GRS854_LA ROSA BIANCA

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STEFANIA AUCI

La Rosa Bianca

La Rosa Bianca

© 2012 Stefania Auci

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

Prima edizione I Grandi Romanzi Storici dicembre 2012

Questo volume è stato stampato nel novembre 2012

presso la Rotolito Lombarda - Milano

I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410

Periodico settimanale n. 854 del 15/12/2012 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

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contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

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Prologo

Parigi, febbraio 1745 «Non dite nulla, monsieur?» La donna, il viso immerso nella penombra, sor-rise. La voce, roca e calda, era carica di promesse. L'uomo aveva le labbra socchiuse; le mani erano aggrappate ai braccioli della poltrona in cui era sprofondato. Avvertì un brivido di eccitazione che dal collo giunse alle gambe, passando dal petto. Contemplò quel corpo nudo, incapace di credere alla propria buona sorte. Aveva potere, ricchezza e amicizie influenti che gli consentivano di godere della compagnia di quella donna splendida. Perché, senza dubbio, era una creatura fuori dal comune. Perfetta in ogni dettaglio: fisico snello, braccia sottili, zigomi alti e occhi intensi. La luce del ca-mino inondava di riflessi la pelle chiara. Onde di luce rossastra si mescolavano alle ciocche di ca-pelli che ricadevano lungo la linea del collo. Il petto dell'uomo si sollevò, mentre perle di su-dore affioravano sulla sua fronte. Era accaldato: forse era colpa del camino. O di quella donna. Deglutì a vuoto, prima di parlare. «Avvicinatevi.»

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Con gli occhi fissi sul suo viso, la donna si acco-stò fin quasi a sfiorargli le ginocchia con le pro-prie. Aveva ancora un sorriso appena accennato sulle labbra. E lo sguardo sotto le palpebre soc-chiuse era... affamato. L'uomo immaginò le mani sul corpo di lei, di obbligarla a fare ciò che più desiderava. La donna indossava solo il corsetto da cui i seni sembravano voler fuggire a ogni costo. Null'altro. L'afferrò per i fianchi, ma lei si puntellò contro la spalliera della poltrona. Se quel gesto rude l'ave-va infastidita, non lo diede a vedere. «Cavaliere, non abbiate fretta...» mormorò, allontanandosi di poco. «Non sapete che il vero piacere è nell'atte-sa?» gli sussurrò contro l'orecchio. Con una sola mossa si sedette a cavalcioni su di lui. Lo fissò negli occhi mentre si scioglieva i ca-pelli, ricci e scuri, lasciandoli ricadere sulle spalle, ciocca dopo ciocca. Si fece più vicina e lo circon-dò con le braccia, aderendo al petto dell'uomo, che la strinse con veemenza. Fremeva: non voleva più essere sedotto, voleva solo... «Non temete, monsieur» mormorò lei, mentre il sorriso si allargava, le labbra a un soffio dal suo viso. «Nessuno potrà mai darvi ciò che vi offrirò io.» Un colpo solo. Diretto e mortale. L'uomo si bloccò. Negli occhi, confusione. Poi rabbia. Abbozzò un urlo, ma dalla gola gli uscì so-lo un gorgoglio seguito da un fiotto di sangue. Sol-levò la mano cercando di afferrarla. «Tu... sgualdr...» Ricadde all'indietro sulla poltrona. La lama con-ficcata nella schiena penetrò fino all'elsa, ucciden-dolo. Disgustata, la donna respinse il braccio che la

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stringeva ancora e si rimise in piedi. Sullo schiena-le della poltrona, dietro il cadavere, si stava allar-gando una macchia simile a un bocciolo scarlatto in piena fioritura. La donna si guardò attorno, i sensi all'erta. Dagli occhi scuri era scomparsa qualunque luce. Il viso sembrava quello di una statua di marmo: perfetto e immobile. Raccattò in fretta gli abiti e si rivestì al-la meglio; appuntò i capelli in uno chignon fer-mandoli con uno spillone, infine si avvicinò al corpo, lo spinse in avanti e sfilò via lo stiletto che nascondeva nell'acconciatura. Pulì la lama sulla giacca del cadavere con un gesto metodico e na-scose l'arma tra i capelli. Quando si dice astuzia femminile... Scoccò un'occhiata all'immagine riflessa nello specchio. Era impeccabile e bellissima come sem-pre. Una carrozza scura l'attendeva in una stradina sul retro del palazzo. La donna vi salì e subito la vettura si mise in moto, cigolando sul selciato pa-rigino lucido di pioggia mista a nevischio. La città si stava lentamente svegliando: una sfumatura di viola si insinuava nel cielo nero mentre le strade iniziavano a popolarsi. L'alba non era lontana. La carrozza si arrestò con una frenata tintinnante di fronte a un portone di legno in una stradina poco distante dal Palais Royale. C'era silenzio, e nebbia, e freddo. La donna rabbrividì nell'aria gelida e si strinse nel mantello. Con un cenno, congedò il cocchiere e bussò alla porta. Un istante dopo, un uomo anziano in livrea scu-ra spalancò l'uscio. Sul viso, una maschera di com-postezza. «Madame, bentornata.» La donna annuì: la stanchezza e la tensione della notte la stavano aggredendo senza lasciarle scam-po. «Gerard, dite a Louise di preparare un bagno

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caldo in camera, insieme a una colazione leggera» ordinò togliendosi soprabito e guanti. Una piccola scala portava al piano superiore immerso nel silen-zio; dal basso, invece, giungevano i rumori pigri della casa che si svegliava. Salì i gradini con la schiena ben eretta, passo dopo passo. La stanza si trovava in fondo a un cor-ridoio poco illuminato. Appena vi giunse, chiuse la porta e si lasciò cadere sul letto a occhi chiusi. Ecco. Sorrise con un angolo della bocca. Assaporò il buon odore che proveniva da un vaso sul tavolo al centro della stanza. Rose. Era profumo di casa, di tranquillità. Ma prima... Si rimise a sedere e iniziò a spogliarsi. Voleva togliersi di dosso quegli abiti, in fretta, cancellare l'odore di sudore sporco che quell'uomo emanava. Rise di nuovo, scuotendo la testa: lo sciocco cava-liere Emile di Saint Lazaire aveva scelto male i suoi nemici. Il flusso dei suoi pensieri procedette lento come un torrente a valle: era esausta, aveva bisogno di un bagno e di una dormita. Poi sarebbe andata dal proprio datore di lavoro, il Giglio. E lì, avrebbe ri-scosso il suo – lauto – compenso. Dal corridoio, giunse il vociare di serve: subito dopo, la porta si aprì e Louise, una robusta bretone dai fianchi larghi, entrò nella stanza con secchi d'acqua, seguita da altre due ragazze di fatica. Mentre la donna chiedeva alla cameriera di toglier-le busto e panier, le serve prepararono la tinozza per il bagno dinanzi al camino, attizzarono la fiam-ma e distesero i teli sul fondo della vasca. Infine lasciarono sola la padrona portando via la bianche-ria sporca. La donna si tolse anche la camicia, la scalciò via e, nuda, entrò nell'acqua. Era bollente, tanto da far-

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le arrossare la pelle, ma era così che le piaceva. S'immerse tutta, raccolse le ginocchia contro il to-race e chiuse gli occhi, ascoltando il crepitio som-messo del fuoco. Era il suo personale rito di purificazione, dopo ogni incarico. Trascorse un tempo indefinibile quando udì la maniglia della porta girare. Qualcuno entrò nella stanza di soppiatto. La donna serrò le labbra in una smorfia di stizza: stanchezza e torpore le avevano fatto abbassare la guardia. Afferrò lo spillone na-scosto tra i capelli e si voltò di scatto con il braccio teso in avanti. La lama si trovò a un palmo dal bassoventre di un gentiluomo. «Per l'amor del cielo, mia signora!» L'uomo in-dietreggiò ridendo e alzò le mani in segno di resa. «Non attenterei mai alle vostre grazie o alla vostra virtù. Sapete bene che altri sono i miei gusti.» Con un sospiro di fastidio, la donna lasciò cade-re l'arma sul pavimento e sollevò i capelli dalle spalle umide. «I vostri gusti sessuali lasciano a de-siderare come la vostra educazione, Delauny. Non vi hanno insegnato a bussare?» chiese, tornando a immergersi nell'acqua calda. L'uomo fece una smorfia simile a un sorriso. Si strinse nelle spalle, noncurante, e prese a passeg-giare per la stanza guardandosi attorno. Era vestito con una marsina scura e lucidi pantaloni blu; tutta-via, sotto lo strato di cipria, il viso appariva palli-do, forse anche tirato. Si tolse la parrucca con un gesto stanco e la gettò ai piedi del letto, quindi si avvicinò alla tinozza scompigliandosi con una ma-no i capelli chiari. La donna lo squadrò in silenzio. Aveva lo stesso sguardo delle tigri che vedono un altro felino aggi-rarsi per il proprio territorio: placido, ma guardin-

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go. Lo osservò sedersi davanti a lei su uno sgabel-lo dove si trovava un telo per asciugarsi mentre continuava a massaggiarsi le braccia con un sapo-ne alla rosa. «Vi siete seduto sul mio lenzuolo da bagno, De-launy» commentò secca, abbandonandosi contro la parete della tinozza. Il corpo nudo risplendeva sotto il velo d'acqua fumante. L'uomo distolse lo sguardo, a disagio, e lei rise, sfacciata, gettandogli uno schizzo sul viso. «Cosa c'è? Non riuscite a sopportare nemmeno la vista di una donna senza abiti? O temete che possa farvi cambiare idea con le mie bellezze?» lo derise. Allungò una gamba e gli accarezzò con il piede l'interno del ginocchio, bagnando il taffettà. Delauny represse un gesto di esasperazione, poi l'allontanò dalla propria coscia con un buffetto. «Smettetela di dire sciocchezze. Com'è andata con Saint Lazaire?» Lei tornò a insaponarsi. «Bene. Potete riferire al nostro comune datore di lavoro che non sarà più infastidito.» L'uomo accolse la risposta con un'alzata di so-pracciglia e abbassò lo sguardo sulla fibbia dorata delle proprie scarpe. «Me ne compiaccio. Perché, sapete, Sua Eccellenza ha per voi un altro compito e...» «Cosa? No, scordatevelo! Ero stata chiara su questo punto, con voi e con lui. Ho bisogno di tranquillità e non accetterò mandati per i prossimi tre mesi.» Delauny la sbirciò in tralice, accarezzandosi il mento. «Sarebbe l'ultimo per molto, molto tempo. Forse per sempre.» La saponetta finì sul fondo della tinozza con un tonfo. «No. Per tutto l'oro del mondo, no!» L'uomo scrollò le spalle; si rimise in piedi e ini-

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ziò di nuovo a passeggiare per la stanza. Fuori, il sole stava baciando una Parigi assediata dall'inver-no con raggi freddi e dorati. Delauny scoccò una occhiata alla donna, poi si avvicinò alla toeletta. Prese degli oggetti e li osservò senza un vero inte-resse. «E se fosse davvero per tutto l'oro del mondo?» le chiese d'un tratto, osservandola nel riflesso dello specchio. La donna alzò gli occhi, scrutandolo con espres-sione scaltra, quasi affilata. Stavolta aveva ottenu-to la sua attenzione. La sua completa attenzione. «Quanto?» «Abbastanza da potervi ritirare nella proprietà in Linguadoca che avete acquistato due anni fa e da poter vivere lì come una vera, nobile signora fino alla fine dei vostri giorni.» «Io sono una vera signora, Delauny» replicò lei, glaciale. «Allora? Quanto?» «Vi lascia libera di fare il prezzo.» Occhi freddi lo scrutarono. Sotto quello sguardo scuro e tagliente, l'uomo si voltò a disagio. «Ha detto che vuole voi e solo voi per questo incarico.» «Quando? E dove?» lo incalzò lei. L'uomo scosse la testa. «Non so quando, mi di-spiace. Ma posso dirvi quale sarà il luogo.» La donna lo guardò intensamente. Ebbe la sen-sazione, fugace eppure fortissima, che in quel mo-mento la sua vita sarebbe cambiata per sempre, in un modo o nell'altro. E che qualcosa si fosse già messo in moto, che lei volesse o meno. Delauny ricambiò l'occhiata con un misto di ti-more e incertezza. Infine, rispose senza sorridere. «Scozia.»

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Edimburgo, ottobre 1745 Suono di violini e di archi mescolati a cornamuse, fruscio di abiti, olezzo di sudore e sego di candele. C'era un ballo a Holyrood Palace. Una festa son-tuosa in puro stile francese, come piaceva al Prin-cipe Carlo, ultimo erede degli Stuart e capo della ribellione giacobita. Bonnie Prince Charlie adorava quell'edificio e aveva deciso che sarebbe stato ve-ramente la sua reggia, anche se si trovava ai margi-ni di una città sovraffollata, povera e sporca come Edimburgo. Cameron Grant arricciò il naso e si appoggiò alla parete, incrociando le braccia: si trovava dinanzi a un muro di odori, suoni e luci da cui era impossibi-le fuggire. Gli occhi castani scrutarono con uno sguardo infastidito la folla che si muoveva al ritmo di una delle danze che il Principe Carlo aveva im-portato dalla Francia. Movimenti inquadrati in co-reografie rigide che imprigionavano la bellezza dei corpi ed eliminavano grazia e vitalità. Cameron si schiarì la voce e si avvicinò con la testa all'uomo accanto a lui. «Mio illustre avvocato oltre che amico fraterno, ricordami perché stiamo fissando questa massa di

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damerini mentre potremmo andare alla ricerca di qualche sottana. E che sia davvero un buon motivo, se non vuoi che mi metta a urlare per la noia.» L'amico, un uomo alto dai capelli neri e lo sguardo opaco come acciaio, rispose a mezza voce, mantenendo lo sguardo fisso sulla folla. «Perché stiamo aspettando Lord Lewis Gordon per cono-scere il nostro prossimo incarico, cosa che avverrà solo dopo che avrà conferito con il principe. E no, non andremo a caccia di donne.» Cameron si passò una mano tra i capelli scuri abbozzando un ghigno sconfortato. Lui e Oliver Gordon, il suo compagno, erano tra i pochi a non portare la parrucca, il che era una fortuna, visto il caldo che soffocava la sala. «Ah, già, tu sei un uomo sposato e fedele.» Oliver gli scoccò un'occhiata irritata. «Di' un po', da quanti anni ci conosciamo?» L'amico si strinse nelle spalle. «Dieci? Dodici?» «Esatto. Dovresti sapere cosa penso del matri-monio.» Cameron assentì convinto. «Appunto. Sei una causa persa. Nessun uomo sano di mente può ac-cettare di vivere con un cappio al collo per l'eterni-tà.» Ma Oliver non lo stava più ascoltando: teneva gli occhi fissi verso un angolo della sala, dove alcuni uomini del consiglio di guerra parlavano animata-mente. E i toni sembravano crescere di minuto in minuto. Cameron seguì lo sguardo dell'amico. «Gli Ir-landesi?» domandò a bassa voce, serio. Oliver annuì impercettibilmente. «E i Francesi. Poche teste in grado di pensare e troppe idee.» Un lampo di rosso. Fu un istante, un baleno, ma catturò lo sguardo di Cameron costringendolo a seguirlo, a cercare

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quel colore fra le decine di persone che si muove-vano nella sala. Era una fiamma, un fuoco che dan-zava... vicino al Principe Carlo e agli uomini del consiglio di guerra. Una donna. La pelle luminosa senza bisogno del bianco artificiale della cipria, la bocca socchiusa in un sorriso appena accennato, pronta per schiudersi da lì a pochi istanti in una risata d'argento. Quasi senza rendersene conto, Cameron tratten-ne il respiro. Era viva, vibrante. Lo percepiva, an-che a distanza: i suoi gesti erano pieni di una grazia naturale, anzi, di più. Una sensualità pura e perfet-ta. «Chi è quella dama? Quella con l'abito rosso?» L'amico inclinò il capo, poi strinse gli occhi in un sorrisetto. «Mi domandavo come mai non l'a-vessi ancora notata.» «Ero distratto» rispose Cam, piccato. «Tu?» Stavolta, la risata di Oliver risuonò forte. «Tu saresti capace di fare la corte alla Morte in persona.» «Perché no? Lo farei, purché fosse una bella donna» ribatté Cameron. «Quanto a quell'angelo laggiù, ancora non la conosco, ma porrò subito ri-medio a questa colpevole mancanza.» Si specchiò in uno dei vetri delle portefinestre della sala. Era alto, con un viso regolare e affilato, grandi occhi nocciola scuro, il fisico asciutto, le gambe lunghe e scattanti. Un uomo affascinante che sapeva bene di esserlo. «Non potrà resistermi» commentò sorridendo al proprio riflesso. «Nessuna donna riesce mai a resi-stermi.» Oliver gli si accostò, parlando a bassa voce. «Il suo boudoir è già occupato. È in compagnia di uno degli ufficiali del battaglione francese.» «Non è un problema. Non sono un tipo geloso»

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commentò lui ridacchiando. Mise in ordine il col-letto della blusa. «Una deliziosa Francesina? Oui! Sarà tra le mie braccia prima di un'ora!» L'amico gli lanciò un'occhiata d'avvertimento at-traverso il vetro. «Non creare guai. Ricorda chi sei e qual è il tuo ruolo.» Vi fu una pausa di silenzio. Stavolta fu Cameron a lanciargli uno sguardo duro. «Non pianterò grane. So chi sono.» Uno dei Fedelissimi, spie al servizio di Lord Lewis Gordon, combattenti votati fino alla morte alla causa giacobita. Lui. Oliver e il fratello Aidan. Alexander Mor-gan. Marcus Hamilton. Cinque uomini legati da un'amicizia indissolubile e da un'idea condivisa da un'intera nazione: riportare sul trono scozzese gli Stuart. Avevano lasciato case e famiglie ad Aber-deen per seguire il loro ideale, e adesso erano lì, a Edimburgo, pronti a imbarcarsi in una nuova mis-sione dietro le linee inglesi. L'espressione di Oliver rimase seria. Non ag-giunse altro, mentre Cameron si allontanava tra i ballerini con la sua andatura sinuosa, simile a una volpe. Lasciò scorrere lo sguardo fino alla donna vestita di rosso che ballava al centro della sala. Un sorriso di derisione si fece largo sulle sue labbra con lentezza. «Oh, amico... credo proprio che que-sta sarà la prima volta che una donna ti dirà di no.» Muovendosi tra la folla, Cameron percorse un cerchio fino a giungere dall'altra parte della sala, giusto vicino al gruppo dove si trovava la dama in rosso. Appoggiato alla parete, l'uomo poté osser-varla con più agio: l'abito era di raso, con una scol-latura impreziosita da una collana di perle. Vistoso, certo, ma non volgare. Era... insolito. Come se volesse abbagliare, più che sedurre. Era

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l'abito di una cortigiana indossato da una regina. La osservò danzare una pavana, mentre conser-vava un presagio di sorriso sulle labbra, come se non avesse alcun pensiero se non quello del diver-timento. Eppure, gli occhi le vagavano per la sala, attenti, forse alla ricerca di qualcuno. Sapeva di non essersi sbagliato. Quella era la sua dote principale tra i Fedelissimi: cogliere ciò che gli altri non vedevano. Le sfumature che nessuno riusciva a percepire. Cameron ne seguì lo sguardo: per ben due volte si posò sul gruppo di uomini che attorniavano il principe. Un'occhiata discreta ma decisa, seguita da qualcosa di sottile: un'ombra nel-lo sguardo, un'increspatura della fronte. Strano. Non vi erano militari francesi da quelle parti. Che la bellezza in rosso mirasse a uno degli alti funzionari del seguito di Carlo... o a Carlo stes-so? Punti tanto in alto, mia signora?, si chiese, ap-prossimandosi al fondo della sala. La pavana stava per terminare e Cam voleva trovarsi vicino a lei al termine delle danze. Più l'osservava, più avvertiva il corpo vibrare. Nessuna delle donne che aveva sedotto – o da cui si era lasciato gioiosamente se-durre – era stata così bella. Forse, la figlia di quel fabbro ad Aberdeen... Ma no, nemmeno quella se-dicenne dalla bocca esperta e dal corpo morbido aveva avuto tanta bellezza. Questa era la perfezione. Delauny, maledizione ti colga, che fine avete fat-to?, pensò la donna scrutando la folla. Era stata co-stretta a danzare con Duprès, un tenente francese, allontanandosi dal gruppo di dame che seguivano il principe alla costante ricerca di un suo cenno di in-teresse. Odiava mescolarsi a quelle donne stupide,

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ma doveva farlo. Era la sua copertura: mantenuta di Jacques Delauny, cortigiana disponibile al miglior offerente, Carlo Stuart compreso. Durante il ballo si era scatenata una furiosa di-scussione tra alcuni consiglieri di Carlo. Dissapori sulla linea d'azione da seguire, probabilmente. Nul-la di cui lei non fosse già a conoscenza, ma stavolta i toni sembravano essere accesi. Represse un sospiro di stizza e roteò con un in-chino seguendo la coreografia. La Francia teneva un atteggiamento ambiguo nei confronti dello Stuart e delle pretese degli Scozze-si: appoggio sì, ma limitato. Quella ribellione ri-schiava di tramutarsi in una palla di cannone con una miccia troppo corta che avrebbe distrutto chi-unque si trovasse in mezzo alla mischia. E lei era lì, come Delauny, per comprendere quando lo stoppi-no sarebbe arrivato troppo vicino alla polvere da sparo. La musica finì all'improvviso, sbriciolando il flusso dei suoi pensieri in frammenti disordinati. Lei sorrise meccanicamente al compagno e declinò l'invito per un altro ballo. I danzatori si stavano di-videndo in due schiere per il ballo successivo. Si guardò attorno. Di Delauny, nessuna traccia. Spero solo che non si stia rotolando nel fieno con qualche valletto o gli torcerò il collo con le mie mani. Due occhi scuri la stavano osservando dal fondo della sala. Li ignorò. Non era insolito per lei avere sguardi puntati addosso. Occhiate di lascivia, ma-levolenza, curiosità, ammirazione... emozioni che lei sapeva bene di poter suscitare. Se le scrollava di dosso con indifferenza. Una pioggia che non pote-va bagnarla né sporcarla. Con fare disinteressato, passò di nuovo in rasse-gna la sala. Quegli occhi scuri erano ancora lì e la

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scrutavano con attenzione mista a desiderio. Ma questa volta... Delauny comparve al suo fianco all'improvviso. Le afferrò le mani e se le portò alle labbra, poi l'at-tirò in un abbraccio. «Dove siete stato, accidenti a voi?» sussurrò, a-dirata. Attorno a loro, occhiate di invidia si mesco-larono ad aperta ammirazione. «A cercare notizie» rispose Jacques, sfoderando un sorriso fascinoso. Non amava le donne, ma sa-peva essere un simulatore straordinario: la passione che esprimeva il suo sguardo avrebbe tratto in in-ganno chiunque. Le sfiorò la nuca con le labbra, incurante degli sguardi che erano divenuti scanda-lizzati. «Ho delle novità. Seguitemi nella galleria dei ritratti. Avete il cifrario con voi?» Un'occhiata altera accompagnò la risposta della donna. Sfiorò il bracciale di filigrana che portava al polso: strani arabeschi si intersecavano nell'oro, rincorrendosi tra smeraldi e perle. «Sempre.» Jacques annuì, facendosi largo in mezzo alla fol-la. «Bene. Perché questa sera...» La sua compagna si bloccò e arretrò di un passo all'improvviso. Una voce di una ragazza, un grido maschile, un urto. Poi un tonfo e il suono di stoffa che si lacera-va. Un istante dopo, l'abito rosso aveva assunto un intenso color Borgogna, e ne aveva anche l'odore. Ai piedi di Delauny, un cameriere con la parrucca di traverso e una larga macchia di vino sulle bra-che, scucite nel punto meno opportuno. Il Borgo-gna sgorgava a fiotti dal collo spezzato della botti-glia, inzuppando gli orli degli abiti. «Santo cielo, non volevo...» biascicò il valletto. Alzò gli occhi azzurri carichi di vergogna, osser-

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vando con orrore il vestito che gocciolava lacrime di vino. «Mio Dio, cosa ho combinato! Non vole-vo, madame, lo giuro!» Si mise in ginocchio, rac-cattando i cocci dei bicchieri e continuando a im-plorare il perdono della donna che lo fissava come se volesse incenerirlo. Attorno a Delauny e alla sua accompagnatrice si assiepò un capannello di curiosi. A denti stretti, la dama passò le dita sull'abito macchiato. Era intriso di vino, forse rovinato per sempre. Qualcuno aiutò il cameriere a rimettersi in piedi, mentre Jacques ti-rava fuori dalla tasca un fazzoletto di batista e mer-letto. Lei gli riservò una delle sue occhiate affilate. «Grazie, ma non mi è di grande aiuto» sibilò, ac-cennando con uno sguardo al pizzo bianco. Lo usò per asciugarsi le dita umide, poi lo ficcò tra le mani di Jacques con un gesto secco. «Cercherò una stan-za dove rimettermi in ordine. Sarò alla galleria tra venti minuti. Attendetemi là.» Jacques Delauny. Capitano del battaglione degli Écossais Royaux inviato dalla Corona. Dunque era lui il protettore di quella bellezza. Cameron socchiuse gli occhi, staccandosi dalla pa-rete con un movimento pigro. La coppia si stava di-rigendo all'uscita della sala, verso il grande atrio che portava alla scala e alla galleria. Nei giorni precedenti aveva notato quel militare dai modi raffinati, intento a scambiare chiacchiere con alcuni capiclan o con i comandanti della briga-ta irlandese. Cosa strana, visto che i Francesi prefe-rivano non mescolarsi con gli Scozzesi, ritenendoli selvaggi montanari. Solo pochi tra i membri dell'a-ristocrazia locale godevano della loro stima, cioè coloro che erano stati educati in Francia e che ap-parivano adeguatamente civilizzati per i loro cano-ni di comportamento.

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Jacques Delauny. Probabile osservatore del go-verno francese. Con la mano che sfiorava il pugnale alla cintura, li seguì attraverso la sala, ma dovette fermarsi e na-scondersi tra la folla quando un valletto con un vassoio carico di bottiglie e bicchieri li urtò, nel tentativo di evitare delle coppie che danzavano. Gli occhi di Cameron si spostarono rapidamente dall'ufficiale alla donna. Lei aveva mantenuto un controllo invidiabile nell'incidente: non aveva stril-lato né era esplosa in pianti disperati. Si era limitata a uno scatto che le aveva impedito di ricevere il colpo della bottiglia in pieno viso. Insolito. Singolare era stato anche il gesto di Delauny. La sua mano era corsa sotto la giubba, dove Cameron aveva intravisto l'elsa piatta di uno stiletto. Non a-veva cercato l'impugnatura della spada, come ci si sarebbe aspettato da un militare. Un pugnale sottile. Nascosto in una tasca della giacca. A una festa da ballo. Molto insolito. Cameron sentì il suo istinto vibrare. Piano, ma in maniera insistente. Si fece largo tra la folla e continuò a seguire la figura in rosso. La vide lasciare la sala e oltrepassa-re il corridoio per dirigersi verso le stanze che da-vano sulla tenuta alle spalle di Holyrood. Immerso nella penombra, celandosi dietro le mezze colonne che decoravano il passaggio, continuò a seguirla fi-no a che non la vide sparire dietro una porta bianca. Stava per lasciare il nascondiglio quando udì dei passi risuonare nel buio. Si appiattì contro la pare-te, mescolandosi all'oscurità dell'androne deserto. Quanti galli nel pollaio, madame, considerò con un'alzata di sopracciglio. Era l'ufficiale con cui a-veva ballato: un tizio alto e allampanato, Armand

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Duprès. Anche lui l'aveva seguita e adesso stava entrando nella stessa stanza. Cameron guardò dinanzi a sé, concentrato: c'era una porta socchiusa sotto cui si intravvedeva una lama di luce. Su quel corridoio si affacciavano le sale che davano sul retro del palazzo, poco distante dalla cappella medievale. I parapetti delle finestre erano bassi. E lui era molto agile. Nel buio, la bocca sottile di Cameron si aprì in un sorriso. «No, non ho alcuna novità dalla Francia dal vo-stro comando. Quel cameriere idiota mi ha impedi-to di ascoltare cosa stava per dirmi Delauny.» Con voce adirata, la donna risciacquò le mani nel bacile e tamponò l'abito con una pezzuola umida. L'odore del vino era nauseante e l'acqua stava facendo dila-tare la macchia sull'abito. Stizzita, gettò il panno sul tavolo dove si trovavano brocca e bacinella. «Voi, piuttosto!» esclamò, cambiando tono. «Vi ho visto parlare con McCammon, all'inizio del ballo. Avete delle novità per me?» concluse voltandosi a fissarlo. Duprès sorrise a mezza bocca. «Quell'uomo è uno sbruffone. Dichiara di avere contatti con degli ufficiali a Castle Rock. Afferma persino che gli In-glesi sarebbero pronti alla resa.» Fece una risata secca. «Idiozie! I nostri rapporti parlano di una guarnigione ben nutrita e addestrata, con scorte per almeno sei mesi.» La donna incrociò le braccia sul petto appog-giandosi al tavolo e lo scrutò. «La cittadinanza te-me ritorsioni nel momento in cui le armate del principe lasceranno Edimburgo. Voi che ne dite?» Duprès si strinse nelle spalle con un gesto indif-ferente, osservandola di sottecchi. Negli occhi az-zurri, una luce che assomigliava alla derisione, tan-

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to sfacciata da somigliare a una sfida. «E voi, si-gnora? Che ne pensate?» «Le mie valutazioni non sono affar vostro, Du-près. Siete qui in veste di osservatore militare e di ufficiale del battaglione francese, null'altro. Allora? Quante probabilità potrebbero esserci di una capi-tolazione del contingente inglese a Castle Rock?» Il viso dell'uomo s'irrigidì. Abbassò lo sguardo, mentre le labbra si serravano in una piega dura. «Praticamente nessuna. Come ho già precisato, mi sento di escludere che gli Inglesi possano arrender-si e tentare di espugnare il forte è un suicidio. Lo stallo potrebbe durare mesi. Tutto adesso dipende dalla volontà del principe di proseguire le ostilità sul suolo inglese e dall'esito di tale conflitto. Allo stato dei fatti, il principe ha un numeroso gruppo di volontari organizzati dai clan, poche decine di mi-gliaia di veri soldati e armamenti scarsi. Sono risor-se insufficienti per programmare un conflitto nel lungo periodo. La Francia, al momento, non ha al-cuna intenzione di impegnarsi in una guerra in In-ghilterra, che sarebbe onerosa e dall'esito incerto, nonostante i sogni di gloria di Carlo Stuart. Non ne ha l'interesse, non ora che la situazione in Europa è così precaria: la guerra delle Fiandre ha indebolito lo status quo e l'influenza della Francia sul conti-nente. Lo sapete meglio di me.» Lo sguardo della donna rimase fisso su di lui. Appariva assorta, ma nulla dei suoi pensieri trape-lava all'esterno. Con un sospiro, si staccò dal tavolo e si avvicinò al militare. «Molto bene, Duprès. Vi ringrazio per la vostra solerzia. Potete andare.» Sorpreso per quel congedo brusco, l'uomo aprì le labbra per inseguire la possibilità di una risposta, ma lei lo bloccò. «È tutto. Confido nel vostro acume per avere al-tre notizie entro breve tempo» concluse gelida.

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Lo sguardo dell'uomo fu offuscato da un risen-timento cocente. La donna lo scorse chiaramente, prima che abbassasse gli occhi. Con la mascella serrata, lui eseguì un saluto formale e si allontanò, chiudendosi la porta alle spalle. Solo allora, la donna si concesse di rilassarsi. Abbandonò la postura rigida e si appoggiò di nuo-vo al bordo del tavolino, a occhi chiusi. Odiava Duprès e il suo modo di guardarla. Odiava quell'incarico. E, soprattutto, odiava la Scozia. Scosse la testa e si tolse la parrucca, lasciandola cadere a terra. I capelli scuri, legati da forcine, le ricaddero sul collo. Aprì gli occhi e fissò il vuoto, la bocca socchiusa in una piega amara. «Che strano destino è il mio...» mormorò. «Dite? E ancora non è accaduto nulla, mia signo-ra.» Lei si voltò di scatto verso la finestra. Due occhi, quegli occhi, la stavano fissando con aria divertita. «Ancora non avete conosciuto me.» Cameron era seduto sul davanzale della finestra, una gamba piegata contro il petto, l'altra che penzo-lava all'interno e un sorriso sfacciato sul volto. A-veva approfittato del congedo di quel Francese per entrare nella stanza mentre lei gli dava le spalle. Strana donna, quella. Perché mai una cortigiana aveva interesse a conoscere le reali condizioni degli Inglesi asserragliati a Castle Rock? E come poteva congedare con tanta alterigia un graduato del batta-glione francese... come se fosse lei a dare ordini? La donna lo stava osservando a occhi socchiusi. Guardinga. Il viso si era irrigidito, le labbra strette, le mani serrate a pugno. Una luce d'ambra e fuoco brillava nel fondo degli occhi castani. Sei pericolosa, bellezza.

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Cameron percepì quella sensazione con chiarez-za, un'onda che lo colpì per ritrarsi subito nel buio dell'istinto. Impercettibilmente, il suo sorriso mutò. La donna arretrò, lenta, frapponendo il tavolo tra sé e l'uomo che, nel frattempo, era sceso dal davanza-le avanzando al centro della saletta. «Cosa volete? Come vi permettete di importu-narmi?» Aggressiva, decisa. Cameron abbassò di poco le palpebre, scrutandola in tralice. Uno scozzese par-lato con un leggero accento straniero, ben diverso dal francese impeccabile che aveva usato con Du-près. «Vi sto molestando in qualche modo, madame?» «La vostra sola presenza è fonte di fastidio.» L'uomo incrociò le braccia e poggiò il viso su una mano, osservandola con attenzione. Negli oc-chi, un'aria irriverente. «No.» La donna spalancò gli occhi. Era sinceramente stupita. «Come sarebbe a dire no?» Cameron avanzò di un passo. «Mia divina signo-ra, un no è un no. Non tutti gli uomini si fanno met-tere alla porta come quell'allocco in divisa che ave-te congedato.» Sorrise, scaltro. Aveva raggiunto il tavolo, così appoggiò le mani sul piano chinandosi in avanti. «E già che siamo in argomento, che inte-resse avete voi per le condizioni della guarnigione inglese di Castle Rock?» «Interesse professionale. Devo conoscere argo-menti di cui discutere con i gentiluomini che fre-quento.» «Ah. I signori che incontrate vi dilettano con a-nalisi sulle tecniche militari anziché con sonetti d'amore? Dovreste cambiare frequentazioni, mada-me...?» Le palpebre della donna si socchiusero. Un sorri-so di puro sarcasmo le brillò negli occhi senza però

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giungere alle labbra, che rimasero severe. «Non vi ho detto il mio nome. Non siamo stati presentati e spero di non dover mai avere un simile dispiacere.» L'uomo emise una risata compiaciuta. Si spostò verso il lato del tavolo, le lunghe dita che danzava-no sul bordo di legno. «Oh, me lo direte.» Due passi a destra. La donna ripristinò le distan-ze. «Non vedo come potreste costringermi.» «Vi narrerò le tattiche di guerriglia degli High-lander dal Quattrocento a oggi con tale precisione che sarete conquistata dalla mia perizia militare e crollerete ai miei piedi.» Occhi scuri lanciarono uno sguardo feroce. «È una battuta idiota. Lo sapete, vero?» «Sul serio? E io che pensavo di avervi delizia-to!» «È questo il vostro errore: pensate troppo. Do-vreste agire di più. Uscire da quella porta sarebbe un ottimo esempio di azione.» «Anche baciarvi fino a togliervi il respiro po-trebbe essere un magnifico esempio di azione.» Il silenzio si insinuò tra loro come un gas e si di-latò fino a saturare la stanza. La donna alzò le sopracciglia e si allontanò di un passo dal tavolo. Lo stava schernendo apertamente, sfidandolo con lo sguardo. «Provateci» lo affrontò, pronta a scattare. Nessuno l'avrebbe baciata senza il suo consenso. Cameron saltò sul tavolo. Non lo aggirò, non ci provò neppure. Balzò sul piano e, con un colpo di stivale, buttò a terra la bacinella irrorando il tappe-to. In due passi arrivò alla sponda opposta e si la-sciò cadere dinanzi a lei. Sorrise. Un sorriso sornione, da gatto che ha beffato una muta di cani.

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La donna lo fissò, sbalordita. Tutto si aspettava, ma non quello. Era vicino, troppo vicino: poteva sentire il calore del suo respiro sul viso, l'aroma leggero del sudore. Gli occhi di quell'uomo non e-rano semplicemente castani: erano di un caldo mar-rone dorato, screziati di scuro. Arretrò, ma il brac-cio di Cameron la bloccò per la vita. «Allora, mia divina signora? Qual è il vostro nome?» Gli occhi di lei si strinsero sino a diventare due fessure. Voleva disperatamente ridurlo in cenere. O infilargli lo spillone in gola. O strozzarlo. «Non risolverete nulla con le occhiatacce, dol-cezza. Il vostro nome. Qui. Subito.» La presa del braccio di Cameron si fece salda. «Annette Pontmercy» ringhiò, tentando di divin-colarsi. Cameron la strinse più forte. Stavolta i loro corpi si toccarono, corsetto contro camicia, pelle contro pelle. Un braccio dell'uomo le bloccò le mani lungo il corpo. «Mmh, avverto dell'insofferenza nella vostra vo-ce. Non vi piace il vostro nome? Io lo trovo deli-zioso, e trovo ancor più piacevole tenervi fra le braccia.» «Siete davvero un idiota. E il vostro abbraccio mi disgusta!» A quella frase, Cameron spalancò gli occhi. «Mi state offendendo» considerò, tra il serio e l'irriden-te. «Volevo soltanto sapere come mai una donna splendida come voi stava parlando di affari militari riservati con un ufficiale del contingente francese trattandolo come un lacchè. Siete ingiusta, sapete?» Si chinò verso di lei. Annette si ritrasse d'istinto, reclinando la testa. Le labbra di Cameron trovarono il suo orecchio. La voce di lui divenne bassa, calda; l'accento scoz-

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zese una sorta di melodia imprigionata tra le paro-le. «Era solo una domanda. Non sono un mascal-zone» mormorò compunto. Sembrava persino sin-cero. Per la prima volta da anni, Annette si ritrovò senza parole. E non solo perché lo sconosciuto a-veva ascoltato il dialogo con Duprès o perché era imprigionata tra le sue braccia. No. Il suono della voce di quell'uomo era una musica che le accarezzava il cuore con dita di raso. Respirò piano, allontanando da sé quel pensiero pe-ricoloso. Nessuna debolezza. Mai. «Vi ho già spiegato perché.» «Bugiarda. Eccellente, lo riconosco, ma sempre una bugiarda.» Offendilo. Fallo infuriare. Abbasserà la guardia e potrai liberarti di quest'uomo. Annette ridacchiò. Gettò la testa indietro e gli lanciò un'occhiata di scherno. «Nessun gentiluomo tratterrebbe mai una donna contro la sua volontà. Siete davvero un seduttore di capre!» Cameron le sollevò il mento con la mano in un gesto gentile, ma fermo, e la fissò negli occhi. «Fe-rite il mio orgoglio, signora. Se avessi voluto se-durvi, avrei fatto... questo.» Un bacio leggero le sfiorò la tempia, sorpren-dendola. Un altro lo seguì in fretta lungo la curva del sopracciglio. «E questo.» Il tocco lieve, quasi rubato, della sua bocca le sfiorò la gola. «E que-st'altro.» Il bacio sulle labbra arrivò all'improvviso. L'uo-mo le aveva liberato le braccia per racchiuderle il viso tra le mani. Era delicato e deciso insieme. Annette sbarrò gli occhi per una manciata di se-condi, incapace di credere a ciò che stava accaden-do. Un perfetto sconosciuto la stava baciando. C'e-

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ra in lui una passione gentile, qualcosa che non a-veva mai sperimentato. Troppo, per una come lei. Prima il calore bruciante al viso. Poi il dolore al ventre. Cameron arretrò di colpo, urtando il tavolo. Guardò la donna con aria ferita. «Ehi! Mi avete picchiato!» protestò con la mano sulla guancia dolorante. Aprì la bocca un paio di volte. La mandibola era a posto... almeno per il momento. «Avete un gancio destro formidabile, si-gnora.» Il sorriso di Annette era soddisfatto. «Una donna deve sapersi difendere.» «Difendersi da cosa?» Fermo sulla soglia, con una mano sull'elsa della spada e gli occhi puntati su Cameron, c'era Jacques Delauny. Annette si concesse un sospiro di sollievo. Tese la mano a Jacques e lui la raggiunse, cingendole la vita con il braccio. «Cosa è accaduto, mia cara?» chiese in francese. Il suo sguardo diffidente squa-drò lo Scozzese dalla guancia destra stranamente arrossata. La donna gli strinse due dita con la mano: un ge-sto concordato che indicava pericolo. «Quest'uomo mi ha sentito parlare con un vostro commilitone e ha tratto conclusioni errate.» Con gesti calmi, rac-colse la parrucca da terra e la poggiò sul tavolino: era zuppa d'acqua del catino. Forse avrebbe dovuto buttare anche quella. Una serata fallimentare per il suo guardaroba, non c'erano dubbi. Jacques le sfiorò una gota con le dita, mentre il suo sguardo s'incupiva. Annette ebbe un brivido nel ricordare come Ca-

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meron le aveva preso il volto fra le mani prima di baciarla. «Vi ha infastidito? Vi ha forse mancato di rispet-to?» Annette scoccò una lunga occhiata allo Scozzese che la stava fissando sfacciatamente, un sopracci-glio alzato in attesa della risposta. Sembrava quasi pregustare l'idea di un duello, con quell'espressione insolente. «No» sibilò alla fine. Non poteva e non doveva attirare l'attenzione su di sé o su Delauny. Quello che era accaduto era già abbastanza grave. Si era lasciata sorprendere come una principiante. «Sono lieto di sapere che il mio interesse non è stato frainteso, Madame Pontmercy. Non vorrei mai arrecarvi alcun fastidio.» Annette si irrigidì. L'uomo aveva parlato in un ottimo francese. E aveva un'indiscutibile sfumatura di sarcasmo nella voce. Jacques avanzò di un passo. Tese la destra. «Non ho l'onore di conoscervi. Il vostro nome, signore?» Nessuna affabilità in quelle parole. «Cameron Grant, al seguito di Lord Lewis Gor-don.» Prese la mano che gli veniva offerta e la strinse. «È un piacere conoscervi, capitano Delau-ny.» «Ah. Dunque sapete chi sono. Siete in vantaggio su di me.» Il sorriso di Cameron fu tagliente. «La vostra fama vi precede, signore.» Jacques accettò la frase con un secco gesto del capo. Non aveva alcuna intenzione di scoprire a quale fama si stesse riferendo lo Scozzese. Cameron prese congedo dalla coppia accennan-do un inchino. «Bien. Madame, incontrarvi è stato un piacere, ma credo che uno dei miei commilitoni mi stia aspettando per andare via.»

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Quando la porta si chiuse alle spalle di Cameron, Jacques si voltò verso di lei, scuro in viso. «Sapete chi è quell'uomo, vero?» «Lo so.» Uno dei Fedelissimi, i cani da guardia di Lord Lewis Gordon. Cinque combattenti letali e, da ciò che si diceva in giro, abilissimi nell'infiltrarsi nelle linee nemiche e compiere atti di sabotaggio. Una spia. E aveva ascoltato la sua conversazione con Du-près. Dannazione! Annette scoccò un'occhiata meditabonda a Jac-ques. Si fidava di lui nell'esatta misura in cui una gatta può fidarsi di un cane. Si conoscevano da troppo tempo e, proprio per questo, lei era vulnera-bile. No, avrebbe dovuto cavarsi d'impiccio da so-la: capire cosa avesse sentito quell'uomo, se poteva danneggiare i suoi affari, e agire di conseguenza. Si avviò verso la porta, pensando a una risposta convincente. Con la mano sul pomello, si voltò a guardarlo. «È entrato dalla finestra subito dopo che Duprès era andato via. Credo si aspettasse qualcosa da me, ma ha sbagliato approccio. L'ho rimesso al suo posto.» «Ho notato un arrossamento sul suo viso, infat-ti.» Un sorrisetto aleggiò per un istante sulle labbra di Delauny. «Dovrò ricordarmi di non mettermi mai contro di voi, mia signora.» L'eco della risata di Annette fu l'unica risposta che ricevette.

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