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Guida del museoa cura di

Donato Labate

Vania Milani Thessy Schoenholzer Nichols

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Il Museo delle mummie di Roccapelago

Enti Promotori: Comune di Pievepelago; Soprintendenza Archeologia dell’Emilia-Romagna; Laboratorio di Antropologia di Ravenna-Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali (Università di Bologna). Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna.

Comitato scientifico: Giorgio Gruppioni, Donato Labate, Vania Milani, Thessy Schoenholzer Nichols.

Progetto espositivo: Donato Labate, Vania Milani, Thessy Schoenholzer Nichols.

Ideazione strutture espositive: Fausto Ferri

Progetto grafico: Rossana Gabusi (Soprintendenza Archeologica dell’Emilia-Romagna), Vania Milani Allestimento: Vania Milani, Thessy Schoenholzer Nichols con la collaborazione dell’Associazione Pro Rocca Ideazione allestimento cripta: Donato Labate

Allestimento cripta: Vania Milani, Mirko Traversari

Organizzazione generale: Vania Milani, Associazione Pro Rocca. Materiali esposti: Da scavi archeologici nella Chiesa parrocchiale di Roccapelago (2009-2011).

Direzione scientifica: Donato Labate, Luigi Malnati e Luca Mercuri (Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna).

Coordinamento scientifico: Barbara Vernia, Vania Milani, Mirko Traversari

Riproduzione tessuti: Thessy Schoenholzer Nichols

Restauro: Roberto Monaco, Ivan Zaccarelli (Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna); Maria Antonietta Labellarte (Archivio di Stato Modena); Annalisa Biselli, Ivana Micheletti (RT Restauro Tessile - Albinea)

Fotografie: Francesco Battista, Costantino Ferlauto, Donato Labate, Roberto Macrì, Vania Milani, Caterina Minghetti, Thessy Schoenholzer Nichols, Paolo Terzi, Massimo Tramontano, Mirko Traversari, Barbara Vernia.

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Disegni: Alessandra Alvisi

Stampa Pannelli: Eidos Grafica (MO) Rapporti con i media: Carla Conti (Soprintendenza Archeologia dell’Emilia-Romagna)

Realizzazione vetrine: Ditta Gazzotti (MO)

Gestione Museo: Comune di Pievepelago, Associazione Pro Rocca

Conservatore Museo: Vania Milani

Guida del Museo a cura di: Donato Labate, Vania Milani, Thessy Schoenholzer Nichols

Coordinamento editoriale: Donato Labate, Vania Milani, Iolanda Silvestri (Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna)

Progetto grafico: Beatrice Orsini (Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna)

Stampa guida: Centro stampa regionale Emilia-Romagna

Si ringraziano per la collaborazione: Provincia di Modena, Musei Civici di Modena, Parrocchia di Roccapelago, Ufficio Diocesano per i Beni Culturali Ecclesiastici, Accademia “Lo Scoltenna”, Onoranze Funebri Gianni Gibellini, Associazione Pro Rocca, Associazione Romagna Metal Detector, Massimo Andretta, Alessandra Bacci, Fulvio Bartoli, Francesco Battista, Roberta Bedotti, Mauro Bertocco, Mara Bertolotti, Simone Bernardi, Giorgia Biviano, Antonio Biondi, Franco Biondi, Anna Bondini, Maria Grazia Bridelli, Darinn Cam, Stefania De Blasi, Luna Cavallari, Elisabetta Cilli, Marta Cuoghi Costantini, Claudio Giulio Cosseddu, Gianni D’Altri, Francesco Feletti, Claudio Franceschi, Ezio Fulcheri, Chiara Gallina, Gianni Gibellini, Don Elvino Lancellotti, Lorenzo Lorenzini, Donata Luiselli, Marco Marchesini, Giulia Mari, Maria Catena Merlo, Marco Nervo, Marco Orlandi, Enrico Petrella, Francesca Piccinini, Sara Piciucchi, Linda Pierattini, Antonella Piraccini, Ilaria Pulini, Giancarlo Righetti, Colin Shawn, Chiaramaria Stani, Cristina Stefani, Antonino Vazzana, Simone Zambruno.

Con il contributo di: Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, GAL Antico Frignano e Appennino Reggiano, Associazione Pro Rocca

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Sommario

Presentazioni 6 Corrado Ferroni 9 Luigi Malnati 11 Angelo Pompilio 12 Alessandro Zucchini 14 Andrea Landi

17 Dallo scavo al museo

19 Dallo scavo al progetto museale Giorgio Gruppioni, Donato Labate

25 La realizzazione del museo Donato Labate, Vania Milani, Thessy Schoenholzer Nichols

29 Il luogo del ritrovamento Mirko Traversari, Barbara Vernia

33 La valorizzazione della cripta cimiteriale Donato Labate, Vania Milani, Mirko Traversari

39 il museo

41 I corpi della cripta Vania Milani, Mirko Traversari

43 La sepoltura dei bambini Vania Milani, Mirko Traversari

49 Le mummie Vania Milani, Thessy Schoenholzer Nichols, Mirko Traversari 77 La vita e la salute di una comunità Mélanie Frelat, Caterina Minghetti, Vania Milani, Mirko Traversari

79 Le testimonianze devozionali Donato Labate, Barbara Vernia

83 Gli ornamenti personali e altri reperti Donato Labate, Brabara Vernia

87 I reperti entomologici, botanici e archeozoologici Marta Bandini Mazzanti, Giovanna Bosi, Rossella Rinaldi, Paola Torri, Stefano Vanin

91 Le vesti e i corredi tessili Thessy Schoenholzer Nichols

109 Le cuffie di seta Iolanda Silvestri

113 La conservazione dei tessili Annalisa Biselli, Ivana Micheletti

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Nato nella frazione di Roccapelago in quel piccolo comune montano che è Pievepelago non avrei mai pensato

che nella mia terra si celasse questo eccezionale ritrovamento archeologico: corpi inumati e mummificati

naturalmente appartenenti alla mia comunità. Oggi, a distanza di qualche tempo, emozione e orgoglio

aumentano la conferma delle analisi del DNA, dalle quali si è reso evidente un sicuro mio avo.

La preziosa storia di Roccapelago è stata valorizzata solo grazie alla stretta collaborazione tra i numerosi

Enti ed Istituti quali la Soprintendenza Archeologia dell’Emilia Romagna, l’Istituto per i Beni Artistici

Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna, il Laboratorio di Antropologia di Ravenna, i Musei

Civici di Modena, l’Associazione Pro Rocca, la Parrocchia, La Provincia di Modena, la Comunità Montana

del Frignano (ora Unione dei Comuni del Frignano), la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, il

Comune di Pievepelago con gli studiosi, il cui lavoro apre vasti orizzonti per la cultura e la scienza. Tutti

hanno fino ad adesso contribuito verso un unico obbiettivo: la nascita di questo museo. Ogni scoperta, ogni

studio, ogni ricerca su reperti, documenti o altre fonti relative al nostro passato è un bene prezioso da seguire

con cura e rispetto perché ci aiuta a conoscere sempre meglio le nostre radici e quindi noi stessi.

Nel tempo la cultura è sempre stata il tema dominante di questa terra, aspra e povera, alla quale tanti suoi

figli hanno dato lustro, solo per citarne alcuni: i tanti sacerdoti che hanno contribuito ad arricchire con arte

e cultura la loro parrocchia e che attraverso le pagine dei registri hanno trasmesso la cronaca della vita

della comunità, il poeta Adriano Gimorri, i pittori Federico ed Ermanno Vanni, l’avvocato John Benassi.

Ritorna e viene approfondita la storia degli umili, non quella dei grandi, non quella del condottiero Obizzo da

Montegarullo, ma quella del suo popolo. Un approfondimento, dunque, una riscoperta di valori e tradizioni

dei nostri progenitori, che passa attraverso la cura verso i propri cari: la morte come parte della vita. Quasi

un messaggio trasmesso nei secoli da leggere adagio, come quando si sfoglia con delicatezza un vecchio

libro ingiallito.

Corre la mia mente a quei gesti amorevoli rivolti ai cari defunti per l’ultimo viaggio e a quella famosa

pagina dei Promessi Sposi nella quale si legge: “Portava essa in collo una bambina di forse nov’anni, morta;

ma tutta ben accomodata, co’ capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani

l’avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio…”

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Non so quante persone abbiano l’esatto sentore dell’importanza di questa scoperta, forse non siamo ancora

pronti a comprendere perché in questo luogo apparentemente isolato si sia verificato un evento di così

grande portata e per l’approfondimento del quale il cammino è stato appena intrapreso. Sono però convinto

che questa scoperta non appartiene solo a Roccapelago e al Comune di Pievepelago, ma all’intero Frignano

dove auspico che gli operatori turistici, le associazioni e i vari enti possano attribuirle il giusto valore.

Corrado Ferroni

Sindaco di Pievepelago

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La scoperta, in occasione dei lavori di restauro della chiesa parrocchiale di Roccapelgo e di una cripta

cimiteriale di cui si era persa memoria, ha consentito di mettere in luce alcune centinaia di sepolture,

ascrivibili al XVI-XVIII secolo, sessanta delle quali mummificate naturalmente. Lo scavo, sotto la direzione

della Soprintendenza è stato condotto dall’archeologa Barbara Vernia, coadiuvata da due validissimi

archeoantropologi, Vania Milani e Mirko Traversari, che grazie ai finanziamenti della Fondazione Cassa

di Risparmio di Modena, hanno recuperato e documentato i resti scheletrici e i corpi mummificati insieme

agli indumenti, ai sudari e ai tanti oggetti d’uso personale e quotidiano che hanno accompagnato i defunti

nell’ultimo viaggio.

Tali resti hanno permesso di ricostruire quasi tre secoli di vita di una piccola e povera comunità montana.

La Soprintendenza Archeologia insieme al Laboratorio di Antropologia di Ravenna - Dipartimento di

Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali (Università di Bologna) ha subito avviato uno

studio interdisciplinare che ha coinvolto numerosi studiosi e Università italiane e straniere: a distanza di

pochi anni, grazie a queste singolari sinergie, è stato possibile chiarire alcuni aspetti dello stato di salute,

dell’alimentazione e della speranza di vita di quell’antica comunità, povera ma dignitosa e giungere a

comprendere, abitudini, credenze, tradizioni, usanze. Un progetto che ha visto gli studiosi confrontarsi in

occasione di tre convegni preceduti da altrettante mostre di successo. I risultati di tali ricerce sono oggi

sintetizzati per il grande pubblico nell’allestimento di queso singolare museo dove è possibile vedere la

cripta cimiteriale con ricomposte diverse mummie con i propri indumenti e sudari, nonchè un gruppo di

sepolture di infanti disposte attorno ad una giovane donna sul cui grembo sono stati rinvenuti i resti di tre

neonati. Nei locali dell’ex canonica e del museo , sono stati esposti i reperti ritrovati, gli oggetti devozionali

e personali, i tessuti, i resti di interesse antropologico, entomologico, botanico e zoologico, rinvenuti insieme

alle mummie.

E’ stato possibile portare a termine il progetto grazie all’adesione di enti territoriali: Istituto per i Beni

Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna, Assessorato al Turismo della Provincia di

Modena, Comunità Montana del Frignano, Comune di Pievepelago, GAL Antico Frignano e Appenino

Reggiano, Università (Bologna, Genova, Modena e Reggio Emilia, Parma, Pisa, Torino e University of

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Huddersfield – Inghilterra), Enti religiosi (Ufficio Diocesano per i Beni Culturali Ecclesiastici, Parrocchia

di Roccapelago), Musei (Musei Civici di Modena), Associazioni (Accademia lo Scoltenna, Associazione Pro

Rocca).

In particolare la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena che con grande liberalità ha contribuito

finanziando mostre, convegni, parte della ricerca e fornendo le necessarie risorse per l’allestimento del

museo.

Fondamentale è stato inoltre il lavoro della Conservatrice del Museo, dott.ssa Vania Milani, e l’impegno

spontaneo dell’architetto Fausto Ferri che ha disegnato le vetrine, dei singoli studiosi, di volontari, di

restauratori e dei privati.

La Soprintendenza ha messo in campo i propri funzionari, in particolare Donato Labate che con il prof.

Giorgio Gruppioni dell’Università di Bologna e la studiosa di abiti Thessy Schoenholzer Nichols hanno

coordinato l’équipe di studio.

All’interno dell’impegno globale della Soprintendenza, va ricordata l’appassionata collaborazione con alta

professionalità del settore restauro (Roberto Monaco coadiuvato da Ivan Zaccarelli), del settore dei rapporti

con i media (Carla Conti), del settore documentazione (Roberto Macrì) e del settore grafico (Rossana

Gabusi).

A ogni persona coinvolta va il ringraziamento dell’Ufficio e mio personale.

Luigi Malnati

Soprintendente Archeologo dell’Emilia-Romagna

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In qualità di Direttore del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna (Campus di Ravenna),

che ha ospitato presso il Laboratorio di Antropologia le ormai famose mummie di Roccapelago, molto

volentieri saluto il neonato Museo che vede protagoniste le mummie, apparentemente silenziose, ma in

realtà assai eloquenti. Esse infatti, riportate alla luce dopo secoli di oblio sotto il pavimento di questa

chiesa, ci svelano i segreti della loro vita e della loro storia. Intorno a questo eccezionale ritrovamento

archeologico, che ha suscitato anche un grande interesse mediatico, si è mobilitata una folta schiera di

ricercatori che, d’intesa con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna e in stretta

collaborazione con il Laboratorio di Antropologia del Dipartimento di Beni Culturali, sta ora svolgendo

una ricca e articolata serie di indagini. Antropologi, archeologi, esperti di tessuti e di religiosità

popolare, sono impegnati a ricostruire la vita e la storia bioculturale di questa piccola comunità dell’alto

Appennino modenese fra il XVI e il XVIII secolo, ma anche biologi, genetisti e patologi che si propongono

di intraprendere indagini innovative d’interesse bio-medico. Un approccio multidisciplinare che

coniuga i molteplici aspetti della ricerca scientifica con una specifica attenzione alla conservazione, alla

valorizzazione culturale e alla comunicazione. Ne sono prova tangibile i risultati delle ricerche, le mostre e

i convegni realizzati fino ad oggi. Gli antichi abitanti di Roccapelago ora sono tornati nella loro originaria

e sacra dimora, qui la comunità attuale di Roccapelago ritrova le proprie radici, qui tutti noi scopriamo un

pezzo della nostra storia. Esprimo dunque il mio convinto apprezzamento per questo interessante e originale

lavoro e per tutti coloro che lo hanno portato a termine.

Angelo Pompilio

Direttore del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna

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L’Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna promuove con piena

soddisfazione l’uscita editoriale della guida del Museo delle Mummie di Roccapelago dedicata al ritrovamento

dei resti inumati di una piccola comunità montana modenese del Frignano vissuta tra il XVI e il XVIII secolo.

Realtà sconosciuta emersa dal sottosuolo nel lontano 2009 con una visibilità inattesa e una capacità

evocativa senza pari espressa solo dai resti mummificati dei propri corpi, dalle loro posture e dai poveri

corredi vestiari e devozionali… quelli di sempre.

La pubblicazione e il museo di riferimento inaugurato di recente, come tutte le iniziative promosse da allora

fino ad oggi, rendono ragione in forma interdisciplinare e moderna di un lavoro di équipe durato anni che

ha portato a evidenza pubblica contenuti della storia locale declinati attraverso le conoscenze più avanzate

dell’antropologia, dell’entomologia, della botanica, della zoologia, della cultura materiale e devozionale.

Grazie allo sforzo congiunto messo in campo dalle tante istituzioni che hanno contribuito nel tempo alle

varie fasi del lavoro - dallo scavo, allo studio, dal restauro dei reperti all’allestimento del museo - si è giunti

oggi a questo nuovo risultato, di certo non l’ultimo.

L’Istituto dei Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna in questo intenso progetto museale è intervenuto

in modo diverso: con il sostegno economico e tecnico al restauro di un nucleo di indumenti rinvenuti sui

corpi mummificati, con una brochure della mostra dedicata alle vesti e ai corredi funebri ritrovati sui corpi,

tenuta al Museo Civico di Modena negli anni 2012-2013 e in ultimo con la pubblicazione della guida del

museo.

L’editoria scientifica e divulgativa legata al patrimonio artistico del territorio come la valorizzazione delle

raccolte conservate nei musei della nostra regione sono settori ai quali l’Istituto dei Beni Culturali ha

riservato da sempre un’attenzione specifica.

Sui tessili antichi, in particolare, l’IBACN ha dedicato una parte consistente del suo impegno nella

conoscenza, nel recupero, nella valorizzazione e nella divulgazione di questo patrimonio a forte rischio

conservativo, pressoché sconosciuto ai più e riserva di caccia di pochi specialisti.

Gli eventi e gli studi dedicati a questa complessa tipologia di arte applicata, sono in genere rari e tanto più

lo sono quando sono legati a ritrovamenti eccezionali come quelli delle mummie di Roccapelago.

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Intervenire in questi casi è stato d’obbligo e lo si è fatto soprattutto attraverso lo strumento del restauro

che ha reso leggibile un mondo rurale antico oggi dissepolto e rievocato da una povertà materiale così

disarmante quanto potente e lontana nell’evocazione culturale.

Se il restauro ha permesso di apprezzare le vesti, gli ornamenti e gli oggetti di culto di questa comunità,

questo nuovo bel museo e la sua guida ne trasmettono la memoria guidando l’interesse del pubblico alla

conoscenza degli antichi abitanti di Roccapelago e stimolandolo alla visita dei luoghi dove hanno vissuto.

Il risultato di oggi è dunque l’azione combinata di tutte queste forze che hanno come punto di sinergia un

allestimento museale del tutto innovativo e di indubbio impatto empatico per questo genere di reperti, esposti

per la prima volta nella storia della museografia così come sono stati trovati durante lo scavo.

Alessandro Zucchini

Direttore dell’Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna

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Il ritrovamento di corpi mummificati nella Chiesa della Conversione di San Paolo a Roccapelago costituisce

una delle scoperte archeologiche più interessanti degli ultimi anni in provincia di Modena. Non solo per la

singolarità del processo di mummificazione, dovuto a condizioni climatiche particolari, ma per la ricchezza

di informazioni raccolte da archeologi e antropologi sulla vita delle comunità in Appennino tra il XVI e il

XVIII secolo, epoca a cui risalgono i resti umani, gli indumenti e gli oggetti d’uso quotidiano rinvenuti nella

cripta cimiteriale.

La scoperta, importante dal punto di vista storico e scientifico, contribuisce peraltro ad arricchire il

patrimonio di cultura e tradizioni della comunità di Roccapelago rafforzandone il legame identitario. E’

per queste importanti ragioni che la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena ha ritenuto di sostenere gli

scavi archeologici, la ricerca, le mostre, le giornate di studio e infine l’allestimento del Museo delle Mummie

di Roccapelago la cui guida di questo catalogo è pubblicata dall’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e

Naturali dell’Emilia-Romagna. Mi piace sottolineare come, anche in questo caso, la collaborazione tra

Amministrazione locale, Regione, Soprintendenza, Università, Parrocchia di Roccapelago e Fondazione

abbia consentito di portare a termine un progetto di indubbio valore culturale.

Andrea Landi

Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena fino al 2015

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Dallo scavo al museo

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Dallo scavo al museo

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In occasione dei lavori di restauro e consolidamento della Chiesa parrocchiale della Conversione di S. Paolo di Roccapelago, un piccolo borgo dell’Alto Appennino modenese in comune di Pievepelago, tra il 2009 e il 2011 sono stati effettuati scavi archeologici che hanno riportato alla luce i resti della rocca medievale, della chiesa preesistente con diverse sepolture e una cripta sepolcrale contenente molti corpi umani, in parte mummificati. Sui resti della rocca (secc. XIII-XIV), fu edificata nel XVI secolo una piccola chiesa con orientamento liturgico che sfruttò l’interrato dell’antico fortilizio per ricavarvi una cripta cimiteriale. Con l’ampliamento della chiesa, nel ‘600, la cripta continuò ad essere utilizzata per le sepolture fino al 1786, quando si iniziò ad utilizzare il cimitero esterno alla chiesa tuttora in uso.L’indagine archeologica ha consentito di recuperare i resti di oltre 400 individui di ambo i sessi e di tutte le età: anziani, adulti, subadulti ed infanti appartenuti ad un’intera comunità, qui sepolta tra il ‘500 ed il ‘700. Di essi, una sessantina si presentano in condizioni di parziale mummificazione per effetto di un processo naturale dovuto alle particolari condizioni microclimatiche dell’ambiente di inumazione. I corpi, deposti uno sull’altro a formare una piramide di resti umani all’interno della cripta, erano ancora rivestiti degli abiti (camice e calze pesanti), e avvolti in sudari con ancora vaste porzioni di tessuti molli (pelle, tendini, muscoli, organi viscerali, capelli). Grazie alla efficace cooperazione in cantiere di archeologi e antropologi è stato possibile recuperare i corpi nella loro connessione anatomica e riporli su supporti rigidi per poterli trasferire presso il Laboratorio di Antropologia del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna (Campus di Ravenna).Si é trattato di un rinvenimento eccezionale, sia per l’integrità e le condizioni di parziale mummificazione dei resti, sia per la numerosità degli inumati, un “materiale” di enorme interesse scientifico, che ha offerto la possibilità di condurre uno studio multidisciplinare straordinario da parte di archeologi, antropologi e studiosi di altre svariate discipline che insieme hanno potuto ricostruire le caratteristiche antropologiche, le condizioni e lo stile di vita, lo stato di salute, le modalità di sussistenza, la religiosità, il costume e le usanze degli antichi abitanti di questa comunità e come questi si sono modificati nel tempo.La Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, insieme al Laboratorio di Antropologia del Dipartimento di Beni Culturali (Università di Bologna – Campus di Ravenna), ha subito avviato un progetto di studio articolato ed ambizioso. Al progetto, significativamente denominato Storia e vita di una piccola comunità dell’Alto Appennino modenese tra il XVI e il XVIII secolo, hanno aderito diverse Università italiane e straniere e studiosi di varie discipline.

Dallo scavo al progetto museale

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Le indagini antropologiche hanno rivelato lo stato di salute, l’alimentazione, il tipo di lavoro, i rapporti di parentela, le caratteristiche genetiche. È emerso che si tratta di una popolazione con carenze alimentari (scarso apporto proteico) che praticava lavori pesanti e con una speranza di vita che, per chi superava l’età adolescenziale (essendo la mortalità infantile molto alta), poteva oltrepassare i 50 anni di età e, non di rado, raggiungeva anche età avanzate. Alcune mummie sono state sottoposte a TAC grazie alla collaborazione delle AUSL di Ravenna e Forlì e numerose altre sono state oggetto di approfondite analisi di archeoentomologia funeraria condotte dall’Università di Huddersfield (Inghilterra). Lo scavo ha restituito anche numerosi reperti che raccontano la storia della Rocca prima e della chiesa dopo, ma soprattutto si tratta di oggetti quali medagliette devozionali, crocifissi, rosari e una quantità davvero considerevole di tessuti (camicie, pizzi, calze, cuffie) relativi agli indumenti e ai sudari che avvolgevano i defunti. Significativa è risultata, inoltre, la presenza di monili, orecchini, anelli, collane, spilloni crinali, oggetti personali come un dado da gioco o un rasoio che hanno accompagnato il defunto nell’ultimo viaggio. Tra le medaglie devozionali sono frequenti quelle che raffigurano la Madonna di Loreto, presso il cui santuario era diretto il maggior flusso devozionale. Significativa è la presenza di crocifissi, anche di pregevole fattura. Singolare è, infine, il recupero di una lettera trovata ripiegata e sigillata con una medaglia della Madonna. Si tratta di un raro documento di spiritualità che accenna a preghiere giornaliere da recitare per 15 anni, allo scopo di ottenere indulgenze, protezione divina e salvezza dell’anima. Per garantirsi questa protezione Maria Ori, nominata nella lettera, si fece seppellire con addosso il documento che rappresenta un raro esempio di credenza e devozione popolare associato al rito funerario. Grazie ai contributi offerti dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, è stato possibile approfondire l’esito delle indagini organizzando a Roccapelago e a Modena tre convegni, con il contributo di archeologi, storici, storici del tessuto, antropologi, genetisti, patologi, biologi, entomologi, botanici e tre mostre dove sono stati esposti i reperti rinvenuti.A soli tre anni di distanza dalla conclusione degli scavi è stato possibile realizzare il Museo delle Mummie di Roccapelago dove sono stati esposti i reperti più significativi e dove è possibile vedere dall’interno della chiesa parrocchiale, la cripta cimiteriale con una dozzina di corpi mummificati adagiati a terra nella loro originaria giacitura, nel rispetto della morte e della primigenia funzione cimiteriale e devozionale del luogo della scoperta.Ultima novità emersa dagli studi di genetica è stato il rapporto di parentela tra una delle mummie esposte e l’attuale sindaco di Pievepelago, quasi a rinsaldare il legame indissolubile tra l’antica e l’attuale comunità di Roccapelago.

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Istituzioni scientifiche coinvolte nel progetto

Lo studio multidisciplinare dei resti umani rinvenuti a Roccapelago, d’intesa e in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, è stato condotto presso il Laboratorio di Antropologia del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna (Campus di Ravenna), dove i reperti sono stati sottoposti agli esami di anatomia, biologia e patologia scheletrica nonché alle analisi del DNA. Le altre numerose ricerche (archeologiche, tessili, chimico-fisiche, entomologiche, archeobotaniche, ecc.), sono state svolte grazie alla collaborazione dei seguenti laboratori e centri di ricerca specializzati:- Centro Ricerche e Servizi Ambientali (CRSA) Med.Ingegneria, Marina di Ravenna (RA)- Laboratori di Biologia Forense e di Microscopia elettronica della School of Applied Sciences - Università di Huddersfield (UK).- Laboratorio di Antropologia - Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo – Università di Torino.- Dipartimento di Scienze Chirurgiche e Diagnostiche Integrate – Università di Genova.- Laboratorio di Paleoantropologia – Università di Pisa.- Laboratorio di Palinologia e Paleobotanica - Dipartimento di Biologia- Università di Modena e Raggio Emilia.- AUSL di Ravenna e Forlì - TAC- Istituto per Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna- Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena- Museo Civico d’Arte di Modena- Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale di Torino- RT Restauro Tessile – Albinea (RE)Sono tanti gli studiosi coinvolti in questa stimolante ricerca, in particolare vogliamo ricordare uno ad uno e per ogni settore di studio: Antropologia (Vania Milani, Mirko Traversari, Caterina Minghetti, Vania Milani, Mélanie Agnes Frelat, Antonino Vazzana, Maria Catena Merlo, Giorgia Biviano, Giulio Cosseddu, Colin Shawn); Archeologia (Mirko Traversari, Barbara Vernia); Tessuti (Iolanda Silvestri, Ivana Micheletti, Annalisa Biselli, Thessy Schoenolzer Nichols); Entomologia (Stefano Vanin); Archeobotanica (Giovanna Bosi, Rossella Rinaldi, Paola Torri, Marta Bandini Mazzanti, Marco Marchesini); Scienze applicate (Massimo Andretta, Darinn Cam, Giancarlo Righetti, Ezio Fulcheri, Giulia Mari, Maria Grazia Bridelli, Chiaramaria Stani, Roberta Bedotti, Mara Bertolotti, Alessandra Bacci, Linda Pierattini, Fulvio Bartoli, Simone Bernardi);

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Radiologia (Francesco Feletti, Antonella Piraccini, Mauro Bertocco, Sara Piciucchi, Antonella Piraccini, Enrico Petrella); DNA (Elisabetta Cilli, Alessio Zedde, Monica Mosconi, Sara De Fanti, Claudio Franceschi, Andrea Quagliariello, Donata Luiselli; 3D (Marco Orlandi, Simone Zambruno); Architettura (Alessandra Alvisi); Ricerche archivistiche (Vania Milani, Mirko Traversari); Restauro (Roberto Monaco, Annalisa Biselli, Maria Antonietta Labellarte, Ivana Micheletti, Ivan Zaccarelli).

Un vivo ringraziamento a tutti per il contributo offerto a questa ricerca che ha svelato molti dettagli sulla vita, la storia e l’ambiente dell’antica comunità di Roccapelago.

Giorgio Gruppioni, Donato Labate

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La scoperta nella chiesa di San Paolo di Roccapelago della cripta cimiteriale con i corpi mummificati che

conservavano ancora gli indumenti, i sudari, gli oggetti devozionali, monili ed altri elementi del decoro

personale, indossati prima della sepoltura, ha, da subito, richiamato l’attenzione della Soprintendenza per

una valorizzazione in loco di un patrimonio storico culturale e antropologico di grande importanza. Gli enti

territoriali (Comune, Provincia e Regione), le Università coinvolte nella ricerca, nonché l’associazionismo

locale hanno sostenuto, da subito, il progetto di valorizzazione. Grazie all’impegno profuso dalla Fondazione

Cassa di Risparmio di Modena che ha finanziato gli scavi, le ricerche e l’allestimento del museo, è stato

possibile portare a termine, a pochi anni dalla fine degli scavi, l’allestimento del museo, che presenta novità

di rilievo sia per la valorizzazione dei manufatti rinvenuti sia per come sono stati trattati i corpi mummificati.

Dall’allestimento del museo sono stati estrapolati i corpi mummificati e deposti nella cripta sulla nuda roccia,

così come sono stati rinvenuti nel rispetto della primigenia giacitura e della sacralità del luogo. Delle 12 mummie

appartenute alla comunità roccalese è stato possibile riconoscere, tramite il DNA, il rapporto di parentela con

gli attuali abitanti di Roccapelago: una di loro presente in cripta è sicuramente un’antenata di Corrado Ferroni,

attuale Sindaco di Pievepelago e originario della zona. La cripta con le mummie che ospitava la sepoltura

di una giovane donna deposta con i resti di tre corpicini sul grembo, attorniata dalla sepoltura di diversi

bambini, è possibile osservala dal pavimento della chiesa tramite una vetrata. Nel museo di Roccapelago si

è preferito non esporre le mummie, che riposano in pace nella cripta, ma in tre diverse sale dell’ex canonica

della chiesa di San Paolo, i manufatti ad esse associate con altri reperti rinvenuti negli scavi. Nella prima sala

sono esposti i reperti (ceramiche, manufatti domestici, bombarde, intonaci dipinti) che raccontano la storia

della rocca prima che venisse trasformata in chiesa. Nella seconda sala hanno trovato posto, accanto ai reperti

devozionali (medaglie, rosari, crocefissi, immagini sacre, lettera di rivelazione) e agli elementi di decoro

personale (anelli, collane, orecchini) ritrovati con le mummie, anche i resti d’interesse antropologico, che

rivelano le malattie di cui soffrivano alcuni, oltre ai reperti d’interesse entomologico (larve e insetti), botanico

La realizzazione del museo

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e zoologico sui quali si è concentrato lo studio interdisciplinare seguito alla scoperta della cripta cimiteriale.

Nella terza sala hanno trovato posto gli indumenti indossati dalle mummie: camicie, calze e sudari cuciti

addosso ai defunti. Sono reperti che difficilmente si conservano negli scavi e per questa ragione ad essi è stata

riservata la sala più grande dove in una teca sono stati ricomposti gli indumenti indossati da un personaggio

maschile, la camicia e il sudario. Nelle vetrine sono presenti frammenti di una gonna e di calzoni, una

marsina del ‘700 e due preziose cuffiette da bambini in seta, un lusso in confronto a tutto il tessile ritrovato e

appartenuto ad una povera comunità di contadini. Sono esposti anche piccoli frammenti di stoffa, recuperati tra i

corpi delle mummie, che testimoniano la conoscenza di importanti tecniche di tessitura. La piccola comunità

di Roccapelago non solo sapeva filare, tessere, cucire, ricamare, fare merletti e bottoni, ma era in grado di

confezionare lacci e fettucce con tecniche oggi dimenticate come la tessitura a tavolette e l’intreccio a cappio.

L’allestimento del Museo delle Mummie di Roccapelago è stato pensato volutamente con lo scopo di far

risaltare il valore emozionale della scoperta. Non potevamo creare un’esposizione esclusivamente esplicativa-

informativa, ma era necessario che i reperti presenti nelle sale diventassero un canale empatico: così come

i corpi, rispettosamente ricollocati in cripta, comunicano il valore cerimoniale rivolto ai defunti, i reperti,

dall’altro, contribuiscono a far rivivere la devozione e al tempo stesso la loro quotidianità.

La storia della comunità di Roccapelago viene letta attraverso le pieghe dei vestiti, gli innumerevoli rattoppi,

l’anatomia trasformata di un corpo, la ripiegatura di un foglio di carta, la presenza di devozione tra le vesti

dei defunti, ed ancora nella posizione delle mani delle mummie di quelle ricomposte in forma di pietas sul

ventre sia di quelle che fissano il momento della morte nel rigor mortis che non ha permesso ai congiunti di

ricomporre i corpi e di vestirli secondo il canone cerimoniale.

La scoperta delle mummie ha indotto la ricerca scientifica a muoversi attraverso nuove dinamiche in cui

l’entomologo e gli antropologi hanno ricostruito la stagione della sepoltura, lo stato di salute, l’età, il sesso e

l’alimentazione di ogni corpo.La botanica ha restituito l’immagine dell’ambiente circostante e testimoniato

le offerte floreali che accompagnavano i defunti nell’ultimo viaggio.

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La visita al Museo delle Mummie di Roccapelago, siamo certi, offrirà la possibilità di emozionarsi e di essere

coinvolti in un attimo di raccoglimento nella memoria di questi straordinari testimoni della nostra storia. Donato Labate, Vania Milani, Tessy Schoenholzer Nichols

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Rocca medievale

Chiesa del XVI secolo

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In occasione dei lavori di restauro della Parrocchia di Roccapelago sono stati effettuati scavi archeologici che hanno riportato in luce i resti della Rocca dei Montegarullo, della chiesa preesistente di San Paolo e le numerose tombe con centinaia di sepolture che hanno caratterizzato la vita del complesso religioso tra il ‘500 ed il ‘700. Della rocca medioevale sono stati riportati alla luce due ambienti interrati muniti di caditoie. Sui resti del fortilizio fu costruita nella seconda metà del XVI secolo una chiesa più piccola dell’attuale, orientata liturgicamente con ingresso ad Ovest. Essa sfruttò un ambiente della rocca per ricavarvi una cripta cimiteriale a cui si accedeva da una scala laterale. Al centro della navata, in prossimità del presbiterio, fu collocata una sepoltura in cassa lignea (Tomba 4) appartenuta verosimilmente al primo parroco. Con l’ampliamento della chiesa, nel XVII secolo, l’orientamento e l’accesso furono posti a Nord. Fino al 1786 si continuò ad utilizzare la cripta e il pavimento per le sepolture. Il vano della scala, per accedere alla cripta, fu riutilizzato come ossario (Tomba 7) e in prossimità del nuovo altare fu collocata la tomba dei nuovi parroci (Tomba 2) segnalata dalla presenza di resti talari. Un’altra sepoltura (Tomba 3) con almeno dieci individui (adulti e bambini) è da riferire ad un gruppo famigliare benestante della zona, da questa proviene un orecchino in argento. La cripta, a cui si accedeva da due botole, fu invece destinata alla sepoltura dei bambini e degli adulti meno abbienti della comunità di Roccapelago. Lo scavo ha restituito alcune testimonianze di vita della fase castellana: due frammenti di proiettili ritrovati all’interno della cripta ben rappresentano il clima e le tensioni guerresche che si vivevano a Roccapelago durante la dominazione di Obizzo di Montegarullo. Il calibro del proiettile e il materiale usato depongono per un utilizzo con artiglieria da breccia o da mortaio e sono databili pertanto tra la fine del XIV e la prima metà del XVI secolo. Non è da escludere che i proiettili possano essere appartenuti alla famosa battaglia del 1393 tra i lucchesi e i Montegarullo. La ceramica recuperata, che in archeologia è sempre un prezioso indicatore cronologico, è ciò che rimane della vita quotidiana della Rocca. I frammenti ritrovati, tutti inquadrabili tra la seconda metà del XV e la prima metà del XVI secolo, sono riferibili alle attività quotidiane di preparazione e consumo del cibo. Le forme rinvenute sono riconducibili a tegami, olle, testi per crescentine, piatti, catini e brocche. All’attività domestica è da riferire anche il ritrovamento di un ben conservato coltello in ferro. Dalle macerie servite per il riempimento della cripta sono stati recuperati anche due botole circolari, che servivano per deporre i corpi dentro la cripta e alcuni frammenti di intonaco dipinto, forse appartenenti alla prima fase della chiesa o al precedente insediamento castellano, come lascerebbero intuire i colori (rosso, nero, bruno, giallo) utilizzati per le decorazioni.

Mirko Traversari, Barbara Vernia

Il luogo del ritrovamento

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In seno al progetto di studio che ha riguardato le mummie di Roccapelago, tuttora in corso, grande attenzione hanno richiesto gli aspetti legati alla valorizzazione e musealizzazione di alcune di queste, particolarmente ben conservate, assunte a simbolo di questa piccola popolazione montana. Non meno importanti sono stati gli aspetti legati alla loro conservazione, fragili per natura, le mummie necessitavano di un ambiente idoneo che evitasse la loro corruzione dovuta a pericolose variazioni microclimatiche. In ultimo, ma non meno importante, si é posta l’esigenza di restituire al pubblico, ai compaesani, questo tesoro, permettendo di veicolare una valida ed efficace comunicazione scientifica alla portata di tutti.La scelta progettuale effettuata dai funzionari della Soprintendenza, coadiuvati dalla consulenza degli antropologi del Laboratorio di Antropologia del Dipartimento di Storia e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali, Università di Bologna, Polo Scientifico Didattico di Ravenna, ha permesso di sviluppare un impianto espositivo forse unico in Italia per quanto riguarda l’allestimento di mostre antropologiche. Sono stati presi in considerazione diversi piani valutativi per permettere la piena visibilità di questo eccezionale ritrovamento: primo tra tutti il dovere etico necessario alla preservazione e presentazione di resti di questo tipo, che mai devono diventare asettici reperti da museo, decontestualizzati e lontani dalla loro reale natura. Il setting espositivo è stato individuato proprio nella cripta che per cinque secoli ha preservato questi corpi. L’ambiente è stato fin da subito preparato a ricevere nuovamente i resti: le due aperture nella parete Est della cripta, aperte fin dalla fine del ‘500, sono state lasciate pervie proprio per mantenere il più possibile l’areazione naturale della cripta che ha innescato il processo di mummificazione; sono state quindi applicate solamente microretinature per evitare l’accesso di fauna e insetti all’interno. Parallelamente a questa, il massiccio geologico su cui è stata ritrovata la piramide di corpi, è stato stabilizzato e ripulito, rendendolo pronto per ricevere nuovamente i corpi. La porta di accesso a Nord, trovata sigillata durante gli scavi, è stata nuovamente chiusa per mezzo di una vetrata a bussola in aggetto, che permette al visitatore la visione del sito, ma evita che all’interno della cripta penetri CO

2 o vi sia un innalzamento del calore o dell’umidità; a questo proposito

anche l’illuminazione applicata, sempre settata su off, può essere attivata solo per lo stretto necessario alla visita e comunque essendo temporizzata a 8 minuti, si evita comunque il surriscaldamento dell’aria. Sono state inoltre installate speciali lampade antimicotiche da attivare al bisogno. La ricollocazione dei corpi è avvenuta di conseguenza piuttosto naturalmente. La struttura geologica che funge da pavimento alla cripta ebbe un

La valorizzazione della cripta cimiteriale

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fondamentale ruolo nel processo di mummificazione, in qualità di elemento drenante dei fluidi; i corpi furono deposti direttamente sulla nuda pietra dai famigliari e proprio per questo le mummie sono state deposte nuovamente sulla roccia. La ricollocazione dei corpi nella medesima posizione in cui vennero tumulati, risponde anche all’esigenza di garantire il decoro formale della musealizzazione. L’allestimento in questo senso offre allo spettatore la visione non solo dell’individuo, ma consente anche di percepire visivamente come i defunti venissero composti e che modifiche posturali abbiano subito nel corso dei secoli, nel pieno rispetto di quello che sono stati e sono ancora oggi, individui come noi. I punti di osservazione ricavati nella pavimentazione della chiesa soprastante, per mezzo di un lungo pannello in vetro, longitudinale alla cripta, offre una visuale assolutamente suggestiva e quanto più aderente possibile alla reale funzione dell’ambiente, offrendo allo spettatore la suggestione di quello che doveva essere la realtà strutturale di diversi secoli fa. Donato Labate, Vania Milani, MirkoTraversari

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Il museo

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Il museo

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L’asportazione degli strati non organici che ingombravano il volume dell’ambiente sotterraneo ha permesso di evidenziare un’area con chiare condizioni di sepoltura.Il potente strato di corpi, strettamente adesi tra loro in una sequenza diacronica probabilmente protratta nel tempo, presentava alcuni aspetti peculiari degni di interesse. Gli inumati più profondi furono deposti sfruttando le asperità rocciose del massiccio sottostante la fabbrica della chiesa affiorante sotto al piano di calpestio. La giacitura primaria dei cadaveri indica che la decomposizione del corpo è avvenuta nello stesso luogo di sepoltura; essa è stata determinata grazie alla persistenza di numerosissime articolazioni labili, ancora saldamente connesse, spesso in decubito laterale, ma anche prone e supine sono articolazioni deboli, che nel processo trasformativo post mortem mantengono per poco tempo la posizione originaria. La prima fase di sepoltura è avvenuta in spazio pieno, i corpi furono probabilmente sepolti e inglobati da uno strato terroso, tale modalità ha fatto sì che gli elementi accessori al corpo si siano malamente conservati, così come sono rari gli indumenti e i sacchi usati a guisa di sudario. La seconda fase di utilizzo, anche in questo caso primaria, testimonia un rimaneggiamento antropico, a causa delle successive sepolture, e, diversamente dal periodo precedente, la decomposizione è avvenuta in spazio vuoto. Il particolare microclima creatosi all’interno della camera di deposizione, favorito dalle due aperture individuate sulla parete, ha prodotto in numerosissimi casi la conservazione di alcuni tessuti e delle strutture legamentose o tendinee, così come sono discrete le condizioni di alcuni elementi dell’abbigliamento o sacchi sudario che avvolgevano i corpi. Numerose sono le forme di pietas rilevate, quali la composizione canonica del cadavere con mani intrecciate sull’addome o in atto di preghiera, la permanenza di anelli nuziali alle dita, gli abiti curati con abbellimenti, oppure elementi di decoro quali tessuti che fasciavano la mandibola per evitare lo spalancamento della bocca. In questo caso i corpi venivano probabilmente calati; si spiegherebbe così il grave disordine delle salme, alcune delle quali presentavano posture assolutamente singolari, come supinazione completa del corpo con inarcamento spinale e ribaltamento a livello cranio-caudale delle braccia, scivolamento laterale della salma sullo strato dei cadaveri, posizione seduta delle gambe dovuta alla precipitazione dei distretti periferici ancora freschi, che la parziale mummificazione di alcuni tessuti e l’abbigliamento hanno conservato. Vania Milani, Mirko Traversari

I corpi della cripta

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Prima della piramide dei corpi, vennero realizzate due sepolture davanti all’antica scala d’accesso e alla porta di accesso: tomba 9 e tomba 10. La sepoltura T9, rinvenuta a febbraio nel 2011 all’interno della cripta, riguarda una deposizione multipla entro uno spazio delimitato con andamento radiale. Durante le fasi di scavo la sepoltura si è mostrata particolarmente interessante non solo per l’originale emiciclo lapideo a perimetro, ma per la disposizione che i corpi più in superficie con cranio verso l’esterno e piedi rivolti al centro della sepoltura mantenevano a testimonianza di una particolare modalità deposizionale, nonostante i rimaneggiamenti antropici successivi. All’interno della cripta, fin dal principio venne ricavato uno spazio dedicato alle sepolture dei bambini. Numerosissime sono le attestazioni nei documenti d’archivio che testimoniano la presenza di questo angolo preparato per accogliere “gli angeli” di Roccapelago, come a volte venivano menzionati i bambini sui registri parrocchiali. Gli scavi archeologici hanno infine permesso di ritrovare quest’area, che appariva ancora delimitata da un emiciclo lapideo sul lato ovest. Lo studio antropologico avviato, ha riconosciuto oltre 90 fra infanti e bambini in quella che è stata definita Tomba 9. Le età rappresentate variano dalla 28 settimana fino ai 14 anni con la presenza di diversi nati prematuri. Assieme ai bambini, sono stati sepolti anche alcuni adulti, tra cui una donna sul cui grembo vennero deposti almeno due infanti, ritrovati ancora fasciati con i loro vestiti. Durante le fasi di scavo sono stati inoltre individuati cinque rotoli di tessuto che, una volta traspostati presso il Laboratorio di Antropologia di Ravenna, sono stati sottoposti a TAC. I risultati radiodiagnostici hanno chiarito definitivamente la natura di questi resti: era ciò che rimaneva delle piccole camicie indossate dagli infanti per il loro ultimo viaggio, spesso accompagnate da rosari, i cui resti ancora permanevano tra le pieghe dei tessuti. In cripta è stato possibile, grazie a Vania Milani, ricostruire il sito di deposizione dei corpi ritrovato durante gli scavi.

Vania Milani, Mirko Traversari

La sepoltura dei bambini

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Le mummie

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Le mummie

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OsservazioniLo stato di salute ed età sono osservabili in questo caso da riassorbimenti alveolari della mandibola, che sicuramente sono la conseguenza dell’età avanzata, ma anche della scarsa o inefficace igiene orale a seguito di una alimentazione costituita per la maggior parte da cibi non raffinati e di difficile masticazione; la perdita dei denti deve essere avvenuta anni prima della morte del soggetto. La defunta è affetta da spina bifida occulta, risultata dalla chiusura incompleta della quinta sacrale durante il periodo neonatale.

TessutoIl corpo indossa una camicia frammentaria, sulla quale si riconoscono maniche pieghettate, in basso polsi e bottoni con asole, sotto le ascelle ci sono grandi gheroni che facilitavano il movimento. Il collo è stretto e lo scollo pieghettato, sembra anche esserci una sorta di cappuccio, il cui innesto non è visibile. La camicia è cucita sui lati da cimose e mostra una lavorazione accurata con punti decorativi al collo e ai polsi. La veste presenta molteplici toppe, di grande dimensione soprattutto nella parte bassa, dove si riconoscono frammenti di tessuto di lana e lino, forse di una gonna.

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Inumato parzialmente mummificato incompleto, posizionato in decubito laterale destro. Individuo di probabile sesso femminile di età matura senile (maggiore di 50 anni).

DescrizioneGli arti superiori sono flessi e le mani sono giunte davanti al volto in atto di preghiera. E’ presente un bendaggio stretto sul cranio per mantenere aderente la mandibola ed evitare lo spalancamento della bocca. Il capo è adornato da una sorta di cuffietta probabilmente pertinente all’abbigliamento. Numerosi sono i residui epiteliali in aderenza al cranio.

Mummia n. 1

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OsservazioniSul cranio sono presenti ossa wormiane, varianti morfologiche del cranio riconosciute come marcatori genetici nello studio delle popolazioni umane; lievissime tracce di tartaro rispondono alla giovane età dell’individuo.

TessutoLa mummia indossa una camicia confezionata con un tessuto di fibra vegetale regolare, composta da un telo per il corpo, due maniche lunghe, gheroni sotto le ascelle, polsi con asole e bottone confezionato in filo decorato da punti. Lo scollo oggi solo parziale è decorato da un merletto a fuselli a fili continuo con motivo geometrico. Sotto la camicia si può intravedere un tessuto più grosso e all’altezza delle ginocchia appaiono frammenti di lana e lino, inoltre sono ancora riconoscibili residui di calze di lana intorno alle tibie e alle ginocchia.

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Inumato parzialmente scheletrizzato completo, in posizione supina. Si tratta di una donna, giovane adulta (circa 20 anni).

DescrizioneIl cranio rivolge lo sguardo verso l’alto e posteriormente, il rachide cervicale inarcato segue la posizione della testa. Entrambe le braccia sono flesse e sollevate oltre la testa. I piedi sono stesi in avanti. La posizione distesa e inarcata del defunto è stata assunta a causa della deposizione o subito dopo, esso infatti si trovava collocato sulla sommità della piramide dei corpi. Numerose porzioni di tessuto mummificato ricoprono ancora i distretti ossei, è riconoscibile ancora l’orecchio sinistro. Sono ancora visibili parti di lacci intorno ai polsi e in prossimità degli avambracci che assicuravano la compostezza formale della deposta.

Mummia n. 2

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OsservazioniAd una prima osservazione è stato possibile acquisire alcune informazioni sullo stato di salute. I denti mostrano diverse carie e parodontopatie meglio conosciute come “gengiviti” o “parodontiti”, dovute a diversi fattori tra cui predisposizione fisica, malocclusioni, scarsa o inefficace igiene orale sottolineata da diffusa presenza di tartaro su tutta la chiostra dentaria. Numerosi indicatori di degenerazione osteofitica a carico della spina dorsale possono essere compatibili con l’età del defunto.

TessutoIl tessuto in fibra vegetale, regolare e di medio peso, avvolge interamente il corpo a guisa di sudario ed è composto da due teli trasversali con cimose, uniti da una cucitura sotto il pube. Il tessuto sembra più largo nei fianchi perché mostra pieghe sotto il corpo e in altre zone. Sulla sinistra della mummia i teli sono cuciti insieme. Attraverso le lacune si intravede una camicia interna, in alto si individua una spalla con l’innesto di una manica e in basso si nota un orlo.

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Mummia n. 3

Inumato parzialmente mummificato completo, in posizione prona. Individuo di probabile sesso maschile, di età matura senile (maggiore di 50 anni).

DescrizioneIl cranio ha perso l’articolazione con la colonna vertebrale che resta, invece, ancora in connessione con il resto del corpo. Numerosi residui di tessuto epiteliale e tendineo sono ancora adesi a diversi distretti ossei. La posizione prona è stata assunta in seguito alla deposizione del defunto calato dalla botola pavimentale nell’ambiente voltato. Il torace ha assunto una posizione inarcata e sopraelevata rispetto al bacino perché aderente ad altri corpi precedentemente collocati nella cripta che hanno alterato il piano deposizionale ab origine. Le braccia sono flesse e raccolte sotto il torace.

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OsservazioniIl defunto è caratterizzato da un marcatore genetico come la spina bifida occulta, trasmesso dalla madre durante la vita fetale; la sua formazione è dovuta ad una malformazione o un difetto neonatale dovuto alla chiusura incompleta di una o più vertebre, in questo caso la quinta sacrale.

TessutoL’inumato è avvolto da un tessuto greggio ampio, ripiegato dalle ginocchia alle caviglie. Attraverso le grandi lacune sul torace e all’altezza del bacino, si vede una camicia interna di un tessuto più liscio. Un frammento con un lato arricciato indica il polso di una manica.

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Mummia n. 4

Inumato parzialmente mummificato incompleto, recuperato in posizione prona. L’individuo è di probabile sesso femminile, di età giovane (range 19-21 anni).

DescrizioneLa posizione incrociata delle mani appena sotto il mento testimoniano la forma di pietas riservata alla defunta nella sistemazione del corpo in un contegno devozionale. La colonna presenta una torsione a sinistra. Sono completi gli arti superiori, così come gli arti inferiori. Sono presenti colonna vertebrale, cinto pelvico e torace (non articolati), anch’essi completi, oltre a tessuti molli mummificati riferibili a legamenti, muscoli e tessuto epiteliale.

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OsservazioniSono visibili ossa wormiane sovranumerarie, varianti morfologiche del cranio riconosciute come marcatori genetici nello studio delle popolazioni umane. Le suture craniche sono quasi completamente obliterate, segno evidente di un’età avanzata del soggetto. La dentatura è profondamente usurata, soprattutto negli incisivi, mentre i molari e premolari sono attaccati da numerose carie. Le profonde inserzioni muscolari a carico dell’avambraccio in genere, sono predittive di lavori che dovevano svolgersi per mezzo della chiusura manuale (raccolta, impasto, lavaggio, tecniche di tessitura).

TessutoSul volto si è conservato un frammento di tessuto, probabilmente residuo della camicia sudario esterna; la trama del tessuto è molto simile ad altre camicie del genere. Sono rimaste poche evidenze di tessuto sul corpo, di cui però si riconoscono orli a giorno raffinati e arricciature, forse per polsi o scolli.

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Mummia n. 5

Inumato parzialmente mummificato incompleto, in posizione supina. L’individuo di probabile sesso femminile é di età matura senile (maggiore di 50 anni).

DescrizioneLa parte superiore del corpo è ottimamente conservata, mentre degli arti inferiori restano solo le ossa della coscia. Le braccia sono allontanate dal torace, entrambi gli avambracci sono flessi sul gomito con postura raggiunta in fase post deposizionale. Si può ipotizzare che la posizione originale fosse con arti superiori flessi e incrociati sul torace e che in corrispondenza della deposizione (supina) sia avvenuta una distensione latero-posteriore rispetto al torace. La colonna vertebrale mostra una concavità rilevante, non naturale, sul lato posteriore, forse causata dalla presenza di inumati precedentemente deposti. Ampi residui di tessuto epiteliale sono ancora visibili su tutti i distretti.

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OsservazioniIl defunto mostra anch’esso il marcatore genetico quale la spina bifida occulta; la sua formazione è dovuta ad una malformazione o a un difetto neonatale prodotto dalle chiusura incompleta di una o più vertebre. Sono presenti alcune ossa wormiane, varianti morfologiche del cranio riconosciute come marcatori genetici. Il quadro di salute dell’individuo presenta artrosi sul tratto lombare della colonna vertebrale e numerose carie sia su i denti mascellari che mandibolari. E’ inoltre evidente anche una forte usura dentaria, soprattutto a carico degli incisivi e dei canini. Tartaro esteso su tutta la dentatura. L’alimentazione povera con cibi grezzi e di difficile masticazione insieme alla mancanza di igiene dentale hanno provocato con ogni probabilità malattie dentali piuttosto gravi; numerose sono le carie perforanti su questo soggetto.

Tessuto Il corpo è coperto da due tessuti frammentari sovrapposti e molto strappati. Si tratta di una camicia sudario in tessuto grossolano e di una camicia aderente al corpo in tessuto più liscio e fine; di questo tessuto sono visibili parte delle maniche, dei polsi, lo scollo e la parte che copre il torace. Si conservano brandelli di lana riferibili alle calze di maglia.

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Mummia n. 6

Inumato parzialmente mummificato completo, in posizione supina. Individuo di probabile sesso maschile e di età matura senile (maggiore di 50 anni).

DescrizioneGli arti superiori scivolati lateralmente al torace mostrano gli avambracci flessi. Originariamente, forse, le mani erano state adagiate sullo sterno dai cari in atteggiamento di riposo. La colonna vertebrale è leggermente arcuata. Numerosi sono i resti di tendini e derma su diversi distretti scheletrici.

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OsservazioniAll’altezza delle vertebre lombari si rileva un inizio di artrosi alla colonna, nonostante la giovane età sono presenti numerosi aspetti legati a dati degenerativi (osteofitosi toracica e lombare), dovuti all’impegno lavorativo del soggetto; numerosi corpi vertebrali cuneizzati indicano che venivano trasportati carichi pesanti.

TessutoIl corpo è avvolto in due teli di diversi tessuti grezzi uniti con punti lenti all’altezza del bacino. Sembra trattarsi di una camicia perché ci sono segni frammentari di maniche. Sotto di essi i lembi del tessuto laterale sono stati piegati verso il centro e fissati con grossi punti. All’altezza del torace si intravede, attraverso strappi e lacune, un tessuto simile ma più fine; sulle gambe invece si rilevano frammenti di calzoni in lana marrone e lino grezzo che si interrompono al ginocchio; i polpacci e parzialmente i piedi sono coperti da calze di lana strappate.

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Mummia n. 7

Inumato parzialmente mummificato, incompleto, in posizione prona. Probabilmente si tratta di un uomo adulto (maggiore di 30 anni).

DescrizioneLe braccia sono flesse sotto il torace. Gli arti inferiori sono decussati, sinistro su destro. Numerosi brani mummificati di tessuto epiteliale e tendini ancora adesi al corpo. I vari distretti anatomici sono tenuti raccolti dal sudario, ricucito lungo i fianchi per renderlo il più possibile aderente.

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OsservazioniSono presenti numerosi marcatori genetici in corrispondenza del torace, come una costa bifida, e del cranio, come fori simmetrici a destra e sinistra sui bordi orbitarii. Desumiamo informazioni sullo stato di salute dei denti, che mostrano diverse carie e parodontopatie o infiammazioni alle gengive con arretramento della mandibola e dei mascellari e conseguente perdita dei denti intra vitam; sono riconoscibili numerose entesopatie dovute a sollecitazioni muscolari prolungate nel corso della vita, come il muscolo deltoide, succlavio e trapezio, che sono suggestive di un impegno a livello delle spalle del soggetto.

TessutoIl corpo è parzialmente ricoperto da due indumenti frammentari; quello esterno è composto da tessuti di diverso spessore e trame, uniti con grossi punti. Chiaramente visibili sono le maniche, con apertura anteriore cucite con punti decorativi, il che fa supporre che si tratta di una camicia personale, in cui il corpo è stato avvolto e cucito. Sotto questa si intravede un’altra camicia molto simile per tessitura e confezione, ma più curata nelle cuciture e nelle finiture del collo, dove si vedono bene le pieghettature dello scollo.

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Mummia n. 8

Inumato parzialmente mummificato completo, in posizione di decubito laterale. L’individuo è di probabile sesso femminile, di età adulta (maggiore di 30 anni).

DescrizioneIl braccio sinistro è flesso sul torace, gli arti inferiori sono sovrapposti all’altezza del ginocchio, mentre è scomposta la parte centrale del corpo per il peso dei numerosi corpi su questa deposizione. Lo stato di mummificazione è evidente dai piedi, di cui si conservano ancora le unghie e le macchie scure, riferibili al ristagno di liquidi di decomposizione dei defunti deposti sopra questa salma. Sono presenti diversi tessuti epiteliali e tendini ancora adesi al corpo.

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e rilassate sul bacino. È evidente in questo caso come si sia conservato l’amorevole operato dei cari del defunto, nel voler conservare il corpo in decorosa postura.

OsservazioniIl corpo completamente fasciato dal tessuto e da residui mummificati, non permette una valutazione di merito approfondita sulle peculiarità antropologiche e paleopatologiche, in ragione di ciò, si attendono gli esiti della tomografia computerizzata total body.

TessutoIl defunto è avvolto in una camicia lunga e ampia a trama grossa. La camicia è composta da maniche larghe e lunghe, pieghettate ai polsi e rifinite con polsini; le spalle sono rinforzate da una striscia di tessuto. Lo scollo è pieghettato con apertura anteriore e collo a fascia stretta; l’apertura anteriore è stata chiusa con una cucitura. Tutto fa supporre che si tratta di una camicia maschile tipicamente settecentesca lavorata e cucita con cura. Fra le lacune si nota la presenza di un altro indumento.

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Mummia n. 9

Inumato parzialmente mummificato incompleto, in posizione supina. Sesso ed età indeterminabili.

DescrizioneConservato nei distretti superiori, gli arti inferiori sono incompleti dei piedi, le gambe, disarticolate ma tenute assieme da tessuti legamentosi, si trovano sovrapposte l’una all’altra. Il defunto è stato deposto con le braccia raccolte sull’addome e le mani intrecciate completamente articolate

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OsservazioniPer quanto riguarda il quadro patologico è stato osservato lo stato degenerativo della cavità acetabolare dell’anca destra, con grave deformazione artrosica del femore corrispondente che mostra una testa completamente deformata con tessuto ipervascolarizzato di dimensione anomala; quadro non attribuibile ad attività fisica, quanto piuttosto a un’anamnesi patologica. Lo stato di salute è alterato dalla presenza di numerose carie sia su i denti mascellari che mandibolari.

TessutoIl corpo è completamente avvolto in una camicia sudario, che, quasi completamente conservata salvo alcuni buchi, offre un documento pressoché completo di come fossero confezionati questi capi, con maniche arricciate ai polsi, scollo arricciato e apertura tagliata anteriore. Lateralmente, da sotto le ascelle all’orlo, il tessuto è stato cucito addosso al corpo con grossi sopraggitti. Lo scollo è aperto e lascia intravedere una camicia interna con un scollo decorato da ricami semplici e frammenti di un merletto a fuselli. Le gambe sono coperte da calze in maglia di lana con punti decorativi e baghetta, prova di una lavorazione raffinata.

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Mummia n. 10

Inumato parzialmente mummificato incompleto, in posizione supina. L’individuo, di probabile sesso femminile é di età giovane adulta.

DescrizioneIl braccio destro è disteso mentre il sinistro è flesso. Gli arti inferiori sono distesi e allineati l’uno accanto all’altro. I piedi sono completamente conservati e distesi.

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OsservazioniIl defunto affetto da spina bifida occulta, risultata dalla chiusura incompleta della quinta sacrale durante il periodo neonatale, conferma il legame genetico con alcuni individui definendone anche l’appartenenza alla stessa comunità.

TessutoIl defunto è coperto dal collo alle ginocchia da più tessuti cuciti insieme, si tratta probabilmente di toppe e riparazioni utili per creare una camicia ampia. In alto si intuisce una manica con la cimosa che forma il polso e in basso si può riconoscere un orlo, probabilmente il fondo dell’indumento; forse si tratta di una camicia sudario, costruita da diversi pezzi di tessuto, ma non è chiaro se esiste un altro indumento sotto di essa.

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Mummia n. 11

Inumato parzialmente mummificato incompleto, in posizione semisupina. L’individuo di probabile sesso maschile é di età adulta (maggiore di 30 anni).

DescrizioneIl corpo ha arti superiori flessi e sovrapposti destro su sinistro, con mani giunte all’altezza del pube. L’arto inferiore destro risulta leggermente flesso ed è rimasto sotto il sinistro disteso in avanti. E’ da attribuirsi all’accatastamento dei corpi l’evidente compressione del torace.

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OsservazioniIl corpo completamente fasciato dal tessuto non permette una valutazione di merito approfondita sulle peculiarità antropologiche e paleopatologiche, se non attraverso gli esiti della tomografia computerizzata total body.

TessutoIl corpo è rivestito da una camicia sudario in tessuto di fibra vegetale a trama grossolana, con maniche di cui si riconoscono bene le giunzioni. Le maniche sono ripiegate e arricciate intorno ai polsi, mentre manca lo scollo. Sembra che queste camicie siano state confezionate solo per la sepoltura, ma una toppa, in corrispondenza delle ascelle, mette in possibile dubbio l’ipotesi. La parte inferiore della camicia è stata avvolta stretta intorno al corpo e cucita lungo i fianchi. Sotto di essa si riconosce un tessuto di trama più fine appartenente ad un capo di abbigliamento personale, la camicia. Attraverso le lacune di tessuto esterno si notano frammenti di calze di lana che partono da sopra le ginocchia e mancano intorno al piede.

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Mummia n. 12

Inumato parzialmente mummificato incompleto, mancante del cranio, in posizione supina. Si tratta di una donna di età genericamente adulta (maggiore di 30 anni).

Descrizioneil braccio sinistro è flesso a 90° mentre il destro è disteso lungo il fianco, la mano articolata e completa mostra la faccia dorsale con dita allontanate l’una dall’altra e leggermente flesse. Si suppone che la perdita della posizione congiunta delle mani sul bacino sia dovuta a movimenti post deposizionali del defunto, la salma doveva quindi presentarsi canonicamente composta. Durante l’autopsia sono stati recuperati diversi grani di rosario tra le pieghe del tessuto. Numerosi sono i residui di tessuto epiteliale su una mano, mentre evidenti e numerose sono le parti tendinee ben esposte sulla dorsale del piede destro.

Vania Milani, Thessy Schoenolzer Nichols, Mirko Traversari

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Quella di Roccapelago fra il XVI e il XVIII secolo era una comunità con uguale presenza di uomini e donne. La loro vita non doveva essere facile. La mortalità infantile era elevatissima, soprattutto nei primi anni di vita, così come era insolitamente alta la mortalità delle giovani donne, forse a causa di gravidanze e parti. Tuttavia, quanti raggiungevano l’età adulta, non infrequentemente arrivavano a età piuttosto avanzate per l’epoca, come attestano i numerosi inumati di età senile. La ricorrenza in molti inumati di caratteri epigenetici dello scheletro (cioè tratti anatomici che hanno una base ereditaria) suggeriscono che quella di Roccapelago sia stata una comunità relativamente isolata con tendenza a contrarre matrimoni interni allo stesso contesto sociale. I segni di malattie riscontrati: sutura su osso frontale, spina bifida occulta, foro su manubrio dello sterno, mostrano che l’ambiente e le attività lavorative incidevano pesantemente sulle condizioni fisiche degli individui. Le numerosissime lesioni articolari, le gravi patologie dell’anca, i casi frequenti di artrosi della colonna vertebrale e di scoliosi cervicale nonché le affezioni di tipo reumatico sul tratto lombare raccontano di trasporti di carichi pesanti su terreni ripidi e impervi e dei rigori invernali dell’alto Appennino. Molto diffusa l’osteoporosi, soprattutto nelle donne, forse riconducibile alle numerose gravidanze e ai lunghi periodi di allattamento. La marcata usura dentale e la perdita dei denti, anche in giovani adulti, denota un quadro alimentare povero, costituito da cibi poco raffinati (segale, crusca castagne, noci) che non sembra variare di molto nel tempo. I traumi evidenziati sono muti testimoni di scontri spesso violenti se non addirittura mortali. Riconosciuto al momento un caso di tumore benigno del cranio e segni di una infezione del femore. Un caso di trapanazione cranica su individuo femminile adulto dimostra che veniva praticata chirurgia a scopo terapeutico, in questo caso senza successo. Il malato è sopravvissuto all’operazione non oltre due settimane dall’intervento. Mélanie Frelat, Caterina Minghetti, Vania Milani, Mirko Traversari

La vita e la salute di una comunità

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Pur trattandosi di una comunità di montagna, che tra il ‘500 ed il ‘700 viveva delle limitate risorse del territorio, nel loro ultimo viaggio gli abitanti di Roccapelago erano forniti di un essenziale ma completo corredo devozionale, come dimostrano le decine di medaglie votive recuperate, i crocefissi in legno e metallo, i numerosissimi grani di rosario di forma, dimensioni e materiale vario, oltre a una rara lettera di rivelazione che accompagnava la salma di Maria Ori, sepolta nella cripta insieme a centinaia di altri defunti. Le medaglie venivano apposte fra le pieghe degli abiti o in appositi sacchetti. Tranne poche eccezioni, esse presentano iconografie ricorrenti. Tra le più diffuse, la Madonna di Loreto, la Madonna dei Sette Dolori, S. Emidio vescovo di Ascoli, S. Domenico, il domenicano S. Vincenzo Ferrer, la Porta Santa, S. Francesco, S. Antonio di Padova col bambino e il monogramma di S. Bernardino da Siena. I flussi devozionali sembrano dunque portare verso il centro Italia, in particolare nelle Marche, nell’Umbria e in Toscana, ma anche nella più lontana Puglia come rivela una medaglia con Sant’Oronzo, patrono di Lecce. Particolarmente interessante è il culto di Sant’Emidio, invocato contro i terremoti che in passato hanno frequentemente colpito l’alta valle del Frignano e il culto della Vergine dei Sette Dolori, rappresentata con sette spade conficcate nel cuore, la cui festa venne istituzionalizzata da papa Innocenzo XI solo nel 1688. La devozione più documentata è quella della Madonna di Loreto, raffigurata non solo su un cospicuo numero di medaglie ma riprodotta a stampa anche su stoffa. Sempre a stampa ma su carta è stato recuperato il trigramma bernardiano. Significativa è la presenza di crocefissi, anche di pregevole fattura, alcuni dei quali recano al rovescio la raffigurazione della Madonna del Soccorso con la preghiera “vitam praest puram” “assicuraci una vita pura”. Al culto della Madonna del Rosario, la cui festa fu istituita da Pio V nel 1571, sono infine da riferire numerosi rosari, alcuni dei quali ancora conservati tra le mani di alcune mummie. Singolare è infine la lettera di Maria Ori, un raro documento di spiritualità popolare. Si tratterebbe della trascrizione di un documento trovato, secondo la credenza, nel Santo Sepolcro di Gerusalemme che fa riferimento alla “rivelazione” sulla passione di Cristo ricevuta dalle Sante Elisabetta, Brigida e Matilde direttamente dal Redentore. La seconda parte della lettera prescrive le preghiere da recitare per quindici anni e ottenere indulgenze, protezione divina, salvare la propria anima, sfuggire al demonio e alle pene del purgatorio. Donato Labate, Barbara Vernia

Le testimonianze devozionali

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Prima di essere inumate le salme venivano amorevolmente preparate dai propri cari. I capelli delle donne erano acconciati a treccia o con uno chignon, fermati da sobri spilloni e fermagli in osso e piccoli pettini. Spesso i capelli venivano raccolti dentro cuffie di canapa, a volte di seta, come voleva la moda del tempo. I gioielli, in nessun caso di metallo prezioso, rappresentano lo specchio della società di Roccapelago, povera ma estremamente dignitosa come rivela anche l’uso dei bottoni in legno, stoffa e, raramente, in metallo. I defunti portavano gioielli semplici in linea con il tenore di vita della comunità: nel loro ultimo viaggio, così come capitava in vita nei giorni di festa, indossavano anelli e orecchini in bronzo e argento, collane e bracciali di sobria fattura realizzati con perline di materiali naturali quali legno, terracotta o vetro, collegati da catenelle in fibra o in metallo. In qualche caso il defunto presentava la vera nuziale ancora infilata al dito. Rare sono invece le cinture in cuoio con elementi in osso testimoniate da un solo esemplare. Toccante il recupero di un dado da gioco, che ci racconta forse di serate passate a svagarsi in piacevole compagnia mentre i resti di quello che sembra essere un rasoio, recuperato con la sua custodia in cuoio, rimanda all’attività svolta dal defunto. All’ambito femminile sono da riferire sia un pettine in legno per la tessitura, sia alcune fusaiole per la filatura: indicatori di un artigianato ben attestato dai numerosi indumenti, indossati dalle mummie, prodotti localmente in ambito domestico. Le rare monete rinvenute dentro alle tombe sono forse il simbolo dell’antica credenza popolare che rendeva necessario fornire il defunto di un obolo, l’obolo di Caronte, per pagarsi il viaggio ultraterreno. Donato Labate, Barbara Vernia

Gli ornamenti personali e altri reperti

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Nella cripta cimiteriale tra i resti dei corpi mummificati sono stati rinvenuti reperti d’interesse entomologico, botanico e zoologico divenuti oggetto di studio nell’ambito della ricerca multidisciplinare che ha qualificato le indagini condotte a Roccapelago. Entomologia Numerosissimi sono gli insetti prelevati dai corpi, dal vestiario e dai detriti della cripta. Sono stati identificati numerose specie: Diptera (mosche), Coleoptera (coleotteri), Hymeoptera (imenotteri, formiche e vespe), Lepidoptera Tineidae (tarme), Acari (acari), Aracnea (ragni), Pseudoscorpionida (pseudoscorpioni) e Isopoda (porcellini di terra). Il materiale più abbondante è costituito da pupari di ditteri, prevalentemente appartenenti alla specie Ophyra capensis (Diptera), che colonizzano i corpi subito dopo la morte come questo ammasso di pupari appartenente alla specie Ophyra capensis (Diptera, Muscidae) rinvenuto all’altezza della cavità addominale di una mummia. Tra i coleotteri la specie maggiormente presente è il Necrobia violacea (Cleridae), documentata in presenza di climi più freddi rispetto alla precedente come rivelano questi esemplari recuperati su un’altra mummia. Lo studio degli insetti aiuta a fissare la stagione in cui è avvenuta la morte di ognuna delle 60 mummie prese in esame. Significativa è l’assenza di resti di pidocchi e zecche che rivelano, nonostante la povertà della comunità sepolta, un cura dell’igiene davvero esemplare.

BotanicaDalle analisi palinologiche emerge l’immagine del bosco circostante la Rocca, con castagno, quercia, nocciolo e querceto misto. Presenti pascoli e campi di cereali: grano, orzo, segale e mais. Abbondante è la presenza di fiori spontanei: rosa canina, margherite, fiordalisi, campanule, papaveri ranuncoli, probabilmente deposti sulle salme durante le cerimonie funerarie. Rinvenuti anche resti di frutti: nocciole, castagne, faggiole, ghiande e pruno con segni di rottura dovuti ai denti di roditori. A questi animali (scoiattoli e ghiri) si deve la presenza di questi frutti da riferire a provviste raccolte nel bosco e portate all’interno nella cripta per essere consumate al riparo dai predatori.

I reperti entomologici, botanici e archeozoologici

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ZoologiaMeno documentati sono i resti di altri mammiferi da riferire principalmente a topi, rinvenuti anche questi parzialmente mummificati, che avevano scelto la cripta come abitat a loro congeniale.

Marta Bandini Mazzanti, Giovanna Bosi, Rossella Rinaldi, Paola Torri, Stefano Vanin

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Sudari Tutti i corredi tessili rinvenuti, venivano realizzati in ambito locale con prodotti del luogo in fibra vegetale e animale

(lino, lana, cotone e canapa).

Le mummie di Roccapelago erano quasi tutte vestite con due indumenti: il sudario e la camicia. Per il sudario veniva

utilizzato un tessuto grezzo (canapa), solitamente un lenzuolo che avvolgeva il defunto e ne modellava il corpo, senza

distinzione per uomo e donna, con cuciture grossolane. Particolari sono le arricciature sul collo e sui polsi che lasciavano

scoperte la testa e le mani per il rituale funerario. Il sudario ricopriva la camicia realizzata con tessuti più fini (lino o cotone),

di diversa fattura e modellata differentemente in base al sesso. Le camicie femminili sono riconoscibili per il tipo di

lavorazione del collo impreziosito da merletti. La camicia maschile si caratterizza per la presenza di rinforzi sulle spalle e

sotto le ascelle. Le camicie oltre a distinguere i sessi, hanno fornito indicazioni sulla datazione, ascrivibile, per i rinvenimenti

di Roccapelago, ad un periodo compreso tra il tardo ‘600 e il ‘700. Le camicie maschili e femminili sono simili ma con

particolari che le distinguono. Entrambe hanno un davanti e un dietro composto da un pannello di tessuto, con maniche

lunghe arricciate in fondo, rifinite con polsini chiusi da bottoni e asole. La camicia femminile poteva avere uno scollo tondo,

grande o ridotto, oppure un colletto stretto a volte rifinito da merletti con uno spacco davanti. Le camicie maschili hanno

tutte un collo alto dai 3 ai 5 cm, chiuso con bottoncini e asole. La parte superiore mostra un inserto sulle spalle per ingrandire

l’apertura rinforzata con una doppia striscia di tessuto.

Le vesti e i corredi tessili

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Calze Tutti gli inumati indossavano calze in lana o lino con maglie diminuite e aggiunte per seguire la sagoma del

polpaccio. La parte alta era spesso resa elastica da due rovesci e due diritti e decorata con motivi lineari

e diagonali. Sono documentati due modi di fare le calze di maglia: uno lavorato circolarmente con quattro

aghi, l’altro lavorato in piano con cucitura ad ago sul retro.

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Abiti

Pochissimi gli abiti completi documentati. Tra questi singolare è la presenza di una giacca da riferire ad una marsina maschile, lunga forse fino alle ginocchia con chiusura diritta sul davanti. Le maniche sagomate con paramani e bottoni, datano l’abito all’inizio del Settecento.

Le marsine, come in queste riproduzioni, sono in saia di lana e fibra vegetale, con chiusura abbottonata anteriore, diritta fino alle ginocchia e cucitura centrale posteriore con un accenno di spacco dalla vita in giu’. Collo a fascia stretta e maniche tre quarti sagomate con grandi paramani provvisti di bottoni. La marsina è foderata di tela in fibra vegetale.

Abito infantileE’ stata ritrovata solo una piccola camicia o abito infantile confezionato con tessuti di recupero, sia per il corpo che per il colletto, realizzati in tela di lino fine e leggera.

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Sciarpe

E’ stata ritrovata una sciarpa in tela di fibra vegetale con cimose e orli e motivo a scacchiera blu e beige. Questo esemplare dimostra che pur tessendo semplici tele era possibile creare disegni combinando colore e materiale. In questo caso per il colore blu è stata utilizzata una pianta: il guado.

Ornamenti

Molte delle camicie femminili sono decorate con pizzi a fuselli a fili continui in fibra vegetale. Si tratta di merletti semplici, spesso con motivi geometrici, lavorati dalle donne del luogo per adornare e impreziosire i propri capi.

Nastri

Sono documentati i nastri lavorati “a tavoletta”, il che indica che, almeno nel Seicento, si praticava questa tecnica andata in disuso in seguito. I rari frammenti di nastri di seta colorata rilevati, probabilmente non di produzione locale, provenivano da mercanti viaggiatori.

Fettucce

Le fettucce repertate molto più resistenti dei fili ritorti, erano utilizzate per rifinire camicie, abiti e copricapi e per creare asole per bottoni. Tutti gli esemplari presenti sono intrecciati con fili singoli o lavorati “a cappio” sulle dita. I rinvenimenti attestano che l’intreccio “a cappio” tra il ‘600 e il ‘700 era conosciuto e praticato anche dai ceti sociali meno abbienti.

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Cuffie

Le cuffie ritrovate sono tutte tessute in tela di fibra vegetale (cotone, lino, canapa) ad eccezione di due reperti in seta.

Thessy Schoenholzer Nichols

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Nella sepoltura di Roccapelago sono state ritrovate due cuffie in seta che rappresentano un’anomalia rispetto al resto di indumenti in lana, lino, canapa e cotone indossati dalle mummie.I due copricapi da neonato e bambino di genere indistinto, oggi restaurati ed esposti nel terza sala del museo, non sono solo il segno di un affetto struggente lasciato sui corpi dei rispettivi proprietari, ma testimoniano i loro ornamenti più preziosi a memoria di un benessere più elevato raggiunto in vita rispetto ai conterranei inumati. Sono manufatti di lusso confezionati in filato di seta tessuto in damasco e in velluto, due tecniche tessili costose che presupponevano l’utilizzo di macchine complesse appartenenti ad un comparto produttivo non locale. I colori, rosso violaceo della cuffia in damasco e marrone scuro quasi nero della cuffia in velluto, sono meno pregiati rispetto alle tinture solitamente più costose usate nella lavorazione della seta come il cremisi, la porpora e il nero. Le due cromie contrassegnano, comunque, il livello massimo di benessere economico che si potevano permettere i rispettivi proprietari.A differenza del resto di indumenti ritrovati sulle mummie, tessuti e cuciti in ambito domestico, i due preziosi copricapi in seta, sono stati sicuramente oggetto di un dono o di un acquisto fuori zona. Quanto alla datazione, mentre la cuffia in damasco di seta rossa per il tipo di decoro floreale e la sua forma cubica composta da una banda centrale e due alette laterali, suggerisce una datazione alla prima metà del XVIII secolo, la cuffia in velluto unito di seta marrone per la sua confezione a calotta emisferica con spicchi concentrici, fa riferimento ad una cronologia più ampia corrispondente a quella degli inumati di Roccapelago, essendo questo modello di copricapo molto diffuso tra il Rinascimento e il Settecento.

Iolanda Silvestri

Le cuffie di seta

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La grande quantità di reperti tessili rinvenuti a Roccapelago, pur nella frammentarietà che caratterizza il ritrovamento dal punto di vista vestimentario, rappresenta comunque un materiale di studio importante e unico, sia dal punto di vista storico-sociale e antropologico, sia per quanto riguarda l’aspetto merceologico e tessile. La specificità di trattamento tecnico richiesta da un ritrovamento di questo tipo, ha stimolato la ricerca di nuove prassi di studio e di conservazione.La prima ricognizione, condotta sulla totalità delle mummie, presso la sede di Ravenna del Laboratorio di Antropologia del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna, è stata fondamentale per la raccolta delle informazioni che hanno determinato la scelta di svestirne una parte, conservandone intatta un’altra, e, soprattutto, si è rivelata determinante per la raccolta dei dati sartoriali e merceologici riportati nelle schede, prima in forma cartacea e poi informatica.Gli abiti delle mummie sono stati sottoposti a depolveratura, con aspiratori a velocità regolabile, effettuata in loco a Ravenna. La stessa modalità è stata adottata anche quando si è deciso di non svestire l’inumato per conservarne la particolare postura o la gestualità: mani giunte, piedi sovrapposti, braccia raccolte. I tessili prelevati dai corpi svestiti, previa accurata documentazione fotografica dell’insieme e dei particolari significativi, sono stati avvolti in fogli di carta velina, separando le diverse stratificazioni, quindi riposti all’interno di scatole di cartone non sigillate, chiuse con fettucce nella parte alta per facilitare il passaggio di aria ed infine numerate per l’identificazione immediata dell’individuo di appartenenza .Si è osservato che nella modalità di inumazione, riscontrabile in ogni individuo, sono presenti vicino al corpo la camicia con ogni probabilità parte dell’abbigliamento di una vita sempre rammendata più e più volte, e sopra il sudario, ovvero, l’abito di sepoltura, arricciato all’altezza dello scollo e dei polsi, che ricopre tutto il corpo, a volte anche il capo, lasciando scoperti i piedi protetti dalle calze. La ricorrenza di queste tipologie nelle vesti ci ha portato a scegliere come esemplificazione dell’abbigliamento degli abitanti di Roccapelago, alcuni frammenti tessili: una parte di camicia ornata da un merletto, un abito per bambino, due copricapi con foggia a cuffietta e una parte di polsino per dare inizio alle operazioni di recupero, permettendoci di individuare così una metodologia idonea alla condizione di ”reperto archeologico” che costituisse una base per possibili altri interventi.

La conservazione dei tessili

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I reperti tessili selezionati sono stati sottoposti prima a uno studio approfondito dei dati sartoriali e merceologici, poi a un intervento conservativo che ha previsto la depolveratura, la vaporizzazione graduale, il lavaggio a immersione con acqua e detergente neutro o la vaporizzazione per permettere la corretta distensione delle fibre e il recupero della forma originaria, mediante posizionamento su appositi supporti a forma.

Annalisa Biselli, Ivana MichelettiRT Restauro Tessile

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Finito di stampare nel 2017Centro stampa Regione Emilia-Romagna

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