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Ogni donna ha un piano B Sherryl Woods

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Sherryl Woods

Ogni donna ha un piano B

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Backup Plan

Mira Books © 2005 Sherryl Woods

Traduzione di Fabio Pacini

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà

Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Romance

aprile 2012

Questo volume è stato stampato nel marzo 2012 presso la Mondadori Printing S.p.A.

stabilimento Nuova Stampa Mondadori - Cles (Tn)

HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943

Periodico mensile n. 99 dello 07/04/2012 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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C'era una brutta notizia e il suo produttore le girava attorno in punta di piedi. Dinah glielo leggeva negli occhi, lo senti-va dal suo tono di voce. Faceva la giornalista televisiva da dieci anni e ne aveva trascorsi quasi nove lavorando con lui, quindi aveva imparato a riconoscere i segni. Ray Mitchell era un eccellente produttore, ma la comuni-cazione sottile non era il suo forte. Gli veniva più facile ab-baiare ordini. Forse perché apparteneva a un'altra era del giornalismo, fatta di giganti del calibro di Ernie Pyle, Ed-ward R. Murrow, Walter Cronkite e Dan Rather, grandi bevitori e accaniti fumatori di sigari che avevano saputo portare le corrispondenze di guerra a vette mai prima tocca-te. Guardare Ray che annaspava nel tentativo di arrivare al punto era quasi doloroso. «Cos'è che stai disperatamente cercando di non dirmi?» gli chiese alla fine. «Il pezzo che ho consegnato non anda-va bene? È un'ottima intervista.» Anche le riprese erano buone, forse non come quelle del suo precedente cameraman, ma sicuramente all'altezza del-la situazione. Il disagio di Ray si accentuò. «Per qualcun altro forse sì» disse con la brusca franchezza che lei aveva sempre rispet-tato. «Per te no.» Inconsciamente, Dinah aveva anticipato un commento di quel genere, tuttavia non poté fare a meno di sbarrare gli occhi, scioccata. Anni di elogi da parte dei colleghi sul

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campo e dei dirigenti a New York l'avevano abituata ad a-spettarsi soltanto di venire lodata. «Cosa vuoi dire, Ray? Sputa il rospo.» La loro improvvisata redazione era priva di aria condi-zionata e nella stanza faceva un caldo infernale, ma Dinah sapeva che non era quello il motivo che spinse Ray a pas-sarsi il fazzoletto sul faccione rotondo. Era nervoso come uno scolaretto alla sua prima interrogazione. «Okay» disse al termine di una lunga pausa. «Se vuoi la verità, eccola qui. Non sei più affilata come una volta, Di-nah. Considerando quello che ti è capitato, è più che com-prensibile, ma...» Dinah smise di ascoltare. Nessuno più accennava all'in-cidente in sua presenza. Non poterne parlare era difficile per lei. Ogni volta che provava a toccare l'argomento, i suoi interlocutori mormoravano delle frasi di circostanza con un'aria impietosita che tagliava le gambe a ogni possibilità di approfondimento. In parte, questo dipendeva anche dal fatto che, nelle pri-me settimane dopo la tragedia, lei aveva ascoltato con oc-chi bene asciutti le espressioni di simpatia dei colleghi, sfo-derando le battute caustiche delle quali i reporter di tutte le nazionalità si servivano per tenere a bada la paura e il dolo-re. A lungo andare, prendendo esempio da lei, loro avevano messo una pietra sopra l'intera vicenda e, ora che Dinah era finalmente pronta, ansiosa persino, di parlarne, non aveva-no più voglia di ricordare, di affrontare la spaventosa con-sapevolezza che era stata soltanto la fortuna, o la prov-videnza divina, a non farli essere su quella strada a quell'o-ra di quel particolare giorno. I corrispondenti di guerra erano una razza di giornalisti molto speciale e quelli che avevano la tendenza a rischiare troppo finivano per bruciarsi prima degli altri. «A New York si stanno facendo delle domande» aggiun-se Ray.

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Ciò catturò l'attenzione di Dinah. «Che genere di do-mande?» chiese con tutta la suscettibilità di una professio-nista che, ormai da anni, non sentiva la benché minima cri-tica sul suo lavoro. «Vogliono sapere se non sarebbe il caso che tu ti pren-dessi un periodo di riposo, sai, per darti il tempo di digerire quello che è successo» disse cautamente Ray. «Hai diritto a un po' di vacanza. Anzi, più che un po'. Sono secoli che non ti prendi una vacanza degna di questo nome.» Lei sperimentò una sensazione di caduta. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era una vacanza. Il lavoro la definiva, era la molla che la spingeva ad alzarsi dal letto ogni matti-na. Concentrarsi su un'intervista apparentemente non molto brillante dopo che ne aveva sfornate dozzine di eccezionali, aiutando un network che all'epoca stava muovendo i primi passi a conquistarsi un nome nel mondo dei media, non era giusto. Si meritava un trattamento migliore. «Non ho bisogno di riposare» disse, asciutta. «Semmai, di lavorare ancora di più.» «Perché non provi con un incarico diverso allora?» sug-gerì Ray. «Potresti farti temporaneamente trasferire agli uf-fici di Londra. Oppure di Parigi. Forse persino di Miami. Quella sì che è una pacchia. Sole, spiagge, palme...» L'immagine la lasciò del tutto indifferente. Nei giorni immediatamente successivi a quello che continuava a con-siderare l'Incidente, con la I maiuscola, aveva pensato di mollare tutto. Ma poi si era resa conto che soltanto il lavoro avrebbe potuto dare ancora un senso alla sua vita. E se a-desso era più difficile, se trascorreva le sue giornate in pre-da al terrore, era determinata a vincere la paura. Adesso, o-gni volta che usciva dall'albergo la mattina, guardava alle cose che doveva fare come al suo personale tributo al co-raggio di tutti i giornalisti morti sul campo, mentre cercava-no di offrire alla gente una visione di quello che stava ac-cadendo all'altro capo del mondo.

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«Suvvia, Ray. A Londra o Parigi sarei sprecata. E Miami cancellala dalla lista.» Ebbe un brivido di disgusto. «Io mi occupo di guerre e lo faccio meglio del novanta per cento dei reporter in circolazione.» Lui la osservò con evidente preoccupazione. «Fino a po-co tempo fa eri la migliore di tutti.» «E tornerò a esserlo» affermò lei. «Mi serve solo un po' di tempo per...» Cosa? Adattarsi? Impossibile. Andare a-vanti? Forse. L'obbiettivo era quello, andare avanti un giorno per volta. «E non credi che sarebbe più saggio trascorrere questo tempo da un'altra parte?» le chiese dolcemente lui. «Hai pagato un pesante tributo alla professione, Dinah. E saresti dovuta andare in vacanza già da prima. Ne avevamo parla-to, ricordi? Tu avevi una mezza intenzione di tornare a casa per stare un po' con i tuoi. Perché non farlo adesso? Le per-sone ruotano dentro e fuori questo lavoro perché nessuno può vivere sempre così senza dare fuori di matto. Tu non sei Superman.» Il problema era che, se fosse andata via ora, tutti lo a-vrebbero preso per un segno di debolezza. Avrebbero pen-sato che era entrata in crisi e fuggiva, una cosa che lei non poteva permettere. Aveva imparato a farsi rispettare, non a venire compatita. «Mi avevi detto che avevi voglia di rivedere la tua fami-glia, di fare delle cose normali, tanto per cambiare» conti-nuò Ray. Era vero, ma quello che aveva detto allora oggi non vale-va più. La situazione era cambiata. Drasticamente e dram-maticamente cambiata. Oggi, per mantenere la sanità men-tale e il rispetto di se stessa, doveva continuare a lavorare. Non aveva voglia di tornare a casa, prima che tutti laggiù si fossero dimenticati di quello che le era successo. Non ave-va voglia di rispondere alle domande della gente, nemmeno a quelle dei suoi familiari.

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«Non adesso, dannazione!» disse con involontaria a-sprezza. «Scordatelo, Ray! Non andrò da nessuna parte.» Negli occhi del suo produttore balenò un lampo di allar-me. «È proprio di questo che stavo parlando. Prima non scattavi mai in questo modo, anche quando la tensione si tagliava a fette. Non sei più te stessa, Dinah, e io sono pre-occupato. E se un giorno di questi ti succedesse mentre sei in onda?» Lei lo fissò, folgorata da un'improvvisa rivelazione. «È per questo che nell'ultimo periodo ho fatto così pochi colle-gamenti in diretta, vero? Hai paura che vada a pezzi davan-ti alla telecamera.» Lui fece una smorfia, asciugandosi di nuovo il sudore dalla fronte. «È un'eventualità che non oso nemmeno con-templare» ammise. «Per il tuo bene, non per il network. Non me ne frega niente del network.» Lei gli credette. Ray aveva sempre protetto le sue squa-dre. Coccolava i suoi reporter e i suoi cameraman come dei figli. Quando per difenderli era stato necessario sfidare gli alti papaveri a New York, non aveva esitato a farlo, infi-schiandosene dei propri interessi. Poiché era certa delle sue motivazioni, Dinah si impose di calmarsi prima di replicare. «Ti comporti come una vec-chia chioccia ansiosa» accusò in tono leggero. «Sto bene. Se questo cambiasse, se mi rendessi conto di non essere più in grado di svolgere il mio lavoro, sarai il primo a saperlo. Giuro.» Lui si mostrò dubbioso. «Tu non conosci i tuoi limiti e non li conosci perché non te ne sei mai posta uno. Hai sem-pre fatto tutto quello che c'era da fare, incurante dei rischi.» Ascoltandolo, lei venne presa dai sensi di colpa. Se Ray avesse saputo quanta fatica faceva semplicemente a uscire dall'albergo la mattina, l'avrebbe caricata di peso sul primo aereo diretto in America. «Ci riesco ancora» disse lei, sapendo che quel tanto era

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vero. Solo le costava di più. «Dai, Ray, concedimi un po' di spazio su questa cosa.» «È proprio questo il punto. Te ne ho concesso fin troppo, di spazio.» Questo fu un altro shock, ancora più umiliante del prece-dente. Lei rimase interdetta. «Ma di che parli? Vorresti dire che lavoro male?» Lui la guardò con qualcosa che assomigliava molto al-l'imbarazzo. «Okay, ti dirò la verità, nuda e cruda, come piace a te. Ascoltami bene, perché sono cose che hai biso-gno di sentire. Ci siamo lasciati sfuggire alcune storie, Di-nah. In passato non era mai accaduto. In alto hanno fatto finta di niente, date le circostanze, ma adesso cominciano a spazientirsi. Sono trascorsi quasi quattro mesi. Non riuscirò a frenarli ancora per molto. La decisione sulla tua perma-nenza qui potrebbe già non essere più nelle mie mani... e men che meno nelle tue.» Dinah deglutì, cercando di dare un senso alle sue parole. Quali storie avevano perso? Non aveva mai prestato molta attenzione a quello che faceva la concorrenza. Non ne ave-va avuto bisogno perché, con i suoi contatti, era sempre stata in vantaggio su tutti. Era possibile che gli altri giorna-listi avessero tratto profitto dalla sua distrazione? Forse sì, fu costretta a riconoscere. «Okay, questa è una storia che finirà adesso» promise sulla spinta di una rinnovata determinazione. «Da oggi in avanti non mi farò scappare niente. Se non dovessi riuscir-ci...» «Te ne tornerai a casa, Dinah» disse lui in tono piatto, guardandola dritto negli occhi. «Che ti piaccia, o no.» Quell'ammonimento agì su di lei come una scossa elettri-ca, strappandola dallo strano torpore emotivo che si era im-padronito del suo animo. «Non arriveremo a questo punto» disse a denti stretti. Non doveva fare altro che cancellare quelle terribili im-

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magini dalla sua mente e concentrarsi sul qui e ora, eserci-zio che era stata costretta a compiere migliaia di volte nel corso degli anni. Sono ancora in grado di farlo, pensò con determinazio-ne. Avrebbe rimesso insieme i cocci e ne sarebbe venuta fuori ancora più combattiva e tagliente. Lo doveva ai milio-ni di spettatori che contavano su di lei per avere un rappor-to onesto e obiettivo dei fatti. Lo doveva al network che dieci anni addietro aveva avuto il coraggio di scommettere su una ragazza appena uscita dalla scuola di giornalismo. Ma, prima di ogni altra cosa, lo doveva a se stessa. Sen-za quel lavoro, chi diavolo era? Due settimane dopo la conversazione con Ray, lo squillo del cellulare alle quattro del mattino fece volare Dinah al coperto sotto il letto della sua camera d'albergo. Non era la prima volta che le capitava di reagire in quel modo per un nonnulla, ma gli episodi stavano diventando sempre più frequenti. Lo stesso si poteva dire degli incubi dai quali si sveglia-va di soprassalto, bagnata di sudore freddo. Erano settima-ne che non riusciva a farsi una bella notte di sonno. Non occorreva essere dei geni della psicologia per capire che soffriva della sindrome da stress post traumatico, però lei era ancora convinta di poterla superare grazie alla forza di volontà. Solo che non funzionava. Quando alla fine strisciò fuori dal suo rifugio, fu solo per raggomitolarsi contro il muro tremando come una foglia in attesa che l'attacco di panico passasse. Forse Ray aveva ragione. Forse non era più in grado di svolgere il suo lavoro. Ma che altro poteva fare? Casa. Quando Ray l'aveva menzionata, le era sembrata un'ipotesi ridicola, se non addirittura umiliante, ma adesso non era più così. Fino a pochi mesi prima, aveva pensato a casa con una sorta di distaccata nostalgia. Casa era il posto

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da dove era partita, non quello in cui voleva andare. L'idea di tornarci non le era mai balenata per la testa. All'improvviso, invece, le immagini delle terre basse del-la South Carolina esercitavano una grande attrattiva su di lei. Le grandi querce coperte di muschio e l'aria afosa del-l'estate, carica del profumo dei caprifogli in fiore, avevano un che di idilliaco. Di sicuro, erano quanto di più lontano si potesse immaginare dall'arido, feroce, sanguinoso tumulto dell'Afghanistan in guerra. Da ragazza, crescendo appena fuori da Charleston, non l'aveva pensata allo stesso modo. Il posto le era sembrato poco più di una palude infestata dalle zanzare e aveva odia-to i ritmi lenti e la parlata strascicata della gente, le notti soffocanti durante le quali uno aveva l'impressione di suda-re persino respirando. Appena si era presentata l'occasione, era scappata, sottraendosi all'abbraccio di due genitori iper-protettivi. Essere la figlia debuttante di Dorothy Rawlings, una donna le cui radici risalivano probabilmente alla prima na-ve di pionieri approdata a Charleston, e di Marshall Davis, un uomo il cui nonno aveva fondato la principale banca della South Carolina, aveva dato a Dinah una visione di-storta della sua importanza. Grazie a Dio, era stata abba-stanza intelligente da riconoscerlo e da ribellarsi. Suo fra-tello non era stato altrettanto fortunato e aveva vagato in balia della corrente, seguendo non soltanto le orme di suo padre, ma anche quelle dei loro fieri antenati. Non c'era nulla che Tommy Lee potesse indicare dicendo con orgo-glio che era roba sua. Dinah non si era accontentata di ereditare il suo posto nel mondo. Aveva deciso di costruirsene uno. Aveva sentito il bisogno di dimostrare di essere una persona capace, forte, fiera della sua autonomia. Voleva essere in primo luogo u-na donna di successo, poi anche una donna del Sud. Chiun-que, da quelle parti, sapeva che c'era una differenza.

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Aveva scelto la carriera del giornalismo televisivo per i suoi nobili ideali e si era esposta al pericolo solo per prova-re al mondo intero che poteva essere all'altezza dei miglio-ri. Essere brava non le bastava. Voleva eccellere, diventare la reporter alla quale gli spettatori si affidavano per sapere la verità nascosta dietro i titoli dei giornali. Per dieci anni, Dinah aveva fatto esattamente quello, co-prendo eventi in Cecenia, Medio Oriente e, più di recente, in Afghanistan e Pakistan. Quando da qualche parte nel mondo succedeva qualcosa che faceva notizia, Dinah era là. Il suo ultimo incarico era stato il più difficile. Impossibi-le calcolare i rischi, impossibile trovare delle fonti attendi-bili, impossibile persino avere la certezza di arrivare viva al prossimo collegamento in diretta. Molti sostenevano che, per accettare quel genere di incarichi, era necessario svilup-pare un'assuefazione al pericolo non molto dissimile da quella per l'eroina, ma lei non la vedeva così. Semplice-mente, aveva un lavoro da fare e lo faceva. Certo, sì, i ri-schi erano elevati, ma valeva la pena correrli perché troppo spesso gli eventi che si svolgevano lontano dalle luci delle telecamere sfociavano in orrori senza nome e terrificanti segreti. Eppure mai in tutta la sua vita era stata tormentata da so-gni così spaventosi. Forse, si era spinta troppo vicino al li-mite e aveva visto troppo. Stavolta aveva perso anche degli amici, fra i più coraggiosi e brillanti del settore. E questo le aveva succhiato dall'animo la voglia di fare. Forse Ray aveva davvero ragione. Forse per lei era giun-to... e passato... il momento di tornare a casa. Non aveva più niente da dimostrare a nessuno. Alla fine, quando, dopo quella che le sembrò un'eternità, il suo cuore, terrorizzato da una banale telefonata, riprese a battere in modo quasi normale, capì che non sarebbe potuta arrivare a casa abbastanza velocemente. Se fosse rimasta

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ancora lì, avrebbe rischiato di andare in frantumi. Più tardi quella mattina, quando Dinah disse a Ray quel-lo che aveva deciso, rimase ferita nel vedere nei suoi occhi sollievo e non rimpianto. «È la cosa migliore» le assicurò. «Non sarà per sempre» ribatté lei, più che altro perché a-veva bisogno di crederlo. «Qualche settimana, un paio di mesi al massimo.» Ray si alzò, andò a chiudere la porta e, tornando verso la scrivania, le fece cenno di sedersi. «Ascoltami, Dinah. Quando sarai a casa, cerca di crearti un bel posto dove sta-re. Fatti assumere dalla principale stazione televisiva della città. Diventa la loro superstar. Poi trovati un uomo in gam-ba, sposalo e metti su famiglia. Questa non è vita.» «È la mia vita» protestò lei, inorridita da quel suggeri-mento, che le sembrava la via più rapida per morire di ano-nimato e soffocamento. «Non più» insistette Ray. «L'ho visto succedere altre volte. Un ottimo reporter salva la pelle per il rotto della cuffia, oppure vede morire qualcuno che conosce e, magari senza rendersene conto, comincia a riflettere, diventa un po' più prudente, cerca di andare sul sicuro, esita un secon-do di troppo prima di prendere una decisione importante. Ma ci sono anche i casi opposti, di persone intelligenti e sensate che si trasformano in pazzi disposti a rischiare il tutto per tutto in qualsiasi momento. In un modo o nell'al-tro, io non so che farmene di gente così.» Il quadro che le aveva dipinto era piuttosto cupo e Dinah si arrabbiò. «Mi stai dicendo che non potrò più fare questo lavoro?» «Esatto» confermò lui, asciutto. «Ma il giornalismo non è fatto soltanto di corrispondenze di guerra. Sei bella, intel-ligente, piena di talento. Serviti delle tue qualità. Se non in South Carolina, nel network a New York o a Washington.

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Dimmi una parola e posso farti avere un trasferimento nel giro di quarantotto ore. Costruisciti una vita normale. Quel-lo che facciamo qui è necessario, ma non è vivere. Noi cor-teggiamo la morte e tu lo sai meglio di chiunque altro.» «Mi dici queste cose perché sono una donna?» chiese lei, ancora arrabbiata. «Non ti sembra un po' sessista, persino per uno come te?» «Forse c'è anche questo, sì» ammise candidamente lui. «Tuttavia, il motivo principale per cui ti parlo così è che mi piaci. Voglio saperti al sicuro e felice. Non sopporto l'idea di essere costretto a fare ai tuoi genitori la telefonata che ho dovuto fare ai parenti di altri nostri colleghi.» Dinah inspirò a fondo e gli pose la domanda che le bru-ciava in gola da un paio di minuti. «Cerca di essere chiaro, Ray. Mi stai dicendo che non posso tornare, che non mi vuoi qui?» Lui esitò prima di rispondere. «No» disse alla fine, sia pure con riluttanza. «I nostri capi mi taglierebbero la testa se ti dicessi una cosa simile, però mi auguro vivamente che tu non lo faccia.» Scosse la testa e la preoccupazione sul suo viso era sincera. «Stammi a sentire e rifletti. Hai com-piuto imprese straordinarie qui. Qualunque cosa avessi in-tenzione di dimostrare, l'hai dimostrata. Sei nel ristretto novero dei migliori giornalisti del mondo, ma forse per te è giunto il tempo di fermarsi e capire chi è davvero Dinah Davis.» Lei ebbe l'impressione di aver ricevuto un calcio nello stomaco. Credeva di averlo capito il giorno in cui aveva consegnato il suo primo servizio per il telegiornale della se-ra. Invece adesso un uomo che stimava le stava dicendo che aveva sbagliato tutto. «Allora pensi che dovrei licenziarmi?» chiese, rendendo-si conto con sgomento che, in virtù del rispetto che nutriva nei suoi confronti, sarebbe stata disposta a prendere in con-siderazione una simile eventualità.

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«Sì» disse lui con convinzione. «Fatti una vita normale, Dinah.» Lei provò a immaginarsi un'esistenza placida e tranquil-la, ma non ci riuscì. «Credi seriamente che io sia destinata a essere la moglie e la madre di qualcuno?» «Perché no? Non è una disgrazia.» «E se decidessi di continuare a fare la corrispondente di guerra?» «Ti compatirei.» «È quello che tu hai fatto per tutta la vita» gli ricordò lei. «E guarda come sono ridotto. Niente moglie. Niente fa-miglia. Nessuno a cui importi qualcosa se torno a casa, op-pure no. Non è quello che mi auguro per te. A Charleston non c'è nessuno al quale ti capita di pensare di tanto in tan-to, un uomo che ti sei lasciata alle spalle quando sei parti-ta?» Dinah fece per scuotere la testa, ma poi nella sua mente balenò un'immagine di Bobby Beaufort e la sua bocca si a-prì in un largo sorriso. Erano secoli che non pensava a Bobby. Si conoscevano fin da bambini. Lui avrebbe voluto sposarla, ma lei lo aveva respinto per inseguire il suo so-gno. Ray le puntò contro un dito con aria trionfante. «Ecco, lo sapevo!» «Non è nessuno di speciale» si schermì lei. «Solo un a-mico.» Un buon amico che aveva promesso di restare nei parag-gi se mai lei si fosse stancata di vagabondare per il mondo. Il giorno in cui si fosse sentita pronta a cominciare una grande storia d'amore, avrebbe dovuto rivolgersi a lui, per-ché ormai le aveva donato un pezzo del suo cuore. Non do-veva fare altro che tornare a casa, dire la parola magica e il giorno dopo si sarebbero sposati a Las Vegas. Almeno que-sto era quanto avevano stabilito prima che Dinah partisse per New York. Bobby era la sua rete di sicurezza, il suo pi-

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ano B. Non si sarebbe mai aspettata di averne bisogno. E non ne aveva bisogno neanche adesso, asserì silenzio-samente. Quelle di Ray erano solo speculazioni teoriche. Si sarebbe rimessa in piedi e sarebbe tornata lì... a un certo punto. Nel frattempo, però, doveva affrontare lo sguardo ansio-so del suo produttore e amico. «Okay» disse alla fine. «Mi licenzio. Presumo che non abbia senso fare queste cose a metà.» Non era del tutto convinta, ma Ray le rivolse un sorriso di incoraggiamento. «Buon per te, Dinah. È la scelta più saggia.» Forse, pensò lei, trattenendo a stento una smorfia. Ma era anche possibile che avesse preso un colossale abbaglio, ragion per cui decise che, appena a casa, sarebbe andata in cerca di Bobby Beaufort per capire se era davvero l'uomo destinato a salvarla dalla vita di solitudine che Ray le aveva descritto. Avrebbe potuto saperlo solo dopo averlo visto. Bobby non le aveva mai fatto sudare le mani e battere forte il cuore, però era una bella persona. Un tipo tranquillo e affidabile, che non avrebbe mai potuto farle del male o tradirla. Semmai il rischio era che la soffocasse di attenzio-ni, come era capitato nei due mesi che avevano preceduto la sua partenza. Ma forse da allora lei era cambiata. Forse adesso era pronta a farsi colmare di attenzioni e amore da un uomo. A quell'idea, le sue labbra tornarono a curvarsi verso l'al-to. In fin dei conti, una donna che aveva appena impulsiva-mente deciso di mollare un lavoro che era la grande pas-sione della sua vita aveva il diritto di tenere aperte tutte le possibili opzioni.

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Ogni donna ha un piano B di Sherryl Woods

Tornare a casa a volte non è come ci si era aspettati. Quando Dinah Davis decide che ne ha avuto abbastanza di reportage di guerra e si convince che è il momento di tornare dalla famiglia a Charleston, per capire se può riallacciare la relazione con l'ex fidanzato Bobby, si ritrova a fare i conti con situazioni e sen-timenti imprevisti. Il suo piano viene infatti ostacolato dal fra-tello di Bobby, Cord, bello, arrogante, indolente, orgoglioso e ribelle. Un tipo da evitare: esattamente il tipo da cui non si rie-sce a stare lontane. E tutta quella ostilità reciproca, nata già ai tempi della scuola, non potrà che sfociare in un'attrazione irre-sistibile.

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