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Programma 2011 - 16 ottobre 2011 Italia 150 I Borghi al tempo della capitale dal 1853 al 1912. Di Mario Agnese 1 Barriera di Piacenza (Corso Moncalieri) - Le origini della cinta e il senso della tassa daziaria. Il progetto d’una cinta daziaria risale al 1818 ovvero all’indomani della Restaurazione succeduta all’occupazione napoleonica che decretò l’abbattimento delle mura cittadine che stavano soffocando la città, delle quali i lavori di rimozione delle macerie si protrassero fino al 1814. Caduta la necessità difensiva si fa avanti quella legata alla riscossione dei tributi tant’è che Vittorio Emanuele I ne auspicò la realizzazione ma i contrasti tra potere centrale e locale rispetto alla riscossione dei dazi fecero sì che tale progetto non fu realizzato. Nel periodo dal 1820 al 1847 il Governo versava quindi un assegno annuo per le necessità finanziarie. Nel 1848 lo Statuto Albertino tali poteri furono finalmente equiparati ed i Comuni potettero gestire le finanze locali. La regola decadde nel 1851. Infatti fu da tale data che, in caso di insufficienti rendite, i comuni potevano istituire dazi. Dal 1853 il dazio divenne attivo e nel contempo furono anche introdotti regolamenti su nuove costruzioni e demolizioni già dal 1845 entro un perimetro daziario ideale che permise di ampliare e rispettare la griglia viaria ortogonale risalente all’ origine cittadina. Tale consuetudine viaria aveva comunque già eccezioni in Borgo Dora, San Donato e Borgo Po ma si accentuò con i Borghi localizzati appena fuori cinta facendo perdere tale caratteristica fino ad allora costante. Con il nuovo dazio in compenso la Città si impegnò ad elargire sovvenzioni agli ospedali ed agli ospizi. Inizialmente si ipotizzò una linea daziaria provvisoria che seguisse elementi fisici concreti quali corsi d’acqua o muri di cinta esistenti ma le difficoltà emersero quando i proprietari si opposero agli espropri o agli affitti. D’altra parte la necessità di controllare il contrabbando imponeva la costruzione fisica d’un muro al quale venne inizialmente ipotizzata anche una funzione militare in caso di colpi di mano. La lievitazione dei costi frenarono tale soluzione. 2 Cinta collinare (Corso Giovanni Lanza) - Come sono fatte le strutture daziarie. Il tracciato della prima cinta era adeguata per una città di circa 160mila abitanti con 520 ettari di aree fabbricabili e 1185 per i coltivi. Definito il tracciato si iniziò la costruzione dal 1853 al 1860 (nella parte piana) d’un muro di 12 km con 19 porte con apertura compresa tra 3 e 25 metri permanentemente sorvegliate. Delle porte due vengono classificate di primissimo ordine e 7 quelle principali. Pochi sono i varchi chiusi con accesso esclusivo per i proprietari dei terreni a cui viene aperto dalle guardie daziarie. Lungo il perimetro passa la strada di ronda vietata al pubblico mentre all’esterno una scarpata ed un vero fossato. In prossimità dei rari fabbricati una fitta siepe alta 2 metri. Una trentina sono i casotti intermedi per le guardie. Nel muro in mattoni sormontato da un cappello in laterizio sono inserite delle feritoie strombate chiuse. L’altezza complessiva è di 2 metri. Le garitte sporgono di 60 cm all’esterno sul fossato. La cinta nella parte collinare è lunga altri 4,5 km con 6 aperture. Spesso utilizza muri di ville private oppure un muretto basso sormontato da una inferriata per un totale di 2 metri. In alcuni casi le guardie fanno appostamenti lungo i corsi d’acqua. Della cinta collinare possiamo vedere dei lunghi tratti in corso Lanza e Sella. 3 Barriera di Casale (Piazza Borromini) Il personale addetto al dazio. Le guardie ammontano a 285 persone, sono stipendiati dal Municipio e sono alloggiate in 4 caserme. Sono in servizio sulle 24 ore in squadre comprese tra 1 e 8 a secondo dell’importanza della barriera da presidiare. A metà degli anni cinquanta la città contava 140 mila abitanti soggetti a dazio e, nonostante la cinta, talvolta si verificavano episodi di

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Programma 2011 - 16 ottobre 2011 – Italia 150

I Borghi al tempo della capitale dal 1853 al 1912.

Di Mario Agnese

1 – Barriera di Piacenza (Corso Moncalieri) - Le origini della cinta e il senso della tassa daziaria. Il progetto d’una cinta daziaria risale al 1818 ovvero all’indomani della Restaurazione succeduta all’occupazione napoleonica che decretò l’abbattimento delle mura cittadine che stavano soffocando la città, delle quali i lavori di rimozione delle macerie si protrassero fino al 1814. Caduta la necessità difensiva si fa avanti quella legata alla riscossione dei tributi tant’è che Vittorio Emanuele I ne auspicò la realizzazione ma i contrasti tra potere centrale e locale rispetto alla riscossione dei dazi fecero sì che tale progetto non fu realizzato. Nel periodo dal 1820 al 1847 il Governo versava quindi un assegno annuo per le necessità finanziarie. Nel 1848 lo Statuto Albertino tali poteri furono finalmente equiparati ed i Comuni potettero gestire le finanze locali. La regola decadde nel 1851. Infatti fu da tale data che, in caso di insufficienti rendite, i comuni potevano istituire dazi. Dal 1853 il dazio divenne attivo e nel contempo furono anche introdotti regolamenti su nuove costruzioni e demolizioni già dal 1845 entro un perimetro daziario ideale che permise di ampliare e rispettare la griglia viaria ortogonale risalente all’ origine cittadina. Tale consuetudine viaria aveva comunque già eccezioni in Borgo Dora, San

Donato e Borgo Po ma si accentuò con i Borghi localizzati appena fuori cinta facendo perdere tale caratteristica fino ad allora costante. Con il nuovo dazio in compenso la Città si impegnò ad elargire sovvenzioni agli ospedali ed agli ospizi. Inizialmente si ipotizzò una linea daziaria provvisoria che seguisse elementi fisici concreti quali corsi d’acqua o muri di cinta esistenti ma le difficoltà emersero quando i proprietari si opposero agli espropri o agli affitti. D’altra parte la necessità di controllare il contrabbando imponeva la costruzione fisica d’un muro al quale venne inizialmente ipotizzata anche una funzione militare in caso di colpi di mano. La lievitazione dei costi frenarono tale soluzione. 2 – Cinta collinare (Corso Giovanni Lanza) - Come sono fatte le strutture daziarie.

Il tracciato della prima cinta era adeguata per una città di circa 160mila abitanti con 520 ettari di aree fabbricabili e 1185 per i coltivi. Definito il tracciato si iniziò la costruzione dal 1853 al 1860 (nella parte piana) d’un muro di 12 km con 19 porte con apertura compresa tra 3 e 25 metri permanentemente sorvegliate. Delle porte due vengono classificate di primissimo ordine e 7 quelle principali. Pochi sono i varchi chiusi con accesso esclusivo per i proprietari dei terreni a cui viene aperto dalle guardie daziarie. Lungo il perimetro passa la strada di ronda vietata al pubblico mentre all’esterno una scarpata ed un vero fossato. In prossimità dei rari fabbricati una fitta siepe alta 2 metri. Una trentina sono i casotti intermedi per le guardie. Nel muro in mattoni sormontato da un cappello in laterizio sono inserite delle feritoie strombate chiuse. L’altezza

complessiva è di 2 metri. Le garitte sporgono di 60 cm all’esterno sul fossato. La cinta nella parte collinare è lunga altri 4,5 km con 6 aperture. Spesso utilizza muri di ville private oppure un muretto basso sormontato da una inferriata per un totale di 2 metri. In alcuni casi le guardie fanno appostamenti lungo i corsi d’acqua. Della cinta collinare possiamo vedere dei lunghi tratti in corso Lanza e Sella. 3 – Barriera di Casale (Piazza Borromini) – Il personale addetto al dazio. Le guardie ammontano a 285 persone, sono stipendiati dal Municipio e sono alloggiate in 4 caserme. Sono in servizio sulle 24 ore in squadre comprese tra 1 e 8 a secondo dell’importanza della barriera da presidiare. A metà degli anni cinquanta la città contava 140 mila abitanti soggetti a dazio e, nonostante la cinta, talvolta si verificavano episodi di

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contrabbando specie in zone quali San Salvario, La Cittadella, il Cimitero generale oppure il fiume Dora che in periodo di magra risultava facilmente guadabile. Per sopperire a quest’ultimo difetto, nel 1861 dopo un feroce dibattito sull’efficienza della cinta, si deliberò la costruzione d’un ponte al Martinetto. Anche sul tratto collinare la vicinanza eccessiva agli edifici fece propendere per una variazione di tracciato nel 1871. 4 – Barriera di Vanchiglia (Corso Belgio) sosta in Lungo Dora Voghera – Il corso della Dora. Nel corso dell’espansione urbana il fiume Dora venne visto spesso come ostacolo per questo processo piuttosto che come risorsa, peraltro sfruttata per la forza idraulica. Fu così che, saturati i cimiteri di San Lazzaro e San Pietro in Vincoli, dal 1829 si procedette alla costruzione del Cimitero Generale su progetto di Gaetano Lombardi ma il “campo Primitivo” a forma ottagonale fu presto ingrandito già nel 1841 poi nel ’66 e nell’83. Già dal terzo ampliamento piuttosto che ammettere che il cimitero era stato costruito troppo vicino alla Dora si mise mano al corso stesso del fiume “rettificandolo”. Sono così sparite almeno tre grandi anse che, con la scusa del cimitero, dava la possibilità ai costruttori di urbanizzare dei lotti più adatti all’edificazione. In periodi di grande disoccupazione questi provvedimenti furono assai graditi e dopo questi interventi il fiume non ebbe più la possibilità di esondare liberamente. Alcuni ingegneri dell’epoca come il Casalis descrivono le anse fluviali della Dora come “mostruose aberrazioni” o “informi e

oziosi prolungamenti”. Si arrivò al punto con il progetto di Perracchio di arrivare ad ipotizzare l’intera cancellazione del fiume deviandolo fino alla Stura che da qui sarebbe poi sfociato con essa nel Po. Dai calcoli si sarebbero ricavati 590mila mq di terreni lottizzabili oltre a risparmiare sui costi di sistemazione spondale. Negli anni ’50 del Novecento comunque la Fiat Ferriere perseguendo la strada delle modifiche ne trasformò un buon tratto con la tombatura la fece somigliare ad una grande cloaca. Le difficoltà di rinaturalizzare l’intervento porta ancor oggi conseguenze pesanti nella realizzazione del Parco Dora in Spina 3.

5 – Barriera del Colombaro (Corso Novara ang. Corso Regi Parco) – Lo scalo merci a Vanchiglia.

Inaugurato nel 1926 era il più grande scalo merci cittadino e fu dismesso nel 1984 quando ebbe termine la costruzione di un più moderno scalo ad Orbassano. Il suo stato di completo abbandono terminerà quando verrà ristrutturato completamente il cosiddetto “Trincerone” che diventerà un tratto della linea 2 del Metro e tutta l’area trasformata in parco lineare. Inserito nella “variante 200”, secondo uno dei progetti esposti in una recente mostra, potrebbe essere collegato anche col fiume Po tramite un gradevole sistema di canali tali da riqualificare l’intera zona.

5b – Corso Regio Parco – La Manifattura Tabacchi. Dopo i danni irreparabili che subì il Palazzo del Viboccone a seguito dell’assedio di Torino del 1706 Carlo Emanuele lll incaricò l’architetto Ferroggio che nel 1758 realizzò il progetto di costruire in questo luogo la Regia Fabbrica del Tabacco con tanto di piantagioni e semenzaio che si ispirava alle coeve ed imponenti manifatture francesi. Nel 1789 lo stabilimento andò a regime e i suoi ampi cortili si animarono di lavoratori tanto che intorno al 1840 sorse vicino ad esso il Borgo Regio Parco popolato da 600 abitanti che in soli 25 anni crebbero fino a 2500. In Piazza Abba sorsero l’asilo Umberto l e la scuola rurale del Regio Parco del 1880 che fu poi intitolata ad Abba. Si formò così una sorta di comunità a se stante con la propria chiesa di San Gaetano del 1889, la cui facciata curiosamente dava le spalle al Borgo in quanto si prevedeva un ampliamento di Torino verso corso Regio Parco avvenuto invece su Via Bologna. Intorno a Torino vi erano parecchi Borghi “autonomi” come il Villaretto, Bertolla, Mirafiori o Fioccardo e Cavoretto non compresi nemmeno nella cinta del 1912. Il declino della Manifattura cominciò intorno agli anni Settanta e si concluse nel 1996 quando il Monopolio decise la chiusura totale con il trasferimento degli ultimi 250 addetti. 6 - Barriera Maddalene (Corso Novara ang. Via Bologna) – Le industrie e la cinta. Superato il vincolo dell’uso della forza idraulica il passo successivo fu il motore a vapore che però non ebbe grande successo per l’alto costo del carbone. Con la creazione della Società Anonima Alta Italia dal 1896 che distribuiva energia elettrica a basso costo e la concorrente Azienda Elettrica Municipale nata nel 1903 che sfruttava l’energia idroelettrica, già tra il 1906 e il 1910 il 54% dell’energia industriale è di origine elettrica. La Nebiolo già esistente dal 1852 si collocò qui in via Bologna dal 1919 e, come molte altre industrie, spesso furono sfavorite dall’esistenza della cinta in quanto soggette all’imposizione dei dazi. Per contro i costi più bassi dei terreni e la comodità di trovare sul posto la manodopera che viveva per la stessa ragione di costi proprio nelle Barriere si rivelava invece un vantaggio.

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Questi grandi stabilimenti, veri giganti per l’epoca, erano considerati dagli abitanti delle Barriere il vero cuore pulsante del quartiere. Fu così anche per la Grandi Motori della Fiat il cui stabilimento fu edificato a partire dal 1911 a ridosso della Barriera di Milano che ne veniva coinvolta gioco forza anche negli aspetti acustici legati alle prove dei motori. 7 – Barriera di Abbadia di Stura (Corso Novara ang. Via Aosta) - Via Maddalene, una strada millenaria. Questa direttrice stradale ha un’origine molto antica infatti risale all’epoca romana e si dipartiva dalla Porta Palatina. Un ponte fino al 1300 superava la Dora passando tra via Chivasso e via Aosta e costeggiando il mulino del Valdocco dove fino al 1600 vedeva anche la presenza del Lazzareto dedicato a Maria Maddalena e da esso la via prese il nome. Tale costruzione fu sostituita dalla fabbrica del vetriolo Sclopis. Tra via Botticelli e via Aosta furono rinvenute delle antiche tombe romane, che com’è noto si posizionavano tradizionalmente lungo le strade. Nella parte terminale l’attraversamento del torrente Stura in strada dell’Arrivore fu attivo tramite traghetto fino a metà Ottocento.

Appena fuori cinta su via Aosta oltre corso Novara sono ancor oggi presenti delle case basse la cui costruzione è risalente dalla metà alla fine dell’Ottocento. Oltre piazza Bottesini una altro tratto molto caratteristico vede la presenza di altre case coeve che ospitavano i mezzadri delle cascine collocate nella zona di via Leoncavallo. Le case rurali sono presenti sulle mappe del catasto Gatti del 1820. Questi esempi di museo edilizio sono state tutelate dal nuovo piano regolatore della fine del Novecento. 8 – Via Aosta – Le osterie. “Beiv del bon vin e lassa ‘ndè l’acqua al mulin”. Da questo ed altri numerosi proverbi dialettali traspare una cultura popolare che vede

nel vino e nei locali in cui questo si somministra il segreto del buon vivere e della lunga salute. Le osterie torinesi erano disseminate lungo il perimetro delle barriere e si intensificavano nella zona dell’oltre Po. Il bere, il gioco sotto le topie, ovvero i pergolati, dove ci si intratteneva con le carte o con le bocce facevano sì che Torino fosse tra le città italiane ai primi posti nelle classifiche per numero di esercizi censiti. 9 – Via Malone – Le strutture religiose (Chiesa Nostra Signora della Pace e oratorio Michele Rua).

La presenza di questa chiesa risale al 1894 quando su corso Ponte Mosca si aprì il cantiere voluto dal canonico Michele Mossotto che ne restò parroco fino alla sua morte avvenuta nel 1929. Costruita su una pianta a croce greca si rifà allo stile composito bizantino romanico, che ricorda modelli quasi coevi che troviamo nella chiesa di San Gaetano a Regio Parco del 1887 o in quella di San Gioacchino, posta di fronte alla stazione della Ciriè Lanzo (c.so Giulio Cesare), che si completò nel 1882. La prima e l’ultima delle citate chiese subirono gravi danno durante il Secondo Conflitto mondiale. La presenza dei Salesiani si allargò anche in questa Barriera dopo il successo dell’esperienza del Valdocco già nel 1918 quando in via Candia 4

sorse il “Ricreatorio educativo per giovinetti delle borgate Monterosa e Maddalene”. Dopo la donazione nel 1921 da parte della marchesa Thaon di Revel della villa e della cascina Clary in via Paisiello vide la luce il grande oratorio Michele Rua nel quale, come tradizione salesiana vuole, nel 1949 prese avvio la Scuola di Avviamento Professionale. All’abbattimento degli ultimi resti della cascina nel 1970 si sostituì l’edificio della scuola materna Mamma Margherita nome che ricorda ancora la famiglia di Don Bosco.

10 – Barriera di Milano (Piazza Crispi) - La crescita urbana e la normativa edilizia 1887 e oltre. Nelle Barriere della metà Ottocento i cittadini si sentono meno cittadini in quanto a costi abitativi minori corrispondono minori servizi quali acquedotto, illuminazione stradale a gas, scuole, tram a cavalli, ospedali, studi professionali. Il perdurare di tali differenze venivano sostenute dai proprietari di immobili in città che vedevano in questa situazione un maggior avvaloramento delle loro case in città. Piccoli cambiamenti cominciarono però nel 1876 quando una delibera comunale decretò che qualora la borgata raggiungesse i 500 abitanti si sarebbe provveduto ad

installare l’ illuminazione con olio minerale purché in presenza d’una scuola serale. Nel 1887 per rimediare alla scarsa qualità abitativa si delibera un piano edilizio che è dapprima specifico in borgo San Paolo, già molto popolato

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(1898/1901) e con un edificato ormai ben consolidato, ed esteso poi al Piano Unico Regolatore (1906/08). Con tale piano si introduce per la prima volta il concetto di periferia nonché l’ammissione gioco forza della viabilità radiale già anticipata nel 1887. Tale ammissione fu fatta anche per evitare troppe pratiche di espropri e il conseguente ritardo nella sua attuazione in presenza di numerosi rustici. Con la demolizione della prima cinta il livellamento dei servizi anche nelle borgate si uniforma man mano. Ad inizi Novecento il modo di vivere contemplava ormai una esigenza di equiparazione in fatto di comode strade, scuole, acqua potabile, gas, energia elettrica, linee telefoniche e rete tramviaria. Alcuni esempi di case fuori cinta le troviamo in via Lombardore nn. 4-6-8 del 1903 e in via Agliè nn dal 4 al 14 del 1905 costruite dal commendator Luigi Grassi inizialmente muratore, poi impresario ed infine consigliere comunale. Nei suoi 50 anni di attività edificò in questa borgata ben 1250 alloggi come forma di edilizia popolare privata. 11 – Via Cervino – Le scuole (Asilo d’infanzia Società Operaia e Scuola Elementare Pestalozzi). Il fermento dovuto alla grande industrializzazione di Torino iniziata all’indomani del suo ruolo di capitale che detenne per soli quattro anni si riflette anche sul sociale facendo nascere forme ante litteram di mutualismo operaio alimentato anche dallo sviluppo del movimento legato al socialismo. E’ del 1891 la nascita della Camera del Lavoro di Torino. Gli operai degli opifici, inizialmente solo la manodopera maschile, versavano un parte del loro salario nelle società cooperative che, non avendo fini lucrativi, riversavano il denaro raccolto in iniziative dedicate alle scuole serali negli anni in cui l’analfabetismo era assai diffuso, nelle cooperative di consumo, nelle casse di prestito e, con l’inserimento anche di personale femminile, nella costruzione di asili per i figli degli associati. L’esempio che rimane in via Cervino è del 1890 come testimonia la targa che troviamo a lato dell’ingresso. Del 1904 la grande scuola elementare Pestalozzi anni in cui era sindaco Secondo Frola (1903-1919) che fu assai attivo per la definizione della nuova cinta daziaria che sostituì quella del 1853. Vicino al gruppo di centro sinistra di Depretis Egli rivestì un ruolo di primo piano anche nella vita politica ed amministrativa torinese nonché in quella nazionale dove ricoprì l’incarico di ministro delle Poste e del Telegrafo. Convinto sostenitore della cultura tecnica, Frola promosse e finanziò diverse istituzioni delegate all'istruzione professionale di base, come la Scuola Elettrotecnica Popolare. 12 – Via Valprato – Docks Dora. La diffusione delle industrie nell’area nord cittadina e la vicinanza strategica alla ferrovia vero la Francia e soprattutto verso Milano fecero sì che nel 1912 in via Valprato su un’area di circa 20mila mq nascessero gli edifici della Società anonima Cooperativa dei Docks Torino. Prende così forma su progetto di Ernesto Fantini questa struttura con scheletro in calcestruzzo armato assai innovativo per l’epoca in quanto il brevetto francese del 1892 fu dato in concessione alla ditta Porcheddu nel 1894. La nuova tecnologia permetteva “luci” assai più ampie, una snellezza costruttiva e velocità di esecuzione delle opere assai più elevata. I nuovi magazzini sostituiscono ampliandoli quelli antecedenti costruiti anch’essi a ridosso della ferrovia nei pressi di Corso Dante. 13 - Barriera di Lanzo (Piazza Baldissera) sosta in Corso Venezia – La stazione Dora.

Inaugurata nel 1857 come stazione “sussidiaria” agli scali merci di Valdocco. Posto di fronte agli uffici daziari l’ edificio definitivo fu poi costruito nel 1902 epoca in cui era un riferimento per le grandi aree industriali e si concentravano qui fino agli anni Ottanta i grandi flussi di traffico pendolari. Nel 1858 la sua importanza crebbe poiché allacciata tramite incrocio a due livelli anche alla ferrovia canavesana proveniente da Ceres e diretta alla stazione storica di Corso Giulio Cesare il cui tracciato finale ha ancora oggi un destino incerto. Coi lavori del Passante i collegamenti furono del tutto interrotti nel 2006 a partire dal sottopasso che portava alla nuova stazione Gtt Dora costruita nel 1986. La

demolizione avvenuta ad agosto 2011 ne cancella materialmente la memoria in quanto l’ente proprietario e il comune di Torino non ne hanno rilevato particolare interesse e sarebbe stata un intralcio per la demolizione della sopraelevata che ne ha cinto il perimetro per decenni nonché per la costruzione del relativo sottopasso con sistemazione definitiva di Piazza Baldissera.

14 – Piazza Vittoria (Chiesa della Salute) – Anniversario assedio di Torino 1706.

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Molti ricorderanno le celebrazioni storiche del 2006, di cui un monumento con la data del 1706 è stato posto nei pressi della chiesa di Lucento, ma ben più contrastate furono quelle svoltesi un secolo prima. Si innescò infatti una feroce disputa tra le borgate Vittoria e Madonna di Campagna sui luoghi dove si disputò la battaglia e quindi celebrare questo simbolico anniversario. Già nel 1886 un comitato si formò a Borgo Vittoria che ebbe un primo successo quando nel 1889 fece pressione sul Consiglio comunale per la scelta del nome da dare a questa nascente Borgata che soffriva dell’isolamento determinato dalla sua posizione incuneata tra le recenti ferrovie per Milano del 1855 e per Venaria del 1868. Un ruolo determinante nella disputa lo ebbe Giuseppe Durio che nel 1869 acquista il vecchio filatoio Campana per ampliarlo e riconvertirlo nella CIR che pochi anni dopo divenne la conceria più importante in Italia. Negli anni dal 1880 al 1895 in cui Durio fu consigliere comunale nella borgata di Madonna di Campagna fu decisa una fermata della ferrovia, si edificarono case per i propri dipendenti, fu costruita la scuola elementare e l’asilo nonché costituita la Società Operaia di mutuo soccorso di cui egli fu socio onorario. Alla morte del padre nel 1896 sarà il figlio Giacomo a portare avanti la questione. Infatti nel 1903 anche a Madonna di Campagna si forma un comitato per le celebrazioni che la spunta sul Borgo Vittoria accaparrandosi le iniziative civili alla presenza di re Vittorio Emanuele lll e della regina Elena. A Borgo Vittoria si collocò l’ossario e svolsero le cerimonie religiose sostenute dalle associazioni Unione del Coraggio Cattolico e Unione operai Cattolici tra i cui membri troviamo anche Leonardo Murialdo. Fu così che si coniugarono i sacri valori di Famiglia, Religione e Patria contestati dai valori socialisti di anticlericalismo e antimilitarismo che si stavano via via diffondendo. 15 - Trinchieri ( Via Tesso 8bis) - I prodotti tipici. Da questa piccola ditta di produzione di vermouth, o dalla cioccolateria Moriondo e Gariglio, che nel 1873 si trasferisce in via Artisti 36, iniziamo un viaggio nei prodotti alimentari tipici e che spazia nel resto della città e che l’hanno resa famosa nel mondo pur senza la pretesa di citarle tutte. Cirio (via Borgo Dora 32). Come non ricordare lo slogan “Come natura crea Cirio conserva”. Ebbene, fu nello stabile detto “casa Marocco” a Borgo Dora che nel 1856 Francesco Cirio, originario di Nizza Monferrato, inizia ad inscatolare piselli e successivamente altri ortaggi tanto che i suoi prodotti già nel 1867 arrivano a Liverpool o a Sidney e alla morte del suo fondatore nel 1900 è tra le più grandi e prestigiose industrie agro alimentari d’Europa. Caffarel (via Carena). Nel Borgo San Donato Pier Paul Caffarel trasforma una ex conceria in laboratorio per la produzione di cioccolato nel 1826. Nel 1852 tra gli ingredienti si introduce la nocciola delle Langhe e questo cioccolatino a forma di barchetta, dapprima chiamato “givu”, ovvero mozzicone, dal 1865 diventa il gianduiotto. Quattro anni dopo questa azienda riceve l’autorizzazione da Vittorio Emanuele ll di potersi fregiare degli stemmi reali. Nel 1968 lascia Torino per il nuovo stabilimento a Luserna San Giovanni. Talmone ( via Balbis ang. via Pinelli). La ditta di una decina di operai intorno al 1860 crebbe velocemente e si insediò nel quartiere San Donato. Lo stabilimento fu ampliato nel 1895 e rinnovato nel 1904 in stile Art Nouveau. Quell’anno aveva già 213 dipendenti che divennero 372 nel 1911. L’espansione continuò fino al 1929 anno in cui la Talmone si trasferì in corso Francia, nucleo di quella che divenne, con altre aziende, la Venchi Unica. Leone (corso Regina Margherita 242). Fondata da Luigi Leone nel 1857 ad Alba si trasferisce a Torino dopo pochi anni. Il conte Camillo Benso, che delle pastiglie alla violetta ne assaporava spesso il sapore, fu il personaggio che determino il cambio del nome, infatti furono ribattezzate in suo onore "senateurs". Al suo marchio raffigurante il leone i torinesi doc hanno abbinato un vero e proprio modo di dire, "Marca Leone!", a significare che una cosa è fatta ad arte, possiede il valore assoluto dell'eccellenza e può vantare una qualità indiscutibile. Dopo gli anni in cui trovò sede in via Pietro Cossa di recente si è spostata nella zona industriale a Collegno. Venchi (corso Regina Margherita 16). Nata nel 1878 da Silvano Venchi e famosa per l’immagine dei due vecchietti in questo edificio liberty disegnato da Pietro Fenoglio nel 1907 con superficie di 12mila mq e che ospita ben 500 operai, si insedia questa industria che lascia poi il posto all’Opificio Militare trasferendosi nel 1921 in via De Sanctis. Nel 1924 Riccardo Gualino la trasforma in Unica ( Unione Nazionale Industria Commercio Alimentare). La sede di corso Francia 325 ricopre una superficie di 100mila mq e occupa 1825 addetti. Dopo anni di abbandono dagli anni Settanta finalmente dal 2008 una nuova ristrutturazione che di quella sede ne ha conservato le peculiarità architettoniche pur trasformandone completamente le funzioni.

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Mulini Feyles (corso Tassoni 52). Gli edifici risalgono al 1909 sul sito dei mulini precedenti alimentati dal Canale dei Molassi ovvero la vera forza motrice di Torino fino all’avvento dell’energia elettrica. Ristrutturato di recente ospita prestigiosi loft. Birreria Metzger (via San Donato 68). Dalle antiche ghiacciaie e dal primitivo laboratorio nasce nel 1903 l’ampliamento a firma di Fenoglio. Ospita ora un supermercato e altre attività. Pastificio Italiano (via Bisalta 11). Ora sede dell’AC hotel Torino a due passi dal Lingotto arrivò ad occupare fino a 150 dipendenti ed una produzione di 200 quintali giornalieri di pasta. Carpano (via Nizza 224). Lo stabilimento produttore di Vermouth fu costruita in Barriera di Nizza nel 1892 e fu attiva fino agli anni Ottanta. Poi ristrutturata ospita ora il centro commerciale Eataly che commercializza i prodotti tipici di qualità enogastronomici. 16 - Via Balangero – La Paracchi e il paternalismo industriale. Il Leone di Persia sembra un nome di un avventuroso condottiero orientale, ma in realtà è il simbolo che dal 1901 contraddistingue l'originalità e la qualità dei tappeti prodotti dalla Paracchi di Torino. Nel 1901 Torino inizia ad essere uno dei poli industriali più importanti d'Europa ed è in questo periodo di rinnovamento che Giovanni Paracchi fonda la sua azienda, la prima in tutta Italia nella fabbricazione del tappeto a livello industriale. Giovanni, con l'esperienza tramandata dalla famiglia che lavorava in campo tessile, con l'intuito, ma soprattutto con la ricerca, inizia a produrre tappeti a tessitura Jacquard, Tournay ed Axminster, che mai prima d'allora erano stati fabbricati in Italia. Il successo è tale che già nel 1908 la Paracchi viene premiata con l'ambita Medaglia d'oro del Ministero del Commercio. La presenza di questa come di altri stabilimenti quali la Mazzonis determinano anche qui un grande polo anche sociale per le maestranze che si organizzano dentro e fuori la fabbrica contestando il paternalismo imprenditoriale in voga nell’epoca che ne avrebbe voluto scandire i tempi nell’arco di tutte le 24 ore. 16b – Strada Ghiacciaie – La nuova cinta del 1912.

Dopo la rettifica del tracciato deciso dalla giunta Frola con la giunta Rossi nel 1912 vennero affidati i lavori all’ingegner Fenolio ed a Ponzano. Questa volta il muro è in calcestruzzo e senza fossato. Dei 104 proprietari terrieri interessati nello spostamento e costruzione della cinta sono solo 12 quelli per cui è stato necessario procedere tramite esproprio prefettizio. Come accennato precedentemente l’argomento cinta coinvolge sia la pianificazione urbana sia quella industriale. Viene individuata la zona Basse di Lingotto per il collocamento dell’infrastruttura daziaria per non tagliare il fascio dei binari ferroviari. Dal punto di vista architettonico in zone

molto limitate per rompere la monotonia dell’edificato tra la prima e la seconda cinta vengono costruiti dei villini. Continue sono le varianti edilizie in quanto le regole non sono pienamente sotto il controllo municipale. Anche la ortogonalità viaria è ormai rotta anche da un collegamento comunque preesistente coi comuni confinanti. L’inaugurazione della nuova cinta avvenne il 2 settembre 1912. 17 – Barriera Martinetto (Corso Appio Claudio) – Il tiro a segno nazionale. Questo luogo è stato proclamato Monumento Nazionale dopo i drammatici episodi legati alle rappresaglie della repubblica di Salò del 1944. Nel 1945 venne inaugurata la lapide che ricorda i nomi dei 59 fucilati molti dei quali sono ricordati nella toponomastica cittadina e in un libro di Valdo Fusi “Fiori rossi al Martinetto”. La sua storia parte dal 1883 dopo che la Società del tiro a segno Nazionale si dovette trasferire dalla precedente sede nei pressi del castello del Valentino che li ospitava dal 1838. Funzionante fino al 1951, quando fu di nuovo trasferita alle Basse di Stura, questa area fu molto ridotta in estensione nel 1967 per far posto ai moderni palazzi attuali. Fu conservata la struttura che fu usata per le già citate esecuzioni capitali e contornata da un rispettoso giardino. 18 – Barriera di Rocchetto (Piazza Moncenisio) - La seconda cinta daziaria e le modifiche esattoriali. Sebbene nel 1908 si sia deciso per la costruzione di una cinta di 22 km, i festeggiamenti e l’esposizione legata al cinquantenario nazionale del 1911, fecero rimandare l’avvio dei lavori.

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Il dibattito sulla costruzione della seconda cinta e sulla demolizione della 1° cinta si fa intenso nel 1909 quando si ipotizza una eventuale abolizione del dazio inserita in una più ampia riforma tributaria e che ne avrebbe resa inutile la ingente spesa. Infine prevalse la scelta di ricostruire una cinta più larga. La scelta dell’allargamento era già stata fatta a

Milano, Brescia, Bologna che nel contempo ridussero le tariffe daziarie su beni di largo consumo pur riuscendo comunque a consolidare i bilanci comunali. A Torino la nuova cinta ingloba altri 41500 abitanti e lasciandone fuori ancora 20mila nelle frazioni più lontane. Sul fronte tariffario con la previsione di più alte spese di esercizio, si opta per mantenere l’imposizione invariata pur lasciando fuori dall’imposta daziaria prodotti di larga diffusione popolare. Tale mantenimento tariffario permette di finanziare nuovi grandi opere come lo furono i due nuovi ponti legati però alla costruzione stessa di questa nuova cinta. Le differenze tariffarie tra le varie città italiane diventano svantaggiose per le industrie che si trovano ora inglobate all’interno

della cinta. Un caso emblematico di questo svantaggio fu quello della Venchi che nella convinzione che il dazio sarebbe stato abolito costruì un nuovo stabilimento dentro questa seconda cinta. Forti differenze che si attuarono tra Milano e Torino città da sempre concorrenti. Nella prima il dazio non veniva più applicato alle aziende, mentre a Torino si optò per un rimborso alle esportazioni (verso altre città) che fu giudicato insufficiente, ed ebbe come conseguenza che furono almeno 300 le aziende che si posizionano fuori cinta. Fu nel 1930 che al dazio si sostituì la tassa sul consumo liberando i comuni da una sorta di soffocamento che buona parte dei cittadini ritenevano vessatorio. 19 – Barriera di Francia (Piazza Bernini) – La ferrovia Colli.

Intorno al 1868 si costruì lungo corso Francia la prima linea ferroviaria in Italia a scartamento ridotto progettata dall’ing. Colli che collegava Rivoli a Torino. L’asse fu lo stimolo per lo sviluppo industriale come nel caso dell’opificio e villaggio operaio Leumann, splendido esempio ben conservato di archeologia industriale in Italia. Su corso Francia si conserva ancora oggi molto bene l’antica stazionetta. Della stazione di testa in piazza Statuto non resta più nulla in quanto è stata demolita per far posto alla torre Velaschina come viene definito il “grattacielo” che la sostituì nel 1959. Alla base di esso in corrispondenza degli uffici della Gtt una lapide ricorda l’opera dell’ingegner Colli. La ferrovia fu in

esercizio dal 1871 al 1955. Al treno a vapore si sostituì quello elettrico nel 1914 e funzionò con la Littorina durante il Ventennio. Allo smantellamento della ferrovia è seguita l’istituzione del servizio filobus fino al 1977 sostituito dai bus fino al 2006 ed infine dalla costruzione della prima linea automatica di metropolitana che nei programmi raggiungerà in futuro Cascine Vica e Rivoli. 19b – Corso Ferrucci – Le Missioni della Consolata e i santi sociali. Dell’istituto Missionari della Consolata ne fu padre il Beato Giuseppe Allamano che all’età di 50 anni nel 1901 fondò questa istituzione. Già l’anno dopo era presente con 4 missionari in Kenia e nel 1910 si sviluppò con la nascita anche dell’Istituto suore della Consolata. Questo benefattore già nel 1880 a 29 anni divenne rettore del Santuario della Consolata l’importante chiesa Mariana a Torino. La sua formazione religiosa partì al ginnasio dell’Istituto Valdocco nel quale ebbe come educatore nientemeno che San Giovanni Bosco. Un altro santo era presente in famiglia in quanto egli era nipote da parte di madre di San Giuseppe Cafasso. Egli è stato infine sepolto in una cappella a lui dedicata all’interno di questo istituto al cui interno è posto anche l’ interessante museo Etnografico e di Scienze Naturali che raccoglie materiali riguardanti usi e costumi delle popolazioni africane con cimeli che risalgono al 1902. 20 – Barriera di San Paolo (Corso Ferrucci ang. Via San Paolo) – Le officine ferroviarie e i nuovi trasporti. Con lo spostamento della prima cinta si cominciano a prevedere degli isolati a maglia larga che consentivano l’ insediamento di edifici industriali. Da una prima indicazione dimensionale di isolati di 400x700 metri si scende a 250x300 ed infine a 150x150 considerati comunque sufficienti anche per questa funzione. Nulla nella mentalità dell’epoca si prevedeva per separare abitazioni ed industrie. Nelle vie private interne che spezzavano ulteriormente la maglia stabilita si dettò almeno la regola dell’allineamento degli edifici.

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Le officine Grandi Riparazioni sono già presenti dal 1884 e quasi contemporaneamente sorgono anche la Savigliano, la Nebiolo, l’Ansaldi, Moncenisio ed Emanuel. Si passa così dalle primordiali industrie statali del 1861. A quel tempo l’arsenale contava 509 operai e la fabbrica bellica del Valdocco 457 addetti. Le OGR furono più volte spostate infatti da una prima collocazione a Porta Nuova nel 1848 in occasione della costruzione della linea per Moncalieri, furono poi trasferite a Porta Susa nel 1854 solo l’anno dopo che si inaugurò la linea per Genova. Il forte sviluppo ferroviario successivo imposero l’attuale sede in spazi fino ad allora impensati. Nel 1895 occupavano 2mila lavoratori spesso specializzati che fecero la fortuna di grandi Borghi specialmente quello di San Paolo che ne fu fortemente influenzato. 21 – Barriera Crocetta ( via Colombo) – Un Borgo periferico. All’interno di questa Barriera nel 1882 ancora pochissimi erano gli edifici raccolti intorno alla vecchia parrocchiale in largo Cassini. Tant’è che la chiesa della Beata Vergine delle Grazie in stile neoromanico venne costruita nel 1887. Fu poi nel 1904 che la dismissione della Piazza d’Armi decisa dal Comune diede il via all’edificazione di 27 ettari di superficie su cui sorgono sontuose ville con giardini che con gli esempi dell’arte floreale presenti di casa Gamna (corso G. Ferraris 78) del 1905 o quella di corso De Gasperi 40 e altre, diventa il quartiere più aristocratico e alto borghese della città. Non mancano alcuni esempi di edilizia popolare firmato Fenoglio come quello di via M. Polo 35-37 del 1903. 22 - Barriera di Orbassano (Corso de Gasperi) – Lo spostamento della cinta e le espansioni urbane. Dopo 50 anni dalla costruzione della prima cinta le aree fabbricabili divennero pressoché sature. Il cosiddetto regolamento dell’ ”Ornato” era infatti inapplicabile fuori cinta ed allo stesso tempo si impone però sempre più per l’amministrazione l’esigenza di elevare la qualità abitativa in mancanza della quale si accresce la diffusione delle malattie infettive. Ad inizio Novecento l’espansione urbana è alquanto diversa zona per zona e in alcuni casi anche troppo fitta come in zona Campidoglio nella quale gli edifici distano anche meno di 6 metri l’un l’altro. Dei 305 mila abitanti sono 62 mila quelli che si trovano ubicati fuori cinta. L’espansione urbana oltre le barriere Francia, Orbassano e Stupinigi nel 1906 fecero ipotizzare quindi nel dibattito in Giunta un ampliamento della cinta diventata ormai un intralcio. Alcuni consiglieri, citando l’esempio di Alessandria, ipotizzano una graduale abolizione del dazio. Di questo parere era soprattutto il gruppo socialista. Alla prima cinta si sostituirà una sorta di circonvallazione. Per far ciò il fossato preesistente viene riempito e si decreta nel contempo il prolungamento di 18 assi stradali. Dai primi del Novecento intanto alla coerenza con la griglia tradizionale viaria ortogonale si sostituisce una logica legata alla rendita fondiaria che privilegia ad esempio gli edifici posizionati sugli angoli stradali. Nel 1914 anche la cinta collinare fu completata e si stabilì che essa avesse tra l’interno e l’esterno due livelli collegati da scale. Una mappa militare del 1912 riporta il tracciato della seconda cinta all’esterno della quale e fino al 1930 il territorio rimane quasi totalmente agricolo. Bisogna aspettare il secondo dopoguerra per una espansione a macchia d’olio improntata su numeri massicci di edificato.

23 – Barriera di Susa (Corso De Nicola) – I prodotti soggetti a dazio. La riscossione comprende sia le merci in entrata sia quelle prodotte all’interno della cinta. Agli inizi del Novecento con l’avanzare del livellamento dei servizi in ogni parte della città si afferma di pari passo un livellamento paritario nei carichi tributari. Si fa sempre più insistente una valutazione di iniquità nella riscossione del dazio che da parte socialista preme per la sua abolizione e l’introduzione della riscossione sulla vendita al minuto. Per contro le classi più abbienti avrebbero potuto aggirare tale tassa comprando all’ingrosso mentre il dazio garantiva la tassa all’atto dell’introduzione in città. Nei comuni aperti il gettito infatti è solitamente inferiore a quello preventivato e spesso con ciò si attirano le proteste degli esercenti. 24 – Barriera di Stupinigi (Corso Bramante ang. Corso U. Sovietica). 25 – Barriera di Genova (Corso Bramante cavalcavia ferroviario).

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26 – Barriera di Nizza (Piazza Carducci) - La città si rinnova. L’abbattimento degli edifici di Barriera liberano spazi assai grandiosi e delle due caserme posizionate sulla piazza rimangono solo alcune rare fotografie. Degli antichi palazzi ottocenteschi ne rimane solo quello che corrisponde a Corso Bramante 163-165-167 con una facciata classicheggiante con reminescenze barocche mentre dal lato cortili i lunghi ballatoi ne ricordano la natura popolare. Per il resto grandi palazzi frutto dell’edificazione del dopo guerra. A questa vecchia Barriera si sostituisce quella nuova di Piazza Bengasi con la creazione di una nuova piazza. Simili piazze di cui ancor oggi rimangono gli esempi sono Piazza Rebaudengo e Piazza Stampalia in cui sono ancora visibili gli uffici daziari. 27 – Vicolo Abbeg – La Chiesa di San Michele. Superata la Barriera di Nizza ed il suo grande piazzale ci si addentra nella

zona delle Molinette oggi quasi totalmente occupata dal grande ospedale costruito negli anni Venti. Su via Genova troviamo la chiesa di San Michele il cui complesso che comprendeva l’oratorio arrivava quasi in corso Bramante. Alle sue spalle il vicolo Abegg un residuo ottocentesco di insediamenti residenziali dell’epoca ormai soffocato da grandi palazzoni. Si tratta di una casa per lavandai il cui piano inferiore era adibito a questa attività mentre più in alto era adibito ad abitazione. A fianco la scuola materna condotta dalle suore della Consolata che fa parte del più amplio complesso che comprendeva anche una Casa Famiglia per l’avviamento al lavoro delle ragazze povere e una scuola professionale maschile oltre agli oratori maschile, femminile nonché una scuola elementare. 28 – Corso Spezia – L’istituto Autonomo Case Popolari.

Gli edifici di Corso Spezia 53-55 sono state realizzate intorno al 1911 dall’ Istituto Autonomo Case Popolari su progetto dell’ingegner Fochesato. A fronte d’un massiccio inurbamento causato dalla forte espansione industriale dei primi del Novecento già nel 1907 fu costituito a Torino l’Istituto Autonomo Case Popolari (I.A.C.P.) il cui piano prevedeva di costruire 9 mila camere entro 3 anni, ma nel 1911 il realizzato era solo il 20%, inoltre parecchi alloggi rimasero sfitti poiché i canoni erano troppo alti per i magri bilanci delle classi popolari. “Una casa per tutti” diventa il motto della propaganda di regime infatti dallo IACP (1907- ‘35) si passa all’ Istituto Fascista autonomo case popolari (fino al ’41), poi la gestione dell’Ina-Casa a cui segue la Gescal. Dal 1993

nasce l’ATC (agenzia territoriale per la casa) impegnata oggi in ristrutturazioni degli stabili più antichi e di edilizia sovvenzionata presenti un po’ ovunque nei quartieri semiperiferici di Torino che allora erano posizionati a ridosso della prima cinta daziaria come lo IACP 6 sulla piazza di Borgo Vittoria del 1910 o quello di via Verolengo dove per primo si progettarono alloggi con bagno e disimpegno archiviando per sempre i bagni esterni e gli accessi dal ballatoio. 29 – Via Chiabrera – La Fabbrica Italiana Automobili Torino.

Questa società che per molti anni ha fatto dire di Torino come la città dominata dalla Fiat, o company town come si direbbe oggi, ha avuto origine nel 1899 a Palazzo Bricherasio in via Lagrange. In una sala per mano del pittore Lorenzo Delleani è esposta ancor oggi la grande tela che ne raffigura l’evento con i soci fondatori ritratti intorno ad un tavolo. Nei primi anni lo stabilimento si collocò in corso Dante 35, sul luogo dove sorgeva il Palazzo dell’industria dell’Esposizione nazionale italiana, dove fu inaugurato insieme alla bella palazzina liberty adibita ad uffici nel 1900. Nel 1899 furono prodotte le prime 8 vetture ma la svolta si ebbe con la nomina ad amministratore delegato del senatore Giovanni Agnelli con espansioni e diversificazioni di prodotto che spaziava dai velivoli ai motori marini ai lubrificanti ai cuscinetti a sfera e, dal 1909 al 1915 persino di biciclette o di frigoriferi nel 1957. Il grande affare fu la produzione bellica di aeroplani e motori marini con una capacità che nel 1914 arrivò a

sfiorare i 20mila autocarri. Fu pertanto necessario fare un salto di quantità anche per gli spazi di produzione che

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portarono nel 1922 al completamento dello stabilimento di Lingotto. La storia più recente ci farebbe andare troppo oltre a cominciare da Mirafiori del 1937 e tutte le altre espansioni degli anni Settanta e l’inglobamento delle altre aziende automobilistiche che segnarono e scandirono i ritmi cittadini per parecchi anni e per buona parte della sua popolazione che furono legati all’azienda non solo dentro i cancelli ma anche fuori tramite l’assistenza sanitaria, sociale ed anche abitativa. 30 – Viale Medaglie d’Oro (Valentino, villino Caprifoglio) - L’esposizione universale 1911. «Il 27 marzo 1861 è data tra le più memorande nella vita della Patria nostra. La terza Italia, nella balda sicurezza dei suoi fati, nell'audacia di ineluttabile volontà, di fronte al Mondo intero, per bocca dei suoi rappresentanti

solennemente affermava l'essere suo, l'unità sua, con a capo Roma, la Città Eterna, culla della sua civiltà, centro e cuore dei suoi nuovi destini. Compirono i fati; e il cinquantenario del memorabile giorno va degnamente celebrato, perché l'Italia dell'oggi renda omaggi ai precursori e si affermi quale essa è in cospetto della civiltà». Così Ernesto Nathan, sindaco di Roma, e Secondo Frola, sindaco di Torino, il 15 gennaio 1908, annunciano la proclamazione delle feste commemorative per il 1911, Cinquantenario dell'Unità d'Italia, che si svolgeranno a Torino e Roma. Sul Catalogo ufficiale, che è una pubblicazione del

Touring Club Italiano, è documentata l'inaugurazione delle celebrazioni svolta a Torino il 17 marzo 1911 dal nuovo sindaco di Torino Teofilo Rossi e dal ministro Luigi Facta, con l'apertura della "Esposizione Internazionale" in data 29 aprile. La grande esposizione del 1911 Si estendeva su una superficie di un milione di mq con 250 mila visitatori che per l’epoca fu un successo straordinario. Segue quelle nazionali del 1884, la cui eredità è rappresentata dal Borgo Medievale, del 1898 quella dell’arte decorativa del 1902. Di questa mostra oltre al villino Caprifoglio rimane la suggestiva fontana dei 12 mesi. Con queste grandi esposizioni si fa entrare nel circuito internazionale la capacità tecnologica e quella imprenditoriale di questo recente Stato nazionale.

Il poster è l’immagine che concluse le celebrazioni del Centenario dell’unità d’Italia. Oggi che stiamo celebrando i 150 anni della nostra nazione ci auguriamo di poterne festeggiare anche i 200 e forse in quell’anno tutte le trasformazioni innovative della nostra città a cui stiamo assistendo faranno già parte della sua millenaria storia come tutte quelle presenti e raccontate in questa pubblicazione che mi auguro abbia suscitato in voi una buona dose di curiosità.

Buona pedalata a tutti.