORE

MODELLO NON GESTIONALE

Lazio - Sardegna

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2. LA DEFINIZIONE. Il D. Lgsl. 229/1999 ci ricorda che "l'organizzazione dipartimentale è il modello ordinario di gestione operativa di tutte le attività delle aziende sanitarie" e quindi anche dell'ospedale. Ma che cosa sono i dipartimenti? La definizione migliore l’ha data l’ASSR poi ripresa quasi integralmente dalle leggi delle regioni Marche , Abruzzo, Molise , P.A di Bolzano , Umbria e in buona parte anche dalla Basilicata: “Il dipartimento è costituito da unità operative omogenee, affini o complementari, che perseguono comuni finalità e sono tra loro interdipendenti, pur conservando un’autonomia funzionale in ordine alle patologie di competenza professionale. Le unità operative costituenti il dipartimento sono aggregate in una specifica tipologia organizzativa e gestionale, volta a dare risposte unitarie, tempestive, razionali e complete rispetto ai compiti assegnati e a tal fine adottano regole condivise di comportamento assistenziale, didattico, di ricerca, etico, medico-legale ed economico”. La Regione Campania riprende sostanzialmente la stessa formulazione a cui però aggiunge che “All’interno del dipartimento, le unità operative sono aggregate non solo funzionalmente ma anche fisicamente, in modo da consentire la gestione comune dei posti letto e delle risorse umane, tecniche ed economiche”. Si tratta di formulazioni complete e flessibili. Definiscono sinteticamente la composizione del dipartimento, le finalità generali, gli spazi di autonomia e i comportamenti da seguire e nello stesso tempo è flessibile perché si può adattare ai vari tipi di dipartimento che in una regione si possono realizzare. Molto interessante risulta anche la definizione della regione Friuli. Secondo questa regione il dipartimento è una struttura organizzativa verticale interna all’organizzazione ospedaliera, dotata di autorità e responsabilità per quanto attiene il coordinamento delle unità operative di specialità, il perseguimento degli obiettivi prestazionali (sia in termini qualitativi che quantitativi) e l’utilizzo integrato delle risorse assegnate (personale, beni e servizi, attrezzature e spazi). La Lombardia nella definizione di dipartimento punta esplicitamente all’obiettivo della razionalizzazione nell’uso delle risorse. Infatti in Lombardia “il dipartimento raggruppa unità operative omogenee, complementari ed affini ed è finalizzato alla razionalizzazione dell’uso delle risorse disponibili presso le diverse unità operative ad esso afferenti (...)”. “Il dipartimento si configura come struttura sovraordinata, ai fini organizzativi, rispetto alle unità operative". La Regione Umbria, con la definizione del dipartimento, punta invece sulla integrazione organizzativa al fine di migliorare la qualità delle prestazioni che infatti recita: “Il dipartimento ospedaliero è una struttura per l’integrazione organizzativa delle funzioni di unità operative e servizi affini e/o complementari finalizzata al miglioramento della qualità assistenziale.” Non sono molte le altre regioni che hanno voluto dare una definizione del dipartimento; fra queste, quella che senz’altro ha fatto più discutere è quella dell’Emilia Romagna che definisce il dipartimento (D.G.R. 1454/97) come “l’unità organizzativa di base, che aggrega una pluralità di discipline e di funzioni assistenziali tra loro affini o complementari, ne assicura la gestione unitaria al fine di integrare le competenze presenti, ottimizzando la qualità dell’assistenza e l’utilizzo delle risorse complessivamente assegnate. Il dipartimento è cioé un macroaggregato di aree affini e/o complementari, comprende di norma aree a diversa complessità assistenziale (intensiva, per acuti, per lungodegenti, post-acuzie ecc.), che superando l’attuale organizzazione , favorisce l’interdisciplinarietà, per garantire il reciproco scambio di competenze, professionalità, risorse delle unità operative, al fine di favorire la ricerca di efficacia ed efficienza, oltre che maggiormente qualificare sia l’intervento in sé che la soddisfazione-percezione dell’utente”. Ciò che

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colpisce in questa definizione è che non è più l’unità operativa (divisione o servizio) ma il dipartimento a rappresentare “l’unità organizzativa di base, che aggrega una pluralità di discipline e di funzioni assistenziali tra loro affini o complementari...”. Molti hanno interpretato questo passaggio con la volontà regionale di prefigurare il superamento tendenziale delle attuali divisioni e servizi e la loro sostituzione con il dipartimento (la nuova unità organizzativa di base) che però accoglie al suo interno una pluralità di discipline. In effetti le linee guida dell’Emilia Romagna prevedono il passaggio ad un nuovo ordinamento fondato sul modello dipartimentale che richiede il superamento della organizzazione degli ospedali in divisioni, sezioni e servizi e la definizione di una diversa struttura organizzativa delle attività. Si tratta di una concezione più spinta di altri ma probabilmente, in una realtà come quella italiana che non è riuscita ancora a sperimentare e diffondere i dipartimenti più tradizionali, difficile da realizzare in questa fase. Di segno completamente diverso è invece la definizione scelta dalla Valle d’Aosta secondo cui “il dipartimento va considerato come l’insieme di unità operative che mantengono la loro autonomia, indipendenza e responsabilità, ma che riconoscono la propria interdipendenza funzionale adottando un comune codice di comportamento clinico-assistenziale” che sembra far riferimento ad un modello come quello “non gestionale” con scarse implicazioni gestionali. Altre regioni si sbizzarriscono a definire il dipartimento come “struttura funzionale tecnico-operativa che comprende unità operative” (Molise), “una federazione di unità operative” (Piemonte), fino ad arrivare al Lazio che lo definisce, non più una aggregazione di unità operative ma degli “aggregati di funzioni di area omogenea” (di difficile interpretazione). Parlando di definizioni un discorso a parte dobbiamo dedicarlo alla Toscana. Questa regione ha previsto una organizzazione ospedaliera sostanzialmente assimilabile a quella di altre regioni ma utilizzando una terminologia originale che, se non spiegata, rischia di provocare non pochi equivoci. Volendo semplificare per facilitare l’approccio al modello organizzativo possiamo dire che la Toscana ha chiamato:

- “aree funzionali” ciò che le altre regioni hanno chiamato dipartimenti strutturali; - “dipartimenti di coordinamento tecnico” ciò che le altre regioni hanno chiamato

dipartimenti funzionali; - “unità operativa o professionale” ciò che le altre regioni hanno chiamato unità

operativa; - “sezione” ciò che le altre regioni hanno chiamato moduli; - “struttura organizzativa professionale” quella terminologia che contiene le unità

operative o professionali e le sezioni.

3. LE FINALITA’ DEL DIPARTIMENTO.

Le finalità del dipartimento sono:

a) la gestione in comune del personale non medico; b) l’utilizzo in comune degli spazi, delle attrezzature e della tecnologia; c) il miglioramento dell’efficienza e l’integrazione delle attività delle strutture del dipartimento per raggiungere il miglior servizio al costo più contenuto; d) il coordinamento e lo sviluppo delle attività cliniche, di ricerca e di studio delle strutture del dipartimento; e) il miglioramento del livello di umanizzazione dell’assistenza erogata all’interno delle strutture del dipartimento; f) la sperimentazione e l’adozione di tutte le modalità organizzative che, a parità di qualità di risultati ottenuti alla salute dell’utente, permettono un soggiorno più breve dell’utente stesso in ospedale;

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g) il miglioramento della qualità dell’assistenza erogata. Questo è probabilmente l’orientamento più equilibrato e completo ed è sicuramente anche il più diffuso essendo stato sostanzialmente adottato dal Veneto, dalle Marche, dal Friuli dalla Sicilia, dall'Abruzzo, dalla Campania , dall’Umbria e dall’ASSR e a cui possiamo forse aggiungere un gruppo composto da altre tre regioni (Piemonte, Puglia e Basilicata) che nelle loro finalità hanno sostituito la “gestione in comune delle risorse” con “la gestione integrata degli spazi e delle risorse umane e tecnologiche, anche attraverso la gestione della mobilità interna del personale” che verosimilmente dovrebbe comportare qualche cosa di simile alla prima terminologia. Tra queste regioni si segnala la Regione Campania che ha previsto esplicitamente che il dipartimento abbia anche la finalità dello studio, dell’applicazione e della verifica di linee guida cliniche per rendere omogenei ed uniformi i percorsi diagnostico -terapeutici. Per l’Emilia Romagna invece obiettivo finale dell’innovazione dipartimentale “dovrà essere la ricerca di miglioramento della qualità assistenziale (efficacia clinica, continuità del percorso assistenziale, soddisfazione del cittadino) congiuntamente agli aspetti di economia e di efficienza gestionale” a cui si aggiungono delle particolari sottolineature per quel che riguarda il lavoro interdisciplinare. L’assistenza dovrà essere garantita attraverso l’individuazione e il coordinamento delle prestazioni che si rendono necessarie nell’ambito dell’approccio globale al paziente, per mezzo delle seguenti attività: prevenzione, preospedalizzazione, attività ambulatoriale, day hospital, day surgery, ricovero ordinario, organizzazione e responsabilità dei trasferimenti interni e del follow up; riabilitazione, dimissione protetta, ospedalizzazione a domicilio. La formazione e l’aggiornamento del personale operante nell’ambito delle differenti unità operative, trova nel dipartimento la sede idonea al suo svolgimento in quanto consente una concentrazione maggiore di iniziative ed esperienze al riguardo. La formazione e l’aggiornamento devono perseguire specifici obiettivi, devono avere carattere continuativo e devono essere soggette a valutazione periodica. La didattica è rivolta alle figure professionali infermieristiche, tecniche e della riabilitazione, nell’ambito dei rispettivi diplomi universitari, nonché agli specializzandi, nel quadro dei protocolli di intesa Regione/Università. La ricerca deve essere orientata al raggiungimento degli obiettivi propri della istituzione e quindi affidati ai dipartimenti, attraverso il coordinamento delle iniziative più significative e la attivazione dei necessari collegamenti con altre istituzioni. Il dipartimento contribuisce alla promozione e diffusione dell’educazione alla salute, istituendo una serie di iniziative, indirizzate al singolo paziente o in collaborazione con enti ed istituzioni diverse, riguardanti specifiche tematiche identificate come prioritarie rispetto agli obiettivi e mirate alle tipologie dei pazienti assistiti nell’ambito del dipartimento.( ASSR, Campania) Le attività del dipartimento possono, in particolare, essere ricondotte a: a) L’utilizzazione ottimale degli spazi assistenziali, del personale e delle apparecchiature, che deve essere finalizzata ad una migliore gestione delle risorse a disposizione al fine di consentire una più completa assistenza al malato unitamente ad una razionalizzazione dei costi; b) il coordinamento con le relative attività extraospedaliere per una integrazione dei servizi dipartimentali con quelli del territorio ed in particolare con i distretti e con i medici e pediatri di base al fine di garantire ai malati la continuità assistenziale; c) lo studio, l’applicazione e la verifica di metodologie (linee guida) per conferire la maggiore possibile omogeneità alle procedure organizzative assistenziali e di utilizzo delle apparecchiature; d) lo studio e l’applicazione di sistemi integrati di gestione, anche attraverso il collegamento informatico all’interno del dipartimento e tra dipartimenti, allo scopo di

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consentire l’interscambio di informazioni ed immagini, nonché l’archiviazione unificata e centralizzata dei dati, nonché l’utilizzazione della telematica secondo gli sviluppi che la tecnologia nel tempo consentirà; e) l’individuazione e la promozione di nuove attività o di nuovi modelli operativi nello specifico campo di competenza; f) la gestione del bilancio assegnato al dipartimento; g) l’organizzazione della attività libero-professionale, intesa come interesse convergente del paziente (libera scelta), del medico e dell’azienda; h) la valutazione e la verifica della qualità dell’assistenza fornita, che dovrà essere assicurata adottando metodiche diverse quali, tra le altre, la VRQ o il Medical Audit; quest’ultimo finalizzato all’esame collegiale delle informazioni ottenute dall’esperienza professionale e/o dalle cartelle cliniche allo scopo di: - valutare l’assistenza fornita ai pazienti; - verificare le procedure ed i risultati ottenuti; - migliorare le proprie conoscenze; - ottimizzare, in modo razionale, l’utilizzo delle risorse disponibili.(ASSR)

4. LA CLASSIFICAZIONE DEI DIPARTIMENTI. I dipartimenti sono classificati in base alla tipologia delle unità operative che ne fanno parte. Si identificano innanzitutto due grandi categorie di dipartimenti che coinvolgono le unità operative ospedaliere:

- il dipartimento ospedaliero aziendale, che aggrega unità operative di una stessa azienda sanitaria;

- il dipartimento interaziendale, che coinvolge unità operative di più aziende sanitarie.

Il dipartimento aziendale può essere: - ospedaliero, quando aggrega esclusivamente unità operative dell’ospedale; - transmurale, quando aggrega e coordina unità operative ospedaliere e

territoriali; - ad attività integrata, quando aggrega unità operative ospedaliere insieme ad

unità operative universitarie convenzionate. Il dipartimento interaziendale può essere:

- gestionale (o tecnico-gestionale) che ha l’obiettivo della gestione integrata di attività assistenziali appartenenti ad aziende sanitarie diverse;

- tecnico-scientifico, che è invece caratterizzato da una bassa o irrilevante formalizzazione operativa e gestionale ma con un ruolo alto di “authority”, con funzioni di indirizzo professionale e culturale e di governo “tecnico” di determinati settori o discipline sanitarie.

Lo schema classificatorio proposto è quello delle Marche, unica regione, insieme al Friuli, che si è preoccupata di classificare in maniera esplicita i dipartimenti. Nella regione Friuli Venezia Giulia, vengono “individuate due tipologie di dipartimento:

- il dipartimento orizzontale o dipartimento per obiettivi, costituito da unità operative appartenenti a diversi dipartimenti verticali ed anche a aziende diverse, con funzioni di coordinamento (ed integrazione sotto il profilo tecnico funzionale ed operativo) e non necessariamente permanente” (che non vengono per ora disciplinati);

- il dipartimento verticale, definito come struttura organizzativa permanente interna agli ospedali, con autorità sovraordinata rispetto alle unità operative che

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la compongono, centro di responsabilità e budget sia per quanto concerne le performance di attività che il consumo di risorse”.

Occorre sottolineare che le classificazioni delle due regioni non sono alternative ma che anzi hanno notevoli punti di contatto dato che la stessa classificazione si può, in buona parte, assimilare alla distinzione fra dipartimento interaziendale (non gestionale) e aziendale già proposti . Anche la regione Umbria si inserisce in questo filone prevedendo però solo i seguenti dipartimenti aziendali: a) transmurali; b) disciplinari (assimilabili a quelli che abbiamo definito dipartimenti ospedalieri); c) misti. La regione Toscana infine propone - con la terminologia che abbiamo già visto - aree funzionali con compiti gestionali che aggregano più unità operative e dipartimenti di coordinamento tecnico finalizzati a garantire l’omogeneità delle procedure seguite che possono essere aziendali (riconducibili ai dipartimenti funzionali) ed interaziendali. I dipartimenti di coordinamento tecnico non sono obbligatori, sono delle semplici possibilità per le aziende sanitarie e servono ad assicurare l’ottimizzazione delle risorse disponibili e la continuità del percorso assistenziale ma soprattutto per garantire l’omogeneità delle procedure operative e l’integrazione tra le prestazioni erogate in regimi diversi. Le aziende ospedaliere organizzano la produzione e l’erogazione delle prestazioni assistenziali attraverso le aree funzionali di professionalità omogenea. Per avviare la realizzazione dei dipartimenti occorre affrontare una serie di importanti nodi relativi alla progettazione e alla gestione degli stessi. Gli aspetti principali sono relativi alla:

a) definizione dei criteri per l’aggregazione delle unità operative nei dipartimenti; b) definizione delle modalità organizzative e di integrazione fra le unità operative del dipartimento; c) definizione del livello di responsabilità e di autonomia decisionale del dipartimento.

I successivi paragrafi si occupano delle disposizioni relative al dipartimento aziendale e alle sue varie tipologie riservando al paragrafo specifico la trattazione degli indirizzi relativi al dipartimento interaziendale.

5. L’AGGREGAZIONE DELLE UNITA’ OPERATIVE. 5.1. IL DIPARTIMENTO STRUTTURALE E IL DIPARTIMENTO FUNZIONALE Le unità operative che costituiscono il dipartimento, in condizioni ottimali, dovrebbero essere aggregate funzionalmente e fisicamente (collocazione delle unità operative nella stessa area ospedaliera) in modo da poter essere finalizzate e da favorire la gestione in comune delle risorse umane, degli spazi, delle risorse tecnico-strumentali ed economiche assegnate. Ciononostante l’aggregazione fisica, tenendo conto delle varie situazioni ospedaliere e degli obiettivi aziendali, in alcune situazioni non è sempre possibile. Per questo l’organizzazione dipartimentale, in alcune situazioni, può realizzarsi anche e solo con l’aggregazione funzionale delle unità operative del dipartimento che condividono obiettivi comuni. Nel primo caso avremo un dipartimento strutturale (o gestionale) mentre nel secondo caso avremo un dipartimento funzionale o per obiettivi. Questo schema è stato scelto dall’ASSR e dalle regioni Abruzzo, Basilicata, Campania, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sicilia , Veneto , e dalla P.A. di Bolzano. Si segnala in particolare la Sicilia che ha previsto le due tipologie caratterizzandole in questo modo:

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- Dipartimenti strutturali: che rappresentano il cui obiettivo principale è l’uso efficiente/ottimale delle risorse, con autorità sovraordinata rispetto alle unità operative o servizi che la compongono;

- Dipartimenti funzionali: che coinvolgono “orizzontalmente” le unità operative ed hanno come obiettivo principale e diretto l’ottimizzazione delle procedure operative destinate al raggiungimento di un obiettivo ovvero delle pratiche assistenziali destinate a categorie di pazienti o a quadri clinici specifici ed altres’ servono a massimizzare l’efficacia e la qualità della prestazione.

Occorre quì specificare che il gruppo di regioni sopra indicato, nel scegliere questo schema, ha spesso espresso una netta preferenza per il dipartimento strutturale ma senza escludere, in determinate situazioni, di realizzare dei dipartimenti funzionali. Probabilmente assimilabile al modello precedente, ma più generico, quello della Lombardia che si limita ad affermare che il dipartimento può interessare uno o più presidi ospedalieri. L’esatto opposto di quanto previsto dalla regione Lazio (modello “non gestionale”) che ha affermato innanzitutto che “Il dipartimento non svolge, di norma, amministrazione attiva e gestione” e quindi, implicitamente, privilegiando la possibilità di realizzare dipartimenti funzionali. Infatti la regione Lazio quando poi va ad elencare le varie tipologie di dipartimento ne prevede tre su quattro (dipartimento per funzione, dipartimento d’organo e dipartimento a progetto) di tipo funzionale e quindi la gran parte ed uno “strutturale” che è residuale, ma possibile.

5.2. CRITERI PER L’AGGREGAZIONE. Le varie definizioni di dipartimento ci ricordano che lo stesso deve necessariamente comprendere “più unità operative”. Altro punto fermo condiviso da tutte le regioni, escluso il Molise, è che ogni unità operativa può partecipare ad un solo dipartimento aziendale (altra cosa è invece la ulteriore partecipazione ai dipartimenti interaziendali). Uno dei problemi principali che occorre affrontare quando si vogliono realizzare i dipartimenti è proprio quello di stabilire i criteri per la scelta dei dipartimenti da attivare e per l’aggregazione delle varie unità operative negli stessi. I criteri possono essere assai diversi. Abbiamo per esempio:

- l’aggregazione che tiene conto della appartenenza delle unità operative alle aree funzionali omogenee (es. dipart. di medicina, dip. di riabilitazione e lungodegenza, dip. materno infantile ecc.);

- l’aggregazione che tiene conto dell’età degli assistiti (es. dip. di geriatria); - l’aggregazione che tiene conto delle parti del corpo o di organi curati (es. dip. del

cuore, dip. di neurologia e neurochirurgia ecc.); - l’aggregazione che tiene conto di malattie con cause e meccanismi operativi

particolari (es. dip. di salute mentale, dip. di oncologia ecc.); - l’aggregazione che tiene conto del momento di intervento sanitario (dip. di

emergenza, dip. di riabilitazione); - l’aggregazione che tiene conto degli obiettivi strategici dell’azienda (se ad esempio

un’azienda sanitaria ha fra gli obiettivi strategici lo sviluppo dei trapianti allora in questo caso può essere più utile il dipartimento d’organo ecc.);

- l’aggregazione che tiene conto delle “risorse guida” e cioé di quelle risorse la cui adeguata gestione dà maggiori probabilità di conseguire gli obiettivi di efficienza posti (es. dip. tecnolgie pesanti, dip. chirurgico).

In realtà non esiste un criterio di aggregazione unico che consente di risolvere tutti i problemi di relazione fra le varie unità operative e i dipartimenti anche tenendo conto delle differenziate situazioni locali. Occorre pertanto fare delle scelte ed in particolare occorre

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scegliere quali relazioni privilegiare con una integrazione dipartimentale ed eventualmente quali regole rispettare. Su questo aspetto le Regioni italiane hanno previsto una serie assai numerosa di variabili ma sostanzialmente riconducibili a due possibilità:

1. una consistente flessibilità lasciata alle singole aziende nella aggregazione delle unità operative;

2. una scarsa o nulla flessibilità lasciata alle singole aziende nella aggregazione delle unità operative.

La nostra scelta è senz’altro la prima. Quella della flessibilità. A nostro avviso, nella ipotesi di aggregazione, occorrerrà tener conto dei seguenti elementi:

a) degli obiettivi strategici dell’azienda sanitaria; b) del maggior livello di interdipendenza tecnica fra alcune unità operative; c) della realtà (unità operative, struttura edilizia ecc.) presente all’interno dell’ospedale.

Inoltre nelle aziende USL che gestiscono più strutture ospedaliere funzionalmente accorpate in un unico presidio l’organizzazione dipartimentale va riferita all’intero complesso di stabilimenti costituenti il Presidio, con la possibilità di aggregare le unità operative e i moduli dislocati nei diversi stabilimenti, potendosi così prevedere per l’articolazione delle unità operative la presenza di moduli delle medesime anche in stabilimenti diversi dalla loro sede. Nel complesso dunque si preferisce una normativa flessibile che permetta alle aziende sanitarie di aggregare le unità operative con ampia discrezionalità “in funzione delle unità operative presenti nei singoli ospedali e degli obiettivi che queste debbono conseguire”. Questa, così indicata, è la strada proposta dall’ASSR e seguita dalla regione Marche, dal Molise, dall’Umbria, dalla regione Campania (aggregazioni in base agli obiettivi aziendali tenendo conto delle unità operative presenti) e, in modo più blando , dal Friuli. La Sicilia propone grandi dipartimenti (dip. Di medicina, dip. Di chirurgia, dip. Di servizi, ecc.) miranti, con obiettivi comuni, all’integrazione ed omogeneizzazione delle discipline equipollenti ed affini, ed integrando negli stessi, il maggior numero di unità operative (che conservano la propria autonomia). Ma la via della flessibilità, per la verità, è stata seguita, seppur con formulazioni diverse, dalla grande maggioranza delle regioni. Con orientamenti assai più rigidi, e cioè con la identificazione di criteri vincolanti e, in qualche caso, dettagliati di aggregazione troviamo invece la Puglia, e la Valle d'Aosta (cfr. tab.1). Quest'ultima, per esempio, ha definito nel dettaglio e, in qualche caso, anche curiosamente la composizione dei dipartimenti. A questo proposito val la pena di segnalare che in Valle d'Aosta il dipartimento anestesiologico è composto da 1) anestesia e rianimazione e 2) anestesia e terapia intensiva mentre il dipartimento di riabilitazione annovera: 1) l’u.o. di recupero e rieducazione funzionale, 2) l’u.o. di otorinolaringoiatria, 3) l’u.o. di neurologia, 4) l’u.o. di ortopedia e traumatologia, 5) l’u.o. di geriatria, 6) il modulo organizzativo di neuropsichiatria infantile, 7) e il settore assistenza di base (territoriale). Assai più singolare è l'organizzazione dei dipartimenti prevista dalla regione Sardegna , tanto singolare da non rientrare neanche nella classificazione della tab.1. La Sardegna distingue l’azienda USL dalla azienda ospedaliera. Nella azienda USL viene previsto un solo dipartimento per tutta l’attività sanitaria ospedaliera ed extra-ospedaliera denominato

“il dipartimento di prevenzione ed il dipartimento di diagnosi, cura e riabilitazione.” All’interno di tale dipartimento c’é tutto dal medico di base all’ospedale. Le aziende ospedaliere invece sono organizzate in dipartimenti ma i criteri generali per la loro individuazione saranno determinati dal piano sanitario regionale. Ma c’è grande

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confusione perché in altra parte della legge si dice che anche gli ospedali non aziendalizzati saranno organizzati in dipartimenti. I criteri di aggregazione delle unità operative non possono essere sottovalutati come è evidentemente accaduto in queste due ultime regioni perché dalle scelte che le regioni fanno in questo campo possono derivare il successo o il fallimento dei dipartimenti. La flessibilità è d’obbligo; esistono troppe diversità fra ospedale e ospedale, obiettivi anche diversi fra azienda e azienda perché si possa stabilire con legge le regole vinvolanti di aggregazione. La scelta di alcune regioni di stabilire certi obblighi di aggregazione per unità operative omologhe o appartenenti alla stessa area omogenea rappresentano dei vincoli che ostacolano la realizzazione e il corretto funzionamento dei dipartimenti, espropriando le aziende della loro autonomia organizzativa e in qualche caso rappresentando dei veri e propri errori tecnici (per esempio impedendo ad una lungodegenza (AFO lungodegenza e riabilitazione) di aggregarsi ad una medicina (AFO medica) che costituiscono operazioni in genere possibili e normali. Infine, appare ben poco credibile, dal punto di vista dell’efficienza e dell’efficacia organizzativa, l’ipotesi di un unico dipartimento che coinvolga un intero ospedale o addirittura una intera azienda sanitaria o che rinvii sine die la definizione dei criteri per la costituzione dei dipartimenti. Ipotesi queste concepite più probabilmente per evitare la vera realizzazione dei dipartimenti ospedalieri. I criteri di aggregazione potrebbero cambiare in futuro dato che il D. Lgs. 229/1999 prevede che l'atto di indirizzo e coordinamento che il Governo deve emanare per la definizione degli ulteriori requisiti per l'accreditamento delle strutture sanitarie provveda ad individuare l'organizzazione dipartimentale minima in base alle risorse umane, tecnologiche e finanziarie nonché al grado di autonomia finanziaria e alla complessità dell'organizzazione interna

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Tab. 1 – Regioni italiane: criteri di aggregazione dipartimentale delle unità

operative.

Fonte: le normative regionali indicate in bibliografia.

REGIONE CRITERI DI AGGREGAZIONE SCHEMA

FriuliV.G.,Marche, Molise,Assr Umbria

1. obiettivi strategici dell’azienda:

2. maggior livello di interdipendenza tecnica fra le unità operative;

3. la realtà ospedaliera presente.

F

L

E

S

S

I

B

I

L

E

Basilicata, Sicilia

In base a tipo e modalità dell’attività svolta

Campania in base agli obiettivi aziendali e alle unità operative presenti ma con previsione

almeno del DEA, il dipartimento di medicina generale e specialistica, il

dipartimento di chirurgia generale e specialistica, il dipartimento materno infantile.

Emilia Romagna

Identificate diverse tipologie a cui le aziende sanitarie potranno liberamente far

riferimento: a) per area omogenea; b) in base alla risorsa critica utilizzata; c) per

tipologia di utente; d) per organo.

Lazio Oltre ai dipartimenti identificati dalle nome vigenti, con cautela si possono

identificare anche altri dipartimenti.

Lombardia I criteri di aggregazione potranno variare nelle diverse realtà aziendali; tuttavia

nelle strutture ad alta complessità specialistica, i diversi criteri di raggruppamento

possono dar luogo a diverse tipologie di dipartimento: a) per organi/apparati; b)

per settori nosologici; c) per settori di intervento, classificati in base all’intensità

delle cure erogate; d) per fasce d’età; e) per branca specialistica. Nelle strutture a

bassa complessità specialistica ed organizzativa, vanno strutturati almeno i

seguenti dipartimenti di base: a) dipartimento di medicina e riabilitazione; b)

dipartimento di chirurgia c) dipartimento di patologia clinica; d) dipartimento di

diagnostica per immagini.

Piemonte i dipartimenti aggregano funzionalmente unità operative secondo lo stesso criterio

dell’area omogenea, ovvero per area di patologia, ovvero per destinatari degli

interventi, ma comunque per caratteristiche che richiedono un approccio integrato

ed unitario, privilegiando per le ASL, il concorso di strutture ospedaliere e

territoriali (dipartimento transmurale). In ogni caso , in ciascun presidio

ospedaliero andranno previsti almeno tre dipartimenti, uno di natura medica, uno

di natura chirurgica e uno che riguarda i servizi diagnostici di supporto.

Veneto il dipartimento strutturale raggruppa unità operative anche di presidi diversi, per

perseguire gli obiettivi assegnati dalla direzione generale, secondo uno più dei

seguenti criteri: a) intensità e gradualità delle cure; b) settore nosologico; c) fasce

d’età; d) branca specialistica; e) apparato.

P.A. Bolzano

Sono proposti una serie indicativa di dipartimenti da attivare in funzione dei reparti

e dei servizi presenti e degli obiettivi che le singole aziende devono conseguire.

Nelll’ospedale centrale di Bolzano dovranno invece essere costituiti con priorità:il

dip. Medico chirurgico di neurologia, il dip. di medicina di laboratorio, il dip. di

geriatria, il dip. di salute mentale e il DEA.

Puglia I dipartimenti strutturali sono obbligatori fra unità operative omologhe dello stesso

presidio ospedaliero (gli altri sono aggregati in funzione del tipo e delle modalità di

attività);

R

I

G

I

D

O

Toscana Le strutture organizzative professionali (assimilabili alle u.o.) sono accorpate,

secondo settori specialistici omogenei, nelle seguenti aree funzionali: a) area

funzionale medica; a) area funzionale medica; b) area funzionale chirurgica; c)

area funzionale delle terapie intensive; d) area funzionale materno infantile; e)

area funzionale delle attività di laboratorio; f) area funzionale della diagnostica per

immagini.

Valle d’Aosta

La regione ha identificato la composizione di alcuni dipartimenti come il

dipartimento anestesiologico, il dipartimento di patologia clinica e quello di

riabilitazione.

Page 13: I dipartimenti ospedalieri nelle regioni italiane

5.3 LE PROCEDURE PER L’INDIVIDUAZIONE DEI DIPARTIMENTI. L’individuazione dei dipartimenti da attivare è una specifica competenza della azienda sanitaria. L’azienda sanitaria infatti ha autonomia organizzativa seppur nel quadro di quanto previsto nel D.Lgs. 229/99 e nelle norme e direttive regionali di attuazione . L’autonomia organizzativa, come è noto, è “il potere di identificare autonomamente la struttura organizzativa dell’apparato aziendale, intesa come l’insieme degli elementi che compongono il sistema organizzativo interno (alta direzione, staff di supporto, linea operativa) nonché come meccanismi e livelli di decentramento dei poteri di gestione, di coordinamento, di comunicazione e di controllo” (*) Ministero della sanità - Linee guida n.2/1996) . Spetta dunque al direttore generale dell’azienda provvedere alla individuazione dei dipartimenti. La procedura prevede che la decisione venga presa su proposta del direttore sanitario e sentito il consiglio dei sanitari . Su questo non ci sono difformità tra le regioni che si sono espresse sull’argomento (Basilicata , Friuli, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna , Sicilia , e Umbria ). Ma prima della decisione l’Emilia Romagna, il Lazio, le Marche, ed il Piemonte hanno aggiunto qualcosa di significativo nelle procedure. Le Marche hanno richiesto ad ogni azienda una vera e propria progettazione dei dipartimenti ospedalieri che definisca i requisiti (interdipendenza delle funzioni, esaustività delle risposte, flessibilità organizzativa ecc.) l’articolazione funzionale interna, la strutturazione del lay out, l’organizzazione e la gestione delle risorse, gli indicatori di verifica ecc. L’Emilia Romagna ha invece previsto l’approvazione di un regolamento aziendale da sottoporre all’approvazione regionale che affronti nel dettaglio tutte le tematiche relative alla organizzazione, al funzionamento dei dipartimenti (le funzioni assistenziali che afferiscono a ciascuna area dipartimentale, la qualità, la quantità e le dimensioni delle unità operative e dei moduli appartenenti a ciascun dipartimento, la puntuale definizione dei rapporti tra le strutture organizzative del presidio ospedaliero, i criteri per la assegnazione della retribuzione di posizione ecc.). La Regione Piemonte ha invece previsto che prima della organizzazione dipartimentale “gli ospedali della rete regionale devono obbligatoriamente attuare il modello delle aree funzionali omogenee” “conservando alle unità operative che vi confluiscono l’autonomia funzionale in ordine alle patologie di competenza, nel quadro di una efficace integrazione e collaborazione con altre unità operative affini e/o complementari e con uso in comune delle risorse umane e strumentali, superando l’organizzazione per divisioni o reparti. ”A questo proposito si danno anche una serie di indicazioni sulle modalità di costituzione delle aree omogenee. Gli stessi orientamenti ha espresso la regione Lazio. Dopo aver così definito quali e quante unità operative confluiscono nelle aree funzionali e quindi dopo aver determinato la loro aggregazione fisica, l’azienda provvede alla loro aggregazione funzionale, attraverso l’istituzione dei dipartimenti. Come è noto l’AFO dà una risposta alla esigenza di accorpamento delle unità operative, superando la distinzione esistente tra reparti, divisioni, sezioni e servizi per una più efficiente organizzazione dell’attività assistenziale, attraverso l’aggregazione fisica (se possibile) di discipline e strutture che mantengono la propria autonomia professionale. Il dipartimento invece è il modello organizzativo e gestionale che tende ad integrare l’operatività delle singole unità operative, allo scopo di ottenere una più efficiente ed efficace erogazione assistenziale. La realizzazione delle aree funzionali è dunque propedeutica alla realizzazione dei dipartimenti. MA l’AFO, al contrario dei dipartimenti, non ha alcuna valenza gestionale per cui è fortemente limitata. Per cui le procedure approvate dalla regione Piemonte appaiono corrette. Meno apprezzabile appare la definizione dei tempi del processo dato che nel periodo di vigenza del PSR 1997-1999 si

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pone solamente l’obiettivo della realizzazione delle aree omogenee e si riserva solo carattere sperimentale alla dipartimentalizzazione. 5.4. PARTICOLARITA’ DI ALCUNI DIPARTIMENTI. Nonostante la grande flessibilità nella aggregazione delle unità operative scelta dalla gran parte delle regioni esistono alcuni vincoli o indicazioni normative nazionali relative alla costituzione di taluni, specifici, dipartimenti di cui occorre tener conto. Tali indicazioni si riferiscono alle seguenti aree assistenziali:

a) emergenza sanitaria; Una serie di norme nazionali (D.P.R. 1°/3/1994, D.P.R. 27/3/1992, linee guida del Ministero della Sanità n. 1/1996) e spesso regionali rendono obbligatoria la costituzione del dipartimento di emergenza (DEA). Dalle norme nazionali si evince che le unità operative che fanno parte esclusivamente del DEA sono: - il servizio autonomo di pronto soccorso; - l’u.o. di anestesia e rianimazione con letti di terapia intensiva; - la centrale operativa, ove presente; - la medicina d’urgenza, ove presente. Altre unità operative, di norma, non entrano a far parte formalmente del DEA ma partecipano alla funzione dell’emergenza attraverso la condivisione di modelli operativi definiti da linee guida e da protocolli che dovranno essere adottati da tutte le u.o. interessate.

b) alte specialità; Il Decreto del Ministero della Sanità del 29 gennaio 1992 ha stabilito che le strutture di alta specialità, al fine di assicurare il corretto e coordinato espletamento dell’attività di alta specialità, devono avere una “organizzazione funzionalmente accorpata e unitaria di tipo dipartimentale dei servizi che la compongono”.

c) materno-infantile; Il Piano sanitario nazionale 1994-1996 tra gli interventi da compiere nel triennio di validità del piano raccomandava “l’istituzione e/o l’attivazione del dipartimento materno-infantile per l’integrazione degli aspetti sanitari e sociali ed il coordinamento delle attività proprie di ciascuna delle sue componenti”, quella ospedaliera e quella extraospedaliera. Anche questo tipo di dipartimento dunque, che può annoverare specialità pediatriche e ostetriche, viene proposto con forza dalla normativa nazionale.

d) salute mentale. Il settore della salute mentale è una delle aree per le quali è vigente uno specifico progetto obiettivo che delinea un modello organizzativo di tipo dipartimentale per assicurare interventi assistenziali sia in sede ospedaliera sia in ambulatori, sia in strutture residenziali e semiresidenziali territoriali che a domicilio. La gestione di tale dipartimento è affidata alle aziende USL competenti per territorio e gli obiettivi da conseguire sono individuati e definiti nel D.P.R. 7/4/1994 e nelle deliberazioni amministrative regionali attuative.

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Riguardo ai criteri per la individuazione delle unità operative del dipartimento di salute mentale si ritiene che lo stesso abbia delle sue proprie specificità e che si debba pertanto tener conto delle varie tipologie di strutture costituenti il dipartimento e su tale base individuare le unità operative (S.P.D.C., strutture residenziali territoriali, centri diurni, attività ambulatoriali e domiciliari). Questo dipartimento è sicuramente transmurale e può anche essere interaziendale laddove sono presenti aziende ospedaliere.

Questi dipartimenti sono stati previsti da moltissime regioni che hanno ravvisato soprattutto la necessità di realizzare il dipartimento di emergenza e quello di salute mentale. Spesso è stata prevista anche l’attivazione del dipartimento materno infantile mentre più raramente quello di alta specialità (Marche) . 5.5. I DIPARTIMENTI TRANSMURALI. I dipartimenti possono essere “transmurali” e cioé di raccordo fra ospedale e territorio. Il ruolo del dipartimento transmurale è quello di esercitare “il coordinamento con le relative attività extraospedaliere per una integrazione dei servizi dipartimentali con quelli del territorio ed in particolare con i distretti e con i medici e pediatri di base, ai quali spetta sia il compito di rappresentare il punto di ingresso dell’assistito nel circuito ospedaliero nonché l’indispensabile ruolo di figure di raccordo tra ospedale e territorio, nella definizione del piano di dimissione del paziente e nella gestione degli interventi domiciliari e dei successivi follow-up, nonché della assistenza medica nelle RSA” (2). Una delle caratteristiche principali di questi dipartimenti è costituita dunque dalla possibilità di garantire ai pazienti la continuità assistenziale per cui questa tipologia si sviluppa in maniera ideale nella azienda USL. Ma non è la sola ipotesi. Occorre infatti considerare che la costituzione delle aziende ospedaliere ha fatto sì che le città più grandi siano, oggi, sedi di più aziende (USL e/o ospedaliere) per cui occorre ricercare la massima integrazione delle funzioni omogenee o complementari al fine di evitare inutili duplicazioni in un quadro di perseguimento della ricerca dell’efficienza globale del sistema e di miglioramento della qualità dell’assistenza. Ovviamente il dipartimento transmurale (che può essere aziendale o interaziendale, come nel caso del dipartimento di salute mentale) presenta elevati livelli di complessità per cui spetterà al suo regolamento stabilire le modalità di integrazione organizzativa e gestionale, specificando le risorse rese disponibili dall’ospedale e quelle dalle strutture territoriali, le responsabilità e le necessarie modalità di verifica dell’attività svolta. Fra i dipartimenti transmurali troviamo senz’altro il dipartimento di salute mentale ed altri che possono esserlo: il dipartimento di riabilitazione e lungodegenza, il dipartimento materno infantile, il dipartimento di emergenza e accettazione (DEA), il dipartimento per la lotta alle malattie infettive ecc. Su questo argomento solo 6 regioni (Basilicata, P.A. Bolzano, Emilia Romagna, Lombardia, Marche e Molise) e l’ASSR si sono espresse ma tutte in modo conforme a questi orientamenti. Anche la regione Umbria ha valorizzato i dipartimenti transmurali prevedendo infatti che “negli ospedali di comunità avranno la prevalenza” proprio “i dipartimenti transmurali, per la rilevanza che hanno a questo livello i collegamenti con il territorio”. La regione a questo proposito ha previsto l’attivazione:

a) del dipartimento materno infantile e per l’età evolutiva, dove addirittura la quota transmurale prevale su quella intramurale;

b) il dipartimento di medicina; c) altri dipartimenti afferenti a funzioni ospedaliere a forte vocazione territoriale.

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La regione Campania prevede che i direttori generali delle ASL potranno istituire raccordi funzionali anche tra le unità operative dei presidi ospedalieri e le strutture sanitarie distrettuali finalizzati ad obiettivi assistenziali, didattici e di ricerca comuni. Le modalità organizzative dei raccordi funzionali tra le unità operative di differenti presidi ospedalieri della ASL e tra questi ed i distretti sanitari saranno definiti da specifici regolamenti della ASL. 5.6. I DIPARTIMENTI AD ATTIVITA’ INTEGRATA. Il dipartimento ad attività integrata è composto da unità operative ospedaliere ed unità operative universitarie convenzionate (della facoltà di medicina e chirurgia) così come illustrato al paragrafo 4.5.. Su questo argomento è la regione Marche che si è impegnata di più per la promozione di tali dipartimenti e, per quel che riguarda i contenuti, riprendendo estesamente i contenuti delle “Linee guida per la stipula dei protocolli d’intesa università-regioni” approvate con Decreto 31 luglio 1997 del Ministro della Sanità e del Ministro dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica. In questo senso anche le Linee guida sui dipartimenti delle Marche affermano che “i modelli e le modalità di organizzazione delle aziende ospedaliere in cui insiste la prevalenza del percorso formativo del triennio clinico della facoltà di medicina e chirurgia, sono definiti dal direttore generale delle aziende nell’ambito degli indirizzi regionali in modo da assicurare il pieno svolgimento delle funzioni didattiche e scientifiche della facoltà di medicina e chirurgia. Le università partecipano alle strutture assistenziali di tipo dipartimentale nelle quali siano presenti unità operative a direzione universitaria. L’organizzazione delle strutture dipartimentali in cui sono presenti unità operative a direzione universitaria e le procedure di nomina dei responsabili sono stabilite dal direttore generale di intesa con il rettore. “Nelle strutture organizzative (dipartimento, unità operative, moduli) che integrano personale appartenente all’organico dell’azienda e all’ordinamento universitario è garantita parità di trattamento, a parità di attività e di responsabilità, nonché di opportunità di accesso alle funzioni in ambito assistenziale.” Il protocollo di intesa che regolamenta l’apporto assistenziale dell’università, - pur in considerazione delle autonome e distinte finalità istituzionali delle parti - deve tener conto del modello di gestione aziendale introdotto dalle leggi di riordino della sanità. Tale modello, pertanto, deve essere condiviso (oltre che dalle aziende sanitarie) anche dall’università per il perseguimento degli obiettivi aziendali e con la conseguente assunzione di responsabilità gestionale nei confronti dell’azienda sanitaria anche da parte degli operatori universitari, specie qualora assumano incarichi dirigenziali. Ma tutte figure universitarie possono dirigere un dipartimento? Secondo la norma deve essere un dirigente responsabile di struttura complessa. La legge 382/1980 (art.102) definisce le corrispondenze funzionali fra il personale medico dei ruoli universitari ed il personale medico del servizio sanitario nazionale, ai fini dell’attività assistenziale, equiparando il professore ordinario e straordinario al medico apicale per cui queste due figure sicuramente possono dirigere un dipartimento misto. Il professore associato è invece equiparato all’aiuto e quindi non potrebbe dirigere un dipartimento pur avendo la responsabilità di una clinica universitaria. Ma la stessa norma autorizza il rettore a deliberare, in rapporto alla disponibilità di posti vacanti nelle strutture assistenziali a direzione universitaria previste dalle convenzioni, l’attribuzione ai professori associati , ai fini assistenziali, di qualifiche di livello immediatamente superiori così che anche loro possano dirigere un dipartimento misto. Oltre alle Marche anche altre regioni hanno dato indicazioni sull’argomento. Tutte le regioni che si sono espresse hanno comunque previsto i dipartimenti ad attività integrata (o “misti”) (cfr. tab. 2) compresa la Toscana che lo fa con un linguaggio complesso laddove afferma che “le aree funzionali possono essere costituite da dipartimenti

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assistenziali che si integrano con i dipartimenti universitari”. Le differenze fra una regione e l’altra sono tutte relative al diverso peso che viene assegnato ai soggetti del Servizio sanitario nazionale e a quelli universitari alla ricerca di un equilibrio che permetta ai dipartimenti misti di operare proficuamente. La prima importante differenza si riscontra nelle procedure per la nomina dei responsabili dei dipartimenti; Veneto ed Umbria affidano tale compito ai direttori generali delle aziende sanitarie mentre l’Emilia Romagna e le Marche, come indicano anche le linee guida nazionali, lo affidano sempre ai direttori generali ma d’intesa con il rettore (cfr. tab.2). La questione degli equilibri si riverbera continuamente all’interno del dipartimento. Da questo punto di vista assai interessante è la previsione di un vice-direttore di dipartimento previsto dall’Emilia Romagna e dal Veneto. In queste due regioni, qualora il direttore del dipartimento sia un medico ospedaliero, si procede alla nomina, su designazione del Rettore, di un vice direttore medico universitario per il coordinamento dell’attività didattica e di ricerca svolta dal dipartimento. Qualora, invece, sia un medico universitario si procede alla nomina di un vice direttore medico ospedaliero. Per le attività didattiche il direttore del dipartimento (o il vice-direttore) risponde funzionalmente ai competenti organi dell’Università (cfr. tab. 2). Assai innovativa rispetto a tutte le altre regioni è la previsione della regione Umbria che, in analogia con quanto previsto per le unità operative dirette da dirigenti del SSN, anche l’attività assistenziale delle strutture operative a direzione universitaria deve essere sottoposta a verifiche almeno quinquennali al fine del mantenimento della direzione. La verifica deve riguardare efficienza ed efficacia dell’attività svolta, capacità organizzative e gestionali, rispetto degli obiettivi aziendali. Così che non ci siano differenze di trattamento fra i responsabili delle unità operative assistenziali. Le decisioni relative alla organizzazione dei dipartimenti spettano al Direttore generale in Liguria, Marche e Piemonte mentre va ricercata l’intesa con l’università in Lombardia, Veneto ed Umbria; in una posizione intermedia si colloca l’Emilia Romagna che, su questi argomenti, richiede solamente un parere agli organi universitari (cfr. tab.2). Val la pena di segnalare infine una particolarità della Lombardia. In questa regione l’obiettivo principale dei dipartimenti consiste nella razionalizzazione dell’uso delle risorse disponibili presso le diverse unità operative ad esso afferenti. Ebbene gli interventi di razionalizzazione e di qualificazione rivolti all’attività assistenziale, sono estesi anche alla attività di ricerca scientifica e di didattica e devono prevedere, nelle strutture clinicizzate, il pieno coinvolgimento della componente universitaria. Ovviamente, tutte le normative regionali sono precedenti all’approvazione del D. Lgs. 517/99 sulla “disciplina dei rapporti fra servizio sanitario regionale ed università”.

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Tab. 2 – Regioni e dipartimenti misti.

REGIONI ARGOMENTO

Emilia Romagna, Friuli V.G., Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria, Veneto.

Sono stati previsti i dipartimenti misti.

Veneto, Umbria Il responsabile del dipartimento viene scellto dal direttore generale dell’azienda.

Emilia Romagna, Marche Il responsabile del dipartimento viene nominato dal direttore generale dell’azienda d’intesa con il rettore, fra una rosa di nomi.

Emilia Romagna, Veneto Nel caso di un responsabile ospedaliero il rettore designa un vice responsabile universitario per il coordinamento dell’attività didattica svolta dal dipartimento.

Liguria, Marche, Piemonte L’organizzazione dipartimentale viene definita dal direttore generale.

Lombardia, Veneto, Umbria L’organizzazione dipartimentale va definita d’intesa con l’Università.

Emilia Romagna L’Istituzione, la modifica e la disattivazione di dipartimenti richiedono il parere della facoltà di medicina e chirurgia.

Umbria L’attività assistenziale delle unità operative a direzione universitaria deve essere sottoposta a verifiche almeno quinquennali al fine del mantenimento della direzione.

Lombardia gli interventi di razionalizzazione e di qualificazione dipartimentale sono estesi anche alla attività di ricerca scientifica e di didattica.

Fonte: norme regionali di riferimento.

6. ORGANIZZAZIONE ED INTEGRAZIONE DIPARTIMENTALE.

6.1. L’ORGANIZZAZIONE INTERNA DEL DIPARTIMENTO. Il dipartimento è costituito da unità operative autonome o, secondo la nuova terminologia introdotta dal D. Lgs. 229/1999, da strutture complesse. Il Decreto infatti introduce nella organizzazione ospedaliera due nuovi termini: la "struttura complessa" e la "struttura semplice". Sembra di capire dalla lettura del testo che sarà l'atto di indirizzo e coordinamento che il Governo deve emanare per la definizione degli ulteriori requisiti per l'accreditamento delle strutture sanitarie a definirne meglio le caratteristiche ma intanto, "fino all'emanazione del predetto atto si considerano strutture complesse tutte le strutture già riservate dalla pregressa normativa ai dirigenti di secondo livello dirigenziale" (art.15 quinquies D.Lgs. 229/99).

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All'interno del dipartimento si possono però trovare anche altre articolazioni organizzative alcune delle quali - come quei moduli che utilizzano risorse di più unità operative - possono essere create ex novo nel dipartimento. In analogia con quanto affermato a proposito delle unità operative ci sembra di poter dire che la struttura semplice possa sovrapporsi a quella del modulo. Così che all'interno del dipartimento possiamo avere:

l’unità operativa o struttura complessa; il modulo professionale o struttura semplice (professionale); il modulo organizzativo o struttura semplice (organizzativa).

L’unità operativa o struttura complessa Le regioni italiane, ovviamente, hanno regolamentato il settore utilizzando la precedente normativa che faceva riferimento alle unità operative. Una delle migliori definizioni di unità operativa la dà la regione Friuli V.G. secondo la quale le unità operative sono strutture organizzative elementari costituite con riferimento alle specialità diagnostiche e terapeutiche, dotate di autonomia funzionale per quanto attiene il trattamento delle patologie e lo svolgimento delle attività clinico-diagnostiche di competenza. Segue sostanzialmente questa linea la Toscana che la definisce come l’insieme di professionalità omogenee attinenti ad una specifica funzione operativa. L’Emilia Romagna, invece, definisce l’unità operativa come una struttura organizzativa complessa del dipartimento che aggrega risorse professionali di tipo medico,infermieristico, tecnico, amministrativo e finanziario e assicura la direzione e l’organizzazione delle attività di competenza, nel rispetto degli indirizzi aziendali, degliobiettivi e dei criteri definiti nell’ambito del dipartimento di appartenenza. In questa direzione va anche la definizione della regione Lombardia che presenta l'unità operativa come articolazione del dipartimento. Ancora diverso il taglio della Valle d’Aosta che definisce le strutture complesse come unità operative caratterizzate da un grado di complessità organizzativo gestionale elevata, comportante l’assunzione di responsabilità che impegnano l’azienda USL verso l’esterno per l’attuazione degliobiettivi di programmazione regionale e aziendale. Le unità operative sono distinte in:

“unità operative di servizi diagnostici e/o terapeutici”; “unità operative clinico-assistenziali”, vale a dire quelle dotate di posti letto ordinari e di day hospital. (ASSR, Campania)

L’unità operativa è diretta da un dirigente di 2° livello. Secondo il D. Lgs. 502/1992 e successive modificazioni ai dirigenti di 2° livello, chiamati alla responsabilità di unità operative (art.15), “sono attribuite funzioni di direzione ed organizzazione della struttura...”. Spettano in particolare al dirigente medico di 2° livello, “gli indirizzi e, in caso di necessità, le decisioni sulle scelte da adottare nei riguardi degli interventi preventivi, clinici, diagnostici e terapeutici...”, mentre ai dirigenti delle altre professioni sanitarie “spettano gli indirizzi e le decisioni da adottare nei suddetti interventi limitatamente a quelli di specifica competenza”. E’ da precisare che l’art.15 del D. Lgs. 502/92 rimanda, per quanto riguarda le responsabilità dirigenziali, al disposto dell’art. 20 del D.Lgs. 29/93 che così riporta:”I dirigenti generali ed i dirigenti sono responsabili del risultato dell’attività svolta dagli uffici ai quali sono presposti, della realizzazione dei programmi e dei progetti loro affidati, della gestione del personale e delle risorse finanziarie e strumentali ad essi assegnate” (Marche, Umbria). La nuova normativa contenuta nel D. Lgs. 229/99 (art.15) ridefinisce le caratteristiche delle funzioni dei responsabili di strutture complesse. In particolare si afferma che "Ai dirigenti con incarico di direzione di struttura complessa sono attribuite, oltre a quelle derivanti dalle specifiche competenze professionali, funzioni di direzione e organizzazione

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della struttura, da attuarsi, nell'ambito degli indirizzi operativi e gestionali del dipartimento di appartenenza, anche mediante direttive a tutto il personale operante nella stessa, e l'adozione delle relative decisioni necessarie per il corretto espletamento del servizio e per realizzare l'appropriatezza degli interventi con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche e riabilitative, attuati nella struttura loro affidata. Il dirigente è responsabile dell'efficace ed efficiente gestione delle risorse attribuite. I risultati della gestione sono sottoposti a verifica annuale tramite il nucleo di valutazione". In conclusione dunque possiamo dire che il dirigente di 2° livello o il dirigente con incarico di direzione di struttura complessa ha piena autonomia nel campo clinico-assistenziale ma che comprende per tutti i dirigenti momenti di valutazione e verifica mentre nel campo organizzativo e gestionale deve invece operare nel rispetto degli indirizzi operativi e gestionali stabiliti dalla direzione del dipartimento (comitato di dipartimento o direttore a seconda dei modelli) rispondendo infine delle risorse in dotazione esclusiva dell’unità operativa. La eventuale funzione di Capo dipartimento è aggiuntiva rispetto a quella di responsabile di unità operativa pertanto il titolare dell’unità operativa, incaricato di questo, mantiene tutti i compiti e le attività propri della qualifica. Il modulo professionale Il modulo professionale è una articolazione interna dell’unità operativa dotata di una autonomia professionale caratterizzata e giustificata “dalla peculiarità dell’attività svolta che richiede particolari competenze professionali in quanto costituisce un ambito specifico per i contenuti medico-scientifici e tecnologici “. Per esempio possiamo dire che in “ospedali dove alcune attività ad indirizzo specialistico non possono essere organizzate come distinte unità operative, è possibile prevedere che unità operative ad indirizzo generale, possano comprendere anche moduli dedicati ad attività specialistiche, affidati a personale specificamente qualificato (es: cardiologia all’interno della unità operativa di Medicina generale - urologia all’interno dell’unità operativa di chirurgia generale).”(ASSR, la

Campania con questa stessa definizione lo chiama modulo funzionale, prevedendo solo questo) Tali moduli, previsti dagli articoli 56 e 57 del contratto collettivo nazionale di lavoro 1994-1997 per l’area della dirigenza medica e veterinaria della sanità, possono essere attivati: - se tali attività non sono già esercitate da distinte e specifiche unità operative presenti nello stesso presidio ospedaliero; - se sono relative a discipline ufficiali riconosciute dalle norme nazionali. In casi particolari, la singola azienda potrà prevedere moduli non rientranti in una delle tipologie indicate, previa adeguata motivazione. Gli incarichi relativi alla responsabilità del modulo sono assegnati dal direttore generale su proposta dei responsabili delle unità operative interessate a dirigenti con almeno 5 anni di anzianità. Nel caso di moduli di interesse dipartimentale la proposta spetta invece al comitato di dipartimento. Il modulo organizzativo Il modulo organizzativo soddisfa invece l’esigenza del “dipartimento di realizzare specifici modelli organizzativi, quali ad esempio quelli relativi alla attività ambulatoriale, all’ospedalizzazione a domicilio, all’attività di day hospital, al laboratorio d’urgenza” ecc.. Il modulo, previsto dagli articoli 56 e 57 del contratto collettivo nazionale di lavoro 1994-1997per l’area della dirigenza medica e veterinaria della sanità, è diretto da un dirigente di 1° livello o di struttura semplice con precisi ambiti di autonomia professionale con almeno 5 anni di anzianità. Gli incarichi relativi alla responsabilità del modulo sono assegnati dal direttore generale su proposta dei singoli responsabili delle unità operative interessate.

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Nel caso di moduli di interesse dipartimentale la proposta spetta invece al comitato di dipartimento. La regione Emilia Romagna invece definisce il modulo organizzativo, da prevedere nell’atto aziendale, come “una struttura organizzativa comprendente attività di una stessa unità operativa o di diverse unità unità operative, che assicura nel primo caso il miglioramento continuo del processo assistenziale e nel secondo l’organizzazione ela gestione delle risorse destinate all’attività aziendale, sia attraverso l’integrazione operativa delle differenti risorse tecnico-professionali, sia attraverso la semplificazione dei percorsi di accesso alle prestazioni e ai servizi. Ancora diversa e di più basso profilo la concezione delle strutture semplici da parte della regione Valle d’Aosta che le intende come unità operative attinenti ad una specifica attività o funzione e che rispondono al dirigente della struttura complessa in cui sono inserite. Al dirigente responsabile di modulo è assicurata:

l’autonomia di direzione clinica per il settore specifico di intervento nel rispetto delle direttive concordate con il responsabile dell’unità operative o del dipartimento a seconda dell’afferenza;

la responsabilità delle risorse date in dotazione esclusiva al modulo, nel rispetto delle direttive concordate con il responsabile dell’unità operativa o del dipartimento a seconda dell’afferenza.

ll ruolo del medico dirigente. Il ruolo del dirigente medico viene definita dal recente D. Lgs. 229/99 (art.15) che in particolare stabilisce che "L'attività dei dirigenti sanitari è caratterizzata, nello svolgimento delle proprie mansioni e funzioni, dall'autonomia tecnico-professionale i cui ambiti di esercizio, attraverso obiettivi momenti di valutazione e verifica, sono progressivamente ampliati. L'autonomia tecnico-professionale, con le connesse responsabilità, si esercita nel rispetto della collaborazione multiprofessionale, nell'ambito di indirizzi operativi e programmi di attività promossi, valutati e verificati a livello dipartimentale ed aziendale, finalizzati all'efficace utilizzo delle risorse e all'erogazione di prestazioni appropriate e di qualità. Il dirigente, in relazione all'attività svolta, ai programmi concordati da realizzare ed alle specifiche funzioni allo stesso attribuite, è responsabile del risultato anche se richiedente un impegno orario superiore a quello contrattualmente definito."

I gruppi operativi interdipartimentali. Oltre a queste modalità organizzative interne al dipartimento esiste la possibilità di costituire dei gruppi operativi che si potranno attivare per soddisfare quelle esigenze di coordinamento e collegamento di unità operative afferenti a dipartimenti diversi. I gruppi operativi interdipartimentali potranno essere permanenti (per esempio GOIP oncologico) oppure temporanei (GOIT) per specifici obiettivi. Questo schema è sostanzialmente condiviso, fatti salvi gli aggiornamenti che ovviamente ancora non ci sono alla nuova normativa, da quasi tutte le regioni anche se gli approfondimenti maggiori sono stati portati avanti dall’ASSR e dalle Marche. Una variante di questo schema generale è invece quella proposta recentemente dalla Emilia Romagna che spinge di più l’acceleratore sul superamento della organizzazione degli ospedali in divisioni, sezioni e servizi per la definizione di una diversa struttura organizzativa delle attività fondato sul modello dipartimentale. Nello schema dell’Emilia Romagna non è più l’unità operativa ma è il dipartimento che rappresenta l’unità organizzativa di base che aggrega una pluralità di discipline e di

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funzioni assistenziali tra loro affini o complementari. L’unità operativa diventa invece “l’articolazione settoriale del dipartimento, per discipline e/o funzioni” anche se grosso modo mantiene le stesse funzioni previste nello schema delle altre regioni (“è caratterizzata da piena autonomia operativa per le specifiche competenze professionali in campo clinico-assistenziale mentre l’autonomia gestionale è limitata alle risorse eventualmente assegnate”). Per i moduli invece non ci sono sostanziali differenze con lo schema precedentemente illustrato. Le linee guida della regione Emilia Romagna sostengono che “la dipartimentalizzazione rappresenta la sostituzione delle attuali strutture divisionali e dei servizi autonomi” per cui occorrerà verificare “se sussistano le condizioni per il mantenimento, nelle vesti di unità operative, delle divisioni e servizi autonomi preesistenti o se, in alcuni casi, non si giustifichi la loro trasformazione in una dimensione organizzativa più appropriata quale il modulo (ad esempio, quando sia prevista una consistente riduzione di posti letto o quando risulti da tempo scoperto il ruolo primariale)”. Assai interessante è la previsione - sempre dell’Emilia Romagna - di inserire la dipartimentalizzazione delle strutture ospedaliere tra i requisiti per ottenere l’accreditamento delle strutture. Le regioni Piemonte e Lombardia ricordano invece solo la presenza dei moduli organizzativi e la Toscana al loro posto prevede le sezioni; in tutti i casi la responsabilità è decisa dal direttore generale su proposta dei responsabili dell'unità operativa di riferimento. 6.2. LE RISORSE DEL DIPARTIMENTO: USO E ASSEGNAZIONE. Le risorse del dipartimento sono le seguenti:

personale;

strutture edilizie;

attrezzature;

risorse finanziarie.

“Le risorse vanno distinte in tre sub aree: a) risorse assistenziali proprie delle singole unità operative appartenenti al dipartimento; b) risorse assistenziali comuni del dipartimento; c) risorse generali di supporto necessarie al funzionamento del dipartimento.”

(ASSR, Veneto ecc.)

La definizione di ciò che va a costituire le singole sub aree dipende dal tipo di dipartimento e dalla complementarietà e affinità delle sue unità operative. Tali sub aree per esempio non avranno lo stesso contenuto in un dipartimento in cui le unità operative saranno aggregate solo “ funzionalmente” rispetto a quello in cui l’aggregazione sarà anche “fisica”, strutturale. In una situazione ottimale, dove cioé le unità operative sono aggregate non solo “funzionalmente” ma anche “fisicamente”, e cioé in “dipartimento strutturale” (secondo il modello “aziendalistico” o “partecipativo”) le sub aree possono avere la seguente distribuzione delle risorse:

a) risorse assistenziali proprie delle singole unità operative del dipartimento: - il personale medico e professionale laureato; - gli spazi da questo occupati per le attività esclusive dell’unità operativa; - le attrezzature esclusivamente utilizzate dall’unità operativa.

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b) risorse assistenziali comuni del dipartimento: - il personale infermieristico, il personale tecnico, nonché altre figure professionali necessarie alla funzionalità della specifica tipologia del dipartimento; - gli operatori tecnici di assistenza; - gli spazi operativi, di degenza, di supporto; - le attrezzature utilizzate da più di una unità operativa; - i programmi, i progetti, i piani di dipartimento; - le risorse economiche necessarie per raggiungere gli obiettivi prefissati. c) risorse generali di supporto necessarie al funzionamento del dipartimento: - il personale amministrativo, dedicato alle attività gestionali; - il personale di supporto segretariale, con le relative dotazioni strumentali; - gli spazi per la direzione ed il coordinamento del dipartimento, compresi gli organi di gestione del dipartimento stesso; - il sistema informativo, informatico e telematico del dipartimento; - i beni e servizi necessari al funzionamento del dipartimento”. (ASSR, Marche, Campania,

Molise, Veneto, Umbria, ecc.)

Negli altri casi (per esempio nel “dipartimento funzionale”, o nel “modello “non gestionale”) i contenuti delle sub aree saranno diversi e determinati a livello aziendale, nel rispetto delle norme regionali, sulla base delle situazioni locali e delle reali possibilità di integrazione. Convergente con lo schema generale è anche la sottolineatura che l’Emilia Romagna fa sulla gestione dei posti letto all’interno del dipartimento e che si riporta per l’interesse del tema trattato. Dice infatti la delibera dell’Emilia Romagna che: “Ai soli fini programmatori, è necessario che sia indicata la dotazione di posti letto globale e per singole discipline confluenti nel dipartimento. La suddivisione dei posti letto per disciplina dovrà comunque prevedere una flessibilità al fine di favorire il pieno utilizzo ed il rispetto degli standards (tasso di occupazione, intervallo di turn over) previsti dalla normativa nazionale e regionale.” Il nodo della gestione delle risorse è l’aspetto decisivo e caratterizzante del dipartimento e del livello di integrazione interno fra le unità operative partecipanti. Il livello di integrazione fra le varie unità operative del dipartimento può variare notevolmente. Esso dipende dal modello dipartimentale scelto dal legislatore regionale, dall’orientamento della direzione generale dell’azienda sanitaria e dall’incidenza delle attività e dei pazienti comuni. “Si può, quindi, avere una struttura dipartimentale molto integrata ed accentrata con un forte potere decisionale degli organi centrali dipartimentali, o, all’opposto, una struttura debole, molto decentrata, con un potere decisionale degli organi di dipartimento limitato ed una grande possibilità di azione indipendente da parte delle unità operative costituenti” (Bondonio, 1994). Quasi tutte le regioni, come ci ricorda anche la fig.1, hanno scelto lo schema che abbiamo illustrato e che prevede la gestione in comune di una quota consistente di risorse e, di norma, una forte integrazione fra le varie unità operative. Lo schema illustrato in questo paragrafo è stato sviluppato dall’ASSR, adottato in maniera esplicita dal Friuli e dalle Marche ma sostanzialmente anche da tutte le altre regioni che hanno scelto il modello “aziendale” o “partecipativo”. Una ipotesi diversa è stata invece scelta dalla regione Lazio secondo cui i dipartimenti sono centri di responsabilità ma non sono necessariamente dotati dell’autonomia finanziaria della gestione budgetaria. Spetta al direttore generale attribuirla o meno. Il

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dipartimento infatti non svolge, di norma, amministrazione attiva e gestione. Siamo - in questo caso - nel modello che abbiamo definito “non gestionale”, che assegna al dipartimento funzioni di coordinamento e normalmente non di gestione ma che nessuna regione ha, finora, descritto nel dettaglio. 6.3. BUDGET DI DIPARTIMENTO E SISTEMI GESTIONALI AZIENDALI

Ciascun dipartimento è dotato di un budget prefissato (Emilia Romagna, Friuli V.G., Lombardia, Marche, Piemonte, Veneto, Umbria). “Il bilancio del dipartimento è costituito sulla base di distinte voci relative ai costi delle risorse umane, tecniche e strutturali assegnate, nonché ai consumi previsti per beni e servizi, ivi compresi i farmaci, emoderivati, emocomponenti, presidi, protesi, reattivi, mezzi di contrasto, etc. Dovrà inoltre comprendere, separatamente, eventuali finanziamenti per programmi e progetti dipartimentali, per attività di formazione ed aggiornamento, didattiche e di ricerca. (ASSR,

Campania, Umbria)

All’inizio di ogni anno il direttore generale, con riferimento alla pianificazione aziendale, concorda con i responsabili dei dipartimenti i programmi ed i progetti annuali, compresi quelli di natura interdipartimentale, assegnando le relative risorse. La direzione del dipartimento a sua volta, sulla base di tali indicazioni , articola al suo interno il bilancio assegnato, destinando specifiche risorse alle unità operative, dopo aver concordato con i rispettivi responsabili, i programmi ed i piani di attività annuali che le singole unità operative svolgeranno nell’ambito degli obiettivi programmati dal dipartimento. Le risorse, nel loro complesso, dovranno essere riscontrate in termini di “risultati”, “prodotti”, ed “obiettivi” raggiunti, a seconda della metodologia adottata e della tipologia di prestazioni erogate, tenuto conto dei programmi dell’azienda, delle indicazioni regionali e dei dati epidemiologici di riferimento”. (ASSR, Campania)

Su questi aspetti il Friuli pone specifica attenzione ai seguenti temi che appaioni particolarmente interessanti ed appropriati:

la necessità della gradualità nella progressione ed estensione del budget di dipartimento;

Una volta determinati i budget del dipartimento e quello di singola unità operativa permane, ovviamente, la responsabilità di ciascuno per la propria parte di gestione, uso delle risorse e raggiungimento degli obiettivi previsti;

il dipartimento è definito autorità sovraordinata rispetto alle unità operative ma questo va riferito alla competenza gestionale esclusivamente delle parti dipartimentali, “comuni”, che sono quindi non più gestite direttamente dalle singole unità operative, ma dal dipartimento “al di sopra e per” le singole unità operative. Le funzioni e le responsabilità tecnico-professionali, sia sotto il profilo di organizzazione che di gestione, sono sempre in carico ai responsabili di unità operative, per le risorse assegnate.

Detto questo sul budget appare particolarmente impegnativa l’affermazione della regione Lombardia secondo cui “i dipartimenti hanno autonomia organizzativa ed economico-finanziaria al fine di assicurare le attività istituzionali e gli obiettivi di “budget” concordati con la Direzione generale”. La realizzazione dei dipartimenti determina quindi anche una revisione dei sistemi gestionali dell’azienda che gradualmente dovrà avere sempre più come referente il dipartimento e sempre meno la singola unità operativa. Questo modifica il modo di funzionare di tutto l’ospedale e dunque anche dei suoi meccanismi e procedure gestionali. Per cui il sistema informativo, la pianificazione e il controllo di gestione, il sistema degli

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incentivi e il controllo di qualità dell’azienda, la gestione del budget avranno sempre più come referente principale il dipartimento. Tutto questo, ovviamente, comporta, come primo effetto, che ogni dipartimento dovrà disporre di un supporto tecnico-amministrativo che opererà per il dipartimento e le sue unità operative. Tale nucleo essenziale di personale, dovrà essere dotato delle necessarie competenze professionali, per occuparsi soprattutto: - della segreteria amministrativa del dipartimento; - del funzionamento degli organi del dipartimento; - della gestione del sistema informativo di dipartimento. Anche su questo ultimo aspetto c’è larga convergenza tra le regioni che hanno scelto il modello “aziendalistico” o “partecipativo”. Si segnala, ma solo a titolo di curiosità, che la regione Sardegna ha addirittura previsto in ogni dipartimento un ufficio di cassa economale con il compito di provvedere alle minute spese connesse con la gestione dei servizi. Il che appare, almeno in questa fase, probabilmente eccessivo. Tra le regioni che hanno invece scelto il modello “non gestionale”, stanti le minori competenze del dipartimento, il problema appare meno urgente ed importante tanto che nessuno lo ha trattato.

6.4. LA GESTIONE DEL PERSONALE INFERMIERISTICO E TECNICO

Diverse regioni (Emilia Romagna, Friuli, Marche ecc.) hanno anticipato la legge nazionale prevedendo l’istituzione in ogni azienda sanitaria del Servizio infermieristico. Le funzioni del servizio infermieristico sono quelle della gestione del personale infermieristico ed ausiliario, della definizione e lo sviluppo di modelli assistenziali, della verifica e del miglioramento della qualità delle funzioni assistenziali ed alberghiere ed infine della promozione di iniziative di formazione, aggiornamento e di ricerca. Seguendo questa logica il Servizio infermieristico viene articolato e sviluppato su livelli diversificati di responsabilità in funzione delle specificità e delle esigenze delle singole unità operative, dei dipartimenti e dell’azienda sanitaria. Di conseguenza, in ogni dipartimento dell’azienda potrà operare un referente infermieristico - caposala di dipartimento - che, attraverso i caposala assegnati alle unità operative o al dipartimento dovrà rispondere:

a) dell’assistenza infermieristica e delle attività domestico alberghiere; b) della gestione e dell’allocazione del personale infermieristico, degli operatori tecnici dell’assistenza e degli ausiliari; c) della verifica della qualità dell’assistenza infermieristica e delle attività domestico alberghiere.

Il caposala di dipartimento, individuato dal Direttore generale, sentito il direttore del dipartimento e il responsabile del servizio infermieristico aziendale, tra caposala che rispondono a predefiniti ed oggettivi criteri, concorre al raggiungimento degli obiettivi del dipartimento rapportandosi, per quanto di rispettiva competenza, con il direttore del dipartimento e con il responsabile del servizio infermieristico della azienda sanitaria. Analogamente, nei dipartimenti in cui è prevalente la presenza di personale tecnico-sanitario o ostetrico dovrà essere individuato un responsabile (per esempio “capo tecnico di dipartimento”) per la gestione di tale personale secondo lo schema precedentemente individuato per il personale infermieristico. Tali figure (caposala di dipartimento, capotecnico di dipartimento ecc.), laddove presenti, qualora non facciano parte della componente elettiva del comitato di dipartimento sono, di norma, invitate alle riunioni dello stesso, mentre in altri casi (Friuli V.G., Veneto) ne fanno parte di diritto.

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Lo schema illustrato è sostanzialmente condiviso dalle poche regioni che si sono occupate esplicitamente di questo aspetto: Campania, Friuli, Marche, innanzitutto e poi anche Emilia Romagna e ASSR. La Campania però, rispetto al modello esplicitato prevede che sia il Comitato di dipartimento ad individuare il coordinatore del personale infermieristico ed ausiliario del dipartimento o di quello del personale tecnico sanitario. La durata dell’incarico è di tre anni, rinnovabile ma non immediatamente, come il capo dipartimento. Inoltre tali figure non sono invitate ai lavori del comitato di dipartimento e le loro funzioni vengono individuate apparentemente con una autonomia più limitata di quella identificata nel modello di base. La Regione Umbria invece ha previsto che sia il responsabile/i di gestione del personale non laureato (servizio infermieristico) a far parte del Consiglio di dipartimento ma questo può essere complicato se significa che il responsabile del servizio infermieristico partecipa a tutti i comitati di dipartimetno dell’ospedale. 7.6.5. FORMAZIONE E AGGIORNAMENTO

L’introduzione di nuovi modelli organizzativi richederà una maggior assunzione di responsabilità gestionali da parte dei professionisti con particolare riguardo ai responsabili di dipartimento. Sarà necessario a questo proposito avviare percorsi formativi e di aggiornamento in grado di sviluppare i molteplici aspetti della gestione ed organizzazione con particolare riferimento alla gestione delle risorse umane, indirizzati ai responsabili dei dipartimenti e al resto del personale interessato.

7. GLI INCENTIVI ALLA DIPARTIMENTALIZZAZIONE.

Uno degli obiettivi della dipartimentalizzazione è quello di realizzare migliori condizioni di lavoro e di maggiore efficacia assistenziale e dunque di maggiore soddisfazione del paziente. Ma anche il sistema premiante in mano alle aziende sanitarie dispone, oggi, di vari strumenti per incentivare gli operatori. Un gruppo di incentivi è rappresentato dagli strumenti di partecipazione alla direzione dell’azienda (il collegio di direzione, il consiglio dei sanitari, le conferenze di dipartimento). Il coinvolgimento e la partecipazione al governo dell’azienda degli operatori rappresenta un incentivo a lavorare meglio e con maggiore responsabilizzazione, in un’ottica non più settoriale ma che tenga conto degli interessi di tutta l’azienda che sono poi gli interessi della comunità assistita. Un altro gruppo di incentivi sono rappresentati dagli incentivi economici agli operatori. Fra questi troviamo, per esempio: a) la retribuzione di posizione per il responsabile del dipartimento, delle unità operative e dei moduli. Il contratto 1994-1997 prevede infatti (art. 56 e allegato 6) che il responsabile

del dipartimento possa aggiungere al proprio stipendio una retribuzione di posizione che può oscillare da un minimo di 28 milioni ad un massimo di 70 milioni l’anno. Come è noto questa disposizione è legata al divieto di esercitare l’attività libero professionale esterna. Una retribuzione di posizione oscillante fra gli 8 milioni e i 60 milioni spetta anche ai responsabili dei moduli “con particolare riguardo a quelli che hanno valenza dipartimentale (art. 56 comma 1 lett. b). Spetta al direttore generale, sulla base della graduazione delle funzioni dei singoli dirigenti, stabilire l’effettiva entità della retribuzione di posizione (graduazione della retribuzione di posizione) e la valutazione dei risultati conseguiti dai singoli dirigenti.

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b) il trattamento accessorio legato alla produttività del personale del comparto dell’area sanità e alla retribuzione di risultato per i dirigenti. c) il risultato economico positivo dell’esercizio che può essere destinato all’incentivazione del personale. Infatti il D. Lgs. 229/1999 (art. 5 c. 5) stabilisce che le regioni debbono

stabilire la destinazione dell’eventuale avanzo di amministrazione. Diverse regioni (come le Marche per esempio) prevedono già, nella loro normativa, di utilizzare tali risorse per gli investimenti in conto capitale, per oneri di parte corrente e per eventuali forme di incentivazione al personale da definire in sede di contrattazione. Occorre che il sistema premiante scelto a livello di azienda preveda che l’eventuale avanzo di amministrazione venga redistribuito, secondo le destinazioni della legge, ai dipartimenti che lo hanno prodotto; solo in questo modo gli operatori si sentiranno responsabilizzati e fortemente motivati a perseguire costantemente gli obiettivi posti. Il sistema degli incentivi è variegato e stimolante. Risulta del tutto evidente che l’erogazione di questi incentivi dovrà essere saldamente legata alla realizzazione degli obiettivi del dipartimento. Su questa parte solo la regione Marche ha fatto una riflessione esplicita ed approfondita.

8. RESPONSABILITA’ E AUTONOMIA DECISIONALE.

La realizzazione dei dipartimenti richiede la definizione dei livelli di responsabilità e di autonomia relativamente a tre aspetti principali:

a) la definizione dei livelli decisionali all’interno del dipartimento; b) la definizione delle competenze (o sfere decisionali) dell’organo o degli organi decisionali del dipartimento; c) la definizione dei rapporti tra direzione generale, direzione medica dell’ospedale, direzione dei dipartimenti e direzione delle unità operative.

8.1. I LIVELLI DECISIONALI DEL DIPARTIMENTO. I LIVELLI DECISIONALI Le regioni italiane, fino a tutto il 1999, hanno previsto che la direzione del dipartimento è assicurata da:

a) il direttore (o responsabile) del dipartimento; b) il comitato (o consiglio) di dipartimento.

Quasi tutte le regioni hanno previsto tutti e due i livelli decisionali: il direttore del dipartimento (o coordinatore, o responsabile o Capo) e il comitato di dipartimento (o consiglio). Sono infatti previsti nelle Regioni Abruzzo, Basilicata, P.A. Bolzano, Campania, Emilia Romagna, Friuli, Lazio, Lombardia , Marche, Molise, Sicilia, Umbria , Valle d’Aosta, Veneto, e dall’ASSR. La regione Sicilia non ha ancora definito la composizione del Comitato. Ma ci sono anche le regioni in cui il comitato non è stato previsto esplicitamente come in Piemonte, Sardegna e Toscana. Quando poi aggiungiamo le funzioni che i due livelli decisionali devono svolgere registriamo una ulteriore diversificazione: nel gruppo che affida le funzioni decisionali al direttore troviamo 8 regioni – Basilicata, Emilia Romagna , Friuli V.G., Lombardia, Piemonte, Puglia, Veneto e Toscana appartenenti al modello “aziendale” e 2 regioni - Lazio e Sardegna - appartenenti al modello “non gestionale” mentre nel gruppo che

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affida i compiti deliberanti al Comitato troviamo sette regioni - Abruzzo, P.A. Bolzano, Campania, Marche, Molise, Sicilia e Umbria - più l’ASSR (modello “partecipativo”) (cfr. fig. 1). Tutti gli schemi sono validi. Noi preferiamo lo schema che affida le competenze deliberative al comitato di dipartimento. Siamo giunti a questa conclusione dopo una analisi dei motivi che hanno impedito la realizzazione dei dipartimenti sino ad oggi. Ebbene, se la dipartimentalizzazione, nel passato, non è partita una delle resistenze - una delle più forti - è sempre venuta dalle unità operative e dai responsabili delle stesse che temevano di perdere irrimediabilmente la propria autonomia all’interno del dipartimento affidato ad un terzo soggetto. La soluzione che abbiamo trovato per superare questa preoccupazione che produce ostacoli consistenti alla dipartimentalizzazione è stata quella della “responsabilizzazione” e “partecipazione”. Ogni responsabile di unità operativa è membro del comitato di dipartimento ed è questo - e non il direttore - l’organismo che assume le decisioni del comitato. In questo caso ognuno si sente soggetto protagonista della nuova organizzazione, responsabilizzato in modo pari agli altri e senza alcun interesse ad estraniarsi dal progetto dipartimentale. Inolte si abitua a discutere con gli altri dei problemi del dipartimento sperimentando anche sul fronte amministrativo quella integrazione e collaborazione sanitaria interdisciplinare indispensabile per migliorare l’efficacia e la qualità dell’assistenza. Il recente D. Lgs. 229/1999 ha previsto esplicitamente sia il direttore di dipartimento che il Comitato di dipartimento cosa che invece la precedente normativa non faceva. Questo comporta che le regioni che non hanno previsto il Comitato , e fra queste sicuramente il Piemonte, la Sardegna e la Toscana, provvedano ad inserirlo tra gli organi del dipartimento. IL COMITATO DI DIPARTIMENTO Uno dei modelli prevede che il comitato di dipartimento sia composto: a) dai responsabili di tutte le unità operative appartenenti al dipartimento; b) da una rappresentanza dei dirigenti di primo livello eletta fra gli stessi, secondo quanto previsto dal regolamento di organizzazione dell’azienda; c) da un rappresentante del personale tecnico e sanitario non medico eletto fra gli stessi. Le nuove figure di caposala di dipartimento, di coordinatore dei tecnici di dipartimento, ecc. laddove presenti, qualora non facciano parte della componente di diritto (Friuli VG, Veneto) o elettiva del comitato di dipartimento sono, di norma, invitate alle riunioni dello stesso (Marche). Nella composizione del comitato di dipartimento riteniamo che si debbano seguire i seguenti principi. Innanzitutto occorre pensare ad un comitato rappresentativo ma con un numero di membri assai contenuto in modo tale che possa mantenere l’agilità necessaria per un organo che deve assumere degli orientamenti o delle decisioni. Riteniamo che inserire automaticamente tutti i responsabili dei moduli (proposto per esempio dalla ASSR) squilibri fortemente la composizione del comitato direttivo. Inserirli significherebbe ribaltare completamente gli equilibri gerarchici all’interno del dipartimento e comprometterebbe la realizzazione e il funzionamento dei dipartimenti stessi. Ciononostante riteniamo che una rappresentanza dei dirigenti di 1° livello debba far parte del comitato di dipartimento. Non possiamo quantificarla perché non sarà dappertutto uguale visto che i dipartimenti saranno assai diversi. In un dipartimento formato da due unità operative difficile pensare a più di un rappresentante dei dirigenti di 1° livello nel comitato di dipartimento. Mentre in un dipartimento formato, per esempio, da 6 unità operative i rappresentanti possono essere di più. Spetterà all’azienda stabilirne il numero tenendo conto delle singole realtà, delle caratteristiche del dipartimento e dei rapporti fra

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le varie categorie di dirigenti. Nella determinazione del numero dei rappresentanti dei dirigenti di 1° livello si tenga conto, in particolare, della necessità di non ribaltare gli equilibri gerarchici all’interno del dipartimento con il rischio serio compromettere la realizzazione e il funzionamento del dipartimento stesso. Questo comporta che , all’interno del comitato di dipartimento, i dirigenti di 1° livello insieme al rappresentante del personale tecnico e sanitario non medico non possono essere numericamente superiori ai responsabili delle unità operative appartenenti al dipartimento. Per quel che riguarda invece invece i responsabili delle unità operative val la pena di precisare che riteniamo debbano essere dirigenti di 2° livello o , in mancanza e transitoriamente , dirigenti di 1° livello se responsabili di unità operative autonome. Si preferisce non inserire nel comitato di dipartimento – diversamente da quanto suggeriva l’ASSR - il responsabile della gestione amministrativa del dipartimento anche se lo stesso dovrà partecipare alle riunioni del comitato di dipartimento come necessario supporto amministrativo. A tale figura abbiamo preferito quella di un rappresentante del personale tecnico e sanitario non medico che riteniamo più utile soprattutto per garantire un clima di maggiore consenso e partecipazione di tutto il personale sanitario nella realizzazione e gestione del dipartimento. La definizione della rappresentanza dei dirigenti di 1° livello e le modalità elettive della stessa e del rappresentante del personale tecnico e sanitario non medico sono stabilite, a livello di azienda, con il regolamento del dipartimento o di organizzazione dell’azienda. Ovviamente fra il personale tecnico e sanitario non medico è ricompreso anche il personale della riabilitazione. Questo è lo schema che raccoglie il maggior consenso e che è stato scelto dalla regione Marche e, in buona sostanza, anche dalla Basilicata (nel PSR 1990-1992), dalla Sicilia che prevede una rappresentanza dei dirigenti di 1° livello e del personale non medico in misura rispettivamente pari al 50% dei responsabili delle unità operative presenti nel dipartimento e dal Veneto che prevede una quota elettiva di dirigenti sanitari di 1° livello pari al 50% dei dirigenti sanitari di 2° livello nonché il coordinatore di dipartimento dei caposala o capotecnici nominato dal direttore generale. Nei dipartimenti funzionali invece il consiglio è composto solo dai responsabili delle unità operative. . Ma è proprio su questo aspetto - la composizione del comitato di dipartimento - che abbiamo registrato la più ampia varietà di ipotesi, fermo restando che tutti hanno previsto la presenza di tutti i responsabili delle unità operative del dipartimento. Per l’interesse che esse suscitano, soprattutto perché coinvolgono la gran parte delle categorie professionali, riteniamo di doverle riportare, seppur sinteticamente, nella tab. 3 (con l’avvertenza che i responsabili delle unità operative apparteneneti al dipartimento non vengono riportati perché sono stati previsti da tutte le regioni). Come si può vedere ci sono ben 12 diverse combinazioni nella composizione dei comitati di dipartimento. La maggior parte delle regioni, oltre ai responsabili di unità operative, ha previsto altre figure mediche, in alcuni casi (Abruzzo, Basilicata, Marche, Sicilia e Veneto) come rappresentanza dei medici di 1° livello ed in altri casi (Campania, Friuli, Molise e Umbria) come responsabili dei moduli. Anche il personale infermieristico e tecnico è rappresentato nella gran parte delle regioni, a volte con caposala o responsabili del servizio infermieristico ed altre volte con una rappresentanza elettiva del personale infermieristico. In tre casi (Campania, Emilia Romagna, e Lombardia) partecipa ai comitati anche la direzione sanitaria di azienda o di presidio ospedaliero.

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Tab.3 – Composizione dei comitati di dipartimento.

REGIONI Composizione del comitato di dipartimento

oltre ai responsabili di unità operative

ASSR, Molise

I responsabili dei moduli organizzativi; Responsabile dell’amministrazione del dipartimento. Possono essere invitati: i responsabili dei moduli professionali o altre figure come il responsabile del personale non laureato.

Abruzzo Dirigenti di incarico a valenza dipartimentale; Due rappresentanti dei medici di 1° livello; Due rappresentanti del restante personale.

Basilicata,Marche

Una rappresentanza (minoritaria) elettiva dei dirigenti di primo livello; Un rappresentante elettivo del personale tecnico e sanitario non medico. Caposala o capo-tecnico di dipartimento invitato permanente.

Campania I responsabili dei moduli funzionali; Il direttore sanitario del presidio o suo rappresentante.

Emilia Romagna

Un rappresentante della direzione assistenziale (servizio infermieristico); Eventualmente integrato da un rappresentante della direzione sanitaria.

Friuli V. G. I responsabili dei moduli; Il referente infermieristico; Rappresentanti di altre professionalità.

Lazio, Puglia, Valle d’Aosta

Nessuna altra figura.

Lombardia Un rappresentante della direzione sanitaria di azienda o di presidio; Il direttore (o suo delegato) del servizio farmaceutico di azienda; Il responsabile (o suo delegato) del servizio infermieristico di azienda; Uno o più rappresentanti della direzione amministrativa di azienda o di presidio

Sicilia Una rappresentanza elettiva dei dirigenti di primo livello pari al 50% dei responsabili delle unità operative; Un rappresentante elettivo del personale sanitario pari al 50% dei responsabili delle unità operative;

Toscana I 6 responsabili delle aree funzionali ospedaliere; Altri dirigenti delle singole unità operative ospedaliere, universitarie o di gestione del personale infermieristico; I 5 responsabili dei dipartimenti territoriali.

Veneto Dipartimenti strutturali: Una rappresentanza elettiva dei dirigenti di primo livello pari al 50% dei responsabili delle unità operative; Il coordinatore di dipartimento dei caposala o capotecnico nominato dal direttore generale Dipartimenti funzionali: nessuna altra figura.

Umbria I responsabili dei moduli organizzativi autonomi; una rappresentanza del moduli organizzativi, inclusi nelle unità operative; il responsabile del personale del servizio infermieristico; Altro personale individuato dal Direttore generale in funzione della corretta gestione amministrativa.

Fonte: Norme regionali di riferimento.

Non mancano previsioni atipiche come quella della Lombardia che prevede in ogni Comitato la presenza del direttore (o suo delegato) del servizio farmaceutico di azienda o

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come quella ella P.A. di Bolzano che affida al regolamento aziendale il compito di definire la composizione del comitato. Ma un caso assolutamente unico è costituito dalla Toscana che prevede un solo dipartimento per tutto l’ospedale con eccezione dell’area dell’emergenza che costituisce dipartimento a sé stante. Fanno parte del comitato direttivo del dipartimento i 6 responsabili delle aree funzionali ospedaliere, altri dirigenti (non quantificati) delle singole unità operative ospedaliere, universitarie o di gestione del personale infermieristico. A queste figure si aggiungono i responsabili dei 5 dipartimenti territoriali. Questi diversi schemi hanno i loro pregi e difetti ma è importante valutarli tenendo conto del modello di dipartimento in cui vanno ad inserirsi. Certo, risulta abbastanza difficile comprendere il modello toscano e come lì riescano a nominare anche i responsabili delle aree funzionali omogenee che per legge non hanno competenze gestionali che invece spettano al dipartimento. E’ evidente però che un comitato piuttosto ampio e rappresentativo può essere utile in un modello in cui a decidere è il direttore del dipartimento ma diventa subito negativo in quel modello dipartimentale in cui a decidere è il comitato stesso e che per questo ha la necessità di numeri non molto ampi. Ciononostante un allargamento eccessivo del comitato (anche senza raggiungere i curiosi livelli della Toscana) porta spesso ad una sua svalutazione e ad una pericolosa deresponsabilizzazione dei dirigenti di 2° livello che va evitata. Ma anche il suo contrario e cioé un comitato ristretto composto dai soli responsabili delle unità operative manca di una necessaria rappresentatività che può garantire la responsabilizzazione e il consenso di tutti gli operatori. La soluzione ottimale è dunque un punto intermedio che tiene conto di tutte queste valutazioni. Il recente D. Lgs. 229/1999, relativamente a questo aspetto, non introduce novità confermando che spetta alla regione disciplinare la composizione del Comitato di dipartimento (art.17-bis c.3). IL DIRETTORE DEL DIPARTIMENTO Il direttore (o coordinatore o capo) del dipartimento è un dirigente di secondo livello responsabile di una delle unità operative facenti parte del dipartimento, nominato dal direttore generale all’interno di una rosa di nominativi proposti dal comitato di dipartimento. La procedura prescelta per la nomina del direttore - che poi è anche quella suggerita dall’ASSR - si ritiene migliore delle altre due ipotesi: la nomina diretta da parte del direttore generale o da parte del comitato direttivo. L’una infatti non tiene conto della necessità della ricerca di un consenso che possa creare il clima giusto all’interno del dipartimento mentre l’altra non tiene conto del nuovo sistema aziendalistico e dei nuovi livelli di responsabilità. La funzione di direttore del dipartimento è aggiuntiva per cui egli mantiene nel contempo la responsabilità della propria unità operativa. Questo schema è stato scelto dall’ASSR, dall’Emilia Romagna, dalla Campania , dalla Lombardia , dalle Marche, dal Molise, e dall’Umbria. L’ Umbria prevede di sentire il parere del direttore sanitario di azienda e di presidio. Inoltre per i dipartimenti misti la stessa regione afferma che laddove la funzione assistenziale viene svolta in primo luogo dalle professionalità mediche del SSN appare opportuno che le scelte in merito all’individuazione del responsabile di dipartimento siano affidate alla direzione aziendale e vengano effettuate all’interno di una terna di nomi di cui almeno uno relativo alle professionalità universitarie. Le altre regioni propongono procedure, ancora una volta, assai diversificate come risulta dalla tab.4 che in genere prevedono la nomina diretta da parte del direttore generale, in

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qualche caso, sulla base della proposta della direzione sanitaria d’azienda o di presidio. Colpisce, in questo quadro l’ipotesi completamente elettiva proposta dalla Sardegna. Poche regioni, invece, si esprimono sulla durata dell’incarico del direttore; per le Marche l’incarico è biennale, per il Veneto è almeno biennale mentre per l’Abruzzo, la Campania e l’Umbria è triennale ed è rinnovabile. Il D. Lgs. 229/1999 non sembra apportare molte modifiche alla situazione attuale. Nel testo del Decreto si prevede infatti che "Il direttore di dipartimento è nominato dal direttore generale fra i dirigenti con incarico di direzione delle strutture complesse aggregate nel dipartimento; il direttore di dipartimento rimane titolare della struttura complessa cui è preposto" (art.17-bis). Tutto questo era già previsto anche nella normativa precedente. L'unica novità sta nel fatto che il Decreto prevede che siano le regioni a disciplinare le modalità di partecipazione del Comitato di dipartimento alla individuazione dei direttori dello stesso. Questo potrebbe significare, per esempio, che i Comitati di dipartimenti vengano chiamati ad esprimere una rosa di candidati fra i quali il Direttore generale sceglie il direttore di dipartimento; in questo probabile caso sarebbero molte le regioni che dovrebbero rivedere la loro legislazione su questo specifico aspetto.

Tab. 4 – Procedure per la nomina dei direttori dei dipartimenti:

REGIONE PROCEDURA PER LA NOMINA DEL D.G.

ASSR, Campania, Emilia Romagna, Lombardia, Marche, Molise, Umbria

Nominato dal direttore generale all’interno di una rosa di nominativi proposti dal comitato di dipartimento. In Umbria si sente anche il parere del direttore sanitario di azienda e di presidio; nelle rose di nomi dei dipartimenti misti deve comparire almeno un universitario.

Abruzzo, Bolzano, Friuli, Sicilia, Toscana, Valle d’Aosta

Nominato dal direttore generale (nella P.A. di Bolzano sentito il direttore sanitario e nella Valle d’Aosta sentito il Comitato di dipartimento) ).

Basilicata,Piemonte, Puglia, Veneto

Nominato dal direttore generale su proposta del direttore sanitario. In Veneto si sente anche il Consiglio di dipartimento.

Lazio Nominato dall’Ufficio di direzione (abolito da tempo).

Sicilia Eletto dal Comitato fra i responsabili apicali.

Toscana Nominato (il responsabile delle aree funzionali) dal direttore generale su proposta del direttore sanitario d’azienda o di presidio.

Fonti: norme regionali di riferimento.

8.2. LE ATTRIBUZIONI DEI LIVELLI DECISIONALI DEL DIPARTIMENTO. Il dipartimento e i suoi livelli decisionali non hanno alcuna competenza clinica. Le singole unità operative che compongono il dipartimento o, meglio, i medici delle singole unità operative mantengono - all’interno del dipartimento - tutta la loro autonomia e responsabilità tecnico-professionale in ordine alle patologie di competenza professionale nei limiti delle mansioni e funzioni assegnate. I livelli decisionali del dipartimento hanno una competenza organizzativa e gestionale. IL COMITATO DI DIPARTIMENTO

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Nel modello dipartimentale “partecipativo” è il comitato di dipartimento che ha la funzione deliberante. Il Comitato di dipartimento delibera con la maggioranza dei voti espressi. A parità di voti prevale il voto del direttore del dipartimento. Il Comitato di dipartimento, di norma, assume decisioni, nel rispetto delle direttive della direzione generale, sui seguenti argomenti:

a) la gestione in comune del personale non medico; b) l’utilizzo in comune degli spazi e delle attrezzature; c) la sperimentazione e l’adozione di modalità organizzative volte al miglioramento

dell’efficienza e all’integrazione delle attività delle strutture del dipartimento per raggiungere il miglior servizio al costo più contenuto;

d) il coordinamento e lo sviluppo delle attività cliniche, di ricerca, di formazione, di studio e di verifica della qualità delle prestazioni;

e) il miglioramento del livello di umanizzazione dell’assistenza erogata all’interno delle strutture del dipartimento;

f) il coordinamento con le attività extraospedaliere connesse alle funzioni del dipartimento;

g) la gestione delle risorse finanziarie assegnate al dipartimento; h) stabilisce i modelli per la verifica e la valutazione della qualità dell’assistenza

fornita; i) propone i piani di aggiornamento e riqualificazione del personale, programma e

coordina le attività di didattica, di ricerca scientifica e di educazione sanitaria; j) nvia al direttore generale i nominativi dei dirigenti di 2° livello per la nomina del

Capo dipartimento; k) valuta altresì ogni altra proposta o argomento che gli venga sottoposto dal Capo

dipartimento o da singoli appartenenti al dipartimento stesso, in relazione a problemi od eventi di particolare importanza.

Questo schema, dove è il comitato che decide (modello “partecipativo”), è stato scelto dall'Abruzzo, dalla Campania , dalle Marche, dal Molise, dall’Umbria , dalla P.A. di Bolzano e dall’ASSR. Oltre a quelle indicate l’Umbria ha aggiunto anche le seguenti funzioni:

adotta e/o adatta alle specifiche esigenze del dipartimento le linee guida utili per un più corretto indirizzo diagnostico terapeutico;

stabilisce gli obiettivi da raggiungere nel corso dell’anno;

programa i fabbisogni di risorse sia di personale che di dotazione strumentale, valutandone le priorità;

redige un resoconto tecnico-economico delle attività svolte;

propone i gruppi interdipartimentali;

valuta e propone, tramite il responsabile di dipartimento, al direttore del presidio ospedaliero unificato l’eventuale inserimento di unità operative nel dipartimento e/o l’istituzione di moduli;

regolamento l’attività libero professionale secondo liste d’attesa presenti nei servizi e le possibilità logistiche esistenti nelle strutture.

Si riporta anche il caso della Valle d’Aosta perché è la prima regione a definire le funzioni del Direttore del dipartimento dopo l’approvazione del D.Lgs. 229/1999 e lo fa recependo i contenuti dell’art.17 bis e quindi ampliando le competenze del direttore ma nel contempo mantenendo le funzioni deliberative di tipo programmatorio in capo al comitato di dipartimento. È quindi il primo tentativo di trovare un nuovo equilibrio fra direttore e comitato del dipartimento. A questo proposito la Valle d’Aosta ha stabilito che il Comitato di dipartimento: a) stabilisce i modelli di organizzazione e programma il lavoro del dipartimento; b) programma la razionale utilizzazione del personale e propone la mobilità del personale

fra le unità operative del dipartimento nell’ottica dell’integrazione dipartimentale;

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c) assicura la disponibilità di risorse per l’attività specialistica ambulatoriale e per l’assistenza a programmazione specifica erogate dai distretti;

d) fornisce indicazioni per la gestione del budget di dipartimento; e) collabora alla predisposizione del budget di dipartimento; f) propone i fabbisogni di risorse sia di personale che di dotazione strumentale,

valutandone le priorità; g) propopne i gruppi operativi interdipartimentali, h) valuta e propone, tramite il direttore di dipartimento, l’eventuale inserimento di unità

operative nel dipartimento o l’istituzione di strutture semplici; i) propone l’organizzazione dell’attività libero-professionale intramuraria del dipartimento

secondo le direttive stabilite dall’azienda USL; j) assicura l’informazione e la partecipazione degli altri dirigenti e degli altri operatori

assegnati al dipartimento alla propria attività. In tutte le altre regioni che hanno scelto il modello “aziendalistico” - Emilia Romagna, Friuli, Lombardia, Puglia e Veneto - il comitato (o consiglio) di dipartimento si configura come uno strumento consultivo di indirizzo, proposta e verifica di tutte le attività principali inerenti al dipartimento stesso. Il dipartimento può fare proposte indirizzate al capo dipartimento o alla direzione strategica, relative ad aspetti di interesse dipartimentale per quanto attiene a obiettivi generali e specifici, richieste di risorse, assetti organizzativi o gestionali, programmi di formazione e aggiornamento, cambiamenti nella composizione del dipartimento. Il comitato esprime dunque proposte e pareri, in qualche caso, come in Emilia Romagna e in Lombardia, obbligatori ma non vincolanti. Infine l’unica regione del modello “non gestionale” che si esprime su questo argomento, il Lazio, lo fa solo per rinviare le eventuali competenze del comitato al regolamento di organizzazione.

IL DIRETTORE DEL DIPARTIMENTO Il direttore, nel modello dipartimentale "partecipativo":

a) assicura il funzionamento del dipartimento, attuando i modelli organizzativi stabiliti dal comitato di dipartimento;

b) verifica la conformità dei comportamenti e i risultati con gli indirizzi generali forniti dal direttore generale dell’azienda;

c) rappresenta il dipartimento nei rapporti con la direzione generale e gli organismi esterni;

d) gestisce le risorse attribuite al dipartimento secondo le indicazioni del comitato di dipartimento;

e) convoca e presiede il comitato di dipartimento; f) convoca la conferenza di dipartimento.

Questo è lo schema adottato dalla Campania , dalle Marche, dal Molise dall’Umbria e dall’ASSR. Può essere utile rilevare che la regione Campania ha aggiunto anche che il Capo dipartimento stabilisce, sentito il comitato di dipartimento ed in base al programma formativo stabilito dal Consiglio della scuola di specializzazione, i turni degli specializzandi assegnati al dipartimento, i periodi di permanenza degli stessi presso le unità operative e presso i moduli nonché i criteri di verifica dell’attività svolta dagli specializzandi. Interessante è il caso della Valle d’Aosta perché è la prima regione a definire le funzioni del Direttore del dipartimento dopo l’approvazione del D.Lgs. 229/1999 e lo fa recependo i contenuti dell’art.17 bis e quindi ampliando le competenze del direttore ma nel contempo mantenendo le funzioni deliberative principali in capo al comitato di dipartimento. È quindi

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il primo tentativo di trovare un nuovo equilibrio fra direttore e comitato del dipartimento. A questo proposito la Valle d’Aosta ha stabilito che la nomina a direttore di dipartimento comporta l’assunzione sia di responsabilità professionale in materia clinico-organizzativa e della prevenzione, sia di responsabilità di tipo gestionale in ordine alla razionale e corretta programmazione e gestione delle risorse assegnate per la realizzazione degli obiettivi attribuiti. Il direttore del dipartimento in particolare:

a) predispone il piano annuale delle attività definendone gli obiettivi, nel rispetto degli indirizzi delpiano attuativo locale;

b) assicura il funzionamento del dipartimento; c) promuove le verifiche periodiche sulla qualità e appropriatezza delle prestazioni; d) controlla la corrispondenza dei comportamenti con gli indirizzi generali definit

dal piano delle attività e dell’utilizzazione delle risorse disponibili, nell’ambito della gestione del personale;

e) rappresenta il dipartimento nei rapporti con il direttore generale, il direttore sanitario e il direttore amministrativo;

f) gestisce le risorse attribuite al dipartimento secondo le indicazioni del piano attuativo locale.

Nelle regioni che hanno scelto il modello “aziendale” le cose cambiano radicalmente in quanto tutte le funzioni decisionali vengono concentrate in capo al direttore (o responsabile) del dipartimento. Il capo dipartimento in questi casi ha la diretta responsabilità nella gestione del budget assegnato al dipartimento e risponde della corretta realizzazione delle attività programmate e del raggiungimento degli obiettivi stabiliti dalla direzione strategica. I compiti e le funzioni del capo dipartimento possono essere così sintetizzati:

negoziare il budget e gli obiettivi dipartimentali con la direzione strategica;

programmare e gestire il budget di dipartimento;

organizzazione generale del dipartimento;

programmi generali di formazione; garanzia di continuità dei servizi;

pianificazione e gestione generale dei programmi per la verifica e la promozione della qualità delle prestazioni sanitarie;

integrazione intra ed interdipartimentale;

pianificare la utilizzazione del budget assegnato ed, in particolare, definire le priorità per l’allocazione delle risorse all’interno del dipartimento;

negoziare il budget ed i piani di attività delle unità operative;

rendere partecipi i responsabili delle unità operative , il referente infermieristico ed i rappresentanti delle altre professionalità delle esigenze della direzione strategica;

portare le esigenze delle unità operative alla direzione strategica;

dirigere la gestione delle risorse comuni del dipartimento. Per i compiti e le funzioni più importanti occorrerà che il direttore del dipartimento, prima di decidere, acquisisca il parere del comitato di dipartimento. La direzione strategica si limiterà ad esprimere le strategie generali, a delineare i risultati attesi dal processo riorganizzativo e a delineare i campi di possibile applicazione della messa in comune di risorse a livello dipartimentale. Su questa base, spetterà ai capi dipartimento approfondire e dettagliare l’organizzazione operativa, confrontandosi con i responsabili di unità operativa, per prospettare alla direzione strategica e alla direzione ospedaliera (nel caso di ospedali non costituiti in azienda) la proposta organizzativa da adottare. Questo schema è sostanzialmente condiviso dalla Basilicata, dall’Emilia Romagna, dal Friuli, dalla Lombardia, dal Veneto, dal Piemonte, dalla Puglia.

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Assimilabile a questo modello è quello delle aree funzionali della Toscana che affida al responsabile delle aree funzionali le seguenti funzioni: a) è responsabile del budget e della programmazione operativa dell’area; b) dirige il personale delle strutture organizzative professionali assegnato direttamente

all’area per lo svolgimento delle proprie funzioni. Il Veneto propone poi una differenziazione delle modalità di direzione a seconda che il dipartimento sia strutturale o funzionale. Nel dipartimento strutturale le attribuzioni sopra elencate competono al direttore del dipartimento, al quale competono decisioni che riguardano l’intero ambito delle unità operative che compongono il dipartimento. Nel dipartimento funzionale le unità operative, contribuiscono all’attività di dipartimento con quella frazione delle proprie attività che è inerente alle finalità del dipartimento funzionale. Il ruolo di responsabile di dipartimento si configura quindi come coordinatore di progetto il cui mandato consiste nell’allineare più unità operative legate da rapporti di interdipendenza verso un obiettivo comune. Un po’ confuso è lo schema delle competenze degli organi dipartimentali offerti dalla regione Sicilia ciononostante una lettura attenta delle recentissime diposizioni normative ci pare che possa permeterci di collocare la regione in questo gruppo, almeno per quel che riguarda i dipartimenti strutturali (nulla si dice invece del dipartimento funzionale). Riferisce infatti il PSR siciliano 2000/2002, riprendendo il D.Lgs 229/1999, che la preposizione ai dipartimenti strutturali comporta l’attribuzione sia di responsabilità professionale in materia clinico-organizzativa e della prevenzione, sia di responsabilità di tipo gestionale in ordine alla razionale e corretta programmazione e gestione delle risorse assegnate per la realizzazione degli obiettivi attribuiti. A tal fine il Direttore di dipartimento predispone annualmente il piano delle attività e dell’utilizzazione delle risorse disponibili”, negoziato con la direzione generale nell’ambito della programmazione aziendale. Sul fronte del “modello non gestionale” le norme mantengono aspetti non del tutto chiariti. La sola regione che se ne occupa esplicitamente - il Lazio - afferma che: "Il coordinatore d’area dipartimentale svolge compiti analoghi a quelli del coordinatore dei distretti, compiti comunque sottordinati a quelli del responsabile del corrispondente dipartimento per l’assistenza sanitaria, sentiti comunque i dirigenti delle unità operative , che rimangono comunque competenti e responsabili delle decisioni sulle scelte da adottare nei riguardi degli interventi preventivi, clinici, diagnostici e terapeutici." Riprendendo le competenze del coordinatore del distretto possiamo per analogia dire che il coordinatore delle aree dipartimentali ospedaliere , in relazione alla autonomia economico-finanziaria, contabile e gestionale ad esso conferita, ne assicura la direzione organizzativa per garantire la realizzazione degli obiettivi assistenziali nonché l’efficienza delle strutture e dei servizi in esso compresi. Il tutto va letto ricordano che, per la regione Lazio, i dipartimenti, di norma, non hanno competenze gestionali. In tutte le regioni il responsabile del dipartimento fa parte del Consiglio dei Sanitari e, in Umbria, anche della Direzione ospedaliera aziendale.

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LE ATTRIBUZIONI DEI LIVELLI DECISIONALI IN BASE AL D. LEGISLATIVO 229/1999.

Il D. Lgs. 229/1999 (Art. 17-bis. c.2 ) definisce le attribuzioni del direttore di dipartimento stabilendo che "La preposizione ai dipartimenti strutturali, sia ospedalieri che territoriali e di prevenzione, comporta": 1. l’attribuzione di responsabilità professionali in materia clinico-organizzativa e della

prevenzione; 2. l’attribuzione di responsabilità di tipo gestionale in ordine alla razionale e corretta

programmazione e gestione delle risorse assegnate per la realizzazione degli obiettivi attribuiti;

3. l'attribuzione del compito di predisporre annualmente il piano delle attività e dell’utilizzazione delle risorse disponibili, negoziato con la direzione generale nell’ambito della programmazione aziendale.

Non c'è dubbio che il legislatore abbia voluto valorizzare la figura del responsabile del dipartimento strutturale con una formulazione che meglio si adatta al modello "aziendale" scelto da molte regioni italiane, anche se alcuni aspetti non sono del tutto chiari. Per esempio la sottolineatura relativa al dipartimento "strutturale" può forse significare che nel caso di dipartimento funzionale i punti di riferimento normativi possono cambiare? Inoltre val la pena di sottolineare che sarà l'atto aziendale (Art.15-bis, c.1), con autonoma decisione e quindi con la flessibilità necessaria, a disciplinare in modo più dettagliato l'attribuzione al direttore di dipartimento dei compiti, comprese le decisioni che impegnano l'azienda verso l'esterno, per l'attuazione degli obiettivi definiti nel piano programmatico e finanziario aziendale. Per cui ci sembra di poter dire che potremo anche avere una modulazione dei compiti affidati al direttore del dipartimento in relazione agli orientamenti e ai progetti delle singole aziende.

Oltre al direttore il D.Lgs. 229/1999 prevede anche il Comitato di dipartimento le cui funzioni sono disciplinate dalle singole regioni (art. 17-bis c.3). Pochissimo si dice sul ruolo del Comitato salvo che partecipa alla individuazione dei direttori di dipartimento con modalità che le regioni devono stabilire. Il Decreto però afferma anche che "La programmazione delle attività dipartimentali, la loro realizzazione e le funzioni di monitoraggio e di verifica sono assicurate con la partecipazione attiva degli altri dirigenti e degli operatori assegnati al dipartimento" (art.17-bis, c.2), affermazione che avrebbe ben poche possibilità di efficace sviluppo se non fosse associata alle funzioni da assegnare al Comitato di dipartimento, "organo" operativo in cui sono rappresentate quelle stesse figure chiamate a partecipare a quelle importanti funzioni. La normativa introdotta dal D. Lgs. 229/99 è compatibile con gli attuali modelli dipartimentali delle regioni italiane, fatti salvi gli ovvi aggiustamenti che la legge richiede? 1. Il modello "aziendale" è quello che si avvicina di più alla recente mormativa ed è

senz'altro compatibile;

22.. Per fare la valutazione relativamente al modello "partecipativo" occorre chiedersi se la norma escluda o tenda ad escludere un ruolo decisionale del Comitato di dipartimento. Da questo punto di vista la normativa non sembra univoca. Da una parte c'è il richiamo all'art.17-bis comma 3, al ruolo del comitato nella individuazione del direttore ed anche la norma che stabilisce gli ambiti di autonomia del responsabile di struttura complessa "nell'ambito degli indirizzi operativi e gestionali del dipartimento di appartenenza". Attenzione, in questa norma si parla di indirizzi formulati dal dipartimento e non dal direttore che certo sarebbe stato possibile se la lettura del testo fosse stata più univoca. Peraltro non si può neanche dimenticare la normativa che assegna al direttore compiti precisi ed importanti ma che, occorre dirlo, in parte possono essere ricondotti a funzioni esecutive da esercitarsi con strumenti efficaci. La conclusione a cui siamo pervenuti è che il modello dipartimentale "partecipativo" potrebbe essere

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compatibile con la nuova normativa a patto che si ridefinisca, potenziandolo, il ruolo del direttore. Questo significa che il modello può essere mantenuto se si affidano esplicitamente al direttore le funzioni di negoziare il budget con la direzione generale e di conseguenza di predisporre annualmente il piano delle attività e dell’utilizzazione delle risorse disponibili, passaggi a cui si può giungere con il necessario supporto elaborativo di tutto il Comitato. Occore infine prevedere strumenti efficaci in mano al Direttore del dipartimento che possano permettergli di gestire la fase esecutiva delle deliberazioni del Comitato così che non ci sia contraddizione fra responsabilità assegnate e strumenti di governo per il loro esercizio. A questo fine, una ipotesi di questa nuova ripartizione delle competenze fra direttore e comitato di dipartimento viene proposta nella tab. 5.

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Tab. 5 – Ipotesi di ripartizione delle competenze nel dipartimento “partecipativo”

DIRETTORE COMITATO DI DIPARTIMENTO Negozia con la direzione generale il budget

di dipartimento

Esprime le linee di indirizzo per la negoziazione

del budget di dipartimento

Predispone annualmente il piano delle

attività e dell’utilizzazione delle risorse

disponibili nel rispetto del budget e degli

obiettivi assegnati

Approva il piano delle attività e dell’utilizzazione

delle risorse disponibili nel rispetto del budget e

degli obiettivi assegnati

Presiede il collegio tecnico per la verifica

triennale dei dirigenti del dipartimento con

incarico di struttura, semplice o complessa,

relativamente alle attività professionali svolte

e ai risultati raggiunti

Propone alla direzione aziendale l’articolazione

delle strutture semplici del dipartimento e la

graduazione delle posizioni dirigenziali,

gestionali e professionali

Assicura il funzionamento del dipartimento,

dando attuazione ai modelli organizzativi

stabiliti dal comitato di dipartimento

Dispone i criteri e le modalità per gestione in

comune del personale non medico al fine del

raggiungimento degli obiettivi assegnati

Verifica la conformità dei comportamenti e i

risultati con gli indirizzi generali forniti dal

direttore generale dell’azienda

Dispone i criteri e le modalità per l’utilizzo in

comune degli spazi e delle attrezzature al fine

del raggiungimento degli obiettivi assegnati

Emana direttive al personale del

dipartimento per le decisioni assunte dal

comitato di dipartimento e per il

raggiungimento degli obiettivi assegnati

Definisce i criteri generali di gestione del

dipartimento, in base al budget assegnato dalla

direzione generale

Rappresenta il dipartimento nei rapporti con

la direzione generale e gli organismi esterni

Dispone la sperimentazione e l’adozione di

modalità organizzative volte al miglioramento

dell’efficienza e all’integrazione delle attività

delle strutture del dipartimento per raggiungere

il miglior servizio al costo più contenuto

Gestisce le risorse attribuite al dipartimento

secondo le indicazioni del comitato di

dipartimento

Il coordinamento e lo sviluppo delle attività

cliniche, di ricerca, di formazione, di studio e di

verifica della qualità delle prestazioni

Convoca e presiede il comitato di

dipartimento

Il miglioramento del livello di umanizzazione

dell’assistenza erogata all’interno delle strutture

del dipartimento

Convoca la conferenza di dipartimento Approva annualmente, entro il mese di

febbraio, la relazione sull’attività svolta

nell’anno precedente, utilizzando a tal fine il

sistema di valutazione generale aziendale e gli

standard di qualità dipartimentali

Cura il coordinamento con le attività

extraospedaliere connesse alle funzioni del

dipartimento

Definisce le richieste di acquisto di attrezzature

e di arredi necessari al funzionamento del

dipartimento e delle strutture complesse

Definisce gli standard di qualità dei servizi e

delle prestazioni erogate e i programmi di

valutazione dell’attività all’interno del

dipartimento, sulla base delle linee guida

aziendali

Propne al Direttore generale una rosa di nomi

fra cui scegliere il direttore di dipartimento.

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Nei dipartimenti ad attività integrata (ospedale-università), fermo restando quanto proposto nella precedente tabella, il riparto delle competenze andrebbe integrato da quanto contenuto nella tab. 5 bis, secondo quanto indicato nel D. Lgs. 517/1999:

Tab.5 bis – integrazione delle competenze nel caso di dipartimento ad attività

integrata.

DIRETTORE COMITATO DI DIPARTIMENTO Assicura l’utilizzazione delle strutture

assistenziali e lo svolgimento delle relative

attività da parte del personale universitario

ed ospedaliero per scopi di didattica e di

ricerca.

Esprime un vice direttore del dipartimento

appartenente ad amministrazione diversa da quella

del direttore.

Gestisce le risorse attribuite al dipartimento

secondo le indicazioni del comitato di

dipartimento tenendo anche conto delle

necessità di soddisfare le peculiari esigenze

connesse alle attività didattiche e scientifiche.

Predispone annualmente il piano delle attività

e dell’utilizzazione delle risorse disponibili nel

rispetto del budget e degli obiettivi

assegnati tenendo anche conto delle

necessità di soddisfare le peculiari esigenze

connesse alle attività didattiche e scientifiche.

33.. Il modello "non gestionale" non è compatibile con il D. Lgs. 229/99 nell'ipotesi del dipartimento strutturale, dato che la norma fa esplicito riferimento alla gestione di risorse assegnate al dipartimento. Nel caso del dipartimento funzionale rimane il dubbio già esplicitato circa la volontà di non regolamentare tale tipo di dipartimento.

Il Decreto stabilisce, infine, anche le attribuzioni dei dirigenti con incarico di direzione di

struttura complessa a cui sono affidate, "oltre a quelle derivanti dalle specifiche competenze professionali, funzioni di direzione e organizzazione della struttura, da attuarsi, nell'ambito degli indirizzi operativi e gestionali del dipartimento di appartenenza, anche mediante direttive a tutto il personale operante nella stessa, e l'adozione delle relative decisioni necessarie per il corretto espletamento del servizio e per realizzare l'appropriatezza degli interventi con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche e riabilitative, attuati nella struttura loro affidata. Il dirigente è responsabile dell'efficace ed efficiente gestione delle risorse attribuite. I risultati della gestione sono sottoposti a verifica annuale tramite il nucleo di valutazione (art.15, c.6). Tali funzioni saranno più dettagliatamente precisate con l'atto aziendale che disciplina l'attribuzione, dei compiti, comprese le decisioni che impegnano l'azienda verso l'esterno, per l'attuazione degli obiettivi definiti nel piano programmatico e finanziario aziendale.

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8.3. I RAPPORTI FRA IL DIPARTIMENTO E GLI ALTRI LIVELLI DI DIREZIONE. La costituzione del dipartimento comporta notevoli modifiche all’interno della organizzazione ospedaliera. Nella prospettiva del processo di dipartimentalizzazione occorre considerare l’esigenza di rivisitare il ruolo e le funzioni della direzione sanitaria e del servizio infermieristico, in quanto con lo sviluppo dell’attività dipartimentale è prevedibile che alcune funzioni, più operative, siano progressivamente assorbite dallo stesso. Ciò implica, da un lato, il permanere dei compiti già individuati dalle normative nazionali e regionali che avranno come interlocutori non solo le unità operative ma anche i dipartimenti e, dall’altro, una maggiore attenzione della direzione sanitaria e del servizio infermieristico alle problematiche strategiche, alla formazione del personale, allo sviluppo di strumenti di integrazione e di programmi per il miglioramento della qualità dell’assistenza. Il dipartimento si colloca infatti in un livello nuovo che va ad erodere funzioni sia alla direzione sanitaria dell’ospedale che alla direzione delle unità operative. Tutto questo richiede una ridefinizione delle singole competenze in particolare oltre che del dipartimento anche della direzione sanitaria e della direzione delle singole unità operative e del rapporto fra questi. Per quanto attiene al processo decisionale relativo all'organizzazione dipartimentale ed alla definizione dei rapporti tra direzione strategica, capi dipartimento e unità operative, possono essere qui delineate solo delle linee di riferimento. In linea generale, si può prospettare che la definizione degli obiettivi perseguiti con il processo di dipartimentalizzazione, l’individuazione del modello organizzativo dipartimentale e delle sue possibili tendenze evolutive a livello di singola azienda, siano definiti dalle direzioni strategiche (D.G. - D.S. - D.A.) e da queste per il tramite della direzione ospedaliera (dirigente medico e dirigente amministrativo) nel caso di ospedali non costituiti in azienda. Queste ovviamente, si limiteranno ad esprimere le strategie generali, a delineare i risultati attesi dal processo riorganizzativo e a delineare i campi di possibile applicazione della messa in comune di risorse a livello dipartimentale. Su questa base, spetterà alla direzione del dipartimento approfondire e dettagliare l’organizzazione operativa per prospettare alla direzione strategica e alla direzione ospedaliera (nel caso di ospedali non costituiti in azienda) la proposta organizzativa da adottare. Definiti gli obiettivi e l’organizzazione del dipartimento è ipotizzabile - nel caso di aziende sanitare con ospedali non costituiti in azienda - che vi siano due livelli di negoziazione: uno tra direzione generale e direzione ospedaliera, per quanto attiene alla gestione delle attività ospedaliere nella loro globalità, e uno tra direzione strategica, direzione ospedaliera e capi dipartimento , responsabilità di unità operative per quanto attiene, rispettivamente, alla gestione delle attività del dipartimento e delle singole unità operative. Si può dunque prevedere che siano la direzione generale dell’azienda e i direttori dei dipartimenti e i responsabili delle unità operative a partecipare alla negoziazione per quanto attiene alla gestione delle attività del dipartimento e che siano, invece, la direzione strategica dell’azienda e i direttori dei dipartimenti e i responabili delle unità operative a partecipare alla negoziazione per quanto attiene alla gestione elle attività delle singole unità operative. In questa logica assume centralità, nelle grandi USL, la direzione ospedaliera che funge da snodo essenziale nel processo decisionale. Se da un lato, infatti, sviluppa le indicazioni della direzione strategica e agendo in nome e per conto della stessa ne traduce in operatività le strategie definite, dall’altro, sviluppa un continuo confronto con i dipartimenti, le unità operative e le loro articolazioni organizzative, sia singolarmente che con il comitato di dipartimento. Nel caso di ospedali-azienda la negoziazione interviene tra direzione generale e capi dipartimento, per quanto attiene la gestione delle attività del dipartimento e tra direzione generale, capo dipartimento e unità operative, per quanto attiene alla gestione delle attività delle singole unità operative. In questo contesto lo snodo essenziale nel

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processo decisionale è svolto dal capo dipartimento che viene a rappresentare nell’operatività la saldatura tra direzione strategica e unità operative. In entrambi i casi partecipano al processo di negoziazione, anche se in fasi diverse, sia i capi dipartimento che i responsabili di unità operativa.

Questo è lo schema proposto sostanzialmente dall’Emilia Romagna, dal Friuli e dalle Marche. In Umbria il percorso è simile: all’inizio di ogni anno la direzione sanitaria ospedaliera (di cui fanno parte anche i direttori dei dipartimenti) definisce con i responsabili dei dipartimenti i programmi triennali ed i progetti annuali, compresi quelli di natura interdipartimentale, tenendo conto dei piani di attività negoziati con la direzione aziendale. Il responsabile del dipartimento a sua volta, sulla base di tali indicazioni e sentito il Consiglio di dipartimento articola al suo interno il bilancio assegnato: - riservando al dipartimento la quota stabilita di risorse di area comune; - destinando specifiche risorse alle unità operative , dopo aver concordato con i rispettivi responsabili, i programmi triennali ed i piani di attività annuali che le singole unità operative svolgeranno nell’ambito degli obiettivi programmati dal dipartimento. Le risorse nel loro complesso dovranno essere riscontrate in termini di risultati raggiunti e di prodotti forniti, in relazione agli obiettivi di salute e di servizio. Va gestita bene invece la previsione legislativa che rinvia alla programmazione regionale la definizione delle modalità di integrazione fra dipartimento ospedaliero, dipartimenti territoriali e rete distrettuale per evitare che blocchi l’iniziativa aziendale in questo campo.

9. I DIPARTIMENTI INTERAZIENDALI I dipartimenti interaziendali sono modalità organizzative innovative che realizzano l’integrazione e/o il coordinamento e la collaborazione fra unità operative che appartengono ad aziende sanitarie diverse. Il dipartimento interaziendale può essere:

gestionale (o tecnico-gestionale) che ha l’obiettivo della gestione integrata di attività assistenziali appartenenti ad aziende sanitarie diverse;

tecnico-scientifico, che è invece caratterizzato da una bassa o irrilevante formalizzazione operativa e gestionale ma con un ruolo alto di “authority”, con funzioni di indirizzo professionale e culturale e di governo “tecnico” di determinati settori o discipline sanitarie.

L’esempio tipico del dipartimento interaziendale gestionale è quello del dipartimento di salute mentale laddove questo vede l'aggregazione di unità operative dell'azienda ospedaliera e dell'ASL appartenenti allo stesso territorio. Si tratta di una struttura organizzativa complessa che può realizzarsi attraverso apposite convenzioni tra le aziende sanitarie coinvolte. Ma ulteriori dipartimenti interaziendali gestionali, e cioé quelli che prevedono un uso unitario ed integrato delle risorse, si possono teoricamente realizzare anche in altri settori, per favorire un uso coordinato ed integrato delle risorse assistenziali in ambiti vasti che coinvolgano più aziende sanitarie. I dipartimenti interaziendali tecnico-scientifici invece sono modalità organizzative che, senza disporre di competenze gestionali, realizzano il coordinamento e la collaborazione fra unità operative che appartengono ad aziende sanitarie diverse. Esso si realizza soprattutto nella cooperazione di unità operative appartenenti a discipline omogenee. L’obiettivo del dipartimento interaziendale tecnco-scientifico è quello di creare una

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struttura a rete dislocata nel territorio con il fine di coordinare l’attività della disciplina dal punto di vista professionale e culturale con l’elaborazione di linee guida, di protocolli, con l’adozione di uguali procedure informatiche, per il collegamento in rete di tutte le unità operative coinvolte, per la formulazione di proposte di riorganizzazione del settore di competenza alle aziende interessate e alla regione ecc. nel rispetto delle singole autonomie aziendali e professionali. Più nel dettaglio è possibile affermare che i compiti e le finalità del dipartimento interaziendale sono:

a) realizzare una migliore e più efficace assistenza sanitaria negli aspetti della prevenzione, diagnosi e terapia attraverso il coordinamento e la cooperazione delle unità operative coinvolte; b) migliorare il livello dell’attività delle strutture facenti capo al dipartimento, garantendo i collegamenti operativi e modalità omogenee di accesso alle prestazioni sanitarie e di presa in carico e dimissione del paziente; c) promuovere l’attività di ricerca, l’aggiornamento professionale di tutti gli operatori nonché la verifica e la revisione della qualità delle prestazioni; d) definire le linee guida ed i protocolli affinché si possano orientare le diverse equipe di operatori verso uno standard uniforme ed elevato, teso a garantire il miglior livello di prestazioni possibile con il minor dispendio di risorse; e) proporre una rete informativa unica del dipartimento anche ai fini della gestione dei pazienti e per l’abbattimento delle liste d’attesa; f) uniformare la classificazione e la rilevazione delle prestazioni e dei dati di gestione; g) formulare proposte di riorganizzazione del settore di competenza alle aziende interessate e alla Giunta regionale.

La partecipazione delle unità operative ospedaliere ad un dipartimento interaziendale tecnico scientifico non è alternativa alla partecipazione ai dipartimenti aziendali. Il dipartimento interaziendale tecnico-scientifico è una possibilità in più che hanno le unità operative che sono invece tenute, di norma, a partecipare ai dipartimenti aziendali. Il dipartimento interaziendale può coinvolgere due o più unità operative appartenenti ad aziende diverse, ma può anche assumere dimensione provinciale o regionale laddove riunisca tutte le unità operative appartenenti alla medesima disciplina o partecipanti al medesimo progetto nel territorio provinciale o regionale. Trattandosi di un dipartimento interaziendale tecnico-scientifico le norme previste per i dipartimenti aziendali non sono applicabili, se non in minima parte, tenuto conto che le competenze gestionali non sono significative. I livelli decisionali del dipartimento ospedaliero interaziendale sono costituiti da: a) il coordinatore del dipartimento interaziendale; b) il comitato di dipartimento interaziendale. Le modalità organizzative e di funzionamento del dipartimento interaziendale tecnico-scientifico e dei suoi livelli decisionali sono stabilite dal regolamento del dipartimento che le aziende interessate sono tenute ad approvare insieme alle modalità di recepimento (o meno) delle decisioni del dipartimento interaziendale da parte delle aziende coinvolte. L’iniziativa per la costituzione dei dipartimenti interaziendali spetta alle aziende sanitarie o alle singole unità operative interessate fermo restando che anche la Regione, a cui spetta l’approvazione dei regolamenti, può promuovere la costituzione dei dipartimenti interaziendali. La Giunta regionale può riservarsi la facoltà di approvare uno schema di regolamento-tipo del dipartimento ospedaliero interaziendale che definisca le modalità di funzionamento e di organizzazione di questa innovativa previsione.

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Questo è lo schema proposto dalla regione Marche che, a questo proposito, ha già approvato le disposizioni per la costituzione dei dipartimenti interaziendali tecnico-scientifici di medicina trasfusionale in ambito provinciale e quello regionale di cardiologia. In buona parte è anche il modello dalla regione Molise che però li chiama dipartimenti regionali. La regione Molise in particolare intende realizzare il dipartimento regionale di oculistica e quello di nefrologia e si riserva di sperimentare il dipartimento regionale di oncologia, quello di riabilitazione e quello di cardiologia. In questo caso però viene prevista una importante differenza; il Molise assegna a questi dipartimenti significative competenze gestionali che arrivano fino alla assegnazione e gestione del budget, aspetti questi da approfondire e precisare meglio in atti non ancora emanati dalla della Giunta Regionale (regolamento tipo del dipartimento regionale e accordi fra le aziende). Abbastanza simile è anche l'ipotesi della regione Toscana che prevede la possibile costituzione dei dipartimenti interaziendali cui è preposto un coordinatore nominato dal direttore generale. Per questa regione il dipartimento interaziendale che è la struttura funzionale di direzione di attività o di coordinamento di procedure operative può qualificarsi come:

dipartimento di coordinamento tecnico, finalizzato a garantire a livello interaziendale l’omogeneità delle procedure operative in relazione ad azioni programmate, progetti obiettivo o specifici processi produttivi;

dipartimento operativo interaziendale, finalizzato a dirigere, attraverso apposito budget, attività omogenee svolte da più aziende nell’ambito di area vasta. Il fine è quello di ottimizzare l’impiego delle risorse e di qualificare le prestazioni svolte in più presidi. In questo caso le aziende sanitarie, su iniziativa della Giunta Regionale, costituiscono questi dipartimenti. A tal fine i direttori generali individuano di concerto: a) il responsabile del budget; b) gli apporti di ciascuna azienda ai fini della determinazione del budget complessivo; c) il regolamento del dipartimento.

Anche la regione Friuli V.G. si occupa dei dipartimenti interaziendali proponendo il dipartimento orizzontale o dipartimento per obiettivi, costituito da unità operative appartenenti a diversi dipartimenti verticali ed anche ad aziende diverse. Il dipartimento orizzontale è una struttura di coordinamento delle unità operative che vi afferiscono per quanto attiene lo specifico obiettivo della aggregazione, ma non dotata, rispetto alle stesse di autorità sovraordinata generale. E’ una struttura che utilizza per i propri fini le risorse delle unità operative che vi afferiscono, nell'ambito dei budget dei dipartimenti verticali di appartenenza delle stesse. Per sua natura il dipartimento orizzontale non è necessariamente permanente, ma può costituirsi anche a termine per l’attuazione di un particolare programma integrato. I dipartimenti orizzontali interaziendali sono istituiti con specifici protocolli di intesa fra le aziende partecipanti. I dipartimenti verticali interaziendali per particolari aree possono essere previsti solo nell’ambito delle sperimentazioni gestionali. La regione Sicilia, invece, prevede la possibilità di realizzare i dipartimenti interaziedali in due sole ipotesi:

al fine di promuovere e sviluppare l’attività di prelievo e di trapianto di organi e tessuti;

o per le attività inerenti le alte specialità, ma esclusivamente in ambito comunale. Viene previsto un unico organo che è il Consiglio di dipartimento di cui fanno parte i direttori generali, i direttori sanitari e i direttori amministrativi delle aziende interessate. Il Consiglio è presieduto conrotazione annuale da uno dei direttori generali delle aziende. I compiti del dipartimento interaziendale sono gli stessi del dipartimento ospedaliero e quindi:

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la sperimentazione ed adozione di tutte le modalità organizzative che, a parità di qualità nei risultati ottenuti rispetto alla salute dell’utente,permettono un soggiorno più breve all’utente stesso in ospedale, con particolare riferimento al day hospital;

miglioramento del livello di umanizzazione nelle strutture del dipartimento;

sviluppo delle attività cliniche, di ricerca e di studio;

miglior efficienza ed integrazione delle attività delle unità operative del dipartimento.

10. I RISULTATI DELL’ASSISTENZA OSPEDALIERA.

La Regione Umbria ha ritenuto di incaricare il dipartimento della valutazione della propria attività ospedaliera. La regione a questo proposito ha proposto ai dipartimenti “l’attivazione dei seguenti supporti epidemiologici volti a misurare gli outcome da loro prodotti:

la mortalità a 30 giorni dalla dimissione, attraverso il linkage tra gli archivi di mortalità e le schede di dimissione ospedaliera;

i tassi di mortalità per complicanze successive a trattamenti ospedalieri;

i tassi di prevalenza ed incidenza delle infezioni ospedaliere;

segnalazioni di eventuali eventi considerabili, in base a fonti accreditate, “morti evitabili “, su cui condurre, nel più rigoroso anonimato indagini di caso da cui poi sviluppare processi di valutazione di qualità;

elaborazione statistiche sugli anni di vita potenziale perduta a 65 anni per le morti evitabili, che sorvegliano soprattutto l’efficacia dell’organizzazione ospedaliera nel prevenire i danni derivanti da alcune operazione chirurgiche di routine, dell’area materno infantile, dell’assistenza fornita in caso di incidente stradale e di decessi per morbo di Hodgkin;

valutazioni epidemiologiche inerenti l’efficacia dei trattamenti ospedalieri derivano infine dal follow up condotto sui casi di tumore relativi alle neoplasie prevenibili con lo screening nel sesso femminile.

Nel quadro del miglioramento della qualità dell’assistenza ospedaliera, devono essere sviluppati programmi triennali relativi all’applicazione di quanto previsto per l’assistenza ospedaliera dalla Carta dei Servizi, con particolare riguardo alle procedure per l’accoglienza, l’informazione e la partecipazione degli utenti.

11. SPERIMENTAZIONI E GRADUALITA’

I dipartimenti ospedalieri vanno attivati celermente. Ciononostante trattandosi di un processo complesso, rispetto al quale non si possono prospettare soluzioni definitive, occorre dare indicazioni che consentano:

un adattamento a realtà ospedaliere con caratteristiche dimensionali, qualitative ed istituzionali diversificate;

una flessibilità rispetto a specifiche sensibilità aziendali;

una sperimentazione ed un adeguamento progressivo prospettando anche modelli di riferimento a cui tendere, da perseguire con gradualità e prevedendo fasi di transizione, dovendosi superare problemi culturali, tecnici e giuridici.

Di conseguenza occorrerà procedere con gradualità, prospettando scenari organizzativi crescentemente innovativi, sottoposti a sperimentazione e progressivamente validati dall’esperienza acquisita.

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Da questo punto di vista particolarmente interessante è la proposta della regione Friuli che presenta proprio gli esempi, i passaggi, attraverso i quali si può avviare e proseguire la costruzione graduale dei dipartimenti. Questo schema è stato sviluppato soprattutto dalla regione Friuli, ma diverse altre regioni (Emilia Romagna, Lazio, Marche, Puglia,) si sono espresse a favore di un processo sperimentale e di crescita graduale del dipartimento. Tempi graduali ma assai più lunghi sono invece previsti dalla regione Piemonte che nel periodo 1997-1999 si poneva l’obiettivo prioritario dell’articolazione interna dei presidi ospedalieri per aree omogenee riservando carattere sperimentale alla dipartimentalizzazione.

CONCLUSIONI. In questi ultimi anni le regioni italiane hanno identificato tre diversi modelli dipartimentali ma con numerosissime varianti regionali. La recente approvazione del D. Lgs. 229/1999 salva il modello dipartimentale "aziendale", chiede aggiustamenti al modello "partecipativo" mentre sembra richiedere il superamento del modello "non gestionale", rimettendo dunque di nuovo in moto i processi normativi della gran parte delle regioni.

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2) Bondonio D.- Cestari R. (1994) “Analisi e prospettive del dipartimento ospedaliero” in ”

Organizzazione sanitaria” n.2/1994;

3) Agenzia per i servizi sanitari regionali (1996): “Proposta di linee guida per l’applicazione del modello

dipartimentale nelle strutture ospedaliere”;

4) Guzzanti E. - Mastrilli F. - Mastrobuono I. - Mazzeo M.C. (1994) “Aree funzionali omogenee e

dipartimenti” in “Federazione Medica” n.10/1994;

5) U. Montaguti “L’organizzazione dipartimentale nelle aziende sanitarie di USL e ospedaliere” in AA. VV.

, “Il medico e il management”, Accademia nazionale di medicina, 1997;

6) “Protocolli d’intesa Regione-Università il modello Veneto” in “Tendenze nuove” n.5/1998;

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9) AA.VV. (1996) “L’organizzazione dipartimentale nel processo di riordino della sanità pubblica”,

Università degli Studi di Bologna - SPISA, Bologna.

RIFERIMENTI NORMATIVI NAZIONALI 1 - D.P.R. 27/3/1969, n. 128: “Ordinamento interno dei servizi ospedalieri”; 2 - D.P.R. 27/3/1969, n. 129: “Ordinamento interno dei servizi di assistenza delle cliniche e degli istituti univerisitari di ricovero e cura”; 3 - L. 18/4/1975, n. 148: “Disciplina sull’assunzione del personale sanitario ospedaliero e tirocinio pratico”; 4 - D.M. Sanità 8/11/1976: “Orientamenti per l’attuazione delle strutture dipartimentali”; 5 - L. 23/12/1978, n. 833: “Istituzione del servizio sanitario nazionale”; 6 - D.P.R. 11/7/1980, n. 382: “Riordinamento della docenza universitaria, relativa alla fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica”; 7 - L. 23/10/1985, n. 595: “Norme per la programmazione sanitaria e per il piano sanitario triennale 1986-

1988”; 8 - L. 30/12/1991, n. 412: “Disposizioni in materia di finanza pubblica”; 9 - D. M. Sanità 29/1/1992: “Elenco delle alte specialità e fissazione dei requisiti necessari alle strutture sanitarie per l’esercizio delle attività di alta specialità”; 10 - D.P.R. 27/3/1992 “Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni per la determinazione dei livelli di assistenza sanitaria di emergenza”; 11 - D. Lgs. 30/12/1992, n. 502 e successive modifiche ed integrazioni:

“Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art. 1 della L. 23/10/1992, n.421”;

12 - D.P.R. 1/3/1994: “Approvazione del Piano sanitario nazionale per il triennio 1994-1996”; 13 - Provv. Presidente del Consiglio dei Ministri 4 agosto 1995: “Contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto sanità” 14 - L. 28/12/1995, n. 549: “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica”; 15 - M. Sanità: Linee di guida n. 1/1996 “Sistema di emergenza urgenza”; 16 - M. Sanità: Linee di guida n. 2/1996 “Profilo aziendale dei soggetti gestori dei servizi sanitari”. 17 - D.L. 17/5/1996 conv. L. 18/7/1996, n. 382: “Disposizioni urgenti nel settore sanitario”. 18 - P.P.C.M. 12/9/96 “Contratto dell’area della dirigenza medica e veterinaria del comparto sanità”. 19 - D.M. 31/7/1997: “Linee guida per la stipula dei protocolli d’intesa università-regioni”. 20 - L. 30/11/1998, n.419 "Delega al Governo per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale e per

l'adozione di un testo unico in materia di organizzazione e funzionamento del Servizio sanitario nazionale. Modifiche al Decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.502."

21 – D. Lgs. 19/7/1999, n.229 “Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario regionale, a norma dell’art.1 della Legge 30 nivembre 1998, n.419”.

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NORME REGIONALI

Abruzzo - L.R. 2 luglio 1999, n.37 “Piano sanitario regionale per il triennio 1999-2000”. Basilicata - L.R. 12/4/1990, n.14 “Piano sanitario regionale per il triennio 1990-1992”. Basilicata - L.R. 10/6/1996, n.27 “Riordino del servizio sanitario regionale”. Basilicata - D.Cons. reg. 30/12/1996, n.478 “Piano sanitario regionale 1997/1999”. Bolzano – D.G.P. 19/7/1999, n. 3028 “Approvazione del piano sanitario provinciale 2000-2002”. Calabria - L.R. 2/4/1995, n.9 “Piano sanitario regionale 1995/97”. Campania - L.R. 26/2/1998, n.2 “Piano regionale ospedaliero per il triennio 1997-99”. Emilia Rom. - D.G.R. n.1454/1997 “Istituzione dei dipartimenti ospedalieri nelle aziende sanitarie della

regione Emilia Romagna”. Emilia Rom. - D.C.R. 796 del 17/12/97 “Protocollo di intesa tra la regione Emilia Romagna e le Università degli

Studi di Parma, Bologna, Modena e Ferrara, ai sensi del 1° comma art. 6 del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni”.

Emilia Romagna – l.r. 25/2/2000, N.11 “Modifiche della L.R. 12/5/1994, n.19 “Norme per il riordino del Servizio sanitario regionale ai sensi del D.Lgs. 30/12/1992, n.502, modificato dal D.Lgs. 7/12/1993, n.517” e della L.R. 20/12/1994, n.50 “Norme in materia di programmazione, contabilità, contratti e controllo delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere” ai sensi del D.Lgs. 19/6/1999, n.229”.

Friuli - L.R.27/2/1995, n.13 “Revisione della rete ospedaliera regionale”. Friuli - DGR n.6619/1995 “L.R. 13/1995, art.22, comma 1° - L.107/1990 - 1° Piano di iintervento a

medio termine per l’area ospedaliera nel triennio 1995-1997 e piano regionali sangue, plasma e emoderivati”.

Friuli - DGR n.5016/1996 “Approvazione delle linee guide regionali sull’istituzione e regolamentazione dei dipartimenti ospedalieri verticali”.

Lazio - L.R. 20/9/1993, n.55 “Norme per la riorganizzazione della rete ospedaliera ai sensi della L. 30/12/1991, n. 412”.”.

Lazio - L.R. 16/6/1994, n.18 “Disposizioni per il riordino del Servizio sanitario regionale (...)”. Lazio - D.G.R. n.3140/1995 “Direttive per l’organizzazione e il funzionamento delle aziende

USL e delle aziende ospedaliere”. Lombardia - L.R. 11/7/1997 n.31 “Norme per il riordino del servizio sanitario regionale e sua integrazione

con le attività dei servizi sociali”. Lombardia - D.G.R. n. 34726/1998 “Approvazione delle linee guida per la organizzazione delle aziende

sanitarie locali e delle aziende ospedaliere”. Liguria - L.R. 8/8/1994, n.42 “Disciplina delle USL e delle aziende ospedaliere del Servizio sanitario

regionale”. Liguria - D. Cons. reg. 35 27/10/1998 “Protocollo generale d’intesa regionale/Università ex articolo 6 decreto legislativo 30 dicembre 1992 e art.8 Legge regionale 8 agosto 1994,

n.42”. Marche - L. R. 17/7/1996, n. 26: “Riordino del servizio sanitario regionale”. Marche - D.G.R. n. 3111/1997 “Attuazione L.R. n.26/1996 - Approvazione linee di indirizzo per l’adozione

da parte delle aziende USL del regolamento di organizzazione dei dipartimenti di salute mentale”.

Marche - D.G.R. n. 758/1998 “Disposizioni in ordine alla costituzione dei dipaartimenti interaziendali in medicina trasfusionale nella regione Marche”.

Marche - L.R.30/10/1998 n.36 “Sistema di emergenza sanitaria”. Marche - D.G.R. n.1616/1998 “L.R. 17/7/1996 n.26 art.23. Criteri e procedure per l’individuazione dei

dipartimenti e disposizioni in ordine alle modalità di funzionamento dei dipartimenti ospedalieri”.

Molise - L.R. 21/2/1997 n. 2 “Organizzazione generale delle aziende sanitarie locali”. Molise - D.G.R. 1095/1997 “L.R. 21 febbraio 1997, n.2 art.17 - Direttiva alle aziende sanitarie locali

sulla costituzione e sulle modalità di funzionamento dei dipartimenti ospedalieri”.

Piemonte - L.R. 24/1/1995, n.10 “Ordinamento, organizzazione e funzionamento delle Aziende sanitarie regionali”.

Piemonte - L.R. 12/12/1997, n.61 “Norme per la programmazione sanitaria e per il Piano sanitario regionale per il triennio 1997-1999”.

Puglia - L.R. 28/12/1994, n.36 “ Norme e principi per il riordino del Servizio sanitario regionale (...)”; Puglia - D.G.R. 1996 “Regolamento di organizzazione delle aziende sanitarie”. Sardegna - L.R. 26/1/1995, n.5 “Norme di riforma del servizio sanitario regionale”. Sicilia - L.R. 3/11/1993, n.30 “Norme in tema di programmazione sanitaria e di riorganizzazione

territoriale delle USL”. Sicilia – L.R. 6/4/1996, n.25 “Norme per il potenziamento, la razionalizzazione e il coordinamento

dell’attività di prelievo e di trapianto di organi e tessuti. Modifiche alla legge regionale 3 novembre 1993, n.30. Proroga di termini e norme in materia di variazione somme.”

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Sicilia – D.P. 11/5/2000 “Piano sanitario regionale 2000/2002. Toscana - L.R. 2/1/1995, n.1 “Disciplina sull’organizzazione e funzionamento delle U.S.L. e delle

aziende ospedaliere (...)”. Toscana - D.C.R. n. 527/1995 “Piano sanitario regionale 1996-98”. Toscana - L.R.30/9/1998, n.72 Norme sulle procedure e gli strumenti della programmazione sanitaria e sull’organizzazione del servizio sanitario regionale”. Toscana - D.C.R. 17/2/1999 n.41 “Piano Sanitario Regionale 1999/2001. Umbria - D.G.R. n.781/1997 “Indirizzi applicativi per la strutturazione dipartimentale, in via

sperimentale, dei presidi ospedalieri.” Umbria – L.R. 20/1/1998, n.3 “Ordinamento del sistema sanitario regionale”. Umbria - D.C.R. 1/3/1999, n. 647 “Piano sanitario 1999/2001”. Valle d’Aosta - L.R.16/4/97, n.13 “Nuova disciplina del Servizio sanitario regionale, approvazione del piano

socio-sanitario regionale per il triennio 1997-1999 e modificazioni alla dotazione organica di cui alla L.R. n.19/1992, come modificata dalla L.R. n.49/1995.

Valle d’Aosta – L.R. 25/1/2000, n.4 “Norme per la razionalizzazione dell’organizzazione del Servizio socio-sanitario regionale e per il miglioramento della qualità e dell’appropriatezza delle prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali prodotte ed erogate nella regione”.

Veneto - L.R. 14/9/1994, n. 56 “Norme e principi per il riordino del Servizio sanitario regionale (...)”. Veneto - L.R. 3/2/1996, n. 5 “Piano socio-sanitario regionale per il triennio 1996/1998”. Veneto - D.G.R. n.5271/1998 “Disposizioni per l’istituzione ed il funzionamento dei dipartimenti e delle

aree omogenee per le aziende USL ed ospedaliere (...)”. Veneto - D.G.R. n. 1742/1999 “Modificazioni alla D.G.R. n. 5271 del 2/12/1998 ad oggetto “Disposizioni

per ’istituzione ed il funzionamento dei dipartimenti e delle aree omogenee per le aziende USL ed ospedaliere”.