Guarire dalla depressione postpartum · e a una felice sintesi fra inquadramento teorico ed esempi...

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GUARIRE DALLA Karen Kleiman INDICAZIONI CLINICHE E PSICOTERAPIA COLLANA PSICOLOGIA DELLA MATERNITÀ Diretta da Pietro Grussu e Rosa Maria Quatraro GUARIRE DALLA DEPRESSIONE POSTPARTUM Edizione italiana a cura di Rosa Maria Quatraro e Pietro Grussu Prefazione di Lisa S. Segre Postfazione di Fiorella Monti

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Il volume si pone come manuale completo ed esauriente sul trattamento della depressione postpartum. Frutto di una pluriennale esperienza clinica, questa opera trova una propria forma attraverso un approccio trasversale, attingendo da differenti orientamenti terapeutici. Grazie a uno stile chiaro, accessibile e a una felice sintesi fra inquadramento teorico ed esempi pratici, si presta ad essere un riferimento non solo per i clinici, ma anche per le stesse donne sofferenti di depressione postpartum.

L’approccio diretto al problema, la capacità di rivolgersi alle diverse � gure, professionali e non, e soprattutto la comprensione del punto di vista e delle

emozioni, fondamentali, della donna rende questo volume adatto ad essere usato sia come referenza informativa, sia come pratico manuale sul che fare.

Mauro Mauri,PND (Perinatal Depression) Rescue Unit, Università di Pisa

Questo bel libro ci indica come farsi portavoce del dolore, spesso muto, della depressione perinatale, cercando tutte le risorse possibili e tutti gli interventi utili

per aiutare la coppia madre-bambino a ri-nascere.

Fiorella Monti,Dipartimento di Psicologia, Università di Bologna

La depressione postpartum riguarda molte donne: questo libro, basato su solide competenze ed esperienze psicoterapeutiche, e caratterizzato da profonda

empatia, è uno strumento prezioso per coloro che vogliono aiutarle.

Patrizia Romito,Dipartimento di Scienze della Vita, Università di Trieste

€ 30,00

GUARIRE DALLA

Karen Kleiman

INDICAZIONI CLINICHEE PSICOTERAPIA

COLLANAPSICOLOGIA

DELLA MATERNITÀDiretta da

Pietro Grussu e Rosa Maria Quatraro

COLLANAPSICOLOGIA

DELLA MATERNITÀStudi, modelli e proposte di intervento in ambito perinatale

Diretta daPietro Grussu

e Rosa Maria Quatraro

GUARIRE DALLAGUARIRE DALLAGUARIRE DALLADEPRESSIONE DEPRESSIONE DEPRESSIONE POSTPARTUMPOSTPARTUMPOSTPARTUM

Edizione italiana a cura di Rosa Maria Quatraro e Pietro GrussuPrefazione di Lisa S. Segre

Postfazione di Fiorella Monti

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Il volume si pone come manuale completo ed esauriente sul trattamento della depressione postpartum. Frutto di una pluriennale esperienza clinica, questa opera trova una propria forma attraverso un approccio trasversale, attingendo da differenti orientamenti terapeutici. Grazie a uno stile chiaro, accessibile e a una felice sintesi fra inquadramento teorico ed esempi pratici, si presta ad essere un riferimento non solo per i clinici, ma anche per le stesse donne sofferenti di depressione postpartum.

L’approccio diretto al problema, la capacità di rivolgersi alle diverse � gure, professionali e non, e soprattutto la comprensione del punto di vista e delle

emozioni, fondamentali, della donna rende questo volume adatto ad essere usato sia come referenza informativa, sia come pratico manuale sul che fare.

Mauro Mauri,PND (Perinatal Depression) Rescue Unit, Università di Pisa

Questo bel libro ci indica come farsi portavoce del dolore, spesso muto, della depressione perinatale, cercando tutte le risorse possibili e tutti gli interventi utili

per aiutare la coppia madre-bambino a ri-nascere.

Fiorella Monti,Dipartimento di Psicologia, Università di Bologna

La depressione postpartum riguarda molte donne: questo libro, basato su solide competenze ed esperienze psicoterapeutiche, e caratterizzato da profonda

empatia, è uno strumento prezioso per coloro che vogliono aiutarle.

Patrizia Romito,Dipartimento di Scienze della Vita, Università di Trieste

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DELLA MATERNITÀDiretta da

Pietro Grussu e Rosa Maria Quatraro

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e Rosa Maria Quatraro

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Edizione italiana a cura di Rosa Maria Quatraro e Pietro GrussuPrefazione di Lisa S. Segre

Postfazione di Fiorella Monti

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INDICE

Presentazione della collana di R.M. Quatraro e P. Grussu 11

Introduzione all’edizione italiana 13

Prefazione di L.S. Segre 19

Ringraziamenti 23

Introduzione 25

PARTE PRIMALa cornice di riferimento: donne, bambini e psicoterapia

Capitolo primoLa messinscena. Il profilo clinico 37

Capitolo secondoMille ostacoli. Le resistenze 49

Capitolo terzoNon chiamiamola terapia. La riformulazione 59

Capitolo quartoAnatomia di un terapeuta che si occupa di depressione postpartum 67

Capitolo quintoL’ambiente contenitivo 79

Capitolo sestoLa diagnosi 91

Capitolo settimoLa voce della depressione 103

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Capitolo ottavoModelli terapeutici per le donne a rischio 113

Capitolo nonoMamme perfette 121

PARTE SECONDAGli strumenti: fare ciò che funziona

Capitolo decimoLa telefonata. L’assessment iniziale 133

Capitolo undicesimoPrima di tutto le cose importanti 141

Capitolo dodicesimoFare le domande giuste. Lo screening 153

Capitolo tredicesimoAscoltare i sintomi. L’assessment 165

Capitolo quattordicesimoLa collaborazione 175

Capitolo quindicesimoTutti insieme alla seduta 181

Capitolo sedicesimoI farmaci. La prospettiva del clinico 189

Capitolo diciassettesimoI farmaci. Il punto di vista della paziente 201

Capitolo diciottesimoLe terapie alternative 209

PARTE TERZAIl lavoro: le sfide della clinica

Capitolo diciannovesimoI pensieri spaventosi 225

Capitolo ventesimoLa lamentatrice ostile all’aiuto 235

Capitolo ventunesimoUna brava ragazza 245

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Capitolo ventiduesimoAllattare fino alla morte 257

Capitolo ventitreesimoIl controtransfert. Quando ciò che è tuo è mio? 263

Capitolo ventiquattresimoL’insonnia 269

Capitolo venticinquesimoIl rapporto di coppia 279

Capitolo ventiseiesimoLa relazione madre-bambino 289

Capitolo ventisettesimoI pensieri suicidari 297

Capitolo ventottesimoLa psicosi 305

Capitolo ventinovesimoIl sé materno 313

Capitolo trentesimoÈ possibile una prevenzione? 321

Capitolo trentunesimoIl burnout, i confini e altre insidie 331

PARTE QUARTALa guarigione

Capitolo trentaduesimoIl fattore ombelicale 341

Capitolo trentatreesimoIl braccialetto 347

Capitolo trentaquattresimoLa terapia rivelata 355

Capitolo trentacinquesimoTrovare la forza di guarire 363

Capitolo trentaseiesimoLa rivelazione della guarigione 375

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Capitolo trentasettesimoLa ricerca di senso 383

Capitolo trentottesimoLa madre per antonomasia 389

Postfazione di F. Monti 395

Bibliografia 399

Appendici

A. Il nostro patto per il dopoparto 413

B. Valutazione del rischio suicidario a integrazione dello screening con l’EPDS 418

C. Lista di sintomi del Postpartum Stress Center 420

D. Il «ricettario delle priorità» per la prima seduta al Postpartum Stress Center 423

E. Assessment telefonico del Postpartum Stress Center 424

F. Edinburgh Postnatal Depression Scale 426

G. Donald W. Winnicott: alcuni concetti fondamentali 431

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INTRODUZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA

Sono passati 14 anni da quando la collana «Psicologia della maternità» ha esordito con la pubblicazione del suo primo testo intitolato Depressione postnatale: Ricerca, prevenzione e strategie di intervento psicologico, scritto da Jeannette Milgrom e da alcuni suoi collaboratori, manuale che in Italia è diventato tra i principali riferimenti clinico-applicativi per chi si occupa di depressione postpartum. Quando lo individuammo nell'esposizione libri del primo congresso mondiale di salute mentale della donna tenutosi a Berlino nel 2001, ci sembrò importante farlo conoscere e divulgarlo al pubblico del nostro Paese, sia per il suo valore clinico, sia perché in quel momento storico poche erano le pubblicazioni che in Italia proponevano un approccio così esaustivo e sistematico dedicato specificamente alla cura della depressione postpartum. Oggi la situazione è decisamente differente: numerose sono ad esempio le iniziative congressuali e culturali offerte all'interno della realtà italiana; anche i Servizi dedicati sono in piena espansione nonostante le limitate risorse economiche a disposizione dei Servizi territoriali e ospedalieri. Inoltre, molti operatori che si occupano della salute psicologica perinatale si documentano sempre più e si aggior-nano costantemente. Anche le donne che soffrono di disturbi emotivi perinatali sono più disponibili a chiedere aiuto e ad ammettere di essere in difficoltà in una fase della vita che per l'immaginario comune dovrebbe invece essere di gioia e felicità. Molte però sono ancora le barriere cultu-rali e i pregiudizi che circondano la maternità, vista spesso in maniera o

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Guarire dalla depressione postpartum

idealizzata o eccessivamente svalutata (la madre che danneggia) sia dalle donne che dal contesto sociale che ci circonda.

Solitamente, quando qualcosa non funziona come desidereremmo, siamo in difficoltà a farvi fronte, ad ammettere che abbiamo dei limiti e a elaborare il lutto della nostra stessa fragilità. Tutto deve funzionare al meglio: c'è poco spazio per l'errore, per le sensazioni di incapacità e solitu-dine, soprattutto quando si diventa madri. Dietro all'ideale di perfezione, organizzazione ed efficientismo che la nostra stessa società richiede e a cui spesso le donne sono indotte a aderire se vogliono portare avanti se stesse nel lavoro e nel progetto di famiglia, si nasconde l'insidia: diventare madri costringe inevitabilmente a fare i conti con i propri limiti e con le proprie fragilità.

È da questo punto chiave che Karen Kleiman parte per accompagnar-ci in un viaggio lungo 38 capitoli densi di psicologia clinica, umanità e profonda conoscenza dei vissuti delle donne con depressione postpartum.

Il testo, scritto da una psicoterapeuta americana per professionisti e madri americane, ha un taglio a tratti pragmatico, senza però trascurare una ricerca di senso della cura e delle radici teoriche che supportino il modello terapeutico che l'autrice porta avanti nel Centro da lei fondato e che diri-ge negli Stati Uniti. Gli importanti riferimenti al pensiero di Donald W. Winnicott, insieme all'attenzione per alcuni concetti della teoria cognitivo-comportamentale e di quella interpersonale, fanno del libro uno strumento di lavoro con spunti ricchi e originali che costituiscono una solida cornice teorico-clinica al modello di lavoro descritto da Karen Kleiman. Ciò che emerge è l'importanza di offrire alla donna sofferente di depressione un contesto contenitivo, dove il concetto di holding è in primo piano, come la capacità di tenere-contenere, di far sentire tenuta e contenuta la madre. Tutti questi elementi diventano pertanto il presupposto terapeutico-esperienziale da cui l'autrice parte nel lavoro d'aiuto proposto alle pazienti. Far da madre alla madre, in quell'ottica che i francesi chiamano maternage e che mostra un modo di essere accuditi per poter accudire, è il principio che secondo l'autrice deve guidare il clinico che si occupa di psicoterapia perinatale.

L'autrice, che con il suo stile di scrittura dimostra una spiccata capacità di rendere sobrio e apparentemente semplice ciò che in realtà non lo è, riesce a svincolarsi dai dogmatismi teorici per utilizzare la teoria mettendola al servizio della cura. Nello sviluppo del testo l'autrice sembra guidata dall'e-

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Introduzione all'edizione italiana

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sigenza di trovare tutto ciò che le diverse teorie e tecniche possono offrirle per giungere al maggior benessere possibile per ciascuna paziente.

Karen Kleiman si espone con generosità, descrivendo nei particolari cosa succede tra lei e le sue pazienti. Ogni capitolo e ogni passaggio sono spiegati con esemplificazioni cliniche chiare che mostrano una grande capa-cità relazionale e una profonda onestà intellettuale. L'autrice mostra inoltre una continua attenzione per la riflessione clinica, insistendo in maniera co-stante sull'importanza di avere una supervisione continua (a cui nonostante la grande esperienza afferma di sottoporsi anche lei costantemente) come strumento di crescita, riflessione e consapevolezza del proprio agire clinico. Anche i parametri introdotti nella tecnica terapeutica sono descritti, nella consapevolezza che non tutti i professionisti possono essere d'accordo, ma anche in questo caso spiegando nei dettagli il pensiero clinico che sta dietro alle eventuali deviazioni della tecnica. Il risultato è un testo che si legge volentieri, coinvolgente anche per chi non è psicoterapeuta.

Crediamo che con quest'opera tanto i diversi professionisti che si occu-pano del periodo perinatale quanto le donne possano sentirsi accompagnati nell'esplorazione di tutti quegli aspetti che caratterizzano i vissuti e le diffi-coltà tipici della depressione successiva alla nascita di un figlio. Depressione postpartum che l'autrice stessa, all'interno del capitolo sesto, considera come una sindrome costituita da un insieme di sintomi e manifestazioni cliniche che possono variare per intensità, durata, tempi di esordio e gravità, ma che vanno sempre valutati con estrema attenzione anche quando si ha una pluriennale esperienza professionale in ambito perinatale.

Il concetto di depressione postpartum viene sviscerato nei suoi aspetti clinici e di manifestazioni sintomatologiche plurime, riconoscendo l'im-portanza applicativa della eventuale diagnosi psichiatrica, talvolta necessaria per un buon operare terapeutico. Ancor di più, Karen Kleiman sottolinea l'importanza di fare diagnosi differenziali per non incorrere nell'errore di sottovalutare o sopravvalutare alcune manifestazioni cliniche presenti nelle donne sofferenti che solo l'esperienza clinica quotidiana con questa tipologia di pazienti, la supervisione continua e la formazione permettono di affinare.

Con uno stile espositivo semplice, fluido e comprensibile, Karen Kleiman descrive i diversi passaggi e i labirinti del percorso che terapeuta e paziente devono affrontare per arrivare alla guarigione. L'autrice, nella prima parte del libro (capitoli settimo e ottavo), illustra con chiarezza il modello

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Guarire dalla depressione postpartum

della «voce della depressione» che ha strutturato nel corso di numerosi anni di lavoro presso il suo Centro.

Il libro è interessante perché propone un modello di lavoro eclettico che integra alcune tecniche della terapia cognitivo-comportamentale, della terapia interpersonale e della terapia di sostegno con la capacita di spostarsi a un livello di lavoro più profondo, legato al mondo delle relazioni inter-personali passate e attuali.

L'urgenza del far stare meglio la madre nel più breve tempo possibile, sollevandola innanzitutto dai sintomi più invalidanti, è il punto di partenza di Karen Kleiman, date le importanti ripercussioni che la sofferenza emotiva postnatale, anche di breve durata, può avere sulla relazione madre-bambino, sulla relazione di coppia e sul benessere dell'intera famiglia.

«Fare ciò che funziona» è il titolo che apre la seconda parte di questo libro. Come non concordare con l'autrice che passo dopo passo ci conduce attraverso le insidie e le difficoltà che la valutazione clinica, la diagnosi e la presa in carico di questa particolare forma di sofferenza emotiva perinatale portano con sé?

Le donne in forte difficoltà e psicologicamente sofferenti durante la fase di transizione alla genitorialità non sono facili da aiutare e da motivare a cercare e accettare un aiuto qualificato. È proprio per questo che Karen Kleiman dedica una grande attenzione alla fase iniziale della presa in carico, mettendone in evidenza i nodi spinosi, come la motivazione a intraprendere una psicoterapia o l'eventuale utilizzo di psicofarmaci, sia dal punto di vista dell'operatore che da quello del vissuto della donna.

Nella terza parte del libro emerge chiaramente come il lavoro terapeu-tico con queste pazienti sia una grande sfida, data la moltitudine di aspetti clinici che accompagnano i vissuti ansioso-depressivi tipici di questa fase di transizione della vita della donna. I pensieri spaventosi, l'ostilità, l'idealiz-zazione di sé come madre, i pensieri suicidari, l'allattamento, l'insonnia, i problemi di coppia, quelli della relazione madre-bambino e il controtran-sfert del terapeuta sono tutti aspetti che vengono affrontati capitolo per capitolo, sviscerati dettagliatamente nelle loro diverse sfaccettature cliniche e argomentati con uno stile descrittivo di piacevole lettura.

Le donne faticano a ritrovarsi, non si riconoscono più dopo eventi come la depressione pre e postpartum, per cui sono le prime che spesso non trovano le parole per dire come si sentono in modo da essere aiutate

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Introduzione all'edizione italiana

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a fare chiarezza dentro un groviglio di sensazioni, emozioni e pensieri che sentono estranei.

Un altro aspetto di grande onestà clinica risiede nella capacità dell'au-trice di lasciare la donna libera di decidere fin dove arrivare con il proprio percorso terapeutico, di scegliere quanto approfondire la conoscenza di sé e delle proprie modalità di funzionamento cognitivo, affettivo e relazionale. Ci sono infatti donne a cui può bastare essere sollevate dai sintomi più inva-lidanti, altre che invece desiderano comprendere come mai sono state male e cercano di dare un senso più profondo alla propria esperienza di malattia. Ma questo, quando accade, non può che avvenire gradualmente nel corso del lavoro che Karen Kleiman descrive e propone di portare avanti. Certamente le terapie hanno un costo economico e di messa in discussione personale, per cui non per tutte le pazienti risulta possibile oppure importante o urgente l'esplorazione di come i legami con le proprie figure di accudimento possono essere collegati con il malessere che la donna vive quando a sua volta deve prendersi cura di un essere che dipende totalmente da lei.

Nell'ultima parte del libro emerge chiaramente come aiutare le don-ne a uscire dalla depressione postpartum sia possibile non solo grazie alle competenze teorico-tecniche dello psicoterapeuta, ma soprattutto grazie al potere trasformativo che una relazione terapeutica empatica e contenitiva può avere sulla paziente. Questo presupposto è per l'autrice, ma anche per chi scrive, il punto di partenza che ciascun clinico, attraverso le supervisioni e il lavoro su di sé, dovrebbe continuamente coltivare e affinare se vuole lavorare con le donne sofferenti di depressione postpartum.

Non ci resta quindi che augurarvi una buona lettura, con l'auspicio che quanto proposto da Karen Kleiman in quest'opera sia utile e proficuo soprattutto per i professionisti che quotidianamente sono impegnati in ambito perinatale, ma anche per le donne che hanno vissuto o stanno vi-vendo delle difficoltà emotive in un momento della vita ricco di emozioni e cambiamenti che, seppur talvolta spaventosi, hanno comunque un grande potenziale evolutivo e di crescita personale.

Rosa Maria Quatraro e Pietro Grussu Padova, marzo 2017

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CAPITOLO OTTAVO

MODELLI TERAPEUTICI PER LE DONNE A RISCHIO

In terapia le neomamme vogliono sapere perché proprio a loro sta ca-pitando tutto ciò. Vogliono sapere cosa fare per riuscire a stare meglio. Quali sono le cose che contano di più per il loro benessere? Che cosa possono fare per evitare che ciò si ripeta in futuro? Che cosa significa tutto questo alla luce della loro vita attuale? Vogliono risposte rapide, perché hanno fretta di sentirsi meglio e di andare a casa per prendersi adeguatamente cura dei loro figli.

Per spiegare la natura della depressione postpartum sono state proposte teorie di tipo antropologico, psicoanalitico, biologico, ormonale, genetico, ambientale, relazionale, cognitivo, psicosociale e culturale. La maggior parte degli esperti ritiene che essa abbia diverse cause. Anche se sappiamo che tutte le donne nel periodo perinatale vivono una situazione di più o meno marcato stress emotivo, non tutte arrivano a soffrire di depressione postpartum. Quelle a cui succede, a un certo punto si chiedono: «Perché mi è capitato?».

È risaputo che i cambiamenti ormonali associati alla gravidanza e al parto aumentano il rischio di depressione postpartum. Ma non è solo una questione di ormoni, perché in questa stessa fase di transizione della vita si deprimono anche i padri e le madri adottive. Prendersi cura di un neonato può essere molto logorante e ci si può sentire sopraffatti. All'insorgere della depressione postpartum possono contribuire anche la carenza di sonno, le aspettative irre-alistiche, una storia psichiatrica, la situazione familiare e l'isolamento sociale. Pertanto, non c'è un'unica risposta alla domanda «Perché proprio a me».

A proposito dei fattori di rischio per la depressione postpartum, ci sono alcuni aspetti che è bene tenere in dovuta considerazione:

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Guarire dalla depressione postpartum

– Alcune donne, ad esempio quelle che soffrono di sindrome premestruale, possono essere più sensibili ai cambiamenti ormonali (Sugawara et al., 1997).

– Alcune donne possono essere particolarmente vulnerabili agli squilibri ormonali di estrogeni, del progesterone, degli ormoni tiroidei e del cortisolo (Pariser, 1993; Bloch et al., 2000).

– Se il sonno è insufficiente e irregolare oppure se il ritmo sonno-veglia è imprevedibile, la donna è più esposta alla depressione (Martin et al., 2007).

– Una donna è più a rischio di depressione se questa malattia ricorre nella sua famiglia (Llewellyn, Stowe e Nemeroff, 1997).

– La depressione in gravidanza è un importante fattore di rischio per la depressione postpartum (Dennis e Ross, 2006).

– Sembra esserci una correlazione fra la tendenza al perfezionismo, o alla «mania di controllo», e le difficoltà nel periodo postnatale (Mazzeo, 2006).

– L'aver sofferto in passato di disturbi d'ansia, la predisposizione alla preoccupazione o alla ruminazione e i tratti ossessivi, specialmente se presenti durante la gravidanza, sono fattori di rischio. La depressio-ne e l'ansia presenti in gravidanza sono forti indicatori di rischio di depressione postpartum (Beck, 2001; Liabsuetrakul, Vittayanont e Pitanupong, 2007).

– Una anamnesi psichiatrica positiva (ovvero la presenza di disturbi psi-chiatrici nella storia precedente all'episodio di depressione postpartum), ad esempio per il disturbo ossessivo-compulsivo (Williams e Koran, 1997), un precedente episodio di depressione postpartum (O'Hara, 1986; Llewellyn et al., 1997) o una passata depressione indipendente dalla nascita di un figlio (O'Hara, 1986), sono tutti fattori di rischio.

– La mancanza di sostegno da parte del partner, le difficoltà coniugali (O'Hara, 1986) e l'avere un bambino difficile da accudire (Beck, 2001) possono aumentare il rischio.

– I lutti, i traumi e gli abusi subiti nei primi anni di vita, così come la pre-senza di gravi disfunzioni presenti all'interno della famiglia di origine, influiscono sulla capacità di far fronte alla difficoltà che inevitabilmente pone la nascita di un figlio (Buist e Janson, 2001).

– Le complicazioni ostetriche possono essere un ulteriore fattore di rischio (Campbell e Cohn, 1991). I lutti associati a questo periodo, come gli aborti e la nascita di feti morti, sono correlati alla depressione postpartum (Neugebauer et al., 1997; Hughes, Turton e Evans, 1999;

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Modelli terapeutici per le donne a rischio

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Fergusson, Horwood e Ridder, 2006). Un altro fattore di rischio è la gravidanza non pianificata e/o indesiderata (Beck, 2001).

Sull'umore della neomamma influiranno anche gli stress esterni in corso, così come i lutti o i cambiamenti connessi al lavoro, i trasferimenti, la malattia, l'avere o no un compagno e le pressioni socioeconomiche (Kumar e Robson, 1984; O'Hara, 1986; Warner et al., 1996; Beck, 2001).

Possiamo capire meglio la depressione se teniamo conto del contesto di vita in cui si manifesta. È sempre limitante considerare solo l'aspetto biologico, e sperare che una pillola possa sistemare tutto, com'è limitante pensare che, concentrandosi sui problemi coniugali della paziente, lei possa ricominciare a mangiare e a dormire meglio. Milgrom, Martin e Negri (1999) hanno sviluppato un modello biopsicosociale della depressione postpartum che tiene conto della natura multifattoriale del disturbo. Più in particolare, il modello considera i fattori biologici (influenze genetiche e predisposizione ai cambiamenti d'umore su base ormonale), i fattori psicologici (le esperienze nella famiglia di origine, le modalità di coping e i meccanismi di difesa) e i fattori sociali (il ruolo del rapporto di coppia e delle aspettative culturali). Gli autori mostrano come una donna vulnerabile (fattori di rischio predisponenti) possa reagire a certi fattori precipitanti — come uno stress — sotto l'influsso di fattori socioculturali (aspettative irrealistiche), sviluppando sintomi di depressione che a loro volta si intensificano a causa di determinati pensieri negativi o risposte comportamentali.

Il modello, pertanto, chiarisce la natura interattiva e dinamica di tutte le aree che influiscono sulla vita di una donna nel periodo postnatale, coprendo l'intera gamma dei fattori considerati rilevanti. In certe donne sembrano prevalere i fattori biologici, mentre in altre i sintomi sembrano connessi in modo più diretto alle fonti di stress presenti nell'esperienza di vita attuale. Il clinico in fase di valutazione dovrebbe sempre tenere conto di questi aspetti.

Gli effetti della depressione postpartum e l'adattamento della donna: il modello del Postpartum Stress Center

Oltre al modello d'intervento basato sul concetto di «voce della depressio-ne» e alla convinzione che la depressione materna debba essere intesa come un trauma che può avere conseguenze devastanti, il nostro Centro ha sviluppato

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Guarire dalla depressione postpartum

un modello che illustra gli effetti della depressione postpartum e le reazioni di adattamento della donna. Si basa sulle ricerche di Peterson, Prout e Schwarz (1991), di Epstein (1991) e sul lavoro degli stessi autori riguardo al disturbo post-traumatico da stress. Il loro lavoro ci fornisce una cornice teorica per cominciare a comprendere l'impatto della depressione su una neomamma. In sintesi, il trauma porta a distorsioni del pensiero che ostacolano il funzionamen-to personale producendo esiti negativi. Il modello evidenzia l'importanza della diagnosi e dell'intervento precoce nella depressione postpartum (tabella 8.1).

TABELLA 8.1Il modello PPSC degli effetti della depressione postpartum

e dell'adattamento della donna

1. I sintomi di depressione portano con sé alcune convinzioni dominanti

– Sono una cattiva madre – Ogni cosa è fuori dal mio controllo – Non posso fare niente per il mio stato d'animo – Mio marito mi lascerà – Mi trovo in una situazione pericolosa, imprevedibile o priva di senso – Sono debole e dipendente dagli altri – Mi sentirò sempre così

2. Reazioni comportamentali ed emotive alla sofferenza acuta

– Panico – Ipersensibilità e/o ipervigilanza – Ripiegamento su di sé – Insensibilità o distacco – Ansia pervasiva – Isolamento o ritiro sociale

3. Conseguenze a lungo termine delle risposte disadattive

– Sentimenti di distacco – Disturbi nel legame di attaccamento – Rottura del legame di coppia – Vergogna, senso di colpa, autobiasimo – Peggioramento dei sintomi – Malattia più difficile da trattare

Adattamento dei lavori di Peterson, Prout e Schwarz (1991) e di Epstein (1991). © The Postpartum Stress Center.

Le convinzioni dominanti dovute alla reazione depressiva. Come si è detto nel capitolo quarto, una donna con depressione postpartum fatica a distinguere ciò che lei è e i sintomi della malattia: «Se ho questi pensie-ri, questi sentimenti e se faccio queste cose, vuol dire che non sono una buona madre. Le buone madri non pensano, non provano e non fanno

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Modelli terapeutici per le donne a rischio

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certe cose». La risposta che potrei dare ad affermazioni di questo tipo è la seguente:

Supponga di avere il raffreddore e di andare dal dottore. Immagini di avere la tosse, la febbre e di sentirsi spossata. Il dottore controlla i parametri vitali, la ausculta e le prescrive una cura. Qui succede una cosa simile: lei entra nel mio studio e mi dice: «Sono una cattiva madre. Non avrei dovuto mettere al mondo questo figlio. Sento che non ce la farò. Ho paura che mio marito mi lasci». Per me, è come se lei mi dicesse che ha la tosse e la febbre. Questi sono sintomi. Si possono curare. Quando starà meglio, smetterà di avere questi sentimenti e questi pensieri.

C'è naturalmente un'ipersemplificazione. Resta però il concetto fonda-mentale: i sentimenti espressi dalle neomamme sono sintomi, anche se loro li vivono come aspetti che definiscono la loro identità di madri. Quando una donna crede di essere una cattiva madre, o si sente debole e dipendente, o teme che il marito la lasci, attribuisce tutto ciò a un suo difetto personale o di madre. Il clinico dovrebbe aiutare la donna a riformulare queste idee distorte di sé. E lo può fare spiegando alla donna che, quando ci riferisce di essere una cattiva madre o di sentire che le cose sono fuori dal suo control-lo, quello che noi sentiamo è che ha dei sintomi. I sintomi possono essere trattati. Quello che è lei in quanto persona non c'entra.

Reazioni comportamentali ed emotive alla sofferenza acuta. Le risposte delle persone alla sofferenza acuta possono essere molto diverse. I compor-tamenti e le emozioni che ho scelto di inserire nel modello non esauriscono tutte le possibilità: sono solo quelli che consideriamo più problematici per le donne che si rivolgono al nostro Centro. Se riconosceremo le modalità di reagire ai sintomi depressivi e ansiosi della nostra paziente, ciò potrà aiutarci a intervenire in modo più appropriato.

Conseguenze a lungo termine delle risposte disadattive. Il terzo e ultimo aspetto del nostro modello richiama l'attenzione sulle possibili conseguenze di una depressione postpartum non trattata. Quando le reazioni elencate al terzo punto del modello persistono nel tempo possono generare problemi più gravi.

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CAPITOLO DODICESIMO

FARE LE DOMANDE GIUSTELo screening

Poiché in gravidanza e nel periodo postnatale la depressione continua a essere una problematica seria per la salute delle madri, oggi è più che mai urgente identificare questo disturbo mentale e inviare la donna che ne soffre da un professionista qualificato per il trattamento. Secondo una ricerca, quasi la metà di un campione di infermieri specializzati nell'assistenza familiare dell'Illinois e del Wisconsin (USA) ha riferito di non avere mai fatto nulla per verificare nelle pazienti la presenza di una depressione postpartum. Ge-neralizzando, e assumendo che lo screening per la depressione postpartum sia poco diffuso, si può concludere che, purtroppo, le statistiche sull'incidenza di questo disturbo mentale potrebbero non rispecchiare la reale diffusione del fenomeno (Goldsmith, 2007).

Al nostro Centro abbiamo constatato che il modo più efficace ed efficiente per ottenere risposte accurate a domande «difficili», cioè che risultano tali sia per chi le fa sia per chi risponde, consiste nel proporle in forma scritta. Davanti a un foglio di carta, a quanto pare, le donne sono disposte a rivelare il proprio vissuto più che guardando il clinico negli occhi.

Gli strumenti di screening per la depressione postpartum ci consentono di identificare in modo soddisfacente alcuni sintomi. I vantaggi sono chiari: questi strumenti, infatti, forniscono informazioni valide e statisticamente attendibili per definire e orientare il corso del trattamento. Inoltre, ci danno un riscontro numerico, se così si può dire, della correttezza della diagnosi e dell'appropriatezza del trattamento. Le donne, quando vengono da noi,

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Guarire dalla depressione postpartum

cercano proprio qualche cosa del genere e ci chiedono: «Non ci sono esami da fare o ormoni da prendere, per far passare questa cosa?». Gli strumenti di screening, fra le risorse di cui disponiamo, sono quelli che si avvicinano maggiormente a un esame del sangue o una radiografia. Le donne cercano qualcosa di tangibile, comprensibile e oggettivabile per compensare l'impe-netrabile oscurità dei loro pensieri e sentimenti. Se la diagnosi di depressione postpartum le lascia perplesse, davanti a un numero che indica il livello di gravità dei loro sintomi i dubbi trovano conferma.

Quando dissi a Joanne che era seriamente depressa, da brava perfe-zionista quale era, non gradì. «No», le dissi, «non se ne andrà via da sola “lasciando semplicemente che le cose facciano il loro corso”», come sperava. Nonostante l'evidente gravità dei suoi sintomi, non cedeva. Pensava che la depressione fosse una debolezza e non aveva intenzione di arrendersi.

«Joanne, lei è esausta. Lei sta facendo veramente tante cose e alla fine le restano pochissime energie, anche per sostenere la sua convinzione che tutto sta andando bene. Non ha quasi più appetito, passa la gran parte del giorno a piangere e ha dei pensieri inquietanti. Non riesce a dormire, si accolla la colpa della maggior parte dei suoi sintomi e lei stessa mi dice che questo non è certo il suo stato normale.»

Sentendomi riassumere in questa maniera ciò che lei stessa mi aveva riferito, le vennero gli occhi lucidi.

«Si sente lontana da suo figlio maggiore, quello di quattro anni, ed eccessivamente protettiva con il piccolo. Teme che non tornerà mai più a sentirsi se stessa e si chiede se i suoi figli, in prospettiva, non potrebbero essere più felici con un'altra madre.»

Era triste, ma non ancora convinta.«Ecco i risultati del suo test. Lo sa che cosa ci dicono? Un punteggio di

10 o superiore ci dice che potrebbero esserci dei sintomi di depressione, e un punteggio di 12 o superiore indica che i sintomi di depressione sono probabili.»

Sollevò le sopracciglia in attesa della conferma di ciò che già sapeva.«Il suo punteggio è 24.»«E il massimo è 30? Caspita! Quasi perfetto», scherzò imbarazzata.«Beh, significa che lei non sta per niente bene e che dobbiamo fare qual-

cosa. Magari non le piace sentire la parola “depressione”, ma i suoi sintomi mi dicono che dobbiamo iniziare una terapia — e senza perdere tempo. Capisce?»

«Sì. Lo so. D'accordo.»

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CAPITOLO VENTISEIESIMO

LA RELAZIONE MADRE-BAMBINO

Ava venne a trovarmi quando il figlio aveva otto mesi, cioè tre mesi dopo il nostro ultimo colloquio, alla fine del quale se ne era andata dicendo: «Le telefonerò se avrò bisogno di qualcosa». Quando la conobbi durante la gravidanza era in cura da uno psichiatra che la monitorava, poiché in pas-sato aveva già sofferto di depressione. Lo psichiatra l'aveva inviata al nostro Centro per una consulenza dopo la nascita del bambino.

Allora Ava presentava una forte ansia e preoccupazioni eccessive, che dominavano i suoi pensieri. Faticava a pensare a tutto, eccetto il suo ma-lessere. Era convinta che mettere al mondo un figlio fosse stato un errore e di non essere «tagliata per fare la madre».

Chi lavora in questo campo sa bene che le prime esperienze genitoriali non sono sempre esaltanti. Anche senza soddisfare i criteri di un episodio depressivo maggiore, molte madri provano una forte ambivalenza e un senso di disillusione quando attraversano questo difficile periodo di transizione. Il nesso fra ambivalenza materna, depressione postpartum e carenze nel lega-me madre-bambino non è ancora del tutto chiaro; più in particolare, quel che ancora non è stato stabilito è se l'ambivalenza sia una causa oppure un effetto di questi fattori. In ogni caso, la concomitanza di queste dinamiche è sostanziale.

Bertrand Cramer (1993) ha cercato di valutare quanto la conflittua-lità della relazione madre-bambino possa contribuire all'insorgenza della depressione postpartum; egli ritiene che la valutazione di questa relazione

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Guarire dalla depressione postpartum

sia fondamentale per la programmazione dell'intervento e la scelta degli obiettivi da perseguire.

Questo concetto chiarisce ulteriormente il concetto winnicottiano di «preoccupazione materna» (1956), che si ha quando la madre si trova a dover abbandonare i propri bisogni narcisistici per dedicarsi completamente al suo piccolo — il quale, come sappiamo, ha poco riguardo per il tempo e il sé emotivo della madre.

È interessante notare la relazione reciproca fra depressione e ambiva-lenza materna. La depressione postpartum può dare origine a forti dubbi e insicurezze nella neomamma, incidendo sul suo rapporto con il bambino. Analogamente, ogni difficoltà nella relazione con il bambino o l'incapacità di stabilire un legame di attaccamento possono contribuire allo sviluppo di una depressione. Pertanto, dobbiamo prestare attenzione a questa relazione sia dal punto di vista pratico (Come se la sta cavando questa mamma? Ha momenti in cui si dedica esclusivamente al bambino? Riesce a concentrarsi a sufficienza sul soddisfacimento dei suoi bisogni?), sia da quello emotivo (Come ci sembra il legame affettivo tra madre e bambino, cioè questa con-nessione? La madre sta esprimendo un affetto appropriato? Vediamo segni di una relazione reciprocamente soddisfacente?). Benché gli stili di attac-camento e i disturbi che possono derivarne esulino dalle finalità di questo libro, il concetto di legame materno e di aspettative materne a riguardo meritano attenzione.

Quando conobbi Ava, la prima volta, i suoi sentimenti all'idea di essere «vincolata» dal bambino andavano dall'indifferenza alla repulsione. Un tale distacco materno è spesso accompagnato da forti sensi di colpa, che possono generare odio verso il bambino o, più spesso, verso di sé.

«Grazie a Dio nella mia famiglia ci sono persone che potranno prendersi cura di Evan», disse guardando fuori dalla finestra. Poi, rivolgendosi a me, domandò a voce alta: «Secondo lei, alla fine mi legherò al bambino come dovrei? Pensa che possa recuperare il tempo perduto?».

«Lo spero», pensai fra me e me, preoccupata per la sua freddezza, ma risposi: «Certo. Per il momento pensiamo a cosa fare affinché lei si senta meglio e la sua famiglia provveda a Evan. Vediamo se in qualche modo lei può essere serena con lui».

Vedere una madre distaccata dal suo piccolo può essere difficile. Mi è capitato raramente di preoccuparmi di questo comportamento dal punto

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La relazione madre-bambino

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di vista clinico. Mi preoccupai quando il distacco mi parve di natura emi-nentemente caratteriale, quindi poco sensibile all'intervento, più duraturo e potenzialmente più pericoloso per la relazione. Era un'aberrazione rispetto a ciò che noi clinici dovremmo aspettarci di vedere nella pratica. Ma qui occorre qualche spiegazione. Ogni volta che abbiamo un'impressione di eccessiva piattezza affettiva, dovremmo prenderne nota, sapendo che essa può avere conseguenze importanti sul lungo periodo. In genere, quando nel periodo postnatale una donna senza problemi psicologici di fondo o disturbi psicopatologici associati si sente distaccata dal suo piccolo, reagisce con ansia e senso di colpa. L'assenza di tali emozioni può essere segno di un quadro psicologico più complicato.

Per quanto riguarda i comportamenti connessi alla formazione e al mantenimento del legame di attaccamento con il bambino, pare che le donne con depressione postpartum siano inclini a provare sentimenti di attaccamento eccessivo o un senso di distacco, oppure una combinazione delle due cose. Non è sempre così, ma spesso questi vissuti sono associati ai sintomi depressivi e ansiosi. Quando ciò avviene, le donne si preoccupa-no più del distacco che dell'attaccamento eccessivo; in ogni caso, quando valutiamo l'interazione madre-bambino, dobbiamo prestare attenzione a entrambi gli aspetti. Benché possa essere inquietante osservare e avvertire questa freddezza, in genere non è un'indicazione di problemi relazionali a lungo termine.

Una domanda che ci sentiamo fare regolarmente dalle madri è se sia accettabile allontanarsi dal bambino finché perdura il senso di incapacità, oppure se non sia meglio in ogni caso mettercela tutta. In altre parole, va bene che la madre si allontani per un periodo dal piccolo? A volte la madre sembra preferire questa possibilità, quando si sente troppo sopraffatta. È una domanda interessante e la risposta dipende perlopiù dalle circostanze individuali e dal singolo caso. In generale, i clinici tendono ad assecondare la preferenza e la valutazione soggettiva della madre circa la propria capacità di funzionare. Il buon senso direbbe che la madre e il bambino dovrebbero stare insieme finché è possibile. Un allontanamento temporaneo potrebbe essere richiesto se il contatto con il neonato è fonte di particolare turbamento o la relazione madre-bambino alimenta l'agitazione oppure il ritiro psicologico. In questi casi, il fatto che il bambino sia accudito per un certo periodo da

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Guarire dalla depressione postpartum

un'altra figura di accudimento primaria, come un familiare convivente o no, può ridurre l'ansia.

I clinici, in questa valutazione, dovrebbero prestare particolare attenzio-ne alla volontà della madre. Se l'allontanamento del bambino (affidato prov-visoriamente, ad esempio, alle cure della nonna materna) può permetterle di prendersi maggiormente cura di sé, questa soluzione potrebbe favorire la guarigione — sempre che tutte le parti coinvolte siano d'accordo. Se invece l'allontanamento, ancorché provvisorio, tende ad aumentare il senso di colpa e l'agitazione, questa soluzione andrebbe rivista. Naturalmente la valutazione andrebbe fatta insieme alla madre e al padre, ponderando attentamente tutti i fattori rilevanti, come la gravità delle condizioni di salute della madre, la disponibilità di figure di accudimento sostitutive valide, nonché fidate, ma anche la valutazione complessiva dei pro e dei contro di questa misura. Ci troviamo qui di fronte a una delle decisioni più difficili per un clinico, che richiede sempre un'analisi precisa e accurata.

Come per altre decisioni complesse, non è sempre possibile arrivare a una risposta che sia giusta senza ombra di dubbio. La risposta deve te-ner conto dei desideri della madre e del padre, delle risorse disponibili e dell'interesse della paziente. Ad esempio, anche se è sempre preferibile non ricoverarla in ospedale, quando la gravità dei sintomi mette a repentaglio la sua stessa vita, ciò diventa necessario. Analogamente, sarebbe meglio che una donna incinta evitasse di assumere psicofarmaci, se possibile; tuttavia, anche questo può essere necessario se la gravità dei suoi sintomi lo richiede. Allo stesso modo, preferiremmo in teoria non separare il neonato dalla madre per un periodo di tempo significativo; ma se i sintomi sono troppo gravi, e la presenza del bambino interferisce con la ripresa o li aggrava, un breve periodo di lontananza potrebbe essere la misura più opportuna.

Se guardiamo più da vicino quali sono gli effetti specifici della depres-sione sulla relazione madre-bambino, capiamo perché nella pratica clinica sia tanto importante occuparsi di questo aspetto. Le madri depresse hanno un'affettività molto particolare che può compromettere le interazioni con il neonato. Una ricerca (Tronick, 1989) ha dimostrato che già a tre mesi un bambino è in grado di rilevare la depressione in sua madre e reagisce con maggiore inquietudine. I ricercatori hanno chiesto a un gruppo di donne senza disturbi dell'umore di imitare gli atteggiamenti di una persona depressa con i loro figli, che al momento dello studio avevano tre mesi. Le donne

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APPENDICI

A. Il nostro patto per il dopoparto (Da leggere insieme al partner prima del parto)

Se stiamo leggendo insieme questo testo è perché io ho bisogno del tuo aiuto. È possibile che dopo la nascita di nostro figlio io non stia bene. Siccome sono ancora una volta a rischio di depressione, dobbiamo fare attenzione a certi segni, in modo da intervenire subito se è necessario. Devo poter confidare nel fatto che sarai attento e sincero riguardo a ciò che vedi e che ti preoccupa. Tu devi poter confidare nel fatto che io saprò valutare adeguatamente come mi sento.Qualora i miei sintomi dovessero interferire con la mia capacità di stabilire come sto o cosa sia meglio per me, è essenziale che tu chieda aiuto alla nostra famiglia, ai nostri amici, al mio dottore e alla mia terapeuta. Sappiamo entrambi che è meglio eccedere in cautela piuttosto che aspettarsi che le cose migliorino da sé.Ho bisogno che ora tu mi dica che capisci quanto tutto ciò sia impor-tante e che sei pronto ad agire di conseguenza. Se posso contarci, sarò molto più serena. Le domande che seguono possono aiutarti a valutare come stanno andando le cose dalla nascita di nostro figlio. Anche se magari alcune di esse non c'entrano con noi, nell'insieme ci forniscono uno schema generale da seguire. Leggiamole insieme una alla volta ed evidenziamo quelle che ci sembrano particolarmente pertinenti alla nostra situazione, in modo che non ci sfugga nulla. Se ci sono stati emotivi o esperienze che ci riguardano e che qui non figurano, ne parleremo insieme e li aggiungeremo al patto. Dalla na-scita di nostro figlio in poi, farò affidamento su di te, che riesaminerai

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Guarire dalla depressione postpartum

questi punti varie volte in momenti diversi, perché le cose possono anche cambiare.Ecco cosa ho bisogno che tu osservi:

– Mi comporto nel mio solito modo? – In quello che dico o faccio c'è qualcosa che ti sembra insolito o

diverso dalla mia nomale personalità? – Sono troppo preoccupata, troppo chiusa in me, troppo loquace, troppo

euforica, troppo esausta, sovreccitata, troppo infelice, troppo indifferente? – Ti sembro confusa? – Piango in continuazione? – Mangio normalmente? – Mi sto prendendo cura di me come faccio di solito? – Passo un po' di tempo con il bambino? Reagisco in modo adeguato

al bambino? – Ti sembro troppo preoccupata o distaccata nei confronti del bambino? – Sono meno interessata alle cose che di solito mi interessano? – L'ansia mi ostacola in ciò che devo fare? – Ti sembro alle prese con preoccupazioni o timori esagerati? – Evito di stare con le persone che mi vogliono bene? – Ti sembro troppo attenta o preoccupata per la salute del bambino? – Faccio fatica a dormire, anche quando il bambino riposa? – Mi preme troppo che le cose siano fatte in modo perfetto e non

ammetto errori? – Noti che mi isolo nonostante abbia paura di stare da sola? – Sono troppo arrabbiata, troppo irritabile, troppo ansiosa, troppo

irascibile? – Ho attacchi di panico, durante i quali dico che non riesco a respirare

o a ragionare in modo lucido?

Ecco che cosa ho bisogno che tu ascolti:

– Dico cose che ti spaventano? – Dico di avere l'impressione che ci sia qualcosa che non va? – Dico di non sentirmi me stessa? – Ti sorprendo dicendo di non saper fare, o di non voler fare, certe cose? – Ti dico di avere il desiderio di andarmene, di voler porre fine a

tutto o di farmi del male? – Ti chiedo cose che normalmente non domando? – Ti dico di essere troppo spaventata, stanca o incapace per fare ciò

che dovrei? – Ti chiedo di stare sempre a casa con me? – Ti dico che non ce la faccio senza il tuo aiuto?

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Appendici

415© 2017, Kleiman K., Guarire dalla depressione postpartum, Trento, Erickson

– Esprimo sentimenti d'inadeguatezza, fallimento o disperazione? – Continuo a domandarti rassicurazioni o ti chiedo di ripetere la

stessa cosa tante volte? – Mi lamento molto di come mi sento fisicamente (mal di testa, mal

di stomaco, dolore al petto, respiro corto)? – Ti dico che abbiamo commesso un errore e che questo figlio non

lo voglio? – Attribuisco la colpa di tutto al nostro matrimonio? – Sono preoccupata che tu possa lasciarmi? – Ti dico che per te e nostro figlio sarebbe meglio se io non ci fossi? – Ho paura di essere destinata a sentirmi sempre così? – Ti dico di essere una cattiva madre?

Ecco che cosa ho bisogno che tu faccia:

– Facciamo regolarmente una verifica, più volte il giorno. Chiedimi come sto e cosa puoi fare per aiutarmi.

– Assicurami l'aiuto dei nostri amici e familiari ogni volta che è pos-sibile nelle prime settimane. Se io mi oppongo, per favore, insisti a ricordarmi che per me è meglio accettare un aiuto.

– Ricordami che in passato ci sono già passata e poi le cose sono migliorate.

– Aiutami, anche se non te lo chiedo. – Insisti affinché io mi riposi, anche se non riesco a dormire. – Assicurati che io mangi, anche se non ho fame. – Dedica più tempo che puoi alla cura del bambino. – Alla minima preoccupazione, incoraggiami a prendere contatto con

il medico e con la terapeuta. Se io protesto, dimmi che li chiamerai tu per me e che mi accompagnerai all'appuntamento.

– Ricordami che, anche se va tutto bene, può essere comunque utile e rassicurante accertarsene con una visita.

– Fa' una passeggiata insieme a me. – Aiutami con il bambino durante la notte. Se tu non sei capace, per

favore, assicurati che mi aiuti qualcun altro, così non sarò a corto di sonno e le cose non peggioreranno.

– Fidati del tuo istinto, se sei preoccupato o se pensi che qualcosa debba essere fatto in modo diverso.

– Parla con me. Dimmi che cosa pensi. – Stai con me. Stammi vicino anche se non hai niente da dire. – Aiutami a trovare un aiuto professionale. – Aiutami a trovare la gioia. Aiutami a essere presente e ad apprezzare

le piccole cose. Aiutami a trovare e a gustare le farfalle, le risatine, gli abbracci, la luce del sole, le cose divertenti, i sorrisi.