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La sorella della sposa Kristan Higgins

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Kristan Higgins

La sorella della sposa

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: My One and Only

HQN Books © 2011 Kristan Higgins

Traduzione di Elisabetta Lavarello

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà

Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Romance

aprile 2012

Questo volume è stato stampato nel marzo 2012 presso la Mondadori Printing S.p.A.

stabilimento Nuova Stampa Mondadori - Cles (Tn)

HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943

Periodico mensile n. 100 del 21/04/2012 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

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contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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«Smettila di sorridere. Ogni volta che sorridi così, muore un angelo.» «Oh, questa è grossa!» esclamai. L'uomo sedeva affranto al bancone del bar. Faceva qua-si pena, poveretto. «Senti» gli dissi. «È triste, lo so, ma a volte il divorzio è solo la pietosa eutanasia di una relazione che sta morendo.» Gli diedi una pacca su una spalla, poi gli aggiustai il collare bianco che era finito un po' di tra-verso. «Spesso il nostro cuore ha bisogno di tempo per ac-cettare quello che la nostra testa già sa.» Il prete sospirò. «Senti che cavolate si inventa questa» disse a Mick, il barista. «Non sono cavolate! Sono ottimi consigli.» «Sei perfida.» Sospirai. «L'hai presa peggio di quanto pensassi.» «Per forza. Dopo tutti i miei sforzi per farli riconciliare, tu ti avventi sui miei parrocchiani come un rapace.» «Un rapace?» protestai. «Padre Bruce, tu mi offendi.» Il buon padre e io eravamo all'Offshore Ale, il più bel bar di Martha's Vineyard, un locale amato sia dagli isolani che dai turisti. Padre Bruce, mio amico di lunga data e par-roco della locale chiesa cattolica, ci veniva spesso. Mi appollaiai su uno sgabello accanto a lui, tirandomi giù la gonna per non scandalizzarlo. «Senti, se ci pensi be-ne, tu e io siamo simili.» Lui commentò con un grugnito

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che ignorai. «Guidiamo le persone in un momento difficile della loro vita. Siamo la voce della ragione quando la ra-gione tace.» «E la cosa più triste è che ci crede, Mick.» Alzai gli occhi al cielo. «Smettila di fare il piagnone e offrimi da bere.» «Non esistono più i matrimoni di una volta» brontolò il prete. «Mick, un bourbon per la mia amica squalo.» «Solo una San Pellegrino, Mick, grazie. Padre Bruce, fingerò di non aver sentito l'ultima parola.» Sorrisi genero-sa. Certo che ero uno squalo. Tutti i buoni avvocati divor-zisti lo sono. «Insomma, ha perso di nuovo, padre?» disse Mick, ag-giungendo una fettina di limone alla mia acqua frizzante. «Evitiamo di parlarne, Mick. Questa donna gongola già abbastanza così.» «No che non gongolo» obiettai, allungando una mano per spostare la birra che rischiava di cadere in grembo a Padre Bruce. «Non ho niente contro il matrimonio, come scoprirai presto. Ma nel caso Starling contro Starling, quei due erano condannati dal giorno in cui lui si è messo in gi-nocchio per dichiararsi. E questo vale per una coppia su tre.» Il prete chiuse gli occhi. Anche se ci trovavamo su sponde opposte riguardo alla questione del divorzio, padre Bruce e io eravamo vecchi a-mici. Ma oggi, Joe Starling, un suo fedele, era entrato nel mio ufficio e mi aveva chiesto di avviare le pratiche di di-vorzio. Era... vediamo... il nono parrocchiano negli ultimi due anni a farlo. «Forse ci ripenseranno» osservò il sacerdote. Sembrava così speranzoso che non gli ricordai i fatti: nessuno dei miei clienti si era mai tirato indietro. «Come va per il resto, Padre?» cambiai discorso. «Mi hanno detto che hai fatto una magnifica predica domenica

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scorsa. E ti ho visto fare jogging l'altro giorno. La tua nuo-va valvola cardiaca funziona a meraviglia.» «Sembra di sì, Harper, sembra di sì.» Sorrise. Era un prete, dopotutto: doveva perdonarmi. «Hai fatto la tua buona azione quotidiana, oggi?» Feci una smorfia. «Non mi pare...» Padre Bruce, che considerava la salvezza della mia anima come una sua campagna personale, mi aveva sfidato, parole sue, a com-pensare la malvagità della mia professione compiendo al-meno un atto di gentilezza al giorno. «Sì, sì!» mi ricordai. «Ho fatto passare davanti a me una famiglia di sei persone al ristorante. Il bimbo più piccolo piangeva. Conta, que-sto?» «Conta» annuì lui. «A proposito, sei elegantissima oggi. Un appuntamento col giovane Dennis?» Mi guardai attorno. «Più che un appuntamento, Padre.» Feci una smorfia quando John Caruso mi urtò accidental-mente nel passare. Finsi di non sentire l'epiteto che mi af-fibbiò fra i denti. Ci si abitua a certe reazioni quando si è avvocati bravi come me. (Alla signora Caruso erano anda-te sia la villetta di Back Bay che la casa sull'isola, per non parlare di alimenti mensili molto generosi.) «Oggi è il grande giorno. Intendo esporre i fatti, fare un'arringa con-vincente e aspettare il verdetto, che prevedo sia totalmente a mio favore.» Padre Bruce inarcò un cespuglioso sopracciglio bianco. «Che donna romantica.» «Credo che la mia visione del romanticismo sia ben do-cumentata, Padre Bruce.» «C'è quasi da compatire il giovane Dennis.» «Per favore!» Toccai il mio bicchiere con quello di Pa-dre Bruce in un brindisi. «Al matrimonio! E, parlando del diavolo, eccolo qui che arriva, e con ben quattro minuti d'anticipo. I miracoli succedono davvero, allora.» Dennis Patrick Costello, mio ragazzo da due anni e

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mezzo, era... Ebbene, visualizzate la più torrida fantasia e-rotica che abbiate mai fatto sul conto di un vigile del fuo-co. Uh-huh. Proprio così. Folti capelli neri, occhi azzurri, la carnagione rosea degli irlandesi. Uno e ottantacinque. Spalle in grado di portare una famiglia di quattro persone. L'unico pelo nell'uovo era il codino che s'era lasciato cre-scere sulla nuca... un lungo anemico treccino al quale Dennis era assurdamente attaccato e che io mi sforzavo di ignorare. Comunque, la sua prestanza fisica e la sua affabi-lità non mancavano mai di darmi un fremito d'orgoglio. Non c'era una persona sull'isola a cui non piacesse Dennis, non c'era donna che non ammutolisse quando lui sorride-va... Ed era mio. Den era con Chuck, suo collega al dipartimento dei vigi-li del fuoco di Martha's Vineyard, il quale mi lanciò un'oc-chiata truce mentre si dirigeva all'estremità opposta del bancone. Chuck aveva tradito Constance, la sua deliziosa moglie. E non una volta sola. Doveva essersi ispirato a Ti-ger Woods, perché aveva ammesso quattro relazioni in sei anni di matrimonio. Di conseguenza, adesso Chuck aveva affittato una specie di catapecchia a Chappaquiddick e do-veva prendere il ferry per venire a lavorare tutte le mattine. Il fio del peccato. «Ehi, Chuck! Come va?» chiesi mentre lui si appollaia-va al bancone alcuni sgabelli più in giù. Chuck mi ignorò, com'era sua abitudine. Pazienza. Mi girai verso Dennis. «Ciao, tesoro! Hai quattro minuti d'anticipo.» Dennis si chinò a baciarmi su una guancia. «Ciao a te, bellezza. Salve, Padre Bruce.» «Dennis. Buona fortuna, figliolo. Dirò un'Ave Maria per te.» «Grazie, Padre.» Per nulla incuriosito dal perché il prete volesse pregare per lui, Den mi sorrise. «Muoio di fame. E tu? Hai appetito?» «Puoi scommetterci. Ci vediamo, Padre Bruce» lo salu-

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tai, scivolando giù dal mio sgabello. Dennis mi lanciò un'occhiata di fuoco... il che, dopotutto, era lo scopo del mio vestito aderente e di quei tacchi che mi stavano assas-sinando i piedi. Avevo bisogno di tutta l'attenzione di Dennis e, dato che era maschio, mettere in mostra le mie grazie non poteva danneggiare la mia causa. Quella sera, gli avrei chiesto di sposarmi. Due anni e mezzo con Dennis mi avevano convinta che avesse la stof-fa del potenziale marito. Lavoro fisso, senso della fami-glia, un bravo ragazzo, un gran fusto. Avevo deciso: oggi o mai più... A quasi trentaquattro anni, non avevo intenzio-ne di restare la sua ragazza per sempre. E Dennis, che Dio lo benedicesse, aveva bisogno di una spintarella nella dire-zione giusta. Prima fase del piano: riempire lo stomaco del pompiere Costello, il quale aveva bisogno di pasti più frequenti di un neonato. Un paio di birre non avrebbero guastato, perché il buon Den, anche se pareva soddisfatto del nostro rapporto, non aveva ancora affrontato l'argomento matrimonio di sua iniziativa. Meglio ammorbidirlo un po'. E così, mezz'ora dopo, con una pinta di Offshore Nut-brown Ale nello stomaco e un gigantesco hamburger con formaggio e bacon davanti a sé, Dennis mi stava raccon-tando di un intervento che avevano fatto sul luogo di un incidente. «Così, io sto forzando la portiera per aprirla, giusto? E tutto a un tratto questa si stacca dai cardini, schizza via e prende in pieno Chuck nelle palle, e lui fa: "Costello, tu mi rovini!", e cominciamo a sghignazzare. E il bello è che la vecchietta era ancora in macchina. Oh, credevo di morire dal ridere.» Sorrisi paziente. L'umorismo da caserma dei pompieri, in mancanza di una definizione migliore, era a dir poco grossolano. Ciononostante, ridacchiai e mormorai: «Pove-ra creatura», riferendomi, ovviamente, non a Chuck ma al-l'anziana signora bloccata in macchina mentre i prodi vigi-

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li del fuoco del dipartimento di Martha's Vineyard si porta-vano le mani all'inguine e facevano battute testicolari. Per quanto riguardava Chuck, era quello che si meritava. «La signora si è fatta male?» «No. Neanche un graffio. Non avremmo riso se fosse stata decapitata o roba del genere.» Sogghignò e io ricam-biai il sorriso. «Meno male. Senti, Den, dobbiamo parlare.» Alle temute parole, il sorriso di Dennis svanì. Battendo gli occhi freneticamente, come se stessi per dargli un pu-gno in faccia, afferrò l'hamburger grondante salsa. Un ge-sto difensivo, come quelli che vedevo fare spesso ai coniu-gi delle mie clienti. Unii le dita sul tavolo davanti a me, piegai testa di lato e sorrisi. «Dennis, credo sia ora che noi due passiamo al livello successivo, per usare una metafora da videogame. Stiamo insieme da tempo, abbiamo un rapporto solido, io compirò trentaquattro anni tra qualche settimana, il mio orologio biologico comincia a ticchettare, quindi sposiamoci.» Dennis si ritrasse allarmato. Accidenti, l'avevo spaven-tato. Forse avrei dovuto optare per una nota più romantica, piuttosto che esporgli un elenco di fatti. Ecco cosa capita quando si prova il discorso con un cane invece che davanti a un essere umano. Comunque, non c'era niente di male nell'andare dritto al punto... come in un'arringa. Il mio ragazzo rispose ficcandosi un quarto del panino in bocca. «Mmh-hrmh» fece, indicandosi le guance ri-gonfie. Una certa resistenza me l'aspettavo, ovviamente. Dennis era un maschio e la maggior parte dei maschi, a parte qual-che rara eccezione, non ti fa la domanda cruciale senza qualche spintarella. E io avevo spinto... Tre mesi prima a-vevo ammirato l'anello di fidanzamento di una cugina di Dennis, poi avevo fatto commenti su come a Dennis pia-cessero i bambini, gli avevo detto che sarebbe stato un

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buon padre, avevo accennato più volte al mio personale desiderio di procreare... Ma finora, nada. Ne avevo dedotto che Dennis avesse bisogno di qualcosa di un po' meno sot-tile. Tipo, un calcio negli stinchi. «Ora, non farti prendere dal panico, tesoro» dissi dolce-mente mentre lui masticava disperato. «Noi due stiamo be-ne insieme. Ci vediamo quasi tutte le sere, tu ormai hai trent'anni, so che vuoi dei figli... È arrivato il momento. Non trovi anche tu? Io ne sono sicura.» Gli sorrisi per di-mostrargli che eravamo tutti e due dalla stessa parte. Dennis deglutì. Era un po' pallido. «Uh, senti, pupa...» i-niziò. Feci una smorfia... Pupa? Non aveva trovato niente di meglio? Lui se ne accorse. «Scusa, pupa... Voglio dire, Harper. Scusa.» Chiuse la bocca, la riaprì, esitò, poi staccò un altro boccone dall'hamburger. Benissimo. Avrei parlato io. Era meglio così. «Fammi continuare, okay, Den? Poi potrai dire la tua. Se lo vorrai ancora.» Sorrisi e continuai a guardarlo dritto negli occhi, il che era un po' complicato, dato che le pupille di Dennis sfrecciavano frenetiche qua e là. Inoltre, alla televisione trasmettevano la partita dei Red Sox, il che non aiutava, perché Dennis era un tifoso sfegatato. «Den, come ben sai, io passo le mie giornate a occuparmi di matrimoni in crisi. Vedo gli errori che fanno i miei clienti e so cosa evitare. Il nostro è un rapporto solido. Solidissimo. Non possiamo vi-vere nel limbo per sempre. Tu passi già a casa mia quasi tutte le notti...» «Hai un letto così comodo» spiegò lui con sincerità, fic-candosi una manciata di patatine in bocca. Ne offrì una an-che a me, ma scossi la testa. Non avevo ancora toccato la mia insalata. «No, grazie. Per tornare al nostro discorso...» Mi protesi un po' in avanti, dando a Dennis una migliore visuale sul mio décolleté. Cominciò a salivare come il cane di Pavlov e io sorrisi. «La nostra vita sessuale è del tutto soddisfa-

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cente» ripresi, ricordandogli i nostri momenti più belli. Al tavolo accanto, una donna che stava cercando di convince-re un bimbo di tre o quattro anni a mangiare una cozza frit-ta, mi lanciò un'occhiata indignata. Turisti. «È ovvio che tra noi c'è attrazione, no?» «Senza dubbio.» Mi fece quel sorriso insinuante che ammutoliva le donne. Perfetto. Ora stava pensando sotto la cintura, il che aiutava la mia causa. «Esattamente, caro. Io guadagno molto bene, tu hai... be', un buono stipendio. Avremo un tenore di vita agiato e faremo degli splendidi bambini. Rendiamo il nostro rap-porto permanente, okay?» Mi chinai a prendere la borsetta e tirai fuori un astuccio di velluto nero. «Ho scelto perfino l'anello, così saremo sicuri che mi piace.» Alla vista della pietra da due carati, Dennis sbiancò. Chiusi gli occhi per un attimo. «L'ho pagato io, quindi non preoccuparti. Visto? Non è poi così difficile.» Gli feci il mio sorriso deciso da tribunale, quello che diceva Vostro Onore, per favore. Possiamo smetterla di menare il can per l'aia e concludere? Padre Bruce e Bob Wickham, il sagrestano della parroc-chia, si accomodarono al tavolo accanto al nostro. Il prete mi lanciò un'occhiata d'intesa, ma io lo ignorai. In quel momento, Jodi Pickering, la ragazza del liceo di Dennis, che faceva la cameriera lì, gli piazzò le tette sulla faccia. «Tutto a posto, Denny?» chiese, ignorandomi e ri-volgendo al mio aspirante fidanzato un'occhiata docile da mucca. «Ehi, Jodi, come va?» chiese Dennis, alzando gli occhi dalla sua quinta alla sua faccia. «Come sta il piccolo?» «Oh, benissimo, Denny. Sei stato così carino a venire alla partita l'altra sera. Lui ti adora! E, sai, senza un papà accanto, credo che TJ abbia proprio bisogno...» «Abbiamo capito l'antifona, Jodi-con-la-i.» Le sorrisi soavemente. «Hai un figlio adorabile e sei ancora libera.

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Dennis, però, sta con me. Se solo volessi togliere le tette dalla faccia del mio ragazzo, ora, te ne sarei profondamen-te grata.» La cameriera strinse gli occhi e si allontanò. Dennis se-guì la sua dipartita come uno potrebbe guardare una scia-luppa di salvataggio allontanarsi dal Titanic. Poi deglutì e guardò me. «Senti, Harp...» iniziò. «Tu sei... insomma... una donna fantastica, ma sai come si dice, no? Se non è rotto non aggiustarlo. Voglio dire, perché cambiare una cosa che funziona bene? Non possiamo continuare a stare insieme così?» Di nuovo, totalmente previsto. Mi raddrizzai e piegai la testa di qualche grado. «Dennis» dissi con fermezza. «Qui non siamo al liceo. Non siamo più ragazzini. Stiamo insie-me da due anni e mezzo. Io ne compirò trentaquattro il mese prossimo. Non voglio continuare così a tempo inde-terminato. Se non ci sposiamo, fra noi è finita. Insomma... falla o alzati dal vasino, tesoro.» «Che frase poetica» mormorò Padre Bruce aprendo il menu. Lo incenerii con un'occhiata, poi tornai a fissare il pom-piere Costello. «Dennis? Sposiamoci.» Un boato proveniente dal bar concesse a Dennis una breve sospensione della sentenza. Ci girammo tutti e due. Alla televisione, svariati membri dei Sox stavano sputando e grattandosi l'inguine. Ma non ce l'avevano un addetto al-le PR, per l'amor del cielo? La partita era proprio quello di cui Dennis non aveva bisogno... una distrazione. Apparentemente, scegliere un luogo pubblico per questa conversazione era stato un erro-re tattico. Avevo pensato che potesse giocare a mio favore, avevo perfino avuto questa piccola fantasia di Dennis che urlava: Ehi, sentite! Ci sposiamo!, e tutti, anche quelli che mi detestavano, ad applaudire e acclamare. Una pia illusione. «Dennis?» chiesi. Mi sentivo una pic-

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cola stretta al petto. «Potrei avere una risposta?» Dennis prese il tovagliolino di carta e cominciò a farlo a brandelli. Una sottile, affilata lama di incertezza penetrò nella mia coscienza. Di solito Dennis era così... accomodante quan-do proponevo qualcosa. Sì, ero io quella che prendeva l'i-niziativa nel nostro rapporto, ma non era tipico? Gli uomi-ni non programmavano mai niente da soli. Non propone-vano né picnic né shopping in città. E anche se le parole di Den questa sera indicavano riluttanza, il suo comporta-mento diceva altrimenti. Due anni e mezzo di un rapporto esclusivo e soddisfacente per entrambi senza neanche un momento di crisi. Certo che eravamo avviati verso il ma-trimonio! Lui aveva tutte le qualità necessarie per diventa-re un buon marito... aveva solo bisogno di una spintarella verso l'età adulta. E io avevo proprio lì, accanto al mio piatto, una lista di cose che potevano aiutare Den su quel fronte. Trovarsi un secondo lavoro, dato che aveva troppo tempo libero come vigile del fuoco e non avrebbe proprio dovuto passare ore al computer a giocare a X-Box come sapevo che faceva (o a scaricare filmetti porno, come sospettavo facesse). Sba-razzarsi della El Camino del 1988 che guidava ora (una portiera verde, tutto il resto ruggine), e mettersi al volante di un veicolo che non lo facesse sembrare un mentecatto. Tagliarsi il treccino perché, accidenti, sembrava proprio un codino da topo! E infine... trasferirsi da me. A dispetto del-le quattro o cinque notti alla settimana che passavamo in-sieme, Dennis abitava ancora in un buco di appartamento sopra il garage di suo fratello. Io avevo una villetta con due camere da letto sul mare. Il mio piano era stato di aspettare che lui avesse accetta-to la mia offerta, poi passargli la lista e discuterne. Ma lui non stava accettando. Confesso che ero confusa. Chiedevo a Dennis molto po-

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co e lo prendevo così com'era... un bravo ragazzo. Certo, era ancora un po' infantile, ma non c'erano problemi. An-che se non ero tipo da dichiarazioni sentimentali, io amavo Dennis. E chi non gli voleva bene? Magari non era, uhm, l'uomo più intellettuale della terra, ma era buono e coraggioso. Aveva salvato tre bambini da un incendio, anni prima, ed era diventato una specie di leg-genda locale. E a proposito di bambini, Dennis ci sapeva fare con loro; era spontaneo come io non sarei mai stata, a dispetto del mio desiderio di avere dei figli miei un giorno. Dennis era il tipo che si rotolava per terra con i suoi sette nipoti, e loro lo adoravano. Inoltre, e questo era innegabile, gli piacevo io. Eppure ero una che faceva digrignare i denti agli uomini, quando venivano a sapere cosa facevo nella vita. Anche alle don-ne, d'altronde, come se fossi una vergogna per il nostro sesso solo perché agevolavo la fine di matrimoni che non funzionavano. C'erano persone che avevano voglia di ta-gliarmi le gomme della macchina dopo che avevo accetta-to di rappresentare i loro coniugi. Ero stata chiamata strega (e peggio), mi avevano buttato caffè in faccia, mi avevano sputato, maledetto, minacciato, calunniato. Io li prendevo come complimenti. Sì, ero un ottimo av-vocato divorzista. Se questo significava che c'erano perso-ne che conficcavano spilli in una bambolina voodoo coi capelli rossi e il tailleur grigio attillato, pazienza. Avevo conosciuto Dennis quando la mia auto era stata speronata da una moglie furibonda, e il dipartimento dei vigili del fuoco aveva dovuto tagliare la lamiera per farmi uscire (nessun danno fisico e un generoso indennizzo da parte del giudice Burgess, che aveva un debole per me). «Le va di prendere una birra con me? Smonto fra mezz'ora» aveva detto Dennis e, più scossa di quanto dessi a vedere, avevo accettato. Lui non sembrava spaventato dalla mia reputazione di

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squalo. Né era intimidito dal mio sostanzioso stipendio, fondato sulla dissoluzione del finché morte non ci separi. A Dennis io piacevo. Anche se non sospiravo rapita quan-do mi guardavo allo specchio, sapevo di essere attraente, e parecchio. Inoltre ero elegante, una gran lavoratrice, una donna di successo, intelligente e leale. Divertente, pure. Be'... qualche volta, almeno. Tutto sommato, pensavo che il nostro sarebbe stato un matrimonio molto soddisfacente. E la soddisfazione, in un rapporto sentimentale, era una cosa troppo sottovalutata. Come sapevo bene, i matrimoni erano fragili uccelli di speranza, e uno su tre finiva in un mucchio di penne spor-che. Nella mia esperienza, la grande maggioranza di que-ste unioni fallite era del genere oh-mia-adorata-come-mi-fai-battere-forte-il-cuore. Conforto, compagnia e aspet-tative realistiche... Non suonavano bene quanto passione eterna, ma valevano molto più di quello che si pensava co-munemente. C'era un altro motivo per cui volevo un impegno da par-te di Dennis. Presto avrei compiuto trentaquattro anni, la stessa età che aveva avuto mia madre l'ultima volta che l'a-vevo vista. Per qualche motivo, il pensiero di essere anco-ra single (sola, derelitta) a quest'età... insomma, mi sem-brava un fallimento di proporzioni monumentali. Negli ul-timi mesi, quel pensiero aveva pulsato nella mia testa con un ritmo oscuro. La stessa età che aveva lei. La stessa età che aveva lei. Dennis stava in silenzio, ma il suo tovagliolo ormai era ridotto a coriandoli. «Senti, pupa» disse finalmente. «Harp! Ehm. Harper, voglio dire. Uh, cara... il fatto è...» In quel momento, la voce sussurrante di Audrey Hep-burn si alzò dalla mia borsetta... Moon River. La suoneria che avevo abbinato al numero di mia sorella. Come Au-drey, Willa era deliziosa, dolce e sempre bisognosa di pro-tezione. Si era trasferita a New York recentemente, e non

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l'avevo sentita molto in quelle ultime settimane. «Non rispondi?» chiese Dennis in fretta. «Mmh... ti spiace? È mia sorella.» «Fa' pure» assicurò lui, praticamente sciogliendosi per il sollievo. «Fa' con comodo.» Scolò il resto della sua birra e tornò a girarsi verso i Boston Red Sox. Audrey continuava a cantare... «Ciao, Willa!» «Harper?» Anche se aveva ventisette anni, la mia sorel-lastra aveva ancora una nota infantile nella voce, una nota che non mancava mai di portarmi un sorriso alle labbra. «Ciao, cara! Com'è la Grande Mela?» «New York è fantastica, ma Harper, non è per questo che ti chiamo. Ho delle novità! Grosse novità.» «Davvero? Hai trovato un lavoro?» «Sì, faccio la... segretaria. Ma non è questa la notizia. Sei pronta? Seduta?» Un senso di gelo mi prese le ginocchia. Lanciai un'oc-chiata a Dennis, che era concentrato sulla partita. «Okay... di che si tratta?» «Mi sposo!» Mi portai una mano alla bocca. «Willa!» «Lo so, lo so, ti è venuto un colpo e, sì, ci siamo sentite solo un paio di settimane fa. Ma è stato una specie di ki-smet, si chiama così, no, il destino fissato da Dio per gli uomini? È un sentimento vero. Harper, non ho mai provato nulla di simile in vita mia! Mai.» Porca miseria! Tirai il fiato e lo trattenni per qualche se-condo prima di esalarlo lentamente. «Non voglio fare la guastafeste, cara, ma è quello che hai detto la prima volta che ti sei sposata. E anche la seconda.» «Oh!» Rise. «Tu sei una totale guastafeste! Sapevo che ti saresti spaventata, ma non occorre. Ho ventisette anni. So cosa faccio! Ti ho chiamato solo perché... Oh, Harper, sono tanto felice! Lo amo alla follia! E lui pensa che io cammini... insomma, sull'acqua!»

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Chiusi gli occhi. Willa si era sposata la prima volta a ventidue anni, tre settimane dopo che Raoul era uscito di prigione; il divorzio era arrivato un mese più tardi, dopo che lui aveva rapinato un negozio di bigiotteria. (Lo so, lo so. Un negozio di bigiotteria?) Il marito numero due, ac-quisito quando mia sorella aveva venticinque anni, aveva fatto outing sette settimane dopo le nozze. Solo Willa era rimasta sorpresa. «È fantastico, cara. Sembra, uhm, un uomo meraviglio-so. È solo che... matrimonio? Così presto?» «Lo so. Ma Harper, senti. Sono innamorata!» Alla faccia dell'imparare dall'esperienza. «Andarci piano non ha mai fatto male a nessuno, Willa. È tutto quello che sto cercando di dirti.» «Non puoi dire che sei felice per me, Harper? Dai! La mamma è entusiasta.» Su questo non avevo dubbi. La mia matrigna, BeverLee dalla Grande Chioma Bionda, viveva per le cerimonie nu-ziali, fossero queste in famiglia, sui rotocalchi o in una delle tre soap opera che seguiva religiosamente. «È successo troppo in fretta, tutto qua, Willa.» Mia sorella sospirò. «Lo so. Ma non è come le altre vol-te. Questo è l'uomo giusto.» «Ti sei trasferita a New York solo due mesi fa, cara. Non vuoi goderti la città, capire cosa vuoi fare realmente nella vita?» «Posso sempre farlo. Mi sposo, mica muoio.» C'era una nota di sfida nella voce di mia sorella ora, e capii che era meglio far dondolare una carota. «È giusto. Be', è davvero una bella notizia. Congratulazioni, cara! E-hi! Mi piacerebbe organizzare un matrimonio in grande per voi due qui a Martha's Vineyard. Tutti i locali migliori saranno già prenotati per quest'autunno, senza dubbio, ma l'estate prossima...» «Non occorre, Harper! Sei gentile, ma abbiamo già tro-

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vato un posto, e non immaginerai mai dove!» «Dove?» chiesi, col cuore pesante come piombo. «Nel Parco Nazionale Glacier, ecco dove! In Montana!» «Wow.» Guardai Dennis, ma la sua attenzione era anco-ra focalizzata sullo schermo sopra il bancone del bar. «E a quale... uhm, a quale data pensavate?» Ti prego, fa' che sia più tardi possibile. «Prima è meglio è, no?» cinguettò lei. «L'undici settem-bre! Sarai la mia testimone, vero? Devi essere tu!» «L'undici settembre, Willa?» «Oh, andiamo! Quella giornata ha bisogno di essere e-sorcizzata da un po' di felicità, non trovi?» «Mancano solo due settimane!» «E allora? Sarai la mia testimone, o no?» Aprii la bocca, la chiusi, mi morsi la lingua. Due setti-mane. Misericordia! Avevo due settimane per dissuadere Willa dal contrarre un altro disastroso matrimonio, o alme-no per rimandare le cose e conoscere il promesso sposo. Potevo farcela. Dovevo solo assecondarla. «Ma natural-mente. Certo che sarò la tua testimone.» «Urrà! Grazie, Harper. Sarà così bello, su in Montana. Ma, senti, non ti ho ancora detto la parte migliore.» Il mio cuore perse un colpo. «Sei incinta?» chiesi con calma. Sarebbe andato tutto bene. Avrei mantenuto il bam-bino. Gli avrei pagato l'università. Mi sarei assicurata che non lasciasse gli studi. «No, non sono incinta. Come ti è venuto in mente! È so-lo che tu conosci lo sposo.» «Davvero?» «Già! Piccolo il mondo, eh? Vuoi indovinare?» «No. Dimmi solo chi è.» «Il suo nome inizia con la C.» Uomini il cui nome iniziava con la C, a Manhattan? «Ma... Non so proprio. Ci rinuncio.» «Christopher.» La voce di Willa grondava affetto.

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«Christopher chi?» «Christopher Lowery!» Feci un salto sulla sedia, e il mio bicchiere di pinot noir traballò pericolosamente. «Lowery?» squittii. «Lo so! Non ti sembra incredibile? Sposo il fratello del tuo ex marito!»

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Ogni donna ha un piano B di Sherryl Woods

Tornare a casa a volte non è come ci si era aspettati. Quando Dinah Davis decide che ne ha avuto abbastanza di reportage di guerra e si convince che è il momento di tornare dalla famiglia a Charleston, per capire se può riallacciare la relazione con l'ex fidanzato Bobby, si ritrova a fare i conti con situazioni e sen-timenti imprevisti. Il suo piano viene infatti ostacolato dal fra-tello di Bobby, Cord, bello, arrogante, indolente, orgoglioso e ribelle. Un tipo da evitare: esattamente il tipo da cui non si rie-sce a stare lontane. E tutta quella ostilità reciproca, nata già ai tempi della scuola, non potrà che sfociare in un'attrazione irre-sistibile.

La sorella della sposa di Kristan Higgins

Per l'avvocato divorzista Harper James non è facile essere ro-mantica, così, quando incontra l'ex marito Nick al matrimonio della sorella, fa di tutto per tenere a bada l'attrazione che anco-ra li unisce. Peccato che il destino non l'aiuti, e a causa di un problema con il volo di ritorno, si ritrova ad accettare un pas-saggio in auto che la vedrà nello stesso abitacolo insieme a Nick per ben tredici ore. Sarà un lungo viaggio nei ricordi di un rapporto che, forse, è finito troppo in fretta e, forse, ha an-cora molto da offrire.

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Il sesto e ultimo capitolo della graffi ante saga fi rmata daRACHEL VINCENT: il giornodella resa dei conti è arrivatoe Faythe dovrà scegliere tra i due uomini che più ama. Sapendoche qualunque sia la decisione,nulla sarà più lo stesso.

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