Guenon Il Regno Della Quantita e Il Segno Dei Tempi

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 René Guénon IL REGNO DELLA QUANTITÀ E I SEGNI DEI TEMPI ADELPHI edizioni TITOLO ORIGINALE: Le Règne de la Quantité et les Signes des Temps Traduzione di Tullio Masera e Pietro Nutrizio © 1945 ÉDITIONS GALLIMARD PARIS © 1982 ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO 348151 Indice Introduzione 1. Qualità e quantità 2. «Materia signata quantitate» 3. Misura e manifestazione 4. Quantità spaziale e spazio qualificato 5. Le determinazioni qualitative del tempo 6. Il principio di individuazione 7. L’uniformità contro l’unità 8. Mestieri antichi e industria moderna 9. Il doppio senso dell’anonimato 10. L’illusione delle statistiche 11. Unità e semplicità 12. L’odio per il segreto 13. I postulati del razionalismo 14. Meccanicismo e materialismo 15. L’illusione della «vita ordinaria» 16. La degenerazione della moneta 17. Solidificazione del mondo 18. Mitologia scientifica e volgarizzazione 19. I limiti della storia e della geografia 20. Dalla sfera al cubo 21. Caino e Abele 22. Significato della metallurgia 23. Il tempo mutato in spazio 24. Verso la dissoluzione 25. Le fenditure della Grande Muraglia 26. Sciamanismo e stregoneria 27. Residui psichici 28. Le tappe dell’azione antitradizionale 29. Deviazione e sovversione 30. Il rovesciamento dei simboli 31. Tradizione e tradizionalismo 32. Il neospiritualismo 33. L’intuizionismo contemporaneo 34. I misfatti della psicanalisi 35. La confusione tra psichico e spirituale 36. La pseudo-iniziazione 37. L’inganno delle “profezie” 38. Dall’antitradizione alla contro-tradizione 39. La grande parodia o la spiritualità alla rovescia 40. Fine di un mondo Opere di René Guénon Introduzione

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 René GuénonIL REGNO DELLA QUANTITÀ E I SEGNI DEI TEMPI

ADELPHI edizioniTITOLO ORIGINALE: Le Règne de la Quantité et les Signes des TempsTraduzione di Tullio Masera e Pietro Nutrizio

© 1945 ÉDITIONS GALLIMARD PARIS© 1982 ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO348151

Indice

Introduzione1. Qualità e quantità2. «Materia signata quantitate»3. Misura e manifestazione4. Quantità spaziale e spazio qualificato5. Le determinazioni qualitative del tempo6. Il principio di individuazione7. L’uniformità contro l’unità8. Mestieri antichi e industria moderna9. Il doppio senso dell’anonimato10. L’illusione delle statistiche11. Unità e semplicità12. L’odio per il segreto13. I postulati del razionalismo14. Meccanicismo e materialismo15. L’illusione della «vita ordinaria»16. La degenerazione della moneta

17. Solidificazione del mondo18. Mitologia scientifica e volgarizzazione19. I limiti della storia e della geografia20. Dalla sfera al cubo21. Caino e Abele22. Significato della metallurgia23. Il tempo mutato in spazio24. Verso la dissoluzione25. Le fenditure della Grande Muraglia26. Sciamanismo e stregoneria27. Residui psichici28. Le tappe dell’azione antitradizionale

29. Deviazione e sovversione30. Il rovesciamento dei simboli31. Tradizione e tradizionalismo32. Il neospiritualismo33. L’intuizionismo contemporaneo34. I misfatti della psicanalisi35. La confusione tra psichico e spirituale36. La pseudo-iniziazione37. L’inganno delle “profezie” 38. Dall’antitradizione alla contro-tradizione39. La grande parodia o la spiritualità alla rovescia40. Fine di un mondo

Opere di René Guénon

Introduzione

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Da quando scrivemmo La crise du monde moderne (Paris, 1927) gli avvenimenti non hanno fattoche confermare in pieno e fin troppo rapidamente tutti i punti di vista che allora avevamo esposto aquesto proposito, benché ne avessimo parlato astraendoci da ogni preoccupazione di «attualità»immediata, come pure da qualsiasi intenzione di «critica» vana e sterile. È ovvio, in effetti, checonsiderazioni di questo genere sono valide per noi solo in quanto rappresentano un’applicazione deiprincìpi a circostanze particolari; e facciamo notare per inciso che, se in generale coloro i qualihanno dato il giudizio più corretto sugli errori e le insufficienze proprie della mentalità della nostraepoca si sono limitati ad un atteggiamento del tutto negativo - salvo a scostarsene per proporrerimedi pressoché insignificanti e comunque incapace di arginare il disordine crescente in tutti i campi

-, ciò è dovuto al loro disconoscimento dei princìpi veri, disconoscimento non diverso da quello dichi, al contrario, si ostina ad ammirare il preteso «progresso», nonché ad illudersi sul suo inevitabilerisultato.Del resto, anche da un punto di vista del tutto disinteressato e «teorico», non basta denunciare deglierrori e mettere in evidenza la loro realtà: questo può essere utile ma quel che è veramenteinteressante ed istruttivo è spiegarli, cioè ricercare come e perché si sono verificati, in quanto tuttociò che esiste in un modo o nell’altro, ivi compreso l’errore, ha necessariamente una sua ragiond’essere, per cui anche il disordine deve alla fine trovare il suo posto tra gli elementi dell’ordineuniversale. Pertanto, anche se il mondo moderno in se stesso rappresenta una anomalia, o megliouna specie di mostruosità, è altrettanto vero che, situato nell’insieme del ciclo storico di cui fa parte,esso corrisponde esattamente alle condizioni di una certa fase di questo ciclo, quella cioè che latradizione indù definisce come il periodo estremo del Kali Yuga: sono queste condizioni, derivantidall’andamento stesso della manifestazione ciclica, ad averne determinato i caratteri specifici e, aquesto proposito, si può ben dire che l’epoca attuale non poteva essere diversa da quella cheeffettivamente è. Soltanto, è chiaro che per vedere il disordine come un elemento dell’ordine, o perricondurre l’errore ad un aspetto parziale e deformato di qualche verità, bisogna elevarsi al di sopradel livello delle contingenze al cui dominio appartengono il disordine e l’errore come tali; eparimenti, per cogliere il vero significato del mondo moderno in conformità alle leggi che regolano losviluppo della presente umanità terrestre, bisogna essersi completamente liberati dalla mentalitàche specificamente lo caratterizza, e non esserne infirmati ad alcun livello; ciò è tanto più evidentein quanto tale mentalità, per forza di cose e in certo qual modo per definizione, implica una totaleignoranza delle leggi in questione, nonché di tutte le altre verità le quali, derivando in modo più omeno diretto dai princìpi trascendenti, sono parte essenziale di quella conoscenza tradizionale di cuitutte le concezioni propriamente moderne, consciamente o inconsciamente, non sono che lanegazione pura e semplice.

Già da tempo ci eravamo proposti di dare alla Crise du monde moderne un seguito piùrigorosamente «dottrinale», appunto con lo scopo di mettere in luce alcuni aspetti di talespiegazione dell’epoca attuale secondo la prospettiva tradizionale, prospettiva a cui sempre edesclusivamente intendiamo attenerci, in quanto, per le ragioni su esposte, essa è, in questo caso, lasola valevole o meglio l’unica possibile, poiché, al di fuori di essa, una spiegazione del genere non ènemmeno tentabile. Circostanze diverse ci hanno costretto a rinviare fino a questo momento larealizzazione di tale progetto, cosa di scarsa importanza per chi abbia la certezza che tutto succedenecessariamente al momento adatto, e spesso in modi imprevisti e completamente indipendenti dalnostro volere. Contro questo genere di cose nulla può la fretta febbrile che i nostri contemporaneiapportano a tutte le loro azioni; tale fretta, anzi, non può che produrre agitazione e disordine, cioèeffetti del tutto negativi; del resto, si potrebbe forse ancora definirli «moderni» se fossero in gradodi capire i vantaggi che si hanno a seguire le indicazioni fornite da quelle circostanze, le quali, ben

lungi dall’essere «fortuite» come essi immaginano nella loro ignoranza, sono invece espressioni più omeno particolarizzate dell’ordine generale, umano e cosmico ad un tempo, in cui, volenti o nolenti,tutti dobbiamo integrarci?Fra i tratti caratteristici della mentalità moderna, e come argomento centrale del nostro studio,prenderemo subito in esame la tendenza a ridurre ogni cosa al solo punto di vista quantitativo,tendenza talmente radicata nelle concezioni «scientifiche» degli ultimi secoli, e reperibile d’altrondealtrettanto nettamente negli altri campi, come ad esempio quello dell’organizzazione sociale, dapermettere quasi di definire la nostra epoca, salvo una restrizione la cui natura e necessitàappariranno in seguito, essenzialmente e innanzi tutto come il «regno della quantità». Se adottiamoquesta caratteristica a preferenza di qualsiasi altra non è tanto o principalmente perché sia piùvisibile o meno contestabile, ma perché ci appare come veramente fondamentale, dato che taleriduzione al quantitativo traduce rigorosamente le condizioni della fase ciclica raggiunta dall’umanità

nei tempi moderni, e perché la tendenza in questione dopo tutto conduce logicamente al puntod’arrivo di quella «discesa» effettuantesi, a velocità sempre più accelerata, dall’inizio alla fine di unManvantara, cioè nel corso di tutta la manifestazione di una umanità come la nostra. Tale «discesa»,come abbiamo già avuto occasione di affermare, non è altro che il graduale allontanamento dalprincipio, necessariamente inerente ad ogni processo di manifestazione; in virtù delle condizionispeciali di esistenza cui il nostro mondo deve sottostare, il punto più basso riveste l’aspetto della

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quantità pura priva di qualsiasi distinzione qualitativa; è ovvio che si tratta esclusivamente di unlimite, e che quindi si può parlare solo di «tendenza», poiché nello svolgimento del ciclo tale limitenon può assolutamente essere raggiunto, trovandosi in qualche modo al di fuori e al di sotto diqualsiasi esistenza realizzata o realizzabile.Orbene, al fine di evitare equivoci, e per rendersi conto di ciò che può dar luogo a certe illusioni,occorre fin dall’inizio sottolineare che, in virtù della legge di analogia, il punto più basso è come unriflesso oscuro o un’immagine invertita del punto più alto; ne deriva la conseguenza, paradossalesolo in apparenza, che l’assenza più completa di qualsiasi principio implica una specie di«contraffazione» del principio stesso, espressa da taluni in forma teologica con l’affermazione:

«Satana è la scimmia di Dio». Questa osservazione può essere di grande aiuto per capire alcuni deipiù oscuri enigmi del mondo moderno, enigmi non riconosciuti come tali perché nemmeno avvertiti,quantunque insiti in esso, e la cui negazione costituisce una condizione indispensabile delmantenimento di quella specifica mentalità che condiziona la sua esistenza. Se i nostricontemporanei riuscissero, nel loro insieme, a vedere che cosa li dirige, e verso che cosa realmentetendono, il mondo moderno cesserebbe immediatamente di esistere come tale, in quanto quel«raddrizzamento», cui spesso abbiamo fatto allusione, non mancherebbe di operarsi per questo solofatto; ma poiché tale «raddrizzamento» presuppone che si sia giunti al punto d’arresto in cui la«discesa» è interamente compiuta, e in cui «la ruota cessa di girare» (almeno in quell’istante chesegna il passaggio da un ciclo ad un altro), bisogna concludere che, fin quando questo punto nonsarà effettivamente raggiunto, queste cose non potranno essere comprese dalla maggioranza dellagente, ma soltanto dall’esiguo numero di coloro che saranno destinati, in una misura o in un’altra, apreparare i germi del ciclo futuro. Non è nemmeno il caso di dire che, per tutto quanto andiamoesponendo, è sempre esclusivamente a questi ultimi che abbiamo inteso rivolgerci, senzapreoccuparci dell’inevitabile incomprensione degli altri; è vero che questi altri, ancora per un certotempo, sono e devono essere la stragrande maggioranza, ma è appunto nel «regno della quantità»che l’opinione della maggioranza può pretendere di esser presa in considerazione.Comunque sia, vogliamo soprattutto, per il momento e in primo luogo, applicare la precedenteosservazione ad un campo più ristretto di quello già considerato; e ciò allo scopo, per esempio, diimpedire qualsiasi confusione tra il punto di vista della scienza tradizionale e quello della scienzaprofana, anche quando certe somiglianze esterne sembrano prestarvisi. Tali somiglianze, in effettispesso non provengono che da corrispondenze invertite, e mentre la scienza tradizionale prendeessenzialmente in considerazione il termine superiore, accordando al termine inferiore soltanto ilvalore relativo che gli è dato dalla sua corrispondenza con quel termine superiore, la scienzaprofana, al contrario, considera il solo termine inferiore e, incapace com’è di oltrepassare i confini

del campo cui esso appartiene, ha la pretesa di ridurre ad esso tutta la realtà. Così, per dare unesempio che si riferisce direttamente al nostro argomento, i numeri pitagorici, considerati come iprincìpi delle cose, non sono affatto i numeri quali i moderni, matematici o fisici, li intendono, nonpiù di quanto l’immutabilità principiale sia paragonabile all’immobilità di una pietra, o l’unità veraall’uniformità di esseri privi di ogni qualità propria; e ciò nonostante, trattandosi di numeri in tutti edue i casi, i fautori di una scienza esclusivamente quantitativa non hanno mancato di annoverare iPitagorici fra i loro «precursori»! Aggiungeremo solo, per non anticipare troppo sugli sviluppi cheintendiamo dare all’argomento, che questa - e già lo abbiamo detto altrove - è una ulterioredimostrazione di come le scienze profane, di cui il mondo moderno è così orgoglioso, altro non sianose non «residui» degenerati di antiche scienze tradizionali, così come la stessa quantità, a cui esse sisforzano di tutto ricondurre, non è, nella loro visione delle cose, se non il «residuo» di un’esistenzasvuotata di tutto ciò che costituiva la sua essenza; è così che queste scienze, o pretese tali,

lasciandosi sfuggire, oppure eliminando di proposito tutto ciò che veramente è essenziale, si rivelanoin definitiva incapaci di fornire la spiegazione reale di qualsiasi cosa.Allo stesso modo che la scienza tradizionale dei numeri è tutt’altra cosa dall’aritmetica profana deimoderni, sia pure con tutte le estensioni algebriche o d’altro genere di cui è suscettibile, così esisteanche una «geometria sacra» non meno profondamente diversa da quella scienza «scolastica», cheoggi si designa con lo stesso nome di geometria. Non è il caso di insistere oltre su queste cose, inquanto tutti coloro che hanno letto le nostre opere precedenti sanno che in esse, e specialmente nelSymbolisme de la Croix (Paris, 1931) [Trad. it.: Il simbolismo della croce, Torino, 1964] abbiamoesposto numerose considerazioni derivate dalla geometria simbolica in questione, ed hanno potutorendersi conto fino a che punto essa si presti alla rappresentazione di realtà d’ordine superiore,almeno nella misura in cui queste sono suscettibili di essere rappresentate in modo sensibile; e infondo, non è forse vero che le forme geometriche sono necessariamente la base stessa di qualsiasi

simbolismo figurato o «grafico», a cominciare dai caratteri alfabetici e numerici di tutte le lingue finoa quello degli yantra iniziatici in apparenza più complessi e più strani? È facile capire come talesimbolismo possa dar luogo ad una molteplicità indefinita di applicazioni; ed è però altrettantoevidente che una geometria del genere, ben lungi dall’applicarsi soltanto alla pura quantità, è alcontrario essenzialmente «qualitativa»; e lo stesso possiamo affermare della vera scienza deinumeri, in quanto i numeri principiali, se così possiamo chiamarli per analogia, sono per così dire al

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polo opposto, in rapporto al nostro mondo, a quello ove si situano i numeri dell’aritmetica volgare, isoli conosciuti dai moderni, i quali esclusivamente ad essi rivolgono la loro attenzione, prendendocosì l’ombra per la realtà vera, allo stesso modo dei prigionieri della caverna di Platone.In questo studio, cercheremo di far vedere in modo ancor più completo, e da un punto di vista piùgenerale, quale sia la vera natura delle scienze tradizionali, e per conseguenza quale abisso le separidalle scienze profane che ne sono come una caricatura ed una parodia; ciò permetterà di valutare ladecadenza subita dalla mentalità umana nel passare dalle prime alle seconde, nonché di vedere, inrapporto alla situazione rispettiva dell’oggetto dei loro studi, come questa decadenza segua appuntostrettamente la marcia discendente del ciclo percorso dalla nostra umanità. È fuor di dubbio che non

si può avere la pretesa di sviscerare del tutto questioni siffatte, in quanto, per loro natura,veramente inesauribili; cercheremo però di dirne abbastanza da permettere a ciascuno di trarne leconclusioni che si impongono, per quanto riguarda la determinazione del «momento cosmico» cuil’epoca attuale corrisponde. Se nonostante tutto qualcuno troverà certe considerazioni forse un po’ oscure, è soltanto perché queste sono troppo lontane dalle sue abitudini mentali, troppo estranee atutto ciò che gli è stato inculcato dall’educazione ricevuta e dall’ambiente in cui vive; in tal caso nonpossiamo farci niente, in quanto vi sono cose per le quali il solo modo possibile d’espressione èquello simbolico, e che, per conseguenza, resteranno incomprensibili a coloro per cui il simbolismo èlettera morta. Peraltro vogliamo ricordare che tale modo di espressione è l’indispensabile veicolo diqualsiasi insegnamento d’ordine iniziatico; ma, anche a lasciar da parte il mondo profano, la cui in-comprensione è evidente ed in certo qual modo naturale, basta soffermarsi sulle vestigia diiniziazioni che ancora sussistono in Occidente per rendersi conto come certa gente, priva di «qualifi-cazione» intellettuale, tratti i simboli proposti alla sua meditazione, e per essere assolutamentesicuri che essi, qualsiasi titolo rivestano o qualsiasi grado iniziatico abbiano «virtualmente» ottenuto,non riusciranno mai a penetrare il vero significato anche solo di un minimo frammento dellageometria misteriosa dei «Grandi Architetti d’Oriente e d’Occidente»!Poiché abbiamo fatto allusione all’Occidente, un’altra osservazione si rende necessaria: quale che sial’estensione raggiunta, soprattutto in questi ultimi anni, da quello stato d’animo da noi chiamatospecificamente «moderno», e quale ne sia la presa, anche se almeno esteriormente sempremaggiore sul mondo intero, tale stato d’animo rimane tuttavia occidentale quanto alla sua origine: èappunto in Occidente che ha avuto i natali e in cui ormai da tempo è dominatore incontrastato,mentre in Oriente la sua influenza non potrà mai essere altro che una questione di«occidentalizzazione». Per quanto lontano possa estendersi quest’influenza, nel succedersi degliavvenimenti che ancora si svolgeranno, non la si potrà mai opporre alla differenza, come l’abbiamodescritta, fra spirito orientale e spirito occidentale, perché questa, per noi, è tutt’uno con quella fra

spirito tradizionale e spirito moderno; ed è fin troppo evidente che nella misura in cui un uomo si«occidentalizza», quali che siano la sua razza e il suo paese d’origine, egli cessa perciò stesso diessere spiritualmente e intellettualmente un orientale, e quindi di rientrare nel solo punto di vistache in realtà ci interessi. Questa non è una semplice questione «geografica», a meno che non la siintenda in modo del tutto diverso dai moderni, cioè nel senso della geografia simbolica; e, a questoproposito, l’attuale preponderanza occidentale presenta appunto una corrispondenza molto significa-tiva con la fine di un ciclo, poiché l’Occidente è proprio il punto in cui il sole tramonta, dove essoarriva al termine del suo percorso diurno, e dove, secondo la simbologia cinese, «il frutto maturocade ai piedi dell’albero». Quanto ai mezzi mediante i quali l’Occidente è giunto ad affermare questadominazione (di cui la «modernizzazione» di una parte più o meno considerevole di Orientali non èche l’ultima e più pesante conseguenza), basta riportarsi a quanto ne abbiamo detto in altre opere,per convincersi che, in definitiva, essi si basano esclusivamente sulla forza materiale, il che, in altri

termini, equivale a dire che la dominazione occidentale non è altro essa stessa che un’espressionedel «regno della quantità».Da qualunque lato si prendano in esame le cose, si è sempre ricondotti alle stesse considerazioni, ele si vede verificarsi costantemente in tutte le applicazioni che se ne possono fare, cosa di cui delresto non c’è da stupirsi in quanto la verità è necessariamente coerente; si badi, non abbiamo detto«sistematica», contrariamente a ciò che potrebbero ben volentieri supporre i filosofi e gli scienziatiprofani racchiusi come sono da quelle concezioni strettamente limitate cui propriamente conviene ladenominazione di «sistemi»; tali concezioni, le quali non traducono in fondo se non l’insufficienza dimentalità individuali lasciate a se stesse, quand’anche tali mentalità fossero di quelle che si èconvenuto chiamare da «uomini di genio», le cui speculazioni, sia pure le più vantate, non valgonocerto la conoscenza della minima verità tradizionale. Anche su questo punto ci siamo dilungatiabbastanza quando abbiamo dovuto denunciare i misfatti dell’«individualismo», altra caratteristica

dello spirito moderno; ma qui aggiungeremo che la falsa unità dell’individuo, concepito come untutto completo in se stesso, corrisponde, nell’ordine umano, a quella del preteso «atomo» nell’ordinecosmico; entrambi sono elementi considerati «semplici» da un punto di vista quantitativo, e, cometali, supposti suscettibili d’una specie di ripetizione indefinita, la quale è un’impossibilità vera epropria, perché essenzialmente incompatibile con la natura stessa delle cose; questa ripetizioneindefinita, in effetti, non è altro che la molteplicità pura verso la quale il mondo attuale tende con

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tutte le sue forze, senza peraltro mai poter giungere a perdervisi interamente, in quanto essa sitrova ad un livello inferiore a qualsiasi esistenza manifestata, e rappresenta l’estremo oppostodell’unità principiale. È comunque opportuno vedere il movimento di discesa ciclica comeeffettuantesi fra questi due poli: a partire dall’unità, o piuttosto dal punto ad essa più vicinonell’àmbito della manifestazione relativamente allo stato d’esistenza considerato, si va sempre piùverso la molteplicità, intesa quest’ultima analiticamente e senza rapportarla ad alcun principio,perché è ovvio che nell’ordine principiale ogni molteplicità è compresa sinteticamente nell’unitàstessa. Può sembrare che in un certo senso vi sia molteplicità ai due punti estremi, così come,secondo quanto abbiamo detto, vi sono anche correlativamente l’unità da un lato e le «unità»

dall’altro; ma anche qui si può applicare rigorosamente la nozione dell’analogia inversa, e mentre lamolteplicità principiale è contenuta nella vera unità metafisica, le «unità» aritmetiche o quantitativesono al contrario contenute nell’altra molteplicità, quella inferiore; per inciso, il fatto solo di poterparlare di «unità» al plurale, non dimostra già a sufficienza quanto ciò sia lontano dalla vera unità?La molteplicità inferiore, per definizione, è puramente quantitativa, anzi, si potrebbe dire che è laquantità stessa separata da ogni qualità; per contro, la molteplicità superiore, o ciò che chiamiamocosì per analogia, è in realtà una molteplicità qualitativa, in altre parole, l’insieme delle qualità odegli attributi che costituiscono l’essenza degli esseri e delle cose. Si può quindi affermare che ladiscesa di cui abbiamo parlato si effettua dalla qualità pura alla quantità pura, entramberappresentando però dei limiti esteriori alla manifestazione, l’uno al di là e l’altro al di qua di questa,perché esse, in rapporto alle condizioni speciali del nostro mondo o del nostro stato di esistenza,sono un’espressione dei due princìpi universali da noi designati altrove rispettivamente come«essenza» e «sostanza», i due poli fra i quali si produce ogni manifestazione. E in primo luogo ciaccingiamo a spiegare più a fondo questo punto perché per suo tramite si potranno meglio capire lealtre considerazioni che svilupperemo nel corso del presente studio.

1. Qualità e quantità

La qualità e la quantità vengono generalmente considerate come due termini complementari, benchémolto spesso si sia lontani dal capire la ragione profonda di questa relazione; tale ragione risiedenella corrispondenza da noi indicata nell’ultima parte dell’introduzione. Occorre dunque partire dallaprima di tutte le dualità cosmiche, da quella cioè che è nel principio stesso dell’esistenza o dellamanifestazione universale, e senza la quale nessuna manifestazione sarebbe in alcun modopossibile; questa dualità è quella di Purusha e Prakriti secondo la dottrina indù, oppure, per servircidi un’altra terminologia, quella di «essenza» e «sostanza». Queste ultime devono essere considerate

come princìpi universali, essendo i due poli di qualsiasi manifestazione; ma ad altri livelli, cioè aquelli corrispondenti ai molteplici campi più o meno particolarizzati che si possono considerare al-l’interno dell’esistenza universale, si possono anche usare questi stessi termini per analogia, in sensorelativo, per designare ciò che corrisponde a questi princìpi, o ciò che più direttamente li rappresentain relazione ad una certa modalità più o meno ristretta della manifestazione. Si potrà così parlare diessenza e di sostanza, sia per un mondo, cioè per uno stato di esistenza determinato da certeparticolari condizioni, sia per un essere considerato in particolare, o anche per ciascuno degli stati diquesto essere, cioè per la sua manifestazione in ciascuno dei gradi dell’esistenza; in quest’ultimocaso, l’essenza e la sostanza rappresentano naturalmente la corrispondenza microcosmica di ciò cheesse, dal punto di vista macrocosmico, sono per il mondo in cui si situa questa manifestazione, o, inaltri termini, esse non sono altro che particolarizzazioni degli stessi princìpi relativi, i quali sono essistessi determinazioni dell’essenza e della sostanza universali in rapporto alle condizioni del mondo in

questione.Intese in questo senso relativo, specie se riferite agli esseri particolari, l’essenza e la sostanza fannotutt’uno con la «forma» e la «materia» dei filosofi della Scolastica; noi però preferiamo evitare l’usodi questi ultimi termini, i quali, senza dubbio a causa di una imperfezione della lingua latina a questoproposito, rendono in modo piuttosto inesatto le idee che devono esprimere [Queste paroletraducono in modo assai poco felice i termini greci , e , usati da Aristotele con lostesso significato, e su cui torneremo in seguito], e inoltre sono diventati ancora più equivoci acausa del significato del tutto diverso che le parole stesse ricevono comunemente nel linguaggiomoderno. Comunque sia, dire che ogni essere manifestato è un composto di «forma» e di «materia»equivale ad affermare che la sua esistenza procede necessariamente dall’essenza o dalla sostanzaad un tempo, e, per conseguenza, che vi è in lui qualcosa che corrisponde ad entrambi questiprincìpi, di modo che sia come una risultante della loro unione, o, per essere più esatti, dell’azione

esercitata dal principio attivo, o essenza, sul principio passivo, o sostanza; nell’applicazione che sene fa nel caso degli esseri individuali, la «forma» e la «materia» che li costituiscono sonorispettivamente identiche a ciò che nella tradizione indù viene designato come nama e rupa. E giàche siamo intenti a segnalare le concordanze fra terminologie diverse, cosa che permetterà aqualcuno di trasporre le nostre spiegazioni nel linguaggio cui è più abituato e quindi di capirle piùfacilmente, aggiungeremo ancora che ciò che viene chiamato «atto» e «potenza», in senso

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aristotelico, parimenti corrisponde all’essenza e alla sostanza; tali termini sono d’altronde suscettibilidi un’applicazione più estesa che non quelli di «forma» e «materia»; ma, in fondo, dire che in ogniessere vi è una mescolanza di atto e di potenza è pur sempre la stessa cosa, perché, in lui, l’atto èciò per cui egli partecipa dell’essenza, e la potenza ciò per cui partecipa della sostanza; l’atto puro ela potenza pura non possono trovarsi in alcun modo nella manifestazione, in quanto essi, indefinitiva, sono gli equivalenti dell’essenza e della sostanza universali.Chiarito ciò, possiamo parlare dell’essenza e della sostanza del nostro mondo, di quello cioè che èl’àmbito dell’essere individuale umano, e diremo che, conformemente alle condizioni che definisconopropriamente tale mondo, questi due princìpi vi appaiono rispettivamente sotto l’aspetto della

qualità e della quantità. Per quanto riguarda la qualità ciò può già sembrare evidente, poichél’essenza è in definitiva la sintesi principiale di tutti gli attributi appartenenti ad un essere e chefanno di questo essere ciò che è, dato che attributi o qualità sono in fondo sinonimi; e si può ancheosservare che la qualità, considerata come il contenuto dell’essenza, se così è lecito esprimersi, nonsi limita esclusivamente al nostro mondo, ma è suscettibile di una trasposizione che ne universalizzail significato, e ciò non deve affatto stupire poiché essa rappresenta qui il principio superiore; ma, inuna universalizzazione del genere, la qualità cessa di essere il correlativo della quantità, perchéquest’ultima è per contro strettamente legata alle condizioni speciali del nostro mondo; dal punto divista teologico, d’altronde, non si riferisce forse in qualche modo la qualità a Dio stesso, parlando deiSuoi attributi, e non sarebbe forse inconcepibile pretendere di trasporre allo stesso modo in Luideterminazioni quantitative di un qualsiasi genere? [Si può parlare di Brahma saguna o«qualificato», ma non ha senso parlare di Brahma «quantificato»]. Qualcuno potrebbe obiettare cheAristotele pone tanto la qualità come la quantità fra le «categorie», le quali non sono che modispeciali dell’essere, cui non sono coestensive; ma in questo modo egli non effettua la trasposizionedi cui parlavamo e d’altronde non ha ragione di farlo: l’enumerazione delle categorie, infatti, siriferisce esclusivamente al nostro mondo e alle sue condizioni, ove la qualità non può e non deve inrealtà essere presa altro che nel senso, per noi più immediato nel nostro stato individuale, in cuiessa si presenta, come fin dall’inizio abbiamo detto, quale un correlativo della quantità.È interessante osservare, d’altra parte, che la «forma» degli Scolastici è ciò che Aristotele chiama , e che quest’ultima parola è impiegata anche per designare la «specie», la quale èpropriamente una natura o un’essenza comune a una indefinita moltitudine di individui; ora, questanatura è d’ordine puramente qualitativo, in quanto veramente «non numerabile» nel senso piùristretto dell’espressione, cioè indipendente dalla quantità, essendo indivisibile e tutta intera inognuno degli individui appartenenti a questa specie, sicché essa non viene affatto modificata dalnumero di questi ultimi e non è suscettibile di variazioni in «più» o in «meno». Inoltre, è

etimologicamente l’«idea», non nel senso psicologico dei moderni, ma in un senso ontologico piùvicino a quello di Platone di quanto ordinariamente non si pensi, poiché, quali che siano le differenzerealmente esistenti al riguardo fra la concezione di Platone e quella di Aristotele, tali differenze,come spesso accade, sono state notevolmente esagerate dai loro discepoli e commentatori. Le ideeplatoniche sono anche essenze; Platone ne mette soprattutto in evidenza l’aspetto trascendente eAristotele quello immanente, la qual cosa, checché ne dicano gli spiriti «sistematici», non conducead una esclusione reciproca, ma si riferisce soltanto a livelli diversi; in ogni caso si tratta degli«archetipi» o dei princìpi essenziali delle cose, i quali rappresentano ciò che si potrebbe chiamare illato qualitativo della manifestazione. Queste stesse idee platoniche inoltre, sotto altro nome e perfiliazione diretta, sono la stessa cosa dei numeri pitagorici; e ciò rende ben evidente che tali numeripitagorici, come già da noi indicato in precedenza, e benché li si chiami numeri per analogia, nonsono affatto numeri nel senso quantitativo e ordinario del termine, ma sono al contrario puramente

qualitativi, corrispondendo inversamente, dal lato dell’essenza, a ciò che sono i numeri quantitatividal lato della sostanza [Si può anche osservare che il nome di un essere, in quanto espressione dellasua essenza, è propriamente un numero inteso in questo stesso senso qualitativo; ciò stabilisce unostretto legame tra la concezione dei numeri pitagorici, e quindi quella delle idee platoniche, e l’usodel termine sanscrito nama per designare il lato essenziale di un essere].Per cui, quando san Tommaso d’Aquino dice che «numerus stat ex parte materiae», intende appuntoil numero quantitativo, e con ciò egli afferma appunto che la quantità appartiene immediatamente allato sostanziale della manifestazione; diciamo sostanziale, in quanto materia, in senso scolastico,non è affatto la «materia» quale i fisici moderni la intendono, bensì la sostanza, sia nell’accezionerelativa come correlativo di forma e riferita agli esseri particolari, sia anche, quand’è questione dimateria prima, intesa come principio passivo della manifestazione universale, cioè la potenzialitàpura, che è l’equivalente di Prakriti nella dottrina indù. Tuttavia quando si parla di «materia», in

qualsiasi senso la si intenda, tutto diviene particolarmente oscuro e confuso, certo non senzaragione [Segnaliamo anche, a proposito dell’essenza e della sostanza, che i filosofi della Scolasticarendono frequentemente con substantia il termine greco , il quale al contrario èpropriamente e letteralmente «essenza», cosa che contribuisce non poco ad aumentare laconfusione del linguaggio; da ciò espressioni come «forma sostanziale», per esempio, molto malapplicabile a quello che in realtà costituisce il lato essenziale di un essere, e per niente affatto al suo

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lato sostanziale]; per cui, mentre ci è stato abbastanza facile far vedere il rapporto della qualità conl’essenza, senza dover ricorrere a una lunga esposizione, dovremo invece farlo per quanto riguarda ilrapporto della quantità con la sostanza, in quanto occorre anzitutto chiarire i diversi aspetti in cui sipresenta quella che gli Occidentali hanno chiamato «materia», anche prima di quella deviazionemoderna in cui questa parola era destinata a svolgere una così grande funzione. E ciò è tanto piùnecessario in quanto tale questione si trova in certo qual modo proprio alla radice del principaleoggetto del nostro studio.

2. «Materia signata quantitate»

I filosofi scolastici chiamano in generale materia ciò che Aristotele aveva chiamato ; comeabbiamo già detto, questa materia non deve minimamente essere identificata con la «materia» deimoderni, la cui nozione, complessa e per certi lati contraddittoria, pare essere stata altrettantoestranea agli Occidentali antichi quanto lo è agli Orientali; anche ammettendo che in certi casiparticolari essa possa assumere le caratteristiche di questa «materia», o meglio, per essere piùesatti, che si possa farvi rientrare a posteriori questa concezione più recente, essa è contempo-raneamente molte altre cose, e sono queste cose diverse che bisogna anzitutto distinguere con cura;ma per designarle tutte con una denominazione comune del genere di e di materia, nonabbiamo niente di meglio nelle lingue occidentali attuali del termine «sostanza». Innanzitutto ,in quanto principio universale, è la potenza pura in cui niente è distinto o «attualizzato», e checostituisce il «supporto» passivo di ogni manifestazione; in questo senso è quindi proprio Prakriti, ola sostanza universale, e tutto quanto abbiamo detto altrove a proposito di quest’ultima si applicaugualmente alla intesa a questo modo [Si noti che il significato primitivo del termine si riferisce al principio vegetativo; in esso è un’allusione alla «radice» (in sanscrito mula,termine applicato a Prakriti) a partire dalla quale si sviluppa la manifestazione; si può anche vederviuna certa relazione con quanto è detto nella tradizione indù della natura «asurica» del vegetale, ilquale effettivamente immerge le sue radici in ciò che costituisce il supporto oscuro del nostromondo; in certo qual modo la sostanza è il polo tenebroso dell’esistenza, come si vedrà meglio inseguito]. Quanto alla sostanza intesa in senso relativo, come quella che rappresenta analogicamenteil principio sostanziale e ne svolge la funzione in rapporto ad un certo ordine di esistenza più o menostrettamente delimitato, si può pur sempre chiamarla secondariamente , in particolare nellacorrelazione di tale termine con , per designare le due facce, essenziale e sostanziale, delleesistenze particolari.Gli Scolastici, dopo Aristotele, hanno fatto una distinzione tra questi due significati parlando di

materia prima e di materia secunda; possiamo dunque dire che la loro materia prima è la sostanzauniversale, mentre la materia secunda è la sostanza in senso relativo; ma dal momento che, se sientra nel relativo, i termini divengono suscettibili di applicazioni molteplici a gradi diversi, può essereche ciò che è materia ad un certo livello possa diventare forma ad un altro livello e inversamente, aseconda della gerarchia dei gradi più o meno particolari presi in esame nell’esistenza manifestata.Benché in tutti i casi una materia secunda costituisca il lato potenziale di un mondo o di un essere,non è mai potenza pura; di potenza pura non c’è che la sostanza universale, la quale non soltanto sisitua al di sotto del nostro mondo (substantia, da substare, è letteralmente «ciò che sta al di sotto»,reso altrettanto bene dalle idee di «supporto» e di «substrato»), ma al di sotto dell’insieme di tutti imondi e di tutti gli stati compresi nella manifestazione universale. Aggiungiamo che, per il fatto dinon essere se non potenzialità assolutamente «indistinta» ed indifferenziata, la sostanza universaleè il solo principio che possa dirsi propriamente «inintelligibile», non perché si sia incapaci di

conoscerlo, ma perché, in effetti, in esso non vi è niente da conoscere; per quel che riguarda lesostanze relative, esse, in quanto partecipano della potenzialità della sostanza universale,partecipano anche della sua «inintelligibilità» in misura corrispondente. Non è dunque dal latosostanziale che bisogna cercare la spiegazione delle cose, bensì al contrario dal lato essenziale, il chesi può tradurre, in termini di simbolismo spaziale, dicendo che qualsiasi spiegazione deve procederedall’alto verso il basso e non dal basso verso l’alto; questa osservazione è per noi particolarmenteimportante perché fornisce la ragione immediata per cui la scienza moderna è in realtà sprovvista diqualsiasi valore esplicativo.Prima di procedere oltre, dobbiamo subito far osservare che la «materia» dei fisici non può essere inogni caso che una materia secunda, in quanto essi la suppongono dotata di certe proprietà (sullequali d’altronde non sono interamente d’accordo), per cui in essa non vi è soltanto potenzialità e«indistinzione»; del resto, dal momento che le loro concezioni si riferiscono esclusivamente al

mondo sensibile, e non vanno al di là di questo, le loro considerazioni non possono aver a che farecon la materia prima. E tuttavia, per una strana confusione, essi parlano continuamente di «materiainerte» senza accorgersi che se tale essa fosse veramente, sarebbe sprovvista di qualsiasi proprietàe non si manifesterebbe in alcun modo, addirittura non sarebbe assolutamente niente di quanto iloro sensi possono percepire, mentre appunto essi definiscono «materia» tutto ciò che cade sotto iloro sensi; in realtà, l’inerzia non può convenire altro che alla sola materia prima, in quanto essa è

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sinonimo di passività e di potenzialità pura. Parlare di «proprietà della materia», e affermarecontemporaneamente che «la materia è inerte», è una contraddizione insolubile; e, curiosa ironiadelle cose, lo «scientismo» moderno, che pretende eliminare ogni «mistero», si richiama tuttavia neisuoi vani tentativi di spiegazione a ciò che vi è di più «misterioso» nel senso volgare della parola,cioè di più oscuro e di meno intelligibile!Ci si può chiedere ora, mettendo da parte la pretesa «inerzia della materia», la quale in fondo non ènient’altro che un’assurdità, se questa stessa «materia», dotata di qualità più o meno definite che larenderebbero suscettibile di manifestarsi ai nostri sensi, equivalga alla materia secunda del nostromondo quale la intendono gli Scolastici. Intanto si può dubitare dell’esattezza di una simile

assimilazione già soltanto osservando che, per svolgere rispetto al nostro mondo una funzioneanaloga a quella della materia prima, o della sostanza universale, nei confronti di tutta lamanifestazione, la materia secunda in questione non deve assolutamente essere manifestata inquesto stesso mondo, ma soltanto servire da «supporto» o da «radice» a ciò che vi si manifesta, eche, di conseguenza, le qualità sensibili non possono esserle inerenti, bensì procedere da «forme»accolte in essa, il che equivale ad affermare che tutto ciò che è qualità deve in definitiva essererapportato all’essenza. Ecco dunque apparire una nuova confusione: i fisici moderni, nel loro sforzodi ridurre la qualità alla quantità, sono arrivati, per una specie di «logica dell’errore», a confonderel’una con l’altra, e per conseguenza ad attribuire la qualità stessa alla loro «materia» in quanto tale,nella quale finiscono così per porre tutta la realtà, o almeno tutto quanto essi sono capaci diriconoscere come tale, il che costituisce il «materialismo» propriamente detto.La materia secunda del nostro mondo, tuttavia, non può essere priva di qualsiasi determinazione,perché, se così fosse, si confonderebbe con la stessa materia prima nella sua completa«indistinzione»; d’altra parte, essa non può essere una qualsiasi materia secunda, ma deve esseredeterminata in accordo con le condizioni speciali del nostro mondo, ed in modo tale da essere adattaa svolgere effettivamente le funzioni di sostanza in rapporto a questo e non ad altro. Si trattadunque di precisare la natura di questa determinazione, ed è appunto quanto fa san Tommasod’Aquino definendo tale materia secunda come materia signata quantitate; ciò che le è inerente, eche la fa essere quella che è, non è quindi la qualità, anche considerata nel solo mondo sensibile,bensì la quantità, che si trova appunto ex parte materiae. La quantità è proprio una delle condizionidell’esistenza nel mondo sensibile o corporeo; anzi, fra tali condizioni è una di quelle che gli sono piùesclusivamente proprie, di modo che, come ci si poteva aspettare, la definizione della materiasecunda in questione non può concernere altro che questo mondo, e anzi comprendervelointeramente, poiché tutto ciò che esiste in esso è necessariamente sottomesso alla quantità; questadefinizione è dunque pienamente sufficiente, e non è il caso di attribuire a questa materia secunda,

come è stato fatto per la «materia» dei moderni, proprietà che in realtà non possono assolutamenteappartenerle. Si può affermare che la quantità, costituendo propriamente il lato sostanziale delnostro mondo, ne è per così dire la condizione «di base» o fondamentale; ma bisognaassolutamente astenersi dall’attribuirle per ciò una importanza diversa da quella che realmente ha, esoprattutto dal volervi trovare la spiegazione di questo mondo, così come bisogna evitare diconfondere le fondamenta con la sommità di un edificio: finché ci sono soltanto le fondamenta, nonvi è ancora l’edificio, anche se queste fondamenta gli sono indispensabili; non solo, ma finché c’èsolo quantità, non vi è ancora manifestazione sensibile anche se questa vi trova la sua stessa radice.La quantità in quanto tale non è che un «presupposto» necessario, ma che non spiega nulla: è unabase e nient’altro, e non bisogna dimenticare che la base, per definizione, è ciò che è situato allivello più basso. Anche il ridurre la qualità alla quantità altro non è in fondo se non quella «riduzionedel superiore all’inferiore», mediante la quale taluni hanno giustamente voluto caratterizzare il

materialismo: pretendere di far venir fuori il «più» dal «meno» è in effetti una delle più tipicheaberrazioni moderne!Ma c’è ancora un’altra questione: la quantità si presenta a noi in modi diversi, e, in particolare, si hala quantità discontinua, precisamente il numero [La pura nozione di numero è essenzialmente quelladel numero intero, ed è evidente che il succedersi dei numeri interi costituisce una serie discontinua;tutte le estensioni che questa nozione ha ricevuto, e che hanno dato luogo alla considerazione deinumeri frazionari e dei numeri incommensurabili, sono vere e proprie alterazioni di essa, erappresentano soltanto degli sforzi fatti allo scopo di ridurre, per quanto possibile, gli intervalli deldiscontinuo numerico, e per rendere meno imperfetta la sua applicazione alla misura delle grandezzecontinue], e la quantità continua, rappresentata principalmente dalle grandezze d’ordine spaziale etemporale; quale fra questi modi può essere definito quantità pura? Il problema è tanto piùimportante se si pensa che Cartesio, che troviamo al punto di partenza di buona parte delle

concezioni filosofiche e scientifiche specificamente moderne, ha voluto definire la materia conl’estensione, nonché fare di questa stessa definizione il cardine di una fisica quantitativa la quale, sepur non era ancora «materialismo», era almeno «meccanicismo»; da ciò si potrebbe esser tentati diconcludere che è l’estensione, in quanto direttamente inerente alla materia, a rappresentare il modofondamentale della quantità. San Tommaso d’Aquino per contro, con l’affermazione «numerus statex parte materiae», sembra piuttosto suggerire che sia il numero a costituire la base sostanziale di

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questo mondo, e che per conseguenza sia esso a dover essere riguardato veramente come laquantità pura; questo carattere «di base» del numero d’altronde si accorda perfettamente con ilfatto che la dottrina pitagorica, per analogia inversa, lo prende a simbolo dei princìpi essenziali dellecose. È opportuno peraltro osservare che la materia di Cartesio non è più la materia secunda degliScolastici, ma già un esempio, forse il primo in ordine di tempo, di una «materia» intesa al modo deifisici moderni, benché egli non abbia ancora posto in questa nozione tutto ciò che i suoi successoridovevano introdurvi, a poco a poco, per giungere alle più recenti teorie sulla «costituzione dellamateria». È dunque il caso di sospettare che nella definizione cartesiana della materia possa esserciqualche errore o qualche confusione, e che vi si sia introdotto, forse all’insaputa del suo autore, un

elemento d’ordine non strettamente quantitativo; in effetti, e lo vedremo in seguito, l’estensione,pur avendo evidentemente un carattere quantitativo, come d’altronde tutto quanto appartiene almondo sensibile, non può essere considerata come quantità pura. Si può osservare, inoltre, che leteorie più avanzate nel senso della riduzione al quantitativo sono generalmente «atomistiche» in unaforma o nell’altra, cioè introducono nella loro nozione di materia una discontinuità che le avvicinamolto di più alla natura del numero che non a quella dell’estensione; e il fatto stesso che la materiacorporea non possa, nonostante tutto, essere concepita se non come estensione è per ogni«atomista» una fonte di contraddizione. In tutto ciò, un’altra ragione di confusione, su cui avremooccasione di ritornare, è l’abitudine che si è presa di considerare «corpi» e «materia» comepressoché sinonimi; in realtà, i corpi non sono affatto la materia secunda, la quale non può cometale trovare riscontro nelle esistenze manifestate in questo mondo, ma da essa derivano soltantocome dal loro principio sostanziale. In definitiva è appunto il numero, anch’esso non percepibile maidirettamente e allo stato puro nel mondo corporeo, che deve essere considerato per primo, nell’àm-bito della quantità, come quello che ne costituisce il modo fondamentale; gli altri modi sonoesclusivamente derivati, cioè non sono quantità se non per partecipazione al numero, cosa ricono-sciuta del resto come implicita quando si pensa, come di fatto avviene sempre, che tutto ciò che èquantitativo deve potersi esprimere numericamente. In questi altri modi, la quantità, anche seelemento predominante, appare sempre più o meno combinata con la qualità, ed è per questo che leconcezioni di spazio e di tempo, a dispetto di tutti gli sforzi dei matematici moderni, non potrannomai essere esclusivamente quantitative, a meno di ridurle a nozioni interamente vuote, senzacontatti di sorta con una realtà qualsiasi; ma, per la verità, la scienza attuale non è forse fatta ingran parte di queste nozioni vuote che hanno unicamente il carattere di «convenzioni» senza laminima portata effettiva? Su quest’ultima questione daremo maggiori chiarimenti in seguito, specieper quanto concerne la natura dello spazio, poiché questo punto è in stretto rapporto coi princìpi delsimbolismo geometrico e contemporaneamente fornisce un eccellente esempio della degenerazione

che conduce dalle concezioni tradizionali a quelle profane; e ci arriveremo cominciando con l’esa-minare come l’idea, di «misura», su cui riposa la stessa geometria, sia tradizionalmente suscettibiled’una trasposizione che le dà un significato ben diverso da quello che ha per gli scienziati moderni, iquali ultimi non vi vedono in definitiva se non il mezzo per avvicinarsi il più possibile al loro «ideale»alla rovescia, quello di operare, a poco a poco, la riduzione di tutte le cose alla quantità.

3. Misura e MANIFESTAZIONE

Se riteniamo preferibile evitare l’uso della parola «materia» finché non dobbiamo esaminare in modospecifico concezioni moderne, la ragione sta, per intenderci, nelle confusioni che essainevitabilmente genera; è impossibile in effetti che tale parola (anche in coloro che conoscono ildiverso significato che aveva per gli Scolastici) non evochi immediatamente l’idea che se ne fanno i

fisici moderni, dato che la recente accezione è la sola rimastale nel linguaggio corrente. Orbene,quest’idea, come già abbiamo detto, non è reperibile in alcuna dottrina tradizionale, sia orientale siaoccidentale; ciò se non altro dimostra che, anche nella misura in cui sarebbe legittimamentepossibile accettarla sfrondandola di certi elementi eterocliti o persino nettamente contraddittori,un’idea del genere non ha nulla di veramente essenziale, ed in realtà non si riferisce che ad un mododel tutto particolare di vedere le cose. Inoltre, essendo del tutto recente, è fuor di dubbio chequest’idea non è implicita nel termine stesso, ad essa molto anteriore, e che il significato originaledeve per conseguenza esserne completamente indipendente. Bisogna peraltro riconoscere chequesto termine è uno di quelli la cui vera derivazione etimologica è molto difficile da stabilire conesattezza, quasi che un’oscurità più o meno impenetrabile avvolga decisamente tutto quanto siriferisce alla «materia», per cui, a questo proposito, è pressoché impossibile far di più che discerneretalune idee associate alla sua radice, cosa del resto tutt’altro che priva di interesse, anche se, tra

queste idee, resta imprecisabile quella che più si avvicina al significato primitivo.L’associazione più sovente segnalata è quella che ricollega materia a mater, e ciò in effetti è benappropriato alla sostanza in quanto principio passivo, o simbolicamente «femminile»: si può dire chePrakriti svolge una funzione «materna» in rapporto alla manifestazione, così come Purusha svolgeuna funzione «paterna»; e ciò si verifica ugualmente a tutti i livelli in cui si può esaminareanalogicamente una correlazione tra essenza e sostanza [Ciò si accorda con il significato originale

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del termine da noi indicato in precedenza: il vegetale è per così dire la «madre» del frutto cheda esso nasce e che esso nutre della sua sostanza, ma che non si sviluppa e non matura se non perl’influenza vivificante del sole, il quale in certo qual modo viene ad esserne il «padre»; perconseguenza il frutto stesso è simbolicamente assimilabile al sole per «coessenzialità», se così èlecito esprimerci, com’è visibile in quanto altrove abbiamo scritto a proposito del simbolismo degliAditya, e in diverse altre nozioni tradizionali similari]. D’altra parte è anche possibile ricollegare lostesso termine materia al verbo latino metiri, «misurare» (e vedremo che in sanscrito esiste unaforma che ad esso è ancora più vicina); ma dire «misura» equivale a introdurre una determinazione,e ciò non è più applicabile all’assoluta indeterminazione della sostanza universale o della materia

prima, ma deve piuttosto riferirsi a qualche altro significato più ristretto; questo è precisamente ilpunto che ora ci proponiamo di esaminare più particolareggiatamente.«Per tutto ciò che può essere concepito o percepito (nel mondo manifestato)» come dice a questoproposito Ananda K. Coomaraswamy «il sanscrito ha soltanto l’espressione nama-rupa, i cui duetermini corrispondono all’“intelligibile” e al «sensibile» (considerati come due aspetti complementaririspettivamente riferentisi all’essenza e alla sostanza delle cose) [I due termini «intelligibile» e«sensibile» adoperati correlativamente sono propri del linguaggio platonico; si sa che il «mondointelligibile» è per Platone l’àmbito delle «idee» o degli «archetipi», i quali, come abbiamo già visto,sono effettivamente le essenze nel vero significato della parola; e, in rapporto a questo mondointelligibile, il mondo sensibile, àmbito degli elementi corporei o di quanto procede dalle lorocombinazioni, sta dal lato sostanziale della manifestazione]. È vero che il termine matra,letteralmente «misura», è l’equivalente etimologico di materia; ma quanto è «misurato» a questomodo non è la «materia» dei fisici, bensì le possibilità di manifestazione inerenti allo spirito (Atma)»[Notes on the Katha-Upanishad, 2° parte]. Tale idea di «misura», posta così in rapporto diretto conla stessa manifestazione, è molto importante, e ben lungi dall’appartenere esclusivamente alla solatradizione indù che Coomaraswamy ha qui particolarmente in vista; si può dire, in effetti, che essa,in una forma o in un’altra, è ritrovabile in tutte le dottrine tradizionali, per cui, anche se nonpossiamo pretendere di porne in rilievo tutte le concordanze rilevabili a questo proposito,cercheremo tuttavia di dirne abbastanza da giustificare questa asserzione, cercando nel contempo dichiarire, per quanto possibile, il simbolismo della «misura» che appunto occupa un gran posto intalune forme iniziatiche.Intesa alla lettera, la misura si riferisce principalmente all’àmbito della quantità continua, cioè, nelmodo più diretto, alle cose che hanno carattere spaziale (dal momento che il tempo stesso, benchéugualmente continuo, è misurabile solo indirettamente, riferendolo in qualche modo allo spaziotramite il movimento che stabilisce una relazione tra l’uno e l’altro); ciò equivale a dire che la misura

si riferisce, in definitiva, sia alla stessa estensione, sia a quel che si è convenuto chiamare «materiacorporea» in ragione del carattere estensivo da questa necessariamente posseduto, il che d’altrondenon vuole affatto dire che la sua natura, come pretende Cartesio, si riduca puramente e sem-plicemente all’estensione. Nel primo caso la misura è più propriamente «geometrica»; nel secondo lasi potrebbe piuttosto definire «fisica», nel senso ordinario del termine; ma in realtà questo secondocaso è riconducibile al primo, poiché è in quanto si situano nell’estensione e ne occupano una certaporzione definita che i corpi sono immediatamente misurabili, mentre le altre loro proprietà nonsono suscettibili di misura se non quando si possa riferirle in qualche modo all’estensione. Qui, comeavevamo previsto, siamo ben lontani dalla materia prima, poiché questa, nella sua assoluta«indistinzione», non può minimamente essere misurata né servire a misurare alcunché; ma èdoveroso chiedersi se tale nozione di misura non sia più o meno strettamente legata a ciò checostituisce la materia secunda del nostro mondo, ed in effetti questo legame esiste proprio per il

fatto che essa è signata quantitate. Infatti, se la misura riguarda direttamente l’estensione e quantoin essa contenuto, ciò è reso possibile dall’aspetto quantitativo di questa estensione; ma la quantitàcontinua, come abbiamo spiegato, è in se stessa solo un modo derivato dalla quantità, cioè non èpropriamente quantità se non per partecipazione alla quantità pura, la quale ultima, dal canto suo, èinerente alla materia secunda del mondo corporeo; e aggiungiamo ancora che, siccome il continuonon è la quantità pura, la misura presenta sempre delle imperfezioni nella sua espressionenumerica, poiché la discontinuità del numero ne rende impossibile una adeguata applicazione alladeterminazione delle grandezze continue. È ben vero che il numero è la base di ogni misura, ma,finché si considera il numero soltanto, non si può parlare di misura, essendo questa l’applicazionedel numero a qualcos’altro; applicazione che è sempre possibile entro certi limiti, quelli cioè della«inadeguatezza» che abbiamo segnalato per tutto quanto soggiace alla condizione quantitativa, o, inaltri termini, per tutto quanto appartiene all’àmbito della manifestazione corporea. Soltanto, e

ritorniamo così all’idea espressa da A.K. Coomaraswamy, bisogna sottolineare come, in realtà emalgrado certi abusi del linguaggio ordinario, la quantità non sia ciò che è misurato, bensì, alcontrario, ciò per cui le cose sono misurate; e si può dire inoltre che la misura è, in rapporto alnumero, in senso inversamente analogico, ciò che la manifestazione è in rapporto al suo principioessenziale.

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Orbene, è chiaro che per estendere l’idea di misura al di là del mondo corporeo bisogna farne unatrasposizione analogica: essendo lo spazio il luogo di manifestazione delle possibilità d’ordinecorporeo, ci si potrà servire di esso per rappresentare tutto l’àmbito della manifestazione universale,il quale diversamente non sarebbe «rappresentabile»; e l’idea di misura, applicata a quest’ultimo,viene così ad appartenere essenzialmente a quel simbolismo spaziale di cui tanto spesso abbiamodato degli esempi.In fondo, la misura è allora un’«assegnazione» od una «determinazione», necessariamente inerentead ogni manifestazione in qualsiasi ordine o modo; tale determinazione è naturalmente conformealle condizioni di ogni stato di esistenza, e si identifica persino, in un certo senso, a queste stesse

condizioni; essa è veramente quantitativa solo nel nostro mondo, poiché la quantità, comed’altronde lo spazio e il tempo, non è in definitiva se non una delle condizioni speciali dell’esistenzacorporea. Ma vi è, in tutti i mondi, una determinazione che può essere simboleggiata, a nostro uso,da quella determinazione quantitativa che è la misura, in quanto questa corrisponde ad essa,tenendo conto della differenza delle condizioni; e si può dire che è proprio mediante taledeterminazione che questi mondi, con tutto il loro contenuto, sono realizzati o «attualizzati» cometali, poiché essa è una cosa sola con il processo stesso della manifestazione. Coomaraswamyosserva che «il concetto platonico e neo-platonico di «misura» ( ) concorda con ilconcetto indiano: il «non-misurato» è ciò che ancora non è stato definito; il «misurato» è ilcontenuto definito o finito del «cosmo», cioè dell’universo «ordinato»; il «non misurabile» è l’infinito,origine ad un tempo dell’indefinito e del finito, che non viene infirmato dalla definizione deldefinibile», cioè dalla realizzazione delle possibilità di manifestazione che esso porta in sé.Si vede qui che l’idea di misura è intimamente connessa con quella di «ordine» (in sanscrito rita),riferentesi alla produzione dell’universo manifestato, poiché, secondo il significato etimologico deltermine greco κ , si tratta nella fattispecie della produzione dell’«ordine» a partire dal«caos»; quest’ultimo è l’indefinito nel senso platonico, mentre il «cosmo» è il definito [Il terminesanscrito rita è apparentato, attraverso la sua stessa radice, al latino ordo, e non è neanche il casodi fare osservare che lo è ancor più strettamente al termine «rito»; etimologicamente il rito è quantoviene compiuto conformemente all’«ordine», e che per conseguenza imita, o riproduce al suo livello,il processo stesso della manifestazione; è per questo che, in una civiltà strettamente tradizionale,qualsiasi atto riveste un carattere essenzialmente rituale]. Questa produzione è anche assimilata, datutte le tradizioni, ad un’«illuminazione» (il fiat lux della Genesi), mentre il «caos» è simbolicamenteidentificato con le «tenebre»: si tratta della potenzialità a partire dalla quale si «attualizzerà» lamanifestazione, cioè, in definitiva, il lato sostanziale del mondo descritto anche come il polotenebroso dell’esistenza, mentre l’essenza ne è il polo luminoso, poiché è la sua influenza ad illu-

minare effettivamente questo «caos» per ricavarne il «cosmo»; ciò è d’altronde in accordo con idiversi significati impliciti nel termine sanscrito srishti, che designa la produzione della manife-stazione, e che contiene ad un tempo le idee di «espressione», di «concezione» e di «irraggiamentoluminoso» [Cfr. A.K. Coomaraswamy, Notes on the Katha-Upanishad, cit.]. I raggi solari fannoapparire le cose da essi rischiarate, le rendono visibili, e simbolicamente si può dire che le«manifestano»; se si considera un punto centrale nello spazio ed i raggi emanati da esso, si potràdel pari affermare che questi raggi «realizzano» lo spazio facendolo passare dalla virtualitàall’attualità, e che la loro effettiva estensione è, in ogni istante, la misura dello spazio realizzato.Questi raggi corrispondono alle direzioni dello spazio propriamente detto (direzioni che spesso sonorappresentate mediante il simbolismo dei «capelli», riferibile anche ai raggi solari); lo spazio èdefinito e misurato dalla croce a tre dimensioni, e, nel simbolismo tradizionale dei «sette raggisolari», questa croce è formata da sei di tali raggi opposti a due a due, mentre il «settimo raggio»,

quello che passa attraverso la «porta solare», non può essere graficamente rappresentato se nondal centro stesso. Tutto ciò dunque è perfettamente coerente e si concatena nel modo più rigoroso;e aggiungeremo ancora che, nella tradizione indù, i «tre passi» di Vishnu, di cui è ben noto ilcarattere «solare», misurano i «tre mondi», cioè «effettuano» la totalità della manifestazioneuniversale. È noto d’altronde che i tre elementi costitutivi del monosillabo sacro Om sono designaticon il termine matra, e ciò sta ad indicare che essi rappresentano anche la misura rispettiva dei «tremondi»; mediante la meditazione di questi matra l’essere realizza in sé gli stati o gradicorrispondenti dell’esistenza universale, e diventa così egli stesso la «misura di tutte le cose» [Cfr.R. Guénon, L’Homme et son devenir selon le Védanta, Paris, 1925 (trad. it.: L’uomo e il suo diveniresecondo il Vedanta, Torino, 1965), cap. XVII].Il termine sanscrito matra equivale esattamente all’ebraico middah; orbene, nella Cabbala, lemiddoth sono assimilate agli attributi divini, ed è detto che attraverso di esse Dio ha creato i mondi,

il che inoltre viene messo in rapporto con il simbolismo del punto centrale e delle direzioni dellospazio [Cfr. Le Symbolisme de la Croix, cit., cap. iv]. A questo proposito si può rammentare anche laparola biblica secondo cui Dio ha «disposto tutte le cose in misura, numero e peso» [«Omnia inmensura, numero et pondere disposuisti» (Sapienza, XI, 20)]; tale enumerazione, manifestamenteriferibile ai diversi modi di essere della quantità, è come tale applicabile letteralmente al solo mondocorporeo, ma vi si può vedere, mediante un’appropriata trasposizione, anche un’espressione

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dell’«ordine universale». Non diversamente accade per i numeri pitagorici; ma fra tutti i modid’essere della quantità, è l’estensione, cioè quello a cui propriamente corrisponde la misura, adessere più spesso e più direttamente messa in rapporto con il processo stesso della manifestazione,e ciò proprio in virtù di una certa predominanza naturale del simbolismo spaziale a tale proposito,predominanza derivante dal fatto che è lo spazio che costituisce il «campo» (nel senso del sanscritoKshetra) in cui si sviluppa la manifestazione corporea, necessariamente presa come simbolo di tuttala manifestazione universale.L’idea di misura comporta immediatamente l’idea di «geometria», non soltanto perché, comeabbiamo già visto, ogni misura è essenzialmente «geometrica», ma perché la geometria si può

definire come la scienza stessa della misura; è evidente che qui si tratta di una geometria intesaanzitutto in quel senso simbolico ed iniziatico, di cui la geometria profana non è più che un semplicevestigio degenerato, vestigio privo del significato profondo che essa aveva all’origine, e che è ormaiinteramente perduto per i matematici moderni. È essenzialmente su questo che si basano tutte leconcezioni che assimilano l’attività divina, in quanto produttrice e ordinatrice dei mondi, alla «geo-metria», e di conseguenza all’«architettura» che ne è inseparabile [Il termine arabo hindesah, il cuiprimo significato è quello di misura, serve a designare contemporaneamente sia la geometria sial’architettura, quest’ultima essendo in definitiva un’applicazione della prima]; ed è noto che questeconcezioni sono state conservate e trasmesse in maniera ininterrotta a cominciare dal Pitagorismo(che d’altronde era già un «adattamento» e non una vera e propria «origine») per giungere fino aciò che ancora sussiste delle organizzazioni iniziatiche occidentali, per poco che queste ultime nesiano coscienti. A ciò in particolare si riferiscono le parole di Platone: «Dio geometrizza sempre»( : per tradurre esattamente siamo obbligati a ricorrere ad unneologismo, mancando un verbo corrente per designare l’operazione del geometra), parole a cui siriferiva l’iscrizione che si dice egli avesse fatto porre sulla porta della sua scuola: «Nessuno entri quiche non sia geometra», il che implicava che il suo insegnamento, almeno nel suo aspetto esoterico,non poteva essere veramente ed effettivamente compreso se non attraverso un’«imitazione» dellastessa attività divina. Se ne trova come un’ultima eco nella filosofia moderna (almeno quanto alladata, ma in realtà per reazione alle idee specificamente moderne) con Leibniz, quando questiafferma che «mentre Dio calcola ed esercita la sua riflessione (cioè stabilisce dei piani), il mondo sieffettua» (dum Deus calculat et cogitationem exercet, fit mundus); ma per gli antichi ciò aveva unsignificato ben diversamente preciso, poiché, nella tradizione greca, il «Dio geometra» erapropriamente l’Apollo iperboreo, il che ci riconduce ancora al simbolismo «solare», ed in pari tempoad una derivazione assai diretta dalla tradizione primordiale; ma questa è un’altra questione che nonpotremmo sviluppare qui senza uscire interamente dal nostro argomento, per cui, di queste cono-

scenze tradizionali così totalmente dimenticate dai nostri contemporanei, dobbiamo accontentarci didare qualche accenno man mano che se ne presenta l’occasione [A.K. Coomaraswamy ci hasegnalato un curioso disegno simbolico di William Blake, raffigurante il «Vecchio dei Giorni» cheappare nell’orbita solare da cui tende verso l’esterno un compasso che tiene in mano; l’immagine sidirebbe un’illustrazione delle parole del Rig Veda (VIII, 25, 18): «Con il suo raggio ha misurato (odeterminato) i confini del Cielo e della Terra» (si noti che tra i simboli di certi gradi massonici sitrova un compasso la cui testa è costituita da un sole radiante). Si tratta manifestamente di unaraffigurazione di quell’aspetto del Principio che le iniziazioni occidentali chiamano il «GrandeArchitetto dell’Universo», il quale diventa anche, in certi casi, il «Grande Geometra dell’Universo», eche è identico al Vishwakarma della tradizione indù, lo «Spirito della Costruzione Universale»; i suoirappresentanti terrestri, cioè coloro che in qualche modo «incarnano» questo Spirito nei confrontidelle diverse forme tradizionali, sono quelli che più indietro abbiamo designato, appunto per questa

ragione, come i «Grandi Architetti d’Oriente e d’Occidente»].

4. Quantità spaziale e spazio qualificato

Quanto precede ha messo in luce che l’estensione non è un puro e semplice modo d’essere dellaquantità, o in altri termini che, sebbene si possa parlare di quantità estesa o spaziale, l’estensionestessa non è riducibile per questo esclusivamente alla quantità; su tale punto è comunque doverosoinsistere, tanto più che esso è particolarmente importante per far risaltare l’insufficienza del«meccanicismo» cartesiano, nonché delle altre teorie fisiche da esso più o meno direttamentederivate nel succedersi dei tempi moderni. A questo proposito si può anzitutto osservare come lospazio, per essere puramente quantitativo, dovrebbe essere interamente omogeneo, e tale che lesue parti non possano essere distinte tra loro per nessun carattere diverso dalle loro rispettive

grandezze; sarebbe come supporre che esso sia un contenente senza contenuto, cioè qualcosa che,di fatto, non può esistere isolatamente nella manifestazione, ove il rapporto contenente-contenuto,per la sua stessa natura di correlazione, suppone necessariamente la presenza simultanea dei duetermini. Tuttavia ci si può porre, con qualche apparenza di ragione, il problema di sapere se lospazio geometrico sia concepibile come dotato di una simile omogeneità, il che, in ogni caso, nonpuò convenire allo spazio fisico, cioè a quello che contiene i corpi, la cui sola presenza,

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evidentemente, basta a determinare una differenza qualitativa fra le porzioni di questo spazio cheessi rispettivamente occupano; orbene, è appunto dello spazio fisico che Cartesio intende parlare,perché altrimenti la sua stessa teoria non significherebbe niente, in quanto essa non potrebberealmente applicarsi al mondo di cui pretende fornire la spiegazione [È vero che Cartesio, all’iniziodella sua fisica, pretende soltanto di costruire un mondo ipotetico mediante certi dati riconducibiliall’estensione e al movimento; ma, poiché in seguito si sforza di dimostrare che i fenomeni che siprodurrebbero in un mondo del genere sono precisamente quelli stessi che si constatano nel nostro,è chiaro che, nonostante questa precauzione esclusivamente verbale, egli vuol concludere chequest’ultimo è effettivamente costituito come quello che egli aveva inizialmente supposto]. Sarebbe

inutile obiettare che ciò che si trova al punto di partenza di questa teoria è uno «spazio vuoto»,perché, in primo luogo, ci si troverebbe ricondotti alla concezione di un contenente senza contenuto,e d’altronde il vuoto, non essendo una possibilità di manifestazione, non potrebbe avere alcun postonel mondo manifestato [Ciò vale ugualmente contro l’atomismo, poiché questo, non ammettendoper definizione alcuna esistenza positiva diversa da quella degli atomi e delle loro combinazioni, ènecessariamente condotto a supporre che tra loro esista un vuoto nel quale essi possono muoversi];in secondo luogo, dal momento che Cartesio riduce tutta intera la natura dei corpi all’estensione,deve per conseguenza supporre che la loro presenza non aggiunga effettivamente niente a quantol’estensione è già di per se stessa, e, in effetti, le diverse proprietà dei corpi non sono per lui chesemplici modificazioni dell’estensione; ma allora, da dove possono venire queste proprietà, se essenon sono in qualche modo inerenti all’estensione stessa, e come potrebbero esserlo se la natura diquest’ultima fosse sprovvista di elementi qualitativi? Avremmo a che fare con qualcosa dicontraddittorio e, per la verità, non oseremmo affermare che questa contraddizione, come puremolte altre, non sia implicita nell’opera di Cartesio; questi, come i materialisti più recenti, che agiusto titolo possono considerarsi suoi discepoli, pare in definitiva voler trarre il «più» dal «meno».In fondo, dire che un corpo non è altro che estensione, se la si intende quantitativamente, significaaffermare che la sua superficie e il suo volume, misuranti la porzione d’estensione occupata, sono ilcorpo in se stesso, con tutte le sue proprietà, il che è manifestamente assurdo; oppure, perintenderla diversamente, bisogna ammettere che l’estensione in se stessa abbia qualcosa diqualitativo, ma allora essa non può più servire di base ad una teoria esclusivamente «mecca-nicistica».Ora queste considerazioni, pur dimostrando che la fisica cartesiana non può essere valida, non sonoperaltro ancora sufficienti a stabilire nettamente il carattere qualitativo dell’estensione; si potrebbedire, in effetti, che, se non è vero che la natura dei corpi si riduce all’estensione, la ragione ne è che,appunto, essi non prendono di quest’ultima se non gli elementi quantitativi. Ma qui si presenta

immediatamente la seguente osservazione: fra le determinazioni corporee che sonoincontestabilmente d’ordine puramente spaziale, e che quindi possono veramente essere consideratecome modificazioni dell’estensione, non c’è soltanto la grandezza dei corpi, ma anche la lorosituazione: ma quest’ultima è ancora qualcosa di puramente quantitativo? I sostenitori dellariduzione alla quantità diranno senza dubbio che la situazione dei diversi corpi è definita dalle lorodistanze, e che la distanza è appunto una quantità: la quantità d’estensione, cioè, che li separa, cosìcome la loro grandezza è la quantità d’estensione che essi occupano; ma basta veramente questadistanza a definire la situazione dei corpi nello spazio? Di un’altra cosa bisogna tener conto, ed è ladirezione secondo cui questa distanza deve essere calcolata; ma, poiché dal punto di vistaquantitativo la direzione deve essere indifferente, in quanto, sotto questo rapporto, lo spazio nonpuò essere considerato se non come omogeneo, ne deriva che le diverse direzioni non possonoessere distinte le une dalle altre; se dunque la direzione interviene effettivamente nella situazione, e

se essa, proprio come la distanza, è un elemento puramente spaziale, ne consegue che, nella naturastessa dello spazio, vi è qualcosa di qualitativo.Per esserne ancor più certi, lasceremo da parte lo spazio fisico ed i corpi per prendere in esamesoltanto lo spazio propriamente geometrico, il quale, se così si può dire, è certamente lo spazio ri-dotto a se stesso; per studiare questo spazio, è certo che la geometria faccia appello soltanto anozioni strettamente quantitative? Questa volta, beninteso, si tratta semplicemente della geometriaprofana dei moderni, ma se, diciamolo subito, si trova anche qui qualcosa di irriducibile alla quantità,non ne risulterà immediatamente che nel campo della scienza fisica è ancor più impossibile e piùillegittimo pretendere di tutto ricondurre ad essa? Qui non intendiamo nemmeno parlare dellasituazione, poiché quest’ultima svolge una funzione di qualche rilievo solo in talune brancheparticolari della geometria che a rigore si potrebbe anche rifiutare di considerare come parteintegrante della geometria pura [Quale per esempio la geometria descrittiva o la cosiddetta analysis

situs secondo certi studiosi di geometria]; ma, nella geometria più elementare, non c’è soltanto lagrandezza delle figure da considerare, bensì anche la loro forma; o forse qualche studioso digeometria più compenetrato dalle concezioni moderne oserebbe sostenere che, per esempio, untriangolo ed un quadrato di uguale superficie sono una stessa ed unica cosa? Potrà soltanto dire chequeste due figure sono «equivalenti» sottintendendo evidentemente «dal punto di vista dellagrandezza»; ma sarà obbligato a riconoscere che, sotto un altro rapporto, cioè quello della forma,

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c’è qualcosa che li differenzia, e se l’equivalenza di grandezza non implica la similitudine di forma, èperché quest’ultima non è riducibile alla quantità. E andremo anche più lontano: c’è tutta una partedella geometria elementare a cui le considerazioni quantitative sono estranee, cioè la teoria dellefigure simili; la similitudine, in effetti, si definisce esclusivamente mediante la forma ed è del tuttoindipendente dalla grandezza delle figure, il che implica che essa è d’ordine puramente qualitativo[Leibniz l’ha espresso con questo aforisma: «Equalia sunt ejusdem quantitatis; similia sunt ejusdemqualitatis»]. Se ora ci domandiamo che cosa sia essenzialmente questa forma spaziale, osserveremoche essa è definibile mediante un insieme di tendenze in direzione: in ogni punto di una linea latendenza in questione è determinata dalla sua tangente, e l’insieme delle tangenti definisce la forma

di quella linea; lo stesso dicasi per le superfici, nella geometria a tre dimensioni, se si sostituisce laconsiderazione delle rette tangenti con quella dei piani tangenti; è evidente che ciò è valido tantoper i corpi quanto per le semplici figure geometriche, poiché la forma di un corpo non è altro che lasuperficie stessa da cui è delimitato il suo volume. Arriviamo dunque, e ciò che abbiamo detto aproposito della situazione dei corpi permetteva già di prevederlo, a questa conclusione: è la nozionedi direzione quella che in definitiva rappresenta il vero elemento qualitativo inerente alla naturastessa dello spazio, così come la nozione di grandezza ne rappresenta l’elemento quantitativo; e cosìlo spazio, tutt’altro che omogeneo, ma determinato e differenziato dalle sue direzioni, è ciò chepossiamo chiamare spazio «qualificato».Orbene, non soltanto dal punto di vista fisico, ma, come abbiamo visto, anche dal punto di vistageometrico, è proprio questo spazio «qualificato» il vero spazio; lo spazio omogeneo, in effetti, nonha alcuna esistenza, a voler parlare propriamente, in quanto non è nient’altro che una semplicevirtualità. Per poter essere misurato, cioè, secondo le nostre precedenti spiegazioni, per poter essereeffettivamente realizzato, lo spazio deve necessariamente essere riferito a un insieme di direzionidefinite; queste direzioni, d’altronde, appaiono come raggi emanati da un centro, a partire dal qualeformano la croce a tre dimensioni, e non è nemmeno il caso di ricordare una volta ancora la funzioneconsiderevole che esse svolgono nel simbolismo di tutte le dottrine tradizionali [A questo proposito cisi dovrà riferire alle considerazioni da noi esposte, con tutti gli sviluppi ad esse connesse, nelSymbolisme de la Croix]. Si potrebbe forse anche suggerire che è proprio restituendo allaconsiderazione delle direzioni dello spazio la sua importanza reale che sarebbe possibile restituirealla geometria, in gran parte almeno, il senso profondo da essa perduto; ma una cosa del genere,non possiamo nasconderlo, richiederebbe un lavoro che potrebbe condurre molto lontano, come èfacile convincersene se si pensa all’influenza effettiva esercitata da questa considerazione, a diversiriguardi, su tutto ciò che si riferisce alla costituzione stessa delle società tradizionali [Nellafattispecie, si dovrebbero esaminare qui tutte le questioni d’ordine rituale riferibili più o meno

direttamente all’«orientazione»; evidentemente non possiamo insistervi, e ci limiteremo amenzionare come sia in tal modo che, tradizionalmente, vengono determinate non solo le condizioniper la costruzione degli edifici, si tratti di templi o di case, ma anche quelle per la fondazione dellecittà. L’orientazione delle chiese è l’ultimo vestigio che ne è rimasto in Occidente fino all’inizio deitempi moderni, l’ultimo almeno dal punto di vista «esteriore», poiché, per quanto riguarda le formeiniziatiche, considerazioni di questo genere, benché oggi generalmente incomprese, vi hanno sempreconservato il loro posto simbolico, anche quando, nel presente stato di degenerazione di tutte lecose, si è creduto di potersi dispensare dall’osservare la realizzazione effettiva delle condizioni cheesse implicano, e di contentarsi, a questo proposito, di una rappresentazione semplicemente«speculativa»].Lo spazio, così come il tempo, è una delle condizioni che definiscono l’esistenza corporea, condizioniche sono però diverse dalla «materia», o meglio dalla quantità, benché con questa si combinino

naturalmente; esse sono meno «sostanziali», quindi più vicine all’essenza, ed è questo in effetti ciòche implica l’esistenza in esse di un aspetto qualitativo; l’abbiamo visto per lo spazio e lo vedremoanche per il tempo. Prima di arrivare a questo, sottolineeremo ancora che l’inesistenza di uno«spazio vuoto» è sufficiente a dimostrare l’assurdità di una delle troppo famose «antinomie»cosmologiche di Kant: chiedersi «se il mondo è infinito, o se è limitato nello spazio», è una questioneassolutamente priva di senso: è impossibile che lo spazio si estenda al di là del mondo percontenerlo, perché si tratterebbe allora di uno spazio vuoto ed il vuoto non può contenere alcunché;è invece lo spazio ad essere nel mondo, cioè nella manifestazione, e, se ci si limita a prendere inesame il solo àmbito della manifestazione corporea, si potrà dire che lo spazio è coestensivo a talemondo essendone una delle condizioni; ma questo mondo non è più infinito dello spazio stesso,perché, come quest’ultimo, non contiene tutte le possibilità, ma rappresenta soltanto un certo ordinedi possibilità particolari ed è limitato dalle determinazioni costituenti la sua stessa natura. Diremo

ancora, per non dovere ritornare su questo argomento, che è ugualmente assurdo chiedersi «se ilmondo è eterno, o se è cominciato nel tempo»; per ragioni del tutto analoghe, è in realtà il tempoche è cominciato nel mondo, se si tratta della manifestazione universale, o con il mondo, se si trattadella manifestazione corporea; ma il mondo non è affatto eterno per questo perché ci sono ancheinizi intemporali; il mondo non è eterno perché è contingente, o, in altri termini, esso ha un iniziocome avrà una fine perché non è il principio di se stesso, o perché non contiene questo principio che

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gli è tuttavia necessariamente trascendente. In tutto ciò non vi sono difficoltà di sorta, ed è perquesto che buona parte delle speculazioni dei filosofi moderni è fatta solo di questioni mal impostatee di conseguenza insolubili, suscettibili dunque di dar luogo a discussioni indefinite; esse, però,svaniscono del tutto dal momento in cui, esaminate al di fuori di ogni pregiudizio, siano ridotte a ciòche in realtà sono, cioè a semplici prodotti della confusione che caratterizza la mentalità attuale. Lacosa più curiosa è che anche questa confusione sembra avere una sua «logica», poiché, durantemolti secoli e in tutte le diverse forme che ha rivestito, essa ha sempre costantemente teso in unostesso senso; ma questa «logica» altro non è, in fondo, che la conformità con il percorso stesso delciclo umano, a sua volta dettato dalle condizioni cosmiche stesse; e ciò ci riporta direttamente alle

considerazioni inerenti alla natura del tempo, e a quelle che, per contrapposto alla concezionepuramente quantitativa che ne hanno i «meccanicisti», possiamo chiamare le sue determinazioniqualitative.

5. Le determinazioni qualitative del tempo

Il tempo appare ancor più lontano dello spazio dalla quantità pura: si può parlare sia di grandezzetemporali sia di grandezze spaziali, ed entrambe fanno parte della quantità continua (dal momentoche non è il caso di soffermarsi sulla bizzarra concezione di Cartesio secondo cui il tempo sarebbecostituito da una serie di istanti discontinui, in quanto ciò implicherebbe l’ipotesi d’una «creazione»costantemente rinnovantesi senza la quale il mondo scomparirebbe ad ogni istante negli intervalli ditale discontinuità); tuttavia occorre distinguere molto bene tra i due casi, poiché, come abbiamorilevato in precedenza, mentre si può misurare direttamente lo spazio, ciò non è possibile per iltempo se non riconducendolo per così dire allo spazio. Quel che si misura in realtà non è mai unadurata, bensì lo spazio percorso in questa durata da un certo movimento di cui si conosce la legge;poiché questa legge si presenta come una relazione fra il tempo e lo spazio, quando si conosce lagrandezza dello spazio percorso si può dedurre quella del tempo impiegato a percorrerlo; per quantiartifici si adoperino, non vi sono, in definitiva, altri mezzi per determinare le grandezze temporali.Un’altra osservazione che parimenti tende alla stessa conclusione è la seguente: i fenomeniprettamente corporei sono i soli a situarsi altrettanto bene nello spazio quanto nel tempo; i fenomenid’ordine mentale, quelli studiati dalla «psicologia» nel senso ordinario della parola, non hanno alcuncarattere spaziale, ma, per contro, si svolgono ugualmente nel tempo; orbene, il mentale,appartenendo alla manifestazione sottile, è necessariamente, nell’àmbito individuale, più prossimoall’essenza del corporeo; se la natura del tempo è suscettibile di una tale estensione e dicondizionare le stesse manifestazioni mentali, è dunque perché questa natura dev’essere più

qualitativa ancora di quella dello spazio. E poiché parliamo di fenomeni mentali, aggiungeremo che,essendo essi dalla parte di ciò che nell’individuo rappresenta l’essenza, è perfettamente vanocercarvi elementi quantitativi, o addirittura, come fanno certuni, volerli ridurre alla quantità; ciò chegli «psicofisiologi» determinano quantitativamente non sono in realtà i fenomeni mentali, come essiritengono, ma soltanto certe loro concomitanze corporee; e in ciò non vi è nulla che in qualche modoriguardi la natura propria del mentale, né che, per conseguenza, possa servire a spiegarlo in alcunmodo; l’idea assurda di una psicologia quantitativa rappresenta veramente il gradino più bassodell’aberrazione «scientistica» moderna!Ne consegue che, se si può parlare di spazio «qualificato», a maggior ragione si potrà parlare ditempo «qualificato»; e con ciò vogliamo intendere che nel tempo devono esserci meno deter-minazioni quantitative e più determinazioni qualitative che non nello spazio. Il «tempo vuoto» nonha d’altronde maggiore esistenza dello «spazio vuoto», e, a questo proposito, si potrebbe ripetere

tutto quanto abbiamo detto parlando dello spazio; al di fuori del nostro mondo non ci sono più néspazio né tempo, mentre, all’interno di esso, il tempo realizzato contiene sempre avvenimenti, cosìcome lo spazio realizzato contiene sempre corpi. Per taluni aspetti v’è una specie di simmetria fraspazio e tempo, cosicché se ne può parlare spesso con un certo qual parallelismo; ma questasimmetria, che non si ritrova nelle altre condizioni dell’esistenza corporea, è più accentuata dal latoqualitativo che non da quello quantitativo, come pare dimostrarlo la differenza da noi indicata tra ladeterminazione delle grandezze spaziali e quella delle grandezze temporali, nonché l’assenza, perquanto riguarda il tempo, di una scienza quantitativa analoga a quel che è la geometria per lospazio. Nell’ordine qualitativo, per contro, la simmetria si traduce in modo rimarchevole nellacorrispondenza esistente fra simbolismo spaziale e simbolismo temporale, di cui spesso abbiamoavuto modo di dare esempi; se si tratta di simbolismo, in effetti, è la considerazione della qualitàche interviene essenzialmente, e non quella della quantità.

È evidente che le epoche del tempo si differenziano qualitativamente mediante gli avvenimenti chevi si svolgono, così come le porzioni di spazio mediante i corpi che vi si trovano, e che non si puòassolutamente considerare come realmente equivalenti due durate quantitativamente uguali, mapiene di serie di avvenimenti del tutto diverse; è addirittura d’osservazione comune che l’u-guaglianza quantitativa nell’apprezzamento mentale della durata sparisce completamente di frontealla differenza qualitativa. Ma forse si dirà che tale differenza non è inerente alla durata in se stessa,

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bensì soltanto a ciò che vi si svolge; è dunque opportuno chiedersi se, al contrario, non vi sia nelladeterminazione qualitativa degli avvenimenti qualcosa che proviene proprio dal tempo; e, per laverità, non si riconosce almeno implicitamente una cosa del genere quando per esempio si parla,come si fa costantemente nel linguaggio comune, delle condizioni caratteristiche di tale o talaltraepoca? Ciò appare in definitiva ancor più manifesto per il tempo che non per lo spazio, benché,come abbiamo visto per quanto riguarda la situazione dei corpi, gli elementi qualitativi sianotutt’altro che trascurabili. Per di più, se si vuole andare a fondo delle cose, si dovrebbe dire che,come un corpo non può essere situato indifferentemente in un luogo qualsiasi, così un avvenimentonon può prodursi indifferentemente in qualsiasi epoca; e però qui la simmetria non è così perfetta,

perché, mentre la situazione dei corpi nello spazio è suscettibile di variare a causa del movimento,quella di un avvenimento nel tempo è invece rigorosamente determinata e propriamente «unica»,cosicché la natura essenziale degli avvenimenti appare molto più strettamente legata al tempo chenon quella dei corpi allo spazio, il che riconferma che il tempo deve avere in se stesso un caratteremolto più qualitativo.In realtà, il tempo non è qualcosa che si svolga uniformemente, e, di conseguenza, rappresentarlogeometricamente con una linea retta, come abitualmente fanno i matematici moderni, ne dà un’ideainteramente falsata per eccesso di semplificazione; vedremo in seguito che la tendenza ad abusivesemplificazioni è proprio una delle caratteristiche della mentalità moderna, e che, d’altronde, siaccompagna inevitabilmente con la tendenza di ricondurre tutto alla quantità. La verarappresentazione del tempo è quella fornita dalla concezione tradizionale dei cicli, concezione che,beninteso, è essenzialmente quella di un tempo «qualificato»; d’altronde, se viene impiegata unarappresentazione geometrica, che la si realizzi graficamente o semplicemente la si esprima con laterminologia di cui si fa uso, è evidente che si tratta di un’applicazione del simbolismo spaziale, e ciòfa presagire che vi si potrà trovare l’indicazione di una certa correlazione fra le determinazioniqualitative del tempo e quelle dello spazio. In effetti è quello che si verifica: per lo spazio talideterminazioni risiedono essenzialmente nelle direzioni, ed infatti la rappresentazione ciclicastabilisce appunto una corrispondenza fra le fasi di un ciclo temporale e le direzioni dello spazio; perconvincersene, basta prendere in esame un esempio fra i più semplici ed accessibili, quello del cicloannuale, il quale, come è noto, svolge una funzione molto importante nel simbolismo tradizionale [Cilimiteremo a ricordare qui da un lato la notevole importanza del simbolismo zodiacale, specie dalpunto di vista propriamente iniziatico, e dall’altro le dirette applicazioni d’ordine rituale a cui dàluogo lo svolgimento del ciclo annuale nella maggior parte delle forme tradizionali], e in cui lequattro stagioni sono rispettivamente messe in corrispondenza con i quattro punti cardinali [Citeniamo a segnalare, a proposito delle determinazioni qualitative dello spazio e del tempo e delle

loro corrispondenze, una testimonianza non certo sospettabile, in quanto proveniente da unorientalista «ufficiale», Marcel Granet, il quale ha consacrato a queste nozioni tradizionali tutta unaparte della sua opera La pensée chinoise (trad. it.: Il pensiero cinese, Milano, 1971); è indubbio chein tutte queste cose egli vede esclusivamente delle singolarità che si sforza di spiegare unicamentein chiave «psicologica» e «sociologica», ma di questa interpretazione provocata dai pregiudizimoderni in generale e universitari in particolare, non abbiamo da preoccuparci, mentre quel che ciinteressa è la constatazione del fatto in se stesso; da questo punto di vista, si può trovare nel librocitato un quadro impressionante delle antitesi che una civiltà tradizionale (ciò vale infatti perqualunque altra civiltà, oltre che per la cinese) presenta nei confronti con la civiltà «quantitativa»propria dell’Occidente moderno].Non è il caso qui di esporre più o meno completamente la dottrina dei cicli [Questa dottrina è stataesposta da R. Guénon nell’articolo Considerazioni sulla dottrina dei cicli cosmici, in «Rivista di Studi

Tradizionali», 11, aprile-giugno 1964 (Ndt)], anche se essa sta a fondamento del presente studio; ciaccontenteremo per il momento, onde restare nei limiti che ci siamo imposti, di formulare taluneosservazioni aventi un rapporto più immediato con il nostro soggetto nel suo insieme, riservandoci difare appello, in seguito, ad altre considerazioni appartenenti alla stessa dottrina. La prima di questeosservazioni è che non soltanto ciascuna fase di un qualsiasi ciclo temporale possiede una suaqualità propria che influisce sulla determinazione degli avvenimenti, ma che la stessa velocità concui questi avvenimenti si svolgono è qualcosa che parimenti dipende da queste fasi, e che, perconseguenza, è in realtà d’ordine più qualitativo che quantitativo. Così, quando si parla della velocitàdegli avvenimenti nel tempo, per analogia con la velocità di un corpo che si sposta nello spazio,occorre effettuare una certa trasposizione di questo concetto di velocità, perché esso non è piùriducibile ad un’espressione quantitativa come quella che si dà in meccanica della velocitàpropriamente detta. Quel che vogliamo dire è che, a seconda delle diverse fasi del ciclo, serie di

avvenimenti tra loro paragonabili non si compiono in durate quantitativamente uguali; ciò apparesoprattutto evidente quando si tratta di grandi cicli, d’ordine ad un tempo cosmico e umano, ed unodegli esempi più notevoli si ritrova nella proporzione decrescente delle durate rispettive dei quattroYuga, il cui insieme forma il Manvantara [È noto che questa proporzione è quella dei numeri 4, 3, 2,1, il cui totale è 10 per l’insieme del ciclo; è del pari noto che la stessa durata della vita umana siconsidera decrescente da un’età all’altra, il che equivale a dire che questa vita si svolge con una

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rapidità via via crescente dall’inizio del ciclo alla sua fine]. È proprio per questa ragione che at-tualmente gli avvenimenti si svolgono ad una velocità che non trova riscontro nelle epoche anteriori,velocità che va aumentando senza posa e continuerà ad aumentare fino alla fine del ciclo; si trattadi una specie di progressiva «contrazione» della durata, il cui limite corrisponde al «punto diarresto» al quale abbiamo fatto allusione altrove; avremo occasione in seguito di ritornare piùparticolareggiatamente su queste considerazioni e di darne una spiegazione più completa,La seconda osservazione verte sulla direzione discendente dello svolgimento del ciclo, in quanto lo siconsideri come espressione cronologica di un processo di manifestazione che implica unallontanamento graduale dal principio; ma di ciò abbiamo già parlato tante volte, da poterci

dispensare dall’insistervi nuovamente. Se qui menzioniamo ancora questo argomento, è soprattuttoperché, in connessione con quanto abbiamo detto, esso si presta ad un’analogia spaziale assaidegna d’interesse: l’aumento di velocità degli avvenimenti, man mano che ci si approssima alla finedel ciclo, può essere paragonato all’accelerazione cui sono soggetti i corpi pesanti nel loromovimento di caduta; il cammino dell’umanità attuale assomiglia in realtà al percorso d’un corpo inmovimento lanciato in una discesa, e che accelera sempre più quanto più si avvicina al basso; anchese certe reazioni in senso contrario, nella misura in cui sono possibili, rendono le cose un po’ piùcomplesse, nondimeno questa è un’immagine quanto mai esatta del movimento ciclico preso nel suoinsieme.Infine, una terza osservazione: poiché lo svolgimento discendente della manifestazione, e quindi delciclo che ne è un’espressione, si effettua dal polo positivo od essenziale dell’esistenza verso il suopolo negativo o sostanziale, ne consegue che tutte le cose devono prendere un aspetto sempremeno qualitativo e sempre più quantitativo; ed è per questo che l’ultimo periodo del ciclo devetendere, in modo del tutto particolare, ad affermarsi come il «regno della quantità». Del resto,quando affermiamo che deve essere così di tutte le cose, non ci riferiamo soltanto al modo in cuiesse vengono considerate dal punto di vista umano, ma anche ad una reale modificazione dellostesso «ambiente»; poiché ogni periodo della storia dell’umanità corrisponde propriamente ad un«momento cosmico» determinato, deve necessariamente esservi una correlazione costante fra lostato stesso del mondo, o della cosiddetta «natura» nel senso più comune della parola, e piùspecialmente dell’insieme dell’ambiente terrestre, e quello dell’umanità la cui esistenza èevidentemente condizionata da questo ambiente. Aggiungeremo che la totale ignoranza di questemodificazioni d’ordine cosmico è una delle principali cause dell’incomprensione della scienza profananei confronti di tutto quanto si trova al di fuori di certi limiti; nata anch’essa dalle condizioni moltospeciali dell’epoca attuale, questa scienza si trova, con tutta evidenza, nell’incapacità di concepirecondizioni diverse da queste, o anche soltanto di ammettere che possano esisterne, cosicché lo

stesso punto di vista che la definisce stabilisce delle «barriere» nel tempo, barriere che le è tantoimpossibile superare quant’è impossibile ad un miope di vedere chiaramente oltre una certadistanza; ed effettivamente la caratteristica precipua della moderna mentalità «scientistica» è pro-prio quella di una vera «miopia intellettuale» in tutti i campi. Gli sviluppi cui saremo condotti inseguito permetteranno una migliore comprensione di cosa possono essere queste modificazionidell’ambiente, alle quali sul momento possiamo soltanto fare delle allusioni d’ordine generale; forseci si potrà render conto che molte cose considerate oggi come «favolose» non lo erano affatto per gliantichi, e che queste stesse cose possono sempre non esserlo per coloro che hanno conservato, conil deposito di certe conoscenze tradizionali, quelle nozioni che permettono di ricostituire la figura diun «mondo perduto», come pure di prevedere, almeno nelle grandi linee, quella d’un mondo futuro,poiché, proprio in virtù delle leggi cicliche che governano la manifestazione, il passato e l’avvenire sicorrispondono analogicamente, per cui, checché ne pensi il volgo, previsioni del genere non hanno in

realtà il minimo carattere «divinatorio», ma riposano interamente su quelle che abbiamo chiamatodeterminazioni qualitative del tempo.

6. Il principio di individuazione

In vista di quel che ci proponiamo, pensiamo di aver dato sufficienti chiarimenti sulla natura dellospazio e del tempo; ci pare però necessario ritornare ancora alla «materia» per prendere in esameun’altra questione, di cui finora non abbiamo detto niente, e che è suscettibile di gettare nuova lucesu taluni aspetti del mondo moderno. Gli Scolastici considerano la materia come costituente ilprincipium individuationis; quale la ragione di questo modo di considerare le cose, e fino a qualpunto giustificata? Per ben capire di che si tratta, è in definitiva sufficiente, senza affatto uscire dailimiti del nostro mondo (poiché qui non si fa appello ad alcun principio d’ordine trascendente in

rapporto ad esso), di considerare la relazione fra gli individui e la specie: in tale relazione, la specieè dalla parte della «forma» o dell’essenza, mentre gli individui, o meglio ciò che li distingue all’in-terno della specie, sono dalla parte della «materia» o della sostanza [Da segnalare che a questoproposito si presenta una difficoltà almeno apparente: nella gerarchia dei generi, se si considera larelazione d’un genere con un altro genere più particolare che ne sia una specie, il primo svolge lafunzione di «materia», e il secondo quella di «forma»; a prima vista la relazione pare quindi

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applicata in senso contrario, mentre, in realtà, essa non è paragonabile a quella tra specie edindividui; da un punto di vista puramente logico, tale relazione d’altronde corrisponde a quellaesistente tra un soggetto ed un attributo, dove il primo designa il genere, il secondo la «differenzaspecifica»]. Non c’è da stupirsene tenendo conto di quanto abbiamo già detto sul significato deltermine che è contemporaneamente «forma» e «specie», e sul carattere puramentequalitativo di quest’ultima; però, occorre fornire ulteriori precisazioni, nonché prima di tutto,dissipare alcuni equivoci che la terminologia potrebbe provocare.Abbiamo già detto il motivo per cui il termine «materia» rischia di generare confusioni; quanto altermine «forma», esso può prestarvisi ancor più facilmente poiché il suo significato abituale è del

tutto diverso da quello in uso nella terminologia della Scolastica; in questo senso, che è quello peresempio da noi impiegato precedentemente parlando della forma in geometria, si dovrebbe, se ci siservisse della terminologia della Scolastica, dire «figura» e non «forma»; ma questo sarebbe troppocontrario a quanto stabilito dall’uso, di cui bisogna per forza tener conto se ci si vuole far capire, equindi, tutte le volte che adoperiamo il termine «forma», senza riferimento specifico alla Scolastica,è nel significato comune che lo intendiamo: per esempio quando diciamo che fra le condizioni di unostato di esistenza è la forma che caratterizza questo stato come individuale. Va da sé, d’altronde,che in linea generale questa forma non la si deve concepire come rivestita di un carattere spaziale;ciò è vero soltanto per il nostro mondo, perché qui si combina con un’altra condizione, lo spazio, cheappartiene propriamente al solo àmbito della manifestazione corporea. Ma allora si pone il problemaseguente: sarà forse la forma intesa a questo modo, e non la «materia» (o se si preferisce laquantità), a rappresentare, fra le condizioni di questo mondo, il vero «principio d’individuazione»,dal momento che gli individui sono tali in quanto da essa condizionati? Ciò significherebbe noncomprendere quel che gli Scolastici, di fatto, vogliono dire quando parlano di «principiod’individuazione»; di questo essi non intendono assolutamente servirsi per definire uno stato diesistenza come individuale, e d’altronde ciò si riferisce ad un ordine di considerazioni che nonsembra essi abbiano mai abbordato; a parte il fatto che, da questo punto di vista, la specie stessadeve essere considerata come d’ordine individuale, non avendo essa niente di trascendente neiconfronti dello stato così definito; e possiamo aggiungere, basandoci sulla rappresentazionegeometrica degli stati d’esistenza da noi esposta altrove, che tutta la gerarchia dei generi deveessere vista come estesa orizzontalmente e non verticalmente.La questione del «principio d’individuazione» ha una portata molto più ristretta, e si riduce indefinitiva a questo: gli individui d’una stessa specie partecipano tutti di una stessa natura, che èpropriamente la specie stessa, e che si trova ugualmente in ognuno di essi; che cosa fa sì che questiindividui, malgrado tale comunità di natura, siano esseri distinti e anche, per meglio dire, separati gli

uni dagli altri? È sottinteso che qui si tratta degli individui esclusivamente in quanto appartenentialla specie, indipendentemente da tutto ciò che può essere in essi sotto altri rapporti, dimodoché laquestione potrebbe anche esser formulata così: di quale ordine è la determinazione che si aggiungealla natura specifica per fare degli individui, nella specie stessa, degli esseri separati? È questadeterminazione che gli Scolastici riferiscono alla «materia», cioè in fondo alla quantità, secondo laloro definizione della materia secunda del nostro mondo; e così la «materia» (o la quantità) apparepropriamente come un principio di «separatività». Si può ben dire, in effetti, che la quantità è unadeterminazione che si aggiunge alla specie, in quanto quest’ultima è esclusivamente qualitativa equindi indipendente dalla quantità, mentre gli individui, per il solo fatto di essere «incorporati»,rientrano in tutt’altro caso; e, a questo proposito, bisogna far bene attenzione ad evitare un’opinioneerronea, fin troppo diffusa tra i moderni, che tende a concepire la specie come una «collettività»;questa non è nient’altro che una somma aritmetica d’individui, cioè, contrariamente alla specie,

qualcosa di prettamente quantitativo; come sempre, la confusione del generale e del collettivo è unaconseguenza della tendenza che conduce i moderni a vedere soltanto la quantità in tutte le cose,tendenza che altrettanto costantemente si ritrova al fondo di tutte le concezioni caratteristiche dellaloro particolare mentalità.La conclusione a cui si arriva è questa: negli individui la quantità predominerà tanto più sulla qualità,quanto più saranno ridotti ad essere, se così si può dire, dei semplici individui, e quanto più saranno,appunto per questo, separati gli uni dagli altri, il che, si badi, non vuole affatto dire più differenziati,poiché v’è anche una differenziazione qualitativa che è proprio l’inverso di quella differenziazione deltutto quantitativa che è la separazione in questione. Tale separazione fa degli individui soloaltrettante «unità», nel senso inferiore del termine, e del loro insieme una pura molteplicitàquantitativa; al limite, questi individui saranno praticamente paragonabili ai pretesi «atomi» deifisici, sprovvisti cioè di ogni determinazione qualitativa; e benché, di fatto, questo limite non si

possa raggiungere, è pur questo il senso in cui il mondo attuale si dirige. Non c’è che da guardarsiintorno per constatare che, ovunque e sempre di più, ci si sforza di ricondurre ogni cosaall’uniformità, si tratti degli uomini stessi, o delle cose in mezzo alle quali vivono, ed è evidente cheun risultato del genere non può ottenersi se non sopprimendo, per quanto possibile, ogni distinzionequalitativa; ma quel che veramente è degno di nota è il fatto che, per una strana illusione, taluniscambiano volentieri questa «uniformizzazione» per un’«unificazione», mentre, in realtà, essa ne

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rappresenta esattamente l’inverso, cosa del resto evidente dal momento che essa implicaun’accentuazione sempre più marcata della «separatività». La quantità, torniamo ad insistere, puòsoltanto separare, non unire; sotto forme diverse, tutto ciò che procede dalla «materia» nonproduce altro che antagonismo fra quelle «unità» frammentarie che sono all’estremo opposto dellavera unità, o che almeno vi tendono con tutto il peso di una quantità non più equilibrata dallaqualità; ma questa «uniformizzazione» rappresenta un aspetto troppo importante del mondomoderno, nonché troppo suscettibile d’essere falsamente interpretato, perché ad essa nonconsacriamo ancora ulteriori considerazioni.

7. L’uniformità contro l’unitàSe prendiamo in esame l’insieme di quell’àmbito di manifestazione che è il nostro mondo, possiamodire che in esso, man mano che si allontanano dall’unità principiale, le esistenze diventano sempremeno qualitative e sempre più quantitative; in effetti quest’unità, che contiene in sé tutte ledeterminazioni qualitative delle possibilità di tale àmbito, ne è il polo essenziale, mentre il polosostanziale, cui evidentemente ci si avvicina nella stessa misura in cui ci si allontana dall’altro, èrappresentato dalla quantità pura, con l’indefinita molteplicità «atomica» ad essa implicita, e conl’esclusione di qualsiasi distinzione che non sia numerica fra i suoi elementi. Questo gradualeallontanamento dall’unità essenziale può d’altronde esser considerato da due punti di vista, insimultaneità ed in successione: si potrà cioè esaminarlo, da una parte, nella costituzione degli esserimanifestati, in cui questi gradi determinano una specie di gerarchia tra gli elementi che viappartengono o le modalità che loro corrispondono, e, d’altra parte, nello stesso svolgimentodell’insieme della manifestazione dall’inizio alla fine di un ciclo; va da sé che è a questo secondopunto di vista che intendiamo particolarmente riferirci. Si potrebbe comunque, a questo proposito,rappresentare geometricamente l’àmbito in questione mediante un triangolo, il cui vertice è il poloessenziale che è qualità pura, mentre la base è il polo sostanziale, cioè, per quanto riguarda il nostromondo, la quantità pura, raffigurata dalla molteplicità dei punti della base di contro al punto unicodel vertice; se si tracciano delle parallele alla base per rappresentare i diversi gradi d’allontanamentodi cui parlavamo, è evidente che la molteplicità che simboleggia il quantitativo sarà tanto piùmarcata quanto più ci si allontanerà dal vertice per avvicinarsi alla base. Soltanto, affinché il simbolosia il più esatto possibile, occorre supporre la base indefinitamente distante dal vertice, anzituttoperché questo àmbito di manifestazione è in se stesso veramente indefinito, e poi perché lamolteplicità dei punti della base vi è per così dire portata al massimo; con ciò si potrebbe inoltremettere in evidenza che tale base, ossia la quantità pura, non potrà mai essere raggiunta nel corso

del processo di manifestazione, benché questo vi tenda senza sosta, e che, a partire da un certolivello, il vertice, cioè l’unità essenziale o la qualità pura, viene in qualche modo perso di vista, il checorrisponde precisamente allo stato attuale del nostro mondo.Dicevamo prima come, nella quantità pura, le «unità» non siano tra loro distinte se nonnumericamente, ed in effetti non esiste altro mezzo per distinguerle; ma ciò dimostra che, in realtà,la quantità pura è veramente e necessariamente al di sotto di ogni esistenza manifestata. Qui èopportuno fare appello a quello che Leibniz chiama il «principio degli indiscernibili», in virtù del qualenon possono assolutamente esistere due esseri identici, cioè somiglianti tra loro sotto tutti i rapporti;è una conseguenza immediata, come altrove abbiamo dimostrato, della illimitatezza della possibilitàuniversale, la quale implica l’assenza di qualsiasi ripetizione nelle possibilità particolari; non solo, masi può dire che due esseri supposti identici non sarebbero in realtà due, perché, coincidendo in tutto,sarebbero effettivamente un unico e stesso essere; di conseguenza, affinché gli esseri non siano

identici ed indiscernibili, occorre che vi sia sempre fra loro qualche differenza qualitativa, cioè che leloro determinazioni non siano mai puramente quantitative. Questo concetto Leibniz lo esprimeaffermando che non è mai vero che due esseri qualsiasi differiscano solo numero, il che, applicato aicorpi, vale contro le concezioni «meccanicistiche» del genere di quella di Cartesio; e afferma inoltreche, se essi non differissero qualitativamente, «non sarebbero neanche degli esseri», bensì qualcosadi paragonabile alle porzioni, tutte simili fra loro, dello spazio e del tempo omogenei, le quali, deltutto prive di esistenza reale, sono state denominate dagli Scolastici entia rationis. Si osservi tutta-via, a questo proposito, che neanche Leibniz sembra avere idee abbastanza chiare sulla vera naturadello spazio e del tempo, perché, quando definisce semplicemente il primo come un «ordine dicoesistenza» e il secondo come un «ordine di successione», egli li prende in considerazione soltantoda un punto di vista logico, che li riduce appunto a contenenti omogenei privi di qualità, e quindi diesistenza effettiva; egli cioè non tiene affatto conto della loro natura ontologica, vogliamo dire della

natura reale dello spazio e del tempo come sono manifestati nel nostro mondo, quindi realmenteesistenti in quanto condizioni determinanti di quel modo speciale di esistenza che è propriamentel’esistenza corporea.La conclusione deducibile da quanto precede è che l’uniformità, per essere possibile, supporrebbeesseri sprovvisti di qualsiasi qualità e ridotti a semplici «unità» numeriche; ed è perciò cheun’uniformità del genere non è mai realizzabile di fatto, e che tutti gli sforzi compiuti a tal fine,

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specie nell’àmbito umano, possono avere l’unico risultato di spogliare più o meno completamente gliesseri delle qualità loro proprie, e di fare di essi qualcosa che assomiglia al massimo a semplicimacchine, in quanto la macchina, prodotto tipico del mondo moderno, è appunto ciò cherappresenta, al più alto grado finora raggiunto, la predominanza della quantità sulla qualità. Proprioa questo tendono, particolarmente dal punto di vista sociale, le concezioni «democratiche» ed«egualitarie» secondo cui tutti gli individui si equivalgono, supposizione assurda la quale induce aritenere che tutti debbano essere ugualmente adatti a non importa cosa; questa «uguaglianza» nontrova alcun esempio in natura, proprio per le ragioni da noi indicate, perché non rappresenterebbealtro che una similitudine completa fra gli individui; ma è evidente che, in nome di questa pretesa

«uguaglianza», uno degli «ideali» alla rovescia più cari al mondo moderno, si cerca effettivamente direndere gli individui tanto simili tra loro quanto la natura lo permette, e questo in primo luogopretendendo di imporre a tutti una educazione uniforme. Ma poiché, nonostante tutto, non si riescea sopprimere completamente la differenza delle attitudini, è fuori questione che tale educazione nondarà per tutti esattamente gli stessi risultati; ed è un fatto fin troppo vero che, nell’incapacità didare a certi individui qualità che non hanno, essa è per contro altamente suscettibile di soffocarenegli altri tutte le possibilità che superano il livello comune; in tal modo il «livellamento» si effettuasempre dal basso, e d’altronde non può essere diversamente poiché questo stesso livellamento nonè che una espressione della tendenza verso il basso, cioè verso la quantità pura che si situa al disotto di ogni manifestazione corporea, non soltanto al di sotto del grado occupato dai più rudimentaliesseri viventi, ma ancora al di sotto di quella che i nostri contemporanei hanno convenuto dichiamare «materia bruta» la quale peraltro, manifestandosi ai sensi, è ancora lungi dall’essereinteramente sprovvista di qualità.L’occidentale moderno, del resto, non si accontenta di imporre a casa sua un tal genere dieducazione; egli vuole imporlo anche agli altri, unitamente a tutto il complesso delle sue abitudinimentali e corporee, al fine di uniformizzare il mondo intero di cui contemporaneamente uniformizzal’aspetto esteriore mediante la diffusione dei prodotti della sua industria. Ne deriva la conseguenza,solo in apparenza paradossale, che il mondo è tanto meno «unificato» nel senso reale del termine,quanto più diviene uniformizzato; ciò è assolutamente naturale in fondo, poiché, come abbiamo giàdetto, il senso in cui viene condotto è quello di una «separatività» sempre più accentuantesi; ma quivediamo apparire il carattere «parodistico» che così spesso si incontra in tutto ciò che èspecificamente moderno. In effetti, pur andando direttamente all’opposto dell’unità vera, poichétende a realizzare ciò che ne è più lontano, questa uniformizzazione rappresenta una specie dicaricatura di essa, e ciò in virtù del rapporto analogico per cui, come abbiamo detto fin dall’inizio,l’unità stessa si riflette inversamente nelle «unità» costituenti la quantità pura. È appunto questa

inversione che ci permetteva poco fa di parlare di «ideale» alla rovescia, ed è evidente che esso vaeffettivamente inteso in un senso ben preciso; non è che sentiamo in alcun modo il bisogno diriabilitare il termine «ideale», che i moderni usano indifferentemente più o meno per tutto, especialmente per mascherare l’assenza di qualsivoglia principio vero, e di cui si abusa talmente cheormai è un vocabolo privo di senso; ma, nondimeno, non possiamo impedirci di osservare che,secondo la sua stessa etimologia, esso dovrebbe sottolineare una certa tendenza verso l’«idea»,intesa in un’accezione più o meno platonica, cioè insomma verso l’essenza e verso il qualitativo, perquanto vagamente lo si concepisca, mentre di solito, come nel caso in questione, esso è preso difatto per designare esattamente il contrario.Dicevamo che la tendenza è quella di uniformizzare non solo gli individui umani, ma anche le cose;se gli uomini dell’epoca attuale si vantano di modificare il mondo in sempre più larga misura, e seeffettivamente tutto diventa in esso sempre più «artificiale», è soprattutto in questo senso che essi

intendono modificarlo, facendo pesare tutta la loro attività su un àmbito il più possibile strettamentequantitativo. Del resto, poiché si è voluto costruire una scienza tutta quantitativa, è inevitabile chele applicazioni pratiche derivate da tale scienza rivestano lo stesso carattere; sono queste leapplicazioni il cui insieme è denominato generalmente «industria», e si può ben dire che l’industriamoderna, sotto tutti i riguardi, rappresenti il trionfo della quantità, non soltanto perché i suoiprocedimenti fanno esclusivamente appello a conoscenze d’ordine quantitativo e perché gli strumentidi cui si serve, cioè le macchine, sono fatti in modo da far intervenire il meno possibileconsiderazioni qualitative, mentre gli uomini che li mettono in azione sono essi stessi ridotti adun’attività del tutto meccanica, ma anche perché, nelle stesse produzioni di questa industria, laqualità è interamente sacrificata alla quantità. A questo proposito non saranno inutili alcuneosservazioni complementari; e però, prima di arrivarci, proponiamo un’altra questione su cuiritorneremo in seguito: checché si pensi del valore dei risultati dell’azione esercitata dall’uomo

moderno sul mondo, è un fatto, indipendente da qualsiasi apprezzamento, che tale azione riesce econduce, almeno in una certa misura, ai fini che si propone. Se gli uomini di un’altra epoca avesseroagito allo stesso modo (supposizione del tutto «teorica» ed in effetti inverosimile date le differenzementali esistenti tra questi uomini e quelli di oggi), i risultati ottenuti sarebbero stati gli stessi? Inaltri termini, affinché l’ambiente terrestre si presti ad una azione simile, non è necessario che, inqualche modo, vi sia predisposto dalle condizioni cosmiche del periodo ciclico in cui siamo at-

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tualmente, cioè non v’è qualcosa di cambiato nella natura di questo ambiente in rapporto alleepoche precedenti? A questo punto della nostra esposizione sarebbe troppo presto per precisare lanatura di questo cambiamento, e per caratterizzarlo altrimenti che come una specie di diminuzionequalitativa la quale dà maggior presa a tutto quanto appartiene all’àmbito, quantitativo; ma quel cheabbiamo detto sulle determinazioni qualitative del tempo permette almeno di concepirne già lapossibilità, e di capire che le modificazioni artificiali del mondo, per potersi realizzare, devonopresupporre delle modificazioni naturali cui esse non fanno che corrispondere ed in qualche modoconformarsi, proprio in virtù della correlazione che costantemente esiste, nella marcia ciclica deltempo, fra l’ordine cosmico e l’ordine umano.

8. Mestieri antichi e industria moderna

L’opposizione esistente tra i mestieri antichi e l’industria moderna è, in fondo, un caso particolare ecome un’applicazione dell’opposizione fra i due punti di vista qualitativo e quantitativo,rispettivamente predominanti negli uni e nell’altra. Per rendersene conto non è inutile osservare find’ora che la stessa distinzione fra arti e mestieri, o fra «artista» e «artigiano», è qualcosa dispecificamente moderno, quasi fosse nata dalla deviazione e dalla degenerazione, che hannosostituito in tutte le cose la concezione profana a quella tradizionale. Per gli antichi l’artifex è,indifferentemente, l’uomo che esercita un’arte o un mestiere; ma, in realtà, non è né l’artista nél’artigiano nel significato odierno di queste parole (per di più la parola «artigiano» tende sempre piùa sparire dal linguaggio contemporaneo); è qualcosa di più dell’uno e dell’altro, perché, almenooriginariamente, la sua attività è ricollegata a princìpi di un ordine ben più profondo. Se quindi imestieri comprendevano in qualche modo anche le arti propriamente dette, le quali non se ne di-stinguevano per alcun carattere essenziale, è che la loro natura era veramente qualitativa, identicacioè a quella da tutti riconosciuta all’arte in qualche modo per definizione; soltanto che, appunto perquesta ragione, i moderni relegano l’arte, nella concezione sminuita che ne hanno, in una specie diàmbito chiuso, senza alcun rapporto con il resto dell’attività umana, cioè con tutto quanto essipensano sia il «reale» nel senso grossolano che ha per loro questo termine; e arrivano perfino aqualificare «attività di lusso» quest’arte, così sfrondata d’ogni portata pratica, espressioneveramente caratteristica di quella che, senza esagerazione alcuna, si potrebbe chiamare la«scempiaggine» della nostra epoca.In ogni civiltà tradizionale, come spesso abbiamo affermato, qualsiasi attività umana viene sempreconsiderata come essenzialmente derivante dai princìpi; questo, che è particolarmente vero per lescienze, lo è altrettanto per le arti e i mestieri, e v’è d’altronde una stretta connessione tra questi e

quelle perché, secondo una formula che era un assioma fra i costruttori del Medio Evo, ars sinescientia nihil, da intendersi naturalmente nel senso di scienza tradizionale e non in quello di scienzaprofana, perché l’unico risultato possibile dell’applicazione di questa è la nascita dell’industriamoderna. Mediante questo ricollegarsi ai princìpi, si può dire che l’attività umana viene«trasformata», per cui, invece di ridursi a quel che è in quanto semplice manifestazione esteriore(che in definitiva è poi il punto di vista profano), si integra, nella tradizione e costituisce, per coluiche la compie, un mezzo per partecipare effettivamente ad essa, il che equivale a dire che taleattività riveste un carattere prettamente «sacro» e «rituale». Per questo si è potuto dire che in unaciviltà del genere «ogni occupazione è un sacerdozio» [A.M. Hocart, Les Castes, p. 27]; noi però, adevitare di dare a quest’ultimo termine un’estensione impropria, diremo che essa possiede in sestessa quel carattere che, volendo fare una distinzione fra «sacro» e «profano» la quale all’originenon aveva alcuna ragion d’essere, è stato conservato solo dalle funzioni sacerdotali.

Per rendersi conto del carattere «sacro» di tutta quanta l’attività umana, anche soltanto dal punto divista esteriore, o se si vuole exoterico, si prenda in esame, ad esempio, una civiltà come quellaislamica, o quella cristiana del Medio Evo, e si potrà constatare, senza difficoltà alcuna, che gli attipiù comuni dell’esistenza vi hanno sempre qualcosa di «religioso». Fatto si è che in esse la religionenon è assolutamente una cosa ristretta e limitata, occupante un posto a parte senza influenzeeffettive su tutto il resto com’è per gli Occidentali moderni (quelli almeno che consentono ancora adammettere una religione); essa, al contrario, compenetra tutta l’esistenza dell’essere umano o, permeglio dire, nel suo àmbito si trova come inglobato tutto quanto costituisce tale esistenza, e inparticolare la vita sociale propriamente detta, per cui, in queste condizioni, non può esserviassolutamente niente di «profano», salvo per coloro i quali per una ragione o per l’altra si trovano aldi fuori della tradizione, e il cui caso rappresenta esclusivamente un’anomalia. Presso altri popoli,ove il nome «religione» non può convenientemente applicarsi alla forma di civiltà considerata, v’è

tuttavia una legislazione tradizionale e «sacra», la quale, pur avendo caratteristiche diverse, svolgeesattamente la stessa funzione; queste considerazioni sono dunque applicabili a qualsiasi civiltàtradizionale senza eccezioni. Ma c’è di più: se si passa dall’exoterismo all’esoterismo (impieghiamoqui questi termini per maggior comodità, benché essi non convengano con ugual rigore a tutti i casi)si constata, in generale, l’esistenza di un’iniziazione legata ai mestieri, la quale prende questi perbase o per «supporto» [Possiamo anche osservare che tutto quanto ancora sussiste in Occidente di

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organizzazioni autenticamente iniziatiche, in qualunque stato di decadenza si trovino attualmente,non ha altra origine che quella; le iniziazioni appartenenti ad altre categorie vi sono ormaicompletamente scomparse da lungo tempo]; occorre dunque che questi mestieri siano ancorasuscettibili d’un significato superiore e più profondo per poter effettivamente fornire una via diaccesso all’ambito iniziatico, ed è evidentemente sempre in ragione del loro carattereessenzialmente qualitativo che una tal cosa è possibile.Quel che meglio consente di capirlo è la nozione di swadharma com’è intesa nella dottrina indù,nozione essa stessa tutta qualitativa, in quanto riguarda lo svolgimento da parte di ciascun essere diun’attività conforme alla sua essenza o alla sua natura propria, e per ciò stesso eminentemente

conforme all’«ordine» (rita) nel senso già da noi precisato; ed è mediante questa stessa nozione, omeglio per la sua assenza, che si evidenzia nettamente il difetto della concezione profana emoderna. Secondo quest’ultima un uomo può dedicarsi ad una professione qualsiasi, ed anchecambiarla a suo piacimento, come se questa professione fosse qualcosa di puramente esteriore a lui,senza alcun reale legame con ciò che egli veramente è, cioè con ciò che lo fa essere se stesso e nonun altro. Nella concezione tradizionale, al contrario, ciascuno deve normalmente svolgere la funzionecui è destinato dalla sua stessa natura, con le attitudini che questa essenzialmente implica [Si notiche lo stesso termine «mestiere» significa propriamente «funzione» secondo la sua derivazioneetimologica dal latino ministerium]; e non può svolgerne un’altra, senza che ciò rappresenti ungrave disordine che avrà una ripercussione su tutta l’organizzazione sociale di cui egli fa parte;peggio ancora, se un disordine del genere viene a generalizzarsi, i suoi effetti si ripercuoterannosullo stesso ambiente cosmico, tutte le cose essendo legate tra loro da rigorose corrispondenze.Senza per il momento insistere oltre su quest’ultimo punto, che può anche applicarsi alle condizionidell’epoca attuale, riassumeremo quanto abbiamo detto come segue: secondo la concezionetradizionale, sono le qualità essenziali degli esseri a determinare la loro attività; nella concezioneprofana, invece, queste qualità non contano, e gli individui non sono considerati altro che come«unità» intercambiabili e puramente numeriche. Quest’ultima concezione non può logicamentecondurre a nient’altro che all’esercizio di un’attività prettamente «meccanica», nella quale nonsussiste più niente di veramente umano, come effettivamente possiamo constatare ai giorni nostri;va da sé che i mestieri «meccanici» dei moderni, che costituiscono l’industria propriamente detta eche altro non sono se non un prodotto della deviazione profana, non possono, offrire alcunapossibilità d’ordine iniziatico ed anzi possono rappresentare dei veri impedimenti allo sviluppo di ognispiritualità; per la verità, del resto, non possono nemmeno essere considerati come autenticimestieri se si vuol conservare a questo termine il suo valore in senso tradizionale.Se il mestiere è qualcosa dell’uomo stesso, come una manifestazione o un’espansione della sua

natura propria, è comprensibile che possa servire di base ad una iniziazione, ed anche che, nellageneralità dei casi, sia ciò che vi è di più adatto a questo scopo. In effetti, se l’iniziazione haessenzialmente per fine di oltrepassare le possibilità dell’individuo umano, non è men vero che essanon può che prendere, come punto di partenza, questo individuo qual è, ma, beninteso, facendo inqualche modo leva sul suo lato superiore, cioè appoggiandosi su quanto vi è in lui di piùpropriamente qualitativo; ecco la ragione della diversità delle vie iniziatiche, cioè, insomma, deimezzi utilizzati a titolo di «supporti» in conformità con le differenze delle nature individuali,differenze che interverranno d’altronde sempre meno in seguito, quanto più l’essere si inoltrerà nellavia e quanto più si avvicinerà a quel fine che è per tutti il medesimo. I mezzi così impiegati nonpossono essere efficaci se non corrispondono realmente alla natura stessa degli esseri cui siapplicano; e poiché bisogna necessariamente procedere dal più accessibile al meno accessibile,dall’esterno all’interno, è normale che essi siano presi nell’àmbito di quell’attività mediante la quale

tale natura si manifesta all’esterno. Ma è evidente che questa attività non può svolgere una funzionedel genere se non in quanto traduce effettivamente la natura interiore; si tratta dunque di una veraquestione di «qualificazione» nel significato iniziatico del termine, e, in condizioni normali, questa«qualificazione» dovrebbe essere richiesta per l’esercizio stesso del mestiere. Tutto questo metteanche in evidenza la differenza fondamentale che separa l’insegnamento iniziatico, e più in generaleogni insegnamento tradizionale, dall’insegnamento profano: quanto è semplicemente «appreso»dall’esterno è qui senza alcun valore, quale che sia la quantità delle nozioni a questo modoaccumulate (perché anche in ciò appare nettamente il carattere quantitativo del «sapere» profano);quello che conta è di «risvegliare» le possibilità latenti che l’essere porta in se stesso (ed è questo infondo il vero significato della «reminiscenza» platonica) [A questo proposito, vedasi in particolare ilMenone di Platone].Queste ultime considerazioni fanno inoltre comprendere come l’iniziazione, prendendo il mestiere

per «supporto», avrà contemporaneamente, e in qualche modo inversamente, una ripercussionesull’esercizio di tale mestiere. L’essere, in effetti, avendo pienamente realizzato le possibilità di cui lasua attività professionale non è che una espressione esteriore, e possedendo così la conoscenzaeffettiva di quel che è il principio stesso di questa attività, effettuerà da quel momentocoscientemente quanto non era prima che una conseguenza del tutto «istintiva» della sua natura; epertanto, se la conoscenza iniziatica è nata per lui dal mestiere, questo, a sua volta, diventerà il

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campo di applicazione di tale conoscenza, e quindi non potrà più esserne separato. Ci sarà alloracorrispondenza perfetta tra interno ed esterno, e l’opera prodotta potrà essere non più soltanto unmodo qualsiasi d’espressione ad un livello più o meno superficiale, ma l’espressione realmenteadeguata di colui che l’avrà concepita ed eseguita, il che costituirà il «capolavoro» nel vero sensodella parola.Non è difficile vedere, in tutto ciò, come il vero mestiere sia distante dall’industria moderna, tantoche si può dire si tratti di due opposti, e quanto sia disgraziatamente vero, nel «regno dellaquantità», che il mestiere, come volentieri affermano i fautori del «progresso» che naturalmente sene rallegrano, sia «una cosa del passato». Nel lavoro industriale l’operaio non mette niente di se

stesso, e d’altronde si avrebbe buona cura di impedirglielo qualora ne avesse la minima velleità; maciò non è neanche possibile, poiché tutta la sua attività consiste nel far funzionare una macchina;egli, del resto, è reso perfettamente privo di iniziativa dalla «formazione», o meglio deformazioneprofessionale ricevuta, la quale è come l’antitesi dell’antico apprendistato, e che ha per unico scopoquello di insegnargli ad eseguire certi movimenti «meccanicamente» e sempre allo stesso modo,senza assolutamente che debba capirne la ragione né preoccuparsi del risultato, in quanto in realtànon è lui, bensì la macchina, a fabbricare l’oggetto; servitore della macchina, l’uomo deve diveniremacchina egli stesso, e il suo lavoro non ha più niente di veramente umano, perché non implica piùl’intervento di nessuna di quelle qualità che costituiscono propriamente la natura umana [Si puòosservare che la macchina, in un certo senso, è l’opposto dell’utensile, e non un utensile«perfezionato» come molti ritengono, perché l’utensile è in certo qual modo un «prolungamento»dell’uomo stesso, mentre la macchina riduce quest’ultimo alle condizioni di suo servitore; e se si èpotuto dire che l’«utensile generò il mestiere», non è men vero che la macchina lo uccide; le reazioniistintive degli artigiani contro le prime macchine si spiegano pertanto da sole]. Tutto ciò conduce aquanto, nel gergo attuale, si è convenuto di chiamare la fabbricazione «in serie», il cui scopo èquello di produrre la maggior quantità possibile di oggetti, oggetti simili al massimo tra loro, edestinati all’uso di uomini che si considerano tutti ugualmente simili; si tratta con tutta evidenza,come dicevamo prima, del trionfo della quantità, nonché, per la stessa ragione, di quellodell’uniformità. Questi uomini, ridotti a semplici «unità» numeriche, si vuole farli abitare, non diremoin case, perché questo termine sarebbe improprio, ma in «alveari» i cui scompartimenti sarannotutti disegnati sullo stesso modello ed ammobiliati con gli oggetti fabbricati «in serie», in modo dafar sparire dall’ambiente in cui vivranno ogni differenza qualitativa; basta prendere in esame iprogetti di certi architetti contemporanei (che qualificano essi stessi queste dimore come «macchineper abitare») per vedere che non esageriamo per niente; che cosa sono diventate a questo puntol’arte e la scienza tradizionali degli antichi costruttori, e le regole rituali che presiedevano alla

fondazione delle città e degli edifici nelle civiltà normali? Sarebbe inutile insistere ulteriormente,perché bisognerebbe essere ciechi per non rendersi conto dell’abisso che separa queste ultime dallaciviltà moderna, e tutti si accorgeranno senza dubbio di quanto grande sia il divario; soltanto,proprio ciò che l’immensa maggioranza degli individui attuali celebra come un «progresso» ci appareal contrario come una decadenza profonda, perché manifestamente non si tratta che degli effetti diquel movimento di caduta, sempre più accelerato, che conduce l’umanità moderna verso i«bassifondi» ove regna la quantità pura.

9. Il doppio senso dell’anonimato

A proposito della concezione tradizionale dei mestieri, che fa tutt’uno con quella delle arti, dobbiamosegnalare un’altra questione importante: le opere dell’arte tradizionale, ad esempio quella

medioevale, sono generalmente anonime, ed è del tutto recente il tentativo, fruttodell’«individualismo» moderno, di attribuire taluni nomi conservati dalla storia a capolavori noti,tentativo che conduce ad «attribuzioni» spesso fortemente ipotetiche. Questo anonimato èprecisamente l’opposto della preoccupazione, costante negli artisti moderni, di affermare e di far co-noscere a tutti i costi la propria individualità. Qualche osservatore superficiale potrebbe forsepensare che ciò sia comparabile al carattere ugualmente anonimo dei prodotti industriali di oggi,benché questi non siano certamente «opere d’arte» ad alcun titolo; ma la verità è un’altra, perché,se effettivamente c’è anonimato in entrambi i casi, è per ragioni esattamente contrarie. Avviene perl’anonimato come per tutte quelle cose le quali, secondo l’analogia inversa, possono essere presecontemporaneamente, sia in senso superiore, sia in senso inferiore; è così per esempio che, inun’organizzazione sociale tradizionale, un essere può essere fuori dalle caste in due modi, o perchéal di sopra di esse (ativarna), o perché al di sotto (avarna), ed è evidente che tali eventualità sono

agli estremi opposti. Analogamente, quei moderni che si considerano fuori da ogni religione sonoall’estremo opposto di quegli uomini i quali, avendo penetrato l’unità principiale di tutte le tradizioni,non sono più esclusivamente legati ad una particolare forma tradizionale [Costoro potrebbero direcon Mohyiddin ibn Arabi: «Il mio cuore è diventato capace di ogni forma: esso è un pascolo per legazzelle ed un convento per i monaci cristiani, un tempio per gli idoli e la Kaabah del pellegrino, latavola della Thorah ed il libro del Corano. Io seguo la religione dell’Amore, qualunque strada

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prendano i suoi cammelli; la mia religione e la mia fede sono la vera religione»]. In rapporto allecondizioni dell’umanità normale, o dell’umanità «media» in certo qual modo, gli uni sì trovano al diqua e gli altri al di là; gli uni, si potrebbe dire, sono caduti nell’«infraumano», mentre gli altri si sonoelevati al «sopraumano». Ordunque, l’anonimato può caratterizzare l’«infraumano» altrettanto beneche il «sopraumano»; il primo caso è quello dell’anonimato moderno, anonimato della folla o della«massa» nel senso in cui la si intende oggi (ed è ben significativo che si usi una parola cosìnettamente quantitativa come «massa»), mentre il secondo è quello dell’anonimato tradizionalenelle sue diverse applicazioni, ivi compresa quella concernente le opere d’arte.Per un’esatta comprensione di quanto precede, occorre fare appello ai princìpi dottrinali che sono

comuni a tutte le tradizioni: l’essere che ha conseguito uno stato sovraindividuale è per ciò stessoliberato da tutte le condizioni limitative dell’individualità, egli cioè è al di là delle determinazioni di«nome e forma» (nama-rupa) che costituiscono l’essenza e la sostanza di questa individualità cometale; egli è dunque veramente «anonimo», perché in lui l’«io» si è cancellato ed è completamentesparito di fronte al «Sé» [A questo proposito vedasi A.K. Coomaraswamy, Akimchanna: Selfnaught-ing, in «The New Indian Antiquary», aprile 1940]. Quelli che non hanno effettivamente conseguitouno stato del genere devono nondimeno, nella misura delle proprie possibilità, cercare di ottenerlo,e per conseguenza, nella stessa misura, la loro attività dovrà imitare questo anonimato ed in certoqual modo parteciparvi, se così si può dire, il che d’altronde fornirà un «supporto» alla lorosuccessiva realizzazione spirituale. Questo è visibile specialmente nelle istituzioni monastiche, che sitratti del Cristianesimo o del Buddhismo, dove ciò che si potrebbe chiamare la «pratica»dell’anonimato è costantemente osservata, anche se spesso se ne dimentica il significato profondo.Ma non si creda che il riflesso dell’anonimato nell’ordine sociale si limiti a questo caso particolare: ciòequivarrebbe a farsi ingannare dall’abitudine di distinguere fra «sacro» e «profano», distinzione che,diciamolo ancora una volta, non esiste ed è anzi priva di senso nelle società strettamente tradizio-nali. Quanto abbiamo detto del carattere «rituale» che in esse riveste tutta l’attività umana lo spiegaa sufficienza, e, per quel che riguarda particolarmente i mestieri, abbiamo visto che questo carattereè tale che si è potuto parlare in merito di «sacerdozio»; nulla di stupefacente dunque chel’anonimato vi sia di regola, perché ciò rappresenta la vera conformità a quell’«ordine» che l’artifexdeve cercare di realizzare il più perfettamente possibile in tutte le sue opere.A questo punto si potrebbe sollevare una obiezione: se il mestiere deve essere conforme alla naturadi colui che lo esercita, l’opera prodotta, abbiamo detto, esprimerà necessariamente questa natura,e potrà esser riguardata come perfetta nel suo genere, o costituente un «capolavoro», quando laesprimerà in maniera adeguata; orbene, la natura in questione è l’aspetto essenziale del-l’individualità, cioè quello che si definisce mediante il «nome»: non si tratta forse di qualcosa che

pare andare direttamente al rovescio dell’anonimato? Per rispondere bisogna anzitutto fareosservare che, a dispetto di tutte le false interpretazioni occidentali su nozioni come quelle diMoksha e di Nirvana, l’estinzione dell’«io» non è in alcun modo una annichilazione dell’essere, ma alcontrario essa implica una specie di «sublimazione» delle sue possibilità (diversamente,osserviamolo di sfuggita, la stessa idea di «resurrezione» non avrebbe alcun senso); senza dubbiol’artifex che si trova ancora nello stato individuale umano non può che tendere verso una simile«sublimazione», ma il fatto di conservare l’anonimato sarà appunto per lui il segno di questatendenza «trasformante». Del resto si può anche dire che, in rapporto alla società stessa, non è inquanto «tal dei tali» che l’artifex produce la propria opera, ma in quanto egli svolge una determinata«funzione»; a questa, che è d’ordine veramente «organico» e non «meccanico» (il che pone in lucela differenza fondamentale con l’industria moderna), egli deve, nel suo lavoro, identificarsi perquanto possibile; e tale identificazione, oltre ad essere il mezzo della sua «ascesi», caratterizza in

certo qual modo la misura della sua partecipazione effettiva all’organizzazione tradizionale, poiché èin virtù dell’esercizio stesso del suo mestiere che egli è incorporato a quest’ultima e che vi occupa ilposto che propriamente conviene alla sua natura. Per cui, da qualsiasi parte si considerino le cose,l’anonimato si impone in qualche modo come norma; ed anche se tutto ciò che esso implica inprincipio non può essere effettivamente realizzato, dovrà per lo meno esistere un anonimato relativonel senso che, soprattutto ove ci sia un’iniziazione basata sul mestiere, l’individualità profana o«esteriore», definita come «tale figlio di tal altro» (nama-gotra), sparirà per tutto ciò che si riferisceall’esercizio, di quel mestiere [Ciò spiega per quale motivo, in certe iniziazioni di mestiere quale ilCompagnonnage, come del resto negli ordini religiosi, è proibito designare un individuo mediante ilsuo nome profano; vi è ancora un nome, quindi un’individualità, ma è un’individualità già«trasformata», almeno virtualmente, per il fatto stesso dell’iniziazione].Se ora passiamo all’altro estremo, quello rappresentato dall’industria moderna, vediamo che

l’operaio vi è sì altrettanto anonimo, ma perché ciò che egli produce non esprime niente di lui stessoed in realtà non è neanche opera sua, essendo puramente «meccanica» la funzione che egli svolgein tale produzione. In definitiva, l’operaio come tale non ha in realtà alcun «nome», perché, nel suolavoro, egli non è che una semplice «unità» numerica senza qualità proprie, la quale potrebbeessere sostituita da un’altra «unità» equivalente, cioè da qualsiasi altro operaio, senza che nullacambi nel prodotto di tale lavoro [Può esserci solamente una differenza quantitativa, in quanto un

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operaio può lavorare più o meno rapidamente di un altro (ed in questa rapidità consiste in fondotutta l’«abilità» che gli si richiede); ma dal punto di vista qualitativo, il prodotto del lavoro saràsempre uguale, essendo determinato non dalla concezione mentale dell’operaio, o dalla sua abilitàmanuale a dare ad esso una forma esteriore, ma unicamente dall’azione della macchina di cui eglideve soltanto assicurare il funzionamento]; e così, come dicevamo prima, la sua attività non ha piùniente di veramente umano, anzi, ben lungi dal tradurre o per lo meno dal riflettere qualcosa di«sopraumano», essa è ridotta all’«infraumano», nel quale àmbito essa tende verso il grado piùbasso, cioè verso una modalità tanto quantitativa, quanto è possibile realizzarla nel mondomanifestato. L’attività «meccanica» dell’operaio rappresenta del resto solo un caso particolare (e

però il più tipico, allo stato attuale, in quanto l’industria è il campo in cui le concezioni moderne sonoriuscite più completamente ad esprimersi) di quel singolare «ideale» che i nostri contemporaneivorrebbero arrivare ad imporre a tutti gli individui umani ed in tutte le circostanze della loroesistenza; si tratta di una conseguenza immediata della tendenza cosiddetta «egualitaria», dellatendenza cioè a quell’uniformità che esige di trattare gli individui come semplici «unità» numeriche,in modo da realizzare l’«eguaglianza» dal basso, poiché, «al limite», questo è il solo senso in cuiessa possa essere realizzata, cioè in cui sia possibile, se non di raggiungerla di fatto (essendo essacontraria, come abbiamo visto, alle condizioni stesse di ogni esistenza manifestata), almeno diavvicinarcisi sempre di più e indefinitamente, finché si sia raggiunto il «punto di arresto» chesegnerà la fine del mondo attuale.Se ci si chiede che cosa diventi l’uomo in tali condizioni, vediamo che, a causa della sempre piùaccentuata predominanza in lui della quantità sulla qualità, egli è per così dire ridotto al suo aspettosostanziale, cioè al rupa della dottrina indù (ed in effetti non è possibile che egli perda la forma,quella cioè che definisce l’individualità come tale, senza perdere di conseguenza ogni esistenza), ilche equivale a dire che egli è quasi esclusivamente quel che il linguaggio corrente chiamerebbe un«corpo senz’anima», e ciò nel senso più letterale dell’espressione. In un individuo del genere,l’aspetto qualitativo o essenziale è quasi completamente sparito (diciamo quasi perché tale limitenon può essere raggiunto in realtà); e poiché questo aspetto è proprio quello designato come nama,questo individuo non ha veramente più un «nome» che gli sia proprio, perché è come svuotato dellequalità che quel nome deve esprimere; egli è dunque realmente «anonimo», ma nel significatoinferiore del termine. Si tratta dell’anonimato della «massa» di cui l’individuo fa parte ed in cui siperde, «massa» che è soltanto una collezione di individui simili, tutti considerati come altrettante«unità» aritmetiche pure e semplici; è pur vero che tali «unità» possono essere contate, in modo davalutare numericamente la collettività che esse formano, ma non si può minimamente dare aciascuna di esse una denominazione che implichi, per qualche differenza qualitativa, una distinzione

dalle altre.Abbiamo detto che l’individuo si perde nella «massa», o che per lo meno tende sempre di più aperdervisi; questa «confusione» nella molteplicità quantitativa corrisponde ancora, per inversione,alla «fusione» nell’unità principiale. In quest’ultima l’essere possiede tutta la pienezza delle suepossibilità «trasformate», cosicché si può dire che la distinzione, intesa in senso qualitativo, vi èspinta al massimo grado, pur essendo contemporaneamente sparita qualsiasi separazione [È ilsignificato dell’espressione di Eckhart «fuso, ma non confuso», che Coomaraswamy, nell’articolosuccitato, pone assai giustamente in relazione con quello del termine sanscrito bhédabhéda,«distinzione senza differenza», cioè senza separazione]. Nella quantità pura, al contrario, laseparazione è al massimo perché ivi risiede il principio stesso della «separatività», e d’altrondel’essere è evidentemente tanto più «separato» e più chiuso in se stesso, quanto più le sue possibilitàsono maggiormente limitate, cioè in quanto il suo aspetto essenziale comporta meno qualità; ma

contemporaneamente, data la sua sempre maggiore indistinzione qualitativa in seno alla «massa»,egli tende veramente a confondersi in essa. La parola «confusione» è qui tanto più appropriata inquanto evoca la indistinzione tutta potenziale del «caos», ed in effetti si tratta proprio di questo dalmomento che l’individuo tende a ridursi al suo solo aspetto sostanziale, cioè, come la chiamerebberogli Scolastici, ad una «materia senza forma» ove tutto è in potenza e niente è in atto, cosicché iltermine ultimo, se lo si potesse raggiungere, sarebbe una vera «dissoluzione» di quanto nell’in-dividualità vi è di realtà positiva; e, proprio in virtù dell’estrema opposizione esistente tra l’una el’altra, questa confusione degli esseri nell’uniformità appare come una sinistra e «satanica» parodiadella loro fusione nell’unità.

10. L’illusione delle statistiche

Ritorniamo ora a considerare il punto di vista più propriamente «scientifico» come lo intendono imoderni. Questo punto di vista è sostanzialmente caratterizzato dalla pretesa di ridurre tutte le cosealla quantità, e di non tenere in alcun conto quel che non è riducibile ad essa e di considerarlo in uncerto senso come inesistente; si è persino arrivati a pensare e a dire comunemente che tutto quantonon può essere «numerato», cioè espresso in termini puramente quantitativi, è, appunto per ciò,sprovvisto di ogni valore «scientifico»; e questa pretesa non si applica solo alla «fisica» nel

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significato ordinario della parola, ma a tutto l’insieme delle scienze «ufficialmente» ammesse oggi,ivi compreso, come abbiamo già visto, anche il campo psicologico. Le spiegazioni da noi date inprecedenza bastano a far capire che, a questo modo, si lascia fuori tutto quanto è veramenteessenziale nella più ristretta accezione del termine, e che, a cadere in preda di una scienza delgenere è, in realtà, soltanto un «residuo» del tutto incapace a spiegare qualsiasi cosa; desideriamotuttavia insistere ancora un po’ su un aspetto molto caratteristico di questa scienza, il quale mette inparticolare evidenza come essa si illuda su ciò che è possibile trarre da semplici valutazioninumeriche; cosa questa che si riallaccia del resto, in modo diretto, agli argomenti che abbiamotrattato per ultimi.

La tendenza all’uniformità, in effetti, che la si applichi nell’àmbito «naturale» oppure nell’àmbitoumano, conduce ad ammettere, ed in certo qual modo a stabilire come principio (noi dovremmopiuttosto dire «pseudoprincipio»), che esistono ripetizioni di fenomeni identici, la qual cosa, in virtùdel «principio degli indiscernibili», è una pura e semplice impossibilità. Quest’idea si traduce inparticolare nell’affermazione corrente secondo cui «le stesse cause producono sempre gli stessieffetti», il che, enunciato in questa forma, è decisamente assurdo, perché di fatto, in un ordinesuccessivo di manifestazione, non possono esserci né le stesse cause né gli stessi effetti; eppurenon si arriva forse a dire comunemente che «la storia si ripete», quando in realtà esistono solocorrispondenze analogiche fra certi periodi e fra certi avvenimenti? Quel che si dovrebbe dire, è checause paragonabili tra loro sotto certi rapporti producono effetti ugualmente paragonabili sotto glistessi rapporti; ma a parte certe rassomiglianze, che se si vuole rappresentano un’identità parziale,vi sono sempre necessariamente delle differenze, proprio perché, per ipotesi, si tratta di due cosedistinte e non di una sola e stessa cosa. È vero che queste differenze, per il fatto stesso di esseredistinzioni qualitative, sono tanto minori quanto più ciò che si considera appartiene ad un grado piùbasso della manifestazione, e che, di conseguenza, si accentuano nella stessa misura le somiglianze,così da far pensare in taluni casi ad una specie di identità, ad un’osservazione superficiale edincompleta; ma in realtà le differenze non si eliminano mai completamente, altrimenti si sarebbeaddirittura al di sotto di ogni manifestazione. Quand’anche tali differenze risultassero dall’influenzadi circostanze di tempo e luogo cangianti senza posa, non per questo si potrebbero trascurare; inverità, per comprenderle, bisogna rendersi conto che, contrariamente all’opinione dei moderni, lospazio ed il tempo reali non sono soltanto contenenti omogenei e modi della quantità pura esemplice, ma che esiste anche un aspetto qualitativo delle determinazioni temporali e spaziali.Comunque sia, c’è da chiedersi come, trascurando le differenze e rifiutandosi in un certo senso divederle, si possa pretendere di costituire una scienza «esatta». A rigore e effettivamente di «esatto»non può esserci che la matematica pura in quanto essa veramente si riferisce al dominio della

quantità; quel che resta della scienza moderna non è e non può essere, in tali condizioni, se non untessuto di approssimazioni più o meno grossolane, e ciò non soltanto nelle applicazioni, in cui tuttipiù o meno sono obbligati a constatare l’inevitabile imperfezione dei mezzi di osservazione e dimisura, ma anche nello stesso punto di vista teorico. Le supposizioni irrealizzabili che costituisconoquasi tutta la sostanza della meccanica «classica», la quale poi serve da base a tutta la fisicamoderna, potrebbero fornire qui una moltitudine di esempi caratteristici [Dove si è mai visto, peresempio, un «punto materiale pesante», un «solido perfettamente elastico», un «filo inestensibile esenza peso» ed altre non meno immaginarie «entità» di cui abbonda questa scienza consideratacome «razionale» per eccellenza?].L’idea di prendere la ripetizione in qualche modo a fondamento di una scienza tradisce un’ulterioreillusione di ordine quantitativo, la quale consiste nella convinzione che il solo accumulare un grannumero di fatti possa servire di «prova» ad una teoria. Eppure è evidente, per poco che vi si rifletta,

che i fatti di uno stesso genere sono sempre in moltitudine indefinita, per cui non si può maiconstatarli tutti, senza contare che gli stessi fatti si accordano generalmente bene con numeroseteorie diverse. Si dirà che la constatazione di un più grande numero di fatti dà almeno una maggiore«probabilità» alla teoria: ma questo modo di procedere equivale a riconoscere che non si puòassolutamente arrivare ad una certezza qualsiasi e quindi che le conclusioni enunciate non hannoproprio niente di «esatto»; ed equivale pure ad ammettere il carattere del tutto «empirico» dellascienza moderna, i cui fautori, per una strana ironia, si compiacciono, di tacciare di «empirismo» leconoscenze degli antichi, quando in realtà è vero esattamente il contrario, perché tali conoscenze, dicui essi ignorano del tutto la vera natura, partivano da principi e non da constatazioni sperimentali,e quindi si può ben dire che la scienza profana è costituita esattamente al rovescio della scienzatradizionale. Si può anche dire che, per quanto insufficiente sia l’«empirismo» in se stesso, quellodella scienza moderna è ben lungi dall’essere integrale, poiché trascura o elimina una parte

considerevole dei dati dell’esperienza, tutti quelli cioè che presentano un carattere prettamentequalitativo. L’esperienza sensibile, non diversamente da qualsiasi genere di esperienza, non puòassolutamente vertere sulla quantità pura, e più ci si avvicina a questa, più ci si allontana da quellarealtà che si pretende constatare e spiegare; e, di fatto, non sarebbe difficile accorgersi come leteorie più recenti sono anche quelle che hanno meno rapporto con tale realtà, e che più volentierisostituiscono quest’ultima mediante «convenzioni», non diremo del tutto arbitrarie (in quanto è

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impossibile fare una «convenzione» senza che vi sia qualche ragione per farla), ma perlomenoarbitrarie al massimo, cioè quasi prive di fondamento, nella vera natura delle cose.Dicevamo un momento fa che la scienza moderna, per il fatto stesso di voler essere completamentequantitativa, rifiuta di tener conto delle differenze tra i fatti particolari, perfino in casi in cui questedifferenze sono più accentuate, cioè in quelli ove gli elementi qualitativi hanno maggiorpredominanza su quelli quantitativi; ed è soprattutto in questo caso che si può dire che le sfugge laparte più considerevole della realtà, e che l’aspetto parziale ed inferiore della verità che essa puòafferrare nonostante tutto (poiché l’errore totale non può avere altro senso che quello d’unanegazione pura e semplice) si trova pertanto ridotto pressoché a niente. È così soprattutto quando si

arriva a prendere in esame fatti di ordine umano, i più altamente qualitativi di tutti quelli che talescienza intende comprendere nel proprio àmbito, e che tuttavia essa si sforza di trattareesattamente come gli altri, come quelli che essa rapporta non soltanto alla «materia organizzata»,ma anche alla «materia bruta»: essa in effetti non ha che un solo metodo che uniformementeapplica agli oggetti più diversi, appunto perché, dal suo particolare angolo visuale, è incapace didistinguerne le differenze essenziali. È appunto in quest’ordine umano, si tratti di storia, di«sociologia» di «psicologia» o di qualunque altro genere di studi, che appare nel modo più pieno ilcarattere fallace delle «statistiche» a cui i moderni attribuiscono tanta importanza. Qui, come in tuttigli altri casi, tali statistiche consistono soltanto nel contare un numero più o meno grande di fatti,supposti tutti completamente simili tra loro, ché, diversamente, la loro somma non avrebbesignificato alcuno; ed è evidente che a questo modo si ottiene soltanto un’immagine della realtàtanto più deformata quanto più i fatti in questione non sono effettivamente simili e paragonabili chein misura minima, cioè quanto più considerevoli sono l’importanza e la complessità degli elementiqualitativi che essi implicano. Solamente che, con l’incolonnare a questo modo cifre e calcoli, ci sicrea, mentre si cerca di darla agli altri, una certa illusione di «esattezza» che si potrebbe qualificare«pseudomatematica». Di fatto però, senza nemmeno accorgersene, grazie alle idee preconcette, sitrae indifferentemente da queste cifre quasi tutto quel che si vuole, tanto sono prive di significato inse stesse; lo prova il fatto che le stesse statistiche, fra le mani di scienziati diversi anche se deditialla stessa «specialità», danno spesso luogo, a seconda delle loro rispettive teorie, a conclusioni deltutto diverse se non addirittura diametralmente opposte. In queste condizioni, le cosiddette scienze«esatte» dei moderni, col far intervenire le statistiche e col voler pretendere di trarne previsioni perl’avvenire (sempre in virtù della supposta identità di tutti i fatti considerati, siano essi passati ofuturi), non sono in realtà se non semplici scienze «congetturali», secondo l’espressione impiegatavolentieri dai promotori di una certa astrologia moderna detta «scientifica» (che riconoscono in talmodo più francamente di altri di che cosa si tratta), la quale non ha certamente se non rapporti

molto vaghi e lontani, ammesso che ne abbia qualcuno oltre alla terminologia, con la vera astrologiatradizionale degli antichi, oggigiorno tanto perduta quanto le altre conoscenze dello stesso ordine.Questa «neoastrologia», nel tentativo di darsi una base «empirica» e senza ricollegarsi ad alcunprincipio, fa appunto un grande uso delle statistiche, le quali anzi vi occupano un postopreponderante; è appunto per questa ragione che si pensa di poterla onorare dell’epiteto«scientifica» (il che implica del resto il rifiuto di attribuire tale carattere all’astrologia vera, così comea tutte le scienze tradizionali similmente costituite), e tutto ciò è ben significativo e caratteristicodella mentalità moderna.La supposizione di una identità tra i fatti che in realtà sono solo dello stesso genere, cioèparagonabili esclusivamente sotto certi rapporti, oltre a contribuire, come abbiamo spiegato, acreare l’illusione di una scienza «esatta», soddisfa molto bene il bisogno di semplificazioneeccessiva, altra caratteristica assai stupefacente della mentalità moderna, talché si potrebbe, senza

la minima intenzione ironica, qualificare tale mentalità di pretto «semplicismo», tanto nelle sueconcezioni «scientifiche», quanto in tutte le altre sue manifestazioni. Tutte queste cose sono delresto solidali, e il bisogno di semplificare accompagna necessariamente la tendenza a tutto ridurre alquantitativo, e per di più la rinforza, poiché evidentemente nulla può esistere di più semplice dellaquantità. Se si riuscisse a spogliare interamente un essere o una cosa delle sue qualità proprie, il«residuo» ottenuto presenterebbe sicuramente il massimo di semplicità, e, al limite, tale estremasemplicità sarebbe quella che non può appartenere se non alla quantità pura, cioè a quelle «unità»,tutte simili tra loro, che costituiscono la molteplicità numerica; ma ciò è così importante darichiedere ulteriori riflessioni.

11. Unità e semplicità

Il bisogno di semplificare, per quel che ha di illegittimo e abusivo, è, come abbiamo detto, un trattodistintivo della mentalità moderna. In virtù di questo bisogno, applicato al campo scientifico, certifilosofi sono arrivati a sostenere, come una specie di «pseudoprincipio» logico, l’affermazione che «lanatura agisce sempre per le vie più semplici». Si tratta evidentemente di un postulato del tuttogratuito, in quanto non si vede che cosa possa obbligare la natura ad agire proprio così e nonaltrimenti; condizioni ben diverse dalla semplicità possono intervenire nelle sue operazioni ed avere

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la meglio su di essa, sì da determinarla ad agire attraverso vie le quali, almeno dal nostro punto divista, appaiono spesso molto complicate. In verità, questo «pseudoprincipio» non è niente di più cheun augurio formulato per una specie di «pigrizia mentale»: ci si augura che le cose siano il piùpossibile semplici, perché, se lo fossero in effetti, sarebbero tanto più facili da capire; e inoltre ciò siaccorda bene con la concezione tutta moderna e profana di una scienza «alla portata di tutti», cosamanifestamente possibile solo a patto che la sua semplicità arrivi a livello «infantile», e che qualsiasiconsiderazione d’ordine superiore o realmente profondo ne sia rigorosamente esclusa.La traccia di una tal condizione di spirito già la si trova espressa, un po’ prima dell’inizio dei tempimoderni, nell’adagio scolastico: «entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem» [Questo

adagio, analogamente a quello secondo cui «nihil est in intellectu quod non prius fuerit in sensu»,prima formulazione di quanto più tardi sarà chiamato «sensualismo», è di quelli a cui non si puòtrovare alcun autore definito, ed è verosimile che essi appartengano già al periodo di decadenzadella Scolastica, cioè ad un periodo che in effetti, nonostante la «cronologia» corrente, è già piùl’inizio dei tempi moderni che non la fine del Medio Evo, se, come abbiamo spiegato altrove, bisognafar risalire tale inizio già al secolo XIV], il quale ha senso solo se si tratta di «speculazioni» del tuttoipotetiche, ma allora ciò non presenta alcun interesse; difatti è solo nel campo della matematicapura che l’uomo può validamente limitarsi ad operare su costruzioni mentali senza doverleparagonare a qualsivoglia altra cosa; e in questo caso, se egli può «semplificare» a suo piacimento,è perché il suo oggetto è soltanto la quantità, le cui combinazioni, se la si suppone ridotta a sestessa, non sono affatto comprese nell’ordine effettivo della manifestazione. Per contro, dalmomento che si deve tener conto di talune constatazioni di fatto, le cose vanno ben diversamente,ed è giocoforza riconoscere che spesso la stessa «natura» sembra veramente ingegnarsi amoltiplicare gli esseri praeter necessitatem; per esempio, quale soddisfazione logica può provarel’uomo a constatare la moltitudine e la varietà prodigiose delle specie animali e vegetali i cuirappresentanti vivono intorno a lui? Ciò è certamente assai distante dalla semplicità postulata daquei filosofi che vorrebbero piegare la realtà alla comodità della loro comprensione e di quella della«media» dei loro simili; e se le cose stanno così nel mondo corporeo, il quale tra l’altro non è che uncampo di esistenza molto limitato, non sarà forse, e a maggior ragione, altrettanto vero per gli altrimondi, anzi si potrebbe dire in proporzione indefinitamente maggiore? [A questo proposito sipotrebbero contrapporre, all’adagio scolastico della decadenza, le concezioni dello stesso sanTommaso d’Aquino sul mondo angelico, «ubi omne individuum est species infima», cioè ove ledifferenze fra gli angeli non sono l’analogo delle «differenze individuali» nel nostro mondo (lo stessotermine individuum è quindi improprio in realtà trattandosi effettivamente di stati sovraindividuali),bensì delle «differenze specifiche». La ragione vera di ciò risiede nel fatto che ogni angelo

rappresenta in certo qual modo l’espressione di un attributo divino, com’è d’altronde evidente nellacostituzione dei nomi dell’angelologia ebraica]. D’altra parte, per tagliar corto ad ogni discussione suquesto argomento, basta ricordare che, come abbiamo spiegato altrove, tutto quanto è possibile èanche reale nel suo ordine e secondo il proprio modo di essere, e che la possibilità universale,essendo necessariamente infinita, ha in sé il posto per tutto quanto non è un’impossibilità pura esemplice; ma, appunto, non è forse ancora lo stesso bisogno di semplificazione abusiva che spinge ifilosofi, nella costituzione dei loro «sistemi», a voler sempre limitare in un modo o nell’altro lapossibilità universale? [È per questa ragione che Leibniz affermava che «ogni sistema è vero in ciòche afferma e falso in ciò che nega», cioè che esso contiene una parte di verità proporzionale aquanto ammette di realtà positiva, ed una parte di errore corrispondente a ciò che di questa realtàesclude; conviene aggiungere però che è proprio il lato negativo o limitativo a costituire appunto il«sistema» come tale].

Quel che appare particolarmente curioso è che la tendenza alla semplicità intesa a questo modo, cosìcome la tendenza all’uniformità che va di pari passo con essa, viene interpretata, da chi ne èinfluenzato, come uno sforzo di «unificazione», mentre in realtà si tratta di un’«unificazione» allarovescia, come tutto quanto è diretto verso l’àmbito della quantità pura o verso il polo sostanziale einferiore dell’esistenza, per cui ritroviamo qui quella specie di caricatura dell’unità già da noisegnalata sotto altri aspetti. Che infatti anche la vera unità possa definirsi «semplice», è vero intutt’altro senso e solo perché essenzialmente indivisibile; il che esclude necessariamente ogni«composizione» ed implica per essa l’assoluta impossibilità ad essere concepita come costituita diparti. Una specie di parodia di questa indivisibilità si ritrova d’altronde in quella attribuita ai loro«atomi» da quei filosofi e da quei fisici che non si accorgono della sua incompatibilità con la naturacorporea: essendo infatti l’estensione indefinitamente divisibile, un corpo, cioè qualcosa di estesoper definizione, è necessariamente sempre composto di parti, quand’anche sia o lo si voglia

supporre piccolo, per cui la nozione di corpuscoli indivisibili è per se stessa contraddittoria; ma,evidentemente, una nozione del genere ben si accorda con la ricerca di una semplicità spinta cosìlontano da non corrispondere più alla benché minima realtà.L’unità principiale, d’altro canto, pur nella sua assoluta indivisibilità, è tuttavia di una complessitàestrema, se così si può dire, poiché contiene «eminentemente» tutto ciò che, discendendo ai gradiinferiori, costituisce l’essenza o il lato qualitativo degli esseri manifestati. Basta riportarsi alle nostre

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precedenti spiegazioni sul vero significato in cui va intesa l’«estinzione dell’io», per capire che è inquel momento che ogni qualità «trasformata» si trova nella sua pienezza, e che la distinzione,affrancata da ogni limitazione «separativa», è veramente portata al grado supremo. La limitazioneappare, appena si entra nell’esistenza manifestata, sotto la forma delle condizioni stesse che deter-minano ogni stato e ogni modo di manifestazione; man mano che si scende ai livelli più bassi di taleesistenza, la limitazione diventa sempre più rigorosa, come pure sempre più ristrette sono lepossibilità inerenti alla natura degli esseri, il che equivale a dire che l’essenza degli esseri vasemplificandosi nella stessa misura; e questa semplificazione prosegue gradualmente fino al di sottodella stessa esistenza, cioè fino all’àmbito della quantità pura, là ove essa è finalmente portata al

suo massimo con la soppressione completa di ogni determinazione qualitativa.È evidente, da quanto precede, come la semplificazione segua strettamente quel camminodiscendente che, nel linguaggio attuale di ispirazione «dualistica» cartesiana, verrebbe descrittocome diretto dallo «spirito» verso la «materia»; per inadeguati che siano questi due termini, qualisostituti di «essenza» e di «sostanza», non è forse inutile adoperarli qui per farci meglio capire. Ineffetti, è veramente straordinario che si voglia applicare questa semplificazione a quanto riguardal’àmbito «spirituale», per lo meno in ciò che si è ancora capaci di concepirne, con l’estenderla alleconcezioni religiose così come a quelle filosofiche e scientifiche. L’esempio più tipico a questoproposito è il Protestantesimo, dove tale semplificazione si traduce sia nella pressoché completasoppressione dei riti, sia nella predominanza accordata alla morale sulla dottrina, quest’ultimasempre più semplificata e sminuita anch’essa, tanto da ridursi quasi a nulla con quelle poche formulerudimentali che ognuno può intendere a modo suo; e il Protestantesimo, nelle sue molteplici forme,è del resto la sola produzione religiosa dello spirito moderno, quando quest’ultimo non era ancoragiunto a rigettare ogni religione, ma già cominciava, in virtù delle tendenze antitradizionali che glisono inerenti, o meglio che lo costituiscono propriamente, ad avviarsi in quella direzione. Ai limiti diquesta «evoluzione», come si dice oggi, la religione è sostituita dalla «religiosità», cioè da un vagosentimentalismo senza alcuna reale portata: ecco cosa ci si compiace di considerare come un«progresso». A dimostrare come per la mentalità moderna tutti i rapporti normali siano rovesciati,sta il fatto che si vuol vedere in ciò una «spiritualizzazione» della religione, quasi lo «spirito» nonfosse che una cornice vuota od un «ideale» tanto nebuloso quanto insignificante; e si tratta in effettidi quella che certi nostri contemporanei chiamano anche «religione epurata», ed essa lo è in effettitalmente, che si trova svuotata di ogni contenuto positivo e non ha più il minimo rapporto con unaqualsiasi realtà!V’è pure da notare come tutti i sedicenti «riformatori» vantino costantemente la pretesa di ritornaread una «semplicità primitiva», la quale senza dubbio non è mai esistita se non nella loro

immaginazione; questo è forse un mezzo di tutto comodo per dissimulare il vero carattere delle loroinnovazioni, ma molto spesso può anche essere un’illusione di cui essi stessi sono le vittime: è bendifficile infatti stabilire fino a che punto i promotori apparenti dello spirito antitradizionale sianorealmente coscienti della funzione che svolgono, perché una funzione del genere presuppone già inloro una mentalità falsata; inoltre non si vede come la pretesa in questione possa conciliarsi conl’idea di un «progresso» di cui contemporaneamente si vantano di essere gli agenti, contraddizionequesta che basta da sola ad indicare l’anormalità di una situazione del genere. Comunque sia, giàche abbiamo accennato all’idea stessa della «semplicità primitiva», non si riesce a capire perché maile cose dovrebbero sempre cominciare con l’essere semplici, per complicarsi in seguito; al contrario,se si pensa che il germe di un essere qualsiasi deve necessariamente contenere la virtualità di tuttoquel che tale essere diverrà in seguito, il che equivale a dire che tutte le possibilità che sisvilupperanno nel corso della sua esistenza vi sono già incluse, si è indotti a pensare che l’origine di

tutte le cose dev’essere in realtà estremamente complessa, ed è questa appunto la complessitàqualitativa dell’essenza; il germe è piccolo solo sotto l’aspetto della quantità o della sostanza, percui, trasponendo simbolicamente l’idea di «grandezza», si può dire in ragione dell’analogia inversache il più piccolo in quantità deve essere il più grande in qualità [Ricordiamo qui la parabolaevangelica del «granello di senape» ed i testi similari delle Upanishad già da noi citati altrove(L’Homme et son devenir selon le Védanta, cit., cap. III); e aggiungeremo ancora, a questo pro-posito, che lo stesso Messia è denominato «germe» in un gran numero di passi biblici]. Similmente,ogni tradizione contiene, fin dall’origine, tutta intera la dottrina, comprendendo in principio la totalitàdegli sviluppi e degli adattamenti che potranno legittimamente procederne nel corso dei tempi, cosìcome le applicazioni cui essa può dar luogo in tutti i campi; per cui gli interventi puramente umaninon possono che limitarla e sminuirla, se non snaturarla del tutto, ed è appunto in questo checonsiste realmente l’opera di tutti i «riformatori».

Un’altra cosa singolare è che i «modernisti» di tutte le specie (e qui non intendiamo parlare soltantodi quelli occidentali, ma anche di quelli orientali, i quali d’altronde non sono che degli«occidentalizzati»), vantando come un «progresso» nell’ordine religioso la semplicità dottrinale,parlano spesso della religione come se dovesse esser riservata a degli sciocchi, o per lo meno comese dovessero esser forzatamente tali, per ipotesi, coloro cui essi si rivolgono; credono forse costoro,affermando a torto o a ragione che una dottrina è semplice, di offrire ad un uomo, sia pure appena

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intelligente, una ragione valida per adottarla? Si tratta in fondo anche qui di una manifestazionedell’idea «democratica» in virtù della quale, come dicevamo più indietro, si vuol mettere anche lascienza «alla portata di tutti»; ed è appena il caso di far osservare che questi stessi «modernisti»sono anche sempre, come conseguenza necessaria del loro atteggiamento, gli avversari dichiarati diogni esoterismo; va da sé che quest’ultimo, che per definizione si indirizza esclusivamente all’élite,non ha affatto da esser semplice, per cui la negazione dell’esoterismo si presenta come prima tappaobbligata di qualsiasi tentativo di semplificazione. La religione propriamente detta poi, o, più ingenerale, la parte più esteriore di ogni tradizione, deve evidentemente esser tale che ciascuno possacomprenderne qualcosa a seconda delle sue capacità, ed è in questo senso che essa si indirizza a

tutti; ma ciò non vuol dire che essa debba ridursi a quel minimo accessibile al più ignorante (intesonon sotto l’aspetto dell’istruzione profana, la quale qui assolutamente non interessa), od al menointelligente; al contrario essa deve possedere qualcosa che sia, per così dire, al livello dellepossibilità di tutti gli individui, per quanto elevate siano, ed è soltanto in questo modo ch’essa puòfornire un «supporto» adeguato a quell’aspetto interiore il quale, in ogni tradizione non mutilata, nerappresenta il necessario complemento e prende origine dall’ordine iniziatico propriamente detto. Mai «modernisti», col rigettare proprio l’esoterismo e l’iniziazione, negano per conseguenza alledottrine religiose ogni significato profondo, e così, proprio pretendendo di «spiritualizzare» lareligione, cadono al contrario nel più ristretto e grossolano «letteralismo», quello in cui lo spirito èpiù completamente assente; in questo modo essi dimostrano con un esempio lampante come siaspesso anche troppo vera la frase di Pascal «chi vuol fare l’angelo fa la bestia»!Ma non abbiamo ancora finito con la «semplicità primitiva», poiché tale espressione potrebbetrovare applicazione almeno in un senso: ci riferiamo all’indistinzione del «caos», che in un certoqual modo è proprio «primitivo» perché appunto si trova «all’inizio»; però esso non vi è solo, poichéqualsiasi manifestazione presuppone necessariamente, contemporaneamente ed in correlazione,l’essenza e la sostanza, ed il «caos» ne rappresenta soltanto la base sostanziale. Se i fautori della«semplicità primitiva» la intendessero a questo modo, non avremmo certo opposizione da fare,perché è appunto a questa indistinzione che arriverebbe finalmente la tendenza alla semplificazionese potesse realizzarsi fino alle sue ultime conseguenze; ma ancora una volta bisogna tener presenteche questa semplicità ultima, essendo al di sotto della manifestazione e non in essa, noncorrisponderebbe affatto ad un vero «ritorno all’origine». A questo proposito, e per risolvereun’apparente antinomia, bisogna fare una distinzione netta fra le due prospettive rispettivamenteriferentisi ai due poli dell’esistenza. Quando si dice che il mondo si è formato a partire dal «caos», losi prende in esame unicamente dal punto di vista sostanziale; ed in tal caso bisogna considerarequesto inizio come intemporale, perché evidentemente il tempo non esiste nel «caos», ma solo nel

«cosmo». Quindi, se ci si vuol riferire all’ordine di sviluppo della manifestazione, che nell’àmbitodell’esistenza corporea ed in virtù delle condizioni che definiscono quest’ultima si traduce in unordine di successione temporale, non è da questo lato che bisognerà partire, bensì dal lato del poloessenziale, da cui la manifestazione, conformemente alle leggi cicliche, si allontana costantementeper discendere verso il polo sostanziale. La «creazione», in quanto risoluzione del «caos», è in certoqual modo «istantanea» ed è propriamente il fiat lux biblico; ma quel che è veramente all’originestessa del «cosmo» è la Luce primordiale vera e propria, cioè lo «spirito puro» in cui sono le essenzedi tutte le cose; ed effettivamente, a partire da lì, il mondo manifestato non può far altro che andarein basso sempre più verso la «materialità».

12. L’odio per il segreto

C’è un punto, da noi toccato solo incidentalmente nelle pagine che precedono, sul quale è opportunoinsistere ancora: si tratta della tendenza alla «volgarizzazione» (e questo è ancora uno di queitermini ben significativi per dipingere la mentalità moderna), cioè della pretesa di porre tutto «allaportata di tutti», che già abbiamo segnalato come una conseguenza delle concezioni«democratiche», e che equivale in definitiva a voler abbassare la conoscenza fino al livello delleintelligenze inferiori. In linea generale, è persino troppo facile mettere in evidenza i moltepliciinconvenienti provocati dalla sconsiderata diffusione di un’istruzione che si pretende impartireugualmente a tutti, con forme e metodi identici, che non può risolversi, come già abbiamo detto, senon in una specie di livellamento al grado più basso: anche qui, come sempre, la qualità è sacrificataalla quantità. È vero d’altronde che l’istruzione profana in questione non apporta in definitiva alcunaconoscenza al vero significato di questa parola e non contiene assolutamente nulla di un ordine unpo’ più profondo; ma a parte la sua insipienza ed inefficacia, quel che la rende realmente nefasta è

soprattutto il fatto di farsi passare per ciò che non è, di tendere a negare tutto ciò che la supera, edi soffocare così tutte le possibilità riferentisi ad un campo più elevato; si direbbe perfino, dalmomento che l’«uniformizzazione» moderna implica necessariamente l’odio verso qualsiasisuperiorità, che essa sia fatta espressamente a questo scopo.Più stupefacente ancora è l’illusione, che taluni attualmente hanno, di poter esporre delle dottrinetradizionali modellandole in qualche modo su questa stessa istruzione profana, senza tener conto

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alcuno della natura stessa di tali dottrine e delle differenze essenziali esistenti tra esse e ciò che oggipassa sotto i nomi di «scienze» e di «filosofia», quando invece un vero abisso le separa; costoro,così facendo, o sono per forza di cose obbligati a deformare queste dottrine per semplificazione, nonlasciandone apparire se non il senso più esteriore, oppure la loro pretesa è completamenteingiustificata. In ogni caso, si assiste ad una penetrazione dello spirito moderno persino in quel chegli è radicalmente opposto per definizione stessa, e non è difficile rendersi conto di quali possanoesserne le conseguenze dissolventi, magari all’insaputa di coloro i quali, spesso in buona fede esenza intenzioni definite, si fanno strumenti di una simile penetrazione. La decadenza della dottrinareligiosa in Occidente, e la perdita totale dell’esoterismo corrispondente mostrano anche troppo bene

a che cosa si potrà arrivare se un simile modo di pensare verrà un giorno a generalizzarsi anchenello stesso Oriente; si tratta di un pericolo assai grave che è opportuno segnalare finché si è ancorain tempo.Ma il più incredibile è l’argomento principe messo avanti da questi «propagandisti» di nuovo conioper motivare il loro atteggiamento. Scriveva recentemente uno di essi, che se è vero che in altritempi si apportavano restrizioni alla diffusione di certe conoscenze, oggi non è più il caso di tenerneconto, perché (e qui desideriamo citare la frase testualmente affinché non ci si possa sospettare diesagerazione) «il livello medio della cultura si è elevato e gli spiriti sono stati preparati a riceverel’insegnamento integrale». Qui appare nel modo più netto la confusione con l’istruzione profana,definita con quel termine «cultura» che oggi è diventato una delle sue più abituali denominazioni, ecioè con qualcosa che non ha il benché minimo rapporto con l’insegnamento tradizionale o conl’attitudine a riceverlo; per di più, poiché il sedicente innalzamento del «livello medio» ha perinevitabile contropartita la sparizione dell’«élite» intellettuale, si può ben dire che questa «cultura»rappresenta esattamente il contrario d’una preparazione a ciò di cui si tratta. Ci si chiede, inoltre,come un indù (perché è un indù quello da noi citato) possa ignorare del tutto in qual momento delKali Yuga ci si trovi attualmente, e arrivi al punto di affermare che «sono giunti i tempi in cui l’interosistema del Vedanta può essere esposto pubblicamente», mentre una sia pur minima conoscenzadelle leggi cicliche impone al contrario di dire che mai come ora essi sono stati meno favorevoli; se ilVedanta non ha mai potuto essere «messo alla portata della maggior parte degli uomini», ed’altronde non è fatto per questo scopo, non potrà certo esserlo al momento attuale in cui è fintroppo evidente che la «maggior parte degli uomini» non è mai stata così incapace di comprendere.In realtà, è proprio per questa ragione che il patrimonio di conoscenza tradizionale d’ordineveramente profondo, il quale corrisponde a ciò che deve implicare un «insegnamento integrale»(perché, se questa espressione ha veramente un senso, deve esservi compreso l’insegnamentopropriamente iniziatico), diventa dovunque sempre più difficilmente accessibile; di fronte all’in-

vasione dello spirito moderno e profano è evidente che non può essere diverso; ma allora come sipuò misconoscere la realtà al punto di affermare tutto l’opposto e con la stessa tranquillità con cui sienuncerebbe la verità più incontestabile?Nel caso citato, che è un tipico esempio per «illustrare» una certa mentalità, non meno sorprendentisono le ragioni addotte per spiegare quale interesse speciale possa esserci oggi a diffonderel’insegnamento del Vedanta: in primo luogo si invoca a questo proposito «lo sviluppo delle ideesociali e delle istituzioni politiche». Ora, anche ammesso che si tratti veramente di uno «sviluppo»(ed in ogni caso bisognerebbe precisare in quale senso), ciò non avrebbe maggior rapporto con lacomprensione di una dottrina metafisica di quel che non abbia la diffusione dell’istruzione profana;del resto è sufficiente constatare, in un qualsiasi paese orientale, quanto le preoccupazioni politiche,là dove esse si sono introdotte, nuocciano alla conoscenza delle verità tradizionali, per pensare chesarebbe giustificato parlare piuttosto di una incompatibilità, almeno di fatto, che non di un accordo

possibile tra questi due «sviluppi». In realtà, non vediamo come la «vita sociale», nel significatoprettamente profano inteso dai moderni, possa avere dei legami con la spiritualità, a cui, al con-trario, non apporta che impedimenti; essa ne aveva invece quando si integrava in una civiltàtradizionale, ma è precisamente lo spirito moderno che li ha distrutti, o che mira a distruggerli là oveessi ancora esistono; e quindi cosa mai ci si può attendere da uno «sviluppo» il cui trattocaratteristico è proprio di andare all’opposto di ogni spiritualità?Lo stesso autore invoca ancora un’altra ragione: «In ogni caso» egli dice «per il Vedanta accadecome per le verità della scienza; oggi non esiste più il segreto scientifico; la scienza non esita apubblicare le scoperte più recenti». In effetti la scienza profana è destinata al «grosso pubblico» edè questa la sua ragion d’essere da quando esiste; è anche troppo evidente che essa, in realtà, non èniente di più di quel che appare, poiché, non possiamo dire per principio, ma piuttosto per assenzadi principio, essa rimane esclusivamente alla superficie delle cose; certamente essa non ha niente

che valga la pena di esser tenuto segreto o, per essere più esatti, che meriti d’esser riservato all’usodi una élite: questa d’altronde non saprebbe che farsene. Soltanto, quale assimilazione è maipossibile stabilire fra le pretese verità e le «più recenti scoperte» della scienza profana da un lato, edall’altro gli insegnamenti di una dottrina come il Vedanta o di una qualsiasi altra dottrinatradizionale sia pure d’ordine più esteriore? Si tratta pur sempre della solita confusione, ed è lecitochiedersi fino a che punto chi la commette con tale insistenza possa avere la comprensione della

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dottrina che vuole insegnare. Fra lo spirito tradizionale e lo spirito moderno nessun accomodamentoè in realtà possibile, ed ogni concessione fatta al secondo va necessariamente a detrimento delprimo, poiché, in fondo, lo spirito moderno non è altro che la negazione stessa di tutto ciò checostituisce lo spirito tradizionale.Questo spirito moderno, in verità, per tutti coloro che ad un grado qualsiasi ne sono contaminati,implica un vero e proprio odio per il segreto e per tutto ciò che da vicino o da lontano gli assomiglia,in qualsivoglia campo; e già che l’occasione si presta ne approfittiamo per esprimere nettamente ilnostro parere in merito. A rigore, non è che si possa dire che la «volgarizzazione» delle dottrine siapericolosa, almeno finché si tratta soltanto del loro aspetto teorico: semplicemente sarebbe inutile,

quand’anche fosse possibile. Ma, in realtà, le verità di un certo ordine resistono per la loro stessanatura a ogni «volgarizzazione»: per quanto le si esponga con chiarezza (a condizione beninteso diesporle tali e quali nel loro vero significato e senza far loro subire alcuna deformazione), esse sonocomprensibili soltanto per chi è qualificato per capirle, mentre, per gli altri, è come se nonesistessero. Qui non ci riferiamo alla «realizzazione» ed ai metodi che le sono propri, poiché, aquesto riguardo, assolutamente niente può avere un valore effettivo se non all’interno di un’or-ganizzazione iniziatica regolare; ciò nonostante, da un punto di vista teorico, una riserva può esseregiustificata da considerazioni di semplice opportunità, quindi da ragioni prettamente contingenti, ilche non significa che esse siano, di fatto, forzatamente trascurabili. In fondo, il vero segreto, il soloa non poter essere tradito in alcuna maniera, risiede unicamente nell’inesprimibile, che come tale èincomunicabile, ed una parte di inesprimibile si trova necessariamente in qualsiasi verità di ordinetrascendente; è questo essenzialmente il senso profondo del segreto iniziatico. Un qualsiasi segretoesteriore potrà avere, al più, valore di immagine o di simbolo di esso. O altrimenti, talvolta, avrà ilvalore di una «disciplina» che comunque darà un suo profitto. Ma, beninteso, si tratta di cose il cuisignificato e la cui portata sfuggono interamente alla mentalità moderna, la cui incomprensione alriguardo genera naturalmente l’ostilità. Il volgo prova sempre una paura istintiva per tutto ciò chenon capisce, e la paura crea assai facilmente l’odio, anche quando ci si sforza di sfuggirvi mediantela pura e semplice negazione della verità non compresa; vi sono del resto negazioni cheassomigliano a vere e proprie crisi di rabbia, come, per esempio, quelle dei sedicenti «liberipensatori» verso tutte le cose che si riferiscono alla religione.La mentalità moderna, quindi, è tale da non poter sopportare alcun segreto e nemmeno delleriserve; cose del genere, poiché ne ignora le ragioni, le appaiono soltanto come «privilegi» istituiti avantaggio di qualcuno, ed essa non può più soffrire alcuna superiorità; se si volesse tentare dispiegarle che i cosiddetti «privilegi» hanno un loro reale fondamento nella natura stessa degli esserisarebbe fatica sprecata, poiché è proprio questo che il suo «egualitarismo» ostinatamente nega. Non

soltanto essa si vanta, naturalmente a torto, di sopprimere ogni «mistero» con la sua scienza e lasua filosofia esclusivamente «razionali» ed «alla portata di tutti», ma per di più, questo orrore del«mistero» si estende talmente, a tutti i campi, da coinvolgere perfino quella che si è convenutochiamare «vita ordinaria». Eppure, un mondo in cui tutto fosse diventato «pubblico» avrebbe uncarattere veramente mostruoso; diciamo «fosse», perché di fatto, e nonostante tutto, non siamoancora giunti a questo punto e forse non ci si potrà mai arrivare, trattandosi evidentemente di un«limite»; ma è incontestabile che da ogni parte si mira attualmente ad ottenere tale risultato, e, aquesto proposito, si può osservare come numerosi apparenti avversari della «democrazia» non fac-ciano in definitiva che spingerne ancor più lontano le conseguenze, ammesso che sia possibile,perché in fondo sono altrettanto compenetrati dello spirito moderno quanto quegli stessi a cuivogliono opporsi. Per condurre gli uomini a vivere interamente «in pubblico» non ci si accontenta piùdi riunirli in «massa» ad ogni occasione e con qualsiasi pretesto; si vuole anche alloggiarli, non

soltanto in «alveari» come dicevamo in precedenza, ma letteralmente in «alveari di vetro», dispostiper giunta in modo tale che non sarà loro possibile prendere i pasti se non «in comune»; gli uominicapaci di sottomettersi ad un’esistenza del genere sono veramente caduti ad un livello «infra-umano», al livello, se si vuole, di insetti quali le api e le formiche; e del resto ci si sforza, con tutti imezzi, di «addestrarli» a non essere più diversi l’uno dall’altro di quanto non lo siano gli individui dicoteste specie animali, se non forse meno ancora.Poiché non abbiamo nessunissima intenzione di entrare nel dettaglio di certe «anticipazioni», chesarebbero perfino troppo facili e anche troppo rapidamente superate dagli avvenimenti, non cidilungheremo oltre su questo soggetto, sembrandoci sufficiente, in definitiva, di avere sottolineato,con lo stato a cui sono arrivate attualmente le cose, la tendenza che esse non possono fare a menodi continuare a seguire, almeno per un certo tempo ancora. In fondo, l’odio per il segreto non è altroche una delle forme dell’odio per tutto ciò che va al di là del livello «medio» e anche per tutto ciò

che si discosta dall’uniformità che si vuol imporre a tutti. E però, proprio nello stesso mondomoderno, esiste un segreto che è conservato meglio di ogni altro: ci riferiamo alla formidabileimpresa di suggestione che ha prodotto e che intrattiene la mentalità attuale, che l’ha costituita e, sipuò dire, «fabbricata» in modo tale che essa non può far altro che negarne l’esistenza o anche solola possibilità, il che, certamente, è proprio il metodo migliore, un metodo di un’abilità veramente«diabolica», perché questo segreto non possa mai essere scoperto.

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 13. I postulati del razionalismo

Abbiamo detto che è in nome di una scienza e di una filosofia definite «razionali» che i modernipretendono escludere qualsiasi «mistero» dal mondo così come se lo raffigurano, e in effetti si puòconstatare che più angusti sono i limiti di una concezione, più essa è considerata strettamente«razionale»; è notorio d’altronde che, a cominciare dagli «enciclopedisti» del secolo XVIII, i piùaccaniti negatori di ogni realtà sovrasensibile mostrano una tendenza particolare ad invocare la«ragione» ad ogni piè sospinto e a proclamarsi «razionalisti». La differenza fra questo

«razionalismo» volgare e il «razionalismo» prettamente filosofico, qualunque essa sia, è soltanto unadifferenza di gradazione: entrambi corrispondono alle stesse tendenze che sono andateesagerandosi e contemporaneamente «volgarizzandosi» durante tutto il corso dei tempi moderni.Così sovente abbiamo avuto occasione di parlare del «razionalismo» e di definirne i principalicaratteri, che, su questo argomento, potremmo accontentarci di rinviare a qualcuna delle nostreopere precedenti [Cfr. soprattutto R. Guénon, Orient et Occident, Paris, 1924 (trad. it.: Oriente eOccidente, Torino, 1965) e La crise du monde moderne, cit.]; esso è tuttavia talmente legato allaconcezione stessa di una scienza quantitativa, che non possiamo dispensarci dal dirne qui ancoraqualche parola.Ricorderemo quindi che il razionalismo propriamente detto risale a Cartesio, e che di conseguenza sitrova, fin dalla sua origine, direttamente associato all’idea di una fisica «meccanicistica». IlProtestantesimo, introducendo nella religione con il «libero esame» una specie di razionalismo, gliaveva del resto preparato la strada, anche se allora il termine non esisteva ancora essendo statoinventato solo quando la stessa tendenza si affermò esplicitamente nel campo filosofico. Ilrazionalismo in tutte le sue forme si definisce essenzialmente mediante la credenza nella supremaziadella ragione, proclamata come un vero e proprio «dogma», e la conseguente negazione di tutto ciòche appartiene all’ordine sovraindividuale, in particolare quindi l’intuizione intellettuale pura, il cheimplica logicamente l’esclusione di ogni vera conoscenza metafisica. Questa negazione ha anche perconseguenza, in un altro ordine, il rigetto di ogni autorità spirituale, quest’ultima essendonecessariamente di origine «sovraumana»; razionalismo ed individualismo sono dunque cosìstrettamente solidali che, di fatto, soventissimo si confondono, a parte il caso di talune recenti teoriefilosofiche che pur non essendo razionalistiche sono tuttavia non meno esclusivamente indi-vidualistiche. Possiamo segnalare fin d’ora quanto tale razionalismo si accordi con la modernatendenza alla semplificazione: quest’ultima, il cui naturale modo di procedere è sempre quello di ri-durre le cose ai loro elementi inferiori, si afferma infatti innanzi tutto con la soppressione di tutto

l’àmbito sovraindividuale, per poi arrivare più tardi a voler ricondurre la parte restante, cioè tuttoquel che appartiene all’ordine individuale, alla sola modalità sensibile o corporea, la quale verrà indefinitiva limitata ad un semplice aggregato di determinazioni quantitative. Non è difficile vederecome tutte queste cose siano rigorosamente concatenate e costituiscano altrettante tappenecessarie di una stessa «degradazione» delle concezioni che l’uomo ha di se stesso e del mondo.Un altro genere di semplificazione inerente al razionalismo cartesiano è quella che si manifesta, daun lato, col ridurre tutta intera la natura dello spirito al «pensiero», e, dall’altro, quella del corpoall’«estensione»; e abbiamo già visto come in quest’ultima relazione risieda il fondamento stessodella fisica «meccanicistica» e, si può dire, il punto di partenza dell’idea di una scienzacompletamente quantitativa [Da notare anche, quanto al modo di concepire la scienza da parte diCartesio, la sua pretesa che si possa giungere ad avere di tutte le cose delle idee «chiare e distinte»,simili cioè alle idee matematiche, e ad ottenere così una «evidenza» che è ugualmente possibile solo

in matematica]. Ma non è tutto: dal lato del «pensiero» un’altra semplificazione abusiva si instauranel modo stesso di concepire la ragione da parte di Cartesio: egli la chiama anche «buon senso» (ilche, se si pensa all’accezione corrente di questa espressione, evoca una nozione di livellosingolarmente mediocre) e la definisce come «la cosa meglio distribuita a questo mondo», il che,oltre a sottintendere già una specie di idea «ugualitaria», è anche manifestamente falso; si trattaqui, da parte sua, di una pura e semplice confusione tra la ragione «in atto» e la «razionalità», inquanto quest’ultima è proprio una caratteristica specifica dell’essere umano come tale [Se si accettala definizione classica dell’essere umano come un «animale ragionevole», la «razionalità» èrappresentata in esso dalla «differenza specifica» mediante la quale l’uomo si distingue da tutte lealtre specie del genere animale; essa non è del resto applicabile se non all’interno di questo genere,o, in altri termini, non è propriamente se non ciò che gli Scolastici chiamavano una differentiaanimalis; pertanto non si può parlare di «razionalità» per quanto riguarda gli esseri appartenenti ad

altri stati di esistenza, in particolare quelli sovraindividuali come per esempio gli angeli; e ciò ècoerente col fatto che la ragione è una facoltà di ordine esclusivamente individuale che non puòassolutamente oltrepassare i limiti dell’àmbito umano]. Certamente la natura umana risiede tuttaintera in ogni individuo, ma vi si manifesta in maniere molto diverse a seconda delle qualità proprieche rispettivamente appartengono a questi individui, qualità che in loro si uniscono a tale naturaspecifica per costituire l’integralità della loro essenza. Pensare diversamente è come pensare che gli

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individui umani siano tra loro tutti simili e non differiscano se non solo numero. Di qui discendonodirettamente tutte quelle considerazioni sull’«unità dello spirito umano» che i moderni invocanosenza posa a spiegazione di ogni genere di cose, alcune delle quali poi non sono per niente d’ordine«psicologico», come ad esempio il ritrovare i medesimi simboli tradizionali in tutti i tempi ed in tutti iluoghi. A parte la considerazione che non è affatto lo «spirito» che essi hanno in vista, masemplicemente il «mentale», non può trattarsi nella fattispecie che di una falsa unità, perché l’unitàvera non può appartenere all’àmbito individuale; questo àmbito è del resto il solo a poter esserpreso in considerazione da coloro che parlano così, o anche, più in generale, da tutti coloro checredono di poter parlare di «spirito umano» come se allo spirito si potesse attribuire un carattere

specifico. In ogni caso, la comunità di natura degli individui nella specie può dare esclusivamentemanifestazioni di ordine molto generale, né può assolutamente render conto di similitudini le quali,al contrario, vertono su particolari molto precisi. Ma come far capire a questi moderni che l’unitàfondamentale di tutte le tradizioni non si spiega veramente se non in virtù di quel che v’è in esse di«sopraumano»? D’altra parte, e per ritornare a cose esclusivamente umane, è evidentementeispirandosi alla concezione cartesiana che Locke, il fondatore della psicologia moderna, ha creduto dipoter affermare che, per sapere cosa pensavano ai loro tempi i Greci ed i Romani (il suo orizzonteintellettuale non andava oltre l’antichità «classica» occidentale), non c’è che da ricercare che cosapensano gli Inglesi ed i Francesi dei giorni nostri, poiché l’«uomo è dappertutto e sempre ilmedesimo». Niente di più falso naturalmente, e tuttavia gli psicologi sono rimasti fermi a tale con-cezione, perché, mentre credono di parlare dell’uomo in generale, la maggior parte delle loroaffermazioni è applicabile in realtà soltanto all’europeo moderno. Non è forse questo un credere giàrealizzata quell’uniformità che in effetti si tende attualmente ad imporre a tutti gli individui umani? Èvero che proprio in ragione degli sforzi effettuati in questo senso le differenze vanno attenuandosi, eche così l’ipotesi degli psicologi è oggi meno completamente falsa di quel che non fosse ai tempi diLocke (a condizione beninteso di guardarsi dal volerne estendere come lui l’applicazione al passato);però, come abbiamo detto in precedenza, nonostante tutto, il limite non potrà mai essere raggiunto,e, fintanto che durerà questo mondo, ci saranno sempre delle differenze irriducibili. E infine, per dipiù, ha senso prendere per prototipo, come mezzo per conoscere veramente la natura umana, un«ideale» che a rigore non può essere qualificato se non come «infraumano»?Ciò detto, resta da spiegare perché il razionalismo è legato all’idea di una scienza esclusivamentequantitativa, o, per meglio dire, perché questa deriva da quello; e, a questo proposito, bisognariconoscere che vi è una notevole parte di verità nelle critiche indirizzate da Bergson a quella cheegli chiama a torto l’«intelligenza», e che in realtà è soltanto la ragione, o meglio un particolare usodella ragione basato sulla concezione cartesiana, in quanto in definitiva è da questa concezione che

sono derivate tutte le forme del razionalismo moderno. Da notare, del resto, che spesso i filosofidicono delle cose molto più giuste quando argomentano contro altri filosofi, che non quandovengono ad esporre i propri punti di vista; per cui, siccome ciascuno vede molto bene i difetti deglialtri, si distruggono in certo qual modo a vicenda. È per questo che Bergson, se ci si dà la pena direttificare i suoi errori di terminologia, mette bene in mostra i difetti del razionalismo (il quale, benlungi dal confondersi con il vero «intellettualismo», ne è al contrario la negazione) e le insufficienzedella ragione, e tuttavia non è meno colpevole a sua volta quando, per supplire a queste ultime, sicala nell’«infrarazionale» invece di elevarsi al «sovrarazionale» (ed è per questa ragione che la suafilosofia è altrettanto individualistica ed altrettanto ignara dell’ordine sovraindividuale quanto quelledei suoi avversari). Quando dunque egli rimprovera alla ragione, a cui noi qui non abbiamo che darestituire il suo vero nome, di «scindere artificialmente il reale», non abbiamo affatto bisogno diadottare la sua idea del «reale», fosse pure a titolo ipotetico e provvisorio, per comprendere ciò che

in fondo egli vuol dire: si tratta manifestamente della riduzione di tutte le cose ad elementi suppostiomogenei o identici tra loro, ossia nient’altro che la loro, riduzione al quantitativo, poiché è solo daquesto punto di vista che si possono concepire elementi del genere. E questa «scissione» evoca puremolto chiaramente gli sforzi fatti per introdurre una discontinuità che è caratteristica esclusiva dellaquantità pura o numerica, cioè in definitiva la tendenza, da noi già segnalata più indietro, a nonvoler ammettere come «scientifico» se non ciò che è suscettibile di essere «numerato» [Sottoquesto rapporto si può dire che, di tutti i significati inclusi nel termine latino ratio, nell’uso«scientifico» che viene fatto attualmente della ragione, se ne è conservato uno solo, quello di«calcolo»]. Del pari, quando egli dice che la ragione è a suo agio soltanto quando viene applicata al«solido», che in qualche modo è il suo campo proprio, sembra rendersi conto della tendenza cheessa presenta inevitabilmente, se lasciata a se stessa, a «materializzare» tutto, nel significatocomune del termine, cioè a considerare di tutte le cose esclusivamente le modalità più grossolane,

perché sono quelle in cui la qualità è più diminuita a vantaggio della quantità; solamente che eglisembra considerare piuttosto il punto di arrivo di questa tendenza che non quello di partenza, e ciòpotrebbe farlo accusare di una certa esagerazione, poiché esistono evidentemente dei gradi inquesta «materializzazione». Ma se si fa riferimento allo stato attuale delle concezioni scientifiche (opiuttosto, come vedremo in seguito, ad uno stato ora già un po’ sorpassato), è certo che esse sonoanche le più vicine a rappresentarne l’ultimo o il più basso livello, quello in cui la «solidità» intesa a

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questo modo ha raggiunto il suo massimo; ed anche ciò è un segno particolarmente caratteristicodel periodo a cui siamo arrivati. Beninteso, non pretendiamo che lo stesso Bergson abbia compresoqueste cose così nettamente come risulta dalla suddetta «traduzione» del suo linguaggio, anzi lacosa sembra assai poco probabile date le molteplici confusioni da lui costantemente commesse, manon è men vero che, di fatto, questi modi di vedere gli sono stati suggeriti dalla constatazione dellostato attuale della scienza, e che, a questo titolo, la testimonianza di un incontestabilerappresentante dello spirito moderno non si può giudicare trascurabile. Quanto alle sue teorie, a ciòche esse rappresentano esattamente, ne troveremo il significato in un’altra parte del presentestudio: per ora, possiamo dire soltanto che esse corrispondono ad un aspetto diverso, ed in certo

qual modo ad un’altra tappa, di quella deviazione il cui insieme costituisce propriamente il mondomoderno.Per riassumere quanto precede possiamo ancora dire questo: il razionalismo, che è la negazione diqualsiasi principio superiore alla ragione, ha per conseguenza «pratica» l’impiego esclusivo di taleragione accecata, se così si può dire, per il fatto stesso di essere isolata dall’intelletto puro etrascendente di cui, normalmente e legittimamente, essa non può che riflettere la luce nell’àmbitoindividuale. Una volta persa ogni comunicazione effettiva con questo intelletto sovraindividuale, laragione non ha altra possibilità che quella di tendere verso il basso, cioè verso il polo inferioredell’esistenza, ed immergersi sempre più nella «materialità»; di pari passo, essa perde a poco apoco l’idea stessa della verità, ed arriva a ricercare esclusivamente la maggior comodità per la suacomprensione limitata, trovando del resto in ciò una soddisfazione immediata dal fatto stesso chetale tendenza verso il basso la conduce nel senso della semplificazione e dell’uniformizzazione diogni cosa; essa obbedisce quindi tanto più facilmente e più in fretta a questa tendenza, quanto piùgli effetti di essa sono conformi ai suoi desideri, e questa discesa sempre più rapida devenecessariamente sfociare, alla fine, in quello che abbiamo chiamato il «regno della quantità».

14. Meccanicismo e materialismo

Il primo prodotto del razionalismo, nel campo cosiddetto «scientifico», fu il meccanicismocartesiano; il materialismo doveva venire solo più tardi, poiché, come abbiamo spiegato altrove, iltermine, e ciò che esso rappresenta datano propriamente dal secolo XVIII; del resto, quali chefossero le intenzioni dello stesso Cartesio (ed infatti dalle sue idee spinte fino alle estreme conse-guenze logiche si sono potute trarre teorie assai contrastanti fra loro), c’è pur sempre dall’unoall’altro una filiazione diretta. A questo proposito, non è inutile ricordare che se si può attribuire ladenominazione di meccanicismo alle antiche concezioni atomistiche quali quelle di Democrito e

soprattutto di Epicuro (i quali sono senza dubbio, nell’antichità, i soli «precursori» a cui i modernipossano riallacciarsi con qualche ragione) è a torto che spesso le si vuol considerare come una primaforma del materialismo, perché quest’ultimo implica anzitutto la nozione di «materia» dei fisicimoderni, nozione che, a quell’epoca, era ancora ben lontana dall’esser nata. La verità è che ilmaterialismo rappresenta soltanto una delle due componenti del dualismo cartesiano, quellaappunto a cui il suo autore aveva applicato la concezione meccanicistica; bastava quindi trascurare onegare l’altra componente, oppure, che è poi lo stesso, pretendere di ridurre a quella l’intera realtàper arrivare in modo del tutto naturale al materialismo.Contro Cartesio ed i suoi discepoli, Leibniz ha messo assai bene in evidenza l’insufficienza di unafisica meccanicistica, perché questa, per la sua stessa natura, non può che render contodell’apparenza esteriore delle cose, ed è incapace di spiegare alcunché della loro essenza vera; sipuò cioè affermare che il meccanicismo ha un valore unicamente «rappresentativo» e in nessun

modo esplicativo: e non è esattamente questo il caso di tutta la scienza moderna? Non accadediversamente anche in un esempio molto semplice come quello del movimento, nonostante che essosia quello che di solito viene considerato come suscettibile per eccellenza d’essere spiegatomeccanicamente; una spiegazione del genere - dice Leibniz - non vale se non in quanto si consideriil movimento solo come un mutamento di situazione, per il quale, quando cambia la rispettivasituazione di due corpi, è indifferente dire che il primo si muove in rapporto al secondo, oppure ilsecondo in rapporto al primo, dato che vi è una reciprocità perfetta. Ma le cose cambiano quando siprende in considerazione la ragione del movimento, poiché, trovandosi questa ragione in uno deidue corpi, è quello soltanto che sarà detto muoversi, mentre l’altro svolge nel cambiamentointervenuto una funzione puramente passiva; ma ciò sfugge totalmente alle considerazioni d’ordinemeccanico e quantitativo. Il meccanicismo si limita quindi in definitiva a dare una semplicedescrizione del movimento, qual è nelle sue apparenze esteriori, mentre è impotente a coglierne la

ragione, cioè ad esprimere quell’aspetto essenziale o qualitativo del movimento che è l’unico apoterne dare la spiegazione reale: e lo stesso avverrà, a maggior ragione, per tutte le altre cose acarattere più complesso e in cui la qualità predominerà ancor di più sulla quantità. Una scienzasiffatta non potrà dunque avere alcun valore di conoscenza effettiva, nemmeno per quanto riguardail campo relativo e limitato nel quale è racchiusa.

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Tale concezione in cui tutta quanta la natura dei corpi è ridotta all’estensione, e questa consideratasolo dal lato quantitativo, è proprio quella che, pur nella sua manifesta insufficienza Cartesio havoluto applicare a tutti i fenomeni del mondo corporeo; e già allora, proprio come i meccanicisti piùrecenti ed i materialisti, egli non faceva a questo riguardo alcuna distinzione fra i corpi detti«inorganici» e gli esseri viventi. Diciamo gli esseri viventi, e non soltanto i corpi organizzati, perchélo stesso essere, in omaggio alla troppo famosa teoria cartesiana degli «animali-macchine» (unadelle più sorprendenti assurdità che lo spirito sistematico abbia mai generato), si trova qui effettiva-mente ridotto al corpo; è soltanto quando passa a considerare l’essere umano che Cartesio, nellasua fisica, si crede obbligato a specificare che ciò di cui intende parlare è solo il «corpo dell’uomo».

Ma, a che vale questa restrizione dal momento che, per ipotesi, tutto quanto avviene in questocorpo sarebbe esattamente lo stesso se lo «spirito» non ci fosse? L’essere umano in effetti, proprio acausa del dualismo, si trova come diviso in due parti che non riescono più a ricongiungersi e che nonpossono formare un composto reale; infatti, essendo tali parti supposte assolutamente eterogenee,nessun mezzo può farle entrare in comunicazione, per cui ogni azione effettiva dell’una sull’altra èresa impossibile. Per di più, si è avuta la pretesa di spiegare meccanicamente tutti i fenomeni che siproducono negli animali, ivi comprese le manifestazioni di carattere più evidentemente psichico. Ci sipuò allora chiedere perché non si faccia lo stesso con l’uomo, e se non sia permesso trascurarel’altro termine del dualismo come non necessario alla spiegazione delle cose; di qui a considerarlocome un’inutile complicazione e a trattarlo come inesistente di fatto, poi a negarlo puramente esemplicemente, il passo è breve, specie per gente la cui attenzione è costantemente tutta rivoltaverso l’àmbito sensibile, come è il caso degli Occidentali moderni: è in questo modo che la fisicameccanicistica di Cartesio doveva inevitabilmente preparare la via al materialismo.La riduzione al quantitativo era già teoricamente operata per tutto quanto appartiene propriamenteall’ordine corporeo, nel senso che la possibilità di questa riduzione era già implicita nella costituzionestessa della fisica cartesiana; non restava quindi che estendere tale concezione all’insieme dellarealtà quale la si comprendeva, realtà che del resto, in virtù dei postulati del razionalismo, si trovavaristretta al solo àmbito dell’esistenza individuale. Partendo dal dualismo, questa riduzione dovevanecessariamente presentarsi come una riduzione dello «spirito» alla «materia», consistentenell’includere in quest’ultima esclusivamente tutto ciò che Cartesio aveva messo nell’uno e nell’altrodei due termini, al fine di poter ricondurre tutto ugualmente alla quantità. L’aver in qualche modorelegato «al di là delle nuvole» l’aspetto essenziale delle cose equivaleva a sopprimerlocompletamente per non più voler considerare ed ammettere se non il loro aspetto sostanziale,poiché è a questi due aspetti che corrispondono rispettivamente lo «spirito» e la «materia», anchese ne offrono in verità un’immagine molto sminuita e deformata. Cartesio aveva fatto entrare

nell’àmbito quantitativo la metà del mondo com’egli lo concepiva, e senza dubbio la metà ai suoiocchi più importante, perché, al fondo del suo pensiero, e quali che fossero le apparenze, egli volevaessere anzitutto un fisico. Il materialismo, a sua volta, ha preteso di farci entrare il mondo intero; sitrattava solo di sforzarsi di elaborare effettivamente questa riduzione mediante teorie sempre piùappropriate a questo fine, ed è a tale bisogna che doveva dedicarsi tutta la scienza moderna, anchequando non si dichiarava apertamente materialista.Oltre al materialismo esplicito e formale esiste infatti anche ciò che si può chiamare un materialismodi fatto, la cui influenza si estende molto più lontano, se molte persone, che pur non si ritengonoaffatto materialiste, si comportano tuttavia come tali in ogni circostanza; tra questi due materialismic’è in definitiva una relazione molto simile a quella precedentemente citata tra razionalismo filosoficoe razionalismo volgare, salvo che il semplice materialista di fatto generalmente non rivendica talequalità, anzi sovente protesterebbe se gliela si attribuisse, mentre il razionalista volgare, fosse pure

l’uomo più ignorante in materia di filosofia, è al contrario il più pronto a proclamarsi tale, fiero deltitolo piuttosto ironico di «libero pensatore», mentre in realtà non è che lo schiavo di tutti ipregiudizi della sua epoca. Comunque sia, come il razionalismo volgare è il prodotto della diffusionedel razionalismo filosofico presso il «grosso pubblico», con tutto ciò che la sua «messa alla portata ditutti» comporta, così il materialismo propriamente detto sta al punto di partenza del materialismo difatto, nel senso che ha reso possibile quella generale condizione di spirito e ha effettivamentecontribuito alla sua formazione; ma è fuori questione che, in definitiva, tutto si spiega sempre con losviluppo delle medesime tendenze costituenti il fondamento stesso dello spirito moderno. Va da séche uno scienziato nel senso attuale del termine, anche se non fa professione di materialismo, nesarà tanto più fortemente influenzato quanto più la sua educazione specialistica è diretta in quelsenso; ed anche quando, come talora accade, lo scienziato creda di non mancare di «spiritoreligioso», troverà il modo di separare così completamente la sua religione dalla sua attività scien-

tifica che la sua opera non potrà minimamente distinguersi da quella del più riconosciutomaterialista; per cui, alla pari di quest’ultimo, egli svolgerà la sua funzione nella costruzione«progressiva» della scienza più esclusivamente quantitativa e più grossolanamente materiale che siadato concepire; ed è in questo modo che l’azione antitradizionale riesce ad utilizzare a proprio van-taggio perfino quelli che, al contrario, dovrebbero essere i suoi logici avversari, se la deviazione dellamentalità moderna non avesse formato degli esseri pieni di contraddizioni e, inoltre, incapaci di

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accorgersene. Anche qui la tendenza alla uniformità trova modo di realizzarsi, perché tutti gli uominiarrivano praticamente a pensare e ad agire nello stesso modo, ed anche ciò in cui, nonostante tutto,essi ancora differiscono, non ha più che un minimo di influenza effettiva, e non si traduceesteriormente in niente di reale; è per questo che, in un mondo siffatto e salvo ben rare eccezioni,un uomo che si dichiari cristiano non manca di comportarsi di fatto come se non ci fosse nessunarealtà al di fuori della sola esistenza corporea, ed un prete che fa «della scienza» non si diversificasensibilmente da un universitario materialista. Quando si arriva ad una tale situazione, possono lecose andare ancora molto avanti prima che il punto più basso della «discesa» sia finalmenteraggiunto?

15. L’illusione della «vita ordinaria»

L’atteggiamento materialistico, si tratti di materialismo esplicito e formale o di semplice materialismo«pratico», apporta necessariamente, in tutta la costituzione «psicofisiologica» dell’essere umano,una modificazione reale e molto importante; ciò è facilmente comprensibile, e, in effetti, non c’è cheda guardarsi attorno per constatare come l’uomo moderno sia divenuto veramente impermeabile aqualsiasi influenza diversa da quella che cade sotto i suoi sensi; non solo le sue facoltà dicomprensione sono divenute sempre più limitate, ma ugualmente si è ristretto il campo stesso dellasua percezione. Ne risulta una specie di rafforzamento del punto di vista profano, perché, se questopunto di vista è nato all’inizio da un difetto di comprensione, quindi da una limitazione delle facoltàumane, questa stessa limitazione, con l’accentuarsi e l’estendersi a tutti i campi, sembra a posteriorigiustificarlo, almeno agli occhi di coloro che ne siano afflitti; per quale ragione essi dovrebbero maiammettere l’esistenza di cose che non possono più realmente né concepire né percepire, cioè ditutto ciò che potrebbe mostrare loro l’insufficienza e la falsità dello stesso punto di vista profano?Di qui proviene l’idea di ciò che comunemente si designa «vita ordinaria» o «vita corrente»; questitermini, in effetti, indicano anzitutto qualcosa in cui, per l’esclusione di qualsiasi carattere sacro,rituale, o simbolico (poco importa qui se visto in senso più specificamente religioso o secondo altremodalità tradizionali, dato che in tutti i casi si tratta egualmente dell’azione effettiva delle «influenzespirituali»), niente che non sia puramente umano ha la possibilità di intervenire; e queste stessedesignazioni implicano inoltre che tutto quanto supera una concezione del genere, ancorché non siaespressamente negato, è perlomeno relegato in un àmbito «straordinario», considerato comeeccezionale, strano, e fuori del comune; si tratta dunque, per esser precisi, di un rovesciamentodell’ordine normale, quale è rappresentato dalle civiltà integralmente tradizionali in cui il punto divista profano non esiste in alcun modo, e questo rovesciamento non può condurre, logicamente, se

non all’ignoranza o alla negazione completa del «sopraumano». Taluni poi arrivano perfino adadoperare nello stesso senso l’espressione «vita reale», cosa questa singolarmente ironica, perché,in verità, quella che essi chiamano così è al contrario la peggiore delle illusioni; con ciò non vogliamoaffermare che le cose in questione siano, in se stesse, sprovviste di qualsiasi realtà, benché questarealtà, che è poi quella dell’ordine sensibile, sia al livello più basso e al di sotto di essa si trovisoltanto ciò che è propriamente al di sotto di ogni esistenza manifestata; ma è il modo diconsiderarle che è interamente falso, perché, separandole da ogni principio superiore, nega loroproprio ciò che ne costituisce tutta la realtà: è per questo che, a rigore, non esiste un àmbitorealmente profano, ma soltanto un punto di vista profano, il quale diventa di giorno in giornosempre più invadente, fino ad inglobare, in definitiva, tutta quanta l’esistenza umana.Quanto sopra permette di vedere come, in questa concezione della «vita ordinaria», si passi quasiinsensibilmente da uno stadio all’altro di quel processo di degenerazione che va progressivamente

accentuandosi: si comincia con l’ammettere che certe cose si sottraggono ad ogni influenzatradizionale, poi queste stesse cose vengono considerate come normali, ed infine si arriva anchetroppo facilmente a ritenerle le sole «reali»; ciò porta ad escludere come «irreale» tutto il«sopraumano», e inoltre, essendo l’àmbito dell’umano concepito in un modo sempre più stretta-mente limitato, fino a ridurlo alla sola modalità corporea, tutte le cose che sono semplicemented’ordine sovrasensibile; non c’è che da osservare come i nostri contemporanei adoperino costante-mente e senza neanche pensarci il termine «reale» come sinonimo di «sensibile», per rendersi contoche è proprio a quest’ultimo stadio che essi si trovano effettivamente, e che tale maniera di vederesi è talmente incorporata nella loro stessa natura, se così si può dire, da diventare per loro quasiistintiva. La filosofia moderna, che in definitiva è anzitutto un’espressione «sistematizzata» dellamentalità generale, prima di reagire a sua volta su questa in una certa misura, ha seguìto unamarcia parallela a quella descritta: in primo luogo con l’elogio cartesiano del «buon senso» di cui

parlavamo prima, e che è ben caratteristico a questo proposito, perché la «vita ordinaria» ècertamente, per eccellenza, il campo di quel sedicente «buon senso» detto anche «senso comune»,altrettanto e nello stesso modo limitato; poi dal razionalismo, il quale in fondo non è che un aspettopiù specialmente filosofico dell’«umanesimo», cioè della riduzione di tutte le cose ad un punto divista esclusivamente umano, si arriva a poco a poco al materialismo o al positivismo: che si neghiespressamente, come nel primo, tutto ciò che è al di là del mondo sensibile, o che ci si accontenti,

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come nel secondo (il quale per questa ragione ama chiamarsi anche «agnosticismo» facendosi cosìun titolo di gloria di ciò che in realtà è solo la confessione di un’incurabile ignoranza), di rifiutare dioccuparsene dichiarandolo «inaccessibile» od «inconoscibile», il risultato è, di fatto, esattamenteuguale in entrambi i casi, ed è appunto quello stesso che abbiamo descritto.Teniamo ancora a ripetere che, per i più, non si tratta naturalmente se non di quel che si puòchiamare materialismo o positivismo «pratico», indipendente da ogni teoria filosofica, la quale ineffetti è e sarà sempre del tutto estranea alla maggioranza; ma ciò è più grave ancora, non soltantoperché in questo modo una simile condizione di spirito acquista una diffusione incomparabilmentepiù grande, ma anche perché, e ciò dimostra come veramente essa abbia penetrato e quasi

impregnato tutta la natura dell’individuo, questa condizione di spirito è tanto più irrimediabilequant’è meno riflessa e meno chiaramente cosciente. Le cose già dette a proposito del materialismodi fatto e del modo di adeguarvisi di certa gente che pure si ritiene «religiosa» lo mostrano moltobene; e attraverso questo esempio si vede anche come in fondo la filosofia propriamente detta nonabbia tutta quell’importanza che certuni vorrebbero attribuirle, o per lo meno ne abbia solo inquanto la si consideri «rappresentativa» di una certa mentalità e non perché agisca effettivamentesu di essa; una concezione filosofica qualsiasi, del resto, potrebbe avere il minimo successo se noncorrispondesse a qualcuna delle tendenze predominanti all’epoca in cui viene formulata? Con ciò nonvogliamo dire che i filosofi, così come tanti altri, non svolgano la loro funzione nella deviazionemoderna, il che sarebbe certamente esagerato, ma solo che tale funzione è, di fatto, più ristretta diquel che a prima vista si sarebbe tentati di supporre, e assai diversa da quel che esteriormente puòapparire; d’altronde, come orientamento di carattere generale, quel che più appare è sempre,secondo le leggi stesse che reggono la manifestazione, una conseguenza piuttosto che una causa,un punto di arrivo piuttosto che un punto di partenza [Se si preferisce si potrebbe anche dire che sitratta di un «frutto» piuttosto che di un «seme»; il fatto poi che il frutto stesso contenga dei nuovisemi, indica che la conseguenza può, a sua volta, svolgere una funzione causale ad un altro livello,conformemente al carattere ciclico della manifestazione; ma anche in questo caso essa deve passaredall’«apparente al «nascosto»], e, in ogni caso, non è mai in tale sede che bisogna ricercare quelche agisce in maniera veramente efficace in un ordine più profondo, si tratti di un’azione che si eser-citi in senso normale e legittimo, oppure del contrario, come nel caso di cui ci stiamo occupando.Il meccanicismo ed il materialismo stessi hanno potuto assumere un’influenza di carattere generalesoltanto quando sono passati dal campo filosofico a quello scientifico; ciò che si riferisce a que-st’ultimo, o quel che si presenta a torto o a ragione rivestito di tale carattere «scientifico», ha ineffetti, per ragioni diverse, un’efficacia sulla mentalità comune certamente ben maggiore delle teoriefilosofiche, e tale mentalità ha una credenza almeno implicita nella verità di una «scienza» di cui

inevitabilmente le sfugge il carattere ipotetico, mentre tutto ciò che si qualifica come «filosofia» lalascia più o meno indifferente; l’esistenza di applicazioni pratiche ed utilitaristiche in un caso, e laloro assenza nell’altro, non vi è certo del tutto estranea. Ciò ci riporta nuovamente proprio all’ideadella «vita ordinaria», in cui entra effettivamente una forte dose di «pragmatismo»; quanto stiamodicendo è ancora, beninteso, del tutto indipendente dal fatto che certi nostri contemporanei abbianovoluto eleggere il «pragmatismo» a sistema filosofico, cosa che si è resa possibile proprio in ragionedella tendenza utilitaristica inerente alla mentalità moderna e profana in generale, ed anche perché,nell’attuale stato di decadenza intellettuale, si è arrivati a perdere completamente di vista la nozionestessa di verità, cosicché quella di utilità, o di comodità, ha finito per sostituirvisi interamente.Comunque sia, da quando si è convenuto che la «realtà» consiste esclusivamente in ciò che cadesotto i sensi, è del tutto naturale che il valore attribuito ad una cosa qualsiasi abbia in certo qualmodo per misura la sua capacità di produrre effetti d’ordine sensibile; ora, è evidente che la

«scienza», considerata al modo moderno come essenzialmente solidale con l’industria se nonaddirittura più o meno completamente confusa con essa, debba a questo riguardo occupare il primoposto, e che in tal modo essa si trovi strettamente frammischiata a quella «vita ordinaria» di cui anzidiviene uno dei principali fattori; per contraccolpo, le ipotesi sulle quali essa pretende basarsi, pergratuite ed ingiustificate che possano essere, beneficieranno anch’esse di questa situazioneprivilegiata agli occhi del volgo. In realtà, va da sé che le applicazioni pratiche non dipendonominimamente dalla verità di quelle ipotesi, per cui ci si potrebbe chiedere che cosa diventerebbe unascienza del genere, così nulla quanto a conoscenza propriamente detta, se la si separasse dalleapplicazioni a cui dà luogo; e però, così com’è, è un fatto che questa scienza «riesce», e, per lospirito istintivamente utilitaristico del «pubblico» moderno, la «riuscita» o il «successo» diventanouna specie di «criterio della verità», per quanto si possa ancora parlare, nella fattispecie, di verità inun significato qualsiasi.

Quali che siano comunque i punti di vista in causa, filosofico, scientifico, o semplicemente «pratico»,è evidente che, in fondo, tutti quanti non rappresentano altro che aspetti diversi di un’unica e stessatendenza, e anche che questa tendenza, come tutte quelle che allo stesso titolo contribuiscono acostituire lo spirito moderno, non ha certo potuto svilupparsi spontaneamente; a questo riguardoabbiamo avuto spesso l’occasione di dare dei chiarimenti, però, trattandosi di cose sulle quali non siinsiste mai abbastanza, avremo ancora occasione di ritornare, in seguito, sulla posizione precisa che

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il materialismo occupa nell’insieme del «piano» secondo cui si effettua la deviazione del mondomoderno. È fuor di dubbio che i materialisti sono essi stessi, più di chiunque, perfettamente incapacidi rendersi conto di queste cose e anche di concepirne la possibilità, accecati come sono da quelleidee preconcette che chiudono loro ogni uscita da quel campo ristretto dove sono abituati amuoversi; cose di questo genere li stupirebbero almeno tanto quanto il sapere che sono esistiti, anziche esistono ancora, uomini per cui quella che essi chiamano «vita ordinaria» sarebbe una cosaassolutamente straordinaria, perché non corrisponde a niente di quello che realmente avviene nellaloro esistenza. Eppure è così, e quel che più conta è che sono proprio quegli uomini a dover essereconsiderati veramente «normali», mentre i materialisti, con tutto il loro tanto vantato «buon senso»

e tutto quel «progresso» di cui si considerano orgogliosamente i prodotti più perfetti ed irappresentanti più «avanzati», sono in fondo soltanto degli esseri in cui certe facoltà si sonoatrofizzate al punto di essere completamente abolite. Del resto è proprio soltanto a questacondizione che il mondo sensibile può loro apparire come un «sistema chiuso» all’interno del quale sisentono perfettamente sicuri; ci resta da analizzare come questa illusione possa, in un certo sensoed in una certa misura, esser «realizzata» proprio in funzione del materialismo; ma vedremo anchein seguito come, ciò nonostante, essa non rappresenti se non una condizione di equilibrio emi-nentemente instabile, e come, al punto in cui sono le cose attualmente, quella sicurezza della «vitaordinaria», su cui si è trovata a riposare sin qui tutta l’organizzazione del mondo moderno, corra ilgrave rischio di esser turbata da «interferenze» inattese.

16. La degenerazione della moneta

Giunti a questo punto della nostra esposizione, non sarà forse inutile fare una digressione, almeno inapparenza, per dare, sia pure molto sommariamente, alcune indicazioni su una questione che puòsembrare soltanto un riferimento ad un fatto molto particolare, ma che costituisce invece unesempio lampante dei risultati della concezione della «vita ordinaria», ed in pari tempo unaeccellente «illustrazione» del modo in cui quest’ultima è legata al punto di vista esclusivamentequantitativo, e che, soprattutto attraverso quest’ultimo aspetto, si ricollega in realtà direttamente alnostro argomento: si tratta della questione della moneta. Certamente, se ci si attiene soltanto alsemplice punto di vista «economico» com’è inteso oggi, sembra proprio che la moneta sia qualcosache appartiene interamente al «regno della quantità»; è del resto a questo titolo che essa svolge,nella società moderna, la funzione preponderante che tutti ben conoscono e sulla quale sarebbeevidentemente superfluo insistere. In verità, però, il suddetto punto di vista «economico» e l’an-nessa concezione esclusivamente quantitativa della moneta non sono se non il prodotto di una

degenerazione, in definitiva abbastanza recente; inoltre la moneta ha avuto alla sua origine e haconservato a lungo un carattere completamente diverso ed un valore prettamente qualitativo, perstupefacente che ciò possa sembrare ai nostri contemporanei.Una osservazione facile da fare, per poco che si abbiano «occhi per vedere», è che le moneteantiche sono letteralmente coperte di simboli tradizionali, sovente scelti fra quelli che presentano unsignificato più particolarmente profondo. Così si è osservato espressamente che presso i Celti isimboli raffigurati sulle monete trovano spiegazione solo se li si rapporta a conoscenze dottrinalicaratteristiche dei Druidi, il che implica quindi un intervento diretto di questi ultimi in tale campo; edè fuori questione che ciò che è vero per i Celti sotto questo profilo lo è ugualmente per gli altri popolidell’antichità, naturalmente tenendo conto delle modalità proprie alle loro rispettive organizzazionitradizionali. Questo si accorda in modo perfetto con l’inesistenza del punto di vista profano nelleciviltà strettamente tradizionali: la moneta, là dove esisteva, non poteva di per sé essere la cosa

profana che più tardi è divenuta; e se lo fosse stata, come si potrebbe spiegare l’intervento diun’autorità spirituale che evidentemente non vi avrebbe avuto niente a che vedere, e allo stessomodo: come si potrebbe capire che diverse tradizioni considerino la moneta un oggetto veramentecolmo di una «influenza spirituale», la cui azione poteva effettivamente esercitarsi in virtù deisimboli che ne costituivano il normale «supporto»? Aggiungiamo che, in tempi abbastanza recenti,un ultimo vestigio di questa nozione si poteva ancora trovare in alcuni motti di carattere religiosoche certamente non avevano più un valore propriamente simbolico, ma che tuttavia erano come unricordo dell’idea tradizionale ormai più o meno incompresa; dopo esser stati relegati, in certi paesi,intorno all’«orlo» delle monete, anche questi motti hanno finito con lo sparire completamente, ed ineffetti essi non avevano alcuna ragion d’essere, dato che la moneta rappresentava ormai soltanto unsegno di ordine unicamente «materiale» e quantitativo.Il controllo dell’autorità spirituale sulla moneta, in qualsiasi modo si sia esercitato, non è del resto un

fatto esclusivamente limitato all’antichità, e difatti, senza uscire dai confini del mondo occidentale,molti indizi mostrano che esso deve essersi perpetuato fin verso la fine del Medio Evo, cioè finchétale mondo ha posseduto una civiltà tradizionale. In effetti non ci si potrebbe spiegare diversamenteil fatto che taluni sovrani, a quell’epoca, siano stati accusati di avere «alterato le monete»; se i lorocontemporanei gliene fecero colpa, bisogna concluderne che essi non avevano la libera disponibilitàdel titolo della moneta, e che, cambiandolo di propria iniziativa, essi andarono al di là dei diritti

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riconosciuti al potere temporale [Si veda R. Guénon, Autorité spirituelle et pouvoir temporel, Paris,1929, p. 111 (trad. it.: Autorità spirituale e potere temporale, Milano, 1972, p. 141), dove abbiamofatto riferimento particolare al caso di Filippo il Bello, e dove abbiamo avanzato l’ipotesi di unrapporto assai stretto tra la distruzione dell’Ordine del Tempio e l’alterazione delle monete, cosa chenon è difficile da capire se si ammettesse, almeno come molto verosimile, l’idea che l’Ordine delTempio avesse allora, insieme ad altre funzioni, quella di esercitare il controllo spirituale su taledominio; non ci dilungheremo oltre, ma ricorderemo che è precisamente a quel momento cheriteniamo di poter far risalire gli inizi della deviazione moderna propriamente detta]. In qualsiasialtro caso, un’accusa del genere sarebbe stata evidentemente priva di senso; a quel tempo, del

resto, il titolo della moneta non avrebbe avuto che un’importanza del tutto convenzionale, e, indefinitiva, poco sarebbe importato che essa fosse costituita da un metallo qualsiasi oppure dasemplice carta come in gran parte lo è oggi, in quanto ciò non avrebbe impedito di continuare afarne esattamente lo stesso uso «materiale». Nella fattispecie doveva quindi esserci qualcosa ditutt’altro ordine, e noi possiamo dire di un ordine superiore, perché è solo in questo modo chequell’alterazione poteva assumere un carattere di gravità così eccezionale da arrivare perfino acompromettere la stabilità stessa della potenza reale; agendo in tal modo, infatti, quest’ultimausurpava le prerogative dell’autorità spirituale, la quale, in definitiva, è l’unica fonte autentica diogni legittimità. Ed è così che fatti del genere, che praticamente gli storici profani non sembranoaffatto comprendere, concorrono anch’essi ad indicare molto nettamente come la questione dellamoneta, sia nel Medio Evo sia nell’antichità, presentasse aspetti completamente ignorati daimoderni.È dunque accaduto, nel caso della moneta, quanto generalmente accade per tutte le cose che, aquesto o ad altro titolo, svolgono una funzione nell’esistenza umana: sono state cioè spogliate apoco a poco di ogni caratteristica «sacra» o tradizionale, per cui quella stessa esistenza, nel suoinsieme, è diventata del tutto profana e si è infine ridotta alla bassa mediocrità della «vita ordinaria»quale è visibile al giorno d’oggi. L’esempio della moneta mostra parimenti come questa«profanizzazione», se è lecito adoperare un simile neologismo, si operi principalmente mediante lariduzione delle cose al loro solo aspetto quantitativo; si è finito, in effetti, col non riuscire neppurepiù a concepire che la moneta sia qualcosa di diverso dalla rappresentazione di una pura e semplicequantità; ma se questo caso è in proposito particolarmente preciso perché in certo qual modo spintoalle estreme conseguenze, è però ben lungi dall’essere il solo in cui una riduzione del genere appaiaaver contribuito a racchiudere l’esistenza nell’orizzonte ristretto del punto di vista profano. Quantoabbiamo detto del carattere eminentemente quantitativo dell’industria moderna, e di tutto ciò che siriferisce ad essa, permette di capirlo abbastanza bene: circondando costantemente l’uomo con i

prodotti di questa industria, non permettendogli per così dire più di vedere altro (se non, peresempio, nei musei, come semplici «curiosità» non aventi alcun rapporto con le circostanze «reali»della sua vita, né per conseguenza alcuna influenza effettiva su quest’ultima), lo si costringeveramente a chiudersi nel cerchio ristretto della «vita ordinaria», come in una prigione senza uscita.In una civiltà tradizionale, al contrario, ciascun oggetto, oltre ad essere perfettamente appropriatoall’uso a cui era immediatamente destinato, era fatto in modo che ad ogni istante, proprio perché sene faceva realmente uso (al posto di trattarlo in certo qual modo come cosa morta alla maniera deimoderni nei confronti di tutto ciò che essi considerano «opere d’arte»), poteva servire da «sup-porto» di meditazione, il quale ricollegava l’individuo a qualcosa di diverso dalla semplice modalitàcorporea, ed aiutava pertanto ciascuno ad elevarsi ad uno stato superiore a seconda delle suecapacità [Su questo argomento, si potranno consultare i numerosi studi di A.K. Coomaraswamy, ilquale l’ha abbondantemente sviluppato e «illustrato» in tutti i suoi aspetti e con tutte le precisazioni

del caso]. Quale abisso fra questi due modi di concepire l’esistenza umana!Questa degenerazione qualitativa di tutte le cose è del resto strettamente legata a quella dellamoneta, come lo dimostra il fatto che si è comunemente arrivati a «stimare» un oggetto soloattraverso il suo prezzo, considerato unicamente come una «cifra», una «somma», o una quantitànumerica di moneta; per la maggior parte dei nostri contemporanei, in effetti, qualsiasi giudizio suun oggetto si basa quasi sempre esclusivamente sul suo costo. Abbiamo sottolineato il termine«stimare» a causa del duplice significato che gli è proprio, qualitativo e quantitativo; oggi il primosignificato è stato perso di vista, oppure, che è poi lo stesso, si è trovato il modo di ridurlo alsecondo, ed è così che non soltanto si «stima» un oggetto secondo il suo prezzo, ma anche un uomosecondo la sua ricchezza [Gli americani sono andati tanto avanti in questo senso da dire comune-mente che un uomo «vale» una data somma, volendo indicare in questo modo la cifra a cui èvalutata la sua fortuna; inoltre essi non dicono che un uomo riesce nei suoi affari, bensì che «è un

successo», il che equivale a identificare completamente l’individuo con i suoi guadagni materiali].Non diversamente sono andate le cose per il termine «valore», su cui, notiamolo di sfuggita, si basail curioso abuso di certi filosofi recenti che sono arrivati, per caratterizzare le loro teorie, perfino adinventare l’espressione «filosofia dei valori»; alla base del loro modo di pensare sta l’idea che ognicosa, a qualunque ordine si riferisca, è suscettibile di essere concepita quantitativamente edespressa numericamente; ed il «moralismo», che è d’altronde la loro preoccupazione dominante, si

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trova in questo modo direttamente associato al punto di vista quantitativo [Quest’associazione, delresto, non è neanche del tutto nuova, perché si può ricondurre di fatto all’«aritmetica morale» diBentham, che risale alla fine del secolo XVIII]. Questi esempi dimostrano del pari come sia in attouna vera degenerazione del linguaggio, che accompagna o segue inevitabilmente quella di tutte lecose: effettivamente, in un mondo dove ci si sforza di ridurre tutto alla quantità, bisognaevidentemente servirsi di un linguaggio che anch’esso evochi soltanto idee prettamente quantitative.Per ritornare alla specifica questione della moneta, dobbiamo ancora aggiungere come a questoriguardo si sia prodotto un fenomeno veramente degno di nota: la moneta, dopo aver perduto ognigaranzia di ordine superiore, ha visto il suo stesso valore quantitativo, cioè quello che nel gergo

degli «economisti» viene chiamato «potere d’acquisto», ridursi senza posa, sicché si puòimmaginare un punto limite, al quale ci si avvicina sempre più, in cui essa avrà perduto ogni ragiond’essere, anche semplicemente «pratica» o «materiale», e dovrà sparire quasi da sola dall’esistenzaumana. Si dovrà convenire che si è in presenza di uno strano ricorso delle cose, di non difficilecomprensione del resto date le nostre precedenti spiegazioni: poiché la quantità pura si trovapropriamente al di sotto di ogni esistenza, quando si spinge la riduzione alle sue estremeconseguenze, come nel caso della moneta (caso più eclatante di molti altri perché con esso si è qua-si arrivati al limite), non ci si può che trovar di fronte ad una vera dissoluzione. Ciò può già servire amostrare che, come dicevamo prima, la sicurezza della «vita ordinaria» è in realtà qualcosa di moltoprecario, e non solo a questo riguardo come vedremo in seguito; ma la conclusione che se ne potràtrarre sarà in definitiva sempre la stessa: il termine reale della tendenza che conduce gli uomini e lecose verso la quantità pura non può essere che la dissoluzione finale del mondo attuale.

17. Solidificazione del mondo

Ritorniamo ora alla spiegazione della maniera in cui si realizza effettivamente, nell’epoca moderna,un mondo conforme, nella misura del possibile, alla concezione materialistica; per comprenderlo,bisogna anzitutto rammentare che l’ordine umano e l’ordine cosmico non sono in realtà separati,come troppo facilmente ci si immagina ai giorni nostri, ma che al contrario sono così strettamentelegati che ciascuno di essi reagisce costantemente sull’altro, e che esiste sempre una corrispondenzafra i loro rispettivi stati. Questa considerazione è essenzialmente alla base di tutta la dottrina dei ciclie, se la si ignorasse, i dati tradizionali ad essa riferentisi sarebbero quasi del tutto inintelligibili; larelazione esistente fra certe fasi critiche della storia dell’umanità e certi cataclismi che si produconoin determinati periodi astronomici ne rappresenta forse l’esempio più sorprendente; ma è evidenteche questo non è che il caso estremo di tali corrispondenze, le quali esistono in realtà in modo

continuo, anche se sono senza dubbio meno appariscenti quando le cose subiscono modificazionigraduali e quasi insensibili.Ciò posto, è del tutto naturale che, nel corso dello sviluppo ciclico, la manifestazione cosmica nel suocomplesso, e quindi la mentalità umana che vi è necessariamente inclusa seguano di pari passo unostesso andamento discendente, nel senso già da noi precisato di un graduale allontanamento dalprincipio, e cioè dalla spiritualità primitiva inerente al polo essenziale della manifestazione. Questocammino può dunque essere descritto, accettando qui i termini del linguaggio corrente perché idoneia mettere in evidenza la correlazione che stiamo esaminando, come una specie di progressiva«materializzazione» dell’ambiente cosmico; per cui soltanto quando questa «materializzazione» haraggiunto un certo livello, già fortemente accentuato, può correlativamente apparire nell’uomo laconcezione materialistica, come pure l’atteggiamento generale che praticamente le corrisponde, eche, come abbiamo detto, si conforma alla rappresentazione della cosiddetta «vita ordinaria»; senza

questa effettiva «materializzazione», del resto, tutto ciò non avrebbe la minima parvenza digiustificazione, in quanto la realtà ambientale le apporterebbe ad ogni istante delle smentite troppopalesi. La stessa idea di materia, come la concepiscono i moderni, poteva veramente originarsisoltanto in queste condizioni; ciò che essa più o meno confusamente esprime non è in ogni casonient’altro che un limite, il quale, nel corso della discesa in questione, non potrà mai di fatto essereraggiunto; intanto perché essa viene considerata in sé come qualcosa di puramente quantitativo, epoi perché, essendo supposta come «inerte», un mondo in cui ci fosse qualcosa di veramente«inerte» cesserebbe proprio per ciò immediatamente di esistere; questa è dunque la più illusoria ditutte le idee, in quanto non corrisponde assolutamente ad alcuna realtà, per bassa che sia situatanella gerarchia dell’esistenza manifestata. In altri termini, si potrebbe anche dire che la «materia-lizzazione» esiste come tendenza, ma che la «materialità», termine ultimo di questa tendenza, è unostato irrealizzabile; ne deriva, tra le altre conseguenze, che le leggi meccaniche formulate teori-

camente dalla scienza moderna non sono mai suscettibili di una esatta e rigorosa applicazione allecondizioni dell’esperienza, perché in questa sussistono sempre elementi che loro sfuggono ne-cessariamente, anche nella fase in cui il ruolo di tali elementi si trovi in qualche modo ridotto alminimo. Si tratta quindi solo di una approssimazione, la quale, in questa fase, e con riserva per casidivenuti allora eccezionali, se può essere sufficiente per i bisogni pratici immediati, implica pursempre una semplificazione assai grossolana, che non soltanto le toglie ogni pretesa di «esattezza»,

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ma anche ogni valore di «scienza» nel vero significato del termine; ed è appunto per questa stessaapprossimazione che il mondo sensibile può assumere l’apparenza di un «sistema chiuso», tanto agliocchi dei fisici quanto nel corso degli avvenimenti che costituiscono la «vita ordinaria».Invece di parlare di «materializzazione» come abbiamo fatto finora, si potrebbe anche, in fondo nellostesso senso ma forse in modo più preciso ed anche più «reale», parlare di «solidificazione»; i corpisolidi infatti, proprio per la loro densità ed impenetrabilità, sono quelli che più d’ogni altra cosadanno l’illusione della «materialità». Questo ci ricorda in pari tempo il modo, già segnalato inprecedenza, in cui Bergson parla del «solido» come di ciò che in certo qual modo costituisce il campoproprio della ragione; da cui risulta evidente che egli, coscientemente o no (e senza dubbio assai

poco coscientemente poiché non solo generalizza e non fa intervenire alcuna restrizione, ma per dipiù crede di poter parlare di «intelligenza», com’è sua abitudine, allorché quanto dice è applicabileunicamente alla ragione), si riferisce più specialmente a ciò che vede intorno a sé, cioè all’uso«scientifico» che viene fatto attualmente della ragione. Aggiungeremo che questa effettiva«solidificazione» è proprio la vera causa per cui la scienza moderna «riesce», non certo nelle sueteorie che non perciò sono meno false e del resto, in continuo mutamento, bensì nelle sueapplicazioni pratiche; in altre epoche, in cui tale «solidificazione» non era così accentuata, non solol’uomo non avrebbe potuto pensare all’industria come la si concepisce oggi, ma questa stessaindustria sarebbe stata assolutamente impossibile, analogamente a tutto l’insieme della «vitaordinaria» in cui essa tiene un posto così importante. Tanto basta, notiamolo di sfuggita, per tagliarcorto a tutte le fantasticherie di sedicenti «chiaroveggenti» i quali, immaginando il passato sullostesso modello del presente, attribuiscono a certe civiltà «preistoriche» e di data molto remotaqualcosa del tutto simile al «macchinismo» contemporaneo: si tratta unicamente di una forma diquell’errore che fa dire volgarmente che «la storia si ripete», e che implica un’ignoranza completa diquelle che abbiamo chiamato determinazioni qualitative del tempo.Per arrivare al punto da noi descritto, è necessario che l’uomo, proprio a causa di questa«materializzazione» o di questa «solidificazione» naturalmente operantesi in lui come nel resto dellamanifestazione cosmica di cui fa parte in modo tale da modificare notevolmente la sua costituzione«psicofisiologica», abbia perduto l’uso di quelle facoltà che normalmente gli permetterebbero disuperare i limiti del mondo sensibile, in quanto, anche se quest’ultimo è realmente circondato daspesse paratie, mentre si può dire che non lo fosse nei suoi stati anteriori, è altrettanto vero che nonpuò assolutamente esistere da nessuna parte una separazione assoluta tra ordini diversi diesistenza; una separazione del genere avrebbe l’effetto di sottrarre dalla realtà stessa il campo daessa racchiuso, cosicché anche l’esistenza di tale campo, cioè del mondo sensibile nel caso inquestione, svanirebbe immediatamente. Ci si può d’altra parte, e legittimamente, chiedere come mai

un’atrofia così completa e così generale di certe facoltà abbia potuto effettivamente prodursi; aquesto scopo si è dovuto per prima cosa indurre l’uomo a prestare tutta la sua attenzioneesclusivamente alle cose sensibili, ed è così che necessariamente ha dovuto cominciare quell’operadi deviazione che si potrebbe chiamare la «fabbricazione» del mondo moderno; quest’ultima, però,non poteva essa stessa «riuscire» se non precisamente in questa fase del ciclo, con l’utilizzare inmodo «diabolico» le condizioni attuali dell’ambiente stesso. Comunque stiano le cose a proposito diquest’ultimo punto, sul quale non vogliamo per il momento insistere oltre, c’è da rimanere ammiratidi fronte alla solenne scempiaggine di certe declamazioni care ai «volgarizzatori» scientifici (madovremmo piuttosto dire «scientisti»), i quali si compiacciono di affermare ad ogni piè sospinto chela scienza moderna fa indietreggiare senza posa i confini del mondo conosciuto, quando, in realtà, èvero esattamente il contrario: mai questi confini sono stati così angusti come lo sono nelle conce-zioni ammesse dalla pretesa scienza profana, e mai il mondo e l’uomo si erano trovati così

rimpiccioliti, al punto di essere ridotti a semplici entità corporee prive, per ipotesi, della sia purminima possibilità di comunicazione con ogni altro ordine di realtà!Vi è del resto un altro aspetto della questione, reciproco e complementare di quello finora trattato:in tutto ciò l’uomo non è ridotto al ruolo passivo di un semplice spettatore, che dovrebbe limitarsi afarsi un’idea più o meno vera, o più o meno falsa, di ciò che accade intorno a lui; egli è anzi uno diquei fattori che attivamente intervengono nelle modificazioni del mondo in cui vive; e dobbiamoaggiungere che è anche un fattore molto importante a causa della posizione propriamente«centrale» che egli si trova ad occupare in questo mondo. Parlando di questo intervento umano, nonintendiamo alludere semplicemente alle modificazioni artificiali che l’industria fa subire all’ambienteterrestre, anche troppo evidenti del resto perché sia il caso di insistervi: questo è certamente dinotevole importanza, ma non è tutto dal punto di vista in cui ci poniamo attualmente; intendiamoinvece riferirci a qualcosa di completamente diverso, di non voluto da parte dell’uomo, almeno

espressamente e coscientemente, ma che, in realtà, ha conseguenze molto più vaste. La concezionematerialistica, in effetti, una volta formatasi e diffusasi in una maniera qualsiasi, non può checoncorrere a rafforzare ulteriormente quella «solidificazione» del mondo che inizialmente l’ha resapossibile, e tutte le conseguenze direttamente o indirettamente derivate da tale concezione, ivicompresa la nozione corrente della «vita ordinaria», non fanno che tendere a questo stesso fine,poiché le reazioni generali dello stesso ambiente cosmico effettivamente cambiano a seconda

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dell’atteggiamento che l’uomo assume nei suoi confronti. Si può veramente affermare che certiaspetti della realtà si nascondano a chiunque la prenda in esame da profano e da materialista, e sirendano inaccessibili alla sua osservazione; questo non è un semplice modo di parlare più o meno«immaginoso», come qualcuno potrebbe credere, bensì la pura e semplice espressione di un fatto,così come è un fatto che gli animali fuggono spontaneamente e istintivamente di fronte a chiunquedimostri verso di essi un atteggiamento ostile. È questa la ragione per cui certe cose non potrannomai essere constatate da «scienziati» materialisti o positivisti, il che, naturalmente, li confermaancor più nella convinzione della validità delle loro concezioni, dandone apparentemente una speciedi prova negativa, allorché invece si tratta soltanto di un effetto di quelle stesse concezioni;

beninteso, non è affatto vero che quelle cose abbiano cessato di esistere dopo la nascita deimaterialismo o del positivismo, soltanto esse si sono veramente «ritirate» dal campo a cui puòaccedere l’esperienza degli scienziati profani, e si astengono dal penetrarvi secondo modalità chepotrebbero far supporre la loro azione o la loro stessa esistenza, non diversamente da come, in unaltro ordine non privo del resto di rapporti con il precedente, il deposito delle conoscenze tradizionalisi nasconde e si chiude sempre più strettamente di fronte all’invadenza dello spirito moderno. È incerto qual modo la «contropartita» della limitazione delle facoltà dell’essere umano a quelle di esseche riguardano esclusivamente la sola modalità corporea: a causa di questa limitazione, dicevamo,egli diviene incapace di uscire dal mondo sensibile; in conseguenza di ciò di cui stiamo ora parlando,perde inoltre ogni occasione per constatare un intervento manifesto di elementi sovrasensibili nellostesso mondo sensibile. Così viene per lui a completarsi, per quel tanto che è possibile, la«chiusura» di questo mondo, diventato tanto più «solido» quanto più si trova isolato da tutti gli altriordini di realtà, anche da quelli a lui più vicini e che costituiscono semplicemente modalità diverse diuno stesso àmbito individuale. All’interno di un mondo del genere, può sembrare che la «vita ordi-naria» possa ormai svolgersi senza squilibri o incidenti imprevisti, come i movimenti di un«meccanismo» perfettamente regolato; l’uomo moderno, dopo aver «meccanizzato» il mondo che locirconda, non tende forse come meglio può a «meccanizzare» se stesso in tutte le forme di attivitàche restano ancora aperte alla sua natura strettamente limitata?La «solidificazione» del mondo, tuttavia, per quanto lontano possa spingersi effettivamente, nonpotrà mai essere completa, e vi sono limiti al di là dei quali essa non può andare poiché, comeabbiamo detto, la sua estrema conseguenza sarebbe incompatibile con ogni esistenza reale, sia pureal più basso livello; non solo, ma, via via che avanza, tale «solidificazione» diviene sempre piùprecaria, poiché la più bassa delle realtà è anche la più instabile: la rapidità sempre crescente deicambiamenti del mondo attuale lo testimonia in modo fin troppo eloquente. Niente può impedire checi siano delle «fenditure» in questo supposto «sistema chiuso», il quale del resto, per via del suo

carattere «meccanico», ha qualcosa di artificiale (è sottinteso che questo termine lo intendiamo inun’accezione molto più estesa di quella impiegata a definire le semplici produzioni industriali) chenon è certo tale da ispirare fiducia nella sua durata; e, già attualmente, molteplici indizi mostranoappunto che il suo equilibrio instabile è in qualche modo sul punto di spezzarsi. È proprio per questoche quanto dicevamo del materialismo e del meccanicismo dell’epoca moderna quasi potrebbe, in uncerto senso, esser messo al passato; ciò non significa che le loro conseguenze pratiche non possanocontinuare a svilupparsi ancora per qualche tempo, o che la loro influenza sulla mentalità generalenon debba persistere più o meno a lungo, se non altro per via della «volgarizzazione» nelle suediverse forme, ivi compreso l’insegnamento scolastico a tutti i livelli, in cui si trascinano numerose«sopravvivenze» di questo genere (sulle quali torneremo fra breve); ma è altrettanto vero che, almomento in cui siamo, la stessa nozione di «materia», così penosamente costituita attraverso tantediverse teorie, sembra sul punto di svanire; e tuttavia non è probabilmente il caso di felicitarsene

oltre misura, poiché, come vedremo meglio in seguito, si può trattare, di fatto, soltanto di un passoin più verso la dissoluzione finale.

18. Mitologia scientifica e volgarizzazione

Poiché siamo stati condotti ad accennare a quelle «sopravvivenze» lasciate nella mentalità comuneda teorie a cui nemmeno gli scienziati credono più, e che però continuano ad esercitare la loroinfluenza sull’atteggiamento della generalità degli uomini, sarà bene insistervi ulteriormente, perchési tratta di un argomento che può contribuire a spiegare certi aspetti dell’epoca attuale. A questoproposito, è bene ricordare anzitutto che, quando la scienza profana abbandona il campo dellasemplice osservazione dei fatti per cercar di ricavare qualcosa da quell’indefinita accumulazione didettagli particolari che ne è l’unico risultato immediato, una delle sue principali caratteristiche è la

costruzione più o meno laboriosa di teorie puramente ipotetiche; necessariamente esse non possonoaspirare ad altro, essendo la loro base di partenza del tutto empirica, perché i fatti, i quali in sestessi sono sempre suscettibili di spiegazioni diverse, non hanno mai potuto, né mai potranno,garantire la verità di alcuna teoria, e, come abbiamo detto prima, la loro più o meno grandemolteplicità non può certo mutare questo punto; inoltre ipotesi del genere sono in fondo molto menoispirate dalle constatazioni dell’esperienza, che non piuttosto da certe idee preconcette e da certe

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tendenze predominanti nella mentalità moderna. È noto del resto con quale rapidità semprecrescente tali ipotesi vengano oggi abbandonate e sostituite con altre, così da dimostrare in modoanche troppo evidente, con questi cambiamenti continui, la loro poca solidità e l’impossibilità che siriconosca loro un valore in quanto conoscenza reale; esse assumono d’altronde sempre più, nelpensiero degli stessi scienziati, un carattere convenzionale, quindi insomma irreale, sintomo anchequesto che stiamo incamminandoci verso la dissoluzione finale. In effetti non è possibile che questiscienziati, ed in particolare i fisici, siano così totalmente tratti in inganno da simili costruzioni, di cuioggi più che mai essi conoscono la fragilità; non solo tali costruzioni sono soggette a rapida usura,ma, fin dall’inizio, i loro stessi artefici non ci credono che in una certa misura, senza dubbio

abbastanza limitata, ed a titolo in certo qual modo «provvisorio»; molto sovente pare addirittura cheessi le considerino meno come veri e propri tentativi di spiegazione, che come semplici«rappresentazioni» e «modi di dire»; in definitiva sono poi soltanto questo, e abbiamo visto cheLeibniz aveva già dimostrato come il meccanicismo cartesiano non potesse essere altro che una«rappresentazione» delle apparenze esteriori, priva di qualsiasi valore propriamente esplicativo. Inqueste condizioni, il meno che si possa dire è che si tratta di cose piuttosto futili, ed è certamenteuno strano modo di concepire la scienza quello che consente un lavoro del genere. Ma il pericolo diqueste teorie illusorie risiede soprattutto nell’influenza che, per il solo fatto di chiamarsi«scientifiche», esse possono esercitare sul «grosso pubblico», il quale, per quanto lo concerne, leprende decisamente sul serio e le accetta ciecamente a mo’ di «dogmi», non solo finché durano(spesso esse hanno appena avuto il tempo di giungere a sua conoscenza), ma anche e soprattuttoquando gli scienziati già le hanno abbandonate e anche molto dopo, data la loro persistenza, comeabbiamo segnalato, nell’insegnamento elementare e nelle opere di «volgarizzazione», dove, delresto, esse vengono sempre presentate in una forma «semplicistica» e risolutamente affermativa, enon certo come semplici ipotesi quali esse erano in realtà per coloro stessi che le avevano elaborate.Non a caso abbiamo parlato di «dogmi» poiché, per il moderno spirito antitradizionale, si trattaproprio di qualcosa che deve opporsi e sostituirsi ai dogmi religiosi; un esempio fra i tanti, quellodelle teorie «evoluzionistiche», non può lasciare alcun dubbio a questo proposito; e l’abitudine dellamaggior parte dei «volgarizzatori» di disseminare i loro scritti con declamazioni più o meno violentecontro qualsiasi idea tradizionale è altrettanto significativa, e mostra anche troppo chiaramentequale funzione essi siano incaricati di svolgere, sia pure inconsciamente in molti casi, nellasovversione intellettuale della nostra epoca.Nella mentalità «scientistica» che, per le ragioni in gran parte utilitaristiche da noi indicate, è, siapure a livelli diversi, quella della gran maggioranza dei nostri contemporanei, è venuta così acostituirsi una vera e propria «mitologia», non già nel senso tradizionale e trascendente dei veri

«miti» tradizionali, ma semplicemente nell’accezione «peggiorativa» assunta da questo termine nellinguaggio corrente. Se ne potrebbero citare innumerevoli esempi; uno dei più sorprendenti e dei più«attuali», se così si può dire, è la «fantasticheria» a proposito degli atomi e dei molteplici elementi divaria specie in cui essi hanno finito per scomporsi secondo le più recenti teorie fisiche (il che implicad’altronde che essi non siano più atomi, cioè letteralmente «indivisibili», benché si continui achiamarli così a dispetto di qualsiasi logica); diciamo «fantasticheria», ché altro non c’è senza dubbionel pensiero dei fisici; ma il «grosso pubblico» crede fermamente che si tratti di «entità» reali, lequali potrebbero esser viste e toccate da qualcuno i cui sensi fossero sufficientemente sviluppati, oche disponesse di strumenti di osservazione abbastanza potenti; non è forse questa la specie piùingenua di «mitologia»? Eppure ciò non impedisce a questo stesso pubblico di prendersi gioco adogni piè sospinto delle concezioni degli antichi, delle quali, è fuori discussione, esso non capiscenemmeno una parola; anche a voler ammettere che siano sempre esistite delle deformazioni

«popolari» (ecco un’altra espressione che oggi si è soliti adoperare a proposito e a sproposito, senzadubbio a causa della crescente importanza accordata alla «massa»), è lecito dubitare che esse sianomai state così grossolanamente materiali e contemporaneamente tanto diffuse come lo sono ora,grazie alle tendenze inerenti alla mentalità attuale ed alla tanto vantata diffusione della profana erudimentale «istruzione obbligatoria»!Non è nostra intenzione dilungarci oltre misura su un argomento che si presterebbe a sviluppipressoché indefiniti, ma che si allontanerebbe troppo da quello che è il nostro principale obiettivo.Per esempio, sarebbe facile dimostrare che, grazie alla «sopravvivenza» delle ipotesi, elementi inrealtà appartenenti a teorie diverse si sovrappongono e si frammischiano talmente, nellarappresentazione volgare, da formare talora le combinazioni più eterogenee; del resto, a causadell’inestricabile disordine che regna dappertutto, la mentalità contemporanea è ormai in grado diaccettare volentieri le più strane contraddizioni. Preferiamo invece insistere ancora su un aspetto

della questione, che, a dire il vero, riferendosi a cose che appartengono più propriamente ad unafase diversa da quella finora esaminata, è un po’ un’anticipazione delle considerazioni chetroveranno posto in seguito; in questo campo, tuttavia, non è possibile fare delle nette distinzioni senon a rischio di dare una raffigurazione troppo «schematica» della nostra epoca, e del resto ciò dàmodo di intravedere come le tendenze verso la «solidificazione» e verso la dissoluzione, benchéapparentemente opposte sotto certi aspetti, siano però di fatto associate, in quanto agiscono

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simultaneamente per giungere in definitiva alla catastrofe finale. Ciò di cui vogliamo parlare è ilcarattere particolarmente stravagante che le rappresentazioni in questione rivestono quandovengono trasportate in un campo diverso da quello in cui erano primitivamente destinate a trovareapplicazione; da qui effettivamente derivano la maggior parte delle fantasmagorie di quello cheabbiamo chiamato «neospiritualismo» nelle sue diverse forme, e sono appunto i prestiti dalleconcezioni derivate essenzialmente dall’ordine sensibile a spiegare quel genere di«materializzazione» del sovrasensibile che costituisce uno dei suoi tratti principali [È soprattuttonello spiritismo che le rappresentazioni di questo genere si presentano nelle forme più grossolane, enell’Erreur spirite, Paris, 1923 (trad. it.: Errore dello spiritismo, Milano, 1974) abbiamo avuto

occasione di darne numerosi esempi]. Senza cercare per il momento di determinare più esattamentela natura e la qualità di quel sovrasensibile con cui effettivamente si ha a che fare qui, non è inutileporre in risalto fino a che punto siano compenetrati dell’influenza materialistica coloro stessi cheancora lo ammettono e che pensano di constatarne l’azione: se essi non negano ogni realtàextracorporea, come la maggioranza dei loro contemporanei, è perché l’idea che ne hanno puòessere ricondotta, in certo qual modo, al tipo delle cose sensibili, il che non vale certamente granche di più. Del resto non è il caso di stupirsene se si constata come tutte le scuole occultistiche,teosofistiche, o altre di questo genere amino costantemente ricercare punti di contatto con le teoriescientifiche moderne, a cui molto sovente si ispirano più direttamente di quanto non voglianoconfessare; il risultato che se ne ricava è quello che logicamente ci si deve aspettare in tali condi-zioni; e si può anche osservare che, a causa delle variazioni successive di quelle teorie scientifiche,la somiglianza delle concezioni di una determinata scuola con una determinata teoria permetterebbein qualche modo di «datare» quella scuola anche in assenza di qualsiasi informazione più precisasulla sua storia e sulle sue origini.Questo stato di cose ha avuto inizio quando lo studio e la manipolazione di certe influenze psichichesono caduti, se così ci si può esprimere, nell’ambito profano, il che in certo qual modo sta adindicare l’inizio della fase più propriamente «dissolvente» della deviazione moderna; in definitiva, ciòpuò esser fatto risalire al secolo XVIII, per cui esso si trova ad essere esattamente contemporaneodello stesso materialismo, il che dimostra come queste due cose, contrarie solo in apparenza,dovevano di fatto andar di pari passo. Non pare che fatti simili si siano prodotti anteriormente,senza dubbio perché la deviazione non aveva ancora raggiunto un grado di sviluppo tale da renderlipossibili. La caratteristica principale della «mitologia» scientifica di quell’epoca fu la concezione di«fluidi» diversi coi quali venivano allora rappresentate tutte le forze fisiche; ed è appunto questaconcezione che fu trasportata dall’ordine corporeo all’ordine sottile con la teoria del «magnetismoanimale». Se ci si riferisce all’idea della «solidificazione» del mondo, si dirà forse che un «fluido» è

per definizione l’opposto di un «solido»; è però altrettanto vero che, in questo caso, esso svolgeesattamente la stessa funzione, poiché tale concezione ha per effetto di «corporeizzare» cose lequali in realtà appartengono alla manifestazione sottile. I magnetizzatori furono in qualche modo idiretti precursori del «neospiritualismo», se non proprio i suoi primi rappresentanti; le loro teorie ele loro pratiche influenzarono in più o meno larga misura tutte le scuole sorte successivamente, siaapertamente profane come lo spiritismo, sia aventi pretese «pseudoiniziatiche» come le molteplicivarietà dell’occultismo. Questa persistente influenza è poi tanto più strana in quanto appare del tuttosproporzionata all’importanza dei fenomeni psichici, in definitiva assai elementari, che costituisconoil campo di esperienza del magnetismo; ma forse è ancora più stupefacente la funzione svolta daquesto magnetismo, fin dal suo apparire, per sviare da qualsiasi lavoro serio certe organizzazioniiniziatiche che fino a quel momento avevano ancora conservato, se non una conoscenza effettiva unpo’ estesa, almeno la coscienza di quanto avevano perduto a questo proposito e la volontà di

sforzarsi di ritrovarlo; ed è permesso pensare che non è questa l’ultima delle ragioni per cui ilmagnetismo fu «lanciato» al momento voluto, anche se, come spesso succede in casi simili, i suoipromotori apparenti non furono, nell’occasione, che strumenti più o meno incoscienti.La concezione «fluidica» sopravvisse nella mentalità generale, se non nelle teorie dei fisici, almenofino alla metà del secolo XIX (anche più a lungo continuarono ad essere comunemente impiegateespressioni come «fluido elettrico», ma piuttosto macchinalmente e senza più annettervi unarappresentazione precisa). Lo spiritismo, che comparve in tale epoca, ne assunse l’eredità, in modotanto più naturale in quanto ve lo predisponeva la sua originaria connessione con il magnetismo,connessione ancora più stretta di quel che a prima vista si potrebbe supporre, talché moltoprobabilmente lo spiritismo non avrebbe mai potuto avere un grande sviluppo senza le divagazionidei sonnambuli, così come l’esistenza dei «soggetti» magnetici preparò e rese possibile quella dei«medium» spiritici. Anche oggi la maggior parte dei magnetizzatori e degli spiritisti continua a

parlare di «fluidi» e, quel che è più grave, a crederci seriamente; questo «anacronismo» è tanto piùcurioso se si pensa che tutta questa gente è in genere partigiana fanatica del «progresso», cosa chemal si accorda con una concezione la quale, esclusa ormai da tempo dal campo scientifico, dovrebbeai loro occhi apparire assai «retrograda». Nella «mitologia» attuale, i «fluidi» sono stati sostituitidalle «onde» e dalle «radiazioni», e queste beninteso non mancano a loro volta di svolgere la stessafunzione nelle teorie inventate più di recente per cercar di spiegare l’azione di certe influenze sottili:

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sarà sufficiente menzionare la «radioestesia», particolarmente rappresentativa a questo proposito. Èfuori questione che, se in tutto ciò fossero in causa semplici immagini o paragoni fondati su di unaqualche analogia (e non su di un’identità) con certi fenomeni d’ordine sensibile, la cosa non avrebbeinconvenienti troppo gravi e potrebbe pure, fino a un certo punto, trovare giustificazione; ma non èaffatto così, ed è proprio alla lettera che i «radioestesisti» credono che le influenze psichiche con cuisi cimentano siano «onde» o «radiazioni» propagantisi nello spazio nel modo più «corporeo» che sipossa immaginare; lo stesso «pensiero», del resto, non sfugge a questo tipo di rappresentazione. Sitratta quindi sempre della stessa «materializzazione» che continua ad affermarsi in una formanuova, forse più insidiosa di quella dei «fluidi» perché può apparire meno grossolana, benché, in

fondo, tutte queste cose siano esattamente dello stesso ordine, e non facciano in definitiva cheesprimere quelle stesse limitazioni inerenti alla mentalità moderna nonché l’incapacità di questa aconcepire alcunché al di fuori del campo dell’immaginazione sensibile [È in virtù di questa stessaincapacità e della conseguente confusione, che Kant, in campo filosofico, non esitava a dichiarare«inconcepibile» tutto quanto è semplicemente «inimmaginabile»; e del resto, per parlare più ingenerale, sono in fondo sempre le stesse limitazioni quelle che danno origine a tutte le varietàdell’«agnosticismo»].Si noti per inciso che i «chiaroveggenti», a seconda delle scuole alle quali si ricollegano, nonmancano di veder «fluidi» o «radiazioni» allo stesso modo che fra i teosofisti non mancano coloroche vedono atomi ed elettroni; qui, come in molte altre cose, essi vedono di fatto soltanto le loroproprie immagini mentali, le quali, naturalmente, sono sempre conformi alle particolari teorie in cuiessi credono. Vi sono anche quelli che vedono la «quarta dimensione» nonché altre supplementaridimensioni dello spazio; e ciò ci conduce, per finire, a spendere qualche parola su un altro caso cheugualmente si ricollega alla «mitologia» scientifica, cioè quello che chiameremmo volentieri il «deliriodella quarta dimensione». Bisogna convenire che l’«ipergeometria» aveva tutti gli elementi percolpire l’immaginazione di gente priva di conoscenze matematiche sufficienti per rendersi conto delvero carattere di una costruzione algebrica espressa in termini di geometria, poiché in realtà non sitratta d’altro; e questo, notiamolo di sfuggita, è un ulteriore esempio dei pericoli della «vol-garizzazione». Inoltre, ben prima che i fisici pensassero di far intervenire la «quarta dimensione»nelle loro ipotesi (diventate del resto molto più matematiche che veramente fisiche, in ragione delloro carattere sempre più quantitativo e nel contempo «convenzionale»), gli «psichisti» (allora non sidiceva ancora «metapsichisti») già se ne servivano per spiegare i fenomeni per cui un corpo solidosembra passare attraverso un altro; e, anche qui, non si trattava per essi soltanto di una sempliceimmagine atta ad «illustrare» in un certo modo quelle che si possono chiamare «interferenze» fracampi o stati differenti, il che sarebbe stato accettabile, bensì si trattava realmente, secondo loro, di

un passaggio del corpo in questione attraverso la «quarta dimensione». Questo non era del restoche un inizio, e in questi ultimi anni, sotto l’influenza della nuova fisica, si sono viste certe scuoleoccultistiche giungere financo a costruire la maggior parte delle loro teorie appunto su questa stessaconcezione della «quarta dimensione»; si può d’altronde osservare, a tale proposito, che occultismoe scienza moderna tendono sempre più a ricongiungersi, man mano che la «disintegrazione»avanza, poiché entrambi, per vie diverse, sono incamminati verso di essa. Avremo occasione, piùavanti, di riparlare della «quarta dimensione» da un altro punto di vista; per intanto abbiamo parlatoabbastanza di tutte queste cose, ed è ora di dedicarci ad altre considerazioni che si riferiscono piùdirettamente alla questione della «solidificazione» del mondo.

19. I limiti della storia e della geografia

Abbiamo detto in precedenza che, a causa delle differenze qualitative esistenti fra i diversi periodi ditempo, per esempio fra le diverse fasi di un ciclo come il nostro Manvantara (ed è evidente che, al dilà dei limiti di durata della presente umanità, ancor più diverse devono essere le condizioni),nell’ambiente cosmico generale, e specialmente nell’ambiente terrestre che ci riguarda piùdirettamente, si producono certi cambiamenti di cui la scienza profana, nel suo orizzonte limitato alsolo mondo moderno che ne ha visto i natali, non può farsi alcuna idea, cosicché, di qualunqueepoca si voglia occupare, tale scienza offre sempre la rappresentazione di un mondo le cui condizionisarebbero state simili a quelle attuali. D’altro canto abbiamo visto che gli psicologi moderniimmaginano l’uomo come se fosse stato sempre mentalmente tal quale è oggi; e quel che a questoproposito è vero per gli psicologi, lo è altrettanto per gli storici, i quali valutano le azioni degli uominidell’antichità o del Medio Evo esattamente come valuterebbero quelle dei loro contemporanei,attribuendo loro le stesse motivazioni e le stesse intenzioni; si tratta evidentemente, a proposito sia

dell’uomo che dell’ambiente, di un’applicazione di quelle concezioni semplificate ed «uniformizzanti»che ben corrispondono alle tendenze attuali; quanto a sapere come questa «uniformizzazione» delpassato possa per converso conciliarsi con le teorie «progressistiche» ed «evoluzionistiche», ecco unproblema che non ci incaricheremo certo di risolvere, ma che senza dubbio rappresenta un ulterioreesempio, delle innumerevoli contraddizioni della mentalità moderna.

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Quando parliamo di cambiamenti dell’ambiente, non intendiamo soltanto fare allusione ai cataclismipiù o meno estesi che in qualche modo sottolineano i «punti critici» del ciclo; questi sonocambiamenti bruschi corrispondenti a vere e proprie rotture d’equilibrio, e, anche nel caso, peresempio, della scomparsa di un solo continente (casi del genere si riscontrano effettivamente nellastoria della presente umanità), è facile capire come tutto l’insieme dell’ambiente terrestre ne subiscale ripercussioni, per cui la «faccia del mondo», se così si può dire, viene ad esserne notevolmentemodificata. Ma vi sono anche modificazioni continue ed insensibili, le quali, all’interno di un periodoin cui non si producono cataclismi, finiscono però con l’ottenere a poco a poco risultati quasialtrettanto considerevoli; è fuori questione che non si tratta di semplici modificazioni «geologiche»

nel significato che queste hanno per la scienza profana, e che, in ogni caso, è errato considerare icataclismi stessi solo da questo punto di vista esclusivo, che, come sempre, si limita a quanto vi è dipiù esteriore; per noi, si tratta di qualcosa d’un ordine molto più profondo, che agisce sullecondizioni stesse dell’ambiente, cosicché, anche se non si prendessero in considerazione i fenomenigeologici, i quali sono in questo contesto dettagli di secondaria importanza, gli esseri e le cose nonne risulterebbero meno cambiati in senso vero e proprio. Quanto alle modificazioni artificiali prodottedall’intervento dell’uomo, esse ne sono soltanto delle conseguenze, nel senso che, come abbiamogià spiegato, sono proprio le condizioni specifiche di tale o tal altra epoca a renderle possibili; setuttavia l’uomo può agire in modo più profondo sull’ambiente, è in senso psichico più che corporeo,e ciò che abbiamo detto sugli effetti dell’atteggiamento materialistico può bastare a farlocomprendere.Attraverso i dati esposti fin qui, è ora facile rendersi conto del senso generale secondo cui sieffettuano questi cambiamenti, senso che noi abbiamo caratterizzato come la «solidificazione» delmondo, che dà a tutte le cose un aspetto sempre più rispondente (benché pur sempre inesatto inrealtà) alla maniera in cui esse vengono prese in esame dalle concezioni quantitative, meccani-cistiche o materialistiche; è per questo, come abbiamo detto, che la scienza moderna riesce nellesue applicazioni pratiche, ed è per questo che la realtà ambientale non pare infliggerle smentitetroppo clamorose. In epoche anteriori, in cui il mondo non era così «solido» com’è diventato oggi, ein cui le modalità corporee e le modalità sottili dell’àmbito individuale non erano così completamenteseparate (benché, come vedremo in seguito, anche allo stato attuale ci siano riserve da porre perquanto riguarda tale separazione), non sarebbe potuto essere così. Non solo l’uomo, poiché le suefacoltà erano molto meno strettamente limitate, non vedeva il mondo con gli stessi occhi di oggi, evi scorgeva cose che ormai gli sfuggono interamente, ma, correlativamente, il mondo stesso, inquanto insieme cosmico, era proprio diverso qualitativamente, perché possibilità di un altro ordine siriflettevano nell’àmbito corporeo ed in qualche modo lo «trasfiguravano». È per questo che quando

certe «leggende» parlano, per esempio, di un tempo in cui le pietre preziose erano tanto comuniquanto lo sono ora i ciottoli più grossolani, forse ciò non dev’essere preso solo in un senso tuttosimbolico. Che tale senso simbolico, in casi del genere, esista sempre è fuori questione, ma non èdetto che sia il solo, difatti ogni cosa manifestata è necessariamente essa stessa un simbolo inrapporto ad una realtà superiore; comunque sia non riteniamo di dover insistere oltre perché, suquesto argomento, abbiamo avuto ben altre occasioni di dare chiarimenti, sia d’ordine generale, siaper casi più particolari quali il valore simbolico dei fatti storici e geografici. Cercheremo invece diprevenire un’obiezione che potrebbe essere sollevata a proposito dei suddetti cambiamentiqualitativi nella «faccia del mondo»: si potrà forse dire che, se è così, le vestigia delle epochescomparse, che ad ogni piè sospinto si scoprono, dovrebbero darne testimonianza, mentre,lasciando da parte le epoche «geologiche» e per restare alla storia umana, gli archeologi ed anche i«preistorici» non trovano mai niente del genere, anche quando i risultati dei loro scavi li riportino nel

più lontano passato. La risposta, in fondo, è semplicissima: anzitutto queste vestigia, nello stato incui si presentano oggi, e in quanto facenti parte per conseguenza dell’ambiente attuale, sono perforza di cose partecipi, come tutto il resto, della «solidificazione del mondo»; se non ne fossero statepartecipi, la loro esistenza non sarebbe più in accordo con le condizioni generali ed esse sarebberocompletamente scomparse; ciò è senza dubbio avvenuto per molte cose di cui non si può più trovarela minima traccia. In secondo luogo, gli archeologi esaminano queste stesse vestigia con occhi dimoderni, che non riescono a cogliere se non la modalità più grossolana della manifestazione, per cui,quand’anche qualcosa di più sottile vi fosse rimasto aderente nonostante tutto, essi sarebberocertamente incapaci di accorgersene; il loro modo di trattare queste cose è identico in definitiva aquello che i fisici meccanicistici riservano alle loro, perché la loro mentalità è la stessa e le lorofacoltà sono egualmente limitate. Si dice che quando un tesoro viene cercato da qualcuno a cuiesso, per una ragione qualsiasi, non è destinato, l’oro e le pietre preziose si trasformano per lui in

carbone ed in pietre volgari; i moderni dilettanti di scavi dovrebbero trar profitto da quest’altra«leggenda»!Comunque sia, è assolutamente certo che gli storici, proprio per il fatto di intraprendere tutte le lororicerche ponendosi da un punto di vista moderno e profano, incontrano nel tempo certe «barriere»praticamente invalicabili. La prima di queste «barriere», come abbiamo detto altrove, si trova versoil secolo VI prima dell’èra cristiana, ove comincia, secondo le concezioni attuali, quella che si può

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chiamare la storia propriamente detta, anche se l’antichità che essa prende in esame è, tutto som-mato, di un’antichità abbastanza relativa. Si dirà senza dubbio che i recenti scavi hanno permesso dirisalire molto più indietro, scoprendo resti di un’antichità ben più lontana; questo fino ad un certopunto è vero, però, fatto assai rimarchevole, da quel momento non vi è più alcuna cronologia certa,al punto che le divergenze nella stima delle date di oggetti ed avvenimenti sono di secoli e taloraperfino di interi millenni; per di più non si riesce ad avere alcuna idea, sia pure molto inesatta, sulleciviltà di tali epoche più lontane, poiché non sono più reperibili, in ciò che esiste attualmente, queitermini di paragone che ancora si incontrano quando si ha a che fare con l’antichità «classica»; ilche non significa che questa, come pure il Medio Evo ancor più prossimo a noi nel tempo, non sia

fortemente deformata dalle rappresentazioni fornite dagli storici moderni. Del resto, tutto ciò che dipiù antico gli scavi archeologici hanno fatto conoscere finora non risale in verità se non pressappocoagli inizi del Kali Yuga, dove naturalmente si trova una seconda «barriera»; e se, con un mezzoqualsiasi, si riuscisse a valicare quest’ultima, se ne troverebbe ancora una terza, corrispondenteall’epoca dell’ultimo grande cataclisma terrestre, cioè a quello che tradizionalmente viene designatocome la sparizione dell’Atlantide. Evidentemente sarebbe del tutto inutile cercare di risalire ancorapiù indietro, perché, prima che gli storici siano giunti a tal punto, il mondo moderno avrà avuto tuttoil tempo di scomparire a sua volta!Queste poche indicazioni bastano a far capire quanto vane siano tutte le discussioni a cui i profani (econ questo termine dobbiamo intendere qui tutti coloro che sono impregnati dello spirito moderno)possono tentare di dedicarsi a proposito dei primi periodi del Manvantara, dei tempi dell’«etàdell’oro» e della «tradizione primordiale», nonché di fatti molto meno lontani quali il «diluvio»biblico, se lo si intende nel significato letterale più immediato che si riferisce al cataclismadell’Atlantide; cose di questo genere sono e saranno sempre completamente fuori della loro portata.Del resto, è per ciò che essi le negano, come negano, senza distinzione tutto quanto in una manierao nell’altra li oltrepassa, poiché tutti i loro studi e le loro ricerche, intrapresi partendo da un punto divista falso e limitato, possono arrivare solo alla negazione di tutto quanto non è incluso in quelpunto di vista; e per di più questa gente è talmente convinta della propria «superiorità», da nonvoler ammettere l’esistenza o la possibilità di qualcosa che sfugga alle sue investigazioni;certamente, dei ciechi avrebbero altrettante ragioni di negare l’esistenza della luce e di trarnepretesto per vantare la propria superiorità rispetto agli uomini normali.Quello che abbiamo detto sui limiti della storia, nella sua concezione profana, può ugualmenteapplicarsi alla geografia, poiché anche qui molte cose sono completamente sparite dall’orizzonte deimoderni; si paragonino le descrizioni degli antichi geografi con quelle dei geografi moderni, e si saràspesso indotti a chiedersi se sia veramente possibile che gli uni e gli altri si riferiscono ad uno stesso

paese. Peraltro si tratta di antichi in senso molto relativo, e difatti, per constatare cose di questogenere, non c’è bisogno di risalire al di là del Medio Evo; certamente nell’intervallo che li separa danoi non c’è stato alcun cataclisma considerevole; ora, com’è che il mondo, malgrado ciò, ha potutocambiar d’aspetto a tal punto e così rapidamente? I moderni diranno - lo sappiamo bene - che gliantichi hanno visto male, o che hanno riferito male quello che hanno visto; ma tale spiegazione, laquale equivale in definitiva a supporre che, prima della nostra epoca, tutti gli uomini fossero affettida disturbi sensoriali o mentali, è veramente troppo «semplicistica» e negativa; e se si vuole esa-minare la questione con tutta imparzialità, perché non sarebbero invece i moderni a veder male oaddirittura a non vedere del tutto certe cose? Essi proclamano trionfalmente che «la terra è orainteramente scoperta» - e forse ciò non è così vero come credono - e si figurano che, per contro,essa era in gran parte sconosciuta agli antichi, per cui ci si può chiedere di quali antichi perl’appunto essi vogliono parlare, e se pensano proprio che, prima di loro, non ci fossero altri uomini

oltre agli Occidentali dell’epoca «classica», e che il mondo abitato si riducesse ad una piccolaporzione dell’Europa e dell’Asia Minore; essi aggiungono che «questo ignoto, in quanto ignoto, nonpoteva che essere misterioso»; ma dove mai hanno visto gli antichi dichiarare che quelle erano cose«misteriose», o non sono piuttosto loro che le dichiarano tali perché non le comprendono più?All’inizio, essi affermano ancora, si videro delle «meraviglie», poi, più avanti, ci furono soltanto delle«curiosità» o delle «cose singolari», infine «ci si accorse che queste cose singolari si piegavano aleggi generali che gli scienziati cercavano di fissare». Ma ciò che essi, bene o male, descrivono aquesto modo, non è forse proprio la successione delle tappe della limitazione delle facoltà umane,tappe delle quali l’ultima corrisponde a quella che si può chiamare la mania delle spiegazionirazionali con tutto ciò che queste presentano di grossolanamente insufficiente? Quest’ultimo modo divedere, da cui deriva la geografia moderna, in effetti, data soltanto dai secoli XVII e XVIII, cioèdall’epoca stessa che vide originarsi e diffondersi la mentalità razionalistica, cosa che viene a

confermare la nostra interpretazione; a partire da questo momento, le facoltà di concezione e dipercezione, che permettevano all’uomo di cogliere qualcosa che non fosse soltanto il modo piùgrossolano ed inferiore della realtà, si erano totalmente atrofizzate, mentre il mondo stesso si era dipari passo irrimediabilmente «solidificato».Con simili considerazioni si arriva in definitiva a questo: o una volta si vedevano cose che oggi non sivedono più, perché si sono avuti cambiamenti considerevoli nell’ambiente terrestre o nelle facoltà

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umane, o piuttosto contemporaneamente in entrambi, tali cambiamenti essendo tanto più rapidiquanto più ci si avvicina alla nostra epoca; oppure quella che viene chiamata la «geografia» avevaanticamente un significato diverso da quello odierno. In realtà, i due termini di questa alternativanon si escludono affatto e ciascuno dei due esprime un lato della verità, poiché la concezione che siha di una scienza dipende naturalmente sia dall’angolo visuale da cui si considera il suo oggetto, siadalla misura in cui si è capaci di cogliere effettivamente le realtà in essa implicite: mettendo insiemequesti due aspetti, una scienza tradizionale ed una scienza profana, anche se portano lo stessonome (il che indica generalmente che la seconda è un residuo della prima), sono così profondamentediverse da essere realmente separate da un abisso. Orbene, esiste realmente una «geografia sacra»

o tradizionale che i moderni ignorano completamente così come tutte le altre conoscenze dellostesso genere: c’è un simbolismo geografico come c’è un simbolismo storico, ed è il valore simbolicoche dà alle cose il loro significato profondo, perché esso è il mezzo che stabilisce la lorocorrispondenza con realtà d’ordine superiore; ma, per determinare effettivamente questacorrispondenza, bisogna essere capaci, in una maniera o nell’altra, di percepire nelle cose stesse ilriflesso di quelle realtà. È per questo che vi sono luoghi più particolarmente adatti a servire da«supporto» all’azione delle «influenze spirituali», ed è su ciò che si è sempre basata la fondazione dicerti «centri» tradizionali principali o secondari, di cui gli «oracoli» dell’antichità ed i luoghi dipellegrinaggio forniscono gli esempi esteriormente più appariscenti; per contro vi sono altri luoghiche sono non meno particolarmente favorevoli al manifestarsi di «influenze» di carattere del tuttoopposto, appartenenti alle più basse regioni dell’àmbito sottile. Ma cosa può importare ad unoccidentale moderno che, per esempio, ci sia una «porta dei Cieli» in un certo luogo, od una «boccadegli Inferi» in un certo altro, dal momento che lo «spessore» della sua costituzione «psicofisio-logica» è tale che assolutamente in nessuno dei due egli può provare qualcosa di speciale? Questecose sono dunque letteralmente inesistenti per lui, il che, è sottinteso, non vuole affatto dire cheesse abbiano cessato di esistere; ed è del resto vero che, essendosi ridotte in certo qual modo alminimo le comunicazioni dell’àmbito corporeo con l’àmbito sottile, per poterle constatare occorreuno sviluppo delle stesse facoltà molto maggiore di un tempo, mentre sono proprio queste facoltàche, ben lungi dallo svilupparsi, sono andate al contrario generalmente affievolendosi ed hanno finitocon lo sparire nella «media» degli individui umani, così che la difficoltà e la rarità di percezioni diquest’ordine ne sono state doppiamente accresciute, permettendo ai moderni di deridere i raccontidegli antichi.A questo proposito vogliamo ancora aggiungere un’osservazione concernente certe descrizioni diesseri strani presenti in quei racconti. Poiché quelle descrizioni risalgono naturalmente, comemassimo, all’antichità «classica», in cui già si era prodotta un’incontestabile degenerazione dal punto

di vista tradizionale, è assai probabile che vi si siano introdotte confusioni di più generi; per cui unaparte di tali descrizioni può in realtà derivare da «sopravvivenze» di un simbolismo non più compre-so [La Storia Naturale di Plinio, in particolare, sembra essere una «fonte» quasi inesauribile diesempi riferentisi a casi di questo genere, fonte alla quale, del resto, tutti i suoi successori hannoassai abbondantemente attinto], un’altra parte può riferirsi alle apparenze rivestite dalle ma-nifestazioni di certe «entità» o «influenze» appartenenti all’àmbito sottile, ed un’altra ancora, senzadubbio non la più importante, può realmente essere la descrizione di esseri che ebbero unaesistenza corporea in tempi più o meno lontani, ma appartenenti a specie in seguito scomparse, osopravvissute solo in condizioni eccezionali e con molto rari rappresentanti, per cui se ne possonoincontrare ancor oggi checché ne pensino coloro che immaginano che a questo mondo non vi sia piùper essi niente di sconosciuto. È evidente che, per discernere che cosa si trovi al fondo di tutto ciò,occorrerebbe un lavoro molto lungo e difficile, tanto più che le «fonti» di cui si dispone sono lungi

dal rappresentare puri dati tradizionali; è evidentemente più semplice e più comodo respingere tuttoin blocco come fanno i moderni, i quali del resto non capirebbero certo meglio i veri e propri datitradizionali, che continuerebbero a vedere come indecifrabili enigmi; essi persisteranno,naturalmente, in tale atteggiamento negativo fino a che nuovi cambiamenti nella «faccia del mondo»non giungano infine a distruggere la loro ingannevole sicurezza.

20. Dalla sfera al cubo

Dopo aver dato alcune «illustrazioni» di quella che è stata da noi denominata la «solidificazione» delmondo, ci rimane ancora da parlare della sua rappresentazione secondo il simbolismo geometrico,nel quale essa può essere raffigurata come un passaggio graduale dalla sfera al cubo; di fatto, e inprimo luogo, la sfera è veramente la forma primordiale, in quanto è la meno «specificata» di tutte

perché simile a se stessa in tutte le direzioni, sicché, in un movimento di rotazione qualsiasi intornoal proprio centro, tutte le sue posizioni successive sono sempre rigorosamente sovrapponibili l’unaall’altra [Cfr. Le Symbolisme de la Croix, cit., capp. VI e XX]. Si tratta perciò, si potrebbe dire, dellaforma più universale, contenente in qualche modo tutte le altre, le quali ne trarranno origine perdifferenziazioni effettuantisi secondo alcune particolari direzioni; è questa la ragione per cui la formasferica è, in tutte le tradizioni, quella dell’«Uovo del Mondo», la forma cioè della rappresentazione

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dell’insieme «globale», nel loro stato primitivo ed «embrionale», di tutte le possibilità che sisvilupperanno nel corso di un ciclo di manifestazione [La stessa forma si ritrova ugualmente all’iniziodell’esistenza embrionale di ogni individuo incluso in tale sviluppo ciclico, giacché l’embrioneindividuale (pinda) è l’analogo microcosmico di ciò che l’«Uovo del Mondo» (Brahmanda) ènell’ordine macrocosmico]. È però importante segnalare che tale stato primitivo, per quanto riguardail nostro mondo, appartiene propriamente all’àmbito della manifestazione sottile, in quantoquest’ultima precede necessariamente la manifestazione grossolana e ne è come il principioimmediato; è questa di fatto la ragione per cui la forma sferica perfetta, o la forma circolare che lecorrisponde nella geometria piana (quale sezione della sfera mediante un piano di direzione

qualsiasi), non si trova mai realizzata nel mondo corporeo [Come esempio di quanto diciamopossiamo prendere il movimento dei corpi celesti, il quale non è rigorosamente circolare, maellittico; l’ellissi costituisce per così dire una prima «specificazione» del cerchio, per sdoppiamentodel centro in due poli o «fuochi», secondo un determinato diametro che assume di conseguenza unafunzione «assiale» particolare, mentre tutti gli altri diametri si differenziano tra di loro secondo leloro lunghezze rispettive. A tal proposito, aggiungeremo incidentalmente che, siccome i pianetidescrivono delle ellissi uno dei cui fuochi è occupato dal sole, ci si potrebbe chiedere a cosacorrisponde l’altro fuoco; giacché niente di corporeo ha posto in esso, dovrà trattarsi di qualcosa chenon può appartenere se non all’ordine sottile; senonché non è questa la sede per esaminare più afondo tale questione, che esorbiterebbe completamente dal nostro argomento].D’altra parte il cubo è, al contrario, la forma più «immobile» di tutte, se ci si permettequest’espressione, quella cioè che corrisponde al massimo di «specificazione»; tale forma è anchequella che viene riferita alla terra fra gli elementi corporei, e ciò in quanto la terra costituiscel’«elemento conclusivo e finale» della manifestazione in tale stato corporeo [Cfr. Fabre d’Olivet, Lalangue hébraïque restituée]; di conseguenza la forma cubica corrisponde altrettanto bene alla finedel ciclo di manifestazione, ovvero a ciò cui noi abbiamo dato il nome di «punto d’arresto» delmovimento ciclico. Tale forma è perciò in qualche modo quella del «solido» per eccellenza [Questonon vuol dire che la terra, in quanto elemento, sia assimilabile in modo puro e semplice allo statosolido, come alcuni a torto credono; essa è piuttosto il principio stesso della «solidità»], esimboleggia la «stabilità», in quanto quest’ultima implica l’arresto di ogni movimento; è del restoevidente che un cubo adagiato su una delle sue facce è di fatto il corpo il cui equilibrio presenta lastabilità massima. Conviene osservare che questa stabilità, al termine del movimento discendente,non è e non può essere nient’altro che l’immobilità pura e semplice, la cui immagine più vicina nelmondo corporeo ci è fornita dal minerale; quest’immobilità, se potesse essere interamenterealizzata, sarebbe propriamente, nel punto più basso, il riflesso capovolto di quel che è nel punto

più alto l’immutabilità principiale. L’immobilità, o la stabilità intesa in questo modo, rappresentatadal cubo, si riferisce dunque al polo sostanziale della manifestazione, così come l’immutabilità, nellaquale sono comprese tutte le possibilità nel loro stato «globale» rappresentato dalla sfera, si riferisceal suo polo essenziale [Questa è la ragione per cui la forma sferica si riferisce, secondo la tradizioneislamica, allo «Spirito» (Er-Ruh) o alla Luce primordiale]; è per questa ragione che il cubosimboleggia inoltre l’idea di «base» o di «fondamento», che corrisponde precisamente al polosostanziale [Nella Cabbala ebraica la forma cubica corrisponde, fra le Sefiroth, a Iesod, che è difattiil «fondamento» (e, se si obiettasse a questo proposito che Iesod non è tuttavia l’ultima Sefirah,basterebbe rispondere che dopo di essa non c’è più che Malkuth, cioè propriamente la«sintetizzazione» finale nella quale tutte le cose sono ricondotte a uno stato corrispondente, ad undiverso livello, all’unità principiale di Kether); nella costituzione sottile dell’individualità umanasecondo la tradizione indù, tale forma è legata al chakra «di base», o muladhara; ciò è similmente in

rapporto con i misteri della Kaabah nella tradizione islamica; e nel simbolismo dell’architettura ilcubo è propriamente la forma della «prima pietra» di un edificio, vale a dire della «pietra difondamento», posata al livello più basso, sulla quale riposerà tutta la struttura dell’edificioassicurandone in tal modo la stabilità]. Segnaliamo subito che le facce del cubo possono esserconsiderate come orientate rispettivamente a due a due secondo le tre dimensioni dello spazio, valea dire come parallele ai tre piani determinati dagli assi che formano il sistema di coordinate a cui lospazio è riferito e che permette di «misurarlo», cioè di realizzarlo effettivamente nella sua integra-lità; e poiché, secondo quanto da noi spiegato in altra sede, i tre assi che formano la croce a tredimensioni debbono esser considerati come tracciati a partire dal centro di una sfera la cui espan-sione indefinita riempie l’intero spazio (ed i tre piani che determinano tali assi passano inoltrenecessariamente per questo centro, che è l’«origine» di tutto il sistema di coordinate), si viene astabilire la relazione esistente tra le due forme estreme della sfera e del cubo, relazione nella quale

ciò che era interno e centrale nella sfera si ritrova in qualche modo «rovesciato» per costituire lasuperficie o l’esterno del cubo [Nella geometria piana una relazione simile si ottiene manifestamenteconsiderando i lati del quadrato paralleli a due diametri perpendicolari del cerchio, e il simbolismo ditale relazione è in rapporto diretto con ciò che la tradizione ermetica designa come la «quadraturadel cerchio», a cui faremo un breve accenno più oltre].

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D’altronde, il cubo rappresenta la terra in tutte le accezioni tradizionali della parola, vale a dire nonsolamente la terra in quanto elemento corporeo come abbiamo già detto, ma anche come unprincipio d’ordine ben più universale, quello che la tradizione estremo-orientale designa come laTerra (Ti) in correlazione con il Cielo (Tien): le forme sferiche o circolari sono ricondotte al Cielo, e leforme cubiche o quadrate alla Terra; poiché questi due termini complementari sono gli equivalenti diPurusha e di Prakriti nella dottrina indù, vale a dire che essi sono soltanto un’altra espressionedell’essenza e della sostanza intese in senso universale, ecco che si giunge esattamente alla stessaconclusione di prima; e del resto è evidente che, come le nozioni di essenza e di sostanza, lo stessosimbolismo è sempre suscettibile di applicarsi a livelli differenti, e quindi tanto ai princìpi di uno stato

particolare d’esistenza quanto a quelli dell’insieme della manifestazione universale. Con questeforme geometriche si riconducono al Cielo e alla Terra anche gli strumenti che servono a tracciarlirispettivamente, cioè il compasso e la squadra, tanto nel simbolismo della tradizione estremo-orien-tale quanto in quello delle tradizioni iniziatiche occidentali [In certe raffigurazioni simboliche ilcompasso e la squadra sono posti rispettivamente nelle mani di Fo-hi e di sua sorella Niu-kua, cosìcome, nelle figure alchemiche di Basilio Valentino, essi sono posti nelle mani delle due metàmaschile e femminile del Rebis o Androgino ermetico; se ne deduce che Fo-hi e Niu-kua sono incerto qual modo analogicamente assimilati, nelle loro rispettive funzioni, al principio essenziale omaschile e al principio sostanziale o femminile della manifestazione], e le corrispondenze di taliforme danno naturalmente luogo, in circostanze diverse, a molteplici applicazioni simboliche e rituali[È per questa ragione, ad esempio, che in Cina gli abiti rituali degli antichi sovrani dovevano avereforma rotonda verso l’alto e quadrata verso il basso; il sovrano rappresentava in tal modo il tipostesso dell’Uomo (jen) nella sua funzione cosmica, ovvero il terzo termine della «Grande Triade»,adempiendo la parte di intermediario tra il Cielo e la Terra e unendo in sé le potenze dell’uno edell’altra].Un altro caso in cui è posta in evidenza la relazione tra queste medesime forme geometriche è ilsimbolismo del «Paradiso terrestre» e della «Gerusalemme celeste», che abbiamo già avutooccasione di trattare in altra sede [Cfr. R. Guénon, Le Roi du Monde, Paris, 1927, pp. 92-93 (trad.it.: Il Re del Mondo, Milano, 1977, pp. 105-107) e Le Symbolisme de la Croix, cit., cap. IX]; questocaso è specialmente importante dal punto di vista in cui ci poniamo al presente, poiché si trattaprecisamente delle due estremità del ciclo attuale. Ora, la forma del «Paradiso terrestre», checorrisponde all’inizio di questo ciclo, è circolare, mentre quella della «Gerusalemme celeste», checorrisponde alla sua fine, è quadrata [Se si accosta quanto diciamo alle corrispondenze da noiindicate in precedenza, potrebbe sembrare che vi sia un’inversione nell’uso delle due parole«celeste» e «terrestre», e di fatto tali termini sono qui adatti soltanto se si vedono le cose in una

certa luce: all’inizio del ciclo il nostro mondo non era com’è attualmente, e il «Paradiso terrestre» vicostituiva la proiezione diretta, allora manifestata in modo visibile, della forma propriamente celestee principiale (esso era del resto situato in qualche modo ai confini del cielo e della terra, poiché èdetto che toccava la «sfera della Luna», cioè il «primo cielo»); alla fine del ciclo la «Gerusalemmeceleste» discende «dal cielo in terra», ed è soltanto al termine di tale discesa che essa appare sottola forma quadrata, perché in quel momento si arresta il movimento ciclico]; e il recinto circolare del«Paradiso terrestre» non è niente di diverso dalla sezione orizzontale dell’«Uovo del Mondo», vale adire della forma sferica universale e primordiale [Conviene notare che questo cerchio è diviso dallacroce formata dai quattro fiumi che si dipartono dal suo centro, il che produce esattamente la figuradi cui abbiamo parlato trattando della relazione tra il cerchio e il quadrato]. Si potrebbe dire che èquesto cerchio stesso a mutarsi alla fine in un quadrato, poiché le due estremità devono toccarsi omeglio (giacché il ciclo non si chiude mai realmente, cosa che implicherebbe una ripetizione

impossibile) corrispondersi esattamente; la presenza dello stesso «Albero della Vita» al centro inentrambi i casi indica in modo diverso che si tratta effettivamente solo di due stati di una medesimacosa; ed il quadrato raffigura in questo caso il compimento delle possibilità del ciclo, le quali erano ingerme nel «recinto organico» circolare dell’inizio, e sono poi fissate e stabilizzate in uno stato inqualche modo definitivo, per lo meno in rapporto a questo ciclo stesso. Tale risultato finale puòinoltre essere rappresentato come una «cristallizzazione», il che riporta sempre alla forma cubica (oquadrata, nella sua sezione piana): si avrà in questo caso una «città» con un simbolismo minerale,mentre all’inizio si aveva un «giardino» con un simbolismo vegetale, la vegetazione rappresentandol’elaborazione dei germi nella sfera dell’assimilazione vitale [Cfr. R. Guénon, L’Esotérisme de Dante,Paris, 1925, pp. 91-92]. Ricorderemo quel che abbiamo detto in precedenza sull’immobilità delminerale, come immagine del termine verso cui tende la «solidificazione» del mondo; sennonché èqui il caso di aggiungere che si tratta del minerale considerato in uno stato già «trasformato» o

«sublimato», poiché nella descrizione della «Gerusalemme celeste» quelle che vengono raffiguratesono pietre preziose. È questa la ragione per cui la fissazione non è veramente definitiva che inrapporto al ciclo attuale, e, oltre il «punto d’arresto», la stessa «Gerusalemme celeste» deve, ingrazia del concatenamento causale che non ammette alcuna discontinuità effettiva, diventare il«Paradiso terrestre» del ciclo futuro, giacché l’inizio di quest’ultimo e la fine di quello che lo precedenon sono propriamente che un solo e identico momento visto da due lati opposti [Questo momento è

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pure rappresentato come quello del «rovesciamento dei poli», ovvero come il giorno in cui «gli astrisorgeranno a Occidente e tramonteranno ad Oriente», giacché un movimento di rotazione, aseconda che sia guardato da un lato o dall’altro, sembra effettuarsi in due sensi opposti, anche se inrealtà si tratta sempre dello stesso movimento che prosegue sotto un altro punto di vista,corrispondente a quello dello svolgimento di un nuovo ciclo].Non è meno vero che, qualora ci si limiti alla considerazione del ciclo attuale, giunga alla fine unmomento nel quale «la ruota cessa di girare», e, come sempre, anche in questo caso il simbolismo èperfettamente coerente: infatti una ruota è anch’essa una figura circolare, e, se si deforma fino adiventare un quadrato, è evidente che non può fare a meno di fermarsi. Questa è la ragione per cui

il momento in questione appare come una «fine del tempo»; ed è in quell’istante che, secondo latradizione indù, i «dodici Soli» splenderanno simultaneamente, poiché il tempo è misuratoeffettivamente dal percorso del Sole attraverso i dodici segni dello Zodiaco, che costituisce il cicloannuale, ed arrestandosi la rotazione i dodici aspetti corrispondenti si fonderanno, per così dire, inuno solo, rientrando in tal modo nell’unità essenziale e primordiale della loro natura comune, poichéessi non sono differenti che dal punto di vista della manifestazione ciclica, la quale sarà alloraterminata [Cfr. Le Roi du Monde, cit., p. 38 (trad. it., pp. 44-45). I dodici segni dello Zodiaco, inveced’essere disposti circolarmente, diventano le dodici porte della «Gerusalemme celeste», tre dellequali sono disposte su ciascun lato del quadrato, e i «dodici Soli» compaiono al centro della «città»come i dodici frutti dell’«Albero della Vita»]. D’altra parte, il mutamento del cerchio in un quadratoequivalente [Vale a dire di ugual superficie, se ci si pone da un punto di vista quantitativo,sennonché questa è soltanto un’espressione esclusivamente esteriore della questione] è quantoviene designato come la «quadratura del cerchio»; coloro che dichiarano di quest’ultima che è unproblema insolubile, pur se ignorano totalmente il suo significato simbolico, si trovano dunque adavere di fatto perfettamente ragione, perché tale «quadratura», intesa nel suo vero senso, nonpotrà essere realizzata che alla fine vera e propria del ciclo [La formula numerica corrispondente èquella della Tetraktys pitagorica: 1 + 2 + 3 + 4 = 10; se si considerano i numeri in senso inverso: 4+ 3 + 2 + 1, si ottengono le proporzioni dei quattro Yuga, la cui somma forma il denario, cioè il ciclocompleto e finito].Si deduce inoltre da quanto abbiamo esposto che la «solidificazione» del mondo si presenta in certomodo sotto un duplice aspetto: vista in se stessa, nel corso del ciclo, come conseguenza di unmovimento discendente verso la quantità e la «materialità», essa ha evidentemente un significato«sfavorevole» e financo «sinistro», opposto alla spiritualità; d’altro canto, essa è tuttavia necessariaa preparare, pur se in un modo che potremmo dire «negativo», la fissazione ultima dei risultati delciclo sotto la forma di quella «Gerusalemme celeste» nella quale tali risultati diventeranno

immediatamente i germi delle possibilità del ciclo futuro. Soltanto che, è evidente, in questafissazione ultima, e perché essa sia veramente una restaurazione dello «stato primordiale», occorrel’intervento immediato di un principio trascendente, senza di che nulla potrebbe essere salvato ed il«cosmo» svanirebbe puramente e semplicemente nel «caos»; è questo intervento a produrrel’«inversione» finale, già raffigurata dalla «trasmutazione» del minerale nella «Gerusalemme cele-ste», e che conduce in seguito alla riapparizione del «Paradiso terrestre» nel mondo visibile, nelquale vi saranno ormai «nuovi cieli e una nuova terra», poiché si tratterà dell’inizio di un nuovoManvantara e dell’esistenza di un’altra umanità.

21. Caino e Abele

Oltre a quelle di cui abbiamo detto finora, la «solidificazione» del mondo ha, nell’ordine umano esociale, altre conseguenze di cui non abbiamo ancora parlato: essa genera, a questo riguardo, unostato di cose in cui tutto è contato, registrato e regolamentato, ciò che in fondo non è che un’altraforma di «meccanizzazione». È fin troppo facile constatare dappertutto, all’epoca nostra, fattisintomatici quali, per esempio, la mania dei censimenti (la quale si ricollega del resto direttamenteall’importanza attribuita alle statistiche) [Ci sarebbe molto da dire sulle proibizioni formulate inalcune tradizioni contro i censimenti, salvo in pochi casi eccezionali; se si dicesse che similioperazioni, insieme a tutte quelle del cosiddetto «stato civile», hanno fra gli altri inconvenienti quellodi contribuire ad accorciare la durata della vita umana (ciò che è del resto conforme al procederestesso del ciclo, soprattutto nei suoi ultimi periodi), certamente nessuno ci crederebbe, e tuttavia incerti paesi anche i contadini più ignoranti sanno benissimo, quale fatto d’esperienza corrente, che sesi contano troppo spesso gli animali ne muoiono molti di più che se ci se ne astiene; senonché

evidentemente, agli occhi dei moderni sedicenti «illuminati», queste non possono essere che«superstizioni»!] e, in generale, l’incessante moltiplicarsi degli interventi amministrativi in tutte lecongiunture della vita, interventi che devono ovviamente avere come effetto di assicurarel’uniformità più completa possibile tra gli individui, tanto più che uno dei «princìpi», se così si puòchiamare, d’ogni amministrazione moderna, è di trattare tali individui come semplici unità numerichein tutto simili l’una all’altra, vale a dire d’agire come se, per ipotesi, l’uniformità «ideale» fosse già

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realizzata, e di obbligare in questo modo tutti gli uomini a «dimensionarsi», se si potesse dire,secondo una stessa misura «media». Avviene d’altronde che simile regolamentazione, man manosempre più eccessiva, abbia una conseguenza assai paradossale: mentre si vantano la rapidità e lafacilità crescenti delle comunicazioni tra i paesi più lontani, grazie alle invenzioni dell’industriamoderna, nello stesso tempo si procurano tutti gli ostacoli possibili alla libertà delle comunicazioni,cosicché è spesso praticamente impossibile passare da un paese all’altro, ed in ogni caso ciò èdiventato certamente molto più difficile che ai tempi in cui non esisteva nessun mezzo meccanico ditrasporto. Si tratta di un altro degli aspetti particolari della «solidificazione»: in un mondo simile nonc’è più posto per i popoli nomadi che finora sussistevano in condizioni diverse, perché essi giungono

a poco a poco a non trovar più davanti a loro alcuno spazio libero, e giacché inoltre vengono fattisforzi di ogni genere per ridurli a vita sedentaria [A questo proposito si possono citare quali esempiparticolarmente significativi i progetti «sionisti» nei riguardi degli Ebrei, così come i tentativi fatti direcente per «fissare» gli Zingari in alcune contrade dell’Europa orientale], cosicché anche sottoquesto aspetto non sembra più molto lontano il momento in cui «la ruota cesserà di girare». Per dipiù in questa vita sedentaria le città, le quali rappresentano in qualche modo l’ultimo grado della«fissazione», assumono un’importanza preponderante e tendono sempre più ad assorbire ogni cosa[A tale riguardo è necessario, per di più, ricordare che la «Gerusalemme celeste» è essa stessasimbolicamente una «città», ciò che mostra come anche in questo caso occorra tener conto, comedicevamo più sopra, di un duplice significato della «solidificazione»]: è così che, verso la fine delciclo, Caino termina veramente di uccidere Abele.In effetti, nel simbolismo biblico Caino è rappresentato prima di tutto come un agricoltore, e Abelecome un pastore, e sono perciò i tipi delle due specie di popoli che ebbero esistenza fin dall’originedell’umanità presente, o per lo meno fin da quando non si produsse la prima differenziazione: isedentari, dediti alla coltivazione della terra; i nomadi, dediti all’allevamento del bestiame [Sarebbeil caso di aggiungere che, poiché Caino è definito il fratello maggiore, l’agricoltura pare, per questaragione, avere una certa anteriorità; e di fatto Adamo stesso è rappresentato fin da prima della«caduta» come avente per funzione di «coltivare il giardino», ciò che d’altronde ha propriamenteattinenza col predominio del simbolismo vegetale nella raffigurazione dell’inizio del ciclo (dondeun’«agricoltura» simbolica e financo iniziatica, quella stessa che Saturno, presso i Latini, era dettoaver pure insegnato agli uomini dell’«età dell’oro»); comunque stiano le cose, noi qui dobbiamotener conto soltanto dello stato simboleggiato dall’opposizione (la quale è nello stesso tempo uncomplementarismo) di Caino e di Abele, vale a dire di quello stato in cui la distinzione dei popoli inagricoltori e pastori è già un fatto compiuto]. Sono queste, occorre insistere, le occupazioniessenziali e primordiali di questi due tipi umani; il resto non è se non accidentale, derivato e

sovrapposto, e parlare per esempio di popoli cacciatori o pescatori, come comunemente fanno glietnologi moderni, è o confondere l’accidentale con l’essenziale, o riferirsi unicamente a casi più omeno tardivi di anomalia e di degenerazione, come se ne possono riconoscere di fatto, presso certiselvaggi (ed i popoli principalmente commercianti o industriali dell’Occidente moderno non sono delresto meno anormali, benché in un modo diverso) [Le denominazioni di Iran e Turan, nelle quali sisono volute vedere designazioni di razze, in realtà definiscono rispettivamente i popoli sedentari e ipopoli nomadi; Iran o Airyana deriva dal termine arya (da cui arya per allungamento), che significa«aratore» (derivato a sua volta dalla radice ar, che si ritrova nel latino arare, arator, ed anchearvum, «campo»); sicché l’uso del termine arya quale designazione onorifica (per le caste superiori)è, di conseguenza, caratteristico della tradizione dei popoli dediti all’agricoltura]. Ciascuna di questedue categorie aveva naturalmente la legge tradizionale sua propria, differente da quella dell’altra eadatta al suo genere di vita e alla natura delle sue occupazioni; tale differenza si manifestava in

particolare nei riti sacrificali, da cui la speciale menzione fatta nel racconto della Genesi delle offertevegetali di Caino e delle offerte animali di Abele [Riguardo all’importanza del tutto particolare delsacrificio e dei riti che vi si riferiscono nelle diverse forme tradizionali, cfr. Frithjof Schuon, DuSacrifice, in «Études Traditionnelles», aprile 1938, e A.K. Coomaraswamy, Atmayajna: Self-sacrifice,in «Harvard Journal of Asiatic Studies», febbraio 1942]. E poiché stiamo facendo più particolareriferimento al simbolismo biblico, sarà bene notare immediatamente, a tal proposito, che la Thorahebraica si ricollega propriamente al tipo di legge dei popoli nomadi: di qui il modo in cui è presentatala storia di Caino e Abele, la quale, dal punto di vista dei popoli sedentari, apparirebbe sotto un’altraluce e sarebbe suscettibile di un’altra interpretazione. Resta però inteso che gli aspetticorrispondenti a questi due punti di vista sono inclusi entrambi nel suo significato profondo, perchénon si tratta d’altro, in definitiva, che di un’applicazione del duplice significato dei simboli,applicazione a cui abbiamo già fatto parziale allusione trattando della «solidificazione», poiché tale

questione, come si vedrà forse ancor meglio in seguito, è strettamente legata al simbolismodell’uccisione di Abele da parte di Caino. Dallo speciale carattere della tradizione ebraica discendepure la riprovazione che è in essa legata a certe arti o a certi mestieri i quali convengonopropriamente ai sedentari, e specificamente a tutto quel che attiene alla costruzione di dimore fisse.Così, di fatto, fu per lo meno fino all’epoca in cui precisamente Israele cessò d’esser nomade, ealmeno per diversi secoli, vale a dire fino ai tempi di Davide e di Salomone, e si sa che per costruire

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il Tempio di Gerusalemme fu ancora necessario far ricorso a operai stranieri [La fissazione del popoloebraico dipendeva d’altronde essenzialmente dall’esistenza stessa del Tempio di Gerusalemme;distrutto questo, il nomadismo ricompare sotto la forma speciale della «dispersione»].Sono naturalmente i popoli dediti all’agricoltura che, a causa del loro essere sedentari, presto o tardisono portati a costruire città; e, di fatto, è detto che la prima città fu fondata da Caino stesso; talefondazione ha d’altronde luogo soltanto molto dopo che vien fatta menzione delle occupazioniagricole di Caino, ciò che fa ben vedere come vi siano due fasi successive nel «sedentarismo», laseconda rappresentando, nei confronti della prima, un grado più accentuato di fissità e di«restrizione» spaziale. In modo generale, le opere dei popoli sedentari possono esser dette opere

del tempo: costretti nello spazio in un campo strettamente limitato, essi sviluppano la loro attività inuna continuità temporale che appare loro indefinita. All’opposto, i popoli nomadi e pastori nonedificano nulla di durevole, e non lavorano in vista d’un avvenire che sfugge loro; ma hanno davantia sé lo spazio, il quale non oppone nessuna limitazione, aprendo loro, al contrario, costantementenuove possibilità. Si ritrova in tal modo la corrispondenza dei princìpi cosmici ai quali si riferisce, inun altro ordine, il simbolismo di Caino e di Abele: il principio di compressione, rappresentato daltempo; il principio di espansione, rappresentato dallo spazio [Per ciò che riguarda questo significatocosmologico rimandiamo ai lavori di Fabre d’Olivet]. A dire il vero, sia l’uno sia l’altro di questi dueprincìpi si manifestano tanto nel tempo quanto nello spazio, così come in ogni cosa, ed è necessarionotarlo per evitare identificazioni o assimilazioni troppo «semplificate», e per risolvere, talvolta,certe opposizioni apparenti; ciò nonostante, è certo che l’azione del primo predomina nella con-dizione temporale, e quella del secondo nella condizione spaziale. Ora, il tempo consuma lo spazio,se così si può dire, affermando in tal modo la sua natura di «divoratore», e di conseguenza, nelcorso degli anni, i sedentari assorbono i nomadi a poco a poco: sta qui, come accennavamo piùsopra, il senso sociale e storico dell’uccisione di Abele da parte di Caino.L’attività dei nomadi si esercita specialmente sul regno animale, come essi mobile; quella deisedentari, al contrario, prende come oggetto i due regni fissi, il vegetale ed il minerale[L’utilizzazione degli elementi minerali comprende in particolare la costruzione e la metallurgia; suquest’ultima avremo da ritornare, poiché il simbolismo biblico ne fa risalire l’origine a Tubalcain, a undiscendente diretto, cioè, di Caino, il cui nome si ritrova addirittura quale elemento che entra nellaformazione del suo proprio nome; ciò sta ad indicare che tra i due esiste una corrispondenzaparticolarmente stretta]. D’altra parte, per forza di cose, i sedentari sono portati ad adottare deisimboli visivi, immagini fatte di sostanze diverse, le quali sotto l’aspetto del loro significatoessenziale si riconducono però sempre, più o meno direttamente, allo schematismo geometrico,origine e fondamento di ogni formazione spaziale. I nomadi, invece, a cui le immagini sono vietate,

così come tutto quel che tenderebbe a legarli ad un luogo determinato, si costituiscono dei simbolisonori, i soli compatibili con il loro stato di migrazione continua [La distinzione tra queste duefondamentali categorie di simboli è, nella tradizione indù, quella tra yantra, o simbolo figurato, emantra, o simbolo sonoro; essa comporta naturalmente una distinzione corrispondente nei riti dovequesti elementi simbolici sono rispettivamente impiegati; quantunque non sempre si possariscontrare una separazione così netta come quella che è il caso di affermare in linea teorica, giacchédi fatto sono possibili, in questo campo, tutte le combinazioni nelle proporzioni più diverse].Senonché c’è da notare che, fra le facoltà sensibili, la vista è in rapporto diretto con lo spazio, el’udito col tempo: gli elementi del simbolo visivo si esprimono in simultaneità, quelli del simbolosonoro in successione; in questo àmbito si opera perciò una specie di rovesciamento delle relazionigià considerato in precedenza, rovesciamento che è del resto necessario per stabilire un certoequilibrio tra i due principi contrari di cui abbiamo parlato, e per mantenere le loro rispettive azioni

entro limiti compatibili con l’esistenza umana normale. A causa di ciò i sedentari creano le artiplastiche (architettura, scultura, pittura, cioè le arti delle forme che si dispiegano nello spazio; inomadi creano le arti fonetiche (musica, poesia), cioè le arti delle forme che si sviluppano neltempo; e ciò perché, è opportuno insistervi una volta ancora, tutte le arti alla loro origine sonoessenzialmente simboliche e rituali, ed è soltanto a causa di una degenerazione posteriore, in realtàmolto recente, che esse perdono questo loro carattere sacro per diventare alla fine il «gioco»puramente profano a cui si riducono presso i nostri contemporanei [Occorrerà appena far rilevareche in tutte le considerazioni qui esposte si vede apparire nettamente il carattere correlativo e inqualche modo simmetrico delle due condizioni spaziale e temporale viste sotto il loro aspettoqualitativo].Ecco perciò dove si manifesta il complementarismo delle condizioni d’esistenza: coloro che lavoranoper il tempo sono stabilizzati nello spazio; coloro che errano nello spazio si modificano

incessantemente col tempo. Ed ecco ancora riapparire l’antinomia del «senso inverso»: coloro chevivono secondo il tempo, elemento mutevole e distruggitore, si fissano e conservano; coloro chevivono secondo lo spazio, elemento fisso e permanente, si disperdono e mutano incessantemente.Occorre che sia così perché l’esistenza degli uni e degli altri permanga possibile, in graziadell’equilibrio almeno relativo che si stabilisce tra i termini rappresentativi delle due tendenzecontrarie; se l’una o l’altra solamente delle due tendenze compressiva ed espansiva entrasse in

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azione, la fine sopravverrebbe ben presto, vuoi per «cristallizzazione», vuoi per «volatilizzazione»,se ci è permesso servirci a questo proposito delle espressioni simboliche che dovrebbero evocare la«coagulazione» e la «soluzione» alchemiche, le quali d’altronde corrispondono effettivamente, nelmondo attuale, a due fasi delle quali avremo ancora da precisare in seguito il significato rispettivo [Èquesta la ragione per cui il nomadismo, sotto il suo aspetto «malefico» e deviato, esercita facilmenteun’azione «dissolutrice» su tutto ciò con cui viene a contatto; da parte sua il sedentarismo, sotto lostesso aspetto, non può infine portare che alle forme più grossolane di un materialismo senza vied’uscita]. Ci troviamo qui, di fatto, in un campo dove si affermano con nettezza particolare tutte leconseguenze delle dualità cosmiche, immagini o riflessi più o meno lontani della dualità prima, quella

stessa di essenza e di sostanza, del Cielo e della Terra, di Purusha e di Prakriti, la quale genera edomina ogni manifestazione.Senonché, per ritornare al simbolismo biblico, il sacrificio animale è fatale ad Abele [Come Abeleversò il sangue degli animali, così il suo sangue è versato da Caino; è da vedere in ciò l’espressionedi una «legge di compensazione» in virtù della quale i parziali squilibri nei quali consiste in fondoogni manifestazione si integrano nell’equilibrio totale] e l’offerta vegetale di Caino non è gradita[Vale la pena di dar rilievo al fatto che la Bibbia ebraica ammette tuttavia la validità del sacrificioincruento in sé e per sé considerato: è tale infatti il caso del sacrificio di Melchisedec, consistentenell’offerta essenzialmente vegetale del pane e del vino; senonché quest’ultima si riconduce in realtàal rito del Soma vedico e alla perpetuazione diretta della «tradizione primordiale», al di là dellaforma particolare della tradizione ebraica e «abramica», e persino, ben più lontano ancora, al di làdella distinzione tra la legge dei popoli sedentari e quella dei popoli nomadi; si tratta di un altroricordo dell’associazione del simbolismo vegetale con il «Paradiso terrestre», vale a dire con lo«stato primordiale» della nostra umanità. L’accettazione del sacrificio di Abele e il rifiuto di quello diCaino sono talvolta raffigurati in una forma simbolica piuttosto inconsueta: il fumo del primos’innalza verticalmente verso il cielo, mentre quello del secondo si spande orizzontalmente sullasuperficie della terra; essi tracciano in tal modo, rispettivamente, l’altezza e la base d’un triangoloche rappresenta l’àmbito della manifestazione umana]; colui che è benedetto muore, e quegli chevive è maledetto. L’equilibrio, dall’una e dall’altra parte, è dunque rotto; come ristabilirlo se non permezzo di scambi, tali che ciascuno abbia la sua parte delle produzioni dell’altro? Così avviene che ilmovimento associ il tempo e lo spazio, essendo in qualche modo una risultante della lorocombinazione, e concili in essi le due tendenze opposte di cui s’è trattato poco fa [Del resto questedue tendenze si manifestano inoltre nel movimento stesso, sotto le forme rispettive del movimentocentripeto e del movimento centrifugo]; il movimento non è ancora, anch’esso, nient’altro che unaserie di squilibri, ma la somma di questi ultimi costituisce l’equilibrio relativo compatibile con la legge

della manifestazione o del «divenire», cioè con l’esistenza contingente stessa. Ogni scambio fra gliesseri soggetti alle condizioni temporale e spaziale è in definitiva un movimento, o meglio uninsieme di due movimenti inversi e reciproci, i quali si armonizzano e si compensano l’un l’altro; quil’equilibrio si realizza perciò direttamente in grazia di tale compensazione [Equilibrio, armonia,giustizia non sono in realtà che tre forme o tre aspetti di una sola e identica cosa; sarebbe del restopossibile, in un certo qual senso, farli corrispondere rispettivamente ai tre campi di cui parliamodopo, a condizione, beninteso, di limitare in tal caso la giustizia al suo senso più immediato, delquale la semplice «onestà» nelle transazioni commerciali rappresenta, nei moderni, l’espressioneparziale e degenerata, in seguito alla riduzione d’ogni cosa al punto di vista profano e alla meschinabanalità della «vita ordinaria»]. Il movimento alternativo degli scambi può del resto avere il suooggetto nei tre campi spirituale (o intellettuale puro), psichico e corporeo, in corrispondenza con i«tre mondi»: scambio dei princìpi, dei simboli e delle offerte; questo è, nella vera storia tradizionale

dell’umanità terrestre, il triplice fondamento sul quale riposa il mistero dei patti, delle alleanze edelle benedizioni, vale a dire, in fondo, la ripartizione vera e propria delle «influenze spirituali» inazione nel nostro mondo. Ma non possiamo insistere oltre su queste ultime considerazioni, che siriferiscono in tutta evidenza a uno stato normale da cui siamo attualmente lontanissimi in ognisenso, e del quale il mondo moderno in quanto tale non è propriamente che la pura e semplice ne-gazione [L’intervento dell’autorità spirituale in ciò che riguarda la moneta, nelle civiltà tradizionali, siriferisce direttamente a quanto qui accennato; la moneta stessa, di fatto, è in qualche modo larappresentazione vera e propria dello scambio, e da ciò si può comprendere in modo più precisoquale fosse la funzione effettiva dei simboli su di essa riprodotti e che di conseguenza circolavanocon essa, conferendo allo scambio un significato completamente diverso da quello inerente alla suasemplice «materialità», la quale è tutto quel che ne rimane nelle condizioni profane che dominano,nel mondo moderno, le relazioni sia dei popoli sia degli individui].

22. SIGNIFICATO della metallurgia

Le arti o i mestieri implicanti un’attività che si eserciti sul regno minerale, abbiamo detto,appartengono propriamente ai popoli sedentari, e come tali erano proibiti dalla legge tradizionale deipopoli nomadi, di cui l’esempio più generalmente noto è rappresentato certamente dalla legge

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ebraica; è infatti evidente che tali arti tendono direttamente alla «solidificazione», la quale, nelmondo corporeo come a noi si presenta, raggiunge di fatto nel minerale il suo grado dimanifestazione più elevato. Inoltre il minerale, nella sua forma più comune, quella della pietra, serveinnanzi tutto alla costruzione di edifici stabili [È tuttavia vero che, presso molti popoli, le costruzionidelle epoche più antiche erano in legno, senonché, evidentemente, tali edifici non erano né cosìduraturi, né di conseguenza così fissi, come gli edifici in pietra; l’uso del minerale nella costruzionecomporta perciò in ogni caso un maggior grado di «solidità» in tutti i sensi della parola]; una città, inparticolare, con l’insieme degli edifici che la compongono appare in qualche modo comeun’agglomerazione artificiale di minerali; e del resto, come già abbiamo detto, la vita nelle città

corrisponde a un sedentarismo ancor più completo di quello della vita agricola, nello stesso modo incui il minerale è più fisso e più «solido» del vegetale. Ma c’è di più; le arti aventi come oggetto ilminerale comprendono anche la metallurgia sotto tutte le sue forme. Ora, se si osserva che nellanostra epoca il metallo tende sempre maggiormente a sostituire nella costruzione la pietra, cosìcome la pietra aveva un tempo sostituito il legno, si è portati a pensare che debba trattarsi di unodei sintomi caratteristici di una fase più «avanzata» nel cammino discendente del ciclo; questo vieneconfermato dal fatto che, in generale, il metallo riveste una parte sempre più grande nella modernaciviltà «industrializzata» e «meccanizzata», e ciò, se così si può dire, tanto dal punto di vistadistruttivo quanto da quello costruttivo, giacché il consumo di metallo che le guerre contemporaneecomportano è veramente prodigioso.Questa osservazione concorda del resto con una peculiarità che s’incontra nella tradizione ebraica:fin dal principio, quando l’impiego di pietre era permesso in casi quali la costruzione di altari, venivatuttavia specificato che le pietre dovevano essere «intere» e «non toccate da ferro» [Deuteronomio,XXVII, 5-6]. Secondo i termini stessi di questo passo, l’insistenza è meno diretta al fatto di nonlavorare la pietra quanto a quello di non fare uso di metallo in tale circostanza; la proibizioneriguardante il metallo assumeva quindi un maggior rigore, principalmente per tutto quanto fossedestinato ad un uso più particolarmente rituale [Di qui, anche, l’impiego persistente di coltelli dipietra per il rito della circoncisione]. Tracce di questa interdizione permasero anche quando Israelecessò di essere nomade e costruì, o fece costruire, edifici stabili: quando fu eretto il Tempio diGerusalemme, «le pietre furono tutte trasportate come dovevano essere, cosicché durante lacostruzione dell’edificio non si udì né martello, né ascia, né utensili di ferro» [I Re, VI, 7. Il Tempiodi Gerusalemme conteneva, ciò nonostante, una grande quantità di oggetti metallici, ma l’uso diquesti ultimi si ricollega all’altro aspetto del simbolismo dei metalli, il quale è di fatto duplice comeavremo a dire tra poco; sembra d’altronde che la proibizione finisse con l’essere in qualche modo«localizzata» principalmente sull’impiego del ferro il quale precisamente è, fra tutti i metalli, quello la

cui funzione è più importante nell’epoca moderna]. In realtà questo fatto non riveste nessunaparticolare eccezionalità, e nello stesso senso si potrebbero trovare una quantità di altri indizi con-cordanti: è così che in molti paesi è esistita, ed esiste ancor oggi, una sorta di esclusione parzialedalla comunità, o per lo meno di «messa al bando», che colpisce gli operai dediti alla lavorazione deimetalli, in particolare i fabbri, il cui mestiere è d’altronde spesso associato alla pratica d’una magiainferiore e pericolosa, nella maggior parte dei casi degenerata nel suo ultimo stadio in pura esemplice stregoneria. Sennonché, secondo un altro punto di vista, in alcune forme tradizionali lametallurgia è stata invece particolarmente esaltata ed è financo servita come fondamento perorganizzazioni iniziatiche di grande importanza; ci accontenteremo di citare, a questo proposito,l’esempio dei Misteri cabirici, senza che ci sia però possibile insistere in questa sede su taleargomento, estremamente complesso, che ci trascinerebbe troppo lontano. Ciò che occorre inveceritenere per il momento è che la metallurgia ha un duplice aspetto «sacro» ed «esecrato», e a ben

considerare questi due aspetti le derivano dal simbolismo duplice inerente ai metalli in quanto tali.Per capire quanto diciamo bisogna innanzi tutto ricordarsi che i metalli, a causa delle lorocorrispondenze astrali, sono in qualche modo i «pianeti del mondo inferiore»; essi devono perciònaturalmente avere, come i pianeti stessi da cui ricevono e di cui condensano per così dire gliinflussi nell’ambiente terrestre, un aspetto «benefico» e un aspetto «malefico» [Nella tradizionezoroastriana pare che i pianeti siano visti quasi esclusivamente sotto il loro aspetto «malefico»; ciòpuò essere il risultato del particolare punto di vista di questa tradizione, sennonché quel che siconosce attualmente come residuo di quest’ultima è costituito da frammenti troppo mutilati perchésia possibile pronunciarsi esattamente su questioni del genere]. Inoltre, trattandosi tutto sommatodi un riflesso inferiore, il che è nettamente raffigurato dalla posizione stessa delle miniere metallichenell’interno della terra, il lato «malefico» deve facilmente diventare preponderante; occorre nondimenticare che dal punto di vista tradizionale i metalli e la metallurgia sono in diretta relazione con

il «fuoco sotterraneo», la cui idea si associa sotto più di un aspetto a quella del «mondo infernale»[Per quanto riguarda questa relazione con il «fuoco sotterraneo», la manifesta rassomiglianza delnome di Vulcano con quello del biblico Tubalcain è particolarmente significativa; entrambi sono delresto rappresentati come fabbri; e precisamente riguardo ai fabbri, aggiungeremo che taleassociazione con il «mondo infernale» spiega a sufficienza quanto dicevamo in precedenzadell’aspetto «sinistro» del loro mestiere. I Cabiri, d’altra parte, pur essendo anch’essi fabbri,

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avevano un duplice aspetto terrestre e celeste, che li metteva in rapporto tanto con i metalli quantocon i corrispondenti pianeti]. Naturalmente gli influssi metallici, quando siano accostati secondo illoro lato «benefico» ed utilizzati in modo veramente «rituale», nel senso più completo della parola,sono atti ad essere «trasmutati» e «sublimati», diventando in questo modo tanto più capaci di es-sere un «supporto» spirituale in quanto ciò che più è a livello basso corrisponde, secondo l’analogiainversa, a ciò che è al livello più elevato; l’intero simbolismo minerale dell’alchimia è in definitivafondato su questo fatto, e con esso quello delle antiche iniziazioni cabiriche [È opportuno ricordareche l’alchimia propriamente detta si fermava al «mondo intermedio», contenendosi al punto di vistache può essere detto «cosmologico»; certo il suo simbolismo non era con ciò meno atto ad una

trasposizione che gli conferiva un valore veramente spirituale e iniziatico]. All’opposto, quando sitratta esclusivamente dell’uso profano dei metalli, e tenuto conto del fatto che il punto di vistaprofano in sé ha di necessità per effetto di tagliare ogni comunicazione con i princìpi superiori,l’unico che possa agire effettivamente sarà soltanto il lato «malefico» degli influssi corrispondenti, ilquale, inoltre, tanto più si svilupperà quanto più si troverà in tal modo isolato da tutto ciò chepotrebbe contenerlo e controbilanciarlo; tale caso, di un uso esclusivamente profano, è ovviamentequello che nel mondo moderno si attua in tutta la sua ampiezza [Il caso della moneta quale sipresenta attualmente può nuovamente servire da esempio caratteristico: spogliata di tutto quel chepoteva, nelle civiltà tradizionali, farne un veicolo di «influenze spirituali», non solamente essa èridotta ad esser soltanto, in se stessa, un puro segno «materiale» e quantitativo, ma inoltre puòesercitare solo una funzione veramente nefasta e «satanica» che è fin troppo facile constatareeffettivamente nella nostra epoca].Ci siamo finora posti soprattutto dall’angolo visuale della «solidificazione» del mondo, del restoquello che propriamente conduce al «regno della quantità», e di cui l’uso attuale dei metalli non èancora che uno solo degli aspetti; questo angolo visuale è, di fatto, quello che si è manifestato nelmodo più appariscente in ogni cosa, almeno fino al punto in cui il mondo è giunto al presente. Ma lecose possono spingersi ancora oltre, e i metalli, a causa delle influenze sottili che portano in loro,possono avere un’ulteriore funzione in una fase più avanzata, tendente più direttamente alladissoluzione finale; è vero che queste influenze sottili, durante l’intero corso del periodo che puòessere detto materialistico, sono in qualche modo passate allo stato latente, così come tutto ciò cheesorbita il puro e semplice ordine corporeo; ma ciò non vuole dire che esse abbiano cessato d’esi-stere, e neppure che abbiano cessato completamente di agire, pur se in modo dissimulato, modo dicui l’aspetto «satanico» presente nello stesso «macchinismo», soprattutto (ma non unicamente)nelle sue applicazioni distruttive, è dopo tutto soltanto una manifestazione, quantunque i materialistisiano ovviamente incapaci di nulla sospettarne. Tali influenze possono dunque soltanto attendere

un’occasione favorevole per affermare più apertamente la loro azione, e naturalmente sempre nellostesso senso «malefico», giacché, quanto alle influenze d’ordine «benefico», il nostro mondo è statoloro per così dire chiuso dall’atteggiamento profano dell’umanità moderna. Ora, una occasione similepuò anche non essere più molto lontana, perché l’instabilità che va attualmente crescendo in tutti icampi sta a dimostrare che il punto corrispondente al maggior predominio effettivo della «solidità» edella «materialità» è stato già oltrepassato.Si capirà forse meglio quel che stiamo dicendo se si tien conto che i metalli, stando al simbolismotradizionale, sono in relazione non solamente con il «fuoco sotterraneo» come abbiamo accennato,ma anche con i «tesori nascosti», cose del resto piuttosto strettamente connesse, per ragioni chenon possiamo pensare di sviluppare ulteriormente in quest’occasione, ma che tuttavia possonoaiutare, in particolare, a chiarire in qual modo degli interventi umani siano capaci di provocare, o piùesattamente di «scatenare», certi cataclismi naturali. Comunque stiano le cose, tutte le «leggende»

(per parlare il linguaggio d’oggi) che si riferiscono a questi «tesori» fanno capire in modo chiaro che iloro «guardiani», vale a dire precisamente le influenze sottili che sono ad essi collegate, sono«entità» psichiche estremamente pericolose da accostare senza che si possiedano le «qualificazioni»richieste e senza prendere le debite precauzioni; sennonché, quali precauzioni potrebbero alriguardo prendere dei moderni, i quali sono completamente ignoranti di queste cose? Costoro sonoanche troppo evidentemente privi d’ogni «qualificazione», e parimenti di qualsiasi mezzo d’azione inquesto campo, che si sottrae loro in conseguenza dell’atteggiamento stesso da essi assunto neiconfronti d’ogni cosa; vero è che si vantano costantemente di «dominare le forze della natura», maè altrettanto certo che sono ben lontani dall’immaginare che, dietro tali forze, da essi considerate insenso esclusivamente corporeo, c’è qualcosa d’altro ordine, di cui esse sono soltanto il veicolo ecome l’apparenza esteriore. È appunto questo che potrebbe un giorno o l’altro rivoltarsi e alla finerivolgersi contro coloro stessi che l’hanno disconosciuto.

A tal proposito aggiungeremo incidentalmente un’osservazione supplementare, che potrà forseapparire soltanto una stranezza o una curiosità, ma che avremo invece l’occasione di ritrovare inseguito: i «guardiani dei tesori nascosti», i quali sono nello stesso tempo i fabbri che lavorano nel«fuoco sotterraneo», sono nelle «leggende» rappresentati a volta a volta, e a seconda dei casi, qualigiganti o quali nani. Qualcosa di simile valeva anche per i Cabiri, ciò che sta a indicare una voltaancora come tutto questo simbolismo sia adatto a ricevere un’applicazione riferentesi a un ordine

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superiore. Sennonché, quando ci si attenga alla prospettiva in cui a causa delle condizioni stessedella nostra epoca dobbiamo di fatto porci al presente, la sola faccia che se ne può vedere è quellain qualche modo «infernale»; il che equivale a dire che in queste condizioni si tratta ormai solo diun’espressione di influenze appartenenti al lato inferiore e «tenebroso» di quel che si potrebbechiamare lo «psichismo cosmico». E, come vedremo meglio più avanti, sono effettivamente le in-fluenze di questo tipo che, sotto le loro molteplici forme, minacciano oggi la «solidità» del mondo.Per completare questa scorsa sull’argomento, faremo ancora notare, come riferentesi evidentementeal lato «malefico» dell’influenza dei metalli, la frequente interdizione a portare su di sé oggettimetallici durante il compimento di certi riti, tanto nel caso di riti exoterici [Questa interdizione esiste

in particolare, per lo meno in linea di principio, per i riti islamici del pellegrinaggio, anche se di fattooggi non è più osservata rigorosamente; inoltre, chi abbia compiuto interamente tali riti, ivicompreso cioè quanto ne costituisce il lato più «interiore», deve da allora in poi astenersi da ognilavoro in cui si faccia uso del fuoco, il che esclude in particolare i fabbri e tutti gli altri operaimetallurgici] quanto in quello di riti propriamente iniziatici [Nelle iniziazioni occidentali questo sitraduce, nella preparazione rituale del candidato, in quel che viene designato come «lo spogliamentodei metalli». Si potrebbe dire che, in un caso simile, i metalli, oltre al fatto che possono nuocereeffettivamente alla trasmissione delle «influenze spirituali», sono assunti a rappresentare in qualchemodo quelle che la Cabbala ebraica chiama le «scorze» o i «gusci» (qlippoth), vale a dire ciò che dipiù basso c’è nell’àmbito sottile, e che in tal modo costituisce, se ci viene permessa l’espressione, i«bassifondi» infracorporei del nostro mondo]. Indubbiamente tutte le prescrizioni di questo generehanno innanzi tutto un carattere simbolico, ed anzi è proprio questo che conferisce loro un valoreprofondo; ma occorre pure rendersi conto che il vero simbolismo tradizionale (che ci si deveguardare dal confondere con le contraffazioni e le false interpretazioni a cui i moderni applicanotalvolta abusivamente lo stesso nome) [In questo senso gli «storici delle religioni» avevanoinventato, nella prima metà del secolo XIX, qualcosa a cui avevano dato il nome di «simbolica», edera un sistema di interpretazione che con il vero simbolismo non aveva che legami estremamentelontani; quanto agli abusi semplicemente «letterari» della parola «simbolismo», è evidente che nonvale neppure la pena di parlarne] ha sempre una portata effettiva, e che le sue applicazioni rituali, inparticolare, hanno effetti perfettamente reali, anche se le facoltà strettamente limitate dell’uomomoderno non possono generalmente percepirli. Non si tratta per nulla di cose vagamente «ideali»,ma, ben all’opposto, di cose la cui realtà si manifesta talvolta sotto aspetti in qualche modo«tangibili». Se le cose stessero altrimenti, come si potrebbe spiegare ad esempio il fatto che ci sonouomini i quali, in determinati stati spirituali, non possono sopportare il minimo contatto, foss’ancheindiretto, con i metalli, e ciò quand’anche tale contatto si sia operato a loro insaputa e in condizioni

tali che è loro impossibile accorgersene per mezzo dei loro sensi corporei, ciò che esclude a fortiori laspiegazione psicologica e «semplicistica» dell’«autosuggestione» [Possiamo citare a questo punto,come esempio conosciuto, il caso di Shri Ramakrishna]? Se aggiungessimo che il contatto puòpersino, in casi del genere, arrivare a produrre esteriormente gli effetti fisiologici di una vera epropria ustione, si dovrebbe convenire con noi che fatti di questo tipo dovrebbero far riflettere imoderni, se ne fossero ancora capaci; ma l’attitudine profana e materialistica, ed il partito preso chene deriva li hanno immersi in un accecamento incurabile.

23. Il tempo mutato in spazio

Come abbiamo accennato in precedenza, il tempo, per effetto della potenza di contrazione cherappresenta, la quale tende a ridurre sempre più l’espansione spaziale a cui si oppone, consuma in

certo qual modo lo spazio; senonché, in tale azione contro il principio antagonista, il tempo stesso sisvolge secondo una velocità man mano crescente, giacché, lungi dall’essere omogeneo comesuppongono coloro che lo osservano solamente dall’unico punto di vista quantitativo, esso è,viceversa, «qualificato» ad ogni istante in modo diverso dalle condizioni cicliche della manifestazionea cui appartiene. Questa accelerazione, benché diventi più evidente che mai nella nostra epoca,assumendo un valore esagerato negli ultimi periodi del ciclo, di fatto esiste costantemente dall’inizioalla fine di quest’ultimo. Si potrebbe perciò dire che il tempo non soltanto contrae lo spazio, ma cheinsieme contrae se stesso progressivamente; tale contrazione si esprime nella proporzionedecrescente dei quattro Yuga, insieme con tutto quel che essa implica, compresa la diminuzionecorrispondente della durata della vita umana. Talvolta si dice, indubbiamente senza che se necomprenda la vera ragione, che gli uomini vivono oggi più in fretta di un tempo, e ciò èletteralmente vero. La fretta caratteristica che accompagna i moderni in ogni cosa, in fondo, non è

altro che la conseguenza dell’impressione confusa che essi provano di questo fatto.Al suo limite estremo, la contrazione del tempo dovrà avere come conseguenza finale la riduzione diesso ad un unico istante, e la durata avrà allora veramente cessato d’esistere, essendo evidente chenell’istante non può più sussistere alcuna successione. Così è che «il tempo divoratore finisce coldivorare se stesso», talché alla «fine del mondo», vale a dire al limite stesso della manifestazioneciclica, «il tempo non c’è più»; ed è anche questa la ragione per cui è detto che «l’ultimo essere a

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morire è la morte», perché dove non c’è più successione, di nessun genere, la morte non è piùpossibile [Poiché Yama è inoltre designato nella tradizione indù come il «primo morto», e poiché èassimilato alla «Morte» in sé (Mrityu), o, se si preferisce far uso del linguaggio della tradizioneislamica, all’«Angelo della Morte», si osserverà che, in questa occasione così come sotto molti altrirapporti, il «primo» e l’«ultimo» si ricongiungono e s’identificano in qualche modo nellacorrispondenza delle due estremità del ciclo]. Arrestatasi la successione, o, in termini simbolici,«cessato che abbia la ruota di girare», ogni cosa esistente non può essere che in perfettasimultaneità; la successione si trova perciò in qualche modo trasmutata in simultaneità, il che puòessere espresso dicendo che «il tempo si è mutato in spazio» [Nel Parsifal, Wagner scrisse: «Il

tempo qui si muta in spazio», riferendosi a Monsalvat, che rappresenta il «centro del mondo» (suquesto punto ritorneremo più avanti); ma è piuttosto poco probabile che avesse realmentecompreso il significato profondo di queste parole, poiché egli non sembra affatto meritare lareputazione di «esoterista» costruitagli da qualcuno; tutto quel che di veramente esoterico si ritrovanelle sue opere appartiene in proprio alle «leggende» da lui utilizzate, delle quali non feceabbastanza sovente che impoverire il senso]. È così che, alla fine, si opera un «rovesciamento» con-tro il tempo, a favore dello spazio: nello stesso momento in cui sembrava che il tempo terminasse didivorare lo spazio, è lo spazio che, al contrario, assorbe il tempo; e si potrebbe dire che si tratta,riferendosi al senso cosmologico del simbolismo biblico, della rivincita finale di Abele su Caino.Una sorta di «prefigurazione» di questo assorbimento del tempo da parte dello spazio, certo deltutto inconsapevole in coloro che ne sono gli autori, si ritrova nelle recenti teorie fisico-matematicheche trattano il complesso «spazio-tempo» come se costituisse un insieme unico e indivisibile; diqueste teorie si dà invero molto sovente un’interpretazione inesatta quando si dice che esseconsiderano il tempo come una «quarta dimensione» dello spazio. Sarebbe più giusto dire che essetrattano il tempo come se fosse paragonabile a una «quarta dimensione», nel senso che, nelleequazioni del movimento, esso svolge la funzione di una quarta coordinata che si aggiunge alle trecoordinate rappresentanti le tre dimensioni dello spazio. Vale del resto la pena di far notare che ciòcorrisponde alla rappresentazione geometrica del tempo sotto forma rettilinea, rappresentazione dicui abbiamo segnalato in precedenza l’insufficienza, né potrebbe essere diversamente, a causa delcarattere esclusivamente quantitativo delle teorie in questione. Sennonché, quel che abbiamo dettoor ora, benché ne rettifichi in un certo modo l’interpretazione «volgarizzata», è tuttavia ancorainesatto: in realtà a svolgere la funzione di una quarta coordinata non è il tempo, ma quello che imatematici chiamano il «tempo immaginario» [In altri termini, poiché le tre coordinate dello spaziosono x, y, z, la quarta coordinata sarà, non t, che designa il tempo, ma l’espressione t √-1]; e taleespressione, che in sé è solo una singolarità linguistica proveniente dall’uso di una notazione

puramente «convenzionale», acquista in questo contesto un significato abbastanza inaspettato.Infatti, dire che il tempo deve diventare «immaginario» per essere assimilabile a una «quartadimensione» dello spazio, equivale in definitiva soltanto a dire che per svolgere questa funzione essodeve cessare d’esistere realmente in quanto tale, ovvero che la trasmutazione del tempo in spazionon è attuabile se non alla «fine del mondo» [C’è da osservare che, benché si parli comunementedella «fine del mondo» come di una «fine dei tempi», non se ne parla invece mai come di una «finedello spazio»; tale osservazione, che potrebbe sembrare insignificante a coloro che osservano solosuperficialmente le cose, non è invece meno significativa per ciò].Da ciò si potrebbe concludere che è perfettamente inutile cercare cosa potrebbe essere una «quartadimensione» dello spazio nelle condizioni del mondo attuale, ciò che avrebbe per lo meno ilvantaggio di tagliar corto con tutte le divagazioni «neospiritualistiche» a cui abbiamo fatto qualchebreve accenno in precedenza; senonché, bisogna forse concludere che l’assorbimento del tempo da

parte dello spazio deve tradursi effettivamente mediante l’aggiunta a quest’ultimo di una dimensionesupplementare, o anche in questo caso si tratta piuttosto soltanto di un «modo di dire»? Tutto quelche si può affermare in proposito è che, quando la tendenza espansiva dello spazio non sia più con-trastata e costretta dall’azione della tendenza compressiva del tempo, lo spazio deve naturalmentebeneficiare, in un modo o in un altro, d’una dilatazione che porti in qualche modo la sua indefinità auna potenza superiore [Riguardo alle potenze successive dell’indefinito, vedi Le Symbolisme de laCroix, cit., cap. XII]; ma è assiomatico che si tratterà allora di qualcosa che non potrebbe essererappresentato da nessuna immagine presa in prestito dall’ambito corporeo. Di fatto, poiché il tempoè una delle condizioni determinanti dell’esistenza corporea, appare evidente che, qualora esso siasoppresso, ci si troverà ipso facto al di fuori di questo mondo; ci si troverà allora in ciò che abbiamochiamato altrove il «prolungamento» extracorporeo dello stesso stato d’esistenza individuale di cui ilmondo corporeo non rappresenta che una semplice modalità; ciò che d’altronde mostra chiaramente

come la fine del mondo corporeo non sia affatto la fine di tale stato inteso nella sua integralità.Occorre anzi andare più oltre: la fine d’un ciclo come quello dell’umanità attuale non è in verità lafine del mondo corporeo stesso che in un senso relativo, ed esclusivamente in relazione allepossibilità che, incluse in questo ciclo, hanno a quel punto concluso il loro sviluppo in modocorporeo; in realtà il mondo corporeo non viene annientato, bensì «trasmutato», e riceve im-

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mediatamente una nuova esistenza, perché al di là del «punto d’arresto» che corrisponde all’istanteunico in cui non c’è più tempo, «la ruota ricomincia a girare» secondo il percorso d’un altro ciclo.Un’ulteriore importante conseguenza da dedurre dalle considerazioni che stiamo facendo è che lafine del ciclo è «intemporale», al pari del suo inizio, il che è d’altronde richiesto dalla rigorosacorrispondenza analogica esistente tra i due termini estremi. È per questa ragione che la fine èeffettivamente, per l’umanità di tale ciclo, la restaurazione dello «stato primordiale», ciò che indicad’altra parte il rapporto simbolico della «Gerusalemme celeste» con il «Paradiso terrestre». Si trattanello stesso tempo del ritorno al «centro del mondo», il quale si manifesta esteriormente ai dueestremi del ciclo, sotto le forme rispettive del «Paradiso terrestre» e della «Gerusalemme celeste»,

con l’albero «assiale» elevantesi al centro sia dell’uno sia dell’altra; nell’intero intervallo, cioè lungo ilpercorso vero e proprio del ciclo, questo centro è al contrario nascosto, e ciò, anzi, secondoproporzioni sempre crescenti, in quanto l’umanità non fa che allontanarsene gradualmente; è questoin definitiva il vero significato della «caduta». Tale allontanamento è del resto soltanto un altro mododi rappresentare l’andamento discendente del ciclo, giacché il centro di uno stato come il nostro, inquanto punto di diretta comunicazione con gli stati superiori, è in ugual tempo il polo essenzialedell’esistenza in detto stato. Procedere dall’essenza verso la sostanza significa perciò andare dalcentro verso la circonferenza, dall’interno verso l’esterno, e nello stesso tempo, come chiaramentemostra nel nostro caso la rappresentazione geometrica, dall’unità verso la molteplicità [Da ciò si puòinoltre dedurre un altro significato del «rovesciamento dei poli», perché il percorso del mondomanifestato verso il suo polo sostanziale porta alla fine a un «capovolgimento» che lo riconduce,attraverso una «trasmutazione» istantanea, al suo polo essenziale; aggiungeremo che, a causa diquesta istantaneità, non può sussistere, contrariamente a certe concezioni erronee del movimentociclico, alcuna «risalita» d’ordine esteriore che succeda alla «discesa», e ciò perché l’andamentodella manifestazione in quanto tale è sempre discendente, dal principio alla fine].Il Pardes, in quanto «centro del mondo» è, secondo il senso principale del suo equivalente sanscritoparadesha, la «regione suprema»; ma è anche, secondo un’accezione secondaria della stessaparola, la «regione lontana», da quando, in conseguenza del processo ciclico, è diventato di fattoinaccessibile all’umanità ordinaria. Effettivamente esso è, per lo meno in apparenza, quanto c’è dipiù lontano, situato com’è alla «fine del mondo» nel duplice senso spaziale (la cima del monte del«Paradiso terrestre» tocca la sfera lunare) e temporale (la «Gerusalemme celeste» discende sullaterra alla fine del ciclo); tuttavia, in realtà, esso è sempre ciò che v’è di più vicino, giacché non hamai cessato di essere al centro d’ogni cosa [Si tratta del «Regnum Dei intra vos est» del Vangelo], equesto mette crudamente in rilievo il rapporto inverso del punto di vista «esteriore» e di quello«interiore». Solamente, perché tale prossimità possa di fatto essere realizzata, occorre

necessariamente che sia soppressa la condizione temporale, sia perché è lo stesso svolgersi del tem-po, in conformità con le leggi della manifestazione, che ha causato l’allontanamento apparente, e siaperché il tempo, per la definizione stessa di successione, non può risalire il proprio corso. Svincolarsida questa condizione è sempre possibile, singolarmente, per certi esseri, ma per quanto riguardal’umanità (o, con più esattezza, un’umanità) considerata nel suo insieme, tale affrancamento implicain tutta evidenza che quest’ultima abbia percorso per intero il ciclo della sua manifestazionecorporea, e sarà soltanto allora che potrà, con tutto l’insieme dell’ambiente terrestre che dipende daessa partecipando della sua stessa marcia ciclica, essere veramente reintegrata nello «statoprimordiale», ovvero, che è la stessa cosa, nel «centro del mondo». È in questo centro che «il temposi cambia in spazio», perché qui è «situato», nel nostro stato d’esistenza, il riflesso direttodell’eternità principiale, il che esclude ogni successione; né la morte vi può avere alcuna presa,cosicché si tratterà propriamente del «soggiorno d’immortalità» [Quanto al «soggiorno

d’immortalità» e alla sua corrispondenza nell’essere umano, cfr. Le Roi du Monde, cit., pp. 87-89 epp. 69 sgg. dell’edizione italiana]; tutte le cose vi appaiono in perfetta simultaneità in un immutabilepresente, e ciò grazie al potere del «terzo occhio», col quale l’uomo ha riacquistato il «senso del-l’eternità» [Riguardo al simbolismo del «terzo occhio», cfr. L’Homme et son devenir selon leVedanta, cit., p. 203 e p. 179 dell’edizione italiana e Le Roi du Monde, cit., pp. 41-42 e pp. 48-49dell’edizione italiana].

24. Verso la dissoluzione

Dopo aver preso in considerazione la fine vera e propria del ciclo, ci tocca ora in qualche modoritornare indietro per esaminare più compiutamente quanto nelle condizioni dell’epoca attuale puòcontribuire effettivamente a portare l’umanità e il mondo verso questa fine. A tal proposito,

dobbiamo fare la distinzione tra due tendenze che si esprimono mediante termini apparentementeantinomici: da un lato, la tendenza verso quella che abbiamo chiamato la «solidificazione» delmondo, della quale ci siamo finora interessati, dall’altro, la tendenza verso la dissoluzione, tendenzadi cui dobbiamo ancora precisare l’azione, giacché occorre non dimenticare che ogni fine si presentanecessariamente come una dissoluzione del manifestato in quanto tale. Già ora è d’altronde possibileconstatare che la seconda delle due tendenze comincia a diventare predominante; infatti, innanzi

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tutto, il materialismo vero e proprio, che corrisponde ovviamente alla «solidificazione» nella suaforma più grossolana (quasi, si potrebbe dire, alla «pietrificazione», per analogia con quel che ilminerale rappresenta sotto questo riguardo), ha ormai perduto molto terreno, per lo meno nelcampo delle teorie scientifiche e filosofiche, quand’anche non ancora nella mentalità comune; questoè tanto vero, che in tali teorie, come abbiamo fatto notare in precedenza, la stessa nozione di«materia» ha cominciato a scomparire e quasi a dissolversi. Inoltre, e di pari passo con questocambiamento, l’illusione di sicurezza che regnava quando il materialismo aveva raggiunto la suamassima influenza, e che era in certo qual modo inseparabile, a quel tempo, dall’idea che ci sifaceva della «vita ordinaria», si è in gran parte dissipata in grazia degli stessi avvenimenti e della

crescente velocità con cui questi ultimi evolvono, al punto che l’impressione predominante è oggi, alcontrario, quella di un’instabilità che si estende a tutti i campi; e poiché la «solidità» comportanecessariamente la stabilità, questa situazione sta chiaramente ad indicare che il punto di maggior«solidità» effettiva, nelle possibilità del nostro mondo, è stato non soltanto raggiunto, ma ormaioltrepassato, e che di conseguenza è veramente verso la dissoluzione che questo mondo siincammina ormai.La stessa accelerazione del tempo, che va diventando sempre più esagerata, con la conseguenza direndere i cambiamenti sempre più rapidi, sembra del resto andare da sola verso la dissoluzione, nésotto questo rispetto si può dire che la direzione generale degli avvenimenti si sia modificata,giacché il movimento del ciclo continua, senza nessun dubbio, a seguire il proprio camminodiscendente. D’altronde, le teorie fisiche, a cui accennavamo poco fa, pur cambiando con rapidità viavia crescente insieme a tutto il resto, non fanno che assumere un carattere sempre piùesclusivamente quantitativo, essendo giunte ormai al punto di rivestire completamente l’apparenzadi teorie puramente matematiche, ciò che del resto, come già abbiamo fatto notare, le allontanasempre più dalla realtà sensibile che pretendono di spiegare per trascinarle in un àmbito che puòsoltanto situarsi al di sotto di questa realtà, secondo quel che affermammo parlando della quantitàpura. Il «solido», del resto, anche nel suo stato di massima densità e impenetrabilità concepibile,non corrisponde assolutamente alla quantità pura, e possiede sempre almeno un minimo di elementiqualitativi; si tratta del resto, per definizione, di qualcosa di corporeo, anzi, in un certo qual senso,di ciò che di più corporeo possa esistere; ora, la «corporeità» implica che lo spazio, per quanto«compresso» possa essere nella condizione di «solido», le sia tuttavia necessariamente inerente, elo spazio, non sarà male ricordarlo ancora una volta, non può assolutamente essere assimilato allapura quantità. Quand’anche, per porsi momentaneamente dal punto di vista della scienza moderna,si volesse da un lato ridurre la «corporeità» all’estensione, come fece Cartesio, e dall’altroconsiderare lo spazio in sé soltanto come un semplice modo della quantità, ci si troverebbe ancora

davanti a questa difficoltà, che si sarebbe sempre nell’àmbito della quantità continua; quando sipassi invece a quello della quantità discontinua, vale a dire a quello del numero, che solo può essereconsiderato rappresentare la quantità pura, è evidente che, proprio a causa di tale discontinuità, nonsi ha più assolutamente a che fare con il «solido», né tanto meno con qualcosa di corporeo.Vi è dunque, nella riduzione graduale di tutte le cose alla quantità, un punto a partire dal quale taleriduzione non tende più alla «solidificazione», e questo punto è, grosso modo, quello a cui si arrivaquando si vuol ricondurre la quantità continua stessa alla quantità discontinua; a questo punto icorpi non possono più sussistere come tali, e si riducono ad una specie di pulviscolo «atomico» privodi consistenza; si potrebbe perciò, a questo riguardo, parlare di una vera e propria«polverizzazione» del mondo, la quale è evidentemente una delle possibili forme della dissoluzioneciclica [«Solvet saeclum in favilla», dice testualmente la liturgia cattolica, la quale invoca a questoproposito tanto la testimonianza di Davide quanto quella della Sibilla, che in fondo è un modo come

un altro per affermare l’accordo unanime delle diverse tradizioni]. Tuttavia, se anche la dissoluzionepuò esser vista in questo modo secondo tale particolare prospettiva, essa assume, da un altroangolo visuale, e adottando un’espressione da noi già usata in precedenza, l’aspetto di una«volatilizzazione»: la «polverizzazione», per quanto completa la si supponga, lascia sempre dei«residui», fossero pure veramente impalpabili; d’altro canto, la fine del ciclo, per essere pienamenteeffettiva, comporta che tutto quel che è incluso nel ciclo di cui si tratta scompaia interamente inquanto manifestazione; sennonché questi due differenti modi di concepire le cose rappresentanociascuno una certa parte della verità. Infatti, mentre i risultati positivi della manifestazione ciclicasono «cristallizzati» per essere in seguito «trasmutati» in germi delle possibilità del ciclo futuro, ilche costituisce il risultato della «solidificazione» sotto il suo aspetto «benefico» (comportanteessenzialmente la «sublimazione» che coincide con il «capovolgimento» finale), quel che non puòessere utilizzato in questo modo, vale a dire in fondo tutto ciò in cui consistono i risultati

esclusivamente negativi della stessa manifestazione, è «precipitato» sotto forma di caput mortuum,nel senso alchemico dell’espressione, nei «prolungamenti» più bassi del nostro stato d’esistenza, oin quella parte dell’àmbito sottile che può veramente essere qualificata di «infracorporale» [Si trattadi quello che la Cabbala ebraica, come abbiamo già accennato, chiama «mondo delle scorze» (olamqlippoth); è il luogo dove cadono gli «antichi re di Edom», in quanto rappresentano i «residui»inutilizzabili dei Manvantara trascorsi]. Ma tanto nell’uno quanto nell’altro caso ci si trova in modalità

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extracorporee, superiori nell’uno e inferiori nell’altro, cosicché si può dire in conclusione che lamanifestazione corporea in sé, per quanto riguarda il ciclo in questione, è realmente svanita ocompletamente «volatilizzata». Si comprende come, in tutto ciò e fino alla fine, sia necessario tenerconto sempre dei due termini che corrispondono a quelle che l’ermetismo denomina rispettivamente«coagulazione» e «soluzione», e ciò secondo due aspetti contemporaneamente: sotto l’aspetto«benefico» si hanno la «cristallizzazione» e la «sublimazione»; sotto l’aspetto «malefico» la«precipitazione» e il ritorno finale all’indistinzione del «caos» [Ci pare sia sufficientemente chiaro chei due aspetti che nell’occasione chiamiamo «benefico» e «malefico» corrispondono esattamente alla«destra» e alla «sinistra» dove sono raggruppati rispettivamente gli «eletti» e i «dannati» al

momento del «Giudizio universale», vale a dire precisamente al momento della «discriminazione»finale dei risultati della manifestazione ciclica].A questo punto si impone una domanda: è sufficiente, per giungere effettivamente alla dissoluzione,che il movimento secondo il quale il «regno della quantità» si afferma e si intensifica sempre più siain qualche modo lasciato a se stesso e continui in tal modo semplicemente fino al suo termineestremo? La verità è che questa possibilità, che abbiamo d’altronde preso in considerazionepartendo dall’esame delle attuali concezioni dei fisici e dal significato che esse comportano per cosìdire inconsapevolmente (perché è evidente che gli «scienziati» moderni non sanno assolutamente inquale direzione stanno procedendo), corrisponde piuttosto ad un modo teorico di vedere le cose,modo di vedere «unilaterale» che rappresenta soltanto in maniera molto parziale quanto dovràrealmente accadere; di fatto, per sciogliere i «nodi» provocati dalla «solidificazione» che è andata finqui progredendo (con intenzione ci serviamo in quest’occasione della parola «nodi», perché essaevoca gli effetti di un certo genere di «coagulazione», appartenente principalmente al campo dellamagia), occorre l’intervento, più direttamente efficace sotto questo riguardo, di qualcosa che nonappartiene più all’àmbito, in fin dei conti abbastanza ristretto, a cui si riferisce propriamente il«regno della quantità». È facile capire, dagli accenni da noi fatti occasionalmente, che si trattadell’azione di certe influenze di ordine sottile, azione che ha del resto incominciato ad esercitarsi sulmondo moderno da molto tempo, sia pure in modo poco appariscente al principio, e che sempre ècoesistita con il materialismo dal momento stesso in cui quest’ultimo ha cominciato ad assumere unaforma nettamente definita, come abbiamo visto parlando del magnetismo e dello spiritismo e deiprestiti tratti da questi ultimi dalla «mitologia» scientifica dell’epoca in cui hanno preso origine.Come dicevamo più sopra, se è vero che la forza di suggestione del materialismo va diminuendo,non per questo è il caso di essere oltremodo soddisfatti, perché, dal momento che la «discesa»ciclica non è ancora terminata, le «fenditure» a cui alludevamo in quell’occasione e sulla natura dellequali dovremo presto tornare, non possono prodursi che dal basso; per dirla in altri termini, quel che

«interferisce» in tal modo con il mondo sensibile non può essere nient’altro che lo «psichismocosmico» inferiore nel suo aspetto più distruttivo e «disgregante» e del resto è evidente che soltantoinfluenze di questo genere possono essere veramente atte ad agire in vista della dissoluzione. Datequeste premesse, non è difficile rendersi conto che tutto ciò che tende a favorire e ad allargare le«interferenze» di cui stiamo dicendo non fa che corrispondere, sia in modo cosciente sia in modoinconscio, a una nuova fase di quella deviazione di cui il materialismo rappresentava in realtà unostadio meno «avanzato», quali che possano essere le apparenze esteriori, spesso estremamenteingannevoli.È infatti necessario far notare, a questo riguardo, che «tradizionalisti» mal informati [Il termine«tradizionalismo» designa di fatto soltanto una tendenza che può essere più o meno vaga e chespesso è mal applicata, in quanto non implica alcuna conoscenza effettiva delle verità tradizionali; suquesto argomento del resto ritorneremo più avanti] si rallegrano sconsideratamente nel vedere la

scienza moderna, nei suoi diversi rami, uscire qualche po’ dai ristretti confini nei quali sirinchiudevano finora le sue concezioni, e assumere un atteggiamento meno grossolanamentematerialistico di quello adottato nell’ultimo secolo; costoro pensano inoltre volentieri che in certoqual modo la scienza profana finirà col raggiungere la scienza tradizionale (scienza che essi nonconoscono per nulla, e di cui si fanno un’idea stranamente inesatta, soprattutto fondata su certedeformazioni e «contraffazioni» moderne), il che, per ragioni di principio sulle quali abbiamo spessoinsistito, è cosa assolutamente impossibile. Questi stessi «tradizionalisti» si rallegrano, e forseancora di più, nel vedere certe manifestazioni di influenze sottili prodursi con evidenza sempremaggiore, senza pensare mai di domandarsi quale possa essere di fatto la «qualità» di tali influenze(o forse non sospettano neppure che una domanda del genere abbia necessità di porsi); costoronutrono grandi speranze che quella che oggi si chiama «metapsichica» possa apportare qualcherimedio ai mali del mondo moderno, mali che essi si compiacciono solitamente di attribuire in

esclusiva al solo materialismo, ciò che è un’altra ben triste illusione. Quello di cui non s’accorgono (esotto questo profilo sono molto più intaccati di quanto non credano dallo spirito moderno, con tuttele insufficienze che gli sono proprie), è che tutti questi sono in realtà i sintomi di una nuova tappanello sviluppo, perfettamente logico, anche se d’una logica veramente «diabolica», del «piano»secondo cui si attua la deviazione progressiva del mondo moderno; certamente il materialismo vi haavuto la sua parte, e una parte incontestabilmente importantissima, ma a questo punto la negazione

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pura e semplice che esso rappresenta è diventata insufficiente; essa è servita efficacemente adimpedire all’uomo l’accesso alle possibilità d’ordine superiore, ma non sarebbe in grado di scatenarele forze inferiori che sole possono portare al suo acme l’opera di disordine e di dissoluzione.L’atteggiamento dei materialisti, a causa della sua stessa limitatezza, non presenta che un pericoloegualmente limitato; la sua «ottusità», se così si può dire, pone chi vi si attenga al riparo da tutte leinfluenze sottili indistintamente, e gli conferisce, a questo riguardo, una sorta d’immunitàabbastanza simile a quella del mollusco che rimane ermeticamente rinchiuso nel suo guscio,immunità dalla quale deriva al materialista quell’impressione di sicurezza di cui abbiamo detto; maquando si pratichi in questo guscio, il quale rappresenta nell’occasione l’insieme delle concezioni

scientifiche convenzionalmente ammesse e delle corrispondenti abitudini mentali, accompagnatedall’«incallimento» che ne consegue per la costituzione «psicofisiologica» dell’individuo [È curiosonotare come il linguaggio corrente sì serva volentieri dell’espressione «materialista incallito»,certamente senza sospettare che non si tratta di una semplice immagine, bensì di unacorrispondenza con qualcosa di ben reale], un’apertura dal basso, come dicevamo poco fa,immediatamente le influenze sottili distruttive vi penetreranno, e con tanta maggior facilità inquanto, in seguito al lavoro negativo compiuto nella fase precedente, nessun elemento di ordinesuperiore potrà intervenire per opporsi alla loro azione. Si potrebbe anche dire che il periodo delmaterialismo costituisce solamente una specie di preparazione soprattutto teorica, mentre quellodello psichismo inferiore comporta una «pseudorealizzazione», che si muove propriamente indirezione inversa rispetto a una vera realizzazione spirituale; su quest’ultimo punto dovremo delresto spiegarci in seguito. La derisoria sicurezza della «vita ordinaria» che era l’inseparabile sequeladel materialismo è a cominciare da ora fortemente minacciata, questo è vero, ed è certo che saràpossibile accorgersi sempre più chiaramente e sempre più diffusamente che essa era soloun’illusione; ma quale ne sarà il vantaggio reale, se si finirà soltanto per cadere immediatamente inun’altra illusione, peggiore della prima e più pericolosa sotto ogni aspetto, in quanto comportaconseguenze molto più estese e più profonde, illusione che è quella d’una «spiritualità alla rovescia»di cui i diversi movimenti «neospiritualistici» che la nostra epoca ha visto nascere e svilupparsi,compresi quelli che presentano già il carattere più nettamente «sovversivo», sono ancora soltantoprodromi insignificanti e mediocri?

25. Le fenditure della Grande Muraglia

Per quanto oltre abbia potuto spingersi, la «solidificazione» del mondo sensibile non ha mai potutoesser tale da fare di quest’ultimo un «sistema chiuso», come lo pensano i materialisti; essa ha

d’altronde dei limiti imposti dalla natura stessa delle cose, e più si avvicina a tali limiti più lo statoche rappresenta è instabile. Di fatto, come abbiamo appena visto, il punto che corrisponde allamassima «solidità» è ormai oltrepassato, e le apparenze di «sistema chiuso» non possono chediventare sempre più illusorie e inadeguate alla realtà. Abbiamo anche parlato di «fenditure»attraverso le quali già s’introducono, e andranno in misura sempre maggiore introducendosi, certeforze distruttive; secondo il simbolismo tradizionale, queste «fenditure» si producono nella «GrandeMuraglia» che circonda il nostro mondo e lo protegge contro l’intrusione delle influenze malefichedell’àmbito sottile inferiore [Nel simbolismo della tradizione indù, questa «Grande Muraglia» è lamontagna circolare Lokaloka, che separa il «cosmo» (loka) dalle «tenebre esteriori» (aloka);naturalmente ciò è suscettibile di applicarsi analogicamente ad àmbiti più o meno estesi nell’insiemedella manifestazione cosmica, da cui l’applicazione particolare che ne è fatta qui, in quanto stiamodicendo, in relazione al solo mondo corporeo]. Per capire questo simbolismo a fondo e sotto tutti gli

aspetti, è opportuno osservare che una muraglia costituisce insieme una protezione ed unalimitazione; in un certo qual senso si potrebbe perciò dire che essa ha dei vantaggi e degliinconvenienti; sennonché, se si tiene presente che essa è essenzialmente destinata ad assicurare ladifesa contro gli attacchi provenienti dal basso, i vantaggi hanno di gran lunga il peso maggiore, etutto sommato è molto meglio, per quel che si trova racchiuso nel recinto di cui si tratta, esserlimitato dalla parte inferiore, che essere incessantemente esposto alle devastazioni del nemico, senon addirittura a una distruzione più o meno completa. Del resto, in realtà, una muraglia non è maichiusa dall’alto, e di conseguenza non impedisce la comunicazione con i campi superiori, anche sequesto corrisponde allo stato normale delle cose; è durante l’epoca moderna che il «guscio» senzavie d’uscita costruito dal materialismo ha chiuso questa comunicazione. Ora, secondo quanto da noidetto, a causa del fatto che la «discesa» non è ancora stata interamente compiuta, tale «guscio»può soltanto permanere intatto verso l’alto, vale a dire verso la parte da cui precisamente il mondo

non ha bisogno di protezione, e da cui al contrario non può se non ricevere influenze benefiche; le«fenditure» si producono esclusivamente dal basso, perciò nella muraglia protettrice vera e propria,e le forze inferiori che si introducono attraverso di esse incontreranno tanto minor resistenza inquanto, nelle presenti condizioni, nessuna potenza di natura superiore può intervenire per opporvisiefficacemente; il mondo si trova dunque abbandonato senza nessuna difesa a tutti gli attacchi dei

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suoi nemici, e tanto più per il fatto che, a causa dello stato della mentalità attuale, ignora com-pletamente i pericoli da cui è minacciato.Nella tradizione islamica le «fenditure» di cui stiamo parlando sono quelle attraverso cuipenetreranno, all’approssimarsi della fine del ciclo, le orde devastatrici di Gog e Magog [Nellatradizione indù si parla dei demoni Koka e Vikoka, i cui nomi sono evidentemente simili], le qualid’altronde esercitano continui sforzi per invadere il nostro mondo; queste «entità», che raffiguranole influenze inferiori in questione, e che si ritiene conducano attualmente un’esistenza«sotterranea», vengono descritte in un duplice modo, sia come giganti sia come nani, il che,secondo quanto abbiamo visto precedentemente, le identifica, per lo meno sotto un certo profilo, ai

«guardiani dei tesori nascosti» e ai fabbri del «fuoco sotterraneo», che hanno anche,rammentiamolo, un aspetto estremamente malefico; d’altronde, in tutte queste cose si trattasempre, in definitiva, dello stesso genere d’influenze sottili «infracorporali» [Il simbolismo del«mondo sotterraneo» è anch’esso duplice, ed ha pure un senso superiore, com’è dimostrato inparticolare dalle considerazioni da noi esposte in Le Roi du Monde; qui però si tratta ovviamentesoltanto del suo significato inferiore, o addirittura letteralmente «infernale»]. A dire il vero i tentativifatti da queste «entità» per insinuarsi nel mondo corporeo e umano sono ben lontani dall’esser cosanuova; anzi essi risalgono almeno ad un’epoca da situarsi verso gli inizi del Kali-Yuga, cioè ben oltrei tempi dell’antichità «classica» ai quali si limita l’orizzonte degli storici profani. A questo proposito,la tradizione cinese riporta, in termini simbolici, che «Niu-kua (sorella e sposa di Fo-hi e che si diceabbia regnato insieme a lui) fece fondere pietre dai cinque colori [I cinque colori sono il bianco, ilnero, l’azzurro, il rosso e il giallo, i quali corrispondono nella tradizione estremo-orientale ai cinqueelementi, o anche ai quattro punti cardinali e al centro] per riparare uno strappo fatto nel cielo da ungigante» (apparentemente, benché ciò non sia chiaramente spiegato, in un punto situato al di sopradell’orizzonte terrestre) [Si afferma anche che «Niu-kua tagliò le quattro zampe della tartaruga perdeporvi sopra le quattro estremità del mondo», allo scopo di stabilizzare la terra; se si ricordaquanto dicemmo in precedenza riguardo alle corrispondenze analogiche rispettive di Fo-hi e diNiu-kua, ci si potrà render conto che conformemente ad esse la funzione di assicurare la stabilità ela «solidità» del mondo appartiene alla parte sostanziale della manifestazione, ciò che s’accordaesattamente con quanto abbiamo esposto qui a tale proposito]; e questo episodio si riferisce adun’epoca la quale è precisamente di qualche secolo soltanto posteriore all’inizio del Kali-Yuga.Soltanto che, quantunque il Kali-Yuga sia propriamente un periodo d’oscuramento, il che ha resopossibile fin dai suoi inizi tale genere di «fenditure», questo oscuramento è certamente lungidall’aver raggiunto d’un sol colpo le proporzioni che si possono constatare nelle sue ultime fasi, equesta è la ragione per cui le «fenditure» potevano essere a quel tempo riparate con relativa facilità;

ciò nondimeno occorreva anche allora che fosse esercitata una costante vigilanza, e questaincombenza rientrava naturalmente nei compiti attribuiti ai centri spirituali delle diverse tradizioni.Seguì un’epoca nella quale, in seguito all’eccessiva «solidificazione» del mondo, le stesse«fenditure» furono molto meno da temere, almeno temporaneamente; quest’epoca corrispose allaprima parte dei Tempi moderni, vale a dire a quello che può esser definito il periodo specificamentemeccanicistico e materialistico, periodo in cui il «sistema chiuso» del quale parlavamo era piùprossimo ad essere attuato, per lo meno per quanto la cosa era possibile di fatto. Adesso, parlandocioè del periodo che può essere identificato nella seconda parte dei Tempi moderni e che è giàincominciato, le condizioni sono certamente cambiate rispetto a quelle di tutte le epoche anteriori:non solamente le «fenditure» possono nuovamente prodursi sempre più abbondantemente, epresentare caratteri più gravi che mai in conseguenza del cammino discendente percorso nel-l’intervallo, ma inoltre le possibilità di riparazione non sono più le stesse di un tempo. In effetti,

l’azione dei centri spirituali si è andata a mano a mano restringendo, perché le influenze superioriche essi, secondo la loro funzione normale, trasmettevano al nostro mondo non possono piùmanifestarsi all’esterno, arrestate come sono da quel «guscio» impenetrabile di cui dicevamo pocofa; dove mai si potrà dunque trovare, in un simile stato dell’insieme umano e cosmico, una difesad’una certa efficacia contro le «orde di Gog e Magog»?E non è tutto: ciò che abbiamo detto descrive soltanto quello che si può chiamare il lato negativodelle difficoltà crescenti, che incontra qualsiasi opposizione all’intrusione delle influenze malefiche, edel resto si può aggiungere ad esso anche quella specie d’inerzia dovuta alla generale ignoranza diqueste cose, e alle «sopravvivenze» della mentalità materialistica e dell’atteggiamento che lecorrisponde, cose che possono durare tanto più a lungo in quanto tale atteggiamento è diventato percosì dire istintivo nei moderni, essendosi quasi «incorporato» nella loro natura. È chiaro che un buonnumero di «spiritualisti» e persino di «tradizionalisti», o di quelli che si autodefiniscono tali, sono di

fatto almeno tanto materialisti quanto tutti gli altri sotto questo rispetto, giacché quel che rende lasituazione ancor più irrimediabile è il fatto che coloro i quali vorrebbero, nella miglior buona fede,combattere lo spirito moderno, ne sono essi stessi affetti a propria insaputa, cosicché tutti i lorosforzi sono per ciò stesso condannati a restar privi d’ogni apprezzabile risultato; si tratta infatti dicose in cui la buona volontà è lungi dall’essere sufficiente, e nelle quali occorre invece, e diremmoprima di tutto, una conoscenza effettiva; ma è proprio questa conoscenza che è resa del tutto

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impossibile dall’influsso dello spirito moderno e delle sue limitazioni, e ciò anche per coloro che po-trebbero avere sotto questo rapporto determinate capacità intellettuali solo che si trovassero incondizioni più normali.Sennonché, oltre a tutti questi elementi negativi, le difficoltà di cui stiamo discorrendo hanno ancheun lato che potrebbe esser detto positivo, rappresentato da tutto ciò che nel nostro stesso mondofavorisce attivamente l’intervento delle influenze sottili inferiori, sia coscientemente siaincoscientemente. A questo proposito bisogna tener conto prima di tutto della funzione in qualchemodo «determinante» degli agenti veri e propri di tutta la deviazione moderna, poiché questointervento costituisce propriamente una nuova fase, più «avanzata», di tale deviazione, e

corrisponde esattamente al proseguimento del «piano» secondo cui essa si è effettuata; è perciòevidentemente da questo lato che occorrerebbe ricercare gli elementi ausiliari coscienti delle forzemalefiche di cui stiamo parlando, quand’anche, qui come in molte altre occasioni, possano esisteredi tale coscienza svariate gradazioni. Quanto agli altri elementi ausiliari delle forze malefiche, vale adire quanto a coloro che agiscono in buona fede e che, ignorando la vera natura di queste forze (ingrazia precisamente di quell’influsso dello spirito moderno a cui abbiamo appena accennato),svolgono tutto sommato soltanto la funzione di gabbati - il che però non gli impedisce di esserespesso tanto più attivi quanto più sono sinceri e incapaci di vedere -, questi sono ormai quasiinnumerevoli, e possono essere catalogati in svariate categorie, dagli ingenui aderenti alleorganizzazioni «neospiritualistiche» di tutti i generi fino ai filosofi «intuizionistici», passandoattraverso gli scienziati cultori della «metapsichica» e agli psicologi delle scuole più recenti. Noninsisteremo di più in questa sede, perché sarebbe come fare anticipazioni indebite su quel chedovremo dire un po’ più avanti. Prima bisogna però dare alcuni esempi del modo in cui certe«fenditure» possono prodursi di fatto, e dei «supporti» che le influenze sottili e psichiche d’ordineinferiore (poiché àmbito sottile e campo psichico sono in fondo, per noi, sinonimi) possono trovarenell’ambiente cosmico per esercitare la loro azione e diffondersi nel mondo umano.

26. Sciamanismo e stregoneria

L’epoca attuale, per la ragione stessa che corrisponde alle ultime fasi di una manifestazione ciclica,deve esaurirne le possibilità inferiori; è per ciò che essa utilizza in qualche modo tutto quel che erastato trascurato dalle epoche anteriori: se si osserva bene, le scienze sperimentali e quantitative deimoderni e le loro applicazioni industriali, in particolare, non rivestono altro carattere; da questodipende che le scienze profane costituiscano spesso, come dicemmo, dei veri e propri «residui» diqualcuna delle antiche scienze tradizionali [Diciamo di qualcuna soltanto, poiché ci sono altre scienze

tradizionali di cui nel mondo moderno non è rimasta la minima traccia, per quanto deformata odeviata possa immaginarsi. D’altra parte è assiomatico che tutte le enumerazioni e le classificazionidei filosofi riguardano le sole scienze profane, e che le scienze tradizionali non possonoassolutamente rientrare in schemi ristretti e «sistematici»; alla nostra epoca si può, a questoproposito, applicare meglio che a qualunque altra, il detto arabo secondo cui «esistono molteScienze, ma pochi scienziati» (el-ulum kathir, walaken el-ulama qalil)], e ciò non soltanto conriferimento al loro contenuto, ma addirittura secondo un punto di vista puramente storico. Un altrofatto che concorda con i precedenti, per poco che si sia capaci di afferrarne il vero significato, èl’accanimento con cui i moderni hanno intrapreso ad esumare le vestigia di epoche passate e diciviltà scomparse, delle quali in verità sono assolutamente incapaci di comprendere qualcosa; equesto è un sintomo abbastanza poco rassicurante, a causa della natura delle influenze sottili chepermangono legate a tali vestigia, le quali, senza che coloro che indagano ne abbiano il minimo

sospetto, sono in tal modo riportate alla luce con esse e messe per così dire in libertà dall’atto stessodella loro esumazione. Perché si possa meglio comprendere, saremo obbligati a trattare brevementedi certe cose che, in se stesse, sono in realtà completamente al di fuori del mondo moderno, masono tuttavia tali da poter essere usate per esercitare su questo un’azione particolarmente«disaggregante». Quanto ne diremo sarà perciò soltanto in apparenza una digressione, e d’altrondenello stesso tempo un’occasione per mettere in luce certe questioni troppo poco conosciute.È opportuno, prima di tutto, dissipare una confusione e un errore d’interpretazione dovuti allamentalità moderna: l’idea che esistano cose puramente «materiali», concezione esclusivamentepropria di tale mentalità, non corrisponde ad altro, in fondo, sbarazzata da tutte le complicazionisecondarie sovrappostevi dalle teorie particolari dei fisici, se non all’idea che esistano esseri e cosesoltanto corporei, la cui esistenza e la cui costituzione non comporterebbero alcun elemento dinatura diversa. Quest’idea è, a ben guardare, legata in modo diretto al punto di vista profano in sé,

quale si afferma nella sua forma in qualche modo più completa nelle scienze attuali, giacché, questeultime essendo caratterizzate dall’assenza d’ogni possibile legame con princìpi d’ordine superiore, lecose che formano l’oggetto del loro studio devono essere anch’esse concepite come prive dellostesso legame (e qui riappare palesemente, una volta di più, il carattere «residuale» di tali scienze);si potrebbe dire che si tratta d’una condizione necessaria perché la scienza sia adeguata al suooggetto, perché se ammettesse che le cose stanno in un altro modo, essa dovrebbe con ciò

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riconoscere che la vera natura del proprio oggetto le sfugge. Non è forse da cercare altrove laragione per cui gli «scientisti» si sono tanto accaniti a gettare il discredito su tutte le concezionidiverse da questa, facendole apparire semplici «superstizioni» dovute all’immaginazione dei«primitivi», i quali, per essi, non possono essere che selvaggi, o uomini dalla mentalità infantile,come vogliono le teorie «evoluzionistiche»; di fatto, si tratti da parte loro di pura e sempliceincomprensione oppure di partito preso volontario, essi riescono a suggerirne un’ideasufficientemente caricaturale perché tale apprezzamento possa sembrare perfettamente giustificatoa tutti coloro che li credono sulla parola, cioè alla grande maggioranza dei nostri contemporanei.Così avviene, in particolare, per le teorie degli etnologi riguardanti quello che essi hanno convenuto

di chiamare l’«animismo»; a rigore, un termine di questo genere potrebbe anche avere un sensoaccettabile, ma, beninteso, alla condizione di intenderlo in un modo completamente diverso dal loro,e di non vedervi altro che il suo significato etimologico.Di fatto, nella realtà il mondo corporeo non può essere considerato come un tutto sufficiente a sestesso, né come qualcosa d’isolato nell’insieme della manifestazione universale; quali che possanoessere le apparenze dovute attualmente alla «solidificazione», esso, al contrario, procedeinteramente dall’ordine sottile, dove si può dire che abbia il suo principio immediato e per il cuitramite si ricollega, per gradi sempre più prossimi, prima alla manifestazione informale e poi alnon-manifestato; se le cose non stessero in questo modo, la sua esistenza sarebbe un’illusione purae semplice, una sorta di fantasmagoria dietro la quale non vi sarebbe nulla, ciò che tutto sommatoequivale a dire che non esisterebbe in alcun modo. In queste condizioni non può esserci, nel mondocorporeo, cosa la cui esistenza non riposi in ultima analisi sopra elementi d’ordine sottile e, oltrequesti, su un principio che può esser detto «spirituale», senza il quale nessuna manifestazione èpossibile, a qualunque livello la si voglia pensare. Per arrestarci alla considerazione degli elementisottili, i quali di conseguenza debbono esser presenti in tutte le cose, quand’anche siano più o menonascosti secondo i casi, possiamo dire che essi corrispondono, nelle cose, a quel che forma in modoproprio, l’ordine «psichico» nell’essere umano; si potrà perciò, in virtù di un’estensioneperfettamente naturale e non comportante alcun «antropomorfismo», bensì esclusivamenteun’analogia perfettamente legittima, chiamarli anch’essi «psichici» in tutti i casi (ed è questa laragione per cui abbiamo già parlato in precedenza di «psichismo cosmico»), oppure «animici»,poiché questi due termini, quando ci si riferisca al loro significato primitivo, data la loro derivazionerispettivamente greca e latina, sono in fondo esattamente sinonimi. Da tutto ciò risulta che nonpossono esistere realmente oggetti «inanimati», e questa d’altronde è la ragione per la quale la«vita» è una delle condizioni a cui è sottoposta ogni esistenza corporea senza eccezioni; con questosi spiega anche perché nessuno sia mai stato capace di definire in modo soddisfacente la distinzione

tra «vivente» e «non vivente», questione che, come tante altre che si ritrovano nella filosofia e nellascienza moderne, è insolubile soltanto perché non ha alcun motivo di porsi veramente, giacché il«non vivente» non ha posto nella sfera considerata, e giacché, in definitiva, tutto si riduce, sottoquesto aspetto, semplicemente a una differenza di gradi.Si può perciò, se si vuole, chiamare «animismo» un simile modo di vedere le cose, volendointendere con tale parola niente d’altro o di più dell’affermazione che in queste ultime ci sono deglielementi «animici»; ed è chiaro che l’«animismo» si oppone in modo diretto al meccanicismo, nellostesso modo in cui la realtà stessa si oppone alla semplice apparenza esteriore; è altresì evidenteche una concezione di questo genere è «primitiva», ma ciò semplicemente perché è vera, il che èquasi esattamente il contrario di quanto gli «evoluzionisti» vogliono dire quando la qualificano in talemodo. Nello stesso tempo, e per la medesima ragione, questa concezione è di necessità comune atutte le dottrine tradizionali; potremmo perciò dire che essa è «normale», mentre l’idea opposta,

quella cioè delle cose «inanimate» (la quale trovò una delle sue espressioni estreme nella teoriacartesiana degli «animali-macchine»), costituisce una vera anomalia, com’è del resto per ogni ideaspecificamente moderna e profana. Ma dev’essere ben chiaro che non si è affatto di fronte a una«personificazione» di quelle forze naturali che i fisici studiano a modo loro, e meno ancora alla loro«adorazione», come pretendono coloro per i quali l’«animismo» costituisce quel che essi credono dipoter chiamare la «religione primitiva»; si tratta in realtà di concezioni che appartengonounicamente all’àmbito della cosmologia, le quali possono trovare la loro applicazione in differentiscienze tradizionali. È assiomatico altresì che quando entrano in discussione elementi «psichici»inerenti alle cose, o forze di quest’ordine che si esprimono e si manifestano per il tramite di esse, sitratta sempre di qualcosa che non ha assolutamente niente di «spirituale». La confusione di questidue àmbiti è anch’essa puramente moderna, e indubbiamente non è estranea all’idea di fare una«religione» di quel che è scienza nel senso più esatto della parola. Nonostante la loro pretesa alle

«idee chiare e distinte» (eredità diretta anch’essa del meccanicismo e del «matematicismouniversale» di Cartesio), i nostri contemporanei mescolano in modo ben strano le cose più etero-genee e più essenzialmente distinte! Quel che qui ci preme è di far notare come gli etnologi abbianol’abitudine di considerare «primitive» certe forme che, al contrario, sono degenerate in proporzionipiù o meno variabili, anche se, molto spesso, non siano di livello così basso quanto farebberosupporre le loro interpretazioni. Comunque stiano le cose, questo spiega come l’«animismo», il quale

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tutto sommato costituisce soltanto un punto particolare di una dottrina, abbia potuto essere assuntoa caratterizzare codesta per intero. In effetti, nei casi di degenerazione, è naturalmente la partesuperiore della dottrina, vale a dire il suo lato metafisico e «spirituale», che scompare sempre più omeno completamente; di conseguenza, quel che in origine era soltanto secondario, ed in particolarel’aspetto cosmologico e «psichico», al quale appartengono propriamente l’«animismo» e le sueapplicazioni, assume inevitabilmente un’importanza preponderante; il resto, quand’anche persistaancora, almeno in una certa misura, può facilmente sfuggire a chi osservi le cose dall’esterno, tantopiù che costoro, ignorando il significato profondo dei riti e dei simboli, saranno incapaci diriconoscere in essi quanto appartiene ad una sfera superiore (allo stesso modo in cui non lo

riconoscono nelle vestigia delle civiltà interamente scomparse), e crederanno di poterindistintamente spiegare tutto in termini di «magia», se non addirittura, talvolta, di «stregoneria»pura e semplice.Un esempio molto chiaro di quanto stiamo dicendo si può trovare in un caso come quello dello«sciamanismo», che è generalmente considerato una delle forme tipiche dell’«animismo»; la suastessa denominazione, il cui etimo è piuttosto incerto, designa propriamente l’insieme delle dottrinee delle pratiche tradizionali di certe popolazioni mongole della Siberia; ma alcuni l’estendono a quelche, anche in altre località, presenta caratteri più o meno simili. Per molti, «sciamanismo» èpressoché sinonimo di stregoneria, ciò che è sicuramente inesatto, poiché si tratta di ben altro;questa parola ha subìto in certo qual modo una deviazione inversa di quella di «feticismo», che hasì, dal punto di vista etimologico, il senso di stregoneria, ma è stata invece applicata a cose nellequali si ritrova, analogamente, anche qualcos’altro. A tale proposito, segnaleremo che la distinzioneda taluni voluta stabilire tra «sciamanismo» e «feticismo», considerati come due varietàdell’«animismo», non può essere né così netta né così importante come essi la ritengono: che sianoesseri umani, come nel primo caso, o oggetti qualsiasi, come nel secondo, a fungere principalmenteda «supporti» o da «condensatori», se così si può dire, per certe influenze sottili, si tratta soltanto diuna semplice differenza di modalità «tecniche», la quale, in fondo, non ha nulla di assolutamenteessenziale [In quel che segue ci serviremo di un certo numero di indicazioni riguardanti lo«sciamanismo» contenute in un’esposizione dal titolo Shamanism of the Natives of Siberia, di I.M.Casanovicz (estratta dallo Smithsonian Report for 1924), la cui comunicazione dobbiamo allagentilezza di A.K. Coomaraswamy].Se si esamina lo «sciamanismo» propriamente detto, si constata in esso l’esistenza di unacosmologia molto sviluppata, la quale potrebbe fornire il motivo di accostamenti con quelle di altretradizioni quanto a numerosi punti, cominciando dalla divisione dei «tre mondi» che pare costituirneil fondamento stesso. Inoltre si riscontrano in esso riti paragonabili ad alcuni di quelli che

appartengono a tradizioni del rango più elevato: certuni, ad esempio, ricordano in modostupefacente taluni riti vedici, fra quelli, anche, che più manifestamente procedono dalla tradizioneprimordiale, come i riti in cui i simboli dell’albero e del cigno hanno una parte preponderante. Perciònon v’è dubbio che si tratti di qualcosa che, almeno alle sue origini, costituiva una forma tradizionaleregolare e normale; d’altronde si è conservata nello «sciamanismo», fino all’epoca attuale, una certa«trasmissione» dei poteri necessari all’esercizio delle funzioni dello «sciamano»; ma, quando siconstata che questi consacra la sua attività soprattutto alle scienze tradizionali più basse, quali lamagia e la divinazione, è relativamente facile sospettare che deve essersi prodotta unadegenerazione ben reale, e vien da chiedersi se essa non si sia spinta addirittura fino a diventareuna vera e propria deviazione, deviazione a cui non possono che troppo facilmente dar luogo le cosedi quest’ordine quando prendano uno sviluppo così eccessivo. A dire il vero, sono presenti, sottoquesto riguardo, indizi piuttosto inquietanti: uno di questi è il legame che si stabilisce tra lo

«sciamano» e un animale, legame che riguarda esclusivamente un individuo, e che di conseguenzanon è in alcun modo assimilabile al legame collettivo che costituisce quello che, a torto o a ragione,viene chiamato «totemismo». Occorre dire però, che ciò a cui ci troviamo di fronte potrebbe essere,in se stesso, suscettibile di un’interpretazione affatto legittima, senza rapporto alcuno con la strego-neria; sennonché quel che gli conferisce un carattere più sospetto è il fatto che almeno presso certepopolazioni, se non in tutte, l’animale è allora considerato in qualche modo come una forma dellostesso «sciamano»; e da una identificazione del genere alla «licantropia», quale esiste in particolarepresso i popoli di razza nera [Secondo testimonianze degne di fede esiste, in particolare, in unaremota zona del Sudan, un’intera popolazione di «licantropi», formata da almeno una ventina dimigliaia d’individui; esistono pure, in altre contrade dell’Africa, organizzazioni segrete, come quella acui è stato dato il nome di «Società del Leopardo», nelle quali hanno un’importanza preponderantedeterminate forme di «licantropia»], il passo non è poi così lungo come forse si sarebbe tentati di

pensare.Ma occorre ancora che aggiungiamo qualcosa che ha più diretta attinenza con il nostro argomento:gli «sciamani», fra le influenze psichiche con le quali hanno a che fare, ne distinguono in modomolto naturale di due sorte, le une benefiche e le altre malefiche, e poiché evidentemente non c’ènulla da temere dalle prime, è delle seconde che si occupano quasi esclusivamente; questo almenosembra essere il caso più frequente, giacché potrebbe anche darsi che lo «sciamanismo» comprenda

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forme relativamente varie, fra le quali sarebbe forse opportuno fare certe differenze sotto questoriguardo. Del resto non si tratta affatto di un «culto» reso alle influenze malefiche, che sarebbeallora una specie di «satanismo» cosciente, com’è stato talvolta supposto a torto; si trattaunicamente, in linea di principio, di impedir loro di nuocere, di neutralizzarne o di stornarne l’azione.La stessa considerazione potrebbe pure applicarsi ad altri pretesi «adoratori del diavolo» cheesistono in differenti regioni; in linea generale, non è molto verosimile che il «satanismo» realepossa intaccare tutto un popolo. Ciò nonostante, non è men vero che, qualunque possa esserel’intenzione primitiva, la manipolazione di influenze di questo genere, senza che sia fatto appello ainfluenze di un ordine superiore (e a maggior ragione a influenze propriamente spirituali), porta per

forza di cose a costituire una vera e propria stregoneria, anche se molto diversa da quella dei volgari«stregoni di campagna» occidentali, la quale non è costituita che dagli ultimi resti di una conoscenzamagica ridotta e degenerata al massimo grado e sul punto di scomparire completamente.La parte magica dello «sciamanismo» ha certamente tutt’altra vitalità, ed è per questo che essa èqualcosa di veramente temibile sotto più di un rispetto; in effetti il contatto per così dire costantecon le forze psichiche inferiori è fra i più pericolosi, innanzi tutto per lo «sciamano» stesso, questo èevidente, poi anche sotto un altro aspetto, il cui interesse è molto meno strettamente «localizzato».Di fatto, può accadere che certi individui, operanti in modo più cosciente e con conoscenze piùampie - ciò che non vuol dire affatto d’ordine più elevato - utilizzino queste stesse forze per finicompletamente diversi, all’insaputa degli «sciamani» o di coloro che agiscono nello stesso modo, iquali non rappresenteranno allora che la semplice parte di strumenti per l’accumulazione delle forzein questione in punti determinati. Noi sappiamo infatti che esiste nel mondo un certo numero di«serbatoi» d’influenze la cui disposizione non ha certamente niente di «fortuito», e i quali nonservono che troppo bene i disegni di certe «potenze» responsabili di tutta la deviazione moderna;sennonché questo richiede altre spiegazioni, giacché ci si potrebbe, a prima vista, stupire che i restidi ciò che fu un tempo una tradizione autentica si prestino a una «sovversione» di tal genere.

27. Residui psichici

Per comprendere quel che abbiamo detto nel precedente capitolo riguardo allo «sciamanismo» -tanto più che questa è la ragione per cui ne abbiamo trattato, se pur in breve - occorre osservareche il caso della permanenza di vestigia di una tradizione degenerata, la cui parte superiore o«spirituale» sia scomparsa, è in fondo esattamente paragonabile a quello dei resti psichici che unessere umano lascia dietro di sé passando ad un altro stato, i quali, abbandonati che siano in questomodo dallo «spirito», possono anch’essi servire a qualunque cosa; di fatto, che siano utilizzati

coscientemente da un mago o da uno stregone, o in modo inconscio da qualche spiritista, gli effettipiù o meno malefici che possono conseguirne non hanno evidentemente niente a che vedere con laqualità propria dell’essere a cui tali elementi appartennero in precedenza; non si tratterà d’altro,infatti, stando all’espressione in uso nella tradizione estremo-orientale, che di una speciale categoriadi «influenze erranti», le quali di quest’essere avranno conservato, al massimo, una apparenza pu-ramente illusoria. Per ben capire una similitudine di questo genere occorre rendersi conto che anchele influenze spirituali, per entrare in azione nel nostro mondo, devono necessariamente assumeredei «supporti» appropriati, prima di tutto nel campo psichico, e poi nello stesso campo corporeo,cosicché si comprenderà come questo processo presenti analogie con quello della costituzione di unnormale essere umano. Se le influenze spirituali in seguito si ritirano per qualsiasi ragione, i loroantichi «supporti» corporei, luoghi od oggetti (e quando si tratta di luoghi la loro situazione saràovviamente in relazione con la «geografia sacra», della quale abbiamo parlato in precedenza),

resteranno ciò nondimeno carichi di elementi psichici, i quali saranno tanto più forti e più persistentiquanto più potente sarà stata l’azione per cui essi servirono come mediatori e strumenti.Logicamente si può concludere che il caso di centri tradizionali e iniziatici importanti, spentisi datempo più o meno lungo, è quello che presenta i pericoli maggiori sotto questo riguardo, sia che sitratti di semplici imprudenti che provocano reazioni violente nei «conglomerati» psichici che possonopersistere in essi, sia che si tratti soprattutto di «maghi neri» - per servirsi dell’espressione corrente-mente accettata - che si impadroniscono di tali «conglomerati» per maneggiarli a loro piacere ondeottenerne effetti conformi ai loro piani.Il primo dei due casi a cui abbiamo accennato basta da solo a spiegare, almeno in buona parte, ilcarattere nocivo che presentano certe vestigia di civiltà scomparse quando siano riportate alla luceda gente che, come gli archeologi moderni, ignorando completamente queste cose, agiscono daimprudenti, pur senza volerlo. Ciò non vuole affatto dire che non si possa trattare talvolta anche di

qualcosa di diverso: alcune civiltà antiche hanno potuto, nei loro ultimi tempi, degenerare in seguitoa uno sviluppo eccessivo della magia [Pare accertato che questo sia stato in particolare il casodell’antico Egitto], sicché i loro resti ne conserveranno l’impronta in modo del tutto naturale, sottoforma di influenze psichiche di qualità molto bassa. Può altresì accadere che, al di fuori d’ogni casodi degenerazioni di questo genere, alcuni luoghi od oggetti siano stati particolarmente preparati invista di un’azione difensiva contro chi avrebbe potuto indebitamente mettervi mano, giacché

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precauzioni di tale sorta non hanno nulla di illegittimo in sé, anche se il fatto di annettere ad esseun’importanza troppo grande non sia un indizio dei più favorevoli, in quanto indice di un tipo dipreoccupazioni piuttosto lontane dalla spiritualità pura, e forse financo di un certo disconoscimentodella potenza che quest’ultima possiede in proprio senza che sussista la necessità del ricorso a simili«aiuti strumentali». Ma anche facendo astrazione da tutte queste considerazioni, le influenzepsichiche residue, private dello «spirito» che un tempo le dirigeva e ridotto in tal modo ad unaspecie di stato «larvale», possono benissimo reagire di per se stesse, in modo più o menodisordinato, ad una provocazione, di qualunque genere essa sia e per quanto involontaria, e ciò inogni caso non ha nessun rapporto con le intenzioni di coloro che se ne servirono anticamente per

un’azione d’altro ordine; questo fenomeno si può accostare del resto a quello delle manifestazioniridicole ed assurde dei «cadaveri» psichici che intervengono talvolta nel corso delle sedute spiritiche,giacché anche queste ultime non hanno alcun rapporto con quel che avrebbero potuto o voluto fare,in qualsiasi circostanza, le individualità di cui tali «cadaveri» costituivano la forma sottile e dellequali simulano in qualche modo l’«identità» postuma, per la gran meraviglia degli ingenui che sonodisposti ad accettarli come «spiriti».Le influenze in questione possono perciò, in più di una occasione, essere già abbastanza perniciosequando siano lasciate semplicemente a se stesse; la ragione di ciò non risiede che nella naturastessa delle forze appartenenti al «mondo intermedio», e nessuno può esserne incolpato, non più,per lo meno, di quanto si possa incolpare qualcuno dell’azione delle forze «fisiche», di quelle forze,cioè, che appartengono al campo corporeo e di cui si occupano i fisici, le quali possono anch’esseprovocare, in determinate circostanze, incidenti di cui nessuna volontà umana potrebbe essereconsiderata responsabile; sennonché, si può comprendere da quanto precede il vero significato degliscavi moderni e la parte che essi rappresentano di fatto quanto all’apertura di talune di quelle«fenditure» di cui abbiamo detto più indietro. Inoltre, queste influenze sono in balìa di chiunquesappia «captarle», nello stesso modo delle forze «fisiche»; sarà quindi naturale che tanto le unecome le altre possano servire ai fini più diversi e addirittura opposti, a seconda delle intenzioni di chise ne impadronirà e le dirigerà secondo la propria volontà; e, per quel che si riferisce alle influenzesottili, se accade che questi sia un «mago nero», è evidente che ne farà un uso del tutto contrario aquello che possono averne fatto, all’origine, i rappresentanti qualificati d’una tradizione regolare.Quel che abbiamo detto fin qui si applica alle vestigia lasciate dietro di sé da una tradizionecompletamente estinta; ma, insieme a questo, si può tener conto d’un altro caso: quello cioè diun’antica civiltà tradizionale che in qualche modo sopravviva a se stessa, nel senso che la suadegenerazione si sia spinta ad un livello tale che lo «spirito» abbia finito per ritrarsene totalmente;talune conoscenze, che in se stesse non hanno nulla di «spirituale» ed appartengono meramente

all’ordine delle applicazioni contingenti, potranno ancora continuare a trasmettersi, soprattuttoquelle di natura più bassa, ma saranno allora, in modo del tutto naturale, suscettibili di ognideviazione, giacché non saranno altro che «residui» di un altro genere, poiché sarà scomparsa ladottrina pura dalla quale dovevano normalmente dipendere. In un simile caso di «sopravvivenza», leinfluenze psichiche messe anteriormente in opera dai rappresentanti della tradizione potrannoancora essere «captate», anche se all’insaputa dei loro continuatori apparenti, oramai illegittimi eprivi d’ogni vera autorità; coloro che se ne serviranno effettivamente per il loro mezzo avranno in talmodo il vantaggio di avere a propria disposizione, quali strumenti incoscienti dell’azione che voglionoesercitare, non più solamente oggetti detti «inanimati», ma uomini viventi, i quali servonougualmente come «supporti» di simili influenze, e la cui effettiva esistenza conferisce naturalmentea queste ultime una vitalità tanto più grande. Proprio questo intendevamo suggerire quandoportammo l’esempio dello «sciamanismo», con la riserva però che ciò che dicevamo allora può non

applicarsi indiscriminatamente a tutto quel che si è preso l’abitudine di introdurre sotto questadenominazione un tantino convenzionale, contenuti, questi ultimi, che di fatto possono non esserearrivati tutti ad un uguale grado di svilimento.Una tradizione che sia giunta a questo punto nella sua deviazione è veramente morta, in quantotale, come è morta qualunque altra tradizione della quale non esista più alcuna apparenza dicontinuazione; d’altra parte, se essa fosse ancora vivente, per quanto ad un grado minimo, una«sovversione» di questo genere, la quale non è altro, in fondo, che un rovesciamento di ciò chepermane di essa per poterlo utilizzare in un senso per definizione antitradizionale, non potrebbe inalcun modo, e in tutta evidenza, verificarsi. È tuttavia opportuno aggiungere che, ancor prima che lecose giungano a questo punto, e a partire dal momento in cui qualche organizzazione tradizionale ètalmente impoverita e indebolita da non esser più capace di resistenza sufficiente, emissari più omeno diretti dell’«avversario» [È noto che «avversario» è il senso letterale della parola ebraica

Shatan, e di fatto quelle di cui si tratta qui sono «potenze» il cui carattere è veramente «satanico»]possono già introdursi in essa e lavorare in modo da affrettare il momento in cui la «sovversione»sarà possibile; non che sia certo che essi riescano in tutti i casi, poiché tutto quel che ha ancora unpo’ di vita può sempre riprendersi; ma se la morte ha luogo, il nemico si troverà in tal modo già sulposto, se così si può dire, pronto ad approfittarne e ad utilizzare immediatamente il «cadavere» per ipropri fini. I rappresentanti di tutto quel che nel mondo occidentale possiede ancora attualmente un

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carattere tradizionale autentico, così nel campo exoterico come in quello iniziatico, avrebbero,secondo noi, il maggior interesse a trar profitto da quest’ultima osservazione finché hanno ancortempo, poiché attorno ad essi, per chi sappia vederli, disgraziatamente non mancano i segniminacciosi costituiti da «infiltrazioni» di questo genere.Ed ecco un’altra considerazione che ha anch’essa la sua importanza: se l’«avversario» (di cuicercheremo in seguito di precisare maggiormente la natura) ha interesse ad appropriarsi, tutte levolte che può, dei luoghi che furono sede di antichi centri spirituali, ciò non avviene soltanto a causadelle influenze psichiche ivi accumulate, e che egli ritrova in qualche modo «disponibili»; ma è anchea causa della situazione particolare di questi luoghi, giacché è chiaro che essi non furono per nulla

scelti ad arbitrio in relazione al compito che era loro assegnato in questa o quell’epoca e secondotale o tal altra forma tradizionale. La «geografia sacra», la cui conoscenza è quella che ne determinala scelta, è, come ogni altra scienza tradizionale di carattere contingente, passibile di essere stornatadal suo uso legittimo e applicata «alla rovescia»: se un punto è «privilegiato» in rapportoall’emissione e alla direzione delle influenze psichiche quando queste sono veicolo di un’azionespirituale, non meno lo sarà quando le stesse influenze psichiche saranno utilizzate in manieracompletamente diversa e per scopi contrari ad ogni spiritualità. Questo pericolo di deviazione dicerte conoscenze, del quale ritroviamo qui un esempio particolarmente evidente, spiega inoltre,teniamone conto per inciso, molto di quel riserbo che è cosa del tutto naturale in una civiltànormale, e che i moderni sono invece assolutamente incapaci di comprendere, giacchécomunemente attribuiscono a volontà di «monopolizzare» queste conoscenze quella che, alcontrario, è soltanto una misura destinata ad impedirne, per quanto è possibile, l’abuso. Per dire ilvero, questa misura cessa d’essere efficace solamente nel caso in cui le organizzazioni depositariedelle conoscenze di cui stiamo discorrendo lascino penetrare nel loro interno individui non qualificati,o addirittura, come abbiamo appena finito di dire, agenti dell’«avversario», uno dei cui scopi piùimmediati sarà allora precisamente di scoprire tali segreti. Ciò non ha, evidentemente, alcunrapporto diretto con il vero segreto iniziatico, il quale, come dicemmo in precedenza, risiedeesclusivamente in ciò che è «ineffabile» ed «incomunicabile», ed è naturalmente, per questa ragionestessa, al riparo da ogni ricerca indiscreta; tuttavia, benché ciò di cui stiamo trattando ora siasoltanto di carattere contingente, si deve riconoscere che le precauzioni che possono esser prese inquesto campo onde evitare ogni possibile deviazione, e di conseguenza qualsiasi azione nocivasuscettibile di averne origine, sono lungi dall’avere un interesse soltanto trascurabile.Ad ogni buon conto, si tratti dei luoghi in se stessi, delle influenze che permangono legate ad essi, oanche di conoscenze del tipo di quelle a cui abbiamo appena accennato, è il caso di ricordare inproposito l’antico adagio: «corruptio optimi pessima», il quale forse si applica meglio in questa

occasione che in qualsiasi altra: di fatto, è proprio il caso di parlare di vera e propria «corruzione»,anche nel senso più letterale del termine, poiché i «residui» che entrano in gioco in questo genere dicose, sono, secondo quanto dicevamo all’inizio, accostabili ai prodotti della decomposizione di quelloche fu un essere vivente; e siccome ogni corruzione è in qualche modo contagiosa, i prodotti delladissoluzione di cose passate avranno di per sé, dovunque siano «proiettati», un’azioneparticolarmente dissolvente e disaggregante, soprattutto se verranno utilizzati da una volontàchiaramente cosciente dei fini che vuole ottenere. Si tratta, potremmo dire, d’una sorta di«negromanzia», che pur mettendo in gioco resti psichici completamente diversi da quelli delleindividualità umane, non per questo è meno temibile, poiché ha in tal modo possibilità di azione benpiù vaste di quelle della volgare stregoneria, con la quale non ha anzi nessuna possibilità diparagone; e del resto, al punto in cui stanno le cose oggi, è necessario che i nostri contemporaneisiano veramente ben ciechi per non averne il minimo sospetto!

28. Le tappe dell’azione antitradizionale

Dopo le considerazioni da noi esposte e gli esempi dati fin qui, si potrà capire meglio in checonsistano esattamente, in modo generale, le tappe di quell’azione antitradizionale che ha vera-mente «fatto» il mondo moderno come tale. Sennonché, occorre anzitutto rendersi conto che, dalmomento che tutte le azioni effettive presuppongono necessariamente degli agenti, anche que-st’ultima, come qualsiasi altra, non può essere una specie di produzione spontanea e «fortuita», e,poiché si esercita in particolare nel campo umano, deve per forza di cose comportare l’intervento diagenti umani. Il fatto che quest’azione concordi con i caratteri propri del periodo ciclico in cui s’èprodotta spiega come essa sia stata possibile e come abbia potuto riportare un esito favorevole, manon basta a spiegare il modo in cui essa è stata realizzata e non indica i mezzi che sono stati messi

in funzione per riuscirvi. D’altronde, per essere convinti di ciò che diciamo, basta riflettere un pocosu questo: le influenze spirituali stesse, in ogni organizzazione tradizionale, agiscono sempre per iltramite di esseri umani, i quali sono i rappresentanti autorizzati della tradizione, anche sequest’ultima è realmente «sopraumana» nella sua essenza; a maggior ragione lo stesso deveaccadere in un caso in cui ad entrare in gioco non sono che influenze psichiche, e per di più dicategoria inferiore, vale a dire esattamente il contrario di un potere trascendente nei confronti del

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nostro mondo, senza contare che il carattere di «contraffazione» che in questo àmbito si manifestadappertutto, e sul quale ci toccherà ritornare, esige ancor più rigorosamente che le cose stiano inquesto modo. E inoltre, poiché l’iniziazione, sotto qualsiasi forma si presenti, è ciò che incarnaveramente lo «spirito» di una tradizione, e ciò che permette, per di più, l’attuazione effettiva deglistati «sopraumani», è evidentemente ad essa che deve opporsi nel modo più diretto (nella misura incui un’opposizione del genere è tuttavia concepibile) ciò di cui stiamo dicendo, che tende invece, intutti i modi, a spingere gli uomini verso l’«infraumano»; per modo che il termine«contro-iniziazione» è veramente quello che meglio serve alla designazione di ciò a cui si ricolle-gano, nel loro insieme e a gradi differenti (giacché anche qui, come nell’iniziazione, esistono per

forza di cose dei gradi), gli agenti umani attraverso i quali prende corpo l’azione antitradizionale; e,si badi, non si tratta affatto d’una semplice denominazione convenzionale, usata per parlare in modopiù comodo di qualcosa che in realtà non ha un nome proprio, bensì di un’espressione checorrisponde nel modo più esatto a realtà ben precise.Di fatto balza all’occhio, da qualunque punto di vista si osservino le cose, che nell’insieme di quantocostituisce propriamente la civiltà moderna si deve immancabilmente constatare come tutto appaiasempre più artificiale, denaturato e falsificato. Molti di coloro che oggi criticano tale civiltà sono delresto colpiti da questo suo aspetto, quand’anche non sappiano poi approfondire la loro critica e nonabbiano il minimo sospetto di quel che in realtà si nasconde dietro di essa. Tuttavia a noi parrebbeche debba bastare un po’ di logica per concludere che se tutto è diventato così artificiale, la stessamentalità a cui questo stato di cose corrisponde non dev’esserlo meno del resto, ciò che equivale adire che anch’essa deve essere «fabbricata» e niente affatto spontanea. Fatta questa sempliceriflessione, non si dovrebbero più trovare difficoltà a vedere gli indizi concordanti in tal sensomoltiplicarsi da ogni parte e pressoché indefinitamente; sennonché c’è da pensare che siasfortunatamente ben difficile sfuggire in modo così completo alle «suggestioni» a cui il mondo mo-derno in quanto tale deve la sua stessa esistenza e la sua possibilità di durare, giacché anche coloroche più risolutamente si dichiarano «antimoderni», in genere non riescono a vedere nulla di tuttociò, ed è anzi proprio questa la ragione per cui i loro sforzi sono così sovente destinati a restaresenza risultato e a manifestarsi quasi privi di ogni portata reale.L’azione antitradizionale doveva necessariamente mirare, contemporaneamente, sia a cambiare lamentalità generale sia a distruggere tutte le istituzioni tradizionali d’Occidente, giacché è in questosenso che essa si esercitò prima di tutto e in modo diretto, nell’attesa di tentare in seguito diestendersi al mondo intero per mezzo degli Occidentali, preparati in tal modo a diventare i suoistrumenti. D’altra parte, una volta cambiata la mentalità, le istituzioni, che da quel momento non lecorrispondevano più, dovevano necessariamente poter essere distrutte con facilità; è dunque il

lavoro di deviazione della mentalità quello che appare in questo processo veramente fondamentale,in quanto è da esso che tutto il resto in qualche modo dipende, e di conseguenza è su di esso che èopportuno insistere in modo particolare. Evidentemente un tale lavoro non poteva essere portato atermine in un unico momento, anche se ciò che forse è più stupefacente è la rapidità con cui gliOccidentali hanno potuto essere indotti a dimenticare tutto quel che per loro era legato all’esistenzad’una civiltà tradizionale; quando si pensa alla incomprensione totale di cui i secoli XVII e XVIIIdettero prova nei confronti del Medio Evo, e ciò da ogni punto di vista, dovrebbe essere facile capireche un cambiamento così completo e così brusco non poté compiersi in modo naturale e spontaneo.Ad ogni buon conto, occorreva prima di tutto ridurre, per così dire, l’individuo a se stesso, e questa,come abbiamo spiegato, fu soprattutto l’opera del razionalismo, il quale nega all’essere il possesso el’uso d’ogni facoltà di carattere trascendente; è cosa ovvia, però, che il razionalismo incominci a farsentire i suoi effetti ancor prima di ricevere tale nome, riferito alla sua forma più particolarmente

filosofica, così come vedemmo trattando del Protestantesimo. D’altronde, l’«umanesimo» delRinascimento non era altro anch’esso se non il diretto precursore del razionalismo vero e proprio,giacché dire «umanesimo» significa dire pretesa di tutto ricondurre ad elementi puramente umani, edi conseguenza (per lo meno di fatto, se proprio non ancora in virtù di una teoria espressamenteformulata) esclusione di tutto ciò che è sovraindividuale. In seguito occorreva rivolgerecompletamente l’attenzione dell’individuo verso le cose esteriori e sensibili, per rinchiuderlo, per cosìdire, non più soltanto nel campo umano, ma, mediante una limitazione ancor più ristretta, nel solomondo corporeo: è qui che si situa il punto di partenza di tutta la scienza moderna, la quale,costantemente diretta in tal senso, doveva rendere questa limitazione sempre più effettiva. Lacostituzione delle teorie scientifiche, o se si vuole filosofico-scientifiche, dovette anch’essa procedereper gradi; e (anche a questo proposito possiamo però, in questa sede, soltanto ricordare in modosommario quel che già abbiamo esposto) il meccanicismo aprì direttamente la strada al

materialismo, che doveva significare, in modo pressoché irrimediabile, la riduzione dell’orizzontementale al campo corporeo, considerato da allora in poi l’unica «realtà», privata per di più di tuttociò che non poteva essere inteso come semplicemente «materiale»; naturalmente l’elaborazionedella nozione stessa di «materia» da parte dei fisici doveva avere in questo senso una parteimportante. Da quel momento si era propriamente entrati nel «regno della quantità». La scienzaprofana, da Cartesio in poi meccanicistica, e diventata più specialmente materialistica a partire dalla

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seconda metà del secolo XVIII, doveva, nelle sue successive teorie, divenir sempre più esclu-sivamente quantitativa, mentre il materialismo insinuandosi nella mentalità generale, riusciva adeterminare in essa quell’atteggiamento, indipendente da ogni affermazione teorica, ma proprio pertale ragione tanto più diffuso e infine passato allo stato di una specie d’«istinto», che noi abbiamochiamato «materialismo pratico»; successivamente questo atteggiamento stesso doveva essereulteriormente rinforzato dalle applicazioni industriali della scienza quantitativa, le quali producevanol’effetto di vincolare sempre più gli uomini alle sole realizzazioni «materiali». L’uomo«meccanizzava» tutto e alla fine giungeva a «meccanizzare» se stesso, cadendo a poco a poco nellostato delle false «unità» numeriche perdute nell’uniformità e nell’indistinzione della «massa», vale a

dire, in definitiva, nella molteplicità; certamente non si potrebbe immaginare trionfo più completodella quantità sulla qualità.E tuttavia, mentre si compiva questo lavoro di «materializzazione» e di «quantificazione», che delresto non è ancora terminato, né mai potrà esserlo completamente, perché la riduzione totale allaquantità pura è irrealizzabile nella manifestazione, era già incominciato un altro lavoro, soltanto inapparenza opposto ad esso, e il suo inizio, vale la pena di ricordarlo, era coinciso con l’apparizionedel materialismo propriamente detto. Questa seconda parte dell’azione antitradizionale dovevatendere non più alla «solidificazione», ma alla dissoluzione, sennonché, lungi dall’ostacolare la primatendenza - vale a dire quella la cui caratteristica è la riduzione al quantitativo -, quest’ultima dovevaanzi aiutarla quando fosse stato raggiunto il massimo grado possibile di «solidificazione», e quandola corrispondente tendenza, andata al di là del suo primo obbiettivo col voler ricondurre il continuo aldiscontinuo, fosse diventata essa stessa una tendenza alla dissoluzione. È dunque in questomomento che il secondo lavoro, il quale all’inizio si effettuava, a modo di preparazione, soltanto piùo meno nascostamente e in tutti i casi in ambienti ristretti, doveva apparire alla luce del sole eassumere a sua volta proporzioni d’importanza crescente, e ciò mentre la scienza quantitativadiventava meno rigorosamente materialistica, nel senso proprio del termine, finendo addirittura colcessare di fondarsi sulla nozione di «materia», ridotta ad essere sempre più inconsistente e«sfuggente» dal processo stesso delle sue elaborazioni teoriche. È questa la condizione in cui citroviamo al momento attuale: il materialismo in fondo sopravvive a se stesso, e senza dubbio potràcontinuare a farlo per un tempo più o meno lungo, soprattutto in quanto «materialismo pratico»; main ogni caso esso ha ormai finito di avere la parte più importante nell’azione antitradizionale.Dopo che il mondo corporeo fu chiuso nel modo più completo possibile, occorreva, pur nonpermettendo il ristabilirsi di alcuna comunicazione con i campi superiori, riaprirlo verso il basso, perfarvi penetrare le forze dissolventi e distruttive dell’àmbito sottile inferiore; sono perciò lo«scatenamento» di queste forze, se così si può dire, e la loro messa in funzione onde portare alla

sua conclusione la deviazione del nostro mondo e condurre effettivamente quest’ultimo verso ladissoluzione finale, a costituire quella seconda parte, o seconda fase, di cui abbiamo detto. Si puòinfatti affermare che si tratta di due fasi distinte, quantunque siano state in parte simultanee,giacché, nel «piano» d’assieme della deviazione moderna, esse si seguono logicamente ed hanno illoro pieno effetto soltanto in modo successivo; d’altronde, a partire dal momento della costituzionedel materialismo, la prima era in qualche modo virtualmente completa e doveva solo svolgersiseguendo lo sviluppo di quanto era implicito nel materialismo stesso; fu allora precisamente checominciò la preparazione della seconda, della quale si sono visti finora soltanto i primi effetti, effettiperò già sufficientemente palesi da permettere di prevedere quanto dovrà seguire, e da poter dire,senza nessuna esagerazione, che questo secondo aspetto dell’azione antitradizionale da questomomento passa veramente in primo piano nei disegni di quel che abbiamo più su chiamatocollettivamente l’«avversario», e che possiamo ora con più precisione denominare «contro-

iniziazione».

29. Deviazione e sovversione

Abbiamo trattato dell’azione antitradizionale, da cui il mondo moderno è stato per così dire«fabbricato», considerandola nel suo insieme come un’opera di deviazione nei confronti dello statonormale, stato normale che è quello di tutte le civiltà tradizionali, qualunque possano essere,beninteso, le loro forme particolari; questo modo di vedere le cose è di facile comprensione e nonrichiede commenti più estesi. Sennonché resta da fare una distinzione tra deviazione e sovversione:si potrebbe dire che la deviazione è passibile di gradi indefinitamente molteplici, di modo che essapuò effettuarsi a poco a poco e in modo quasi insensibile; un esempio di quanto stiamo dicendo lotroviamo nel procedere della mentalità moderna dall’«umanesimo» e dal razionalismo al

meccanicismo e poi al materialismo, e altresì nel processo secondo il quale la scienza profana èandata elaborando successivamente teorie dal carattere sempre più esclusivamente quantitativo, ciòche permette di dire che tale deviazione nel suo insieme, e fin dal suo inizio, ha in modo costanteteso ad instaurare progressivamente il «regno della quantità». Ma, quando la deviazione sia giuntaal suo termine estremo, essa si risolve in un vero e proprio «rovesciamento», vale a dire in unostato diametralmente opposto all’ordine normale, ed è allora che si può parlare propriamente di

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«sovversione», secondo il significato etimologico della parola. È chiaro però che tale «sovversione»non va assolutamente confusa con il «capovolgimento» di cui parlammo a proposito dell’istantefinale del ciclo, «capovolgimento» di cui essa è esattamente il contrario, perché, venendoprecisamente dopo la «sovversione», e nel momento stesso in cui questa sembra essere compiuta,esso è in realtà un «raddrizzamento», che ristabilisce l’ordine normale e restaura lo «statoprimordiale» che di quest’ordine rappresenta la perfezione nella sfera umana.Si potrebbe dire che la sovversione, intesa in questo modo, non è in definitiva nient’altro che l’ultimostadio e la conclusione della deviazione, o anche, ed è la stessa cosa, che tutta la deviazione non fache tendere, in fondo, a produrre la sovversione, e di fatto nulla è più vero; nello stato presente

delle cose, quantunque non si possa ancora dire che la sovversione sia completa, di essa esistonogià segni ben visibili in tutto quel che presenta carattere di «contraffazione» o di «parodia»,carattere a cui abbiamo più volte fatto allusione e sul quale ritorneremo più ampiamente in seguito.Per il momento ci accontenteremo di far notare che tale carattere costituisce, in se stesso, unmarchio molto espressivo dell’origine reale di quanto ne è affetto e, per conseguenza, di tutta ladeviazione moderna, della quale mette bene in evidenza la natura veramente «satanica».Quest’ultima parola, in effetti, si applica in modo proprio a tutto ciò che è negazione erovesciamento dell’ordine, e di fatto sono questi, senza il minimo dubbio, i caratteri di quanto cicirconda e di cui possiamo constatare gli effetti; d’altronde, è forse il mondo moderno in sé qualcosadi diverso dalla pura e semplice negazione di ogni verità tradizionale? Sennonché, questo spirito dinegazione è nello stesso tempo, ed in qualche modo per necessità, uno spirito di menzogna; esso sinasconde sotto ogni sorta di travestimenti, spesso i più inattesi, per non essere riconosciuto per quelche è, per farsi anzi passare per il suo contrario, ed è proprio in ciò che si rivela la contraffazione; èquesta l’occasione per ricordare come corra il detto che «Satana è la scimmia di Dio», e come egli«si trasfiguri in angelo di luce». Tutto sommato, ciò equivale a dire che egli imita a modo suo,alterandole e falsificandole in modo da farle sempre servire ai propri fini, le cose stesse a cui vuoleopporsi: per tale ragione avverrà che egli s’industrii affinché il disordine assuma le apparenze d’unfalso ordine, che dissimuli la negazione d’ogni principio sotto l’affermazione di princìpi falsi, e via diquesto passo. Evidentemente tutte queste imprese non potranno essere in realtà null’altro chesimulacro e perfino caricatura, ma presentate in modo sufficientemente abile perché l’immensamaggioranza degli uomini se ne lasci ingannare; come stupirsene del resto, quando si vede quantofacilmente le soperchierie, anche le più grossolane, riescano ad imporsi alla folla, e come sia invecedifficile in seguito riuscire a disingannarla? Già gli antichi dell’età «classica» solevano dire «vulgusvult decipi»; ed è indubbio che sempre esistettero, per quanto mai così numerose come ai giorninostri, persone disposte ad aggiungere: «ergo decipiatur»!

Tuttavia, poiché contraffazione equivale a parodia, trattandosi di due termini che sono quasisinonimi, c’è invariabilmente in tutte le cose di questo genere un elemento grottesco, il quale puòessere più o meno appariscente, ma che in ogni caso non dovrebbe sfuggire a osservatori sia pursoltanto moderatamente perspicaci, se le «suggestioni» che essi subiscono inconsciamente non neabolissero a tal riguardo la perspicacia naturale. Si tratta dell’aspetto per il cui tramite la menzogna,per quanto abile, non può far altro che tradirsi; ed è chiaro come anche questo sia uno dei «marchi»d’origine, inseparabili dalla contraffazione, i quali normalmente devono permettere di riconoscerlacome tale. Se si volessero citare a questo proposito alcuni esempi scelti fra le differentimanifestazioni dello spirito moderno, non si avrebbe che l’imbarazzo della scelta, a cominciare daglipseudo-riti «civili» e «laici», che tanta diffusione hanno avuto dappertutto in questi ultimi anni, e iquali mirano a fornire alla «massa» un surrogato puramente umano dei veri riti religiosi, per finirecon le stravaganze di quel sedicente «naturismo» che, nonostante il suo nome, non è meno

artificiale, per non dire «antinaturale», delle inutili complicazioni dell’esistenza contro le quali ha lapretesa di reagire con una ridicola commedia, il cui vero scopo è soltanto di far credere che lo «statodi natura» si confonde con l’animalità; né è stato risparmiato il semplice riposo dell’essere umano,minacciato pur esso di essere snaturato dall’idea, contraddittoria in sé, ma ben conformeall’«ugualitarismo» democratico, di una «organizzazione del tempo libero» [È il caso di aggiungereche questa «organizzazione del tempo libero» fa parte integrante degli sforzi compiuti, secondoquanto da noi segnalato più sopra, per obbligare gli uomini a vivere il più possibile «in comune»]! Ècon intenzione che ricordiamo in questa sede soltanto fatti conosciuti da tutti, appartenenti in modoincontestabile a quello che può esser detto il «dominio» pubblico, e che da tutti possonoconseguentemente essere constatati senza difficoltà; non è dunque incredibile che coloro che nesentono, non diciamo il pericolo, ma anche solamente il ridicolo, siano così rari da rappresentaredelle vere e proprie eccezioni? Trattando di queste cose, così come di molte altre, quel che si

dovrebbe dire sarebbe «pseudo-religione», «pseudo-natura», «pseudo-riposo». Se si volessesempre parlare secondo verità, si dovrebbero far precedere dal prefisso «pseudo» tutte ledenominazioni dei prodotti specifici del mondo moderno, ivi compresa la scienza profana, la qualenon è in sé nient’altro che una «pseudo-scienza» o un simulacro di conoscenza, e ciò per suggeriredi cosa si tratti in realtà: niente più che falsificazioni, e falsificazioni il cui scopo è fin troppo evidenteper coloro che sono ancora capaci di riflettere.

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Fatte queste osservazioni, ritorniamo a considerazioni di carattere più generale: cos’è che rendepossibile questa contraffazione, anzi, cos’è che la rende sempre più possibile e sempre più perfettanel suo genere, se ci è permessa simile espressione in un’occasione come questa, a mano a manoche si procede nel cammino discendente del ciclo? La ragione profonda di ciò risiede nel rapportod’analogia inversa esistente, come già da noi spiegato, tra il punto più elevato e il punto più basso;è questo che permette, in particolare, che siano realizzate, in misura corrispondente a quella in cuici si avvicina al campo della quantità pura, quelle specie di contraffazioni dell’unità principiale che simanifestano nell’«uniformità» e nella «semplicità» verso cui tende lo spirito moderno, e che sono inqualche modo l’espressione più completa del suo sforzo di riduzione d’ogni cosa al punto di vista

quantitativo. Non esiste probabilmente miglior illustrazione del fatto che la deviazione non deve faraltro, se così si può dire, che svilupparsi e proseguire fino alla fine per condurre alla sovversionevera e propria, giacché quando ciò che vi è di più basso (perché si tratta infatti di qualcosa che èaddirittura inferiore ad ogni possibile esistenza) tenta in questo modo di imitare e di contraffare iprincìpi superiori e trascendenti, è effettivamente di sovversione che occorre parlare. Bisogna adogni modo ricordare che per la natura stessa delle cose la tendenza verso la quantità pura non potràmai arrivare a produrre completamente il suo effetto; perché la sovversione sia di fatto completa, èdunque necessario che qualcos’altro intervenga, ed a questo riguardo potremmo ripetere, tuttosommato, quello che già abbiamo detto a proposito della dissoluzione, ponendoci solamente inun’ottica un po’ differente. Del resto, in entrambi i casi, appare evidente come si tratti di cose lequali hanno attinenza con il termine finale della manifestazione ciclica; ed è questa precisamente laragione per cui il «raddrizzamento» dell’ultimo istante deve apparire, nel modo più esatto, unrovesciamento di tutte le cose rispetto allo stato di sovversione in cui esse si trovanoimmediatamente prima di questo istante.Se si tiene conto dell’ultima osservazione, si può ancora aggiungere quanto segue: la prima delledue fasi che abbiamo distinto nell’azione antitradizionale costituisce semplicemente un’opera dideviazione, il cui prodotto proprio è il materialismo più completo e più grossolano; quanto allaseconda fase, essa potrebbe essere caratterizzata più particolarmente come un’opera di sovversione(giacché è veramente questo a cui tende), prima che si concluda nella costituzione di quella cheabbiamo chiamato una «spiritualità alla rovescia», come il seguito delle cose dimostrerà ancor piùchiaramente. Le forze sottili inferiori alle quali si fa ricorso in questa seconda fase possonoveramente esser dette forze «sovversive» sotto ogni riguardo. Se ci è occorso d’applicare in prece-denza la stessa parola «sovversione» all’utilizzazione «alla rovescia» di quel che rimane delle antichetradizioni abbandonate dallo «spirito», è perché, nei due casi, si tratta di cose simili, giacché talivestigia corrotte, in condizioni come quelle da noi descritte, cadono necessariamente anch’esse nelle

regioni inferiori dell’àmbito sottile. Ora daremo un altro esempio particolarmente chiaro dell’opera disovversione, esempio che ci è fornito dal rovesciamento intenzionale del senso legittimo e normaledei simboli tradizionali. Si tratterà allo stesso tempo d’una buona occasione perché possiamospiegarci più compiutamente sulla questione di quel duplice significato che i simboli generalmentecontengono in sé, sul quale abbiamo avuto così spesso da appoggiarci nel corso della presentetrattazione che non sarà affatto fuori tema fornire al suo proposito qualche precisazione maggiore.

30. Il rovesciamento dei simboli

Talvolta ci si stupisce che ad uno stesso simbolo possano essere attribuiti due significati, almeno inapparenza, opposti l’uno all’altro: non si tratta qui semplicemente di quella molteplicità di significatiche, in generale, ogni simbolo può presentare secondo il lato o il livello al quale viene considerato, e

che del resto fa sì che il simbolismo non possa mai essere in alcun modo «sistematizzato», ma, piùprecisamente, di due aspetti legati tra loro da un certo rapporto di correlazione presentante la formadi un’opposizione, di modo che l’uno è per così dire l’inverso o il «negativo» dell’altro. Percomprendere ciò, occorre partire dal concetto di dualità quale presupposto di ogni manifestazione equale elemento che la condiziona in tutti i suoi modi, nei quali essa deve sempre ritrovarsi sotto unaforma o un’altra [Come per altre improprietà di linguaggio, assai frequenti e certamente non prive digravi inconvenienti, occorre precisare che «dualità» e «dualismo» sono due concetti del tuttodistinti: il dualismo (di cui la concezione cartesiana di «spirito» e, materia» è uno degli esempi piùnoti) consiste propriamente nel considerare una dualità come qualcosa di irriducibile e nel non saperscorgere niente al di là di essa, il che implica la negazione del principio comune dal quale, in realtà, idue termini di questa dualità procedono per polarizzazione]. Certamente questa dualità è, in verità,un complementarismo e non un’opposizione; ma due termini, che sono in realtà complementari, se

vengono esaminati da un punto di vista più esteriore e contingente, possono anche apparire opposti[Cfr. Le Symbolisme de la Croix, cit., cap. VII]. Ogni opposizione esiste come tale solo ad un certolivello, poiché un’opposizione irriducibile non può esistere: ad un livello più elevato essa si riduce adun complementarismo, nel quale i due termini si trovano già conciliati ed armonizzati primad’entrare infine nell’unità del principio comune donde entrambi procedono. Si può pertanto dire chela prospettiva del complementarismo è, in un certo senso, intermedia tra quella dell’opposizione e

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quella dell’unificazione; ognuna di queste prospettive ha la sua ragion d’essere ed un suo propriovalore nell’ordine in cui trova applicazione, anche se, evidentemente, esse non si situano nellostesso grado di realtà. Quel che è importante è dunque il saper mettere ogni aspetto al suo postogerarchico e di non pretendere di trasporlo in un àmbito ove non avrebbe più alcun significatoaccettabile.Si può così comprendere che il considerare in un simbolo due aspetti contrari è in queste condizionidel tutto legittimo, e che la considerazione di uno di questi aspetti non esclude affatto quelladell’altro, ognuno di essi essendo vero sotto un certo rapporto, e che, proprio a motivo della lorocorrelazione, la loro esistenza è in qualche modo solidale. È quindi un errore, del resto assai

frequente, ritenere che la considerazione dell’uno o dell’altro di questi aspetti debba essere connessaa dottrine o scuole esse stesse in opposizione [Un errore di questo genere è stato da noi segnalatoparlando della raffigurazione dello swastika con gli uncini volti in modo da indicare due sensi dirotazione opposti (Le Symbolisme de la Croix, cit., cap. X)]; tutto dipende dalla predominanza chepuò essere attribuita ad uno degli aspetti, o anche talvolta dallo scopo cui il simbolo è destinato, adesempio come un elemento di certi riti oppure come mezzo di riconoscimento per i membri diparticolari organizzazioni; ma è questo un punto sul quale ritorneremo ancora. I due aspetti possonotrovarsi riuniti in una medesima figurazione simbolica complessa, e ciò dimostra che essi non siescludono affatto e che possono essere colti simultaneamente. A questo proposito, anche se è unpunto che non possiamo qui svolgere completamente, è bene notare che una dualità, avente ilcarattere dell’opposizione o della complementarità a seconda della prospettiva assunta, può disporsi,quanto alla reciproca situazione dei suoi termini, in senso verticale oppure orizzontale; ciò risulta im-mediatamente dallo schema a forma di croce del quaternario, il quale può scomporsi in due dualità,l’una verticale e l’altra orizzontale. La dualità verticale può essere riferita alle due estremità di unasse, o alle due opposte direzioni secondo le quali questo asse può essere percorso; la dualitàorizzontale è quella dei due elementi situati simmetricamente ai lati di questo stesso asse. Unesempio del primo caso è dato dai due triangoli che formano il Sigillo di Salomone (ed anche da tuttiquegli altri simboli dell’analogia che hanno una disposizione geometrica similare), mentre, qualeesempio del secondo caso, abbiamo i due serpenti del Caduceo. Solo nella dualità verticale i duetermini si distinguono nettamente l’uno dall’altro per la loro posizione invertita, mentre, nella dualitàorizzontale, se li si considera separatamente, possono sembrare del tutto simili o equivalenti, anchese indicano pur sempre una opposizione. Possiamo ancora dire che, nell’ordine spaziale, la dualitàverticale è quella costituita dall’alto e dal basso e la dualità orizzontale quella della destra e dellasinistra. Questa osservazione sembrerà forse persin troppo evidente, ma ha nondimeno una suaimportanza, perché, simbolicamente (e ciò ci riporta al valore propriamente qualitativo delle

direzioni dello spazio), queste due coppie di termini sono in se stesse suscettibili di moltepliciapplicazioni, di cui non è difficile scoprire tracce perfino nel linguaggio corrente, il che dimostra chesi tratta di cose di portata assai generale.Poste queste fondamentali premesse, si possono trarre alcune deduzioni riguardanti ciò chepotremmo chiamare l’uso pratico dei simboli; ma, a tal fine, occorre anche tener conto di alcuneconsiderazioni, di un carattere più particolare, concernenti il caso in cui i due aspetti contrari sonorispettivamente considerati come «benefico» e «malefico». Abbiamo dovuto adoperare queste dueespressioni in mancanza di meglio, come già abbiamo fatto in casi analoghi: esse, in effetti,presentano l’inconveniente di far supporre che si tratti di una interpretazione in qualche modo«morale», mentre in realtà non vi è nulla di tutto ciò, dovendosi invece intendere in un sensopuramente «tecnico». Inoltre, deve anche essere ben chiaro che la qualità «benefica» o «malefica»non è pertinente in modo assoluto ad uno dei due aspetti, cui conviene invece solo in

un’applicazione speciale alla quale sarebbe impossibile ridurre indistintamente ogni opposizione, eche in tutti i casi necessariamente scompare quando si abbandoni il punto di vista dell’opposizioneper quello del complementarismo, al quale una tale considerazione è del tutto estranea. Entro questilimiti, e tenendo conto di tutte le riserve fin qui esposte, una simile prospettiva ha normalmente unsuo posto fra le altre possibili; ma è proprio da questa prospettiva, o meglio, dagli abusi cui dàluogo, che può risultare, nell’interpretazione e nell’uso del simbolismo, quella sovversione di cuiintendiamo qui occuparci in modo speciale, sovversione che costituisce uno dei «marchi»caratteristici di tutto ciò che, coscientemente o no, dipende dall’àmbito della «controiniziazione» o sitrova più o meno direttamente sottoposto alla sua influenza.Questa sovversione può consistere sia nell’attribuire all’aspetto «malefico», pur riconoscendolo tale,il posto che deve normalmente competere all’aspetto «benefico», e perfino una specie di supremaziasu questo, sia nell’interpretare i simboli in senso contrario a quello legittimo, ritenendo «benefico»

l’aspetto che è in realtà «malefico» e viceversa. Bisogna inoltre notare che, come abbiamo poc’anzispiegato, questa sovversione può non apparire chiaramente nella rappresentazione dei simboli,poiché ve ne sono che non presentano alcuna differenza esteriore riconoscibile a prima vista: adesempio, nelle figurazioni che si riferiscono a ciò che viene per lo più chiamato, moltoimpropriamente del resto, il «culto del serpente», è sovente impossibile, se ci si limita a considerareunicamente il serpente in se stesso, dire a priori se si tratta dell’Agathodaimon o del Kakodaimon; di

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qui equivoci a non più finire, soprattutto da parte di coloro che, ignorando questo doppio significato,sono portati a vedervi, dappertutto e sempre, solo un simbolo «malefico», caso questocaratteristico, ormai da molto, di quasi tutti gli Occidentali [È per questo motivo che il drago dellatradizione estremo-orientale, il quale è in realtà un simbolo del Verbo, è stato sovente interpretatocome un simbolo «diabolico» dall’ignoranza di certi Occidentali]. Quel che abbiamo detto delserpente vale per molti altri animali simbolici, di cui, per vari motivi, d’abitudine viene ormai coltosolo uno dei due aspetti contrari che essi posseggono in realtà. Per i simboli che possono presentaredue posizioni invertite, ed in special modo per quelli riducibili a forme geometriche, la differenzasembrerebbe apparire molto più nettamente; tuttavia non è sempre così, dacché le due posizioni

dello stesso simbolo sono entrambe suscettibili di avere un significato legittimo ed inoltre la lororelazione non è sempre necessariamente quella del tipo «benefico» e «malefico»; questa, diciamoloancora, non è che una semplice applicazione fra molte altre. In un caso del genere, è soprattuttoimportante stabilire se si è in presenza di quella che potremmo definire una volontà di«rovesciamento», in contraddizione formale con il valore legittimo e normale di un simbolo; perquesto motivo, per esempio, l’impiego del triangolo capovolto è lungi dall’essere, come moltiritengono [C’è chi è arrivato al punto d’interpretare in tal modo i triangoli capovolti che figurano tra isimboli alchemici degli elementi!], un segno di «magia nera», anche se lo è effettivamente in certicasi, quelli in cui gli si attribuisce l’intento di contrastare ciò che rappresenta il triangolo con ilvertice rivolto verso l’alto; e, notiamolo di sfuggita, un simile intenzionale «rovesciamento» vieneapplicato pure su parole e formule, sì da formare delle specie di mantra alla rovescia, come è datoconstatare in certe pratiche di stregoneria, anche nella semplice «stregoneria delle campagne» qualeesiste ancora in Occidente.La questione del rovesciamento dei simboli è dunque assai complessa, diremmo volentieriestremamente sottile, poiché ciò che si deve esaminare, per vedere con che cosa si ha veramente ache fare nei singoli casi, non sono tanto le raffigurazioni prese nella loro «materialità», quanto leinterpretazioni che le accompagnano e con le quali si spiega l’intenzione che ha suggerito la loroadozione. Anzi, la sovversione più abile e più pericolosa è certamente quella che non presentasingolarità troppo evidenti e che chiunque può facilmente individuare, che deforma il significato deisimboli e rovescia il loro valore senza apportare la pur minima variazione al loro aspetto esteriore.Ma l’inganno più diabolico è forse quello che consiste nell’attribuire allo stesso simbolismo ortodossoesistente nelle organizzazioni veramente tradizionali, e più particolarmente nelle organizzazioniiniziatiche che soprattutto sono in tal caso prese di mira, l’interpretazione alla rovescia, la quale èappunto caratteristica della contro-iniziazione: quest’ultima non rifugge infatti da questo mezzo purdi provocare quelle confusioni e quegli equivoci da cui spera di trarre profitto. Questo è, in fondo,

tutto il segreto di certe manovre, così significative per caratterizzare la nostra epoca, messe in attosia contro l’esoterismo in generale, sia contro questa o quella forma iniziatica in particolare, conl’aiuto inconsapevole di persone, gran parte delle quali sarebbero molto stupite, e persino spaven-tate, se potessero rendersi conto del fine per cui vengono utilizzate; è così che talvolta, purtroppo,coloro che credono di combattere il diavolo, qualunque del resto sia l’idea che se ne fanno, sitrovano invece, senza averne il minimo sentore, trasformati nei suoi migliori servitori!

31. Tradizione e tradizionalismo

La falsificazione di tutte le cose, la quale è, come abbiamo detto, uno dei tratti caratteristici dellanostra epoca, non è ancora la sovversione vera e propria, ma certo contribuisce abbastanzadirettamente a prepararla; ciò che meglio lo mette in evidenza è forse quella che possiamo chiamare

la falsificazione del linguaggio, vale a dire l’impiego abusivo di alcuni termini distolti dal lorosignificato vero, impiego che è in qualche modo imposto attraverso una costante suggestione daparte di tutti coloro che, in un modo o nell’altro, esercitano un’influenza di qualche genere sullamentalità pubblica. Né si tratta solamente di quella degenerazione a cui facemmo in precedenzaallusione, in conseguenza della quale molte parole hanno finito col perdere il senso qualitativo cheavevano in origine, per conservarne soltanto uno completamente quantitativo; è piuttosto un«deviamento», in virtù del quale certe parole sono applicate a cose che non vi si addiconoassolutamente, e che talvolta sono anzi opposte a quelle che tali parole normalmente significano. Sitratta innanzi tutto di un sintomo evidente della confusione intellettuale che regna dappertutto nelmondo attuale; sennonché non bisogna dimenticare che questa confusione è voluta da ciò che sinasconde dietro tutta la deviazione moderna; questa riflessione s’impone, in particolare, quando sivedono prender forma, da diverse parti contemporaneamente, tentativi di utilizzazione illegittima

dell’idea stessa di «tradizione» da parte di persone che vorrebbero indebitamente identificare ciò cheessa implica con le proprie concezioni in qualsivoglia campo. Ovviamente, non è che si debbasospettare, a questo proposito, della buona fede degli uni o degli altri, giacché in più d’un caso sipuò trattare di nient’altro che di pura e semplice incomprensione; l’ignoranza della maggioranza deinostri contemporanei nei confronti di tutto quel che possiede carattere realmente tradizionale è cosìcompleta, che non è neppure il caso di stupirsene; ma, nello stesso tempo, si è pure obbligati a rico-

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noscere che questi errori di interpretazione e questi involontari equivoci aiutano troppo bene certi«piani» perché non sia permesso chiedersi se la loro crescente diffusione non sia dovuta a qualcunadi quelle «suggestioni» che dominano la mentalità moderna e che in fondo tendono precisamente esempre alla distruzione di tutto ciò che è tradizione nel vero senso della parola.La mentalità moderna stessa, in tutti gli aspetti che la caratterizzano in quanto tale, non è altro,tutto sommato, ripetiamolo ancora una volta (perché si tratta di cose sulle quali non è mai inutileinsistere), che il prodotto di una vasta suggestione collettiva, la quale, esercitandosi senza soste nelcorso di diversi secoli, ha determinato la formazione e lo sviluppo progressivo dello spiritoantitradizionale, in cui si riassume in definitiva l’intero insieme dei tratti distintivi di quella mentalità.

Sennonché, per quanto poderosa ed abile sia questa suggestione, può giungere il momento in cui lostato di disordine e di squilibrio che ne consegue diventi talmente appariscente che certuni nonpossano più fare a meno di accorgersene, e rischia allora di prodursi una «reazione» checomprometterebbe lo stesso risultato già acquisito; pare che oggi le cose stiano esattamente aquesto punto, ed è significativo che un tale momento coincida precisamente, per una specie di«logica immanente», con quello in cui ha fine la fase puramente negativa della deviazione moderna,rappresentata dalla dominazione completa e incontrastata della mentalità materialistica. È a questopunto che interviene efficacemente, per distogliere tale «reazione» dall’obbiettivo verso cui tende, lafalsificazione dell’idea tradizionale, resa possibile dall’ignoranza di cui dicevamo poco fa, la quale nonè altro che uno degli effetti della fase negativa: l’idea stessa di tradizione è stata a tal puntodistrutta, che coloro i quali aspirano a ritrovarla non sanno più da quale parte dirigersi e sono prontiad accogliere tutte le false idee che saranno presentate loro in sua vece e sotto il suo nome. Costorosi sono resi conto, almeno fino ad un certo punto, di essere stati raggirati dalle suggestioniapertamente antitradizionali, e che le credenze che in tal modo gli erano state imposte noncontenevano che errori e illusioni; invero è già qualcosa nel senso di quella «reazione» a cuiintendiamo riferirci, ma, nonostante tutto, se le cose restano a questo punto, non può conseguirnealcun risultato effettivo. Di questo ci si rende perfettamente conto leggendo gli scritti, sempre menorari, in cui si possono trovare le più giuste critiche nei confronti della «civiltà» attuale, ma nei quali,come ci è già occorso di segnalare, i mezzi esaminati per porre rimedio ai mali che si vannodenunciando hanno un carattere stranamente sproporzionato ed insignificante, in qualche modoaddirittura infantile: progetti «scolastici» o «accademici», li si potrebbe chiamare, ma niente di più,e, soprattutto, niente che tradisca la minima conoscenza di ordine profondo. È a questo stadio che losforzo, per quanto lodevole e meritorio, può facilmente lasciarsi sviare verso attività che, a loromodo e nonostante certe apparenze, non faranno altro che contribuire ad accrescere ulteriormente ildisordine e la confusione di quella «civiltà» di cui intendono operare la rigenerazione.

Costoro, di cui stiamo parlando, sono quelli che si possono propriamente qualificare «tradizionalisti»,vale a dire coloro che sono animati semplicemente da una sorta di tendenza o d’aspirazione verso latradizione, senza che abbiano nessuna conoscenza reale di quest’ultima; da questo si può misuraretutta la distanza che separa lo spirito «tradizionalistico» dal vero spirito tradizionale, il quale inveceimplica essenzialmente tale conoscenza, anzi, con questa conoscenza non fa che una sola cosa. Inaltre parole, il «tradizionalista» non è e non può essere che un semplice «ricercatore», ed è proprioquesta la ragione per cui è sempre in pericolo di fuorviarsi, non essendo in possesso dei princìpi chesoli potrebbero dargli una direzione infallibile; tale pericolo sarà naturalmente tanto maggiore inquanto egli troverà sulla sua strada, quali altrettanti trabocchetti, tutte le false idee suscitate dalpotere d’illusione che ha un interesse capitale ad impedirgli di giungere al vero termine della suaricerca. È infatti evidente che tale potere non può mantenersi e continuare ad esercitare la suaazione se non a condizione che ogni restaurazione dell’idea tradizionale sia resa impossibile, e ciò

più che mai nel momento in cui si appresta a procedere ulteriormente nella direzione dellasovversione, movimento in cui consiste, come abbiamo spiegato, la seconda fase di quest’azione. Èdunque per esso tanto importante il far deviare le ricerche che tendono verso la conoscenzatradizionale, quanto lo è il far fallire quelle che, vertendo sulle origini e sulle cause reali delladeviazione moderna, sarebbero capaci di svelare qualcosa della sua natura propria e dei mezzid’influenza a sua disposizione; sono queste, per esso, due necessità in qualche modo complementaril’una dell’altra, tali da potersi considerare, tutto sommato, i due aspetti positivo e negativo di unastessa esigenza, fondamentale per la sua dominazione.Tutti gli impieghi abusivi della parola «tradizione» possono, in proporzioni variabili, servire a questoscopo, a cominciare dal più volgare di tutti, quello che la fa sinonimo di «costume» o di «uso»,provocando una confusione della tradizione con le cose più bassamente umane e più completamenteprive d’ogni significato profondo. Ma esistono altre deformazioni più sottili e di conseguenza più

pericolose; esse hanno tutte però il carattere comune di far discendere l’idea di tradizione a unlivello puramente umano, mentre, ben al contrario, non è e non può essere veramente tradizionalese non ciò che comporta un elemento di ordine sopraumano. È questo, di fatto, il punto essenziale,quello che costituisce in qualche modo la definizione stessa della tradizione e di tutto ciò che ad essasi ricollega; si tratta anche, naturalmente, di quel che occorre innanzi tutto impedire che sia rico-nosciuto per mantenere la mentalità moderna nelle sue illusioni, e a maggior ragione per

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procurargliene di nuove, le quali, lungi dall’accordarsi con una restaurazione del sopraumano,dovranno al contrario dirigere più efficacemente questa mentalità verso le modalità peggioridell’infraumano. Del resto, per convincersi dell’importanza che viene attribuita alla negazione delsopraumano da parte degli agenti coscienti ed incoscienti della deviazione moderna, basta osservarein qual misura tutti coloro che hanno la pretesa di farsi «storici» delle religioni e delle altre formedella tradizione (che essi però confondono invariabilmente sotto l’unica denominazione di«religioni») si accaniscano, prima d’ogni altra cosa, a spiegarle con fattori esclusivamente umani;importa poco che, a seconda delle scuole, questi fattori siano psicologici, sociali o d’altra natura,anzi, la molteplicità delle spiegazioni presentate in questo modo permette perfino che un più gran

numero di persone siano sedotte; quella che è costante è la volontà ben ferma di ridurre tutto allivello umano, non lasciando sussistere nulla di ciò che lo oltrepassa; coloro che credono nel valoredi questa «critica» distruttiva sono per conseguenza predisposti a confondere la tradizione conqualunque cosa, poiché di fatto non c’è più, nell’idea che è stata loro inculcata, nulla che la possaveramente distinguere da quanto è privo d’ogni carattere tradizionale.Dal momento che tutto ciò che è di ordine esclusivamente umano non può, proprio per tale ragione,essere legittimamente qualificato tradizionale, non può esistere, per esempio, una «tradizionefilosofica», o una «tradizione scientifica», nel senso moderno e profano della parola; né,ovviamente, può esistere una «tradizione politica», per lo meno in luoghi dove manchicompletamente un’organizzazione tradizionale, com’è il caso del mondo occidentale attuale. Tuttaviasi tratta di alcune delle espressioni che sono oggi d’uso corrente e che costituiscono altrettantedeformazioni dell’idea di tradizione; è ovvio che se gli spiriti «tradizionalistici» di cui dicevamo inprecedenza potranno essere indotti a lasciar deviare la loro attività verso questo o quello di talicampi e a limitare ad esso tutti i loro sforzi, le loro aspirazioni saranno di conseguenza«neutralizzate» e rese completamente inoffensive, quando poi non siano addirittura utilizzate, a loroinsaputa, in un senso totalmente opposto alle loro intenzioni. Accade infatti che si giunga adapplicare l’appellativo di «tradizione» a cose che, per loro stessa natura, sono antitradizionali almassimo grado: così si parla di «tradizione umanistica», o addirittura di «tradizione nazionale»,quando l’«umanesimo» non è nient’altro che la vera e propria negazione del sopraumano e laformazione delle «nazionalità» è stato il mezzo utilizzato per distruggere l’organizzazione socialetradizionale del Medio Evo. Né ci sarebbe molto da stupirsi se un giorno o l’altro qualcunoincominciasse a parlare di «tradizione protestante», di «tradizione laica» o di «tradizionerivoluzionaria», o se gli stessi materialisti finissero col proclamarsi i difensori di una «tradizione», senon altro in qualità di rappresentanti di qualcosa che appartiene già in gran parte al passato! Nellostato di confusione mentale a cui è pervenuta la gran maggioranza dei nostri contemporanei, le

associazioni di termini più manifestamente contraddittori non hanno più niente che possa farliindietreggiare, o anche soltanto farli riflettere un poco.Un’altra considerazione a cui siamo indotti da quel che precede è questa: quando tali persone, che sisono rese conto del disordine moderno per aver constatato il grado troppo visibile a cui esso ègiunto attualmente (soprattutto da quando è stato superato il punto corrispondente alla massima«solidificazione»), vogliono «reagire» in un modo o nell’altro, il miglior modo di rendere inefficacequesto bisogno di «reazione» non è forse quello di orientarle verso qualcuno degli stadi precedenti emeno «avanzati» della deviazione in questione, stadi in cui il disordine non aveva ancora assuntoproporzioni così evidenti e si presentava, se così si può dire, sotto apparenze più accettabili ancheper chi non fosse ancora totalmente accecato da certe suggestioni? Ogni «tradizionalista»d’intenzione deve normalmente affermarsi «antimoderno», ma non è che con ciò egli non possaessere, a propria insaputa, meno contaminato dalle idee moderne sotto qualche forma più o meno

attenuata, e quindi più difficilmente discernibile, ma corrispondente tuttavia all’una o all’altra delletappe percorse da tali idee nel corso del loro sviluppo; in questo campo nessuna concessione èammissibile, quand’anche fosse involontaria o inconscia, giacché, dal loro punto di partenza al lororisultato attuale, e oltre ancora, tutto è ricollegato e concatenato inesorabilmente. A tal proposito cipreme ancora aggiungere questo: il lavoro che ha per scopo d’impedire a ogni «reazione» di mirarepiù in là che al ritorno di un disordine inferiore, mascherando in tutti i casi il carattere diquest’ultimo e facendolo passare per «ordine», si affianca esattamente a quello che viene eseguito,in altri campi, per far penetrare lo spirito moderno proprio all’interno di quanto in Occidente puòancora sopravvivere delle organizzazioni tradizionali d’ogni ordine; in entrambi i casi quello che siottiene è lo stesso effetto di «neutralizzazione» delle forze di cui si potrebbe temere l’opposizione.Né d’altronde parlare di «neutralizzazione» è sufficiente, giacché dalla lotta che inevitabilmente deveaver luogo tra gli elementi che si trovano ridotti in tal modo e, per così dire, allo stesso livello e sullo

stesso terreno, e la cui ostilità reciproca rappresenta ormai solo quella esistente tra produzionidiverse ed opposte della stessa deviazione moderna, può soltanto aver origine un ulteriore aumentodel disordine e della confusione, e si tratterà in definitiva d’un passo avanti verso la dissoluzionefinale.Fra tutte le cose più o meno incoerenti che oggi si agitano, e si urtano, fra tutti i «movimenti»esteriori, di qualunque genere siano, non è dunque assolutamente il caso, dal punto di vista

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tradizionale o anche semplicemente «tradizionalistico», di «prender partito», come si usa dire,perché ciò significherebbe soltanto lasciarsi ingannare, e, considerato che in realtà sono sempre lestesse influenze ad esercitarsi dietro tutte queste cose, intervenire nelle lotte volute da esse e daesse invisibilmente dirette equivarrebbe propriamente a fare il loro gioco; in queste condizioni, ilsemplice fatto di «prender partito» corrisponderebbe di per sé, per quanto inconsciamente, ad unatteggiamento veramente antitradizionale. Non vogliamo scendere qui ad alcuna applicazioneparticolare, sennonché non possiamo fare a meno di constatare, e ciò nel modo più generale, che inquesto genere di cose i princìpi fanno difetto dappertutto, quantunque non si sia certamente maitanto parlato di «princìpi» come si fa oggi da tutte le parti, applicando quasi indiscriminatamente

questa denominazione a tutto ciò a cui essa meno si adatta, e talvolta addirittura a quel che alcontrario implica la negazione d’ogni vero principio. E quest’altro abuso di una parola è pur essorivelatore delle tendenze reali di quella falsificazione del linguaggio, di cui il deviamento del termine«tradizione» ci ha fornito l’esempio più tipico, e sul quale dovevamo insistere in modo particolareperché è più direttamente legato all’argomento del nostro studio, in quanto questo deve dare unaveduta d’assieme delle ultime fasi della «discesa» ciclica. Non possiamo infatti arrestarci al puntoche rappresenta l’apogeo del «regno della quantità», giacché quel che lo segue si ricollega troppo davicino a quel che lo precede perché possa esserne separato se non in modo del tutto artificiale; nonè nostra intenzione fare delle «astrazioni», le quali sono in definitiva una delle forme della«semplificazione» cara alla mentalità moderna, ma vogliamo esaminare invece, per quanto èpossibile, la realtà com’essa è, senza amputarla di nulla di ciò che è essenziale per la comprensionedelle condizioni dell’epoca attuale.

32. Il neospiRituaLIsmo

Abbiamo appena detto di coloro che, volendo reagire contro il disordine attuale, ma non possedendole conoscenze sufficienti per poterlo fare in modo efficace, sono in qualche modo «neutralizzati» ediretti verso vie senza uscita; sennonché, oltre a costoro, ci sono anche quelli che, al contrario, è fintroppo facile spingere più innanzi sulla strada che conduce alla sovversione. Il pretesto che è lorofornito nello stato presente delle cose, è nella maggior parte dei casi quello di «combattere ilmaterialismo», e certamente i più fra di loro vi credono sinceramente; ma mentre i primi di cuiabbiamo parlato, quando vogliano agire in tal senso, approdano semplicemente alle banalità di unavaga filosofia «spiritualistica», senza alcuna portata reale, ma se non altro quasi inoffensiva, questiultimi vengono orientati verso il campo delle peggiori illusioni psichiche, ciò che è ben altrimentipericoloso. Di fatto, mentre gli appartenenti alla prima categoria, pur essendo più o meno contagiati

a propria insaputa dallo spirito moderno, non lo sono tuttavia abbastanza profondamente da esserecompletamente incapaci di vedere, questi di cui tratterremo ora ne sono interamente penetrati e sifanno anzi, abitualmente, un vanto di essere dei «moderni»; l’unica cosa che ripugni loro, fra lemanifestazioni differenti di questo spirito, è il materialismo, ed essi sono a tal punto affascinati daquest’unica idea, da non accorgersi neppure che una quantità di altre cose, come la scienza el’industria che essi ammirano, sono strettamente dipendenti, per le proprie origini e per la lorostessa natura, da quel materialismo che gli fa così orrore. Ciò detto, è facile capire come mai unatteggiamento del genere debba essere al momento attuale incoraggiato e diffuso: costoro sono imigliori collaboratori inconsapevoli che si possono trovare per la seconda fase della azioneantitradizionale; siccome il materialismo ha quasi finito di rappresentare la sua parte, sono essi chediffonderanno nel mondo quel che dovrà prenderne il posto; anzi, il loro compito sarà di venireutilizzati per aiutare attivamente ad aprire quelle «fenditure» di cui dicevamo in precedenza poiché,

in questa sfera, non si tratta più solamente di «idee» o di teorie, ma, inoltre e contem-poraneamente, di una «pratica», che li mette in contatto diretto con le forze sottili della specie piùbassa; occorre aggiungere, del resto, che a questa funzione essi si prestano con tanto maggiorbuona volontà in quanto si illudono nel modo più completo sulla vera natura di queste forze,giungendo al punto di attribuir loro un carattere «spirituale».Si tratta di quel che in modo generico abbiamo chiamato «neospiritualismo», con lo scopo didistinguerlo dal semplice «spiritualismo» filosofico; in questa sede potremmo quasi accontentarci diricordarlo semplicemente a modo di «pro memoria», in quanto già consacrammo, in altre occasioni,studi speciali a due delle sue forme più diffuse [Cfr. R. Guénon, L’Erreur spirite, cit., e LeThéosophisme, histoire d’une pseudo-religion, Paris, 1921]; esso però costituisce un elementotroppo importante, fra quelli che sono tipici dell’epoca contemporanea, perché possiamo astenercidal rammentare almeno i suoi tratti principali, astrazion fatta tuttavia, per il momento, dell’aspetto

«pseudo-iniziatico» rivestito dalla maggior parte delle scuole che si ricollegano ad esso (ad eccezionebeninteso delle scuole spiritistiche, le quali sono apertamente profane, ciò che d’altronde è richiestodalle necessità della loro estrema «volgarizzazione»), giacché dovremo ritornare più tardi su questoargomento in modo particolare. Per cominciare è opportuno notare che non si tratta di un insiemeomogeneo, ma di qualcosa che assume una molteplicità di forme diverse, quantunque il tuttopresenti sempre un numero sufficiente di caratteristiche comuni per poter essere legittimamente

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riunito sotto una stessa denominazione. Ma quel che è più singolare, è che tutti i raggruppamenti, lescuole ed i «movimenti» di questo genere siano costantemente in concorrenza o addirittura in lottagli uni con gli altri, al punto che sarebbe ben difficile trovare altrove, tranne forse fra i «partiti»politici, odi più violenti di quelli che esistono tra i loro rispettivi aderenti, mentre tuttavia, per unastrana ironia, tutte queste persone hanno la mania di predicare la «fraternità» a proposito e asproposito! Si tratta di qualcosa di veramente «caotico», che può fornire, ad osservatori fossero pursuperficiali, l’impressione del disordine spinto alle sue punte estreme; d’altronde anche questo non èse non un indizio che il «neospiritualismo» costituisce una tappa già piuttosto avanzata sulla viadella dissoluzione.

D’altra parte, il «neospiritualismo», nonostante l’avversione che manifesta nei confronti delmaterialismo, tuttavia rassomiglia a quest’ultimo sotto più d’un aspetto, al punto che si è potuto,con sufficiente ragione, usare al suo proposito l’espressione di «materialismo trasposto», cioè,insomma, esteso oltre i confini del mondo corporeo. A mettere particolarmente bene in evidenza lagiustezza di questa osservazione sono quelle grossolane rappresentazioni del mondo sottile e di unpreteso mondo «spirituale» a cui abbiamo già fatto allusione più indietro, le quali non sono fatted’altro che di immagini prese in prestito dal campo corporeo. Questo stesso «neospiritualismo» siriallaccia inoltre in modo più effettivo ancora alle tappe anteriori della deviazione moderna tramitequello che si può chiamare il suo lato «scientistico»; anche questo abbiamo già segnalato trattandodell’influsso esercitato sulle differenti scuole da parte della «mitologia» scientifica del momento in cuiesse videro la luce; ed è il caso, altresì, di far risaltare in modo tutto particolare quale parte, inveroconsiderevole, abbiano nelle loro concezioni, senza eccezioni ed in modo affatto generale, le idee«progressistiche» ed «evoluzionistiche», le quali sono senza ombra di dubbio uno dei segni più tipicidella mentalità moderna, e sarebbero perciò sufficienti, da sole, a caratterizzare tali concezioni comeun prodotto fra i più incontestabili di questa mentalità.Si aggiunga poi, che quelle stesse fra queste scuole che mettono in mostra un andamento «arcaico»utilizzando a modo loro frammenti d’idee tradizionali incomprese e deformate, o mascherando albisogno idee moderne sotto un vocabolario copiato da qualche forma tradizionale orientale odoccidentale (tutte cose che, sia detto per inciso, sono in formale contraddizione con la loro credenzanel «progresso» e nell’«evoluzione»), sono costantemente preoccupate di far andar d’accordo questeidee antiche, o pretese tali, con le teorie della scienza moderna. Un lavoro di questo genere è delresto incessantemente da ricominciare a mano a mano che tali teorie cambiano, ma bisogna dire checoloro che vi si dedicano hanno il compito semplificato dal fatto di tener quasi sempre conto soltantodi quel che possono trovare nei lavori di «volgarizzazione».Oltre a ciò, il «neospiritualismo» è anche in perfetta conformità con le tendenze «sperimentali» della

mentalità moderna in quello dei suoi aspetti che abbiamo denominato «pratico»; ed è in virtù diquesto aspetto che esso riesce, a poco a poco, ad esercitare un influsso notevole sulla scienzastessa, e a insinuarsi in essa in qualche modo per mezzo di quella che viene chiamata la«metapsichica». È fuor di dubbio che i fenomeni a cui quest’ultima fa riferimento meritano, in sé, diessere studiati almeno tanto quanto quelli dell’ordine corporeo; quel che si presta ad obiezioni è ilmodo in cui essa pretende studiarli, applicando loro il punto di vista della scienza profana; i fisici (iquali si accaniscono a far uso dei loro metodi quantitativi fino a voler tentare di «pesare l’anima»!) efinanco gli psicologi, nel senso «ufficiale» della parola, sono certo le persone meno preparate che sipossano immaginare per uno studio di questo genere, e per ciò stesso più suscettibili di chiunquealtro di cader preda delle illusioni [Dicendo questo non intendiamo parlare esclusivamente del contoin cui bisogna tenere la frode cosciente ed inconsapevole in questo genere di cose, ma anche delleillusioni che possono sorgere quanto alla natura delle forze che intervengono nella produzione reale

dei fenomeni detti «metapsichici»]. Ma non basta: di fatto le ricerche «metapsichiche» non vengonoquasi mai intraprese in modo totalmente indipendente dagli appoggi dei «neospiritualisti»,soprattutto degli spiritisti, ciò che prova come questi ultimi abbiano, tutto sommato, la fermaintenzione di farle servire alla loro «propaganda». Ma quel che forse è ancor più grave sotto questoriguardo è che gli sperimentatori sono posti in tali condizioni da trovarsi obbligati a ricorrere ai«medium» spiritistici, vale a dire ad individui le cui idee preconcette modificano notevolmente ifenomeni in questione conferendo loro, se così si può dire, una «colorazione» speciale, e ciò tantopiù in quanto sono stati allenati con cura tutta particolare (esistono persino delle «scuole permedium») a servire come strumento e «supporto» passivo di certe influenze appartenenti ai«bassifondi» del mondo sottile, influenze a cui essi servono di «veicolo» dovunque vadano, le qualiper di più non mancano di contagiare pericolosamente tutti coloro, scienziati o non scienziati, chevengono in contatto con loro e che, a causa della loro ignoranza di quanto si cela dietro queste cose,

sono assolutamente incapaci di difendersene. Non insisteremo oltre su questo argomento, ancheperché ci siamo già sufficientemente spiegati a questo proposito in un’altra sede, ed in fondo non ciresta che rinviare coloro che sentissero il bisogno di più ampi sviluppi a queste nostre opere;tuttavia ci preme di mettere in risalto, poiché si tratta di una caratteristica del tutto tipica dell’epocaattuale, la stranezza della funzione dei «medium» e della pretesa necessità della loro presenza per laproduzione dei fenomeni derivanti dalla sfera sottile. Perché mai niente del genere esisteva un

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tempo, ciò che non impediva affatto alle forze di questo tipo di manifestarsi spontaneamente, indeterminate circostanze, con un’ampiezza ben diversa di quanto non accada nelle sedute spiritiche o«metapsichiche» (e questo, molto spesso, in case disabitate o in luoghi deserti, il che escludel’ipotesi troppo comoda della presenza di un «medium» incosciente delle proprie facoltà)? Ci sipotrebbe chiedere se dopo l’apparizione dello spiritismo non sia cambiato in realtà qualcosa nelmodo stesso in cui il mondo sottile agisce nelle sue «interferenze» con il mondo corporeo, e in fondonon si tratterebbe che di un altro esempio di quelle modificazioni dell’ambiente che già abbiamorilevato discutendo degli effetti del materialismo; ad ogni modo, quel che c’è di certo in tutta questafaccenda è che si tratta di qualcosa che risponde perfettamente alle esigenze di un «controllo»

esercitato su queste influenze psichiche inferiori, già essenzialmente «malefiche» in se stesse, perutilizzarle più direttamente in previsione di certi sviluppi ben determinati e conformi al «piano»prestabilito di quell’opera di sovversione per la quale esse sono ora «scatenate» nel nostro mondo.

33. L’intuizionismo contemporaneo

Nel campo della filosofia e della psicologia, le tendenze corrispondenti alla seconda fase dell’azioneantitradizionale si traducono naturalmente nell’appello al «subconscio» in tutte le sue forme, vale adire agli elementi psichici più bassi dell’essere umano; ciò appare evidente soprattutto per quantoriguarda la filosofia, nelle teorie di William James e nell’«intuizionismo» bergsoniano. Abbiamo giàavuto occasione di parlare di Bergson accennando alle critiche che egli giustamente formula, anchese in modo poco chiaro ed in termini equivoci, contro il razionalismo e le sue conseguenze; ma quelche caratterizza la parte «positiva» (tanto per dire) della sua filosofia è che, invece di cercare al disopra della ragione il rimedio alle sue insufficienze, egli lo ricerca, al contrario, al di sotto di essa; ecosì, invece di rivolgersi alla vera intuizione intellettuale, che egli, come i razionalisti, ignoracompletamente, invoca una pretesa «intuizione» di ordine unicamente sensitivo e «vitale», nella cuinozione, estremamente confusa, l’intuizione sensibile propriamente detta si mescola alle forze piùoscure dell’istinto e del sentimento. Questo «intuizionismo», soprattutto in quello che si potrebbechiamare il suo «ultimo stadio» (così com’è per la filosofia di William James), presenta dunqueevidenti affinità con il «neospiritualismo», non a motivo di un incontro più o meno «fortuito», maperché non si tratta in fondo che di due diverse espressioni di una stessa tendenza. L’atteggiamentodell’«intuizionismo» nei confronti del razionalismo è in un certo modo parallelo a quello del«neospiritualismo» rispetto al materialismo: l’uno tende all’«infrarazionale» e l’altro tendeall’«infracorporeo» (ed anch’esso senza dubbio inconsapevolmente), di modo che, in entrambi i casi,si tratta sempre in definitiva di una direzione nel senso dell’«infraumano».

Pur non intendendo qui esaminare in modo particolareggiato queste teorie, dobbiamo tuttaviasegnalarne quei punti che sono in più diretta relazione con l’argomento che trattiamo: anzitutto illoro carattere estremamente «evoluzionistico», per cui esse, collocando ogni realtà esclusivamentenel «divenire», sono la formale negazione di un principio immutabile e, di conseguenza, d’ogniconcezione metafisica. Da questa negazione deriva il loro andamento «sfuggevole» ed inconsistente,il quale, in contrasto con la «solidificazione» razionalistica e materialistica, offre veramente unasorta di immagine anticipata della dissoluzione di tutte le cose nel «caos» finale. Ne è un esempiosignificativo il modo in cui viene considerata la religione, proprio in una delle opere di Bergson chemeglio rappresentano quell’«ultimo stadio» al quale abbiamo già accennato [H.-L. Bergson, Les deuxsources de la morale et de la religion, Paris, 1932]; non è qualcosa di completamente nuovo,giacché le origini della tesi quivi sostenuta sono in fondo ben semplici: si sa che tutte le teoriemoderne su questo argomento presentano la caratteristica comune di voler ridurre la religione ad un

fatto meramente umano, e ciò equivale a negarla, coscientemente o no, perché in tal modo ci sirifiuta di tener conto di quel che ne costituisce l’essenza stessa; e, sotto questo aspetto, laconcezione bergsoniana non rappresenta per nulla un’eccezione. Queste teorie sulla religione, nelloro insieme, possono ridursi a due tipi principali: quello «psicologico», che pretende di darne unaspiegazione basandosi sulla natura dell’individuo umano, e quello «sociologico», che vuole vederviun fatto d’ordine esclusivamente sociale, il prodotto di una specie di «coscienza collettiva» chedeterminerebbe la condotta degli individui. L’originalità di Bergson consiste semplicemente nell’avercercato di mettere insieme questi due tipi di spiegazione, ed in un modo molto singolare: invece diritenerli reciprocamente più o meno esclusivi, come fanno quasi sempre i loro rispettivi fautori, egli liaccetta entrambi, ma applicandoli a cose diverse designate nondimeno con la stessa parola«religione»: le «due fonti» che egli prospetta non sono, in realtà [Quanto alla morale, che qui non ciinteressa particolarmente, la spiegazione che egli ne dà va naturalmente di pari passo con quella

della religione], nient’altro che ciò. Secondo Bergson esistono dunque due specie di religione, l’una«statica» e l’altra «dinamica», che egli denomina pure, in modo piuttosto inconsueto, «religionechiusa» e «religione aperta»: la prima è di natura sociale, la seconda di natura psicologica. È aquest’ultima, naturalmente, che vanno le sue preferenze, ritenendola egli la forma superiore dellareligione: infatti è evidente che, in una «filosofia del divenire» come la sua, non potrebbe accaderealtrimenti, giacché, per essa, tutto ciò che è immutabile non corrisponde a niente di reale, e per di

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più impedisce all’uomo di cogliere il reale così come egli lo concepisce. Ma, si obietterà, una similefilosofia, per la quale non esistono «verità eterne» [È importante notare come Bergson sembriaddirittura evitare l’impiego della parola «verità»; egli la sostituisce quasi sempre con la parola«realtà», la quale, per lui, non designa nient’altro che ciò che è sottomesso a un continuocambiamento], dovrebbe negare ogni valore non solo alla metafisica ma anche alla religione; ed èproprio quel che succede in effetti, poiché la religione nel vero senso della parola è esattamentequella che Bergson chiama «religione statica», in cui egli non vede che una «fabulazione» del tuttoimmaginaria; e, quanto alla «religione dinamica», in verità essa è tutt’altro che religione.Questa sedicente «religione dinamica» non possiede nessuno degli elementi caratteristici che

entrano nella definizione stessa di religione: né dogmi, perché questi sono qualcosa di immutabile e,come dice Bergson, di «congelato», e neppure riti, beninteso, per la stessa ragione ed anche amotivo del loro carattere sociale: entrambi devono essere lasciati alla «religione statica»; quantoalla morale, Bergson ha cominciato a metterla da parte come qualcosa di estraneo alla religionequale egli l’intende. Quel che ne rimane è solo una vaga «religiosità», una sorta d’aspirazioneconfusa verso un «ideale» qualsiasi, molto vicina insomma a quella dei modernisti e dei protestantiliberali, e che ricorda anche, per certi lati, l’«esperienza religiosa» di William James. È questa«religiosità» che Bergson confonde con la religione superiore, poiché, come tutti coloro che hanno lesue stesse tendenze, egli crede in tal modo di «sublimare» la religione, mentre non fa che svuotarlacompletamente del suo contenuto positivo, contenuto in cui non si trova nulla di compatibile con lesue concezioni; e, del resto, ciò è tutto quel che si poteva trarre da una teoria psicologica: nonabbiamo infatti mai visto che una simile teoria si sia mostrata capace di andare oltre il «sentimentoreligioso», il quale, ridiciamolo ancora, non è affatto la religione. Questa «religione dinamica»,secondo Bergson, trova la sua più alta espressione nel «misticismo», del resto assai malcompreso ecolto nel suo peggiore aspetto, poiché egli lo esalta solo per quanto vi trova di «individuale», vale adire di vago, di inconsistente, ed in qualche modo di «anarchico», e di cui i migliori esempi, anche seegli non li cita, si troverebbero in certi «insegnamenti» di ispirazione occultistica e teosofistica; infondo, quel che gli piace dei mistici, bisogna dirlo chiaramente, è quella tendenza alla«divagazione», nel senso etimologico della parola, che costoro manifestano fin troppo facilmentequando sono lasciati a se stessi. Quanto a ciò che costituisce la base stessa del misticismopropriamente detto - lasciando da parte le sue deviazioni più o meno anormali o «eccentriche» -,cioè, che lo si voglia o no, al suo ricollegamento a una «religione statica», egli lo ritiene senz’altrotrascurabile; si ha del resto la sensazione che ciò lo metta a disagio, poiché le spiegazioniriguardanti questo punto denotano un certo imbarazzo; ma è questo un argomento che, sevolessimo esaminarlo più da vicino, ci allontanerebbe troppo dall’essenziale della questione.

Ritornando alla «religione statica», vediamo che Bergson, per risolvere il problema delle sue preteseorigini, accetta come buone le ipotesi della troppo famosa «scuola sociologica», comprese quelle piùsoggette a cautela: «magia», «totemismo», «tabù», «mana», «culto degli animali», «culto deglispiriti», «mentalità primitiva», cioè un completo repertorio del gergo convenzionale e di altre«cianfrusaglie» abituali, se ci è permesso di esprimerci così (e lo è certamente quando si tratta dicose che presentano un carattere così grottesco). Quel che forse gli appartiene in proprio è la parteche in tutto ciò egli attribuisce alla cosiddetta «funzione fabulatrice» che ci sembra veramente assaipiù «favolosa» delle cose che vorrebbe spiegare; ma si doveva pure immaginare una teoria chepermettesse di negare in blocco ogni reale fondamento a tutte quelle che si era convenuto diritenere «superstizioni»; un filosofo «civilizzato», e per di più «del secolo XX», ritiene evidentementeche ogni altro atteggiamento sarebbe indegno di lui! In tutto ciò, secondo noi, di veramenteinteressante, non c’è che un punto, quello concernente la «magia»: quest’ultima è una grande

risorsa per certi teorici che ne ignorano senza dubbio la vera natura, ma che vogliono farne la fontedella religione e della scienza. Purtuttavia questa non è la posizione di Bergson: attribuendo allamagia una «origine psicologica», egli la riduce all’«esteriorizzazione di un desiderio di cui il cuore èricolmo», e pretende che, «se si ricostituisse con uno sforzo di introspezione la reazione naturaledell’uomo di fronte alla percezione delle cose, si scoprirebbe che magia e religione sono strettamenteconnesse e che non c’è nulla in comune tra la magia e la scienza». Vero è che in seguito egli haqualche esitazione: da un certo punto di vista «la magia fa evidentemente parte della religione», mada un altro «la religione si oppone alla magia»; più netta ancora è l’affermazione che «la magia èl’inverso della scienza», e «ben lungi dal preparare il sorgere della scienza come si è preteso, essaha costituito il grande ostacolo contro il quale il sapere metodico ha dovuto lottare». Tutto ciò èquasi esattamente il contrario della verità, poiché la magia non ha nulla a che vedere con la religionee non si trova all’origine di tutte le scienze, ma è semplicemente una scienza particolare fra le altre;

sennonché Bergson è senza dubbio convinto che non possono esistere altre scienze oltre quelle chefigurano nelle «classificazioni» moderne, concepite secondo il punto di vista più strettamenteprofano. Parlando delle «operazioni magiche» con l’imperturbabile sicurezza di chi non ne ha maivisto nessuna [È un vero peccato che Bergson non sia stato in buoni termini con sua sorella, signoraMac-Gregor (alias «Soror Vestigia Nulla Retrorsum»), la quale, a questo riguardo, avrebbe potutoistruirlo un pochino!], egli ha scritto la seguente sorprendente frase: «Se l’intelligenza primitiva

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avesse in tal modo cominciato a formulare dei princìpi, essa si sarebbe ben presto arresaall’esperienza che gliene avrebbe dimostrato la falsità». Come è intrepido questo filosofo che,rinchiuso nel suo studio - e naturalmente al riparo dagli attacchi di certe influenze che certo siguarderebbero bene dal prendersela con un collaboratore tanto prezioso quanto incosciente - nega apriori tutto ciò che non rientra nel quadro delle sue teorie! Come può egli ritenere gli uomini cosìsciocchi da ripetere indefinitamente, ignorandone i «principi», «operazioni» che non sarebbero mairiuscite; e cosa direbbe egli mai se scoprisse che, al contrario, è proprio l’«esperienza a dimostrarela falsità» delle sue asserzioni? Evidentemente egli non concepisce nemmeno una simile possibilità.Tanta è la forza delle idee preconcette, in lui e in quelli come lui, da non farli dubitare un solo istante

che il mondo non sia strettamente limitato alla misura delle loro concezioni (ed è questo che,d’altronde, permette loro di costruire dei «sistemi»). Ma come può un filosofo comprendere cheanch’egli, come qualsiasi mortale, dovrebbe astenersi dal parlare di ciò che non conosce?Ritornando alla connessione effettiva tra l’«intuizionismo» bergsoniano e la seconda fase dell’azioneantitradizionale, arriviamo infine alla seguente significativa constatazione: che la magia, per unaspecie di ironica nemesi, si vendica crudelmente delle negazioni del nostro filosofo. Ricomparendo ainostri giorni attraverso le recenti «fenditure» di questo mondo, nella sua forma più bassa e nellostesso tempo più rudimentale, cioè sotto il travestimento della «scienza psicologica» (quella stessache altri preferiscono, ben poco felicemente del resto, chiamare «metapsichica»), la magia riesce afarsi accettare da Bergson senza che egli la riconosca, non solo come ben reale, ma come elementocapitale della sua «religione dinamica»! Non esageriamo affatto: egli parla di «sopravvivenza» népiù né meno d’un volgare spiritista e crede in un «approfondimento sperimentale» che autorizza «adammettere la possibilità e anche la probabilità di una sopravvivenza dell’anima» (ma cosa si deveintendere esattamente con ciò? non si tratta piuttosto della fantasmagoria dei «cadaveri psichici»?),senza tuttavia che si possa dire «se sia per un certo tempo o per sempre». Sennonché questaspiacevole restrizione non gli impedisce di proclamare con tono ditirambico: «Niente di più occorreper trasformare in una realtà vivente ed agente quella fede nell’aldilà che si riscontra nella maggiorparte degli uomini, ma che nella maggior parte dei casi è solo verbale, astratta, inefficace... Inverità, se noi fossimo certi, assolutamente certi di sopravvivere, non potremmo più pensare adaltro». La magia antica era più «scientifica» nel vero senso della parola, anche se non in sensoprofano, e non avanzava certamente pretese del genere; perché alcuni di questi fenomeni, e fra ipiù elementari, potessero dar luogo a simili interpretazioni, si è dovuto attendere l’invenzione dellospiritismo, il quale poté manifestarsi solo in una fase già molto avanzata della deviazione moderna.In effetti, è proprio la pura e semplice teoria spiritistica concernente questi fenomeni che Bergson,come William James prima di lui, accetta infine con una «gioia» che fa «impallidire tutti i piaceri»

(citiamo testualmente le incredibili parole con le quali conclude il suo libro), e che ci dà una chiaraidea del grado di discernimento di cui questo filosofo è capace, perché, quanto alla sua buona fede,essa è certamente fuori discussione: in casi di questo genere, infatti, i filosofi profani sonogeneralmente atti a far la parte dei gabbati, e a servire così da «intermediari» inconsapevoli perabbindolarne molti altri. Comunque sia, in fatto di «superstizione» sarebbe molto difficile trovare unesempio migliore di questo; e ciò dà l’idea più giusta di quanto valga realmente tutta questa «nuovafilosofia», come si compiacciono di denominarla i suoi fautori!

34. I misfatti della psicanalisi

Se dalla filosofia passiamo alla psicologia, vediamo che le stesse tendenze si presentano, nellescuole più recenti, con un aspetto assai, più pericoloso, perché, invece di tradursi in semplici assunti

teorici, esse vi trovano applicazioni pratiche di carattere molto inquietante. Di questi nuovi metodi,secondo noi, i più «rappresentativi» sono quelli conosciuti sotto la denominazione generica di«psicanalisi». È importante rilevare che, per una strana incoerenza, questa manipolazione dielementi appartenenti incontestabilmente all’ordine sottile si accompagna sempre, presso moltipsicologi, ad un atteggiamento materialistico, senza dubbio dovuto al genere di educazione ricevutaed anche alla loro ignoranza della vera natura degli elementi da essi messi in gioco [Il caso dellostesso Freud, fondatore della psicanalisi, è tipico a questo riguardo: egli infatti non ha mai cessato diproclamarsi materialista. A questo proposito, ci viene spontanea una osservazione: il fatto che iprincipali rappresentanti delle nuove tendenze, come Einstein per la fisica, Bergson per la filosofia,Freud per la psicologia e molti altri di minore importanza siano quasi tutti di origine ebraica, noncorrisponde forse esattamente all’aspetto «malefico» e dissolvente di quel nomadismo deviato chepredomina inevitabilmente negli Ebrei staccati dalla loro tradizione?]. Una delle caratteristiche più

singolari della scienza moderna non è forse quella di non sapere mai esattamente con cosa harealmente a che fare, anche quando si tratta semplicemente di forze dell’àmbito corporeo?D’altronde, a fianco delle teorie e dei metodi più recenti, coesiste pur sempre una certa «psicologiada laboratorio», conclusione di un processo di limitazione e di materializzazione - di cui la psicologia«filosofico-letteraria» dell’insegnamento universitario ha rappresentato la fase meno avanzata -, eche ora è soltanto una specie di ramo accessorio della fisiologia; ed è a questa «psicologia da

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laboratorio» che si applica quanto abbiamo precedentemente detto a proposito dei tentativi fatti perridurre la stessa psicologia ad una scienza quantitativa.Non è una semplice questione di vocabolario il fatto, assai significativo, che la psicologia attualeprenda sempre in considerazione solo il «subconscio» e non il «superconscio», il quale dovrebbeesserne logicamente il correlativo. Senza dubbio il «subconscio» è un termine che indicaun’estensione che si operi unicamente dal basso, cioè da quel lato che, sia nell’essere umano sianell’ambiente cosmico, corrisponde alle «fenditure» attraverso le quali penetrano le influenze più«malefiche» del mondo sottile, anzi, potremmo dire, quelle aventi un carattere veramente eletteralmente «infernale» [Dobbiamo notare, a questo proposito, che Freud, all’inizio della sua

Traumdeutung, ha posto la seguente epigrafe molto significativa: «Flectere si nequeo superos,Acheronta movebo» (Virgilio, Eneide, VII, 312)]. Certi psicologi hanno adottato come sinonimo oequivalente di «subconscio» il termine «inconscio», il quale, preso alla lettera, sembrerebbe riferirsia un livello ancora inferiore, benché, a dire il vero, corrisponda meno esattamente alla realtà; se ciòdi cui si tratta fosse veramente «inconscio», non vediamo proprio come sarebbe possibile parlarne,soprattutto in termini psicologici. D’altronde, in virtù di che cosa, se non di un semplice pregiudiziomaterialistico o meccanicistico, occorrerebbe ammettere che esista veramente qualcosa d’inconscio?Degna di nota è ancora la strana illusione per cui gli psicologi giungono a considerare certi statitanto più «profondi» quanto più sono semplicemente inferiori; non è forse questo un indizio dellatendenza ad andare nel senso inverso a quello della spiritualità, la quale sola può esser dettaveramente profonda, perché essa sola è inerente al principio ed al centro stesso dell’essere? D’altraparte, poiché il campo della psicologia non si estende verso l’alto, il «superconscio» le rimanecompletamente estraneo e del tutto precluso; e quando le accade di venire in contatto con qualcosadi elevato, essa pretende puramente e semplicemente di annetterlo, assimilandolo al «subconscio»:tale è, quasi sempre, la natura delle sue presunte spiegazioni concernenti la religione, il misticismo,ed anche certi aspetti delle dottrine orientali come lo Yoga; e, in questa confusione del superiore conl’inferiore, c’è già qualcosa che può essere propriamente interpretato come una vera sovversione.Notiamo pure che, con i suoi richiami al «subconscio», la psicologia, come del resto la «nuovafilosofia», tende sempre più a raggiungere le posizioni della «metapsichica» [Fu del resto lo«psichista» Myers ad inventare l’espressione subliminal consciousness, che per amore di brevità fusostituita un po’ più tardi, nel linguaggio della psicologia, con la parola «subconscio»]; nella stessamisura si avvicina inevitabilmente, forse senza volerlo (almeno da parte di quegli psicologi chenonostante tutto intendono rimanere materialisti), allo spiritismo o ad altre cose del genere, le qualitutte, in definitiva, si fondano sui medesimi oscuri elementi dello psichismo inferiore. Se questecose, dall’origine e dal carattere più che sospetti, appaiono come movimenti «precursori» ed alleati

dell’attuale psicologia, e se questa è giunta, sia pure per un cammino obliquo, ma proprio per ciò piùcomodo di quello della «metapsichica», la quale in certi ambienti è ancora posta in discussione, adintrodurre gli elementi in questione nel campo della scienza «ufficiale», si è costretti a pensare chela vera funzione di questa psicologia, nelle attuali condizioni del mondo, sia stata proprio quella diconcorrere attivamente alla seconda fase dell’azione antitradizionale. A questo proposito, la pretesadella psicologia ordinaria, prima segnalata, di annettere, facendole entrare a forza nel «subconscio»,certe cose che per la loro stessa natura le sfuggono completamente, non può spiegarsi, fermo re-stando il suo carattere nettamente sovversivo, che con quello che potremmo chiamare il latoinfantile di tale funzione, giacché simili spiegazioni, come le spiegazioni «sociologiche» di questestesse cose, sono, in fondo, di un’ingenuità «semplicistica» sconfinante talvolta nella pura stupidità.Ma ciò è incomparabilmente meno grave, quanto alle conseguenze effettive, di quel lato veramente«satanico» che dobbiamo ora puntualizzare per quanto concerne la nuova psicologia.

Questo carattere «satanico» appare nettamente ed in modo del tutto particolare nelle interpretazionipsicanalitiche del simbolismo, o di quanto, a torto o a ragione, viene considerato tale; è unarestrizione necessaria perché, su questo punto come su tanti altri, vi sarebbero molte distinzioni dafare e numerose confusioni da dissipare: ad esempio, tanto per prendere un caso tipico, un sognonel quale si esprime una ispirazione «sopraumana» è veramente simbolico, mentre un sognoordinario non lo è affatto, e ciò a prescindere dalle apparenze esteriori. Naturalmente gli psicologidelle scuole anteriori avevano anch’essi sovente tentato di spiegare a modo loro il simbolismo, e diricondurlo alla misura delle proprie concezioni; nel caso di un effettivo simbolismo, questespiegazioni di ordine puramente umano, come sempre avviene quando sono in gioco cose dicarattere tradizionale, disconoscono ciò che costituisce l’essenziale; nel caso, invece, di cosesemplicemente umane, si tratta evidentemente di un falso simbolismo, ma il fatto stesso didesignarlo con questo nome comporta pur sempre lo stesso errore circa la natura del vero

simbolismo. Ciò vale anche per le concezioni degli psicanalisti, con la differenza che allora non si èpiù soltanto di fronte a qualcosa di umano, ma inoltre, in gran parte, di «infraumano»; si è dunquequi alla presenza non più di un semplice abbassamento, ma di una sovversione totale; ed ognisovversione, anche se ha la sua causa immediata nell’incomprensione e nell’ignoranza (le quali sonoquanto di meglio si presta ad essere sfruttato per un tal uso), è pur sempre, in se stesso, essenzial-mente qualcosa di «satanico». Del resto, il carattere generalmente ignobile e ripugnante delle

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interpretazioni psicanalitiche costituisce, a questo proposito, un «marchio» che non lascia dubbi.Particolarmente significativo è il fatto che, come abbiamo rilevato altrove [Cfr. L’Erreur spirite, cit.,parte II, cap. X], questo «marchio» si ritrovi proprio in certe manifestazioni dello spiritismo; edoccorrerebbe una forte dose di buona volontà, se non addirittura una completa cecità, per nonvedervi nient’altro che una semplice «coincidenza». Gli psicanalisti, non meno degli spiritisti,possono essere, nella maggioranza dei casi, del tutto inconsapevoli di quel che sta sotto a tutto ciò:sia gli uni sia gli altri appaiono egualmente «diretti» da una volontà sovvertitrice che utilizza, inentrambi i casi, elementi dello stesso ordine per non dire identici; e questa volontà è comunquesempre ben cosciente negli esseri in cui si incarna, e corrisponde ad intenzioni senza dubbio molto

diverse da quelle che suppongono coloro che sono solamente gli strumenti incoscienti della loroazione.In queste condizioni, è più che evidente come l’utilizzazione principale della psicanalisi, ossia la suaapplicazione a scopo terapeutico, non possa che essere estremamente pericolosa sia per chi vi sisottopone, sia per chi la esercita, poiché con queste cose non si viene a contatto impunemente.Senza nessuna esagerazione, possiamo dire che si tratta di uno degli speciali mezzi impiegati peraccrescere il più possibile lo squilibrio del mondo moderno e condurlo verso la dissoluzione finale [Unaltro di questi mezzi è l’impiego analogo della «radioestesia»: anche qui, in certi casi, entrano ingioco elementi psichici della stessa qualità, anche se si deve riconoscere che essi non presentano ilcarattere «repellente» tipico della psicanalisi]. Coloro che praticano questi metodi di terapia sonoinvece persuasi - e noi non dubitiamo della loro sincerità - della validità dei loro risultati; sennonchéè proprio grazie a questa illusione che si rende possibile la diffusione di tali metodi, ed è così che sipuò cogliere tutta la differenza esistente tra le intenzioni di questi «praticoni» e la volontà chepresiede all’opera di cui essi sono i ciechi collaboratori. In realtà, la psicanalisi non può avere se nonl’effetto di portare alla superficie, rendendolo chiaramente cosciente, tutto il contenuto di quei«bassifondi» dell’essere che costituiscono ciò che viene chiamato propriamente il «subconscio»;inoltre, questo essere è già, per ipotesi, psichicamente debole, poiché, se fosse altrimenti, nonproverebbe certo il bisogno di ricorrere ad una terapia di tal sorta, ed è quindi ancor più incapace diresistere ad una simile «sovversione», sicché rischia di affondare irrimediabilmente nel caos delleforze tenebrose imprudentemente scatenate; e se riuscisse nonostante tutto a sfuggirvi, neconserverà tuttavia, per tutta la vita, un’impronta che sarà per lui una «macchia» incancellabile.Immaginiamo l’obiezione che, a questo punto, alcuni potrebbero formulare invocando unasimilitudine con quella «discesa agli Inferi» che s’incontra nelle fasi preliminari del processo ini-ziatico. Una tale assimilazione è completamente falsa, perché nei due casi i fini non hanno nulla incomune, ed anche le condizioni dei rispettivi «soggetti» sono alquanto diverse. Si può quindi parlare

solamente di una specie di parodia profana, che sarebbe già di per se stessa sufficiente a conferire atutto ciò un carattere di «contraffazione» piuttosto inquietante. La verità è che questa pretesa«discesa agli Inferi», non seguita da nessuna «risalita», è semplicemente una «caduta nel pantano»,per adoperare un’espressione simbolica di certi Misteri dell’antichità. È noto infatti che lungo lastrada che conduceva ad Eleusi s’incontrava ad un certo punto questo «pantano»: coloro che vicadevano erano i profani che pretendevano di accedere all’iniziazione senza possedere le necessariequalificazioni e che erano dunque vittime della loro imprudenza. Aggiungiamo solamente che«pantani» del genere esistono veramente, sia nell’ordine macrocosmico sia in quello microcosmico.Ciò è in diretta relazione con la questione delle «tenebre esteriori» [Ciò in relazione con quantoabbiamo indicato a proposito del simbolismo della «Grande Muraglia» e della montagna Lokaloka] e,a questo proposito, si potrebbero citare alcuni testi evangelici il cui senso concorda esattamente conquanto abbiamo indicato. Nella «discesa agli Inferi» l’essere esaurisce definitivamente certe

possibilità inferiori per potersi quindi elevare agli stati superiori; mentre nella «caduta nel pantano»,queste possibilità inferiori penetrano in lui per dominarlo ed infine sommergerlo completamente.Anche qui abbiamo parlato di «contraffazione»; questa impressione è comprovata da altreconstatazioni, come quella della snaturazione del simbolismo, già innanzi segnalata, snaturazioneche tende del resto ad estendersi a tutto quanto contiene essenzialmente elementi «sopraumani»,come lo dimostra l’atteggiamento assunto nei confronti della religione [Freud dedicòall’interpretazione psicanalitica della religione uno speciale libro, in cui le sue proprie concezioni sicombinano con il «totemismo» della «scuola sociologica»] ed anche delle dottrine di ordinemetafisico ed iniziatico, come lo Yoga, le quali pure non sfuggono a questo nuovo genere diinterpretazione, sicché certuni sono giunti ad assimilare i metodi di «realizzazione» spirituale propridi tali dottrine con i metodi terapeutici della psicanalisi. Ci troviamo così di fronte a qualcosa di ancorpeggiore di quelle altre grossolane deformazioni tanto frequenti in Occidente, come quella secondo

cui i metodi dello Yoga sarebbero una specie di «cultura fisica» o di terapia d’ordine semplicementefisiologico: queste deformazioni, a motivo della loro stessa grossolanità, sono infatti meno pericolosedi quelle che si presentano sotto parvenze più sottili. Non soltanto perché queste ultime rischiano disedurre persone sulle quali le deformazioni grossolane non avrebbero alcun effetto, ma anche perun’altra ragione di portata più generale, e cioè che le concezioni materialistiche, come abbiamo giàvisto, sono meno pericolose di quelle che si fondano sullo psichismo inferiore. Beninteso, il fine

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puramente spirituale, che costituisce l’essenza dello Yoga ed in difetto del quale l’impiego stesso ditale termine è soltanto una derisione, è in entrambi i casi completamente misconosciuto. Lo Yoganon è una terapia psichica più di quanto sia una terapia fisica, ed i suoi metodi non sono in alcunmodo una cura per malati o per squilibrati, ma sono destinati esclusivamente a persone che, perpoter realizzare quello sviluppo spirituale che è la loro unica ragion d’essere, devono già essere, pernaturale disposizione, il più perfettamente equilibrati possibile; si tratta cioè di condizioni che, com’èfacile comprendere, rientrano strettamente nella questione delle qualificazioni iniziatiche [Su untentativo di applicazione della teoria psicanalitica alla dottrina taoista, cfr. lo studio di André Préau,La Fleur d’or et le Taoisme sans Tao, che ne costituisce un’eccellente confutazione].

Ma c’è un altro punto, concernente la «contraffazione», che è forse ancor più importante di tuttoquanto abbiamo sinora menzionato: è l’obbligo, imposto a chiunque intenda praticareprofessionalmente la psicanalisi, di essere egli stesso previamente «psicanalizzato». Ne consegueinnanzitutto che la persona la quale ha subìto questa operazione non può più essere quella di prima:come dicevamo in precedenza, essa ne riceve un’impronta incancellabile, proprio come nel casodell’iniziazione, ma in qualche modo in senso inverso, poiché, invece di uno sviluppo spirituale, siavrà uno sviluppo dello psichismo inferiore. Inoltre, il suddetto obbligo costituisce una evidenteimitazione della trasmissione iniziatica: ma, a motivo della diversità della natura delle influenzemesse in atto, e dovendosi pur sempre constatare un risultato effettivo, per cui non si può parlare diuna sorta di simulacro senza alcuna portata, questa trasmissione si presta meglio ad un paragonecon quella che si pratica nel campo della magia, o più precisamente in quello della stregoneria. Delresto, la stessa origine di tale trasmissione presenta un punto assai oscuro: dal momento che èevidentemente impossibile dare ad altri ciò che già non si possiede, ed essendo l’invenzione dellapsicanalisi del tutto recente, donde mai i primi psicanalisti hanno ricevuto i «poteri» che trasmettonoai loro discepoli, e da chi essi stessi hanno potuto essere per primi «psicanalizzati»? Una taledomanda, che ci pare alquanto logica, almeno per chi sia capace di riflettere, è probabilmente moltoindiscreta, ed è ben difficile che qualcuno arrivi a darle una risposta soddisfacente; ma, a dire ilvero, anche in mancanza di essa, si può riconoscere in questa trasmissione psichica un altro«marchio» veramente sinistro per gli accostamenti che essa suggerisce: la psicanalisi presentainfatti, sotto questo aspetto, una rassomiglianza piuttosto terrificante con certi «sacramenti deldiavolo»!

35. La confusione tra psichico e spirituale

Quel che abbiamo detto a proposito di certe spiegazioni psicologiche delle dottrine tradizionali

rappresenta un caso particolare di una confusione molto diffusa nel mondo moderno, la confusione,cioè, tra i due campi psichico e spirituale; essa, quand’anche non si spinga fino a diventaresovversione come nel caso della psicanalisi, confondendo lo spirituale con ciò che di più basso esistenella sfera psichica, non per questo è meno estremamente grave in ogni caso. Si tratta d’altronde,in qualche modo, d’una conseguenza naturale del fatto che gli Occidentali già da molto tempo nonsanno più distinguere tra «anima» e «spirito» (e il dualismo cartesiano ha certamente le sue colpesotto questo riguardo, confondendo come fa in una sola cosa tutto quel che non è corpo, edenominando questa cosa vaga e mal definita con l’uno o l’altro termine indifferentemente); diconseguenza questa confusione si manifesta ad ogni piè sospinto nello stesso linguaggio di tutti igiorni. Il termine «spirito», attribuito volgarmente ad «entità» psichiche che non hanno certamenteniente di «spirituale», e la stessa denominazione dello «spiritismo» che da ciò è derivata, per nonparlare di quell’altro errore che fa chiamar «spirito» quel che in realtà non è nient’altro che il

«mentale», saranno esempi sufficienti di quanto stiamo affermando. Sono fin troppo facili da vederele conseguenze incresciose che possono aver origine da un simile stato di cose: propagare questaconfusione, soprattutto nelle condizioni attuali, significa, si voglia o no, indurre degli esseri aperdersi irrimediabilmente nel caos del «mondo intermedio», e conseguentemente, anche se spessoin modo incosciente, servire da strumento alle forze «sataniche» che dirigono quella che è stata danoi chiamata la «controiniziazione».È qui il caso di ben precisare le cose per evitare ogni malinteso: non si può dire che uno sviluppodelle possibilità di un essere, anche in un ordine poco elevato come quello che costituisce il campopsichico, sia in sé essenzialmente «malefico»; ciò che occorre non dimenticare è che questo campo èper eccellenza quello delle illusioni, e quel che importa è saper sempre situare ogni cosa al posto chenormalmente le compete; in altri termini, tutto dipende dall’uso che di tale sviluppo sarà fatto, einnanzi tutto è necessario esaminare se esso è inteso come fine a se stesso, oppure al contrario

come semplice mezzo in vista d’un fine di ordine superiore. Di fatto, qualunque cosa può, a secondadelle circostanze d’ogni caso particolare, servire come occasione o «supporto» per chi si immettenella via che dovrà condurlo a una «realizzazione» spirituale; ciò è soprattutto vero al principio, acausa della diversità delle nature individuali, l’influenza delle quali è in quel momento al suo apice,ma tali condizioni permangono, almeno fino ad un certo punto, fintanto che i confini dell’individualitànon siano stati completamente superati. Sennonché, d’altro canto, qualsiasi cosa può altrettanto

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bene essere un ostacolo, invece di un «supporto», se l’essere vi si arresta lasciandosi illudere esviare da certe apparenze di «realizzazione» che non hanno alcun valore in se, non essendo cherisultati meramente accidentali e contingenti, se ancora si possono considerare risultati da unqualsiasi punto di vista; questo pericolo di sviamento esiste sempre, per l’appunto, fintantoché sipermanga nell’ordine delle possibilità solamente individuali, ed è per di più in rapporto con lepossibilità psichiche che esso è incontestabilmente più grande, e ciò tanto maggiormente, questo èovvio, in quanto tali possibilità sono di un ordine più basso.Il pericolo è certo molto meno grave quando si tratta di possibilità di carattere semplicementecorporeo e fisiologico; si può citare a questo punto, come esempio, l’errore di taluni Occidentali i

quali, come dicevamo in precedenza, credono che lo Yoga, o per lo meno quel poco che essiconoscono dei suoi procedimenti preliminari, sia una sorta di metodo di «cultura fisica»; in casicome questo, il solo rischio che si corre è di ottenere, attraverso «pratiche» compiutesconsideratamente e senza controllo, un risultato del tutto opposto a quello che si perseguiva, e dirovinare la propria salute credendo di migliorarla. Tutto ciò non ci interessa affatto se non in quantosi tratta di una grossolana deviazione nell’impiego di tali «pratiche» le quali, in realtà, sono fatte perun uso del tutto diverso, il più possibile discosto dal campo fisiologico, e le cui ripercussioni naturalisu quest’ultimo costituiscono un semplice «accidente» al quale non è assolutamente il caso diannettere la minima importanza. È tuttavia opportuno aggiungere che queste stesse «pratiche»possono anche avere, all’insaputa degli ignoranti che vi si dedicano come ad una «ginnastica»qualsiasi, ripercussioni sulle modalità sottili dell’individuo, ciò che di fatto ne aumenta notevolmenteil pericolo: in tal modo è possibile, senza che se ne sia neppure coscienti, aprire la porta ad influenzed’ogni genere (e naturalmente saranno sempre quelle di qualità più bassa ad approfittarne primadelle altre), contro le quali si sarà tanto meno al riparo in quanto spesso non si sospetta neppureche esistano, e che a maggior ragione si è incapaci di discernerne la vera natura; ma, per lo meno,in tal caso non c’è alcuna pretesa «spirituale».Le cose vanno invece ben diversamente in quei casi nei quali interviene la confusione dello psichicopropriamente detto con lo spirituale, confusione che si presenta del resto sotto due forme inverse:nella prima lo spirituale è ridotto allo psichico, ed è quanto accade in particolare per il genere dispiegazioni psicologiche delle quali abbiamo detto; nella seconda, al contrario, lo psichico è assuntocome spirituale, e l’esempio più volgare di ciò è lo spiritismo, quantunque le altre forme piùcomplesse di «neospiritualismo» procedano tutte anch’esse da questo stesso errore. In entrambi icasi, in definitiva, è sempre lo spirituale ad essere disconosciuto, ma mentre il primo concernecoloro che lo negano in modo puro e semplice, per lo meno di fatto anche se non sempre in manieraesplicita, il secondo riguarda coloro che in tal modo si creano l’illusione di una falsa spiritualità, ed è

proprio quest’ultimo caso che al presente ci interessa in modo particolare. La ragione per la qualetanta gente si lascia sviare da questa illusione è in fondo piuttosto semplice: alcuni di essi ricercanosoprattutto i cosiddetti «poteri», vale a dire, sotto questa o quella forma, la produzione di«fenomeni» più o meno straordinari; altri si sforzano di «centrare» la loro coscienza su certi«prolungamenti» inferiori dell’individualità umana, prendendoli a torto per stati superiorisemplicemente perché sfuggono alle limitazioni entro cui si rinchiude abitualmente l’attivitàdell’uomo «medio», limitazioni le quali, nello stato che corrisponde al punto di vista profanodell’epoca attuale, sono quelle di quanto si è convenuto di chiamare la «vita ordinaria», nella qualenon interviene alcuna possibilità di carattere extracorporeo. Anche per questi ultimi, però, èl’attrazione per il «fenomeno», cioè tutto ben sommato la tendenza «sperimentale» propria dellospirito moderno, ad essere nella maggior parte dei casi alla radice dell’errore: quelli che coloro di cuiparliamo vogliono infatti ottenere sono sempre risultati che siano in qualche modo «sensibili»,

perché è questo che essi credono essere una «realizzazione»; sennonché ciò equivale di fatto a direche tutto quel che è veramente di ordine spirituale sfugge loro interamente, che essi non riescononeppure a concepirlo per quanto lontanamente e che, mancando totalmente di «qualificazione» sottoquesto riguardo, molto meglio per loro sarebbe se si accontentassero di rimanere rinchiusi nellabanale e mediocre sicurezza della «vita ordinaria». Naturalmente, con ciò non vogliamo affattonegare la realtà dei «fenomeni» in questione in quanto tali; essi sono anche troppo reali, si potrebbedire, e con ciò stesso tanto più pericolosi; quel che contestiamo formalmente sono il loro valore ed illoro interesse, soprattutto dal punto di vista d’uno sviluppo spirituale, ed è proprio in questo sensoche l’illusione agisce. E ancora, se non si trattasse che di una semplice perdita di tempo e di energie,il male non sarebbe poi così grande; sennonché, in generale, l’essere che si lega a queste cosediviene poi incapace di liberarsene e di procedere al di là di esse, ed in tal modo è irrimediabilmentedeviato; è ben conosciuto, in tutte le tradizioni orientali, il caso di tali individui che, diventati sem-

plici produttori di «fenomeni», non perverranno mai alla minima spiritualità. Ma c’è di più: in questecircostanze può verificarsi il caso di una specie di sviluppo «alla rovescia», il quale non soltanto nonporta ad alcuna acquisizione valida, ma allontana sempre più dalla «realizzazione» spirituale, fino ache l’essere non sia definitivamente sviato in quei «prolungamenti» inferiori della sua individualità aiquali abbiamo accennato poc’anzi, e per il cui tramite può soltanto venire in contatto con ciò che è«infraumano»; la sua situazione sarà allora senza uscita, o per lo meno gliene si aprirà una sola,

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vale a dire la «disintegrazione» totale del suo essere cosciente; in questo caso si tratta propriamen-te, per l’individuo, dell’equivalente di quella che è la dissoluzione finale per l’insieme del «cosmo»manifestato.Da questo punto di vista, più ancora che da qualsiasi altro, occorre perciò diffidare di ogni richiamoal «subconscio», all’«istinto», all’«intuizione» infrarazionale, o anche a una «forza vitale» più omeno mal definita, in una parola a tutte quelle cose vaghe ed oscure che la filosofia e la psicologiapiù recenti tendono ad esaltare, le quali portano più o meno direttamente a una presa di contattocon gli stati inferiori. A maggior ragione occorrerà guardarsi, con vigilanza estrema (poiché le cose inquestione sanno assumere fin troppo bene i travestimenti più insidiosi), da tutto ciò che potrebbe

indurre l’essere a «fondersi» - noi diremmo più volentieri e più esattamente a «confondersi» o anchea «dissolversi» - in una sorta di «coscienza cosmica», esclusiva d’ogni «trascendenza» e perciò diogni spiritualità effettiva; è questa la conseguenza ultima di tutti quegli errori antimetafisici che,sotto il loro aspetto più particolarmente filosofico, sono individuati con termini come «panteismo»,«immanentismo» e «naturalismo», cose del resto strettamente connesse, conseguenza di fronte allaquale certa gente sicuramente si ritrarrebbe se potesse sapere veramente di che cosa parla. Cosecome queste, infatti, sono il segno che la spiritualità è intesa letteralmente «alla rovescia»,sostituendo ad essa quel che ne è veramente l’inverso, giacché portano inevitabilmente alla suaperdita definitiva, ed è in ciò che consiste il «satanismo» vero e proprio; che quest’ultimo siaconsapevole o inconsapevole, a seconda dei casi, influisce del resto ben poco sui risultati; nébisogna dimenticare che il «satanismo inconsapevole» di certa gente, più numerosa che mai nellanostra epoca di disordine estendentesi in tutti i campi, non è in fondo che uno strumento al serviziodel «satanismo consapevole» dei rappresentanti della «contro-iniziazione». In un’altra occasioneabbiamo avuto l’opportunità di segnalare il simbolismo iniziatico di una «navigazione» che si effettuasull’Oceano, il quale raffigura il campo psichico, e che occorre attraversare evitandone tutti i pericoliper giungere alla meta [Cfr. Le Roi du Monde, cit., pp. 86-87 (pp. 99-100 dell’ediz. italiana) e Au-torité spirituelle et Pouvoir temporel, cit., pp. 140-144 (pp. 133-136 dell’ediz. italiana)]: ma checosa si potrà dire di chi si tuffi nel bel mezzo di questo Oceano con la sola aspirazione di annegarvi?È questo, con la più grande esattezza, il significato di quella pretesa «fusione» con una «coscienzacosmica» la quale è in realtà solo l’insieme confuso e indistinto di tutte le influenze psichiche che,per quanto diversamente possano pensarla alcuni, non hanno certo assolutamente niente in comunecon le influenze spirituali, quand’anche accada che le imitino più o meno imperfettamente inqualcuna delle loro manifestazioni esteriori (giacché è questo il campo in cui la «contraffazione» siesercita in tutta la sua ampiezza, ciò che spiega come le manifestazioni «fenomeniche» non possanomai provare nulla di per se stesse, potendo essere assolutamente simili nel caso di un santo e nel

caso di uno stregone). Coloro che commettono questo errore fatale dimenticano, o piùsemplicemente ignorano, la distinzione tra «Acque superiori» e «Acque inferiori»; invece di elevarsiverso l’Oceano superiore, essi si precipitano negli abissi dell’Oceano inferiore; invece di concentraretutte le loro potenzialità per dirigerle verso il mondo informale, il quale è il solo che possa dirsi«spirituale», le disperdono nella diversità indefinitamente mutevole e sfuggente delle forme dellamanifestazione sottile (la quale è ciò che corrisponde nel modo più esatto possibile al concetto della«realtà» bergsoniana), senza sospettare che quanto scambiano per una pienezza di «vita» non è difatto che il regno della morte e della dissoluzione senza ritorno.

36. La Pseudo-iniziazione

Quando diamo la qualifica di «satanica» all’azione antitradizionale i cui diversi aspetti stiamo

studiando qui, dev’essere fuori questione che questo è del tutto indipendente dall’idea più parti-colare che ognuno potrà farsi di ciò che è chiamato «Satana», in conformità con vedute teologiche od’altro tipo, poiché è chiaro che le «personificazioni» non hanno importanza dal nostro punto di vistae non debbono minimamente intervenire in queste considerazioni. Quel che bisogna prendere inesame è, da un lato, lo spirito di negazione e di sovversione in cui «Satana» si risolvemetafisicamente, quali che siano le forme specifiche che egli può rivestire per manifestarsi in questoo quell’altro campo, e, d’altro lato, quel che propriamente lo rappresenta e per così dire lo «incarna»nel mondo terrestre in cui consideriamo la sua azione: intendiamo riferirci specificamente a quellache abbiamo chiamato «contro-iniziazione». Si osservi che diciamo «contro-iniziazione» e non«pseudo-iniziazione» che è qualcosa di molto diverso. In effetti non si deve confondere ilcontraffattore con la contraffazione, di cui la «pseudo-iniziazione», quale esiste oggi in numeroseorganizzazioni, la maggior parte delle quali si ricollegano a qualche forma di «neospiritualismo», non

è in definitiva se non uno dei molteplici esempi, allo stesso titolo di quelli già da noi constatati inordini diversi, anche se essa, come contraffazione dell’iniziazione, presenta forse una importanzaancor maggiore che non la contraffazione di qualsiasi altra cosa. La «pseudo-iniziazione» èrealmente uno dei prodotti dello stato di disordine e di confusione provocato, all’epoca moderna,dall’azione «satanica» che ha il suo punto di partenza cosciente nella «contro-iniziazione»; essa puòanche essere, in maniera incosciente, uno strumento di quest’ultima, ma, in fondo, ciò è ugualmente

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vero, all’uno o all’altro livello, per tutte le altre contraffazioni, nel senso che tutte quante sonoaltrettanti mezzi ausiliari alla realizzazione dello stesso piano di sovversione, cosicché ciascunosvolge esattamente la funzione più o meno importante che in questo insieme gli è assegnata, il che,del resto, rappresenta ancora una specie di contraffazione dell’ordine e dell’armonia stessi contro iquali, appunto, tutto questo piano è diretto.La «contro-iniziazione», invece, non è certo una semplice illusoria contraffazione, ma qualcosa diassolutamente reale nell’ordine che le è proprio, come l’azione da essa effettivamente esercitata nonfa che dimostrare; quanto meno, è una contraffazione solo nel senso che imita necessariamentel’iniziazione come un’ombra invertita, anche se la sua intenzione vera non è quella di imitarla, bensì

di opporlesi. Questa pretesa, però, è vana per forza di cose, in quanto il campo metafisico espirituale, che è al di là di tutte le opposizioni, le è assolutamente interdetto; tutto ciò che essa puòfare è di ignorarlo o di negarlo, nell’assoluta impossibilità di andare al di là del «mondo intermedio»,cioè quel campo psichico che è d’altronde, e per tutti i versi, il campo privilegiato dell’influenza diSatana, tanto nell’ordine umano quanto nell’ordine cosmico [Secondo la dottrina islamica èattraverso la nafs (l’anima) che lo Shaytan ha presa sull’uomo, mentre il ruh (lo spirito), la cuiessenza è pura luce, è al di là dei suoi attacchi]; ma l’intenzione tuttavia esiste, con l’implicitopartito preso di andare proprio in senso opposto a quello dell’iniziazione. Quanto alla«pseudo-iniziazione», si tratta di una pura e semplice parodia: si può dire cioè che non è niente inse stessa, che è priva di ogni realtà profonda, oppure, se si vuole, che il suo valore intrinseco, nonessendo positivo come quello dell’iniziazione e neppure negativo come quello della «contro--iniziazione», è semplicemente nullo; tuttavia, se essa non si riduce ad un gioco più o menoinoffensivo, come in queste condizioni si potrebbe essere tentati di credere, ciò dipende da quantoabbiamo spiegato a grandi linee del vero carattere delle contraffazioni e della funzione cui esse sonodestinate; per di più, nel caso specifico, bisogna aggiungere che i riti, in virtù della loro natura«sacra» nel più rigoroso senso della parola, sono cose che non si possono mai simulareimpunemente. Inoltre, le contraffazioni «pseudo-tradizionali», a cui si riferiscono tutte le già segna-late snaturazioni dell’idea di tradizione, raggiungono qui la loro massima gravità, prima di tuttoperché si traducono in un’azione effettiva invece di rimanere allo stato di più o meno vaghe con-cezioni, e secondariamente perché il loro attacco verte sull’aspetto «interiore» della tradizione, suciò che ne costituisce veramente lo spirito, ossia sul campo esoterico e iniziatico.Veramente rimarchevoli sono gli sforzi che la «contro-iniziazione» dedica all’introduzione dei propriagenti nelle organizzazioni «pseudo-iniziatiche»; costoro le «ispirano» all’insaputa dei loro membriordinari e, spesso, anche dei loro capi apparenti, i quali ultimi sono, come gli altri, altrettantoall’oscuro della causa di cui sono al servizio; in effetti però, bisogna dire che un’analoga introduzione

avviene ovunque sia possibile, in tutti i «movimenti» più esteriori del mondo contemporaneo, politicio di altro genere, e, come dicevamo prima, perfino nelle organizzazioni autenticamente iniziatiche oreligiose, dove lo spirito tradizionale si è tuttavia ormai troppo affievolito perché essi siano ancoracapaci di resistere a questa insidiosa penetrazione. Tuttavia, a parte quest’ultimo caso che permettedi esercitare nel modo più diretto possibile un’azione dissolvente, le organizzazioni «pseudo-iniziatiche» sono senza dubbio quelle che attirano maggiormente l’attenzione della«contro-iniziazione» e ne fanno l’oggetto dei suoi sforzi più notevoli, proprio perché l’opera che essasi propone, ed in cui in definitiva si riassume tutto il suo modo d’essere, è innanzituttoantitradizionale. È del resto molto probabilmente questa la ragione dell’esistenza di innumerevolilegami tra le manifestazioni «pseudo-iniziatiche» e tutte le specie di altre cose che a prima vistasembrerebbero non dover avere con esse il minimo rapporto, ma che, tutte, sono rappresentativedello spirito moderno in qualcuno dei suoi aspetti più spiccati [Nel Théosophisme abbiamo citato un

numero abbastanza rilevante di esempi di questo genere]; perché, se così non fosse, gli«pseudo-iniziati» svolgerebbero costantemente in tutto ciò una funzione così importante? Si puòaffermare che, fra gli strumenti ed i mezzi d’ogni genere messi in azione a questo scopo, la«pseudo-iniziazione» deve logicamente, per la sua stessa natura, occupare il primo rango; è fuoriquestione che essa non è altro che un ingranaggio, ma un ingranaggio che può comandarne moltialtri e sul quale questi altri vengono in qualche modo ad ingranarsi ricevendone il proprio impulso. Ecosì la contraffazione continua: la «pseudo-iniziazione» imita in questo modo la funzione di motoreinvisibile la quale, di norma, appartiene in proprio all’iniziazione. Ma attenzione: l’iniziazionerappresenta veramente e legittimamente lo spirito, animatore principale di tutte le cose, mentreinvece, per quanto riguarda la «pseudo-iniziazione», lo spirito è evidentemente assente. Ne risulta,come conseguenza immediata, che l’azione così esercitata, invece di essere realmente «organica»,ha necessariamente un carattere puramente «meccanico», il che del resto giustifica pienamente il

paragone degli ingranaggi da noi adoperato; non è forse appunto questo carattere che, comeabbiamo visto, si ritrova nella maniera più sorprendente dappertutto nel mondo attuale, mondo dovela macchina invade sempre più tutto quanto, dove lo stesso essere umano, durante tutta la suaattività, è ridotto a somigliare il più possibile ad un automa dal momento che ogni spiritualità gli èstata sottratta? Ma è appunto qui che risalta evidente tutta l’inferiorità delle produzioni artificiali,anche se un’abilità «satanica» ha presieduto alla loro elaborazione; si possono fabbricare delle

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macchine, ma non degli esseri viventi, perché, ancora una volta, è lo spirito che manca e mancheràsempre.Abbiamo parlato di «motore invisibile», e, a parte la volontà d’imitazione che ulteriormente sievidenzia a questo proposito, vi è in questa specie d’«invisibilità», per relativa che sia, un in-contestabile vantaggio della «pseudo-iniziazione», nello svolgere la suddetta funzione, su ogni altracosa di carattere più «pubblico». Non che le organizzazioni «pseudo-iniziatiche» pongano in genereuna grande attenzione a dissimulare la loro esistenza: ce ne sono che arrivano addirittura a fareun’aperta propaganda del tutto incompatibile con le loro pretese esoteriche; ma, ciononostante, essesono ancora quanto c’è di meno appariscente, e quanto di meglio si presta all’esercizio di un’azione

«discreta», per cui sono quelle con le quali la «contro-iniziazione» può entrare più direttamente incontatto, senza tema che il suo intervento rischi d’essere smascherato, tanto più che, in questiambienti, è sempre facile trovare qualche mezzo per parare le conseguenze di un’indiscrezione o diun’imprudenza. Bisogna dire anche che gran parte del pubblico, pur essendo più o meno al correntedell’esistenza di organizzazioni «pseudo-iniziatiche», non è abbastanza informato su cosa esse siano,ed è poco propenso ad annettervi importanza non vedendo in esse che semplici «eccentricità» privedi seria portata; e tale indifferenza, sia pure involontariamente, è anch’essa al servizio di queglistessi disegni, con non minore efficacia del segreto più rigoroso.Abbiamo cercato di far capire il più esattamente possibile la funzione reale, anche se inconsapevole,della «pseudo-iniziazione», e la vera natura dei suoi rapporti con la «contro-iniziazione»;bisognerebbe ancora aggiungere che quest’ultima, almeno in certi casi, può trovarvi un posto diosservazione e di selezione per il proprio reclutamento, ma non è questo il luogo adatto per insisteresu tale argomento. Non si può fornire altro che un’idea molto approssimativa sulla molteplicità ecomplessità incredibili delle ramificazioni effettivamente esistenti fra tutte queste cose, e di cui solouno studio diretto e dettagliato potrebbe permettere di rendersi conto; ma è sottinteso che qui èsoltanto il «principio», se così si può dire, ad interessarci. E non è tutto: finora abbiamo visto,insomma, perché l’idea tradizionale è contraffatta dalla «pseudo-iniziazione»; resta da vedere conmaggior precisione in che modo lo è, acciocché queste considerazioni non diano l’impressione direstare limitate ad un ordine troppo esclusivamente «teorico».Uno dei mezzi più semplici che le organizzazioni «pseudo-iniziatiche» hanno a disposizione perfabbricare una falsa tradizione ad uso dei loro aderenti, è certamente il «sincretismo», il qualeconsiste nel riunire bene o male elementi presi a prestito un po’ dappertutto, nel giustapporli inqualche modo «dall’esterno», senza alcuna comprensione reale di quel che essi rappresentanoveramente nelle diverse tradizioni a cui specificamente appartengono. Ma poiché occorre dare aquesta accozzaglia più o meno informe una certa apparenza di unità, allo scopo di poterla

presentare come una «dottrina», si cercherà di raggruppare quegli elementi intorno a certe «ideedirettrici», le quali a loro volta, ben lungi dall’avere un’origine tradizionale, saranno in generaleconcezioni del tutto profane e moderne, cioè prettamente antitradizionali; l’idea di «evoluzione»,come abbiamo fatto notare parlando del «neospiritualismo», svolge a questo riguardo una funzionepreponderante. È chiaro che le cose ne vengono di conseguenza singolarmente aggravate: in questecondizioni, non si tratta più della semplice costituzione di una specie di «mosaico» di relittitradizionali, il quale in definitiva potrebbe essere solo un gioco vano, ma praticamente inoffensivo; sitratta invece di qualcosa che tende a «snaturare», o meglio, «deviare» gli elementi presi a prestito,perché con questi metodi si sarà indotti ad attribuir loro, in accordo con l’«idea direttrice», unsignificato così alterato da essere in diretto contrasto con quello tradizionale. È fuori questione, delresto, che coloro i quali agiscono così possono benissimo non esserne nettamente coscienti, inquanto la mentalità moderna, che è loro propria, può rendere completamente ciechi al riguardo; in

tutto ciò occorre per prima cosa far posto alla pura e semplice incomprensione causata da talementalità, e in seguito, o meglio ancora soprattutto, alle «suggestioni» di cui questi«pseudo-iniziati» sono le prime vittime prima di contribuire per conto loro ad inculcarle in altri; matale incoscienza non modifica per nulla il risultato, né minimamente attenua il pericolo di questogenere di cose, le quali non sono per ciò meno adatte, sia pure «a posteriori», ai fini che la«contro-iniziazione» si propone. È anche possibile il caso di agenti di quest’ultima, i quali, attraversoun intervento più o meno diretto, abbiano potuto provocare o ispirare la formazione di simili«pseudo-tradizioni»; senza dubbio se ne potrebbero trovare degli esempi, ma ciò non significa cheanche allora tali agenti coscienti siano stati i creatori apparenti e noti delle forme«pseudo-iniziatiche» in questione, poiché è evidente che la prudenza impone loro di dissimularsisempre, il più possibile, dietro semplici strumenti inconsapevoli.Quando parliamo d’incoscienza, la intendiamo soprattutto nel senso che chi elabora nel modo

suddetto una «pseudo-tradizione» è in genere del tutto ignorante dei fini a cui essa in realtà serve;più difficile è ammettere che la sua buona fede, circa il carattere ed il valore di una simileproduzione, sia altrettanto completa; tuttavia, anche a questo proposito, è possibile talora che inuna certa misura costoro siano degli illusi, oppure che vengano illusi come nel caso da noimenzionato per ultimo. Molto spesso bisogna anche tener conto di certe «anomalie» d’ordinepsichico che complicano ancora le cose, e che, del resto, costituiscono un terreno favorevole a che le

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influenze e le suggestioni di ogni genere possano esercitarsi con la massima potenza; a questoproposito facciamo soltanto notare, senza insistervi oltre, la funzione non trascurabile che«chiaroveggenti» ed altri «sensitivi» hanno spesso svolto in tale ordine di cose. Però, nonostantetutto, esiste sempre un punto in cui la soperchieria cosciente ed il ciarlatanismo diventano unaspecie di necessità per i dirigenti di una organizzazione «pseudo-iniziatica»: difatti, se qualcuno ar-riva ad accorgersi, cosa nemmeno troppo difficile, degli elementi presi a prestito più o menomaldestramente dall’una o dall’altra tradizione, come potrebbe riconoscerli senza vedersi diconseguenza obbligato a confessare di non essere in realtà che un semplice profano? In casi similicostoro, in generale, non esitano a rovesciare i rapporti, e a dichiarare audacemente che è la loro

propria «tradizione» a rappresentare la «fonte» comune di tutte quelle che hanno depredato; e,anche se non arrivano a convincere tutti quanti, trovano pur sempre degli ingenui pronti a crederlisulla parola, in numero sufficiente a che la loro situazione di «capi scuola», cui generalmentetengono sopra ogni cosa, non rischi d’esser seriamente compromessa, tanto più che essi badanoabbastanza poco alla qualità dei loro «discepoli» e che, conformemente alla mentalità moderna, benpiù importante sembra loro la quantità; cosa che del resto è sufficiente a dimostrare quanto lontanoessi siano dall’aver la più elementare nozione della reale essenza dell’esoterismo e dell’iniziazione.Non è nemmeno il caso di dire che tutto quanto stiamo descrivendo non risponde soltanto a più omeno ipotetiche possibilità, bensì a fatti reali e debitamente constatati; se dovessimo citarli tutti nonarriveremmo più alla fine, ed in fondo faremmo un’opera di scarsa utilità; qualche esempiocaratteristico può bastare. Così, è in virtù del succitato procedimento «sincretistico» che ha visto laluce la pretesa «tradizione orientale» dei Teosofisti, la quale di orientale ha soltanto unaterminologia mal compresa e mal applicata; e poiché il mondo è sempre «diviso contro se stesso»,secondo le parole del Vangelo, ecco gli occultisti francesi, per spirito di opposizione e di concorrenza,fabbricare a loro volta una sedicente «tradizione occidentale» dello stesso genere, molti elementidella quale, specie quelli ricavati dalla Cabbala, difficilmente possono dirsi occidentali sia per origine,sia per il modo in cui vengono interpretati. I primi presentarono la loro «tradizione» comel’espressione stessa della «saggezza antica»; i secondi, forse di pretese un po’ più modeste,cercarono soprattutto di far passare il loro «sincretismo» per una «sintesi», abusando diquest’ultimo termine come pochi al mondo. Se i primi si mostravano assai più ambiziosi, è forseperché, di fatto, all’origine del loro «movimento» c’erano influenze piuttosto enigmatiche, di cui essistessi sarebbero stati senza dubbio incapaci di determinare la vera natura; i secondi, invece,sapevano anche troppo bene che dietro a loro non c’era nulla e che la loro opera era frutto di pocheindividualità ridotte ai propri soli mezzi; infatti, se ciò nonostante avvenne anche qui l’intrusione di«qualcosa» d’altro, si trattò certamente di un fenomeno molto tardivo. Non è difficile applicare ai

due casi, considerati sotto questo rapporto, quanto abbiamo appena detto, dopodiché possiamolasciare a chiunque di trarne da solo le logiche conseguenze.È fuori questione che non ci fu mai qualcosa di autentico che avesse il nome di «tradizioneorientale» o di «tradizione occidentale»: denominazioni del genere sono manifestamente troppovaghe perché possano essere applicate ad una forma tradizionale definita; infatti, a meno che sirisalga alla tradizione primordiale, fuori causa qui per ragioni facili da capire, a parte il fatto di nonessere questa né orientale né occidentale, ci sono e ci furono sempre molteplici e diverse formetradizionali, sia in Oriente che in Occidente. Altri hanno creduto di far meglio e di ispirare piùfacilmente fiducia appropriandosi del nome stesso di qualche tradizione realmente esistita inun’epoca più o meno lontana, facendone l’etichetta per una costruzione altrettanto eteroclita quantole precedenti; in effetti, pur servendosi di ciò che più o meno sono riusciti a sapere della tradizionesu cui hanno gettato gli occhi, essi sono obbligati a completare i pochi dati, sempre molto fram-

mentari e spesso in parte ipotetici, ricorrendo ad altri elementi presi a prestito altrove, se noncompletamente immaginari. In ogni caso, appare evidente ad un esame minimo lo spirito speci-ficamente moderno che ha presieduto alla elaborazione di tali produzioni e che invariabilmente sitraduce nella presenza di qualcuna di quelle stesse «idee direttrici» cui facevamo allusione prima;non è quindi necessario spingere oltre le ricerche, né darsi la pena di determinare esattamente e neiparticolari la provenienza reale di tale o tal altro elemento dell’insieme, perché questa constatazionebasta da sola a dimostrare, senza dubbi di sorta, che si è in presenza di una pura e semplicecontraffazione.L’esemplificazione più probante che si possa fornire a proposito di quest’ultimo caso è data dallenumerose organizzazioni che all’epoca attuale vengono denominate «rosacruciane», e che, èimplicito, non mancano d’essere vicendevolmente in contraddizione nonché di combattersi più omeno apertamente, pur pretendendo di rappresentare egualmente una sola ed unica «tradizione».

Di fatto, si può dare pienamente ragione ad ognuna di esse senza eccezioni nella denuncia delleconcorrenti come illegittime e fraudolente; certo non ci fu mai tanta gente ad autodefinirsi«rosacruciana», o addirittura «Rosacroce», come a partire dal momento in cui di autenticirosacruciani e Rosacroce non ce ne furono più. È del resto assai poco pericoloso farsi passare per lacontinuazione di una cosa interamente del passato, soprattutto quando le smentite sono tanto menotemibili quanto più la cosa è avvolta nell’oscurità, come nel caso specifico, in cui la fine è ancora

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meno nota dell’origine; chi infatti, tra il pubblico profano, o anche tra gli «pseudo-iniziati», puòsapere cosa fu esattamente la tradizione che, durante un certo periodo, si qualificò comerosacruciana? È opportuno aggiungere che le nostre osservazioni concernenti l’usurpazione del nomedi una organizzazione iniziatica non si applicano ad un caso come quello della pretesa «Gran LoggiaBianca», della quale, cosa assai curiosa, sempre più si parla un po’ da tutte le parti e non solo daparte dei teosofisti; in effetti, questa denominazione non ha mai avuto in nessun posto il benchéminimo carattere autenticamente tradizionale, e, se tale nome convenzionale può servire da«maschera» a qualcosa che possegga una realtà qualsiasi, non è certamente nel campo iniziaticoche in ogni caso conviene ricercarlo.

Molto spesso è stato criticato il sistema usato da certuni di relegare i «Maestri» ai quali siappoggiano in qualche regione praticamente inaccessibile dell’Asia centrale o altrove; effettivamentesi tratta di un metodo assai facile per rendere inverificabili le loro asserzioni, e del resto non è ilsolo, perché anche l’allontanamento nel tempo può svolgere a questo proposito una funzioneesattamente paragonabile a quella dell’allontanamento nello spazio. Così altri non esitano apretendere d’essere ricollegati a qualche tradizione completamente scomparsa ed estinta da secoli,se non addirittura da millenni; è vero che, a meno che essi non osino arrivare a dire che quellatradizione si è perpetuata per tutto questo tempo in modo così segreto e così ben nascosto daimpedire a chiunque, se non a loro, di scoprirne la minima traccia, ciò li priva dell’apprezzabilevantaggio di rivendicare quella filiazione diretta e continua che nel caso specifico non avrebbenemmeno l’apparenza di verosimiglianza che può ancora avere quando si tratti di una forma indefinitiva recente come lo è la tradizione rosacruciana; questa mancanza non sembra però avere ailoro occhi grande importanza, perché sono talmente ignoranti delle vere condizioni dell’iniziazione daimmaginare di buon grado che un semplice ricollegamento «ideale» senza alcuna trasmissioneregolare possa far le veci di un ricollegamento effettivo. Inoltre è chiaro che una tradizione sipresterà tanto meglio alle più fantasiose «ricostituzioni» quanto più sia completamente perduta edimenticata, e quanto meno si sappia come giudicare il significato reale delle vestigia che nepermangono, vestigia alle quali si potrà pertanto far dire pressappoco tutto quel che si vorrà;ognuno vi metterà naturalmente solo quanto si conforma alle sue idee; senza dubbio, non si vedonoaltre ragioni, se non questa, per dar ragione del particolare «sfruttamento» della tradizione egizia atale proposito e per spiegare perché tanti «pseudo-iniziati» di varie scuole le testimonino unapredilezione diversamente incomprensibile. Ad evitare qualsiasi falsa applicazione di quel cheabbiamo detto qui, teniamo a precisare che tali osservazioni non riguardano minimamente iriferimenti all’Egitto o altre cose di questo genere che talora si possono incontrare anche in certeorganizzazioni iniziatiche, e che però vi hanno esclusivamente il carattere di «leggende» simboliche,

senza pretese ad una sopravvalutazione inerente all’origine; noi abbiamo di mira soltanto ciò chepuò farsi passare per una restaurazione, valida come tale, di una tradizione o di una iniziazione nonpiù esistente, restaurazione che del resto, anche nell’impossibile ipotesi di essere esatta in ognipunto e completa, non avrebbe altro interesse in se stessa se non quello di una semplice curiositàarcheologica.Con ciò terminiamo queste considerazioni già estese, e ampiamente sufficienti a far capire che cosasiano in linea generale tutte quelle contraffazioni «pseudo-iniziatiche» dell’idea tradizionale, cosìcaratteristiche della nostra epoca: una mescolanza più o meno coerente (assai meno che più) dielementi in parte presi a prestito e in parte inventati, il tutto dominato dalle concezioniantitradizionali proprie dello spirito moderno, e che di conseguenza non può che diffondere semprepiù tali concezioni col farle passare, per qualcuno, come tradizionali, tacendo dell’inganno manifestoche consiste nel far passare per «iniziazione» ciò che in realtà ha un carattere esclusivamente

profano, per non dire «profanatore». Dopo di che, se si facesse osservare, come una specie dicircostanza attenuante, che in quel contesto vi sono quasi sempre, nonostante tutto, alcuni elementila cui provenienza è realmente tradizionale, risponderemmo quanto segue: qualsiasi imitazione, perfarsi accettare, deve naturalmente assumere almeno qualcuna delle sembianze di ciò che simula, maè appunto questo che ne aumenta il pericolo; la menzogna più abile e più funesta non è forseappunto quella che mescola in modo inestricabile il vero con il falso, cercando così di far servirequello al trionfo di questo?

37. L’inganno delle «profezie»

La mescolanza di vero e di falso, che s’incontra nelle «pseudo-tradizioni» di fabbricazione moderna,si ritrova in quelle pretese «profezie», le quali, specie in questi ultimi anni, vengono diffuse e

sfruttate in tutti i modi per fini come minimo piuttosto enigmatici; se diciamo pretese, è perchédev’essere ben chiaro che la parola «profezie» non può essere applicata propriamente se non agliannunzi di avvenimenti futuri contenuti nei Libri sacri delle differenti tradizioni, provenienti cioè daun’ispirazione d’ordine puramente spirituale; in tutti gli altri casi il suo impiego è assolutamenteabusivo, ed il solo termine conveniente è allora quello di «predizioni». Queste predizioni possono delresto provenire da fonti molto diverse, alcune sono state ottenute applicando certe scienze

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tradizionali secondarie, e queste sono certamente le più valide, ma a condizione di poterneveramente capire il significato, cosa non sempre facile perché, per diverse ragioni, esse sono gene-ralmente formulate in termini più o meno oscuri, tali da non chiarirsi se non dopo la realizzazionedegli avvenimenti cui esse fanno allusione; perciò conviene non fidarsi, non delle predizioni in sestesse, ma piuttosto delle interpretazioni erronee o «tendenziose» che se ne possono dare. Quantoal resto, per quel che vi è di autentico, esso emana quasi unicamente da «veggenti» sinceri, maassai poco «illuminati», i quali hanno scorto cose confuse riferentisi più o meno esattamente a unavvenire piuttosto spesso mal definito quanto alla data e quanto all’ordine di successione degliavvenimenti, e che, mescolandole inconsciamente con le loro proprie idee, le hanno espresse più

confusamente ancora, tanto che non sarà difficile trovare in un contesto del genere tutto quanto sivorrà.A questo punto è facile capire a cosa servirà tutto ciò nelle attuali condizioni: dal momento che lesuddette predizioni presentano quasi sempre le cose sotto una luce inquietante e talora terrificante,essendo questo l’aspetto che più ha colpito i «veggenti», per turbare l’opinione pubblica bastasemplicemente diffonderle, tutt’al più accompagnandole con commenti che ne mettano in risaltol’aspetto minaccioso e presentino gli avvenimenti in questione come imminenti [L’annuncio delladistruzione di Parigi con il fuoco, per esempio, è stato diffuso in questo modo una quantità di voltecon precisione di date; naturalmente niente di simile si è mai prodotto, ma è rimasta l’impressione diterrore che una cosa del genere non manca di suscitare in molte persone e che il ripetersi degliinsuccessi della predizione non ha minimamente fatto diminuire]; se le predizioni concordano,l’effetto ne verrà rinforzato, se invece si contraddicono, come può anche accadere, il disordine chene deriva sarà ancora maggiore; ed in entrambi i casi tanto di guadagnato a vantaggio delle potenzedi sovversione. Bisogna inoltre aggiungere che tutte queste cose, generalmente provenienti daregioni assai basse del campo psichico, trascinano per ciò stesso con sé influenze squilibranti edissolventi che ne aumentano considerevolmente il pericolo; ed è senza dubbio per questa ragioneche anche chi non vi presta fede sente tuttavia in loro presenza un malessere paragonabile a quellocausato, anche a persone pochissimo «sensitive», dalla presenza di forze sottili d’ordine inferiore.Non si ha idea, per esempio, di quanta gente sia andata incontro a squilibri gravi, e talorairrimediabili, in seguito alle numerose predizioni in cui si parla del «Gran Papa» e del «GranMonarca», le quali, pur contenendo tracce di certe verità, hanno subito strane deformazioni ad operadegli «specchi» dello psichismo inferiore e per giunta sono state ridotte dal metro mentale dei«veggenti», i quali le hanno in qualche modo «materializzate» e più o meno ristrettamente «localiz-zate» per farle rientrare nel quadro delle loro idee preconcette [La parte relativamente valida dellepredizioni in questione sembra riferirsi soprattutto alla funzione del Mahdi e a quella del decimo

Avatara; queste cose, riguardanti direttamente la preparazione del «raddrizzamento» finale, esulanodal tema del presente studio; teniamo però a far rilevare come la loro deformazione stessa si prestiad essere impiegata «alla rovescia» nel senso della sovversione]. Del resto, il modo in cui questecose vengono presentate da parte dei «veggenti» in questione, che spesso sono anche dei «sugge-stionati» [Sia ben chiaro che «suggestionato» non vuole affatto dire «allucinato»; fra questi duetermini si ritrova qui la stessa differenza che c’è fra l’intravedere certe cose immaginateconsciamente e volontariamente da altri e l’immaginarle da soli «subcoscientemente»], ha molto ache fare con certi tenebrosi «retroscena», le cui inverosimili ramificazioni, a cominciare comeminimo dall’inizio del XIX secolo, sarebbero particolarmente curiose da seguire per chi volessescrivere la vera storia di quei tempi, storia certamente ben diversa da quella che viene insegnata«ufficialmente»; in ogni caso non è nostra intenzione entrare qui nei particolari di queste cose, percui, su una questione così complicata e del resto manifestamente imbrogliata a bella posta in tutti i

suoi aspetti [Si pensi per esempio a tutto ciò che è stato messo in opera per rendere completamenteinestricabile una questione storica come quella della sopravvivenza di Luigi XVII, e si potrà avereun’idea di quel che vogliamo dire qui], dobbiamo limitarci a qualche osservazione di caratteregenerale, pur non avendo potuto passarla completamente sotto silenzio per evitare chel’enumerazione dei principali elementi caratteristici dell’epoca contemporanea ne risultasse troppoincompleta, dal momento che anche qui ci troviamo in presenza di uno dei sintomi più significatividella seconda fase dell’azione antitradizionale.Comunque sia, la semplice diffusione di predizioni del tipo suddetto è in definitiva solo la parte piùelementare del lavoro a cui attualmente ci si dedica in proposito, perché, nel caso specifico, il lavoroè già stato fatto quasi per intero, anche se a loro insaputa, dagli stessi «veggenti»; in altri casi,invece, bisogna elaborare interpretazioni più sottili per portare le predizioni a corrispondere a certidisegni. Ciò accade specialmente per quelle basate su talune conoscenze tradizionali, ed è la loro

oscurità che viene allora messa a profitto per quel che ci si propone [A questo proposito le predizionidi Nostradamus sono l’esempio più tipico ed importante; le interpretazioni più o meno straordinariea cui esse hanno dato luogo specie in questi ultimi anni sono pressoché innumerevoli]; certeprofezie bibliche stesse sono soggette, per la suddetta ragione, a tale tipo di interpretazioni«tendenziose», i cui autori sono del resto spesso in buona fede anche se da annoverare fra i«suggestionati» che servono a suggestionare gli altri; si tratta di una specie di «epidemia» psichica

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altamente contagiosa, la quale però rientra anche troppo bene nel piano di sovversione per essere«spontanea», anzi, come tutte le manifestazioni del disordine moderno (ivi comprese le rivoluzioniche gli ingenui ritengono «spontanee»), presuppone per forza di cose una volontà cosciente al suopunto di partenza. La cecità peggiore sarebbe quella di vedere in queste cose una semplicequestione di «moda» senza importanza reale [La stessa «moda», invenzione prettamente moderna,non è una cosa del tutto priva di importanza se la si intende nel suo vero significato: essa rap-presenta il cambiamento incessante e senza scopo, in contrasto con la stabilità e l’ordine regnantinelle civiltà tradizionali]; lo stesso dicasi della crescente diffusione di certe «arti divinatorie»,certamente non così inoffensive come potrebbe parere a chi non va in fondo alle cose: in generale

sono relitti incompresi di antiche scienze tradizionali quasi completamente perdute, le quali, oltre alpericolo già inerente al loro carattere di «residui», sono per di più arrangiate e combinate in modotale che la loro messa in azione, con il pretesto dell’«intuizione» (e questo punto d’incontro con la«filosofia nuova» è in se stesso piuttosto notevole), apre la porta all’intervento di tutte le influenzepsichiche del tipo più dubbio [Ci sarebbe molto da dire a questo proposito, specie per quantoriguarda l’uso dei Tarocchi, in cui sono presenti le vestigia di una scienza tradizionale incontestabileche, quale ne sia l’origine reale, presenta anche aspetti piuttosto tenebrosi; con ciò non intendiamoalludere alle molteplici fantasticherie occultistiche a cui i Tarocchi hanno dato luogo e che in granparte sono trascurabili, bensì a qualcosa di molto più effettivo che rende assai pericoloso il loro usoper chiunque non sia sufficientemente garantito contro l’azione delle «forze inferiori»].Vengono anche utilizzate, mediante appropriate interpretazioni, predizioni dall’origine piuttostosospetta, ma d’altronde assai antica, le quali probabilmente non furono emesse in vista dellecircostanze attuali, anche se le potenze di sovversione avevano con tutta evidenza già ampiamenteesercitato la loro influenza a quell’epoca (si tratta soprattutto del periodo a cui risalgono le originistesse della deviazione moderna, dal XIV al XVI secolo), ed anche se non è da escludere che essesin d’allora avessero in vista, unitamente a scopi più particolari ed immediati, anche la preparazionedi un’azione che doveva compiersi solo a lunga scadenza [Coloro che fossero curiosi di conoscereparticolari su questo aspetto della questione potrebbero utilmente consultare, a parte le riserve dafare su certi punti, un libro intitolato Autour de la Tiare, di Roger Duguet, opera postuma diqualcuno che ha avuto a che fare da vicino con certi «retroscena» a cui abbiamo fatto allusione inprecedenza e che, alla fine dei suoi giorni, ha voluto portare la propria «testimonianza», come diceegli stesso, e contribuire in una certa misura a svelare questi misteriosi «retroscena»; nonimportano le ragioni di carattere «personale» che hanno potuto determinare la sua azione, perchéesse, in ogni caso, non tolgono evidentemente niente all’interesse delle sue «rivelazioni»]. Talepreparazione, del resto, non è mai venuta meno; essa è continuata sotto altre modalità, di cui la

suggestione dei «veggenti» moderni e l’organizzazione di «apparizioni» di carattere poco ortodossorappresentano uno degli aspetti in cui più nettamente si palesa l’intervento diretto delle influenzesottili; ma questo aspetto non è il solo e, quand’anche si tratti di predizioni apparentemente«fabbricate» pezzo per pezzo, influenze del genere possono altrettanto bene entrare in gioco,anzitutto in virtù della fonte «contro-iniziatica» da cui emana la loro ispirazione prima, e poi anche acausa di certi elementi che vengono presi per servire da «supporto» a tale elaborazione.Nello scrivere queste ultime parole, abbiamo specialmente in vista un esempio veramentestupefacente, sia in se stesso, sia per il successo che ha avuto in diversi ambienti, e che, a questotitolo, merita qui un po’ più di una semplice menzione; ci riferiamo alle sedicenti «profezie dellaGrande Piramide», diffuse in Inghilterra e da lì nel mondo intero per fini che sono forse in partepolitici, ma che vanno certamente più in là della politica nel senso ordinario del termine, e ched’altronde si riallacciano strettamente ad un altro lavoro intrapreso per persuadere gli Inglesi di

essere i discendenti delle «tribù perdute di Israele»; ma anche su questo non possiamo dilungarcisenza dare all’argomento sviluppi che attualmente sarebbero inopportuni. Comunque sia, ecco inpoche parole di che cosa si tratta: misurando, in un modo del resto non privo d’arbitrarietà (tantopiù che non si sa con esattezza quali fossero le misure di cui si servivano realmente gli antichi Egizi),le diverse parti dei corridoi e delle camere della Grande Piramide [La Grande Piramide, per la verità,non è poi tanto più grande delle altre, soprattutto della più vicina, da far sì che la differenza si notimolto; però, chissà per quale ragione, è su di essa che si sono in qualche modo «ipnotizzati» quasiesclusivamente tutti i «ricercatori, moderni, ed è a essa che vengono riferite sempre tutte le loroipotesi più fantasiose, anzi si potrebbe dire le più fantastiche, come, per citarne solo due delle piùbizzarre, quella che vuol vedere nella sua disposizione interna una carta delle sorgenti del Nilo, el’altra secondo cui il «Libro dei Morti» non sarebbe altro che una descrizione esplicativa di questastessa disposizione], si sono volute scoprire delle «profezie» facendo corrispondere i numeri così

ottenuti a periodi e a date della storia. Malauguratamente, l’assurdità di tutte queste cose ètalmente manifesta che c’è da chiedersi come mai nessuno sembri accorgersene, ed è appuntoquesto che dimostra quanto i nostri contemporanei siano «suggestionati»; in effetti, supposto che icostruttori della Piramide abbiano realmente incluso in essa certe «profezie», le quali dovevanonecessariamente essere basate su una certa conoscenza delle leggi cicliche, tali profezie, o siriferiscono alla storia generale del mondo e dell’umanità, oppure sono state elaborate in modo da

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concernere specificamente l’Egitto; ebbene, niente di tutto ciò, in quanto tutto quello che vi si vuoltrovare viene ricondotto esclusivamente al punto di vista dell’Ebraismo prima, e del Cristianesimopoi, per cui se ne dovrebbe concludere, a fil di logica, che la Piramide non è affatto un monumentoegizio, bensì un monumento «giudaico-cristiano»! Già soltanto questo dovrebbe bastare a fargiustizia di tale storia inverosimile; tuttavia è opportuno aggiungere che tutto vi è concepito secondouna sedicente «cronologia» biblica, che, nella sua conformità al «letteralismo» più ristretto e piùprotestante quale era senza dubbio richiesto dalla necessità di adattare le cose alla mentalitàcaratteristica dell’ambiente in cui esse dovevano principalmente ed in primo luogo venire diffuse, èassolutamente contestabile. Ben altre osservazioni curiose ci sarebbero ancora da fare: per esempio,

a partire dall’inizio dell’èra cristiana non si sarebbe trovata nessuna data interessante da segnalarese non quella delle prime ferrovie; se ne dovrebbe dedurre che quegli antichi costruttori avevanouna prospettiva tutta moderna nell’apprezzare l’importanza degli avvenimenti; con il che si palesal’elemento grottesco che non manca mai in questo genere di cose, quell’elemento in virtù del qualesi tradisce la loro vera origine: il diavolo è certamente assai abile, eppure non manca mai d’essereridicolo sotto qualche aspetto! [Prima di abbandonare l’argomento della Grande Piramide,segnaliamo ancora un’altra fantasticheria moderna: certa gente attribuisce una considerevoleimportanza al fatto che essa non sia mai stata completata; in effetti la sommità manca, ma tuttoquel che si può dire di sicuro in proposito è che gli autori più antichi di cui si abbia la testimonianza, iquali del resto sono ancora relativamente recenti, l’hanno sempre vista tronca come è oggi; di qui apretendere, come scrive testualmente un occultista, che «il simbolismo nascosto delle Scrittureebraiche e cristiane si riferisce direttamente ai fatti che ebbero luogo durante la costruzione dellaGrande Piramide», ci corre parecchio, ed è questa un’altra asserzione che ci sembra mancare un po’ troppo di verosimiglianza sotto tutti i rapporti! È curioso che l’emblema ufficiale degli Stati Unitiraffiguri la Piramide tronca con sopra un triangolo raggiante, il quale, pur essendo separato eaddirittura isolato da un cerchio di nubi, sembra in certo qual modo costituirne la sommità; però inquesto emblema, da cui certe organizzazioni «pseudo-iniziatiche» che in America pullulano cercanodi trar partito spiegandolo conformemente alle loro «dottrine», vi sono altri particolari perlomenostrani e che appunto sembrano indicare l’intervento di influenze sospette: così il numero dei gradinidella Piramide, che è di tredici (questo stesso numero ritorna del resto con una certa insistenza inaltre particolarità: è per esempio quello delle lettere che compongono il motto E pluribus unum),viene fatto corrispondere a quello delle tribù di Israele (contando separatamente le due mezze tribùdei figli di Giuseppe), cosa che non è certo senza rapporto con le reali origini delle «profezie dellaGrande Piramide», le quali, come abbiamo visto, hanno anche la tendenza a fare di questa, per finipiuttosto oscuri, una specie di monumento «giudaico-cristiano»].

Ma non è tutto: di tanto in tanto, richiamandosi alle «profezie della Grande Piramide» o a altrepredizioni qualsiasi, ed affidandosi a calcoli la cui fondatezza resta sempre assai mal definita, vieneenunciata la data precisa che deve segnare «l’entrata dell’umanità in una nuova èra», o anche«l’avvento di un rinnovamento spirituale» (vedremo più avanti come questo vada inteso in realtà);molte di queste date sono già passate, e non sembra che si sia prodotto niente di particolarmentesignificativo: ma allora, cosa può voler dire tutto ciò? Ecco infatti un, altra utilizzazione dellepredizioni (diversa, intendiamo dire, da quella per cui esse aumentano il disordine della nostra epocaseminando dappertutto il turbamento e lo scompiglio) e neanche forse la meno importante, inquanto consiste nel farne un mezzo di suggestione diretta, contribuendo effettivamente adeterminare la produzione di certi avvenimenti futuri; prendendo ad esempio un caso moltosemplice per facilitare la comprensione, forse che con l’annunciare insistentemente una rivoluzionein un certo paese e ad una certa epoca, non si contribuirà realmente a farla scoppiare al momento

voluto sotto l’egida di chi ne abbia l’interesse? Per taluni, attualmente, si tratta in fondo soltanto dicreare uno «stato d’animo» favorevole alla realizzazione di un «qualcosa» che rientra nei lorodisegni e che senza dubbio può trovarsi differito per l’intervento di influenze contrarie, ma che cosìsi spera di indurre a manifestarsi un po’ prima o un po’ dopo; ci rimane da esaminare piùesattamente a cosa tende questa impresa «pseudo-spirituale», e, senza voler per ciò essere mi-nimamente «pessimisti» (tanto più che, come abbiamo spiegato in diverse occasioni, «ottimismo» e«pessimismo» sono due atteggiamenti sentimentali opposti che devono restare ugualmente estraneial nostro punto di vista strettamente tradizionale), è doveroso affermare che si tratta di unaprospettiva assai poco rassicurante per un avvenire abbastanza prossimo.

38. Dall’antitradizione alla contro-tradizione

Le cose di cui abbiamo parlato per ultimo hanno tutte, per il fatto di appartenere essenzialmente almondo moderno, un carattere eminentemente antitradizionale; ma, per un certo verso, esse vannogià al di là dell’«antitradizione», intesa come una pura e semplice negazione, per tendere allacostituzione di quella che in termini appropriati potrebbe essere chiamata una «contro-tradizione».Si tratta di una distinzione simile a quella che abbiamo delineato in precedenza tra deviazione esovversione, e che corrisponde anch’essa a quelle stesse due fasi dell’azione antitradizionale vista

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nel suo insieme: l’«antitradizione» ha trovato la sua più completa espressione in quel materialismo,che si potrebbe definire «integrale», imperante alla fine del secolo scorso; quanto alla«contro-tradizione», non ne vediamo per ora se non i segni precursori rappresentati appunto datutte quelle cose che, in un modo o nell’altro, mirano a contraffare l’idea tradizionale in se stessa.Possiamo senz’altro aggiungere che, come la tendenza alla «solidificazione», espressadall’«antitradizione», non ha potuto raggiungere il suo limite estremo in quanto esso sarebbe statoal di fuori ed al di sotto di qualsiasi esistenza possibile, è facile prevedere che neppure la tendenzaverso la dissoluzione, espressa a sua volta dalla «contro-tradizione», lo potrà; le stesse condizionidella manifestazione, finché il ciclo non si sarà concluso, esigono evidentemente che le cose vadano

in questo modo; la vera e propria fine del ciclo implica infatti il «raddrizzamento» mediante il qualele tendenze «malefiche» saranno «trasmutate» in vista di un risultato definitivamente «benefico»come abbiamo spiegato in precedenza. Del resto, tutte le profezie (intendendo naturalmente questotermine nel suo vero significato) sono concordi nel ritenere che l’apparente trionfo della«contro-tradizione» sarà passeggero, e che proprio quando tale trionfo sembrerà più completo, essaverrà distrutta dall’azione delle influenze spirituali le quali interverranno in quel momento apreparare immediatamente il «raddrizzamento» finale [Appunto a ciò si riferisce in realtà la formula«È proprio quando tutto sembrerà perduto che tutto sarà salvato», ripetuta quasi macchinalmenteda tanti «veggenti», ciascuno dei quali l’ha naturalmente applicata a quel che ha potuto capire, egeneralmente ad avvenimenti di importanza molto ridotta, per non dire del tutto secondaria osemplicemente «locale», in virtù di quella tendenza a «rimpicciolire», da noi già segnalata aproposito delle storie relative al «Gran Monarca», e che finisce col fare di quest’ultimoesclusivamente un futuro re di Francia; è evidente che le vere profezie si riferiscono a cose di benaltra portata]; soltanto un intervento, diretto di questo tipo potrà metter fine, al momento voluto,alla più temibile ed alla più «satanica», nel vero senso della parola, di tutte le possibilità incluse nellamanifestazione ciclica; ma passiamo ad esaminare in modo un po’ più preciso, senza fare anti-cipazioni, che cosa rappresenti in realtà tale «contro-tradizione».A questo scopo dobbiamo fare ancora una volta riferimento alla funzione della «contro-iniziazione»:in effetti, è evidentemente quest’ultima che, dopo aver continuamente lavorato nell’ombra perispirare e dirigere in modo invisibile tutti i «movimenti» moderni, finirà con l’«esteriorizzare», se cosìci si può esprimere, qualcosa che sarà come la contropartita di una vera tradizione, tantocompletamente ed esattamente quanto lo consentono i limiti che necessariamente si impongono adogni possibile contraffazione. Allo stesso modo che l’iniziazione, come dicevamo, rappresentaeffettivamente lo spirito di una tradizione, così la «contro-iniziazione» svolgerà anch’essa unafunzione analoga nei confronti della «contro-tradizione»; e però, è sottinteso, sarebbe del tutto

improprio ed erroneo parlare a questo proposito di spirito, poiché qui siamo in presenza di cose dacui lo spirito è assente nel modo più totale, di cose che ne sarebbero addirittura l’opposto, se lospirito non fosse essenzialmente al di là di qualsiasi opposizione, e che purtuttavia hanno la pretesadi opporsi ad esso, imitandolo alla maniera di quell’ombra invertita di cui abbiamo parlato a piùriprese; quindi, per quanto lontano possa andare questa imitazione, la «contro-tradizione» non potràmai essere altro che una parodia, la più estrema e la più immensa di tutte, di cui finora, con tutte lefalsificazioni del mondo moderno, non abbiamo visto altro che «tentativi» parziali e ben pallide«prefigurazioni» in confronto a ciò che si prepara in un avvenire che taluni stimano prossimo, ciò acui la crescente rapidità degli avvenimenti attuali sembra dare abbastanza ragione. È comunqueovvio che da parte nostra non c’è l’intenzione di voler fissare qui date più o meno precise, allamaniera dei patiti di certe pretese «profezie»; anche se la cosa fosse resa possibile da unaconoscenza dell’esatta durata dei periodi ciclici (ma la principale difficoltà, in casi del genere, si trova

sempre nella determinazione dell’inizio reale che bisogna prendere per effettuare il calcolo), sarebbepur tuttavia conveniente osservare a questo proposito il più stretto riserbo, e ciò per ragioniprecisamente opposte a quelle che muovono i propagatori coscienti o incoscienti di predizionisnaturate, ovverossia per non rischiare di contribuire ulteriormente all’aumento dell’inquietudine edel disordine che già ora imperano nel nostro mondo.Comunque sia, se le cose possono giungere ad un punto simile, ciò dipende dal fatto che la«contro-iniziazione», è giusto sottolinearlo, non può essere assimilata ad un’invenzione puramenteumana, che per sua stessa natura non si distinguerebbe minimamente dalla «pseudo-iniziazione»pura e semplice; essa, per la verità, è molto più di questo, e, per esserlo effettivamente, bisognaper forza di cose che in un certo modo, e quanto alla sua stessa origine, derivi da quell’unica fonte acui si ricollega sia l’iniziazione, sia, più in generale, tutto ciò che manifesta nel nostro mondo unelemento «non-umano»; essa però ne deriva attraverso una degenerazione portata al grado

estremo, cioè sino a quel «rovesciamento» che costituisce il «satanismo» propriamente detto. Unadegenerazione del genere è evidentemente molto più profonda di quella di una tradizione semplice-mente deviata in una certa misura, oppure mutilata e ridotta alla sua parte inferiore; vi è quiqualcosa di più che nel caso delle tradizioni veramente morte e del tutto abbandonate dallo spirito, icui «residui», come abbiamo spiegato, la «contro-iniziazione» stessa può utilizzare per i suoi scopi.Tutto ciò induce logicamente a pensare che tale degenerazione debba risalire molto più indietro nel

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passato; e per quanto oscuro sia il problema della sua origine, si può ammettere come verosimileche essa si ricolleghi alla perversione di qualche antica civiltà, appartenente ad uno dei continentiscomparsi durante i cataclismi che si produssero nel corso dell’attuale Manvantara [Il capitolo VIdella Genesi potrebbe forse fornire, inteso in un senso simbolico, talune indicazioni riferentisi aqueste lontane origini della «contro-iniziazione»]. In ogni caso, è sufficiente accennare che quandolo spirito si è ritirato non si può più parlare di iniziazione; ed in effetti, i rappresentanti della «con-tro-iniziazione» sono così totalmente, e più irrimediabilmente di qualsiasi profano, ignorantidell’essenziale, cioè di ogni verità d’ordine spirituale e metafisico, che questa, anche nei suoi princìpipiù elementari, è loro diventata assolutamente estranea dopo che per loro «il cielo è stato chiuso»

[Qui si può applicare analogicamente il simbolismo della «caduta degli angeli», che è quello cheeffettivamente gli corrisponde nell’ordine umano; è del resto per questa ragione che si può parlare atal proposito di «satanismo» nel senso più preciso e letterale del termine]. Non potendo condurre gliesseri agli stati «sopraumani» come l’iniziazione, né d’altronde limitarsi al solo campo umano, la«contro-iniziazione» li conduce inevitabilmente verso l’«infraumano» che è il solo campo in cuirisiede il suo potere effettivo; è anche troppo facile capire che si tratta di cose ben diverse dallacommedia della «pseudo-iniziazione». Secondo l’esoterismo islamico, colui che si presenta ad unadeterminata «porta», senza esservi giunto attraverso una via normale e legittima, vede tale portachiudersi davanti a lui ed è obbligato a tornare indietro, ma non come se si trattasse di un sempliceprofano, cosa impossibile in quelle condizioni, bensì come saher (stregone o mago operante nelcampo delle possibilità sottili d’ordine inferiore) [L’ultimo gradino della gerarchia «contro-iniziatica»è occupato dai cosiddetti «santi di Satana» (awliya esh-Shaytan), i quali sono in qualche modol’inverso dei veri Santi (awliya er-Rahman), e manifestano perciò in questo modo la più completaespressione della «spiritualità alla rovescia» (cfr. Le Symbolisme de la Croix, cit., p. 186 e p. 171dell’edizione italiana)]; non possiamo esprimerci più nettamente sulla questione se non dicendo chesi tratta della via «infernale» nella sua pretesa di opporsi alla via «celeste», quando un’opposizionedel genere, a cui potrebbero effettivamente far pensare le apparenze esteriori, non può essere indefinitiva altro che illusoria; perciò, come abbiamo detto in precedenza a proposito della falsaspiritualità nel cui àmbito finiscono col perdersi quegli esseri che si sono impegnati in una specie di«realizzazione alla rovescia», una via simile non può in definitiva concludersi se non con la«disintegrazione» totale dell’essere cosciente, e con la sua dissoluzione senza ritorno [Quest’ultimaconclusione, beninteso, non costituisce di fatto se non un caso eccezionale, quello appunto degliawliya esh-Shaytan; per coloro che sono andati meno lontano in questo senso, si tratta solo d’unavia senza sbocco, in cui possono rimanere prigionieri per un’indefinità «eonica» o ciclica].Naturalmente, acciocché l’imitazione per riflesso inverso sia la più completa possibile, potranno

costituirsi dei centri a cui si ricollegheranno le organizzazioni facenti capo alla «contro-iniziazione», equesti centri, beninteso unicamente «psichici» come le influenze da essi utilizzate e trasmesse,assolutamente non spirituali come nel caso dell’iniziazione e della tradizione vera, potranno tuttavia,per le circostanze di cui abbiamo parlato, assumerne fino ad un certo punto le apparenze esteriori,dando l’illusione della «spiritualità alla rovescia». Nulla da stupirsi, inoltre, se questi centri stessi, enon soltanto certe organizzazioni ad essi subordinati più o meno direttamente, potranno trovarsi so-vente in lotta gli uni con gli altri, poiché il campo dove si situano, essendo il più vicino alladissoluzione «caotica», è proprio quello in cui tutte le opposizioni, non più armonizzate e conciliatedall’azione diretta di un principio superiore che qui necessariamente manca, hanno libero corso. Neconsegue, per quanto riguarda le manifestazioni o le emanazioni di questi centri, un’impressionefrequente di confusione e di incoerenza, impressione, tutt’altro che illusoria, e che giust’appunto èun «marchio» caratteristico di queste cose; si può dire che essi vadano d’accordo solo

negativamente per lottare contro i centri spirituali veri, nella misura in cui questi ultimi si trovino adun livello che consenta ad una lotta del genere di aver luogo, cioè soltanto al livello di un campo chenon superi i limiti del nostro stato individuale [Dal punto di vista iniziatico questo campo è quello cheva sotto il nome di «piccoli Misteri»; per contro, tutto ciò che si riferisce ai «grandi Misteri»,appartenendo essenzialmente all’ordine «sopraumano», è perciò stesso esente da questo tipo diopposizione, perché si tratta di un campo che per sua stessa natura è assolutamente inaccessibilealla «contro-iniziazione» ed ai suoi rappresentanti di qualsiasi grado]. Ma è a questo punto cheappare quella che veramente si potrebbe definire la «stoltezza del diavolo»: agendo così, irappresentanti della «contro-iniziazione» si illudono di opporsi allo spirito stesso, a cui in realtàniente può opporsi; e nel contempo, loro malgrado ed a loro insaputa, gli sono nondimenosubordinati senza remissione, così come tutto ciò che esiste, sia pure inconsciamente edinvolontariamente, è sottomesso alla volontà divina cui nulla può sottrarsi. In definitiva vengono

dunque anch’essi utilizzati, benché controvoglia o addirittura convinti del contrario, alla realizzazionedel «piano divino nell’àmbito umano» [Et-tadabirul-ilahiyah fi’l-mamlakatil-insaniyah, titolo di untrattato di Muhyiddin Ibn Arabi]; in questo, a somiglianza di tutti gli altri esseri, essi svolgono lafunzione che conviene alla loro natura propria, però, invece di essere effettivamente coscienti di talefunzione come lo sono i veri iniziati, essi sono coscienti solo del suo lato negativo ed invertito; cosìne sono essi stessi ingannati, e ben peggio di quel che può succedere ai profani, nella loro pura e

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semplice ignoranza, poiché, invece di restare in qualche modo allo stesso punto, essi vengonorespinti sempre più lontano dal centro principiale fino a precipitare nelle «tenebre esteriori». Etuttavia, se si considerano le cose non più relativamente a questi stessi esseri, ma in rapportoall’insieme del mondo, bisogna dire che essi, così come tutti gli altri, sono necessari nel posto cheoccupano in quanto elementi di questo insieme, e, per dirla in linguaggio teologico, come strumenti«provvidenziali» del cammino di questo mondo nel suo ciclo di manifestazione, poiché è così chetutti i disordini parziali, anche quando appaiono in qualche modo come il disordine per eccellenza,sono nondimeno necessari nel concorrere all’ordine totale.Queste poche considerazioni devono aiutare a capire come sia possibile il costituirsi d’una

«contro-tradizione», ma altresì per quale motivo essa non potrà esser altro che eminentemente in-stabile e pressoché effimera, pur essendo veramente in se stessa, come dicevamo, la più temibile ditutte le possibilità. Analogamente si deve comprendere che è questo lo scopo che la «contro-tradizione» si propone realmente, e che si è sempre proposto in tutto il seguito della sua azione,scopo di cui l’«antitradizione» negativa rappresentava esclusivamente l’obbligatoria preparazione;dopo di che ci rimane soltanto da esaminare un po’ più da vicino, giudicando secondo diversi indiziconcordanti, cos’è possibile prevedere sin d’ora quanto alle modalità secondo cui questa«contro-tradizione» potrà realizzarsi.

39. La grande parodia o la spiritualità alla rovescia

La costituzione della «contro-tradizione» ed il suo apparente momentaneo trionfo, come puòrendersi conto senza difficoltà chi ha seguìto sin qui le nostre considerazioni, saranno propriamenteil regno di quella che abbiamo chiamato «spiritualità alla rovescia»: si tratterà naturalmente solo diuna parodia della spiritualità, o meglio di una sua imitazione in senso inverso, di modo che avràtutta l’apparenza d’essere l’opposto di tale spiritualità. Se abbiamo parlato di apparenza e non direaltà, è perché, quali che siano le sue pretese, nessuna simmetria od equivalenza è possibile in uncampo del genere. Su questo punto è doveroso insistere perché molti, lasciandosi ingannare dalleapparenze, credono nell’esistenza di due princìpi opposti che si contendono la supremazia delmondo: è una concezione erronea, analoga in fondo a quella comunemente attribuita a torto o aragione ai Manichei, e che, in linguaggio teologico, mette Satana allo stesso livello di Dio; vi è senzadubbio attualmente una quantità di gente la quale, in questo senso, è «manichea» senzasospettarlo, subisce cioè gli effetti di una «suggestione» delle più perniciose. Questa concezione,infatti, equivale all’affermazione di una dualità principiale radicalmente irriducibile, o, in altri termini,alla negazione dell’Unità suprema che è al di là di tutte le opposizioni e di tutti gli antagonismi; che

una negazione del genere sia appannaggio degli aderenti alla «contro-iniziazione» non c’è da stupirsied essa può perfino essere sincera, per gente a cui il campo metafisico sia ermeticamente chiuso;ancor più evidente è la necessità che essi hanno di diffondere e di imporre questa concezione,poiché è soltanto così che possono riuscire a farsi passare per ciò che non sono e non possonoessere realmente, e cioè per i rappresentanti di qualcosa che potrebbe esser messo in parallelo conla spiritualità ed anche finalmente avere la meglio su di essa.Questa «spiritualità alla rovescia», per la verità, è dunque solo una falsa spiritualità, falsaall’estremo limite del concepibile; ma si può parlare anche di falsa spiritualità tutte le volte che, peresempio, lo psichico viene scambiato per lo spirituale, anche senza andare necessariamente fino aquesta sovversione totale; perciò l’espressione «spiritualità alla rovescia» è quella che meglio servea definirla, a condizione naturalmente di spiegare con precisione in che modo va intesa. Ecco cos’èin realtà il «rinnovamento spirituale» di cui taluni, talvolta molto inconsapevolmente, annunciano

con insistenza il prossimo avvento, o anche la «nuova èra» in cui si tenta con tutti i mezzi diintrodurre l’umanità attuale [È incredibile fino a che punto l’espressione «nuova èra» sia stata inquesti ultimi tempi diffusa e ripetuta in tutti gli ambienti, anche con significati apparentementemolto diversi tra loro, ma tutti tendenti, in definitiva, a stabilire la stessa persuasione nell’opinionepubblica], e che la condizione d’«attesa» generale, creata mediante la diffusione delle predizioni dicui abbiamo parlato, può contribuire effettivamente ad affrettare. L’attrazione per il «fenomeno», giàda noi segnalata come uno dei fattori determinanti la confusione tra psichico e spirituale, puòugualmente svolgere a questo proposito una funzione molto importante, poiché è per tramite suoche la maggior parte degli uomini verranno conquistati e ingannati al tempo della«contro-tradizione», in quanto è detto che i «falsi profeti» che sorgeranno allora «faranno grandiprodigi e cose stupefacenti fino a sedurre, se fosse possibile, gli stessi eletti» [Matteo, xxiv, 24]. Èsoprattutto sotto questo rapporto che le manifestazioni della «metapsichica» e delle diverse forme

del «neospiritualismo» possono apparire già come una specie di «prefigurazione» di quanto dovràverificarsi in seguito, benché ne diano solo una pallida idea; in fondo saranno sempre in gioco lestesse forze sottili inferiori, ma che a quel momento verranno messe in azione con una potenzaincomparabilmente maggiore; e quando si vede come la gente sia sempre disposta ad accordare adocchi chiusi la più completa fiducia a tutte le divagazioni di un semplice «medium», soltanto perchéconvalidate da «fenomeni», come stupirsi se la seduzione dovrà essere pressoché generale? È per

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questa ragione che non si ripeterà mai abbastanza come i «fenomeni», in se stessi, non provinoassolutamente niente quanto alla verità di una dottrina o d’un qualsiasi insegnamento, e come siaproprio questo il campo per eccellenza della «grande illusione», ove tutto ciò che appare a certagente come segno di «spiritualità» può sempre essere simulato e contraffatto dal gioco delle forzeinferiori in questione; questo è anche forse il solo caso in cui l’imitazione possa essere veramenteperfetta, perché sono esattamente gli stessi «fenomeni», intesi nel loro significato specifico diapparenze esteriori, che si producono in entrambi i casi: la differenza risiede esclusivamente nellanatura delle cause che rispettivamente intervengono in essi; e poiché la gran maggioranza degliuomini è necessariamente incapace di determinare queste cause, la miglior cosa da farsi è in

definitiva di non attribuire la benché minima importanza a tutto ciò che è «fenomeno», anzi divedervi piuttosto a priori un segno sfavorevole; ma come farlo capire alla mentalità «sperimentale»dei nostri contemporanei, mentalità la quale, dopo esser stata manipolata dal punto di vista«scientistico» dell’«antitradizione», diventa finalmente uno dei fattori che possono contribuire nelmodo più efficace al successo della «contro-tradizione»?Il «neospiritualismo», e la «pseudo-iniziazione» che ne deriva sono come una parziale«prefigurazione» della «contro-tradizione» anche da un altro punto di vista: intendiamo riferirci allagià segnalata utilizzazione di elementi autenticamente tradizionali in origine, ma deviati dal loro verosignificato e posti in certo qual modo al servizio dell’errore: questa deviazione è in definitival’incamminarsi verso il capovolgimento completo che dovrà caratterizzare la «contro-tradizione» (edi cui del resto abbiamo visto un esempio significativo nel rovesciamento intenzionale dei simboli),anche se nella contro-tradizione non sarà soltanto questione di elementi frammentari e dispersi;nell’intenzione dei suoi autori infatti, essa dovrà dare l’illusione di qualcosa di simile o addirittura diequivalente a ciò che costituisce l’integralità di una tradizione vera, con tutte le applicazioni che lesono proprie nei vari campi. È da notare, a questo proposito, come la «contro-iniziazione», purinventando e diffondendo per i suoi fini tutte le idee moderne caratteristiche dell’«antitradizione»negativa, sia perfettamente cosciente della falsità di tali idee, e sappia evidentemente anche troppobene a cosa attenersi; ma ciò sta appunto ad indicare come, nella sua intenzione, questa siasoltanto una fase transitoria e preliminare, in quanto una simile organizzazione di menzognacosciente non può come tale essere il vero ed unico scopo che essa si propone; tutto ciò è destinatosolo a preparare la successiva venuta di qualcos’altro, che a sua volta dovrà apparire come unrisultato più «positivo», e che sarà precisamente la «contro-tradizione». È per questa ragione che, inparticolare nelle diverse produzioni di cui è indubbia l’origine o l’ispirazione «contro-iniziatica», sivede già delinearsi l’idea di un’organizzazione che sarebbe come la contropartita, e appunto perciò lacontraffazione, d’una concezione tradizionale come quella del «Sacro Impero», organizzazione che

dovrà essere l’espressione della «contro-tradizione» nell’ordine sociale; ed è anche per questaragione che l’Anticristo, secondo la terminologia della tradizione indù, potrà esser denominatoChakravarti alla rovescia [Sul Chakravarti, o «monarca universale», vedere L’Esotérisme de Dante,cit., p. 76 e Le Roi du Monde, cit., pp. 17-18 (pp. 22-23 dell’ed. it.). Il Chakravarti è letteralmente«colui che fa girare la ruota», il che implica che sia posto al centro stesso di tutte le cose, mentre alcontrario l’Anticristo sarà l’essere più lontano da tale centro; egli pretenderà tuttavia di «far girare laruota» in senso inverso al movimento ciclico normale (cosa «prefigurata», del resto inconsciamente,dall’idea moderna del «progresso»), quando invece, in realtà, qualsiasi cambiamento nella rotazioneè impossibile prima del «rovesciamento dei poli», cioè prima di quel «raddrizzamento» che solol’intervento del decimo Avatara potrà operare; ma giust’appunto, se l’Anticristo viene designato così,è proprio perché, a modo suo, egli parodierà la funzione stessa di quell’Avatara finale, il quale nellatradizione cristiana viene rappresentato come il «secondo avvento del Cristo»].

Il regno della «contro-tradizione», in effetti, è, molto esattamente, ciò che è designato come il«regno dell’Anticristo»: questi, qualunque idea si possa averne, è comunque colui che concentrerà esintetizzerà in se stesso, in vista di tale opera finale, tutte le potenze della «contro-iniziazione», siache lo si concepisca come un individuo, sia come una collettività; in un certo senso potrebbe esseread un tempo l’uno e l’altra, in quanto dovrà esistere una collettività che rappresentil’«esteriorizzazione» della organizzazione «contro-iniziatica» vera e propria venuta finalmente allaluce del giorno, e dovrà esistere altresì un personaggio, posto a capo di quella collettività, che sial’espressione più completa e come l’«incarnazione» stessa di quel che essa rappresenterà, nonfoss’altro che a titolo di «supporto» di tutte quelle influenze malefiche le quali, dopo essersiconcentrate in lui, dovranno da lui essere proiettate nel mondo [Lo si può dunque considerare comeil capo degli awliya esh-Shaytan, e, poiché sarà l’ultimo a svolgere tale funzione, funzione che avràin lui la sua più importante e manifesta espressione nel mondo, si può dire, secondo la terminologia

dell’esoterismo islamico, che egli sarà come il loro «suggello» (khatem); non è difficile immaginarsifino a che punto potrà effettivamente spingersi la parodia della tradizione in tutti i suoi aspetti].Evidentemente sarà un «impostore» (significato del termine daggial con cui viene abitualmentedenominato in arabo), poiché il suo regno non sarà nient’altro che la «grande parodia» pereccellenza, l’imitazione caricaturale e «satanica» di tutto ciò che è veramente tradizionale espirituale; e tuttavia la sua costituzione sarà tale, se così si può dire, da essergli veramente

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impossibile non svolgere tale funzione. Certamente non sarà più il «regno della quantità» che erasoltanto il culmine della «antitradizione»; al contrario, col pretesto di una falsa «restaurazionespirituale», sarà una specie di reintroduzione della qualità in tutte le cose, ma di una qualità presa alrovescio del suo valore legittimo e normale [La stessa moneta, o ciò che ne farà le veci, avrà dinuovo un carattere qualitativo di questo tipo, in quanto è detto che «nessuno potrà comprare ovendere se non avrà il carattere o il nome della Bestia, o il numero del suo nome» (Apocalisse, XIII,17); è perciò implicito un uso effettivo dei simboli invertiti della «contro-tradizione»]. Dopo l’«u-gualitarismo» dei nostri giorni ci sarà di nuovo una gerarchia visibilmente affermata, ma unagerarchia invertita, ossia una «contro-gerarchia», il cui vertice sarà occupato dall’essere che, in

realtà, sarà più vicino di chiunque altro a toccare il fondo degli «abissi infernali».Quest’essere, anche se apparirà sotto forma di un personaggio determinato, sarà in realtà più unsimbolo che un individuo, sarà cioè come la sintesi stessa di tutto il simbolismo invertito in usopresso la «contro-iniziazione», simbolismo che troverà in lui la sua massima espressione proprioperché in questa funzione non avrà né predecessori né successori; per poter esprimere il falso ad unlivello così estremo, egli dovrà essere, per così dire, completamente «falsato» da tutti i punti divista, cioè come l’incarnazione stessa della falsità [Vedasi anche qui l’antitesi del Cristo che afferma:«Io sono la Verità», o di un wali come El-Hallaj che dice del pari: «Ana el-Haqq»]. Proprio per ciò,nonché per la suddetta estrema opposizione al vero in tutti i suoi aspetti, l’Anticristo può assumere isimboli stessi del Messia, beninteso in senso radicalmente opposto [«Forse non si è fatto abbastanzacaso all’analogia tra la vera e la falsa dottrina; sant’Ippolito, nel suo opuscolo sull’Anticristo, ne dàun esempio memorabile, benché non stupefacente per chi abbia studiato il simbolismo: il Messia el’Anticristo hanno entrambi il leone per emblema» (P. Vulliaud, La Kabbale juive, tomo II, p. 373).Dal punto di vista cabbalistico, la ragione profonda di ciò risiede nelle considerazioni inerenti alle duefacce, luminosa e oscura, di Metatron; è per la stessa ragione che il numero apocalittico 666, il«numero della Bestia», è anche un numero solare (cfr. Le Roi du Monde, cit., pp. 29-30, pp. 35-36dell’edizione italiana)]; la predominanza attribuita in tali simboli all’aspetto «malefico», o, piùesattamente, la sostituzione di esso a quello «benefico», per sovversione del doppio significato di talisimboli, costituisce appunto il suo marchio caratteristico. Parimenti potrà e dovrà esserci una stranarassomiglianza tra le designazioni del Messia (Al-Masih in arabo) e quelle dell’Anticristo (Al-Masikh)[Vi è qui un doppio senso intraducibile: Masikh può essere preso come una deformazione di Masihper semplice aggiunta di un punto alla lettera finale; ma in pari tempo questo stesso termine vuolanche dire «difforme», cosa che esprime appunto il carattere dell’Anticristo]; ma queste ultime altronon sono se non una deformazione delle prime, così come difforme viene rappresentato lo stessoAnticristo in tutte le descrizioni più o meno simboliche che se ne danno, cosa anche questa assai

significativa. Tali descrizioni, in effetti, insistono soprattutto sulle dissimmetrie corporee, il cheimplica che esse siano il marchio visibile della natura stessa dell’essere cui vengono attribuite, edeffettivamente simili dissimmetrie sono sempre segni di qualche squilibrio interiore; è del resto perquesta ragione che tali deformità rappresentano delle «squalificazioni» dal punto di vista iniziatico,così come è facilmente immaginabile che possano essere «qualificazioni» in senso contrario, cioè neiconfronti della «contro-iniziazione». In effetti, dal momento che quest’ultima ha una meta opposta aquella dell’iniziazione, è evidente che il suo cammino procede nel senso di un accrescimento dellosquilibrio degli esseri, e il termine ultimo di tale squilibrio è la dissoluzione o la «disintegrazione» dicui abbiamo parlato; l’Anticristo deve evidentemente essere il più vicino possibile a questa«disintegrazione», sicché la sua individualità, mentre da un lato sarà sviluppata in modo mostruoso,si può dire però già quasi annichilita, tanto da realizzare l’inverso della cancellazione dell’«io» difronte al «Sé», o, in altri termini, da realizzare la confusione nel «caos» invece della fusione

nell’Unità principiale; e questo stato, raffigurato dalle stesse difformità e sproporzioni della suaforma corporea, è veramente al limite inferiore delle possibilità del nostro stato individuale, per cui ilvertice della «contro-gerarchia» è proprio il posto che gli conviene in quel «mondo rovesciato» chesarà il suo. Del resto, anche dal punto di vista prettamente simbolico, e in quanto rappresentantedella «contro-iniziazione», l’Anticristo non è meno necessariamente difforme: questa in effetti, comedicevamo poco fa, non può essere che una caricatura della tradizione, e chi dice caricatura è comedicesse difformità; se così non fosse non ci sarebbe proprio nessun mezzo esteriore per distinguerela «contro-tradizione» dalla tradizione vera, e bisogna pure, affinché almeno gli «eletti» non sianosedotti, che essa porti in se stessa il «marchio del demonio». Per di più, dato che il falso è neces-sariamente anche «artificiale», la «controtradizione» non potrà mancare, nonostante tutto, di averequel carattere «meccanico» che è presente in tutte le produzioni del mondo moderno: essa ne saràanzi l’ultimo prodotto; ancor più esattamente, vi sarà in essa qualcosa di paragonabile

all’automatismo di quei «cadaveri psichici» cui abbiamo accennato in precedenza, e del resto, comequesti, essa sarà costituita soltanto di «residui» animati artificialmente e momentaneamente, il chespiega la sua assoluta precarietà; quest’ammasso di «residui», per così dire galvanizzato da unavolontà «infernale», può certamente dare l’idea più esatta di qualcosa che sia arrivato ai confinistessi della dissoluzione.

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Riteniamo che non sia il caso di insistere oltre su tutte queste cose; in fondo sarebbe di scarsa utilitàla ricerca particolareggiata di come sarà costituita la «contro-tradizione», e del resto le precedentiindicazioni di carattere generale sarebbero già quasi sufficienti a chi volesse, per conto proprio,applicarle a punti più specifici, cosa che non rientra nei nostri propositi. Comunque sia, siamo giunticon ciò al termine ultimo dell’azione antitradizionale che deve condurre questo mondo alla sua fine;dopo il regno passeggero della «contro-tradizione» non può più esserci, per arrivare all’ultimomomento del ciclo attuale, che il «raddrizzamento», il quale, riportando istantaneamente tutte lecose al loro posto normale proprio quando la sovversione sembrava completa, prepareràimmediatamente l’«età dell’oro» del futuro ciclo.

40. La fine di un mondo

Gli argomenti che abbiamo trattato nel corso di questo studio descrivono in generale quelli che,secondo l’espressione evangelica, si possono chiamare i «segni dei tempi», cioè in definitiva i segniprecursori della «fine di un mondo» o di un ciclo; questa appare come la «fine del mondo», senzarestrizioni né specificazioni di sorta, solo per coloro che non vedono niente oltre i limiti di questociclo stesso, errore di prospettiva certo pienamente scusabile, ma che nondimeno conduce aconseguenze spiacevoli per gli eccessivi ed ingiustificabili terrori che ingenera in chi non siasufficientemente distaccato dall’esistenza terrestre; ed è sottinteso che sono proprio costoro, acausa della ristrettezza delle loro vedute, che troppo facilmente si lasciano convincere da questaconcezione erronea. Per la verità, data l’esistenza di cicli di durata assai diversa contenuti in certoqual modo gli uni negli altri, è un fatto che possono esserci diverse «fini del mondo», e che la stessanozione può sempre essere analogicamente applicata a tutti i gradi ed a tutti i livelli, ma è evidenteche la loro importanza è molto ineguale, come i cicli stessi cui esse si riferiscono; e a questoproposito è doveroso riconoscere che quella da noi presa in esame qui è incontestabilmente dimaggior portata di molte altre, poiché rappresenta la fine di un intero Manvantara, cioèdell’esistenza temporale di quella che si può propriamente chiamare un’umanità: ciò non significache si tratti della fine dello stesso mondo terrestre, poiché, in virtù del «raddrizzamento» cheinterviene all’ultimo istante, questa fine diverrà immediatamente l’inizio di un altro Manvantara.Vi è un altro punto, a questo proposito, su cui è per noi doveroso fornire spiegazioni più precise: ifautori del «progresso» hanno l’abitudine di dire che l’«età dell’oro» non è nel passato, manell’avvenire; la verità invece, per quel che riguarda il nostro Manvantara, è che essa si trova inrealtà proprio nel passato, poiché non è nient’altro che lo «stato primordiale» stesso. In un certosenso, tuttavia, essa è contemporaneamente nel passato e nell’avvenire, ma a condizione di non

limitarsi al presente Manvantara, bensì di considerare la successione dei cicli terrestri; sarà l’«etàdell’oro» di un altro Manvantara quella che si troverà allora nell’avvenire; essa è dunque separatadall’epoca nostra da una «barriera» veramente invalicabile per i profani che parlano a questo modoe che non sanno quel che si dicono quando annunciano la prossima venuta di una «nuova èra»riferendola all’umanità attuale. Il loro errore, condotto all’estremo limite, sarà lo stessodell’Anticristo quando pretenderà d’instaurare l’«età dell’oro» mediante il regno della«contro-tradizione» e ne fornirà addirittura l’apparenza, nel modo più ingannevole ed effimero, conla contraffazione dell’idea tradizionale del Sanctum Regnum. Da quanto precede non è difficile capirecome in tutte le «pseudo-tradizioni», le quali sono soltanto «prefigurazioni» piuttosto parziali eincerte della «contro-tradizione» anche se inconsciamente tendono a prepararla più direttamente diqualsiasi altra cosa, le concezioni «evoluzionistiche» svolgano costantemente quella funzionepreponderante già da noi segnalata. È fuori di dubbio che la «barriera» di cui parlavamo poco fa, e a

causa della quale tutti coloro per cui esiste sono in qualche modo costretti a racchiudere tuttoall’interno del ciclo attuale, è un ostacolo ancor più assoluto per i rappresentanti della «contro--iniziazione» che non per i semplici profani; sono infatti proprio essi, nel loro orientamento univocoverso la dissoluzione, quelli per cui niente può esistere al di là di questo cielo, ed è quindisoprattutto per loro che la sua fine dev’essere realmente la «fine del mondo» nel significato piùintegrale che questa espressione può avere.Quanto sopra è connesso ad un’altra questione di cui diremo qualche parola, anche se, per la verità,in talune delle precedenti considerazioni è già implicita la risposta: in quale misura coloro cherappresentano più completamente la «contro-iniziazione» sono effettivamente coscienti dellafunzione svolta, e in quale misura, al contrario, essi non sono che strumenti di una volontà che lisupera, e che di conseguenza ignorano, pur essendo ad essa inevitabilmente subordinati? Secondole nostre precedenti considerazioni, il limite fra i due punti di vista secondo cui può essere

considerata la loro azione è per forza di cose determinato dal limite stesso del mondo spirituale nelquale essi non possono penetrare in alcun modo; le loro conoscenze, riferite alle possibilità del«mondo intermedio», potranno essere estese fin che si vuole, ma saranno tuttavia sempre falsatedall’assenza dello spirito, il quale solo potrebbe dare ad esse il loro vero significato. Individui delgenere non possono evidentemente essere meccanicisti o materialisti, e nemmeno «progressisti» o«evoluzionisti» nel significato volgare di questi termini, e, quando diffondono nel mondo idee di

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questo tipo, lo ingannano scientemente; ma ciò non riguarda in definitiva che l’«antitradizione»negativa, la quale è per loro soltanto un mezzo e non un fine, cosicché essi, come tanti altri,potrebbero giustificare un tale inganno dicendo che «il fine giustifica i mezzi». Il loro è un erroremolto più profondo di quello degli uomini da essi influenzati e «suggestionati» con simili idee, perchéè una conseguenza della loro ignoranza totale ed invincibile della vera natura della spiritualità nelsuo insieme; per questa ragione è molto più difficile dire esattamente fino a che punto possanoesser coscienti della falsità della «contro-tradizione» che cercano di instaurare, poiché essi possonoritenere realmente di opporsi in questo modo allo spirito, quale si manifesta in ogni tradizionenormale e regolare, credendosi allo stesso livello di coloro che lo rappresentano nel mondo; da

questo punto di vista l’Anticristo sarà certamente il più «illuso» di tutti gli esseri. Tale illusione ha lasua radice nell’errore «dualistico» di cui abbiamo parlato; ed il dualismo, nelle sue varie forme, ècaratteristico di tutti coloro il cui orizzonte si arresta a certi limiti, fossero pure quelli dell’interomondo manifestato, e che di conseguenza, non potendo risolvere quella dualità, che constatano intutte le cose all’interno di questi limiti, col riportarla ad un principio superiore, la ritengonoveramente irriducibile e sono perciò condotti alla negazione dell’Unità suprema che per essi è comese non esistesse. Per questa ragione abbiamo potuto affermare che i rappresentanti della«contro-iniziazione» sono in definitiva tratti in inganno dalla loro stessa funzione, e che la loroillusione è proprio la peggiore di tutte essendo la sola per cui un essere possa, non tanto smarrirsipiù o meno gravemente, bensì realmente perdersi senza ritorno; ma evidentemente, se non aves-sero tale illusione, essi non potrebbero svolgere una funzione la quale, affinché si compia il pianodivino in questo mondo, deve necessariamente svolgersi come qualsiasi altra.Siamo così ricondotti a considerare il duplice aspetto «benefico» e «malefico» sotto cui si presenta ilcammino stesso del mondo in quanto manifestazione ciclica, e che è veramente la «chiave» di ognispiegazione tradizionale delle condizioni in cui questa manifestazione si sviluppa, specie se la siconsidera, come abbiamo fatto qui, nel periodo che porta direttamente alla sua fine. Da un lato, sequesta manifestazione viene presa semplicemente in se stessa senza riportarla ad un insieme piùvasto, tutto il suo cammino, dall’inizio alla fine, è evidentemente una «discesa» o una«degradazione» progressiva, ed ecco quello che può essere chiamato il suo aspetto «malefico»; mada un altro lato, questa stessa manifestazione, vista nell’insieme di cui fa parte, produce risultati chehanno un valore realmente «positivo» nell’esistenza universale, ed occorre che il suo sviluppoprosegua fino alla fine, ivi compreso lo sviluppo delle possibilità inferiori dell’«età oscura», affinchél’«integrazione» di questi risultati sia possibile e diventi il principio immediato di un altro ciclo dimanifestazione: ed è questo che costituisce il suo significato «benefico». Ciò è vero anche per la finestessa del ciclo: dal punto di vista particolare di quel che dovrà essere distrutto, essendo la sua

manifestazione compiuta e come esaurita, tale fine è naturalmente «catastrofica» nel significatoetimologico in cui questo termine evoca l’idea di una «caduta» improvvisa ed irrimediabile; mad’altra parte, dal punto di vista secondo cui la manifestazione, nello sparire come tale, si trovaricondotta al suo principio per tutto ciò che essa ha di esistenza positiva, questa stessa fine appare,al contrario, come il «raddrizzamento» in virtù del quale, come abbiamo detto, non menoistantaneamente tutte le cose vengono ristabilite nel loro «stato primordiale». Tutto ciò trova delresto un’applicazione analogica a tutti i livelli, si tratti di un essere o di un mondo: in definitiva èsempre il punto di vista parziale che è «malefico», mentre il punto di vista complessivo, orelativamente tale in rapporto al primo, è «benefico» poiché tutti i possibili disordini non sono tali senon in quanto li si consideri in se stessi e «separativamente», e questi disordini parziali si cancellanointeramente nell’ordine totale in cui finalmente rientrano, e di cui, spogliati del loro aspetto«negativo», essi sono elementi costitutivi allo stesso titolo di qualsiasi altra cosa: in definitiva non

c’è di «malefico» se non la limitazione che necessariamente condiziona ogni esistenza contingente,limitazione che, in realtà, non ha in se stessa che un’esistenza puramente negativa. In un primomomento abbiamo parlato come se i due punti di vista «benefico» e «malefico» fossero in qualchemodo simmetrici; ma è evidente che ciò non sussiste e che il secondo esprime esclusivamentequalcosa di instabile e di transitorio, mentre ciò che rappresenta il primo ha solo un caratterepermanente e definitivo, di modo che l’aspetto «benefico» non può non prevalere alla fine, mentrel’aspetto «malefico» sparisce completamente non essendo altro che un’illusione inerente alla«separatività». Soltanto che, a questo punto, non si può più parlare propriamente di «benefico» e di«malefico» come di due termini essenzialmente correlativi che caratterizzano un’opposizione che nonesiste più: come tutte le opposizioni essa appartiene esclusivamente ad un certo campo relativo elimitato, una volta superato il quale resta soltanto ciò che è e che non può non essere né esserediverso da ciò che è; se si vuole andare fino alla realtà dell’ordine più profondo, si può affermare in

tutto rigore che la «fine di un mondo» non è mai e non potrà mai essere altro che la fine diun’illusione.

Opere di René Guenon

8/6/2019 Guenon Il Regno Della Quantita e Il Segno Dei Tempi

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Introduction générale à l’étude des doctrines hindoues, Paris, 1921 [trad. it.: Introduzione generaleallo studio delle dottrine indù, Torino, 1965].Le Théosophisme, histoire d’une pseudo-religion, Paris, 1921.L’Erreur spirite, Paris, 1923 [trad. it.: Errore dello spiritismo, Milano, 1974].Orient et Occident, Paris, 1924 [trad. it.: Oriente e Occidente, Torino, 1965].L’Homme et son devenir selon le Vedanta, Paris, 1925 [trad. it.: L’uomo e il suo divenire secondo ilVedanta, Torino, 1965].L’Ésotérisme de Dante, Paris, 1925.Le Roi du Monde, Paris, 1927 [trad. it.: Il Re del Mondo, Milano, 1978].

La crise du monde moderne, Paris, 1927.Autorité spirituelle et pouvoir temporel, Paris, 1929 [trad. it.: Autorità spirituale e potere temporale,Milano, 1972].Saint-Bernard, Marseille, 1929.Le Symbolisme de la Croix, Paris, 1931 [trad. it.: Il simbolismo della croce, Torino, 1964; Milano,1973].Les États multiples de l’Être, Paris, 1931 [trad. it.: Gli stati molteplici dell’Essere, Torino, 1965].La Métaphysique orientale, Paris, 1939.Le Règne de la Quantité et les Signes des Temps, Paris, 1945 [trad. it.: Il Regno della Quantità e iSegni dei Tempi, Milano, 1982].Les principes du calcul infinitésimal, Paris, 1946.La Grande Triade, Paris, 1946 [trad. it.: La Grande Triade, Milano, 1980].Aperçus sur l’initiation, Paris, 1946.Initiation et Réalisation spirituelle, Paris, 1952 [trad. it.: Iniziazione e realizzazione spirituale, Torino,1967].Aperçus sur l’Ésotérisme chrétien, Paris, 1954.Symboles fondamentaux de la Science sacrée, Paris, 1962 [trad. it.: Simboli della Scienza sacra,Milano, 1978].Études sur la Franc-Maçonnerie et le Compagnonnage, 2 voll., Paris, 1964.Études sur l’Hindouisme, Paris, 1966.Formes traditionnelles et Cycles cosmiques, Paris, 1970.Comptes Rendus, Paris, 1973.Aperçus sur l’ésotérisme islamique et le Taoïsme, Paris, 1973.Mélanges, Paris, 1976.

Risvolti di Copertina

A distanza di quasi vent’anni dalla Crisi del mondo moderno, e nell’anno stesso in cui si chiudeva laseconda guerra mondiale, René Guénon spediva a Parigi, dal suo ritiro in Egitto, il testo del Regnodella Quantità (1945). Con quest’opera egli dava una formulazione definitiva alla sua critica delmondo moderno, svelandone questa volta tutto il ricco fondo «dottrinale». Mentre i critici della cul-tura, anche i più radicali, che si sono susseguiti sulla scena europea a partire dalla prima rivoluzioneindustriale, hanno sempre mantenuto numerosi legami, - volendo o non volendo - con l’oggetto cheattaccavano, Guénon è l’unico ad avere, rescisso dall’inizio tutti quei legami e ad aver descritto ilmondo occidentale come contemplando, da una remota distanza, la terra dove «il frutto maturocade ai piedi dell’albero». Con la sua, prosa limpida, netta, da geometra cosmico, Guénon risale quile categorie teoriche e storiche da cui discende la civiltà moderna: quantità e qualità, nomadismo e

sedentarismo, tempo lineare e tempo ciclico, sfera e cubo, unità e semplicità, misura emanifestazione. Dopo aver commentato e illuminato i «simboli fondamentali» in tanti suoi scritti,Guénon ci mostra qui gli stessi simboli nelle loro metamorfosi storiche, via via che, nello scorrere deicicli, muta la visione di essi. Ci appare così una linea di sviluppo del mondo moderno tracciata suipresupposti di un sapere primordiale e «principiale», che tale mondo è nato appunto per rifiutare,con le conseguenze che Guénon qui descrive con inarrivata lucidità. Non si tratta, comunque, perGuénon, di criticare il «progresso» o l’«ugualitarismo» o il «razionalismo» o qualsiasi altra dellemanifestazioni peculiarmente moderne - impresa che per altro egli compie, a titolo di esemplifica-zione, giungendo a risultati devastanti. Ben più urgente è per lui leggere ogni volta in quellemanifestazioni altrettanti «segni dei tempi», altrettanti sintomi di un processo immenso, le cuiarticolazioni sono tanto più segrete in quanto quel processo stesso nel suo insieme è mosso appuntodall’«odio per il segreto». L’analisi di Guénon, come si distanziava da ogni altra nei presupposti,

finisce così per essere altrettanto solitaria nelle conclusioni - e nulla ha da spartire con le tantedeprecazioni «spiritualistiche» dell’empio mondo moderno. Per una cultura come quella di oggi, chericorre brancolando a tanti argomenti usati da Guénon senza conoscerne l’origine, questo libro èl’occasione per confrontarsi finalmente con una figura e con un pensiero che, sia per chi lo segue siaper chi lo avversa, rimangono essenziali.

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Di René Guénon Adelphi ha pubblicato: Simboli della Scienza sacra (1978); Il Re del Mondo (1978);La Grande Triade (1980). Nato a Blois nel 1886, René Guénon visse nella sua giovinezza a Parigi.Nel 1921 pubblicò il suo primo libro, la Introduction générale à l’étude des doctrines hindoues. Nel1935 lasciò definitivamente Parigi per ritirarsi al Cairo, dove sarebbe morto nel 1951.