Heinrich Harrer (“Sette anni in Tibet”) WE LOST HOPE TO LIVE: … · 2016. 12. 17. · Heinrich...

16
PERIODICO DELLA SEZIONE DI GEMONA DEL FRIULI E SOTTOSEZIONI DI BUJA E OSOPPO DEL CLUB ALPINO ITALIANO Il primo, malinconico e lapidario messaggio, è giunto ad Alessandro e Silva dal Nepal dopo la seconda grande scossa di terremoto, il 2 maggio. Il secondo è la nostra risposta, non un semplice messaggio trasmesso via internet, ma un program- ma di lavoro e di impegni che si sta svolgendo senza sosta e senza giorni liberi, da parte nostra. Ma procediamo per ordine. LE PREMESSE Come si trova scritto di solito nella prima pagina di un libro di racconti: “tutto cominciò quando...” e io continuo così: tutto cominciò quando Alessandro Cozzutti, di Osoppo (e socio CAI) decise di metter il naso nella sconosciuta realtà del Nepal. Alessandro aveva già alle spalle ben 26 anni di volontariato in diverse parti del mondo, aveva visto e vissuto in prima persona realtà completamente diverse dalla nostra, situazioni in cui, c'è poco di che fare retorica, anche il concetto di “bene es- senziale” alla dignità dell'essere umano diventava aleatorio: malnutrizione, carenza di interventi sa- nitari adeguati, assenza di progetti educativi per i bambini e ragazzi, contraddistinguevano i Paesi e le zone visitate. In tanti anni, egli ha intrapreso e collaborato alla realizzazione di diversi progetti di aiuto, sia con l'intervento diretto, sia attraverso l'organizzazione a distanza: l'opera principale del volontario, ne ha avuto riprova lungo tutti questi anni, si svolge innanzitutto attraverso il lavoro svolto nel proprio Paese: bisogna cominciare con il conoscere la real- tà in cui si andrà ad operare, trovare i contatti con chi già ci vive (ad esempio in Africa, fondamentale è stato il supporto di missionari), con l'individua- zione dei problemi ivi esistenti, per poi ragionare sulle strategie, le modalità i mezzi per intervenire. Sembrano piani di promozione commerciale per la collocazione di un prodotto, più che l'attività di colui che vuole mettere a disposizione il proprio tempo e le proprie conoscenze a favore di altri. Ma, i dati lo confortano, una programmazione ampia e capillare consente di risarmiare tempo, di convogliare le forze in una direzione univoca dando maggiori possibilità all'intervento di essere realizzato profucuamente. E tanti anni, tanti viaggi, tante esperienze accumu- lati, hanno dato inizio a questa che è storia degli ultimi giorni, e che hanno provocato un coinvolgi- mento diretto di Alessandro e della sua compagna Silva in prima linea... nel senso più letterale del concetto... e di tutti noi del CAI di Gemona, Buja Osoppo di conseguenza. PERCHÉ IL NEPAL Occhi e cuore di Alessandro circa un anno e mezzo fa si sono diretti verso il Nepal, verso cioè una parte del nostro pianeta poco conosciuta dal punto di vista sociale, poco “battuta” (o proba- bilmente ancora poco pubblicizzata) da Enti di aiuto umanitario. Associazioni di volontariato e singole persone che ivi hanno operato, hanno portato a conoscenza noi dell'altra metà della Terra, che là non ci sono solo peghiere, mona- steri, Lama e campanelle. La Natura grandiosa ed imponente, l'ascetismo dell'uomo, il rispetto per qualsiasi essere vivente, ciò che normalmente noi assorbiamo dai documentari fa scaturire un aspetto emozionale non indifferente, ma ancor più coinvolgente e sconvolgente dal punto di vista emotivo è stata la scoperta della condizione dei bambini orfani appartenenti alle caste più basse della popolazione (c.d. low class). In Nepal il significato del termine “orfano” è molto ampio, ricomprendendo non solo il caso di chi ha perduto entrambi i genitori, ma anche di tutti i bimbi che posseggono solo il papà, costretto per necessità a lavorare lontano dalla propria prole (in Nepal in lavoro è poco e mal remunerato), o solo la mamma, situazione ancora più deleteria essendo impossibile per le donne senza più marito rifarsi una vita dignitosa che comprenda sia gli affetti che la propria indipendenza. Cosa succede quindi a questi bambini? Succede ciò che si sa già accada in molte altre parti del mondo: sopravvivono, sbarcano il lunario vivendo e dormendo in strada, rubano, sniffano colla per alleviare fame, freddo, disperazione. Non è que- sto un atto di propaganda: è la pura e semplice descrizione in forma scritta delle foto che Silva e NEPAL di Alessandra Contessi WE LOST HOPE TO LIVE: ABBIAMO PERSO LA SPERANZA DI VIVERE Poste Italiane S.p.a. - Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 nº 46) art. 1, comma 2, DCB UDINE. N. 2 - GIUGNO 2015 Ma a fasaràn capolavôrs: Progetto Masterpiece “Allora questa è un'altra grande differenza tra la nostra civiltà e la vostra. Voi ammirate l'uomo che si spinge avanti, verso la cima, in ogni campo della vita, mentre noi ammiriamo l'uomo che abbandona il suo ego.” Heinrich Harrer (“Sette anni in Tibet”) Bambino nepalese (foto: Alessandro Cozzutti)

Transcript of Heinrich Harrer (“Sette anni in Tibet”) WE LOST HOPE TO LIVE: … · 2016. 12. 17. · Heinrich...

  • 1n. 2 giugno 2015

    PERIODICO DELLASEZIONE DI GEMONA DEL FRIULI E

    SOTTOSEZIONI DI BUJA E OSOPPODEL CLUB ALPINO ITALIANO

    Il primo, malinconico e lapidario messaggio, è giunto ad Alessandro e Silva dal Nepal dopo la seconda grande scossa di terremoto, il 2 maggio. Il secondo è la nostra risposta, non un semplice messaggio trasmesso via internet, ma un program-ma di lavoro e di impegni che si sta svolgendo senza sosta e senza giorni liberi, da parte nostra.Ma procediamo per ordine.LE PREMESSECome si trova scritto di solito nella prima pagina di un libro di racconti: “tutto cominciò quando...” e io continuo così: tutto cominciò quando Alessandro Cozzutti, di Osoppo (e socio CAI) decise di metter il naso nella sconosciuta realtà del Nepal.Alessandro aveva già alle spalle ben 26 anni di volontariato in diverse parti del mondo, aveva visto e vissuto in prima persona realtà completamente diverse dalla nostra, situazioni in cui, c'è poco di che fare retorica, anche il concetto di “bene es-senziale” alla dignità dell'essere umano diventava aleatorio: malnutrizione, carenza di interventi sa-nitari adeguati, assenza di progetti educativi per i bambini e ragazzi, contraddistinguevano i Paesi e le zone visitate. In tanti anni, egli ha intrapreso e collaborato alla realizzazione di diversi progetti di aiuto, sia con l'intervento diretto, sia attraverso l'organizzazione a distanza: l'opera principale del volontario, ne ha avuto riprova lungo tutti questi anni, si svolge

    innanzitutto attraverso il lavoro svolto nel proprio Paese: bisogna cominciare con il conoscere la real-tà in cui si andrà ad operare, trovare i contatti con chi già ci vive (ad esempio in Africa, fondamentale è stato il supporto di missionari), con l'individua-zione dei problemi ivi esistenti, per poi ragionare sulle strategie, le modalità i mezzi per intervenire.Sembrano piani di promozione commerciale per la collocazione di un prodotto, più che l'attività di colui che vuole mettere a disposizione il proprio tempo e le proprie conoscenze a favore di altri.Ma, i dati lo confortano, una programmazione ampia e capillare consente di risarmiare tempo, di convogliare le forze in una direzione univoca dando maggiori possibilità all'intervento di essere realizzato profucuamente.E tanti anni, tanti viaggi, tante esperienze accumu-lati, hanno dato inizio a questa che è storia degli ultimi giorni, e che hanno provocato un coinvolgi-mento diretto di Alessandro e della sua compagna Silva in prima linea... nel senso più letterale del concetto... e di tutti noi del CAI di Gemona, Buja Osoppo di conseguenza.PERCHÉ IL NEPALOcchi e cuore di Alessandro circa un anno e mezzo fa si sono diretti verso il Nepal, verso cioè una parte del nostro pianeta poco conosciuta dal punto di vista sociale, poco “battuta” (o proba-bilmente ancora poco pubblicizzata) da Enti di aiuto umanitario. Associazioni di volontariato e singole persone che ivi hanno operato, hanno portato a conoscenza noi dell'altra metà della Terra, che là non ci sono solo peghiere, mona-steri, Lama e campanelle. La Natura grandiosa

    ed imponente, l'ascetismo dell'uomo, il rispetto per qualsiasi essere vivente, ciò che normalmente noi assorbiamo dai documentari fa scaturire un aspetto emozionale non indifferente, ma ancor più coinvolgente e sconvolgente dal punto di vista emotivo è stata la scoperta della condizione dei bambini orfani appartenenti alle caste più basse della popolazione (c.d. low class). In Nepal il significato del termine “orfano” è molto ampio, ricomprendendo non solo il caso di chi ha perduto entrambi i genitori, ma anche di tutti i bimbi che posseggono solo il papà, costretto per necessità a lavorare lontano dalla propria prole (in Nepal in lavoro è poco e mal remunerato), o solo la mamma, situazione ancora più deleteria essendo impossibile per le donne senza più marito rifarsi una vita dignitosa che comprenda sia gli affetti che la propria indipendenza.Cosa succede quindi a questi bambini? Succede ciò che si sa già accada in molte altre parti del mondo: sopravvivono, sbarcano il lunario vivendo e dormendo in strada, rubano, sniffano colla per alleviare fame, freddo, disperazione. Non è que-sto un atto di propaganda: è la pura e semplice descrizione in forma scritta delle foto che Silva e

    NEPAL di Alessandra Contessi

    WE LOST HOPE TO LIVE:ABBIAMO PERSO LA SPERANZA DI VIVERE

    Poste Italiane S.p.a. - Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 nº 46) art. 1, comma 2, DCB UDINE.

    N. 2 - GIUGNO 2015

    Ma a fasaràn capolavôrs: Progetto Masterpiece

    “Allora questa è un'altra grande differenza tra la nostra civiltà e la vostra. Voi ammirate l'uomo che si spinge avanti, verso la cima, in ogni campo della vita, mentre noi ammiriamo l'uomo che abbandona il suo ego.”

    Heinrich Harrer (“Sette anni in Tibet”)

    Bambino nepalese (foto: Alessandro Cozzutti)

  • 2 n. 2 giugno 2015

    Alessandro hanno scattato a Kathmandu lo scorso mese di aprile.E anche per i bimbi che vengono ospitati in orfano-trofio non va meglio: al compimento del diciotte-simo anno di età la legge nepalese impone che il ragazzo debba abbandonare la struttura. Ma senza lavoro, senza un minimo di indipendenza econo-mica, il risultato è sempre il ritorno alla strada. COSA FARE? PROGETTO MASTERPIECE (Capolavoro)Grazie alla stretta collaborazione, aiuto e dispo-nibilità dell'amico osoppano Diego Badolo (il “braccio destro”), Alessandro si era reso conto che di interventi strutturati a favore dei bambini maggiormente disagiati in Nepal ce n'era ben po-chi: certo, scuole e qualche struttura protetta già aveva visto la nascita, ma progetti per fornire una “marcia in più” direzionati a favorire l'acquisizione di una certa indipendenza e, ancor prima, della sacrosanta dignità ancora no. Fu così che mise al corrente dei propri pensieri e delle proprie inten-zioni proprio Massimo Rossetto, Presidente della ONLUS Friuli Mandi-Nepal Namaste e realizzatore di strutture scolastiche e case di accoglienza per bambini e famiglie disagiate nel Paese asiatico, il quale gli garantì il proprio appoggio e supporto nella realizzazione di questo peculiare e innovativo PROGETTO.Si sarebbe trattato di:Punto 1: capire e valutare in maniera approfon-dita la situazione dei minori orfani in quel Paese, individuare i metodi di intervento più opportuni, individuare e mantenure i contatti con singoli e Associazioni del posto o straniere già operanti in quelle realtà, calibrare le forze a propria disposi-zione per metterle a frutto in modo non dispersivo.

    Punto 2: alla luce del quadro così delineato, realiz-zare progetti di auto-aiuto: ciò avrebbe significato consentire ai bambini di acquisire l'indipen-denza grazie alla opportunità loro offerta di apprendere un mestire: il fabbro, il falegna-me, l'intagliatore, il muratore, la sarta, per fare alcuni esempi. In Nepal, abbiamo potuto constatare tramite le testimonianze dirette ed i fil-mati di Alessandro e Silva, è abbastanza semplice realizzare o affittare strutture da adibire a questi scopi: le c.d. infrastrutture, cioè le botteghe arti-giane constano di architettura semplice costituita da quattro mura perimetrali, tetto piatto, zona per il lavoro e un angolo per lo svolgimento della vita quotidiana: ove si mangia e si riposa. COME REALIZZARE IL PROGETTO? Il viaggio iniziato l'11 aprile di quest'anno alla volta di Kathmandu aveva lo scopo di realizzare finalmente il contatto diretto con tutti coloro che, nepalesi o italiani operanti sul territorio, già si era-no conosciuti e tenuti in contatto per tanto tempo tramite internet o telefono: era giunta l'ora di strin-gere la mano a tutte le persone che erano state coinvolte nel progetto e che avevano garantito disponibilità ed appoggio. E dare finalmente avvio alla prima fase realizzativa: ricerca ed individua-zione di locali adatti da adibire allo scopo, ricerca analoga di professionisti da affiancare ai ragazzi per imparire loro le basi del mestiere. L'idea, l'uovo di Colombo, era semplice e geniale: con una sorta di microcredito creare occasioni di lavoro, insegna-re un mestiere, realizzare manufatti da vendere in una sorta di circolo virtuoso. Ma non solo: per completare l'opera si era anche previsto il vincolo, a “carico” dei giovani coinvolti, di proseguire ne-gli studi o di specializzarsi nel mestiere prescelto attaverso corsi di specializzazione. Anche per il ritrovamento delle attrezzature necessarie (seghe per falegnami, macchine da cucire, ecc) i nostri compaesani avevano trovato il modo di acquistarle direttamente in Nepal (made in India, ndr).Dall'11 al 25 aprile si sono susseguiti giorni stipati di appuntamenti: con Pralhad Bastola, preside di una delle scuole di Massimo Rossetto, con Suk-ka Bramhcharya, responsabile della Bungamati Foundation Nepal (organizzazione dedita al so-stegno a favore di ragazzi in difficoltà, famiglie assoggettate a violenze domestiche, assistenza a bambini orfani e in situazione di povertà), con Pemba, titolare di una Agenzia di Trekking, cono-scitore della realtà nepalese e consigliato da amici gemonesi che già avevano potuto constatarne la disponibilità e l'umana carità, con Mariaelena Ferrari, volontaria di Como presso uno degli or-fanotrofi di Friul Mandi. E tanti altri......si era creato spontaneamente un gruppo di lavoro formidabile dove ognuno sapeva dove e cosa fare!

    Ecco la nascita del progetto MASTERPIECE, ovve-ro CAPOLAVORO: consentire - almeno a qualche ragazzo - di potersi riscattare rispetto alla propria situazione di partenza attraverso l'apprendimen-to di un lavoro, anche con metodiche diverse e più avanzate rispetto a quelle tradizionali (già il possesso di un banco di lavoro e di uno sgabello costituiscono un passo avanti!).25 APRILE: CASO, FORTUNA, DESTINO.Era il giorno dedicato all'incontro conclusivo con Pralhad: per non farlo entrare a Kathmandu centro, sempre intasato di gente, traffico e bancarelle, Alessandro pensa ad un incontro in un luogo maggiormente accessibile. Ed è proprio in attesa dell'arrivo del Preside nepalese che si scatena il finimondo: la terra si apre sotto la sedia in cui si trovava Silva, le colonne delle case si staccava-no per poi richiudersi, la gente cadeva a terra e scappava senza logica. “Purtroppo”, il fatto di aver vissuto già il terremoto del '76 ha insegnato ad Alessandro e Silva a cercare riparo temporaneo prima sotto un muro portante poi via verso un luo-go più aperto: i vicoli del centro erano diventati impraticabili per le macerie, la gente, viva e morta, i pali della luce caduti. Così il riparo successivo è stato individuato presso il cortile di un tempietto.Dopo alcune ore, cercando di raggiungere l'ae-roporto, il disastro si è svelato agli occhi di Ales-sandro e Silva in tutto il suo orrore: persone, case, templi, non c'erano più: siti turistici e vite umane scomparsi per sempre. Al calare della notte, dalla collina dell'aeroporto la capitale aveva un'imma-gine spettrale, non penso occorra tanta fantasia, ci basti ricordare il buio, la polvere, il silenzio dei nostri paesi il 6 maggio del 1976.COME CONTINUARE?Dopo i dovuti “ringraziamenti” per essere soprav-vissuti a questa catastrofe, Alessandro e Silva han-no cercato di mettersi subito in contatto con tutti coloro che avevano conosciuto e con cui avevano posto le basi del progetto MASTERPIECE: piano piano, con alcuni subito, con altri a distanza di qualche giorno, sono venuti a sapere che erano tutti vivi: anche i bambini ospitati presso le strut-ture protette di Massimo erano salvi, le strutture avevano retto egregiamente e alcune di esse sono state trasformante temporaneamente in ospedali.Ma il resto era giù: case, economia, morale... una cosa era invece cresciuta: il numero dei bambini in difficoltà, soli e senza punti di riferimento e senza più mezzi di sussistenza.In una realtà come quella nepalese in cui l'eco-nomia è già precaria, dove a farla da padrone è il turismo di montagna, un evento del genere certamente non ci voleva.Ma il progetto MASTERPIECE sta procedendo comunque e senza sosta: durante la fase dell'e-

    Editore: Club Alpino Italiano - Sezione di Gemona Via IV Novembre 38 - Maniaglia,33013 Gemona

    Direttore responsabile:Daniele BertossiRedazione:Anna Cargnelutti, Daniele Giacomini

    Redazione: C.A.I. Sezione di Gemona,Via IV Novembre 38 - Maniaglia,33013 Gemona

    Stampa: ROSSO soc. coop. / Gemona

    Autorizz. Tribunale di Tolmezzo, n. 110del 31.12.1994

    La riproduzione di qualsiasi articolo è con-sentita senza necessità di autorizzazione citando l’autore e la rivista.

  • 3n. 2 giugno 2015

    Di che cosa si tratta è presto detto: grazie a fondi europei la sezione C.A.I. di Gemona avrà in gestio-ne una piccola palestra indoor (al chiuso, quindi immune dai capricci del tempo nella nostra zona!).Essa verrà costruita all'interno della scuola ele-mentare di Piovega di Gemona.Il progetto prevede la realizzazione di una parte adibita all'attività boulder (si arrampica in libera, senza ausili, basta un paio di scarpette idonee) e di un settore a corda (da utilizzare soprattutto per attività didattica)Il fatto che le dimensioni della palestrina siano forzatamente ridotte, ci troviamo all'interno di un guscio di altezza massima di circa sei metri, fin dall'inizio ha indirizzato i progettisti a pensare alla realizzazione di una struttura che avrebbe dovuto rispondere a tre scopi principali: 1) che fosse fruibile da parte di bambini e ragazzi2) che consentisse lo svolgimento di attività di-dattica attraverso l'apprendimento delle teniche di manovra con la corda, tecniche di calata in sicurezza, predisposizione di soste, e via dicendo,

    3) che potesse comunque rappresentare una buo-na occasione e una opportunità per tutti i neofiti e appassionati dell'arrampicata di muovere i primi passi... in verticale Perciò due strade da seguire e intersecanti: inse-gnare l'arte dell'arrampicata e insegnare come procedere in sicurezza in questa disciplina che per definizione non è esente da rischi: le dimensioni ridotte, la presenza di personale competente, la predisposizione di appositi corsi, l'acquisto di ma-teriali di qualità sono state scelte prioritarie per lasciare spazio al divertimento e al contempo alla consapevolezza di procedere in sicurezza.Certo, tutto quanto scritto finora sembra una mossa pubblicitaria: tutto rose e fiori, tutto bello e lineare.Nella realtà il “parto” di questa palestrina è stato lungo e difficoltoso: lo è ancora, nel momento in cui scrivo il “travaglio” non è ancora terminato in quanto la palestra materialmente non esite. L'opportunità per noi del C.A.I. è spuntata nel 2012.

    La nostra Sezione, e la Scuola di Alpinismo Piussi-Ursella accolsero la proposta del Comune di Gemona di gestione di una palestra, che si sa-rebbe dovuta realizzare all'interno delle Scuole Elementari di Piovega, di proprietà del Comune stesso, il quale si sarebbe occupato della sua realizzazione.Al C.A.I. sarebbe invece spettato l'onere di acqui-stare le attrezzature ed i materiali atti all'arram-picata (caschi, imbraghi, corde, ecc), nonché di ideare una serie di attività di arrampicata a favore sia dei soci CAI sia della Comunità in generale.2015: la realizzazione del progetto ha visto sus-seguirsi nel tempo numerose proroghe ma ormai possiamo dire di essere giunti alle battute finali.Il compito del C.A.I. si realizzerà concretamente attraverso la predisposizione di corsi sia per adulti che per bambini e ragazzi, giornate aperte a tutti per curiosare, sperimentare, informarsi, e per dare

    Ovvero una nuova opportunità per la nostra sezione C.A.I.

    mergenza, in cui i primi interventi sono appannag-gio di organizzazioni ben più grandi e con mezzi certamente adeguati, il nostro gruppo di lavoro sta nel frattempo realizzando serate di conoscenza, di sensibilizzazione e di raccolta fondi destinati alla realizzazione di quanto già programmato.Sono già state realizzate proiezioni di filmati e foto, montati da Claudio Tuti, sul Nepal prima e dopo il terremoto, a Osoppo, Imponzo, Comeglians, Udine (Rotary Club e Università degli studi), Venzone, Amaro, Enemonzo. Il 5 settembre sarà la volta di Gemona. E tante altre occasioni di incontro sono realizzabili con la disponibilità di chi vorrà dare un sostegno ed un aiuto.Ps: tutto il denaro raccolto viene depositato sul conto corrente della ONLUS Friuli Mandi – Nepal Namastè di Massimo Rossetto. Per chi sceglie di appoggiare lo specifico progetto di Alessandro e Silva, cui la sezione di Gemona, assieme alle sottosezioni di Buja e Osoppo, sta dando il proprio incondizionato sostegno, è possibile specificare nella causale: PROGETTO MASTERPIECE.Una novità che confidiamo di poter condividere presto con tutti voi: non è solo il Friuli che va in Nepal ma anche un pezzetto di Nepal che si sta apprestando a venire nella nostra terra. Ci

    stiamo infatti districando (parlare di burocrazia è riduttivo!) tra carte, vincoli, garanzie finanziarie e sanitarie, al fine di consentire a Pemba, a sua moglie e alle loro due bambine di trascorrere la prossima estate a Gemona. Tra le nostre montagne

    e la nostra gente!Namasté!Riferimenti: [email protected] Cozzutti cell 340 7606739

    L’Associazione di volontariato ONLUS Friuli Mandi Nepal Namastè (iscritta al n°360 del Re-gistro Generale delle organizzazioni di volontariato nei settori sociale e di solidarietà internazionale), viene costituita nel 2005 per ufficializzare e regolarizzare il lavoro che dal 2000 coinvolge un gruppo di volontari. La mission era ed è quella di dar vita in Nepal a dei progetti a favore, principalmente, di bambini ai quali garantire un’adeguata istruzione scolastica e di conseguenza un più dignitoso futuro. Attuale Presidente e cofondatore dell'Associazione è Massimo Rossetto.

    Donazioni (causale PROGETTO MASTER-PIECE) presso gli sportelli delle Banche:- Banca Popolare di Cividale - Credifriuli(Presso i cui sportelli si possono trovare le in-dicazioni per il versamento) - oppure tramite Conto Corrente Postale Comunichiamo infine che fino ad ora, nelle serate realizzate dalla Sezione CAI di Gemona e dalle Sottosezioni di Buja ed Osoppo, sono stati raccolti e versati nel progetto MASTER-PIECE i seguenti importi:

    Euro 275,00 nella serata culturale di febbraio di Ospedaletto di Gemona Euro 415,00 nella domenica di Apertura della Stagione Escursionistica ad OsoppoEuro 1390,00 nella serata di maggio dedicata al Nepal presso la sala Consiliare del Comune di OsoppoEuro 250 versati dai componenti della “sotto-sezione” TalotsEuro 200 versati da altri soci in forma anonimaDonazione del socio Paolo FabrisGrazie a tutti: è un ottimo inizio!!

    SALA BOULDER di Alessandra Contessi

    ORA A GEMONA SI ARRAMPICA ANCHE AL COPERTO

  • 4 n. 2 giugno 2015

    la possibilità a chi è già “del mestiere” di potersi finalmente allenare vicino a casa.Abbiamo previsto anche sezioni didattiche speci-fiche dedicate ai più piccoli, in cui sarà garantita la loro presenza esclusiva in palestra con la su-pervisione della Guida Alpina Pierpaolo Pedrini.Come si può immaginare, molte sono le persone coinvolte in questo pro-getto: i componenti della scuola di Alpinismo Piussi-Ursella, quelli dell' Alpinismo Giovanile, la Guida Alpina Pierpaolo Pedrini la cui competenza consentirà di dedicarsi in particolar modo ai più piccoli. Saremo dotati anche di una figura pro-fessionale specifica: il Direttore tecni-co, che nel nostro caso sarà rivestita dal nostro socio Andrea Zuliani.Questa è stata per noi una novità, un felice “intoppo”: abbiamo scoperto che l'individuazione di questa figura professionale era necessaria al fine di poter ottenere l'iscrizione in un particolare regi-stro presso la Camera di Commercio: siamo tutti caduti dalle nuvole quando ci è stato comunicato che avremmo dovuto individuare in una persona laureata in scienze motorie un referente prepa-rato e disponibile. Ed ecco che è spuntato questo nome, con accanto una persona che si è rivelata piena di entusiasmo, di idee, e naturalmente di competenza sia per il percorso di studi effettua-

    to, sia perché è appassionato di arrampicata sia dentro che fuori... le mura.E, accanto a lui, molti altri ragazzi uniti dalla medesima passione, tra cui Giuseppe e Filippo, invitati a partecipare alle nostre riunioni di studio e programmazione di questa complessa avventura.

    L'obbligo, previsto come condizione necessaria dalla tipologia di contributo, di iscrizione alla Ca-mera di Commercio, ha portato con sé anche la necessità per la nostra Sezione C.A.I. di aprire la Partita Iva: perciò un altro sentiero sconosciuto – e per ora con ben pochi “bollini” - richiede di essere percorso. E poi: ricerca di idonee coperture assicurative, ide-azione e predisposizione del materiale pubblicita-rio, individuazione delle migliori soluzioni tecniche e strutturali per rendere la nostra mini palestra il più possibile fruibile e appetibile, consigli, sugge-rimenti di professionisti, di molte Sezioni CAI che stanno vivendo analoga esperienza, realizzazione di modulistiche che ci vengano in aiuto quando l'attività avrà inizio, insomma: tutto un complesso di punti di domanda che si sono materializzati sulla nostra strada e che hanno avuto bisogno di tanta, tanta disponibilità da parte di tutti noi.Veramente non si contano le riunioni che si sono tenute da me (con il tranello/promessa di bere “un tai di chel bon”) con i componenti della scuola di Alpinismo, dell'Alpinismo Giovanile, con Pierpa-olo Pedrini, cui nel tempo si sono aggiunti Arrigo Simeoni, Andrea Zuliani, e tutti coloro che, anche non soci, si sono offerti di darci utili consigli nelle materie trattate. Ormai manca poco, la prossima settimana il costruttore inizierà l'opera di realizzazione della palestra, siamo curiosi di vedere trasformato in realtà questo progetto che finora ci ha visti im-pegnati nella predisposizione di tante, tantissime carte, innumerevoli mail (da capogiro) destinate ad aggiornare tutti noi di ogni piccolo passo effet-tuato: tanti in avanti, ma tantissimi anche indietro,

    (ci sembrava di stare “sunt'un gravon”) ma che confidiamo siano stati superati con l'adozione delle soluzioni più opportune.Orari di apertura, attività, coinvolgimento delle diverse realtà territoriali, delle scuole e dei centri estivi fanno parte del lato più prettamente ese-

    cutivo del progetto: anche su questo punto stiamo lavorando da parecchio, cercando di combinare la disponibilità di ciascuno (con i sacrosanti impegni di lavoro e di famiglia, in primis) con il nostro proposito di allargare il più possibile la fruibilità della struttura che ci è stata data in gestione al territorio che ci circonda.Da parte mia, posso solo dire che l'im-pegno è stato, e sicuramente sarà per lungo tempo per tutti noi oneroso, fati-coso, tale da mettere alla prova anche gli spiriti più pacifici e pazienti: da un lato ci siamo noi del CAI con i nostri fidi

    “esterni” che stiamo portando avanti il progetto, e già in questo contesto ciascuno di noi ha portato i propri pensieri, le proprie idee o dubbi, ogni tanto anche sonori aut aut. Dall'altro, siamo stati ne-cessariamente “proiettati” all'esterno, al di fuori della nostra Associazione. Gli enti, le istituzioni, i professionisti, gli esperti che sono stati coinvol-ti hanno visto le nostre facce, o le nostre mail, innumerevoli volte, e anche in questo variegato contesto ho/abbiamo dovuto fare i conti con un'al-tra serie di modi di pensare, con procedure, con tempistiche, che hanno richiesto comprensione degli iter, capacità di saper attendere, discussioni altalenanti, soluzioni e compromessi.Ma alla fine mi sono resa conto che il progetto, impegnativo e sostanzioso per la nostra Sezione, finora ha potuto procedere perché ci abbiamo cre-duto veramente, e lo stesso spirito ci sta senz'altro sostenendo anche in questi primi passi della fase esecutiva.In attesa che la palestra venga completata, e che si proceda ad un ben meritato e bene augurante brindisi con tutti voi, vi auguro Buona montagna per la stagione estiva ormai prossima!

    P.S.: la palestra di arrampicata verrà chiamata “Sala boulder Città di Gemona” e il logo, realizzato dal Presidente Daniele Bertossi, evidenzia due simboli inconfondibili del nostro paese: il Castello ed il Campanile del Duomo.

    P.S.2: ultimissime a ridosso della fase di stampa di questo numero del Cuardin: nel momento in cui toglierete il cellophane la Palestra sarà già stata inaugurata, evento fissato per il 20 giugno, e già attiva!

    Prime salite nella sala Boulder (foto: Daniele Bertossi)

    SOGNO DI MONTAGNA

    La montagna è lo scrigno della meraviglia, il luogo dove l'anima si meraviglia dell'emozione, silenzi che cantano l'amore, bagliori che accecano gli occhi d'infinito, echi di parole mai pronunciate, sogni inesplorati, tesoro nascosto dei sentimenti dove la sofferenza diventa felicità.S'incontrano minuscoli gioielli che brillano: un fiore che sboccia da una roccia, il canto di uccelli innamorati, la sinfonia di ruscelli confidenti, il vento che accarezza e protegge, lo stupore di essere ancora un fanciullo che passo dopo passo ringiovanisce nell'anima.

    M.C.T.

  • 5n. 2 giugno 2015

    L'idea dell'articolo è nata durante una chiacchie-rata, riguardo alla scuola, fra me e il Presidente. Stavamo parlando di “Storia”, e ci siamo soffermati in particolare sulla Grande Guerra, su quanti resti di fortificazioni avevamo visto durante le nostre salite sulle montagne del Friuli.Lui mi chiese cosa poteva pensare un ragazzo della mia età, della guerra. Non seppi dargli una risposta. Così, visto che di lì a poco si sarebbe celebrato il centenario dell'entrata in guerra dell'Italia, mi propose di “buttare giù” delle opinioni sulla Grande Guerra e sulle guerre in generale.Io accettai subito, e iniziai a riflettere su cosa pro-vavo nell'immaginarmi quei soldati in montagna a combattere. Così, spinto dalla voglia di conoscere meglio quei fatti (ed “obbligato” dal Presidente) ho deciso di scrivere questo articolo.Avendo solo un'idea generale di cosa fu realmente la prima Guerra Mondiale, e volendo conoscerla meglio nei dettagli, ci siamo rivolti a Guglielmo Esposito, studioso ed appassionato delle vicende della Grande Guerra. In particolar modo, avendo una formazione speleologica, Guglielmo dedica le sue attenzioni a tutto ciò che riguarda caverne, trincee, appostamenti e cavità artificiali di quel pe-riodo, fino allo studio del Vallo Alpino del Littorio (1920-1940), inoltre sta dedicando i suoi studi alla presenza sul nostro fronte di Carlo Emilio Gadda, (scrittore, poeta e ingegnere italiano, arruolatosi come volontario durante la Grande Guerra), con l'idea di produrre una biografia cartacea.Parlando con lui, dei suoi racconti, mi sono rimasti impressi determinati aneddoti che sono sempre stati taciuti o che si fa in modo di non far ricordare. Solo ora, a distanza di 100 anni vengono a galla i veri risvolti di una guerra che non serviva a nessuno.Durante la Grande Guerra spesso capitava (soprat-tutto nelle valli di confine con l'Austria) che amici, o addirittura parenti, si ritrovassero a combattere fra di loro, poiché magari uno dei due abitava nella sezione meridionale della valle, e si era quindi do-vuto arruolare nel Regio Esercito Italiano, mentre l'altro viveva nella parte settentrionale della valle, in mano agli Austriaci, e combatteva quindi nell'E-sercito Austro-Ungarico.Accadeva spesso che i soldati, stanchi di com-battere e ansiosi di rivedere la propria famiglia,

    tentassero di scappare dalle trincee. Se gli ufficiali lo scoprivano, “prelevavano” alcuni soldati (spesso scelti a caso) dalle truppe, e li fucilavano, per sco-raggiare altri soldati a tentare la fuga.

    Nelle trincee vi era costante carenza di cibo e bevande. Nonostante ciò, non mancavano mai gli alcolici. Infatti, secondo le credenze dell'epoca, l'alcool, annebbiando la mente, rendeva i soldati più eroici, poiché questi non provavano più paura. In realtà, è vero che i soldati non avevano più il senso del pericolo e quindi potevano apparire più eroici, ma essendo ubriachi diventavano facili bersagli per i nemici.Mentre i soldati erano sul fronte a morire, gli Uf-ficiali, ed in particolare i generali, erano in zone sicure e lontane dalle trincee. Ad esempio, il ge-nerale di corpo d'armata Cadorna, nel bel mezzo della guerra passava il suo tempo in una villa in pianura, a decine di chilometri dal fronte. Il Regno d'Italia, ad un certo punto, decise di man-dare in Friuli numerosi reggimenti e battaglioni di soldati dell'Italia meridionale e insulare. Così, ad esempio soldati sardi si ritrovarono a dover combat-tere per conquistare territori di cui probabilmente non erano neanche a conoscenza, in cui abitavano popolazioni che non avevano niente a che vedere con loro.

    Uno dei compiti più duri per i soldati in Friuli era quello della costruzione delle trincee.Solitamente i soldati, per difendere le trincee dai bombardamenti e dai colpi delle mitragliatrici ne-miche, erigevano dei muri i cui “mattoni” erano dei sacchi riempiti con la terra estratta scavando la trincea. Invece nel settore più orientale del Friuli, il suolo è prevalentemente roccioso, e quindi i soldati si vedevano costretti a ripararsi dai colpi dei nemici con muretti costruiti in roccia. Questo faceva sì che ad esempio le bombe, una volta giunte nei pressi della trincea ed esplose, provocassero danni non solo con l'onda d'urto ed i frammenti di metallo, ma anche scagliando contro ai soldati schegge di roccia.Mi è capitato anche di leggere alcuni libri scritti da più persone arruolate nel corpo degli Alpini, e di questi mi sono rimasti impressi i racconti di alcuni avvenimenti e della vita in trincea. In particolare, vi era un breve capitolo che spiegava come vivevano gli Alpini a oltre 1500 metri di quota, in inverno nel-le trincee, vestiti in maniera pessima e inadatta alla temperatura, tentando di sopravvivere alle continue epidemie che si diffondevano velocemente a causa delle scarsissime condizioni di igiene. Oppure dei tentativi di assaltare le postazioni degli Austriaci, che generalmente si trovavano in cima ai monti, ed erano quindi difficilissime da espugnare. Un altro fatto importantissimo in cui furono coinvolti gli Alpini (II guerra mondiale, 26 gennaio 1945) è la battaglia di Nikolajewka, in Russia, in cui i nostri Alpini furono mandati a combattere contro le ar-mate sovietiche vestiti di stracci e con gli scarponi le cui suole erano in cartone pressato. Ovviamente le armate Italiane vennero praticamente incenerite dall'esercito dell'URSS.Camminando sulle nostre montagne non è diffici-le imbattersi nei resti di postazioni o fortificazioni risalenti alla guerra del 1915-1918. Ad esempio, fra i fortini più conosciuti, si ricordano quello del monte Festa, quello del Pal Piccolo e tutta la serie di fortificazioni del Tagliamento e degli altri fiumi del Friuli Orientale.Nel Gemonese si possono trovare fortificazioni sul Forte di Osoppo e sul monte Ercole (Cumieli) a Gemona.Anche andando con il CAI e con l'Alpinismo Giova-nile ci è capitato di fermarci ad osservare i resti di alcune caserme o fortificazioni. Ad esempio, il 31

    SPAZIO GIOVANI di Pietro Triscari

    L A GRANDE GUERRA VISTA CON GLI OCCHI DI UN RAGAZZOMeno di un mese fa è stato celebrato il Centenario dell'entrata in guerra dell'Italia (23 maggio 1915)

    I luoghi della Grande Guerra (foto di Paolo Giovanelli)

  • 6 n. 2 giugno 2015

    maggio, ci siamo visti costretti ad annullare una escursione sul Monte Festa, ed abbiamo optato per una tranquilla camminata sul monte Cumieli - Sella sant'Agnese, durante la quale abbiamo visitato i resti del Forte del Monte Ercole.Da quello che ho sentito, letto, visto e percepito sulla vita nelle trincee, non posso fare altro che pensare ai vari risvolti che sono presenti in una guerra. Penso che, purtroppo, la guerra faccia parte dell'uo-mo. L'uomo è nato combattendo, e molto probabil-mente non smetterà mai di farlo. Agli albori della nostra civiltà la guerra era un modo per espandere il proprio territorio di caccia, per fornire più cibo al branco o alla tribù. Poi si è passati alle guerre di conquista vere e proprie, dove una tribù o un popo-lo, per mostrare la loro superiorità rispetto agli altri, li sottometteva. Poi, con l'avvento del Cristianesimo e dell'Islam, le guerre sono diventate un modo per far espandere la propria religione, si pensava che uccidere un uomo in nome di un dio fosse corretto. Poi gli Europei sbarcarono in America e lì iniziò una vera e propria caccia alle colonie, in cui gli uomini sterminavano le popolazioni locali perché le consideravano inferiori, ma allo stesso tempo combattevano contro altri europei per decidere chi dovesse avere il maggior numero di colonie. Poi si tornò all'imperialismo, ovvero al conquistare gli stati ed i popoli vicini per affermare la superiori-tà della propria etnia. Poi arrivò il XX secolo, e le guerre iniziarono ad essere fatte prevalentemente per motivi economici, per sfruttare i territori con-quistati, ma comunque fino al 1945 il concetto di guerra era molto legato a quello di imperialismo. Il XXI secolo invece, è segnato da guerre fatte preva-lentemente per aumentare la ricchezza del paese che fornisce le armi a uno dei due schieramenti: in poche parole le guerre solo in pochi casi si fanno per imperialismo o per motivi legati ad un vecchio concetto di guerra. In un certo senso gli stati più

    avanzati del mondo vogliono scatenare guerre in quelli più poveri, perché così le loro aziende belliche si arricchiscono.Si potrebbe dire che le guerre spesso potrebbero essere necessarie, seppur terribili. Però è vero che ancor più spesso le guerre sono un'inutile carnefi-cina, un'inutile macello di innocenti. Ogni tanto mi rattrista sentire gente che, nel 2015, si permette ancora di affermare che il concetto di guerra come “unica igiene del mondo” sia corret-to ed anzi, sia persino da ammirare (magari quel qualcuno, in caso di guerra, sarebbe il primo a scappare). Tornando agli eventi del 1915-1918, la cose che più mi colpiscono sono il fatto che, effettivamen-

    te, i nostri soldati hanno combattuto per niente, nel senso che, oggi, a distanza di 100 anni, non vi sono più confini fra gli stati Europei. Oggi il confine fra Italia ed Austria potrebbe considerarsi inutile, poiché merci e persone circolano tranquillamente da uno stato all'altro senza bisogno di documenti.Un'altra cosa che mi ha colpito è il fatto che i Friu-lani venivano mandati sul fronte a combattere per la “patria”, per l'Italia, quando in realtà i nostri antenati si rifiutavano di uccidere gli Austriaci, e gli Austriaci si rifiutavano di uccidere i Friulani, pro-prio perché un Friulano era molto più vicino ad un Austriaco di quanto non lo fosse ad un Siciliano, ad un Laziale o ad un Sardo, a quei popoli che i Savoia volevano definire come “Italiani”.

    SPAZIO GIOVANI di Anna Cargnelutti

    “MULARIE DI OSÔF”Venerdì 8 maggio 2015, alle ore 20.30 nella sede C.A.I. di Osoppo, si è tenuta la prima delle quattro “Serate di Maggio”.

    È stata presentata infatti da cinque ragazzi osoppani appartenenti all’ “Alpinismo Gio-vanile”: Alba, Anna, Giovanni, Giulio e Pie-tro e proprio per le loro giovani età, il tema era intitolato “Mularie di Osôf”.Hanno esposto le loro diverse motivazioni per le quali vanno in montagna e cosa li spinge ad andarci con qualsiasi condizio-ne atmosferica costringendoli alle volte a delle “levatacce” mattutine; inoltre con entusiasmo hanno parlato dei loro obietti-vi e desideri riguardo a quell’affascinante mondo montano.La serata è terminata con quesiti fatti dal pubblico presente in sala. Son state chieste loro diverse curiosità alle quali sono seguite esaurienti risposte.

    Le più semplici domande poste sono: “ma voi ragazzi non litigate mai? – e se litigate come riuscite a risolvere tutto, poi?” o non riuscite? Oppure ancora “ ma voi anche pri-ma di far parte dell’ Alpinismo Giovanile andavate in montagna? O il C.A.I. è stato l’unica opportunità per andarci? Ci sono state anche domande particolari tipo “vedete mai delle orchidee?” Perché... che così lo scriviamo sul libro!!È stato un piacevole momento di incontro tra il mondo dei giovani e quello degli adulti, dove tutti hanno potuto esprimere le loro opinioni, pensieri e perché no, emozioni legate al “lâ in mont” anche da un punto di vista diverso, con lo spirito appunto dei ragazzi di 13, 15 e 16 anni.

    Così è iniziato il mio interesse per le montagne attorno Gemona e i sentieri che le percorrono. Questi sono pezzi di storia che a poco a poco scompariranno, se nessuno li terrà in vita. È nato per caso quindi il progetto Itinerari del gemonese, un sito che vuole raccogliere i sen-tieri che non troviamo sulle classiche cartine topografiche e i punti di interesse che ormai

    pochi conoscono.Mentre mi trovavo vicino alle palestre del Glemìne, ho potuto osservare il campanile del Duomo e il Castello di Gemona, all’epoca ancora in fase di ricostruzione, da una prospet-tiva del tutto inaspettata. Questa semplice, forse banale, vista, mi ha fatto scattare una domanda molto semplice, ma molto disarman-

    te: quanto conosco di Gemona?La risposta era, purtroppo, molto vaga e insod-disfacente. Quasi senza pensarci è cresciuta, a poco a poco, la voglia di percorrere i sentie-ri e altri tracciati con occhi nuovi, cercando quello che nessuno vede, quello al quale non si presta attenzione perché magari troppo im-pegnati a correre, a rispondere al telefono, o

    ITINERARI DEL GEMONESE di Roberto Copetti

    UN VIAGGIO SULLE NOSTRE MONTAGNEL’erba del vicino è sempre la migliore. Il verde de “la Pale di Cjampòn” però, non lo batte nessuno. A volte perdiamo di vista le bellezze che abbiamo vicino, interessandoci a quelle più lontane o a quelle irraggiungibili. Questo ac-cade nella vita quotidiana sotto molti aspetti. Quello del quale voglio parlarvi è l’aspetto montano della questione.

  • 7n. 2 giugno 2015

    a guardare per terra. Così, percorso dopo per-corso, ho iniziato a raccogliere nuovi itinerari e nuovi sentieri, ormai caduti in disuso o poco conosciuti. Grazie a libri e altro materiale ho potuto trovare nomi propri di sentieri o zone quasi sconosciute, ripercorrerle e immaginare l’importanza che rivestivano, non secoli fa, ma 60 anni fa.Quanti di noi sono stati in Foredôr, la sella po-sta tra il Cjampòn e la cima del Cuarnàn. Se ci fermiamo un attimo a pensare alla sua posizio-ne, possiamo immaginare che sia stato un pas-saggio strategico. Infatti così è stato per molti anni. Da qui passavano le direttrici principali dirette verso la Val Torre e la Slovenia, dato che era il percorso più breve e probabilmente uno dei più semplici da percorrere. Durante la Prima Guerra Mondiale qui vi furono posiziona-ti dei cannoni, che furoni inutili dopo la disfatta di Caporetto; gli avvallamenti che troviamo dietro la Malga Cuarnàn probabilmente erano le trincee costruite per contenerli. Se invece pensiamo al nome, possiamo dire che di certo assomiglia all’italiano forra, cioè stretto bur-rone. Questa parola però, in particolare a Ge-mona e Venzone, sta ad indicare non tanto un burrone, quanto un passo stretto, posizionato tra due valli che funge da spartiacque.Saliamo ora decisamente più in alto, fino sul Cjampòn, la cima per eccellenza di Gemona,

    che la sovrasta con i suoi 1709 metri di altezza. Spesso lo ritroviamo scritto come Chiampon, trascrizione italiana del tipico suono friulano cj. Questo monte era, in epoca non molto an-tica, fonte di fieno e ghiaccio, fondamentali per il nutrimento degli animali nelle stalle e per il mantenimento degli alimenti. Di certo a molti sono note Lis Glacéris, due, le principali, profonde fenditure nella roccia poste nel tratto pianeggiante a Nord della cima del Cjampòn. Nate dall’azione di acque e agenti atmosferici che hanno sciolto il calcare presente in zona, questi inghiottitoi, profondi anche 17 metri, durante l’inverno si depositava una folta col-tre di neve che diventava ghiaccio. A causa della scarsa esposizione al sole, il ghiaccio si manteneva fino all’estate successiva, così molti salivano per raccoglierlo e portarlo a Ge-mona dove veniva usato per svariati motivi, il principale era quello del mantenimento delle carni e altri alimenti. Ma non solo di carne vive l’uomo, anche di latte. Per nutrire le mucche, ad esempio, serviva molto fieno e per fare del buon formaggio, serviva fieno di qualità. Per questo motivo molti si recavano su La Pale di Cjampòn, ampio prato che scende dalla cima per circa 200 metri. Qui veniva sfalciata l’erba e portata a valle per nutrire il bestiame. Oggi una cosa del genere è impensabile, nessuno rischierebbe un pericolo così grande per poter

    raccogliere del fieno. Ma la Pale era così im-portante che venne tracciato un sentiero ap-posito che la raggiungesse, senza salire per il sentiero CAI 713, presente ancor oggi. Sto par-lando del Troi dal Cjamòç, il quale sale lungo il Riul da Crete Porie e, con qualche deviazione, raggiunge o il sentiero CAI oppure il prato. Il sentiero al giorno d’oggi risulta essere quasi del tutto impraticabile, oltre che pericoloso, ma questo ci fa pensare ai sacrifici che i nostri nonni, forse per alcuni addirittura i genitori, erano disposti a fare.Ho citato solo due piccoli esempi di quanto si può dire e sapere sui luoghi che così spesso vediamo e frequentiamo. È chiaro che ve ne sono svariate decine e di molti non sono nem-meno a conoscenza.Questo, a mio avviso, è il motivo che dovrebbe spingere tutti a guardare la montagna con oc-chi diversi: oggi rappresenta solo un luogo da conquistare, un posto isolato dove perdersi nei pensieri e trovare tranquillità, ma fino a pochi decenni fa, le montagne erano parte attiva della vita quotidiana. Perdere questi ricordi sarebbe come dimenticare il passato vissuto attorno a noi.Questo è il motivo che mi ha spinto a creare questo sito internet: un mezzo tecnologico per raccogliere nomi, sentieri, luoghi antichi, na-scosti o quasi dimenticati.

    È stato accertato che sulla superficie del conoide, in occasione di piogge di notevole intensità e violenza, l’intero materiale sciolto accumulato rappresentato da elementi rocciosi con classi granulometriche che variano dai depositi più fini ai grandi macigni, viene mobilizzato sotto for-ma di dense colate fangose e sparpagliato più a valle secondo varie direttrici di deflusso, oggi testimoniate dalla presenza di maestosi blocchi la cui presenza in loco non sarebbe altrimenti spiegabile. La continua ripetizione di tali fenome-ni, un tempo forse ancora più accentuata a causa della minore copertura vegetale, ha portato nei millenni alla costruzione del corpo geologico del conoide ad opera delle divagazioni del T. Vegliato, la cui direzione di deflusso si sarebbe stabilizza-ta nella attuale posizione lungo il lato nord del conoide già nel XVIII secolo, ponendo fine alle

    secolari devastazioni che fino ad allora avevano imperversato sulla comunità della antica Gle-mona. La stessa connotazione urbanistica della cittadina, a partire dal medioevo, ha subito una continua evoluzione anche in funzione della di-fesa da questi fenomeni naturali. Lo testimonia la conformazione delle antiche mura perimetrali, disposte a cuneo verso monte con l’apice rivolto nella direzione di provenienza dei flussi distruttivi, e dai vari livelli di sbarramenti o “roste” in grossi massi costruiti per contenere e dirigere le colate il più possibile entro gli alvei naturali. Notizie storiche riguardo a questi eventi catastrofici si hanno nelle cronache delle epoche passate che raccontano di numerosi danneggiamenti causa-ti soprattutto dal Torrente Grideule, un piccolo ruscello, oggi perennemente asciutto, che deli-mita a sud il conoide, lambendo il settore nord

    orientale del centro storico. Il torrente raccoglie le acque del versante nord del M. Glemina e in parte del Cuarnan e si manifesta alla vista solo in occasione di eventi piovosi particolarmente intensi. Nelle cronache si citano in particolare gli eventi del 1381, del 1406, del 1408, del 1430, del 1437 quando si imposero anche turni di guardia sul campanile per il controllo delle piene, del 1438 quando occorsero 1192 carri per liberare la ghiaia accumulata nel cimitero e sul sagrato del Duomo, del 1499 e del 1516. È particolarmen-te ricordata l’alluvione del 1430 causata dallo straripamento della Grideule. Sebastiano Mul-loni, nel “Cronichon Glemonense ab anno MCCC ad MDVII” testimonia (testo tradotto) “... che ci fu una grande inondazione così che la Grideule, torrente di Gemona, distrusse il muro del cimitero (che era attorno) al Duomo e scoperchiò le tombe

    GEOLOGIA di Daniele Giacomini

    GRIDEULE, GLEMINEIT E GJVIONÈ noto da fonti storiche che il territorio gemonese sia stato soggetto a numerose e devastanti esondazioni, operate soprattutto dal Fiume Tagliamento ma anche dal Torrente Vegliato, attore principale del processo di formazione dell’esteso conoide di deiezione sul quale sorge la cittadina pedemontana di Gemona.

  • 8 n. 2 giugno 2015

    e portò i corpi con le casse fino in Paludo” (nella odierna Godo). Nel 1499 lo stesso riporta: “in settembre ci fu una grande innondazione e la Gri-deule straripò e distrusse il muro del cimitero e portò più di 5000 carri di ghiaia nel cimitero, fino quasi alla porta del Duomo, così che a stento si poteva entrare in Chiesa”. Con molta probabilità i suddetti fenomeni, più che vere e proprie allu-vioni date da acque impetuose, erano una diretta conseguenza del fatto che a quei tempi il corso del Vegliato, in assenza di opere idrauliche fina-lizzate a incanalarne a monte i deflussi, non era ancora stabile ma poteva divagare sulla superfi-cie del conoide con la conseguenza che le colate detritiche da esso prodotte potevano sicuramen-te riversarsi anche in direzione della città lungo l’asta della Grideule, provocando le distruzioni citate nei documenti storici, come evidenziato in uno studio condotto dall’Università di Trieste nel 1980 e successivamente da F. Sgobino in uno studio sulle colate detritiche del Vegliato. Gli eventi descritti comportarono effetti devastanti anche nella sottostanti borgate ove sorgeva l’an-tica statio romana Ad Silanos (l’attuale Silans) e l’odierna borgata di Godo, con modificazioni della morfologia del territorio ed innalzamento del livello dei terreni. A comprova di quanto sopra citato va ricordata la scoperta di una antica casa medievale con archi e volte in pietra sepolta sotto oltre tre metri di ghiaie. L’edificio presentava la parete nord sfondata dall’avanzata della massa ghiaiosa (forse la stessa mobilizzata dall’alluvio-ne del 1430) e probabilmente anche altri edifici della zona subirono la stessa sorte. Dopo l’evento sembra sia stata ristrutturata ed ampliata con caratteristiche costruttive diverse ed utilizzata fino al 1600, epoca databile sulla base di reperti rinvenuti all’interno, ed in seguito nuovamente sepolta sotto altri strati ghiaiosi che l’hanno na-scosta alla vista fino al secolo scorso, quando casualmente è stata individuata ed interamente ripulita e restaurata dal sig. Livio Londero.La Grideule, pur essendo solo un modestissimo ruscello dai caratteri effimeri che non ha mai portato benefici alla comunità, è comunque ri-cordato e molto conosciuto nella città di Gemona per le vicissitudini storiche ad essa legate. L’anno scorso è stata inoltre oggetto di una giornata dedicata alla pulizia e rimozione dei rifiuti ab-bandonati nell’alveo promossa dal C.A.I. e da Legambiente e successivamente il tema di una interessante serata curata dal Circolo Legam-biente, dal Centro Culturale “V. Ostermann” e dalla locale sezione C.A.I. con relatore il geologo gemonese F. Sgobino. Il corso d’acqua, oggi in particolare viene ricordato per le sue sporadiche apparizioni, conseguenti a piogge particolarmen-

    te intense e prolungate, quando da Porta Udine lo si vede saltellare sulle balze rocciose soprastanti la “Strada del Turc” che dal centro storico prose-gue in direzione di Maniglia ed Artegna.Il ruscello trae origine sul versante settentriona-le del M. Glemina, sotto la strada militare che conduce alla Malga Cuarnan, dove scaturisce da una fenditura sottostante al sentiero che dalla strada conduce alla località Siere e al bivio con il sentiero CAI n. 716. Dalla sorgente, l’acqua si incanala lungo un alveo detritico invaso da vege-tazione che rasenta il versante settentrionale del Gemine e delimita a sud il conoide di Gemona, costeggia gli abitati di Stalis e Bambins, a volte lambendo la viabilità interpoderale, passa sotto la palestra di roccia e raggiunge la località “Frat-te” situata dietro il Duomo, sistemata alcuni anni or sono a parco urbano dedicato alla memoria di Giovanni Galli, Segretario della nostra sezione CAI deceduto sul Cjampon nel febbraio 2005. Qui subisce una deviazione per effetto di alcune opere di contenimento e difesa e dopo essere stata incanalata in una specie di alveo artificiale, che meriterebbe una costante manutenzione, e in un tombotto forse troppo stretto, esce sulle balze rocciose fiancheggianti Porta Udine per essere nuovamente intubata e fatta defluire in un canale interrato verso la località di Godo.Lungo il suo corso, sulla sponda destra, si notano delle opere di difesa in terra e pietra finalizzate a contenerne le piene. Come già accennato all’ini-zio, le stessa antiche cinta murarie di Gemona, ed in particolare la seconda cerchia, vennero pro-babilmente erette non solo per la difesa dalle popolazioni nemiche ma anche per la difesa delle calamità naturali. Nel centro storico, le attuali Via del Fossale e Via dei Conti si sviluppano lungo il tracciato di un antico fossato costruito nella prima metà del ‘300 esternamente alla seconda cinta muraria contro le irruzioni della Grideule, il quale venne poi riempito verso la fine dello stes-so secolo con la costruzione di una terza cerchia muraria più esterna resasi necessaria a seguito nelle necessità espansive della città.La lunghezza complessiva del ruscello è di circa 2 km, la portata stimata è di circa 3,9 mc/s (dati tratti dal libro “Le opere di sistemazione idraulico forestale nei bacini del Gemonese” di F. Sgobino e S. Beltrame, 1986) ed il suo bacino imbrifero presenta una superficie di poco inferiore ad 1 kmq il quale è quasi interamente rappresenta-to da aree boschive o arbustive. Appare chiaro che una simile limitata estensione del bacino di alimentazione non può accumulare quantitativi d’acqua tali da produrre le disastrose alluvioni citate in epoche storiche, anche se nei tempi passati, la presenza di una minore copertura

    vegetale potrebbe certamente aver comportato un maggior scorrimento superficiale delle acque di pioggia e di conseguenza una maggiore velo-cità di deflusso delle stesse, ma comunque non tali da mobilizzare masse ghiaiose dalla potenza distruttiva.L’emergenza delle acque solamente in conse-guenza di forti piogge va sicuramente ricercata in una origine di tipo carsico, legata alla presenza di condotte sotterranee impostate lungo linee di frattura che dislocano la compagine calcarea dei rilievi, le quali, con piogge particolarmente ab-bondanti, vengono periodicamente allagate pro-vocando la fuoriuscita dell’acqua nel punto in cui le fenditure intersecano la superficie topografica.Il corso d’acqua un tempo era probabilmente in parte alimentato anche da una sorgente situata ai piedi del M. Glemina nella località conosciuta con il termine di Gjvion, che veniva un tempo uti-lizzata dalla gente di Stalis per attingervi l’acqua per le necessità domestiche ed il bestiame. La strada attualmente denominata Via delle Fon-tane, che collega la Via Baldo con la Via Stalis, un tempo era nota come Vie da l’aghe proprio perché rappresentava il percorso più frequentato dagli abitanti di Stalis per il rifornimento idrico.Se dal punto di vista storico la Gridèule rappre-senta un elemento di interesse per la cittadina di Gemona, non altrettanto vale per un altro corso d’acqua dai caratteri effimeri che caratterizza il territorio gemonese, del quale non si hanno evidenze storiche, ma che produce effetti spet-tacolari che richiamano l’attenzione di numero-se persone quando si manifesta in tutta la sua potenza. Il Glemineit, rappresenta sicuramente un’attrattiva scenica di grande effetto, quando dopo un periodo di piogge molto intense fuorie-sce dalle viscere della terra a monte della località “Siere” e dopo un tragitto sinuoso di circa 3 km fra salti di roccia e ripidi pendii boschivi lungo il versante meridionale del M. Glemina, si getta nel vuoto formando una cascata di circa 150 metri di altezza che termina fragorosamente la sua corsa in un canale situato a fianco dell’antico lavatoio seicentesco, passando sullo scivolo sovrastante la galleria artificiale della “Strade dal Turc”.L’origine del corso d’acqua è di tipo carsico, lega-ta alla presenza di condotte sotterrane situate sui versanti occidentali del M. Cuarnan caratterizza-ti da rocce calcaree e quindi solubili alle acque meteoriche. Anche in questo caso, come per la Grideule, solo durante piogge molto intense e im-provvise che non permettono il normale deflusso sotterraneo, le cavità si riempiono rapidamente d’acqua facendola emergere dove le fenditure incontrano la superficie topografica. Nel caso del Glemineit non è visibile una unica sorgente

  • 9n. 2 giugno 2015

    bensì una serie di emergenze che fuoriescono dalla coltre detritica ricoperta da vegetazione alla quota di 700 m circa nella stretta valletta sospesa delle “Siere”, compresa fra il M. Gemine a nord e la Pale Furmiarie a sud. La sorgente è raggiungibile attraverso un sentiero che si stacca in discesa dalla strada della Malga Cuarnan. Il bacino imbrifero ha un’estensione di circa 1,34 kmq ed è rappresentato da una stretta vallata a imbuto nella quale vengono convogliate le acque di scorrimento superficiale. Il bacino, a monte della strada asfaltata sopra la località Siere, è inoltre caratterizzato anche dalla presenza di de-pressioni (doline) che testimonierebbero quindi la correlazione fra fenomeni carsici di superficie e la presenza di inghiottitoi sotterranei capaci di drenare le acque superficiali. Dalla zona della risorgenza, le acque in breve formano un torrente impetuoso con un letto della larghezza variabile dai 3 ai 4 metri con portate che possono raggiun-gere i 7,5 mc/sec.Dopo il salto finale, il torrente viene incanalato artificialmente e fatto fluire verso la borgata di Godo, disperdendosi per assorbimento nel sot-tosuolo alluvionale.Negli ultimi anni, essendo aumentati considere-volmente gli episodi caratterizzati da fenomeni piovosi brevi ed intensi o prolungati, ma con pic-chi di intensità maggiore, il Glemineit si è mani-festato con maggior frequenza rispetto agli anni passati e si ricordano in particolare gli eventi del 25.12.2009, del 12.11.2012, il 14.02.2014 (giorni in cui si evidenziò anche la Grideule) e in ultimo il giorno 11.11.2014. Un’ultima nota si riserva sul Poc di Gjvion, una sor-gente oggi scomparsa tributaria della Grideule, che era ubicata ai piedi del versante occidentale del M. Glemina, a distanza relativamente breve dalle case più alte della borgata di Stalis. Fonti orali testimoniano che la sorgente si sarebbe ma-nifestata in occasione del terremoto che ebbe per epicentro la zona di Tolmezzo nel 1928 e sarebbe scomparsa con il sisma del 1976. È risaputo che terremoti particolarmente forti sono capaci di provocare mutamenti sull’idrografia superficiale a causa delle variazioni indotte sulle falde frea-tiche dagli spostamenti che avvengono lungo le faglie, ma nel nostro caso, sulle pubblicazioni geologiche riguardanti il territorio gemonese, non abbiamo nessun riscontro trascritto che avvalli quanto affermato. La sorgente veniva utilizzata dagli abitanti di Stalis per l’approvvigionamento idrico ad uso domestico e probabilmente anche come lavatoio (fonti tratte da Glemone, nons di luc di E. Costantini e R. Gubiani) fino a quando venne costruito l'acquedotto e la prima fontana pubblica della borgata.

    TERRITORIO E SICUREZZA di Raffaello Patat

    CJAMPON E SICUREZZAAppartiene a quella categoria di montagne che quasi quotidianamente ospita parecchi fruitori dei vari percorsi che permettono di raggiungerne la cima. Una parte di questi percorsi è di lunga percorrenza e con notevoli dislivelli da superare, vedi l'Alta via CAI Gemona o il versante da Ledis.

    Di certo il percorso più utilizzato risulta però quello comune che sale dal versante sud, anche perché agevolato dalla possibilità di guadagnare un pò di quota raggiungendo Malga Cuarnan in auto e spesso usato in discesa per chiudere anelli provenendo dagli altri tracciati.La legge dei grandi numeri dimostra l'inevitabilità di incidenti alpinistici sul percorso della via normale, alle volte con conseguenze mortali. Dagli anni ’80 ad oggi, si sono avuti ben 5 incidenti mortali (per un totale di 6 decessi) sul Cjampon; numero impressionante se paragonato ad altre grandi montagne friulane, in teoria ben più pericolose, che non vantano questi tristi record.La domanda che ne consegue verte sulla possibilità o sulla necessità di rendere più sicuro il sentiero della via normale al Cjampon; sicurezza che in linguaggio alpinistico non potrà mai raggiungere i massimi livelli, ma che comunque necessita di essere presa in considerazione.Le strade percorribili sono due: quella della messa in sicurezza dell'ambiente in cui si svolge l'attività e quella dell'informazione agli utenti fruitori della montagna.Allo stato attuale il sentiero della via normale, presenta manufatti e attrezzature, da gradini e piccoli terrapieni alla fune metallica del famigerato "Passo della Signorina".Quest'ultimo dalla fama, ingiustamente assegnatagli, di tratto più pericoloso del percorso. È pur vero che si tratta del passaggio più esposto che si trova, ma talmente ben protetto dal cavo me-tallico tanto da renderlo sicuro e divertente, oltretutto su roccia solida. Da notare che la presenza di attrezzature, nonché l’esposizione del tratto, comunque innalzano la soglia di attenzione durante il transito.Quanto sopra dimostrato dalle statistiche degli incidenti accaduti (almeno uno ad anno negli ultimi dieci anni) che non hanno mai visto come teatro quel luogo così temuto.Questo è il classico caso di insidia nascosta; i numeri dicono che gli incidenti si sono verificati su segmenti di sentiero apparentemente sicuri, che in vari casi non si sono dimostrati tali. Strette fasce erbose pendenti solcate dal marcato sentiero, sospese su salti di rocce estremamente friabili, dove una banale scivolata o l'incespicarsi su un sasso, specialmente in discesa, possono innescare una fuoriuscita dal sentiero su erba pendente, ove risulta impossibile fermarsi prima dei sottostanti salti di 30-40 metri di altezza.Il tratto ove sono occorsi la maggior parte degli incidenti è quello immediatamente a monte

    Ortofoto del Cjampon (Archivio C.N.S.A.S. - Gemona)

  • 10 n. 2 giugno 2015

    del Passo della Signorina, ove una serie di zig-zag su un pendio marcato e sentiero con sassi mobili, transita su un lembo erboso sospeso su una voragine senza via di scam-po. Quasi tutti gli incidenti mortali già citati, sono avvenuti in tale tratto. Se si osserva il tracciato con il binocolo da Sella Foredor, ci si accorge immediatamente dell'esposizione quasi continua di certi punti, nonostante dal sentiero si abbia tutt'altra sensazione. Questa è il classico caso di “trappola euristica”: la semplicità del sentiero in quel tratto porta all'abbassamento della soglia di attenzione che mina la percezione del rischio.Osservando da lontano è anche facile capire la struttura geologica del Cjampon, che nel sisma del 1976 fece sentire il boato delle frane dalle "Crete Porie" a tutto il gemonese.Ne consegue che la morfologia di quel ver-sante poco si presta alla posa in opera di ulteriori attrezzature di sicurezza, che nella fattispecie interesserebbero tratti di sentiero su erba, tanto da diventare anche ingombranti e fastidiosi al transito.Tale intervento, con lunghi fittoni metallici da piantare sull'erba e cavi da tirare fra un fittone e l'altro, obbligatoriamente da commissionare ad Enti titolati, comporterebbe inevitabilmen-te un presidio discutibile, o addirittura inutile o devastante agli occhi di parte degli utenti.Non rimane, a mio avviso, che procedere sulla strada dell'informazione su quelli che sono i pericoli del tracciato su questo rilievo che si trova ancora sulle Prealpi, ma dal carattere già alpinistico e dalle insidie non sempre leggibili.Nella circostanza è doveroso diversificare le difficoltà alpinistiche da quelle escursionisti-che, dove nelle prime c'è comunque alla base un minimo di allenamento e preparazione specifica, mentre la gamma escursionistica comprende un vario e vasto bacino di utenza; un discorso a parte per quanto riguarda la branca dei corridori, che sicuramente allena-ti fisicamente affrontano il sentieri di corsa. Nella statistica dei decessi sul Mt. Cjampon, infatti, troviamo: un corridore in discesa, un alpinista su terreno innevato invernale e ben quattro escursionisti nella stagione estiva.Tengo a precisare il carattere prettamente informativo di questo mio scritto, dato prin-cipalmente dalla mia opinione personale e dalle statistiche in possesso della Stazione di Soccorso Alpino di Gemona del Friuli (UD), che non vuole assolutamente essere un inse-gnamento o rimprovero alcuno, visto che sono altri gli scopi del sodalizio a cui appartengo.

    Vi hanno partecipato più di trecento atleti non solo della zona, ma provenienti da svariate parti del Nord Italia e anche dall'estero.Bravi! Niente da dire, forse una punta di invidia se non altro per il livello di prestazioni che tutti – dal primo atleta che ha tagliato il traguardo all'ultimo - sono riusciti ad ottenere dal proprio corpo e dalla propria mente. Sicuramente ci vuole una dose non comune di costanza, di caparbietà e di volontà e for-za d'animo per fare in modo da riuscire ad arrivare al traguardo di queste sfaticanti gare.Io, per converso, devo considerare che non solo non posseggo una “quantità” sufficiente di siffatte doti, ma preferisco procedere “lento pede” per godere di ciò che personalmente ricerco nella montagna: pace, silenzio, alberi e fiori, panorami. Sono senza dubbio due modi di vedere e vivere la montagna, senza che la scelta dell'uno escluda necessariamente l'altro: anzi, mi piace pensare che accanto al modo di vivere le Terre Alte come loro ospiti, nel rispetto, nella tutela, nella conoscenza, ogni tanto sia bello “sfidare” la nostra Partner, facendole vedere cosa siamo capaci di fare lun-go i suoi fianchi, correndo e sudando e lasciando perdere per un pò le sue bellezze naturali. Come un sonoro battibecco, uno sgarro tra amici, o tra

    compagni di vita, in cui si vuol far vedere “di cosa siamo capaci”, salvo poi riappacificarsi e notare in modo ancora più chiaro quanto siamo fortunati a poter vivere in un contesto come quello che ci circonda.Ribadisco, sono considerazioni puramente perso-nali e tali da poter essere tranquillamente glissate. Ciò che mi ha colpito è invece la lettura di un arti-colo da cui risulta che la voglia di sfidare se stessi correndo in montagna non è una novità né una moda di questi ultimi anni.Anzi, leggete qui!Per una decina di anni, a partire dal 1928, le nostre montagne furono protagoniste di importanti gare nazionali di marcia per squadre della milizia alpina. La gara prevedeva un percorso di 18 km. Con un dislivello complessivo di 2000mt. Questo era l'iti-nerario: Gemona (m. 270), S. Maria la Bella (700 m), Monte Cuarnan (m. 1372), Sella Foredôr (m. 1093), Monte Cjampon (m. 1790), Casera Scric (m. 1200), Forcella Ledis (m. 700), Sella S. Agnese (m. 427), Gemona (m. 270). Il traguardo si trovava nei pressi della chiesa della Madonna. Ogni squadra era for-mata da 10 uomini (più uno di riserva). Al traguardo ne dovevano arrivare almeno otto. Sappiamo che nel 1933 le squadre concorrenti furono 25.

    MONTAGNA E SPORT di Alessandra Contessi

    IL LATO SPORTIVO DEL MONTE CJAMPON NON È UNA NOVITÀ DI QUESTO MILLENNIOSi è appena conclusa la seconda edizione del Trail dei “Tre castelli”, gara di corsa a piedi tra i sentieri del Gemonese con forti dislivelli ed elevato numero di chilometri: percorso “breve” di 30 km e 2000 mt di dislivello (positivo), e percorso lungo di 50 km e ben 3500 metri di dislivello.

    ALPINISMO GIOVANILESono aperte le iscrizioni per il soggiorno Alpino autogestito che si terrà a Forni di Sopra dal 05 al 08 agosto; escursioni per ragazzi/e dai 9 ai 17 anni, di varia difficoltà, dalle facili passeggiate tra i boschi alle escursioni più impegnative per raggiungere casere e vette.Seguiranno nei tempi di riposo attivo: attività ludiche e giochi all’insegna del divertimento.

    Per i più grandi e volenterosi verrà predisposto uno specifico programma in collaborazione e con la partecipazione del la scuola di Alpinismo Piussi -Ursella di Gemona.

    Per ulteriori informazioni contattare in ore serali: Gabri: 348 3335850 Gilberto: 0432 975625 Alberto: 0432 983236 Paolo: 347 4099017

    Glemone... (foto di Roberto Copetti)

  • 11n. 2 giugno 2015

    C'era perciò voglia di socializzare, voglia di vivere... e ogni cosa che potesse permettere uno spiraglio di convivio, di unità, di “associazionismo”, era ap-pannaggio di chi non voleva sentirsi solo. Fu così che a portare aiuti nella costruzione del Ricovero sul Cuarnan ed a partecipare alle uscite sciistiche, diede modo a due osoppani nel 1946, Domenico Fabris e Riccardo Venchiarutti, di conoscere Elio Pischiutti, e proprio sotto la spinta e l'invito di “Siôr Elio”, i due diedero inizio, nel 1947, alla rifonda-zione di un gruppo C.A.I. ad Osoppo, che da lì a poco, il 25 aprile 1948, portò all'inaugurazione della Sottosezione C.A.I. Osoppo. Partì con molto entusiasmo questa ennesima stagione di Alpinismo, nel paese adagiato sotto la Fortezza. Entusiasmo che portava a conoscere nuova gente, che portava a frequentare assieme, quelle due-tre gite annuali, entusiasmo che portò, negli anni '60 ad organizzare i primi corsi di sci in quel di Sappada. Nemmeno una frana oltre i Piani di Luzza, susseguita alle alluvioni del 1966, frenò i nostri intrepidi... tanto che “assoldarono” un cer-to Piller Hofer che accompagnò con la sua auto gli “skiatori” fino a Sappada, giunti fino ai Piani di Luzza con mezzi che non riuscivano a passare la strada dissestata. Aneddoti del tempo che fu e che spiegano la voglia di Montagna e di “gruppo”. Le prime gite diventavano, come già detto, motivo di convivio e di sfogo... ideali per socializzare, al di là del calcio e delle rimostranze del parroco di allora, perché le gite domenicali in montagna portavano via i fedeli dalla celebrazione delle santissime messe.Ma l'attrazione per la Montagna era più forte, e nonostante la mancanza cronica di denaro, che ob-bligava anche a scelte spartane nel muoversi per andare in gita (dai primi carretti trainati da animali da soma, ai camion aperti forniti di panche instabili per le gite invernali), lo spirito portava ad esaltare i valori di aggregazione.Questo spirito e questa voglia di conoscere nuovi luoghi e nuove persone, portò alla Sottosezione nuovi iscritti da Dogna, Pontebba, Chiusaforte, Moruzzo, di fatto allargando la cerchia delle co-noscenze e delle idee, arrivando a creare gite con un numero incredibile di partecipanti, come ad esempio le 94 persone alla Croda del Becco o i 110 partecipanti alle Tofane.Naturalmente questo spirito aggregativo cresceva,

    col crescere della Sezione che, negli anni '70, vide nascere anche la Sottosezione di Buja.Questo portò a riconsiderare e a rivedere i regola-menti all'interno della Sezione stessa e a rivedere i modi di approcciarsi alle gite.Cambiava anche il modo di “vedere” la Montagna, e con la proposta delle “30 Cime dell'Amicizia”, anche l'Austria era più vicina, mentre l'allora Jugo-slavia era ancora meno frequentabile per l'obbligo burocratico dei permessi o dei passaporti per po-tervi accedere.Gli anni '70 furono una svolta; dalla possibilità di raggiungere mete mai viste, all'inizio della regola-mentazione/burocratizzazione del C.A.I., dalle gite partendo da casa in bicicletta o motorino e dalla documentazione comunque redatta a mano... qual-cosa stava cambiando; corriere, auto, macchine da scrivere.Si iniziava perciò a “respirare” il primo benessere, dalle gite col camion alle gite “cu la coriere di Catel”.Ma la cosa che cambiò radicalmente la vita sociale fu il Terremoto del 1976.Un colpo allo spirito che rischiava di disgregare anche il più forte dei valori: la socializzazione.Ma per fortuna, nei primi anni dopo il Sisma, l'atti-vità sociale andava di pari passo con la ricerca della compagnia e dello stare assieme... la convivialità era il modo migliore per sopperire al dramma, per riprendersi dallo strazio del post-terremoto.Cambiavano i modi di fare, i modi di vivere, anche i modi di approcciarsi al C.A.I.. Crescevano nuovi soci giovani, nuove idee. A cavallo fra gli anni '80 e '90, le attività vennero gestite all'unisono, non più tre distinte programmazioni (Gemona, Buja e Osoppo), ma una unica Sezionale, con attività complementari gestite dalle Sottosezioni. Così avvenne anche per Osoppo. Nella Sottosezione osovana nacquero i “corsi di presciistica e di mantenimento”, le “Se-rate di Maggio” incontri culturali con proiezioni sulla Montagna, avventura e cultura... le uscite di “Scopriamo Osoppo” imperniate sulla conoscen-za e valorizzazione delle unicità e particolarità di Osoppo, e, fiore all'occhiello del C.A.I. Osoppo, il Sentiero Storico Naturalistico C.A.I. Osoppo n° 720 che abbraccia le realtà storico, naturalistiche, ambientali, geologiche del paese. Ogni anno si or-ganizza un'uscita con le scuole medie di Osoppo e, ultimamente, si imposta una fattiva collaborazione

    con le Associazioni di Osoppo.Una importante novità, a partire dalla seconda metà degli anni '90, è stata la presenza dei Reg-genti delle Sottosezioni nei Consigli di Sezione a Gemona.Ecco, cose importanti quest' ultime!... le Sottose-zioni che gestiscono attività sul territorio e l'oppor-tunità data a tutti i soci di poter essere nominati nel Consiglio Direttivo della Sezione. Questo ha portato alla nomina a Presidente anche ai soci delle Sottosezioni, e ora la presidenza è retta da un socio di Osoppo e la disponibilità dei nostri soci osoppani ha portato anche ad essere presenti come Segreta-rio, Tesoriere, Revisore dei conti, Componenti delle varie Commissioni della Sezione e redattori de “Il Cuardin”.Questo a dimostrazione delle ampie vedute e allargamento di idee che hanno portato al C.A.I. odierno, in un meraviglioso spirito di disponibilità e collaborazione da parte di tutti i soci della Sezione di Gemona intera.Questi i primi “Novant'anni”...sicuramente le cose cambieranno ancora. Si sta arrivando ad un pro-cesso di specializzazione dei componenti del C.A.I., soprattutto fra le persone che si impegnano nell'ac-compagnare ed insegnare alla gente ed al socio come godere della Montagna... “Accompagnatori di Escursionismo”, “Accompagnatori di Alpinismo Giovanile”, “Istruttori di Alpinismo”, “Operatori Naturalistico-Culturale” e altre figure all'interno del C.A.I. si stanno formando per rendere la Montagna ancor più sicura e godibile, ma anche i “corsi per addetto alla motosega” o i convegni istituiti dalla Commissione Giulio Carnica Sentieri, Rifugi ed Opere Alpine, fanno si che il mondo del nostro so-dalizio migliori per conoscenza, cultura e sicurezza. In tutto questo, importante sarà far crescere i nostri giovani e farli innamorare delle bellezze della Mon-tagna, anche tramite le due realtà dell'Alpinismo Giovanile e della Scuele di Mont “Piussi-Ursella”.Infine da ricordare i Reggenti che si sono susseguiti negli anni: Domenico Fabris, Adriano Venchiarutti, Gianni Calligaro, Antonio Christ, Marco Venturini, Daniele Bertossi e Gilberto Cargnelutti.Un brindisi dunque ai prossimi compleanni della Sottosezione C.A.I. di Osoppo, ma partendo da “Nuovi Giovani Virgulti” e dall'amore per la Mon-tagna e la Natura.

    ANNIVERSARIO di Daniele Bertossi

    I NOVANT'ANNI DEL C.A.I. AD OSOPPO (seconda parte)Ma dall'oblio del tempo, nel 1947, un gruppo di “giovani virgulti amanti dell'Alpe “, ridiedero vita ai vecchi fasti, all'amore per la Montagna, ed al piacere di vivere fra picchi, vette, valloni, cenge, nell'armonia della Natura e partecipando alle uscite nella più sana amicizia... quello che ci voleva dopo le tragedie vissute durante la Seconda Guerra Mondiale...

  • 12 n. 2 giugno 2015

    Le attività della Sottosezione ci vedranno impegnati domenica 13 settembre con un'escursione al Bivacco Ursella-Zan-donella nel “catino” dei Brentoni e fa par-te delle tradizionali attività che ci vedono gemellati col C.A.I. Val Comelico. La descri-zione dell'uscita è verificabile nell'apposita

    scheda, qui di seguito.Poi, venerdì 23 ottobre, ci sarà una serata culturale presso la Biblioteca comunale; l’a-mico scrittore Italo Zandonella, nell’ambito dei 100 anni dall'inizio della Grande Guerra, ha accettato di tenerci una serata sul tema, con la presentazione del suo ultimo libro dal

    titolo: “La Grande Guerra sulla Croda Rossa”. Sempre in ottobre, una serata col socio Alessandro Cozzutti, che descriverà come ha vissuto, con la sua presenza, il dramma del sisma in Nepal nel mese di maggio e il suo impegno nel “Progetto MASTERPIECE” dedicato agli orfani nepalesi.

    La Sottosezione CAI di Buja e la Sezione CAI Val Comelico ogni cinque anni si incontrano sul versante nord del Gruppo dei Brentoni, presso il Bivacco Ursella – Zandonella, per ricordare due valorosi alpinisti deceduti in momenti diversi: Angelo Ursella di Buja, scomparso sulla parete nord dell’Eiger il 16 luglio 1970, e Mario Zandonella di Do-soledo, deceduto sulla nord del Pelmo nel luglio del 1975. Dopo la morte di Ursella, i suoi amici alpinisti della Val Comelico, Beppe ed Italo Zandonella, cugini di Mario, vollero pubblicare gli scritti tratti dal diario di Angelo traendone un volume intitolato “Montagne e volontà” – diario alpinistico

    di Angelo Ursella, stampato in tre edizio-ni e ripubblicato dalla Vivalda editrice nel 1994. I proventi delle prime edizioni permi-sero così di realizzare l’idea a suo tempo maturata di installare un bivacco fisso nel gruppo dei Brentoni da dedicare a ricordo dei due alpinisti prematuramente scompar-si, che ai loro tempi praticarono l’alpinismo

    solitario a livelli molto elevati e che in al-cune occasioni furono anche compagni di cordata. Il bivacco venne inaugurato dalle due sezioni il 6 settembre 1978. Presso il bivacco, assieme agli amici alla Sezione del CAI Val Comelico, verrà dedi-cato un momento al ricordo dei due alpi-nisti.

    SOTTOSEZIONE BUJA a cura di Armando Sant e Daniele Giacomini

    PROSSIMI APPUNTAMENTI

    M. CRISSIN DI LAGGIO (M. 2460) BIVACCO URSELLA-ZANDONELLA(Gemellaggio con C.A.I. Val Comelico) 13 SETTEMBRE

    Partenza Piazzale Stazione Gemona del F.li – ore 6:00 Dal parcheggio della Val Piova (m 1180) raggiungibile da Laggio di Cadore, si segue inizialmente una pista forestale contrassegnata dal segnavia CAI n. 330 e in seguito una comoda mulattiera che con ampie svol-te nel bosco e fitte mughete, porta dopo 2:40 ore di cammino al Biv. Spagnolli (m 2047). Si prosegue lungo il sentiero diretto alla Forc. Ciadin Alto Ovest abbandonandolo al primo tornante per traversare lungo tracce sui prati verso sinistra, in direzione di un ampio canalone. Si risale il fondo del canalone per detriti, roccette instabili, e zolle erbose, raggiungendo due pini mughi, quindi in diagonale verso destra fino ad un canale che sale dal basso. Si devia verso sini-stra superando gradoni e saltini di roccia più solida della precedente, fino ad un intaglio. Ci si sposta a destra tagliando un’anticima e per roccette di esce in cima (tot. ore 3: 45).Al rientro si valicherà la Forc. Ciadin Alto Ovest e si scenderà lungo un ripido ghiaione (traccia a volte rovi-nata) alla conca dove sorge il Biv. Ursella - Zandonella (m 2000). Da qui inizia la lunga discesa, dapprima su sentiero CAI n. 330 attraverso un rado bosco di larici, poi lungo il sentiero 335 che più a valle confluisce in una pista forestale fino a raggiungere il solco della Val Grande. Attraversato il solco torrentizio, si prosegue per la pista lasciando a sinistra una deviazione e si esce sul piazzale di un ristorante all’inizio dell’abitato di S. Stefano di Cadore (tot. ore 7:30 circa).

    Per il gruppo B è prevista la sola traversata dalla Val Piova a S. Stefano di Cadore in circa 6:00 ore.

    Mezzo di trasporto Corriera

    Loc. inizio escursione Val Piova

    Dislivello 1280 m

    Durata totale escursione 7:30 ore gruppo A; 6:00 ore gruppo B

    Difficoltà Gruppo A: EE - gruppo B: E

    Cartografia Tabacco 01

    Accompagnatori Romano Minisini, Daniele Giacomini

    Equipaggiamento Normale da escursionismo; casco per gruppo A

    Quota partecipazione 15,00 € per i soci; 10,00 € per i giovani, 15,00 € più assicurazione per i non soci

    Iscrizioni Entro martedì 08 settembre

    BENVENUTO AI NUOVI ELETTIUn benvenuto ai tre nuovi Consiglieri Sezionali, Maurizio Callegarin, Giovanni Compagno e Arrigo Simeoni... ai tre nuovi Revisori dei Conti, Bruno Baracchini, Daniele Giacomini e Rino Gubiani... al nuovo Delegato Sezionale Romeo Bidoli... a tutti un grazie per la disponibilità e un buon lavoro.

  • 13n. 2 giugno 2015

    GROSSESANDSPITZE-LASERZWAND (DOLOMITI DI LIENZ) 26-27 LUGLIORitrovo e orari Piazzale Stazione Gemona del F.li – ore 7:30   GIORNO 1:

    GRUPPO 1 Lasciata la macchina al Lienzer Dolomithen Hutte si prose-gue lungo la strada, fino ad arrivare ad un bivio a quota 1681m. Da li seguire a sinistra fino a raggiungere il Karlsbaden Hutte GRUPPO 2 Lasciata la macchina si prosegue a sinistra sul sentiero numero 14 superando la wesstein alm. Ignorare la pista sulla sinistra ed immenttersi nel Rudi Eller-Weg che supera la cima dell’ Auerlingkopil attraversa la parete orientale del Laserzwand (sentiero attrezzato). Proseguire verso est fino a ricongiungersi a strada per Karlbaden Hutte. Per entrambi i gruppi vi è la possibilità di salire sul Laserzwand il gruppo 1 per sentiero il gruppo 2 per ferrrata GIORNO 2: GRUPPO 1 Da karlbanden hutte 2261 si segue verso est passando alle pendici meridionali del Gamswiesenspitze (2285m), si scende vesr est al schutzehutte (1900). Ore 2. Si risale verso sud al zochenpass (2260m), ci si mantiene in quota verso nord finno al Kleine Torkopf poi in cresta fino all’odkarscharte, poi si scende al karlsbaden hutte (ore 5) Da li alla macchina GRUPPO 2 Da Karlbadenhutte 2261m: proseguire verso ovest fino all pendici della Rotten Turm dove si tova l’attacco della Panorama Klet-terstaig. Si risale per placche (diff B/C) fino a raggiungere la cima del Kl. Laserzkopf, ridiscesi di qualche metro si affornta una ripida parete (diff. B/C) che porta sulla cresta che conduce al Gr. Laserzkopf 2718m. Si ridiscende lungo la cresta fino ad una forcella. Da li si risale, attraverso una ripida parete (diff. B/C) lungo il versante NO del Gr. Galitzenspitze 2710m. Si prosegue in cresta scendendo verso il Kl. Galitzenspitze 2690m. Si scende incresta veroun altra forcella; da dove si risale sul Daumen 2720 (passaggio C/D). Da li attraversoplacche si raggiunge la cima del Grossesandspitze. La discesa avverrà lungo il versante est della catena: attraverso una cengetta si raggiunge il versante sud del Klein sandspitze, da li attraverso un canalone detritico si raggiunge il sentiero, che porta al rifugio. Ore 5 Da li in un ora si torna alla macchina.

    Mezzo di trasporto Mezzi propri

    Loc. inizio escursione Lienzer Dolomithen Hutte (1602m)

    Dislivello Giorno 1: m 900; Giorno 2: gruppo 1 m 800, gruppo 2 00 m

    Durata totale escursione giorno 1: 4:00; giorno 2: gruppo 1 6:00; gruppo 2 7:30

    Difficoltà Gruppo: 1 EE – Gruppo 2: EEA Max passaggio C/D

    Cartografia Kompass 47

    Accompagnatori Federico Copetti, Marco Valent

    Equipaggiamento Normale da escursionismo; set da ferrata, casco e imbrago

    Quota partecipazione Da definire

    Iscrizioni Da definire

    OSSERVATORIO KUGY (GRUPPO NABOIS) 27 SETTEMBRE Ritrovo e orari Piazzale Stazione Gemona del F.li – ore 7:30

    Sentiero riattato dalla Forestale e segnato con bolli gialli e neri. Dalla Val Saisera, cento metri prima della Locanda Montasio, si stacca sulla sinistra una strada che d'inverno fa parte della pista di fondo. La strada attraversa il Torrente saisera e rientra nel bosco. Dopo circa 50 metri si prende un bivio a sinistra che porta ad una radura. Da li il sentiero diventa evidente, attraversa le trincee e costeggia un enorme sasso fortificato. Le postazioni, che fanno parte della prima linea austriaca, sono state in parte ricostruite per scopi didattici e turistici. Il sentiero sale verso le pendici del Piccolo Nabois sempre su strade e sentieri militari, fino ad un pianoro con un grosso mas-so. Qui, seguendo l'indicazione per la via Nord al Grande Nabois il sentiero sale ripido nel bosco, poi, attraversato un canale detritico, con numerosi tornanti arriva alla Piccola sella Nabois. Sulla destra della sella si trova una caverna e i terrazzamenti dove erano costruiti gli alloggi dei soldati; sulla sinistra il sentiero prosegue per ghiaioni fino alla Quota 1725. Su questa piccola cima troviamo la galleria dell'osservatorio, la centrale telefonica, l'arrivo della teleferica e una postazione in cemento per un cannone da montagna. Bellissima la vista sulla parete nord del Montasio. Il ritorno è per l'itenerario dell'andata. Lungo il sentiero nel bosco, numerosi sentieri portano a postazioni e trincee.

    Mezzo di trasporto Mezzi propri

    Loc. inizio escursione Val Saisera

    Dislivello 800 m

    Durata totale escursione 5 ore

    Difficoltà EE

    Cartografia Tabacco 19

    Accompagnatori Davide Tonazzi

    Equipaggiamento Normale da escursionismo

    Quota partecipazione Assicurazione non soci CAI

    Iscrizioni Venerdi prima dell’escursione

    GITE SEZIONALI

  • 14 n. 2 giugno 2015

    GITE SEZIONALIMARRONATA IN VAL BARTOLO 04 OTTOBRE

    Il ritrovo per la marronata sociale si terrà presso uno stavolo in Val Bartolo comodamente raggiungibile in auto da Camporosso.

    NORDIC WALKING IN VAL BARTOLO 04 OTTOBRERitrovo e orari Piazzale Fungo ore 8.00

    Arrivati in auto all'ingresso della Val Bartolo (975 m. par-cheggio), ci si dirige verso la Sella di Val Bartolo sulla car-rareccia di fondovalle fino a raggiungere la Sella stessa (1175 m.). Si entra in territorio austriaco per aggirare, verso sinistra, la cimetta di quota 1193 m., per rientrare subito dopo in Italia, deviando ancora verso sinistra e riportarci sulla carrareccia di salita, per la quale si rientra e ci si porta nella località prestabilita per la “Marronata Sociale”.

    Mezzo di trasporto Proprio

    Loc. inizio escursione Val Bartolo

    Dislivello 200 m

    Durata totale escursione 3 ore e mezza

    Difficoltà T

    Cartografia Tabacco n. 010

    Accompagnatori Gloria Zuliani, Daniele Bertossi

    Equipaggiamento Abbigliamento adeguato a stagione, pedule basse, bastoncini messi a disposizione da istruttrici

    Quota partecipazione Assicurazione non soci CAI

    Iscrizioni Venerdì prima dell’uscita

    CASCATE VAL DELL’ ARZINOe Castello Ceconi, con Operatore Naturalistico Culturale 25 OTTOBRE

    Ritrovo e orari Piazzale Stazione Gemona del F.li – ore 8.30

    La gita prevede la visita alle Cascate dell' Arzino su percorso facile e la visita al Castello del Conte Ceco-ni a Pielungo. L'uscita sarà illustrata dalla presenza del nostro Operatore Naturalistico Culturale della Sezione.

    Mezzo di trasporto Proprio

    Loc. inizio escursione Val d’Arzino

    Dislivello Irrilevante

    Durata totale escursione Salita Gruppo E: ore 4.00

    Difficoltà T

    Cartografia Tabacco n.20 – Prealpi Carniche

    Accompagnatori Edi Artico, Alessandra Contessi

    Equipaggiamento Normale da escursionismo

    Quota partecipazione Assicurazione non soci CAI

    Iscrizioni Il venerdì prima dell’escursione

    MONTAGNA E RAGAZZI di Edi Artico

    AL RIFUGIO ZACCHI IN INVERNALECe l'abbiamo fatta.Ce l'eravamo ripormesso, dopo il successo dell'uscita di settembre e ci siamo riusciti. Siamo tornati al rifugio Zacchi durante il periodo invernale.Non è stata una decisione presa dall'oggi al domani: è stato il frutto di un lavoro e di una collaborazione strettissima fra C.A.I. e SET per riuscire a capire quanti ragazzi venivano, di cosa avevano bisogno, quali po-trebbero essere stati gli imprevisti.Quasi tutti i ragazzi sono senza scarponi e molti senza un minimo di attrezzatura. E allora il C.A.I. si mobi-lita, fa appelli ai soci e contatta l' "Emporio Amico, di man in man" di Gemona. Anche gli operatori SET recuperano scarponi e giacche, cercando in soffitta

    o elemosinandoli da parenti o amici. I contatti sono quotidiani: "Manca un 36!", "Ho un 42!", "Combino un 37...magari con due paia di calzini...", "Serve una sciarpa?". Sono piccoli problemi solo in apparenza: non riuscire a trovare gli scarponi significa lasciare a casa qualcuno; in estate magari la risolvi con un paio di scarpe da ginnastica. Ora no. In inverno un bam-bino senza l'attrezzatura adatta può ridursi a stare male anche seriamente: le scarpe bagnate tutto il giorno, con temperature attorno allo zero potrebbe voler dire, come minimo, avere dolori atroci ai piedi fino al rientro a casa.Solo il giorno della partenza, il 16 febbraio mattina, riusciamo ad avere la conferma che ognuno ha scar-

    poni, giacche, pantaloni, cappello. Partecipano in 18: quelli che non sono venuti non potevano, ma tutti sono stati da subito entusiasti all'idea di andare in montagna d'inverno. Loro sono a casa da scuola per tre giorni (lunedì, martedì grasso e mercoledì delle ceneri) e questa gita ci sta proprio a pennello.Alcuni imprevisti ci rallentano un pò, ma arriviamo al parcheggio dei laghi di Fusine.La sensazione da subito è quella di essere nel grande Nord: in Alaska o in Canada...Però non è cosi freddo come ci si aspetterebbe dalla stagione: il lago Superiore è coperto solo da un sot-tile velo di ghiaccio e anche la strada che conduce al rigufio Zacchi è battuta meglio di una pista da discesa.

  • 15n. 2 giugno 2015

    Dopo anni di esperienze nella telefonia pubblica cellulare fin dalla prima apparizione sul mercato italiano dei primi apparati telefonici mobili, ho pen-sato di spendere qualche parola sull’uso di questi strumenti. Descrivere la filosofia del sistema è piuttosto complesso, comunque qualche indica-zione per comprendere meglio di cosa si parla è necessaria tanto per farsi un’idea. La rete delle celle radio è interconnessa tramite collegamenti fisici (cavi, fibra ottica etc.) alla rete telefonica pubblica per permettere le connessio-ni con ogni servizio a disposizione, ad esempio: internet, telefonia fissa, 113, 118, etc. Ma quello che più ci interessa direttamente è la copertura radioelettrica comunemente chiamata “campo”. Quando il terminale, questo è ormai il nostro tele-fonino, si trova immerso in questo campo elettrico irradiato da un copioso numero di antenne collo-cate ovunque in modi anche impensati, persino mimetizzate in alberi di plastica, siamo connessi con il mondo! La conferma di questa condizione ci viene visualizzata sul display del nostro apparato tramite le ”tacche” che indicano la intensità del campo elettrico quindi la possibilità di comuni-care, nonché la qualità della connessione. Nello specifico, poniamo il caso di avere a monitor una tacca sola, indice di scarsa qualità. Potrebbe non essere possibile la comunicazione per la difficoltà di collegamento cella-telefono, che avviene con lo scambio di dati per mantenere attiva la connessio-

    ne. In effetti in questa condizione è possibile che la stessa venga persa con la conseguente perdita della telefonata. La copertura del territorio come già detto è affidata alle antenne delle molte celle del sistema e comunque orientate a servire le zone più densamente popolate, le vie di comunicazione, le autostrade dove la connessione resta attiva anche in tun