Harry Potter - Capitolo 22

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1 L a Preside stava scorrendo con gli occhi una pergamena dall’aria ufficiale, quasi a non voler prestare attenzione allo studente in piedi davanti alla sua scrivania. Di tanto in tan- to si soffermava su una riga, faceva segno ad una Penna Prendiappunti e quella iniziava a muoversi spedita su un altro foglio. Harry aspettò che avesse finito, senza fretta. La McGranitt era evidentemente delusa per il suo comportamento del giorno prima e lui non inten- deva indisporla più del necessario. «Accomodati, Potter, immagino che tu sia stanco». CAPITOLO 22 TROVA TU IL TITOLO AL 22° CAPITOLO! Appena terminata la lettura vai nel forum e posta il tuo titolo “ideale” per questo capitolo, il titolo più gradito sarà usato per la pubblicazione ufficiale!

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Il 22° capitolo di Harry Potter 8

Transcript of Harry Potter - Capitolo 22

1

La Preside stava scorrendo con gli occhi una pergamena dall’aria ufficiale, quasi a non voler prestare attenzione allo studente in

piedi davanti alla sua scrivania. Di tanto in tan-to si soffermava su una riga, faceva segno ad una Penna Prendiappunti e quella iniziava a muoversi spedita su un altro foglio.

Harry aspettò che avesse finito, senza fretta. La McGranitt era evidentemente delusa per il suo comportamento del giorno prima e lui non inten-deva indisporla più del necessario.

«Accomodati, Potter, immagino che tu sia stanco».

CAPITOLO 22

TROVA TU IL TITOLO AL 22° CAPITOLO!

Appena terminata la lettura vai nel forum e posta il tuo titolo “ideale” per questo capitolo, il titolo più gradito sarà

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Harry si sedette senza rispondere alla provoca-zione.

«Hai qualcosa da dirmi?» continuò la profes-soressa.

Aveva parlato senza staccare gli occhi dalla pergamena. L’amarezza celata dietro il tono soste-nuto era evidente. Harry inspirò profondamente.

«Sì».Minerva McGranitt prese una penna, la intinse

nell’inchiostro e iniziò a svolazzare la sua firma. «Parla pure».

«Sono successe molte cose nei giorni scorsi... Ron ...». Harry sospirò. «Non voglio giustificar-mi... in realtà sono qui per scusarmi».

Finalmente la Preside alzò gli occhi, scrutan-dolo al di sopra degli occhiali.

L’espressione era sempre indecifrabile, ma ad Harry parve di cogliere una punta di compiaciuta sorpresa. La McGranitt posò la penna e iniziò a riavvolgere la pergamena su se stessa.

«Continua, Potter» disse, mentre mandava un sigillo ad intingersi nella ceralacca.

Harry prese fiato di nuovo. Chiuse un attimo gli occhi e sentì il sangue pulsargli nelle vene. Era più difficile di quanto avesse pensato.

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«Il mio comportamento non può essere giusti-ficato: non avevo il diritto di lasciare la Scuola e, soprattutto, non dovevo ripresentarmi in quelle condizioni. Sono uno studente come tutti gli altri e, come tutti gli altri, devo rispettare le regole».

«Se non fossi certa della tua identità potrei giu-rare che sei un impostore sotto l’effetto della Po-zione Polisucco. Cos’è successo Potter? Per caso Aberforth ti ha dato da bere un po’ di Distillato Di Buonsenso?».

Ma Harry non sorrise. Ora che era arrivato il momento, per un attimo, ebbe l’istinto di biascica-re delle scuse e uscire di corsa dall’Ufficio.

Sentì i suoi piedi pestare nervosamente il pavi-mento. Sarebbe bastato dare alle sue gambe l’or-dine di alzarsi e l’avrebbero eseguito. Stava per farlo, era sul punto di aprire la bocca per parlare, ma qualcosa lo trattenne.

Sospirò, strinse i denti e si preparò alla tempe-sta che, lo sapeva, sarebbe arrivata presto.

«No, Professoressa» rispose. La sua voce era incredibilmente ferma, nonostante il pulsare rab-bioso del sangue contro le tempie. «Ho solo rea-lizzato che vorrei partire e mettermi alla ricerca di

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Ron prima possibile. Devo trovare chi lo ha rapito e fargliela pagare, ma rimango ancora uno studen-te, e, in queste condizioni, non posso farlo».

La Preside si sistemò gli occhiali e lo fissò ne-gli occhi. Harry sostenne lo sguardo, immobile davanti alla scrivania.

La McGranitt sorrise di nuovo; il tono di voce era più dolce quando rispose. «Spero che te ne ri-corderai la prossima volta che ti verrà qualche al-tra balzana idea per la testa ...».

«Non ci sarà una prossima volta».Le parole erano uscite fuori da sole. Harry trat-

tenne il fiato, mentre le pulsazioni contro le tem-pie si facevano sempre più forti.

«Mi fa piacere sentirtelo dire» annuì la Preside, indicandogli la porta con la mano. «Ora puoi an-dare» concluse, riabbassando lo sguardo sui fogli.

Harry balbettò qualcosa mentre le dita tormen-tavano le maniche della divisa.

«Mi ha frainteso ...».La voce si spense in gola, la testa sembrava

scoppiare. Era giunto il momento. Inspirò di nuo-vo, più profondamente. Era arrivato fin lì e ora non poteva più tirarsi indietro.

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«Se uno studente non può fare tutto quello che è in suo potere per salvare la vita del suo migliore amico, vorrà dire che da oggi non sarò più uno studente».

La Preside alzò la testa di scatto. «Cosa intendi dire?» chiese, con rinnovata durezza.

«Intendo dire che ho deciso di lasciare gli stu-di, di lasciare Hogwarts».

Il tono era di nuovo fermo e sicuro. Harry sentì la tensione sciogliersi a poco a poco e il cuore tor-nò a battere al ritmo consueto.

L’aveva detto, si era comportato da uomo.«Harry... stai agendo in modo avventato, non ti

rendi conto di quello che dici ...» iniziò la McGra-nitt, in tono quasi supplice.

«Si sbaglia. Ci ho ragionato e parecchio. Era-vamo in questo stesso ufficio non più tardi di quat-tro mesi fa a parlare di queste stesse cose. Dopo l’attacco al treno avevo seriamente pensato di an-darmene. Tutto quello che è successo è legato alla mia presenza tra queste mura e... e alle cose che conosco solo io».

La Preside lo stava ascoltando in silenzio.«Alla fine abbiamo convenuto che Hogwarts

rimaneva uno dei posti più sicuri dove restare, che superato l’attacco all’Espresso tutti sarebbero sta-

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ti al sicuro; ma così non è stato. Per due volte le difese della Scuola hanno ceduto e, se la prima volta è andato tutto bene, la seconda ne ha fatte le spese Ron. È inutile che continuiamo a raccon-tarci la favola che Hogwarts è sicura, quando en-trambi sappiamo che sarà sicura solo quando io me ne sarò andato».

La McGranitt rimase immobile, con le labbra appena socchiuse: dal viso trasparivano evidenti segni di una lotta interiore. Quasi sentendosi in colpa, Harry approfittò del momento di esitazione per alzarsi.

«Harry fermati» lo bloccò la professoressa, scuotendosi improvvisamente dal suo torpore. Il ragazzo si sedette nuovamente. «Capisco quello che stai provando. Come credi che mi senta io? Sono la Preside di questa scuola, le vite di cen-tinaia di ragazzi dipendono da me, e io stessa ho garantito per la loro incolumità. Ma nonostante questo...». La Preside tentennò. «Nonostante i miei sforzi e quelli del Ministero non sono riuscita mantenere la mia parola».

«È quello che cercavo di dirle, l’unica soluzio-ne ...».

La Preside lo zittì con un gesto della mano. «Tu sei giovane e pensi e agisci con la sconsideratezza

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della gioventù. Lo so che è un momento difficile per te, ma ne hai già passati tanti, rifletti su quello che stai facendo. Ho sbagliato, questa scuola non è inespugnabile, mio malgrado. Ma è comunque più sicura di tanti altri posti là fuori».

«Da oggi in poi, non ci sarà più bisogno che lei si preoccupi della mia incolumità... se ne occuperà Kingsley, se ne occuperà il Ministero e sopratutto me ne occuperò io stesso».

Harry prese fiato e quasi sorrise. Inspiega-bilmente, dai recessi del suo inconscio stavano emergendo due occhi profondi e una risata simile a un latrato. «Non sono più un suo studente: ormai sono un uomo e ho il diritto di fare le mie scelte».

«Ti rendi conto, vero, che lasciando gli studi non potrai più sperare di diventare un Auror?»

disse la Preside con un filo di voce.«Ho pensato anche a questo. Ma al momento

Ron è più importante della mia futura occupazio-ne. Le sarò sempre grato per tutto quello che ha fatto per me, ma adesso devo fare da solo».

La Preside non rispose, si limitò ad emettere un lungo, pesante sospiro: sembrava improvvisa-mente invecchiata.

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Harry impiegò un po’ di tempo a realizzare che quello, con ogni probabilità, era un congedo. Si alzò in piedi, i pugni stretti ai lati del corpo, ac-cennò un saluto e si voltò verso la porta.

Stava per uscire quando una voce lo chiamò.Espirò profondamente e rilassò le braccia, pre-

parandosi ad affrontare l’intensità dello sguardo del professor Silente. Il ritratto del vecchio Presi-de lo scrutò da dietro gli occhiali a mezzaluna.

«Quando sarai uscito, ragazzo mio, controlla che la porta sia ben chiusa. Ricorda che abbiamo una certa età e... il Castello è pieno di spifferi» aggiunse, con un occhiolino d’intesa.

Harry sorrise, sollevato. Non riusciva a capire se quella fosse la benedizione per la sua scelta, ma certo Silente non l’aveva biasimato.

Mentre spingeva la maniglia, però, fu certo di sentire il vecchio Felpato abbaiare tutta la sua ap-provazione. Appena fu giunto in fondo alle scale della presidenza Harry si sentì chiamare.

«Psssssss... Messer Potter ...».Si girò di scatto ma non vide nessuno.«Messer Potter, sono nel quadro alle sue spalle».«Sir Cadogan, cosa ci fa qui?» chiese Harry,

stupito di trovarlo in quella zona del castello.

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«La gentil donzella cui spesso lei si accom-pagna mi ha affidato una nobile impresa, ed io, cavallerescamente, ho accettato» sentenziò il pic-colo cavaliere gonfiando il petto e poggiando il pugno chiuso sul cuore.

«A chi si riferisce? Ginny è stata qui? E perchè bisbiglia?» chiese, perplesso per l’intera faccenda.

«Giammai! Parlo di Madamigella Granger. La sua era una missione della massima delicatezza e segretezza, ecco perchè mi ha incaricato di riferir-le la cosa appena fosse uscito di là. La deve rag-giungere al più presto nei sotterranei, vicino l’aula del docente di Trasfigurazioni. Non la faccia at-tendere, mi raccomando!» e così dicendo spronò il suo ronzino con gli stivali di ferro e galoppò via di quadro in quadro lungo il corridoio.

Harry non perse tempo. Scese velocemente le scale e si ritrovò nei sotterranei. Arrivato di fronte alla ex stanza del professor Uglick trovò l’amica che armeggiava con la serratura.

«Che ci fai ancora qui? Non eri partita con Ginny?» le chiese Harry.

«C’è una cosa che dobbiamo assolutamente fare, prima di andare alla Tana. Ti stavo aspettan-do». La ragazza aprì la porta, si infilarono all’in-terno poi chiuse accuratamente la porta.

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Hermione tirò fuori la bacchetta e lanciò alcuni incantesimi, poi si sedette e fece cenno a Harry di fare altrettanto.

«Ora possiamo parlare liberamente. Ginny vo-leva partecipare, ma la sua assenza a casa si sa-rebbe notata. Abbiamo finalmente interpretato la parte più misteriosa della filastrocca» esclamò con orgoglio.

Harry pendeva dalle sue labbra.La ragazza lo guardò negli occhi e sorrise men-

tre tirava fuori dalla sua borsa di perline un pezzo di pergamena.

«Queste sono le prime quartine che ci interes-sano:

La tua decisione non rinnegheraiperché ciò che ti spetta scopriraiUglick per te ora è un grande mistero,insieme scopriremo chi è davvero.

Un dono speciale ti voglio fare,affinché di me ti possa fidare.Là l’instabilità potrai osservare,in colui che si è deciso a scappare.

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Con questi versi si riferisce ovviamente al no-stro ex professore di Trasfigurazioni. Ora passia-mo alla seconda:

I congiunti doppi e da odio legati,Li hanno per l’eternità condannati.Intelletto d’uomo e forza bestiale,lo rende pericoloso e mortale.

Questa parte è stata la più difficile da interpre-tare. Non c’erano elementi molto chiari e la leg-genda a cui si riferisce l’avevo letta molto tempo fa e non l’avevo collegata a queste parole.

In realtà è stata la terza quartina ad aiutarci:Ad Hogwarts dimora e custodisce,ciò che allo stregone il sangue unisce.inchiodato sempre sta nel suo posto,non si può di certo abbatterlo tosto.

Collegando la parola “stregone” a Uglick e prevedendo che “inchiodato sempre sta al suo po-sto” si riferisse ad un qualcosa di appeso nel suo ufficio, ho chiesto a Ginny di ricordare se in que-sta stanza avesse visto quadri o altri oggetti appesi alla parete, quando era venuta a fare la prova d’e-same.

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Lei non ricordava molto, ma le era rimasto im-presso in mente un disegno che raffigurava una bestia alquanto singolare». La ragazza si interrup-pe e indicò gli unici due quadri nella stanza. Harry annuì e le fece segno di andare avanti.

«Bene» riprese lei, «quello che ha fatto accen-dere la lampadina nella mia testa è stato il fatto che Ginny continuasse a ribadire che la bestia aveva cinque zampe e non quattro. Mi pareva una cosa assurda e le ripetevo che probabilmente si era sbagliata, che una delle zampe era forse una coda, ma lei era sicurissima. Cercavo di immagi-narmi questa creatura con cinque piedi e così ho capito: Quintaped!».

«E cosa sarebbe?» chiese Harry mentre guar-dava i quadri.

«Non abbiamo tempo per tutta la leggenda, ma posso dirti che parla di due famiglie che lottarono tra loro ed infatti troviamo la parola “congiunti” e anche “da odio legati”; e che si scagliarono ad-dosso una delle maledizioni peggiori per un essere vivente: essere trasformati in bestie, ma mantene-re un intelletto umano... ma lasciamo perdere. Ora siamo qui perchè il quadro indicato dal Cilindro è proprio su questa parete e dobbiamo solo capire cosa ha di così “speciale”».

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Harry si voltò verso la parete che la ragazza aveva indicato e guardò attentamente quel dise-gno: era veramente orripilante. Ricordò che lo aveva vagamente notato quando Ginny aveva fat-to l’esame, ma era troppo preso da lei per ricor-darlo così bene.

Si avvicinarono entrambi. Hermione sembra-va quasi intimorita e lo scrutava bene da lontano: come tutti i quadri magici, il soggetto ritratto si muoveva e sembrava che la sua amica ne fosse di-sgustata, ma poi si fece coraggio, estrasse la bac-chetta e cominciò a intonare alcuni incantesimi a voce bassissima. Harry fece per toccare la cornice ma la ragazza lo bloccò: «Fermo! Non possiamo fidarci del Cilindro, aspetta che abbia finito con gli incantesimi di difesa».

Harry bloccò il dito indice a pochi millimetri e si mise a osservare la bestia ritratta, che stava reagendo non proprio bene alle loro manovre ma-giche. Il corpo era veramente deforme ed era diffi-cile capire come potesse fare a camminare. Ma la cosa più assurda erano gli occhi: sembravano par-lare, capire, comprendere... sembravano umani.

Hermione provò a toccare il quadro con la pun-ta della bacchetta, ma non accadde niente, provò a spostarlo leggermente ma sembrava attaccato al

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muro. Girava la bacchetta tutto intorno, ma non succedeva niente. Harry allora tirò fuori la sua bacchetta.

«Alohomora!» pronunciò. Ci fu un leggero CLICK e il quadro sembrò staccarsi dalla parete.

«Harry, sei un genio, io non ci avevo pensato... una cassaforte!» esclamò Hermione.

Harry usò la punta della bacchetta per muover-lo e si aprì come uno sportello. Dietro di esso vi era una piccola apertura e al suo interno c’erano alcuni fogli di pergamena. Hermione si fece avan-ti e li tirò fuori delicatamente appoggiandoli poi sulla scrivania. Uno di essi era arrotolato e chiu-so con un pezzo di spago. Altri erano così vecchi che sembravano polverizzarsi solo a toccarli. La ragazza li avvolse con la magia in una specie di aurea azzurrina.

«Che hai fatto? Non leggiamo cosa c’è scrit-to?» chiese lui, dubbioso.

«Non mi sembra il luogo adatto» disse, ripo-nendoli nella borsa di perline. «Non vorrei essere scoperta a rovistare nello studio di un professore... e poi è quasi ora di pranzo, alla Tana ci staranno aspettando».

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Harry aiutò l’amica a cancellare gli incantesimi di protezione e poi, con la massima discrezione, uscirono dallo studio guardandosi continuamente intorno.

Arrivarono nella Sala Grande mentre la profes-soressa Sprite stava facendo partire gli ultimi ritar-datari dal camino. Tra di loro c’era Hyde. Erano rimasti d’accordo che si sarebbero rivisti a Diagon Alley subito dopo la fine dei giorni di vacanza; l’americano, infatti, aveva ottenuto una speciale dispensa per motivi di famiglia, ed era autorizzato a tornare a Scuola appena fosse riuscito a risolve-re i suoi problemi.

Si avvicinarono e gli fecero un cenno di salu-to. Poi si sistemarono davanti al camino, pronti a partire.

In quel momento Harry sentì il peso della sua decisione piombargli addosso di colpo: stava la-sciando definitivamente il Castello. Tutti i mo-menti felici che aveva passato dentro quelle quat-tro mura lo tormentavano e tentavano di fargli cambiare idea, ma invano, perchè conosceva be-nissimo le sue priorità.

La Sprite gli augurò delle buone vacanze e mentre prendeva la Metropolvere da un grosso

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vaso decorato, Harry notò un leggero luccichio negli occhi della Professoressa. Possibile che la McGranitt l’avesse già avvertita della sua scelta?

Ancora una volta lo assalirono i dubbi, e anco-ra una volta scosse la testa.

Sbucarono nel camino della Tana con un leg-gero sbuffo di fumo e trovarono le donne di casa impegnate nei preparativi del pranzo.

La signora Weasley andò loro incontro e li ab-bracciò con forza, senza parlare. Poi girò su se stessa e tornò davanti al lavello, dove riprese in mano un coltello che stava sbucciando da solo delle patate. Ad Harry pareva di trovarsi all’inter-no di una bolla di sapone, o in una stanza erme-ticamente chiusa, senza luce, o aria. L’atmosfera che si respirava alla Tana - e sarebbe stato assurdo immaginare il contrario - era carica di tensione e di dolore inespresso.

Harry richiamò l’attenzione di Ginny che an-nuì, smise di rovistare nella dispensa e andò verso di loro, conducendoli, sempre senza parlare, nella sua stanza.

«Meno male che siete arrivati presto» disse la ragazza quando ebbero chiuso la porta. «Queste poche ore sono state un tormento, la mamma ha degli sbalzi di umore pazzeschi».

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«In compenso abbiamo trovato qualcosa che potrebbe essere interessante» le rispose Hermio-ne, aprendo la borsetta e frugandoci dentro. «Ecco qui».

Detto questo, eliminò l’incantesimo che pro-teggeva i fogli e appoggiò una delle vecchie per-gamene sulla scrivania di Ginny. Sciolse lo spago che la teneva legata, e la svolse con la massima cautela.

Harry lesse il disappunto crescere sul volto della sua ragazza, il suo stesso disappunto: il foglio era vergato con simboli che non aveva mai visto. Her-mione non diede loro il tempo di lamentarsi che si mise a parlottare tra sé e sé sommessamente.

«Sono rune, questo è evidente... ma non riesco a tradurle, com’è possibile?» profferì, infine, sgo-menta.

«Non ci credo» disse Harry, incredulo. «Quanto hai preso in Antiche Rune ai G.U.F.O.? Una O?»

«Non scherzare, Harry, credi che se ci fossi riuscita non avrei subito tradotto queste righe?» rispose Hermione. «Evidentemente è in un idio-ma che non conosciamo, o è protetto da qualche incantesimo. Però aspetta... ricordo di aver letto qualcosa, una volta, a proposito di pagine illeggi-bili ...».

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Harry e Ginny non risposero. Si limitarono a guardarla agire, come avevano fatto mille altre volte, sapendo che quando cercava di ricordare qualcosa era meglio non disturbarla. Hermione poggiò delicatamente la pergamena sulla scriva-nia e cominciò a frugare freneticamente dentro la borsetta, tirando fuori ora un testo, ora un altro. Quando ebbe trovato quello che le serviva lo sfo-gliò velocemente, fino a fermarsi, con l’aria sod-disfatta, sottolineando alcune frasi con l’indice della mano destra.

«Sapevo che era qui! Dunque... in caso di pagi-ne illegibili o incantesimi di protezione, l’incanto può essere praticato... si, si, è come ricordavo!» esclamò, raggiante, guardandoli. «Prepariamoci a consultare il documento perchè non abbiamo molto tempo per farlo: l’incantesimo di traduzio-ne che sto per utilizzare non è ne irreversibile né immediatamente ripetibile, perché, altrimenti, ri-schierebbe di rovinare il documento originale, già abbastanza malridotto, e dura solo pochi minuti, quindi siate pronti alla lettura non appena lo avrò pronunciato».

Detto questo, esclamò: «Verba Revelio!».

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Immediatamente le rune sembrarono scioglier-si per ricomporsi in alfabeto corrente, ed i tre gio-vani maghi incominciarono a leggere il contenuto della pergamena.

Quanto tempo è passato da quando una giova-ne, entusiasta strega dalle lunghe trecce bionde lasciò la scuola di Durmstrang?

Era la prima del suo corso: la prima strega a diplomarsi in tutti i M.A.G.O. allora disponibi-li, così brillante da offuscare la fama dei migliori studenti diplomatisi in quella medesima scuola, pur fortemente “maschilista”, volendo utilizzare un termine babbano, compreso il suo “Saccente Fratellone”, come amava chiamarlo lei stessa.

Quante speranze, quanti progetti, allora!Soprattutto aiutare l’umanità tutta, maghi o

babbani che fossero, a risolvere i propri problemi, ma, soprattutto, a vivere in pace.

Che sciocca era, quella strega!Una povera illusa che non aveva fatto il conto

con l’ottusa presunzione di maghi e babbani e con la brama di potere che la consapevolezza stessa della propria potenza porta con sé!

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Ed ora, eccola qua ad assistere sgomenta all’ascesa irrefrenabile di un giovane mago che, in nome del “Bene Superiore”, si sta macchian-do di atrocità sempre peggiori. Sta raccogliendo attorno a sé una moltitudine di maghi, ugualmen-te brillanti e forse altrettanto malvagi, che non esitano ad assumere assurdi nomi di battaglia, come “Nocturnus” o “Cinereus”, tanto per citar-ne qualcuno; costoro rifiutano di vedere la verità, che non esiste il “Bene Superiore”, ma solo la pa-cifica convivenza tra le razze tutte.

Perchè lo fanno? Per non perdere il potere ac-quisito, perché sono irretiti a tal punto dall’idea di un governo egemonico di maghi, destinato a soggiogare “todo modo” i babbani, da eseguire tutto ciò che Grindelwald gli chiede.

Quanti giovani, brillanti maghi, come il suo “saccente Fratellone” o come quel giovane ingle-se dai dolcissimi occhi azzurri, come il suo stesso fidanzato, così attento e preciso nello studio di an-tichi tomi, o ancora, come quella strega inglese, la cui casata si batte da anni per l’affermazione della razza “Toujours Pur”, dovrà vedere succubi di Grindelwald, la povera, sprovveduta Azucena sino alla fine dei suoi giorni?

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Potrebbe combattere, questo è vero e, proba-bilmente, le sue conoscenze magiche le consen-tirebbero di contrastare persino il potente Grin-delwald e la sua sopravvalutata bacchetta, ma, poi?

Riuscirebbe costei a vincere sé stessa? A rifiu-tare, cioè, l’impulso che le verrebbe dalla presa di coscienza del suo potere? Saprebbe lei stessa resistere all’impulso di divenire un tiranno, forse peggiore di quello sconfitto?

No, non oso rischiare: il solo pensiero di me stessa al posto di Grindelwald mi fa troppo orro-re! A questo porta, dunque, tutta la nostra cono-scenza magica?

Al mero studio di come soggiogare gli altri?Non erano questi i precetti che ci avevano in-

stillato i nostri Padri, che, pure ci avevano messo in guardia dal nostro stesso lato oscuro: quanti potenti maghi si sono persi nel corso dei secoli, e quanti se ne perderanno ancora! Ma non io, non Azucena!

Opererò su di me un incanto “dememorizzante” che cancellerà quasi tutte le mie conoscenze magi-che e farà dimenticare a chi mi è più vicino che io

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le abbia mai possedute, in modo che nessuno possa imbarcarsi nell’impresa di rimuovere l’incanto per restituirmi le conoscenze dimenticate.

Voglio che mi rimangano nella mente le sole conoscenze erbologiche e curative, tramandate dalle nostre nonne contadine, grazie alle quali potrò continuare ad assistere chi ne avrà bisogno: sia esso mago o babbano.

È con dolore che mi accingo ad operare su me stessa questo incantesimo: la conoscenza è come un cibo cui, una volta assaggiato, risulta impos-sibile rinunciare e che, come una frenesia, ti “ob-bliga” a spingerti sempre più avanti, a volte oltre i limiti consentiti dall’ etica e dalla morale!

Da questo momento, delle conoscenze di Azu-cena non rimarranno che poche rune, vergate su questa pergamena: da ora in poi, per tutti, sarò solo una povera guaritrice analfabeta, esperta nelle antiche “Arti Magiche Contadine”.

Conclusa la lettura, i tre giovani maghi rimase-ro per alcuni istanti in silenzio.

«Cavolo!» esclamò Harry. «Rinunciare alle proprie conoscenze per timore di nuocere al pros-

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simo». Dopo un attimo di riflessione, rivolto all’a-mica, continuò: «Hermione, penso proprio che tu non saresti mai capace di farlo».

«E non sono affatto convinta che sarebbe giu-sto» replicò secca la ragazza. «Se tutti i maghi onesti rinunciassero ai loro poteri per paura di nuocere agli altri, secondo me non farebbero altro che consegnare il mondo ai malvagi. No, non pos-so essere d’accordo con quanto deciso da questa Azucena».

«Ma, Hermione, come possiamo essere sicuri della autenticità di questo documento?» commen-tò Ginny, osservando le rune della vecchia perga-mena, che ora stavano tornando nella loro forma originale, risultandogli di nuovo illeggibili.

«Non credo che Uglick avrebbe tenuto questa pergamena nascosta così bene se non fosse sta-ta importante. Sicuramente è un documento mol-to vecchio e anche l’inchiostro è molto rovinato, potrebbe sicuramente risalire ai primi decenni del nostro secolo, all’epoca in cui è vissuto Grin-delwald». Fece una pausa. «E poi, se non ricordo male, Hagrid ci aveva detto che Uglick fu cacciato dal corpo Auror proprio in quel periodo, nel suo paese. Non sappiamo quale sia, ma è plausibile

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che sia proprio la Bulgaria, no? Magari conosce questa Azucena, potrebbero persino aver studiato insieme».

«Ma a cosa ci serve questo documento? Cosa aggiunge di importante alle informazioni che ab-biamo già?» disse Harry, accalorandosi.

«Non è molto, lo ammetto, ma per lo meno ci fa capire che le storie che si raccontano su Uglick sono vere. Non abbiamo altro e sarà difficile repe-rire altre tracce» rispose Hermione pensosa.

«Quello che non capisco» sostenne Ginny con aria scettica, «è perchè una che vuole far dimen-ticare parte della sua esistenza, lo scrive su una pergamena che poi firma con il suo nome».

«Per non parlare del fatto che ha usato del-le rune praticamente incomprensibili» aggiunse Harry.

«Questo potrebbe spiegarcelo solo Azucena, ammesso che esista veramente» concluse Her-mione. «Comunque, chiederò alla Professoressa McGranitt di verificare se nei registri di Durmstang compare, in un qualsiasi contesto, il nome di Azu-cena: mi pare impossibile che questa strega, per quanto potente, sia riuscita a modificare tutta la

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documentazione di una scuola come quella di Durmstrang, protetta, sicuramente, da incantesimi perlomeno paragonabili a quelli di Hogwarts».

«Certo che questa Azucena doveva essere in una condizione di totale sconforto per prendere una tale decisione» commentò Harry, continuan-do a guardare pensosamente la pergamena.

«Probabilmente sentì il bisogno di confidare a qualcuno le motivazioni del gesto che stava per compiere e, non potendo fare altro, decise di ver-gare questa pergamena con una scrittura di diffi-cile comprensione e di nasconderla in un posto sicuro. Proprio questo mi spinge ancora una volta a pensare che possa esserci un collegamento tra lei e Uglick. Altrimenti, perchè un documento del genere dovrebbe trovarsi tra le sue cose?» rincarò Hermione.

«Aspettate un attimo ...» la interruppe Harry, che aveva appena ricordato un nuovo particola-re. «Nella pergamena si parlava di giovani maghi succubi di Grindelwald... uno era di certo Silente, poi parlava del fratello, di un fidanzato... e, sba-glio, o ha nominato una strega inglese il cui motto era Toujours Pur?»

«Si hai ragione, l’avevo notato anche io perchè Toujours Pur è il motto dei ...».

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«Black» concluse Harry, sgomento.Possibile che questa misteriosa Azucena si ri-

ferisse alla madre di Narcissa, Bellatrix e Andro-meda? In fondo, l’età coincideva perfettamente. Ma come scoprire se era davvero lei? Ad Harry vennero in mente le strane parole che Andromeda aveva pronunciato durante la sua ultima visita: se dovesse capitarmi qualcosa... voglio che tutto sia a posto. Che fosse in qualche modo coinvolta con tutta quella storia?

«Inoltre, non possiamo ignorare anche l’altra coincidenza, ovvero la citazione di “Cinereus”, tra i nomi di battaglia adottati dai seguaci di Grin-delwald» disse Ginny. «Il nome che aveva il vec-chio delle visioni di Harry, lo stesso nome che Uglick ha letto nella mia mente durante l’esame».

«E che ha provocato la sua esagerata reazio-ne, a quanto ci ha raccontato Harry!» intervenne Hermione. «Comodo spiare gli altri grazie al più potente Mantello dell’Invisibilità che sia mai esi-stito, vero?» continuò sardonica.

«Sai bene che, se non l’avessi fatto, Ginny se la sarebbe vista brutta, senza contare che ora avrem-mo qualche informazione in meno» replicò Harry.

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«Hermione... Harry aveva appena avuto una visione tremenda, è logico che sia corso in mio aiuto. E se non mi lamento io, non vedo perchè dovresti farlo tu».

«Ragazze, non è certo il caso di mettersi a li-tigare su una cosa ormai accaduta mesi fa» inter-venne Harry.

Improvvisamente sentirono un forte CRAC, un urlo soffocato e un tonfo provenire da dietro l’uscio. Harry si precipitò nel corridoio seguito a ruota dalle ragazze. Trovarono la signora Weasley lunga distesa sul pianerottolo, che si massaggiava la testa con la mano sinistra, mentre George, in ginocchio accanto a lei, cercava di toglierle dalla mano destra un groviglio di fili color carne.

«Mamma!» buttò lì Ginny, con voce divertita e sdegnata insieme. «Per caso ci stavi spiando?».

«Ero venuto a dirvi proprio questo, Harry» esclamò George. «Mi sono accorto che mancava-no alcune Orecchie Oblunghe dalla mia scrivania, e poteva averle prese solo lei».

«Hermione... non abbiamo imperturbato la porta» si lamentò Harry, consapevole che la loro disattenzione gli sarebbe costata molto cara.

La Signora Weasley sembrava a disagio per essere stata scoperta ad origliare, ma poi alzò lo

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sguardo verso i ragazzi che erano tutti in febbrile attesa, si mise in piedi ed entrò nella stanza senza dire una parola. Si sedettero intorno a lei, ma la camera di Ginny era decisamente troppo piccola per tutte quelle persone.

«Allora, mamma... com’è che ti sei messa ad origliare?» chiese con sussiego George, «sai che non sei tagliata per certe cose ...».

Molly gli scoccò un’occhiata acida; inizial-mente sembrava decisa a non rispondere alla provocazione, ma dopo un breve silenzio parlò. «Speravo che vi sareste tenuti fuori dai guai, ma mi pare che invece ci siate ricaduti in pieno. Ed il mio Ron ...» la voce si ruppe e lei prese un fazzo-letto dalla tasca pulendosi gli occhi e soffiandosi il naso. Poi continuò: «Si può sapere cosa sta succe-dendo, ragazzi? Avevate sempre detto di non pre-occuparmi, che a Scuola andava tutto bene. Come siamo arrivati a questo punto? Cos’è quella roba che stavate leggendo?» chiese guardando Harry negli occhi. Lui non aveva più avuto modo di par-lare con Kingsley di quello che era realmente ac-caduto sul Lago, ma era giunto il momento che i genitori di Ron sapessero la verità, o almeno, una parte di essa.

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«Ci troviamo di fronte a dei nuovi nemici, si-gnora Weasley, nemici di cui non sappiamo nien-te» rispose Harry, costernato. «Sono riusciti ad entrare per ben due volte dentro la Scuola e co-noscono incanti che noi non avevamo mai sentito nominare».

«Quella donna che avete nominato... non so, ma forse potrei conoscerla. Pensate che c’entri qualcosa con il rapimento di Ron?» chiese ancora una volta la donna, con l’ansia nella voce.

«Non direttamente, però... Aspetti un momen-to! Ha detto che potrebbe conoscerla?» la inter-ruppe bruscamente Harry.

La signora Weasley non sembrò offendersi per la veemenza di Harry. La situazione era troppo pre-occupante per prendersela per delle sciocchezze.

«Azucena, avete detto, no? Ricordo che c’era una persona che si chiamava così, a Diagon Al-ley» si interruppe, sembrava indecisa se continua-re o meno. Ginny le si avvicinò e le prese la mano, stringendola forte tra le sue e guardandola dritto negli occhi.

«Mamma, è di Ron che stiamo parlando, devi dirci tutto quello che ricordi, potrebbe essere im-portante» disse con decisione.

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Era strano vedere come si fossero invertiti i ruoli della famiglia ma l’intervento di Ginny par-ve rinfrancare la mamma.

«Hai ragione, lo so. È che non capisco come sia possibile che queste persone possano avere a che fare con questa storia. Comunque, quando ero giovane c’era una libreria chiamata “Pagine magi-che” a Diagon Alley: il proprietario era un libraio, sicuramente straniero, molto bravo e preparato, e la moglie sembrava quasi una Maganò, anche se conosceva delle piccole magie domestiche. Poi aprì il Ghirigoro e non ci siamo andati più, ma ricordo che il negozio si era trasferito in un altro villaggio» sospirò sonoramente e tacque.

«Dov’era questo negozio, signora Weasley?» chiese Hermione, evidentemente dubbiosa. Harry immaginò che fosse impensabile per lei non sape-re dove fosse ubicato un negozio di libri.

«Non ricordo esattamente in che vicolo, mi di-spiace» rispose, costernata.

«Forse so io dov’è» pigolò George, che non aveva parlato per niente dopo la faccenda delle Orecchie Oblunghe.

«Tu che entri in una libreria?» lo schernì Gin-ny. «Mi pare strano».

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«Piantala, sorella. A volte per creare degli scherzi serve avere una cultura un pò più ampia, non credi? E poi adesso non è importante». Si ri-volse di nuovo ad Harry. «Quando cercavamo idee ed ingredienti speciali per i nostri scherzi, insieme a Fred abbiamo girato un po’ per Nocturn Alley e ci hanno consigliato una libreria, che tempo prima era a Diagon Alley, dove potevamo trovare mate-riale interessante».

«Come avete potuto?» si alterò la signora We-asley «Vi avevo sempre detto di non girare in quei vicoli!».

«Mamma, eravamo maggiorenni e poi siamo sempre stati molto attenti. Comunque la libreria si è trasferita da moltissimi anni in un paesino sper-duto nelle campagne e ormai il proprietario non vende quasi più, preferisce collezionare testi an-tichi. Ho visto poche volte la moglie, ma il nome potrebbe essere proprio Azucena. Quindi se volete posso portarvici. Voglio fare qualcosa per mio fra-tello. Quando partiamo?» aggiunse, rivolgendosi direttamente ad Harry.

«NIENTE AFFATTO!» gridò Molly, livida. «Non so cosa abbia a che fare tutta questa gente col rapimento di Ron, ma una cosa è sicura: dove-te starne fuori, tutti. E’ chiaro?».

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«Signora Weasley» attaccò Hermione, perden-do la calma che aveva dimostrato fino a quel mo-mento «Siamo tutti maggiorenni, e sa bene che non è possibile che rimaniamo fermi ad aspettare mentre Ron è nelle mani di quei pazzi. Quindi si rassegni».

Harry non aveva mai sentito la sua amica par-lare così alla madre di Ron, ma non se ne stupì.

La donna non rispose; scrutò i loro volti ancora una volta, si girò di scatto e uscì dalla stanza, ros-sa in volto. Stava sicuramente andando a cercare il marito.

Ginny si avvicinò ad Harry. «Cosa pensi di fare adesso?» incalzò.

«Non lo so, ma una cosa è certa: dobbiamo cer-care questa Azucena» disse con tono deciso.

«Domani stesso andrò con George in questo negozio, e se avremo un pò di fortuna, scopriremo qualcosa di utile».