Guardie e ladri

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ROCCO CASCINI guardie e ladri i narratori

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L'esordio di Rocco Cascini. Il primo giallo ambientato a Matera.

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I S B N 8 8 - 8 6 8 2 0 - 4 5 - 3

rocco cascini

Rocco Cascini è nato, e vi è rimasto molto legato, a Stigliano,il 31 agosto 1980. È cresciutoe ha vissuto a Matera, una città per la quale prova un amore smisurato. Si è laureato in Economia Aziendale alla Bocconi di Milano. È stato proprio nel suo quinquennale soggiorno nel capoluogo lombardo che ha maturato la sua passione per la scrittura. È costantemente impegnato alla stesura di romanzi, il primo dei quali, Guardie e Ladri, gli è valso il terzo posto al “Premio Mario Pannunzio”.

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i narratori

Quella mattina Matera si svegliò sotto un cielo che non prometteva nulla di buono...

A Claudia, la mia più grande sostenitrice

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CAPITOLO 1

GUARDIE E LADRI

Quella mattina Matera si svegliò sotto un cielo che non prometteva nulla di buono. Le nubi scure minacciavano pioggia, e quella nebbia ti-picamente mattutina contribuiva, di per sé, a dare un senso di grigiore alla città. Eppure, nelle giornate precedenti, il sole l’aveva fatta sempre da padrone, portando serenità e luce a quella cittadina tranquilla del-la Basilicata. In fin dei conti, quel tempo là fuori, sembrava voler fare da preludio alla trasformazione che Matera avrebbe avuto quel gior-no. Da città soleggiata e tranquilla stava per essere colpita dall’oscuri-tà, un’oscurità che l’avrebbe profondamente turbata nei giorni a venire.Tremendamente turbata. Finché il sole non fosse tornato a splendere.

Il commissario Rinaldi, quella mattina, stava vivendo ancora la sua fase di dormiveglia, durante la quale si alternavano pensieri di vario genere a brevi ed evanescenti sogni. Continuava a girarsi e rigirarsi sul suo letto, facendo ben attenzione a stringersi nelle coperte per affron-tare quei brividi di freddo causati dalla finestra aperta solo a metà. Tra un sogno e l’altro dava un’occhiata all’orologio di fronte al letto: più di una volta sobbalzò pensando di essere in ritardo per raggiungere la Questura. Ma ogni volta si doveva rassicurare perché quella mattina aveva il privilegio di non dover lavorare. Ovvio che non doveva lavora-re: la sera precedente non avrebbe fatto le ore piccole a bere birra con Francesco e Massimo, intervallando un sorso e un altro con i loro di-scorsi tipicamente maschili di calcio e donne. Almeno quel week-end poté permetterselo, visto che in genere non era preso da nulla al di fuori del suo lavoro e non vedeva nessun altro al di fuori dei suoi col-leghi.

Già, il suo lavoro. Chi glielo avrebbe mai potuto dire che sarebbe giunto a quel punto? Proprio lui che era sempre stato convinto di do-

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ver condurre una vita sregolata, senza dare alcuna priorità al lavoro. Quel lavoro che mai aveva pensato di dover fare, quel lavoro che lo portava a sgominare bande malavitose, a imporre il rispetto di quella legge verso la quale lui era stato sempre ostile negli anni passati, quel lavoro che per una medaglia lo portava sempre a giocare con la pro-pria vita.

Quasi come una roulette russa.E prima o poi, ripeteva sempre, gli sarebbe capitata la pallottola

come risposta a quel colpo di grilletto. Era un gioco che non avrebbe mai voluto fare prima. Ora, però, si era ricreduto: aveva scoperto che quel gioco gli piaceva tanto.

Nelle fasi in cui riusciva a rendersi conto della coscienza dei suoi pensieri ricordava il suo passato. Pensava agli anni trascorsi all’Uni-versità a Bologna, quando credeva di aver trovato la strada che avreb-be percorso per il resto della sua vita: la musica. Pensava al suo vecchio gruppo, i Black Jail, di cui lui fu il bassista per ben due anni. Pensava a quelle incancellabili esibizioni dal vivo, a quel breve momento di fama che gli consentì di vivere emozioni irripetibili. Pensava alla fine di quel breve ma intenso sogno, cominciato per gioco, proseguito con passio-ne e stupore, finito quasi nell’indifferenza. Durò poco, ma rimase inde-lebile nei suoi ricordi. Ricordò, inevitabilmente, i suoi amici d’avven-tura negli anni bolognesi: Christian, Gabriele, Manuel, Emilio, Riccar-do e Roberto.

Già, Roberto, che fine aveva fatto? Pensieri e ricordi che furono interrotti dal suono imprevisto del te-

lefono. Il commissario aprì bruscamente gli occhi. Detestava parlare al telefono quando era ancora nella fase di sonnolenza; in ogni caso, non aveva la minima idea di chi poteva essere a quell’ora. Sperava solo che non fosse una chiamata urgente dalla Centrale.

Si alzò sbuffando e alzò la cornetta del telefono, poggiato sopra il comodino a pochi passi dal letto.

- Pronto - disse con una voce che stentatamente nascose uno sba-diglio.

- Buongiorno, Luca - rispose la voce dall’altro capo del telefono. Il commissario non riconobbe quella voce ma si insospettì subito,

perché si accorse che era sensibilmente contraffatta.- Con chi ho il piacere di parlare? - chiese il commissario grattando-

si la tempia nell’attesa di capire se le sue premonizioni fossero esatte.

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- Non so se per te possa essere un piacere parlare con me, comun-que io sono colui che stai cercando.

- Sì, forse inconsciamente noi ricerchiamo sempre qualcosa o qual-cuno, ma per quanto la mia mente sonnolente possa consentirmi di ri-cordare, non ricordo di ricercare qualcuno in particolare, almeno in questo periodo -. Mossa tattica.

Il commissario aveva capito subito che quella telefonata non ave-va l’aria di essere un semplice scherzo di cattivo gusto da parte di qual-che suo conoscente; o, forse, lo era e si stava solo sbagliando, del resto era solito non afferrare bene le cose appena sveglio. Pensò, allora, fos-se meglio premunirsi. E cominciò ad allungare i suoi discorsi prenden-dosi il tempo sufficiente a fare ciò che il suo sesto senso, in quel mo-mento, gli suggeriva di fare: introdusse il viva-voce e premette il tasto di registrazione del suo mangianastri, poggiato di fianco al letto, senza interessarsi di quale cassetta vi era contenuta al suo interno. Avrebbe così esaminato meglio quella conversazione in un secondo momento.

- Hai ragione. Ancora non sai che mi stai cercando. Ma lo saprai presto, anzi, presto spererai di potermi sentire il più frequentemen-te possibile.

- Ascolta, non mi piacciono le lunghe attese e soprattutto le sorpre-se. Quindi, dato che oggi non ricordo che sia il mio compleanno, ti pre-gherei di arrivare subito al sodo, altrimenti, sono spiacente, ma sarò costretto a interrompere questa conversazione.

- Mi spiace per te, ma di sorprese ne avrai tante da oggi in poi. Ti piace giocare, Luca?

- Vedo che conosci il mio nome, sarebbe buona educazione da par-te tua e un piacere da parte mia, se anche tu mi dicessi il tuo - affer-mò il commissario continuando a mantenere un tono di voce gentile ed educato.

- Oh... quello non è un problema, chiamami come vuoi, anzi sono sicuro che vi sbizzarrirete molto da oggi in poi nel cercare di darmi un nome.

Rinaldi cominciò a spazientirsi, ma doveva attendere con cautela, non doveva andare subito su di giri, anche perché voleva capire bene con chi stava avendo a che fare. Intanto la sua mente vagava nel tenta-tivo di identificare quella voce, ma nessuna risposta giunse dall’archi-vio della sua memoria.

- Allora Luca, ti piace giocare?

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- Giocare? Sì, dipende dal gioco e dal partner, sinceramente. Tu quale gioco mi proponi di fare?

- Non so se ha un nome preciso di uso comune questo gioco, ma possiamo dargli il nome che vogliamo se proprio ci tieni. Anzi, sai cosa facciamo? Lo chiameremo “guardie e ladri”. Ti piace giocare a guardie e ladri?

- Guardie e ladri? Beh, ho una certa età ormai per certi giochi - ri-spose il commissario accendendosi una sigaretta. Si rese conto, sola-mente dopo averla accesa, che non era sua abitudine fumare prima di aver preso il caffè, di mattina.

- Non ti preoccupare, vedrai che ti troverai a tuo agio. Vedrai che sarà un gioco appassionante, Luca, vedrai...

- E quale sarebbe lo scopo di questo gioco? - chiese rassegnato Ri-naldi.

- Il tuo scopo è quello di riuscire a prendermi, il mio è quello di far-la franca. Vincerà il più scaltro.

Il commissario cominciò seriamente a preoccuparsi non appena sentì quelle parole. Capì che stava avendo a che fare con un pazzo. I pazzi sono sempre pericolosi.

- Ti piacciono gli enigmi, Luca?- Gli enigmi? Belli, se riesco a risolverli, ovviamente.- Questo è un problema tuo. Se non riuscirai a risolverli rischierai

di perdere. E io so che non ti conviene perdere. Appena questa lieta conversazione sarà terminata, recati presso la tua cassetta delle poste. Poco fa ti ho lasciato una lettera con all’interno un biglietto. Lì dentro è contenuto il tuo primo indizio per acciuffarmi. Ti consiglio di pren-dermi molto sul serio. Ma lo farai, Luca, lo farai non appena ti accorge-rai che faccio sul serio!

- Tu non farai un bel niente, dimmi chi cazzo sei, non mi piace più questo gioco... - gridò Rinaldi scattando in piedi dal letto.

- Ti piace la musica, Luca? Lo so che ti piace. Ascolta questo pezzo. Ti potrà essere molto utile.

Nella stanza si diffuse il suono di una chitarra elettrica in puro sti-le hard-rock di fine anni ’70, accompagnato subito dal ritmo molto so-stenuto del basso e della batteria. Il commissario, ancora turbato, la ascoltò non nascondendo una certa attrazione verso quel ritmo tipica-mente rock’n’roll. Dopo una decina di secondi di introduzione musica-le, cominciò a cantare una grintosa voce femminile che si interruppe

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bruscamente proprio quando Rinaldi stava cominciando ad apprezza-re davvero quel pezzo. Quella aggressiva voce femminile fu sostituita da quella contraffatta, che si rivolse ancora a lui con un timbro molto sicuro e presuntuoso.

- Bene, Luca, hai tutti gli elementi a disposizione, ora. Spero per te che hai preso appunti… Buona caccia e vinca il migliore.

La conversazione fu interrotta bruscamente. Il commissario rimase immobile per qualche secondo con la cornet-

ta in mano, dopodiché, con lo sguardo perplesso, la pose al suo posto. Si alzò e fece fuoriuscire la cassetta che aveva cancellato per un paio di minuti, e bestemmiò all’istante quando si accorse che aveva sostituito la voce inimitabile di Kurt Cobain con quella di quel personaggio mi-sterioso. Si trattava di una cassetta abbastanza rara, un live dei Nirva-na registrato a Roma qualche mese prima che il cantante si suicidasse. Era un bootleg, materiale che non si trova facilmente perché non è uf-ficialmente in commercio. Cercò di ricordare chi gli avesse registrato, quella cassetta, per richiederne una nuova copia. Non lo ricordò. Cer-cò di darsi una giustificazione pensando che, effettivamente, i Nirva-na non rientravano più nei suoi ascolti abituali anzi, ci teneva a quella cassetta più come pezzo da collezione che come altro. E poi l’audio non era neanche un granché. Era bravissimo a trovare una giustificazione a tutto, non sapeva se era un suo pregio o un difetto; di sicuro, tante volte, era molto utile. Ripose la cassetta nel mangianastri, la riavvolse per il tempo necessario a riascoltare quel dialogo inaspettato e andò in cucina a prepararsi il caffè. Mise la caffettiera sul fuoco e tornò in ca-mera. Ascoltò quella registrazione un paio di volte, riascoltò altre due volte solo la canzone senza tuttavia riconoscerla e tornò in cucina a fare colazione.

Perché proprio io? Perché mi chiamava Luca? Come mi conosce? Come sa che mi piace la musica? Chi gli ha dato il mio numero di tele-fono? E soprattutto, cosa cazzo ha intenzione di fare?

Era pienamente investito da questi interrogativi a cui non seppe rispondere. Pensò allora fosse meglio andare in Centrale per condivi-dere quella novità con la sua squadra di lavoro. Si lavò e vestì rapida-mente, uscì di casa con l’aria alquanto dubbiosa, senza curarsi minima-mente del pauroso disordine in cui l’aveva lasciata. Bestemmiò nuova-mente quando si accorse che aveva dimenticato la cassetta a casa, tor-nò indietro dopo essersi acceso un’ulteriore sigaretta per placare il suo

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nervosismo dirompente e richiuse la porta con forza. Si avvicinò alla cassetta della posta che si trovava di fianco al cancello. Scoprì che quel-l’uomo misterioso non scherzava. Effettivamente vi era contenuta una lettera. Vide subito che non c’era alcuna indicazione del destinatario e né, tanto meno, vi era un francobollo: ciò significava che gli era stata consegnata personalmente e manualmente dall’uomo misterioso. Vi era, invece, l’indicazione del mittente nella parte superiore della busta. C’era scritta la seguente dicitura:

Mitt.: CCSC

Aggrinzì le sopracciglia e aprì la busta. Vi era contenuto un bigliet-to bianco con una scritta che lo lasciò impietrito.

SOLO I BUONI MUOIONO GIOVANI.

Non aveva capito nulla per restare immobilizzato, ma aveva letto quello che temeva, un riferimento alla morte. Il suo volto cambiò colo-re, si guardò intorno, e si diresse verso la sua Peugeot 206.

Introdusse la chiave per mettere in moto l’auto e, appena accese il quadro, capì, forse tardivamente, cosa volesse dire la dicitura del mit-tente:

“Colui che stai cercando”.

Quasi si compiacque per esserci arrivato e partì sgommando. Ma non era quella dicitura che doveva capire. Era quella frase contenuta in quel biglietto. Cosa voleva dire?

Arrivò in Centrale dopo 15 minuti e fu accolto dallo stupore di Irene.- Buongiorno signor commissario, come mai qui? Non ha la matti-

nata libera oggi?- Sì, ce l’avevo. Fammi un piacere, chiedi urgentemente un incontro

al questore. Avvisa pure Giacomo e Laura. Li aspetto nel mio ufficio.- Qualche problema?- Forse sì.Si sedette sulla sua scrivania e ingannò l’attesa, navigando un po’

su internet. Dopo una ventina di minuti i tre convocati entrarono nel

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suo ufficio accompagnati da Irene che lasciò sulla scrivania un vassoio con quattro caffè ed uscì dalla stanza.

Sul volto del questore Rossi si leggeva la preoccupazione e lo stupo-re per quella improvvisa convocazione. In genere era lui che convoca-va il commissario e non viceversa. I due erano in un rapporto di stima reciproca che, però, era molto lontana dal potersi definire amicizia. In altre parole, se non fossero costretti a lavorare insieme, non si sareb-bero mai frequentati.

Di gran lunga migliori erano i rapporti che Rinaldi aveva con Lau-ra e Giacomo. L’ispettore Giacomo Forti era il suo collega più fidato, la sua spalla. Non si frequentavano al di fuori del rapporto lavorativo, ma il commissario sapeva che poteva sempre contare sul suo appoggio qualora ne avesse sentito il bisogno.

Con Laura De Biasi la situazione era un po’ diversa. Lei era l’agen-te forse più in gamba di tutta la Questura. Era estremamente specia-lizzata nelle parti tecniche, se c’era da fare intercettazioni, spionaggi e robe del genere si contava sempre su di lei; se c’era da posizionare una cimice era sempre lei a posizionarla. Le mansioni sotto la sua respon-sabilità preferiva compierle sempre in prima persona. Il commissario si sentiva molto fortunato di poter contare sull’abilità di quella donna, era stato lui a volerla fortemente nella sua squadra. E poi, era una gran bella donna. Aveva dei bellissimi capelli ricci di un castano tendente al rosso che davano un certo senso statuario a quel viso dominato dal colore verde dei suoi occhi. Chi la guardava non poteva che rimanerne incantato. E anche Rinaldi subiva questa automatica attrazione ogni qualvolta la vedeva. Sapeva benissimo che quella donna un giorno o l’altro gli avrebbe fatto perdere la testa. Se non lo aveva già fatto…

- Allora? Perché ci hai convocato di tutta fretta? - esordì il questo-re Rossi.

- Accomodatevi pure, voglio farvi ascoltare una conversazione tele-fonica che ho ricevuto poco fa.

Pose la cassetta nello stereo e schiacciò il tasto di riproduzione, si risedette e mise lo zucchero nel caffè osservandolo mentre, lentamen-te e con delicatezza, cadeva in quel liquido nero.

I tre rimasero agghiacciati nell’ascoltare quella inaspettata conver-sazione. Nessuno disse nulla ma si leggeva l’incredulità nei loro occhi. Ad un tratto, quella voce misteriosa venne sostituita bruscamente dal-la voce di Kurt Cobain che cantava Lounge Act.

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- Non fateci caso ai Nirvana, ho usato la prima cassetta che avevo a disposizione.

- Hai fatto bene a registrarla. Tu non hai potuto vedere il numero di telefono dal quale ti ha chiamato, vero? Non ce l’hai quel dispositi-vo? - chiese Laura che, dei tre, era quella che rimase più stupita e im-paurita.

- No, purtroppo.Ne seguì un momento di silenzio tombale che venne interrotto dal

questore.- Cosa pensi?- Beh, mi piacerebbe sapere cosa ne pensiate voi - rispose il commis-

sario cercando conforto negli occhi degli altri. - Ma prima vorrei che vi-sionaste il biglietto che ho trovato nella cassetta delle lettere.

SOLO I BUONI MUOIONO GIOVANI.

- Come vedete, la scritta è perfetta, di sicuro avrà usato un normo-grafo per sottrarsi ad un esame della grafia.

- Sei sicuro che sia lui? Non potrebbe essere una normale coinci-denza? - chiese il questore pentendosi subito di avergli posto quella domanda retorica.

- Sulla busta della lettera, come indicazione del mittente c’era la di-citura CCSC. Sono sicuro che vuol dire: colui che stai cercando.

Tutti annuirono.- Solo i buoni muoiono giovani. Che cosa vorrà dire? - si chiese Lau-

ra ad alta voce.- Allora, chiariamoci bene le idee - cominciò il questore interrom-

pendo quella fase di riflessione conseguente alla domanda di Laura. - Non sappiamo ancora quali sono le sue reali intenzioni e, tanto meno, se si tratti di uno scherzo di cattivo gusto. Ammettiamo che ci trovia-mo di fronte alla pura verità dei fatti. Dobbiamo capire cosa si nascon-de dietro questa frase, quale canzone ti ha fatto ascoltare e, soprattut-to, a cosa andiamo incontro se non riusciamo a decifrare in tempo que-sto messaggio.

- Beh, penso che non ci siano dubbi che si tratti di un serial killer - disse Giacomo subendo lo sguardo incuriosito degli altri. Eppure ave-va semplicemente affermato quello che i presenti non avevano voluto affermare o avevano avuto il timore di palesare...

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- Un serial killer qui a Matera? - chiese Laura fingendo di stupirsi. - Un killer è una persona deviata mentalmente, non importa dove

si trovi, quello che vuole fare lo fa in qualsiasi luogo - rispose con con-vinzione Giacomo.

- Già, l’importante è che ci sia gente da uccidere e a Matera ce n’è a sufficienza - proseguì Rinaldi d’accordo col pensiero del collega.

- Sì, possiamo ammettere che il suo obiettivo sia questo. Ma nulla ci esclude che ci stia velando un obiettivo diverso, ad esempio, luoghi da rapinare o che so io. L’unica certezza che abbiamo finora è che vuole esplicitamente che sia tu, Luca, a fermarlo. Ti sei chiesto perché?

- Certo che me lo sono chiesto, ma ancora non ne capisco la ragione. Di sicuro un motivo valido ci sarà, perlomeno valido per lui.

- Bene, diciamo che automaticamente l’indagine ti è stata auto-im-posta. Riunisci il tuo gruppo di lavoro e comincia ad indagare, avrai tutto il materiale e gli appoggi di cui avrai bisogno. Mi raccomando, cerca di scoprire qualcosa prima che crei il panico che ci ha promesso di creare.

Rinaldi ascoltava quelle parole con lo sguardo perso nel vuoto. Si stava rendendo conto che, senza volerlo, gli era stato affidato un com-pito di grande responsabilità e cominciava ad avvertire la paura di fal-lire.

Perché proprio io? Una ragione ci dovrà pur essere.Era questa la domanda che continuava a tormentarlo.Rossi aveva lasciato la stanza e il commissario interruppe il suo si-

lenzio rivolgendo la parola a Giacomo.- Giacomo, voglio che scopri il titolo, l’autore e il testo della canzo-

ne che quel bastardo mi ha fatto ascoltare. Cerca di darmi una rispo-sta entro domani. Fai controllare anche la busta e il biglietto qualora ci siano impronte digitali da rilevare, anche se non penso che abbia già commesso un così grossolano errore. Ma, per scrupolo, solo per scru-polo, non daremo mai nulla per scontato. Tu, Laura, cerca di studia-re quella voce, falla analizzare anche dal dottor Bianchi. È anche un esperto di psicologia, magari ci potrà dare qualche utile informazione. Credi di riuscire a risalire alla provenienza di quella telefonata?

- Credo di sì.- Bene, allora diamoci subito da fare. - Luca, non pensi sia meglio mettere il tuo telefono sottocontrol-

lo? Se ci impianto il meccanismo adatto potremmo risalire subito alla

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provenienza della telefonata la prossima volta, qualora ci sia una pros-sima volta.

A quella domanda Rinaldi rimase un po’ perplesso, ma non perché era sicuro che l’uomo misterioso non si sarebbe fatto scoprire così in-genuamente.

Lei a casa mia? In quel casino che ho lasciato? Non voglio che sco-pra come sono disordinato nella mia vita privata.

Si trattava di una faccenda seria e lui, invece, si faceva prendere dai coinvolgimenti personali.

- Sì, ma vieni nel pomeriggio. Voglio che prima fai alcune copie del-la cassetta cosicché ognuno di noi potrà analizzarla individualmente. E poi, ci tengo molto a farla ascoltare prima al dottor Bianchi per ve-dere lui cosa ne pensa.

Si salvò così, furbamente, il commissario. Nel frattempo avrebbe si-stemato un po’ la sua orrida casa evitando di dover passare lui dal dot-tore. E poi, unire l’utile al dilettevole era una gran comodità in una si-tuazione pericolosa come sembrava quella. Sviò qualsiasi tipo di so-spetto affermando: - Io intanto farò una ricerca su questa frase. Devo scoprire cosa diavolo possa significare. Del resto, oggi sarebbe stata anche la mia giornata libera!.

Prima di arrivare a casa, si fermò a prendere un pollo arrosto con patatine fritte. Portò il pranzo a casa e lo consumò rapidamente, ac-compagnandolo con una Heineken che non mancava mai nel suo fri-gorifero. A pranzo ultimato, cominciò a dare una raddrizzata a quella casa che sembrava aver ospitato una decina di persone in nottata. Ve-stiti ovunque, cd sparsi in ogni dove, carte e cartacce di qua e di là. Riu-scì, nel complesso, a fare un buon lavoro, considerato lo stato in cui aveva lasciato il suo habitat quel mattino.

Si era appena seduto sul divano per fumarsi una meritata sigaret-ta, quando sentì suonare il citofono. Era Laura. Rinaldi cambiò subito espressione non appena la vide. Era davvero di una bellezza travolgen-te quel pomeriggio, nonostante indossasse un semplice abbigliamen-to sportivo.

- Però, mi aspettavo di peggio - disse lei porgendogli una valigetta. - Da cosa ti aspettavi di peggio?- Hai qualche donna che ti sistema la casa? Voi uomini non cono-

scete neanche il significato di ordine e pulizia. Mi aspettavo molto più disordine, a giudicare dalle condizioni della tua scrivania, in ufficio.

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- L’unica donna che è entrata negli ultimi tre mesi in questa casa sei tu in questo momento.

Laura non disse nulla, ma sorrise. Rinaldi lanciò un ultimo sguardo a quel fisico slanciato, ben risaltato dalla sua statura abbastanza eleva-ta. La fece entrare in casa e le offrì qualcosa da bere.

- Fai tu, bevo quello che bevi tu.La fece accomodare sul divano e si diresse in cucina. Tornò con due

Heineken in mano.- Ho solo queste, va bene lo stesso?Lei, con un gesto con la mano, accettò. Il commissario trovò quel

gesto molto sensuale. Tutti i suoi movimenti per lui erano deliziosa-mente sensuali.

- Ho fatto tutto quello che mi hai chiesto. Ho fatto le copie della cassetta, una copia l’ho portata al dottor Bianchi. Era molto indaffara-to, ha detto che l’avrebbe ascoltata con cura più tardi.

Si interruppe bevendo un sorso di birra, non prima di aver sbattuto con dolcezza la sua bottiglia a quella del commissario, come per brin-dare.

Non ho preso neanche dei bicchieri! Gli onori di casa non erano il suo forte. Di sicuro, però, avrebbe preso

qualche bevanda diversa dalla birra la volta successiva al supermercato.- Comunque, ho scoperto la provenienza di quella telefonata.- Davvero?- Da una cabina telefonica del rione S. Giacomo. Credo sia stata una

scelta strategica perché dalla registrazione non traspare alcun rumore particolare. Di sicuro, si trova in un luogo poco trafficato. Non è detto, però, che il nostro uomo abiti per forza da quelle parti. Non pensi?

Sì, certo che sto pensando. Sto pensando che sei troppo in gamba. Forse dovresti essere al mio posto, sono io quello che dovrebbe servirti.

- Sì, sono d’accordo. Mi complimento per la rapidità...- Fa parte del mio lavoro - lo interruppe subito Laura. - E io le mie

faccende tengo a farle sempre nel modo migliore, quindi è inutile che mi fai complimenti. Tu, piuttosto, hai pensato a quella frase?

No, non ci aveva pensato per nulla. Pensò allora fosse meglio im-provvisare.

- Un po’ sì. È troppo generica come frase, non è facile capire a cosa voglia riferirsi. Di sicuro ci sarebbe molto utile sapere più dettagli di quella canzone, ma da Giacomo non ho avuto ancora alcuna notizia.

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- Già, io pure ci ho pensato un po’. Ma niente.Seguì una fase di silenzio, interrotto nuovamente da Laura.- Di sicuro, se volesse uccidere qualcuno, farebbe fuori un ragazzo o

una ragazza. Ma è quel BUONI che mi spiazza. Cosa vuol dire che solo i buoni muoiono giovani? C’è qualche ragazzo famoso per la sua bontà?

Rinaldi notò il suo impegno e lo apprezzò. Apprezzava tutto di lei, dai capelli ai piedi, dal cuore alla mente.

- Avrà di sicuro un senso, ma forse abbiamo ancora pochi elementi a disposizione. Dobbiamo, per forza di cose, aspettare la sua prossima mossa. Intanto fai ispezionare più frequentemente da una pattuglia quella zona della città. Ogni tipo sospetto deve essere segnalato.

- Lo farò. Beh, portami al tuo telefono. - Al mio telefono? Ah, sì, certo, vieni, di qua, in camera.Entrarono nella stanza e Laura notò che c’erano due letti. - Vivi con qualcuno? - gli chiese, cominciando a prendere dalla vali-

gia il materiale che le serviva.- No, mi serve per eventuali ospiti - rispose Rinaldi. Il commissario

aveva capito che si riferiva a quel secondo letto.- Capito. Quindi se un giorno dovessi fermarmi a dormire da te,

per un qualsiasi motivo, mi costringerai a dormire nella tua camera, con te? - gli chiese Laura provocatoriamente, mentre era indaffarata a montare strani marchingegni.

Rinaldi arrossì. Non se l’aspettava da lei quella affermazione.- No, che c’entra. Ti farei accomodare sul divano, di là... - rispose il

commissario con la voce quasi intimorita che rese trasparente il suo imbarazzo.

- Bel modo di trattare una donna - disse Laura divertendosi a pren-derlo in giro. Si era accorta che era rimasto un po’ turbato da quella battuta e così cominciò a giocarci un po’. Del resto, lei era una donna e le donne capiscono sempre al volo cosa si nasconde dietro gli sguardi ed i modi di fare degli uomini.

- In effetti, dormirei io sul divano, a te farei scegliere uno dei due letti qui.

Laura sorrise e alzò lo sguardo per incrociare i suoi occhi.- E dai che scherzavo, non volevo metterti in difficoltà...Che figura di merda.- E sì cazzo, non me l’aspettavo, mi hai preso in contropiede - am-

mise Rinaldi ridendo.

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- Sei timido, ho capito. Non me l’aspettavo.- In che senso?- A lavoro sei così intraprendente e sicuro di te.- Beh, ma di fronte a una bella donna come te chiunque rischiereb-

be di trovarsi un po’ a disagio. Si pentì subito di aver fatto quella battuta. Temeva di scoprire le

sue carte tanto facilmente, con lei. Era paura? Forse. Di sicuro quella era l’unica donna nei confronti della quale si sentiva un gradino sotto. Non ne sapeva il motivo, ma sperò che lei prendesse quella frase come una semplice battuta, anche se non lo era: aveva detto quello che pen-sava davvero.

- Bugiardo, stai cercando solo di giustificare la tua timidezza - gli ri-spose Laura sorridendo.

A differenza sua, quando rispondeva alle sue domande lei lo faceva mostrando sicurezza e non lasciava trasparire alcun imbarazzo.

- Può darsi, ma rimani comunque una bella donna. - Ecco fatto. Qui ho finito il mio lavoro. Vedi questo tasto? Ora lo

spingo e il marchingegno è attivato. Non premerlo più. Ogni volta che riceverai una telefonata apparirà il numero di telefono della persona che chiama, anche se costui cerca di nascondere il suo numero in qualsiasi modo. Questo dispositivo previene qualsiasi tentativo di copertura del-l’identità. Fai una prova, chiamati al numero fisso con il tuo cellulare.

Il commissario rimase un po’ male. Proprio allora, che aveva dato una risposta di cui non si era pentito, lei aveva finito il suo lavoro e aveva cambiato discorso. Prese il cellulare, digitò il suo numero di casa e sorrise non appena lesse il suo numero comparire su ciò che Laura aveva montato.

- Bene, mi sarà molto utile. Sai quante volte avrei voluto non ri-spondere al questore? Ora mi basterà vedere il suo numero per non av-vicinarmi neppure al telefono.

Laura parve non sentire nemmeno quella specie di frase spiritosa. Era indaffarata a cercare dell’altro in valigia. Rinaldi incassò così una nuova delusione.

- Ho notato che la tua cassetta delle lettere si trova di fianco al can-celletto d’ingresso. Si vede da questa finestra?.

- Sì, cosa vuoi fare?- Montiamo questa microcamera. Se gli verrà in mente di imbucarti

un’altra lettera di persona, lo beccheremo in pieno.

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Laura trovò il giusto punto dove posizionare quella telecamera e gli chiese il permesso di salire sulla sedia per montarvi. Rinaldi acconsen-tì e questa volta rimase in silenzio. Al termine dell’operazione, Laura scese dalla sedia e andò a chiudere la valigia che aveva portato con sé.

- Io ho finito. Forse tutto questo non servirà a nulla ma almeno evi-tiamo di fare la figura degli incapaci.

- Hai fatto un buon lavoro, come sempre.- Grazie, ma ti avevo detto di non complimentarti più con me - ri-

spose la collega mentre entrambi si dirigevano nel soggiorno. - Bene, io vado, non vorrei fare tardi.- Hai impegni?- Sì, esco con Luigi stasera.Luigi era un banchiere abbastanza agiato. Si erano conosciuti pres-

so la banca dove lui lavorava e dove lei aveva aperto un conto. Si fre-quentavano da pochi mesi. Lei affermava che non era ancora una sto-ria seria e che neanche ci pensava, per il momento, ad avercene una con lui. Ma intanto erano cinque mesi che uscivano insieme.

- Sono contento - mentì spudoratamente Rinaldi. Quel pomeriggio, aveva avuto la conferma che quella donna aveva tutte le carte in rego-la per piacergli. Lei sorrise.

- Ovviamente, se ci sono novità io sono in ogni momento reperibile. Quindi chiamami per qualunque cosa senza farti nessuno scrupolo.

E chi se li sarebbe fatti!- Certo, allora ci vediamo domani in Questura.- Già, speriamo che Giacomo venga con qualche elemento utile, do-

mani.- Lo spero anch’io.Laura annuì e rimase immobile nell’attesa che lui le aprisse la por-

ta. Il commissario afferrò il messaggio e si comportò di conseguenza.- Non mi avrai mica montato un’altra telecamera per spiarmi ven-

tiquattro ore su ventiquattro? - disse cercando di fare nuovamente il simpatico.

- E che interesse avrei a spiarti? - rispose prontamente Laura. Incassò ancora quest’altro colpo con un sorriso. - A domani, buona serata.- Anche a te, stammi bene.La osservò un’ultima volta mentre la sua figura si allontanava e ri-

chiuse la porta. Si diresse verso lo stereo e vi inserì un cd dei Doors. Si

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sedette sul divano e si accese una sigaretta. Aveva molto a cui pensare. Sarebbe stato difficile contemperare quei due tipi di pensieri così di-versi. Laura, da una parte, dall’altra quel nuovo e temibile caso che si era aperto quel giorno. Rimase assorto tra quei pensieri fino a quando giunse l’ora di andare a letto.

In fin dei conti fu una giornata molto intensa. E le seguenti lo sa-rebbero state molto di più.