HR96_Seduzione senza inganni

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woman fiction

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Susan Andersen

Seduzione senza inganni

Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Playing Dirty HQN Books

© 2011 Susan Andersen Traduzione di Giorgia Lucchi

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto

di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con

Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

Prima edizione Harmony Romance dicembre 2011

Questo volume è stato stampato nel novembre 2011

presso la Mondadori Printing S.p.A. stabilimento Nuova Stampa Mondadori - Cles (Tn)

HARMONY ROMANCE

ISSN 1970 - 9943 Periodico mensile n. 96 del 16/12/2011

Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007

Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

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contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Prologo

Caro Diario, non immaginavo di poter provare un dolore così grande e continuare a vivere. Country Day School, Upper School Building, tredici anni fa Ava Spencer percorreva a passo di danza il corridoio che portava alla caffetteria, ondeggiando lentamente i fianchi e le spalle, il ritmo di Iris dei Goo Goo Dolls nella testa. Forse avrebbe potuto scegliere qualcosa di più veloce, ma ehi, in quel momento si sentiva bene. Veramente, molto bene. «Ava! Aspetta!» Si guardò alle spalle e vide le sue due migliori a-miche farsi largo in un gruppetto di ritardatari che, come loro, non erano ancora andati a pranzo. La mu-sica nella sua mente si spense mentre aspettava che la raggiungessero, subito sostituita dai rumori quoti-diani tipici della pausa: lo stridio delle scarpe da ginnastica sul linoleum, lo sbattere occasionale dell'anta di qualche armadietto, le risate dei più pic-coli nel parco giochi, sormontato dal ronzio costante

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degli adolescenti dietro la porta della sala da pranzo, in fondo al corridoio. «Che c'è?» domandò Poppy, raggiungendola. I braccialetti ai polsi tintinnarono scivolandole lungo l'avambraccio quando lo alzò per scostarsi dal viso un ricciolo biondo separatosi dal resto della chioma folta. «Sembri straordinariamente felice.» «Davvero» confermò Jane. «Non capita tutti i giorni di vederti ballare il boogie nel corridoio.» «Mi sento così bene.» In effetti, se si fosse sentita ancora meglio avrebbero dovuto tirarla giù dal soffit-to, come un bouquet di palloncini pieni di elio. Sor-rise alle amiche, raggiante. «Potrei perfino arrivare a dire che mi sento bellissima.» Quello era davvero straordinario. In genere si sen-tiva ragionevolmente gradevole, a volte carina, ma bellissima? Le capitava talmente di rado che si sa-rebbe potuto dire mai. Data la sua guerra costante con il peso, nessuno a casa utilizzava mai quell'ag-gettivo riferendosi a lei. In genere i suoi genitori la tormentavano perché non faceva abbastanza per libe-rarsi della sua paffutezza infantile. «Ehi, tu sei bellissima» protestò Jane, solidale. «Sssì. Ha un viso così grazioso» disse Ava, ripe-tendo una frase sentita decine di volte. Peccato sia così paffuta/pesante/robusta. Ecco una conversazio-ne che aveva sentito anche troppo spesso. «Conosci Janie troppo bene per pensare che voles-se dire una cosa del genere, Av» intervenne Poppy. «Ha detto che sei bellissima perché è così.» «Vi adoro per averlo detto, ma qui quella bellissi-ma sei tu, Poppy, non io.» Con i capelli biondo nor-

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dico e la vivace sicurezza di sé, Poppy era del tutto unica. Avrebbe potuto fare parte del gruppo dei ra-gazzi più popolari della scuola, se le fosse importato qualcosa. Accidenti, pensò Ava orgogliosa dell'ami-ca, Poppy avrebbe potuto essere la leader di quel gruppo. Lei e Janie, invece, non sarebbero mai riu-scite a entrare in quell'élite. Non che Janie non fosse carina, ma era una bellez-za dimessa che emergeva gradualmente. Aveva luci-di capelli castani e gambe davvero belle, ma i vestiti che sceglieva facevano sembrare allegri i Dark. Inol-tre era una cervellona, cosa che gran parte dei ragaz-zi più popolari della scuola era troppo stupida per apprezzare. Ava si strinse mentalmente nelle spalle. Non im-portava un accidente nemmeno a lei e Janie. I ragaz-zi più in erano per la maggior parte degli asini, men-tre loro tre avevano qualcosa di assai più importante di vincere la gara per la popolarità scolastica: loro stesse. Erano amiche. Amicissime. Migliori amiche per sempre. Si erano incontrate in quell'istituto alle scuole primarie ed erano amiche da allora. Ava, però, avrebbe voluto essere una taglia zero, okay, una quaranta, come Janie e Poppy. In genere, infatti, la mortificava sapere che, per quanto belli fossero i suoi vestiti, sembrava sempre un salsicciot-to strizzato nella sua pelle, mentre le sue amiche, nei loro vecchi vestiti Old Navy, sembravano modelle. Quel giorno, tuttavia, non importava. Perché la notte precedente Cade Gallari l'aveva baciata, acca-rezzata, aveva fatto l'amore con lei. E dal momento in cui lei aveva aperto gli occhi quella mattina, si era

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sentita quasi magra, completamente desiderabile e, sì, bellissima. Non che la sua prima incursione nel mondo del sesso fosse stata completamente magnifica. Per la verità, i preliminari erano stati fantastici, ma la parte della penetrazione vera e propria... Be', era stata spiacevole ed era finita così in fretta che lei non ave-va potuto tagliare la linea del traguardo. Ma, ehi, era stata la sua prima volta, non è che si fosse aspettata cori di angeli. A ogni modo, Cade l'aveva fatta sentire speciale. Mentre la baciava, aveva lodato le labbra morbide, i capelli soffici, la pelle liscia, i seni pieni. E dopo l'a-veva abbracciata, stringendola come se fosse più preziosa del platino. Il che, tuttavia, non le impediva di essere allibita per ciò che aveva fatto con lui. Non lo avrebbe mai immaginato. Fino a sei settimane prima, in effetti, avrebbe giurato che non fosse nemmeno remotamen-te possibile, dal momento che non ricordava un solo momento in cui Cade non fosse stato una gigantesca spina nelle chiappe. Praticamente si conoscevano dalla nascita, ma non sapevano molto l'uno dell'altra. Il poco che Ava sapeva di lui? Non le piaceva. Cade faceva parte del gruppo snob che amava ridicolizzare chiunque non rientrasse nei suoi canoni, in pratica nove decimi del corpo studen-ti. Quindi, quando Mr. Burton aveva deciso che lei e Cade avrebbero lavorato in coppia al progetto di scienze di fine corso, Ava aveva previsto un succes-so pari a quello del Titanic. Ma per favore, lei e Gal-lari? Lavorare insieme su un progetto che sarebbe

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valso un quarto del loro punteggio? Quando avevano otto anni, lui le tirava i capelli e le pestava i piedi durante le lezioni di ballo per il co-tillon. In prima superiore le aveva sbirciato sotto la gonna sulle gradinate del campo sportivo e poi era andato a raccontare a tutti che portava le mutandine rosa! Prima della notte precedente, in effetti, le si ge-lava il sangue nelle vene all'idea che lui potesse ve-dere le sue cosce grasse e, probabilmente, riderne con i suoi amici imbecilli. Eppure, nel corso dell'ultimo mese e mezzo, Ava aveva visto un lato diverso di Cade, un lato dolce, divertente, riflessivo che non avrebbe mai sognato potesse esistere. E mentre sedevano l'uno di fronte all'altra in biblioteca, o al tavolo nella caffetteria do-ve si fermavano per lavorare al loro progetto, un'at-trazione insidiosa aveva cominciato a crescere. Ben presto si erano ritrovati seduti al buio nell'abitacolo dell'auto di lui a parlare e parlare, come se non vo-lessero che la giornata finisse mai. Finché, una sera, lui l'aveva baciata. Una volta ol-trepassata quella frontiera, fermarsi era stato impro-ponibile. Ogni volta in cui l'aveva baciata nelle ulti-me due settimane, ogni volta che le sue mani erano diventate più audaci, spingendosi in un territorio ine-splorato, Ava si era sciolta, incapace di fermarlo mentre, a poco a poco, Cade aveva spinto sempre più in là la loro intimità. Finché, la notte precedente, lei non era proprio ri-uscita a dirgli che si sarebbero dovuti fermare. Le sue labbra si distesero in un sorriso segreto. «Okay, adesso basta!» Poppy afferrò Ava per il

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braccio, fermandosi di fronte alle porte basculanti della caffetteria. «Che ti è successo?» Lei rise. Cercò di tenere per sé la novità. Poi cedette, perché erano una sorellanza e si dice-vano tutto. «L'ho fatto, Poppy! Credevo che mi sarei diploma-ta, e magari anche morta, vergine, ma ieri notte...» Una vampata di calore le risalì sul petto e all'im-provviso non riuscì a pronunciare ad alta voce le pa-role. Jane spalancò la bocca. «Oh. Mio. Dio» disse len-tamente. «L'hai fatto?» Lei annuì. Poppy la guardò, perplessa. «Con chi?» Poi soc-chiuse gli occhi. «Oh, cavoli, per favore, dimmi che non l'hai fatto con Facciadichiulo Gallari!» «Non chiamarlo così!» Okay, era stata proprio lei a dargli quel soprannome, anni prima. «Non farlo, per favore» disse con tono più gentile scuotendo il capo. «Ascoltate, vi racconterò ogni cosa, ma dopo la scuola, quando sarà più difficile che qualcuno ci senta.» «Bene» convenne Poppy. «Ma appena usciamo da qui ho parecchie domande per te, sorella.» Lasciò andare Ava e spinse una delle porte della sala da pranzo, avanzando con le amiche nel caos dell'ora di pranzo. Vassoi e posate tintinnavano, decine di voci rim-balzavano sulle pareti e gli studenti sembravano in costante movimento tra i tavoli. Sbirciando oltre due ragazzi che si tiravano una palla da baseball, Ava

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cercò con lo sguardo Cade. Non volendo dare nell'occhio quando non riuscì a individuarlo subito, seguì le amiche al bancone principale. Prese un vassoio, poi si accorse che il livello del rumore era diminuito. Non c'era mai silenzio in caf-fetteria, ma eccetto un paio di conversazioni ai tavoli più lontani, il solito brusio si spense quasi del tutto. Si voltò e si accorse che tutti la fissavano. Qualcuno ridacchiò. Sorrise, titubante, tanto stupida da non capire an-cora di essere al centro di uno scherzo. Solo quando Dylan Vanderkamp, il più imbecille del gruppo di mega-imbecilli di Cade, si alzò in piedi sventolando uno spesso mazzetto di banconote, lei cominciò a so-spettare che qualcosa non andava. «Tieni, Gallari» disse Dylan a voce alta, «duecen-to sacchi.» Li tese dall'altra parte del tavolo. «Una scommessa è una scommessa, amico mio. Hai detto che saresti riuscito a portarti a letto la cicciona e, per Dio, ce l'hai fatta!» Guardò lentamente Ava dalla te-sta ai piedi, facendola sentire nuda, poi arricciò le labbra. «Direi che te li sei proprio meritati.» Era una scommessa?, urlò una voce nella mente di Ava. Io sono la cicciona con cui Cade è andato a let-to per scommessa? Le si intorpidirono le mani, le gambe persero forza e la nausea le risalì acida nella gola. Dylan si spostò di lato e, per la prima volta, lei vide Cade, seduto sul tavolo con espressione annoiata. Lui la guardò e, per un folle secondo colmo di speranza, Ava pensò che avrebbe strappato i soldi dalla mano di Vanderkamp e glieli avrebbe gettati in faccia.

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Invece lui alzò oziosamente una mano e prese le banconote dalle dita dell'altro. «Grazie» disse mentre le infilava nella tasca ante-riore dei jeans. Tutto dentro di lei diventò ghiaccio. Allo stesso tempo tutti quegli occhi puntati avidamente su di lei in attesa di una reazione sembrarono scavare dei fori ovunque la toccassero. Ma non poteva restare là e lasciarsi coprire di le-tame dal gruppo di spocchiosi Neanderthal di Cade. Poteva sentirsi come se le fosse appena crollato sul petto un peso da due tonnellate, e Dio solo sapeva quanto avrebbe voluto poter diventare invisibile, ma lei e le sue amiche avevano sempre tenuto testa a quegli idioti. Istupidita dalle paroline dolci di Galla-ri, per un momento aveva dimenticato con chi avesse a che fare. Ormai lo ricordava bene e, dannazione, si sarebbe controllata, anche se farlo l'avesse uccisa. Rischiò di lasciarsi sfuggire una risata amara, non l'aveva appena uccisa quel traditore, bugiardo, ba-stardo con due facce? A ogni modo, non se ne sareb-be andata prima di aver fatto a sua volta un po' di danni. «Penso che una parte di quei soldi spetterebbe a me» riuscì a dire nonostante il nodo in gola. «Una sessione con il tuo amico Sparalesto e potrei aver chiuso col sesso per il resto della mia vita. E se que-sto non basta perché una ragazza abbia ciò che le spetta, non so cosa potrebbe.» Sentire alcune persone ridere a spese di Cade in-vece che sue fu una magra consolazione. Non basta-

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va, avrebbe preferito che gli si seccasse il pene e gli cascasse, ma si sarebbe dovuta accontentare. Il grop-po era cresciuto e non sarebbe riuscita ad aggiungere una sola parola. Come se lo sapesse, Poppy le posò una mano sulla schiena, per sostenerla. «Sì, com'è che ci ha detto, Jane?» Jane si strinse nelle spalle. «Che se riuscirà mai a riprendersi dal trauma del flop di Gallari e troverà il coraggio di riprovare, sarà con qualcuno che sappia cosa sta facendo.» Cade mantenne l'espressione annoiata, ma Ava eb-be la soddisfazione di vedere le sue guance arrossire. Avrebbe potuto essere più piacevole vederlo spe-rimentare una frazione della sua umiliazione, ma era talmente ferita. Si sentiva a pezzi, come se l'avessero sventrata e rimessa a posto malamente. Non lo a-vrebbe mai, mai perdonato per averla ingannata in quel modo, per averla portata a toccare il cielo con un dito... solo per scaraventarla a terra subito dopo. Deglutì per controllare il dolore crescente, gli vol-tò le spalle, afferrò una ciotola di gelatina e se la mi-se sul piatto. Non sarebbe riuscita a mandare giù nemmeno una briciola. Ma non sarebbe mai, mai scappata di fronte a Fac-ciadichiulo Gallari. Anche se, dentro, una parte di lei era morta.

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Non so se ho fatto la mossa giusta... O l'errore più grande della mia vita. Il presente, cinque novembre Il bastardo era in ritardo. Ava Spencer maledisse l'uo-mo che stava aspettando mentre camminava nervosa nel foyer di villa Wolcott, strofinandosi le mani lungo le braccia per cercare di riscaldarsi attraverso le mani-che del soprabito. La villa era chiusa da alcune setti-mane e, tra il vento che soffiava contro le finestre e la pioggia caduta poco prima, lasciandosi dietro il freddo umido-che-entra-nelle-ossa tipico di Seattle, si stava gelando le chiappe. Avrebbe potuto accendere il riscaldamento, ma sa-rebbe stato inutile. Se lui si fosse degnato di arrivare, gli avrebbe mostrato la villa dalla soffitta alla cantina per i vini. Jane manteneva stabile il clima del salotto princi-pale e della cabina armadio nascosta per preservare le collezioni Wolcott che non erano state vendute né date in prestito presso qualche museo, ma ci sarebbe voluto fino all'indomani per scaldare il resto. Benché avesse acceso tutte le luci della casa, l'illusione di calore data dal chiarore giallastro delle lampade non bastava.

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Le sfuggì una risata leggermente isterica. Come se quello fosse il problema principale. Perché... Non è un tizio qualunque, è Cade Calderwood Gallari. Santo cielo. Non riusciva a credere di aver accettato. Sì, si sforzava di concentrarsi sui dettagli per evitare di pensare a lui. Perché ormai era troppo tardi per tornare indietro. Era troppo tardi? Rimase immobile per un secondo. No, che non lo e-ra! Sollevata, afferrò la borsa e si diresse verso la cuci-na e la porta sul retro, dove aveva parcheggiato la sua BMW. Cade era in ritardo? Lei se ne sarebbe andata! La luce di due fanali illuminò la parete a est della cucina, fermandola. «Merda.» Troppo tardi. Ballò sul posto per sciogliere parte della tensione che la tormentava, aggiungendo anche un po' di respi-razione yoga tanto per gradire. Espirò profondamente. «Okay. E adesso controllati, ragazza mia.» Si costrinse a soffocare l'irritazione per il ritardo di Cade e per il fatto che respirasse. Sono passati tredici anni, Ava. È solo una postilla, non ha nessuna impor-tanza. Non importa più da molto, molto tempo. Proba-bilmente, quindi, non sarebbe stato il caso di comincia-re staccandogli la testa. Ma che tentazione! Lo guardò attraverso lo spioncino mentre saliva i gradini e si fermava sotto la luce del portico. L'irrita-zione tornò, più intensa di prima. La ignorò, espirò an-cora una volta poi aprì la porta. La maniglia girò da sola e lui si precipitò nella cuci-na, scuotendosi come un cane bagnato e mandando

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gocce d'acqua in tutte le direzioni dai capelli castani schiariti dal sole. Ava guardò dietro di lui e vide che aveva ripreso a piovere a dirotto. «Accidenti! Umido da queste parti!» Sfoderò il suo sorriso alla Gallari, completo di denti bianchi e fosset-te ai lati della bocca. Ava notò che gli occhi blu che scintillavano dietro le ciglia folte avevano un'espres-sione diversa. Cautela? Calcolo? Qualcosa di più fred-do e tagliente dell'espressione che per anni aveva tor-mentato i suoi sogni. La irritò moltissimo subire l'impatto, come un pun-golo da bestiame elettrificato contro lo sterno. Perché andava in quel modo ogni dannata volta che posava lo sguardo su di lui, quell'immediato, viscerale uno-due al cuore? Identica alla reazione che aveva per il Cade a-dolescente, perfino dopo tutto ciò che aveva scoperto su di lui, dopo tutto ciò che le aveva fatto, vederlo fu come un pugno dritto al plesso solare. Be', all'inferno avrebbe fatto molto, molto freddo prima che lei decidesse di agire in accordo con quella reazione. Sollevò un sopracciglio. «E tu saresti origina-rio di Seattle?» «Avevo dimenticato con quanta rapidità la pioggia ti possa infradiciare fino alle mutande, qui.» Lei gli rivolse un sorriso cortese. «Immagino possa capitare a chi vive nella California meridionale.» Con-trollò l'orologio da polso con un gesto plateale. «Spie-gami perché dovrei dedicarti la mia attenzione, per non parlare dell'affittarti la villa per un documentario.» «Oookay. Bando ai convenevoli.» La sua bocca as-sunse una piega inflessibile che le parve più adatta del sorriso per quelle labbra screpolate. «Scusa il ritardo.

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C'è stato un incidente sulla I-5 e ci è voluto un po' per-ché il traffico riprendesse a scorrere.» Lei annuì, accettando le sue scuse, poi lo osservò mentre si guardava intorno nella cucina. Una piccola ruga contrariata apparve tra le sopracciglia di lui. «È stata modernizzata.» Quando Ava lo guardò direttamente negli occhi, tro-vò l'effetto meno sconvolgente. «Non ti sarai aspettato che fosse ancora come negli anni ottanta?» «Per la verità speravo di sì.» «Appena Poppy, Jane e io l'abbiamo ereditata, ab-biamo fatto rimuovere un'orribile veranda e abbiamo modernizzato l'ambiente. Pensavamo di venderla, non di affittarla, ammesso che accettiamo.» Sollevò le so-pracciglia. «È un problema?» «Come ti ha anticipato telefonicamente la mia segre-taria di produzione, voglio girare un documentario sul mistero della parure Wolcott. Ma questo è solo un pre-testo per presentare Agnes Wolcott.» In effetti le era stato anticipato, ecco perché Ava si trovava là. Ma... «Perché? D'accordo, i diamanti Wol-cott sono diventati una leggenda dalle nostre parti, ma dubito che la storia che li circonda sia conosciuta a li-vello nazionale.» «Forse no, ma io sono cresciuto qui e questo mistero mi ha affascinato fin dall'infanzia.» I suoi occhi blu si accesero per l'entusiasmo. «C'è tutto, Ava. Una splen-dida villa, una fortuna in diamanti mai ritrovata, un as-sassinio... E al centro una donna che, più scavo, più trovo straordinaria.» L'ultima parte le piacque molto. Peccato non le pia-cesse lui. «E perché dovrebbe importarmi?»

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«Perché posso rendere giustizia a una donna alla quale tu tenevi molto. E perché pagherò a te e alle tue amiche trentamila dollari per sei mesi di affitto, oltre a pagare tutte le spese per il periodo in cui la Scorched Earth Productions sarà qui e per riportare il giardino nelle condizioni in cui era negli anni ottanta.» Ah, però! Con la crisi economica, la villa si era tra-sformata in un albatro che appesantiva il collo di Ava e delle sue amiche e, indubbiamente, Cade lo sapeva. Lei avrebbe voluto sputargli in un occhio, poi pensò alle sue amiche. Jane e Poppy non si lamentavano mai, ma sapeva che quel posto era gravoso anche per loro. Per-tanto, soffocando l'ira e domandandosi se stesse pren-dendo la decisione peggiore della sua vita, strinse i denti e ribatté: «D'accordo». «Accetti?» «Sì.» E che diavolo, dopotutto non avrebbe dovuto vederlo. «Di' alla tua assistente di chiamarmi per avere il numero del mio avvocato. Puoi mandare a lui il con-tratto. Se lo trova ragionevole, procediamo. Vuoi vede-re la villa prima di andare? Dal momento che sembravi preoccupato per i lavori che abbiamo fatto fare, sarei lieta di mostrartela. Penso converrai che i restauratori hanno fatto un ottimo lavoro per preservare il design originale.» Arretrò. «C'è ancora una cosa. Voglio assumerti come con-cierge per la compagnia di produzione.» Lei gli rise in faccia. «No. Vuoi vedere la villa o no?» «Lascia perdere la villa...» «Per me va bene. Manda i documenti al mio avvoca-to.» Si voltò per andarsene.

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«Ascolta. Ti pagherò duemila dollari la settimana, oltre a un premio di cinquemila se il documentario u-scirà entro i tempi e il budget stabiliti.» «Cosa che tanto non succederà, giusto?» «Il premio è solo un'opportunità in più, Ava. Spedirò via e-mail i miei contratti al tuo avvocato, oltre a quel-lo per te. Vedrai che ho molto più di te da perdere.» Non importa, perché tanto non succederà mai. Ma accidenti a lui, accidenti a lui, accidenti a lui! Non sol-tanto il suo fondo fiduciario, ma anche le finanze di molti suoi clienti, avevano subito un colpo durissimo in seguito alla crisi economica. E come milioni di sot-toscrittori di mutui subprime, Ava troppo presto avreb-be dovuto affrontare una maxi rata finale spaventosa per il suo appartamento. Peggio per lei, meglio perdere l'appartamento che lavorare sei settimane in compagnia di quel bastardo. Davvero? Le domandò il suo lato pratico. Doveva ammettere che sarebbe equivalso a danneggiare se stessa per fare uno sgarbo a lui. Quella sarebbe potuta essere la risposta alle sue preghiere. Dopotutto non correva il rischio di cadere vittima del suo incantesimo. Le era già successo. «Potresti assicurarti che io renda merito alla tua Miss Wolcott» suggerì lui sottovoce. Ava esalò un sospiro di resa. «D'accordo. A condi-zione che il mio avvocato ritenga la tua proposta con-veniente, lo farò. Per assicurarmi che tu renda giustizia alla storia di Miss Agnes.» Se lo faceva anche per i soldi, erano esclusivamente fatti suoi. «Allora, la vuoi vedere la villa? Possiamo cominciare dalla sala da pranzo là in fondo.»

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Si voltò, ma Cade le chiuse le dita intorno all'avam-braccio per fermarla. Il tocco leggero le trasmise una vampata di calore attraverso la manica del maglioncino di cachemire e Ava si voltò di scatto, liberandosi con uno strattone. «Non» disse con calma incredibile, «toccarmi.» Lui abbassò il braccio e arretrò. «Prima di comincia-re volevo solo dirti quanto mi dispiaccia sinceramente per quel che accadde al liceo. Ero...» «Dimenticalo» lo interruppe lei. Non voleva assolu-tamente rivangare con lui uno dei dettagli più spiace-voli del suo passato. «Io l'ho fatto.» «Veramente?» Cade sollevò un sopracciglio elo-quente e la sorpresa lampeggiò nelle profondità degli occhi blu cobalto. Lei annuì, regale. Lo aveva interrotto tutte le volte che, negli anni, l'aveva cercata per scusarsi, ma se ri-conoscere il suo rammarico gli avrebbe consentito di progredire fino a non voler più discutere del passato, le andava bene. Gli avrebbe concesso la sua dannata re-denzione. «Allora mi perdoni?» Maledizione, certo che no! Prima che lo perdonasse all'inferno avrebbero fatto snowboard. Ava si limitò a sorridergli, sapendo che da quel mo-mento in poi avrebbe dovuto essere professionale. «La-sciamo semplicemente il passato dov'è. D'accordo?» Senza aspettare una risposta, si diresse verso la sala da pranzo. «Come puoi vedere, abbiamo cercato di preser-vare l'integrità dell'era in cui l'edificio fu costruito...» Incontrò Jane e Poppy il pomeriggio successivo allo

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Sugar Rush, la sua caffetteria/panetteria preferita. Mentre si accomodavano a un tavolo rotondo inspirò profondamente, poi espirò. «Ieri sera ho fatto qualcosa che spero approverete» disse alle due amiche nel bru-sio delle conversazioni provenienti dagli altri tavoli. Esitò per un secondo, poi disse: «Ho accettato di affit-tare la villa a Cade Gallari». Okay, forse fu un po' troppo diretta, ma gli occhi blu di Jane diventarono tondi per la sorpresa. Poi l'amica premette le palme delle mani sul tavolo e sollevò il ba-cino dalla sedia, avvicinando il viso a quello di Ava. «A chi hai accettato di affittarla?» Ignorando le due donne al tavolo vicino, incuriosite dal tono di voce incredulo di Jane e dalla postura ag-gressiva, del tutto in contrasto con gli ordinati capelli castano e l'abbigliamento scuro che a prima vista sem-brava sempre estremamente severo, Ava si concentrò sulle due amiche. Sapeva che l'avevano sentita benis-simo, ma ripeté tranquilla: «Cade Gallari». «Dimmi che stai scherzando.» La voce di Poppy po-teva essere più calma di quella di Jane, ma quando la bionda dai capelli ricci posò sul tavolo la sua tazza di caffè, l'espressione degli occhi castano-topazio era al-trettanto incredula. «Perché dovremmo lasciar avvici-nare quel pagliaccio alla nostra eredità?» Era una domanda più che lecita. Miss Agnes, la splendida vecchia signora che aveva cominciato a invi-tarle a bere il tè nella sua villa quando avevano dodici anni, che aveva regalato loro i primi diari, dando inizio all'abitudine di scrivere che le accompagnava ancora, era diventata un'amica e una mentore. Nel caso di Ava e Janie aveva supplito alle mancanze dei loro genitori.

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E, quando era morta un anno e mezzo prima, aveva la-sciato un vuoto nel cuore delle tre. Tuttavia, si era rivelata piena di sorprese perfino nel-la morte e Ava, Jane e Poppy erano rimaste allibite scoprendo che aveva lasciato loro la sua proprietà. Miss Agnes si sarebbe potuta rivoltare nella tomba al pensiero di Cade nella sua casa. Dio sa se aveva gioca-to un ruolo fondamentale nell'aiutare Ava a raccogliere i pezzi del suo cuore dopo quel tradimento. Ava fissò le amiche, sentendosi in netta minoranza. «Non avrei accettato di lasciargli utilizzare villa Wol-cott, se avessimo avuto altre opzioni, Poppy. Ho detto di sì perché il mercato è fermo per case come la nostra e siamo assediate da tasse e fatture per luce, gas, giar-dino e tutto il resto che ci vuole per tenere in piedi un posto di quelle dimensioni. Pagherà profumatamente per quel privilegio.» Spiegò loro i termini del contratto. «E pagherà anche di più se decideremo di affittargli qualcuna delle colle-zioni di Miss Wolcott da usare per la sua produzione. Cosa che gli ho detto avrei dovuto prima discutere con te, Janie. Sapete entrambe che produce documentari sui misteri ancora irrisolti, vero?» Le altre due si mossero a disagio sulle sedie e lei ri-se, sentendo sciogliersi la tensione che non si era nemmeno accorta di avere accumulato in spalle, collo e lungo il resto della colonna vertebrale. «Rilassatevi. Non dubito della vostra lealtà. Boicottate da sempre qualunque cosa abbia a che vedere con lui. Ma do-vremmo vivere nelle regioni più sperdute della Mongo-lia per non aver sentito che si sta facendo un nome.» «Okay, lo confesso, ho visto uno dei suoi documen-

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tari.» Poppy alzò le mani, come per dire Non sparate, quando Ava e Jane la guardarono allibite. «Non l'ho scelto io! Jason lo ha ordinato da Netflix una sera. Co-lui-che-non-deve-essere-nominato non viene mai men-zionato a casa nostra, quindi Jase non poteva collegare il documentario con il tizio che vide infastidirti in quel locale a Columbia City l'anno scorso. Murphy gli ave-va detto che doveva assolutamente vederlo.» Lo sguardo fisso sul cartello affisso accanto all'area da gioco riservata ai bambini, Ava cercò di tenere a bada la curiosità. I bambini non accompagnati riceve-ranno un espresso e un cucciolo, lesse. In genere la di-vertiva, ma in quel momento le parole rimbalzarono nella sua testa come palline da ping pong in una scatola finché, incapace di trattenersi, cedette alla necessità di sapere. «Okay, mi arrendo. Era all'altezza delle aspet-tative?» «Sì» rispose l'amica con una smorfia. «Mi dispiace, Av. Non mi sono mai piaciuti i documentari con le drammatizzazioni perché in genere la recitazione è pessima, ma pare che Gallari stia diventando famoso anche come scopritore di talenti. Spesso ha scelto attori sconosciuti, scovati nelle scuole di recitazione locali, che poi sono diventati da moderatamente a scandalo-samente famosi.» «E tu come lo sai tutto questo?» domandò Jane. «Non sarai mica diventata la fan numero uno di Galla-ri, vero?» «Dici sul serio?» ribatté immediatamente la bionda. «Non potresti insultarmi di più. Certo che no. Jase era talmente entusiasta del documentario, che ha voluto vedere anche i contenuti speciali.»

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«Santo cielo» mormorò Ava. «Era davvero così bel-lo?» Mentre guardava Jane prendere la mano di Poppy e scusarsi, non avrebbe saputo dire come si sentisse ri-guardo al successo di Cade. Da una parte, non sarebbe certo scoppiata in lacrime se avesse fallito in qualun-que progetto avesse affrontato. Dall'altra, il successo di lui avrebbe aiutato le sue finanze e quelle delle sue a-miche. «Temo di sì.» I gomiti sul tavolo, Poppy si scostò dal viso la nuvola di riccioli biondi. «Ha veramente un occhio per il talento. Ma ha usato le drammatizzazioni a piccole dosi. Le interviste erano il pezzo forte. E il tutto era presentato in modo così... accattivante.» Poi le sue sopracciglia sottili si avvicinarono. «Ma perché dovrebbe voler girare a villa Wolcott, sapendo quanto gli sarebbe difficile, dal momento che appartie-ne a noi? A meno che...» Si lasciò andare i capelli e scattò con la schiena diritta. «Ommioddio, Ava! Hai detto che si è offerto di far tornare il giardino com'era negli anni ottanta?» «Ma certo!» esclamò Jane, raddrizzandosi a sua vol-ta sulla sedia. «Al tempo del furto, quando il maggior-domo di Miss Agnes fu ucciso e la parure Wolcott scomparve.» «Ecco il mistero irrisolto» confermò Ava. Nel 1985, durante una ristrutturazione della camera da letto e del salottino annesso di Miss Agnes, la sua parure di gioielli di diamanti era stata rubata. Sei mesi dopo, una notte, Henry, il suo uomo, come lei era solita chiamarlo, aveva udito un rumore ed era uscito dallo studio dove stava controllando la contabilità. Aveva trovato Mike Maperton, capo carpentiere della ristrut-

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turazione, nella villa. Henry aveva fatto scattare l'al-larme, ma Maperton lo aveva ucciso prima che potesse arrivare aiuto. La polizia aveva presunto che l'assassi-no stesse cercando di recuperare i gioielli dal loro na-scondiglio, ma la parure non era mai stata ritrovata. Jane sorrise maliziosa. «Quando Miss Agnes si rife-riva a Henry, ho sempre avuto l'impressione che per lei fosse ben più di un factotum o un maggiordomo, o qualunque cosa sarebbe dovuto essere.» Poppy si strinse nelle spalle. «Era l'impressione di tutte. Che intendi?» «Non so esattamente, ma la storia mi sembra perfetta per un documentario.» Jane si sistemò i capelli dietro l'orecchio. «Detesto doverlo ammettere, ma sarebbe gradevole toglierci di dosso il fardello delle spese per qualche tempo. Però Miss Agnes era assolutamente u-nica, quindi, a meno che Gallari abbia deciso di scrittu-rare la Streep per recitare la sua parte, non riesco a immaginare un'attrice capace di renderle giustizia.» «Vorrei parlarvi di qualcosa che riguarda Miss A-gnes, ma prima probabilmente è meglio che vi dica...» Okay, questa è la parte più difficile, «che ho... uhm... accettato di lavorare per lui settimana prossima, poi per altre sei durante la produzione che dovrebbe comincia-re all'inizio dell'anno prossimo.» «Sei uscita di testa?» Poppy tenne la voce bassa per evitare che due bambine intente a leccare la glassa dal-le loro tortine la sentissero, ma il tono era feroce. «Forse.» Difficile offendersi quando lei stessa si era posta la medesima domanda già decine di volte dopo aver lasciato Cade la sera precedente. «Anzi, proba-bilmente. Il mio primo impulso quando l'ho visto è sta-

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to il solito, sputargli negli occhi o cavarglieli.» «Mi sembrano ambedue opzioni plausibili» inter-venne Jane con tono asciutto. Ava scosse il capo. «È storia antica, Janie. Ho stra-chiuso con lui. Ma sai che le mie finanze l'anno scorso hanno subito un colpo durissimo.» Arricciò le labbra in un piccolo sorriso. «Così, quando mi ha fatto una pro-posta che non potevo rifiutare, offrendomi di lavorare come concierge della compagnia di produzione, ho ac-cettato.» Né Janie né Poppy sorrisero, osservandola con e-spressione preoccupata. Ava sospirò. «Che c'è? Pensate che sia troppo fragile per affrontarlo?» «Certo che no» rispose Jane. «Ma non mi fido di quel bastardo. Eravamo con te quando ti fece male, ab-biamo visto mentre cercavi di rimettere insieme i pez-zi.» «Un pezzo dopo l'altro» convenne Poppy. «Ci sono voluti troppo tempo e troppa colla perché funzionasse. Poi te la sei dovuta cavare in gran parte da sola perché ha rovinato i tuoi progetti post diploma.» Sì, essere spedita nella clinica per ciccioni non con-tribuì ad accelerare il mio recupero, pensò Ava asciut-ta. Okay, era colpa più di sua madre che di Cade, ma la verità era che, se lei non fosse stata tanto annichilita dal suo tradimento, cosa che sua madre non sembrava nemmeno aver notato, si sarebbe data da fare per vin-cere quella battaglia. Quindi, in ultima analisi, era co-munque colpa di Gallari. Poppy riprese. «Quindi penso di avere il diritto di essere un po' preoccupata per te. Hai lavorato come una pazza per rimetterti in piedi, non voglio vedere tut-

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ta la tua fatica andare in fumo per colpa di Facciadi-chiulo Gallari.» «Nemmeno io. E non permetterò che succeda. Non lo perdonerò mai, Poppy. Mai. Ma ne ho abbastanza di scappare da lui. Hai ragione, ho lavorato troppo dura-mente per uscirne per continuare a scappare. Non mi sorprende che tu dubiti della mia capacità di affrontar-lo.» «No! Meriti un posto negli annali di I Am Woman Hear Me Roar per come contrattaccasti Gallari proprio nel bel mezzo del peggiore momento di tutta la tua vi-ta. Hai dimostrato più che abbondantemente di saperlo affrontare.» «Ma da allora sono stata più reattiva che proattiva, ogni volta che l'ho incontrato. Quindi, forse, sento di dover ancora dimostrare qualcosa, a me stessa più che a chiunque altro. Non aiuta il fatto che questa mattina mi sia guardata allo specchio e abbia avuto uno dei miei momenti grassi.» «Maledizione, Av» intervenne Jane. «Quando la smetterai? Sei una taglia quarantadue da dodici anni!» «Ma, come tu mi ripeti spesso, sarei una quaranta-quattro, se comprassi i miei vestiti nei negozi meno al-tolocati, dove si serve la maggior parte delle donne.» Sapeva che l'amica la scherniva soltanto, dicendo così, ma non poteva negare che Jane avesse ragione. «Ma per favore!» La brunetta sbuffò. «Sai che lo di-co solo perché sono invidiosa delle tue tette grandi. Anch'io voglio avere un seno come il tuo, un giorno.» Indicò il golfino di cachemire verde smeraldo e la gon-na aderente nera che Ava indossava. «Guardati!» Lei abbassò lo sguardo sul proprio corpo. «Lo so.

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dici che mi fa sembrare troppo paffuta?» «Per la miseria, Spencer, falla finita!» esclamò Poppy fulminandola con un'occhiata. «Come ha appena detto Janie, hai mantenuto un corpo da urlo per la maggior parte della tua vita adulta. E sai bene che gli uomini inciampano nella loro stessa lingua quando ti vedono passare. Non certo perché sei grassa, amica mia.» «Okay, scusatemi.» Agitò le mani e prese la sua taz-za di caffè, poi la tenne sospesa per un momento di fronte a sé mentre rivolgeva alle amiche un sorriso ri-conoscente. «Ho avuto un momento di debolezza. Sono caduta su Via dell'Insicurezza talmente tante volte, che ormai ha la forma delle mie chiappe. Ma adesso sto bene.» «Tutta colpa di quel Gallari che salta fuori all'im-provviso a scombussolarti.» Ava si strinse nelle spalle. Rivederlo aveva sicura-mente contribuito, ma era anche colpa della conversa-zione telefonica di poco prima con sua madre, in cui Jacqueline aveva fatto le solite osservazioni sul peso di Ava. Perché sua madre era sempre tanto sicura che lei potesse fare di meglio, dimagrendo ancora? Non im-portava il fatto che Ava avesse corporatura e ossatura robuste, con spalle e bacino ampi e che sarebbe potuta morire di fame, senza mai arrivare a sembrare una sil-fide. Be', lei sapeva di valere e non solo per aver perso di-ciotto chili. Buttò giù un sorso di caffè, posò la tazza sul tavolo, stringendola tra le palme, e si chinò verso le amiche. Per Ava era fondamentale che capissero perché avesse

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accettato di fare proprio l'ultima cosa che si sarebbero aspettate da lei. «Ascoltate. Non posso dire di morire dalla voglia di lavorare come personal concierge per Cade. Ma si tratta di lavoro e mi pagherà un bel gruz-zolo, oltre a un premio enorme se il documentario usci-rà entro tempi e budget stabiliti.» «Ma come farai a vederlo tutti i giorni?» «Sarò più professionale che mai. Mi ripeterò di con-tinuo che, se tutto andrà bene, finalmente potrò libe-rarmi da quella maxi rata spaventosa che mi assilla da mesi.» Le tornò in mente una parte della discussione con Cade la sera precedente e sorrise. «Una delle cose che mi intrigano di più è aver accettato di parlare di Miss Agnes con Cade e la sua sceneggiatrice, per assicurar-mi che la sua rappresentazione risulti più autentica possibile. Quindi ditemi cosa ritenete importante in-cludere su di lei.» Dopo una conversazione entusiasta riguardo alla loro mentore, Ava controllò l'ora e si alzò. «Mi spiace aver-vi scaricato questa bomba sulla testa all'improvviso, ma dovrò incontrare Cade stasera dal mio avvocato per definire i dettagli del mio contratto e discutere i parti-colari delle mie mansioni. Fino a quando tutto sarà sta-bilito, non intendo firmare niente.» Guardò le amiche. «Siamo tutte d'accordo?» «Certo.» Poppy si alzò e la abbracciò forte. «Solo non voglio vederti soffrire di nuovo.» «Non succederà» le assicurò. «Non dimenticar la cena da me, la settimana prossi-ma» le ricordò Jane mentre si alzava per abbracciarla. «E fa' attenzione con quell'uomo. Mi hai sentita?»

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«Lo farò» ribatté lei, infilandosi il soprabito Steve Madden color prugna e drappeggiandosi intorno al col-lo la sciarpa di lana prugna, blu e verde che la madre di Poppy aveva fatto a maglia per lei. «Vi voglio bene, ragazze.» Si diresse alla porta, poi si voltò rivolgendo alle a-miche un sorriso baldanzoso. «Non preoccupatevi! Ti-rerò qualche calcio ben assestato con questo lavoro.»

Lettere dal passato di Debbie Macomber

Benvenuti a Cedar Cove, un luogo adorabile. Qualcuno a volte lo lascia, ma nessuno riesce a dimenticarlo. Mary Joe Wyse trova un diario e delle lettere d'amore risalenti alla Seconda Guerra Mondiale. Si tratta della corrispondenza tra un paracadutista e la sua amata. Pochi giorni prima del D Day le lettere cessano e il diario non è più aggiornato. Che sarà stato dei due innamorati? Mary Joe vuole scoprirlo e coinvolge nelle ricerche il vicino di casa Mack McAfee. Si lasceranno coinvolgere in prima persona da quella storia romantica?

Seduzione senza inganni di Susan Andersen

Ava Spencer credeva di essersi lasciata Cade Gallari alle spal-le. Ma ora che lui si rifà vivo per ingaggiare la sua agenzia di personal concierge, Ava inizia a pensare che accettare il lavoro potrebbe essere l'occasione per dimostrare a quel mascalzone - e a se stessa - che non è più la ragazzina cicciottella di cui ci si poteva prendere gioco al liceo. Cade, da parte sua, deve averlo notato, perché Ava è una donna procace e seducente. Non sen-te anche lei quell'attrazione?

Ritorno a casa di Susan Mallery

Quando ci sentiamo tradite dalla vita, oltre che dall'uomo che credevamo di amare, l'istinto ci riporta a casa. Ed è lì che torna Jenna. Dopo una carriera come chef a Los Angeles, si metterà a vendere prodotti per la cucina a Georgetown, aiutata dal so-stegno dei genitori adottivi e dalle idee stravaganti della sua commessa, Violet. Amore, amicizia ed entusiasmo sono gli in-gredienti fondamentali per arrivare a una svolta decisiva. Il nuovo equilibrio, però, viene turbato da due persone eccentri-che che si presentano a lei come i suoi genitori naturali.

Le campane di Virgin River di Robyn Carr

Non si sente spesso di una chiesa messa all'asta su eBay, ma è quello che succede a Virgin River, e Noah Kincaid è il fortuna-to che se l'è aggiudicata. Ora dovrà trovare un'assistente che lo aiuti nelle pulizie e nella gestione delle attività. È solo per compassione che affida il lavoro a Ellie Baldwin, una ragazza bellissima e provocante, che ha alle spalle una lunga serie di guai. Lei ha bisogno di quel lavoro per riavere con sé i propri figli e lui ha bisogno del suo entusiasmo per conquistare la comunità locale. E, ovviamente, a Virgin River, l'amore è sempre in agguato.

Dall'11 febbraio

Dal 24 novembreLeggi le trame su www.eHarmony.it

Tre amiche per la pelle, tre donne molto diverse, ognuna alle prese con l’altra metà del cielo. E una vacanza in Messico che potrebbe trasformarsi in un’occasione per realizzare i loro sogni erotici e d’amore…

Isabella ha una fervida immaginazione, che può liberare solo tra le pagine

del suo diario. Ma quando lord Black inizia a dedicarle la sua attenzione, resistere all’enigmatico e fascinoso

conte potrebbe rivelarsi impossibile. L’ormai amatissima

Charlotte Featherstone fi rma un nuovo imperdibile romanzo,

raffi nato e sensuale, che vi condurrà nelle torbide atmosfere

dell’Inghilterra vittoriana.