HEIDEGGER E L’ANTISEMITISMO · sta alla luce degli appunti filosofici denominati Quaderni neri (...

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HEIDEGGER E L’ANTISEMITISMO di Francesco Cuccaro I controversi rapporti tra il filosofo tedesco Martin Heidegger e il nazionalsocialismo sono stati oggetto di indagine già a partire dall‟immediato dopoguerra, e concernono una temat ica ripropo sta alla luce degli appunti filosofici denominati Quaderni neri ( in tedesco Schwarze Hefte ), redat ti tra il 1931 e il 1970 circa, dei quali i primi tre volumi sono stati pubblicati dalla casa editrice Vittorio Klostermann di Francoforte, a partire dal 2014. È evidente che il contenuto dei Quaderni neri non sarebbe neanche affrontabile se prescindessi mo dalla prospettiva del « mago di Messkirch » della sua ontologia esistenziale, o ontologia fenomenologica come preferir si voglia, che verte su due nozioni cardinali che sono la differen za ontologica e l’omogeneità dell’essere col tempo, messe in risalto attraverso la decostru zione della metafisica tradizionale e l‟analisi dell‟esistenza condotta con il m e t o d o f e n o m e n o l o g i c o . Infatti come osserva Heidegger la metafisica classica risulta fondante solo in relazione al 1

Transcript of HEIDEGGER E L’ANTISEMITISMO · sta alla luce degli appunti filosofici denominati Quaderni neri (...

HEIDEGGER E L’ANTISEMITISMO

di Francesco Cuccaro

I controversi rapporti tra il filosofo tedesco Martin Heidegger e il nazionalsocialismo sono stati

oggetto di indagine già a partire dall‟immediato dopoguerra, e concernono una tematica ripropo

sta alla luce degli appunti filosofici denominati Quaderni neri ( in tedesco Schwarze Hefte ), redat

ti tra il 1931 e il 1970 circa, dei quali i primi tre volumi sono stati pubblicati dalla casa editrice

Vittorio Klostermann di Francoforte, a partire dal 2014.

È evidente che il contenuto dei Quaderni neri non sarebbe neanche affrontabile se prescindessi

mo dalla prospettiva del « mago di Messkirch » della sua ontologia esistenziale, o ontologia

fenomenologica come preferir si voglia, che verte su due nozioni cardinali che sono la differen

za ontologica e l’omogeneità dell’essere col tempo, messe in risalto attraverso la decostru

zione della metafisica tradizionale e l‟analisi dell‟esistenza condotta con il m e t o d o f e n o m e

n o l o g i c o.

Infatti — come osserva Heidegger — la metafisica classica risulta fondante solo in relazione al

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„tempo presente‟, contribuendo così all‟oblio di questa differenza ontologica, in forza della

quale l’Essere — pur essendo la condizione dell‟apparire degli e n t i — non è « oggettivabile » e

« rappresentabile », e del quale l‟uomo — cioè l’Esserci — ha una “comprensione media e va

ga”. Nella seconda fase della sua speculazione, lo studioso svevo insiste su un certo rapporto tra

l’Essere e l’Evento ( in tedesco Ereignis ), dando ad intendere che la storia dell‟umanità sia pro

prio il « destino » dell‟E s s e r e.

Inoltre Heidegger sottolinea come la tecnica sia l‟esito consequenziale della metafisica.

Di primo acchito, entrambi i concetti sembrerebbero escludersi, se per t e c n i c a intendiamo un

complesso di nozioni e di operazioni pratiche, e per m e t a f i s i c a una disciplina contemplati

va. Tuttavia, contrariamente ai pensatori razionalisti, egli non considera la m e t a f i s i c a co

me una conoscenza puramente disinteressata della Realtà, perché, in coerenza con la sua Analiti

ca esistenziale, rileva che l‟uomo si rapporta agli e n t i ( “prendendosi cura” dei medesimi ) per la

loro « utilizzabilità ». Influenzato dalle correnti di Nietzsche e di Dilthey, teorizza la m e t a f i

s i c a e la t e c n i c a quali espressioni della volontà di potenza che punta al dominio degli enti.

Inoltre, entrambe presuppongono la loro “organizzazione razionale” che « sclerotizza » e « stati

cizza » — « ripiegando ed appiattendo su ciò che già è », nel „tempo presente‟ — la s t o r i a, la

n a t u r a, in una parola, la v i t a nel suo flusso diveniente. Insomma, la m e t a f i s i c a compor

ta — riecheggiando le parole di Marx — una « reificazione » e una entificazione dell‟E s s e r e, ri

ducendolo a C o s a, né più e né meno di quello che genera la t e c n i c a.

Tornando alle argomentazioni dei suoi Quaderni neri, Heidegger traspone in termini speculativi

la storia della civiltà occidentale ( e, in primo luogo, della Germania ), dalle quali si evincerebbe

ciò che i suoi interpreti definiscono — alcuni come la Di Cesare — il suo antisemitismo metafisi

co — e altri come il Trawny — il suo antisemitismo onto - storico. È certa la sua compromissio

ne con il nazismo, come risulta discutibile la sua distanza dalla politica attiva negli anni 1933 -

45. Non si danno — in quei primi tre volumi dei Quaderni neri, come nel complesso degli altri

scritti heideggeriani — sufficienti motivi per credere che lo studioso svevo condivida ed appoggi

il razzismo biologico alla base dell‟ideologia nazista, nonostante il suo allineamento alla « realpo

litik », rifiutato da tanti prestigiosi interpreti della cultura dell‟era weimariana che optano o per

la via dell‟opposizione o per quella dell‟« emigrazione interna ».

Per la filosofia l‟importanza di un giudizio etico sul professore di Messkirch è molto relativa. Si

può convenire più o meno con la tesi della Di Cesare circa il paradosso della grandezza dello stu

dioso con la piccineria del nazista. Crediamo che il problema sia nondimeno filosofico, cioè quello

della coerenza o meno di una „speculazione‟ con una „circostanza storica‟ quale è stata, appunto,

la tragica parentesi del Terzo Reich. Occorre comprendere quest‟ultimo alla luce sia dell‟ontolo

gia che dell‟ermeneutica heideggeriane. Come dire, in altri termini, che il mistero dell’Essere è

inscritto nell‟a c c a d e r e; e a questo non sfugge neanche il brutale fenomeno nazista. Al riguar

do, è utile ricordare che l‟ontologia di Heidegger si articola in due fasi distinte : la prima è quella

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che insiste sulla s t o r i c i t à caratterizzante l ’ e s i s t e n z a u m a n a nel suo « progettarsi »,

nel suo « scegliersi », nel suo « decidersi »; la seconda è quella che puntualizza il carattere « rive

lativo » dell‟E s s e r e, del m i s t e r o d e l l ’ E s s e r e.

La « svolta » ( in tedesco Kehre ) rappresenta un pò la « cesura » tra le due fasi e che è contempo

ranea alla fine della Repubblica di Weimar e all‟inizio del Terzo Reich, nella quale Heidegger ri

pensa l ’ E s s e r e considerato come S t o r i a, dove l‟uomo affiderebbe « il gioco delle situazioni

e delle circostanze » non più ad una decisione e ad una scelta, ma ad un destino imprevedibile e

sfuggente.

Pur parlando del d e s t i n o nell‟ambito della differenza ontologica, esclude l‟idea del medesi

mo come forza estranea ed « entificata ». E in virtù di tale suo — chiamiamolo pure così ma con

le debite riserve — fatalismo storico, Heidegger ripone le aspettative nel nazionalsocialismo che

la s t o r i a d e l l ’ E s s e r e « dona » al genere umano per salvare la Germania e la civiltà occi

dentale dai mali della modernità, dai pericoli della tecnica, dal predominio assoluto dell‟E n t e, e

dalla radicale inautenticità dell‟esistenza, qualora si impongano l‟assenza di libertà, di originali

tà e di creatività, del senso della storia e del rispetto della natura, la mancanza di fede in un‟uni

tà mistica dell‟uomo con il cosmo ( per mezzo del Volk ), l‟artificio, il conformismo, l‟uniformità,

la massificazione, l‟omologazione…

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Paradossalmente parlando, la massificazione, l‟omologazione, il conformismo e l‟uniformità, so

no anche le note del totalitarismo politico — come quello espresso dal regime hitleriano — volu

tamente ignorato da Heidegger ed analizzato, invece, dalla sua allieva Hannah Arendt, sorvolan

do sull‟omologazione culturale promossa in Germania dal Ministero della Propaganda di Goeb

bels. Insomma, ciò che conta per lui è il totalitarismo del mondo della tecnica, il che è pertinente;

ma ignorare che l‟organizzazione scientifico - tecnologica dell‟esistenza non abbia anche un carat

tere essenzialmente politico, soprattutto se fatto valere in un regime autoritario di massa e a par

tito unico, ce ne corre. L‟ambiguo silenzio di Heidegger — che poi viene meno con la recente pub

blicazione già dei primi tre volumi dei suoi Quaderni neri — sui suoi rapporti tutt‟altro che con

trastanti con il nazismo non corrisponde al suo rifiuto di abiurarne l‟ideologia, della quale — nel

la sua letteratura — non fa mai cenno per quanto concerne i presupposti razzisti, o ad una sua

esplicita approvazione della politica di « igiene razziale » condotta da Hitler durante la guerra.

Non può esserci abiura laddove non si è data esplicita professione di fede ideologica. Ma quale ti

po di « coerenza filosofica » si dovrebbe ricercare nello studioso di Messkirch, soprattutto in rela

zione al nazionalsocialismo ?

Si è « responsabili » solamente quando ci si dispone — « in ascolto » — verso l‟E s s e r e, o ci si è

« responsabili » anche se ci si dispone alla resistenza nei confronti del d e s t i n o, magari avverti

to come ingiusto ed assurdo ? In quale dei due modi si realizza l’esistenza autentica ? Optan

do per Hitler, Heidegger risponde positivamente solo al primo quesito. Dunque responsabilità

dei vertici politici e militari del Terzo Reich o anche responsabilità di chi li ha contrastati, cioè

degli oppositori interni e delle potenze straniere che hanno vinto la seconda guerra mondiale ?

Il « silenzio » di Heidegger non solo per la sconfitta della sua nazione, ma anche per la delusione

verso un regime sanguinario e corrotto, è lo stesso « silenzio » di numerosi tedeschi che, fiduciosa

mente e acriticamente, si sono abbandonati alla volontà di potenza e alla libertà di decisione di

un dittatore. In quanto significativo punto di riferimento della classe dirigente, Heidegger si com

porta peggio nel subire « l‟uniformazione » promossa dal governo di Hitler, « lasciando essere »

la dittatura, la guerra, la Shoah, la catastrofe del proprio paese, il dominio della tecnica tanto de

plorato e al quale il nazismo non ha rinunciato. Ne consegue che il „silenzio di Heidegger‟ è « col

pevole », soprattutto dopo il 1945, per l‟assenza di una sua pubblica ammissione di „responsabili

tà‟ ( a favore o contro ) in relazione al nazismo e alla Shoah, tradendo proprio — davanti a que

sta sofferta e terribile prova della storia — la vocazione a realizzare l ’ e s i s t e n z a a u t e n t i

c a, soprattutto filosofica.

Proprio per effetto di questa « deresponsabilizzazione » personale e collettiva, una tesi avallata

non solo durante il processo di Norimberga, ma anche incoraggiata nell‟era di Adenauer, attri

buendo la causa degli errori e degli orrori al solo Führer o ad un oscuro « disegno del destino », si

evince che quello dello studioso di Messkirch non è il « silenzio » della vergogna in rapporto ad

una colpa riconosciuta, bensì il « silenzio » della delusione e della disillusione verso un regime li

berticida che ha tradito le aspettative ( non solo le sue ) di un popolo e di un‟intera civiltà, mi

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nacciati da due « blocchi » che simboleggiano il dominio della tecnica, bollando — nientemeno

in uno dei suoi passaggi — il nazismo di « americanismo ». Questa sua meditazione avvalorereb

be la tesi avanzata da Rüdiger Safranski, secondo la quale lo studioso di Messkirch avrebbe per

so la fiducia nel nazionalsocialismo all‟indomani della Notte dei lunghi coltelli della fine di giugno

1934, quando, attraverso l‟epurazione delle SA di Ernst Röhm, vengono liquidate, per sempre,

le speranze di un progetto rivoluzionario di sovvertimento del regime capitalistico ( fatte proprie

dai fratelli Gregor e Otto Strasser e dal nazibolscevismo di Ernst Niekisch ) e, con esse, le sue

aspettative di una rigenerazione spirituale dei tedeschi e dell‟umanità intera, a tutto vantaggio

delle posizioni biologiste e razziste di Alfred Rosenberg e dei suoi sostenitori. Sospettato dalle au

torità politiche del Terzo Reich di « frazionismo », Heidegger non incorrerà in nessua censura da

parte del regime nazista, da lui mai rinnegato in pubblico e in privato. La sua idea di una « rivo

luzione tradita » da Hitler, tuttavia, mal si concilia con la sua tesi circa l‟auto - annientamento

degli ebrei attraverso la tecnica.

Da questa serie di considerazioni ne consegue che, agli occhi di Heidegger, la vera vittima sia il

popolo tedesco più che le nazioni da esso aggredite o le minoranze razziali perseguitate dal suo go

verno dittatoriale. È indubbio che la Germania sia vittima ( oltre che complice ) della politica na

zista, ma si tratta di un dettaglio tendenziosamente esagerato dallo studioso svevo. La sua wel

tanschauung fa di lui uno degli epigoni del Romanticismo, perché focalizzerebbe “l‟altro inizio”

nel ritorno ad una sana civiltà contadina e nella difesa della tradizione : una visione del mondo

comune ai movimenti volkisch, nondimeno al patrimonio ideologico del nazionalsocialismo che

l‟ha pervertita con la sua idea di razzismo biologico. Paradossalmente parlando, anche il sistema

concentrazionario — la cui espressione terrificante è quella dei campi di sterminio, in quanto

“fabbriche della morte” ( secondo la pertinente formula di Hannah Arendt ) — rientra nel domi

nio della t e c n i c a. Anche il regime di Hitler si è lasciato sedurre dalla fascinazione della tecni

ca e della modernità ( basti pensare alla « pianificazione » dell‟economia, del riarmo e della

Shoah ) che continuano ad esercitare la loro oppressione nei confronti dell‟Occidente, attraverso

la catastrofe della nazione tedesca durante il conflitto del 1939 - 45, e oltre.

Al di fuori dei Quaderni neri, Heidegger fa, una sola volta, esplicito ricorso ai campi di sterminio

e alle uccisioni nelle camere a gas, in una conferenza del 1949 dal titolo Dell’imposizione ( in tede

sco Das Ge - stell ), ma solo per indicare i Vernichtungslager quale variante negativa dell‟uso della

tecnica :

“L‟agricoltura è ora un‟industria motorizzata per la produzione di cibo; quanto alla sua essenza, la stessa cosa che

la produzione di cadaveri nelle camere a gas e i campi di sterminio, la stessa cosa che il blocco e la riduzione del pae

se alla fame, la stessa cosa che la produzione di bombe ad idrogeno”.

Si tratta di un « uso distruttivo » del potenziale tecnologico che non solo comporta lo squilibrio

dell‟uomo con la natura, pregiudicando il nuovo, il creativo e l’originale, ma assume l‟aspetto di

una minacciosa ritorsione nei confronti della V i t a. Ritengo che in questa prospettiva vada in

terpretata la suddetta nota heideggeriana, così cinica in apparenza per il paragone un pò azzar

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dato tra la produzione dei corpi gasati e cremati nei lager e la riduzione alla fame di determinate

nazioni, la produzione « motorizzata » di cibo e di bombe all‟idrogeno. Anche la sua corrispon

denza con Herbert Marcuse ( dopo la cessazione del conflitto mondiale ) puntualizza questo

aspetto paradossale della sua meditazione, alludendo ai dislocamenti dei tedeschi dell‟est gestiti

dall‟Armata Rossa, ma con l‟assenza di qualsiasi proposito genocida.

Con un‟infelice battuta Heidegger rileva che si tratta di una produzione che fa « violenza » alla

natura, dunque una produzione che equivale alla distruzione, rendendo più che avvertibile il sen

so della visione drammatica di un predominio funesto dell‟E n t e, così esemplarmente trasposta

nel celebre film di Fritz Lang del 1926, Metropolis ( contemporaneo alla stesura di Essere e Tem

po ), dove una ragazza salva l‟umanità da una economia « robotizzata » e « meccanizzata ». A

mio giudizio Heidegger, in un primo tempo, puntualizza « il carattere illusorio » di una concilia

zione forzata tra arte, artigianato ed industria, rinnegandola, dopo la sua successiva „svolta‟ —

la Kehre — quando rileva che “l'essenza più profonda della tecnica non è nulla di tecnico”.

Lo studioso di Messkirch allude ad un conflitto metafisico tra l ’ E s s e r e e il dominio dell‟E n

t e, tra la tradizione e la modernità di cui, da un lato, i tedeschi e la civiltà occidentale e, dall‟al

tro, gli ebrei assurgerebbero a guisa di figurazioni. Nella Lettera sull’umanismo, egli allude ad un

d e s t i n o d e s t i n a n t e coappartenente agli uomini e alle nazioni, non potendo misconoscere

che tale d e s t i n o ( in tedesco Geschik ), sebbene sfugga ad una « legge », ad una « regola » o ad

una « predeterminazione », sia ineludibile.

L ’ E s s e r e come Ereignis, come « eventuarsi », « ha da venire » ma, per quanto non sia separa

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to dall‟uomo, non riscontra in quest‟ultimo ( o in un‟entità a lui superiore ) il proprio principio

causale. Dunque, se la tecnica va oltre la capacità umana di essere prevista, impedita, ostacola

ta, non è plausibile considerarla quale inscritta nel d e s t i n o d e l l ’ E s s e r e ? La meditazione

heideggeriana appare ambigua se, da un lato, insiste sull‟“oblio dell‟Essere” che si accompagna

alla tecnica e, dall‟altro, sottolinea l ’ E s s e r e quale imprescindibile condizione dell‟apparire de

gli e n t i. Le Überlegungen tematizzano la discutibile compatibilità dei tedeschi con l ’ E s s e r e

e degli ebrei con la tecnica; ma, a giudizio di Hitler prima di suicidarsi, i tedeschi non hanno ret

to alla prova della storia. La disfatta del Terzo Reich è legata alla potenza soverchiante della te

cnica. Il filosofo di Messkirch consolida e radicalizza tale suo convincimento, insinuando che il

suo popolo, anche dopo il 1945, permane ancora vittima della potenza della tecnica.

Questo perseverato rifiuto di pubblica ammissione di „responsabilità‟ da parte di Heidegger, soprat

tutto dopo il 1945, rende veramente ardua l‟omogeneità delle fasi della sua speculazione : la pri

ma che concerne l’esistenza autentica; la seconda che ha per riferimento la storia dell’Essere.

Ora, se in quest‟ultima è inscritta la tecnica, il paradosso della sua meditazione sarà quello di

non sfuggire al nichilismo ( proprio quello da lui indicato come l‟anima della „metafisica occi

dentale‟ ), in forza del quale l‟esistenza umana e il mondo che la condiziona risultano privi di sen

so. Per superare, in qualche modo, questo paradosso, non resterà al « mago di Messkirch » — rie

cheggiando la massima di Hölderlin sulla « salvezza » insita nel « pericolo » — che riscontrare

nella t e c n i c a una pro - vocazione dell‟E s s e r e e un invito all‟uomo perché accetti consapevol

mente il proprio destino.

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Contrariamente a quanto si crede, Martin Heidegger rimane irretito nella presunzione nazionali

sta che lo induce a considerare il popolo tedesco quale privilegiato “custode dell‟Essere”. Ma per

ché, secondo l‟autore delle Annotazioni che vanno dal 1942 al 1948, gli ebrei, oltre ad essere gli

agenti della modernità, vengono collegati al dominio della tecnica ? Secondo alcuni studiosi, mol

ti passaggi numerati dei Quaderni neri evidenziano affermazioni chiaramente antisemite in testi

non sollecitati e non destinati alla pubblicazione durante il Terzo Reich e nell‟immediato dopo

guerra, offrendo quindi un profilo sincero e meno oscuro del frequentatore di Todtnauberg che fis

sa liberamente per iscritto le sue meditazioni.

La persecuzione hitleriana degli israeliti non risulta estranea alla coscienza del professore di Fri

burgo; ma considerarli quali veri agenti della modernità apparirebbe piuttosto un ozioso sofi

sma, per la semplice constatazione che non è vero che tutti quanti sono favorevoli all‟industria

lizzazione, alla democrazia e al relativismo etico nonché al pacifismo, o che siano nemici dell‟arte

e della poesia e propagatori del « veleno » del materialismo. Ma è pur vero che numerosi figli di

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Abramo — viste le persecuzioni, soprattutto di natura religiosa, subìte dal loro popolo nei secoli

— abbiano finito per simpatizzare per la battaglia illuministica, contribuendo così alla diffusio

ne delle idee di libertà, di uguaglianza e di progresso. Ne consegue che la nozione ( non tipicamen

te heideggeriana ) del Weltjudentum, del giudaismo mondiale, dello spirito ebraico per eccellenza,

per quanto possa apparire discutibile, non assume carattere di grossolana ed insensata operazio

ne di fantapolitica ( basti pensare alla sua strumentalizzazione da parte delle chiese cristiane pri

ma del 1945, e di certo conservatorismo ecclesiastico prima del Concilio Vaticano II ). In forza di

una loro sedicente « mentalità apolide », gli ebrei sembrano incarnare l‟essenza del « nomadi

smo » e dello « sradicamento ».

Nella contrapposizione tra i tedeschi e gli ebrei, Heidegger — lungi dall‟odio che sconfina nel pa

rossismo e nella violenza — non fa delle discriminazioni, sancite dalle famigerate Leggi di Norim

berga del 1935, una svolta puramente e solo razziale : per lui non si tratta di una persecuzione

contro alcuni cittadini tedeschi distinti dagli altri per fede e…per « razza », bensì di un‟estrema

difesa della Germania dallo « spirito ebraico » che ne minerebbe la vita nazionale, e con ciò limi

tandone una presunta e nefasta influenza sull‟economia. Paradossalmente, Heidegger ritorce su

gli ebrei il rifiuto dei “matrimoni misti” per il loro « carattere endogamico »; al riguardo, il gover

no nazista non farebbe altro che sancire il loro « esclusivismo », ignorando, però, l‟evidenza delle

loro unioni coniugali ed extraconiugali con i gentili. Dunque, una contrapposizione tra i tedeschi

— e con essi la civiltà occidentale — e gli ebrei avviene da un punto di vista spirituale e su un

piano onto - storico. Secondo Heidegger, lo sradicamento degli ebrei non avrebbe solo valenza

metaforica, ma è anche un puro e semplice « fatto » reale : essi contribuiscono allo sradicamento

dell‟E n t e dall‟E s s e r e. Ne sarebbe prova la filosofia del « giudeo » Husserl che, mettendo

tra parentesi ( = epoché ) i valori della tradizione, si appella ad una sorta di « razionalità univer

sale » che comporterebbe il livellamento di uomini e di popoli, e il mancato riconoscimento di le

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gami sociali, corporativi, nazionali e consuetudinari.

Ma non sono solo, in misura maggiore, i tedeschi e l‟Occidente ad essere le vittime del dominio

della tecnica. Per Heidegger lo sono anche gli ebrei, ma che con la Shoah essi si sono auto - an

nientati. L‟autoannientamento ( in tedesco Selbstvernichtung ) è un concetto e un termine ricorren

ti in un‟annotazione del 1942, proprio nel cruciale periodo in cui i nazisti pianificano l‟Olocau

sto, favorendo quella che, in un appunto dell‟anno precedente, Heidegger denomina purificazio

ne dell‟E s s e r e.

Si tratta di una meditazione radicale proprio perché, nei Quaderni neri, Heidegger affronta la te

matica della Shoah, essendo essa il più eclatante scenario del terribile scontro tra l ’ E s s e r e e

l ’ E n t e, affinché lo spirito della civiltà occidentale assuma « l‟altro inizio » — nella figura della

Germania hitleriana — e gli ebrei rappresentino « la fine che deve semplicemente finire ».

Più che l‟affermazione che gli ebrei si sono auto - annientati, ciò che di primo acchito sconcerte

rebbe è la giustificazione onto - storica della Shoah, quasi ad ammettere la « non assurdità » di

un evento criminoso e raccapricciante ( lo è anche per Heidegger ), ma soprattutto perché ne sot

tolinea l‟ineluttabilità. Per il filosofo di Messkirch, anche la guerra è una strada obbligata, mal

grado tutto, per l‟affermazione del nuovo e dell‟inedito; e la guerra mondiale ( della quale egli ha

già piena consapevolezza quando parla di “conflitto planetario” ) è il « Grande Evento » con il

quale si confrontano tutte le esistenze, il banco di prova perché lo spirito dell‟Occidente possa ri

generarsi, e il « luogo » dove la tecnica si esaurisca e, dopo aver consumato attraverso l‟estremo

e rapace sfruttamento delle c o s e, consumi se stessa. Il sistema concentrazionario rappresenta

questo ripiegamento autodistruttivo della t e c n i c a, indispensabile alla purificazione dell‟E s

s e r e, per realizzare l‟unità dell‟uomo con la natura.

Gli ebrei sono stati « stritolati dal dispositivo », dall‟ingranaggio, che hanno messo in atto per il

dominio del mondo. Si tratta di una meditazione alquanto bizzarra che, se rivelata all‟epoca,

avrebbe suscitato l‟ironia degli stessi nazisti, ed intellettualmente disonesta, in quanto l‟equazio

ne ebrei = modernità = tecnica non solo è da dimostrare sul piano logico, ma è destituita di fon

damento storico, se pensiamo agli antichi abitatori della Palestina che, a differenza degli egizia

ni, dei babilonesi, dei persiani, dei greci e dei romani, non si sono mai distinti per l‟architettura,

l‟urbanistica e, in genere, per le applicazioni tecniche; e, vi aggiungerei, neanche per le arti figu

rative, dal momento che la Torah proibisce la rappresentazione di esseri viventi al fine di scorag

giare l‟idolatria ( Dt. 4,14ss ). Heidegger potrebbe replicare a questa obiezione, asserendo che, in

tegrandosi con il sistema capitalistico, gli ebrei a lui contemporanei non avrebbero mai avuto la

percezione, non assente nell‟antica Grecia, dell‟a r t e = poiesis = techne.

L‟auto - annientamento ( in tedesco Selbstvernichtung ) pertiene al destino storico - filosofico di

Israele, al pari delle plurisecolari persecuzioni rientranti nel suo destino storico - teologico in for

za del deicidio. Ciò non toglie che la speculazione dei Quaderni neri, ignorando il distinzionismo

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socratico ( che marca i confini tra il „vero‟ e il „falso‟, il „giusto‟ e „l‟ingiusto‟ ), possa scadere, no

nostante alcune intuizioni pertinenti e non sottovalutabili, al livello di un « sofisma » da copertu

ra alla più prosaica paranoia nazionalista.

Quindi un « destino » che coinvolge gli israeliti non in quanto « razza » e forse neanche come po

polo, bensì in quanto interpreti di uno « spirito » avverso a quello dell‟Occidente. Lo studioso

svevo identifica la metafisica con la comunità degli ebrei ( in tedesco Judenschaft ). Essi sono il

popolo metafisico, per antonomasia, che ha legato tale scienza alla presunta rivelazione di Dio

sul monte Horeb, comportando il senso della radicale « estraniazione » e dell‟irriducibile « alteri

tà ». Nutrito di esegesi biblica, Heidegger insinua che essi non abbiano intuito oppure che abbia

no, addirittura, falsato l‟autentico significato del sacro Tetragramma : YHWH ( Es. 3,14ss ).

Se le meditazioni heideggeriane dei Quaderni neri vanno inquadrate nella prospettiva dell‟E s

s e r e in rapporto all‟E v e n t o, allora c‟è ben poco spazio da offrire alla responsabilità indivi

duale e collettiva. A rigor di logica, pertanto, si dovrà ammettere che la persecuzione antisemi

ta, durante il Terzo Reich, appare un evento ineluttabile superiore alla stessa volontà di Hitler.

Dunque : un evento che non si sarebbe non potuto realizzare prima o poi. Di fronte all‟e v e n

t u a r s i che procede inarrestabile, sfumerebbe anche la responsabilità del Führer che, in un de

terminato periodo della sua esistenza, si è affidato fiduciosamente — per essere poi « ricambia

to » — al ( in tedesco Spiel ) “gioco dell‟Essere”.

Per i Quaderni neri la Shoah apparirebbe un crimine, se non proprio necessario, quanto meno non

impossibile; ma il Weltjudentum non si è auto - annientato nel 1945. Se il culmine dell‟autoan

nientamento non è stato conseguito, si pongono alcuni interrogativi. Questa r i v e l a z i o n e

d e l l ’ E s s e r e, nel regime nazista e nella seconda guerra mondiale, non è puramente « presun

ta » ? O — mettiamola sul piano dell‟ironia — piuttosto l ’ E s s e r e si è contraddetto favorendo

la vittoria militare dei nemici del Terzo Reich ? O ancora : può darsi la capacità dell‟uomo singo

lo e/o di un popolo di « resistere » al destino e, addirittura, di « crearlo » ?

Comunque Heidegger non intende ricredersi e la partita tra la Germania e il suo proverbiale ne

mico, l‟Ebreo ( che condiziona sia il capitalismo nordamericano che il bolscevismo orientale ), è

ancora aperta, perché è ora il popolo tedesco a rischiare di essere « stritolato nell‟ingranaggio » :

“Il mancato riconoscimento di questo destino ( il destino del popolo tedesco ), l‟averci repressi nel nostro volere il

mondo, non sarebbe forse, una „colpa‟, e una „colpa collettiva‟ ancor più essenziale, la cui enormità non può essere

misurata all‟orrore delle „camere a gas‟, una colpa più terribile di tutti i „crimini‟ ufficialmente « stigmatizzabili »,

della quale nessuno si scuserà nel futuro ? Si intuisce già ora che il popolo e la terra tedeschi non sono che un solo

campo di concentramento ( ein einziges Kz ) — quale il mondo non ha ancora visto e che il mondo non vuole vedere

— un non - volere ben più volente e consenziente della nostra assenza di volontà verso l‟inselvatichirsi del nazional

socialismo”.

Di fronte al d e s t i n o non si danno né vincitori né vinti, perché tutti sono soggiogati dalla t e

c n i c a; e, per Heidegger, la colpa gravissima — anche superiore a quelle commesse nei Vernich

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tungslager — concerne l‟ostacolo all‟ontologia di affermarsi, « intuita » dai/nei tedeschi. E poi

ché il culmine dell‟autoannientamento non è stato raggiunto, la Germania, oltre ad essere penaliz

zata dalle armi nemiche, è diventata a sua volta un enorme « campo di concentramento ». Nel

suo « gioco », l ’ E s s e r e non ha abbandonato anche i tedeschi a loro medesimi ed alla loro « fat

ticità » ?

Dopo la seconda guerra mondiale, oscillando tra un atteggiamento misticheggiante e la delinea

zione di una vaga filosofia della storia, si profilerebbe in Heidegger una prospettiva nichilistica,

reagendo alla quale avrebbe auspicato un « futuro per la Germania », con l‟instaurazione di un

Quarto Reich che non corrisponde alla nostra epoca, dove una Germania non « derazzificata »

con l‟eliminazione fisica delle etnie inferiori, secondo i canoni dell‟ideologia nazionalsocialista, si

scopre, per così dire, « imbastardita » per l‟incremento di immigrati stranieri, con il suo ruolo di

« locomotiva » dell‟Unione Europea, ma sottomessa al pressoché incontrastato dominio della t e

c n i c a.

PER UNA BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Donatella Di Cesare, Heidegger e gli ebrei. I Quaderni neri, Bollati Boringhieri, seconda edizione

ampliata ( 2016 )

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Victor Farias, Heidegger e il nazismo, Bollati Boringhieri, 1988.

Emmanuel Faye, Heidegger, l’introduzione del nazismo nella filosofia, Albin Michel,

Rüdiger Safranski, Heidegger e il suo tempo, TEA, Milano settembre 2008.

Peter Trawny, Heidegger e la cospirazione ebraica mondiale, Bompiani 2014.

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