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I Cristiani e l’Impero Romano di Marta Sordi ToÚtò N…ka Liceo Classico Statale "Umberto I" 1

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I Cristiani e l’Impero Romano

di Marta Sordi

ToÚtò N…ka

Liceo Classico Statale "Umberto I" 1

I Cristiani e l’Impero romano

Liceo Classico Statale "Umberto I" 2

La vicenda dei rapporti tra Chiesa primitiva e autorità politica mostra come il cristianesimo non fu la causa della dissoluzione dell’impero.

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La vicenda dei rapporti tra Chiesa primitiva e autorità politica mostra come il cristianesimo non fu la causa della dissoluzione dell’impero. Il pensiero cristiano non fu mai ostile, salvo rare eccezioni, all’impero di Roma.

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Nei tre secoli che dividono l’ingresso del Cristianesimo nell’impero dalla conversione di Costantino, il rapporto fra i Cristiani e il potere imperiale appare articolato in modo complesso. Ogni generalizzazione è scorretta: a) sia quella, ormai superata, che faceva

dei tre secoli una persecuzione continuata;

b) sia quella che tende a minimizzare la portata delle persecuzioni, eliminandone addirittura alcune, come quella di Domiziano.

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La persecuzione fu resa legalmente possibile da un Senatoconsulto del 35 d.C., con cui il Senato — l’organo che in età giulio-claudia aveva il compito di accettare o respingere culti nuovi nell’impero — aveva rifiutato una proposta di Tiberio (14-37), interessato alla pacificazione della Giudea, di riconoscere la liceità del culto di Cristo, sottraendolo al controllo del Sinedrio.

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La persecuzione cominciô in realtà solo dopo il 62. Nerone (54-68) fu il primo ad applicare il senatoconsulto che proclamava il cristianesimo superstitio illicita ed a perseguitare spietatamente i Cristiani di Roma, incriminandoli per l’incendio del 64 (Tacito, Ann XV, 44). Dopo Nerone, solo Domiziano (81-96), deciso come lui a imporre il culto imperiale, perseguitò i Cristiani, presenti anche nella aristocrazia romana. Sotto Nerone, come sotto Domiziano, i cristiani furono colpiti negli stessi anni degli stoici, che costituivano ancora la miglior classe dirigente di Roma e si opponevano alla trasformazione teocratica del principato. Nerva (96-98) pose fine alla persecuzione.

Una martire cristiana, olio su tela del pittore Henryk Siemiradzki, 1897, Varsavia

Nerva Museo Capitolino inv. MC 417

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15 /12/37 - Nasce ad Anzio, Lucio Domizio Enobarbo, Nerone.

Marcus Ulpius Nerva Traianus "Optimus Princeps" (Italica, 18 settembre 53 – Selinus in Cilicia, 8 agosto 117)

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Traiano, invece, (98-117) non poté ripetere il veto da lui opposto, come già aveva fatto Tiberio, alle accuse di cristianesimo, perché si rese conto che l’opinione pubblica, in senato come nelle masse popolari, era ostile. Sebbene il culto imperiale non venga più imposto e sia usato spesso contro i cristiani solo come pretesto, per accusarli di mancato lealismo verso l’impero, specie nelle province orientali, il rifiuto da parte degli stessi Cristiani del culto di tutti gli dèi dell’impero, senza la copertura di un culto lecito come quello che la religione giudaica aveva fin dal tempo di Cesare, li esponeva all’accusa di ateismo e di tutte le colpe tenebrose o infami (i flagitia di cui parla Tacito) che la mentalità popolare attribuiva agli atei.

Martirio di S. Ignazio di Antiochia nel Colosseo Liceo Classico Statale "Umberto I" 10

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«La Domus Aurea di Nerone»

Così, per tutto il II secolo, da Traiano (del quale abbiamo il primo documento ufficiale: il rescritto a Plinio allora governatore della Bitinia) a Marco Aurelio (161-180), gli imperatori, convinti della non pericolosità politica del Cristianesimo, cercarono di limitare la persecuzione contenendola nei confini estremamente generici del senatoconsulto (Non licet esse Christianos) di una colpa individuale a carattere religioso, ignorando deliberatamente il Cristianesimo come Chiesa (la cui menzione avrebbe comportato la condanna come Collegium illicitum) e vietando rigorosamente la ricerca d’ufficio: i cristiani potevano essere accusati solo in base a denunce private non anonime ed erano praticamente incoraggiati alla clandestinità.

Traiano regnò dal 98 al 117 d. C. e fu il primo imperatore originario di una provincia dell'Impero e non di Roma.

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È 11 agosto 117 - succedendo a Traiano. Il principato di Adriano fu caratterizzato da numerosi viaggi nei vari territori dell'Impero e dal consolidamento dei confini rinunciando ai territori indifendibili. Rimase in carica dal 117 al 138.

Publio Elio Adriano diventa ufficialmente Imperatore di Roma

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Questa situazione di compromesso, contestata dai pagani intransigenti, che chiedevano la ricerca da parte dello Stato, e dai Cristiani che ne rilevavano le contraddizioni (e che cominciano in questo periodo, con apologie rivolte agli imperatori, a chiederne la correzione) continuò fino a Marco Aurelio, quando la diffusione fra i Cristiani dell’eresia montanista — con i suoi atteggiamenti antiromani e le sue provocazioni contro i templi e le statue degli dèi, alla ricerca del martirio — indussero l’imperatore ad aggirare il divieto di Traiano di cercare i cristiani, permettendo la ricerca di ufficio dei sacrilegi, ai quali l’opinione pubblica equiparava i Cristiani.

Nascita: Roma, 26 aprile 121. Morte: Vindobona o Sirmio, 17 marzo 180. Predecessore: Antonino Pio Successore: Commodo Coniuge: Faustina minore

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La pronta reazione della Grande Chiesa, con le numerose apologie degli anni 70 del II secolo (Atenagora, Melitone, Apollinare) e la netta presa di distanza dal fanatismo montanista, indusse Marco Aurelio, negli ultimi anni del suo regno, a cercare una soluzione: A) da una parte, egli chiedeva ai Cristiani di uscire dalla clandestinità (che peraltro non avevano scelto) e di manifestare il lealismo che essi professavano verso lo Stato con l’aperta collaborazione; B) dall’altra, egli minacciava la pena di morte agli accusatori dei Cristiani. Il cristianesimo restava Superstitio illicita, ma i cristiani non venivano ricercati in quanto tali: se denunciati e confessavano, venivano messi a morte, ma anche il loro accusatore veniva condannato. Ciò che avvenne, appunto, sotto Commodo (180-1 92), figlio di Marco Aurelio, all’accusatore del senatore cristiano Apollonio. In questo modo si permetteva alla Chiesa di uscire dalla clandestinità, agli aristocratici cristiani di rivestire cariche pubbliche e di servire lo Stato, e si scoraggiavano le accuse private. Qualora i cristiani venissero ritenuti pericolosi per l’ordine pubblico, l’accusa di sacrilegio permetteva la ricerca d’ufficio.

Crocifisso sulla parete del l’Anfiteatro Flavio di Pozzuoli ; Pozzuoli

del I sec.

Catacomba di S. Callisto Cripta dei Papi

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Sotto Commodo e poi sotto i Severi, la Chiesa esce dalla clandestinità e rivendica la proprietà dei luoghi di culto, di riunione e dei cimiteri, che fino a quel momento erano rimasti sotto la protezione della proprietà privata: si stabilisce una tolleranza di fatto, che non impedisce persecuzioni locali da parte di governatori di province personalmente ostili o costretti dalle folle, ma esclude persecuzioni generali.

Catacomba di S. Callisto

L'imperatore romano Commodo,

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La Dinastia dei Severi

Con Settimio Severo (193-211) i collegia religionis causa, che non hanno bisogno di riconoscimenti ufficiali, permettono alla Chiesa di esplicare in modo lecito le sue attività; al punto che, con Alessandro Severo (222-235), l’imperatore stesso — arbitro di una controversia fra la Chiesa di Roma e una corporazione professionale — può giudicare apertamente a favore della prima. L’organizzazione ecclesiastica è ben conosciuta e guardata con ammirazione.

14 aprile 193: Settimio Severo incoronato imperatore romano

Aurelius Alexander Severus, imperatore romano (Arca Cesarea, Fenicia, 208 - Magonza 235). Ultimo dei Severi, succedette nel 222 al cugino Eliogabalo

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Mentre la Scuola Catechetica di Alessandria, la prima “Università cristiana”, suscita stima e interesse anche fra i pagani. Agli imperatori e alle imperatrici non si dedicano più apologie, ma trattati di teologia: l’integrazione dei Cristiani dell’impero è ben avviata e con Filippo l’Arabo (244-249) abbiamo forse il primo imperatore cristiano

Ritratto maschile (Filippo l'Arabo) dalla Domus di Villa Rivaldi ed Icona del Teologo Origene (183-253 d.C.)

IL DIDASKALEION DI ALESSANDRIA D’EGITTO

La reazione avviene con Decio (249-251) che, senza nominare i cristiani, impone per editto a tutti i cittadini dell’impero il sacrificio agli dèi e il ritiro di un certificato (libello) per attestare l’avvenuto sacrificio: per i Cristiani, resi più fiacchi da un lungo periodo di pace, è il momento delle defezioni. Ma la massa dei lapsi (i cristiani che, minacciati, non dichiaravano la loro fede) che, forti dell’immunità ottenuta, chiedono di nuovo l’ammissione alla Chiesa, rivela la fortissima vitalità del Cristianesimo e l’inutilità della persecuzione condotta sulla linea esclusivamente religiosa del vecchio senatoconsulto

Decio, S. Cipriano Catacomba di S. Callisto, Martirio di S. Cipriano di Cartagine

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I nemici dei cristiani si rendono conto che se si vuole battere il Cristianesimo si deve combatterlo come Chiesa: con Valeriano (253-ca 260), nel 257, si abbandona per la prima volta la linea di Traiano, e si colpiscono con una serie di editti i membri del clero e i laici delle classi dirigenti, si confiscano i luoghi di culto e di sepoltura, si scatena una sanguinosa persecuzione generale

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Quando Gallieno (253-260: regnò insieme al padre), figlio di Valeriano, nel 260 vorrà ristabilire la pace nell’impero, dopo che il padre era stato sconfitto dai Persiani, non potrà limitarsi ad una tacita cessazione delle misure persecutorie, ma dovrà emanare il primo editto di tolleranza. Con Gallieno il Cristianesimo diventa Religio Licita, i beni ecclesiastici confiscati sono restituiti alla Chiesa (Eusebio H.E. VII,13), i cristiani della classe dirigente impegnati nella vita pubblica e nell’esercito sono esplicitamente esonerati dal dovere del sacrificio agli dèi. Seguono 40 anni di pace, che verranno interrotti dalla terribile persecuzione di Diocleziano (303 d.C.) che — sospesa in Occidente dopo le dimissioni di Massimiano (305) e nell’impero dall’editto di Serdica di Galerio (311) — troverà la sua vera conclusione nella conversione di Costantino e nel cosiddetto Editto di Milano.

Gallieno e Diocleziano

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Pozzuoli del I sec. S. paolo sbarcò nella primavera del 56 (M. Sordi) 61 d.C. Anfiteatro e Solfatara martirio di S. Januarius 19 Settembre 305.

Nullus in orbe sinus Bais praelucet amoenis" (Nessun golfo al mondo risplende più dell’amena Baia). Orazio, Ep. I, 1,-83

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Nullus in orbe sinus Bais praelucet amoenis" (Nessun golfo al mondo risplende più dell’amena Baia). Orazio, Ep. I, 1,-83

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Pozzuoli graffito anticristiano presso l’anfiteatro

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Ninfeo Villa Imperiale di Domiziano di Punta dell’Epitaffio

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Puteoli plastico del Macellum «Serapeo»

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Golfo di Puteoli: Portus Julius; Sinus Baiae; Caput Misenis

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Golfo di Puteoli: Portus Julius

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Golfo di Puteoli: Portus Julius

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Martirio di S. Gennaro e Compagni presso la Solfatara - Puteoli

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Cuma romana

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Lo svolgersi delle persecuzioni, alternate con lunghi periodi di pace e di rapporti cordiali, rivela la falsità dell’idea, che risale a Zosimo e viene ripresa dal Gibbon, del Cristianesimo presente nell’impero come un corpo estraneo, ostile, causa prima della sua dissoluzione. Al contrario, il Cristianesimo fu visto dall’impero come un pericolo solo in momenti particolari e circoscritti. Da parte sua, il pensiero cristiano non fu mai ostile, salvo rare eccezioni, all’impero di Roma. Il lealismo del Cristiani verso Roma ha il suo autorevole fondamento, assai prima che negli Apologisti — da Giustino a Melitone, da Atenagora a Tertulliano stesso non ancora montanista — nelle lettere apostoliche: nel capitolo 13 della lettera ai Romani di Paolo e nella Prima Petri (2,13 e sgg.).

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Non si tratta di un atteggiamento di comodo, adottato per evitare i rigori della persecuzione, ma della capacità di distinguere con acuto discernimento ciò che nell’impero deriva dalle colpe degli uomini e dalla religione pagana e quella che è, invece, la grande idea ecumenica di Roma, il superamento in una sintesi di diritto e in un ordine civile fondamentalmente pacifico, delle differenze etniche fra i popoli, la ricomposizione delle antinomie fra greco e barbaro, l’accordo tra Imperium e Pax, che Seneca (De Prov. IV,14) esprime nel concetto di pax Romana, intesa come mondo abitato e civile a cui l’impero assicura la pace.

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Questa idea cristiana dell’impero, che non è postcostantiniana, ma coesiste addirittura con la persecuzione, permette nel 177 ad Atenagora di esprimere, nel capitolo 37 della sua supplica, un fervido augurio per l’ingrandimento dell’impero e induce Tertulliano, non ancora montanista, ad affermare che Cristiani pregano per ottenere da Dio Imperium securum, exercitus fortes, orbem quietum (Apol. 30,4), e ribattere le accuse diffuse dagli avversari ma non recepite dagli imperatori, dichiarando

(Apol. 33,1): Noster est magis Caesar a nostro Deo constitutus. Liceo Classico Statale "Umberto I"

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La natura delle persecuzioni

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Non è vero, come spesso si crede, che l'intolleranza sia una

caratteristica delle Religioni monoteistiche, fondate su una

Rivelazione divina, e che là dove il divino si presenta come una pluralità di dei, l'intolleranza religiosa non esista: anche in

assenza di dogmi rivelati esiste, nelle Religioni antiche, un certo

concetto di ortodossia, col ricorso a criteri discriminanti in materia

di convinzioni sulla divinità e sul culto.

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Gli aspetti religiosi del processo di Socrate nella demo­cratica Atene sono

rivelatori. Anche a Roma, come ad Atene, il criterio

fondante della «ortodossia» religiosa appare la

tra­dizione: riferendo la vicenda dei Baccanali del 186

a.C., Livio fa dire al console che dei sono solo quelli che, i

Maiores, gli antenati, avevano riconosciuto e Cicerone, nel De Legibus, vagheggia una

legge ideale secondo cui nessuno deve venerare dei

nuovi e stranieri che non siano stati ammessi

pubblica­mente dai Padri.

Lo scandalo dei Baccanali: la repressione di un culto misterico nella Roma Repubblicana

Tiziano Vecellio, Baccanale, 1518, Museo del Prado, Madrid. Lo sbarco di Dioniso sull’isola di Andros dove tutti si sono ubriacati in suo onore.

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Lo stesso atteggiamento ritroviamo, nel III sec. d.C., nello storico severiano Dione Cassio nel discorso fittizio di Mecenate ad Augusto e, alla fine dello stesso seco­lo, nell'editto di Diocleziano contro i Manichei: la tradizione, con le sue componenti (antichità, carattere nazionale e san­zione statale) appare al console liviano del 186 come a Cicerone, a Dione Cassio come a Diocleziano, il criterio fon­damentale per la verità di una religione: non è lecito ad una nova religio criticare una Vetus Religio e tentare di soppian­tarla. Alla radice di questa affermazione che si trova nell'e­ditto contro i Manichei di Diocleziano, c’è la diffidenza di tutto il mondò antico, greco e romano, per il nuovo. Neoterizein in greco, come Res Novas moliri in latino, signifi­ca «fare una rivoluzione», sovvertire l'ordine costituito.

Dione Cassio

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Il Cristianesimo si presentò al mondo antico come un mes­saggio di totale novità: dall'incontro col Dio fatto uomo en­trato nella storia, nasceva «l'uomo nuovo che si va rinnovan­do in proporzione della conoscenza, conformandosi alla im­magine di colui che lo ha creato» (Paul. Col. 3,10). I primi scrittori cristiani furono pienamente consapevoli di questa novità: Aristide, un apologista dell'età di Adriano, chia­ma i Cristiani «popolo nuovo» e la stessa idea riaffiora nel­l'anonimo autore della Lettera a Diogneto, forse di poco po­steriore. Ma la novità del Cristianesimo, se contribuì ad atti­rare ad esso molti, fu sentita da altri come un ostacolo in sormontabile: all'epoca di Marco Aurelio Celso, autore del «Discorso vero», polemizzando con i Cristiani dice, che una dottrina per essere vera deve essere antica, perché il vero è, per sua natura, immutabile: la principale obbiezione dei pa­gani, dal punto di vista intellettuale, fu diretta contro la novità del Cristianesimo e la polemica degli apologisti e degli in­tellettuali cristiani, da Giustino martire a Clemente di Alessandria, dall'autore, della, Lettera a Diogneto a Tertulliano, fu rivolta contro la synetheia, la consuetudine dei Padri, che sembrava un tradimento abbandonare e che era divenuta la radice di tutti gli attacchi contro il Cristianesimo.

San Aristide Marciano, Apologista

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Ma la novità del Cristianesimo, se contribuì ad atti­rare ad esso molti, fu

sentita da altri come un ostacolo in sormontabile: all'epoca di Marco Aurelio

Celso, autore del «Discorso vero», polemizzando con i Cristiani dice, che

una dottrina per essere vera deve essere antica, perché il vero è, per sua natura,

immutabile: la principale obiezione dei pa­gani, dal punto di vista intellettuale,

fu diretta contro la novità del Cristianesimo e la polemica degli

apologisti e degli in­tellettuali cristiani, da Giustino martire a Clemente di

Alessandria, dall'autore, della, Lettera a Diogneto a Tertulliano, fu rivolta contro

la synetheia, la consuetudine dei Padri, che sembrava un tradimento

abbandonare e che era divenuta la radice di tutti gli attacchi contro il

Cristianesimo.

Celso

Clemente Alessandrino

S.Giustino martire

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La diffidenza delle masse, specie nelle città dell'Asia greca, reagì spes­so in

maniera violenta ad una religione che, a causa del suo rifiuto dei culti tradizionali,

si esponeva all'accusa di ateismo, e, a causa della parziale clandestinità a cui era

costretta, all'attribuzione di delitti fantasiosi ed assurdi che preparò e

pre­cedette la reazione degli intellettuali, alimentando l'ostilità del­le Classi

dirigenti conservatici e del Senato. Solo di rado, invece, l'intolleranza religiosa

raggiunse il potere imperiale e so­lo di rado, e in circostanze particolari, la

persecuzione religiosa ebbe significato politico. L'apologetica cristiana nac­que

nel II secolo, si rese, conto pienamente di questo e, non solo non vide le

persecuzioni come uno scontro fra l'Impero e il Cristianesimo, ma sentì

nell'Impero, nel suo universalismo e nella solidità delle sue strutture, un potenziale

alleato della nuova Religione.

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In realtà il principio della tolleranza, che l'apologista Atenagora ritiene connaturato nei Romani («Perché, da una parte, stimate empio e non santo il non credere affatto in Dio, dall'altra giudicate necessario che ciascuno veneri come dèi quelli che vuole, affinché per timore della divinità, tutti si astengano dall'ingiustizia»), ma che più volte fu rinnegato sul piano dei fatti per l'attaccamento intransigente alle tradizioni e alle consuetudini, trovò la sua attuazione nel senso giuridi­co e politico dei Romani: è il diritto della divinità ad essere onorata come vuole che fonda, già nel Senatoconsulto contro i Baccanali del 186, il diritto dell'individuo a praticare la re­ligione da lui liberamente scelta. Questo principio, che affio­ra già nel II secolo a. C., si ritrova nell'editto con cui Galerio, nel 311 d.C. fece cessare la persecuzione anticristiana e nel cosiddetto editto di Milano, di Costantino e Licinio del 313 - con cui viene riconfermata la liceità del Cristianesimo.

La Chiesa nella clandestinità e i collegia romani

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Nell'antica Roma i Collegia erano associazioni di diritto pri­vato, di natura professionale, religiosa o funeraria, fondati sul­l'assistenza reciproca; avevano una cassa (arca) in cui versa­vano le offerte mensili, e dei capi; guardati con sospetto quan­do (come era successo al tempo di Clodio in età repubblica­na e, in epoca imperiale, come risulta per la Bitinia dalle let­tere di Plinio a Traiano) minacciavano l'ordine pubblico, era­no invece permessi, senza bisogno di autorizzazioni partico­lari, quando erano destinati all'assistenza fra poveri (i Collegia teuinorum) per i funerali o si configuravano, come fu stabili­to sotto i Severi, come associazioni religiose (Collegia Religio­nis causa). Fu questa, a quanto sembra, la forma scelta fra la fine del II secolo e gli inizi del III, dalle Chiese cristiane, che fino a quel momento erano rimaste al riparo della proprietà privata, per uscire dalla clandestinità e per rivendicare la pro­prietà dei luoghi di riunione, di culto e di sepoltura.

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La de­scrizione che Tertulliano ci dà, nel cap. 39 dell'Apologetico,

della vita delle comunità cristiane, ricalca, anche nei termini usati, il rescritto severiano (Dig. 47,22,1),

che autorizzava i Collegia Religionis Causa (al punto che

l'offerta che, mezzo se­colo prima, Giustino - I Apol. 66 - presentava

come setti­manale, diventa per Tertulliano mensile), ma sottolinea anche la differenza che nell'uso dei fondi comuni i Cristiani faceva­no

rispetto ai pagani: essi servivano non per i banchetti e le bevute, ma

per aiutare i bambini e i vecchi privi di mezzi, per nutrire e

seppellire i poveri..

Santa Maria in Trastevere front

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Non essendoci, per questo tipo di collegi, la necessità di una approvazione esplicita, si verificava la situazione paradossale di una religione giudicata ancora illecita (la cui professione era considerata passibile di morte, per chi, a livello individuale, fosse denunciato lo sta­to aveva infatti vietato, sin dal tempo di Traiano, la ricerca d'ufficio) ma che diventava la giustificazione legittima di un rapporto associativo, al punto che Alessandro Severo poté assegnare ufficialmente ai Cristiani di Roma, come riferisce la pagana Storia Augusta, un terreno loro contestato dai popinari (un collegio professionale di tavernieri), affermando che la destinazione religiosità del luogo era preferibile a quella che ad esso avrebbero riservato i popinarii

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Condannato come col­pa individuale, i1 Cristianesimo veniva così rispettato come Chiesa, una Chiesa di cui era ormai ben conosciuta la gerar­chia: io stesso Alessandro Severo apprezzava lo probatio dei sacerdoti presso i Cristiani e l'additava all'esempio dello sta­to; un Legato d'Arabia del tempo di Caracalla, avendo il de­siderio di ascoltare il celebre teologo Origene, ne sollecitò l'in­vio scrivendo al Vescovo di Alessandria, superiore diretto del­lo stesso Origene. Questa situazione duro sino alla persecu­zione di Valeriano, che per la prima volta, nei suoi editti (fra il 257 e il 260), colpi il Cristianesimo come Chiesa, distin­guendo fra clero e laici e confiscando le proprietà ecclesia­stiche. Ma fu proprio Valeriano che, ponendo fine alla for­mula generica del «non licet esse vos», che si limitava a iden­tificare il Cristianesimo come Religio illicta e che era rimasta invariata da Tiberio a Decio, e colpendo il Cristianesimo co­me Chiesa, permise al suo figlio e successore, Gallieno, quan­do volle far cessare la persecuzione, di prendere atto uffi­cialmente del Cristianesimo come religione e come Chiesa, e di riconoscerlo ufficialmente col primo vero editto di tolle­ranza. La lettera, a noi conservata da Eusebio, con cui Gallieno estendeva nel 262 i benefici dell'editto, per noi per­duto, all'Egitto, che solo allora, con la vittoria sugli usurpato­ri, tornava sotto il controllo imperiale, era rivolta al Vescovo di Alessandria, in quanto autorità ufficialmente riconosciuta dall'impero, e lo invitava a far rispettare, in nome dell'editto, i diritti della Chiesa, ricuperando i beni

confiscati.

Eusebio di Cesarea

Origène

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Ma fu proprio Valeriano che, ponendo fine alla for­mula generica del «non licet esse vos», che si limitava a iden­tificare il Cristianesimo come Religio illicta e che era rimasta invariata da Tiberio a Decio, e colpendo il Cristianesimo co­me Chiesa, permise al suo figlio e successore, Gallieno, quan­do volle far cessare la persecuzione, di prendere atto uffi­cialmente del Cristianesimo come religione e come Chiesa, e di riconoscerlo ufficialmente col primo vero editto di tolle­ranza. La lettera, a noi conservata da Eusebio, con cui Gallieno estendeva nel 262 i benefici dell'editto, per noi per­duto, all'Egitto, che solo allora, con la vittoria sugli usurpato­ri, tornava sotto il controllo imperiale, era rivolta al Vescovo di Alessandria, in quanto autorità ufficialmente riconosciuta dall'impero, e lo invitava a far rispettare, in nome dell'editto, i diritti della Chiesa, ricuperando i beni confiscati.

San Dionisio di Alessandria

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Questa situazione durò fino alla persecuzione di. Diocleziano (303 d.C.) e fu ripristinata da Galerio con l'editto di Serdica del 311 in cui si invitavano i Cristiani a ricostituire di nuovo (denuo) il loro corpus e i loro conventicula e poi, definitivamente, da Costantino e da Licinio nel cosidetto Editto di Milano del 313, m cui viene sancito i1 diritto (ius) della restituzione dei beni confiscati, appartenenti giuridicamente al corpus dei Cristiani, cioè alle Chiese, non ai singoli. Con Costantino, ma già prima, con Gallieno, l'impero ave­va dunque preso atto della Chiesa, con le sue strutture, la sua gerarchia, le sue proprietà, ,come ente di diritto dotato di uno ius lo rivela l'arbitrato di Aureliano, uno dei successori di Gallieno, sulla «casa della Chiesa» di Antiochia, che lo, sci­smatico Paolo di Samosata continuava ad occupare nonostante la condanna di un concilio asiatico, e che l'imperatore, solle­citato dai Cristiani, dichiarò che doveva essere data' a coloro che erano riconosciuti dal Vescovo di Roma e dai vescovi d'Italia: riconoscendo la Chiesa l‘Impero ne aveva riconosciuto le strutture interne e ne teneva conto. La decisione di Aureliano è la prima testimonianza pagana del primato del, Vescovo di Roma.

I cristiani e il servizio militare

Nel Nuovo Testamento non vi è traccia di condanna nei confronti dei soldati del tempo. Fu l’eresia montanista a teorizzare il rifiuto della militia per i cristiani, ma questa non fu mai la dottrina della Grande Chiesa.

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Nei primi due secoli del Cristianesimo nessuna obiezione di principio fu opposta al servizio militare. L'esortazione del Battista ai soldati (Lc 3,14) era di accontentarsi dei loro stipendi senza cercare con la violenza e la calunnia guadagni abusivi. La lode rivolta da Cristo al centurione romano di Cafarnao (Lc 7,1-10) va innanzitutto alla sua fede, ma non c'è dubbio, per chi esamina il comportamento e le argomentazioni dello stesso centurione, che la sua fede è, in un certo senso, preparata e provocata dall'attitudine, acquisita nell'esercito, alla disciplina romana. Una lode esplicita di questa disciplina si trova nella Lettera ai Corinzi di Clemente Romano (cap. 37): «Pensiamo ai soldati che militano sotto i nostri capi, con quale disciplina, sottomissione e subordinazione ne eseguono i comandi. Non tutti sono proconsoli, né tribuni, né centurioni... ma ciascuno al proprio posto esegue i comandi dell'imperatore e dei superiori».

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E non dimentichiamo che il primo convertito dal paganesimo al cristianesimo è proprio un centurione romano, Cornelio, secondo gli Atti degli Apostoli. Tertulliano, ormai montanista, è il primo a prendere posizione contro il servizio militare dei Cristiani. Tra i testi più citati da parte dei moderni per dimostrare l'antimilitarismo dei Cristiani fin dai primi secoli - e la continuità nel Cristianesimo delle origini dell'obiezione di coscienza al servizio militare - ne ricordiamo tre: il De corona militis di Tertulliano, scritto nei primi decenni del III secolo per celebrare il rifiuto di un soldato cristiano di cingersi della corona in occasione di una liberalitas imperiale; la Tradizione Apostolica di Ippolito, dello stesso periodo; e gli Atti di Massimiliano, primo e unico sicuro "obiettore di coscienza" dell'antichità cristiana, del 295 d. C. Non c'è dubbio che in questi testi il rifiuto e la condanna della militia sono chiari e inequivocabili: il soldato del De Corona non aveva in realtà rifiutato la militia, ma solo la

corona, da lui ritenuta segno di idolatria.

Andrea Procaccini - San Pietro battezza il centurione

Cornelio. Anonimo Centurione Cornelio con l’Angelo

At. 10

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Ma Tertulliano prende spunto dall'episodio per domandarsi (11,1) an in totum Christianis militia conveniat («se ai cristiani si addica in generale il servizio militare») e per rispondere, con una serie di incalzanti argomentazioni che ipsum de castris lucis in castra tenebrarum nomen deferre transgressionis est («Iscrivere il proprio nome passando dall'accampamento della luce a quello delle tenebre è già una trasgressione») (11,4). Per Tertulliano un cristiano non può diventare soldato senza commettere peccato; diverso per lui è il caso di chi, essendo già soldato, si converte al Cristianesimo.

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La stessa posizione si trova nel capitolo 16 della Tradizione di Ippolito: il catecumeno o il fedele che vogliono diventare soldati devono essere espulsi, perché hanno disprezzato Dio; quelli che sono già soldati non devono uccidere nessuno, neppure se ne ricevono l'ordine, e non devono giurare. Una tarda rielaborazione della Tradizione Apostolica di Ippolito sono i cosiddetti Canoni di Ippolito, databili a quanto sembra al IV sec. (cfr. in particolare Can. 71,72,74,75).

Negli Atti (o Passio) di Massimiliano, infine, il giovane, figlio di un veterano, e per questo costretto ad arruolarsi, rifiuta il servizio militare affermando che a lui non è lecito militare perché è cristiano. Dopo aver confermato più volte il suo rifiuto davanti alle insistenze del proconsole Dione, viene da lui condannato a morte "quia indevoto animo militia recusasti" («poiché, con animo irrispettoso; hai rifiutato il servizio militare») . La radicalità della posizione di Tertulliano e di Ippolito e della testimonianza personale di Massimiliano non sembra però condivisa dagli altri cristiani: sia nel De Corona, sia nella Passio di Massimiliano risulta chiara-mente che nel momento in cui si verificano i due episodi, in un arco temporale di circa ottant'anni, i cristiani che militavano nell'esercito romano erano molti. Nel De Corona (1,4), commentando il gesto del soldato, Tertulliano dice: "salus scilicet fartis, inter tat fratres cammilitanes, solus Christianus" («di certo l'unico forte, tra tanti fratelli commilitoni, l'unico cristiano»). E a Massimiliano, che dichiara di non poter saeculo militare («prestar servizio militare nel mondo pagano») perché cristiano, Dione risponde tranquillamente: In sacro comitatu dominorum nostrorum Oiocletiani et Maximiani, Costantii et Maximi, milites Cristiani sunt et militant (Passio, 2) («Nella sacra corte dei nostri signori Diocleziano e Massimiano, Costanzo e Massimo ci sono soldati

cristiani e prestano servizio»). Liceo Classico Statale "Umberto I" 64

In effetti la vicenda di Massimiliano è di poco anteriore alla cosiddetta epurazione militare con cui Diocleziano, ispirato da Galerio, costrinse i soldati cristiani a sacrificare agli dei o ad abbandonare l'esercito, con una decisione che dopo quarant'anni di tolleranza apriva di nuovo la strada alla persecuzione anticristiana e ne era la prima avvisaglia. Lattanzio (De mortibus pers. 10) ed Eusebio (H. E. VIII, 4, 3) riferiscono che furono molti allora i cristiani che resero testimonianza alla loro fede, abbandonando l'esercito con la rinuncia all'honesta missio e ai privilegi che ne derivavano. L'epurazione militare rivela dunque chiaramente che erano molti i cristiani che, a differenza di Massimiliano, non sentivano la militia incompatibile con la loro fede e che, nello stesso tempo, non erano disposti a compromessi con la fede quando la richiesta del sacrificio agli dei li poneva di fronte a una scelta decisiva. In linea con questi soldati è il caso di Marino, ben attestato storicamente, non viziato da elementi leggendari e databile fra il 253 e il 257 (Eus. H.E. VII, 15

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Ma c'è di più: la posizione radicale di Tertulliano e di Ippolito (il caso di Massimiliano è diverso, perché egli non pretende di assolutizzare la propria scelta) non è certamente quella della Grande Chiesa: di Ippolito è nota la posizione rigorista che lo indusse alla polemica contro Papa Callisto e lo portò ad alimentare in Roma uno scisma contro di lui; in quanto al De Corona di Tertulliano, si sa che esso esprime, come altri scritti polemici verso la Chiesa dello stesso periodo (ad esempio il De Idolatria), la scelta montanista dello scrittore africano. Quindi nel De Corona Tertulliano esprime la posizione sua e del suo gruppo, non la convinzione dei cristiani del suo tempo e della Chiesa, con la quale anzi polemizza apertamente. Nel passo già citato,dopo aver detto che rifiutando la corona il soldato si era mostrato come il solo cristiano fra tanti fratres commilitones (che avevano accettato la corona senza protestare), Tertulliano aggiunge "Plane superest, ut etiam martyria recusare meditentur; qui prophetias eiusdem spiritus sancti respuerunt" (ib. 1,4)

Statua di sant'Ippolito, scoperta nella catacomba nel 1553. Biblioteca Apostolica Vaticana

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(«Resta di certo che si preparino a rifiutare anche il martirio, coloro che hanno rigettato le profezie dello stesso Spirito Santo»). L'accenno alle profezie permette di in-quadrare l'episodio nell'atmosfera di tensione alimentata dal Montanismo e avversata dalla Grande Chiesa. Peraltro, il soldato rifiuta la corona ritenendola simbolo idolatrico, ma non rifiuta la militia. Il rifiuto del servizio militare, a cui il Montanismo spingeva, non era affatto una delle condizioni che la Grande Chiesa imponeva ai suoi fedeli. La prova migliore ce la fornisce Tertulliano stesso, che alcuni anni prima, tra la fine del Il e gli inizi del III secolo, non ancora montanista, proclama nel suo Apologetico con orgoglio davanti ai pagani che i Cristiani riempiono ormai urbes, insulas, castella, municipia, conciliabula, castra ipsa, tribus, decurias, palatium, senatum, forum. Sola vobis reliquimus templa (Apol. 37,4) («città, quartieri, villaggi, municipi, luoghi di ritrovo, gli stessi accampamenti militari, le tribù, le decurie, il palazzo, il senato, il foro. Soli vi abbiamo lasciato i templi»). La menzione dei castra, gli accampamenti militari nei quali i cristiani sono presenti, mentre disertano i templa, conferma l'assenza di pregiudizi antimilitaristi nel cristianesimo precostantiniano.

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BIBLIOGRAFIA

M. Sordi, I Cristiani e l’impero romano, Milano 1994. M. Sordi, I Cristiani e lo stato, in AA.VV, Da Omero alla Costituzione europea, a cura di A. D’Atena- E.Lanzillotta, Roma 2000, p. 167 e sgg. Marta Sordi, Il Cristianesimo e Roma, Cappelli 1965, pp. 481-483. Marta Sordi, I Cristiani e l'impero romano, Jaca Book 2004, p. 112; p. 149 e sgg; p. 162 e sgg. Marta Sordi e Ilaria Ramelli, In Parola spirito e vita (Quaderni di lettura biblica 41,2000, II montanismo, pp. 201 e seguenti).

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Biblioteca di Efeso - Biblioteca di Celso - (sec. II d. C.) Ricostruzione.

Biblioteca di Efeso - Biblioteca di Celso - (sec. II d. C.) Di Kr Ku o Ka -

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