Guida ai misteri e piaceri di Palermo · storico rimaste come all’indomani dei bombardamenti del...

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Pietro Zullino

Guida ai misteri e piaceri

di PalermoPrefazione di Maria Antonietta Spadaro

Presentazione di Amedeo Lanucara

Dario Flaccovio Editore

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« Si dovrebbe rappresentare Palermo come una cortigiana che soggioga i conquistatori più fieri e li mette ai suoi piedi ».

Paul De Musset

« Palermo è una miserabile Vandea dove l’aria è ammorbata dal puzzo di un costume fuorilegge che avvolge tutto, dalla politica ai marciapiedi ».

Il Giornale di Sicilia

« Cumannari è megghiu ca futtiri ».Proverbio siciliano

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Pietro ZullinoGuida ai misteri e piaceri di palermo

ISBN 978-88-579-0383-5

© 2014 by Dario Flaccovio Editore s.r.l. - tel. 0916700686www.darioflaccovio.it [email protected]

Prima edizione: novembre 2014

Zullino, Pietro <1936-2012>

Guida ai misteri e piaceri di Palermo / Pietro Zullino. - Palermo : D. Flaccovio, 2014.ISBN 978-88-579-0383-51. Palermo – Guide914.58231CDD-22 SBN Pal0274142

CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace”

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Pietro ZullinoBrevi note biografiche

Pietro Zullino (Torino 1936 – Roma 2012) giornalista professioni-sta dal 1963, ha svolto numerose inchieste che hanno fatto la storia del giornalismo italiano. Basti ricordarne una: il clamoroso caso di Franca Viola, da lui sostenuta sia dal punto di vista giornalisti-co attraverso il settimanale Epoca, sia dal punto di vista pratico, riuscendo ad affidare il sostegno della sua accusa al grande avvo-cato Alberto Dall’Ora. Fu lei la prima donna siciliana, negli anni Sessanta dello scorso secolo, a ribellarsi alla sopraffazione auto-rizzata, facendo condannare il suo stupratore mafioso ben prima della stagione del “femminismo”, e in piena vigenza dell’articolo 544 del codice penale che, in caso di “matrimonio riparatore”, con-sentiva l’estinzione del reato anche se compiuto ai danni di una minorenne. Per molti anni Zullino fu a capo della redazione ro-mana di Epoca, fu poi direttore de Il Settimanale e di Roma, uno tra i più antichi quotidiani italiani. Sotto la sua direzione, il men-sile dell’Arma Il Carabiniere arrivò a oltre 200 mila abbonamenti. Molti dei suoi rapporti di lavoro li troncò per la rettitudine morale che gli impediva di accettare ingerenze politiche o di potenti. Au-tore di libri che per l’approccio rigoroso e l’attenzione ai contesti storici inquadrati nel loro “divenire” si possono definire tutti di grande attualità, ha pubblicato con tutti i maggiori editori italiani e ricevuto numerosi premi. È stato tra i fondatori dell’Associazione Internazionale di Cultura “Laudomia Bonanni” per promuovere la conoscenza della grande scrittrice aquilana.

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Nota dell’Editore

Il testo qui pubblicato si basa sulla prima edizione stampata nel 1973 dalla Casa Editrice Sugarco. Le poche note presenti sono state inserite per dare un minimo di chiarimento laddove ritenuto indispensabile.Sarebbe stato forse utile inserirne una maggior quantità, dal mo-mento che effettivamente, in questi lunghi anni, molti sono stati gli interventi di recupero, e non sono pochi i monumenti o luoghi – citati dall’Autore come decadenti e inaccessibili – che oggi sono stati recupe-rati e resi disponibili alla più ampia fruizione. Di gran lunga inferiori quelli di recupero dell’edilizia abitativa, documentata dai numerosi crolli, quasi cadenzati, alcuni con vittime, alcuni fortunosamente no. Ma intento dell’Editore, nel ripubblicare questo libro, non è quello di evidenziare i piccoli, medi o grandi interventi operati in campo archi-tettonico-monumentale, o quelli che, non realizzati, hanno determina-to un aggravamento dello stato di salute di altri, bensì di richiamare l’attenzione sull’unico grande macigno che oggi come ieri, in maniera assolutamente identica – se non peggiore – grava non su Palermo, ma sulla nazione Italia. Né deve essere l’Editore ad attribuire quali-fiche o nomi a questo macigno. Zullino lo spiega ampiamente. Tutti i Servitori dello Stato lo hanno spiegato e dimostrato, molti pagando con la propria vita. Tante sono e sono state le voci che si sono levate a denunziare l’ignavia o, spesso, la connivenza.Ai lettori il compito di riflettere, e – sperando che tra loro molti siano i giovani – l’invito a ragionare sulla forza della Cultura, unica vera antagonista in grado di combattere e – se veramente lo si vuole – de-bellare il malaffare.

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Prefazionedi Maria Antonietta Spadaro

Confesso che quando negli anni ’70, ventenne, ebbi tra le mani il li-bro di Zullino non ne compresi appieno la straordinaria dirompente importanza. Ero troppo giovane, palermitana e forse presa dalla con-testazione studentesca, per mettere a fuoco la realtà che ci circondava.Pietro Zullino, nato a Torino il 16 giugno 19361 e deceduto a Roma il 4 gennaio 2012, nella sua straordinaria attività di giornalista e scrittore pubblicò nel 1973 questa brillante Guida ai misteri e piaceri di Pa-lermo. Il titolo è fuorviante: non si tratta infatti di suggerire percorsi storico-artistici o eno-gastronomici in una città complessa ma tutto sommato simile a tante. Pur non essendo uno storico, con il taglio e lo spirito del giornalista di razza, seguendo inchieste e scavando nella cronaca anche lontana, egli analizza l’intera storia di Palermo. In que-sto lungo excursus individua un “peccato originale” che egli battezza come “sindrome panormita”. Questa sorta di fatal flaw, difetto fatale, si configura e modella nei secoli adattandosi ai vari contesti storici e definendo i propri precisi obiettivi di potere e “comando”, potremmo dire di “trattativa in trattativa” con i vari governi succedutisi. Zullino nel 1973 ha già chiari i futuri sviluppi planetari del fenomeno mafio-so panormita: quei metodi, originari di Palermo, che ormai vengono applicati con scientifico rigore dalle potenze mondiali. Ad esempio aveva intuito quarant’anni fa fin dove si sarebbe spinto il ruolo delle banche nella gestione del potere e ancora le connessioni sotto l’egida della mafia, dalla politica alla finanza, alla gestione del sottosviluppo dei popoli, alle strategie belliche e terroristiche.

1 La nascita nel capoluogo piemontese fu casuale, poiché i genitori erano insegnanti itineranti legati alla “Dante Alighieri”. Le sue radici erano mediterranee, pugliesi per parte di padre e armene per parte materna.

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Scriveva profeticamente: “Le banche. I templi del potere. La mafia ag-giorna e trasforma le sue caratteristiche originali; da guardia di ferro della setta panormita diventa braccio armato di quella fetta di umanità che comanda e che è apolide, supernazionale, intercontinentale: l’ari-stocrazia del danaro. Avremo presto altri e più evidenti segni di tanta apoteosi.” (pp. 408-409) Eccome se abbiamo avuto i segni!2 Sono que-sti gli effetti del neoliberismo, ormai “il” sistema che ci viene imposto come unico possibile e razionale: nel momento in cui gli accordi di un contratto commerciale privato possono scavalcare le leggi e le costitu-zioni delle singole nazioni, si genera un meccanismo per cui la ragione del privato sopraffà la ragione del pubblico. Non è forse questa l’es-senza della mafia? Ecco perché oggi neoliberismo e mafia convivono e prosperano vittoriosi. Questo libro scritto nel 1973, quando già era evidente lo sfacelo socia-le della città, ma prima che il crescendo degli orrori, dei delitti, delle sporche connivenze mafia/politica connotasse agli occhi del mondo Palermo quale capitale del crimine organizzato, ci appare profetico e sconcertante.Del resto quale città europea può vantare la quantità e la brutalità di stragi e delitti nei confronti di magistrati, uomini delle forze dell’ordi-ne, sindacalisti, medici, imprenditori, religiosi, i quali ebbero il torto di opporsi allo strapotere della mafia scegliendo di operare nel solco della legalità? Il maxiprocesso a Cosa Nostra, iniziato nel 1986 a Pa-lermo, è ricordato come il più grande processo penale mai celebrato al mondo. I brillanti risultati allora ottenuti da magistrati incorruttibili

2 F. Rampini, Banchieri. Storie del nuovo banditismo globale, Mondadori 2013. “Nel corso del 2012 le banche hanno tagliato alle imprese italiane 44 miliardi di euro di finanziamenti”, scrive Rampini. Le banche hanno assorbito in silenzio la loro parte dei 500 miliardi netti – o mille miliardi lordi – di prestiti straordinari della Bce. “I banchieri si sono incamerati gli aiuti di Draghi – continua l’autore – ma non hanno restituito nulla al paese. Hanno negato agli imprenditori veri le risorse indispensabili per produrre, esportare, assumere”.

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provocarono le violente e “spettacolari” reazioni della mafia nei con-fronti di chi non si era lasciato “comprare”. Lo Stato non ha reagito adeguatamente, pertanto oggi il giro d’affari della mafia è in crescita. Quest’escalation si dimostra particolarmente aggressiva essendosi la mafia appropriata dei metodi del neocapitalismo, che le sono familia-ri: il primato del privato sul pubblico.La “guida” di Zullino su Palermo ebbe vasta diffusione, suscitando all’epoca scalpore e procurando all’autore non pochi problemi, del re-sto prevedibili. La città non ha certo migliorato in quarant’anni le proprie condizioni: si trova davanti a situazioni per certi versi forse peggiori di un tempo, e purtroppo sembra incapace di venirne fuori. Zullino parla di luo-ghi di Palermo ormai scomparsi, come il vivace e colorato mercato storico della Vucciria; scrive che affacciandosi da Monreale vede “la cascata verde della Conca d’Oro” (!?); ricorda la biblioteca e il museo del Risorgimento della Società Siciliana di Storia Patria, al momento non fruibili. Naturalmente molti altri luoghi allora in degrado, come ad esempio la Zisa, negli ultimi anni sono stati recuperati spesso con buoni risultati; ma abbiamo ancora, dopo settant’anni, zone del centro storico rimaste come all’indomani dei bombardamenti del 1943.La crisi globale non basta a giustificare decenni di degrado urbano, carenze di servizi e i mille aspetti negativi che rendono la città tra le meno vivibili del paese. Tutto ciò è ancora più grave se si pensa al pa-trimonio culturale che abbiamo ereditato, all’intrinseca bellezza del luogo in cui Palermo fu edificata sette secoli prima di Cristo. Palermo è la città dove è nata la lingua italiana; Palermo ha avuto il primo par-lamento al mondo; e si potrebbe continuare a lungo sui suoi primati.La consapevolezza di appartenere a una città di così alto valore storico e culturale non si traduce in un sentimento responsabile di custodia di questo patrimonio, ma in un atteggiamento di supponenza, per cui i palermitani spesso si sentono “superiori” ai comuni mortali che abi-tano il resto del mondo.

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Secondo Zullino la Sicilia, centro del mondo al tempo di Ruggero II, il normanno, e di Federico II di Svevia, avendo perduto in seguito la figura di un sovrano forte in grado di assicurare all’isola primati di as-soluta importanza politica e storica, non accetterà mai di sottomettersi a governi esterni o di far parte di domini altri. Lentamente nei secoli riuscirà ad elaborare perverse forme di potere alternativo che l’autore documenta affascinando il lettore, che rimane al contempo sconcerta-to dal rigore logico della trattazione.La storia della città ha configurato una decisamente inquietante forma mentis delle classi dominanti, prive di scrupoli e totalmente incapaci di gestire la cosa pubblica al di fuori di esclusivi interessi privati. Chi tenta di operare per il bene comune ha le mani legate e, per non soc-combere, deve cedere a compromessi. Il risultato è stato, come è tut-tora, quello di bloccare lo sviluppo economico, di ostacolare la crescita civile e culturale dei ceti popolari, lasciandoli invischiare nelle spire della malavita organizzata che li manovra e utilizza per i propri sco-pi. Fiumi di danaro pubblico ingrottati in illeciti percorsi sotterranei a rimpinguare le casse della mafia per oltre un cinquantennio – limitan-doci al periodo dal dopoguerra ad oggi – hanno prodotto un impove-rimento spaventoso del tessuto sociale e in generale dell’intera isola.3 Il ritratto intrigante della città, attraverso acute analisi e ironia mista a rabbia, si disegna nel corso della nostra lunga storia, evidenziando comportamenti e vizi ancor oggi riscontrabili in una parte dei siciliani, più precisamente nei panormiti, per usare l’espressione di Zullino.Si attraversa la complicata storia di questa città nella cui aristocrazia,

3 Si veda il fondamentale testo dello storico Giuseppe Carlo Marino, Storia della mafia, Newton Compton, Milano 1998, nelle cui pagine si snodano, con analisi dettagliatissime, documentate e avvincenti, le vicende di Cosa Nostra con riferimento anche al periodo successivo al 1973, che Zullino ovviamente non ha trattato. Marino racconta eventi, dinamiche, connivenze, processi, ecc. relativi a questa mostruosa piovra siciliana dalle incredibili risorse.

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già nel periodo spagnolo, vicereale, si cominciano a configurare nell’a-ristocrazia palermitana modi, organismi e sistemi di potere incredi-bilmente “moderni”: persino la Santa Inquisizione viene interpretata come un Ente che l’autore, con le seguenti parole, paragona all’attuale Regione Siciliana: “la Santa Inquisizione; i panormiti l’avevano subito trasformata in un enorme ente pubblico capace di dare pane e lavoro a ventiquattromila individui; intorno all’Ente Inquisizione si era for-mata una gigantesca Famiglia che comprendeva baroni, preti, clienti, dipendenti, bravacci, servi; i “non familiari” vivevano nell’incubo di svegliarsi una mattina sotto accusa, e di essere arrestati, depredati, incarcerati e qualche volta mandati al rogo.” (pp. 299-300) Non di-mentichiamo che la mafia ha fatto fuori persino un Presidente della Regione, che probabilmente avrebbe voluto cambiare la logica vigente della corruzione. Poi l’analisi prosegue con altri periodi fino all’Unità nazionale e già Palermo ha chiaro come dettare le “sue” regole al go-verno nazionale. Scrive Zullino: “la lezione di Machiavelli era veramente applicata in Italia. Dalla gestione del potere filosofia, religione e morale sono esclu-se. Si può rubare per il partito e uccidere per mantenersi in sella. Le banche servono a finanziare operazioni illecite ma vantaggiose per chi comanda. I fondi dei ministeri servono al ministro per contentare il proprio collegio e la propria clientela. La polizia serve a impedire le in-dagini sui crimini di natura politica e a depistare la morbosa curiosità della stampa. La magistratura serve a coprire le malefatte e a mandare assolti i colpevoli. Cosa pubblica è un’espressione senza senso: esiste solo cosa nostra.” (p. 190)Grande spazio il libro dedica alla drammatica strage di Portella della Ginestra, caso ancor oggi irrisolto, che Zullino definisce L’Intrigo Fon-damentale, ossia il caso di Salvatore Giuliano, questione chiave dei giochi di potere dell’immediato dopoguerra.Anche la vicenda di Mauro De Mauro rimane sospesa sul mare del-

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le losche storie palermitane, intrecciandosi con il clamoroso e altret-tanto inquietante caso Mattei; e Zullino dedica molta attenzione alle due storie per evidenziare le tortuose vie dell’ingiustizia, che invece di chiarire i fatti cerca in tutti i modi di ingarbugliare le indagini con false piste rendendo impossibile scorgere il benché minimo barlume di ve-rità. Proprio sul caso De Mauro la magistratura chiamò a testimoniare Pietro Zullino qualche tempo fa (diversi anni dopo la scomparsa del giornalista de L’Ora) e, incredibile a dirsi, l’indagine si concluse nel 2011 con l’assoluzione del noto capomafia Totò Riina e con l’incrimi-nazione di Zullino con altri due giornalisti, per dichiarazioni reticenti e contraddittorie4 lasciando l’impressione, agli osservatori più attenti, di voler screditare Zullino proprio per aver scritto assolute verità.La ricomparsa nelle librerie di questo volume ritengo possa aiutare a capire tante cose, nonostante siano trascorsi quarant’anni dalla sua prima edizione. Le nuove generazioni avranno uno strumento utile per comprendere le attuali strutture del potere, anche se ormai esse rie-scono a produrre crudeli dinamiche, che vengono talvolta contrastate dai governi in modo blando e superficiale. Pensiamo ai conflitti bellici (leggasi: produzione crescente di armi, operazione fondamentale per reggere l’economia dei paesi industrializzati), al mantenimento del sottosviluppo in aree ancora vaste del pianeta (sono molto vicini a noi gli effetti delle tragiche migrazioni di povera gente costretta a lasciare il proprio paese affrontando disastrosi viaggi di fuga, con il miraggio di una vita appena accettabile5), all’impoverimento complessivo della popolazione (con la concentrazione di ricchezza sempre maggiore nel-le mani dei manovratori di un tale sistema, che è limitativo ormai de-

4 G. Giustizieri (a cura di), Pietro Zullino. Una vita per la scrittura, Carabba, Lanciano 2013, pp. 64-65. Interessante e utile volume, scritto a più mani, per chi volesse approfondire l’attività e l’intera produzione letteraria di Zullino.5 Su questo argomento si consiglia la lettura del libro di G. Catozzella, Non dirmi che hai paura, Feltrinelli 2014, Premio Strega Giovani.

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finire soltanto“mafia”), allo scoraggiare l’imprenditoria sana (stretta da un lato dalle insostenibili tassazioni e dall’altro, nella nostra felice terra, dalla pratica ancora vigente del “pizzo”), e si potrebbe continua-re. È questa credo l’intuizione più preziosa proposta da Zullino: l’in-terconnessione tra mafia, politica e poteri economici sovranazionali neocapitalistici. Al di là di questa visione, continuare a parlare di mafia ancorati a Pa-lermo è puro folclore. La consapevolezza della situazione attuale rimane il primo passo per cercare di porre rimedio a questi scenari, di cui quarant’anni fa solo pochi, come Zullino, seppero prevederne gli sviluppi.

Palermo, 16 settembre 2014

Maria Antonietta Spadaro, nata a Palermo, è architetto e storico dell’arte. Già docente nei licei e presso la “Scuola di specializzazione in Storia dell’arte me-dievale e moderna” della LUMSA, attualmente ricopre prestigiosi incarichi di rilievo nell’ambito della sua specializzazione; ha curato diverse mostre d’arte contemporanea, come Novecento Siciliano, Giovanni Lentini, Michele Catti, ospitate anche in molte città europee. È autrice di molte pubblicazioni.

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Presentazionedi Amedeo Lanucara1

la storia

Il 22 dicembre del 1973 (dono di Natale!) mi giunge una copia del suo recentissimo Guida ai misteri e piaceri di Palermo. L’accompagnava un biglietto conciso: “Vorrei un tuo giudizio sincero; ne discuteremo al prossimo week-end, salutissimi”. (Pietro era fatto così. Come tutti i veri Grandi, si metteva sempre in discussione). Lessi d’un fiato le 232 pagine, passando insonne un’intera notte; m’in-chiodava il suo stile terso e lussureggiante, sorvegliato e funambolico. Si raccontavano vicende inquietanti con un’asciutta ironia voltairiana, aprendomi a orribili scenari, fin ad allora ignoti. Non sapevo d’una Sicilia “diversa”: la flotta di Nelson la preservò dagli sbarchi di Napoleone; e dunque non conobbe il soffio rivoluzionario francese, né le leggi murattiane eversive del Baroname e dei latifondi abbazial-vescovili. Queste leggi, peraltro edulcorate e mal applicate, arriveranno soltanto nel 1867, dopo l’Unità d’Italia.Non sapevo che la Mafia fu legittimata una prima volta da quel supporto agli Anglo-borbonici; una seconda dal sostegno a Garibaldi nell’Impresa dei Mille; una terza dal puntello agli Americani per lo Sbarco a Gela; una quarta dall’alleanza con la Cia contro il Kgb nella battaglie spionistiche della guerra fredda e nella difesa a Comiso dei missili nucleari Usa (temo che una quinta sia in corso di rifinitura).

1 Per gentile concessione dell’editore Carabba. Questo testo è liberamente tratto e rielaborato dal brano “Pietro Zullino, scrittore-giornalista tra due secoli” contenuto nel volume Pietro Zullino. Una vita per la scrittura, a cura di Gianfranco Giustizieri (2013), con il contributo di quattordici autori (Colacito, Falconi, Fiorani, Gargiulo, Garzia, Giustizieri, Graziani, Harrison, Jori, Lanucara, Mariani, Samaritani, Simo-netti, Tocci).

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Ciò le ha consentito di trasformarsi in un Feudalesimo di nuovo conio, che contende vittoriosamente allo Stato il controllo del territorio e dell’economia, in un rapporto ora cooperativo, ora bellico. Non sapevo che la Sicilia, proprio per le sue diversità, fosse anche il laboratorio dei rivolgimenti politici nazionali (“ciò che va bene alla mafia, andrà bene a tutti”).In quel periodo codeste vergogne non soltanto si coprivano con un rigoroso top secret, ma si negavano tout court. La tesi ufficiale del Palazzo, Corifei compresi, era: l’onorata società non esiste, se non nei mediocri romanzi d’appendice! Perciò il libello del neo Direttore del Roma diventerà un best-seller, con un’immancabile scia di polemiche e persino di dolori.Tranne qualche mosca bianca invisa e isolata, c’era allora un unico blocco impermeabile, impenetrabile, inossidabile tra i padrini e una magna pars di gendarmi, procure, corti di giustizia, gerarchie ecclesia-stiche e uffici pubblici (governo, regioni, province, comuni).Che impudenze! “La mafia non c’è”?... Forse fu uno scherzo Portella della Ginestra?... O una carnevalata la scomparsa di Placido Rizzotto?... O una burla l’assassinio di 37 sindacalisti in un biennio, tra i quali Epifanio Li Puma a Petralia, Calogero Cangelosi a Camporeale, Giuseppe Casarrubea a Partinico?... Furon quisquilie le tragedie del separatismo, del bandito Turiddu, di suo cugino Gaspare Pisciotta?... O le mattanze dei corleonesi Liggio, Riina, Provenzano?...Univoca la replica dell’establishment: folklore, semplice folklore paesano, utile per i poemi letterari. Ma che mafia e mafia d’Egitto! La nostra è una costumanza di criminalità pittoresca, che ci attira un bel Turismo decadente, alla ricerca di emozioni hard! Non v’è nulla, comunque, che non sia sotto controllo! Carta canta!... Ladies and Gentlemen, è una menzogna propagandistica che qui ci sia una super-delinquenza, lo dimostrano centinaia di processi, dissoltisi nel

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ridicolo e con la condanna a pene severe degli Agit-prop, che vorreb-bero farci credere il contrario… Son fanfaluche gli inverecondi sacchi edilizi di Palermo, grazie a Catasti falsi e a mappe contraffatte negli Uffici Tecnici!... Son frottolacce che si stravolse la Conca d’Oro, per costruirvi giungle di calcestruzzo, vendute a peso d’oro ad una nuova e rampante borghesia ignorantella!... Son calunnie che i picciotti fecero saltare nottetempo con la dinamite le deliziose e principesche residen-ze liberty, orgoglio della città! (La Deliella, ad esempio, un capolavoro architettonico di Ernesto Basile)... Che più?... Son dicerie che a Palermo, in un solo mese, si rilasciarono 3.011 licenze edilizie a cinque Pensionati al verde, che tutt’insieme non avevan i soldi manco per un canile!... Son chiacchiere gli improv-visi e facili guadagni di fitusi analfabeti, fin ad allora senz’arte né parte!... Son balle le liaisons dangereuses tra i boss mafiosi e i raìs politici (da Bernardo Mattarella a Vito Ciancimino)... Son pettegolezzi i legami tra i boss mafiosi, i raìs politici e l’arcipelago delle imprese (i fratelli palazzinari Angelo e Sasà La Barbera, la cuginanza esattoriale di Nino e Ignazio Salvo, eccetera)... Son menzogne le illazioni sulla società va.li.gio che s’accaparra gli appalti pubblici, e che è un acroni-mo dei tre “Giovani Turchi” (Ciccio Vassallo, un carrettiere incapace di firmarsi, il sindaco Salvo Lima, il sottosegretario alle Finanze Giovanni Gioia)... Son montature giornalistiche gli apogei di droga, pizzo, usura, lenocinio; ed è un gossip il malaffare che monta inarre-stabile, bloccando ogni investimento legittimo. “Troncare, sopire...; sopire, troncare...”. In questo climax assolutorio, ovattato e perbenista, che nasconde ogni sudiciume, il libro di Pietro Zullino scoppia come una bomba termonucleare, lasciando sul terre-no montagne di rovine e creando la consapevolezza che la mafia non è più una bagattella, confinata in un’isola del sole. La mafia si sta evol-vendo nella più aggressiva multinazionale del crimine, dell’industria e della politica, che si conosca nel mondo.

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le storie

Caso unico per un instant-book, Guida ai misteri e piaceri di Palermo si legge tuttora d’un fiato, perché le cronache nerissime di ieri non si differenziano da quelle d’oggi2. Tranne alcune successive scoperte giudiziarie su singoli episodi (o tranne la successiva scoperta di depistaggi e di Servizi deviati, che creavano ex post trame fasulle, per nasconderne altre più obbrobrio-se), l’impianto del libro, quarant’anni fa rivoluzionario, resta attuale. Da allora, purtroppo, di veramente nuovo c’è solo un pugno di eroici Servitori dello Stato, che non si fanno sedurre dai fiumi di denaro sporco, respingono le pressanti minacce per intimidirli, non scendono a patti col nemico; e pagano con la vita una guerra pressoché solitaria ai Mammasantissima e ai loro Quaquaraquà.L’elenco è noto. Va da Boris Giuliano a Cesare Terranova, da Emanuele Basile a Gaetano Costa, da Pio La Torre a Rocco Chinnici. Per non parlare dei Carlo Alberto Dalla Chiesa, dei Giovanni Falcone, dei Paolo Borsellino... Al di là d’ogni retorica stantia, è il loro sacrificio che oggi crea un prologo di coscienza civica e di rabbie popolari; e che garantisce la nascita di lodevoli sodalizi (vedi Libera di don Luigi Ciotti, Associazione Caponnetto, eccetera). Ieri come oggi, dicevamo. O, rectius, oggi come ieri e ierlaltro. Insieme ai tremendi misteri, il libro contiene infatti un enorme scrigno di piaceri noir, ossia di grandguignolesche pagine di Storia, ambientate all’epoca del tronfio vicereame spagnolo, una satrapìa sanguisuga dai perfidi sollazzi e dalla crudeltà barocca, che permea tuttora l’habitat

2 Che Guida ai misteri e piaceri di Palermo sia davvero un instant-book senza tempo e senza rughe lo testimonia il recente interesse nei suoi confronti del noto scrittore e giornalista Corrado Augias. Nel suo best-seller I segreti d’Italia (Rizzoli, 2012) Augias cita lungamente il testo di Zullino (pp. 92-95 e 273), con particolare riguardo alle processioni paganeggianti di Santa Rosalia e agli spettacoli festaiol-popolari dei roghi inquisitori.

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di umori maligni, in una sinfonia caliginosa di impulsi primordiali e di sofisticate rappresaglie, che rimandano alla narrativa gotica. Tralasciamo una buffa ricerca dell’Autore al numero 45 di via dei Beati Paoli, sede leggendaria degli improbabili Beati Paoli, per soffermarci sulla dissolutezza morale dei magnanimi lombi, a cominciare dalle infedeltà muliebri. Allora come adesso (scrive Zullino) ogni amplesso osé doveva svolger-si in “un manto di ferreo perbenismo”: nessun vizio era out, purché in un perimetro tartufesco. “Allusioni, chiacchiere e maldicenze” signifi-cavano che milady non si cautelò, “di conseguenza era riprovevole”; e faceva perdere la faccia a milord, col rischio d’una carneficina. Il rischio aumentava però la goduria, specie nel chiuso delle carrozze, attrezzate ad alcove. Lì dentro le fanciulle patrizie s’allenavano alle “conoscenze primaticce” . Il peccato? Roba “per la Gentuzza, non per i Germogli dei Semidei”.

ieri

Soffermandomi sui passaggi più stuzzicanti del pamphlet, trovo davvero straordinario uno slogan, rilanciato dal Roberto Saviano di Gomorra e di Vieni via con me: tutta l’Italia è Sicilia. Infatti. A flusso continuo oggi leggiamo le tremende news, che parlano d’una mafia (in joint-venture con la ‘ndrangheta e con la camorra dei Casalesi), che ha già espugnato il Lazio, l’Emilia, il Piemonte e la Lombardia, dilatandosi verso Amburgo. Parrebbe il castigo postumo dei brigantaggi e delle insorgenze. Gli ex cafoni, conquistati nel 1860 da Garibaldi e dai Savoja, si trasformano in conquistadores dello Stivale e del mondo.Scrive Pietro nel 1974 (ribadisco: nel 1974!). Scoppiò “lo scandalo delle intercettazioni” ed emerse “una sconcertante realtà: Roma, Milano e Torino, non meno di Palermo, subivano la prevaricazione di gruppi con metodi di mafia”. Individui singoli, società pubbliche

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e aziende private si spiavano e ricattavano a vicenda, per difendere la propria egemonia, o incrementarla. Ancora: “La lotta per il pre-dominio diventava sempre più feroce”. Bombe e sparatorie sempre più spesso e dovunque; poi venivan “le indagini insabbiate, le piste deviate, le testimonianze false, le prove occultate, gli omicidi a grap-poli. Certi lavori – piazza Fontana, Pinelli, Calabresi, Feltrinelli – sembravan pensati da cervelli criminali di stazza superiore, eseguiti da professionisti di sperimentata bravura e vigilati poi, negli sviluppi successivi, da mallevadori talentuosi”. I misfatti si prestavano ad ogni lettura, dalla più banale alla più strabi-liante: ma quanto più ci si sgolava al complotto contro la Repubblica, tanto meno gli onorevoli e i portaborse se ne preoccupavano. “Qui non succede mai nulla, come nel Deserto dei Tartari; l’impunità è garantita”. Uno snodo tuttavia preoccupava. Dal neolitico, ormai, alla sommità della Polizia vedevi i panormiti, a cominciare da Franco Restivo al Viminale e Angelo Vicari alla Pubblica Sicurezza. Il tandem comandò a Palermo nel periodo cruciale dell’autonomismo; ed ascese poi fin allo zenit, sempre in coppia, per un impulso irresistibile del Fato. Gli spazi controllabili eran in mano ai loro fiduciari e paisà, dalle Questure alle Prefetture. Per un caso “strambo”, panormita era anche il capo dei Servizi, nel quadro della “trinacriazione” dello Stivale. Nel frattempo il Belpaese somigliava sempre più a un “rottame borboni-co”, ovvero a una “repubblica delle banane” (fu Pietro a creare la felice immagine “bananiera”). La Cosa Pubblica diventava così Cosa Nostra, in un intreccio inestri-cabile di interessi. Il malloppo degli “investimenti statali, specie in un periodo di bassa congiuntura, era motivo di sopravvivenza” per i fac-cendieri d’ogni risma; e perciò materia di contesa a colpi di bazooka. L’attività partitocratica si legava sempre più alle regalie sottobanco delle grandi società e alle tangenti sull’urbanistica, sulle opere pub-

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bliche, sul commercio estero. Da qui le zuffe per le poltronissime, “fra intimidazioni e ricatti”.Non basta. “Dopo la lunga semina, per le Cosche giunge finalmente la mietitura”. Però, però, però... La politica non esprime più condottieri alla Crispi, ma ciambellani tipo Gioia, Gullotti e Lauricella; in com-penso il malcostume del loro panormismo, come un nuovo Islam di trionfali conquiste, contagia la Nazione e converte tutta l’Italia in un facsimile della Sicilia. Emerge una sfilza di panormiti piemontesi, liguri, lombardi e veneti, dimentichi dell’insipido governo legale, capaci di ragionare esclusiva-mente in termini di comando siculo.Chiariamo un concetto. Per Zullino il comando siculo è un quid assai più ampio e articolato del potere tradizionale. Il comando siculo è infatti un influsso incorporeo e flessibilissimo, epperò più duro dell’acciaio, che si esercita sugli italo-panormiti, sulle loro deboli anime, sui loro corpi viziosi, sui loro cervelli in ambasce. Il comando siculo li rende consapevoli delle macchie insite nella loro radice turpe; questa turpe consapevolezza li libera dai complessi di colpa e li solleva dal peso insopportabile del libero arbitrio. La dialettica dell’oscuran-tismo in agguato li trasformerà poi gradualmente in Ominicchi e in Quaquaraquà.Lo ripetiamo ad abundantiam. È stupefacente che già nel 1973 il Nostro avesse compreso il valzer tumultuoso della new economy mafiosa, che le successive indagini di Falcone e Borsellino metteranno a fuoco, con l’aiuto dei pentiti. I conquistadores (lui dice) non possono più fermarsi nella loro ascesa, se no crollano. E dunque non gli basta più l’assalto agli investimenti pubblici, o la stanza dell’eunuco, ove si concordano le leggi di favore, o il possesso delle poltronissime, o le elargizioni ai partiti per dominarli, o la rapida conversione del cittadino normale in un italo-panormita. Adesso occorre colonizzare soprattutto il sistema finanziario-crediti-

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zio, a cominciare da Milano, ove più sontuoso è l’andirivieni dei capi-tali. È vero: la droga, business principale delle cosche, si trasforma a Marsiglia e da lì s’immette sugli enormi mercati di consumo america-ni. Ma è a Milano che avviene l’acquisto all’ingrosso degli stock prove-nienti dall’Oriente. Per la semplice ragione che in Lombardia i miliar-di si trovano sull’unghia, depositati nelle banche, i templi ovattati del potere autentico. Da qui un sodalizio costante coi loro sportelli. La mafia aggiorna così le sue caratteristiche; da truppa mercenaria del baroname agrario si trasforma in paladina armata di quella piccolis-sima fetta di umanità senza etica, che impera urbi et orbi e che perciò è apolide: l’aristocrazia intercontinentale del denaro, nella quale con-fida che prima o poi le spetterà di entrare. Dalla porta principale, in prima persona, per diritto di peculio.Innanzitutto s’innesta saldamente nelle correnti transoceaniche del dollaro. Dalle performances criminali la Cosa Nostra a stelle-e-strisce ricava immensi patrimoni, che poi è costretta ad imboscare, perché non potrebbe giustificarne il possesso innanzi all’implacabile fisco ameri-cano (chi non ricorda l’affair Al Capone?). La hot money, la moneta che scotta, viene allora affidata ai nostri clan. Grazie a corrieri d’asso-luta fiducia, perché consci delle pene certe e inappellabili per chi sgar-ra o tenta furbizie (per un nonnulla si finisce in fondo al Mediterraneo con una pietra al collo, oppure si è cementati nei piloni edilizi!), gra-zie, dicevamo, a quei corrieri d’assoluta fiducia, il malloppo varca l’At-lantico e lo si versa nelle filiali svizzere, che garantiscono l’anonimato. Chi deposita è una sigla, un numero di matricola. Il dollaro sporco si trasforma così in conquibus pulito, che alimenterà iniziative regolari nel vecchio continente. Varie cooperative di insospettabili White Collar (i colletti bianchi) s’incaricano di collocar la grana ripulita dove più conviene, tramite Agenti: ai quali, per il disturbo, è corrisposta una provvigione del 2,5%.

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Ma v’è dell’altro. Giacché sono in ballo, i padrini non esportano sol-tanto i proventi del gioco d’azzardo, della prostituzione, della droga e del pizzo, cioè il proprio denaro. Si lavora anche per conto terzi: cioè per i grandi evasori fiscali americani ed europei (italiani compresi). Business-men all’apparenza senza macchia, o persino filantropi, entrano nel giro. “Allegria!, allegria!”. Con quel denaro “purissimo”, che talvolta naviga nell’opaco ior pontificio, si realizzano complessi alberghieri per lo sviluppo d’un turismo giocondo, si fondano ipermercati per la felicità spendereccia di grandi e piccini, si installano fabbriche utensili per il progresso sociale dei Pròlet, si progettano raffinate cliniche per la nostra salute, s’innalzano raffinerie dalle ciminiere svettanti fuoco, per conservarci un alto tenore di vita. Con quel denaro “purissimo” si finanziano altresì le faraoniche campagne elettorali per difendere la democrazia e la libertà dei popoli (o per affossarle meglio), si organizzano i golpe contro i regimi sgraditi “a Dio ed ai nimici sui”, si pianificano le gagliarde manovre speculative per rinsanguare (o insabbiare) i mercati azionari e i buoni del tesoro a varia scadenza, si cesellano le periodiche fluttuazioni degli spread, per punire i titoli sovrani che per un qualsiasi motivo dichiariamo kapùtt.In un quadro così desolante si legittima l’ultimo paradosso: l’Antistato che blocca la New Economy non è più chi traffica con la delinquenza, ma chi la combatte. L’illiceità non riguarda più i corleonesi, ma le loro vittime, da Placido Rizzotto a Falcone, a Borsellino. Son questi ultimi l’Antistato! Non è una boutade paranoica. Chi dimentica il senatore Dell’Utri, che definisce “eroe” il boss Vittorio Mangano, che sorve-gliava la villa di Berlusconi? Chi dimentica le sconce trattative tra i governi e la mafia? Chi dimentica i “favori” fatti dalla mafia ai governi, ammazzando i servitori dello Stato, che “non capiscono” e vorrebbero compiere il proprio dovere?

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il processo

L’accennavo prima. Il best-seller campione di vendite, politically incorrect e feroce con la mafia, invece del Pulitzer, regalò allora a Pietro una caterva di guai, tra livide polemiche, minacce personali, querele dissoltesi nel nulla. E di recente, dulcis in fundo, gli amareg-gerà gli ultimi giorni con un’incomprensibile apertura di procedimen-to penale, legato proprio al libro. “Si mette in dubbio, perdio!, la mia onestà e correttezza professionale!”.I fatti. Qualche anno fa la Corte d’Assise di Palermo lo chiama a testi-moniare nel processo al papavero dei papaveri Totò Riina, per l’omi-cidio del giornalista Mauro De Mauro, di cui si persero le tracce nel 1970. Il penultimo capitolo della Guida ai misteri e piaceri (“Il Franco Rapitore”, pp. 337-401), si occupava di questo specifico episodio.Sapendo come vanno talvolta le cose, in parecchi l’avevan consigliato di rispondere alle domande con un italianissimo “non ricordo”, sia perché era già fisicamente malmesso per la grave malattia che lo porterà alla tomba, sia perché, a distanza di mezzo secolo, qualche dettaglio avrebbe potuto sfuggirgli. Ma egli s’inalberò, rifiutando ogni saggia esortazione. “Non ho nulla da nascondere; e da buon cittadino democratico intendo aiutare i giudici a ricostruire quel delitto”.Grande sarà dunque la sua sorpresa, quando la sentenza assolverà il Riina, ma incriminerà lui, con altri due giornalisti, per dichiarazioni reticenti e contraddittorie, volte al depistaggio. “È da non crederci!”, mi disse furibondo. “Si assolve il Padrino, perché nel 1970 non era al vertice dei clan! E che era? Un boy-scout? Per non confessare poi che il processo approdava a ben poco, e che quel poco (altro che depistaggio!) l’avevo già scritto io, si getta fumo negli occhi, rinviando a giudizio tre reporter”.Puoi chiarire meglio? “Il Tribunale m’infanga ingiustamente, pur giungendo, con mezzo secolo di ritardo, alle medesime conclusioni del mio instant-book. Io allora rivelai, pressoché da solo e tra improperi

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d’ogni tipo, che il De Mauro fu incaricato dal regista Francesco Rosi di un’indagine sulla morte di Enrico Mattei, il presidente dell’Eni, ucciso nell’ottobre del 1962 da una bomba nascosta nel suo aereo, partito da Catania ed esploso nel cielo di Bascapé, mentre atterrava a Linate. Rosi cercava qualcosa di eclatante per il film sull’argomento, in fase di lavorazione”.Che cosa di eclatante? “Forse la responsabilità delle Sette Sorelle per l’aggressiva espansione petrolifera del Mattei, o forse un intrigo dei Servizi per la sua politica estera, propensa ad una nostra svolta neutra-lista, che il Pci avrebbe visto con favore. O forse il connubio tra le due ipotesi di cui sopra. E qualcosa di eclatante aveva davvero scoperto il De Mauro, prima che la mafia gli chiudesse la bocca per sempre. Nel frattempo le Grandi Gazzette, proprio come per Ustica, si baloccavano ancora con le tesi consolatorie del cedimento strutturale del velivolo, o del malore del pilota. Ipotizzai anche i possibili mandanti dell’affair in tre figuri della Dc affaristica siciliana, indicati allora con tre pseudo-nimi, per minimizzarmi le noie giudiziarie. Uno di essi era il senatore della Libertas Verzotto, testimone di nozze del mammasantissima Di Cristina, amico di Lucky Luciano e di Sindona. Beh, quel Verzotto sarebbe il mandante indicato dalla sentenza. Che concorda con me persino nel tentativo di screditare De Mauro, tramite un pilotaggio negativo della pubblica opinione. Dov’è dunque la reticenza, o la con-traddizione, o il depistaggio? Gliela farò vedere io nel dibattimento! Dovranno rimangiarsi tutto e restituirmi la dignitas, come già mille altre volte, con le denunce temerarie di diffamazione a mezzo stampa”.

oGGi

Pietro non avrà purtroppo il destro di difendersi come voleva, Thanatos ce l’ha ghermito prima. Ma chiunque ebbe il privilegio di conoscerlo è certissimo della sua correttezza adamantina; e gli porge la propria incondizionata stima e solidarietà.

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Era ben conscio della prossima fine e affronterà l’amicizia con la Morte a suo modo, con una coraggiosa impertinenza, a mezzo tra il disinteresse stoico e l’atarassia epicurea.Nel suo ultimo libro, Io, Ippocrate di Kìos, descrisse persino il percor-so del suo imminente exodus. “Fatti animo e varca la soglia: ripren-derai ciò che hai dismesso o perduto. Correrai dove i tuoi amori son fuggiti, è il medesimo viaggio. Saprai cosa provarono nell’istante a te finora negato; e se sono nel nulla, ebbene, condividerete il nulla, che a quel punto sarà il tutto”.Sì, caro Pietro, sarà il tutto, non il nulla. Perché tu rivivi ad ogni istante con la tua inimitabile scrittura, le tue mille inchieste, i tuoi splendidi libri senza tempo e senza rughe, da Catilina ai Sette Re di Roma, da Giuda all’altissima poesia di Cinzia, col tuo sorriso, la sto-ria dell’amore “maledetto” di Properzio per la cortigiana Cinzia. Fin a questa immortale Guida ai misteri e piaceri di Palermo.

Tu rivivi ogni giorno con la tua voce forte, attuale, fresca. Ed eterna.

Bracciano, 19 settembre 2014

Amedeo Lanucara, già inviato o capo-servizio, tra l’altro, di Sole-24 Ore, Avvenire e Periodici ex-Rusconi, ha scritto il libro Berlinguer segreto. Nato in Puglia, ha vagato professionalmente tra Roma e Milano, cercando infine un po’ di quiete sul lago di Bracciano.

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Pietro Zullino

Guida ai misteri e piaceridi Palermo

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INIZIAZIONE

Cos’è Palermo?Aperto il sipario si vede un sordido, grigio, indistinto

sfasciume edilizio, residuato di altre età. Blocchi di co-struzioni nuove lo rendono ancora più grigio. È il ventre di quella che fu chiamata la « città felice »: ormai sfatto, inutile, quasi disabitato. Ad ogni passo macerie di bom-bardamenti non ancora rimosse, fetidi cortili, degradata miseria. Chiese e monumenti fatiscono1, palazzi aristocra-tici crollano. Di una favolosa capitale imperiale non resta-no che mozziconi di pietra. Le guide turistiche chiedono al visitatore sforzi di fervida immaginazione. L’incuria dei panormiti per i loro monumenti è pressoché totale.

A nord della città si allungano quartieri nuovi: squal-lidi aborti urbanistici in precoce dissesto. Asfalto bucato, polvere; e, quando piove, fanghiglia e odore di fogna ot-

1 Verosimilmente un neologismo creato dall’Autore, una crasi tra fatiscenti e patiscono.

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turata. Panni alle finestre, cumuli d’immondizia non rac-colta. Qui si ammassa oggi gran parte dei seicentomila abitanti.

E allora, perché occuparsi di Palermo?Ogni volta che ci vado, fiuto nell’aria un eccitato ma-

lessere, una tensione insoddisfatta. La città vecchia che si trasferisce nei suburbi mi sembra un paguro obbligato a cambiar guscio controvoglia. Si porta nella nuova dimora abitudini, nevrosi e perversioni, ma non è contenta, aspi-ra a chissà che. Palermo è simile a uno zombie, un morto a metà, un cadavere da cui l’anima, per un maleficio, non ha potuto volar via; perciò odia la sua prigione e macina desideri impuri.

È necessario parlare di Palermo. Questa città ha sem-pre avuto e continua ad avere un peso determinante mi-sconosciuto nella vicenda italiana. Oggi dicono che per via politica e mafiosa sta trasmettendo una specie di lebbra morale a tutta la nazione. Se è vero, perché lo fa? Cos’è Palermo? Da dove viene? Dove va? Cosa vuole da noi questo tritume d’ossa e calcinaccio?

L’anima della città non è fissata alle sue pietre. Esse sono completamente mute. Palermo non è un museo; la sua scoperta si può fare solo in una dimensione psichi-ca. Ma bisogna iniziarsi con serena umiltà: unico modo per arrivare pian piano a penetrare i misteri e a gustarne (perché ci sono) i raffinati, cerebrali, snervanti piaceri.

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La città offre visioni di sfacelo e di morte. Se riuscite a farle abbassare la maschera, vedete che sotto è ben viva.

Ma chi non si abbandona, chi non si lascia iniziare al suo culto, sente Palermo indifferente, inospitale o ad-dirittura nemica fin dal primo mettervi piede. Uno co-mincia, per esempio, come Goethe nel ’700, col trovare squinternata la sua posizione geografica, strano il colo-re del suo mare, assurdo il panorama, con quelle mon-tagne disseminate a casaccio tutt’intorno e malamente squadrate a colpi d’ascia da qualche forsennato Ciclope. Montagne selvagge, percosse dai fulmini, gelide d’inver-no, arse d’estate, che accerchiano la mollezza quasi lasci-va della Conca d’Oro. Una scenografia un po’ sinistra, un paesaggio tutt’altro che distensivo, col mare vicino eppu-re quasi assente, col vento che mulina disordinatamente tra le gole e arriva sempre in faccia, ora caldo secco e pol-veroso, ora umido e freddo.

Della gente, neanche parlare. Sui panormiti si potreb-be scrivere, è vero, un trattato di demopsicologia. Ma l’italiano del nord − progressista, illuminato, seguace di una religione olimpica − rischia di perdere il sonno in una città misteriosa, anzi misterica come Palermo: stralunato accrocco di politicanti che perseguono con sadismo l’in-giustizia sociale; di specialisti insuperati dell’imbroglio a norma di legge; di magistrati che celebrano la giustizia come i preti la messa, trasmutando in sentenze assoluto-

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rie formalmente ineccepibili il sangue, la carne e il dolore degli uccisi; di avvocati che mettono il loro bizantino in-gegno al servizio dei white collar della mafia, sviluppan-do una scienza criminale inarrivabile per la povera, sche-matica logica dei codici penali pensati a Roma; di mafiosi, spie, corrieri della droga e sicari a basso costo; di vittime che dormono il sonno eterno abbracciate allo scheletro di uno sconosciuto, dentro la tomba estranea in cui sono state nascoste; di corpi introvabili, murati nei plinti di ce-mento armato dei nuovi palazzi; di gente scomparsa, ca-duta sotto i colpi della cosiddetta lupara bianca; di fasci-sti; di questurini umiliati sempre in cerca di impossibili rivincite; di femmine indolenti e corrotte, assolutamente paghe della loro condizione di animali di lusso; di aristo-cratici ancora protervi, ma indifesi come larve e capric-ciosi come bambini; di nuovi potenti che si comportano come se il resto del mondo non fosse; di sindacalisti che ingrassano sulla pelle di operai consenzienti e ammirati; di plebei che si attengono con orgoglioso impegno al loro ruolo storico di masochisti sociali; di vanitosi in com-piaciuta attesa del nulla, ora che le esequie di lusso sono state abolite; di cantori e menestrelli di una perfezione a rovescio: che esiste sì, ma è invisibile per i non iniziati.

Il nordista arriva da Milano, da Torino, dalle centrali del potere economico e del progresso tecnico; città piene di gente evoluta, con la barba, che danno per scontata

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la libertà, l’eguaglianza, le riforme sociali, la produtti-vità, il benessere, l’amore a letto, le vacanze pagate e il voto a sinistra. Lui pratica una fede che è in armonia con le vigenti leggi. Una fede democratica, civile, pubblica, solare. Non può, lui, non detestare Palermo. Oltre che sudicia gli sembra abitata da una fauna pigmea dalle cre-denze inquietanti, irrazionali, sotterranee; da una setta che oppone alle limpide certezze dell’Olimpo l’angoscia di baccanali occulti e incomprensibili.

Vede giusto. Ma chissà qual è la ragione storica e sociale della setta dei panormiti, quintessenza dei siciliani occi-dentali (e alle quali si trovano affiliati tutti coloro, siciliani e no, che hanno acquisito la mentalità panormita). Il nor-dista questo non se lo chiede. Probabilmente è l’insegui-mento di una grandezza che Palermo crede di aver posse-duto quasi ottocento anni fa, quando fu per un trentennio, cioè per un attimo, la capitale del mondo. Secondo me, che li conosco, i panormiti tramano da secoli per recupe-rare quella loro condizione privilegiata e semidivina.

Prendete la mafia. Ragna2 ormai per tutta l’Italia e uni-sce le due sponde dell’Atlantico. Ebbene, non è che un momento strategico e transeunte di questa tenace quanto nevrotica scalata verso una nuova grandezza. Sta già fi-

2 Neologismo: riferito alla mafia la quale costituisce una leggera ma inossidabile trama di sottilissimi e inossidabili fili.

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nendo, la mafia: ma la nevrosi resta. E ho l’impressione che si trasmetta dagli adulti ai nascituri col patrimonio ge-netico; e che ogni palermitano anneghi la sua individuali-tà in un’anima collettiva che, attraverso processi schizoidi e meccanismi inconsci, lo predispone alla megalomania. Questo fenomeno merita una definizione più precisa. For-se si potrebbe chiamarlo « sindrome panormita ».

Esso può spiegare l’agghiacciante divaricazione di Pa-lermo dal resto dell’umanità. C’è una teoria, in psicana-lisi, secondo cui le associazioni esoteriche, le fratellanze, le sette nascono come rivolta contro la società ufficiale, ossia come negazione dell’autorità paterna. Nascondo-no ansie persecutive, preparano misure riparatorie. Per esempio il mafioso odia lo Stato, adora mamma mafia e chiama il suo capo « Mammasantissima ». La teoria si applica anche meglio, credo, alla setta dei panormiti tutta intera (di cui la mafia è solo una espressione organizza-tiva adatta all’Ottocento e a metà del Novecento). Infatti da molti secoli − cioè da quando perse il ruolo di capitale imperiale − Palermo è in rotta con ogni potere politico e statale che non si riconosca nel trono dei Normanni.

Gli affiliati si scontrano con la legge ufficiale e con lo Stato. Qualsiasi Stato: angioino, aragonese, spagnolo, savoiardo, austriaco, borbonico-napoletano, italiano. E così rinnovano simbolicamente il rito dell’uccisione − ai tempi dell’orda − di un padre ultrasevero che imponeva

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astinenze ai figli ricorrendo a misure repressive. I freu-diani raccontano che, ucciso il padre, i figli lo divorarono, convinti di poter incorporare la sua forza e la sua poten-za. Ebbene, Palermo ha di regola ucciso, politicamente, tutti i monarchi che non volevano riconoscersi nello scet-tro di Ruggiero II d’Altavilla e nell’impero di Federico II Hohenstaufen.

Dopo ogni parricidio rituale l’autorità del padre veniva riassunta dal gruppo, cioè dalla setta. Con essa ritornava per un istante ai panormiti, figli della grandezza, l’occa-sione di fornicare con la madre.

L’incesto collettivo − inseguito per lunghissimi periodi di tempo e consumato di solito in poche notti di orgia san-guinaria e rivoluzionaria − è uno dei fondamentali piaceri di Palermo. Si può scindere in tutta una gamma di piace-ri subordinati e collegati: intrigare, tradire, dissimulare, possedere, violentare, dare la morte, goderne lo spettaco-lo. Soprattutto dissimulare. Come tutti gli adepti delle so-cietà segrete, i panormiti, dovendo nascondere un crimine originario, il parricidio, e una passione edipica inconfes-sabile, la megalomania, preferiscono mantenere occulta la relazione con gli oggetti del loro odio e del loro amore.

Quindi ostentano una falsa accettazione delle leggi e delle istituzioni: in realtà le tradiscono e le disapplicano in segreto, consapevolmente o a livello inconscio. Malgo-verno, sopraffazione, delitto: queste cose sono per il pa-

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normita un’esigenza quasi fisiologica. Istituzioni e leggi che al Nord e perfino nella bassa penisola danno qualche frutto, qui sono ignorate o addirittura strumentalizzate per un fine contrario. Stando per un po’ a Palermo, viene da supporre che tutto questo malessere non sia casuale, tanto è perfettamente organizzato. Perché non potrebbe essere il frutto di una precisa scelta negativa fatta dal pu-gno di panormiti che conta: ieri i baroni e la Santa Inqui-sizione, oggi i politici e la mafia; scelta avallata e appro-vata in silenzio dallo stuolo dei proseliti?

Il nordista, appiattito dalla logica olimpica, non sa in-vece come concludere. I suoi condizionamenti gli impe-discono di concepire che una dialettica dell’oscurantismo possa esistere e trovare un suo campo di applicazione, sia pure soltanto a Palermo. Non ammettendo ciò, gli resta in tasca l’argomento dell’inferiorità della razza siciliana. Ma i suoi condizionamenti gli proibiscono di usarlo. Al-lora s’innervosisce e cambia discorso. Così ha fatto per anni ed anni; e adesso si trova un tentacolo lebbroso in piazza del Duomo.

Non pretendo di trovare consensi; ma credo che col suo ostinato Medio Evo, i suoi gelidi intrighi e le sue lus-suriose macchinazioni, Palermo ci proponga una way of life alternativa, un contratto sociale assolutamente diver-so da quello con cui, dopo Rousseau, tutto il mondo civile si fa la barba. Ed è un fatto − qualunque cosa ne possia-

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mo pensare − che ce lo propone con crescente successo. Poco importa che ciò nasca da un calcolo satanico o da una nevrosi. Ciò che Gobetti e Dorso chiamavano « la li-nea della palma » negli ultimi cento anni ha varcato lo stretto, ha risalito la penisola, si è saldamente attestata a Roma. Negli ultimi venti ha inesorabilmente invaso il triangolo industriale.

La mentalità siculo-mafiosa contamina e sicilianizza il Nord testimoniando un vangelo politico e sociale capo-volto. Non esiste buongoverno o malgoverno, esiste la ge-stione del potere. I ministeri servono per sfamare la clien-tela del ministro. I telefoni sono fatti per essere spiati, e gli anarchici per essere gettati dalla finestra. I magistrati sono lì per insabbiare le inchieste e la polizia per tenere in rispetto i curiosi. Felice Riva, Luciano Liggio e Marzollo possono circolare. Le bombe si sollevano da sole e ricado-no su spericolati passanti. I partiti non lucrano tangenti sui grandi affari, bagnano solo un po’ il becco per sentire di che sa. Il quarto teorema di Talete dimostra che le cifre segrete di un appalto non sono segrete.

Nei templi di Mirafiori e della Bicocca questo decalo-go suona certo provocazione e bestemmia; eguaglianza, socialismo, progresso non sarebbero, dunque, idee-forza irresistibili? Ebbene, no. Per secoli infatti hanno pestato contro le mura di Palermo e per secoli sono state respin-te. Dentro l’inaccessibile fortezza, la setta dei panormiti

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celebrava la propria liturgia misterica, si dedicava ai suoi esclusivissimi piaceri e preparava − in segreto − la « pa-lermizzazione » dell’Italia.

Si capisce allora perché lo spirito di Palermo non sia ancorato alle vecchie pietre, e le vecchie pietre vengano ignorate e forse anche detestate dai palermitani. Esso è vivo e cammina. Nel 1971 i panormiti lasciarono crol-lare nella più completa indifferenza il favoloso castello normanno della Zisa. Per chi ha capito la città, vedere la Zisa a terra è più significativo che saperla ancora in pie-di. Lo spirito di Palermo guarda avanti. Il passato non lo interessa, ogni speranza è nel futuro. Ciò che la Zisa rap-presenta, la nevrosi imperiale, non ha bisogno dei sassi morti, perché alberga dentro il cervello dei vivi. L’impe-rialismo italico e l’espansionismo coloniale non nacque-ro con Mussolini. Nacquero con un panormita prestato all’Italia, Crispi.

Come potrebbe un libro su Palermo essere soltanto una guida per turisti e vacanzieri? I luoghi, a Palermo, e quanto resta dei monumenti, parlano se interrogati in chiave storica o psicanalitica: altrimenti tacciono. Con-siderate dunque questo libro un manualetto esoterico. Esso potrà forse illuminare i vostri passi durante la di-scesa « ad inferos » che, con molto spirito e una certa au-dacia intellettuale, avete deciso di intraprendere.

Si tratta, l’ammetto, di una monografia superficiale

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e faziosa. Probabilmente contiene degli errori. A molti sembrerà irritante. I nordisti non potranno mai ammet-tere l’inquietante primato di Palermo sul resto dell’Italia. I panormiti, mentalmente censurati dal super-Io, non potranno che dissentire da questa specie di dialettica dell’oscurantismo. L’autore si inchina fin da ora e pro-fondamente davanti a tutte le critiche. Vuole soltanto spiegare una cosa: ha sentito il bisogno di scrivere una « Guida ai misteri e piaceri di Palermo » dopo aver con-statato che, come italiano, da un pezzo e profondamente si annoiava.

Egli non condivide l’arcinota, disfattistica filosofia di Tomasi di Lampedusa e de « Il Gattopardo ». Pensa, piuttosto, che nordisti e panormiti dovrebbero smetterla di scambiare per pregi quelli che sono i loro difetti, e per difetti quelli che sono i loro pregi. Lo zombie Palermo, certo, allunga un tentacolo lebbroso che contagia e spa-venta il resto della nazione. Ma almeno allunga qualco-sa. Dall’Italia mediocre quanto saccente della civiltà dei consumi, invece, che cosa esce oltre alle scocche, i pneu-matici e le barche di plastica? Voglia Dio che essa non debba un giorno dire alla feroce Palermo, come Antigone a Ismene: « Tharsei, sù dé men zès: é d’émé psyché pa-lai tethneken » rallegrati, tu che sei viva: la mia anima è morta da tempo.

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I sottotitoli in corsivo si riferiscono alla parte storico-so-ciale e politica, mentre i sottotitoli in tondo, contraddi-stinti nel testo con il fregio (□), trattano la vera e propria « Guida alla città ».

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I

DIO A PALERMO

Palermo aveva già brillato a lungo sotto gli Arabi; ma nacque alla vera grandezza solo coi Normanni. Si può stabilire la data, che è anche l’inizio della nevrosi panor-mita: 25 dicembre 1130. Quel giorno Ruggiero II d’Alta-villa s’incoronò Re di Sicilia, Calabria e Puglie; inoltre si proclamò principe di Capua, onore di Napoli e difesa di Benevento. Guardate una carta geografica: il trono di Pa-lermo dominava su un territorio enorme. Il suo confine settentrionale toccava il Lazio e le Marche.

La cerimonia dell’incoronazione si svolse nella Catte-drale, che fino a pochi anni prima era stata moschea. I cronisti scrissero che mai il mondo, a memoria di uomo, aveva visto simile sfarzo. La corona di Ruggiero costa-va quanto quella dell’Imperatore di Bisanzio. I vescovi di tutta l’Italia normanna erano lì, prosternati davanti all’altar maggiore, faccia a terra insieme ai dignitari di corte. Più contenuto l’ossequio di un centinaio di baroni.

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La Cattedrale brulicava poi di ambasciatori, nunzi, legati e ministri convenuti per l’occasione da tutte le parti del mondo. Infine c’era il popolo.

Anzi, i popoli. Sembrava che le genti della terra aves-sero fatto di quella Cattedrale un crocevia della storia, un crogiuolo ecumenico. Si sentiva parlare arabo, fran-cese, tedesco, latino, greco, ebraico e volgare italiano. Nobili normanni indossavano vesti bizantine ricamate con iscrizioni arabe. Tutti guardavano con ammirazione e speranza a Re Ruggiero, fondatore di un grande Stato cosmopolita destinato a espandersi ancora: verso orien-te, verso l’Africa, verso l’Europa.

Le potenze, in quel momento della storia, erano il Sa-cro Romano Imperatore in Germania, l’Imperatore di Oriente a Bisanzio, il Papa a Roma, gli Emiri e i Califfi nell’Islam. Nazioni come Francia e Inghilterra figurava-no allo stato embrionale. La Spagna cominciava appena a liberarsi dagli Arabi. In Italia c’erano le repubbliche ma-rinare; varie cittadine del centro-nord, Milano compre-sa, cercavano di costituirsi in libero comune; ma nulla poteva essere paragonato allo splendido Regno del Sud.

PANTOCRATORE E MAFIOSO

Ruggiero II, poi, non nascondeva le sue ambizioni. Alla cerimonia del 25 dicembre 1130 mancavano ovvia-

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