Homo Faber - La Fucina del Dio Vulcano

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L’Associazione Italiana Aerografisti presenta la sua prima mostra organizzata nelle suggestive stanze del rifugio antiaereo dell’Eur. In esposizione sono state allestite le opere di dieci artisti già noti per il loro talento nel panorama dell’arte giovane nazionale.

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Indice

Prefazione..................................................................................................................pag. 5;

Introduzione...............................................................................................................pag. 6;

Il tema della mostra....................................................................................................pag. 7;

Artisti in mostra

Massimo Fogliazza.......................................................................................................pag. 8;

Serena Sorrenti.........................................................................................................pag. 10;

Emanuele Tubertosi...................................................................................................pag. 12;

Silvia Belviso............................................................................................................pag. 14;

Giampiero Abate.......................................................................................................pag. 16;

Alessandro Rinaldi.....................................................................................................pag. 18;

Arturo Corinto...........................................................................................................pag. 19;

Agostino Dimitri........................................................................................................pag. 20;

Antonio Fucito...........................................................................................................pag. 21;

Fabio Abbati..............................................................................................................pag. 22;

Tav. 1......................................................................................................................pag. 23;

Tav. 2......................................................................................................................pag. 24;

Tav. 3......................................................................................................................pag. 25;

Ringraziamenti.........................................................................................................pag. 26.

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Prefazione

L’Associazione Italiana Aerografisti presenta la sua prima mostra organizzata nelle suggestive stanze del rifugio antiaereo dell’Eur. In esposizione sono state allestite le opere di dieci artisti già noti per il loro talento nel panorama dell’arte giovane nazionale.

E’ probabilmente l’impresa più difficile nella quale ci siamo imbattuti nel corso di questi anni.L’obiettivo di questo evento artistico è quello di scindere la parola aerografia dalla parola decora-zione, spingendoci verso un fine ultimo che sia puramente espressivo e non solo un atto di auto-celebrazione della tecnica. L’aerografia è un grande mezzo per raggiungere ottimi risultati in ogni ambito, per questo ci siamo imposti di uscire dal guscio della decorazione, per imbatterci nel campo dell’espressione.

E’ una sfida.

Lanciamo il guanto e vi facciamo vedere come 10 “aerografisti” possono mettere in pratica il meglio di sé e delle proprie capacità nel creare opere pittoriche. Non si tratta questa volta dell’ennesima decorazione su oggetti, ma vere e proprie opere d’arte su pannelli e tele.Sono soddisfatto ed orgoglioso di vedere come questi compagni d’armi abbiano compreso appieno l’intento ed abbiano creato opere veramente emozionanti, piene di un’incredibile pathos che traspare in ogni singola pennellata o sfumatura. Si inizia dalla tecnica dell’aerografia pura passando al ma-terico, dall’installazione fino ad arrivare all’olio, in una varietà di esecuzioni tecniche che difficilmente si potrà ritrovare in un’unica esposizione. Sono soddisfatto ed orgoglioso di farvi vedere con quale forza espressiva i nostri “aerografisti” abbiano dato il meglio di sé, per uscire da quel canone così stretto e soffocante che ci avvolge. Chiamateci anche decoratori se volete, ma da oggi, se lo riterrete dopo aver visto queste opere, chiamateci Artisti.

Alcuni di noi hanno un’educazione artistica, altri no, eppure il filo conduttore che ci lega è la passione, quella forza travolgente che nasce dai nostri cuori e che emerge sulle tavole. E’ questa la nostra battaglia quotidiana, è questo lo scopo dell’Associazione Italiana Aerografisti.

Speriamo di farcela.

Noi abbiamo la volontà e la fiducia, la forza e la costanza e questa mostra ne è la prova.Grazie agli Artisti. Grazie a voi che ci date una chance.

Giampiero AbatePresidente Associazione Italiana Aerografisti

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Introduzione

La tecnica della pittura a spruzzo ha origini antichissime: l’uso di nebulizzare il colore su un’ampia superficie attraverso una cannuccia è attestato già nel Paleolitico superiore (36.000 -10.000 a.C.) nelle celebri pitture murali rinvenute nelle grotte di Lascaux in Francia. L’areografia moderna risale al 1879, anno in cui il gioielliere Abner Peeler (Iowa, USA) brevettò il primo prototipo di aerografo da utilizzare per “pitture ad ac-quarello e altre tecniche artistiche”. Il brevetto fu acquistato e notevolmente migliorato da Liberty Walkup, l’imprenditore che diede la definizione di “airbrush” allo strumento e lo produsse

in serie fondando la Airbrushing Manifacturing Company nel 1883. Fu lo stesso Walkup a insegnare la tecnica dell’aerografo a Wilson Irvine, maestro tra i più celebri paesisti americani la cui ricerca venne fortemente suggestionata dalla scuola di Barbizon. Il colore nebulizzato si adattava perfettamente all’indagine artistica di Irvine, imperniata sugli effetti ottici prodotti da luce e atmosfera sul paesaggio naturale. La stesura pittorica uniforme e sfumata, propria della tecnica a spruzzo, diventò parte integrante dell’analisi en plain air condotta da Irvine sull’esempio degli Impressionisti francesi. Nonostante negli anni immediatamente successivi alla sua in-venzione fosse diventato uno strumento a servizio della più alta forma di ricerca pittorica, in breve tempo l’aerografo fu relegato alla grafica pubblicitaria, alla decorazione artigianale e, in tempi recenti, alla colorazione industriale. L’intendimento della mostra e, più in generale, degli artisti che fanno capo all’Associazione Italiana Aerografisti, è riprendere l’indagine sulla tecnica a spruzzo integrandola con le più tradizionali pratiche pittoriche. Il risultato è la nascita di una tecnica mista memore del les-sico pittorico di Pupino Samonà la cui avanguardia, vicina alla poetica futurista di Balla ma focalizzata su un’indagine di tipo cosmologico, si caratterizza proprio per l’ibridazione tra pennello e aerografo.

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Fig. 1

Fig. 2

Fig. 1: Wilson Henry Irvine, “Paesaggio di fine estate”, 1910, tecnica mista, 18x24 cm

Fig. 2: Pupino Samonà, “Avvenimenti nello spazio”, 1958, tecnica mista, 40x50 cm

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Il tema della mostra Il tema della mostra è dedicato all’elemento principe di ogni manifestazione artistica: l’ispirazione. L’indagine condotta dagli autori parte dal luogo, innanzitutto mentale, dove l’ispirazione trova origine e dal rapporto che questo luogo ha con l’uomo-artista. Presupponendo che il genio creativo sia la parte più pura e caratteristica dell’essere umano, ossia quella dote intellettuale che genera il senso del sublime, la parabola in base alla quale l’intuizione si concretizza in ispirazione passa immancabil-mente attraverso quel particolare luogo dell’anima dove la coscienza umana fa esperienza dell’infinito cosmico. Per arrivare all’oggetto artistico positivo, l’ispirazione ha bisogno di concretizzarsi attraverso le mani dell’uomo. Questo ulteriore passaggio creativo avviene in un luogo fisico preciso, lo specchio tangibile di quella dimensione spirituale nella quale l’ispirazione ha trovato sostanza. L’uomo-artista, dunque, è da una parte il medium attraverso il quale si svela l’intuizione di un’idea universale, dall’altra il faber che manualmente concretizza questa idea. Il rapporto che intercorre tra l’artista e questo doppio luogo, spirituale e tangibile, non può che essere privato, intimo e soggettivo.

Seguendo questa interpretazione, l’artista diventa l’erede dell’antico mito di Vulcano, il fabbro degli dei che lavora in solitudine nelle viscere della Terra. Storpio, ma dotato di capacità manuali incredibili, Vulcano è il più umano degli dei proprio perché imperfetto e votato alla fatica del lavoro artigiano. Come ogni artista, il dio delle arti manuali basa la propria abilità sulla tensione tra ispirazione e lavoro pratico, una tensione meditata innanzitutto nel luogo dell’anima. La suggestione dello spazio interiore si adatta perfettamente al luogo dove la mostra è stata allestita: le anguste stanze del rifugio antiaer-eo dell’Eur, decontestualizzate dalla loro funzione originaria, sono state reinterpretate come l’anfratto intimo dove ogni artista trova il proprio estro e la traduce in immagini. Le sale d’esposizione, dunque, sono state trasformate in una moderna fucina di Vulcano dove ognuno dei ventiquattro autori in mostra racconta l’intimo rapporto con il proprio luogo d’ispirazione.

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Massimo Fogliazza

L’iter artistico di Massimo Fogliazza inizia da grafico: la capacità di cogliere con perspicace acume la realtà, l’attitudine per una comunicazione visiva efficace e veloce e, soprattutto, l’indubbia inclina- zione per il disegno manuale sono caratteristiche che gli permettono di realizzare soluzioni grafiche per importanti società. Un altro pilastro fondamentale per la sua formazione professionale consiste nella frequentazione della Scuola Internazionale del Fumetto grazie alla quale ha la possibilità di sco-prire e padroneggiare le proprie doti comunicative. Parallelamente, però, la sua attenzione si indirizza verso lo studio dei grandi pittori del XIX e XX secc. tramite i quali elabora una personale poetica.

Nelle sue opere utilizza messaggi iconografici del passato, ormai assimilati dall’immaginario culturale collettivo, come elementi minimi e fondamentali di un linguaggio nuovo , rappresentante della realtà contemporanea. A livello formale, la sua altissima capacità di cogliere l’essenza del reale e rielabo-rarla attraverso messaggi visivi immediati porta Fogliazza ad ampliare la spazialità delle proprie com-posizioni : la tela, avendo soltanto due dimensioni, è spesso insufficiente per descrivere i territori concettuali della sua ispirazione. Si passa, dunque, a un tipo di sperimentazione tridimensionale che, come nel caso dell’opera in mostra, si traduce in un’istallazione ambientale vera e propria. La sua ricerca tecnico-pittorica, invece, si focalizza principalmente nella composizione della luce in rapporto con l’impressione ottica del colore. Per questo l’aerografo, che permette una stesura del pigmento attraverso una nebulizzazione anche sottilissima, diventa uno strumento indispensabile per le sue composizioni.

Alla base, però, si trova sempre una costruzione dello spazio data dal disegno che conferisce a qual-siasi soggetto rappresentato una volumetria solidissima, già sufficiente da sola a creare coerenza ed equilibrio prospettico. Obiettivo di questa continua ricerca spaziale è coinvolgere lo spettatore non già in uno spazio illusorio, ma in un ambiente dialogante da cui trarre una risposta emozionale im-mediata.

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Massimo Fogliazza - Il lume della ragione

L’installazione di Fogliazza nasce da una considerazione sullo stato mentale e fisico che permette all’artista di seguire le tracce dell’ispirazione. La solitudine fisica è la condizione minima per annullare il rumore di fondo della propria esistenza e lasciare che le esperienze personali raccolte pos-sano essere riformulate in base alla pro-pria sensibilità. In questo senso, Fogliazza interpreta la solitudine dell’atto artistico come il riflesso in negativo e oggettiva-mente tangibile di una realtà emotiva che al contrario esclude la solitudine: lontano

dalla contingenza quotidiana, l’artista nell’atto creativo è accompagnato da un mosaico multiforme composto dalle sensazioni soggettive che la mente ha tratto dai dati esperienziali quotidiani. Questo ricco bagaglio emotivo è organizzato dalla ragione attraverso la quale ogni frammento di memoria sensibile acquista un “hic” e un “nunc” indelebili. E’, però, l’imponderabile genio artistico che elabora gli infiniti lacerti di sensazioni personali per rendere visibile e oggettivo un percorso emozionale comunicabile solo attraverso il linguaggio intuitivo e universale dell’arte. Da queste premesse, la chiave interpretativa dell’installazione non può che essere magnificamente esemplificata dal titolo stesso: la sorgente ispirativa è stata resa visibile attraverso la metafora del “bagaglio” di esperienze quotidiane che accomuna l’artista all’umanità tutta. Dentro il “baule” culturale rappresentato da Fo-gliazza sono raccolti i media più comuni con cui chiunque comunica e riceve informazioni. Dalla parte opposta è il fenomeno ultimo del processo creativo: un dipinto in cui il soggetto conclude e definisce l’installazione posta a terra, ossia l’artista, rappresentato dalla figura umana, guidato dalla ragione, identificato attraverso una fonte luminosa, che illumina e organizza il flusso della sua coscienza. Ciò che lega questi due termini estremi, il “bagaglio” esperienziale e il prodotto finale dell’impulso artistico, è un insieme di tasselli colorati che si vanno a perdere nel dipinto e che sono simbolo delle intuizioni creative mediante cui l’artista rielabora la realtà.

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Fig. 3

Fig 3: Massimo Fogliazza, “Il lume della ragione”, installazione polimaterica, acrilico su alluminio, 200x135,5 cm

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Serena Sorrenti

Per la personale formazione e per una precisa volontà di ricerca, Serena Sorrenti è un’artista poliedrica, principalmente attratta dalla tradizionale pittura a olio a cui aggiunge sperimentazioni digitali con tavoletta grafica e l’uso dell’aerografo. La sua ispi-razione è profondamente intimista: la fascinazione per un qual-siasi elemento esterno, che può essere indifferentemente tangi-bile come un qualsiasi prodotto della natura oppure frutto di un ricordo letterario o cinematografico, viene rielaborato dall’artista attraverso il filtro di una sensibilità onirica.

In questo senso, ogni opera di Sorrenti è il risultato finale di un complesso processo mentale che traduce in forme assoluta-

mente figurative l’immaginifico linguaggio del sogno. Nei suoi lavori, dunque, si ravvisa una trasla-zione tra piano del reale e dimensione fantastica: se formalmente si potrebbe parlare di uno stile assolutamente realistico, dal punto di vista delle tematiche affrontate il codice utilizzato da Sorrenti catapulta l’osservatore in una dimensione irreale.

Caratteristica propria dell’artista è l’uso di una volumetria figurativa costruita per piani larghi e linee estremamente morbide. Il contrasto chiaroscurale investe principalmente l’ambiente in cui fa recitare i suoi attori in maschera: la fig-ura umana è avvolta, oltre che dalla luce riflessa del luogo dove si trova, da una sorgente immaginaria largamente diffusa che investe praticamente tutto il piano frontale dei suoi dipinti. Come per la luce, anche la costruzione dei pi-ani prospettici da adito a un progressivo abbandono delle linee nette per cui, se i personaggi più vicini all’osservatore sono definiti da contorni puliti, quasi incisi, man mano che si sposta l’occhio verso il fondale ogni elemento del pae-saggio intorno diventa meno nitido. Il suggestivo rapimento che tale studio della composizione può suscitare è semplice-mente il riflesso del primitivo guizzo ispirativo all’origine dell’opera stessa.

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Fig. 4

Fig 4: Serena Sorrenti, “Eternity”, acrilico su MDF, 70x70 cm

Fig 5: Serena Sorrenti, “Dusk”, Aerografia digitale, 50x70 cm

Fig. 5

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Serena Sorrenti - Metamorfosi creativeIn sequenza: Solitudine, Ispirazione, Emotività (Tav. 1, fig. I), Magnetismo, Contemplazione

Tecnica mista su tela, 80x100 cm

La presenza di Serena Sorrenti in questa mostra riguarda un ciclo di cinque dipinti che ha per sogget-to il percorso creativo dell’artista, dalla meditazione alla sublimazione di sé nell’opera finita. Per Sor-renti l’intuizione artistica avviene innanzitutto attraverso la natura: è grazie alla contemplazione di questa, così perfetta nella sua finitezza, che l’uomo trova una dimensione altra, riflesso di un’infinità immanente intensivamente racchiusa in ogni cosa.

È quindi la materia stessa che suggerisce come farsi plasmare e in questo senso l’artista non è altro che un’interprete sensibile di una volontà inerte ma imprescindibile. Man mano che l’uomo interpreta e plasma la Natura in modo da trasformarla in Arte, ecco che la differenza tra la sua fisicità e la materia che lavora perde di senso: nell’atto creativo l’artista vive in funzione dell’opera che sta com-ponendo e questa costituisce tutta la sua realtà. La simbiosi tra autore e creazione, però, non è des-tinata a rimanere in equilibrio: più l’opera si avvicina a quella perfezione anelata, più il suo artefice si annulla in essa. Negli ultimi dipinti della serie, infatti, l’artista, che inizialmente era il motore di una realtà immaginata e futura, si trova a perdere sostanza perché l’oggettivazione della sua sensibilità, ossia il prodotto artistico, è più reale e importante della sua stessa esistenza.

Nell’ultimo dipinto, l’opera d’arte assume un ruolo che è totalmente indipendente dal suo creatore, come se, per il fatto di essere il medium di un significato talmente nobile da essere comune a chi-unque, acquisisse un a priori rispetto alle mani che con duro lavoro l’hanno realizzata. La tecnica con cui la serie è stata realizzata parte da una base lavorata con aerografo che costituisce una sorta di preparazione pittorica. Sopra questa prima stesura, gli strati pittorici sovrastanti sono stati lavorati con tecnica materica che unisce paste e stucchi colorati con vari materiali incollati. In questo modo la superficie dei dipinti assume l’aspetto di un prezioso bassorilievo, risultato di una ricerca non im-memore delle avanguardie di primo Novecento.

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Emanuele Tubertosi

Lirica-allegorica è forse la definizione che più si av-vicina alla poetica formale di Emanuele Tubertosi, eppure la molteplicità delle chiavi di lettura e delle fonti d’ispirazione sottese in ogni lavoro di questo virtuosissimo artista sfuggono a un’interpretazione univoca del suo linguaggio. In base a una prima analisi si potrebbe correttamente asserire che la cultura artistica da cui Tubertosi trae spunto è visibilmente quella appartenente alla Metafisica. Soprattutto per quanto riguarda le scenografie, la costruzione prospettica, a volte vertiginosamente scorciata, in altri casi allungata in modo sproposi-

tato, richiama alla mente le malinconiche piazze di de Chirico o gli inquietanti palcoscenici per mo-bili del grande Maestro. Ma è necessario guardare al di là di tale suggestione: le ambientazioni di Tubertosi oltrepassano il senso della melanconia per farsi più asettiche, esplorando un sentimento chiaramente ancora lontano dall’esistenzialismo di primo Novecento e molto più vicino alla sensibilità dell’animo contemporaneo, ossia l’incomunicabilità. Così anche i personaggi rappresentati potrebbero certamente essere figli di una tela di Dalì, Ernst o Tanguy, ma sono pregni di un accento tragico che più li avvicina alla crudele estetica di Dave Mc Kean.

Il sapiente richiamo all’esperienza metafisica e simbolista è caricato di una raffinatissima rappresen-tazione della personale sensibilità, non diversamente interpretabile se non attraverso un’empatica e intuitiva corrispondenza di sensazioni. Tutto questo capiente bagaglio culturale ed emotivo si traduce in uno stile disegnativo che fa dell’eleganza formale quasi un manifesto programmatico. La cosci-enza dell’artista, messa a nudo attraverso l’allegoria del simbolo, si scherma attraverso una purezza espressiva che inizialmente attrae più di ogni altra cosa e rischia di stordire l’osservatore meno at-tento. Si tratta, però, di una dissimulazione voluta: la piacevolezza visiva iniziale sembra invitare alla lettura metaforica soltanto chi osserva con l’anima e possiede occhi per interpretare.

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Fig. 6

Fig 6: Emanuele Tubertosi, “Clown Predominance”, tecnica mista digitale, 70x50 cm

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Emanuele Tubertosi - Opere

“Simmetrie imperfette”, acrilico su tela, 80x100 cm

Se per trovare l’ispirazione l’artista ha necessità di ab-bassare la soglia di azione del proprio Super-Io scavan-do nella propria coscienza, per tradurre in forme e colori questa sensibilità deve imbrigliare il flusso dell’emotività in un contenitore formale composto di equilibrio e tecnica. Ecco che allora la creazione artistica diventa il frutto di un bilanciamento tra rigore delle forme e pulsione dei sensi, ma in questa tensione è la razionalità formale che si ade-gua all’intuizione artistica. Emozionalità e tecnica, dunque, sono le simmetrie imperfette protagoniste del dipinto: di pari dignità costituiscono le basi imprescindibili delle creazioni di Tubertosi, come due giganti che si guardano contemplando le rispettive differenze.

“Libido, ciclo perpetuo”, tecnica mista su tela, 70x100 cm (Tav. 2, fig II)

Il notissimo psicologo e filosofo Jung asseriva che più ci si avvicina alla coscienza di sé inibendo il pro-prio Super-Io, più si rischia di cadere nella follia. Molto spesso il genio artistico, applicato a qualsiasi campo, è sintomo di una nevrosi, seppur lieve, che permette di liberare gli impulsi più profondi della propria coscienza. Per Tubertosi l’ispirazione è esattamente seguire questa nevrosi elitaria: l’atto creativo si genera attingendo direttamente dalla coscienza dell’artista, da uno stato pre-cosciente dell’immaginazione che autoalimenta se stessa. Dalle prime teorie psicoanalitiche Tubertosi riprende anche la motivazione della libido come impulso primordiale che muove le azioni umane. Ciò che anima l’artista, però, è una libido intesa come piacere-bisogno di esprimere la propria emozionalità, lasciando un segno indelebile del proprio genio. La figura rappresentata è autoreferenziale: autoali-menta se stessa creando un microsistema in cui la sua esistenza è solo parallela, ma totalmente svincolata, dalla realtà esterna.

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Fig. 7

Fig 7: Emanuele Tubertosi, “Simmetrie Imperfette”, acrilico su tela, 80x100 cm

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Silvia Belviso

Perfezionata nella Bottega d’Arte “L’ippogrifo” di Bari, sua città natale, Silvia Belviso costruisce la sua poetica artistica attraverso una resa altamente materica delle forme. In pittura, il suo stile si distingue per una stesura carica di tonalità forti, composte per campiture nette che lasciano poco spazio alle sfumature. L’artista trae ispirazione da oggetti quotidiani o paesaggi non parti-colarmente caratterizzati: ciò che rende unici tali sog-getti è la personalissima sensazione che questi suscitano nell’immaginario di Belviso. La trasformazione da un luo-go qualunque a un territorio nato dalla fantasia creativa dell’artista, passa attraverso l’interpretazione di colori e forme che in questo modo non vengono presentati nella loro qualità formale visibile. Ricercando le forme pure degli elementi che costituiscono la realtà, Belviso torna a una semplificazione dei profili che ricorda le sperimen-tazioni precubiste di Cézanne. La stesura a macchia del colore e la scelta di tonalità chiaramente lontane dal

mondo reale sono le caratteristiche che rendono visibili l’interpretazione del reale dell’artista. Per quanto riguarda la produzione scultorea, Silvia Belviso predilige la figura umana, studiata innan-zitutto attraverso le qualità plastiche della terracotta. I personaggi rappresentati dall’artista godono di una pesantezza volumetrica che li rende concreti, levigati da una linea morbidissima che esalta la natura delle emozioni di cui sono protagonisti. Nelle figure fittili di Belviso si percepisce la sottesa vo-lontà di rappresentare un movimento lento e ponderato, la gestualità realissima di un essere umano colto nel provare sensazioni semplici e profondissime. Il colore grezzo della terracotta contribuisce a dare l’impressione di naturalezza: la ricerca estetica di Belviso non passa, quindi, attraverso dei canoni formali a priori ma tramite l’armonia di forme catturate nella loro essenza quotidiana.

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Fig. 8

Fig 8: Silvia Belviso, “Paesaggio salentino”, acquerello su carta, 40x50 cm

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Silvia Belviso - Opere

“Introspezione”, acrilico su tela, 70x100 cm

Nella vita dell’artista esiste un momento in cui la consapevolezza di ciò che si diventerà si palesa alla coscienza, un istante magico in cui la vista, anche banale, di un paesaggio o un oggetto quotidiano diventa una suggestione estatica talmente forte da prescindere tutto il resto dell’esistenza. È la prima volta che si fa esperienza con la propria ispirazione e si trasforma quell’emozione in qualcosa di cui si ha esigenza di comunicare. Belviso racconta questo suo momento rappresentando il ricordo di quando era fanciulla: guardare fuori dalla finestra equival-eva a caricare la propria anima di immagini, a volte reali, a volte forse solo suggerite dalla realtà, che avrebbero poi alimentato il personale lavoro artis-tico. Significativamente, all’osservatore la realtà di-etro la finestra appare come un’insieme di macchie senza forma perché solo agli occhi della bambina rappresentata quella realtà, parzialmente immagi-nata, è già un mondo definito e riproducibile at-traverso l’arte.

“Sto creando”, acrilico su tela, 70x100 cm (Tav. 2, fig. I)

Dalla solitudine nel momento dell’ispirazione estetica alla solitudine nel lavoro artistico: in questo secondo dipinto Belviso indaga l’estraneità dal mondo provata dall’artista nell’atto creativo. È impor-tante osservare come nei due dipinti si percepisca un’atmosfera di assoluta tranquillità: per Belviso il tempo dell’arte non solo è immobile, ma è un rifugio per l’anima che porta alla contemplazione e alla vera felicità. Questa sorta di riscoperta arcadica dell’appagamento artistico porta a una tale compiacenza di sé da inserire l’elemento canzonatorio del bambino che incuriosito, e per nulla notato dal protagonista, scruta l’artista da lontano.

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Fig. 9

Fig 9: Silvia Belviso, “Introspezione”, acrilico su tela, 70x100 cm

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Giampiero Abate

Giampiero Abate è un ottimo esempio del paradigma impressionista per cui la Natura deve essere la principale maestra per chi si dedica all’arte del dipingere. Nato a Roma e completamente autodidatta, Abate è parti-colarmente attratto dalla cultura figurativa più tradizionale attraverso la quale studia innanzitutto l’anatomia della figura umana. La resa quanto più oggettiva delle volumetrie è indubbiamente la prima caratteristica che impressiona lo spettatore davanti alle sue opere: l’apparente iperrealismo dei suoi personaggi, però, costituisce il supporto neutro di un’analisi ben più profonda volta a rappresentare l’emozionalità che ha ispirato ogni suo soggetto. In base a questa chiave di lettura, diventa fondamentale l’osservazione dei particolari che soggettivano i corpi “raccontati” da Abate: è attraverso questi che l’artista rivela le fonti essenziali della pro-pria ispirazione indagando al contempo le sensazioni primarie alla base

dell’istintività umana.

Da un punto di vista puramente tecnico, l’opera di Abate può essere definita come un’equilibrata sintesi tra la più tradizionale stesura pittorica e una sperimentazione in divenire che non rifiuta anche interventi polimaterici. L’aerografo è utilizzato come complemento essenziale per la resa dei contrasti chiaroscurali, una sorta di velo che definisce più profondamente lo strato pittorico costruito con pennellate larghe che definiscono la materialità dei corpi rappresentati. Anche lo studio delle luci è rivolto alla composizione delle volumetrie: generalmente un fascio luminoso radente si concentra sul corpo dei personaggi esaltandone le differenze di rilievo, mentre lo scenario intorno è lasciato in penombra, spesso nemmeno pienamente definito. Questo palese contrasto, ribadito anche nella scelta della tavolozza utilizzata che riserva le tonalità più fredde e scure all’ambiente cir-costante, convoglia l’attenzione di chi osserva verso il soggetto rappresentato, ponendo in positio princeps pro-prio quei dettagli che lo rendono inimitabile.

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Fig. 10

Fig. 11

Fig 10: Giampiero Abate, “Senza titolo”, acrilico su cartoncino, 35x50 cm

Fig 11: Giampiero Abate, “Attimi”, acrilico su MDF, 120x70 cm

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Giampiero Abate - Opere “Giacomo e il mondo delle idee” , trittico a tecnica mista, 100x80 cm

Che cosa immagina un bambino quando disegna, magari per gioco, solo davanti a un foglio bianco? È ciò che si è chiesto l’autore di questo trittico guardando suo figlio: l’ispirazione nell’età della fanciullezza proviene da una realtà distante che immancabilmente viene dimenticata con il tempo diventando quasi imperscrutabile. Il dipinto centrale dell’opera ritrae Gia-como, il giovanissimo co-autore delle tele laterali: senza il suo aiuto, sarebbe stato impossibile per il padre guardare, anche se ormai da lontano, il mondo delle idee che affascinano la mente di un fanciullo.

“Idea Forma Alterità”, tecnica mista su tavola, 70x100 cm (Tav. 3 fig. II)

Ciò che viene rappresentato in “idea Forma Alterità” è un viaggio ideale dell’ispirazione che si mate-rializza, una progressiva oggettivazione di un’idea. Nell’atto artistico, la materialità del mondo è sem-plicemente contingenza: la vera protagonista è la forma, ancora una volta rappresentata da Abate con il corpo umano. Dall’attimo in cui l’ispirazione si oggettiva, la forma diventa un alter ego dialo-gante con l’autore, un medium portatore di significati di cui nemmeno l’artista è pienamente conscio. La materia, dunque, si carica di una forza propria che va ben oltre l’intenzionalità dell’autore perché, appunto, espressione pura di un’intuizione. Degno di particolare attenzione è l’uso del cemento come elemento materico complementare della tavolozza: l’intendimento dell’autore non è da ricercare nel classico atto maieutico dell’artista nei confronti della materia grezza, piuttosto da recepire come una sorta di volontà d’identificazione con ogni singolo elemento che verrà trasformato nell’opera.

“Io”, tecnica mista su tela, 80x100 cm (Tav. 3 fig. I )

L’ultimo dipinto di Abate in esposizione costituisce un atto programmatico: ciò che l’artista vuole esponendo la propria opera è mettere a disposizione la sua anima, renderla visibile, quindi anche vulnerabile, allo spettatore. L’atto intellettuale alla base di ogni creazione è la traduzione di un sen-timento in immagine, la stessa che successivamente verrà nuovamente tradotta e interpretata da chi guarda. L’opera d’arte, dunque, ha due soggetti creativi: da un lato l’artista che fisicamente l’ha prodotta, da un altro l’osservatore che la fa rivivere caricandola di significati che solo egli avrebbe potuto attribuire. Grazie a questo gioco di rimandi emozionali, qualunque prodotto artistico resiste al tempo e contribuisce a formare la coscienza culturale collettiva e perenne.

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Fig. 12

Fig 12: Giampiero Abate, “Giacomo e il mondo delle idee”, trittico a tecnica mista, 100x80 cm

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Alessandro Rinaldi

L’immediata piacevolezza cromatico-compositiva dei lavori di Rinaldi erroneamente potrebbe indurre a soffermarsi su considerazioni di carattere pura-mente estetico. Al contrario, la singolarità della sua poetica nasce da un’originalissima considerazione dell’ispirazione artistica. È palese che Rinaldi è at-tratto dal caos, un caos inteso sia come mescol-anza incontrollabile delle sensazioni umane, sia come impossibilità di interpretare oggettivamente qualsiasi dato sensibile. Al contrario della comune aspirazione umana, eterna e parzialmente illusoria, Rinaldi non tenta di apporre un ordine, anche arbi-

trario, a questo caos esistenziale per intraprendere la via della comprensione intellettuale: si lascia coinvolgere nel disordine, trasportare dal tumulto delle emozioni quotidiane; scivola sopra e al di là di ogni tentata comprensione, consapevole che nes-suna sensazione potrà mai essere prevista volontariamente. Tra tutti gli stati emozionali che l’anima può vivere, l’ispirazione è sicuramente la più inspiegabile, eterea e mutevole; se inutili sono i tentativi di oggettivarla, l’unico approccio cognitivo possibile è una traduzione immediata, quasi automatica, della sensazione che ha prodotto. Il ricordo che permette all’artista di impressionare sulla tela il momento della propria ispirazione, dunque, ha un filtro intellettuale ridotto al minimo, come se quel ricordo non passasse attraverso la mente ma rivivesse sulla pelle dell’artista stesso. I volti rappresentati nelle opere in mostra fluttuano in un caos di colori e di riflessi di luce, come se le loro stesse sembianze non fossero altro che il prodotto accidentale di un gioco d’ombre. L’armonia delle sfumature cromatiche sembra alludere alla leggerezza dell’esistenza in sé: è l’uomo a dare peso e consistenza alla propria vita caricandola delle proprie sensazioni.

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Fig. 13

Fig 13: Alessandro Rinaldi, “Gravity”, tecnica mista su faesite, 70x50 cm

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Arturo Corinto

La ricerca di una forma capace di catturare l’occhio e rimanere impressa nella coscienza, che non sia neces-sariamente legata a una concezione canonica di bellez-za, è la fonte di ispirazione di Arturo Corinto. Nelle sue due opere in mostra l’attenzione è puntata sulla sor-prendente apparizione di una realtà fatta di pura es-tetica, una composizione di linee e forme che definis-cono non il bello assoluto ma qualcosa di più profondo, ossia l’interessante. La memoria retinica, impressionata da quel qualcosa che ci ha catturato in un insieme di contingenze quotidiane, rielabora come unica realtà proprio quell’improvvisa apparizione e la trasforma in bellezza pura.

Per Corinto, dunque, l’ispirazione avviene in una con-dizione di estatica solitudine mentale, uno stato che si raggiunge involontariamente,semplicemente quando la nostra coscienza viene catturata da qualcosa di per-

sonale e assolutamente inesplicabile, o meglio quando riconosce in una forma ciò che interpreta come bellezza. Questi delicati momenti, che con difficoltà vengono distinti dal resto delle circostanze quotidiane, sono stati congelati in queste due tele come fossero degli exempla per richiamare alla memoria di chi osserva i propri attimi di ispirazione.

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Fig. 14

Fig 14: Arturo Corinto, “Apparizione dall’ombra”, aerografo su tela, 70x100 cm

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Agostino Dimitri

La pittura di Agostino Dimitri è profondamente legata alla cultura figurativa dell’iperrealismo. La fedelissima riproduzione del reale è utilizzata come un potente strumento di illusione ottica per attirare l’attenzione di un pubblico sempre più abituato all’incorruttibilità dell’obiettivo fotografico. La realtà rappresentata da Dimitri, però, non è quella oggettiva di una qualsiasi riproduzione, ma una realtà possibile, arricchita di dettagli visibili solo attraverso l’interpretazione.

“Interspezione”, Aerografia su forex, 105x70 cm

In questa opera la vera protagonista è l’esperienza. L’uomo, per natura, non può raggiungere lo stato di perfezione che intuisce e che è impossibilitato a raggiungere. Esiste, però, una bellezza propria soltanto dell’essere umano, ossia la capacità di trasformare il proprio volto in base alle emozioni e all’esperienze del personale vissuto. Le rughe ritratte nel viso in primo piano palesano la vera forma della bellezza perché caratteristiche di una vita irripetibile. Ogni uomo plasma la sua vita in base a condizioni che, come per le opere d’arte, sono uniche e irripetibili. L’esperienza, come l’energia cre-ativa, comporta una reazione che imprescindibilmente segnerà il volto dell’uomo semplice e la vita di un artista. L’interpretazione ultima di Dimitri al tema della mostra è che il dio Vulcano risiede in ogni uomo, perché il libero arbitrio di ogni scelta contribuisce a formare quella rete di rughe che potenzialmente costituiscono l’opera d’arte di ogni esistenza.

“Tempo”, Aerografia su forex, 70x80 cm

In questo secondo dipinto la citazione di alcune grandi opere d’arte del passato è funzionale al messaggio rappresentato: ciò che accomuna i diversi campi dell’ingegno umano è uno spirito creativo incontenibile e dirompente capace di attrarre e annullare qualsiasi altro impulso. L’esigenza di trasferire questa energia in un elaborato positivo che ab-bia la forza dell’universalità è primaria nell’uomo fin dall’origine della Storia: soltanto questa indelebile traccia nella cultura collettiva resti-tuisce alla coscienza umana il senso dell’eternità.

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Fig. 15

Fig 15: Agostino Dimitri, “Interspezione”, Aerografia su Forex, 105x70 cm

Fig 16: Agostino Dimitri, “Tempo”, Aerografia su Forex, 70x80 cm

Fig. 16

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Antonio Fucito

Profondamente legato alla sua Sardegna, Fucito usa una tavolozza cro-matica che richiama inevitabilmente le atmosfere della terra natia. Le tradizioni culturali a cui è profondamente legato costituiscono il filtro principale per avvicinarsi alla poetica di questo giovane e talentuoso artista. Il suo modo di intendere la l’ispirazione creativa richiama alla memoria la sensibilità tardo-romantica dei luoghi desolati dove poter sentire il flusso della propria coscienza.

“Divina proporzione”, olio e aerografo su tela, 80x120 cm

Per sua natura, l’essere umano sente la tensione tra la finitezza del suo corpo e l’intuizione di un infinito a cui anela ma che non può rag-giungere. La percezione a priori di una dimensione divina, di un’estetica

eterna da doversi assicurare, è un tema che da sempre ricorre nell’arte. Tramite la citazione di indis-cussi capolavori del passato, Fucito rende omaggio a questo doloroso, inutile quanto indispensabile desiderio umano. I simboli-chiave di quest’opera, però, sono molteplici e aprono scenari interpretativi più profondi: se il modulo infinitamente ripetuto del nautilus diventa metafora della mente umana, proprio attraverso cui il corpo intuisce il divino, le mani che disegnano indicano la fiera volontà di essere artefici della propria condizione: come in un eterno rimando, per avvicinarsi all’infinito l’uomo pecca di “‘ύβρις” (in greco la superbia dell’uomo che sfida gli dei, il sentimento che nella notte dei tempi lo condannò alla finitezza di un corpo imperfetto.

“Inconscio”, olio e aerografo su tela, 80x100 cm

Riprendendo un tipo di luminismo vagamente ispirato ai caravaggisti francesi, la seconda opera di Fucito in esposizione esplica in modo essen-ziale il tema di fondo della mostra: la doppia anima dell’artista è rappre-sentata dalle uniche due figure del dipinto. Se in primo piano giganteggia un fabbro colto nell’atto della sua produzione artigiana, metafora del lav-oro creativo tangibile, il vero protagonista si intravede in secondo piano, poco illuminato dalla zona di penombra: si tratta della figura-simbolo che rappresenta l’anima sensibile, unico recettore dell’ispirazione creativa.

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Fig. 18

Fig 17: Antonio Fucito, “Divina proporzione”, olio e aerografo su tela, 80x120 cm

Fig 18: Antonio Fucito, “Inconscio”, olio e aerografo su tela, 80x100 cm

Fig. 17

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Fabio Abbati

Un puro esercizio di stile sono le tele presentate da Abbati che interpreta alla lettera il tema della mostra rimandando allo spunto classico alla base della metafora dio Vulcano-artista. La piacevolezza visiva dell’opera è data principalmente dall’artificiosa prospettiva dall’alto, tipica dei writers post-moderni la cui ricerca formale è spesso volta alla spettacolarità dell’effetto ottico. Vulcano giganteg-gia nella composizione ed è immaginato nell’atto di forgiare le preziose armi che renderanno gli dei invincibili. Il metallo viene fuso grazie al fiato caldo dei due tori, simbolo di possanza fisica impiegata dall’ingegno artigiano. In primo piano, nella metà bassa del dipinto, un fiotto di fuoco e il primo pro-dotto del lavoro di Vulcano, ossia un’elmo, sembrano cadere verso l’osservatore, soluzione grafica di robusto impatto scenico. La facilità compositiva rivela le doti narrative dell’autore che condivide della “grafiti art” il senso di un decorativismo veloce, grandioso e a tratti teatrale. Che l’opera sia in un certo senso mutuata dall’arte dei murales ne è spia anche l’impiego di due tele che scandiscono ognuna la metà perfetta della composizione e che ricordano lo svolgimento longitudinale del sup-porto murario.

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Fig. 19

Fig 19: Fabio Abbati, “L’impeto emozionale dell’arte”, Aerografia su tela, 160x70 cm

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Tav. 1

Fig. I

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Fig. I: Serena Sorrenti, “Emotività”, Tecnica mista su tela, 100x80 cm

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Tav. 2

Fig. I

Fig. II

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Fig I: Silvia Belviso, “Sto creando”, Acrilico su tela, 70x100 cm

Fig II: Emanuele Tubertosi, “Libido, ciclo perpetuo”, Acrilico su tela, 70x100 cm (bozza)

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Tav. 3

Fig. II

Fig. I

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Fig I: Giampiero Abate, “Io”, Tecnica mista su tela, 80x100 cm

Fig II: Giampiero Abate, “Idea Forma Alterità”, Tecnica mista su tavola, 70x100 cm

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Ringraziamenti

L’associazione Italiana Aerografisti ringrazia tutti coloro che hanno creduto sin d’allinizio in questo progetto apportando il loro contributo umano per la sua realizzazione.

Si ringraziano:

Municipio Roma XII - www.municipio12.it

Ente EUR S.p.a. - www.eurspa.it

Meladai clothing - www.meladai.eu

Edilrestauri Tubertosi S.r.l. - www.templumedilizia.com

OA point Roma - www.oapointroma.it

Taberna dei Sentori - www.tabernadeisentori.it

Serena Dattilo e Daniele Chaize - www.lumenfactory.com

Terre del pricipato - www.lamarcavini.it

Altravocenews - www.altravocenews.it

Rinascita - www.rinascita.info

Si riserva un ringraziamento particolare all’Arch. Isabella Mundula dell’ente EUR e a Ida Viola dell’ufficio stampa.

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