I BOSS DI CHINATOWN

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Ci sono le bande di adolescenti con i capelli colorati o le cinture rosse che si contendono i quartieri a colpi di coltello e di machete. Ci sono reti di trafficanti di uomini che, tra la Cina e l'Italia, lucrano sui viaggi dei clandestini, si rubano i "clienti", ricattano i familiari e cedono quote di business ad altri connazionali magari a loro volta immigrati da poco. Poi c'è la banca fantasma, il mercato parallelo dei farmaci, la clinica abusiva, la casa di appuntamenti e l'import-export fuori da ogni regola. Ma ci sono anche clan organizzati, con boss di rango che vedono aumentare di settimana in settimana il proprio potere e le loro ricchezze, stringono alleanze d'affari con le mafie italiane e cercano amicizie politiche. Ci sono anche i primi pentiti, che vivono nel terrore di ricevere un mazzo di gladioli rossi, minaccia di morte secondo un codice malavitoso che nasce nella notte dei tempi. Nel silenzio mediatico la mafia cinese sta gettando le sue basi anche nel nostro Paese

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Introduzionedi Nando dalla Chiesa

Anche parlando della mafia cinese in Italia è obbligatoriopartire da un aureo principio. Se c’è una cosa che non si può fare,che non si può più fare, di fronte all’insorgenza di un fenomenocriminale, è perdere tempo. Perdere tempo a vederlo, a rilevarlonelle mappe cittadine, negli intrichi di affari che nascono, neidelitti di tipo nuovo che irrompono o si insinuano nelle cronachegiudiziarie, nelle dinamiche demografiche retrostanti. Perderetempo a contrastarlo sulla strada, nel reticolo degli esercizi com-merciali che offrono o fungono da riparo, nei luoghi canonici diincontro, organizzazione e reclutamento, negli snodi e nei colle-gamenti internazionali. Perdere tempo ad analizzarlo, a dotarsidelle banche dati e dei network operativi e di intelligence nazio-nali e internazionali necessari a combatterlo con strategie ade-guate. Perdere tempo, infine, a segnalarlo con il dovuto rigorealle istituzioni politiche e all’opinione pubblica affinché elabori-no tempestivamente le risposte necessarie: sul piano legislativoe operativo, ma anche della sensibilizzazione e dell’orientamen-to dei cittadini. E naturalmente non si può perdere tempo proprionell’allestimento di queste risposte, a partire da quelle politiche.

Il guaio è che il nostro sistema della sicurezza nazionale ècaratterizzato proprio da una fisiologica tendenza alla perdita di

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tempo. Che si è storicamente ripetuta di fronte a ogni forma dicriminalità organizzata. Per cicli, in modi diseguali, con intensi-tà e responsabilità diverse. Ma che si è verificata sempre. È acca-duto di fronte a Cosa Nostra siciliana, allorché la perdita ditempo è stata tutt’uno con la (consapevole) scelta di una quietaconvivenza. È accaduto con la camorra, a intervalli quasi regola-ri. È successo con la ’Ndrangheta. Ma anche con il terrorismopolitico. È un meccanismo che a volte sembra avere in sé qual-cosa di ineluttabile. Che sembra obbedire a una sorta di leggebronzea della nostra storia istituzionale. Una legge non scrittache si nutre del lassismo autoritario al quale (nonostante alcuneimportanti innovazioni di costume e di cultura) si ispira media-mente il modello di intervento delle nostre forze dell’ordine. Chesi alimenta poi dello straordinario divario che vi è tradizional-mente tra la reattività (bassa, burocratica) delle nostre istituzioniinvestigative e repressive nelle fasi della ordinaria quotidianità ela reattività (alta, professionale) nelle fasi dell’emergenza. Che sirafforza ulteriormente grazie al deficit di responsabilità checaratterizza la classe dirigente politica, usa trascinare il dibattitosugli interventi legislativi in una infinita rete di contrasti ideolo-gici e di “posizionamento” per giungere solo davanti alle trage-die e alle emergenze a scelte normative e ad atteggiamenti cultu-rali adeguati.

Ecco, il caso della criminalità organizzata cinese sembra illu-strare perfettamente i meccanismi di questa legge bronzea. Lanatura pacifica della presenza di etnie provenienti dalla Cinanella storia del paese ha senz’altro contribuito a sopire preoccu-pazioni e curiosità investigative verso “il nuovo che avanzava”dall’Oriente. A impedire che, di fronte alla moltiplicazione degliarrivi cinesi in Italia e ai relativi segnali di anomalie, scattasseroallarmi tempestivi nella pubblica opinione così come è accaduto,talvolta con accenti di isteria civile, di fronte alle improvviseondate migratorie di altre etnie, giunte a scaglioni dagli anniNovanta in poi. Si è pensato cioè, per lo più, che ci si trovassedavanti all’afflusso di nuove, più larghe quote di una popolazio-

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ne già insediata e che non si era mai distinta per creare alle auto-rità nazionali problemi di ordine pubblico. I cinesi? Brava gente,laboriosi, si fanno tutti i fatti loro, commerciano e crescono nellaristorazione. I cinesi? Non si integrano molto con il resto dellapopolazione, questo è vero. Ma non si ha notizia di effettiveminacce alle nostre leggi e alle regole primarie della convivenzacivile. Quale attenzione poteva mai suscitare dunque l’arrivorepentino di decine di migliaia di immigrati dalla Cina in unpaese accogliente per tradizione e le cui grandi città ambivanoanzi a valorizzare, specie nei servizi del tempo libero, i tratti delproprio cosmopolitismo?

E invece qualcosa di nuovo e inquietante stava accadendo.Qualcosa che mutava in profondità la natura dei problemi. Lacaduta del Muro aveva liberato il pianeta da un impero totalita-rio ma gli aveva portato in dono, quasi per contrappasso, unnuovo, immenso vaso di Pandora. Un vaso micidiale, da cuistava fuoriuscendo di tutto. Un sistema di nuove dittature o direpubbliche improbabili, un traffico d’armi cresciuto sul disfaci-mento dell’esercito sovietico, masse umane indigenti finalmente“libere” di mettersi in movimento verso i paesi dell’opulenza, unpullulare di bande e organizzazioni criminali leste (loro sì!) acogliere le opportunità aperte da quel vero terremoto politico,sociale, economico, demografico. Nacque un intero “menu” direati e reti illegali nuovi, al cui centro stavano due fenomenisconvolgenti tra loro intrecciati e che l’umanità sembrava averedimenticato tra una gloriosa convenzione e l’altra sui diritti del-l’uomo: il traffico di esseri umani e la riduzione in schiavitù.

Fu nel mezzo di quegli imprevedibili cambiamenti che l’im-petuoso sviluppo della presenza cinese si caricò – in Italia manon solo – di un altro significato. Affiancando e anzi mescolan-dosi con le correnti di scambio e integrazione tipiche dei proces-si di globalizzazione dei mercati, si strutturò nelle cosiddetteChinatown una forte componente criminale il cui profilo e la cuivocazione non tardarono a evidenziarsi. Specie, come sottolineail libro, a Milano, a Roma e in Toscana. Nacque così una orga-nizzazione flessibile ma per tanti aspetti unitaria volta a succhia-

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re tutto il succhiabile dall’immigrazione clandestina. Un sistemache traeva legittimazione e consenso dalla capacità che mostra-va di risolvere i problemi di sopravvivenza dei propri connazio-nali. Ma che, verso i connazionali immigrati, mostrava una fero-cia inusitata, talora sconvolgente, simboleggiata dall’uso delmachete come arma di offesa nelle risse e nelle spedizioni puni-tive. E che a furia di estorsioni, di sequestri, di intimidazioni fisi-che, di sfruttamento del lavoro minorile (Giampiero Rossi eSimone Spina ne offrono nel libro un’ampia e ben selezionatacasistica), ha edificato un mondo all’interno del quale – alla fine– la magistratura ha potuto più volte rintracciare l’esistenza e ildominio di organizzazioni perfettamente rispondenti ai caratteriprevisti dall’articolo 416 bis, quelli cioè dell’associazionemafiosa.

Eppure la tendenza è di nuovo, ancora oggi, quella che portaa una sottovalutazione. Riemerge a ogni tornante della cronaca ilminimalismo interpretativo che, quando si impone l’eclatanza diqualche episodio di cronaca, fa consueto pendant con la denun-cia scandalistica. I cinesi che si mangiano un quartiere di Milanoo di Roma o che si conquistano l’industria tessile di Prato. I cine-si che non muoiono mai. I cinesi che ora sparano per strada. Icinesi che stipano decine di minori a lavorare per pochi euro inuno scantinato. Senonché, una volta scolorite le suggestioni dellacronaca, l’allarme ripiega lestamente su se stesso, nella convin-zione che ci si trovi davanti comunque a un fenomeno circoscrit-to, titolato a sollecitare in noi la stessa attenzione che si riservaa ciò che accade in qualche lontana enclave sociale, in qualcheremota riserva etnica. “ È un fatto che riguarda i cinesi”. È – contutti gli aggiustamenti del caso – l’equivalente del “si ammazza-no tra di loro” che ha segnato, nella più assoluta incoscienza, econ effetti devastanti, l’atteggiamento della società politica ecivile nazionale verso la mafia o la camorra.

La certezza che tutto sommato non ne saremo mai coinvoltifa da retroterra a qualsiasi discussione sulla mafia cinese. E a darman forte giunge, come sempre, il giusto invito a non generaliz-

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zare, a non confondere la mafia cinese con le tante Chinatown invia di formazione in Italia. Invito giusto, sensato; e salutare difronte alle impennate, sempre in agguato, del pregiudizio etnico.Ma la cui funzione – proprio in questo specifico contesto – serveulteriormente, e al di là di ogni intenzione, a rimuovere lo spes-sore del problema, la sua oggettiva internità a uno specificofenomeno demografico e alle sue specifiche forme. In realtà ifatti accaduti in questi ultimi anni dovrebbero indurre ad atteg-giamenti assai più vigili e responsabili. Anzitutto perché questaenclave sociale, ammesso che tale la si possa considerare, è cre-sciuta, si è estesa in continuazione e, come viene ben documen-tato dai due autori, sempre più muove a estendersi. Per ampiez-za demografica, per dimensione territoriale, per quantità e quali-tà degli affari intrapresi. In secondo luogo perché all’interno diquesta enclave si sono via via prodotti e manifestati comporta-menti criminali sempre più aggressivi e plateali, indicando daparte di una minoranza sia pure contenuta la disponibilità a sfi-dare scopertamente le leggi nazionali. Come, con quale senso diresponsabilità è dunque ancora possibile praticare lo schema delcontrollo a distanza? Come farsi sedurre, una volta di più, daivantaggi supposti del temporeggiamento? Tra l’altro proprio ledinamiche che si sono rapidamente intrecciate nella costruzionee nello sviluppo della criminalità cinese, ossia l’accumulazionedi capitali illegali e l’organizzazione di abilità militari, fannoragionevolmente prevedere, senza indulgere ad alcuna sindromedi Cassandra, che gli interessi criminali cercheranno di valoriz-zarsi fuoriuscendo dai supposti rigidi confini dell’enclave etnica.Che i capitali alimentati dai reati di Chinatown si riverserannocioè nella società italiana intera per trovare nuovi canali di inve-stimento, per costruire sponde amministrative e politiche. Chedeborderanno, insomma; come sono puntualmente debordati dailoro ambiti territoriali e sociali originari tutti i capitali e gli inte-ressi criminali a un certo stadio del loro sviluppo. E come gliautori documentano sia già iniziato ad accadere anche in questocaso, insieme con le prime alleanze tra i clan cinesi e le maggio-ri organizzazioni criminali italiane.

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Per giunta queste dinamiche di fuoriuscita, di tracimazione – secosì possiamo dire – si esprimeranno in un quadro reso sempre piùfavorevole da almeno tre fattori. Ai quali è giusto in questaIntroduzione fare riferimento. Il primo fattore è l’ampiezza delnetwork economico illegale al cui interno i capitali illegali cinesipotranno inserirsi e tessere alleanze in grado di allargare la loro“cittadinanza”, sia pure con la cautela e la discrezione che li hannotradizionalmente contraddistinti. Il secondo fattore è l’imponente,eccezionale tasso di crescita dell’economia del paese di origine,che non potrà non svolgere una importante funzione di retroterrae di moltiplicazione delle opportunità. Non ci si troverà cioè più difronte al prolungamento illegale di un’economia povera, ma al ter-minale criminale di un’economia ricca, il quale a quel punto potràanche rinunciare a una parte del traffico di esseri umani su cui hacostruito la propria “accumulazione primitiva”. Il terzo fattore,infine, è l’estensione del diritto di voto che inevitabilmente l’Italiadovrà, in forza di una fisiologia democratica, concedere agli immi-grati. Integrale o ridotta che sia questa estensione, si tratti cioè divoto politico o solo amministrativo, e ribadito come sia doverosonon confondere un’etnia con le sue manifestazioni criminali, unacosa è però indubbia. Il forte insediamento conquistato dalla mafiacinese in seno alla propria comunità di riferimento offrirà precisied efficienti serbatoi di consensi, che potranno rivelarsi assai utiliper darle quel requisito decisivo in più su cui hanno potuto stori-camente contare le maggiori organizzazioni criminali italiane: ilrapporto con la politica.

Il merito di questo libro, il valore dello scrupoloso lavoro diricerca e di analisi che Giampiero Rossi e Simone Spina hannosvolto, dotandolo del brio narrativo e della vivacità aneddoticasuggeriti dalle cronache, sta proprio nel quadro d’insieme cheviene offerto alla nostra consapevolezza e alla nostra intelligen-za. E che rappresenta un implicito, efficacissimo invito a nonperdere tempo. A non perdere tempo ancora una volta. Il chedipenderà da noi. Dalle istituzioni, a tutti i livelli, e dall’opinio-ne pubblica. Chiamate insieme, ancora una volta, a fare tesorodella storia.

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