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Gustave Flaubert giovane. Un’analisi e un punto di vista sul primo racconto originale dell’autore di Emma Bovary Chiara Pasetti Sommario Un parfum à sentir ou Les Baladins appartiene agli scritti gio- vanili di Flaubert. Di quest’opera si passa al vaglio la trama, mostrandone le tematiche principali, ed evidenziando come la duplice inclinazione flaubertiana, “fantastico-romantica” da un lato, e “critico-realistica” dall’altro, al vero e al sogno, fossero già presenti in uno scritto composto dall’autore di Madame Bo- vary a soli quattordici anni. L’amore qui espresso per il mondo dei saltimbanchi, del teatro, del circo si rifletterà nelle sue opere e nella sua corrispondenza. Il legame sublime-grottesco e riso- morte, presenti in questo testo, è successivamente rintracciabile nelle opere più note. Inoltre, il tema dell’allucinazione, presente per la prima volta all’interno di un’opera di Flaubert, anticipa, oltre che le allucinazioni dei personaggi principali, le allucinazio- ni provate dall’autore stesso durante le sue prime crisi nervose, alle quali farà seguito una misteriosa malattia. Copyright c 2009 ITINERA (http://www.filosofia.unimi.it/itinera) Il contenuto di queste pagine è protetto dalle leggi sul copyright e dalle disposizioni dei trattati internazionali. Il titolo e i copyright relativi alle pagine sono di proprietà di ITINERA. Le pagine possono essere riprodotte e utilizzate liberamente dagli studenti, dagli istituti di ricerca, scolastici e universitari afferenti al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per scopi istituzionali, non a fine di lucro. Ogni altro utilizzo o riproduzione (ivi incluse, ma non limitatamente a, le riproduzioni a mezzo stampa, su supporti magnetici o su reti di calcolatori) in toto o in parte è vietato, se non esplicitamente autorizzato per iscritto, a priori, da parte di ITINERA. In ogni caso questa nota di copyright non deve essere rimossa e deve essere riportata anche in utilizzi parziali.

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Gustave Flaubert giovane. Un’analisi e un punto divista sul primo racconto originale dell’autore di

Emma Bovary

Chiara Pasetti

Sommario

Un parfum à sentir ou Les Baladins appartiene agli scritti gio-vanili di Flaubert. Di quest’opera si passa al vaglio la trama,mostrandone le tematiche principali, ed evidenziando come laduplice inclinazione flaubertiana, “fantastico-romantica” da unlato, e “critico-realistica” dall’altro, al vero e al sogno, fosserogià presenti in uno scritto composto dall’autore di Madame Bo-vary a soli quattordici anni. L’amore qui espresso per il mondodei saltimbanchi, del teatro, del circo si rifletterà nelle sue operee nella sua corrispondenza. Il legame sublime-grottesco e riso-morte, presenti in questo testo, è successivamente rintracciabilenelle opere più note. Inoltre, il tema dell’allucinazione, presenteper la prima volta all’interno di un’opera di Flaubert, anticipa,oltre che le allucinazioni dei personaggi principali, le allucinazio-ni provate dall’autore stesso durante le sue prime crisi nervose,alle quali farà seguito una misteriosa malattia.

Copyright c© 2009 ITINERA (http://www.filosofia.unimi.it/itinera)Il contenuto di queste pagine è protetto dalle leggi sul copyright e dalle disposizioni dei trattatiinternazionali. Il titolo e i copyright relativi alle pagine sono di proprietà di ITINERA. Lepagine possono essere riprodotte e utilizzate liberamente dagli studenti, dagli istituti di ricerca,scolastici e universitari afferenti al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca perscopi istituzionali, non a fine di lucro. Ogni altro utilizzo o riproduzione (ivi incluse, ma nonlimitatamente a, le riproduzioni a mezzo stampa, su supporti magnetici o su reti di calcolatori)in toto o in parte è vietato, se non esplicitamente autorizzato per iscritto, a priori, da parte diITINERA. In ogni caso questa nota di copyright non deve essere rimossa e deve essere riportataanche in utilizzi parziali.

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Vous ne savez peut-être pas quel plaisir c’est:composer!

G. Flaubert, Un parfum à sentir ou Les Baladins.1

G ustave Flaubert è ancora oggi conosciuto principalmente per i suoiromanzi, in particolare per Madame Bovary, che nel 2007 ha festeg-giato i 150 anni dalla sua pubblicazione.

In Italia, sono stati tradotti fino ad ora

Ritratto di Langlois, Gustave Flaubert(1830).

Les Memoires d’un fou e per Novembre, iracconti più noti e di più ampio respiro, ealtri lavori meno conosciuti [2], ma i suoitesti giovanili non trovano ancora spazio inun volume dedicato esclusivamente a essi;la produzione giovanile di Flaubert suscitaminore interesse in rapporto ai tanti stu-di che ogni anno fioriscono intorno alle sueopere principali [3].

Eppure gli scritti giovanili di Flaubertmeritano molta attenzione, perché in essi ècontenuto tutto il Flaubert della maturità,e in alcuni casi i suoi racconti sono dellevere e proprie anticipazioni delle opere più note.

A venticinque anni, nel 1846, egli giudica così ciò che ha scritto fino aquesta data: «Alcune pagine molto belle, ma nessuna opera»2. Dietro dilui, già quattordici anni di archivi personali, composti da scritti dai temipiù diversi, e che spaziano tra i generi letterari più in voga all’epoca (rac-conti fantastici, “misteri”, racconti filosofici, pagine intime, racconti storici,articoli di critica letteraria e teatrale); davanti, una decina di anni di lavorosotterraneo, senza pubblicazione, prima di uscire alla scoperto, «armé detoutes pièces», con Madame Bovary.

Volendo scegliere, per uno studio, tra i suoi tanti testi giovanili, l’attenzionecade sul primo racconto del tutto originale di Flaubert, ossia il primo in cuiegli è davvero libero, sia nella scelta del soggetto sia nel suo sviluppo (nonsi tratta, come per i precedenti scritti, né di una narrazione che segue uncanovaccio, né di un racconto ispirato da una situazione storica realmenteaccaduta, né di una imitazione o di un pastiche), e il primo in cui il tema ècontemporaneo, moderno nei sentimenti, negli ambienti, nei personaggi.

Il titolo è Un parfum à sentir ou Les Baladins, sottotitolo Raccontofilosofico, morale, immorale (ad libitum) [5].

2Nel 2006 è stato pubblicato Aspettando Flaubert. Quattro racconti preludio ai ca-polavori (trad. it. e cura di E. Badellino, SEI, Milano 2006). Il testo Vita e lavori delRev. P. Cruchard e altri scritti (trad. it. di C. Pasetti, con note di Y. Leclerc, Excel-sior 1881, Milano 2007) contiene, oltre a quattro testi inediti di Flaubert scoperti inFrancia soltanto nel 2003, anche due testi giovanili.

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Flaubert ha da poco compiuto quattordici anni quando scrive questoracconto, dedicato a un mondo a lui caro e famigliare, quello dei circhi, dellefiere, dei saltimbanchi. Le date che figurano sul manoscritto, febbraio 1836dopo l’introduzione, primo aprile dopo la «morale», aprile 1836 sulla paginadel titolo, confermano il ritmo della redazione indicata nella conclusione: unmese tra la scena dell’esposizione, scritta in un giorno, e il seguito compostoaccelerando, cinque capitoli in una settimana, e gli ultimi sei (ossia la metàdel racconto), scritti in due giorni. È dunque l’autore che precisa così ilcalendario della genesi, affermando la sua presenza con una serie di inter-venti che esplicitano titolo e sottotitolo attraverso una «morale», lasciata algiudizio del lettore, e un «pensiero», indispensabile a un racconto filosofico,genere inventato da Balzac all’inizio degli anni 1830.

È il primo scritto giovanile di Flaubert in cui si può vedere con chia-rezza il cuore della sua natura, in cui convivono (e convivranno fino allasua morte) una facoltà che possiamo chiamare “fantastico-romantica” e unafacoltà “critico-realistica”3; inoltre, se si tiene presente la nota dichiarazio-ne di Flaubert, «il fondo della mia natura, si può dire quel che si vuole,è il saltimbanco»4, il titolo stesso di questo racconto filosofico dà l’avvio aun’analisi che, aderendo il più possibile al testo, ma scoprendone interessantianalogie con gli scritti successivi, cerchi di restituire un’immagine non solodell’autore quattordicenne, ma anche dell’autore delle opere principali chetutti conoscono.

È anche il primo racconto, dopo Le Moine des chartreux scritto circa unanno prima, che non solo mostra chiaramente la duplice inclinazione flau-bertiana al sogno e al riconoscimento e alla successiva messa in luce delleantitesi e del grottesco dell’esistenza, in questo momento ancora condannateda una rabbia giovanile per l’assenza di uguaglianza, giustizia, da un desi-derio idealista di felicità, amore, libertà per tutti, senza differenze di cetosociale, aspetto fisico, professione, ma che colpisce il cuore del lettore; dopoi primi scritti, in cui Flaubert tratteggia atmosfere lugubri, sottolineandoparticolari contrastanti con una penna talora distaccata e obiettiva, taloraappassionata e coinvolta dalle situazioni descritte, in questo testo egli pro-

3Fa eccezione la prima Educazione sentimentale del 1845, considerata a pieno titolo ilprimo romanzo di Flaubert, di cui, fra gli altri, si è lungamente occupata la studiosa diFlaubert Liana Nissim, consacrando a quest’opera il suo lavoro Flaubert dalla Prima allaSeconda «Éducation sentimentale» (Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano 1970),consultabile in Contributi dell’Istituto di Filologia Moderna, Serie Francese, vol. VIII, Vitae Pensiero, Milano 1975, pp. 196-261.

4A Louise Colet, 7 ottobre 1846, in G. Flaubert, Correspondance, 5 voll., établie,présentée et annotée par J. Bruneau e Y. Leclerc, Gallimard, vol. I, p. 378. Da ora inpoi le citazioni dalle lettere di Flaubert verranno riportate con la sigla Corr., precedutadall’indicazione del destinatario e della data, e seguita dal tomo e dalle pagine di riferi-mento. La maggior parte delle lettere citate sono riprodotte nel volume: G. Flaubert,L’opera e il suo doppio. Dalle lettere, trad. it. e cura di F. Rella, Fazi, Roma 2006. Salvodiversa indicazione, le lettere e i testi di Flaubert, così come quelli di altri scrittori o criticicitati, sono tradotti da me.

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ietta il lettore in un dipinto a tinte forti, a grandi tratti «rossi e neri»5, chelentamente rivelano un ambiente particolare, quello dei saltimbanchi, chesotto i vestiti coi lustrini e le paillettes nasconde una grande miseria moralee materiale. Con i saltimbanchi, Flaubert incontra un gruppo umano esclusodalla società (come le prostitute e ben presto i poeti), che gli permette, at-traverso l’artificio dello spettacolo, di svelare la nera verità dell’essere sottoil fard e la maschera; problemi morali e sociali s’insidiano in una storia dipovertà e suicidio, che insiste sul tema della fatalità.

La Rubino rileva che questo dramma della miseria e della gelosia mostrail grottesco associato al sadismo e al macabro6, e Thibaudet interpreta ilracconto come «la testimonianza di una disperazione impersonale davantiall’ingiustizia irrimediabile del mondo, della società e della natura»7.

La storia è facilmente riassumibile, ben più complessi sono invece isignificati in essa celati, e le differenti chiavi di lettura che ne risultano.

Marguerite, la protagonista, è sposata a un povero saltimbanco di nomePedrillo, dal quale ha avuto due figli; entrambi, nonostante siano ancoramolto piccoli, fanno parte della troupe di spettacolo dei genitori, dal nome«troupe acrobatica del signor Pedrillo»8, scritto sulla grande insegna dellatenda a caratteri cubitali in lettere rosse e nere.

Marguerite è una donna estremamente brutta, di una bruttezza «terato-logica»9, maltrattata dalla natura e dalla sorte, precocemente invecchiata.Pedrillo e Marguerite, dopo aver tentato miseramente, in tutti i modi, dirisollevare le sorti della famiglia, lui giocando in una bisca e lei provando achiedere l’elemosina per una giornata intera, in un momento di disperazione

5La traduzione integrale, a mia cura, del racconto che costituisce l’oggetto di que-sto articolo è stata pubblicata nell’inserto speciale de Il Domenicale di sabato 22 di-cembre 2007 (anno 6, n. 51, pp. 5-8: http://www.ildomenicale.it/arretrati/%20n.51%20-%2022%20dicembre%202007.pdf).

6La prima a utilizzare questa terminologia è stata la poetessa Antonia Pozzi, nella suatesi di laurea dedicata a Gustave Flaubert: Gustave Flaubert. La formazione letteraria(1830-1856), con una premessa di A. Banfi, Garzanti, Milano 1940 (ripubblicata dallalibreria Cuem, Milano s.d.). Ella parla anche di inclinazione «fantastica» e inclinazione«ironica». La Pozzi fu una delle prime, in un momento in cui prevaleva l’interpretazionedella lotta tra le due tendenze flaubertiane sulla scia del critico Émile Faguet, a leggervi in-vece una sintesi da cui scaturisce «la concezione di vita e dell’arte che ne è la conclusione.»(ibid., p. 28).

7A Louise Colet, 6-7 agosto 1846, in Corr., vol. I, p. 278, corsivo mio. In un’altra lettera,parlando del fatto che non riesce a volte a commuoversi o ad entusiasmarsi alle cose se nonparlando o soprattutto scrivendo, ossia facendole proprie, «sentendole», ribadisce: «È unodegli effetti della mia natura di saltimbanco.» (Corr.., vol. I, p. 380). E ancora: «Il mioindividuo attuale è il risultato delle mie individualità scomparse. Sono stato battelliere sulNilo, [. . . ] pirata e monaco, saltimbanco e cocchiere.» (A George Sand, 29 settembre 1866,in Corr., vol. III, p. 536, corsivo mio).

8D. Demorest, L’expression figurée et symbolique dans l’œuvre de Gustave Flaubert,Les Presses Modernes, Paris 1931, p. 63.

9Cfr. A. Rubino, Thanatos, Eros, Chronos nelle opere giovanili di Flaubert, Flaccovio,Palermo 1978, p. 35.

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e scoramento incontrano un vecchio amico di Pedrillo, anch’egli saltimbancogirovago, e decidono di unire i loro spettacoli. Da quel momento la vicenda,per la povera famiglia, sembra evolversi in meglio, i bambini hanno final-mente di che sfamarsi, e non soffrono più il freddo. . . ma per Marguerite,già provata da mille sofferenze e privazioni, questo incontro si rivela fatale.Se, infatti, ora ha i soldi necessari per vestirsi e nutrirsi, un dramma ancorpiù devastante viene a sconvolgere la sua vita: l’odio e la gelosia. Suo maritoPedrillo intreccia una relazione sotto i suoi occhi con la bella saltimbancadell’altra troupe, Isabellada, che è giovane e piena di vita, e tratta la mogliesempre peggio, rifiutandone la sola presenza.

Dopo aver subito nuovi e terribili soprusi e ingiustizie, Marguerite, spintadalla disperazione e dall’odio per la giovane rivale che ha conquistato ilcuore del marito, capisce che non le resta che uccidersi, e in un attimo dilucida follia si getta nella Senna, dalle cui acque, alla fine del racconto, verràrecuperata ormai cadavere in decomposizione, ed esposta all’obitorio.

La descrizione del cadavere di Marguerite è decisamente, tra quelle di-pinte dall’autore fino a questo momento, la più inquietante, perché ancorpiù che per il priore defunto, che giaceva con le sue mani fredde e ossute e ilsuo corpo immobile sotto il coperchio della cripta10, la descrizione del cada-vere di Marguerite non è trasposta o evocata in una lontananza fantastica,o di tempo o di luogo, bensì materializzata, concretizzata da notazioni dicarattere acustico, visivo, olfattivo, che ne rendono tangibile la presenza.

Prima di analizzare nel dettaglio questo racconto è bene aprire una pa-rentesi sul rapporto tra Flaubert e il mondo del teatro, del circo, delle fiere.È nota infatti la profonda attrazione dell’autore nei confronti dell’ambientecircense, che peraltro, già all’epoca del racconto, gli era famigliare, e la cuiimpronta rimarrà indelebile nel suo immaginario.

Jean Bruneau racconta di una visita di Flaubert al circo di Rouen pro-prio lo stesso anno dello scritto, il 1836. Lì Flaubert aveva visto la primarappresentazione di Maria ou le Fou par amour11, pantomima in due attie in tre quadri, dal titolo significativo per la ricorrenza che avrà il nomeMaria, o Marie, nelle opere di gioventù (e non solo, anche la protagonistade L’educazione sentimentale del 1869 si chiamerà Marie), e aveva ammi-rato anche la celebre equilibrista Madame Saqui, ballerina sulla corda checontinuò ad andare in scena fino a tarda età.

Bruneau riporta il ricordo di Paul Foucher, che aveva visto ballare Ma-dame Saqui a Parigi al Théâtre des Funambules molti anni dopo rispetto aquando la vide Flaubert. Foucher descrive la danseuse come «qualcosa dicurioso e deprimente allo stesso tempo», con la bocca sdentata semiapertain un sorriso continuo, perfetta incarnazione della «vecchiaia in vestiti di

10A. Thibaudet, Gustave Flaubert, Gallimard, Paris 1935, p. 18.11G. Flaubert, “Un parfum à sentir ou Les Baladins”, cit., p. 82.

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lamé»12.In effetti, leggendo la descrizione di Marguerite, non si può non pen-

sare che Flaubert avesse anche questo modello nella sua mente, oltre airicordi della fiera Saint-Romaine, la stessa dove vedrà per la prima volta,messa in scena dal marionettista Père Lagrain, impresario che perpetuavain pieno diciannovesimo secolo la tradizione dei “Mystères”, la Tentazionedi sant’Antonio. Bruneau nota inoltre che i nomi di battesimo di Mada-me Saqui erano Marguerite-Antoinette, a conferma di quanto questi ricordid’infanzia e adolescenza abbiano influito nella stesura di questo racconto13.

La prima volta in cui Flaubert aveva fatto allusione al mondo del circo neisuoi scritti giovanili risale addirittura alle Soirées d’étude, per la precisionel’undicesima e la dodicesima; aveva nominato, in queste, il direttore14 delcirco di Rouen, e il «famoso Martin», domatore di belve feroci15.

C’era qualcosa, nel mondo dei girovaghi, degli attori di strada, dei sal-timbanchi, che lo attirava fortemente, e non si tratta solo del suo amore perle recite, per il mestiere dell’attore. C’era un aspetto di emarginazione, dipovertà, di miseria, di sradicamento da qualsiasi luogo e paese, e contem-poraneamente di apparente lusso, di sfarzo nei costumi e nei trucchi, cheeccitava la sua fantasia, che risvegliava in lui una profonda fascinazione perqueste razze nomadi, selvagge, a cui si sentiva in qualche modo vicino, edi cui coglieva i contrasti violenti con la sensibilità del poeta e dell’uomoche non giudica mai, ma utilizza tutto ciò che vede per farne materia discrittura16.

All’amico Bouilhet, nel 1852, racconta della compagnia di selvaggi bo-scimani vista a Rouen, e meglio di qualsiasi commentatore spiega in cosaconsiste la sua attrazione quasi morbosa:

Si tratta dei Cafri, di cui si può vedere l’esibizione con la somma dicinque soldi. Sia loro che la loro guida hanno l’aria di morire di fame,e l’alta società di Rouen non si spreca di certo.

12M. Robert, En haine du roman. Étude sur Flaubert, Balland, Paris 1982, p. 23.13Cfr. G. Flaubert, “Le Moine des Chartreux ou l’Anneau du prieur”, in Id., Œuvres de

jeunesse, cit., p. 32.14Da Le Colibri no 3, riportato da A. Naaman, Les Débuts de Flaubert et sa technique

de la description, Nizet, Paris 1962, p. 154.15Testimonianza di P. Foucher riportata da J. Bruneau, Les Débuts littéraires de Gu-

stave Flaubert (1831-1845), Armand Colin, Paris 1962, p. 128. Il ricordo di Foucher siriferisce comunque a Madame Saqui alla fine della sua carriera, non all’epoca di quandola vide Flaubert a Rouen. È probabile, tra l’altro, che Flaubert si fosse recato spesso arivederla anche a Parigi, anni dopo, al Théâtre des Funambules. Curiosamente il Teatrodei Funamboli si trovava proprio nella stessa via, il Boulevard du Temple, in cui Flaubertebbe un appartamento per qualche anno, all’epoca della stesura di Salammbô. AncheThéodore de Banville, nella sua poesia Les Saut du Tremplin scritta nel 1857, dedicata adun acrobata, fa un accenno alla Saqui, definendo il suo clown-acrobata un «emulo dellaSaqui» (T. de Banville, “Le Saut du Tremplin”, in Id., Odes funambulesques, dal sitohttp://www.mta.ca/banville/of/68.html, v. 29).

16Cfr. J. Bruneau, op. cit., p. 129.

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Non c’erano che sette o otto spettatori, in un misero appartamentoaffumicato nel quale ho atteso per un po’. Ad un tratto una specie dibelva feroce, che portava sul dorso una pelle di tigre e cacciava gridainarticolate, è apparsa, e poi gli altri. Sono saliti sul palco e si sonoaccovacciati come scimmie attorno ad un braciere. Orribili, splendi-di, coperti di amuleti, di tatuaggi, magri come scheletri, del coloredi vecchie pipe ingrommate, con la faccia schiacciata, i denti bianchi,l’occhio smisurato, gli sguardi sconsolati di tristezza, di stupore, di ab-brutimento, erano quattro e gorgogliavano attorno ai carboni accesi,come una nidiata di conigli. Il crepuscolo e la neve che imbiancava itetti di fronte li copriva di un tono pallido. Mi sembrava di vedere iprimi uomini sulla terra, la quale veniva alla luce e strisciava ancoracon i rospi e i coccodrilli.

E sempre nella stessa lettera si pone le seguenti domande, che rivelanola sua sintonia con il “diverso”, il folle, il selvaggio, le persone sofferenti oemarginate, che in fondo non sentiva così distanti da sé, ma che anzi avevanocon lui un legame profondo, che a volte diventava così forte da superareanche le barriere linguistiche17, come nel caso di questi selvaggi africani, esi trasformava in una vera e propria empatia grazie alla sua scintilla poeticache gli faceva sentire e decifrare «il linguaggio dei fiori e delle cose mute»18.

Che cos’ho dunque in me per farmi amare a prima vista da tutto ciòche è cretino, folle, idiota, selvaggio? Quei poveri esseri capisconoforse che io sono del loro mondo? Indovinano che appartengo al loromondo? Percepiscono una simpatia? Sentono, tra loro e me, un legamequalsiasi? Ma questo è infallibile. [. . . ] Mi affascina e mi spaventa allostesso tempo. Oggi, per tutto il tempo della visita, il cuore mi battevacosì forte da farmi scoppiare il petto. Ci ritornerò. Voglio sfruttarefino all’ultimo quest’occasione. Ho una voglia smisurata di invitare iselvaggi a cena a Croisset. Se tu fossi qui, sarebbe una bella cosa da

17«Sono sicuro di essere stato, sotto l’impero romano, direttore di qualche compagnia dicommedianti ambulanti», scrive a Louise Colet il 4 settembre 1852 (Corr., vol. II, p. 152).

18«Il famoso Martin è stato sul punto di essere divorato dal suo orso Néron.» (G. Flau-bert, “Les Soirées d’étude, douzième soirée”, in Id., Œuvres de jeunesse, cit., p. 20). Perdare la misura della memoria precisa e infallibile di Flaubert, ma soprattutto di comequesti ricordi dei circhi e degli spettacoli visti da bambino abbiano lasciato un’improntafortissima nella sua immaginazione, si può notare che nel 1861, in una lettera all’amicoFeydeau, tornerà il nome di quel domatore di leoni visto ben ventisei anni prima. Flaubert,criticando l’ignoranza nei confronti degli artisti della gente di ogni epoca, che preferivaa Shakespeare un saltimbanco che domava gli orsi, commenta cinico: «È pur vero che iopreferirei essere paragonato a Martin piuttosto che ai nostri confratelli.» (Corr., vol. III,pp. 166-167). E a Louise Colet, nel 1853: «Perché un frenologo mi ha detto che ero natoper essere un domatore di bestie feroci?» (Corr., vol. II, p. 341). Ogni volta che venivaa conoscenza della messa in scena di spettacoli di questo genere a Parigi o a Rouen, nonesitava ad assistervi, e ne parlava ai suoi corrispondenti sempre in maniera entusiastica.«Quando sarai a Parigi, ti invito ad andare a vedere Batty, il domatore di leoni. È il solospettacolo a cui io abbia assistito, e al quale ritornerò», scrive alla nipote Caroline nel1866 (Corr., vol. III, p. 480).

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fare. Una cosa sola mi trattiene e mi tratterrà, la paura che sembriche voglia darmi arie.19

In questo passo è chiarissimo il suo amore per questi ambienti e per glispettacoli ricchi di suggestioni e contrasti (non a caso la compagnia di Rouenera una compagnia di africani. L’Africa infatti, e l’oriente in generale, visi-tati da Flaubert proprio nel periodo appena precedente a questa lettera, seprima di recarvisi rappresentavano, per il giovane romantico, i luoghi di eva-sione, l’altrove scintillante, le regioni «dell’incontrastato elemento solare»20,dopo il viaggio saranno per lui il luogo supremo delle antitesi più evidentie al contempo più poetiche di fantastico e di realistico, il luogo dove «tuttigli appetiti dell’immaginazione e del pensiero sono appagati contempora-neamente», e dove le stesse antitesi si fondono in un’altissima armonia21),che solo il poeta riesce a comprendere, anche perché si sente lui stesso og-getto dei giudizi e del disprezzo che in genere la gente comune, i borghesi,indirizzano nei confronti di queste persone, come anche nei confronti delleprostitute, altra figura al contempo «hideuse et sublime»22, di orpelli e tri-

19«Bisogna abituarsi a non vedere altro, nella gente che ci circonda, che dei libri dascrivere; l’uomo di senso la studia, la confronta, e fa di tutto questo una sintesi a propriouso. Il mondo non è che un clavicembalo per il vero artista. Sta a lui trarne dei suoni cherapiscano o ghiaccino di spavento.» (All’amico Ernest Chevalier, 24 febbraio 1842, Corr.,vol. I, p. 96).

20Barriere che peraltro Flaubert spesso sentiva nei confronti dei suoi concittadini, deisuoi colleghi, dei suoi stessi famigliari, e che testimoniano di quel senso di estraneità almondo, o meglio di quel percepirsi egli stesso come estraneo, che è uno dei punti cheaccomunano maggiormente Flaubert a un altro scrittore dell’estraneità, dell’ «estrange-ment» (parola che si prende in prestito dall’Idiot de la famille di Sartre) del soggetto,ossia Franz Kafka. Ci sono dei momenti in cui Flaubert è tanto étranger quanto Kafka, equesta lettera ad Alfred Le Poittevin del 1845 ne è una prova: «C’è, in questo momento,un così grande intervallo tra me e il resto del mondo, che mi stupisco talvolta di sentirdire le cose più naturali e più semplici. La parola più banale mi suscita una singolareammirazione. Ci sono dei gesti, dei suoni di voce dai quali non riesco a riprendermi, edelle stupidaggini che mi danno quasi la vertigine. Ti è capitato qualche volta di ascoltareattentamente delle persone parlare una lingua straniera, che tu non capivi? A me sì, emi succede ora. A forza di voler capire tutto, tutto mi fa sognare» (Corr., vol. I, p. 252).Questo «intervallo», però, paradossalmente, non lo sentiva nei confronti dei selvaggi, odei folli, o di persone con le quali non aveva bisogna di parole, perché il sentimento, latristezza, la desolazione, la passione, il sogno, non hanno bisogno né di traduzione nétalvolta di suoni, per essere compresi, ma solo di «una lingua speciale», che Flaubertsente di possedere. «Lui [mio padre] non capiva assolutamente il mio idioma, lui, comete, come gli altri. Ho l’infermità di essere nato con una lingua speciale, del quale io solopossiedo la chiave.» (A Louise Colet, 11 agosto 1846, Corr., vol. I, p. 288). «D’altro canto,l’isolamento e l’estraneità dalla cosiddetta realtà sono cose che, dopo tutto, caratterizza-no costantemente l’artista, il genio, lo scopritore», scrive Nabokov nella sua lezione sullaMetamorfosi; «la famiglia Samsa [e, potremmo aggiungere, la famiglia Flaubert] intornoall’insetto fantastico non è altro che la mediocrità che circonda il genio» (V. Nabokov,Lezioni di letteratura, Garzanti, Milano 1992, p. 309).

21C. Baudelaire, “Élévation”, in Id., Œuvres complètes, 2 voll., texte établi, présenté etannoté par C. Pichois, Gallimard, Paris 1975-76, vol. I, p. 10, v. 20.

22A Louis Bouilhet, 26 dicembre 1853, Corr., vol. II, pp. 487-488.

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stezza, di lussuria e miseria, che Flaubert sente vicina a sé, e di cui forniràun meraviglioso ritratto in Novembre, dal nome Marie.

Molti anni dopo i primi spettacoli di circo visti a Rouen, e la compagniadi selvaggi di cui parla a Bouilhet, racconterà ancora di una compagnia dizingari venuti dall’Indostan, ribadendo la «sua tenera simpatia» per le mi-noranze, per le «razze barbare»23, che ha le sue radici, anche se Flaubertnon lo dice esplicitamente, nella sensazione, che non nasconde sprezzo o pre-sunzione ma è constatazione obiettiva e spesso amara, di essere minoranzaa sua volta.

Sono andato in visibilio, otto giorni fa, davanti ad un accampamentodi Bohémiens che si erano stabiliti a Rouen. È la terza volta che livedo, e ogni volta con piacere nuovo. La cosa incredibile è che eccitanol’Odio dei borghesi, benché siano inoffensivi come agnelli. Mi sonofatto molto malvolere dalla folla dando loro qualche soldo. E ho sentitoparole gentili alla Prudhomme. Questo odio risale a qualcosa di moltoprofondo e complesso. Lo si ritrova in tutte le persone perbene. È l’odioche si porta al Beduino, all’Eretico, al Filosofo, al solitario e al poeta.E in esso si annida la paura. Io, che sono sempre per le minoranze, nesono esasperato.24

Quella che Thibaudet chiama la «visione binoculare» di Flaubert, chegli consente di afferrare «come associati in coppia, i contrari estremi diuno stesso genere, e di comporre di questi estremi un genere, di queste dueimmagini piane un’immagine in rilievo»25, è la principale caratteristica della

23A. Pozzi, op. cit., p. 191.24«Si è concepito l’Oriente fino ad ora come qualcosa di scintillante, stridente, appassio-

nato, contrastante. Non si è voluto vedere in esso che baiadere, sciabole dalle lame ricurve,il fanatismo, la voluttà. [. . . ] Io l’ho sentito diversamente. Ciò che amo, al contrario, inOriente, è questa grandezza che ignora se stessa, e questa armonia delle cose disparate.Mi ricordo un bagnante che aveva al braccio sinistro un braccialetto d’argento e all’altroun vescicante. Ecco l’Oriente vero e, pertanto, poetico: dei malviventi in cenci gallonatie completamente ricoperti di insetti. E lasciateli stare, gli insetti, creano al sole degliarabeschi d’oro! Mi dici che i pidocchi di Kuchiouk-Hânem ti disgustano; è proprio quello,invece, che incantava me. Il loro odore nauseabondo si mischiava al profumo della suapelle grondante di sandalo. Io voglio che ci sia un fondo di amarezza in tutto, un eternofischio i mezzo ai nostri trionfi, e anche la desolazione stessa sia nell’entusiasmo. Tuttociò mi ricorda Jaffa, dove, entrando, sentivo contemporaneamente l’odore delle piante dilimoni e quello dei cadaveri; il cimitero sfondato lasciava intravedere gli scheletri per metàputrefatti, mentre gli arbusti verdi dondolavano sopra le nostre teste i loro frutti dorati.Non senti quanto questa poesia è completa, e che è la grande sintesi? Tutti gli appetitidell’immaginazione e del pensiero vi sono appagati contemporaneamente; essa non lascianiente dietro di sé.» (A Louise Colet, 27 marzo 1853, Corr., vol. II, pp. 283-284, corsivomio).

25Tutto il racconto è giocato su questa antitesi, che in punto verrà esplicitamente di-chiarata. «Vedendo questa donna orribile e coperta di stracci abbracciare con tanto amoreun uomo che la respingeva per istinto, vedendo questa miseria e questa tenerezza, si era difronte ad uno spettacolo orrido e sublime» (G. Flaubert, “Un parfum à sentir ou Les Ba-ladins”, cit., p. 87, corsivo mio). Il contrasto tra canto e singhiozzo, tra il grottesco ormai,

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natura e dunque dell’arte di Flaubert, che ha i suoi germi già nel racconto suisaltimbanchi, per molti aspetti sintesi e anticipazione del Flaubert maturo,e si consoliderà appunto al tempo del suo viaggio in Oriente, trovando lasua massima espressione in Madame Bovary.

Nel capolavoro di Flaubert il suo viso pensoso, buffonescamente ama-ro, dallo sguardo penetrante come una sonda che scava e mostra le antitesiin profondità, il suo riso o la sua pietà di fronte ai quadri di miseria, distupidità, di cattiveria, di tristezza, che spesso la vita propone in associa-zione ad altri di apparente felicità, amore, ricchezza, cultura, bontà, tantoda lasciare sbalorditi i più, che non riconoscono i confini tra gli uni e glialtri, o li tracciano con sciocca e presuntuosa precisione geometrica, come sefosse possibile separare l’illusione dalla realtà, la malattia e la sanità26, lamoralità e l’immoralità, il suo cœur insomma, come dice lui stesso, si sentedappertutto, ma non si vede mai.

In questo racconto, invece, come un pittore dell’antichità che autenticail proprio quadro prestando il proprio viso a qualche personaggio, Flaubertsi è introdotto nel racconto con il suo sguardo di bambino che assisteva aglispettacoli del circo della sua città con emozione e curiosità, e il lettore nescorge dunque il viso di «ragazzino dalle rosee guance paffute, che fino aquel momento aveva desiderato ardentemente di essere un funambolo peravere dei pantaloni rosa, e degli stivali di marocchino»27.

dopo il Romanticismo, assunto a categoria estetica autonoma, e il sublime, incarnati nellamiseria di Marguerite e negli abiti a lustrini, contrasto caro a tutti i romantici, in specialmodo a Victor Hugo, si ripete in ogni pagina di questo racconto, diventando il personalemodo di Flaubert di vedere e dipingere quella «poetica della totalità che individua nelgrottesco, contrapposto al sublime, la sintesi [. . . ] di tutti i contrasti insiti nel reale». La«grande sintesi», come appunto la definisce Flaubert nella lettera citata nella nota pre-cedente (l’ultima citazione in M. Mazzocut-Mis, Mostro. L’anomalia e il deforme nellanatura e nell’arte, presentazione di G. Scaramuzza, Guerini, Milano 1992, p. 66).

26«Porto in me la malinconia delle razze barbare, con i loro istinti di migrazione ei loro disgusti innati della vita, che le spingeva ad abbandonare i loro paesi come perabbandonare se stesse. Hanno amato il sole, tutti i barbari che sono venuti a morire inItalia; avevano un’aspirazione frenetica verso la luce, verso il cielo azzurro, verso qualcheesistenza calda e sonora, sognavano dei giorni pieni d’amore [. . . ]. Ho sempre provatonei loro confronti una simpatia tenera, come se fossero degli antenati. Non ritrovavoforse, nella loro storia rumorosa, tutta la mia tacita storia sconosciuta?» (A Louise Colet,13 agosto 1846, Corr., vol. I, p. 300).

27A George Sand, 12 giugno 1867, Corr., vol. III, pp. 653-4. Non si può fare a menodi notare, fra le altre cose, la desolante attualità di queste considerazioni flaubertianesull’odio, la diffidenza, la paura che suscitano, da sempre e purtroppo forse per sempre,le persone di razza, cultura, lingua, religione, abitudini differenti dalle nostre, pur in unasocietà, quella attuale, decisamente più multietnica rispetto a quella di Flaubert. Inoltrela sensazione di solitudine e isolamento, voluti o subiti, del poeta, del filosofo, dell’artistain generale, è comune a moltissimi di questi, in ogni epoca, e spesso si accompagna allaconvinzione di essere nati in un momento storico inadatto a comprenderli appieno (e nonè un caso, in effetti, che moltissimi artisti diventino famosi dopo la morte, sconfinandoaddirittura nel “mito”, ma siano assolutamente sconosciuti dai propri contemporanei), ealla certezza, o quantomeno alla speranza, di essere conosciuti e finalmente apprezzati

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E anche nella Tentazione di sant’Antonio del 1849 lo stesso bambinoavrà il suo posto, considerato un premio offertogli dal Diavolo, «in primafila, piccino, fra i lampioncini» per vedere le marionette, «nel posto migliore[. . . ], in modo da vedere bene tutti i burattini e le dita del burattinaioattraverso la tela»28.

In Madame Bovary Flaubert arriverà a un tale livello artistico da riuscirea scomparire dietro le quinte, talora dietro, talora dentro i suoi personag-gi, facendo ciò che suggeriva il suo stimatissimo amico Alfred Le Poittevin:«l’artista deve restare invisibile come in un teatro di burattini, suggeriràsolamente dei gesti alle marionette»29. In questo modo riuscirà ad esse-re contemporaneamente presente/assente, a creare un intreccio di punti divista e messe a fuoco che costituisce quella “atmosfera speciale” in cui si fon-dono soggettività e oggettività, qualità visionarie e dettagli realistici, visionideformate dalle passioni (dei protagonisti ma anche dello stesso Flaubert),e visioni distaccate e obiettive, che è una delle originalità più suggestive delromanzo.

Nel periodo dei Baladins Flaubert non è ancora arrivato a quel livellodi stile che diventerà il mezzo di espressione dello scrittore e di rappresen-tazione del reale, a quella Forma suprema che gli permette di conciliare gliinconciliabili (la volgarità, la bruttezza, la stupidità, il grottesco della vita,e la bellezza, il sublime, il sogno), senza lasciarsi «mischiare»30 con ciò che

dai posteri. Delle innumerevoli dichiarazioni di scoramento, delusione, tristezza, rabbia,orgoglio ferito, delle innumerevoli confessioni profetiche sulla propria fama in un tempo avenire di tutti gli spiriti che, un po’ come Flaubert quando avvertiva, come San Policarpo,di essersi trovato a nascere in un momento sbagliato, si sono sentiti «inattuali», «l’uomofolle» nietzschiano, con il suo annuncio in un mezzogiorno di mercato della morte di Dio, ela sua rassegnata ma non sconfitta constatazione «vengo troppo presto, [. . . ] non è ancorail mio tempo. Questo enorme evento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino», neè la sintesi e, se mai ne avessero bisogno, il riscatto. L’ultima citazione è di F. Nietzsche,La gaia scienza e gli idilli di Messina, nota introduttiva di G. Colli, tr. it. di F. Masini,Adelphi, Milano 199912, pp. 163-164.

28A. Thibaudet, op. cit., p. 89.29«Dov’è il limite tra l’ispirazione e la follia, tra la stupidità e l’estasi? Non bisogna,

per essere artisti, vedere tutto in un modo differente da quello degli altri uomini? L’artenon è un gioco di spirito. È un’atmosfera speciale.» (A Louise Colet, 1-2 ottobre 1852,Corr., vol. II, p. 166).

30G. Flaubert, “Un parfum à sentir ou Les Baladins”, cit., p. 85. In molte lettereFlaubert parla della sua passione per i vestiti, l’arredamento, gli accessori africani, pro-venienti dall’Algeria, dal Marocco, o turchi, che gli ricordano appunto l’amato oriente. ALouise Colet regalerà una sciarpa algerina da annodare intorno ai capelli, come le donneorientali, e significativamente Lheureux mostrerà a Emma, fra i suoi primi articoli, «tresciarpe algerine, [. . . ] [dal] tessuto che alla luce verde del crepuscolo scintillava con tuttele sue pagliuzze d’oro simili a stelline», e di cui lei sceglierà la più bella (G. Flaubert, “Ma-dame Bovary”, in Opere, 2 voll., Progetto editoriale e saggio introduttivo di G. Bogliolo,tr. it. di M.L. Spaziani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1997, vol. I, pp. 621-22).Anche Marie Arnoux, la sera della prima cena a cui venne finalmente invitato Frédéric,portava sui capelli «una lunga reticella algerina di seta rossa che, attorcigliandosi al pet-tine, le ricadeva sulla spalla sinistra.» (G. Flaubert, “L’educazione sentimentale”in Id.,

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sta scrivendo; è dunque autore e spettatore allo stesso tempo, inserito nellospettacolo che va in scena.

Questo però non deve far pensare che il suo sguardo, benché di bambinoemozionato attratto dai lustrini e affascinato dalle paillettes, sia abbaglia-to dai riflettori, offuscato dalla confusione, impossibilitato a svolgere il suocompito di «pensatore e demoralizzatore»31. Il bambino dei Baladins dalleguance rosee, che sognava di diventare funambolo per indossare gli amatipantaloni a coulisse rosa, infatti, guarda lo spettacolo che ha di fronte «disil-luso», e il bimbo «coi capelli bianchi, una testa smisurata e gracili piedini»della prima Tentazione, a cui il Diavolo promette un posto in prima fila pervedere le marionette, altro non è che la Scienza, che dopo aver smascheratotutti i Vizi, aver tenuto testa all’Avarizia, all’Invidia, alla Gola, alla Pigrizia,all’Ira, alla Lussuria, allo stesso Orgoglio, padre di tutti loro, davanti ad undisperato Antonio, dilaniato dal dubbio e dalle tentazioni di cui è vittima,apostrofa così la Fede, incitato dal Diavolo, chiudendo mirabilmente la suaentrata in scena:

Ah! Cominci, figlia del cielo? Mi devi proprio odiare!. . . Ma se conoscila verità, tendimi la mano, perché anch’io aspiro alla stessa causa, eanche se non la comprendo, non la nego, mentre tu neghi le manife-stazioni che la attestano. Tu neghi la natura attraverso i miracoli, lamorte attraverso la resurrezione, la libertà attraverso la Provvidenza,e la Provvidenza attraverso l’intervento diretto del Signore; sei la ne-gazione, il soffocamento, l’odio. Io sono il grande amore inquieto cheprocede passo passo in quella via dello spirito che tu ti compiaci disconvolgere. . .Pazienza! Verrà un tempo in cui le cose saranno mondate dalle male-dizioni con cui le copri, ciò che è oscuro risplenderà, ciò che è informesi completerà, ciò che sembra mostruoso apparirà superbo; saprò spie-gare sia il corpo che l’anima, sia la materia che lo spirito, sia il peccatoche la penitenza, il delitto e la virtù, il male e il bene e ringiovaniròall’infinito mentre tu ti piegherai verso la decrepitezza. Inutilmenteper attirare i cuori vorrai abbellirti con l’allettamento dell’ideale: allafine l’arte si staccherà da te come una collana che si scioglie perché ilfilo è logoro e i villani rideranno vedendo la nudità di quello scheletroche amavano. Allora ti trascinerai sulla tua stampella, scuoterai il ca-po piangendo, bofonchierai la tua ira e resterai come una mendicante

Opere, cit., tr. it. di G. Bogliolo, vol. II, pag. 71). L’insistenza su questo dettaglio dellamoda femminile mostra chiaramente come questo sia ben più di un particolare che rispon-de al criterio di realtà e verosimiglianza, ma rappresenti un elemento di forte seduzioneper lo scrittore. Flaubert amerà sempre i lustrini, le stoffe brillanti orientali, gli acces-sori e i costumi delle attrici, delle ballerine, delle funambole. A queste ultime dedicheràdichiarazioni d’amore e di ammirazione appassionate in Novembre, scritto nel 1842.

31G. Flaubert, “La tentazione di sant’Antonio (1849)”, in Id., Opere, cit., tr. it.di G. Bogliolo, vol. II, pp. 1498.

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sulla porta della chiesa, rannicchiata in un angolo, perduta nell’ombra,a biascicare la tua lamentela.32

Certamente questa pagina, scritta tredici anni dopo il racconto sui sal-timbanchi, mostra un Flaubert decisamente più audace e filosoficamentematuro. Ma già il Flaubert che si dipingeva disincantato tra i funamboli haperso l’infantile illusione, e ha acquisito la capacità di grattare la doraturadalle cose, fino a toccarne il marciume, è già «impudente», e vuole «tuo-nare contro i pregiudizi»; per evitare che «la Santissima Chiesa Cattolica,Romana e Apostolica non [gli] lanci contro i suoi strali a causa del [suo]titolo strampalato, Racconto filosofico immorale, morale (ad libitum)», sigiustificherà, provocatoriamente, «quando [gli] verrà fornita la definizione diciò che è morale rispetto a ciò che non lo è»33. Anche se le sue concezionisull’arte sono ancora molto acerbe, e le sue letture sull’argomento troppoincomplete per fornirgli, a soli quattordici anni, un complesso sistema diidee estetiche vero e proprio, come invece verrà elaborando in seguito, inqueste righe sembra già di sentire il Flaubert di una lettera scritta tre mesiprima di morire a Maupassant, minacciato di procedimento giudiziario daltribunale di Étampes per la poesia Au bord de l’eau. In difesa del discepolo,dopo aver ribadito la natura per lui descrittiva dell’arte, Flaubert scrive:

Bisognerebbe intendersi definitivamente su questa questione della mo-ralità nello Stato. Ciò che è Bello è morale, ecco tutto, e niente dipiù.La poesia, come il sole, mette l’oro sul letame. Tanto peggio per coloroche non lo vedono. Tu hai trattato un luogo comune perfettamente, emeriti degli elogi, al posto di meritare l’ammenda e la prigione.34

32Questa frase di Alfred Le Poittevin, riferita da R. d’Ulmès ne La Revue del15 aprile 1904, è stata riportata da J. Bruneau, op. cit., p. 466.

33«Tu dipingerai il vino, l’amore, le donne, la gloria, a condizione, mio buonuomo, che tunon sia né ubriacone, né amante, né marito, né fante. Mischiati alla vita, la si vede male,se ne soffre o se ne gioisce troppo.» (A sua madre, 15 dicembre 1850, Corr., vol. I, p. 720).Quattro anni prima di morire esporrà ancora lo stesso pensiero, definendolo addiritturaun «principio di estetica»: «avete ragione nel dirmi [. . . ] che le persone ragionevoli sonoinclini a fare follie. Le eccentricità più gravi sono generalmente prodotte dalle personedi giudizio, o che passano per tali. È per questo motivo, senza dubbio, che non c’è uncommediante nelle prigioni. . . Il suo mestiere è un canale attraverso il quale trova liberosfogo la sua insensatezza, il bisogno di stravaganza che abbiamo tutti, chi più chi meno.Ecco un principio di estetica (vedete bene che io riconduco tutto al mio mestiere), unaregola, come dire, per gli artisti: Siate moderati e ordinari nella vostra vita come deiborghesi, al fine di essere violenti e originali nelle vostre opere.» (A Madame Tennant,25 dicembre 1876, Correspondance, Nouvelle édition augmentée, septième série (1873-1876) et huitième série (1877-1880), 8 voll., Louis Conard, Paris 1933, vol. VII, p. 378,corsivo mio).

34«[. . . ] se mai prenderò una qualche posizione attiva nei confronti del mondo, saràcome pensatore e demoralizzatore», scrive all’amico Chevalier pochi anni dopo la stesuradi questo racconto, nel 1839 (Corr., vol. I, p. 37).

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Il Flaubert idealista, pacifista, arrabbiato di quest’opera, da lui definita«strana, bizzarra, incomprensibile» nel commento finale35, così come quel-lo filosofico e per certi aspetti spinozista della prima Tentazione, fino adarrivare al grandioso creatore di Emma, Charles, Homais, Lhereux, sonoaccomunati da una medesima visione del mondo36 che, nonostante le neces-sarie evoluzioni dovute all’età, non cambierà di molto, e porterà tutti i suoipersonaggi, con a capo il loro autore, a riconoscere nella suprema causa ditutto il male, che affannosamente si cerca dopo aver mostrato «tutti questidolori nascosti, queste ferite camuffate da false risate e da costumi da pa-rata, sollevato il mantello della prostituzione e della menzogna»37, in una

35G. Flaubert, “La tentazione di sant’Antonio (1849)”, cit., pp. 1500-1501. La superio-rità della Scienza rispetto alla Fede risiede nella sua capacità di totalizzazione, e il suoscopo, la sua suprema tentazione, è la grande sintesi. Non si accontenta più dell’analisi:«Se potessi penetrare la materia, [. . . ] riunire a me quei fenomeni disparati e rimetterliin movimento nella sintesi da cui li ha staccati il mio scalpello. . . allora forse farei deimondi. . . [. . . ] Voglio sapere tutto, voglio arrivare fino al nocciolo del globo, voglio cam-minare nel letto dell’Oceano, [. . . ]» (ibid., pp. 1495-1496). Utilizzare la conoscenza perdominare il mondo, che sarà anche il sogno dell’eremita Antonio nella Tentazione del 1874,e poi di Bouvard e Pécuchet, è in fondo la grande tentazione di Flaubert, anche se egli saperfettamente che “la stupidità sta nel voler concludere”, e che una soluzione non esiste,o non è data all’uomo. «Oh! Orgoglio umano! Una soluzione! Lo scopo, la causa! Manoi saremmo Dio, se possedessimo la causa. E via via che avanzeremo, essa si allontaneràdefinitivamente, perché il nostro orizzonte si allargherà. Più i telescopi saranno perfetti epiù le stelle saranno numerose. Siamo condannati a rotolarci nelle tenebre e nelle lacrime.[. . . ] rassegnatevi all’ignoranza.» (A Mademoiselle Leroyer de Chantepie, 6 giugno 1857,Corr., vol. II, p. 731). Su queste tematiche, e sulla loro evoluzione all’interno del pensieroe delle opere di Flaubert, in particolare all’interno delle due Tentazione di sant’Antoniodel 1849 e del 1874, cfr. lo studio di G. Séginger, Naissance et métamorphoses d’un écri-vain. Flaubert et “Les Tentations de saint Antoine”, Honoré Champion, Paris 1997, inparticolare capp. I e II della terza parte.

36Tutte le ultime citazioni in G. Flaubert, “Un parfum à sentir ou Les Baladins”, cit.,p. 112. Si ricorda che molti anni dopo aver scritto questo racconto, arrivato ormai allamaturazione e alla formulazione delle sue idee estetiche sull’arte come esperienza spiritualeautosufficiente, indipendente, in sé completa, scriverà, in una lettera a Louise Colet del1846: «Si rimprovera alle persone che scrivono in bello stile di trascurare l’idea, lo scopomorale; come se lo scopo del medico non fosse di guarire, quello del pittore di dipingere,quello dell’usignolo di cantare, come se lo scopo dell’Arte non fosse il Bello, prima ditutto!» (Corr., vol. I, p. 350). E nella Préface aux Dernières Chansons de Louis Boui-lhet (G. Flaubert, Préface aux Dernières Chansons de Louis Bouilhet, sul sito internet:http://perso.wanadoo.fr./jb.guinot/pages/chansons1.html, p. 4), elencando vari e formed’arte che sono intrinsecamente antiestetiche, mette appunto «l’arte predicatrice, che vuo-le insegnare, correggere, moralizzare», da cui l’amico si teneva lontano, essendo convinto,come lui, che «l’arte ha la sua propria ragione in se stessa, non deve essere consideratacome un mezzo». Queste idee sull’autonomia dell’arte anche dalla morale, benché ancorain forma confusa e imprecisa erano già, dunque, presenti nel Flaubert dei Baladins.

37Corr., éd. Conard, cit., vol. VIII, p. 397. Se l’avvocato Senard, che difese Flaubert alprocesso contro Madame Bovary accusato di aver offeso la morale pubblica, fosse stato unpoeta, al posto delle tante formule retoriche e giuridiche con le quali, comunque, riuscì anon far condannare il suo cliente, forse avrebbe pronunciato le parole con le quali Flaubertdifese l’amico Maupassant. . . «Ciò che è Bello è morale, ecco tutto». E Madame Bovary,come scrive anche A. Pozzi, è molto bella (A. Pozzi, op. cit., p. 215, corsivo nel testo).

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sola parola, in una sola divinità, che non è il Diavolo, né Dio, né tutti i Viziche perseguitano Antonio, o le bramosie che palpitano in Emma, o la stessamiseria e la gelosia della povera Marguerite. . .

È una divinità «oscura e misteriosa», di cui il giovane Flaubert ha dapoco imparato il nome greco: «ngkh»38.

Ella, «nata con l’uomo, esiste ancora dopo il suo nulla, si apposta difronte a tutti secoli e a tutti gli imperi, e ride nella sua ferocia vedendo lafilosofia e gli uomini torcersi nei loro sofismi per negarne l’esistenza, mentreli schiaccia tutti nella sua mano di ferro, come un gigante che si balocca condei crani prosciugati!»39.

E anche se non è questo l’unico motivo che avvicina questo racconto aMadame Bovary (vedremo più avanti altri spunti simili), ne è certamente unodei principali: la fatalità infatti domina tutta la storia di Emma e Charles, edopo essere stata nominata già due volte nel romanzo, e sempre in momentichiave40, suggellerà la fine del romanzo con la sua formula assolutoria, chein bocca a Charles non può non suonare contemporaneamente patetica ebeffarda, in una parola flaubertiana, grottescamente triste. . . e proprio perquesto, per lui e per noi, «di un fascino inaudito»41.

Se in questo momento la Fatalità è divinità incontrastata che governa ilmondo e gli uomini secondo il suo umore beffardo e capriccioso, in un altroracconto giovanile scritto nel 1839 ad essa Flaubert darà un rivale, l’unicorivale degno di una tale dea: Yuk, dio del grottesco, «il vero, l’eterno, [. . . ]il buffone, il grottesco, il laido, [. . . ] ciò che è, ciò che è stato, ciò che sarà;[. . . ] tutta l’eternità in me soltanto»42.

38Le parti finali del racconto, che costituiscono due espliciti interventi dell’autore, in cuiegli nomina l’amato Montaigne, spiega il significato del titolo, parla del tempo impiegatoa scrivere il racconto, si lancia andare ad una spontanea confessione su ciò che è perlui la scrittura, svelano che in esso è contenuto un «pensiero filosofico, triste, amaro,scuro e scettico», che è compito del lettore cercare (G. Flaubert, “Un parfum à sentir ouLes Baladins”, cit., p. 112). Sono intitolate appunto Moralité e Ce que vous voudrez, cuifarà eco il titolo «Quidquid volueris» di un altro importante racconto giovanile di Flaubert.

39Visione del mondo che poggia sulla domanda che l’autore si pone, o meglio fa porre allettore dopo la lettura dei Baladins: «A chi la colpa?» (G. Flaubert, “Un parfum à sentirou Les Baladins”, cit., p. 81).

40Ibid.41Ibid. In una lettera a Ernest Chevalier dell’anno prima (Corr., vol. I, pp. 19-20)

Flaubert utilizza questa parola per ben due volte, e del resto è proprio in questo periodoche gli allievi di quinta del collegio di Rouen cominciavano lo studio del greco, che occuperàFlaubert fino al 1840. La nota al testo fa notare che Flaubert prende verosimilmentein prestito il termine greco che significa “necessità”, “fatalità”, da Victor Hugo, il qualeaveva dato alla parola un rilievo importante, scrivendola nella prima pagina di Notre-Damede Paris. >AN'AGKH è anche la parola che intitola il capitolo quarto del libro settimo diNotre-Dame, incisa sul muro «in lettere maiuscole» da Claude Frollo, l’arcidiacono animanera del romanzo (V. Hugo, Notre-Dame de Paris, tr. it. di G. Leto, Arnoldo MondadoriEditore, Cles (TN) 1996, p. 203).

42Ibid., pp. 81-82. Un anno dopo Flaubert scriverà un racconto rimasto incompiuto,definito, come i Baladins, filosofico, intitolato proprio La Main de fer, per il quale sceglierà

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Yuk è lo sposo «tirannico», insaziabile, e infedele della Morte, con laquale ha sempre trascorso «delle belle notti, avvolti tutti e due insieme neltuo lenzuolo bucato»43; alla fine di Smar, racconto che lo vede protagonistaassoluto, il dio Yuk si accoppierà mostruosamente, vincendo la battaglia peril corteggiamento tra Satana e lo stesso Smar, con un’altra donna misteriosa,dall’identità non ben precisata44.

Non è azzardato ipotizzare che questa donna, la Verità, sia proprio lastessa Ananke. Che altro è il destino, la fatalità, per Flaubert, e così perMarguerite, per Charles, per Emma45, se non la verità, personalissima ediversissima, che ognuno possiede su se stesso da quando nasce, grottesca osublime che sia, e con la quale ognuno intreccia giornalmente una relazioneche è tanto più grottesca quanto più si cerca di sopprimerla, e diventa subli-me, come nel suo caso, quando la si asseconda, la si segue, riuscendo a farladiventare Arte, e trovando in questa apparente schiavitù, paradossalmente,il modo per essere veramente libero, creatore, unico, eterno?46

***

Tornando alla storia della povera famiglia di saltimbanchi, fin dall’inizioFlaubert avverte che mostrerà il contrasto fra «la saltimbanca brutta, di-sprezzata, sdentata, picchiata dal marito» e quella bella, «incoronata difiori, di profumi e di amore», le farà divorare dalla gelosia, fino all’epilogoche «deve essere bizzarro e amaro»47.un’epigrafe (presa da Chant de mort de Raghenard Lodbrog) che si avvicina moltissimoall’idea della fatalità espressa nei Baladins, fatalità che schiaccia tutti nella sua mano diferro: «Ora sperimento che gli uomini sono schiavi del destino e obbediscono ai decretidelle fate che presiedono alla loro nascita.» (G. Flaubert, “La Main de fer”, in Id., Œuvresde jeunesse, cit., p. 203).

43La prima volta in occasione dell’operazione mancata di Charles al piede storto diHippolyte, che Emma vedeva come l’ennesimo segno della meschinità e della nullità delmarito, e la seconda volta pronunciata da Rodolphe nella lettera di addio a Emma pertentare di dare una colpa al loro amore, riuscendo solo ad evidenziare la sua codardia e latotale svalutazione dello stesso amore. La terza volta è Charles, nelle ultime battute delromanzo, a pronunciare la «frase solenne, la sola che avesse mai pronunciata: – È colpadella fatalità!» (G. Flaubert, “Madame Bovary”, cit., p. 880). Rodolphe, che è in fondoun uomo grezzo, di intelligenza veloce ma di scarsa finezza psicologica e di sentimenti, noncapisce la grandezza di questa frase, e giudica Charles «bonario, comico e un po’ vile». Manon Flaubert, che conosceva da anni la forza incontrastata e incontrastabile del destino,della fatalità appunto, per averla sperimentata dentro e fuori di sé.

44«Per me il grottesco triste ha un fascino inaudito. Corrisponde ai bisogni intimidella mia natura buffonescamente amara. Non mi fa ridere ma lungamente fantasticare.Lo colgo ovunque si trova e siccome lo porto dentro di me come tutti quanti, ecco perchémi piace analizzarlo» (A Louise Colet, 21-22 agosto 1846, Corr., vol. I, p. 307).

45G. Flaubert, “Smar”, in Id., Oeuvres de jeunesse, cit., p. 604.46Ibid., p. 604.47Nel racconto l’identità della donna è oscura, ma è lo stesso Flaubert che, riassumendo

il racconto all’amico Chevalier, ne svela il volto: «Smar non ha ancora provato l’amore.

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Nelle prime pagine del racconto la protagonista Marguerite non è ancoraentrata in scena, e vengono descritti i componenti della troupe di spettacolodiretta da Pedrillo. Oltre a lui, «l’Ercole del Nord», che suscita il risonegli spettatori per i suoi gesti e le sue urla grottesche, ci sono tre bambini,molto giovani, «gracili e fiacchi», dal colorito giallastro, i cui tratti indicano«infelicità e sofferenza». Impietosamente Flaubert svela il contrasto tra «lacamicina rosa bordata d’argento, [. . . ] il trucco che copriva loro le guance,[. . . ] l’amabile sorriso», e «le membra smagrite», «le guance scavate dallafame e lacrime ben nascoste». Tra di loro, prima dell’inizio dello spettacolo,parlano della «maman» da tempo lontana, ma vengono immediatamenterimproverati da Pedrillo, che non vuol sentire neppure nominare «quelladonna».

I bambini, a bassa voce, ricordano come la loro «povera madre» venissespesso picchiata dal marito, perché era brutta. Flaubert, prima ancora cheMarguerite faccia il suo ingresso nel racconto, fa già capire che si trattadi una donna sfortunata, presa in giro dalla sorte, dalla «natura che si èdimostrata una cattiva madre»48.

Comincia lo spettacolo.I bambini, dopo essersi asciugati le lacrime di tristezza provocate dal

ricordo della madre, fanno acrobazie sulla corda, incoraggiati da Pedrillo,che ne segue i movimenti con una bacchetta di legno bianco, minacciandodi frustarli al minimo sbaglio. Durante l’esibizione di Pedrillo, ad un trattol’attenzione degli spettatori si sposta su una donna dall’aspetto miserabile,che si fa avanti verso di lui. L’ingresso di Marguerite, anticipato da una seriedi particolari su di lei che rivelano la maggiore abilità narrativa conquistatada Flaubert rispetto ai racconti precedenti, e che gli consentono di ritardare

Si presenta una donna. . . lui l’ama, [. . . ] ma anche Satana se ne innamora, allora cercanodi sedurla entrambi. Di chi sarà la vittoria? Di Satana, come tu puoi pensare?! No, di Yukil grottesco, questa donna è la Verità, e il tutto finisce con un accoppiamento mostruoso»(A Ernest Chevalier, 18 marzo 1839, Corr., vol. I, p. 40).

48«L’ineluttabile fatalité-réalitédi Emma Bovary (e dell’essere umano Flaubert), si chia-ma carnalità e denaro. Emma non è la vittima di letture più o meno mediocri [. . . ], comela critica tradizionale, con un’insistenza che a tutt’oggi rende assai arduo liberarsi dalloschema, ha sempre voluto farci credere. È lei stessa a portare a compimento il suo destino,perché questo le impone il suo corpo, che è bello e di un’ardente sensualità. Perché nondire apertamente che lei sceglie il destino del suo corpo e della sua bellezza? [. . . ] Fatali-té. Ubbidendole, Flaubert scrive un’opera che della sua persona dice più delle sue lettere[. . . ], e più anche di quanto possa dire la più intelligente opera critica e biografica». Cosìscrive Jean Améry nel suo originale Charles Bovary, medico di campagna. Ritratto di unuomo semplice (Bollati Boringhieri, Torino 1992, pp. 71-72), che è costruito sull’idea difornire, una volta per tutte, la possibilità a Charles Bovary di formulare il suo J’accuse,momento culminante ed epilogo del libro, contro il suo creatore, per averlo scacciato «dalregno della libertà, dell’uguaglianza, della fratellanza, facendo di me uno schiavo di quellache egli considerava la stupidità e la bruttezza del piccolo borghese». Ma, alla fine, Char-les, «ombra eterna», ritirerà la sua denuncia, e tornerà a sedere sotto la pergola, «ormaimuto» (e non è dunque ancora una volta la fatalité-réalité, il destino-verità, che vince?!)(ibid., pp. 145-146).

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la visione della sua protagonista per creare maggior tensione, è spettacolare,teatrale, ma di un comico patetico, triste, amaro.

Coperta di stracci, simile a una mendicante, viene immediatamente ri-conosciuta dal marito, che la apostrofa così:

Ah, ah! sei tu, vecchia strega! disse a una donna vestita di strac-ci, dall’aspetto miserabile. Non mi aspettavo di vederti così presto!Dov’eri finita? Va beh, mi dirai tutto questo più tardi. Entra pureMarguerite, ora siamo in scena, ci servi – vai a saltare, d’accordo? faidel tuo meglio.49

La povera saltimbanca prova timidamente a opporsi, dicendo che la gentela prenderà in giro, che è vestita malamente, ma Pedrillo la zittisce e le ordinanuovamente di entrare. E come ogni attrice o attore che si rispetti, l’ingressodi Marguerite è accompagnato dal rumore della folla di spettatori. . . Manon è il rumore degli applausi, dell’ovazione, dell’ammirazione del pubblico,bensì il mormorio dapprima diffuso e poi sempre più elevato di «un risobeffeggiatore», che Flaubert descrive con precisione e finezza psicologica:

si levò un mormorio accompagnato da una risata di scherno, una diquelle risate feroci dirette all’uomo che cade, quel riso sprezzante chela Superbia in abiti dorati scaglia contro la prostituzione, quel riso cheil bambino soffia sulla farfalla cui strappa le ali.50

Un riso crudele, stimolato da una situazione triste e penosa, grottesca,che nonostante questo, e proprio per questo, fa ridere. È il primo riso delracconto, che si estenderà da «sprezzante» a «lugubre», «ironico, convulso»,«imbecille», folle, a seconda dei motivi da cui è generato, e dalla personache ride. E questo primo riso è un riso immediato, naturale, in fondo in-nocente, vicino al significato baudelariano del comico assoluto, che ha comesua prerogativa di essere primitivo, primordiale.

[. . . ] il riso causato dal grottesco ha in sé qualcosa di profondo, di as-siomatico e di primitivo, che si avvicina molto di più alla vita innocentee alla gioia assoluta del riso causato dal comico dei costumi.51

49«Che cos’è dunque l’uguaglianza se non la negazione di ogni libertà, di ogni superioritàe della Natura stessa? L’uguaglianza, è la schiavitù. Ecco perché amo l’arte, perché là,almeno, tutto è libertà in questo mondo di finzioni. Ci si sazia completamente, si fatutto, si è allo stesso tempo re e popolo, attivo e passivo, vittima e prete. Nessun limite:l’umanità è [per l’artista] un burattino a sonagli, che egli fa suonare all’estremità dellapropria frase come un giocoliere all’estremità del proprio piede (io mi sono spesso vendicatodell’esistenza. Mi sono ridato un intero mondo di dolcezze tramite la mia penna. Mi sonodato delle donne, dei soldi, dei viaggi). Come l’anima curva si dispiega, in questo azzurro,che non si ferma se non alle frontiere del Vero!» (A Louise Colet, 15-16 maggio 1852,Corr., vol. II, p. 91).

50G. Flaubert, “Un parfum à sentir ou Les Baladins” cit., p. 81.51Tutte le ultime citazioni ibid., pp. 81-82-83.

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Il grottesco, per Baudelaire, si colloca, in una scala gerarchica, sopra ilcomico ordinario, che come antitesi del grottesco è definito «comico signi-ficativo». Rispetto a questo, il comico assoluto non ha morale né scopo, è«una creazione assurda che scatena un riso senza contraddizioni, come la bel-lezza immediata suscita ammirazione»52. Anche Flaubert parla di ridicolorelativo, e di «ridicolo intrinseco alla vita umana»:

Quel che mi impedisce di prendermi sul serio, sebbene la mia indolenon sia incline alla fatuità, è che mi trovo molto ridicolo, non di quelridicolo relativo che costituisce la comicità teatrale, ma di quel ridicolointrinseco alla vita umana e che sgorga dall’azione più semplice, o dalgesto più comune.53

Anche per lui, come per Baudelaire, il grottesco è comico assoluto, ed è«un modello interpretativo che accompagna la riflessione sull’esistenza, sco-

52Ibid., p. 84. La bruttezza informe di Marguerite fa pensare a un’altra madre cele-bre della letteratura ottocentesca, La madre dei mostri di Maupassant. Nel racconto diMaupassant la protagonista, oltre ad essere lei stessa presentata come «abominevole, [. . . ]metà bruto e metà femmina», è a sua volta creatrice di mostri, «un vero demonio chemette al mondo ogni anno, volontariamente, figli deformi, orrendi, spaventosi», storpian-do le creature nelle proprie viscere per mezzo di un marchingegno inventato da lei, perpoi vendere a tutti i saltimbanchi del mondo i propri figli mostri, «che le rendono cinqueo seimila franchi all’anno». In paese è soprannominata «la Diavola» (G. de Maupassant,“La madre dei mostri”, in Id., Tutti i racconti neri, fantastici e crudeli, cura e traduzionedi L. Chiavarelli, Newton Compton, Roma 1994, pp. 259-262). Anche se Marguerite ama ipropri figli, e subisce torture, umiliazioni e ingiustizie, mentre nel caso della «Diavola» è leistessa a procurarsele, c’è in entrambe una bruttezza che Marthe Robert, per Marguerite,ha appunto definito teratologica («perché Flaubert sceglie di incarnarsi in un mostro, dicui nulla, né un sorriso, né un gesto o uno sguardo vengono ad attenuarne l’orridezza?», inM. Robert, op. cit., p. 24), che si fa ancor più terribile nel racconto di Maupassant, e que-sto senso di stregoneria che avvolge le due donne, che nonostante gli scherzi del destino, leumiliazioni, le mutilazioni e le gravi sofferenze fisiche (subite o auto-prodotte), resistono,non soccombono, a meno che non siano loro a decidere di togliersi dal gioco, come nelcaso di Marguerite. I personaggi giovanili di Flaubert, del resto, sono spesso diabolici,dannati, mostruosi, fantastici, a dispetto della sue idee future di non dover dipingere inarte l’eccezione, il fantastico, il mostruoso, bensì il generale, dunque il tipico. In realtàil pensiero di Flaubert a riguardo è chiaramente espresso nel capitolo XXVII della primaEducazione sentimentale, dove Jules-Flaubert rivela le sue concezioni estetiche fondamen-tali. «A mano a mano che procedette nello studio della storia, vi scoprì ad un tempomaggior varietà e maggiore unità; quanto vi è in essa, a prima vista, di contrastante, diconfuso, sparì gradualmente, e si accorse che anche il mostruoso e il bizzarro avevano leloro leggi come il grazioso e il severo. La scienza non riconosce mostri, non rinnega nes-suna creatura, [. . . ] il brutto non esiste se non nella mente dell’uomo [. . . ]» (G. Flaubert,“L’educazione sentimentale”, cit., p. 439). Dal momento dunque che l’artista deve dipinge-re, rappresentare la natura, e in natura esiste l’eccezionale e il mostruoso, Flaubert ritieneche l’artista abbia il diritto, e il dovere, di servirsene. Cigada nota come questa posizionedi Flaubert sul fantastico e il mostruoso gli servirà «praticamente» per praticarne, e giu-stificarne, l’abuso nella Tentazione di sant’Antonio, introducendoli eventualmente «comeelementi di un’allucinazione o di un incubo.» (S. Cigada, “Il pensiero estetico di Gusta-ve Flaubert”, in Contributi dell’Istituto di Filologia Moderna dell’Università Cattolica delSacro Cuore. Serie francese, vol. III, Vita e Pensiero, Milano 1964, p. 444).

53G. Flaubert, “Un parfum à sentir ou Les Baladins”, cit., p. 85.

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pre la falsità e il relativo, confonde gli ordini gerarchici. Esprime il ridicolodelle cose e del mondo, il suo sguardo arriva nel segreto nascosto delle cosesmentendo la superficie apparente del serio e dell’ufficiale». Certamente, laderisione grottesca mette in crisi il serio, ma diventa amara; per questo ilgrottesco flaubertiano diventa triste, «l’altra faccia non del riso, ma dellamalinconia: gli estremi si toccano. Nella reversibilità, la malinconia assumeil riso e il grottesco la tristezza»54.

L’ironia, d’altronde, mi sembra dominare la vita. Da cosa risulta che,quando piangevo, spesso mi sono guardato allo specchio per vedere lamia faccia? [. . . ] Il comico arrivato all’estremo, il comico che non faridere, il lirismo nella farsa, è ciò che più mi fa invidia come scrittore.I due elementi umani sono qui. [. . . ] È una cosa buffa, del resto, comesento bene il comico, sul piano umano, e come la mia penna lo rifiuti!Vi convergo sempre di più, man mano che divento meno gaio. Perchéquesta è l’ultima delle tristezze.55

Il riso degli spettatori di fronte a Marguerite è anche il riso di Flau-bert, che deride tutto ciò che è serio e grave, prima di tutto se stesso56. Èun’amplificazione di quella che si è chiamata la natura critico-realistica diFlaubert, portata a svelare in ogni situazione, anche nella più tragica (os-sia nella morte, situazione in cui spesso riso e disperazione allucinatoria siuniscono in un’unità dei contrari terribilmente potente), il lato grottesco, ea riderne di un riso amaro, triste, ma che costituisce per lui «il disprezzomischiato alla comprensione, e insomma la più alta maniera di vedere lavita, “il proprio dell’uomo”, come dice Rabelais»57.

E così Marguerite è costretta a offrire al pubblico il suo spettacolo sullacorda, cadendo miseramente a terra poco dopo esservi salita. La tenda sisvuota, gli spettatori, scandalizzati, si defilano.

Marguerite e Pedrillo, poco dopo, parlano dell’accaduto; è ormai notte,una notte fredda e umida, e la famiglia di saltimbanchi non ha che una stufaa carbone per riscaldarsi. Marguerite racconta al marito, tra le lacrime, diessere stata in ospedale per curare una frattura alla gamba, che ancora leduole, e Pedrillo le fa capire che, così zoppicante, ormai nello spettacolonon serve più a nulla. Le ordina però di provare a fare l’elemosina con ifigli, per riuscire ad avere da mangiare. I bambini, dopo aver chiesto un po’di zucchero ed essere stati scacciati violentemente dal padre, finalmente siaddormentano, al freddo e con i morsi della fame.

Il giorno successivo Marguerite, con i suoi due bambini, un violino e untappeto persiano, si reca in strada a chiedere l’elemosina. Flaubert, a diffe-

54C. Baudelaire, “De l’essence du rire et généralement du comique dans les artsplastiques”, in Id., Œuvres Complètes, cit., vol. II, p. 535.

55Ibid., p. 537.56A Louise Colet, 21-22 agosto 1846, Corr., vol. I, p. 307.57A.M. Scaiola, Dissonanze del grottesco nel romanticismo francese, Bulzoni editore,

Roma 1988, p. 180.

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renza di ciò che farà nelle opere della maturità, in cui non introdurrà mai,scopertamente, commenti personali nelle sue opere, qui prende la parola:

Niente mi rattrista di più della miseria nascosta sotto gli stracci dellaricchezza, del gallone di un lacchè attorno alla povertà a testa nuda,di un canto che copre i singhiozzi, di una lacrima sotto una goccia dimiele.58

Dopo aver sottolineato l’indifferenza dello Stato e della gente, che non hatempo di fermarsi e di occuparsi dei mendicanti, Flaubert sposta nuovamentel’attenzione su Marguerite, e finalmente la descrive fisicamente.

I capelli sono rossi e raccolti da un pettine di corno bianco, la sua corpo-ratura grossa e malfatta, il vestito è un pezzo di tela che la ricopre fino alleginocchia, e i piedi informi sono chiusi in stivaletti rotti di cuoio spesso. Perl’amore dei particolari e dei contrasti, Flaubert abbellisce la misera cuffiadi garza che le copre il capo con dei nastri rosa, e «qualche fiore appassito»che pende tra i capelli e le ricade sulle guance pallide.

Da quasi un’ora, con i suoi due bambini, sta cercando invano di richia-mare la folla, quando una splendida carrozza trainata da due cavalli bianchi,passando, getta del fango sui loro miseri vestiti. Marguerite, al passaggiodella carrozza, viene rapita da una «fantasticheria bizzarra e straziante», siimmagina «circondata da carrozze che le gettavano addosso del fango», sivede fischiata, disprezzata, vede i suoi bambini morire di fame e suo maritoimpazzire.

«Allora tutti i suoi ricordi le tornarono in mente»: vide il suo letto diospedale, la suora che l’aveva curata, l’accoglienza che il marito le avevariservato il giorno prima, «e tutti i suoi ricordi sfilavano nel suo spirito comeombre che appaiono, scompaiono e si cancellano una dopo l’altra»59.

Facciamo un salto temporale in avanti rispetto agli anni di questo rac-conto e leggiamo queste righe del romanzo più conosciuto dello scrittorenormanno.

Emma Bovary, la mattina dopo il ballo mascherato a cui si è recata conLéon, che invece di procurarle gioia e divertimento le ha mostrato ancora unavolta la miseria della sua vita e di ciò di cui è circondata, esce dall’Hôtel de

58A Louise Colet, 8 maggio 1852, Corr., vol. II, pp. 84-85. Il «comico assoluto», il «comi-co arrivato all’estremo», il «grottesco triste», non fa più ridere, ma, come scrive Flaubert,«lungamente fantasticare»; sconfina dunque nella rêverie, e per questo è creativo, proli-fico di immagini, di visioni, talvolta sfocianti nelle allucinazioni, che danno al realismoflaubertiano un carattere allucinatorio, quasi surrealista (cfr. M. Bonfantini, “Flaubert eil realismo romantico”, in Id., Ottocento francese, De Silva, Torino 1950, p. 173).

59«[. . . ] non ne ho mai avute, di amanti, [. . . ] ed ecco la ragione: il grottesco dell’amoremi ha sempre impedito di lasciarmi andare. Qualche volta ho voluto piacere ad alcunedonne, ma l’idea del profilo strano che dovevo avere in quei momenti là mi faceva talmenteridere, che tutta la mia volontà si scioglieva sotto il fuoco dell’ironia interiore che cantavain me l’inno dell’amarezza e della derisione.» (a Louise Colet, 9 agosto 1846, Corr., vol. I,p. 286.)

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Boulogne per tornare a Yonville, e, con le immagini del ballo della sera primanella mente, cammina in fretta all’aria aperta. Man mano che cammina«[. . . ] l’aria libera la calmava; e a poco a poco i visi della folla, le maschere,le quadriglie, i lampadari, la cena, quelle donne, tutto si dileguava comenebbia al vento»60.

Il ritmo di questa frase, le reminescenze che vanno e vengono nella mentedi Emma, ricordano molto quelle di Marguerite.

Nei Brouillons61 di Madame Bovary Emma, arrivata a Yonville, sta periniziare una fase nuova della sua vita, a cui attribuisce aspettative e speranzeche come sempre saranno deluse, e ripensa al passato:

Allora i vecchi ricordi sfilarono: il cortile ai Bertaux, la classe del suoconvento, le sue nozze, il visconte che danzava al ritmo del valzer sottoun lampadario [. . . ] e poi Tostes laggiù, la diligenza di Yonville, lacena di poco fa, la povera Djali che aveva perduto. E apparendo,scomparendo, ritornando, queste immagini si susseguivano, travoltecome in un movimento continuo di un cilindro che gira.62

La vicinanza tra queste pagine e quelle del racconto sui saltimbanchi ènotevole.

I verbi utilizzati da Flaubert sono in alcuni casi gli stessi («paraissant»,«disparaissant»), Flaubert alterna in entrambi i passi l’uso dell’imperfettoe del passato remoto (mentre nella versione definitiva di Madame Bovary ledescrizioni dei sogni di Emma saranno quasi sempre all’imperfetto, tempodella continuità, di «uno stato che si prolunga»63, che rende ancor più dila-tato ed «eterno» il passato indefinito di Emma, e il suo futuro d’amore mairaggiunto, mentre il passato remoto servirà a introdurre un luogo precisodel passato, o a riportare Emma alla realtà, a un’azione che sta avvenendo);sia Emma che Marguerite vedono sfilare nella mente ricordi vicini e lontani,che vagano da uno spazio all’altro, e per entrambe i fantasmi del passato sipresentano con un’evidenza quasi maggiore del tempo presente.

Entrambe non si trovano in uno stato normale, ma è come se fosseroallucinate; Flaubert infatti precisa che Marguerite «non dormiva, ma so-

60A Louise Colet, 2 marzo 1854, Corr., vol. II, p. 529. La famosa frase di Rabelaisviene da Gargantua, «Aux lecteurs», ed è ricordata in nota da J. Bruneau: «Mieulx estde ris que de larmes escrire/ Pource que rire est le propre de l’homme.» (F. Rabelais,“Gargantua”, in Corr., vol. II, p. 1232).

61G. Flaubert, “Un parfum à sentir ou Les Baladins”, cit., p. 88.62Ibid., p. 89. Questo passo è molto importante perché, sebbene in modo ancora inesper-

to, Flaubert descrive qui il passaggio dei ricordi che si verifica durante lo stato di rêverie,soprattutto della rêverie malinconica e carica di rimpianto, che sarà tipico di Emma, eche si verificherà soprattutto nei momenti più intensi, dove le visioni che accompagnanole fantasticherie a occhi aperti si fanno allucinazioni.

63G. Flaubert, “Madame Bovary”, cit., p. 821.

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gnava»64, e rimane in questo stato di semi-incoscienza a lungo, stupendoi passanti che vedono due bambini che eseguono i loro esercizi, danzano,mentre nessuna musica, non una sola nota esce dal violino che Marguerite,con gli occhi bassi, stringe a sé, persa in fantasticherie dolorose.

Questa prima visione-allucinazione di Marguerite è provocata acciden-talmente dal passaggio di una carrozza.

È interessante notare che, anche in Madame Bovary, le carrozze, i carri,le ruote intervengono sempre in momenti importanti del romanzo, in generea chiusura di uno stato di rêverie, che anzi termina proprio per la vista o ilrumore degli stessi, che riportano Emma alla realtà. Il giorno successivo alballo alla Vaubyessard, Emma e Charles stanno rientrando a casa. MentreCharles guida il suo boc, e uno scatolone urta con regolarità contro la scocca(metafora della routine matrimoniale che attende Emma al ritorno, noiosae insopportabile, a cui Emma non saprà mai abituarsi?), «Emma, silenzio-sa, guardava girare le ruote»65. Questo movimento monotono la riconducedal castello alla sua abitazione, dunque dal sogno alla realtà, dall’altroveluccicante in cui si è crogiolata in fantasticherie infinite fino a poco prima,alla prigionia della sua vita domestica66. Poco dopo, davanti alla coppia,

64I “Brouillons” di Madame Bovary sono stati pubblicati nel 1936, presso l’editore Co-nard, da G. Leleu, con il titolo: Madame Bovary. Ébauches et fragments inédits, 2 voll. Aifini di una analisi sulla facoltà fantastico-romantica, di sogno, e sulle visioni-allucinazionidi Emma Bovary, le “brutte” del capolavoro di Flaubert sono molto interessanti, perchécontengono dei passi, poi eliminati nella redazione definitiva, in cui la visione soggettivaè espressa con maggior chiarezza. Piani e scenari del libro, invece, sono stati pubblica-ti, per la prima volta in fac-simile ai fogli di Flaubert, e in una trascrizione integrale,da Y. Leclerc, in Plans et scénarios de Madame Bovary. Présentation, transcription etnotes par Y. Leclerc, Zulma Collection Manuscrits, CNRS Éditions, Paris 1995. Inoltredal 12 dicembre 2007 sono finalmente consultabili tutti i monoscritti di Madame Bovary,ossia oltre 4500 pagine trascritte, all’indirizzo: http://www.zoulous.com/bovary (prestoconfluirà sul sito dell’Università di Rouen).

65G. Flaubert, Madame Bovary. Ébauches et fragments inédits, cit., vol. I, pp. 329-330.L’immagine del cilindro che gira, delle visioni che volteggiano vorticose nella mente diEmma, può essere accostata a quella di una spirale che avvolge innumerevoli immagini.Ed è lo stesso Flaubert, in una lettera, che parlando dei propri ricordi dipinge una spi-rale: «I miei viaggi, i miei ricordi d’infanzia, tutto si colora l’uno con l’altro, si disponepezzo a pezzo, danza con prodigiosi fiammeggiamenti e sale a spirale.» (A Louise Colet,3 marzo 1852, Corr., vol. II, p. 55, corsivo mio).

66M. Proust, “A proposito dello stile di Flaubert”, tr. it. di C. Rendina, in G. Flaubert,Tutti i romanzi, con un saggio di M. Proust, a cura di M. Colesanti, Newton Compton,Roma 1996, p. 19. Questo saggio di Proust, diventato una delle critiche più famose sullostile di Flaubert, pubblicato per la prima volta sulla Nouvelle Revue Française nel 1920,era stato concepito come lettera al direttore della rivista, in polemica con un articolo di Al-bert Thibaudet, che Proust definisce qui l’ «illustre critico», pubblicato sulla stessa rivistal’anno prima. La polemica era appunto sullo stile del grande scrittore normanno. Il saggiosi riferisce principalmente all’Educazione sentimentale, ma i rilievi fatti da Proust sull’uso«completamente nuovo» dei tempi verbali in Flaubert si applicano perfettamente anche aMadame Bovary. In particolare Proust si sofferma sul costante passaggio dall’imperfetto(il quale indica uno «stato che si prolunga») al passato remoto (il quale indica che unanuova azione è stata compiuta), tramite il participio presente (che in italiano viene tradot-

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passeranno dei cavalieri con il sigaro in bocca, tra i quali Emma crederàdi riconoscere il visconte con cui aveva ballato la sera prima, simbolo perlei dell’amore, della passione, incarnazione dei suoi sogni67. Girandosi perguardarlo meglio, Emma riuscirà solo a vedere un movimento di teste chesi abbassano e si rialzano, con una cadenza ben diversa da quella con cuiprocedevano lei e Charles: «secondo la cadenza ineguale del trotto e delgaloppo»68, una cadenza dunque che esprime allegria, varietà, movimento,disordine vivace, in contrasto con il procedere lento, silenzioso e sempreuguale della coppia.

Dopo il già citato ballo in maschera con Léon, Emma, stordita dal pun-ch, dalla musica, dall’odore dei sigari, cercando di tornare in sé pensa allasua bambina che dorme, e rimane assorta in questo pensiero rasserenan-te. . . «Ma passò un carro pieno di lunghe sbarre di ferro, proiettandoun’assordante vibrazione metallica contro i muri delle case»69.to, anche nei passi sopra-citati tratti dai “Brouillons” di Madame Bovary e dai Baladins,con il gerundio, o altre volte con una proposizione temporale). Evidentemente nei passi aconfronto Flaubert sta affinando la tecnica, e l’uso dei tempi verbali diventerà, nella reda-zione definitiva di Madame Bovary, così come nell’Educazione sentimentale, più preciso,a seconda che egli stia presentando una serie di visioni, un ricordo preciso, o un’azioneche si svolge parallelamente allo stato di rêverie. Ma è significativo che in questi duepassi lo stile, anche se ancora da perfezionare, coincida, perché testimonia una vicinanzastretta di atmosfere, situazioni, significati da attribuire alle visioni e ai ricordi stessi quipresentati. Sui rilievi fatti da Proust sullo stile di Flaubert, cfr. G. Giorgi, “Il Flaubertdi Marcel Proust”, in Le letture / la lettura di Flaubert, a cura di L. Nissim, Cisalpino,Milano 2000, pp. 197-211.

67G. Flaubert, “Un parfum à sentir ou Les Baladins”, cit., p. 89. Negli scritti successiviFlaubert non farà più simili precisazioni, dando per scontato che le rêveries, gratificanti oallucinatorie, che ossessionano quasi tutti i protagonisti dei suoi racconti o dei romanzi sisviluppano in uno stato di veglia e non di sonno. Gaston Bachelard, nel suo libro La poeticadella rêverie (Dedalo libri, Bari 1972), si sofferma proprio sulla differenza tra il rêve, intesocome sogno notturno vero e proprio, prodotto durante il sonno, e la rêverie, che non deveessere considerata, come di solito, a suo parere, fa la psicologia, come «sogno confuso, senzastruttura, senza storia, senza enigmi», una sorta di «materia notturna dimenticata nellalimpidezza del giorno» (G. Bachelard, La poetica della rêverie, cit., p. 17). La distinzionetra i due fenomeni che lui indaga nel suo libro, soffermandosi in particolare su quellodella rêverie, è la stessa di Flaubert. La rêverie, la cui parola è in effetti difficilmentetraducibile in italiano, è fantasticheria, sogno, immaginazione fantastica, e indica unostato dello spirito che si abbandona ai ricordi e alle immagini. Per Bachelard, così comeper Flaubert, è la situazione in cui l’io, dimentico della sua storia contingente (ma nonper questo alienato da sé), lascia errare il proprio spirito e gode in tal modo di una libertàsimile a quella del sogno (rêve), in rapporto al quale la rêverie indica tuttavia un fenomenodella veglia e non del sonno.

68G. Flaubert, “Madame Bovary”, cit., p. 570.69«In questa parola, roue, ruota, vi è anche, implicito, il senso del girare, e girare sempre

a vuoto di Emma» (D. De Agostini, “Nota al testo”, in G. Flaubert, “Madame Bovary”,cit., p. 1450), di un girare ciclico, lento e concentrico, che si restringe sempre più, contra-riamente al girare vorticoso e in salita dei suoi sogni e delle sue visioni; tutto il romanzo ècostruito su un ritmo che alterna contrazione ed espansione, sentimento di «resserrement»e «élargissement», per dirla con Poulet (G. Poulet, Les Métamorphoses du cercle, Plon,Paris 1961, pp. 379-380).

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Anche questa volta è un carro, con le sue ruote e il suo rumore, a porrefine alle rêveries di Emma, a scuoterla dal vagare confuso e triste dei suoipensieri, che vengono bruscamente interrotti. E non si può non nominare, aquesto proposito, il tornio di Binet, sorta di leit-motif sonoro del romanzo,che con il suo stridulo ronzio giunge sempre in momenti chiave per ricondur-re Emma dalle sue fantasticherie alla realtà. Anch’esso riflette quell’inutilericerca di Emma, costretta a girare (tourner) in continuazione, e alla fatalefutilità dei suoi “giri”. Ma nella storia di Marguerite la carrozza, scintillantenei suoi simboli di ricchezza, non segna la fine della sua fantasticheria stra-ziante e bizzarra, ma funge invece da stimolo alle visioni della protagonista,dando così il via al suo stato prolungato di rêverie dolorosa. E anche in Ma-dame Bovary c’è una scena chiave in cui, dopo il passaggio di una carrozza,inizierà per la protagonista uno stato simile, ma ancor più intenso.

Emma, dopo aver ricevuto la fatidica lettera di addio da Rodolphe, ed es-sere quasi impazzita dal dolore, è seduta come un automa a tavola, davanti almarito che mangia, ignaro di tutto. Mentre la vediamo compiere sforzi incre-dibili per mantenere la calma, ecco che s’introduce nella scena un elementodecisivo, che farà cambiare completamente la situazione: «All’improvvisoun tilbury azzurro passò a gran trotto sulla piazza. Emma gettò un grido epiombò riversa a terra»70.

È la carrozza di Rodolphe, che dopo aver troncato la relazione conl’amante sta partendo per Rouen. Emma lo riconosce «dalla luce dei fanaliche sciabolavano come un lampo nel crepuscolo»71.

Dopo questo episodio, per Emma inizierà un delirio, che durerà quaran-tatre giorni, e che Flaubert chiamerà «febbre cerebrale»72, durante il quale,in uno stato di semisonnambulismo, prostrazione, profonda apatia, Emmagiacerà praticamente sempre sdraiata nel suo letto.

Certamente la povera Marguerite non si trova in uno stato così grave,è solo in preda a visioni e ad un improvviso riversarsi dei ricordi nella suamente straziata dal dolore, dalla fatica, dalla fame, ma il particolare dellacarrozza, letto alla luce del capolavoro di Flaubert, è significativo perché

70In una bozza preliminare Flaubert aveva scritto: «Il visconte è un centro attorno alquale gira Parigi. Il centro si cancella, il cerchio rimane e si ingrandisce con lo studio el’immaginazione. L’idea del visconte [. . . ] si estende e si diffonde« (G. Flaubert, Plans etscénarios de Madame Bovary, présentation, transcription et notes par Y. Leclerc, cit., ta-vola analitica num. 31). Nel romanzo l’idea iniziale prende forma e si specifica: «Il ricordodel visconte era ricorrente nelle sue letture. [. . . ] Ma il cerchio di cui lui era il centro apoco a poco gli si allargò intorno, e quella sua aureola gli si allontanò dal viso e andò adiffondersi più lontano, a illuminare altri sogni» (G. Flaubert, “Madame Bovary”, p. 574).Anche qui ritorna dunque la metafora del cerchio evocata precedentemente dalle ruotedella carrozza, ma qui il cerchio non si restringe sulla miseria della vita di Emma, bensì,essendo il simbolo dell’avventura, dell’amore, si allarga ad altri orizzonti, ad altri sogni.«L’avventura [è considerata] come un élargissement dell’esistenza» (G. Poulet, op. cit.,p. 380).

71G. Flaubert, “Madame Bovary”, cit., p. 570.72Ibid., p. 821.

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lo si ritrova, con il medesimo significato simbolico, in entrambe le opere,che dunque si avvicinano pur avendo molti anni di distanza l’una dall’altra.Inoltre, particolare estremamente interessante, la prima volta in cui Flaubertebbe una crisi nervosa, alla quale seguirono nuovi attacchi ravvicinati, sitrovava proprio alla guida di un cabriolet, in compagnia del fratello Achille;mentre un carrettiere li sorpassava, «Flaubert fu colpito e cadde»73.

Per usare le parole di Flaubert, si tratta di una «meravigliosa armoniadelle cose e delle idee»74.

Nonostante, quindi, quella di Marguerite, all’interno degli scritti gio-vanili di Flaubert, sia la prima rêverie che sconfina in allucinazione verae propria, essa presenta già le caratteristiche, che verranno descritte piùdettagliatamente, delle allucinazioni dei personaggi successivi; innanzituttola rêverie è accompagnata dal passaggio dei ricordi concatenati l’uno conl’altro, ma senza ordine cronologico, e non solo dalle visioni degli oggetti deldesiderio, come avveniva per esempio nelle rêveries dei personaggi preceden-ti a questo racconto. Memoria e rêverie, da subito, per Flaubert si lascianoentrambe ricondurre al comune denominatore dell’allucinazione75. Le allu-cinazioni di Flaubert, malattia della memoria, «sono una brutale invasionedel passato»76. Il reale e il mondo visionario coesistono.

73Ibid., p. 732.74Ibid.75Ibid., p. 734.76M. Du Camp, Attraverso l’Oriente con Flaubert, edizioni Novecento, Palermo 1986,

p. 32. Sergio Cigada ha associato il particolare del tilbury di Rodolphe che procede a grantrotto, e il lampo di luce delle lanterne, alla prima crisi del misterioso male di Flaubert,avvenuta nel gennaio del 1844. Le situazioni, in effetti (la «scenografia» della crisi è rac-contata da Flaubert stesso in una lettera alla Colet del 1853, in Corr., vol. II, p. 423),presentano particolari molto simili. Flaubert si trovava, di notte, in compagnia del fra-tello, a Pont-l’Évêque, e stava conducendo lui stesso il calesse. Improvvisamente, propriocome succederà a Emma, svenne, cadde riverso, «come colpito da apoplessia», al puntoche il fratello lo credette morto per dieci minuti. A questo stato quasi cadaverico, allacrisi seguita da delirio, al «torrente di fiamme» (ibid.) da cui Flaubert si sentì travolgeredi colpo, segue per entrambi, come fa notare Cigada, uno stato di prostrazione profon-dissima, e quindi una lunga e incerta convalescenza. Egli ritiene quindi che la crisi diEmma scaturita dalla vista della carrozza, che «spezza la sua vita e ne segna l’ineluttabiledestino», ricalchi «in tutta la sua fenomenologia la crisi che spezzò la vita di Flauberte tanto profondamente – forse essenzialmente – pesò sulla sua vocazione». E concludescrivendo: «Madame Bovary fonte per uno studio biografico su Flaubert: ecco un inte-ressante caso-limite per un romanziere dalla celebre impersonalità» (S. Cigada, “Genesie struttura tematica di Emma Bovary”, estratto da Contributi del seminario di FilologiaModerna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Serie francese, vol. I, Vita e Pensie-ro, Milano 1959, ripubblicato all’interno delle Pubblicazioni dell’Università Cattolica delSacro Cuore, Milano s.d., pp. 92-93). Se è possibile, data la somiglianza dei due episodi,concordare con Cigada che il romanziere abbia qui prestato ad Emma il ricordo della suaprima crisi nervosa, è pur vero, come si è visto, che molti anni prima non solo di Mada-me Bovary, ma soprattutto del manifestarsi in Flaubert della malattia, egli aveva appuntoassociato, nel racconto sui saltimbanchi, il passaggio di una carrozza ad un momento in-nescante uno stato di semi-delirio, o quantomeno uno stato visionario e allucinatorio. . .Se forse è azzardato dare un peso eccessivo a questo particolare all’epoca del racconto

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Ma non solo: il particolare della carrozza presentato come elemento “ca-sualmente” scatenante contribuisce a dare un rilievo importante alla fanta-sticheria bizzarra di Marguerite, imparentandola strettamente a quelle an-cor più allucinatorie di Emma, nonché alla prima crisi istero-epilettica (onervosa) di Flaubert77.

Lo scatenamento ricorrente degli episodi confuso-allucinatori in seguitoal passaggio (reale o semplicemente fantasmatizzato) di una carrozza (contutto ciò che ad essa si associa: ruote, cavalli, fanali, movimento ritmicosempre uguale o discontinuo, rumore metallico) non può dunque essere ri-tenuto solo un elemento casuale ma un essenziale fattore predisponente ocausale.

Anche Vladimir Nabokov analizza il tema del cavallo in Madame Bo-vary, affermando che «i cavalli, hanno una parte curiosamente importantenelle vicende del libro»78. Egli si sofferma però esclusivamente sul simbo-lismo chiaramente sessuale del cavallo, così come Allen, nel suo studio Lesymbolisme sexuel dans «Madame Bovary». Quest’ultimo conclude che «inMadame Bovary è evidente che il cavallo rappresenta le pulsioni sessualidell’uomo a cui appartiene»79.

Oltre al significato sessuale, come si è visto il cavallo assume ancheun’altra valenza, sia in Madame Bovary sia nel racconto che stiamo ana-lizzando. Non si dimentichi che Marguerite vede passare una carrozza «trai-nata da due cavalli bianchi», e i brouillons di Madame Bovary rivelano cheFlaubert aveva immaginato il tilbury di Rodolphe «trainato da un cavallonero», sostituito poi con «bianco», e alla fine eliminato nella versione de-finitiva80. In un’altra bozza il tilbury azzurro doveva invece essere proprio

del 1836, è chiaro che letto alla luce degli avvenimenti personali successivi di Flaubert, edell’episodio riguardante Emma in cui tali avvenimenti sembrano sublimarsi, trovando ilmodo per essere finalmente esorcizzati, e vendicati, esso diventa indicativo di un’immagineevidentemente cara a Flaubert (e sinistramente profetica), quella appunto che simbolizzanel passaggio di una carrozza l’inizio (o a volte la fine) di uno stato di rêverie, più o menoprofonda.

77A Louise Colet, 2 settembre 1853, Corr., vol. II, p. 423. Flaubert racconta all’amantedella sua prima crisi proprio perché si è trovato in una situazione simile, che gli ha ap-punto ricordato quella fatidica notte di molti anni prima; si è ritrovato a passare, incarrozza, per la stessa strada, di cui ha riconosciuto molti particolari e, ora come allo-ra, un carrettiere all’improvviso è passato alla sua destra (romanzo nel romanzo! o vitanel romanzo?! ancora le ruote, ancora un carro. . . ). Flaubert commenta la coincidenzascrivendo: «meravigliosa armonia delle cose e delle idee».

78«Ecco ciò che ho provato, quando ho avuto delle allucinazioni: [. . . ] tutto d’untratto, come la folgore, invasione o piuttosto irruzione istantanea della memoria, perchél’allucinazione propriamente detta non è altro, almeno per quanto mi riguarda. È unamalattia della memoria, un rilassamento di ciò che essa tiene celato» (A Hippolyte Taine,1 dicembre 1866, Corr., vol. III, p. 572).

79L. Maranini„ “Dei cavalli nel cielo: un episodio di Un cœur simple e il metodo stilisticodi Flaubert”, in Id., Visione e personaggio secondo Flaubert ed altri studi francesi, Liviana,Padova 1959, p. 29.

80Stando alle dichiarazioni di Du Camp, che, violando il desiderio di riservatezza che

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un cabriolet. Flaubert aveva scritto: «cabriolet che passa», e subito dopo:«attacco di nervi». I due elementi, scritti uno di seguito all’altro, non pos-sono non essere letti come un’associazione mentale dell’autore, più o menoinvolontaria81.

Appare estremamente suggestivo e significativo ipotizzare che la confi-gurazione della carrozza e dei contenuti ad essa associati inducessero, inun Flaubert ancora adolescente (dunque lontano dalla prima manifestazionedella sua «malattia di nervi»82), da un lato l’attivazione di forti componentisimboliche a valenza sessuale, dall’altro una condizione di riduzione dellostato di coscienza che facilita un diminuito controllo razionale, e quindi unaliberazione di produzioni onirico-allucinatorie, come è dato osservare tantonei disturbi deliranti quanto negli stati crepuscolari di entrata o di uscitadal sonno (ipnagogici o ipnopompici)83.

Sfortunatamente questo elemento non appare determinante nello scio-gliere i dubbi sulla genesi organica o puramente psicogena degli episodiin questione, e il dilemma intorno alla malattia dello scrittore continua asussistere.

Risvegliatasi dal suo sogno senza sonno, Marguerite riapre gli occhi al-l’improvviso, per ripiombare immediatamente in una realtà che non è diversadalle sue folli fantasticherie fatte di scherni, di risa, di fischi, di fango. Lasua figura strana viene definita qui «grottesca», «ridicola» nei suoi straccibucati, nei suoi fiori appassiti sui capelli rossi, e proprio per questo, ancorauna volta, suscita il riso della gente.

aveva caratterizzato Flaubert tutta la vita, nel suo libro di memorie indugiò a lungo sullamalattia dell’amico, definendola chiaramente «epilessia», ogni volta che egli fu testimone«impotente e costernato» di quelle che definisce «crisi tremende», si trovò di fronte allamedesima scena, che se prendiamo per vera (in effetti è improbabile che, al di là dellesue esagerazioni, egli possa aver inventato un simile particolare), è a questo punto danotare. Egli scrive che Flaubert, ogni volta che sentiva arrivare una di queste crisi, sisdraiava sul letto, «come si sarebbe disteso, ancora vivo, in una bara, e si metteva agridare: – Reggo le redini; ecco il carrettiere, sento i sonagli!» (M. Du Camp, op. cit.,p. 33). E se Marguerite apre la lunga serie delle allucinazioni dei personaggi flaubertianidopo aver visto una carrozza trainata da due cavalli bianchi, specularmente sarà sempreuna donna a chiudere tale serie, Félicité, uno dei personaggi più visionari della produzionedi Flaubert, soprattutto degli ultimi anni. Tra le sue tante visioni, ne avrà una moltoparticolare: accompagnando il nipote al porto per l’ultimo saluto, al culmine del doloreper la sua partenza che sarà un addio, Félicité «credette di essere impazzita vedendo deicavalli in cielo» (G. Flaubert, “Un cuore semplice”, in Id., Tre racconti, Introduzione diN. Muschitiello, tr. it. di M. Grasso, Newton Compton, Roma 1994, p. 30, corsivo mio).Il racconto che la vede protagonista è tra l’altro ambientato a Pont-l’Évêque, che come siè visto è il paese in cui si trovava Flaubert la sera della crisi nervosa.

81V. Nabokov, Lezioni di letteratura, cit., pp. 219-220.82R.F. Allen, «Le symbolisme sexuel dans Madame Bovary», pubblicato nella Re-

vue Flaubert, n. 3, 2003 (sul sito dell’Università di Rouen, http://flaubert.univ-rouen.fr/revue/revue3/allefr.pdf, rubrique “Revue”).

83Si veda la trascrizione di questa sequenza, on line all’indirizzo http://flaubert.univ-rouen.fr/bovary/atelier/trans.php?f=205&s=4&r=v&e=, e Madame Bovary. Ébauches etfragments inédits, cit., vol. II, p. 177.

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[. . . ] s’udì una parola sola: ‘Com’è brutta!’, e la gente se ne andòridendo.84

Nessuno si ferma, nessuno ha pietà per questa donna, che in una freddagiornata invernale, vestita di stracci, sta cercando di raccogliere qualchesoldo per comprare da mangiare ai propri figli. «Cosa avrebbe detto Pedrillo,quando avesse visto arrivare Marguerite senza soldi?». . . Questo pensierola torturava, e «mille progetti ridicoli per evitare la collera di suo maritole venivano in mente come un incubo, e poi svanivano scacciati da altri piùbizzarri ancora»85.

Rinunciando all’idea di continuare a fare l’elemosina, Marguerite riav-volge il suo tappeto, e con i due bambini si avvia tristemente verso la tenda.Si ferma un istante davanti alle vetrine di una pasticceria, dove una donnae due bambini, ben vestiti, dall’aria sana e curata, stanno comprando deidolci. Questa visione di agio e serenità accentua ancora di più la disperazio-ne per la sua miseria e per quella dei suoi figli, e con il cuore straziato daldolore per la mancanza d’amore, di pace e di felicità la vediamo trascinarsilentamente sulla via del ritorno.

Se in queste pagine Marguerite, con i suoi tentativi disperatamente vanidi salvare la famiglia, e con le sue rêveries, era stata protagonista assoluta,nel capitolo successivo è Pedrillo che occupa interamente la scena. Anchelui, come la moglie, sta cercando di guadagnare qualche soldo, e pensa disfidare la fortuna in una «maison de jeu».

L’ambiente descritto da Flaubert è un ambiente di degradazione, prosti-tuzione, crimine, miseria, ben diverso dalle bische autorizzate dalla legge,«dove avreste visto arrivare ministri, principi, banchieri». Il contrasto tra lapovertà estrema del nucleo rappresentato dalla famiglia di saltimbanchi e laricchezza del mondo ad essi circostante è ribadito ad ogni pagina, e richia-ma i contrasti bruttezza/bellezza, disperazione/felicità, delirio/normalità,che si riassumono tutti nell’antitesi di grottesco/sublime su cui è incentratol’intero racconto.

Pedrillo, che come Marguerite non era stato descritto inizialmente, attiral’attenzione della gente della bisca con i suoi cenci «da saltimbanco», coni suoi «capelli neri e in disordine che gli coprivano gli occhi e impedivanodi vederne l’espressione. Inizia così la sua avventura al gioco; con un «risoconvulso» si avvicina al tavolo, e sfida la sorte. In poche righe passerà daguadagnare diecimila franchi a perdere tutto, per un eccesso di avidità, pernon aver saputo fermarsi quando la sorte, stranamente, sembrava volgere a

84Si vedano i fogli http://flaubert.univ-rouen.fr/bovary/atelier/trans.php?f=159&s=4&r=v&e= e http://flaubert.univ-rouen.fr/bovary/atelier/trans.php?f=176&s=4&r=v&e=.

85In molte lettere, riferendosi ai suoi attacchi, parla di «malattia di nervi», o «male dinervi». «Devi sapere dunque, amico caro, che ho avuto una congestione al cervello, cheè come dire un attacco di apoplessia in miniatura, accompagnato da mali di nervi [. . . ].Sono in uno stato maledetto, alla minima sensazione tutti i miei nervi si tendono comedelle corde di violino» (A Ernest Chevalier, Corr., vol. I, p. 203).

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suo favore. Ridendo ancora, come all’inizio della serata, Pedrillo esce dallabisca, con il petto scoperto e sanguinante, straziato per la disperazione dallesue stesse unghie. Mentre la scena del delirio di Marguerite si era svolta inpieno giorno, ora ad avvolgere i pensieri di Pedrillo c’è

una notte cupa, senza luna, una di quelle notti che fanno paura e vifanno vedere i fantasmi e gli spettri che danzano lungo i muri bianchidei cimiteri, [. . . ] quelle notti in cui si sente in lontananza l’acutolamento di un cane che vaga intorno a un ospedale.86

È una delle tipiche notti amate dal gusto romantico, che spesso faran-no da sfondo alle allucinazioni dei personaggi di Flaubert, soprattutto neiracconti giovanili; in questo periodo era forte su di lui l’influenza del filonefantastico, che sotto la sua penna vira spesso al macabro.

«Il fantastico si traduce anche attraverso incubi terribili, ossessioni allu-cinatorie, fantasticherie strazianti»87; e infatti Pedrillo, uscito dalla maisonde jeu, nel cuore di questa notte spettrale sarà preso da terribili visioni.

La penna ancora incerta di Flaubert cerca di rendere l’idea del delirio, edelle allucinazioni visive, e addirittura uditive e tattili, dell’uomo.

Camminando sognava, e tutti ciò che vedeva assumeva sembianze gi-gantesche. Gli alberi, che il vento scuoteva con una furia superiore aquella della notte precedente, gli apparivano come orribili giganti; ognicasa era per lui una bisca; sentiva il chiasso di un’orchestra passan-do vicino a una sala da ballo? era la musica dell’inferno; una donnaprocedeva turbinando accanto a una tenda rossa? era una cortigia-na. Il rumore dei bicchieri sul vassoio? era un’orgia. Presto cominciòa cadere la neve, e guardando i suoi abiti. . . si vide avvolto in unacoltre.Era così assediato che andava per le strade correndo. Ogni tanto sifermava e si sedeva su un cippo, guardava i raggi della luna e le nubiche scivolavano sulle stelle.Prendevano le forme più bizzarre e grottesche: erano mostri, che sicontraevano in smorfie. . . poi cumuli d’oro. . . una donna coi suoi fi-gli. . . un leone che ruggiva nella gabbia. . . un obitorio e un cadaveresteso sull’umido tavolaccio. . . e sentiva il sibilare dei mostri, il rumo-re dell’oro risonante sui tavoli. Vedeva le lacrime della donna e deisuoi bambini, udiva il ruggito del leone. . . sentiva l’odore di cadaveredi quel corpo già verdastro. Lo guardò a lungo, poi la nuvola preseun’altra forma. . . ebbe paura, si mise a correre non osando guardarsi

86È lo stesso Flaubert ad utilizzare una terminologia di questo tipo. Parlando delladifferenza tra la visione dell’artista e quella dell’uomo «veramente allucinato», scrive:«L’intuizione artistica assomiglia in effetti alle allucinazioni ipnagogiche, attraverso il suocarattere di fugacità; essa passa davanti agli occhi, ed è allora che bisogna gettarvisi sopra,avidamente» (A Hippolyte Taine, 20? novembre 1866, Corr., vol. III, p. 562).

87G. Flaubert, “Un parfum à sentir ou Les Baladins”, cit., p. 107.

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indietro; e quando arrivò alla sua tenda. . . era ansimante, senza fiato,i suoi tratti erano sconvolti.88

Ad attenderlo sulla soglia c’è Marguerite, che, senza bisogno di chiederglinulla, capisce.

È interessante notare che le visioni di Pedrillo, anch’esse a carattereconfuso-allucinatorio, scatenate dalla potenza dell’immaginazione che pren-de il sopravvento sulla ragione e lo porta a camminare sognando, o meglio,a sognare camminando, come scrive Flaubert89, non sono accompagnate dareminescenze più o meno coscienti, da immagini del passato su cui la mentesi fissa o fluttua indefinitamente, bensì da premonizioni, immagini divina-torie. Più avanti, infatti, nella storia comparirà un leone, che avrà un ruoloterribile e decisivo, e nell’ultima immagine del racconto relativa a Margueriteella sarà cadavere verdastro, sdraiato sul tavolo umido dell’obitorio90.

L’interpretazione di Pedrillo della forma delle nuvole assume così, allafine del racconto, il significato di una lugubre profezia, e la Rubino notache «ci troviamo qui di fronte ad un significativo passaggio da elementidescrittivi assunti in chiave lirica ad analoghi elementi assunti in chiaverealistica»91. Spesso in Flaubert si alternano «visioni intaccate dall’irrealtàe dall’errore», che si contrappongono a «visioni nette, lucide, obiettive», chein genere appartengono in primo luogo al narratore, ma che possono ancheappartenere a «determinati personaggi, giunti (per un motivo o per l’altro),ad una sorta di divina indifferenza»92.

88Ibid.89Ibid., p. 95. «Quando ero piccolo non avevo paura né dei ladri, né dei cavalli, né della

tempesta, ma delle tenebre e dei fantasmi» (A Louise Colet, 15-16 settembre 1846, Corr.,vol. I, p. 342). Nelle Mémoires d’un fou racconterà alcuni di questi fantasmi, «spaventosevisioni da rendere pazzi di terrore» (G. Flaubert, “Les Mémoires d’un fou”, in Id., Œuvresde jeunesse, cit., p. 475).

90A. Naaman, Les Débuts de Flaubert et sa technique de la description, cit., p. 181.91G. Flaubert, “Un parfum à sentir ou Les Baladins”, cit., p. 95. Anche qui il tempo

della rêverie è più che altro l’imperfetto, che dilata la situazione in un tempo indefinito,in una notte infinita.

92Se Flaubert avesse scritto «camminava sognando» non avrebbe posto l’accento sulfatto che Pedrillo ha visioni e allucinazioni proprio perché sta camminando, ossia è sveglioe lucido, ed è camminando che le cose che ha di fronte cominciano ad apparirgli diverseda come sono in realtà, e gli producono le allucinazioni. Non cammina mentre sogna(come un sonnambulo, che non vede la realtà circostante, ed è in grado di camminare purdormendo), ma sogna mentre cammina, il che sottolinea maggiormente che non dorme,non è incosciente come avviene negli stati di sonno, la sua mente non produce immaginiindipendentemente dall’ambiente esterno, ma è proprio a partire dall’ambiente esterno cheessa, sconvolta da uno evento psichicamente traumatico (lo “choc” subito per la perditadi tutti i suoi ultimi risparmi), inizia a trasfigurare la realtà.

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Il giorno successivo all’episodio delle al-

Honoré Daumier, Trasloco di saltim-banchi (verso il 1847-1850).

lucinazioni Pedrillo decide di trasferirsi inun altro luogo con tutta la sua famiglia, cheormai più che una troupe acrobatica è di-ventata un gruppo di mendicanti, poverissi-mi e senza possibilità di riscatto. In realtàad un certo punto, mentre i saltimbanchistanno procedendo con il loro misero car-retto in cerca di altri luoghi dove trovare,forse, maggior fortuna, avviene un incon-tro che cambierà completamente le loro vi-te. Pedrillo infatti incontra Isambart, unsuo vecchio amico saltimbanco e domato-re di belve feroci, nei confronti del quale lasorte è stata decisamente più generosa; egli, impietosito dalle condizioni dievidente miseria della famiglia di Pedrillo, propone al collega di unire i lorospettacoli, e la compagnia si dirige dunque nella città più vicina, per dareinizio alle «rappresentazioni».

Da questo momento, se tutti quanti trarranno vantaggio dalla nuovacompagnia, e la famiglia di Pedrillo non dovrà più patire la fame e il freddo,per Marguerite inizia un dramma ancora più terribile di quello precedente.Pedrillo infatti si innamora di Isabellada, bellissima e giovane saltimbancache accompagna Isambart, e manifesta il suo amore sotto gli occhi di tutti,incurante della gelosia e del dolore della moglie. Da questo momento Flau-bert sposta l’attenzione dal contrasto povertà/ricchezza al tema che avevaannunciato all’inizio: il contrasto tra «la saltimbanca brutta e quella bella».

Si sofferma così su Isabellada, che viene vista ballare in tutta la sua gra-zia, vestita di bianco (mentre Marguerite è sempre coperta con un’informeveste nera o blu scuro); Isabellada è in questo momento il sublime, è unadanza «che volteggia come dei pensieri d’amore che fremono nel cuore diun poeta», contrapposta alla grottesca Marguerite, che viene sopranno-minata malignamente da Isambart «la Rossa Laida». Isabellada suscital’ammirazione di tutti, e l’amore appassionato di Pedrillo, Marguerite vie-ne disprezzata e rifiutata, e suscita continue risa di scherno, crudeli, che larendono sempre più sola, sempre più disperata. La osserviamo in disparte aun ballo mascherato, e mentre Isabellada volteggia tra i fiori e gli applausi,e tutti sono concentrati su di lei, Marguerite, nascondendo sotto la sua ma-schera da domino nero la sua «gelosia amara, l’odio furioso, le sue pene, lepiaghe sanguinanti e le ferite profonde»93, sente ancora di più la tristezza el’invidia per la bella rivale. Se prima la sua vita era dominata dalla man-

93Cfr. G. Flaubert, “Un parfum à sentir ou Les Baladins”, cit., pp. 109-111.

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canza di soldi, di cibo, ora è dominata dalla mancanza di amore, che generain lei rabbia, gelosia, e disperazione94.

Persa nelle dolorose immagini del ballo, chiedendosi con rabbia il perchédi tanta sfortuna, Marguerite concluderà la serata da sola, sentendo a unpasso da sé i baci e i sospiri degli amanti, guardando sciogliersi lentamenteuna candela che brucia e sembra non esaurirsi mai.

La sua fine è vicina.Marguerite sta precipitando in un abisso vorticoso di gelosia furiosa, e

i suoi pensieri si fanno sempre più terribili; non sono i pensieri leggeri evolteggianti che ispira la vista di Isabellada nella sua danza luminosa, sono ipensieri lugubri di una creatura grottesca nel suo aspetto esteriore, ma cosìpoetica e sublime nel suo animo puro, rêveur.

Alla fine la vicinanza tra Flaubert e la sua protagonista emerge sempredi più; in una lite col marito, Marguerite pronuncia parole molto similia quelle che il narratore in prima persona, per esprimere la sua denuncianei confronti di una società ingiusta, che veste alcuni di oro e felicità, elascia altri morire in mezzo a una strada, aveva pronunciato poco prima.L’autore è stato presente in tutto il racconto, ha preso spesso la parola, hamostrato ciò che si cela dietro alle apparenze, dietro agli abiti della ricchezza,l’ipocrisia e la crudeltà che si nascondono sotto un vestito di seta, dietro auna cravatta profumata; ha rovesciato i valori, ha reso grottesco questomondo di indifferenza che ride in faccia alla povertà e alla bruttezza, esi è mostrato, come era nella sua natura, dalla parte delle minoranze95,dalla parte di Marguerite, che verso la fine sembra sfilarsi la sua mascheragrottesca, e mostrare il suo vero moi, che è sublime, poetico.

[. . . ] lei è bella, e io odio le donne belle perché sono brutta. Tu l’ami eio la odio; odio tutti coloro che sono amati; tu, sei felice tu, e io odio chiè felice; voi siete ricchi e io odio i ricchi, perché non mi amano, soltantoperché sono una disgraziata e una miserabile. Oh, Pedrillo, perché, mihai sempre respinta come qualcosa di cui si deve vergognare? Ah, sì,temevi lo scherno degli altri; ebbene, io ti odio, perché amo ciò chela società disprezza, amo i saltimbanchi, io, amo le prostitute, anchequelle di infimo rango, e detesto la tua Isabellada.96

Le visioni terribili di Pedrillo stanno per concretizzarsi; al termine di unalite con la moglie, stanco delle sue continue recriminazioni, e impaurito daisuoi discorsi, che suonano come minacce nei confronti dell’amata Isabellada,

94A. Rubino, op. cit., p. 36.95G. Giorgi, “Il contributo di Lorenza Maranini nell’ambito degli studi flaubertiani”,

in Lorenza Maranini francesista europea, Atti della giornata di studio sull’opera criticadi Lorenza Maranini, Urbino, 19 febbraio 2001, a cura di P. Toffano, Schena Editore,Fasano (BR) 2003, pp. 50-51. Qui Giorgi sta riferendo le acute osservazioni della Maranini(esposte in particolare nel capitolo “Dei cavalli nel cielo: un episodio di ‘Un cœur simple’ eil metodo stilistico di Flaubert”, cit., pp. 11-31), a proposito della tecnica con cui vengonodescritte da Flaubert le visioni-allucinazioni dei suoi personaggi.

96G. Flaubert, “Un parfum à sentir ou Les Baladins”, cit., p. 102.

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è proprio lui a compiere un gesto estremo: getta la povera Marguerite nellagabbia di un leone. Solo l’arrivo di Isambart, che riesce ad afferrarla e atrascinarla fuori, salva Marguerite da una morte orribile.

Nell’ultima scena Marguerite sta uscendo da un ospedale, piena di feritee di sfregi su tutto il corpo. Ancora una volta Flaubert la descrive nei suoiabiti lacerati, nel suo aspetto che «fa pietà». La guarda vagare come uncane randagio, con un ghigno sul volto, mentre i bambini per strada fannocerchio intorno a lei, ridono, le rivolgono parole di disprezzo97. E ancorauna volta fa sfilare davanti a lei una carrozza, un tilbury, che non è solo unsimbolo di ricchezza, come la prima che Marguerite si vide passare a fianco,e che le scatenò una rêverie straziante; questa carrozza è il simbolo estremodell’échec di Marguerite.

Seduta comodamente all’interno c’è infatti Isabellada, nel frattempo di-ventata la dama di compagnia di un gran signore che l’aveva voluta con sédopo averla vista ballare. Marguerite corre verso la carrozza, grida final-mente tutto il suo disprezzo, e sembra ormai non sentire più nulla, neanchei colpi di frusta del domestico che cerca di scacciarla.

La pazza! La pazza! gridava la gente correndo dietro a Marguerite.Lei si fermò, si batté la fronte.«La morte!» disse ridendo.E si diresse a grandi passi verso la Senna.98

Marguerite sceglie la morte. E la sceglie ridendo. Come molti eroi ro-mantici, in particolare gli eroi hugoliani, Marguerite, mostruosamente bruttadall’inizio del racconto, muore ancor più mostruosamente ridendo.

È il mostro che ride ed è il mostro che suscita il riso, poiché il risorende esplicito il legame tra comicità ed esperienza tragica; [. . . ] larisata assume di per sé un significato universale, non per il suo potere

97In questo senso la Rubino ritiene che tutti i personaggi dei racconti giovanili di Flau-bert siano accomunati dal desiderio di qualcosa, che rimane per loro irraggiungibile o nonfruibile, e «la haine dell’eroe per l’antagonista finisce per rivelarsi sostanziale impuissance,tragico strumento di un inevitabile échec». Così la rage provata dai protagonisti, che èla «filiazione più diretta e immediata» della haine, si manifesta e si esplicita «nella du-plice veste di aggressività e autoaggressività, si biforca cioè in due strade, che porterannorispettivamente all’omicidio e al suicidio» (come in questo caso). A. Rubino, “Dal «man-que» all’«échec» nei primi scritti flaubertiani (1835-1836)”, Micromégas, 26 (Omaggio aFlaubert II), gennaio-aprile 1983, pp. 4-5).

98«Slanciamoci nell’ideale! Dal momento che non abbiamo occasione di alloggiare nelmarmo e nella porpora, di avere divani di piume di colibrì, tappeti in pelle di cigno,poltrone di ebano, pavimenti di valva, candelabri d’oro massiccio o delle intagliate nellosmeraldo, urliamo dunque contro i guanti di seta, contro le poltrone da ufficio, contro lefalse stoffe, contro il falso lusso, contro il falso orgoglio! [. . . ] Siamo tutti dei burloni, edei ciarlatani; affettazione, posa! E ovunque ostentazione! La crinolina ci ha divorato lechiappe, il nostro secolo è un secolo di puttane, e ciò che esiste di meno prostituito, finora,sono proprio le prostitute» (A Louise Colet, 29 gennaio 1854, Corr., vol. II, pp. 517-518).

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salvifico, ma per la sua carica sintetizzante e onnicomprensiva di risomortale. Morte e riso sono sempre accoppiati, come se ogni sofferenzadell’uomo trovasse nel riso l’espressione di un’ultima vendetta diaboli-ca. Il riso mostruoso è una smorfia totale, è il mostro stesso che si faghigno beffardo e pauroso.99

Ed è in questo riso mortale che si compie l’inversione dei valori100.Marguerite, ormai cadavere «orribile» disteso sul tavolo dell’obitorio, con

le mosche che le volteggiano intorno (probabilmente un ricordo di Flaubertdell’anfiteatro di dissezione del padre, dove lui e la sorella spiavano conla curiosità morbosa dell’infanzia i cadaveri e le mosche che vi giravanointorno), di fronte agli studenti di medicina che ne osservano il corpo indecomposizione, le braccia gonfie e bluastre, il petto dilaniato dai graffi delleone, diventa sublime. Sono loro, con i loro sigari in bocca, i loro vestitiben stirati, la loro bellezza, è Isabellada, che sfreccia con la sua carrozzaper l’ultima volta davanti a Marguerite morta, a diventare moralmente efisicamente grotteschi, depravati, mostruosi.

Marguerite era entrata in scena accompagnata dal riso beffardo dellagente; ora è lei stessa che, uscendo di scena, ride in faccia alla stessa genteche aveva riso di lei, ride in faccia alla stupidità, alla mediocrità, alla falsità,all’ipocrisia, all’ingiustizia, e il suo ghigno grottesco diventa sublime.

Entra nel racconto come entrerà Charles nel romanzo, seguito dalle risadi scherno dei compagni per la sua figura ridicola, per quel grottesco Char-bovary pronunciato balbettando, che dall’inizio gli darà la misura di ciò chelui è: ridiculus sum.

Il nuovo proferì, biascicando, un nome incomprensibile.«Ripeta!»Lo stesso biascicare di sillabe, coperto dallo schiamazzo della classe.«Più forte!» [. . . ]Allora il nuovo, prendendo una decisione estrema, spalancò la boc-ca lanciando a pieni polmoni, come se chiamasse qualcuno, la parola:Charbovari.Si scatenò un gran chiasso, salì in crescendo, con acute esplosioni divoci. . . [. . . ].

99G. Flaubert, “Un parfum à sentir ou Les Baladins”, cit., p. 108.100«Ma la gente non è il guaio peggiore. La maledizione sono i bambini. Quelli non

ti risparmiano. E davanti a quell’uomo che li urtava chiedendo scusa, che di tanto intanto dava addirittura l’impressione di parlare tutto solo a se stesso, si misero a ridere,a urtarlo apposta e poi, ad un certo punto, [. . . ] a fargli fiiuuu nelle orecchie e a tirarglisassi per abbattergli il cilindro. . . [. . . ] Povero signore!». Il solitario goffo, ridicolo, cheparla da solo, preso in giro da una folla di bambini sbeffeggianti, altri non è che il poetaCharles Baudelaire, osservato per le strade di Bruxelles dalla sua affittacamere qualchegiorno prima di morire, secondo la suggestiva ricostruzione romanzata di B.-H. Lévy nelsuo romanzo Gli ultimi giorni di Charles Baudelaire (Istituto Geografico De Agostini,Novara 1989, pp. 20-21).

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«Silenzio, insomma! – ripeteva il professore indignato; [. . . ]– Quanto a lei, nuovo, dovrà copiarmi venti volte il verbo ridiculussum.»101

Ma Marguerite, ridicola e goffa come Charles dall’inizio, alla fine si com-porta come Emma, che un istante prima di morire, credendo di vedere lafaccia del cieco «ergersi nelle tenebre eterne come uno spauracchio [. . . ], simise a ridere d’un riso atroce, frenetico, disperato»102.

E per questo, come Emma, diventa grandiosa e sublime.Non sono e non saranno mai, nei racconti come nei romanzi di Flaubert,

i “borghesi” a ridere nel momento della morte, come non saranno mai iborghesi a concepire sogni e ad essere soggetti a visioni o allucinazioni.

I borghesi, per Flaubert, non saranno mai esseri poetici, e per questoin nessuno di loro lui si riconoscerà, pur essendo a sua volta un borghese,nel senso economico-sociale del termine. Ma è bene precisare che per Flau-bert il termine borghese non ha nessuna connotazione politico-economicamarxista. Borghese è per lui una condizione mentale, non una condizionepatrimoniale; il borghese è sinonimo di filisteo, di persona preoccupata sol-tanto degli aspetti materiali della vita, e disposta a credere soltanto in valoriconvenzionali. Come spiega Maupassant,

[. . . ] egli faceva della parola borghese sinonimo di stupidità, e ladefiniva così: «Chiamo borghese chiunque pensi bassamente».Non è dunque assolutamente con la classe borghese che se la pren-deva, ma con una specie particolare di stupidità che si incontra piùspesso in questa classe. Aveva, del resto, per il «buon popolo» un di-sprezzo totale. Ma trovandosi meno sovente in contatto con l’operaioche con la gente di mondo, soffriva meno della stupidità popolare chedella stupidità mondana. L’ignoranza, da cui provengono le credenzeassolute, i principi cosiddetti immortali, tutte le convenzioni, tutti ipregiudizi, tutto l’arsenale delle opinioni comuni o eleganti, lo esaspe-ravano. Al posto di sorridere, come molti altri, dell’universale stupi-dità, dell’inferiorità intellettuale dei più, ne soffriva orribilmente. [. . . ]Questo disprezzo da idealista esaltato per la stupidità corrente e labanalità comune era accompagnato da un’ammirazione ardente per lepersone superiori, quale che fosse il genere del loro talento o la naturadella loro erudizione. Avendo sempre amato soltanto il Pensiero, nerispettava tutte le manifestazioni.103

Tutti i racconti e i romanzi di Flaubert pullulano di borghesi con le loroopinioni comuni, con il loro gretto materialismo, con la loro convinzione chei sentimenti e le passioni siano solo per artisti perditempo, per sciocchi ro-mantici inconcludenti, che la poesia sia inutile, che l’arte sia incomprensibile

101G. Flaubert, “Un parfum à sentir ou Les Baladins”, cit., p. 110.102M. Mazzocut-Mis, Mostro. L’anomalia e il deforme nella natura e nell’arte, cit., p. 69.103Ibid., p.70.

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e per questo da allontanare; per questi individui conta solo «una posizione»da mostrare e dietro a cui proteggersi, di cui l’emblema sarà la Croce d’onoreraggiunta finalmente da un tronfio Homais alla fine del romanzo104.

È evidente quanto queste figure fossero nemiche di tutti i protagonistidei racconti e dei romanzi di Flaubert, ma prima di tutto del loro autore,che come loro aveva una passione fortissima, «una sete immensa di infinito»,un’anima che necessitava di nutrirsi di «fantasticherie, di versi, di melodie,di estasi», di poesia, giudicate «idee vuote», «futilità», dal «buon senso»dei borghesi, dal loro «positivo» che, scrive Flaubert, «mi fa orrore»105.

Costoro non vedono, in effetti, nell’arte, che un passatempo da dopocena, una ricreazione che rallegra, un gioco che distende, e consideranogli spettacoli come la migliore invenzione della polizia per concentrarele masse in un luogo sicuro. Quelle persone senza dubbio considerano lemerci, i generi alimentari,. . . come le prime cose di quaggiù, e quantoal pensiero puro, libero, indipendente, quanto alla poesia, alla morale,alle belle arti. . . chimere! fantasie! futilità! Diranno.Onore, secondo loro, alla macchina che stride, al rullo che gira, [. . . ]al sapone, allo zucchero, [. . . ] a colui che acquista e a colui che ven-de! Ma Omero, ma Virgilio, Shakespeare, che cosa prova tutto questo?Corneille, [. . . ] Racine, [. . . ] Raffaello e Michelangelo, che è ciò?! Cita-temi dei nomi che sono serviti al genere umano, [. . . ] ma i vostri poeti,i vostri artisti, sognatori vanitosi che muoiono di fame e pretendonodelle statue!. . . Ah, insensati! Forse che l’anima non ha bisogno dei suoi appetiti?E se voi non sentite questo istinto che chiede di nutrirsi, non delle vostrederrate, di riscaldarsi, non con le vostre foreste, di vestirsi, non con levostre stoffe, [. . . ] ma che ha bisogno di riscaldarsi al fuoco del genioe di circondarsi di misticismo e di poesia. . . ebbene, se non sentite invoi tutto questo, con che diritto venite a parlarmi di intelligenza e dipensiero? Non c’è niente in comune fra voi e me. Vi lascio di cuoreil lusso, il commercio, l’industria, i porti e le fabbriche, le stoffe e imetalli. . .ma lasciatemi piangere a teatro, lasciatemi ascoltare Mozart,contemplare per tutto il giorno le onde dell’Oceano! Lasciatemi la miafantasticheria, la mia futilità. . . 106

Fanno da contrappunto a tutta questa schiera di borghesi orgogliosi emediocri, stupidi, banali e ridicoli, i protagonisti dei racconti giovanili e deiromanzi, che per la loro capacità di “vedere oltre”, di sognare, di amare, divolare col pensiero e con l’immaginazione, di rituffarsi nel proprio passatocon le proprie rêveries, sono contemporaneamente grotteschi e sublimi, efratelli di sangue del loro creatore.

104G. Flaubert, “Madame Bovary”, pp. 516-517.105Ibid., p. 857.106G. de Maupassant, Gustave Flaubert, Préface par M. Pafernov, Nizet, Paris 1962,

pp. 66-67-68. Sul significato flaubertiano del termine “borghese”, cfr. anche V. Nabokov,Lezioni di letteratura, cit., pp. 168-169.

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Il borghese di Flaubert è sempre bête, ma mai davvero grotesque, è sem-pre tormentato da sogni di successo, di guadagno, di gloria, di riconoscimen-ti, ma mai davvero rêveur, sublime. Fa ridere, non sognare.

Marguerite, come molti altri protagonisti dei racconti della giovinezza diFlaubert, è grottesca per la sua caparbia ostinazione a credere nel sogno,nella felicità, nell’amore; solo alla fine si rassegnerà all’impossibilità, in unmondo dominato dalla bêtise, di realizzare i suoi sogni. Per questo, comeEmma Bovary, morirà ridendo, sconfitta proprio da questa bêtise; è il mo-mento più alto del racconto, in cui il comico si fonde con il tragico in unavisione dell’assurdità della vita umana. Nel momento supremo della mor-te, Marguerite ed Emma, fino a quel momento annebbiate dai loro sogni,hanno una visione-rivelazione ultima della realtà che si erano costantementesforzate di negare, la realtà «che la propria vita non porta a nulla, comequella di tutto il mondo». Il loro riso «segna dunque un ultimo istante dilucidità, in cui [comprendono] la desolante verità sulla propria vita. In quelmomento, il [loro] senso del comico della vita è identico a quello di Flaubertstesso»107.

Il fine da raggiungere, per lei come per Emma (e per il loro autore,in senso artistico e non solo esistenziale), è il sublime, rispetto al quale ilgrottesco, denunciato dal loro riso finale mostruoso e quasi demoniaco, hafunzione di contrasto per il suo risalto.

«Il grottesco si mescola al sublime e ne diventa condizione e componenteintegrante: risorsa del comico, partecipa del tragico»108. Arrivando fino nellecavità più nascoste, negli angoli più celati, smascherando ciò che si nascondedietro l’ufficiale, il serio, il giusto (ossia, smascherando l’ipocrisia, il filistei-smo borghese, la corruzione), il grottesco di Marguerite e dei personaggiflaubertiani accentua, seguendo i destini di un’epoca triste, la componente

107Il protagonista autobiografico di Novembre, che come il suo autore all’epoca stessadi questo racconto è ancora incerto sul suo futuro, e soprattutto sente di non riuscirea riconoscersi in nessuna di quelle che vengono definite dalla società «le professioni»,perché nessuna realizza la sua vocazione, che è quella dello scrittore, del «pensatore edemoralizzatore» che grazie alla scrittura riesce a prendere «una parte attiva nel mondo»,si interroga appunto sul suo avvenire pratico. «Quando dovette scegliersi una professione,esitò tra mille ripugnanze. Per atteggiarsi a filantropo, non era abbastanza furbo e la suanatura lo rendeva inadatto alla medicina; quanto al commercio, era incapace di calcolare;la sola vista di una banca gli dava sui nervi. Malgrado le sue follie, aveva troppo buon sensoper prendere sul serio la professione di avvocato; d’altronde la sua idea di giustizia non siaccordava con le leggi. Aveva troppo gusto per lanciarsi nella critica; era troppo poeta,forse, per riuscire nelle lettere. E poi, sono queste delle professioni? Occorre mettersi aposto, avere una posizione nel mondo; ci si annoia a restare oziosi; bisogna rendersi utili;l’uomo è nato per lavorare: massime difficili da capire e che spesso gli venivano ripetute»(G. Flaubert, “Novembre”, in Id., Opere, cit., trad. it. di M. Cucchi, vol. I, p. 162, corsivonel testo. Spesso Flaubert usa il corsivo nel testo per esprimere il pensiero borghese,per dipingere i luoghi comuni, e per far passare attraverso questi il suo pensiero, senzaesprimere direttamente la propria opinione.)

108“Les Arts et le Commerce”, scritto giovanile di Flaubert del 1839, in G. Flaubert,Œuvres de jeunesse, cit., p. 1182.

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tragica e atroce. Così, la condizione umana si configura come quella dellasaltimbanca goffa e zoppicante, che cade rovinosamente dal suo filo teso nelvuoto: la sua oscillazione vertiginosa significa la farsa tragica di una vita-circo109, e la sua figura passa dall’essere mostruosamente brutta e grottescaall’essere sublime e poetica, e commovente. Flaubert, tranquillizzando la suaamante Colet, gelosa di una donna che lui definisce «atrocemente brutta»,fa un’affermazione che può estendersi alla sua intera concezione estetica: «Epoi tu sai che io amo questo genere di quadri; è un gusto innato. L’ignobilemi piace. È il sublime infimo. Quando è genuino, è raro da trovarsi quantoquello eccelso»110.

Marguerite non è più ridicola, comica nel senso flaubertiano di comicorelativo, non fa più ridere se non la folla rozza o i bambini, ma è lirica, eper questo, come Emma, “fa sognare”, dopo aver sognato a sua volta tuttala sua vita. Ed è tragica, poiché «una buona parte di ciò che si consideracomico rimane ad un livello così profondo come il brutalmente tragico, chesta agli antipodi»111; in lei Flaubert svela «la parentela segreta e orribilefra il tragico e il comico»112, e fra il brutto e il bello, fra il grottesco e ilsublime.

Flaubert, come il lettore, rimane a contemplarla, e partecipa dei suoistessi sogni e delle sue stesse visioni, concepite dopo il passaggio di unacarrozza, o nella solitudine della sua tenda, davanti a una candela chebrucia113.

La fiamma, tra gli oggetti del mondo che inducono la rêverie, è unodei più grandi operatori di immagini. La fiamma ci costringe a imma-ginare. [. . . ] Tra tutte le immagini, le immagini della fiamma – le piùsemplici come le più lambiccate, le più serie come le più folli – portanoun segno di poesia. Ogni sognatore di fiamma è un poeta in potenza.Ogni rêverie davanti alla fiamma è una rêverie che meraviglia. [. . . ] Lafiamma è un mondo per l’uomo solo. Allora, se il sognatore di fiammaparla alla fiamma, lui parla a se stesso, ed eccolo poeta. [. . . ] La fiam-ma isolata è la testimonianza di una solitudine, di una solitudine che

109Ibid., pp. 1181-1182. In questo esercizio scolastico, Flaubert si lancia all’assalto deinemici dell’arte, a partire dalla disincantata, e tuttora constatabile, considerazione inizialeche «la futilità delle arti e l’utilità del commercio sono diventate parole trite nel mondo».Qui egli sembra in effetti scagliarsi contro «il borghese» inteso anche nella sua conno-tazione sociale ed economica, ma rimane valida la spiegazione data precedentemente sulsenso flaubertiano in cui è da intendersi la parola borghese. Borghesi sono tanto i com-mercianti quanto gli operai, quanto i filosofi o i preti, ed anche i falsi artisti, se «pensanobassamente», se sono infarciti di credenze e luoghi comuni.

110M. Sachs, “Le comique dans ‘Madame Bovary’”, in Langages de Flaubert, Actes duColloque de London (Canada), Minard, Paris 1976, p. 180.

111A.M. Scaiola, Dissonanze del grottesco nel romanticismo francese, cit., p. 68.112La frase è presa in prestito da A.M. Scaiola (ibid.), che qui si sta riferendo non ai

saltimbanchi di Flaubert, ma al clown tragi-comico balzachiano, che «balla sul filo tesonel vuoto».

113A Louise Colet, 4-5 settembre 1846, Corr., vol. I, p. 328.

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unisce la fiamma e il sognatore. Grazie alla fiamma, la solitudine delsognatore non è più la solitudine del vuoto. La solitudine, attraversola grazia della piccola luce, è diventata concreta. La fiamma illustrala solitudine del sognatore, essa illumina la fronte cogitabonda. Lacandela è l’astro della pagina bianca.[. . . ] Il sognatore di fiamma unisce ciò che vede e ciò che ha visto.Conosce la fusione dell’immaginazione e dalla memoria. [. . . ] Nellasua rêverie di una sera, sognando davanti alla sua candela, il sognatoresogna a ciò che avrebbe potuto essere. Sogna, in rivolta contro sestesso, a ciò che avrebbe dovuto essere, a ciò che avrebbe dovuto fare.Nelle oscillazioni della fiamma, questa rivolta contro di sé si quieta. Ilsognatore è restituito alla malinconia della rêverie, una malinconia chefonde i ricordi effettivi e i ricordi della rêverie. [. . . ]Si apre allora a tutte le avventure della rêverie; accetta l’aiuto deigrandi sognatori, entra nel mondo dei poeti.114

Il racconto Un parfum à sentir ou Les Baladins incarna dunque mira-bilmente, per la prima volta all’interno di un’opera di Flaubert, la naturadello scrittore quattordicenne, e anche quella dello scrittore adulto, perchéla sua indole «buffonescamente amara», da saltimbanco triste, grottesco, esognatore, che mischia ironia e lirismo, comico e tragico, non cambierà (enel suo caso, a differenza di Marguerite, di Emma, e degli altri personaggi alui simili, non soccomberà mai alla bêtise e al vuoto dell’esistenza); resteràcome «un profumo da sentire»115 che si spande in ogni opera, coprendo illezzo del mondo, perché, come la poesia, e poiché è poesia, «mette l’oro sulletame»116.

Come la prodezza del clown-acrobata di Banville è un equivalente al-legorico dell’atto poetico, e la sua dimensione privilegiata è l’altezza ver-tiginosa, per Flaubert Marguerite, clown tragico che assomiglia al VecchioSaltimbanco di Baudelaire, è una metafora del poeta, e dunque di se stesso.

«Curvo, abbattuto, decrepito, un rudere d’uomo», anche il saltimbancodi Baudelaire se ne stava rinchiuso nel suo tugurio, «reso ancor più misero diquello del selvaggio più bestiale, e il cui squallore era fin troppo intensamenteilluminato da due mozziconi di candela sgocciolanti e fumanti. [. . . ] Peròche sguardo profondo, indimenticabile, volgeva tutt’intorno sulla folla e sulleluci, il cui fiume ondoso s’infrangeva a pochi passi dalla sua ripugnantemiseria. . . »117.

114G. Scaramuzza, Il Brutto nell’arte, Il Tripode, Napoli 1995, p. 180.115Ibid.116«Il domino nero si tolse la maschera soffocante, e rimase, sprofondata nei ricordi del

ballo, i gomiti appoggiati al tavolo, a guardare la candela che bruciava» (G. Flaubert,“Un parfum à sentir ou Les Baladins”, cit., p. 104).

117G. Bachelard, La flamme d’une chandelle, PUF, Paris 1986, pp. 1, 3, 4, 13, 38. Ènota la passione di Flaubert per le candele, la fiamma, il fuoco. Esse hanno inoltre unposto importante nelle allucinazioni provate dalla stesso Flaubert (si ricordi il «torrentedi fiamme» da cui si è visto trascinare nel corso della sua prima crisi nervosa). Si è

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Il poeta, interrogandosi sul motivo della pena che questo miserabile glisuscitava, ossessionato dalla sua immagine, con un accento dolorosamentepremonitore su se stesso e sul suo futuro, conclude:

Ho appena visto l’immagine dell’uomo di lettere che è sopravvissutoalla generazione di cui lui fu il brillante intrattenitore, del vecchio poe-ta senza amici, senza famiglia, senza figli, degradato dalla miseria edall’ingratitudine pubblica, e nella baracca di chi il mondo dimenticonon vuole più visitare!118

Per Banville l’abito del clown è travestimento derisorio, con il quale eglipuò rispondere con l’ironia allo svilimento di un secolo ormai in preda alpotere del denaro, e nel quale «non si sente più che il rastrello della roulettee della banca»119. In Marguerite l’ironia è portata al parossismo, e nel suoriso tragico finale c’è la sua risposta estrema, terribile, che è al contempotrionfo e sconfitta, elevazione e abisso.

. . .Ma che siaUn eroe sublime o grottesco,O Musa, che dia caccia agli avvoltoiO s’abbassi a far qualche esercizioSulla corda funambolesca,Tribuno, profeta o pagliaccioSempre fugge con sdegnoLe vie che la folla frequenta;Lui cammina sulle fiere sommitàO sulla corda ignobile: peròBen al di sopra dei volti della folla.120

Con questo primo racconto originale il giovane uomo di quattordici anniscopre l’esaltazione, l’entusiasmo, il piacere di comporre, di scrivere, che

volutamente lasciato il termine rêverie in francese perché si è spiegato come, per Bachelard,la parola abbia lo stesso significato di Flaubert.

118«Quanto a ciò che ho scelto come titolo, Un profumo da sentire, con questo ho volutodire che Marguerite era un profumo da sentire; avrei potuto aggiungere: un fiore davedere, poiché per Isabellada la sua bellezza era tutto» (G. Flaubert, “Un parfum à sentirou Les Baladins”, cit., p. 112).

119Da una lettera a Maupassant, vedi sopra, p. 10. Remy de Gourmont, parlando del-la personalità di Flaubert, che a suo parere è così forte da segnare non solamente tuttii suoi scritti, ma anche quelli dei suoi discepoli, con un’impronta immediatamente rico-noscibile, scrive: «La personalità non è insomma altro, per me, che le condizioni stessedell’originalità; essa non ha alcun bisogno di essere ostentata, è un profumo i cui effluvipossono riempire una camera e tutto un appartamento. L’opera di Flaubert ne è profonda-mente impregnata» (R. de Gourmont, “Les curés de Flaubert”, in Promenades littéraires,quatrième et cinquième série, Mercure de France, Paris 1912 e 1913, sul sito internethttp://www.remydegourmont.org/vupar/rub2/flaubert/notice.htm#lescuresdeflaubert).

120“Le Vieux Saltimbanque” di Charles Baudelaire è il numero XIV dei Pétits poèmesen prose, o Le Spleen de Paris, contenuto nel tomo I delle Œuvres complètes, cit., p. 296.La traduzione di questo passo è di C. Bologna, presa dal testo di J. Starobinski, Ritrattodell’artista da saltimbanco, Boringhieri, Torino 1984, pp. 110-112.

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non lo abbandonerà più fino alla morte, e anzi diverrà la sua ragione divita. Conosce il potere della scrittura, anch’essa morale o immorale adlibitum, poiché essa condivide con il Satana dei viaggi all’inferno la volontàdi «s’emparer du monde»121.

121C. Baudelaire, “Le Vieux Saltimbanque”, cit., p. 297.

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