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IL MANGIARBENE GUIDA ALLA CUCINA TRADIZIONALE VICENTINA AZIENDA U.L.S.S. N. 6 VICENZA DIPARTIMENTO DI PREVENZIONE SERVIZIO DI PROMOZIONE ED EDUCAZIONE ALLA SALUTE

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IL MANGIARBENE

GUIDA ALLA CUCINA

TRADIZIONALE VICENTINA

AZIENDA U.L.S.S. N. 6 VICENZA

DIPARTIMENTO DI PREVENZIONE SERVIZIO DI PROMOZIONE ED EDUCAZIONE ALLA SALUTE

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A cura di:

Dr. Gabriele Poli

U.O. di Promozione ed Educazione alla Salute ULSS 6, Vicenza

Dr. Angiola Vanzo

Direttore Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione ULSS 6, Vicenza

Dr. Patrizia Pesenti

Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione ULSS 6, Vicenza

Grafica: Livio Chiementin - SIAN ULSS 6, Vicenza

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1. Presentazione ............................................................................ 3

2. Introduzione .............................................................................. 4

3. Storia ......................................................................................... 5

4. Il panorama agroalimentare della provincia di Vicenza ............ 8

5. Analisi nutrizionale e linee guida ............................................. 11

6. La Cucina Vicentina .................................................................. 23

7. Alcuni aneddoti sulla gastronomia vicentina ........................... 26

8. Le ricette di Cucina e Tradizione nel Veneto ........................... 32

(ricerca degli Istituti Alberghieri del Veneto)

9. La cucina dell’Altopiano ........................................................... 40

10. Le ricette della provincia e dell’Altopiano ............................... 42

11. La Cucina tradizionale Veneta .................................................. 47

12. Le ricette di Amedeo ................................................................ 54

13. Ricette dello Chef ..................................................................... 61

Danilo Baratto ...................................................................... 61

Sandra Cazzola Lovise .......................................................... 67

Gianluca Tomasi ................................................................... 73

Sommario Pag.

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Guida alla cucina tradizionale vicentina è il quinto volume della collana “IL

MANGIARBENE”, che il Servizio di Promozione ed Educazione alla Salute

(SPES) della ULSS 6 Vicenza presenta, dopo Guida al consumo dei molluschi

marini, Guida al consumo del pesce azzurro, Guida al consumo dei formaggi

e Guida al consumo dei salumi.

Con il presente manuale, ci proponiamo di dissolvere il velo dell’oblio,

riportando alla memoria dei concittadini quelle che erano -e speriamo

tornino ad essere- le peculiarità della nostra cucina, antica ed apprezzata

anche al di fuori della Provincia.

Oltre a notizie storiche, aneddoti e prelibate ricette realizzate da rinomati

chef vicentini, sono trattati gli aspetti riguardanti le caratteristiche e le

analisi nutrizionali di piatti storici della rinomata cucina vicentina.

1 Presentazione

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Un turista, un occasionale visitatore, ma anche un abituale abitante hanno

varie possibilità di conoscere un territorio, dalla semplice “toccata e fuga”,

visitando i monumenti più famosi, alla permanenza un poco più lunga,

vagando per le vie della località, chiacchierando con le persone, sollevando

lo sguardo ad ammirare balconi e fregi dei palazzi. Tuttavia, se alla visita

puramente “didattica” si associa quella culturale e gastronomica, si ha la

fortuna di ottenere un connubio che rimarrà indelebile nella memoria.

Fra le tante cose che ho avuto la sorte di scrivere, approfitto di questo

spazio per citarne una in particolare.

“Viaggiare senza conoscere è come mangiare senza nutrirsi. Ho viaggiato

molto nella mia vita, ma nessun museo, nessuna antica civiltà, nessun

panorama mi ha gratificato mai come il tempo speso a conoscere persone,

pensieri e tradizioni. Se il viaggiatore non si innalza alla ricerca del rapporto

con la gente del luogo che visita, può affermare di aver visto, non di aver

conosciuto” (cit. G. Poli)

E, fra le tradizioni, la cultura culinaria occupa un posto di primo piano.

2 Introduzione

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I Vicentini a tavola: passato, presente, futuro.

La cucina tradizionale vicentina è oggetto di non numerose ma eccellenti

pubblicazioni, a cui facciamo riferimento nelle nostre seguenti

considerazioni.

La cucina vicentina ha le sue basi nei prodotti agricoli e dell’allevamento

locali, ma il suo piatto più famoso, lo stoccafisso che si trasforma nel

“bacalà alla vicentina”, giunge tramite la marineria della Serenissima

Repubblica di Venezia dal boreale arcipelago delle LOFOTEN, al nord della

Norvegia, e così le sarde atlantiche dette “scopetoni”, da non confondere

con le aringhe, “renghe” in Veneto.

Il grande Palladio teorizzava la villa di campagna come residenza di un

proprietario terriero che razionalmente vuole attendere alle necessità della

produzione agricola senza privarsi del benessere e del lusso legato al suo

ceto sociale. La barchessa per gli attrezzi agricoli, la graziosa colombara, le

stalle e il porcile a debita distanza dalla casa padronale, un vicino corso

d’acqua utile per la peschiera e le anatre, sono quasi sempre presenti. In

vicinanza della villa risiedono i contadini e gli abitanti del paese che spesso

condivide il nome della casata dei conti Thiene, Caldogno, Orgiano, Velo,

ecc.

Nel passato era molto diversa la disponibilità alimentare pro capite in

relazione ai vari strati sociali. Chi non possedeva almeno una vacca, alcune

galline, un pezzo di terra per orto e vigna, doveva attraversare periodi di

carestia. Domenico Fiori, arciprete del comune di Posina, paese ai piedi del

monte Pasubio, negli anni 1861-1874 nel registro parrocchiale annotava

come frequente causa di morte l’inedia, cioè la denutrizione e lo stato di

deperimento che ne consegue.

3 Storia

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La frugalità era una necessità e non una scelta, il lavoro dei campi era

pesante, per cui era attesa e gradita la possibilità di mangiare e bere in

abbondanza. Quando si macellava il maiale, le parti non conservabili erano

consumate subito (i “sossoli”, il carniccio di maiale fritto); al momento della

vendemmia, con il mosto e la farina si cuocevano gli inebrianti “sugoli”.

Inoltre, mancando le tecniche per conservare le derrate alimentari

deperibili, la stagionalità dei cibi era obbligatoria.

Come ritmo dei pasti, nel Vicentino, di colazione quasi non si parla; il pasto

principale è il pranzo, la cena è frugale. La vita contadina costringe ad

alzarsi prestissimo la mattina, quando splende ancora la “stella boara”, cioè

il luminoso pianeta Venere che precede l’alba. Quindi bisogna pranzare

“prestino, a mezodì, o a mezo boto, un boto, un boto e mezo “, non oltre:

cioè tra le 12 e le 13.30. La cena è all’imbrunire, dopo la mungitura e prima

del buio completo, ed è frugale, consistendo negli avanzi del pranzo, se ci

sono, o pane e latte. Il vino, potendo, è sempre presente.

Le ampie disponibilità alimentari attuali e l’attuale “epidemia “di obesità

erano sconosciute ai nostri -anche recenti- antenati: i documenti fotografici

del secondo dopoguerra e fino agli anni ‘70 mostrano bambini smilzi e

adulti con fisici asciutti su cui le gonne e i pantaloni cadono perfettamente

e con involontaria eleganza.

Tuttavia, continuare a preparare e a mangiare i piatti della nostra tradizione

vicentina è non solo bello ma anche auspicabile: sono saporiti, appaganti, e

spesso costituiscono piatti unici ben bilanciati, quali i risi e bisi, la polenta e

bacalà.

Prodotti nutrienti e saporiti come il formaggio Asiago, la sopresa di

Sant’Antonio del Pasubio e i salami sono perfetti per il panino da mettere

nello zaino quando si va in gita in montagna; frittole con erba maresina e

fugassa coi fighi non si fanno tutti i giorni, ma pensa tornare da scuola e

trovarle come merenda!

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Viceversa, alcuni di questi piatti possono essere non più realizzabili perché

gli ingredienti sono irreperibili: si è persa la conoscenza di certe erbe, o non

è più possibile commerciare alcuni prodotti troppo deperibili quali mosto di

vino e le frattaglie. Dei piccioni si parla solo per la loro indesiderata

invadenza in città e quasi non più quali prelibati arrosti di “torresani “di

Breganze.

Salvare le ricette della cucina tradizionale vicentina e traghettarle nel XXI

secolo senza sensi di colpa è però fattibile: è sufficiente cucinare un buon

piatto vicentino con cura, con ingredienti genuini, e non farlo precedere da

aperitivi e snack, né seguire da dessert confezionati ipercalorici. Un buon

gotto di vino con la pietanza è ben accetto, tanto più che il superalcolico, in

genere la grappa, è entrata nella ricetta della “fugassa” o delle frittole di

carnevale, pertanto l’alcool è ampiamente evaporato, mentre rimane il

sapore.

Se poi il pranzo è preceduto o seguito da una camminata fino a Monte

Berico, o alle falesie di Lumignano, o verso una delle numerosissime ville

palladiane che costellano la pianura e i colli, l’effetto complessivo sul

benessere e sull’umore non potrà essere migliore.

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Da: Atlante Agroalimentare vicentino (Camera di Commercio di Vicenza)

Esteso su un territorio vasto e morfologicamente variegato e complesso, il

territorio vicentino rappresenta uno dei principali centri agroalimentari del

Veneto. Non manca nulla: dai prodotti orticoli al vino, dalle carni alla frutta,

passando per i distillati e per i formaggi. Tutto concorre a fare

dell’agroalimentare di Vicenza un settore fondamentale non solo per

l’economia veneta, ma anche uno dei pilastri della dieta mediterranea.

Dalla terra alla tavola, insomma, in un caleidoscopio di sapori, profumi e

colori raramente riproducibile per complessità e qualità in altre province

italiane, il Vicentino offre al visitatore goloso un’ottima scelta di piatti tipici,

a conferma di una genuinità frutto di esperienze secolari maturate da

generazioni di agricoltori.

I numeri danno un’idea precisa del settore agroalimentare in termini

economici e lavorativi. In provincia di Vicenza nell’intero settore operano

complessivamente 1.124 aziende (dato 2006), pari al 19,3% circa rispetto al

territorio regionale veneto (erano appena 820 nel 1998).

Appartengono per lo più al comparto vitivinicolo, dei liquori e delle

bevande, delle conserve vegetali, delle carni e della loro trasformazione,

delle granaglie, della caseificazione e delle arti bianche.

Attorno a queste aziende gravita un mondo imprenditoriale capace di

creare occupazione e ricchezza in maniera più stabile rispetto ad altri

settori della provincia di Vicenza. Sono infatti 6.461 (dato 2006) gli addetti

del comparto, con un fatturato complessivo che oscilla attorno ai 5,118

miliardi di euro e con un export di circa 188,9 milioni (dato 2006). A queste

imprese si aggiungono poi quelle operanti nel settore agricoltura, che nel

territorio vicentino sono 12.253.

4 Il panorama agroalimentare della provincia di Vicenza

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Si tratta di dati molto significativi. Basti pensare che Vicenza e tutte le altre

province del Veneto occupano una posizione di preminenza nell’export

dell’industria alimentare italiana. La regione realizza infatti un giro d’affari

sui mercati esteri pari a 1,8 miliardi di euro, numero che rappresenta circa il

12,6 per cento di tutte le esportazioni nazionali del settore. Una quota

significativa di questo export è sicuramente da assegnare all’industria

vitivinicola e dei distillati, visto che la regione può contare su grandi vini

molto apprezzarti in Italia e all’estero e su alcuni dei più importanti nomi

del settore. Un settore a cavallo quindi tra agricoltura e industria che è

stato in grado di reagire positivamente alla crisi generale che ha riguardato

un po’ tutti i comparti manifatturieri locali.

A caratterizzare la produzione agroalimentare locale è soprattutto la cura

dei prodotti, garantita da una struttura imprenditoriale fatta soprattutto di

piccole e medie aziende. Questo è uno dei segreti: le oltre 900 realtà

artigianali del Vicentino costituiscono senza dubbio una grande risorsa

qualitativa per il settore. A ciò si aggiunge, indistintamente in tutte le

imprese del territorio, la forte attenzione agli aspetti della sicurezza

alimentare e ai contenuti tecnologici, garanzia prima di igiene e salubrità. In

questo senso va sottolineato come in provincia esista un vero e proprio

distretto industriale correlato, composto da decine d’aziende impegnate nel

campo degli impianti per l’industria alimentare, in particolare nelle

macchine per il pane e per il settore lattiero-caseario. E’ questo un settore

di eccellenza da cui le imprese del settore agroalimentare hanno ricavato

un valido know-how strategico per il loro sviluppo.

A proposito di eccellenza: una bella tavola imbandita di decine di prodotti

potrebbe tranquillamente riassumere la mappa agroalimentare della

provincia di Vicenza, dalla sopressa al prosciutto berico, passando per gli

asparagi, radicchio rosso, Asiago e Stravecchio di malga, ciliegie, polenta e

baccalà, il tutto innaffiato da vini di sei zone DOC per concludere con

mostarda, grappa e liquori. Tutto ciò che la terra berica può offrire come

prodotto tipico, come specialità fatta in casa o come ricetta della nonna

tramandata da generazioni, si trasforma dunque naturalmente in un piatto

eccellente, voce d’autore nei menù dei locali nostrani.

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Il punto d’interesse principale riguarda ora la protezione della qualità con

progressiva istituzione di marchi collettivi. Se per il vino vicentino il lavoro

svolto è stato eccellente (il Veneto fornisce da solo oltre 7 dei 45 milioni di

ettolitri di prodotto italiano, con una superficie di 77 mila ettari, il 99,9% dei

quali con vigneti per uva da vino) per molte altre produzioni la strada della

certificazione della qualità è ancora lunga. In ballo c’è anche la capacità di

saper esportare la produzione agroalimentare oltreoceano, negli Stati uniti

ad esempio, cioè verso un ricco mercato che conta ad oggi oltre 250 milioni

di consumatori, spingendo prodotti di qualità quali il radicchio prodotto ad

Asigliano, l’asparago bianco di Bassano del Grappa o la ciliegia di Marostica

(assieme ad altri già presenti nei mercati esteri) verso ulteriori canali di

sbocco. Va ricordato a tal proposito che l’Italia si attesta al quinto posto

dopo Canada, Messico, Francia e Cina e che il solo interscambio

agroalimentare tra Italia e Usa risulta decisamente a favore del nostro

paese.

Quanto a Vicenza, i prodotti che hanno permesso al suo export

agroalimentare di tenere il passo sono i vini (che dal 1980 ad oggi hanno

registrato una continua crescita in rapporto alla percentuale della

produzione con un aumento del 25%), la grappa, i formaggi, i salumi, i

prosciutti, i dolci, le carni e le acque minerali. Ma le tavole vicentine hanno

tanto di più da offrire al mondo.

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Viviamo in un’epoca in cui la scarsità di cibo non rappresenta più un

problema rilevante della nostra società, sebbene non occorra andare molto

indietro nel tempo per ricordare le gravi malnutrizioni dovute a scarsità e

cattiva qualità dei cibi che funestavano soprattutto le nostre campagne. E’

interessante ricordare che esisteva a Vicenza una Commissione

Pellagrologica Provinciale per la lotta contro la pellagra, malattia dovuta ad

una alimentazione basata quasi esclusivamente sulla polenta. La polenta in

sé è innocua, solo è incompleta come alimento (carenza contemporanea di

vitamina PP e del triptofano – che è il precursore di questa vitamina) e solo

l’alternanza con altri cibi ne compensa la scarsa virtù nutritiva.

La malattia ebbe origine dal cambiamento del cibo quotidiano dei

contadini, tra il XVI e XVII secolo, in conseguenza della forzata introduzione

della coltivazione del granturco nella Repubblica Veneta, oltre che dalle

peggiorate condizioni economiche dei contadini stessi. La tradizionale

alternanza e diversificazione delle colture agricole cedette il posto per

necessità a monocolture: di frumento per il mercato e i padroni, e dopo la

mietitura, di granoturco, per l’autoconsumo di contadini e salariati.

L’endemia pellagrosa è stata il costo umano, pagato dai contadini poveri

per la ricchezza dell’economia, e casi se ne trovavano ancora nelle nostre

campagne sino a dopo la seconda guerra mondiale.

Altra abitudine consolidata era quella di integrare lo scarso apporto calorico

con l’uso di bevande alcoliche, vino in particolare, che veniva somministrato

anche ai bambini.

Dopo la fine della 2° guerra mondiale, la ripresa dell’economia post-bellica

introduceva nuove disponibilità economiche per fasce di popolazione

sempre più vaste, per cui si può ben dire che l’alimentazione media degli

italiani era in genere adeguata e caratterizzata da una dieta ricca di cereali

(pane e pasta), ortaggi e frutta fresca, con una quantità limitata di grassi da

condimento e di prodotti di origine animale, soprattutto latte e formaggi. Si

5 Analisi nutrizionale e linee guida

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trattava di un’alimentazione variata e nutrizionalmente equilibrata, in cui

l’utilizzo degli alimenti di origine animale era tradizionalmente riservato alle

grandi occasioni.

Oggi invece la prevalente tendenza a mangiare più del necessario, tipica

delle ultime decadi del nostro secolo, spesso accompagnata da notevoli

squilibri tra i vari componenti della dieta, ha portato gli italiani

all’esposizione a gravi rischi, come la maggiore incidenza di obesità,

ipertensione, arteriosclerosi, diabete, tumori ecc.

Il recupero di quella che si potrebbe definire “la via mediterranea per stare

bene mangiando bene”, trova il suo fondamento nei risultati di numerosi

studi nutrizionali ed epidemiologici su quei paesi (quali l’Italia, la Grecia, la

Spagna, la Francia del Sud) che nel corso dei secoli hanno sviluppato

abitudini alimentari abbastanza simili: questo stile alimentare è conosciuto

oggi come “dieta mediterranea”.

Numerosi studi internazionali hanno dimostrato inoltre che la dieta

mediterranea fa diminuire la frequenza dell’obesità e delle malattie

croniche non trasmissibili.

Già nel 1550, il ricco e colto nobiluomo veneto Alvise Cornaro aveva intuito

il problema e infatti pubblicava il suo “De Vita Sobria”, dove si consigliano

equilibrio e moderazione, specie alimentare, per sopravvivere a lungo.

E’ saggio quindi rivalutate le sane e tipiche abitudini alimentari di un

passato prossimo, abitudini che purtroppo sono state da gran parte di noi

abbandonate, perché considerate espressione di una vita povera. Come

conseguenza, oltre a spendere di più, mangiamo male (cioè in modo poco

equilibrato) e troppo.

Come si vede, nulla di nuovo viene detto: occorre ritrovare la via per

nutrirci in maniera adeguata, rivalutando i nostri cibi tipici, variandoli e

alternandoli opportunamente, consumandoli nella quantità giusta.

Le componenti tipiche delle dieta mediterranea sono: il pane, la pasta, i

legumi secchi, la frutta, gli ortaggi, l’olio di oliva. Questi cibi si integrano

con piccole quantità di latte, formaggio, uova, pesce, carne. L’olio di oliva

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è la principale fonte di grassi: è ricco di grassi monoinsaturi e di sostanze

antiossidanti.

Le “Linee guida per una sana alimentazione italiana” sono aggiornate alle

più recenti raccomandazioni scientifiche, proponendo un modello di

comportamento alimentare che tende a garantire un buono stato di

nutrizione a tutela della salute ed è realizzabile nell'ambito della tradizione

alimentare del nostro paese.

Nelle prossime pagine troverete alcuni CONSIGLI PER UNA SANA

ALIMENTAZIONE nel pieno rispetto della tradizione italiana.

L’obiettivo finale è quello di SENTIRSI BENE MANGIANDO MEGLIO E

FACENDO ATTIVITÀ FISICA REGOLARE.

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CONSIGLI PER UNA SANA ALIMENTAZIONE

Per aiutare le persone ad adottare una sana alimentazione ed una regolare

attività fisica per quindi prevenire le malattie non trasmissibili correlate è

attivo nella Azienda ULSS di Vicenza l‘ambulatorio nutrizionale del Servizio

di Igiene degli Alimenti e Nutrizione (SIAN) con sede a Vicenza, Noventa

Vicentina e Sovizzo, dotato di professionisti altamente qualificati (medici

specialisti in scienza dell’alimentazione, dietisti) per supportare medici di

famiglia, pediatri e altri specialisti.

Tale équipe risponde ai criteri previsti dalle linee guida ministeriali (DM

16/10/1998) per la consulenza dietetico-nutrizionale, intendendo con

questo termine “prevenzione, trattamento ambulatoriale, terapia di gruppo

per fasce di popolazione a rischio”. Il loro lavoro è dedicato ai pazienti di

tutte le età e in particolare a gruppi ad alto rischio e svantaggiati con

comportamenti non salutari, fattori di rischio nutrizionali, problemi di peso

e malnutrizione, malattie legate all'alimentazione, in particolari condizioni

fisiologiche e con allergie e intolleranze alimentari.

Sulla base di queste considerazioni le linee principali di azione del SIAN,

oltre alla sorveglianza nutrizionale, alla educazione e promozione della

salute, alla ristorazione collettiva, includono:

consulenza dietetico-nutrizionale (prevenzione, trattamento

ambulatoriale e/o terapia di gruppo per fasce a rischio dì popolazione), in

collaborazione con i Medici di Medicina Generale, i Pediatri di Libera Scelta

e con strutture specialistiche (Ospedaliere e territoriali, Centri di studio e di

ricerca, ecc.) e con gli ambulatori per il tabagismo o alcologici, e con i servizi

per i disturbi del comportamento alimentare;

counseling motivazionale: in letteratura esistono numerosi studi

che testimoniano l’efficacia del Counseling Motivazionale (CM) come

modalità di intervento efficace per migliorare gli esiti degli interventi di

promozione di abitudini alimentari corrette, per il controllo del peso e per

ridurre la sedentarietà.

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Il SIAN pertanto promuove interventi basati sulla motivazione al

cambiamento, che sembrano essere più adeguati ad ottenere cambiamenti

negli stili di vita individuali e a mantenere comportamenti legati alla salute

nel tempo.

Come prenotarsi a CUP: telefonare al centro Unico di Prenotazione (CUP)

Telefono: 800 403 960 (numero verde CUP) per prenotazioni e disdetta

appuntamenti, attivo dal Lunedì al Venerdì dalle 8.00 alle 16.00

COS’È L’INDICE DI MASSA CORPOREA?

L'indice di massa corporea (IMC o BMI, acronimo Inglese di Body Mass

Index) è un parametro che mette in relazione la massa corporea e la statura

di un soggetto.

Questo si calcola dividendo il proprio peso espresso in kg per il quadrato

dell'altezza espressa in metri:

IMC = massa corporea (Kg) / statura (m2)

Ad esempio, l'indice di massa corporea di una persona che pesa 75

chilogrammi ed è alta 1 metro e 80 centimetri sarà quindi uguale a:

75 / (1,80 * 1.80) = 75 / 3.24 = 23,1

Tale indice permette di classificare (solamente per la popolazione sopra i

18 anni) sottopeso (IMC <18), peso ideale (IMC tra 18.5 e 25), sovrappeso

(IMC tra 25 e 29.9) ed obesità (IMC >30).

Per la popolazione sotto i 18 anni vengono utilizzati altri indici, che tengono

conto sempre di peso ed altezza, ma con valori diversi rispetto agli adulti.

Per gli adulti, quindi, per praticità è possibile incrociare peso e altezza

sull’apposito grafico, in modo da conoscere il proprio indice di massa

corporea.

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Oltre ad essere utilizzato per la classificazione del sovrappeso e dell'obesità

negli adulti, l’IMC è anche un indice epidemiologico: esiste infatti una

profonda correlazione tra indice di massa corporea e rischio di mortalità per

complicazioni cardiovascolari (inclusa l'ipertensione), diabete e alcuni

tumori.

Un limite di questo indice è quello di non fornire indicazioni sulla

distribuzione del grasso corporeo, pertanto va valutato assieme al

parametro della circonferenza addominale.

Una circonferenza addominale superiore a 102 cm negli uomini e a 88 cm

nelle donne indica un’eccessiva quantità di grasso addominale, ma il rischio

per la salute aumenta già a partire da 94 cm per gli uomini e 80 cm per le

donne.

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CONSIGLI PER UNA SANA ALIMENTAZIONE

1 CONTROLLA IL TUO PESO E MANTIENITI ATTIVO

Pesati almeno una volta al mese controllando che il tuo indice di

massa corporea (IMC) sia nei limiti normali (tra 18.5 e

25 per età maggiore di 18 anni)

Qualora il tuo peso sia fuori dai limiti normali,

riportalo gradualmente entro tali limiti.

In caso di sovrappeso (IMC >25) consulta il medico,

mangia meno, preferisci cibi a basso contenuto

calorico e che saziano di più, come frutta e verdura, e

aumenta l’attività fisica.

In caso di sottopeso (IMC <18) consulta il medico e

mantieni un’alimentazione varia ed equilibrata, consumando tutti i

pasti agli orari abituali.

Abituati a muoverti di più ogni giorno: cammina 30 minuti ogni

giorno, Sali e scendi le scale, svolgi piccoli lavori domestici…

Evita le diete squilibrate o molto drastiche che possono essere

dannose per la salute.

2 PIÚ CEREALI, LEGUMI, ORTAGGI E FRUTTA

Consuma quotidianamente più porzioni di ortaggi e

frutta fresca, e aumenta il consumo di legumi (piselli,

fagioli, ceci…)

Consuma regolarmente pane, pasta, riso ed altri

cereali evitando quelli troppo conditi.

Quando puoi scegli prodotti ottenuti a partire da

farine integrali.

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3 GRASSI: SCEGLI LA QUALITÁ E LIMITA LA QUANTITÁ

Modera la quantità di grassi ed oli che usi per condire e cucinare.

Limita il consumo di grassi da condimento di origine

animale (burro, lardo, strutto, panna, ecc.) e

preferisci olio extravergine d’oliva

Evita il consumo di grassi idrogenati (es margarina)

e oli tropicali ricchi di grassi saturi

Mangia più spesso pesce; tra le carni preferisci

quelle magre ed elimina il grasso visibile.

Se ti piacciono le uova ne puoi mangiare fino a 4 per settimana,

distribuite nei vari giorni.

Se consumi latte preferisci quello parzialmente scremato

4 ZUCCHERI, DOLCI E BEVANDE ZUCCHERATE: NEI GIUSTI LIMITI

Modera il consumo di alimenti e bevande dolci nella giornata.

Evita il consumo di bevande gassate zuccherate.

Preferisci i prodotti da forno della tradizione italiana,

che contengono meno grasso e zucchero e più amido.

Se utilizzi i prodotti dolci da spalmare su pane o fette

biscottate (quali marmellate, confetture di frutta, miele e creme),

usali con moderazione.

5 BEVI OGNI GIORNO ACQUA IN ABBONDANZA

Bevi mediamente 1,5-2 litri di acqua al giorno.

Ricorda che i bambini e gli anziani sono

maggiormente esposti al rischio di disidratazione.

Ricorda che bevande diverse (come aranciata, bibite

tipo cola, succhi di frutta, caffe’, tè) apportano anche

altre sostanze che contengono calorie (ad esempio

zuccheri semplici) o che sono farmacologicamente

attive (ad esempio caffeina).

Queste bevande vanno usate con moderazione.

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6 IL SALE? MEGLIO POCO

Riduci progressivamente l’uso del sale sia a tavola che in cucina e

preferisci quello iodato.

Limita l’uso di condimenti contenenti sodio (dado da

brodo, ketchup, salsa di soia, senape, ecc.); insaporisci i

cibi con erbe aromatiche (come basilico, rosmarino,

salvia, origano, ecc.) e spezie (come pepe, peperoncino,

noce moscata, ecc.).

Esalta il sapore dei cibi usando succo di limone e aceto.

7 BEVANDE ALCOLICHE: SE SÍ SOLO IN QUANTITÁ LIMITATA

Se desideri consumare bevande alcoliche, fallo con moderazione,

durante i pasti dando la preferenza a quelle a basso contenuto

alcolico (vino e birra)

Non assumerle se devi guidare o fare altre attività per cui devi

mantenere intatte attenzione, autocritica e coordinazione motoria.

Riducile o eliminale se sei in sovrappeso od obeso o se presenti una

familiarità per diabete, obesità, trigliceridi elevati, ecc.

Quantità consigliata da non superare al giorno: per l’uomo 2 unità

alcoliche; per la donna 1 unità alcolica.

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8 VARIA SPESSO LE TUE SCELTE A TAVOLA

Scegli adeguate quantità degli alimenti appartenenti ai diversi gruppi

sotto riportati, alternandoli nei vari pasti della giornata.

Cereali, derivati e tuberi (pane, pasta, riso, polenta, patate,

prodotti da forno, ecc.) forniscono principalmente carboidrati

complessi, vitamine del gruppo B

Se integrali sono più ricchi in fibra, vitamine e sali minerali.

Consuma tutti i giorni più porzioni di cereali

Frutta e ortaggi sono importanti fonti di fibra, vitamine e sali

minerali.

Si raccomandano 5 porzioni al giorno tra frutta e verdura.

Latte e derivati (latte, yogurt, latticini e formaggi) forniscono calcio

altamente disponibile e proteine ad alto valore biologico.

Consuma ogni giorno 1- 2 porzioni di latte e derivati.

Carne, pesce e uova forniscono proteine di elevata qualità, ferro,

zinco e vitamine del gruppo B; questo gruppo comprende anche i

legumi secchi. Consuma ogni giorno 1-2 porzioni di alimenti

appartenenti a questo gruppo.

Varia tra la carne (1-2 volte alla settimana), pesce (2-3 volte a

settimana), uova (2-4 uova a settimana), affettati e salumi (non più

di 1 volta a settimana), legumi secchi (1-2 volte a settimana).

Grassi da condimento (olio extravergine d’oliva, olio di semi ,

burro,...): sono importanti oltre che nell’esaltare il sapore dei cibi,

anche nell’apportare acidi grassi essenziali e vitamine liposolubili (A,

D, E, K).

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RICORDA INOLTRE DI:

1 NON SALTARE I PASTI, A COMINCIARE DALLA PRIMA COLAZIONE.

Saltare i pasti è sconsigliato perché vi ritroverete semplicemente

più affamati al pasto successivo, introducendo più calorie che non

verrebbero utilizzate del tutto, ma accumulate sotto forma di grassi.

Se hai mangiato troppo ad un pasto, il modo migliore per smaltire

gli eccessi è muoversi un po’ o ridurre il contenuto energetico dei

pasti successivi.

E ricordati che per cominciare bene la giornata è indispensabile una

bella prima colazione perché fornisce al corpo l’energia necessaria

ad affrontare tutta la mattina!

2 CONSUMARE 5 PASTI AL GIORNO.

Il nostro organismo ha bisogno di cinque pasti al giorno: colazione,

spuntino, pranzo, merenda e cena.

I pasti principali devono essere completi ed equilibrati perché solo

così si eviteranno gli eccessi incontrollati fuori dai pasti.

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3 FARE ATTENZIONE ALLE ETICHETTE.

Quando fai la spesa leggi attentamente le etichette: rappresentano

la carta d’identità del prodotto. Fai attenzione all’elenco degli

ingredienti e alla composizione nutrizionale.

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Di Giovanni Capnist

già Presidente dell’Accademia Italiana della Cucina.

(da: Cucina e Tradizione nel Veneto)

Uno dei grandi cultori della gastronomia italiana, il Duca Alberto Denti di

Piraino, soleva ripetere che in cucina “tutto deve essere misura e

proporzione”.

Questo credo gli derivasse da una grande esperienza, intelligenza e

passione per l’alimentazione, sia quella di “sopravvivenza”, di tutti i giorni,

che quella “aulica”, per i giorni che contano.

Rifuggendo da una generalizzata valutazione della gastronomia, che può

avvicinarsi ad una fisiologia o filosofia del gusto e del saper vivere, vorrei

cercare qui, localmente, nell’ambito del territorio propriamente detto

Vicentino, quel repertorio gastronomico che trae le sue origini dalla storia

più lontana, addirittura dai greci antichi, etruschi, romani, longobardi,

franchi, bizantini o veneziani.

Fattore determinante per tutti, certamente il trascorrere delle stagioni, nel

loro approssimativo ripetersi, anno dopo anno, scandendo, quasi con

monotonia, avvenimenti naturali legati al cambio delle stagioni, che

influiscono sostanzialmente sulle abitudini socio-familiari delle nostre

popolazioni.

Come i mesi dell’anno hanno la loro costellazione dominante, così il

calendario gastronomico vicentino esalta questo ripetersi di avvenimenti

legati alla natura ed al suo evolversi, fatti tutti determinanti per le abitudini

della più sana ed accorta vita familiare, che sta alla base della nostra civiltà.

Possono essere varianti alla consuetudine, proprio quelle varianti climatiche

che caratterizzano il nostro territorio, posto geograficamente fra le alture

dei monti Lessini ad ovest, limitato al centro dalle Prealpi vicentine, dal

6 La Cucina Vicentina

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lungo delinearsi dell’altopiano di Asiago, terminando ad est con il massiccio

del Grappa. Sono montagne che chiudono al nord l’ingresso dei grandi

freddi invernali, creando diversi microclimi tipicamente mediterranei, dove

alligna splendidamente anche l’ulivo, e che degradano in una serie di rilievi

minori verso la pianura ed il mare, in un ricco sistema idrografico che

converge in alcuni fiumi maggiori.

A grandi linee, è questo il paesaggio naturale dove, nei secoli passati, è nata

la nostra economia agricola, così strettamente congiunta alla nostra

economia gastronomica, dove piatti di grande elaborazione convivono

accanto ad un vitto tipicamente paesano, semplice e di utilizzo completo

del prodotto locale. Naturalmente accanto ad antiche tradizioni di caccia e

di pesca in acqua dolce.

Gli Istituti Professionali di stato per i servizi alberghieri e della ristorazione

del Veneto, con grande intelligenza e praticità, a vera salvaguardia di un

inestimabile patrimonio culturale, hanno svolto una ricerca sui piatti della

tradizione culinaria veneta, con precise ed aggiornate schede descrittive di

130 piatti da salvare. Salvare da che cosa? Salvare dall’ignoranza della

disinformazione, dal consumismo, dalle stravaganze di incompetenti, che

trasformano delicati e collaudati piatti, vanto di antiche tradizioni e risorse

alimentari, in alimenti di incerto aspetto e ancor di più incerto gusto,

prevaricando in aggiunte di sapori, che aggiungono al piatto solo assurdi

costi, ma non risultati.

Ecco che, per la tradizione recoarese, riappaiono i quasi dimenticati gnocchi

con la “Fioretta”, a salvaguardia dell’antica tradizione pastorale della zona;

Bassano, con i suoi pregiati asparagi ed il riso carnaroli o il vialone nano

veneto, non poteva essere dimenticata.

Le lumache di Arzignano, secondo una vecchia ricetta locale, il cappone alla

“Canevera”, che destinava la vescica dei maiali per cucinare i capponi

novelli; la zuppa di pane, una delle tante ricette che la necessità economica

e la fantasia vicentina aggiunge alle “panade” della penisola.

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Minestra di risi e bruscandoli, vanto e sapienza delle nostre nonne.

Torta “putana”, altrimenti chiamata nel vicentino “onta, bisonta e soto tera

sconta”, pesante preparazione invernale e piatto unico per la fame dei

tempi passati.

E, naturalmente, in un futuro che speriamo prossimo, attendiamo tanti altri

piatti da salvare, attraverso l’intelligente e proficua ricerca che il nostro e gli

altri istituti veneti hanno oggi intrapreso.

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Tratto da: “Guida gastronomica delle trattorie e ristoranti del vicentino” a cura di

G. Cercena, G. Manfredini, G. Marchesini e A. Munari.

Il pittore Ubaldo Oppi, pur non essendo “visentin nato e spuà” era solito

dire:

“Ogni region, ogni cità d’Italia ga i so piati tipici, ma n’a cusina come la

nostra no pol averla combinà che il Padreterno: al primo giorno el ga butà

zò a smanà le minestre, i risoti e i pastizzi de lasagne; el secondo giorno i

lessi e i contorni; al terzo giorno i rosti co’ le salse; al quarto giorno el

polastro e le carni in tocio; al quinto i formagi de Asiago e Vezena; al sesto i

dolci, i vini e le graspe.

El settimo giorno el se ga riposà e po’, par supplemento, el ga mandà zò un

speo d’osei e polenta e bacalà”.

7 Alcuni aneddoti sulla gastronomia vicentina

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La polenta

La polenta, che nell’alimentazione indigena ha preso il posto del pane e che

si mangia fumante, cioè appena versata dal paiolo, oppure abbrustolita,

fredda con intingoli caldi e calda coi companatici, un tempo veniva venduta

come oggi si vendono le caldarroste: polentari ambulanti nella stagione

invernale si piazzavano ai crocicchi per smerciare “polentina ben consà con

buro e col formajo”.

Sentite cosa dice E. Zuccato a proposito della polenta:

“Un speo de osei, co’ la polenta a fete

Stirae ne la lecarda,

polenta e bacalà a la visentina;

chi xelo el mago che te ga inventà?

E po’ polenta co’l polastro in tocio,

sopressa co’ polenta brustolà,

polenta e pesse frito,

polenta co’l formajo picantin,

polenta e scopeton, polenta e renga…

Desso ghe dago un tajo par sigare:

evviva la polenta in tuti i modi !!!

Mejo se acompagnà co’ del bon vin”.

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Il Bacalà a la visentina

I vicentini mangiano da secoli il pescestocco (stoccafisso) chiamandolo

baccalà. Il baccalà è un merluzzo aperto, salato e pressato nelle botti. Il

pesce stocco è merluzzo intero, non salato, messo a seccare al sole.

Per il piatto in questione sono preferiti gli stoccafissi piccoli, detti “ragni”,

che vengono battuti col maglio prima di essere messi a bagno per

l’ammollamento.

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Bacala’ a la vicentina con polenta

di Giacomo Traverso

Do jorni prima, de doverlo fare, te ve dal casolin, ma quelo bon;

te ghe domandi……”un Ragno de quei giusti”

(la pele ranzignà, s’ciareta, a mace e, grande fa ch’el sia, de mesa via).

De legno tor’na massa e, con pasiensa pestarlo tanto ben,

ma ‘tento ciò, saria ‘n pecà el romparghe la pele!

In moja te lo assi incò e diman in aqua che do volte va cambià,

a tochi te lo taj ben pulito, te cavi i spini e po’ te l’infarini.

In meso te ghe meti un pestesin che adesso mi te digo come fare:

Te taj fina, fina, ‘na siòla te zonti de prasemolo un muceto,

de ajo ‘pena ‘pena che l’odore, un paro de sardele, soto sale,

el tuto ben pestà con gran pasiensa, de pear’ n’ombra opure de canela:

xe pronto el pesto e no ghe vol de l’altro.

De tera tor’na tecia par ‘sta roba che ‘l caldo se mantegna ben preciso ‘na

brancà de formajo e giusto ‘l sale ojo, ojo, ojo in quantità.

Ghe mete, qualche d’un, un fià de late, el dise che così el vien più tendro,

de vin ghe mete st’altro un mezo goto, el dise che così el se frola mejo.

Ma la dona no ghe mete gnente, così ‘l conserva tuto el so saor.

No credar, caro mio de ‘ver finio, el belo vien adesso, proprio adesso.

Da frizar no’l ga mai, ma chieto, chieto bisogna che lu “pipa” pluf, pluf, pluf,

l’ojeto lo coverza sempre sempre chè l’aria, mai, no vole lu ciapare e , soto,

no lassarlo mai tacare chè groste nol te fassa o “tacà su”.

Sie ore a fogo chieto, mejo sete, s’el gera un Ragno giusto… che bocon!

Adesso ‘l va sposà co la polenta parà ‘l và zo col bianco de Soave.

No ‘ver paura, no ghi n’è mai massa, ma, se te fussi fortunà ch’el vansa, no

stà, doman, ofrirghelo a nissun, tienlo par tì …. Che l’è ‘ncor mejo!!

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Formaggi

Tutta la provincia di Vicenza è buona produttrice di formaggi e molte sono

le varietà che escono dai nostri caseifici, pochi sanno però che soltanto due

sono i formaggi veramente “vicentini” come origine; alcuni, come il

Vezzena, lo sono solo per tradizione, altri infine, originari di regioni diverse,

sono ora prodotti anche da noi.

Il formaggio “principe” della nostra provincia è senz’altro l’Asiago. La data

d’inizio della sua produzione è antichissima, sicuramente prima dell’anno

1000, dato che da tempi remoti le popolazioni dell’Altopiano dei Sette

Comuni si dedicarono, come attività primaria, all’allevamento del bestiame

e alla trasformazione di gran parte del latte ottenuto in formaggio.

A seconda della stagionatura, possiamo gustare Asiago mezzano (fino a 8

mesi), vecchio (oltre un anno), stravecchio (oltre 18 mesi).

Quello che comunemente è detto “formaggio Asiago tenero” è, invece, il

“pressato” (l’altro formaggio vicentino “purosangue”); la sua maturazione

avviene nell’arco di due mesi ed è usato da tavola.

Il pressato si può apprezzare anche cotto; ecco la ricetta, elementare ma di

sicuro risultato: si fa cuocere il formaggio, dopo averlo spezzettato, in un

tegamino, con un po’ di burro; lo si mangia caldissimo, non appena si è

completamente sciolto.

Ancora in tema di formaggi fritti, ricordiamo la “tosella”, un tipico e

particolarissimo “formaggio”molle. La tosella, tuttavia, non è un vero e

proprio formaggio, ma si tratta di uno stadio preliminare di questo. Infatti,

quando la “pasta” destinata a diventare formaggio viene posta nella forma

apposita per la stagionatura, una parte di essa trabocca dalla forma stessa.

Questi residui costituiscono appunto la tosella che è possibile mangiare

fritta nel burro e abbondantemente salata.

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Passiamo ora al Vezzena.

A noi vicentini un po’ dispiace dover rinunciare alla paternità di questo

formaggio, stagionato e piccantino, che, magari accompagnato da una fetta

di polenta (o da un po’ di funghi), siamo tentati di preferire a molti piatti

elaborati. A malincuore, quindi, riconosciamo che il luogo di produzione del

Vezzena, e cioè la zona omonima, pur trovandosi sull’Altopiano,

geograficamente appartiene alla provincia di Trento. Ciò non toglie che, se

non per origine, questo formaggio sia nostro per adozione, dato il favore e

la diffusione che esso incontra nel Vicentino, specie come formaggio da

tavola.

Data la sua stagionatura, lo si può usare anche grattugiato, per dare un

sapore nuovo alla pastasciutta o a certe pietanze. Un unico “difetto” si può

imputare al Vezzena: il fatto di essere prodotto in quantità limitata. Questo

perché vero e proprio Vezzena è solo quello che nasce nelle malghe della

zona omonima, così poche da potersi contare sulle dita di una mano.

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FOTO: I.P.S.S.A.R. RECOARO

Gnocchi con la “fioretta”

Origine storico culturale e/o fonti

Agli inizi del secolo scorso, nella zona prealpina di Recoaro Terme, i pastori

preparavano con prodotti derivati dal latte questo piatto particolare che,

ancora oggi, si può gustare nel periodo estivo, in alcune trattorie della zona.

La fioretta si ricava dal siero di latte.

Tempo richiesto: 1,30 ore

Grado di difficoltà: medio

Livello calorico in kcal: 809

8 Le ricette di Cucina e Tradizione nel Veneto (ricerca degli Istituti Alberghieri del Veneto)

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Svolgimento della ricetta

Incorporare le uova nella fioretta, aggiungere la farina setacciata, salare e

unire un pizzico di noce moscata grattugiata. Lasciare riposare l’impasto per

mezz’ora. Con l’aiuto di due cucchiai, fare cadere delle particelle d’impasto

nell’acqua bollente salata; quando gli gnocchi verranno a galla, lasciarli

cuocere per almeno due minuti, pescarli con delicatezza, disporli nel piatto,

cospargerli con abbondante parmigiano grattugiato ed irrorarli con del

burro nocciola aromatizzato con foglie di erba salvia.

Esistono delle varianti alla ricetta sopra descritta:

1) La noce moscata viene aggiunta al formaggio grattugiato;

2) Al posto della farina si può utilizzare del pane grattugiato.

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Risotto agli asparagi

Origine storico culturale e/o fonti

Il risotto con asparagi è tipico della zona di Bassano del Grappa e si prepara

nei mesi di aprile-maggio, ma si trova oggi in tutta la regione. Il risotto

veneto ha come caratteristica quella di essere preparato all’onda, nel senso

che, scuotendo la pentola, deve formare una specie di onda.

Tempo richiesto: 30 minuti

Grado di difficoltà: medio

Livello calorico in kal (per una porzione): 574

Svolgimento della ricetta

Bollire gli asparagi, raffreddarli, separare le punte, tagliare a tocchetti la

parte tenera del gambo. Preparare un fondo di cipolla e cuocerlo con burro

ed olio di oliva, unire i tocchetti d’asparago, rosolarli leggermente,

aggiungere il riso (consigliato il vialone nano), bagnarlo con del vino bianco

secco, farlo evaporare e cominciare ad aggiungere il brodo leggero, poco

alla volta, rimestando in continuazione. Portarlo a cottura, al dente,

toglierlo dal fuoco, aggiungere il formaggio grattugiato, il burro a pezzetti e

mantecarlo. Disporlo nei piatti, guarnire la superficie con le punte degli

asparagi saltate al burro e un pizzico di prezzemolo tritato finemente.

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Corgnoi (lumache)

Origine storico culturale e/o fonti

Nella provincia di Vicenza, come un po’ in tutto il Veneto, le lumache sono

molto ricercate e, soprattutto la vigilia di Natale, vengono preparate

secondo una vecchia ricetta che richiede un lungo tempo di cottura.

Tempo richiesto: 8,30 ore

Grado di difficoltà: medio

Livello calorico in kal (per una porzione): 384

Svolgimento della ricetta

Preparare, in una casseruola di terracotta, un soffritto di cipolla, carote,

aglio, prezzemolo tritato, battuto di lardo e olio di oliva ed aggiungere un

mazzetto aromatico di salvia, rosmarino e alloro. Aggiungere le lumache,

bagnare con del vino bianco secco, lasciare parzialmente evaporare e

bagnare, di tanto in tanto, con del brodo. Cuocerle coperte, a fuoco lento,

per circa 8 ore; aggiustare il sapore salando e pepando; saranno da

considerarsi cotte quando risulteranno sufficientemente tenere.

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Cappone alla “canevera”

Origine storico culturale e /o fonti

Nel periodo autunnale, quando si usava uccidere il maiale per ricavare i

salumi destinati al consumo familiare, specie nella zona di Arzignano, si

conservava la vescica per cucinare il cappone novello.

La canevera altro non è che una canna completamente cava che funge,

nella preparazione di questo piatto, da sfiato.

Tempo richiesto: 2,30 ore

Grado di difficoltà: medio

Livello calorico in kcal (per una porzione): 601

Svolgimento della ricetta

Pulire e fiammeggiare il cappone, introdurre all’interno un trito di cipolla,

carote e sedano, ed uno spicchio d’aglio, salare e pepare.

Porre la canna, chiudere l’apertura della vescica attorno a quest’ultima

utilizzando dello spago da cucina. Immergere la vescica in un recipiente

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contenente acqua bollente salata, prestando attenzione a che il pezzo di

canna, rimasto all’esterno, fuoriesca dall’acqua; cuocere per circa 2 ore. A

cottura ultimata, estrarre il cappone, tagliarlo a pezzi e servirlo ben caldo

con il sugo formatosi durante la cottura nella vescica.

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Zuppa di pane

Origine storico culturale e/o fonti

Questo piatto, caduto in disuso, rappresenta in modo significativo i costumi

e le abitudini delle genti del Vicentino. E’ un piatto che, nella sua

semplicità, ancora oggi porta alla memoria, nella generazione che l’ha

conosciuto, le difficoltà della guerra, i ricordi dell’infanzia. E’ un piatto che

utilizza il pane raffermo, che non veniva mai gettato.

Tempo richiesto: 1,30 ore

Grado di difficoltà: basso

Livello calorico in kcal (per una porzione): 512

Svolgimento della ricetta

Tagliare il pane raffermo a pezzetti, porlo in un recipiente, possibilmente di terracotta, coprirlo d’acqua e, quando è completamente inzuppato, portare il recipiente sul fuoco. Cuocere a calore moderato per circa 1 ora, mescolando in continuazione. A cottura ultimata, aggiustare di sale e condire con burro e formaggio grattugiato. Per arricchire questo piatto, rendendolo sostanzioso, si possono unire delle uova e un pizzico di pepe nero macinato fresco.

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Minestra di riso e bruscandoli

Origine storico culturale e/o fonti

Piatto tipicamente primaverile. Gli apici del luppolo vengono chiamati in

dialetto bruscandoli, si raccolgono nel periodo fine inverno inizio primavera,

quando la natura offre i primi prodotti spontanei e nelle dispense, un

tempo, cominciavano a scarseggiare le provviste.

Tempo richiesto. 30 minuti

Grado di difficoltà: medio

Livello calorico in kcal (per una porzione): 315

Svolgimento della ricetta

Soffriggere con olio e burro la cipolla tritata finemente con la pancetta; aggiungere gli apici del luppolo tagliati a piccoli pezzi, bagnare con del brodo e cuocere il fondo per 10 minuti a fuoco lento. Unire il restante brodo e portarlo ad ebollizione, unire il riso e portarlo a cottura, legare con del burro e formaggio grana grattugiato; guarnire, infine, con del prezzemolo tritato.

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Di Benito Vitulo (Baffo) ristoratore e giornalista

(da: Cucina e Tradizione nel Veneto)

Si dice che metà della gente muore per la cattiva cucina e l’altra metà per

la… buona cucina!

Messo nella possibilità di scegliere e visto che morire bisogna, io preferisco

morire per la buona cucina.

A tale proposito ho avuto modo di vedere ed apprezzare le schede che

illustrano diversi cibi della nostra zona montana e pedemontana. Diciamo

subito che per tradizione e cultura l’altopiano di Asiago non possiede una

cucina sofisticata o particolarmente raffinata. E’ una cucina per lo più

povera che trae le sue origini dall’antica povertà di questa gente – in altre

epoche isolata causa la scarsezza dei mezzi di locomozione – anche dai

paesi e dalle città vicine.

Pur mancando degli “ingredienti” cosiddetti nobili, si può parlare di un

modo di cucinare pur modesto nella sostanza, piuttosto gradevole e per

molti versi originale.

Nelle schede ho trovato inclusi alcuni cibi che per la verità non sono proprio

tipici dell’altopiano anche se sono ampiamente usati e conosciuti come i

“Torresani di Breganze”; “Ovi e sparasi”, piatto questo esclusivamente di

Bassano e dintorni; “Bacalà alla vicentina” che pur si prepara anche

sull’altopiano, ma è soprattutto un piatto la cui fama ha valicato i confini

non solo provinciali, ma talvolta anche regionali.

Di quest’ultimo si può dire che una volta era considerato un piatto “da

poveri”, ma non lo è certamente ora con i costi iperbolici raggiunti da

questa materia prima.

9 La Cucina dell’ Altopiano

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Di tipico, originale e sicuramente locale si può parlare della “Considera” che

altro non è che una “poverissima” polenta di patate che veramente in altri

tempi costituiva il sostentamento quasi primario dei locali. Veniva mangiata

soprattutto dai boscaioli, calda o abbrustolita con sopra una fettina di

formaggio. Dava scarse calorie e abbondante senso di sazietà.

“La minestra col praio”” fatta con l’orzo che si coltivava con discreti risultati

sui terreni più esposti al sole della val d’Assa. Vi si cuoce dentro un pezzo di

coda di vitello. Le calorie sono poche ma è considerata molto rinfrescante.

“Ovi e sparasi” ricetta un po’ più energetica che ancor oggi si usa fare

sull’altopiano con l’asparago selvatico dal gusto forte e amaro.

Forse la buona salute e la longevità degli altopianesi di allora era proprio

dovuta allo scarso apporto di grassi.

Non esistevano allora le cosiddette malattie del benessere, quali eccesso di

colesterolo, trigliceridi, diabete, obesità, ecc. Erano più rari i casi di

cardiopatie, infarti, ictus.

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(Cucina e Tradizione nel Veneto, ricerca degli Istituti Alberghieri del Veneto)

FOTO: I.P.S.S.A.R. RECOARO

Toresani de Breganze allo spiedo

(colombi torraioli di Breganze allo spiedo)

Origine storico culturale e/o fonti

Il nome e l’esistenza del piatto sono dovuti alle numerose torri che ornano

le vecchie dimore patrizie della zona di Breganze. Queste, un tempo e in

parte ancor oggi, forniscono un ottimo posto ai colombi per nidificare

indisturbati. Il Toresan originale resta quello che finisce allo spiedo, senza

aver mai volato ed essere stato nutrito solo dalla madre.

10 Le ricette della Provincia e dell’ Altopiano

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Tempo richiesto: 3,30 ore

Grado di difficoltà: medio

Livello calorico in kcal (per una porzione): 726

Svolgimento della ricetta

Spennare ed eviscerare i piccioni. Rosolare i fegatini e i cuoricini con burro e

salvia. Tritarli ed unirli a salsiccia e pane ammollato nel brodo. Unire il

parmigiano grattugiato ed un uovo. Farcire i piccioni e chiudere con filo

bianco. Infilare sullo spiedo e bardare con lardo. Far cuocere al fuoco di

legna bagnando di tanto in tanto col sugo di cottura colato sulla leccarda.

Una volta pronti, sfilarli e servirli.

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Ovi e sparasi alla Bassanese

Origine storico culturale e/o fonti

Oggi l’asparago è conosciuto come prodotto della zona di Bassano. Si usa

mangiarlo bollito con le uova sode ridotte a poltiglia. Questo gustoso

turione lo si trova anche nel fondovalle della Val d’Assa, ma qui cresce

spontaneo, è di colore verde e molto amaro.

Tempo richiesto: 45 minuti

Grado di difficoltà: basso

Livello calorico in kcal (per una porzione): 391

Svolgimento della ricetta

Spellare gli asparagi bianchi e liberarli della parte legnosa del gambo. Preparare i mazzetti legati con spago bianco. Metterli verticali in una piccola marmitta con acqua salata bollente e punte rivolte in alto e fuori dall’acqua. Far bollire per 15-20 minuti a seconda della grossezza. Toglierli un po’ turgidi e coprirli con un tovagliolo. Lessare le uova per 7-8 minuti in acqua bollente, togliere dal fuoco affinché il tuorlo resti con la goccia, cioè morbido. Sgusciare su piatto apposito, adagiare gli asparagi senza spago. Pestare con i rebbi della forchetta l’uovo e condire con olio e aceto, insaporendolo di sale e pepe, fino ad ottenere una crema omogenea.

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La considera

Origine storico culturale e/o fonti

La patata è ritenuta, dal secolo scorso, un alimento essenziale. Tutt’oggi

viene coltivata un po’ ovunque, particolarmente nel comune di Rotzo, dove

ogni anno si tiene un’apposita festa. La considera in tempi non molto

lontani era la cena per gran parte delle nostre famiglie. Si mangia molto

calda, appena preparata, oppure tagliata a fette e abbrustolita. Per la sua

compattezza era il cibo preferito dai boscaioli che la mangiavano con una

fetta di formaggio di malga.

Tempo richiesto: 1,40 ore

Grado di difficoltà: medio

Livello calorico in kcal (per una porzione): 292

Svolgimento della ricetta

Tagliare a fettine la cipolla e farla rosolare in burro e olio. Togliere la cipolla

e aggiungere la farina. Far rosolare lentamente e farle prendere un colore

dorato scuro. Lessare le patate in poca acqua, schiacciarle e aggiungerle alla

farina. Lasciar cuocere per 10-12 minuti, quindi rovesciare sulla spianatoia.

Dovrà risultare una polentina non troppo densa.

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Minestra col “praio”

Origine storico culturale e/o fonti

L’orzo, da sempre utilizzato in montagna in sostituzione del più “nobile”

riso, ha trovato nei tipici terrazzi di Stoner e lungo i declivi della Val d’Assa i

luoghi più adatti alla sua coltivazione. Come per il risotto, va mangiato

appena cotto, perché anche l’orzo diventa “lungo”. Si usava cucinare la

zuppa con lo sbanz (coda) del vitello e ossa che avessero ancora della carne

attaccata.

Tempo richiesto: 2 ore

Grado di difficoltà: elevato

Livello calorico in kacl (per una porzione). 251

Svolgimento della ricetta

Mettere l’orzo in ammollo due ore prima di utilizzarlo. Tagliare le verdure a

dadini e metterle a rosolare con lo speck, la carne di maiale ed un po’ di

burro. Aggiungere l’acqua bollente e l’orzo. Portare a cottura e servire.

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Di Amedeo Sandri

Nell’era dei master chef, Amedeo Sandri si definisce “cuoco operaio”.

Eppure lui di cucine ne ha guidate parecchie ed ha servito migliaia di clienti

nei suoi 50 anni di attività che adesso continuano in un ristorante vicentino

ai “Castelli di Giulietta e Romeo a Montecchio Maggiore.

Si definisce cuoco operaio ma ha già scritto più di 40 libri di cucina ed ha

collaborato con la rivista Cucina Italiana per più di 15 anni. Ha insegnato in

scuole alberghiere, ha cucinato in tutto il mondo e partecipato a concorsi

internazionali.

E’ amico del Campeggio club di Vicenza ed ha colto con entusiasmo la

richiesta di creare ricette adattabili alla vita en plain-air: in camper, in

roulotte, in tenda, in barca e perché no … anche in casa specie in questa

stagione di “mordi e fuggi”

Sui mangiari, il cibo, la cucina vicentina del passato, più di uno ha

recentemente scritto, quasi sempre col proposito di riproporre cibi e ricette

da riscoprire, in tempi come i nostri in cui la ricerca della buona cucina e il

gusto del mangiare bene, già quasi esclusivi di classi privilegiate, sono

arrivati alla portata di tutti, o quasi. In un campo nel quale non è facile

contemperare la tradizione con le esigenze moderne vanno segnalati il

lavoro e gli scritti di Amedeo Sandri.

Solo raramente, però, ci si è preoccupati di documentare il cibo del passato.

La rassegna di cibi più ampia che si attiene a questo proposito è quella

registrata nelle pagine dedicate al cibo nel volume sulla Val Leogra.

Parrebbe quindi poco originale e pressoché inutile voler riprendere questo

tema.

11 La Cucina tradizionale Veneta

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Eppure, a cercare con attenzione e con cura, soprattutto preoccupandosi di

scandagliare tutto il territorio vicentino, e in particolare le aree più

periferiche, o rimaste isolate, come il Basso Vicentino, l’Altopiano dei Sette

Comuni, le valli del Chiampo e dell’Agno, si riscopre una quantità di colture,

ricette e mangiari estremamente variati e tanto numerosi, da apparire

addirittura impensati.

Questa ricca gamma di cibi è stata favorita, da una parte dalla diversità

delle risorse offerte dalla varietà dei climi, in un territorio che comprende la

piatta pianura, i colli, le valli e gli altopiani, dall’altra dalla necessità di

utilizzare ogni possibile fonte di alimenti; senza contare che in tutto ha

avuto parte il naturale desiderio dell’uomo, e soprattutto della donna, di

segnare con un tocco originale la propria cucina.

Si tratta di cibi per lo più poveri, quasi mai ricercati, spesso anche pesanti

per il nostro più delicato stomaco. Ma è da tener presente che la vita del

passato, improntata essenzialmente all’attività fisica, esigeva cibi forti e

robusti che sostenessero le energie del corpo , e l’organismo era assuefatto

a mangiari che ora fatichiamo a tollerare.

D’altronde non capitava spesso e ovunque, in passato, che si mangiasse a

volontà, che si fosse completamente sazi, e quindi non esistevano i

problemi di sovralimentazione che preoccupano tante persone oggi. In ogni

caso l’eventuale eccesso di calorie era bruciato dalla continua fatica fisica,

che faceva assorbire più facilmente l’esubero di certi cibi grassi.

La grande quantità e varietà di prodotti e di piatti che qui si segnalano

potrebbe indurre qualcuno a pensare che in passato il cibo fosse sempre

ricco e abbondante. Invece, proprio la varietà di prodotti utilizzati e la

quantità di ricette sono indicative del bisogno di non trascurare nessun

elemento in qualche modo commestibile, e contemporaneamente della

necessità di cercare di rendere durature le scorte dei prodotti più preziosi,

integrandoli con altri più poveri e, insieme, di renderli più appetibili e di

variarli, per rompere una monotonia altrimenti troppo pesante.

Anche se capitava, soprattutto ai ragazzi, di cibarsi in ogni momento di

tutto quello che veniva sotto mano, il succedersi dei pasti quotidiani e

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settimanali, fondato molto più di ora sui prodotti offerti dalla stagione o

tradizionalmente suggeriti dal ciclo dell’anno, era regolato da un rituale

molto più osservato di quanto non sia ora. Anche se i cibi erano poveri,

anche quando si mangiava attorno al focolare o sotto una pianta nel

campo, tutto si preparava con parsimonia e con amore e tutto si

consumava con frugalità e con rispetto.

Abitualmente erano fisse la colazione del mattino, la merenda del

pomeriggio e la cena. La colazione era fatta con latte e pane (raffermo o

avanzi di pane) inzuppato in esso, con polenta, un po’ di formaggio, spesso

con salame o altri prodotti del maiale; la merenda con pane, polenta e

formaggio; la cena con la minestra avanzata dal mezzogiorno, con latte,

verdure di stagione, prodotti del maiale, uova, pesce salato, fichi secchi. A

mezzogiorno il piatto era spesso unico: pastasciutta, minestrone, un gran

tegame di verdure condite, della carne con verdure; il tutto di solito

completato con un po’ di formaggio. Il vino, scarso nei pasti a casa, salvo

nelle festività, era riservato ai momenti in cui si facevano lavori pesanti.

Ma la domenica e le altre feste ci si concedeva, almeno a mezzogiorno, un

pasto meno ripetitivo e più sostanzioso. Inoltre il ciclo dell’anno era segnato

da cibi rituali, paralleli ai rituali dell’anno liturgico, dal vènaregnocoloro, il

venerdì grasso, al ròsto de ofèi la festa dei santi.

Quello dei nostri progenitori era dunque un mangiare povero, insieme

ricco; ricco di sapori autentici, originali, ricco dell’attesa e delle novità

stagionali, ricco per il gusto di assaporare il poco che c’era, cui aggiungeva

altro gusto il condimento dell’appetito, un mangiare sazio del troppo, della

possibilità di disporre sempre di tutto.

Questo lavoro, come altri nati nell’ambito del gruppo che lo ha curato e

concepito in funzione di un progettato vocabolario dialettale, oltre che

avere un suo significato in sé, risponde all’esigenza di preparare del

materiale bibliografico. Infatti, molti piatti locali mancano di un

corrispondente nome italiano, o sono, in minore o maggiore misura, diversi

dai cibi affini che hanno un nome italiano. Poiché pertanto sarebbero

tradotti nel vocabolario con un termine inadeguato, e la stessa perifrasi

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usata per definirli, concessa dallo spazio di un vocabolario, sarebbe

insufficiente a illustrarli, si farà rinvio a questa pubblicazione.

Il primo, fondamentale proposito cui ci siamo attenuti nello stendere

queste pagine è dunque quello di fare un lavoro documentario. Ma le

motivazioni cui si ispira tutta la ricerca del gruppo non si esauriscono

nell’offrire una documentazione storica o archeologica. Abbiamo già detto

altrove che vorremmo lavorare per far conoscere il passato affinché le

scelte del presente ne continuino quei lavori e quegli aspetti positivi che

una superficiale mentalità moderna ci fa abbandonare troppo

affrettatamente.

Questo libro vorrebbe dunque essere anche un libro di cucina che

ripropone l’alimentazione e i cibi del passato, affinché possano essere

ripresi e continuati, nella sostanza e nello spirito, anche nei nostri giorni.

Ma è possibile fare un libro documentario che sia insieme un libro di

cucina?

Neppure la pratica dell’alimentazione è rimasta statica, ma ha avuto nel

tempo una costante, seppur lenta, evoluzione. Ne fanno fede i prodotti che

nel corso del tempo sono stati abbandonati e sostituiti via via da altri. Ma,

come in tutte le altre pratiche, anche nelle scelte relative al cibo i decenni

recenti hanno visto cambiamenti radicali. Proprio perché tutto, anche in

passato, era soggetto a cambiamento. È difficile proporre, come esige un

libro di cucina, delle ricette precise, indicare misure di ingredienti, fissare

dosi, dare tempi di cottura assoluti.

Il piatto, che è il prodotto conclusivo del lavoro di cucina, è diverso da ogni

altro prodotto, ad esempio da un attrezzo, al quale, essendo esso

costantemente visibile e durevole, si può far riferimento come a un

modello.

Nella pratica tradizionale si seguiva una prassi consolidata, sì, ma raramente

scritta, nella quale alla sensibilità della donna era concessa la libertà

discrezionale di intervenire con variazioni personali. Gli stessi piatti comuni

proposti in ambienti più isolati di ora avevano impronte diverse da luogo a

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luogo, tanto più accentuate quanto più questi luoghi erano chiusi da

barriere naturali come le vallate.

Registrare pertanto delle ricette troppo rigide significherebbe ignorare e

insieme travisare questa realtà del passato e soprattutto far dimenticare le

specificità locali. Quindi l’offrire, come ci proponiamo di fare, delle

indicazioni più “morbide”, non solo rispetta questi elementi di variazioni,

ma lascia spazio all’inventiva di chi volesse riprendere le ricette segnandole

di una impronta creativa che le adatti al presente.

Chi volesse riprendere i cibi del passato incontra un’altra difficoltà. In

passato gli ingredienti necessari erano attinti alle riserve di casa o presi

dall’orto, dal campo, dalla natura, secondo le stagioni. Ora tutto si acquista

al mercato e in bottega, dove sembra talora che i cicli stagionali non

abbiano peso. Questo può offrire dei vantaggi. Ma, senza contare che anche

il nostro corpo e il nostro spirito vivono meglio se si conformano ai cicli

naturali, nel mercato i prodotti sono stati selezionati e standardizzati, e da

esso sono scomparsi non solo quelli tipicamente locali, ma soprattutto non

si ritrovano più quelli considerati poveri. Non troviamo gli òssi de màs-cio, i

sòssoli, le mortandèle nostrane, il latìn. Non si possono fare certi dolci

come i sùgoli perché non si commercia il mosto, o la smejassa perché non si

trova il mielasso.

Non è sempre facile, poi procurarsi qualche foglia, qualche seme, qualche

ingrediente, richiesto in piccole dosi, che prima si trovava fuori dalla porta

di casa, nell’orto, nel campo, nei luoghi incolti. La marefina non è in

commercio, il crén che si acquista non è quello prodotto in casa. Se poi

comperiamo questi ingredienti in vasetti o essiccati, oppure ridotti a estratti

o a essenze, essi non hanno lo stesso sapore dei prodotti freschi.

Nonostante tutto, però, crediamo che anche nel riprendere i cibi del

passato si possano fare delle scelte che, senza ignorare il presente,

procedano nel solco di una continuità che aiuti a costruire un modello di

esistenza meno precario di troppi modelli proposti dai forzati travolgimenti

da cui siamo assillati.

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Come per altri lavori ai quali ci stiamo dedicando, la ricerca si estende a

tutta l’area della nostra provincia.

Nel testo si troveranno schede più dettagliate e altre più sommarie e

talvolta non sempre esaurienti. Ciò perché gli informatori sono stati ora più

precisi, ora meno, talvolta perché non ricordavano bene. Quando ci è stato

impossibile andare più a fondo, ci siamo di proposito astenuti dal fare

interventi arbitrari. A volte talune schede, relative a ricette tipiche di

qualche luogo o qualche piatto meno usuale, sono più dettagliate, altre

volte non abbiamo voluto noi stessi definire piatti più comuni, che hanno

tocchi di varianti diversificate. Abbiamo di proposito trascurato sia pratiche

recenti, sia indicazioni trovate in ricettari familiari non recenti, quando

questi non davano sufficienti garanzie di registrare usi locali diffusi.

Nonostante la nostra ricerca sia stata puntigliosa, siamo convinti che non

mancano omissioni e limiti.

Abbiamo avuto una preoccupazione. Ci è venuto il timore che la

segnalazione di tanti prodotti naturali e spontanei, e in particolare di molte

erbe e di molti frutti, possa stimolare taluni a raccoglierli, soprattutto nella

zona collinare e montana. In passato la loro raccolta era fatta sempre con

misura, ed era circoscritta ad ambiti locali, mentre ora, grazie ai mezzi di

locomozione moderni, tutti possono andare dovunque e appropriarsi di

tante risorse naturali. Così si è già fatto non solo dei funghi, ma anche di

altre specie vegetali, talune delle quali, come gli spàrafe de brusco, o i

rampùnsuli, o le afarèle si sono rarefatti, o addirittura, come la sucamara,

sono divenuti pressoché introvabili. Se i locali, e in particolare quelli che

hanno scelto di continuare a vivere in periferie talvolta disagiate, hanno

diritto di prendere queste erbe e questi frutti da un territorio al quale sono

rimasti fedeli e di cui in qualche modo ancora si prendono cura, molto

meno lo hanno, o non lo hanno affatto, coloro che vengono da fuori, per

troppi dei quali questi beni, che son pur sempre di proprietà privata o

comunale, sono divenuti oggetto di caccia.

Una raccolta indiscriminata e senza limiti da parte di chi non fa niente per

ricompensare la terra di quello che sottrae viene meno a una norma di

comportamento etico che era fondamentale nella vita tradizionale, e

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costituisce una vera e propria rapina. C’è tanta terra trascurata dove

sarebbe possibile, a chi ha buona volontà, riprodurre, anche con profitto,

tante erbe e tanti frutti.

Affinché le nostre indicazioni non concorrano a dilapidare ulteriormente i

beni di quella civiltà che vogliamo far conoscere anche perché sia

conservata, non solo chiediamo a tutti con cortesia, ma con fermezza, di

non abbandonarsi a raccolte distruttive, ma domandiamo anche alle

autorità preposte alla tutela del nostro ambiente di reprimere severamente

eventuali spoliazioni di questi frutti che ancora rendono ricco e godibile

questo nostro Creato.

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Tajadele e figadini in brodo

Ingredienti per 4 persone

200 gr di farina bianca 00

2 uova

Fegatino e stomaco di un pollo mondati

½ cipolla

Olio q.b.

Burro q.b.

Parmigiano grattugiato q.b.

Conserva di pomodoro q.b.

Sale

1,2 l di ottimo brodo per la minestra

0,4 l di brodo per il desfrito

12 Le ricette di Amedeo

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Per questa preparazione semplicissima è indispensabile quello che noi veneti

chiamiamo brodo da parto cioè un brodo preparato con carne di manzo,

cappone, ossa spugnose di bue o vitello. Le tajadele poi devono essere, così

come nell’estremo Oriente, (e qui l’influenza della repubblica marinara di

Venezia si fa sentire), sottilissime, proprio come le sanno tagliare solo le

nostre madri e le nostre nonne che fanno di questo cibo il piatto della

domenica.

Preparazione

Mettete sulla spianatoia la farina e fate la fontana. Rompetevi in centro le uova e sbattetele con la punta delle dita incorporandovi man mano la farina fino ad ottenere una pasta elastica e soda che “domerete” per una decina di minuti. Stendetela subito sull’asse di legno con la mescola sino ad averla sottile come un foglio di carta, badando a non romperla. A questo punto arrotolatela alla mescola e stendetela sopra una tovaglia lasciandola asciugare ma non seccare. Una volta asciutta arrotolatela delicatamente e tagliate con una lunga coltella le tajadele che, come detto, devono essere finissime. Man mano che saranno pronte, allargatele sulla tovaglia e lasciatele seccare.

Preparate ora il desfrito: mettete in una casseruola 30 grammi di burro con due cucchiaiate di olio e fate colorire in tali grassi mezza cipolla intera. Unite il fegatino e lo stomaco di pollo lavati, asciugati e tagliati a pezzettini, lasciandoli soffriggere per cinque minuti, poi aggiungete una cucchiaiata di conserva di pomodoro, un pizzico di sale e un mestolo di brodo caldo. Mescolate, coprite il recipiente e lasciate sobbollire dolcissimamente su un angolo della cucina per almeno due ore, aggiungendo se necessario, dell’altro brodo caldo. Poco prima di servire portate ad ebollizione il brodo, unite le tajadele e quindi il desfrito, dal quale avrete tolto la mezza cipolla. Fate cuocere per pochissimo le tajadele poi aggiungete alla minestra tolta dal fuoco 4 cucchiaiate di parmigiano grattugiato. Mescolate e servite subito.

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Gnochi de patate a la vecia maniera

Ingredienti per 4 persone

Per gli gnocchi

Patate farinose 1 kg

Farina bianca da 200 a 250 gr

Sale

1 cucchiaio di olio d’oliva

1 cucchiaino di grappa

1 uovo

Per il condimento

Burro 150 gr

Zucchero semolato 40 gr

Cannella in polvere 20 gr

El vènare a Vicenza, così come in altre città del Veneto e prima fra tutte Verona, è sempre stato gnocolaro. La tradizione è antichissima, risale a 500 anni fa, ed antico è anche il condimento che si è tramandato di generazione in generazione senza subire alcuna variante.

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Preparazione Lavare le patate e metterle a lessare con la buccia in acqua fredda. Quando sono tenere, scolarle e pelarle finché sono ancora bollenti, quindi passarle allo schiacciapatate o al passaverdure. Unire al passato la farina, l’uovo intero prima sbattuto a parte, sale in giusta quantità e quindi l’olio d’oliva e la grappa. Impastare velocemente formando un impasto sodo. Tagliarlo a fette e arrotolarlo sulla spianatoia infarinata formando dei cilindretti grossi quanto un dito. Dividerli a pezzetti della lunghezza voluta e passarli sul retro della grattugia lasciandoli cadere su un largo tovagliolo infarinato. Cuocerli in abbondante acqua a bollore salata e quando salgono a galla, scolarli con il mestolo forato mettendoli in un recipiente di terraglia a pochi per volta, irrorandoli con il burro fuso e leggermente dorato e cospargendoli con lo zucchero e la cannella mescolati assieme.

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Paeta rosta al malgaragno

Ingredienti per 6-8 persone

1 paeta (tacchinella giovane) del peso di 2 chili circa una volta

spennata, svuotata dalle interiora e privata di zampe, collo e testa

1 bicchiere di succo di melagrana

Salvia

10 fettine di lardo, larghe e sottili

Sale

C'è un antichissimo detto vicentino che fa così: “ co in novembre el vin nol xè

pì most, la paeta la xe pronta par el rosto.”

Fra i tacchini, come è consigliabile fare anche tra gli esseri umani, preferite

le femmine: sono di mole più modesta, ma hanno una carne

particolarmente tenera e saporita. I tacchini maschi e femmine cercano,

come tutti gli esseri vanitosi, di nascondere gli anni, ma vi è un segno che

rende inutili i loro sforzi.

Il tacchino infatti nasce con le gambe nere che rimangono tali sino ai due

anni di età. Cominciano poi gradatamente a farsi rosse: si evitino perciò

quegli esemplari che indossano calze cardinalizie

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Preparazione

Bruciacchiate sulla fiamma la paeta, poi lavatela molto bene e asciugatela. Introducete nel ventre un bel rametto di foglie di salvia ed un pugnetto di sale grosso, cucendo poi l'apertura con filo bianco. Infilatela sullo spiedo dopo averla bardata sul petto con le fettine di lardo e cuocetela davanti a fuoco di legna, irrorandola o pennellandola di tanto in tanto con il grasso che cade sulla leccarda e con il succo di melagrana.

Quando, infilando nella coscia del volatile uno spiedino, uscirà un fiotto di liquido bianco-trasparente, la paeta sarà pronta per essere tolta dallo spiedo, sezionata da mani esperte e posta sul piatto di portata caldo, irrorata con il sughino raccolto nella leccarda.

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Fritola con la Maresìna De. Co. Di Valdagno

Ingredienti

600 gr di riso

100 gr di farina 00

100 gr di zucchero

2 tazze circa di Erba Maresìna (in foglia intera o sminuzzata)

2 lt circa di acqua

Sale q.b.

Olio di semi (arachide o soia) q.b.

Preparazione

Mettete in pentola l’acqua e il riso e cucinate per circa un’ora, mescolando frequentemente e aggiustando di sale fino a quando non si ottiene una crema densa e omogenea,

Lasciare raffreddare, quindi aggiungere la farina, lo zucchero e la maresìna (all’occorrenza aggiungere dell’acqua per ottenere un impasto morbido), quindi lasciare riposare per almeno due ore con pentola coperta.

Friggere, in un ampia padella, con abbondante olio. Una volta raggiunta la temperatura di 170/180°, versare un mestolino di pasta fino a formare con l’impasto una forma tonda con diametro di circa 10 / 15 cm e cucinare girando la frittella fino ad ottenere una rosolatura dorata. Tolta dalla padella, lasciare sgocciolare e servire la frittella ben calda, avvolta con della carta alimentare assorbente.

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Danilo Baratto

E’ lo chef del Ristorante “Da Remo” di Vicenza, di proprietà della famiglia

Baratto.

Negli anni 90 ha lavorato come cuoco presso i ristoranti “Enoteca

Pinchiorri” di Firenze, “L’albereta”, “Erbusco” a Brescia e, fino al 2005,

“Cinzia e Valerio” di Vicenza, per dirigere quindi la cucina del ristorante “Da

Remo”

13 Ricette dello Chef

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Bigoli con l’ ànara

Ingredienti per 4 persone

500 gr di farina

400 gr di uova

Un pizzico di sale

Impastare le uova con la farina e il sale ed una volta ottenuto un

impasto duretto utilizzare il classico bigolaro e preparare i bigoli.

300 gr di sottocoscia d’anatra

200 gr di frattaglie miste (fegato , stomaco ecc.)

Strutto q.b.

100 gr di cipolla

sale e pepe q.b.

100 gr di sedano

Preparazione:

Frittare le cipolle e rosolare il fondo con lo strutto .

Aggiungere la carne e far cuocere con qualche foglia di salvia e sale

Scaldare il brodo fino a bollore e cuocere i bigoli.

Scolare e condire con il ragù.

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Cappone a la Canevera

Ingredienti per 4 persone

1 cappone ben frollato

una carota

1cipolla

una vescica di maiale o un sacchetto per alimenti

Una costa di sedano

aglio poco, sale e pepe , un pezzetto di canna d’India (Canevera)

chiodi di garofano, una manciata di uvetta sultanina

Preparazione:

Pulire il cappone anche dalle interiora

Mettere nel cappone l’aglio ,cipolla, sedano ,sale e pepe, chiodi di

garofano, una manciata di uvetta sultanina.

Infilare il cappone nella vescica e legare l’apertura con dello spago,

introducendo nella vescica un pezzo di canevera per l’evaporazione

Fare cuocere per 2 ore il cappone con acqua salata

Scolare il tutto e togliere la vescica e servire a pezzi

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Lasagnette con i bisi di Lumignano

Ingredienti per 4 persone

400 gr di lasagne

200 gr di piselli già sbaccellati

20 gr di lardo

1 cipolla

Una manciata di prezzemolo

Olio extra verdi

1 spicchio di aglio

sale e pepe q.b.

Preparazione:

Prendere un tegame e fare sciogliere lardo e olio, aggiungere la cipolla e

l’aglio tritato, far rosolare e aggiungere il prezzemolo , i piselli , il burro e

portare a cottura.

Cuocere le lasagne e spadellarle.

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Torta “ la putàna”

Ingredienti per 4 persone

100 gr di strutto

2 uova

1 litro di latte

100 gr di farina gialla da polenta

100 gr di farina doppio zero

100 gr di fichi secchi

Una foglia di alloro

1 mela

100 gr di uvetta

Lievito per dolci quanto basta (facoltativo)

Sale quanto basta

Grappa

50gr di cedro candito

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Preparazione:

Far bollire il latte con i fichi secchi tritati, lo strutto , l’alloro, l’uvetta, il

cedro tagliato a cubetti.

Aggiungere le farina e cuocere mescolando per 10 minuti.

Far raffreddare, aggiungere la grappa e la mela tagliata , 2 uova , il sale .

Versare il composto in uno stampo per dolci, cospargere di zucchero in

granella e infornare a 150° per 25 minuti.

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Sandra Cazzola Lovise Sposata con Antonio Lovise nel 1964, Sandra sin da subito ha iniziato a

lavorare in ristorante, affiancata dalla suocera Ida. Quando Antonio e

Sandra decisero di acquistare il ristorante dai fratelli Lovise, Sandra diventò

la regina della cucina, affiancata dal padre Erminio Cazzola e dalla mamma

Azelia. Sin da giovane, dimostrò un grande amore per la cucina, tanto da

rendere unici i suoi piatti. Instancabile lavoratrice, è ancora oggi, dopo oltre

50 anni, il pilastro portante della trattoria Lovise.

Amante della cucina tradizionale, propone sempre piatti che seguono le

usanze e le tradizioni. Da una piccola osteria di paese ad una trattoria ricca

di storia, grazie al grande lavoro di Sandra.

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Pasta e fagioli

Ingredienti

500gr. di fagioli Lamon (secchi o freschi)

1 costa di sedano

1 piccola cipolla

1 carota

Lardo q.b.

½ barattolo di pelati

2 pezzetti di cotenna

Sale e pepe

Olio extra vergine di oliva

Brodo vegetale

250gr. di pasta all’uovo

2 foglie di alloro

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Preparazione: Lavare e tritare cipolla, carote e sedano.

In una pentola grande soffriggere il lardo con un po’ d’olio, la cipolla tritata,

carota, sedano e la cotenna.

Quando iniziano a prendere colore, incorporare il pomodoro con i fagioli e

aggiungere dell’acqua e del brodo vegetale.

Lasciar cuocere a fuoco lento per circa 30 min. aggiungendo all’occorrenza

altro brodo.

In un’altra pentola cucinare la pasta (al dente).

Quando il composto si sarà ristretto, togliere dal fuoco e passare il tutto nel

passaverdura, togliendo la cotenna che verrà poi incorporata nuovamente

alla crema di fagioli.

Incorporare la pasta e cucinarla per altri 3 min.

Lasciar riposare per qualche minuto e servirla con un goccio di olio, grana e

pepe.

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Zaleti Ingredienti

250gr. di farina di grano tenero,

200gr. di farina di mais, 1 bustina di vanillina,

1 bustina di lievito, 3 uova intere, 200gr. di burro temperatura

ambiente

150 gr. di uvetta ammorbidita nella grappa e latte, 1 scorza di

limone

½ bicchiere di latte un pizzico di sale.

Preparazione: Ammorbidire il burro con la frusta, aggiungere lo zucchero e poi le uova fino

a che il composto risulta cremoso. A pioggia incorporare le farine, il sale, la

vanillina e il lievito, la scorza di limone grattugiata.

Strizzare l’uvetta e aggiungerla al composto continuando a mescolare,

aggiungere il latte e la grappa rimanente dopo aver strizzato l’uvetta.

Se il composto risultasse troppo morbido aggiungere farina di mais.

L’impasto deve risultare abbastanza consistente tanto da poter formare

delle palline, schiacciarle e metterle nella teglia.

Preriscaldare il forno, infornare i biscotti a 150° per circa 30’ e servirli con

una spolverata di zucchero a velo.

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Putàna Ingredienti

5 pezzi di pane raffermo

1 lt di latte circa

250 gr. di zucchero

5 uova intere

farina 00 q.b. ( 6 cucchiai circa)

1 buccia di limone

1 buccia di arancia grattugiata

1 bustina di lievito

1 bustina di vanillina

1 bicchierino di grappa

4 mele

10 noci + mandorle e 5 fichi secchi

un pugno di uvetta

200 gr. di burro.

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Preparazione: Mettere il pane in ammollo nel latte per circa 2 ore, se necessario

aggiungerne dell’altro.

Sbattere le uova con lo zucchero, il burro preventivamente ammorbidito,

aggiungere il pane strizzato e passato nel passaverdura.

Aggiungere la scorza del limone e dell’arancia, il sale, il lievito, la vanillina, i

fichi tagliati a pezzetti e le mele preventivamente sbucciate e tagliate

grossolanamente.

A questo punto iniziare ad aggiungere la farina continuando a mescolare

l’impasto che deve risultare soffice.

Imburrare una teglia e spolverarla con lo zucchero, riempirla fino a 1 cm dal

bordo con l’impasto.

Infornare a forno caldo 160° per circa 1 ora.

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Gianluca Tomasi Di Cucina Tomasi sas “Gastronomia e Pescheria” Creazzo (VI)

Comincia presto a partecipare a competizioni gastronomiche, prima come

assistente alla Nazionale Italiana Cuochi e successivamente come

componente dell’Equipe Cuochi Regione Veneto, di cui diventa capitano nel

1996. Nel 2000 viene chiamato nuovamente in Nazionale in veste di Team

Chef e intanto riceve svariati riconoscimenti istituzionali, diventa giudice

nazionale e guadagna numerose medaglie sia in concorsi nazionali che

internazionali. Oltre a svolgere l’attività di cuoco, è richiesto in tutta Italia

per tenere corsi di aggiornamento rivolti a cuochi professionisti e offrire

consulenze in strutture alberghiere. Da qualche tempo si occupa anche di

formazione, essendo insegnante presso l’Istituto Alberghiero S. Gaetano di

Vicenza.

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Polenta e scopetòn “Un piatto tradizionale della cucina povera vicentina. Questo pesce affumicato, molto saporito con il suo olio di cottura era molto utilizzato nelle cucine del territorio. Con un solo scopetòn si condiva molta polenta che serviva a sfamare un'intera famiglia.“ Ingredienti per 4 persone

n° 4 salacche affumicate

n° 1 spicchio d'aglio

5 g prezzemolo tritato

n° 1 foglia di alloro

olio extravergine d'oliva

600 g polenta morbida

Preparazione:

Segnare sulla griglia le salacche da entrambe le parti. Posizionatele poi su

una teglia da forno con un goccio d'olio e la foglia di alloro. Infornate a 140°

per 15 minuti. Toglieteli poi dalla teglia e sfilettateli mettendo poi la polpa

in un contenitore con l'aglio schiacciato ed il prezzemolo tritato.

Coprite con l'olio e lasciate a marinare per almeno un giorno in frigorifero.

Servite accompagnato con polenta morbida o se preferite con polenta alla

griglia.

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La “ Panà '’ “Piatto della tradizione povera vicentina. Veniva usato il pane raffermo, ed ammollato con brodo, spesso preparato con sole verdure. Chi poteva permetterselo condiva la minestra con olio o strutto e del formaggio stagionato. A volte servita anche con una macinata di cannella per renderla più particolare. Ai bambini veniva anche servita con un uovo sbattuto perché fosse più nutriente.” Ingredienti per 4 persone

n° 4 pezzi di pane del diametro di 13 cm

1 brodo di gallina

40 g cipolla gialla

40 g grana padano

30 g burro

olio extravergine d'oliva, sale.

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Preparazione: Tagliate il pane ricavando un coperchio e svuotateli formando un

contenitore. Metteteli poi in microonde fino a renderli croccanti.

In una casseruola con poco olio, appassire leggermente la cipolla tritata,

aggiungere poi la mollica conservata , quindi il brodo bollente. Lasciare

bollire mescolando per circa 15 min. Togliere dal fuoco e frullare con il

mixer ad immersione incorporando il burro ed il grana padano grattugiato e

sale se necessario. Condire infine con del pepe nero appena macinato.

Versate la crema su ciascun contenitore di pane e guarnite con la carne di

gallina, carote e sedano utilizzate per il brodo, tagliate a listarelle. Prima di

servire condite con un filo d'olio.

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“ Polastreo in pocio ” “ Nella tradizione vicentina spesso non si usava il pollo ma la gallina vecchia quando non produceva più uova e quindi era necessario una cottura lunga in umido ed a una temperatura moderata. Servito sempre con abbondante polenta o fagioli in umido. Questo e' anche il piatto servito rigorosamente il 2 agosto per la festa “ dei omini “. Ingredienti per 4 persone

n°4 petti di pollo da g 120 cad.

60 g cipolla

50 g carota

40 g sedano

100 g conserva di pomodoro

80 ml vino bianco

5 g porcini secchi

n°1 spicchio d’aglio

n°2 chiodi di garofano

Rosmarino, cannella, olio extra vergine d’oliva, sale, pepe, q.b.

Brodo di gallina q.b.

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Preparazione: Insaporite i petti con un trito di rosmarino, sale e pepe appena macinato.

Rosolateli in una padella con poco olio in entrambi le parti, scolatelo

dall’olio e bagnate con il vino. Lasciate sul fuoco per alcuni minuti. In una

casseruola con poco olio, mettete l’aglio tritato e le verdure tagliate in

piccoli cubetti. Rosolate leggermente, aggiungete i petti con il loro liquido di

cottura, quindi unite la

conserva di pomodoro, i porcini precedentemente ammollati in acqua e

tritati, la cannella in polvere, i chiodi di garofano, e bagnate con poco

brodo. Coprite e continuate la cottura a fuoco lento per 20 minuti circa.

Mettete un cucchiaio di salsa su ciascun piatto e posizionate sopra il petto

“scaloppato”, bagnandolo con un po’ di liquido di cottura.

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“ Risi e bisi ” “Piatto di eccellenza della cucina vicentina, con due prodotti del territorio, il riso di Grumolo delle Abbadesse ed i piselli di Lumignano e, come vuole la tradizione, servito “all'onda”, con una mantecatura morbida. Può anche essere servito come minestra abbondando nel servizio con il brodo.”

Ingredienti per 4 persone

300 g riso vialone nano di Grumolo delle Abbadesse

200 g piselli di Lumignano sgranati

40 g cipolla

30 g burro

40 g grana Padano grattugiato.

50 g vino bianco secco

Olio extravergine d'oliva, sale, pepe, brodo vegetale

Preparazione:

Preparate il brodo vegetale aggiungendo anche una parte di baccelli dei

piselli.

In una casseruola di alluminio con poco olio, rosolare la cipolla tritata,

versate il riso, fatelo tostare

e bagnate con il vino. Lasciate evaporare, aggiungete i piselli ed il brodo

poco alla volta

terminando la cottura. Togliete dal fuoco e mantecate con il burro e grana

mantenendolo morbido. Macinate prima di servire del pepe a mulinello.

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Dolce di pane “ Putàna “ con zabaione al torcolato “ Il dolce più caratteristico della cucina vicentina. Nato per il recupero degli ingredienti avanzati in credenza. Si preparava e si prepara ancor oggi in diverse versioni, a base di pane, o polenta, o semolino ed arricchito con frutta fresca e secca ed aromatizzato con un goccio e anche due di grappa ” Ingredienti per 4 persone

400 g latte

180g pane grattugiato

180g zucchero

n°3 uova

30 g gherigli di noci tritate

20 g pinoli

20g uvetta sultanina

100 g mela golden

10 g buccia di limone e arancia tritate finemente

n°1 vanillina

2 g sale

20 g grappa

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Preparazione: In una casseruola bollite il latte con lo zucchero. Togliete dal fuoco e

aggiungete il pane mescolando velocemente. Sbucciate la mela, tagliatela a

fettine sottili, mettetele in una teglia da forno cosparse con dello zucchero

semolato ed infornate a 160°c. per 10 min.

Scolatele ed unitele al pane con l’uvetta ammollata precedentemente, ed a

tutti gli altri ingredienti. Mescolate bene. Imburrate una tortiera,

cospargetela di pane grattugiato e versate l’impasto. Guarnite sopra con

pinoli e cospargete di zucchero ed infornate a 160°c. per 30 min.

Zabaione al torcolato:

100 g vino torcolato

80 g zucchero semolato

n°2 tuorli d’uovo

Preparazione: In una bastardina mescolate con una frusta lo zucchero ed i tuorli,

aggiungete il vino e montate il tutto a bagnomaria finché otterrete un

composto voluminoso e soffice.