Grotte carsismo

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Le grotte: regno dell'oscurità assoluta e del silenzio, rotto solo dal gocciolare e dallo scorrere dell'acqua. Buio, silenzio, ma non solo: una moltitudine di organismi ciechi e incolori - dai piccoli crostacei ed insetti al mitico proteo - vagano nell'oscurità. Non si tratta di un fenomeno raro e curioso: l’ Italia, con il 27% del territorio costituito da rocce carsificabili, conta oltre 33 000 grotte catastate. L'evoluzione ha trasformato ogni massiccio carsico in un mondo unico e irripetibile, dove possiamo trovare numerose specie endemiche, che non esistono cioè in nessun altro posto sulla Terra. È proprio la presenza delle specie endemiche uno dei criteri che la Direttiva Habitat della Comunità Europea utilizza per la scelta delle aree naturali che abbiamo il dovere di tutelare. Questo volume vuole essere una guida al mondo delle grotte e dei suoi abitatori, e vuole rendere accessibile a tutti gli aspetti più rilevanti di una conoscenza scientifica finora racchiusa solo in ostiche pubblicazioni specialistiche. Grotte e fenomeno carsico Grotte e fenomeno carsico TO AO MI GE TS TN VE BO FI AN AQ CB PG ROMA NA BA PZ RC PA CA QUADERNI HABITAT Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio Museo Friulano di Storia Naturale QUADERNI HABITAT 1 1

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Grotte carsismo

Transcript of Grotte carsismo

Le grotte:regno dell'oscurità assoluta e del silenzio,rotto solo dal gocciolare e dallo scorreredell'acqua.

Buio, silenzio, ma non solo:una moltitudine di organismi ciechi e incolori- dai piccoli crostacei ed insetti al mitico proteo -vagano nell'oscurità.

Non si tratta di unfenomeno raro e curioso:l’ Italia, con il 27% del territoriocostituito da rocce carsificabili,conta oltre 33 000 grottecatastate.

L'evoluzione ha trasformato ognimassiccio carsico in un mondo unico eirripetibile, dove possiamo trovare numerosespecie endemiche, che nonesistono cioè in nessun altroposto sulla Terra.

È proprio la presenza dellespecie endemiche uno dei criteriche la Direttiva Habitat dellaComunità Europea utilizza per la scelta delle aree naturali cheabbiamo il dovere di tutelare.

Questo volume vuole essere unaguida al mondo delle grotte e dei suoi abitatori,e vuole rendere accessibile a tutti gli aspetti più rilevanti di unaconoscenza scientifica finora racchiusasolo in ostiche pubblicazioni specialistiche.

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Grotte e fenomeno carsico

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Q U A D ERN I H A B I TAT

M I N I S TERO D EL L’ A M B I EN TE E D EL L A TU TEL A D EL TERRI TO RI O

M U S EO FRI U L A N O D I S TO RI A N ATU RA L E • C O M U N E D I U D I N E

Grotte e fenomeno carsicoLa vita nel mondo sotterraneo

Quaderni habitatMinistero dell’Ambiente e della Tutela del TerritorioMuseo Friulano di Storia Naturale · Comune di Udine

coordinatori scientificiAlessandro Minelli · Sandro Ruffo · Fabio Stoch

comitato di redazioneAldo Cosentino · Alessandro La Posta · Carlo Morandini · Giuseppe Muscio

“Grotte e fenomeno carsico · La vita nel mondo sotterraneo”a cura di Fabio Stoch

testi diMauro Chiesi · Luca Lapini · Leonardo Latella · Giuseppe Muscio · Margherita Solari · Fabio Stoch

con la collaborazione diPaolo Forti · Maria Manuela Giovannelli

illustrazioni diRoberto Zanella tranne 89 (Marco Bodon) e 90 (Enrico Zallot)

progetto grafico diFurio Colman

foto diArchivio Circolo Speleologico e Idrologico Friulano 14/2, 40, 41, 49, 50, 56, 60/1, 78Archivio Museo Friulano di Storia Naturale 21, 22, 23Archivio Unione Speleologica Bolognese 11, 12, 17, 27, 28, 29, 30, 43, 45, 47, 54/2, 125/1, 132Adalberto D’Andrea 8, 14/3, 19, 35, 39, 44, 62, 74, 133, 134, 140, 148Sergio Dolce 90Fulvio Gasparo 52, 94, 99, 103/3, 107, 109/2, 116/1Salvatore Inguscio, 103/1, 103/2Enrico Lana 95, 100, 104, 106, 109/1, 109/3, 118Luca Lapini 54/1, 60/3, 60/4, 122, 123Leonardo Latella 63, 64, 69, 112/1, 112/3, 113/2, 126Giuseppe Muscio 60/2, 85, 127Tiziano Pascutto 88, 113,/1, 117, 121/2, 125/2Giuseppe Lucio Pesce 87/1Mauro Rampini 54/3, 112/2Federico Savoia 14/4, 156Pino Sfregola 152Margherita Solari 14/1Fabio Stoch 54/5, 92, 93, 96, 101, 124, 143Franco Tiralongo 130Elido Turco 129Stefano Zoia 54/4, 87/2, 105, 108, 111, 114, 116/2, 116/3, 119, 121/1

©2001 · Museo Friulano di Storia Naturale · Udine ©2002 · 1a ristampa

Vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie.Tutti i diritti sono riservati.

ISBN 88 88192 00 X

In copertina: Grotta di Santa Barbara, Sardegna (foto Unione Speleologica Bolognese)

L’emanazione della Direttiva Habitat ha rappresentato un notevolesalto di qualità nella politica ambientale riconoscendo a livellolegislativo, negli interventi mirati alla difesa delle specieminacciate, il ruolo giocato dalle interazioni tra l’ambiente e gliesseri viventi.In questa prospettiva si sono avviate attività di più ampio respiro eil Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio ha vistonell’editoria naturalistica uno strumento fondamentale sia perdiffondere i risultati delle ricerche scientifiche, sia per divulgare adun più vasto pubblico la conoscenza naturalistica del territorionazionale.In quest’ultimo filone si inserisce la collana “Quaderni Habitat”,intesa a promuovere la conoscenza di habitat a particolare rischiodi degrado o di scomparsa. Si tratta di ambienti, spesso diparticolare pregio, che custodiscono elementi faunistici, floristici ovegetazionali degni di nota e che rappresentano piccoli mafondamentali tessere nel grande mosaico del nostro paesaggio.Il Ministero ha affidato al Museo Friulano di Storia Naturale diUdine l’incarico di redigere questa serie di pubblicazioni acarattere monografico, a partire da questo primo volume dedicatoal fenomeno carsico.L’impostazione agile ma scientificamente corretta di questi volumi,assieme alla valenza degli habitat descritti, il cui significato va benoltre i confini nazionali, hanno spinto il Ministero, ed in particolare ilServizio Conservazione della Natura, che cura questa iniziativa,a predisporre anche una edizione in lingua inglese.Siamo certi che questa collana, oltre a costituire uno strumento diconoscenza, contribuirà anche a fornire le premesse per lacorretta gestione del grande patrimonio comune rappresentato daibeni naturali.

Altero MatteoliMinistro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9Giuseppe Muscio

Il fenomeno carsico e la speleologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

Giuseppe Muscio

Biospeleologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53

Leonardo Latella · Fabio Stoch

Parte tassonomica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87

Fabio Stoch · Leonardo Latella · Luca Lapini

Tutela e conservazione dell’ambiente sotterraneo . . . . . . . . . . . . . . . . . 131

Mauro Chiesi · Luca Lapini · Fabio Stoch

Proposte didattiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149

Margherita Solari

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157

Glossario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159

IndiceQuaderni habitat

1Grotte efenomenocarsico

2Risorgivee fontanili

3Le forestedella PianuraPadana

4Dune espiaggesabbiose

5Torrentimontani

6La macchiamediterranea

7Coste marinerocciose

8Laghi costierie stagnisalmastri

9Le torbieremontane

10Ambientinivali

11Pozze, stagnie paludi

12I prati aridi

13Ghiaioni erupi dimontagna

14Laghettid'alta quota

15Le faggeteappenniniche

Introduzione GIUSEPPE MUSCIO

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È difficile parlare di grotte a chi non le ha mai visitate: quando, durante unincontro sulla fotografia in grotta, si è discusso sulle migliori tecniche da utiliz-zare per ottenere risultati ottimali, uno dei più noti “speleo-fotografi” ricordò atutti i presenti che la vera foto di grotta è completamente … nera! E questa èuna verità assoluta: la luce in grotta è un elemento estraneo, una vera forma diinquinamento che l’uomo porta all’interno di un ambiente dal buio più totaleche si possa immaginare e con un silenzio rotto solo dal gocciolare dell’acquao dallo scorrere di torrenti, a volte anche impetuosi.Pochi luoghi come le grotte hanno ispirato la fantasia dell’uomo: egli in passa-to le ha utilizzate come abitazione e luogo protetto, ma è raro che vi si spin-gesse all’ interno oltre il limite raggiunto dalla luce, là dove aleggiavano ilmistero e, soprattutto, le paure e le superstizioni.Ma la grotta è stata anche luogo di culto o fortificazione e solo dal XIX secoloè divenuta oggetto di esplorazione sistematica e di ricerca scientifica. E daallora l’uomo ha capito quanto questo particolare ambiente sia unico, perchédi estensione limitata, protetto dalla “roccia” e con un clima particolarmente“stabile”; ma proprio per questo ha compreso anche quanto sia delicato l’e-quilibrio che il mondo sotterraneo raggiunge e quanto sia facile alterarlo.Ed è così che negli ultimi decenni ci siamo resi conto dell’importanza delrispetto e della tutela dei fenomeni carsici, tutela che, pur relativa all’ambienteipogeo, deve necessariamente partire dalla superficie, ove è diffuso il fenome-no carsico.Il termine deriva da “Carso”: nome di un’area geografica, al confine fra Italia eSlovenia, divenuto sinonimo di un paesaggio o, più semplicemente, di tuttociò che è legato, dal punto di vista morfologico, alle grotte. In realtà deriva da“karren”, termine protoeuropeo che significa semplicemente “roccia”, da cui losloveno Grast, in uso sin dal 1177 ed il croato Kras, usato dal 1230; nell’italia-no Carso e nel tedesco Karst la radice originale è conservata. Non stupisceche la radice significhi “roccia” proprio perché nelle aree carsiche le roccesono spesso affioranti e stupendamente modellate. Quello carsico è quindi unpaesaggio particolare anche perché si sviluppa non solo in superficie maanche, e forse soprattutto, all’interno della compagine rocciosa.L’opportunità di approfondire la conoscenza del fenomeno carsico italiano peruna sua maggiore e migliore tutela può trovare numerose e diversificate giusti-

Il lago sotterraneo della Grotta di Punta Galera (Palinuro, Campania)

1110 ficazioni: ci si potrebbe riferire alle molte forme endemiche presenti nella faunasotterranea o agli interessanti minerali che caratterizzano l’ambiente sotterra-neo. Esiste però, ed è davanti agli occhi di tutti, una ragione molto sempliceche da sola potrebbe giustificare la difesa del mondo ipogeo: almeno il 50%delle acque potabili italiane è di origine carsica (percentuale che è ancora piùelevata in alcune regioni dell’Italia meridionale) e questa percentuale è certa-mente destinata a crescere negli anni futuri a causa delle forme di inquina-mento che interessano le falde idriche, man mano più profonde, delle nostrepianure. Ed è anche vero che pochi ambienti sono così vulnerabili ed a cosìlento ricambio come quello sotterraneo.Se oggi vediamo l’ambiente carsico non solo come l’oggetto di una intensaattività esplorativa, ma anche come una fonte di importanti informazioni scien-tifiche e come un “serbatoio” d’acqua di primaria importanza, in passato legrotte sono state i luoghi dell’immaginario, l’abitazione dell’uomo preistorico,ma anche di esseri mitici che hanno popolato - e popolano tuttora - la creden-za popolare.Abbiamo così imparato ad osservare le cavità naturali come una fonte di infor-mazioni quanto mai variegata: la speleologia (la scienza che studia le cavità,dal greco spelaion=caverna e logos=studio) è divenuta un crogiolo di interessinei diversi campi della ricerca: geologia, mineralogia, biologia, etnografia,archeologia, ecc. e lo “speleologo” è, in fondo, un naturalista nell’accezionepiù vasta del termine. Vi sono certamente degli aspetti poco o nulla conosciu-ti, come quello citato della mineralogia: già gli uomini preistorici utilizzavano,ad esempio, il gesso di alcune cavità dell’Appennino Tosco-Emiliano (adesempio nella grotta Calindri), mentre ancor prima venivano sfruttati i nitrati. Intempi più recenti molte cavità sono state completamente svuotate dei lorodepositi di guano (l’accumulo degli escrementi dei pipistrelli) in quanto si trat-ta di un fertilizzante di ottima qualità.La speleologia nasce come scienza autonoma a Trieste nel XIX secolo: si trat-ta della naturale risposta di una grande città che, allora in piena espansione,ricerca nuovi approvvigionamenti idrici nel suo retroterra, rappresentatoappunto dal Carso classico, nel quale l’unico fiume di un certo rilievo, il Tima-vo, ha un corso prevalentemente sotterraneo. Per capire l’ampiezza del feno-meno “speleologia” in Italia basta pensare che ci sono almeno 10.000 speleo-logi e che nel Bel Paese sono state esplorate e rilevate oltre 33.000 grotte;alcune sono lunghe diverse decine di chilometri o profonde centinaia di metri,ma moltissime sono piccole. Ciò non significa che anche fra queste ultime nonvi siano bellezze naturalistiche di gran pregio.Le cavità naturali vengono spesso sfruttate anche dal punto di vista economi-co. Fra le diverse grotte turistiche italiane quattro sono quelle più note: la Grot-ta di Castellana in Puglia, la Grotta di Frasassi nelle Marche, la Grotta Azzurra

in Campania, la Grotta Gigante in Friuli-Venezia Giulia, con centinaia dimigliaia di visitatori l’anno. Se da un lato vi sono indubbi vantaggi per il tessu-to produttivo dell’area interessata, molti sono i problemi ambientali che questituristi hanno portato alla corretta conservazione dell’ambiente sotterraneo:non si tratta solo dell’inquinamento dovuto ai rifiuti o ai danni che i turisti cau-sano, ma più semplicemente dell’alterazione che la sola presenza dell’uomoporta al delicato equilibrio del clima sotterraneo (temperatura, umidità).Scrivere sul carsismo non è quindi cosa semplice; è impossibile mettere sucarta le sensazioni che si provano nel percorrere una grotta, nel “guardare” ilbuio assoluto e per uno speleologo spesso non ha nessuna importanza il fattoche la grotta sia lunga o corta: ciò che conta è il fascino dell’esplorazione.Sono relativamente poche le cavità di grandi dimensioni, riccamente concre-zionate o che celano importanti reperti, ma ciò di cui nessuna grotta è priva èil “mistero” che essa cela: la vera molla che spinge lo speleologo ad avventu-rarsi nel sottosuolo è quindi la conoscenza, sia essa legata appunto alla sem-plice esplorazione di un mondo sotterraneo che nessuno o pochissimi hannoviolato, o al desiderio di studiare un fenomeno che, anche se ridotto comedimensioni, rappresenta pur sempre un “unicum”, completamente diverso daciò che lo circonda.

Concrezioni nella Grotta di Valdemino (Liguria)

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L’ambiente che ci circonda, quello che noi osserviamo senza alcuna mediazio-ne, viene definito col termine generico di “panorama” e, quando ciò che ilnostro sguardo abbraccia mostra un insieme di caratteristiche in qualchemodo unitarie, utilizziamo il termine di “paesaggio”. È così che il concetto di“paesaggio carsico” viene spesso contrapposto a quello di “paesaggio fluvia-le” e ciò perché una delle caratteristiche peculiari di un’area “carsica” è pro-prio l’assenza di un reticolo idrografico superficiale ben impostato.Il processo carsico è infatti quell’insieme di fattori prevalentemente chimiciche portano alla dissoluzione delle rocce carbonatiche (calcari, dolomie), allaformazione di cavità superficiali (doline) o sotterranee (grotte, abissi), alla crea-zione di un reticolo idrico sotterraneo e ad un particolare modellamento dellerocce affioranti (carsismo superficiale). Bisogna però ricordare che non tutte lecavità naturali devono la loro origine al fenomeno carsico, ma possono, adesempio, essersi formate in ghiacciai, per scorrimento lavico o avere un’origi-ne mista.Si è anche discusso a lungo su cosa sia effettivamente una grotta e quale“vuoto” presente in una compagine rocciosa, sia essa carbonatica o no, pos-sa rientrare in questa categoria. Per quanto riguarda il catasto, ove vengonodepositati ufficialmente rilievi e descrizioni delle cavità naturali, si consideragrotta una cavità che abbia dimensioni tali da permettere l’accesso all’uomoed una lunghezza superiore ai cinque metri. Questa limitazione non ha sensose invece vediamo le grotte come un elemento morfologico in evoluzione nelquale dall’ampliamento di una piccola fessura nella roccia si può giungere adun vasto sistema sotterraneo che può anche venire “distrutto” per crollo oocclusione o, a lungo termine, perché coinvolto nei vari processi di erosionedelle terre emerse.

■ Il processo carsico

I calcari sono rocce costituite per la quasi totalità da carbonato di calcio(CaCO3). Si tratta di un composto a bassissima solubilità nell’acqua; ma inpresenza di anidride carbonica (CO2) l’acqua diviene acida, più aggressiva e“scioglie” il carbonato di calcio formando bicarbonato di calcio, secondo que-sta reazione: CaCO3 + H20 + CO2 Ca++ + 2HCO3 -.

Il fenomeno carsico e la speleologiaGIUSEPPE MUSCIO

Ampie estensioni di rocce carsificabili in Sardegna

1514 L’equilibrio si sposta verso destra o verso sinistra in funzione della pressione edella temperatura.Il termine di processo carsico si riferisce - nell’ortodossia del termine - allasola reazione chimica che interessa il carbonato di calcio e, di conseguenza, aisoli calcari puri. Oggigiorno il termine è stato di fatto ampliato e si accetta perfenomeno carsico tutto ciò che si riferisce all’attività corrosiva a carico dei car-bonati (quindi calcari, dolomie), ma anche dei gessi (solfato di calcio) e di ognialtra roccia solubilizzabile (salgemma, quarzite).La reazione sopra descritta è la principale protagonista dello sviluppo delfenomeno carsico, ma non è certamente la sola e molte sono le variabili che

Forme carsiche superficialiPossono essere di dimensioni molto varie: le piùnote sono campi solcati, doline, vaschette

Cavità assorbentiL’acqua raggiunge il sottosuolo attraverso le minu-scole fratture della roccia ma anche attraverso verie propri pozzi naturali. Essi risultano fortementemodellati dall’azione dell’acqua che li percorre, for-mando prima una sezione circolare, quando scorrein pressione ed occupa l’intera luce del pozzo stes-so, ed approfondendone poi una parte quando laportata diminuisce e l’acqua viene ad agire solo suuna parete

Depositi di crolloAlla base di grandi pozzi, ma anche in aree di inten-sa fratturazione, si possono formare grandi accu-muli di materiale di crollo. Questo fenomeno portaa volte alla creazione di ampie sale nei sistemi car-sici sotterranei

Fiumi sotterraneiInteri tratti di cavità possono essere percorsi dacorsi d’acqua dalla portata cospicua. Spesso lepareti portano le tracce dell’evoluzione del regimeidrico sia nella forma della sezione che per la pre-senza di particolari forme di escavazione sullepareti (scallpos)

Condotte forzate, sifoneLe parti più basse dei sistemi carsici sono caratte-rizzate dalla presenza di gallerie completamenteallagate. Tratti completamente allagati (sifoni) sipossono incontrare - legati alla morfologia dell’area- anche nelle zone in cui generalmente lo scorri-mento delle acque avviene a pelo libero

La parte superficiale di un’area carsicaappare intensamente modellata e pre-senta solo deboli tracce di corsi d’ac-qua. L’azione dell’acqua crea strutturequali campi solcati (karren) e doline.Essa fluisce poi nel sottosuolo attraver-so il reticolo di fratture, alcune dellequali vengono allargate a tal punto daformare veri e propri pozzi percorribilianche dall’uomo. Attraverso questa fittarete l’acqua raggiunge prima la zonadefinita di percolazione o vadosa, ove èpresente, ad esempio, lo stillicidio o laformazione di veli d’acqua alle pareti.Man mano che si scende si raggiungo-

no i tratti dei sistemi carsici ove l’acquascorre più regolarmente (gallerie contorrenti sotterranei, pozzi-cascata,laghetti, ecc.), fino ad arrivare a quellache viene definita zona freatica. Scen-dendo ancora all’interno del massicciosi raggiunge la zona satura d’acqua conpresenza di gallerie completamenteallagate definite condotte in pressione.Una successione di questo tipo è fruttodi un’evoluzione lunga e complessa delterritorio nella quale intervengonoanche fattori esterni quali, ad esempio,quelli tettonici o il variare del livello dibase delle acque.

Un modello di sezione in un’area carsica Giuseppe Muscio

1716 entrano in gioco: esse vanno dalle caratteristiche delle rocce presenti alle con-dizioni della copertura vegetale, dal clima di un territorio ad una serie di mec-canismi che accompagnano la reazione chimica principale.Partendo dai litotipi basti pensare che, come accennato, non tutti i calcari sonopuri ed anzi sono sempre presenti, oltre alla calcite (carbonato di calcio), picco-le percentuali di minerali diversi, in particolare la dolomite (carbonato doppio dicalcio e magnesio), a formare così dei termini di passaggio fra calcari e dolo-mie. Anche in queste rocce si può sviluppare il fenomeno carsico, anzi è asso-dato che la presenza di una piccola percentuale di magnesio lo favorisce.Se quindi sappiamo che le acque ricche di CO2 possono “sciogliere” le roccecarbonatiche, più difficile è stabilire l’ordine di grandezza di questo fenomeno.Bisogna innanzitutto tenere conto delle condizioni climatiche e in particolaredella piovosità della zona, dato che l’acqua è una componente fondamentaledella reazione. Sperimentalmente è stata misurata la quantità di massa cheviene asportata (tasso di ablazione) in un certo lasso di tempo, ricordando chela corrosione carsica avviene sia in superficie che, e soprattutto, nel sottosuo-lo. I valori che vengono forniti non si riferiscono quindi all’asportazione di car-bonati superficiali e dunque non corrispondono ad un semplice “abbassamen-to” della superficie topografica, ma al totale della massa rocciosa che viene“sciolta” , comprendendo quindi anche quella in profondità. Per piovositàmedie di circa 1000-1500 mm/anno si possono ipotizzare, per la fascia medi-terranea, tassi di ablazione medi di circa 50-100 mm/1000 anni, mentre per lezone alpine vengono proposti valori leggermente superiori.Misure effettuate in questi ultimi anni nel Friuli-Venezia Giulia hanno definitotassi di erosione dei carbonati dell’ordine di 20-40 mm/1000 anni e quindi leg-germente inferiori, ma si riferiscono alle sole rocce affioranti e quindi sonoconfrontabili con quelli prima citati. Ciò significa che il solo fenomeno carsicopuò asportare in 10 000 anni l’equivalente di un metro di spessore da un mas-siccio carbonatico alpino. Si tratta di un valore molto significativo; nei gessi,poi, questo valore si decuplica.Esaminando la reazione classica è chiaro che ciò che gioca un ruolo fonda-mentale è la presenza di CO2, che rende le acque aggressive nei confronti deicarbonati. La CO2 è presente nell’atmosfera, ma la sua quantità può notevol-mente aumentare nel suolo in funzione della copertura vegetale; la sua solubi-lità, inoltre, è maggiore in acque fredde piuttosto che in quelle calde. Ciò com-porta che, a parità di altre condizioni, le acque fredde sono più aggressive diquelle calde ma, d’altro canto, nei climi caldi ed umidi la produzione di CO2

legata ai processi di decomposizione dei residui vegetali è notevole ed è perquesta ragione che, pur essendo le acque più calde, queste condizioni favori-scono un più marcato fenomeno carsico.Il problema della temperatura dell’acqua è rilevante se, ad esempio, ci riferia- La Grotta Paradiso a Fluminimaggiore (Sardegna)

1918 mo ai “carsi” d’alta quota dove le fredde acque di scioglimento delle nevi han-no forti possibilità di generare forme carsiche superficiali, sempre che, ovvia-mente, esse scorrano su rocce carbonatiche.È anche evidente che, se il ruolo della CO2 è fondamentale per rendereaggressive le acque, l’eventuale presenza di acidi forti favorisce lo sviluppodell’attività corrosiva delle acque, con presenza di quelli che vengono definiti“ fenomeni ipercarsici” . Questi acidi forti possono essere presenti nell’ambien-te esterno o, più comunemente, nelle rocce stesse: ad esempio H2SO4 chepuò essere legato alle reazioni di ossidazione della pirite o di H2S di origineprofonda.Ciò che però non abbiamo ancora esaminato è come le acque meteorichepossano “entrare” nelle compagini rocciose carbonatiche. Le acque piovane,che si arricchiscono di anidride carbonica nell’atmosfera e nel suolo, raggiun-gono la superficie rocciosa e sono già aggressive. Possono esplicare la loroattività di corrosione quando si raccolgono lungo linee di discontinuità, checostituiscono le direttrici preferenziali di scorrimento delle acque superficiali,ed iniziano a “scavare” la roccia infiltrandosi verso l’interno. L’acqua contem-poraneamente però si “satura” di carbonato di calcio e non può, oltre un certolimite, proseguire nell’attività corrosiva: saranno altre acque ad ampliare anco-ra le fratture presenti. Sappiamo infatti che i livelli di saturazione teorica pos-sono essere superati dalle acque carsiche in funzione delle condizioni di pres-sione e temperatura e inoltre il fenomeno della miscelazione di acque concaratteristiche chimiche differenti favorisce lo sviluppo del fenomeno carsico.Acquisiti questi elementi di base, possiamo ricostruire gli elementi fisici chedevono essere presenti per avviare il processo carsico e cioè:1. roccia carbonatica con presenza di discontinuità (fratture, diaclasi, faglie, ecc.)2. presenza di acque con anidride carbonica disciolta3. differenze di quota che permettano il movimento delle acque.Il secondo punto è già stato analizzato, mentre è piuttosto ovvio che il motodelle acque è fondamentale per lo sviluppo del fenomeno carsico e per lanecessità di asportare quei frammenti che, non solubili da parte dell’acquaarricchita in anidride carbonica, potrebbero “riempire” le fratture ed impedirel’ulteriore sviluppo del processo speleogenetico (ovvero di formazione dellecavità naturali).Il primo punto necessita invece di un ulteriore approfondimento: la presenza didiscontinuità è la naturale conseguenza dei fenomeni deformativi cui le roccesono state sottoposte nella loro storia geologica. Le compagini rocciose risul-tano così interessate da numerose fratture, nella stragrande maggioranza deicasi si tratta di discontinuità di pochi micron, spesso non distinguibili in super-ficie perché alterate dal modellamento ma sufficienti per permettere alle acquedi scendere in profondità. In passato anzi si riteneva che esistesse un limite

teorico allo scorrimento delle acque verso il basso, conseguenza dell’ideache, ad una certa profondità (500, 1000 metri), le fratture tendessero a chiu-dersi a causa dell’enorme massa di roccia sovrastante e le acque non potes-sero più scorrere. In realtà sappiamo che, ad esempio, enormi venute diacqua si ritrovano durante la perforazione di tunnel, anche se al di sopra visono migliaia di metri di rocce, come è avvenuto ad esempio nel caso delMonte Bianco.Sino ad ora ci si è riferiti, nell’esaminare la speleogenesi, cioè l’insieme deiprocessi che portano alla formazione delle cavità carsiche, al ruolo fondamen-tale svolto dall’attività di corrosione chimica. Se questa è fondamentale nellaprima fase speleogenetica, quando cioè si formano i primi condotti sotterra-nei, man mano che le loro dimensioni si incrementano entra in gioco l’attivitàerosiva, quindi prettamente meccanica, svolta dai granuli più resistenti che lareazione chimica ha liberato dalla matrice carbonatica (comunemente si tratta

La Grotta Nuova di Villanova (Friuli)

Le forme superficiali sono quelle raggruppabili in categorie e distinguibilianche in base alle dimensioni (la terminologia originaria si basa spesso suvocaboli in lingua tedesca o slovena):

Le vaschette sono forme di raccolta di acqua piovana in piccole depressioni,mentre, in caso di ruscellamento, si possono formare campi solcati (karren),scannellature o docce carsiche, che si distribuiscono diversamente in funzio-ne della pendenza dell’affioramento.

CATEGORIA FORME PICCOLE FORME MEDIE FORME GRANDI

RACCOLTA VASCHETTE

RUSCELLAMENTO KARREN DOLINE DI SUBSIDENZA VALLI CHIUSE

INFILTRAZIONE FORI DI DISSOLUZIONE DOLINE, POZZI A NEVE

POZZI DI PERCOLAZIONE

CREPACCI CORRIDOI VALLI CARSICHE, UVALA

EMERGENZA RISORGIVE POLJE VALLI CIECHE, POLJE

LAGHI CARSICI

CATEGORIA FORME PICCOLE FORME MEDIE FORME GRANDI

2120 di frammenti di selce, quarzo o di minerali ferrosi) e che l’acqua, nel suo motospesso vorticoso, “sbatte” contro la roccia con una azione che potremmodefinire di “smeriglio”.Quando il processo di ampliamento dei condotti carsici progredisce, entranoin gioco i fenomeni di crollo che favoriscono, ad esempio, la formazione digrandi sale in punti in cui la fratturazione della compagine rocciosa è partico-larmente intensa, spesso all’incrocio di linee di origine tettonica.Certamente gli studi di questi ultimi decenni hanno notevolmente mutato lavisione originaria dei padri del carsismo, dei per così dire “puristi” . Oggi sap-piamo che le variabili che entrano in gioco nell’origine e nello sviluppo di unacavità carsica sono molteplici e non si può certamente limitare alla sola formu-la acqua+anidride carbonica+carbonato di calcio per spiegarne la presenza,ma è certo che tutto parte proprio da una semplice reazione di corrosione, cuiperò si sommano poi i più svariati agenti morfogenetici.

■ Forme carsiche superficiali

L’avvio del fenomeno carsico è quasi sempre “superficiale”, cioè a carico del-le rocce affioranti, ed è così che si forma quello che viene definito paesaggiocarsico, composto da forme assai differenziate in funzione delle caratteristichedel litotipo affiorante, della sua giacitura, del clima, con particolare riguardoalla piovosità; si parla quindi di un “carso tropicale”, di un “carso temperato” ecosì via. Le forme presenti vengono comunque generalmente raggruppateanche in funzione delle loro dimensioni.In Italia le zone carsiche coprono oltre il 27% del territorio nazionale e sonopresenti e ben diffuse aree di “carso d’alta quota” e di “carso temperato” fra iquali rientra, ad esempio, l’area fra Venezia Giulia e Slovenia, che fa parte diquello che viene correntemente definito “Carso classico”.

Differenti modelli evolutivi per la formazione di doline Forme carsiche superficiali generate per impatto e ruscellamento di gocce di pioggia

2322 Le doline possono avere origine e morfologie diverse: sono ampi sprofonda-menti del terreno originati per dissoluzione o crollo, con forma da circolare adellittica e diametro da pochi metri a diverse decine di metri. Forme maggiorisono i polje, le cui dimensioni possono superare i diversi chilometri, e spessovengono sfruttati dall’agricoltura perché presentano suoli molto fertili, e hannoscorrimento idrico superficiale, seppure stagionale. In Puglia viene utilizzato iltermine “Pulo” per indicare forme analoghe: famosi sono il Pulo di Altamura edil Pulo di Molfetta.Morfologie particolari sono quelle legate alla forte dissoluzione superficiale che“libera” blocchi di calcare che vengono a trovarsi isolati fra loro e spesso sonoben modellati, fornendo al paesaggio quell’aspetto che viene definito “città dipietra”.Fra le forme superficiali rientrano anche le emergenze idriche (sorgenti), suddi-vise fra quelle a pelo libero (nelle quali una venuta d’acqua proviene da unacavità naturale in parte “aerata”) e quelle vauclusiane (nelle quali tutta la sezio-ne della cavità naturale è occupata dall’acqua).Particolari sono poi i “ laghi carsici” morfologicamente simili ai laghi classici:sono però impostati su litologie carsificabili e presentano un’alimentazioneprevalentemente sotterranea, appunto dalle falde carsiche. Uno degli esempipiù noti di questa morfologia è il Lago di Doberdò nel Carso isontino.

cavità di interstrato

solchi a doccia

solchi a doccia

vaschetta

vaschetta

scannellature

foro carsico

Sorgenti carsiche: a pelo libero (sinistra) e vauclusiana (destra) Il Lago di Doberdò (Carso isontino) è uno dei più classici esempi di lago carsico

Denominazione di alcune delle forme carsiche superficiali più comuni su roccia

Forme carsiche superficiali: piccolo meandro, vaschette e scannellature

2524

La dolina è la forma carsica superficialetipica dei climi temperati: è definibilecome una conca chiusa, con diametrocompreso tra qualche metro e il chilo-metro, e costituisce un’unità idrograficaelementare.La forma planimetrica del perimetro ègeneralmente circolare o subellittica, tut-tavia si trovano anche forme irregolari ocomplesse, costituite dalla fusione di unnumero variabile di doline (uvala).A seconda del rapporto tra il diametromedio e la profondità, è possibile classi-ficare le doline in tre categorie: “a piatto”o “a ciotola” quando tale rapporto èsuperiore a 2, “a imbuto” se è inferiore,“a pozzo” quando la profondità è mag-giore del diametro e i versanti sono sub-verticali.La genesi delle doline è imputabile afenomeni di dissoluzione normale daparte dell’acqua di ruscellamento checonvoglia verso un punto topografica-mente depresso, dilavando e corroden-do la roccia sui versanti. Il punto centra-le è spesso assorbente a causa di micro-fratture della roccia o pozzi di assorbi-mento, non sempre visibili perché coper-ti da detrito o dal suolo, e, approfonden-dosi sempre più, va a costituire il fondodella dolina.La dissoluzione superficiale avvieneanche al di sotto della copertura del suo-lo ed è imputabile al fenomeno di solu-zione normale, ma può anche essereposta in relazione con le variazioni perio-diche della concentrazione di anidridecarbonica prodotte dall’attività biologicadi microrganismi o dalla vegetazione,mentre in profondità prevalgono gli effet-ti di corrosione per miscela di acque, perraffreddamento o per arricchimento inmagnesio.Il suolo sul fondo della dolina è spesso ditipo residuale, dato dall’accumulo deiminerali insolubili che hanno un’azionecompensatrice del pH basico nei suoliderivati delle rocce carbonatiche.

Le doline evolutesi secondo questomodello (di soluzione normale) presenta-no un profilo spesso emisferico o aimbuto, e si possono generare sia in cal-cari che in rocce a vario grado di solubi-lità (calcari dolomitici, ecc.). A volte ledoline si formano anche in rocce coeren-ti non solubili (come le arenarie), se que-ste poggiano su materiali solubili che sicarsificano, provocando il crollo o lasubsidenza delle formazioni sovrastanti. Ben diversa è l’evoluzione delle doline dicrollo, che presentano versanti subverti-cali, e si originano dal crollo del soffittodi grotte: in questo caso la dissoluzioneè un fattore di secondaria importanzanell’evoluzione carsica superficiale.La posizione topografica di una dolinapuò essere casuale, ma spesso rispec-chia strutture litologiche o tettoniche,come l’immersione degli strati di rocciao le direzioni delle faglie. Anche lamorfologia (ad esempio l’allungamentodel perimetro) può presentare qualchecorrelazione con i citati fattori.Le grandi doline, con diametro superiorea 100 metri, possono presentare untopoclima particolare, caratterizzato dainversione termica a cui si accompagna-no la stratificazione inversa della vegeta-zione e la presenza di specie floristichepiù spiccatamente microterme.Il topoclima della dolina è determinatoda diversi fattori. In primo luogo, il raf-freddamento per irraggiamento in unasuperficie concava è maggiore rispettoad un corrispondente tratto pianeggian-te, essendo direttamente proporzionalealla superficie esposta. Sul fondo il suoloè solitamente saturo d’acqua e l’evapo-razione provoca ulteriore raffreddamen-to. Nei mesi autunnali e invernali, inoltre,dal primo versante ad andare in ombra(Ovest) si verifica una discesa di ariafredda verso il fondo e ciò provoca unabbassamento della temperatura nellaconca ancor prima del tramonto, mentreal mattino sarà raggiunto dal sole molto

più tardi del versante esposto a Sud. Laconseguenza di questi fattori, parzial-mente attenuati durante i mesi estivi, èun forte gradiente termico medio, pari acirca 7° ogni 100 metri di profondità,cioè circa 12 volte superiore a quelloesterno nei climi temperati. Ciò significache scendere in una dolina per 50 metriequivale a risalire un rilievo di 600 metri.In queste condizioni di microtermia sulversante Sud (esposto a Nord), più fre-sco, si può sviluppare una vegetazionedata dalla commistione di elementi loca-li ed elementi microtermi, cioè con spe-cie che prediligono ambienti più freschi,o specie tipiche di ambienti di quotesuperiori. In questo caso i quattro versanti delladolina saranno ricoperti da associazionivegetali differenti, presentando sui ver-santi Ovest ed Est condizioni intermedietra quelle estreme dei versanti Nord e

Sud. Tali differenziazioni sono evidentianche in condizioni di simmetria dellapendenza dei versanti, e dipendono sol-tanto dalla topografia. Si parla, in gene-rale, di una “continentalizzazione” delclima.In doline particolarmente grandi la strati-ficazione inversa della vegetazione èmolto evidente e particolarmente inte-ressante: in alcuni casi si tratta di unaserie completa di formazioni vegetalitipiche di fasce altitudinali via via supe-riori fino alle cenosi a pino mugo tipichedella fascia altimontana e subalpina.La dolina, quindi, per le sue peculiarità,rappresenta un elemento di discontinuitànon solo morfologica: essa introducediversità ed arricchimento nel patrimonioambientale attraverso un’azione seletti-va nei confronti delle possibilità organiz-zative della flora in tipi di vegetazionediversi.

La dolina

faggio

ghiaccio

abete rosso

pino mugo salice rododendro flora alpina

abete bianco

1100

1050

1000

1150

Seriazione della vegetazione in un pozzo-dolina del Carso. Nella sezione è illustrato il fenomenodella “ inversione della vegetazione” in rapporto con i microclimi presenti all’interno della cavità

Margherita Solari

2726 ■ Forme carsiche sotterranee

Se esaminiamo una sezione ideale di territorio carsico già evoluto, essa puòessere suddivisa in una fascia affiorante, nella quale sono presenti tutte lemorfologie superficiali e priva di scorrimento idrico perenne, mentre la sezioneimmediatamente sottostante presenta una serie di pozzi e gallerie di originecarsica, ma nelle quali l’acqua è presente solo sporadicamente in occasionedelle piogge.Scendendo ancora (zona vadosa), troveremo sistemi carsici percorsi dall’ac-qua mentre, al di sotto, in corrispondenza di quello che viene definito livello dibase delle acque (superficie piezometrica), tutti i vuoti della roccia sono riem-piti d’acqua (zona satura o freatica).L’azione modellatrice sviluppata dalle acque in un sottosuolo carsico portaalla genesi di forme che vengono comunemente suddivise in condotti carsici eforme parietali.I condotti carsici si creano per l’attività chimica dell’acqua lungo le disconti-nuità: all’inizio del processo speleogenetico avremo condotti a pressione in cuitutta la sezione è occupata dall’acqua e che, successivamente, possono evol-vere verso condotti vadosi nei quali si ha scorrimento idrico a pelo libero, conconseguente incremento del ruolo dell’azione meccanica dell’acqua. I pozzi (asviluppo verticale) sono forme legate invece alla percolazione. L’attività del-l’acqua si esplica anche nel modellamento delle pareti dei condotti carsici, adesempio con forme note con il termine di “scallops”.I sistemi carsici sotterranei risultano così composti dal sommarsi di gallerie epozzi, a volte percorsi dall’acqua (ed allora definiti “attivi”) o che da questasono stati abbandonati (“ fossili” ). Questi due termini appaiono comunqueimpropri e spesso uno stesso sistema presenta parti non attive e parti attive,oppure si possono avere settori attivi in caso di piogge intense che non losono nel regime idrico normale.Un aspetto particolare del processo speleogenetico in aree carsiche è quellolegato alla presenza di fluidi idrotermali, che hanno un forte potere corrosivo,favorendo la formazione di ampie sale spesso non condizionate nel loro svi-luppo dalla presenza di fratture.La speleogenesi richiede comunque tempi lunghi: in ambiente carsico, dacentinaia di migliaia a milioni di anni. L’evoluzione, però, può essere più rapidase intervengono fattori ipercarsici o termali; ancora più rapida è l’erosione acarico dei depositi gessosi; si sono datati riempimenti di grotte dell’AppenninoEmiliano-Romagnolo a circa 5.000 anni.Tutto il fenomeno carsico dei Gessi del Bolognese si considera sviluppatonegli ultimi 100 000 anni e la stragrande maggioranza delle cavità ha meno di18.000 anni.

Tubo lavico alle pendici dell’Etna (Sicilia)

■ Cavità “non carsiche”

Le cavità naturali non sono tutte legate al fenomeno carsico propriamente det-to: ci sono cavità di un certo rilievo che si aprono all’interno dei conglomeratied alcune raggiungono anche sviluppi notevoli. Ciò avviene perché le acquepossono agire sciogliendo il carbonato che costituisce il cemento dei conglo-merati, liberando così ciottoli e matrice, che vengono poi asportati dall’azionemeccanica. Una delle caratteristiche di queste cavità è quella di presentarespesso ricchi depositi argillosi e, essendo soggette a frequenti crolli, di modi-ficare con una relativa rapidità la loro morfologia. Fra quelle di maggiore inte-resse si possono ricordare le grotte che si sviluppano nei conglomerati mioce-nici del Montello (Veneto), alcune delle quali hanno lunghezze superiori al chi-lometro (la Busa di Castel Sotterra sfiora i 7 km di sviluppo).Può essere considerata mista l’origine di alcune cavità che si sviluppano alcontatto fra litotipi diversi: numerose sono quelle che si originano all’interfac-cia fra carbonati e flysch: la prima fase speleogenetica è legata all’attività cor-rosiva a carico dei litotipi carbonatici, ma successivamente la cavità si svilup-

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pa per la forte attività erosiva a carico del complesso flyschoide (costituito daun’alternanza di marne, arenarie e argille). Grotte di questo tipo sono presentie sono state studiate in dettaglio in Friuli: il complesso della Grotta Nuova diVillanova, lungo oltre 7 km, si sviluppa proprio al contatto fra un bancone con-glomeratico (in cui sia clasti che matrice e cemento sono tutti costituiti da car-bonato di calcio e pertanto il litotipo si comporta chimicamente come un cal-care) ed il flysch dell’Eocene.Un altro tipo di grotta mista è quello delle grotte marine che spesso, originateda miscele di acque marine e carsiche, sono state ampliate nella loro porzioneterminale dalla forza distruttiva del mare.Lontanissime dall’origine carsica sono invece le grotte di scorrimento lavico:diffuse soprattutto attorno all’Etna, ma presenti anche in altre regioni italiane,queste cavità vengono definite come “singenetiche” in quanto si formano intempi brevissimi (da pochi giorni a qualche settimana) assieme alle rocce chele contengono. Sono anche strutture poco stabili ed a volte la loro vita è brevee vengono rapidamente distrutte dal crollo delle volte, ma è anche relativa-mente facile datarle, conoscendo l’età delle diverse colate laviche.Esistono diverse morfologie legate sia al tipo di lava che alla modalità di for-mazione, ma è possibile comunque riunire le grotte laviche dell’Etna in due

grandi categorie: quelle “reogenetiche”, ovvero di scorrimento superficiale, equelle di frattura. Le cavità reogenetiche sono di fatto “ il vuoto” lasciato dalloscorrimento del magma nei tunnel lavici. Essi sono generati dal fluido chescorre su una superficie consolidata: mentre la sua parte superiore, a contattocon l’aria, si raffredda più rapidamente, all’interno la lava continua a scorrereper poi svuotare la cavità una volta cessata l’alimentazione.Le grotte di frattura si estendono invece in profondità lungo discontinuità lega-te anche ad eventi sismici. A volte esistono termini intermedi o grotte lavichemiste in cui le cavità dei due tipi suindicati si sono unite fra loro.Anche se può parere strano, alle grotte laviche si possono avvicinare, comegenesi, quelle dei ghiacciai, anch’esse formate da scorrimento: in questo casosi tratta di acque che provengono dallo scioglimento dei ghiacci e che scava-no gallerie e pozzi la cui esistenza, però, è spesso brevissima.

■ Clima dell’ambiente sotterraneo

Spesso si tendono a sottovalutare le problematiche del clima sotterraneo, mase consideriamo quanto esso influisca, ad esempio, sulla fauna che vive inquesto particolare ambiente o, da un altro punto di vista, che le grotte vengo-no utilizzate, anche se molto meno che in passato, come luoghi di conserva-zione o stagionatura di cibi, ci si può rendere conto come non si tratti di unaspetto secondario e semplice della speleologia.Il primo elemento da analizzare è quello della temperatura: in generale, se siescludono i primi metri dell’ingresso che risentono del clima esterno, essa è

costante tutto l’anno ed è molto vicinaal valore medio della temperatura delterritorio ove la cavità stessa si apre.Ciò avviene perché nelle grotte circola-no fluidi (acqua ed aria) e sono questiche ne condizionano la temperatura.Se ci basassimo sul gradiente termicodella terra dovremmo avere un incre-mento di circa 3° ogni 100 metri diprofondità (valori che si verificanodurante lo scavo di pozzi per miniere,ad esempio); invece le grotte a svilup-po verticale (pozzi, abissi) mantengonola loro temperatura (salvo piccolevariazioni di pochissimi gradi) anche inprofondità: se ci riferiamo ad esempioagli abissi dei “carsi” d’alta quota

Concrezioni di ghiaccio, Grotta della Spipola(Emilia-Romagna). I rigonfiamenti indicano imomenti di temperatura relativamente piùelevata (poco dopo mezzogiorno), con accennidi scioglimento del ghiaccio

La Grotta della Spipola, nei gessi del Bolognese (Emilia-Romagna)

Le acque che circolano in una grottacontengono sempre una certa quantitàdi sali minerali; quando queste acqueaffiorano all’interno di una cavità natura-le possono divenire sovrasature e, con-seguentemente, danno luogo ad undeposito chimico di grotta.Da sempre questi depositi sono statisuddivisi in due “sottogruppi” : concre-zioni e mineralizzazioni, la cui differenzaera essenzialmente basata sul “grado dicristallinità”, alto nelle mineralizzazioni ebasso nelle concrezioni. In realtà in natu-ra esistono molte concrezioni macrocri-stalline o addirittura monocristalline,mentre, d’altra parte, esistono mineraliz-zazioni criptocristalline o francamenteamorfe: in pratica non vi è soluzione dicontinuità. È evidente quindi che questasuddivisione, operata sulla base del gra-do di cristallinità, non è scientificamentevalida, ma è utile per facilitare la com-prensione dei vari aspetti del problema.Un particolare deposito di grotta è quellodel guano (ovvero l’accumulo di escre-menti di pipistrello): si tratta di materialefosfatico, in passato raccolto per le sueottime qualità come fertilizzante. Essosvolge un ruolo significativo nell’ecosi-stema sotterraneo ed, a volte, può influi-re anche nella genesi di minerali partico-lari (brushite).

Le concrezioniInizialmente il termine concrezione erariservato agli speleotemi (depositi digrotta) di carbonato di calcio, quindi si ètrasferito anche a quelli di gesso e, viavia che si ampliava la conoscenza mine-ralogica del mondo sotterraneo, si sco-priva che molti altri minerali potevanodare luogo a concrezioni assolutamenteidentiche per forma e meccanismi evolu-tivi a quelle di carbonato di calcio: sononote in Italia, ad esempio, stupende con-crezioni in zolfo. Vari sono i parametri che possono con-correre a modificare la forma e l’aspetto

esterno degli speleotemi; è indubbiocomunque che il fattore che, di gran lun-ga, condiziona l’aspetto esterno deglispeleotemi è il moto dell’acqua che legenera: per questo motivo la classifica-zione più logica delle concrezioni si basaappunto su questo parametro.

Moto dell’acqua:concrezioni risultanti

• gocciolamento - caduta:stalattiti, tubolari, vele

• gocciolamento - impatto:stalagmiti, conuliti,concrezioni da splash, cerchi

• scorrimento:crostoni, colonne, barriere, moonmilk

• sommersione:pisoliti, cave clouds, coralloidi,moonmilk

• capillarità:eccentriche, dischi

• evaporazione:cristalli flottanti, coralloidi, tays

• condensazione:rims, boxworks, coralloidi orientati, moonmilk

• saliente:geysermiti

Al primo gruppo appartengono le con-crezioni più comuni e numerose ed è perquesto che sono state ulteriormentesuddivise in due sottogruppi: l’effetto deldistacco di una goccia è molto diversoda quello dell’impatto della medesima suun pavimento, quindi le morfologie risul-tanti sono molto differenti tra loro.

3130 (quindi in massicci carbonaticisuperiori ai 1500-2000 m slm) laloro temperatura è generalmenteprossima a 0°, in quanto sonogenerati e percorsi soprattutto daacque di scioglimento delle nevi.Per la loro “ isotermia” le grotterisultano quindi calde d’inverno efredde d’estate: nelle zone di bassaquota possiamo ricordare i circa10°delle fasce prealpine o i 16-18°delle grotte in Sardegna o Puglia.Esistono ovviamente casi particola-ri come quelli delle grotte laviche,che hanno condizioni climaticheinterne specifiche con temperaturemolto elevate se sono di formazio-ne recente, ma anche casi di diffe-renze termiche in grotte carsichelegate, ad esempio, alle temperatu-re dei fiumi sotterranei, le cui acquepossono provenire da aree diverse.Più costante della temperaturaall’interno delle cavità naturali è l’u-midità relativa, con valori che van-no dal 95 al 100%; valori inferiori sipossono ritrovare solo nelle zoned’ingresso ed in climi particolar-mente secchi.Notevole è l’interesse che rivestonoi movimenti di aria all’ interno deisistemi carsici. In generale questispostamenti sono piuttosto lenti,ma la loro presenza può essersignificativa se la cavità ha piùingressi oppure vi sono altri colle-gamenti con l’esterno. L’andamen-to di questi spostamenti è legatoalle diverse stagioni in quanto,come sopra precisato, la tempera-tura dell’aria nelle cavità è minore

Depositi di grotta Paolo Forti · Giuseppe Muscio

Concrezioni eccentriche di aragonite e calcite

Concrezioni di barite

Concrezione di zolfo e patine di gesso

Le mineralizzazioniAll’inizio di questo secolo i mineralisecondari di grotta conosciuti eranomeno di 45 e questo per due motivi fon-damentali: se si eccettuano la calcite, l’a-ragonite ed il gesso, che da soli costitui-scono oltre il 99,5 % della totalità deidepositi di grotta, gli altri minerali secon-dari sono molto rari, dispersi e difficili daosservare; attualmente i minerali noti perl’ambiente di grotta sono oltre 260 e ten-dono ad aumentare di anno in anno.Per “minerale di grotta” si intende unminerale secondario formatosi in unacavità naturale e derivante da una reazio-ne chimico-fisica che ha coinvolto uno opiù minerali primari esistenti nella roccia onei depositi fisici e/o biologici presentiall’interno della grotta stessa.Questi limiti rigorosi sono necessari perevitare che tutti i minerali esistenti innatura possano essere considerati ancheminerali secondari di grotta.In generale le cavità naturali non sono unambiente particolarmente favorevole allaminerogenesi ed infatti moltissime grottenon ospitano alcun minerale secondario.In realtà, però, le grotte possono interes-sare una grande varietà di rocce: calcare,dolomia, gesso, salgemma, quarzite,basalto, ecc. La degradazione chimico-fisica di queste rocce apporta al sistemauna grande quantità di ioni differenti chepossono depositarsi come mineralizza-zioni secondarie. Inoltre l’evoluzione spe-leogenetica può fare affiorare sulle paretidella grotta mineralizzazioni primarie che,al contatto con l’acqua di percolazione ocon l’ossigeno dell’aria possono dareluogo a nuovi composti chimici. Infineall’interno delle grotte possono esisteredepositi di argilla, di guano, di ossa che aloro volta possono apportare al sistemaioni utili per produrre ulteriori mineralisecondari.Sopra tutta questa varietà di substratipuò agire acqua di diversa origine(meteorica, marina, termale), che conse-

guentemente avrà un contenuto salinomolto differente sia per qualità che quan-tità di sali disciolti. In casi particolari poi,non sarà l’acqua ad agire direttamente,ma altri fluidi, quali quelli fumarolici inambiente vulcanico.La complessità dei substrati e la variabi-lità del chimismo delle acque, combinatecon le notevoli differenze di temperaturache possono esistere nelle cavità natura-li, si risolvono in un relativamente altonumero di fenomeni e meccanismi mine-rogenetici potenzialmente attivi in grotta.Alcuni di essi possono agire in ogni tipodi cavità naturale e in un intervallo di tem-peratura ampio, altri sono attivi invecesolo in cavità particolari o hanno neces-sità di temperature particolari per essereattivi. Per quanto detto non deve quindistupire il fatto che molti minerali sono sta-ti osservati per la prima volta in ambientedi grotta (tra i tanti vogliamo qui citaresolo la Francoanellite, fosfato rinvenutoper la prima volta nella grotta di Castella-na e dedicato a Franco Anelli) e che novedi essi siano ancora oggi “esclusivi” diquell’ambiente.

L’importanza scientifica dei depositi digrottaTra tutti i sedimenti di grotta, quelli chimi-ci e segnatamente le concrezioni di car-bonato di calcio si stanno dimostrandogli strumenti più duttili e potenti per lericostruzioni paleoambientali e paleocli-matiche. Mentre si accrescono, infatti,inglobano all’interno della loro strutturavari minerali in traccia, frammenti traspor-tati in sospensione durante le piene, pol-vere portata dalle correnti d’aria e mate-riale organico che può variare dalle mole-cole di acidi umici, alle spore e ai pollini.La struttura laminata e necessariamenteordinata delle concrezioni permette diricavare immediatamente una ricostruzio-ne cronologica “relativa” degli eventi cor-rispondenti a ogni singola banda diaccrescimento.

Esistono, poi, una serie di metodiche chepermettono di ottenere, più o meno facil-mente, una scala cronologica assoluta ecosì, analizzando in dettaglio l’evoluzionedelle stalagmiti, è possibile ottenere infor-mazioni sui grandi terremoti degli ultimi 5-600000 anni. Ciò permette di migliorare lavalutazione del rischio sismico. Si posso-no ottenere dati sulla temperatura dideposizione delle concrezioni analizzateed anche sulle condizioni e sui meccani-smi per cui tale deposizione è avvenuta.Queste analisi permettono una ricostru-zione paleoclimatica e paleoambientale didettaglio e rappresentano lo strumentopiù potente in mano agli scienziati perconoscere l’evoluzione dei climi e delpaesaggio nella seconda metà del Qua-ternario: è grazie alle concrezioni dellegrotte costiere (siano esse emerse chesommerse) dell’area di Palinuro (Salerno)che possiamo ad esempio datare le varia-zioni di livello marino di quel settore tirre-nico nelle ultime migliaia di anni. Grazie astazioni di misura poste in cavità naturalisi possono quantificare i movimenti con-nessi ai fenomeni di neotettonica.

A acqua di scorrimentoB acqua di gocciolamentoC acqua di capillaritàD acqua delle vasche di fondoE acqua di condensazioneF acqua di risalita termale

1 colata2 vela3 colonna4 stalattite a doccia5 stalagmite cava6 stalattiti curve7 latte di monte8 dischi9 eccentriche macrocristalline

10 infiorescenze11 microgours12 pisoliti13 boxwork14 rims15 geysemiti16 concrezioni gluteiformi17 crostoni18 stalagmiti di fango19 grandi cristalli

3332

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4

56 7

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814

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B

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D

B

A

A

Paolo Forti · Giuseppe MuscioDepositi di grotta

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di quella esterna in estate e maggiore in inverno. Correnti d’aria si possonoincontrare all’interno dei sistemi sotterranei quando ci si trova in strette galle-rie che collegano vani piuttosto ampi.A rafforzare le differenze esistenti fra l’interno di una cavità e l’esterno vi èanche la composizione dell’atmosfera: quella di una grotta è assai variabile,mentre quella esterna è piuttosto costante. Ciò che cambia significativamenteè il tenore di CO2 che raggiunge normalmente valori pari all’1-3%, fino a 100volte superiori a quelli dell’atmosfera esterna. Questi tassi, legati all’attivitàbiologica nel suolo ed al trasporto operato dall’acqua, variano nell’arco dellestagioni e dell’evoluzione della cavità e rientrano, comunque, nei limiti di tolle-rabilità per l’uomo. Solo tassi superiori al 10% sono pericolosi e si verificanoad esempio negli strati più bassi di alcune grotte vulcaniche o comunque conpresenza di fluidi idrotermali (il fenomeno è noto sin dal XVIII secolo nella Grot-ta del Cane a Pozzuoli).Problemi di respirabilità dell’aria sono noti in alcune cavità che sono o sonostate interessate dalla presenza di esalazioni solfuree: Grotta Azzurra e Grottadi Cala Fetente a Palinuro (Campania) e Grotta del Dragone a Maratea (Basili-cata). I solfobatteri presenti nell’acqua, ad esempio, abbassano fortemente iltenore di ossigeno a favore di altri composti (soprattutto H2S) e, mentre non vi

A

C D E

B

6°C

20°C4°C

2°C

18°C16°C

La Grotta del Dragone a Maratea (Basilicata)

La circolazione dell’aria nelle cavità naturali: tunnel a vento in estate (A) e in inverno (B); trappola ad ariafredda (C) o calda (D); in una cavità con una sola apertura la circolazione dell’aria dipende dallapressione atmosferica (E)

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36 sono problemi nelle zone ben collegate all’esterno e quindi a forte ricambiod’aria, particolare attenzione va posta nelle zone più chiuse; la noncuranza diquesto fenomeno è costato la vita ad alcuni speleo-sub.

■ Le aree carsiche ed i maggiori sistemi sotterranei in Italia

L’Italia è una nazione all’avanguardia sia nel campo dello studio delle cavitànaturali che in quello più prettamente esplorativo. Ciò è legato sia a motivi sto-rici che all’ampia diffusione che il fenomeno carsico ha nella nostra nazione: il27% del territorio nazionale è costituito da rocce carsificabili e sono ben oltrecento anni che esiste un’attività di ricerca e di studio delle cavità naturali benstrutturata e sviluppata. Nei diversi catasti grotte regionali sono catalogateben oltre 33.000 grotte che rappresentano, sia chiaro, una percentuale piutto-sto ridotta di quelle effettivamente presenti nel nostro territorio; basti pensare,ad esempio, che il catasto grotte del Friuli-Venezia Giulia conta oltre 6.300cavità in un territorio di circa 7.800 kmq e che ogni anno questo numeroaumenta di circa 200 nuove grotte.Sono ben 180 i sistemi sotterranei che in Italia (dati 1999) superano la profon-dità di 300 metri e di questi 6 superano la “mitica” soglia dei 1.000 metri.Attualmente il “record” è detenuto dall’Abisso Paolo Roversi che si apre nelleAlpi Apuane e raggiunge i 1250 metri di profondità.Sono 92 (sempre dati aggiornati al 1999) le cavità che superano i 3 km di svi-luppo e fra queste 20 superano i 10 km. La cavità italiana più lunga è il Com-plesso del Corchia (Alpi Apuane) con oltre 52 km. Si tratta di un’estensionepiuttosto rilevante, ma che pare quasi irrisoria se confrontata con lo sviluppodel più vasto sistema sotterraneo del mondo, Mammoth-Flint Cave Systemnegli Stati Uniti con oltre 500 km di gallerie!Osservando gli elenchi delle grotte più lunghe e profonde e le consistenzecatastali, si nota come Friuli-Venezia Giulia e Veneto, con il 9% del territoriocarsificabile, abbiano più di 1/3 delle grotte sinora conosciute e come questestesse regioni, assieme a Toscana, Piemonte e Lombardia ospitino 3/4 dellegrandi cavità italiane. In queste aree sono presenti le zone carsiche più impor-tanti (ma anche quelle che da più tempo sono oggetto di ricerche sistematichee che quindi hanno dato maggiori risultati).

Piemonte e Val d’Aosta . Mentre la Val d’Aosta è costituita per la quasi totalitàda rocce metamorfiche e magmatiche e quindi non vi sono fenomeni carsicisignificativi, in Piemonte sono presenti alcuni dei sistemi carsici più vasti d’Ita-lia, concentrati soprattutto in due estese aree carsiche delle Alpi Marittime:Marguareis e Mongioie.Il complesso di Piaggia Bella si apre nell’omonima conca del Marguareis: si

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Le principali aree carsiche in Italia

CALCARI E DOLOM IE GESSI LAVE

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3938 tratta di una dozzina di abissi diversi che si riuniscono fra loro formando unreticolo sotterraneo di oltre 35 km di sviluppo e 950 m di profondità. Poco piùa sud si apre Labassa, prosecuzione a valle di Piaggia Bella, lunga oltre 14 kme con una profondità complessiva di 609 m; nello stesso massiccio il com-plesso di Conca delle Carsene raggiunge uno sviluppo di 13,5 km ed unaprofondità di 759 m. Superano i 500 m di profondità l’Abisso dei Perdus, L’A-bisso Scarasson, l’Abisso Cuore di Pietra, l’Abisso Libero, l’Abisso Ferragostoed il Complesso del Colle dei Signori che si sviluppa in parte in Italia e in partein Francia.Nel massiccio del Mongioie si aprono il Complesso C1-Regioso (oltre 6 km disviluppo), La Grotta delle Vene (4,7 km), mentre raggiungono i 470 m diprofondità l’Abisso Ngoro-Ngoro e l’Abisso M16 in Val Corsaglia. La Risorgen-te della Mottera è stata risalita per oltre 600 m (14 km di sviluppo) fino quasialla zona degli assorbimenti.La maggiore cavità turistica piemontese è la Grotta di Bossea, attrezzataanche come laboratorio scientifico, nota per i ritrovamenti di resti di Ursusspelaeus e che si apre non distante da Cuneo. La Grotta dei Dossi, nei pressidi Mondovì, è stata una delle prime grotte turistiche italiane, essendo stataattrezzata all’uopo già ai primi dell’800.

Lombardia . L’altipiano di Cariadeghe (Brescia) cela importanti fenomeni carsi-ci, il più rilevante dei quali è l’Omber en banda al Bus del Zel con uno sviluppocomplessivo di oltre 15 km ed una profondità di circa 420 m.Nelle montagne bergamasche sono presenti frequenti aree carsiche di grandeinteresse: in Val Taleggio la Grotta Maddalena è lunga circa 10 km.Dal punto di vista esplorativo zone di notevole potenzialità sono quelle attornoal lago di Como: ai Piani del Tivano il Complesso Tacchi-Zelbio ha uno svilup-po di quasi 10 km e la Grotta presso la Capanna Stoppani supera 8 km, men-tre il complesso Bül-Guglielmo raggiunge i -557 m. Nelle Grigne si apronoalcune delle grotte più profonde in Italia: l’Abisso Viva le Donne è stato disce-so fino a -1170 m, l’Abisso Capitan Paff fino a -795 m.Quasi al confine con il Piemonte, vicino a Varese, il Parco di Campo dei Fiori èun’area carsica di grande potenzialità: la Grotta Nuovi Orizzonti e la GrottaMarelli sono prossime ai 6 km di sviluppo, mentre l’Abisso Schiaparelli scendefino a -600 m.Alcuni fenomeni carsici della regione sono stati visitati fin dall’antichità da illu-stri studiosi: così la sorgente intermittente di Torno (Como) descritta da Plinioil Vecchio nel 50 d.C., la grotta di Fiumelatte e la Ghiacciaia di Moncodeno(Como) descritte da Leonardo da Vinci. La Ghiacciaia venne ancora minuzio-samente descritta nel 1627 da Stenone, in una lettera indirizzata a NicolòCosimo III, Granduca di Toscana.

Trentino-Alto Adige . Per ragioni geologiche le maggiori cavità della regionesono quelle dell’area più meridionale. Pur essendo la culla dell’alpinismo, que-sto territorio, dopo le prime consistenti ricerche attorno agli anni ‘30, ha vistosvilupparsi definitivamente le conoscenze sul carsismo solo dopo gli anni ‘60.Trentina è una delle maggiori grotte italiane, la Bigonda, che si sviluppa per cir-ca 26 km in Valsugana raccogliendo le acque dell’Altipiano di Asiago, area ovesi apre anche la Grotta del Calgeron (5,3 km di sviluppo). Notevoli, sempre inValsugana, i complessi ancora attivi della Fosca e di Castello Tesino. NelleDolomiti di Brenta e nell’attiguo gruppo Gazza-Paganella si aprono circa 700cavità naturali tra cui la Grotta di Collalto (5,2 km), del Torrione di Vallesinella,l’Abisso Popov, l’Abisso di Lamar. In Val Daone, a sud dell’Adamello si svilup-pa la grotta Aladino (7 km) mentre nelle pendici settentrionali del M. Baldo siapre l’Abisso di Val Parol (1,6 km, 430 m di profondità). Notevoli e diffusi, infi-ne, i fenomeni carsici superficiali, specialmente nella bassa Valle del Sarca esul M. Baldo.Esplorati solo negli ultimi vent’anni, infine, i fenomeni carsici dell’Alto Adigedove sono state rilevate alcune grotte di notevole sviluppo nell’area degli Alto-piani Ampezzani (Marebbe) nella parte nord-orientale della regione. Di granderilievo i rinvenimenti di resti di orso delle caverne nella Grotta delle Conturinesin Alta Val Badia.

Veneto . Con oltre 6500 cavità censitenel Catasto delle Grotte, il Veneto sipone fra le regioni italiane in cui il feno-meno carsico non solo è più esteso maanche capillarmente indagato. In realtàa parte modesti settori in cui affioranorocce magmatiche o metamorfiche,l’intera fascia montana, costituita daprevalenti rocce carbonatiche, si pre-senta come un’unica ininterrotta areacarsica. La Lessinia, i Berici, gli Altipia-ni vicentini di Asiago e Tonezza, ilGrappa, il Montello, il Cansiglio sonotuttavia le aree carsiche per eccellen-za, aree in cui sono state scritte paginefondamentali per la storia della speleo-logia italiana. Benché l’attività esplora-tiva praticamente solo in questi ultimianni abbia investito anche il territorioBellunese - con risultati peraltro delGrotta di Castel Sotterra (Montello, Veneto)

tutto inaspettati - molte montagne dolomitiche rimangono del tutto sconosciu-te per quanto riguarda il carsismo. Già fin d’ora, tuttavia, possiamo affermareche proprio le Dolomiti costituiscono la nuova frontiera per la speleologiaveneta.Il Buso della Rana, negli estremi Lessini Vicentini, è la maggiore cavità venetacon oltre 25 km di sviluppo e detiene il record, peraltro effimero, di essere lapiù lunga cavità italiana con un unico ingresso. La Busa di Castel Sotterra nelMontello è invece una delle cavità più lunghe del mondo scavata entro con-glomerati (oltre 4 km). Due grandi abissi veneti sfiorano i 1000 m di profondità:l’Abisso di Malga Fossetta nell’Altopiano di Asiago (974 m) e il Complesso deiPiani Eterni nelle Vette Feltrine (966 m). La Spluga della Preta nei Lessini Vero-nesi è ben terza fra i maggiori abissi veneti: malgrado la sua profondità sia sta-ta ridotta dai recenti rilevamenti a 877 m, essa rimane una cavità simbolo perla sua epopea esplorativa, vero archetipo e patrimonio storico non solo dellaspeleologia veneta ma anche di tutta la speleologia italiana.

Friuli-Venezia Giulia . Il Carso, in parti-colare quello triestino, è stato la culladella speleologia e nonostante sia da150 anni oggetto di ricerche sistemati-che continua a fornire sempre nuovescoperte. La densità di grotte cono-sciute è elevatissima: 3000 cavità persoli 200 kmq di superficie ed il misterodel corso sotterraneo del Timavo non èancora del tutto svelato. Fra le grottepiù note del Carso vi è certamente l’A-bisso di Trebiciano che, con una seriedi pozzi raggiunge, ad oltre 350 m diprofondità, il corso del Timavo, cosìcome la Grotta Skilan che è la piùestesa della provincia di Trieste conoltre 6 km di sviluppo ed una profon-dità di quasi 400 m. La cavità più notadella zona è certamente la GrottaGigante, una delle maggiori grotte turi-

stiche italiane, mentre la Grotta Gualtiero Savi sfiora i 4 km di sviluppo.In Friuli interessanti cavità naturali sono quelle delle Prealpi Giulie che si svi-luppano, nella maggior parte dei casi, all’interno di banconi carbonatici che sialternano ai livelli flyschoidi: per questa ragione si tratta il più delle volte dicavità a prevalente sviluppo orizzontale: la Grotta Nuova di Villanova, in parte

41attrezzata turisticamente, è lunga oltre7 km e 4 km sono lo sviluppo di SanGiovanni d’Antro che ospita all’ingres-so una chiesetta e delle strutture fortifi-cate medioevali ma che si impostanosu strutture di epoca romana.Il massiccio del Canin nelle Alpi Giulie,costituito da carbonati del Triassicosuperiore, è stato il primo “carso d’altamontagna” ad essere esplorato siste-maticamente ed il Sistema del Col del-le Erbe (Abisso Gortani ed altri) con isuoi -880 m e 22 km di sviluppo è statoper anni il più profondo d’Italia. Ora l’a-rea conta decine di cavità che supera-no i 500 m di profondità (Complessodel Foran del Muss -1100 m con 15 kmdi sviluppo, Abisso Led Zeppelin -960 m,Abisso Modonutti-Savoia -805 m e co-

sì via). Nei Calcari di Scogliera del Devoniano delle Alpi Carniche si apre ilComplesso del Monte Cavallo di Pontebba che raggiunge i 690 m di dislivelloed ha la peculiarità di svilupparsi, sottoterra, anche in territorio austriaco.Nei calcari cretacici delle Prealpi Carniche le cavità maggiori sono la Risorgivadi Eolo, oltre 5 km, ed i vari sistemi sotterranei dell’area di Pradis (ComplessoLa Val-Noglar-Mainarda, che sfiora i 7 km di sviluppo). Nuove zone di interes-se sono state individuate all’ interno del Parco delle Dolomiti Friulane (adesempio il Landri Scur di Claut con 4,8 km di sviluppo). Interessanti fenomenisono quelli dell’Altopiano del Cansiglio, al confine con il Veneto, ove il Bus dela Lum è stato oggetto di epiche esplorazioni a cavallo fra il XIX ed il XX seco-lo. Il fenomeno più interessante è comunque la risorgiva del Gorgazzo, di tipovauclusiano (cioè con acque che occupano l’intera sezione della condotta sot-terranea), che raccoglie le copiose acque di questo altipiano e nella quale, puraprendosi a 47 m slm, sono stati superati i 100 m di profondità senza arrivareal fondo: è una delle cavità più pericolose ed alcuni speleosub vi hanno persola vita. La sua esplorazione viene oggi svolta con piccoli sottomarini-robot.

Liguria . Vuoi per il clima, vuoi per la posizione geografica della regione, nume-rose grotte sono interessate da depositi archeologici e paleontologici, alcunidella massima importanza.Proprio al confine con la Francia si trovano le famose Grotte dei Balzi Rossi,fra le più importanti stazioni preistoriche italiane, così come interessanti testi-

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Uno degli abissi d’alta quota che si aprono,numerosi, nel massiccio del M. Canin (Friuli)

La Grotta Nuova di Villanova (Friuli)

4342 monianze racchiudono le Grotte di Toirano attrezzate anche per la visita turi-stica. Una curiosità è certamente la Grotta del Treno di Bergeggi che si apredentro un tunnel ferroviario! Nei calcari del monte Tampa, presso Giustenice(Savona), si apre la Grotta degli Scogli Neri, la più lunga della Liguria, con unosviluppo di quasi 5 km, mentre nella zona di Finale (Savona) si apre il com-plesso Arma Pollera-Arma do Buio, due grotte collegate da un sifone. La pri-ma è anche un importante sito preistorico.Al confine con la Francia si sviluppa la Grotta della Melosa (Imperia), che con isuoi -253 m rappresenta la grotta più profonda. Importanti esplorazioni sonoattualmente in corso alla Grotta Balbiseolo (Bardineto), collettore a valle delBuranco Rampion: gli speleologi hanno già scoperto quasi 5 km di gallerie e leprospettive sono esaltanti.

Emilia Romagna . Nell’Appennino affiora una lunga ma discontinua fascia didepositi evaporitici messiniani e triassici: i gessi, sede di numerosi fenomenicarsici di grande interesse per la varietà degli ambienti, per l’aspetto mineralo-gico o per il contenuto entomologico, ma spesso non particolarmente concre-zionate e quindi spesso non belle secondo i canoni classici della speleologia.Il sistema di maggiore interesse è quello Spipola-Acqua Fredda, non lontanoda Bologna, sviluppato per oltre 10 km all’interno di un’area di tale interesseda costituire un parco naturale. Si tratta della più estesa cavità in gesso del-l’Europa occidentale. Nell’alta Valle del Fiume Secchia (Reggio Emilia) affiora-no estesamente i gessi del Triassico nei quali il carsismo si sviluppa in “anseipogee”, cioè corsi d’acqua che penetrano all’interno delle bancate evaporiti-che per ritornare, dopo un percorso più o meno esteso, nel loro naturale alveoepigeo. Una di queste costituisce la risorgenza carsica più copiosa dell’Ap-pennino: le Fonti di Poiano. Recentemente è stata esplorata la più profondagrotta nei gessi del mondo, il sistema carsico del M. Caldina con 265 m didislivello ed 1 km di sviluppo.Negli affioramenti gessosi di Brisighella si aprono l’Abisso Fantini, la Grottadella Tanaccia ed il Complesso Rio Stella-Rio Basino, una delle poche cavitàitaliane soggette a protezione integrale.

Toscana . Speleologicamente Toscana significa Alpi Apuane: la mecca dellaspeleologia esplorativa di questi ultimi anni, ma anche il luogo dei massimiproblemi di tutela del mondo sotterraneo; molte cavità, infatti, sono minaccia-te di distruzione dall’attività di estrazione delle cave di marmo.L’Abisso Paolo Roversi, fondo oltre 1250 m, cela al suo interno il “Black hole”un singolo pozzo di oltre 300 metri e di una tale larghezza da non permettere achi lo discende di scorgerne le pareti. L’Abisso Olivifer raggiunge i 1215 m di profondità, mentre il Complesso del

Monte Corchia, il più esteso sistema sotterraneo italiano (oltre 50 km) raggiun-ge i -1190 m. Nel ristretto club dei -1000 rientra anche il Complesso Saragato-Aria Ghiaccia.Di interesse storico è la Tana che Urla, presso Fornovolasco: è una cavità nonparticolarmente estesa, percorsa da un torrente sotterraneo che fu oggetto,nel XVIII secolo, degli studi di Vallisneri sull’idrologia sotterranea. Nella stessazona si apre la Grotta del Vento, attrezzata turisticamente. Da ricordare poi lagrotta idrotermale Giusti, presso Monsummano Terme, con acque a 35°.

Umbria e Marche . L’Appennino umbro -marchigiano presenta estesi affioramentidi calcari mesozoici: nel massiccio delMonte Cucco si apre l’omonima Grottache raggiunge i -920 m con uno sviluppocomplessivo di oltre 31 km.Ma le grotte più famose dell’area sonoquelle della Gola di Frasassi, non lontanoda Jesi. Il Complesso Fiume Vento (oltre23 km di sviluppo) è uno dei sistemi sot-terranei più belli del mondo: in parteattrezzato turisticamente, viene visitatoannualmente da oltre 400000 turisti. Trat-tandosi di una cavità nella quale si èintervenuti in tempi recenti, i lavori effet-tuati risultano - per quanto possibile -rispettosi delle esigenze dell’ambientesotterraneo e, soprattutto, si è cercato disalvaguardare le peculiarità del climasotterraneo. Nella stessa zona si apre la

Grotta di Frasassi, affascinante per la presenza, all’ingresso, di un piccolotempio edificato all’inizio del XIX secolo su progetto dell’architetto Valadier.

Abruzzo e Molise . I massicci carbonatici del Gran Sasso e della Maiella han-no sinora aperto agli esploratori solo una parte delle loro enormi potenzialità.Si può ricordare la cavità turistica del Cavallone dentro la quale un olfattoattento può individuare l’odore degli idrocarburi presenti nelle rocce. Nei pres-si di L’Aquila si apre la Risorgiva di Stiffe, lunga oltre 1,5 km ed attrezzata turi-sticamente.Maggiori dimensioni sono quelle delle cavità del Matese, complesso carbonati-co a Sud-Ovest di Campobasso, ove il Pozzo della Neve raggiunge la ragguar-devole profondità di 1045 m e l’Abisso Cul di Bove sfiora i 4 km di sviluppo.

Il Complesso Fiume Vento (Marche)

4544 Lazio . Il massiccio dei Monti Lepini ospita la Grotta del Formale, lunga oltre4 km, e l’Abisso Consolini con una profondità di circa 600 m. Altre aree car-siche di grande potenzialità sono quelle dei Monti Aurunci, dove l’Abisso Val-laroce raggiunge i -565 m, dei Monti Ausoni le cui acque vengono raccoltedalle Grotte di Pàstena, lunghe oltre 3 km ed attrezzate per i turisti, dei Mon-ti Simbruini con la Grotta di Bellegra o dei Monti Ernici con l’Abisso degli Urli(-610 m ed oltre 3 km di sviluppo).Nel promontorio del Circeo la Grotta Guattari ha restituito i resti dell’Uomo diNeanderthal: si tratta di una sepoltura ritrovata nel 1939. Altre grotte di inte-resse paletnologico sono presenti soprattutto nell’area di Latina.

Campania . Il massiccio dell’Alburno è stato il primo complesso carsico adessere esplorato con sistematicità nell’Italia Meridionale. Sono presenti estesearee carsiche con la Grava dei Gentili come massima profondità (-484 m), laGrava del Fumo, la Grotta del Casone Vecchio ed altre.Ai piedi dell’Alburno la Grotta di Castelcivita, attrezzata per i turisti, ne rappre-sentava una delle risorgenze e, recentemente, si è trovato il collegamento conil sistema attivo (Ausino) di raccolta delle acque del massiccio sovrastante,formando un complesso di oltre 6 km di sviluppo.Grande importanza rivestono le grotte marine, basti ricordare la Grotta Azzurradi Capri e quella di Palinuro. In quest’ultima località la Grotta di Punta Galera hauno sviluppo di oltre 1 km attraversando quasi interamente lo stretto promon-torio. Di particolare interesse è il fatto che molte delle Grotte di Capo Palinuro

sono state, e in parte lo sono ancora, soggette alla circolazione di fluidi solfureie ciò ha condizionato soprattutto la formazione dei depositi di grotta.Interessanti stazioni preistoriche sono molte grotte costiere fra Palinuro eCamerota. Nel Cilento va ricordato il percorso sotterraneo del fiume Bussentoche, nei dintorni di Caselle in Pittari e Morigerati, “entra” nel massiccio carbo-natico per riuscirne oltre 4 km più a valle. Sino a pochi anni fa questo tratto sot-terraneo del fiume raccoglieva, di fatto, parte degli scarichi fognari dell’area!

Puglia . È una delle regioni ove sono più estesi gli affioramenti di rocce carbo-natiche. In essa si riconoscono tre distinte macroaree carsiche: Gargano, Mur-gia e Salento. Sul Gargano sono diffusissime le forme superficiali, ed in esso èubicata anche una delle maggiori doline d’Europa, la Dolina Pozzatina con dia-

metro di oltre 600 m e profondità di 100 m; sulla Murgia vanno segnalati il Pulodi Altamura ed il Pulo di Molfetta. Rilevanti sono le Gravine, lunghe valli carsi-che che incidono soprattutto i pianori della Murgia Tarantina.La cavità più nota, la Grotta di Castellana, scoperta dal prof. Anelli nel 1938, èoggi una delle più importanti grotte turistiche italiane. La grotta più profondadella regione è la Grava di Campolato (S. Giovanni Rotondo), con profonditàsuperiore ai 300 m. Molte grotte pugliesi, oltre all’aspetto puramente speleolo-gico, rivestono particolare importanza per le testimonianze paletnologiche rin-venute in esse; si segnalano: la Grotta Paglicci (Gargano) frequentata dall’uo-mo fin dal Paleolitico, La Grotta dei Cervi a Porto Badisco nel Salento, il Com-plesso Scaloria-Occhiopinto a Manfredonia utilizzato nel Neolitico per il cultodelle acque. Importantissima la recente scoperta di resti umani nella Grotta diLamalunga in agro di Altamura. Infine occorre menzionare l’uso delle cavità daparte dell’uomo a scopo cultuale: dall’epoca paleocristiana al tardo medioevo

Grotte di Castellana (Puglia) Grotta di Porto Badisco (Puglia), pitture rupestri

Una delle cavità che si aprono lungo la costa del Cilento (Campania). Si notano i paleosuoli concrezio-nati all’ingresso della grotta

4746 le grotte hanno attraversato diverse fasi da eremi e cripte fino al culto dell’Ar-cangelo Michele. Purtroppo buona parte del carsismo profondo pugliese hasubito profonde e gravi alterazioni da parte dell’uomo moderno. Oltre alladistruzione totale a causa delle cave, si sprecano i casi in cui le acque fogna-rie dei centri urbani vengono convogliate in inghiottitoi naturali; inoltre, moltospesso le voragini vengono utilizzate come discariche abusive di ogni tipo dimateriale; perfino rifiuti speciali vengono immessi nelle cavità. Un esempiosignificativo è la Grava di San Leonardo (San Giovanni Rotondo), in cui giac-ciono tonnellate di medicinali scaduti ed altro materiale ospedaliero, con enor-mi possibilità di inquinamento della sottostante falda acquifera.

Basilicata . Presso Maratea, nella ridotta fascia tirrenica di questa regione, siaprono la Grotta del Dragone, con circa 3 km di gallerie, esaustore fossile delcomplesso carsico del Monte Coccovello. Vi era stata segnalata la presenza diesalazioni che potevano rendere pericolosa l’esplorazione, legate alla presen-za di una discarica in una dolina, ma il problema pare essere stato recente-mente risolto. Particolarmente sviluppata è la speleologia marina e qui ha sedeil Centro Europeo di Speleologia Marina. Lungo la costa si trova la Grotta del-le Meraviglie - in parte attrezzata per le visite turistiche - mentre poco a mon-te, presso Trecchina, si trova la Grotta di Sant’Angelo, lunga circa 500 m e ric-ca di concrezioni e scorci suggestivi. Notevole è la Grotta di Castel Lepre presso Marsico Nuovo, con uno sviluppodi quasi 2 km; ancora più estesa è la Grotta I Vucculi di Muro Lucano.Un cenno particolare merita l’area del materano ove le cavità naturali sono sta-te utilizzate come abitazione dall’uomo, ed in parte lo sono ancora.

Calabria . Nel Massiccio del Pollino si apre l’Abisso del Bifurto che raggiunge i683 m di profondità: quando questo limite fu raggiunto si trattava della piùprofonda grotta italiana. Altra cavità di grande interesse è la Grotta di Serra delGufo.Nell’area ionica, presso Cassano, si aprono le Grotte di Sant’Angelo: descrittegià nel 1571, hanno uno sviluppo complessivo di oltre 2 km e sono collegatead un sistema di sorgenti solfuree. Acque calde solfuree sono quelle sfruttatecome termali all’Antro delle Ninfe presso Cerchiara.Nella fascia tirrenica sono note numerose cavità di interesse archeologico,mentre nella zona di Crotone si apre la Grotta di Samouri Tourè che, percorsada un fiume sotterraneo, si sviluppa per oltre 2 km.

Sicilia . Nei massicci carbonatici dell’isola (Nebrodi, Iblei, Madonie) si apronole Grotte di Pantalica e molti altri sistemi carsici, ma ciò che caratterizza l’iso-la è certamente la presenza delle grotte laviche che, numerose, si aprono alle

pendici dell’Etna. La più nota è la Grotta dei Tre Livelli con uno sviluppo di oltre1300 m ed una profondità di oltre 300, ma è curiosa la presenza, ai piedi di unvulcano, di un ghiacciaio sotterraneo nella Grotta del Gelo. Notevole è anchelo sviluppo dell’Abisso Profondo Nero che supera 1 km di gallerie. A comple-tare il quadro della potenzialità speleologica siciliana vanno ricordate le grottenel gesso come il noto sistema della Grotta di Santa Ninfa, oltre 1 km di galle-rie riccamente concrezionate, o quelle di Sant’Angelo Muxaro.Non si può parlare delle cavità siciliane senza ricordare la Grotta di Monte Kro-nio a Sciacca. Si tratta di una importante stazione preistorica, utilizzata in pas-sato come luogo di culto ed ora praticamente inesplorabile perché percorsada vapori caldi che portano la temperatura interna ad oltre 38 °C; la cavità èoggi visitabile solo con l’uso di attrezzature speciali.

Sardegna . Estesi affioramenti di roccecarbonatiche fanno della Sardegnauna delle regioni di maggiore interesseper gli speleologi, per la presenza dicavità a grande sviluppo orizzontale espesso riccamente concrezionate.Nel Supramonte di Oliena e nei dintor-ni di Dorgali si aprono estesi sistemisotterranei come Su Bentu-Sa Oche(15 km di sviluppo) e San Giovanni SuAnzu (11 km). Ma il sistema sotterra-neo più esteso è quello della Codulade Luna, formato dalla congiunzionefra Su Palu e Su Spiria, con oltre 38 kmdi sviluppo.

Importanti sono le grotte marine, spesso meta dei turisti, come la Grotta diNettuno ad Alghero o la Grotta del Bue Marino a Dorgali.

■ Breve storia della speleologia e della struttura speleologica in Italia

Cercare di riassumere in poche righe la storia della speleologia italiana è quan-to mai arduo soprattutto quando ci si rende conto che la nostra è stata, sinoalla Seconda Guerra Mondiale, la nazione in cui questa scienza ha avuto mag-giore sviluppo.Le grotte hanno rappresentato per millenni l’abitazione dell’uomo e delle belvee poi il luogo privilegiato di riti fossero essi religiosi o pagani, e sono semprestate viste con rispetto, forse con più paura dall’uomo del Medioevo che dal-l’uomo preistorico che ha a volte trasformato tratti anche di difficile accesso

Grotta di Santa Barbara (Sardegna)

4948 dei sistemi sotterranei in veri e propri templi dell’arte (si veda ad esempio laGrotta dei Cervi a Porto Badisco in Puglia).Lo stesso Dante racconta di essere entrato agli inferi attraverso una speloncae bisogna quindi arrivare a Leonardo da Vinci che esplora una “spelonca” con“paura e desiderio…per vedere se la entro fosse alcuna mirabile cosa”. Testi-monianze certe di esplorazioni fra il XIII ed il XV secolo sono le date incise nel-le famosissime Grotte di Postumia (o Adelsberg, ora in territorio Sloveno).È con il XVI secolo, però, che si incomincia a parlare delle grotte con una mag-giore attenzione alla descrizione dei fenomeni: si tratta soprattutto di studisvolti da Piero Coppo e Alessandro Alberti sul corso del Timavo, il fiume sot-terraneo che scorre fra Slovenia ed Italia.Anche il secolo successivo vede le ricerche concentrate soprattutto nell’areadel Carso. Il Seicento termina con il capolavoro di Atanasius Kircher, gesuitatedesco, che pubblica a Roma il Mundus subterraneus. Si tratta di una sorta dimanuale di speleologia in cui vengono descritte non solo le metodologieesplorative ma anche esposte teorie speleogenetiche, classificazioni ed altro.Si tratta di idee a volte bizzarre o fantasiose, ma si tratta pur sempre di unenorme passo in avanti con il tentativo di interpretare il fenomeno, di classifi-care le forme. Sarà il secolo successivo che, con l’opera del Vallisneri sull’ori-gine delle fontane, vede il primo approccio scientifico all’idrologia carsica. Mail carsismo ancora non esiste!Nell’Ottocento nascono le grandi scuole di carsismo: francese, austriaca, slo-vena ed italiana. E le ultime tre trovano naturale campo di confronto nell’areadi Trieste, allora porto dell’Impero Austro-Ungarico. Il problema era quello digarantire un rifornimento idrico sicuro ad una città che era in continua e forteespansione. La soluzione più logica appariva quella di sfruttare le acque delTimavo, ma non era possibile farlo senza conoscerne il reale percorso sotter-raneo. Certo le acque si inabissano nell’Abisso di San Canziano e vengono agiorno presso Duino, ma per quali vie percorrono le decine di chilometri cheseparano questi punti ?Figura principe dell’esplorazione è Antonio Federico Lindner che prima rag-giunge i -227 metri nell’Abisso di Padriciano e poi, nel 1841, i -329 nell’Abissodi Trebiciano, ove raggiunge il tratto sotterraneo del Timavo, stabilendo allorail record mondiale di profondità. Il padre della speleologia triestina è statocomunque il grande Eugenio Boegan che ha fondato, nel 1883 in seno allaSocietà Alpina delle Giulie, la Commissione Grotte, il primo sodalizio speleolo-gico costituitosi al mondo, attorno al quale hanno operato figure di primo pia-no come Bertarelli e Timeus. Ma allora Trieste era in Austria e la bandiera del-la speleologia del Regno d’Italia era quella friulana: a Udine nasce, nel 1897, ilCircolo Speleologico e Idrologico Friulano, voluto da Marinelli e che vede fra isuoi elementi di punta uomini come Gortani, Feruglio, Desio e De Gasperi. Al

sodalizio friulano si deve la pubblicazione di Mondo Sotterraneo, il primonumero del quale appare nel 1904 e che viene ancora oggi regolarmente edi-to. Gli studi del Circolo si incentrano nell’area delle Prealpi Giulie e portanoall’esplorazione, fra l’altro, della Grotta Doviza che, sino al 1914, è stata consi-derata la più lunga d’Italia. Leggere oggi Grotte e Voragini del Friuli di De Gasperi (che quando lo scrissenel 1915 aveva solo 24 anni) o il Duemila Grotte di Boegan e Bertarelli, editonel 1926, colpisce per la mole di informazioni che questi volumi contengono eper il rigore del metodo.Nel frattempo circoli speleologici nascono a Milano e Roma e, nel 1903,

Giovan Battista de Gasperi durante le esplorazioni del 1911 nella Grotta Doviza (Friuli)

5150 Michele Gortani fonda a Bolognauna ”Società Speleologica Italia-na” , vista soprattutto come stru-mento di ricerca scientifica, chepubblica pochi numeri della “Rivi-sta Italiana di Speleologia” : ma itempi non sono ancora maturi perun coordinamento a livello naziona-le di una speleologia che invece ini-zia a vivere una specie di dualsimofra l’attività esplorativa e quella diricerca.La Prima Guerra Mondiale da unlato causa gravi problemi ad alcunisodalizi (il Circolo di Udine emigraad esempio a Firenze dopo la rottadi Caporetto) ma porta, alla suaconclusione, alla conquista da par-te dell’Italia di tutto il territorio delCarso Classico ed è così che ilFriuli-Venezia Giulia mantiene unaposizione di predominio speleolo-gico a livello mondiale. Ma un po’ intutto il nord Italia i grandi successiesplorativi si susseguono: dall’A-bisso Bertarelli (Carso), ove vengo-no raggiunti i -450 m, si arriva alleesplorazioni della Spluga della Pre-ta (Veneto), dell’Abisso Guglielmoin Lombardia sino ai -541 m del-l’Antro del Corchia in Toscana, rag-giunti nel 1934. I limiti erano alloralegati non certo alle capacità degliesploratori, ma solo ai problemilogistici ed al peso dei materiali:esplorazioni che oggi si compionoin poche ore da parte di una squa-dra di tre speleologi richiedevanoallora mesi di preparazione, decinedi uomini e diverse giornate esplo-rative per la squadra di punta. Que-

sti problemi restano, fondamentalmente identici, pur passando dalle scale dilegno a quelle metalliche, sino agli anni ’70, quando l’uso di tecniche di pro-gressione su sola corda permettono di alleggerire di molto il peso dei materia-li, pur rimanendo negli opportuni margini di sicurezza. Si potranno così esplo-rare anche gli abissi di alta quota, aree già note per le loro potenzialità ai padridella speleologia moderna.Ritornando al periodo fra le due Guerre, fondamentale è il ruolo giocato dall’I-stituto Italiano di Speleologia, con sede nelle Grotte di Postumia, che crea unCatasto delle Grotte, pubblica l’importante rivista Le Grotte d’Italia e coordinale attività esplorative e di ricerca scientifica dei vari gruppi speleologici. Ciòfavorisce lo sviluppo della speleologia in Italia ed anche una sua espansionenelle regioni meridionali, ma alla fine della II Guerra Mondiale il patrimonio del-l’Istituto viene disperso, sono scomparsi i grandi speleologi delle origini e l’Ita-lia perde, oltre alla gran parte del Carso classico, anche la sua supremazia incampo speleologico.La fitta ragnatela costituita dai circoli speleologici riprende a funzionare e siricostituisce a Verona, nel 1950, la Società Speleologica Italiana, vista soprat-tutto come associazione di speleologi e non come società verticistica. Pochianni dopo Gortani rifonda a Bologna l’Istituto Italiano di Speleologia, voltoinvece soprattutto alla ricerca scientifica: solo dopo anni di rapporti difficili ledue società entreranno in sintonia.Negli anni sessanta riprendono, anche grazie alla comparsa di nuove tecni-che, le grandi esplorazioni con il record alla Spluga della Preta (Veneto) ovevengono raggiunti i -878 m. Sono gli anni delle esplorazioni nelle Alpi Apuane,nel Canin, nel Marguareis, aree che sono ancora oggi meta di continue cam-pagne di ricerca.Negli stessi anni si verificano però fatti luttuosi che conducono, fra l’altro, allanascita del Soccorso Speleologico all’interno del Soccorso Alpino.La speleologia di quegli anni è ben sviluppata solo in alcune regioni (Friuli-Venezia Giulia, Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana) ed appare piuttostochiusa in se stessa: si radicalizza anzi una sorta di contrapposizione fra spe-leologia esplorativa e speleologia accademica. Questo dualismo viene poi len-tamente, ma fortunatamente, a scomparire. Negli anni successivi inizia unaevoluzione delle strutture ed organizzazioni speleologiche che, pur mantenen-do il ruolo fondamentale dei Gruppi, vedono la formazione delle FederazioniSpeleologiche Regionali e tutte le Amministrazioni seguono il solco aperto nel1966 dalla Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia che, per prima, ha emana-to una legge per la tutela del fenomeno carsico, per il sostegno all’attività spe-leologica e per la costituzione ufficiale di un Catasto Grotte. Oggigiorno quasitutte le regioni hanno una propria federazione ed un catasto grotte funzionan-te e, in Italia, operano oltre 300 gruppi speleologici.Discesa in scaletta nell’abisso Viganti nel 1949

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■ La biospeleologia in Italia

Le origini. Per ritrovare i primi cenni dell’interesse per la fauna ipogea in Italiasi deve risalire molto indietro nel tempo: è della seconda metà del cinquecen-to la lettera che il vicentino Gian Giacomo Trissino scrisse a Fra Leandro Alber-ti descrivendo alcuni “gamberetti picciolini” sui Monti Berici (si trattava di cro-stacei anfipodi, l’odierno Niphargus costozzae). Ma si tratta di pura curiosità,non di ricerche scientifiche. Bisogna infatti aspettare il 1689 per avere nuova-mente notizie di animali cavernicoli: in tale anno il barone Johan Weichard Val-vasor parla infatti di un “piccolo di drago” rinvenuto in una sorgente nella Car-niola. Nel secolo successivo (1768) Joseph Nicolaus Laurenti descrive il “pic-colo drago” dandogli il nome di Proteus anguinus ed inquadrandolo nel grup-po che oggi chiamiamo degli anfibi urodeli, pur non riconoscendolo come veroanimale troglobio. La prima descrizione scientifica di un animale realmenteraccolto all’interno di una grotta è quella effettuata da Ferdinand Schmidt che,nel 1831, descrisse Leptodirus hohenwarti, insetto troglobio raccolto nellaGrotta di Postumia. È forse da quella data che possiamo ritenere che la scien-za fa il suo ingresso ufficiale nelle caverne.Da quella data infatti prese il via una lunga serie di ricerche zoologiche miratealla conoscenza degli animali cavernicoli e proprio le grotte di Postumia, inquegli anni aperte per la prima volta ai visitatori, possono essere considerate ilprimo fulcro intorno al quale cominciò a ruotare la moderna biospeleologia.Nella prima metà del novecento vennero pubblicati, in Italia, i primi lavoriscientifici sulle faune troglobie; tra queste opere pionieristiche vanno ricordatii lavori di Ruffo sulla fauna cavernicola della regione Veronese del 1938 ed illavoro di Denis sui collemboli di caverne italiane, datato 1931. Ma accanto adesse comincia a fiorire una ricca letteratura, dovuta principalmente a contribu-ti di tassonomi che scoprono l’incredibile varietà della fauna sotterranea. Dopoquasi un decennio di stasi, dovuto in buona parte alla seconda Guerra Mon-diale, gli studi riprendono con rinnovato entusiasmo; sono infatti degli annicinquanta i lavori di Patrizi e Cerruti sulla fauna cavernicola del Lazio e delleregioni limitrofe (1950) e sulla fauna cavernicola del Lazio e Sardegna (1953),di Conci sulla fauna cavernicola della Venezia Tridentina (1951), di Ruffo sullafauna cavernicola della Puglia (1955) e di Franciscolo sulla fauna cavernicola

BiospeleologiaLEONARDO LATELLA · FABIO STOCH

Sphaeromides virei

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del Savonese (1955), per citare solo alcuni dei più importanti contributi di inte-resse generale. Negli ultimi quarant’anni il numero degli zoologi italiani che sioccupano di problemi riguardanti la biospeleologia e le acque sotterraneediviene numeroso; ma questa è storia recente e la biospeleologia ha ormaiassunto il rango di Scienza.La biospeleologia sta avendo nel corso dell’ultimo decennio nuovo impulso adopera di numerosi ricercatori italiani, che hanno rivolto i loro interessi essenzial-mente verso tre grandi tematiche: tassonomia (scoperta e descrizione di nuovespecie cavernicole), evoluzione e biogeografia (anche con l’ausilio di tecnichedi biologia molecolare), ed in minor misura ecologia. Dopo i pionieristici inizi e laconsacrazione a disciplina a sé stante, le varie branche della biospeleologia siavviano ad essere integrate nelle più ampie tematiche dell’ecologia generale edella teoria dell’evoluzione, e l’ambiente sotterraneo sta perdendo quella quali-fica di “ambiente speciale” che aveva fascinosamente conservato sino a qual-

che decennio orsono. Si è infatti visto che molti paradigmi, che volevano raffi-gurare la specializzazione alla vita nelle grotte come un vicolo cieco nell’evolu-zione, i cavernicoli come sparuti relitti indotti a colonizzare l’ambiente sotterra-neo perché spinti da condizioni ambientali avverse e l’ambiente sotterraneocome povero di specie, sono scarsamente supportati dalle osservazioni. Legrotte cioè sono da considerarsi ambienti governati dalle stesse regole degliambienti di superficie ove dominano pochi fattori limitanti (in questo casoassenza di luce e ridotta disponibilità di risorse). Ciò tuttavia non sminuisce l’in-teresse per le grotte che, per la semplicità delle loro comunità, vengono consi-derate ottimi “modelli” su cui mettere alla prova teorie di interesse generale.

■ Classificazione degli ambienti sotterranei e della fauna cavernicola

Gli ambienti sotterranei terrestri. Per ecosistema cavernicolo si è inteso, perlungo tempo, principalmente la parte di sottosuolo accessibile all’uomo. Nelleultime decine di anni si è però compreso che le cavità intese in senso “speleo-logico” non sono gli unici ambienti dove si svolge la vita animale. Gli ambienticavernicoli terrestri possono essere sommariamente divisi in tre grandi gruppi:le cavità naturali propriamente dette, cioè accessibili all’uomo; l’ambiente sot-terraneo superficiale (MSS per gli autori francesi) e le cavità artificiali createdall’uomo. Le prime sono costituite da aree con spazi, a volte molto ampi, che possonoospitare quindi anche animali di più grandi dimensioni come pipistrelli e anfibi.All’interno di questi spazi i diversi fattori ecologici influenzano l’ambiente e diconseguenza la distribuzione degli animali che vi abitano. È quindi possibileindividuare, in molte grotte, la presenza di diverse associazioni faunistiche benevidenti. Nella zona di ingresso si possono incontrare, a seconda del periododell’anno e della quota (questo settore risente molto delle variazioni stagionalidel clima), diversi animali che trovano rifugio in questa parte umida e protetta:comuni sono alcuni uccelli come il piccione, lo scricciolo ed il gracchio comune(quest’ultimo prevalentemente in grotte verticali d’alta quota), che nidificanospesso presso gli ingressi delle grotte o alcuni mammiferi come il ghiro, anfibicaudati ed anuri, molluschi, insetti ed altri artropodi come isopodi e diplopodi.Dalla zona di penombra fino alla parte iniziale della zona oscura si incontra,sulle pareti della grotta, un insieme di individui appartenenti a diversi gruppitassonomici che costituiscono la cosiddetta associazione parietale. Si tratta diuna comunità piuttosto eterogenea che occupa normalmente le pareti e la vol-ta delle cavità ed è composta da elementi che abitano abitualmente le grotte,anche nelle zone più interne (troglofili) e da elementi che solo saltuariamentevisitano le cavità (troglosseni) o che le utilizzano come sito di estivazione oibernazione. Tra questi sono comuni ditteri, lepidotteri, ortotteri rafidoforidi e

La distribuzione di troglosseni,troglofili e troglobi in una cavitàè condizionata dalla variazionedella luce, dall’accessibilità edai microambienti presenti

5756 grillidi, tricotteri, ragni ed opilioni.Anche la composizione dell’associa-zione parietale, in maniera minorerispetto a quella degli ingressi, è con-dizionata da diversi fattori, come lastruttura della grotta, la quota a cui siapre, le variazioni climatiche stagionali.Le zone interne delle grotte possonoessere utilizzate dalle colonie di pipi-strelli che, con le loro deiezioni ricchedi sostanze nutritive, formano il cosid-detto guano che rappresenta unaimportante fonte di cibo per moltissi-me specie (guanobi). I guanobi si pos-sono incontrare intorno o sopra idepositi che si formano al di sotto del-le colonie, ed i più comuni sono oligo-cheti, acari, collemboli, coleotteri, dit-teri, microlepidotteri e molluschi.

Come per i componenti dell’associazione parietale, anche gli elementi checostituiscono questa associazione guanobia possono appartenere a differenticategorie ecologiche, che convivono attorno ad una fonte alimentare di ecce-zionale importanza in un ambiente altrimenti povero di risorse. Il popolamentodel guano si modifica in funzione degli spostamenti dei pipistrelli, ai quali èovviamente strettamente legato; infatti, a seconda della freschezza e dellaquantità di guano, variano gli animali che vi si possono incontrare. Nelle zone più profonde delle grotte, dove la temperatura è costante, l’umiditàè elevata ed il buio totale, si incontrano i veri cavernicoli terrestri. Gli animaliche abitano questo ambiente si trovano tra il terriccio e sotto i sassi sul pavi-mento delle cavità, sulle colate stalagmitiche o nei pressi di detriti organici,vegetali o animali. Questi animali, di solito di piccole dimensioni, spesso sispostano anche nell’ambiente sotterraneo superficiale, il secondo degliambienti sotterranei menzionati in precedenza, formato dall’insieme di micro-fessure nella roccia fratturata situato sotto l’ultimo orizzonte del suolo e chespesso mette in collegamento le grotte con il resto del reticolo carsico che anoi non è possibile percorrere. Recenti studi hanno dimostrato che alcunespecie di coleotteri troglobi passano diversi periodi dell’anno in questoambiente, frequentando le grotte solo in determinate stagioni. L’ambiente sot-terraneo superficiale non è però sempre in continuità con quello delle grotte;più spesso si trova in aree dove non sono note cavità, consentendo comun-que la vita a molte specie animali.

Sala concrezionata nella Grotta Nuova diVillanova (Friuli)

primi orizzonti del suolo MSS roccia fessurata

cavità carsica

Rappresentazione schematica degli ambienti sotterranei terrestri

5958 L’ultimo degli ambienti sotterranei citati è quello creato dalle cavità artificiali.Gli studi sul popolamento di questi ambienti non sono ancora così approfon-diti come per le cavità naturali. Numerosi studi faunistici sono stati comunquecondotti su questi particolari ambienti a partire dal XIX secolo. Diverse nuovespecie sono state descritte su materiali raccolti in cavità artificiali; tra questil’ortottero rafidoforide Dolichopoda geniculata, raccolta per la prima volta inun sotterraneo di Napoli nel 1833 e descritta da Costa nel 1860. Studiando gliindividui raccolti nei sotterranei del castello di Brescia è stata effettuata ladescrizione del coleottero leptodirino Boldoria ghidinii. I sotterranei della Cer-tosa di Pesio, scavati in rocce carbonatiche, sono stati scelti da Sella comelocalità tipica del coleottero trechino Duvalius caranti. Nel 1977 Karaman eRuffo descrissero un nuovo anfipode delle catacombe in provincia di Siracusa,chiamato appunto Echinogammarus catacumbae (oggi Tyrrhenogammaruscatacumbae). Molti altri sarebbero gli esempi che testimoniano l’interesse diquesti ambienti per gli studi di biospeleologia; tra questi non si può non ricor-dare la particolare importanza delle cavità artificiali scavate in rocce carbona-tiche poco carsificabili (cave, cantine, gallerie di guerra, ecc.) che permettonodi aprire una “finestra” su ambienti altrimenti impercorribili dall’uomo.

Gli ambienti sotterranei acquatici. Da un punto di vista dell’ecologia gliambienti delle acque sotterranee possono essere ascritti a due grandi cate-gorie: le acque che circolano in mezzi porosi (terreni alluvionali) e quelle checircolano in masse rocciose fratturate o carsificate. A queste due distintecategorie corrispondono faune distinte (solo lungo gli ecotoni troviamo com-mistioni di elementi faunistici) e adattamenti molto diversi degli organismi chevi abitano.Delle acque che circolano nei terreni alluvionali non ci occuperemo, ma ci limi-teremo a ricordare che costituiscono un affascinante ambiente in cui gli orga-nismi che vi abitano (e che prendono il nome di freatobi quando vi sono esclu-sivi) sono ancora imperfettamente conosciuti e presentano vistose modifica-zioni corporee atte a renderli idonei alla vita negli spazi tra i granelli di ghiaia osabbia (ambiente interstiziale).Prenderemo invece in considerazione le acque che circolano nelle masse roc-ciose, circolazione che può avvenire sia in seguito a permeabilità per frattura-zione (nelle rocce non carbonatiche, quali arenarie, oppure nelle rocce ignee ometamorfiche) che per carsismo (e pertanto circolazione in microfessure ocondotte carsiche). Nell’ambito della circolazione idrica carsica rivestononotevole interesse per l’ecologia le tre zone distinte dagli idrogeologi.Nella zona vadosa (ove prevale lo scorrimento verticale delle acque di perco-lazione) vive una fauna adattata alla vita nelle microfessure, che può essereoccasionalmente raccolta nelle vaschette di stillicidio (i “gours” degli autori

francesi). In questi ambienti troviamo organismi in genere minuti (anche pochidecimi di mm), dal corpo allungato o appiattito in relazione allo stile di vita(nematodi, oligocheti, e soprattutto crostacei copepodi, sincaridi ed anfipodi);ma non mancano specie di dimensioni superiori, come alcuni Niphargus chepossono superare i 2 cm di lunghezza. L’isolamento geografico delle aree car-siche “fossili” in cui troviamo la sola zona vadosa è elevato, e questo ha favo-rito i fenomeni di speciazione; si tratta di una fauna ricca di elementi endemici.Le zone epifreatica e freatica invece, in cui prevale lo scorrimento orizzontale,ospitano in genere un numero più elevato di specie, alcune delle quali adatta-te alla vita in ampi spazi di acque libere; è questo il regno dei grossi crostacei(isopodi, anfipodi e decapodi) e del proteo. Ma non mancano in quest’areaanche organismi di minori dimensioni, siano essi bentonici (cioè viventi sulfondo) che, sebbene più raramente, planctonici (ossia viventi in sospensionenelle acque).

Classificazione degli organismi cavernicoli. Non tutti gli organismi che fre-quentano gli ambienti ipogei presentano gli stessi adattamenti alla vita in que-sti particolari habitat. Per questo motivo sono state create categorie ecologi-che che tengono conto delle caratteristiche adattative di ciascuna specie.

ZONA VADOSA

AMBIENTE INTERSTIZIALE

ZONA FREATICA

Classificazione degli ambienti sotterranei acquatici

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Per gli organismi che vivono nelle grotte si utilizza una classificazione propostada Schiner nel 1854, adottata da Racovitza, Pavan ed altri e poi riveduta daRuffo nel 1955. I cavernicoli vengono dunque suddivisi in quattro categoriefondamentali. Gli animali che si trovano in grotta solo accidentalmente, comequelli fluitati dalle acque o caduti all’interno dei pozzi nelle grotte verticali,sono detti troglosseni; quelli presenti con maggiore regolarità nelle grotteprendono invece il nome di troglofili, categoria composita che comprende inrealtà due distinti gruppi di animali. Quelli che si trovano in grotta solo in alcu-ni periodi della loro vita e non presentano particolari adattamenti a questoambiente sono i subtroglofili; esempi di animali appartenenti a questa catego-ria ecologica sono forniti da alcuni ditteri (culicidi, limonidi) o dai pipistrelli, cheabitano le grotte solo in alcuni periodi dell’anno o del giorno. Eutroglofili sonochiamati invece quegli animali che, pur manifestando una spiccata preferenzaper gli ambienti sotterranei e mostrando particolari adattamenti morfologici efisiologici, possono però vivere e in alcuni casi riprodursi anche all’esterno; traquesti ad esempio le cavallette cavernicole (ortotteri rafidoforidi). Infine, i tro-globi mostrano gli adattamenti più spinti per la vita cavernicola: nascono, si

riproducono e muoiono solo all’interno delle grotte o degli ambienti similari,come l’ambiente sotterraneo superficiale; sono i cavernicoli per eccellenza.Gli organismi esclusivi delle acque sotterranee prendono invece il nome di sti-gobi (e, per analogia con i troglobi, vengono usati i termini stigofili - ed ancheeustigofili - e stigosseni). Questi termini, molto fascinosi in quanto evocanti ilmitico Stige, il fiume che bisognava attraversare per entrare nell’Oltretombadella mitologia greca, sono ormai entrati nell’uso corrente; tuttavia non si rife-riscono esclusivamente alla fauna delle grotte. Sono pertanto stigobi anche ifreatobi, che vivono nell’ambiente interstiziale iporreico e nelle falde freatichedei terreni alluvionali. È pertanto sempre opportuno, usando il termine stigobioche implica una serie di specializzazioni all’ambiente sotterraneo analoghe aquelle dei troglobi, specificare se si tratta di organismi cavernicoli o meno.Attribuire tutti gli organismi cavernicoli a queste categorie non è sempre cosìfacile come potrebbe sembrare; esistono infatti numerosi casi che si pongonoin situazioni intermedie tra le diverse categorie. Si tratta però di una classifica-zione di grande valore pratico, e che consente di applicare ed interpretareschemi largamente adottati negli studi di biospeleologia.

■ Metodi di studio degli organismi dell’ambiente ipogeo

Studi faunistici.• Fauna terrestre. Le raccolte di organismi cavernicoli possono essereeffettuate per conoscere quali sono le specie che popolano una determinatacavità (studi faunistici) o per il prelievo di individui di una o più specie al fine dieffettuare poi degli studi in laboratorio. Raccolte di questo tipo possonoessere effettuate mediante la “ ricerca diretta” utilizzando delle pinzetteentomologiche (particolari pinzette molto morbide che consentono di nonrovinare gli esemplari), un aspiratore per gli organismi più piccoli e veloci, edun pennellino per quelli ancora più minuti e delicati. Nel caso di speciedifficilmente rinvenibili con la ricerca diretta si possono usare delle esche che,poste in alcuni punti della grotta e riparate sotto delle pietre, attireranno diversianimali, nonché i loro predatori. Ottimi attrattivi si sono rivelati la carne, ilpesce, il formaggio forte e la frutta marcescente, lasciate in loco non meno diuna settimana. Sono sicuramente da sconsigliare, tranne nel caso diparticolari e giustificate ricerche scientifiche, le trappole a caduta che, selasciate in loco per lungo tempo, possono provocare morie di massa ed unconseguente notevole impoverimento della fauna di una cavità, conconseguenti squilibri della comunità cavernicola.Per la raccolta di animali che si nascondono nel terriccio e nel guano si puòutilizzare in laboratorio il selettore Berlese. Questo apparecchio è formato daun setaccio, con maglie 0.2-0.3 cm, su cui vengono posti la terra o il guano

Classificazione degli organismi presenti nelle cavità naturali: troglosseno (rana), troglofilo (pipistrello),troglobio (proteo)

6362 raccolti e che a sua volta è postosopra un imbuto sorretto da un trep-piede o da un sostegno di altro tipo.Alla base dell’ imbuto sarà posto unbarattolo con dell’alcool o altro liquidoconservante. A mano a mano che glistrati superficiali di terra o di guano siseccano, gli animali, seguendo la lorospiccata igrofilia, tendono a scendereverso gli strati ancora umidi fino acadere nell’ imbuto, attraverso lemaglie del setaccio, e quindi nel liqui-do conservante.Per la conservazione ed il trasportodegli animali è sufficiente una provetta

di alcool a 70°(che non deve però essere denaturato, per evitare un eccessivoindurimento degli esemplari) ed eventualmente un barattolo con dei trucioli disughero, spruzzati di etere acetico (etile acetato), per i coleotteri.È fondamentale che sia utilizzata una provetta per ciascuna grotta e che al suointerno venga inserito sempre un cartellino, scritto a matita, o meglio a china,affinché non sbiadisca, sul quale devono essere indicate la regione dove si aprela cavità, il comune e la località più vicina, il nome della grotta e, se conosciuto,il numero di catasto, la data della raccolta ed il nome di chi l’ha effettuata.Un altro motivo per cui si possono effettuare delle raccolte in grotta è lo studioecologico delle comunità cavernicole. Esempi di questo tipo di ricerche sono glistudi sulla dinamica di determinate popolazioni durante certi periodi o le analisisulle modalità di utilizzo della grotta da parte di una o più specie nel tempo e leinterazioni tra di esse. Per queste raccolte quantitative si possono utilizzarealcuni degli strumenti a cui abbiamo accennato prima, come i selettori Berlese ele trappole a caduta. La condizione fondamentale, per questo tipo di studi, èche i prelievi siano standardizzati e quindi ripetibili nel tempo e comparabili traloro. Non sempre però è necessario prelevare gli organismi per effettuare questistudi. Spesso è infatti possibile effettuare dei conteggi e dei marcaggi diretta-mente in grotta e senza arrecare un eccessivo disturbo agli animali.Accanto agli studi che si possono effettuare utilizzando animali conservati odirettamente sul campo su animali liberi, vi sono numerose ricerche che pos-sono essere condotte su animali tenuti in allevamento. Si tratta per lo più distudi di etologia e fisiologia che per essere compiuti richiedono la disponibilitàdi strutture complesse come i laboratori di biospeleologia.• Fauna acquatica. La fauna delle acque carsiche sotterranee può venirraccolta con metodiche specialistiche e differenti a seconda che l’indagine

Misurazione di una cavalletta cavernicola primadel rilascio nel suo ambiente

Risorgiva dello Star Cedat (Valli del Natisone, Friuli)

65riguardi le acque vadose, epifreatiche o freatiche. Ogni raccolta dovrebbeessere sempre corredata dal rilevamento dei parametri chimico-fisici principali(almeno la temperatura e, se possibile, la conduttività) e da opportuneannotazioni sulla tipologia ambientale campionata. Ricordiamo ancora unavolta che una raccolta priva dell’esatta etichetta di data e località (sempreaccompagnata, se esistente, dal numero di catasto della cavità) ècompletamente inutilizzabile per lo studio e pertanto inutile.In grotta si usano tre metodiche principali per la raccolta della fauna acquati-ca: caccia a vista, filtraggio dell’acqua e trappolamenti.• Raccolta a vista. È senz’altro l’unico metodo efficace per la cattura degliesemplari di maggiori dimensioni, che possono essere raccolti con le pinzetteo con piccoli retini da acquario. Il metodo però fornisce solo le specie piùgrandi e trascura la frazione più importante della fauna, costituita da organismidi piccole dimensioni molto difficili da individuare ad occhio nudo.• Filtraggio dell’acqua. Strumento indispensabile per raccogliere gli animalipiù minuti è il retino da plancton, modificato per l’uso in grotta. Si tratta di unretino in tessuto di nylon a maglie molto fitte (0.07-0.1 mm), munito dibicchierino terminale in cui si raccolgono i detriti e gli organismi quandol’acqua viene filtrata. Il retino in uso nelle grotte è spesso immanicato, piùcorto dei retini tradizionali (per impedire che si impigli nelle anfrattuosità degliangusti vani sotterranei), con bocca a semicerchio (diametro di circa 20 cm) econ telaio rinforzato ed angoli rivestiti da tela robusta o lamine metalliche;

altrimenti lo strumento in grotta habreve durata.Nella zona vadosa si usa filtrare l’ac-qua delle pozzette di stillicidio o deirivoletti di percolazione con il retinoraccogliendola con una piccola pompaa mano o con una peretta di gomma.Nei ruscelli e torrenti in cui la portata loconsente si dispone il retino con labocca controcorrente e si rimuove ildetrito a monte, raccogliendo il sedi-mento che viene trascinato dalla cor-rente. Nei sifoni e laghetti infine si pro-cede come nelle raccolte d’acqua disuperficie, filtrando l’acqua con il reti-no immanicato ma avendo semprecura di smuovere il detrito di fondo eraschiare le pareti. Considerata la bas-sa densità di individui nelle acque sot-

64 terranee e la rarità di alcune specie, è opportuno eseguire i prelievi molto alungo e ripeterli in diverse condizioni idrologiche.Talora, negli spessi depositi ghiaiosi dei torrenti di alcune cavità è opportunousare le tecniche che si adoperano per le acque interstiziali iporreiche dei fiu-mi di superficie (pompaggio Bou-Rouch o tecnica Karaman-Chappuis), che siritrovano nei manuali specializzati. Per raccogliere i nicchi di molluschi in que-sti ambienti è necessario prelevare sufficienti quantità di sedimento che ver-ranno poi esaminate in laboratorio.• Trappolaggio. Le trappole più comuni consistono di semplici barattoli diconserva, senza tappo, in cui si pone l’esca, in genere un pezzetto di carnefresca (ottimo il fegato, ma anche salame, prosciutto e formaggio sono statisperimentati con successo). Il metodo attira per lo più grossi crostaceiisopodi, anfipodi e decapodi, talora in gran numero; per questo motivo ènecessario lasciare aperti i barattoli ed evitare l’uso di nasse che, sedimenticate, analogamente alle trappole a caduta per la fauna terrestre,potrebbero causare morie di massa di specie rare e localizzate.

Etica della ricerca biospeleologica. Prelievi occasionali di fauna ad inverte-brati in una cavità indubbiamente non arrecano alcun danno alle comunità ipo-gee, poiché la grotta è soltanto una finestra su un vastissimo sistema di micro-fessure e gli organismi che vi possiamo raccogliere sono solo una piccolissimafrazione di quelli esistenti. Si pensi ad esempio che durante le piene possonovenir trascinati all’aperto, e destinati a morte certa, migliaia di organismi perogni metro cubo di acqua che fuoriesce da una risorgenza carsica; un prelievomanuale raramente fornisce più di qualche decina di esemplari, e il suo impat-to sull’ecosistema cavernicolo è pertanto insignificante.Ben altra cosa sono invece i trappolamenti o i campionamenti ripetitivi in unostesso sito. È noto che le trappole attirano organismi anche da notevoli distan-ze e possono causare morie di specie rare che potrebbero incidere negativa-mente sulla consistenza numerica di popolazioni esigue; queste metodichevanno pertanto utilizzate con estrema oculatezza e sempre sotto la supervisio-ne di persone esperte.Un discorso diverso meritano ovviamente i vertebrati, per i quali esistono pre-cise norme di legge (dalla Direttiva Habitat, che trova il suo regolamento appli-cativo nel DPR 8 settembre 1997, n. 357, alla Convenzione di Berna e a varienormative regionali) che ne vietano la raccolta, l’uccisione, la detenzione ecommercializzazione, nonché il danneggiamento dei siti di sosta e riproduzio-ne. Queste normative impongono il totale rispetto di tutti i vertebrati caverni-coli italiani, con particolare riguardo al proteo, ai geotritoni ed ai pipistrelli,nonché del loro ambiente. Per questi animali le tecniche di studio utilizzabili,da parte esclusivamente di persone esperte e con importanti finalità scientifi-

Raccolta di campioni di fauna acquaticamediante retino di plancton

6766 che, possono riguardare solamente il censimento, la fotografia e le osserva-zioni sul comportamento e l’alimentazione, ricerche che comunque è opportu-no condurre nei momenti meno delicati del ciclo vitale (si pensi ad esempioalla necessità di non disturbare le nursery dei pipistrelli).La necessità di condurre le ricerche con oculatezza, evitando, oltre all’ecces-sivo o inopportuno prelievo, anche tecniche che possano alterare l’ambientefisico (quali scavi o manomissioni eccessive dei siti), trova la sua motivazione,oltre che nelle ovvie esigenze di tutela, anche in quell’etica della ricerca cheogni biospeleologo o semplice appassionato dovrebbe seguire nel rispettodell’ambiente e degli organismi che studia.

■ La vegetazione delle grotte

Seriazione vegetazionale all’entrata delle grotte. Le voragini e le doline pre-sentano una vegetazione piuttosto particolare; la rapida variazione delle con-dizioni ambientali dà origine al ben noto fenomeno di “stratificazione inversa”della flora. La dolina può infatti essere paragonata ad una montagna capovol-ta la cui sommità corrisponda al fondo dell’imbuto. Esempio classico di que-sto fenomeno è la grande dolina del Carso sloveno, profonda 90 metri, deno-minata Grande Paradana. Le pareti di questo gigantesco imbuto presentanouna distribuzione della flora simile a quella che si può osservare risalendo ipendii di un’alta montagna: nei primi 50 metri di discesa è presente un boscodi abeti rossi; dai 50 ai 70 metri gli abeti hanno uno sviluppo ridotto e sonocontorti mentre si incontrano rododendri, tipiche piante alpine, ed abbondanole felci; fino agli 80 metri prosperano i salici nani ed i muschi; dagli 80 ai 90metri si incontrano solo muschi, simili a quelli presenti all’interno delle cavità,ed infine solo ghiaccio.L’imboccatura di grotte e voragini può considerarsi come una fascia di transi-zione tra l’ambiente di superficie e quello sotterraneo (ecotono).In relazione all’intensità degli stimoli luminosi le grotte sono state distinte daibotanici in tre diverse zone: la zona dell’ingresso (a sua volta suddivisa in set-tore esterno ed interno) dove vivono ancora le fanerogame, con una intensitàluminosa ridotta fino a 1/500 di quella esterna; la zona di transizione, anch’es-sa suddivisa in un settore esterno, caratterizzato dalla presenza di crittogame(muschi e felci), con intensità luminosa ridotta fino ad 1/1000 ed un settoreinterno, dove si spingono alcune alghe ed i funghi, che si estende dalla zonacon luce molto bassa fino all’inizio della zona profonda; quest’ultima infine ècaratterizzata dalla completa oscurità.Questa seriazione vegetazionale, particolarmente evidente nel caso dei pozziverticali, è stata correlata dal botanico triestino Livio Poldini con i meccanismiriproduttivi dei vegetali che compongono le diverse fasce vegetazionali, met-

1 2 3 4 5FANEROGAME

L I M I T E I N F E R I O R E D I S O P R A V V I V E N Z A P E R I S E G U E N T I G R U P P I :

FELCI MUSCHI ALGHE VERDI ALGHE AZZURRE

C

ARPINO B IANCO

EDERA

ASPLENIUM

ALGHE VERDI

M USCHI

POLYPODIUM

A

LGHE AZZURRE

FUNGHI

ZONA ESTERNA

ZONA LIMINARE

ZONA INTERNA

OSCURITÀ ASSOLUTA

ZONA SUBLIMINARE

0 m

-10 m

-30 m

-20 m

1

3

2

4

5

NordSud

Seriazione della vegetazione lungo le pareti di un pozzo carsico

6968 tendo in evidenza un aspetto particolare del problema, con notevoli risvoltididattici. La riproduzione delle alghe, sia sessuata (cioè che si compie median-te fusione di cellule sessuali, o gameti, maschili e femminili) sia asessuata(mediante spore o semplici divisioni cellulari) presenta complessi cicli tuttiindissolubilmente legati alla presenza di acqua. Con i muschi la fase sessualeprevale su quella asessuale; la piantina di muschio con le foglioline (gametofi-to) produce i gameti, legati all’acqua per la fecondazione; le spore invece sonoportate in un’urna da un piccolo filamento (sporofito) che spunta dal gametofi-to. Le spore, che daranno origine a nuove piantine di gametofito, possonovenir veicolate dal vento e pertanto sono slegate dall’acqua: ne consegue chei muschi dipendono dall’acqua per la sola riproduzione sessuale. Nelle felci lafronda che noi osserviamo è invece lo sporofito, che reca le spore nella paginainferiore; la fase sessuata, legata all’acqua, è ridottissima. Nelle fanerogameinfine il ciclo riproduttivo sessuale, legato ai fiori, non dipende più dalla pre-senza dell’acqua. Poiché la sequenza alghe - muschi - felci - fanerogame rical-ca la sequenza dell’evoluzione delle piante, è possibile cogliere un paralleli-smo tra quanto avvenuto nel corso dell’evoluzione e la seriazione vegetazio-nale che incontriamo nei pozzi carsici. Risalendo dal fondo di una voragineverso la superficie, ripercorriamo idealmente le tappe dell’evoluzione dellepiante, che hanno colonizzato le terre emerse affrancandosi progressivamentedalla presenza dell’acqua.

La “flora” delle grotte. La stretta dipendenza dei vegetali dalla presenza distimoli luminosi ne condiziona fortemente la distribuzione nell’ambiente ipo-geo. È per questo motivo che, ad eccezione di alcuni funghi e batteri (tradizio-nalmente inclusi nelle flore anche se non si tratta di vegetali), non si può parla-re di una flora realmente troglobia, anche se alcune specie mostrano una spic-cata preferenza per alcune zone delle cavità. Nelle grotte turistiche e nelle cavità artificiali, illuminate artificialmente conlampade ad incandescenza o luci al neon, si può osservare, nelle vicinanzedelle sorgenti luminose, una flora composta da specie esterne come diato-mee, alghe azzurre e verdi, muschi ed alcune felci. Particolari lampade a luce“fredda”, che i gestori di alcune grotte turistiche stanno utilizzando negli ultimianni, consentono di prevenire l’insediamento di questi vegetali.Esaminiamo ora brevemente gli organismi procarioti e vegetali che si possonoincontrare inoltrandosi all’interno di una cavità naturale. Per quanto riguarda i batteri, forse i più numerosi tra gli organismi che abitanoil mondo sotterraneo ma anche i meno conosciuti, sono stati studiati alcuniferrobatteri che intervengono nella deposizione del ferro sotto forma di idros-sido ed i solfobatteri che fissano lo zolfo per ossidazione dell’idrogeno solfo-rato prodotto dalla putrefazione delle sostanze organiche o di altri composti

dello zolfo presenti nelle acque termo-minerali. Recenti ricerche sulle forma-zioni sedimentarie hanno confermato inoltre la presenza di batteri specificidell’ambiente sotterraneo. Batteri fotosintetici, infine, sono le alghe azzurre, ocianoficee, presenti nelle zone di ingresso. Da segnalare la presenza in Italia diGeitleria calcarea, cianoficea cavernicola presente in alcune grotte del centroe del meridione, che non sopravvive se esposta alla luce solare.Alcuni autori tendono a considerare alcuni funghi laboulbeniali, parassiti deltegumento di insetti che vivono in ambienti con elevato tasso di umidità, comeelementi cavernicoli. In realtà questa qualifica non è del tutto corretta, in quan-to le specie di laboulbeniali che vivono sugli animali cavernicoli non presenta-no differenze morfologiche ed adattative evidenti rispetto a quelle che parassi-tano specie esterne. Nelle grotte italiane sono presenti i generi Rhachomycese Laboulbenia, parassiti di alcuni coleotteri carabidi; il genere Troglomyces,parassita di un diplopode ed il genere Arthrorhynchus che si può incontrare sualcuni ditteri nicteribidi parassiti dei pipistrelli.Altri funghi, come i basidiomiceti le cui spore sono facilmente trasportate dal-l’aria, sono frequenti nelle cavità su tronchi marcescenti, mentre sul guano dei

pipistrelli si possono facilmente osser-vare i bianchi cuscinetti formati dallozigomicete Mucor mucedo.Anche le alghe verdi si possono incon-trare dalle zone di ingresso, dove for-mano estese macchie verde scuro,fino alle parti più interne di alcune grot-te dove si trovano poche specie assie-me a qualche xantoficea. Dei licheni sipuò dire poco; la maggior parte di essisono infatti legati alle aree esterne allegrotte ed alla zona di ingresso. Il moti-vo della loro scarsa affezione per que-sti ambienti è da ricercare nel lorobisogno di energia luminosa (si tratta

I funghi crescono in assenza di luce su substrati organici marcescenti

Epatica (Marchantia polymorpha)

7170 di una simbiosi tra alghe e funghi) e di ambientinon eccessivamente umidi. Di gran lunga più numerose sono invece le briofi-te, a cui appartengono i muschi e le epatiche.Insieme alle alghe verdi, dalle quali si sono evolu-te, le briofite sono i vegetali più diffusi all’internodelle cavità naturali. È possibile incontraremuschi fino al limite del settore esterno dellazona di transizione, dove l’intensità luminosa èridotta ad 1/1000 di quella esterna. Le epatichesono presenti all’imbocco di molte grotte; tra igeneri più diffusi nelle cavità italiane possiamocitare Lophocolea, Marchantia e Plagiochila. Imuschi, più numerosi delle epatiche, si incontra-no molto spesso nella zona esterna ed in quelladi transizione. Alle nostre latitudini si possonoincontrare, nella zona di ingresso, diverse specieappartenenti ai generi Homalothecium, Cteni-dium e Plagiothecium, abitanti quasi obbligati diquesta parte delle grotte; nella zona di transizionesi incontrano Thamnobryum (Thamnium) alope-curum le cui fronde si riducono di dimensione ediventano meno ramificate all’inoltrarsi all’internodella cavità, Isopterygium depressum che è statoosservato in zone con luminosità ridotta a1/2380, le diverse specie del genere Fissidens eMnium e quello che da molti autori è consideratoil muschio di grotta per eccellenza: Schistostegapennata (=S. osmundacea). Questa particolarebriofita, che si sviluppa sulle rocce in grotte noncalcaree, presenta particolari cellule lenticolarisferiche che le consentono di concentrare suicloroplasti la pochissima luce proveniente dall’e-sterno; tali cellule funzionano come dei catari-frangenti dando alla minuscola pianta un aspettoluminescente.Le felci (pteridofite), vegetali nettamente igrofili,sono rappresentate nell’ambiente sotterraneodall’asplenio (Asplenium trichomanes), che pro-duce spore anche in condizioni di illuminazioneridottissima e si spinge anche molto all’interno

con individui sterili, dalla ruta muraria (Asplenium ruta-muraria), che si spingemeno all’interno e si trova di preferenza nelle grotte con l’apertura esposta asud e da altre felci comuni nei nostri climi come il capelvenere (Adiantumcapillus-veneris), la lingua cervina (Phyllitis scolopendrium) ed il polipodio(Polypodium vulgare, P. interjectum e altri).Le fanerogame, piante a fiore, avendo bisogno di una quantità di luce piutto-sto elevata per la fotosintesi, non possono addentrarsi molto all’interno dellegrotte. Tra le pochissime piante verdi superiori che si spingono fino al settoreinterno della zona di ingresso si possono citare Geranium robertianum, chefiorisce in zone con luminosità ridotta, e Mycelis muralis. Altre fanerogameche si trovano nella zona di ingresso delle nostre cavità sono l’acetosella(Oxalis acetosella), il tarassaco (Taraxacum officinale) e la parietaria (Parietariaofficinalis).Le particolari condizioni climatiche che si creano all’interno delle cavità - umi-dità elevata, temperatura costante, scarsità di luce - hanno contribuito a faredelle grotte delle “zone di rifugio” per alcune specie ormai scomparse all’e-sterno ma che presentavano, in epoche in cui le condizioni climatiche eranopiù favorevoli, una più ampia distribuzione geografica. Esempi di tale fenome-no sono la felce subtropicale Gymnogramme leptophylla che si può rinvenirein alcune cavità delle valli centroalpine e Pinguicula alpina, presente sulle Alpiintorno ai 2000 metri e raccolta in una forra a 500 metri di altitudine nei pressidelle colline torinesi.

Ecologia e adattamento.• Componenti abiotiche, biotiche e rete alimentare. In ogni ecosistema, epertanto anche in quello sotterraneo, si possono distinguere due grandicomponenti: quelle abiotiche, cioè i parametri ambientali (siano essimorfologici o fisico-chimici) e quelle biotiche (legate cioè agli esseri viventi).Dei fattori climatici si è parlato nel capitolo precedente, e pertanto verrannoora illustrate solo le influenze dei parametri ambientali sulla distribuzione edecologia degli organismi cavernicoli.• Luce. Per quanto attiene la luce, è già stata esaminata la sua importanzanella zonazione della vegetazione all’imboccatura delle grotte e dei pozzi.Molte specie cavernicole presentano una particolare avversione nei confrontidella luce, spesso non sopportandone l’esposizione diretta per lunghi periodi;per alcune specie, però, la luce non rappresenta sempre un fattore limitante.Già all’inizio del secolo era noto, ad esempio, che alcuni stigobi (Monolistra,Niphargus) si potevano raccogliere con regolarità nelle sorgenti carsicheall’esterno delle bocche sorgentizie e che non sempre si trattava di trasportopassivo. Indagini mirate hanno fatto scoprire nel genere Niphargus vere eproprie migrazioni dall’ambiente sotterraneo a quello di superficie a scopoAsplenium ruta-muraria

Polypodium interjectum

Asplenium trichomanes

Phyllitis scolopendrium

7372

trofico, cioè per trovare una più sicura ed abbondante fonte di nutrimento,ovviamente di preferenza nelle ore notturne (ma nei ruscelli di sottoboscoanche durante il giorno). Questo comportamento è stato di recentedocumentato anche nel proteo. • Temperatura. Normalmente la temperatura di una grotta corrisponde allamedia annua della temperatura esterna. È quindi un parametro strettamentelegato alla latitudine ed all’altitudine alla quale si apre la cavità. Anche lamorfologia interna, l’andamento prevalentemente verticale od orizzontale e lapresenza di più ingressi o di corsi d’acqua influenzano la temperatura internadi una determinata grotta.Il ruolo della temperatura come fattore limitante per gli organismi cavernicoli èstato a lungo discusso. Si è infatti notato che anche animali con un elevatolivello di specializzazione sopportano in laboratorio variazioni di temperaturaanche di 20-25°. È noto, ad esempio, che alcune specie di Niphargus, puravendo un optimum di temperatura tra 8 e 14°, tollerano variazioni compresetra -0.5°e +24.5°e che lo sviluppo dei giovani è regolare tra 5 e 18°. Parametrisimili sono stati riscontrati anche in alcuni coleotteri leptodirini, che presentanodei limiti letali compresi tra -5 e 25°, con limiti di attività compresi tra 0 e 20°. Èovvio che l’optimum termico varia nelle diverse specie di cavernicoli, che pos-sono abitare sia grotte fredde d’alta quota, sia grotte calde dell’area mediterra-

nea, e che i limiti letali sono meno ampi negli animali più strettamente legati agliambienti ipogei; è stato infatti dimostrato sperimentalmente che alcune caval-lette della specie Troglophilus andreinii, che abitano grotte con temperatureattorno ai 16° e presentano abitudini prettamente troglofile (non totalmentelegate all’ambiente di grotta), tollerano anche temperature intorno ai 40°. Alla luce di questi e di numerosi altri risultati ottenuti dalle ricerche effettuate, latemperatura, pur assumendo forse una rilevanza minore rispetto agli altri fatto-ri abiotici come la luce e l’umidità, può essere comunque considerata un fatto-re condizionante la vita negli ambienti sotterranei.• Umidità. Nelle grotte l’umidità è spesso prossima ai valori di saturazione equesto sembra essere uno dei fattori limitanti più importanti per i troglobiterrestri, molti dei quali trovano il loro intervallo di tolleranza in valori piuttostoelevati di umidità reativa (95-100%). È ben noto infatti ai biospeleologi come itratti più secchi delle grotte, ove vi sono ad esempio correnti d’aria, siano quellipiù poveri di fauna troglobia. L’umidità relativa agisce sul metabolismogenerale, sulla respirazione e sull’assorbimento di acqua attraverso la cuticola.Sebbene appaia ovvio che gli organismi stigobi siano legati esclusivamente allapresenza di acqua allo stato liquido, non è raro raccogliere ad esempio i cro-stacei del genere Niphargus sotto le pietre o osservarli deambulare sul terrenoumido anche ad alcuni metri di distanza dal bacino d’acqua. Si tratta pertanto

ENERGIA SOLARE

DETRITO VEGETALE

DECOMPOSITORI

DETRITO ANIMALE

COSUMATORI DI SUPERFICIEPRODUTTORI

piante verdi animali

batteri e funghi

SOSTANZA ORGANICA

DETRIVORI

CARNIVORI

GUANO

Rete alimentare dell’ambiente di grotta Differente distribuzione della temperatura in una grotta in estate (sopra) e in inverno (sotto)

7574 di una notevole tolleranza alla scarsità d’acqua, fenomeno che appare verosi-milmente più sviluppato nelle specie che popolano la zona vadosa ed epifreati-ca delle cavità, dove le variazioni di livello dell’acqua sono notevoli; è noto chequeste specie possono sopravvivere anche mesi in piccole loggette nell’argillaove sia presente solo un velo d’acqua, comunque indispensabile per la respira-zione. Il ruolo della possibilità di queste specie di spostarsi fuori dall’acquacome meccanismo di colonizzazione di nuove aree o nella ricerca di fonti ali-mentari permane inesplorato e dischiude affascinanti possibilità di indagine.• Fattori biotici. Per quanto riguarda la componente biotica, negli ambienti disuperficie vi sono due distinte categorie di esseri viventi: gli autotrofi (com-prendente i produttori, essenzialmente le piante verdi) e gli eterotrofi (com-prendente i consumatori, cioè gli animali, ma anche funghi e molti batteri). Nel-le grotte la componente autotrofa è, come abbiano visto, molto limitata, e lasua distribuzione è relegata in genere ai primi metri dall’entrata delle cavità(caverne e pozzi carsici), dove la luce penetra in maniera sufficiente a consen-tire lo sviluppo almeno delle alghe (verdi e azzurre); nell’ambiente sotterraneovero e proprio questa componente è del tutto assente e le catene alimentari sireggono unicamente sul nutrimento proveniente dall’esterno. Il nutrimento vie-ne veicolato all’interno delle cavità spesso sotto forma di solo detrito organico,e pertanto alla base delle piramidi alimentari delle grotte si pongono i detritivo-ri, consumatori primari di sostanze animali e vegetali in decomposizione. Que-sto detrito è presente sia nel terreno, sia nell’acqua dove può trovarsi insospensione o depositato sul fondo. Gli anelli successivi della catena alimen-tare includono invece essenzialmente i predatori. Si tratta pertanto di una retealimentare semplificata, mancando i produttori e tutti i fitofagi, e dominata dadetritivori e carnivori.Recenti studi sono stati rivolti a quantificare il ruolo delle interazioni biotiche(principalmente predazione e competizione) nella strutturazione delle semplicicomunità ipogee; tale ruolo sembra dimostrato con esperienze di laboratorioed indagini in grotta, ma la sua importanza nell’ambiente naturale è dubbia econtroversa. La vecchia ipotesi secondo la quale la presenza di due o più spe-cie congeneriche in una stessa cavità è fenomeno rarissimo e incompatibilecon il principio dell’esclusione competitiva è stata almeno in parte demolita.Recenti indagini hanno dimostrato che tale possibilità è funzione della com-plessità strutturale dell’habitat e della presenza di estese interconnessioni conaltre cavità; riscontrare anche 5-6 specie congeneriche (come nel genereNiphargus) in una stessa grotta, anche se di modesta estensione, è fatto infre-quente ma non rarissimo. Le osservazioni, di campagna e di laboratorio, suqueste comunità cavernicole più complesse sono fortemente carenti, ed in Ita-lia del tutto assenti; il campo d’indagine delle interazioni competitive nellegrotte temperate è in pratica inesplorato.Il sole illumina il tratto iniziale di una cavità naturale

77do le risposte adattative, molto spessosimili per gruppi animali anche moltodiversi tra loro, che rappresentanointeressanti esempi di convergenzaevolutiva e che si manifestano a livellomorfologico, fisiologico, eco-etologicoe della struttura genetica delle popola-zioni. Analizzando gli adattamentimorfologici dei cavernicoli si notainnanzitutto che vi sono strutture chesubiscono un forte incremento ed altreper le quali si osserva una riduzione orudimentazione. L’allungamento degli

arti e delle appendici è uno degli adattamenti più evidenti all’ambiente caver-nicolo. L’aumento della lunghezza delle antenne negli artropodi troglobi per-mette loro di svolgere un importante ruolo tattile in un ambiente dove l’oscuritàè totale; un ruolo analogo è svolto dalle seconde zampe di alcuni acari ed opi-lioni cavernicoli. L’allungamento delle antenne è seguito anche dallo sviluppodegli organi di senso in esse localizzati (chemiocettori, igrocettori, tattocettori,ecc.). L’aumento della lunghezza delle zampe consente di isolare il corpo dalterreno, con i suoi organi sensori laterali, e soprattutto amplia la possibilità dipercepire l’ambiente circostante. L’allungamento delle setole tattili è anch’es-so collegato con la percezione dell’ambiente in cui l’organismo si muove (l’ac-qua per alcuni crostacei, l’aria per altri artropodi terrestri). Una serie di esperi-menti condotti su alcuni coleotteri colevidi ha dimostrato l’importanza dellosviluppo, negli animali cavernicoli, degli organi antennali collegati alla perce-zione del grado di umidità del terreno ed alla chemiorecezione. Uno di questiin particolare, detto organo di Hamann, consente agli animali di valutare il tas-so di umidità presente evitando di avventurarsi in zone troppo secche, dovenon sopravviverebbero a lungo. Un altro caratteristico adattamento, correlatoal bisogno di ambienti umidi per i troglobi, è lo sviluppo inconsueto dellasuperficie addominale e delle elitre che, soprattutto in alcuni coleotteri (trechi-ni e leptodirini) più specializzati, assumono un aspetto globoso. Tale modifica-zione è detta “falsa fisogastria” ed è da mettere in relazione con la respirazio-ne ed il bisogno di aria umida in questi coleotteri. In tali insetti si nota infattiuna riduzione degli apparati respiratori (stigmi e trachee) e la respirazioneavviene così direttamente tramite la superficie tergale dell’addome, ridotta aduna sottile membrana, che si viene a trovare nella camera respiratoria formatadalle elitre rigonfie. In questo modo l’insetto può immagazzinare aria umida aldi sotto delle elitre ed utilizzarla per la respirazione durante gli spostamenti inzone più secche.

76 Fattori ecologici che regolano la biodiversità. Oltre che alla storia dell’areacarsica, la biodiversità nelle grotte dipende da fattori ecologici che interagi-scono in modo complesso. Tra questi, oltre all’effetto limitante di luce, tempe-ratura ed umidità, vengono brevemente esaminati quelli che assumono parti-colare rilievo.• Eterogeneità dell’habitat. La complessità strutturale dell’habitat, con la con-seguente diversificazione dell’ambiente (presenza di fessure di diverse dimen-sioni e di aree a diversa circolazione idrica), crea la disponibilità di numerosenicchie spaziali che possono venir occupate dalle diverse specie e pertanto èdirettamente proporzionale alla biodiversità di una grotta. Recenti ricerche suidiversi microhabitat di estesi sistemi carsici condotte anche nell’Italia nordo-rientale hanno infatti dimostrato che i diversi microambienti ospitano faunulespesso completamente diverse, e che la distribuzione delle specie nell’areacarsica è fortemente disomogenea.• Area. L’estensione delle aree carsiche è importante, poiché aree più esteseospitano ovviamente un maggior numero di specie che possono arricchireanche le comunità locali; in sostanza, grotte situate in aree carsiche più este-se possono essere più ricche di specie di grotte di pari dimensioni ma situatein aree carsiche più piccole. Questo fatto dimostra inoltre che in una grotta vipossono essere nicchie ecologiche libere, che vengono occupate solo indeterminate aree geografiche.• Stabilità. Gli ambienti cavernicoli sono in genere ritenuti stabili, con piccolefluttuazioni nei parametri ambientali, di gran lunga inferiori a quelle che avven-gono in ambienti di superficie. Si riteneva un tempo che gli ambienti stabili fos-sero quelli più ricchi di specie, ma si è visto che in realtà non è così; l’instabi-lità ambientale diversifica le nicchie ecologiche e causa una netta successionedi comunità diverse nel corso dell’anno, e per questo motivo spesso gliambienti instabili sono più ricchi di specie di quelli stabili, come le grotte. • Produttività e disponibilità di risorse. Ambienti ricchi di risorse ospitano ingenere faune più ricche, anche se il numero di specie tende a diminuire, supe-rata una certa soglia (negli ambienti troppo ricchi di risorse, cioè eutrofici). Legrotte sono in genere povere di risorse, anche se non mancano accumuli loca-lizzati (detriti alla base dei pozzi, depositi di guano, ecc.) che possono arricchi-re le comunità; in questi casi tuttavia si assiste spesso ad un aumento dei tro-glofili e troglosseni più che non dei troglobi. È noto che grotte molto povere(oligotrofiche) ospitano faune più povere; sembra pertanto che la disponibilitàdelle risorse alimentari giuochi un ruolo fondamentale nella regolazione dellabiodiversità.

L’adattamento negli organismi cavernicoli. Lo studio degli adattamentidegli animali che vivono nell’ambiente cavernicolo si può effettuare analizzan-

Gasteropode del genere Oxychilus che predaun lepidottero adulto (Scoliopteryx libatrix)

Le modificazioni fisiologiche che si osservano più frequentemente sono ilmetabolismo ridotto, la riduzione del ritmo circadiano, la bassa fecondità el’aumento del volume delle uova. Il metabolismo ridotto consente, tra l’altro, divivere utilizzando una minore quantità di cibo, che nelle grotte temperate nor-malmente non è molto abbondante. Esperimenti effettuati confrontando il con-sumo di ossigeno in specie esterne e cavernicole di anfipodi, isopodi, ragni,pesci ed altri gruppi animali hanno dimostrato il consumo ridotto di questo gasnelle specie che vivono in grotta. Sempre effettuando comparazioni tra gliorganismi epigei e quelli ipogei, si è notata, in questi ultimi, la diminuzione del-la fecondità, l’aumento del volume delle uova e delle riserve vitelline, l’allunga-mento dello sviluppo embrionale e della fase adulta. Altra modificazione lega-ta all’adattamento alla vita cavernicola è la perdita dei ritmi circadiani e dellastagionalità, anche se quest’ultima non viene abbandonata in tutti i cavernico-li e diversi troglobi mostrano una stagionalità legata ai lievi cambiamenti clima-tici che si possono riscontrare in alcune grotte o alla variazione dell’apporto disostanze alimentari provenienti dall’esterno.Studi condotti sui pesci ciechi americani del genere Amblyopsis ci mostranocome la struttura encefalica risponda alle modificazioni morfologiche e sia sot-toposta a modificazioni adattative. Infatti la grandezza dei lobi ottici, in questipesci, diminuisce nelle specie cavernicole cieche rispetto a quelle che vivonofuori dalle grotte e si può notare un aumento della taglia del telencefalo, delcervelletto e dei canali semicircolari, recettori del movimento, degli otoliti chesvolgono il ruolo di recettori dell’equilibrio e delle strutture legate all’interpreta-zione dei segnali provenienti dai tattocettori e della linea laterale.Anche la genetica di popolazione consente di studiare le strategie adattative;ciò è evidente se si tiene presente che i geni sono i principali responsabili del-le caratteristiche morfologiche, fisiologiche e comportamentali. I numerosi stu-di condotti da Sbordoni e collaboratori su specie cavernicole italiane e non,hanno confermato l’ipotesi di una maggiore variabilità genetica delle specie

Il proteo, unico vertebrato troglobio della fauna italiana

7978 troglobie rispetto a quelle epigee e dimostrato come questa variabilità tendaad aumentare nei troglobi adattati da lungo tempo all’ambiente cavernicolorispetto ai colonizzatori più recenti. Le cause di questa differenza vanno ricer-cate nella riduzione delle dimensioni della popolazione al momento dell’inter-ruzione del flusso genico con quella esterna; il livello normale di variabilitàverrà poi recuperato con il passare delle generazioni e l’aumento della dimen-sione della popolazione.Insieme alla genetica, anche l’ecologia di popolazione offre interessanti infor-mazioni per comprendere le strategie adattative; parametri come la dimensio-ne di popolazione, la distribuzione spaziale e la struttura in classi di età sonoinfatti facilmente misurabili nelle popolazioni cavernicole. Sono ormai numero-si i dati raccolti, in grotte italiane, sull’ecologia di ortotteri rafidoforidi e coleot-teri leptodirini.Infine va ricordato che da circa vent’anni vengono condotti numerosi studi sulcomportamento degli animali troglobi (etologia), in particolare sulle modalità diaccoppiamento, la ricerca del cibo, la comunicazione inter- ed intraspecifica.Anche da queste ricerche vengono delle indicazioni, in alcuni casi ancora dainterpretare, sulle strategie attuate dagli animali che hanno colonizzato l’am-biente sotterraneo.

■ Origine, evoluzione e distribuzione dei troglobi

Relitti o colonizzatori attivi? Molto è stato scritto, e molto si è di recentedibattuto in simposi e riviste scientifiche, sull’origine della fauna cavernicola.Sostanzialmente vi sono due grandi teorie a confronto; la prima, che è statasviluppata da numerosi autori classici e sintetizzata nel 1991 da Botosaneanue Holsinger, si basa principalmente sul concetto di “relitti” e di “rifugio”; laseconda, espressa nella sua forma definitiva da Rouch e Danielopol nel 1987,parla di “colonizzazione attiva”. La maggior parte dei modelli che spiegano l’o-rigine degli organismi troglobi e stigobi parte dall’idea che l’ambiente sotterra-neo sia un ambiente di rifugio. Questo concetto deriva in buona parte dallostudio delle grotte delle zone temperate, che avrebbero avuto la funzione dirifugi in cui gli antenati dei troglobi si sarebbero avventurati per sottrarsi allevicissitudini climatiche del Pleistocene, ed in particolare alle glaciazioni ed aiperiodi di siccità. Contrasta infatti con la ricchezza dei troglobi delle zone tem-perate una certa povertà faunistica delle grotte tropicali, dove ovviamente ilfenomeno delle glaciazioni si è fatto sentire in misura ridotta. Questa interpre-tazione riassume in particolare le idee di due importanti autori, Jeannel (neglianni dal 1923 al 1956) e Vandel (1964). Jeannel, noto studioso francese di coleotteri cavernicoli, pensava che i troglo-bi appartenessero a delle linee filogeneticamente antiche e molto specializza-

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te, che avrebbero trovato rifugio nel sottosuolo nei periodi di maggiore siccità,quando non sarebbero potuti sopravvivere in superficie. Anche Vandel, in unnoto trattato di biospeleologia, ha espresso l’opinione che i cavernicoli derivinoda linee filetiche senescenti, incapaci di migrare o affrontare i cambiamenti cli-matici e pertanto costrette a rifugiarsi nel sottosuolo. I cavernicoli sarebbero,per questi autori, veri relitti di specie di superficie oggi scomparse, e sarebberopertanto dei veri “fossili viventi” come recita il titolo di un noto libro di Jeannel.Anche per la fauna acquatica esistono modelli che propongono il concetto dirifugio, come il modello evolutivo collegato alle regressioni marine dell’olande-se Stock, in base al quale nel corso del ritiro del mare alcuni organismi avreb-bero potuto rimanere per così dire “ incagliati” nelle acque costiere sotterranee.Tuttavia questi modelli sono stati recentemente confutati dai ricercatori Rouche Danielopol, che hanno portato numerose critiche a queste ipotesi affasci-nanti ma, per certi versi, ingenue. Per prima cosa, recenti ricerche in aree tro-picali (in Africa, Asia e Brasile) hanno dimostrato l’esistenza di troglobi alta-mente specializzati anche in queste regioni; secondo, il modello del rifugio nonspiega perché sia anche oggi in atto un processo di colonizzazione degliambienti sotterranei, con popolazioni parzialmente depigmentate e microftal-me, in assenza di eventi climatici sfavorevoli; ultima e più importante obiezio-ne, il modello di rifugio implica una causa esterna per il processo di colonizza-zione, una sorta di “spinta” verso il sottosuolo che non ha alcuna necessitàscientifica di essere invocata. Al modello di rifugio, Rouch e Danielopol hannosostituito il modello della colonizzazione attiva, che propone uno scenario uni-co e generale per la colonizzazione del sottosuolo, indipendente dagli eventiclimatici, e pone l’ambiente sotterraneo alla stessa stregua degli altri ambien-ti, togliendogli quelle caratteristiche di “ambiente speciale” e “ostile”. Assistia-

mo a questo proposito a vere e proprie “radiazioni adattative” di alcuni taxa,che nel sottosuolo danno origine a vere e proprie esplosioni numeriche delnumero di specie (teoria della zona adattativa di Stoch): si pensi alle centinaiadi specie di anfipodi del genere Niphargus, in confronto alle poche specie dianfipodi di superficie che popolano le stesse aree geografiche. Accanto aradiazioni adattative nel sottosuolo volte ad occupare le nicchie libere, si assi-ste a ripetuti fenomeni di colonizzazione ed invasione del sottosuolo (teoriadelle colonizzazioni multiple), tuttora in atto, da parte delle specie di superficie.

Isolamento e speciazione. Alla fase di colonizzazione del dominio ipogeosegue la fase di speciazione; questa non è una conseguenza diretta e obbliga-toria. Affinché la speciazione avvenga serve un isolamento del massiccio car-sico con interruzione del flusso genico verso gli ambienti di superficie o i mas-sicci carsici contigui. La presenza di numerosi troglofili e stigofili indica chetale processo avviene solo in alcuni casi. La speciazione nelle grotte è sempre“allopatrica”, dovuta cioè ad isolamento; non si hanno evidenza di eventi dispeciazione di tipo diverso.La speciazione nei cavernicoli è stata studiata in numerosi taxa e con metodidi biologia molecolare, ma un semplice sguardo alla tassonomia dei gruppiche includono cavernicoli ed alla loro distribuzione è sufficiente per rivelarcil’incredibile successo di alcuni di essi nell’originare nuove specie e nello spe-cializzarsi all’ambiente sotterraneo. L’isolamento porta come conseguenza laformazione di numerose specie endemiche, la cui distribuzione è cioè limitataad una ristretta area geografica, spesso un solo massiccio carsico, talvoltauna singola grotta. Questa tendenza all’endemizzazione contribuisce a faredella fauna cavernicola una delle componenti più importanti della fauna italia-na; importanza sancita addirittura dalla legge, quando si pensi che uno dei cri-teri della Direttiva Habitat della Comunità Europea per la scelta delle specie edegli habitat da sottoporre a tutela è proprio quello dell’endemicità.

Biogeografia della fauna cavernicola italiana. Suddividere il territorio carsi-co italiano in aree che presentino una certa omogeneità nel loro popolamentodi troglobi è certamente operazione ardua. Infatti, la frammentazione dei gene-ri in numerose specie e sottospecie troglobie endemiche fa sì che in realtàogni massiccio carsico possa essere considerato un qualcosa di unico ed irri-petibile, culla di specie che non esistono in nessun altro posto sulla Terra. Tut-tavia, analizzando con attenzione le parentele tra le specie e la loro distribu-zione sul territorio e correlando queste osservazioni con le vicissitudini paleo-geografiche che hanno plasmato il nostro Paese, è possibile tentare di indivi-duare alcune aree carsiche ben caratterizzate da un punto di vista faunistico,che esamineremo brevemente.

FASE 1: TRANSAZIONE ORIZZONTALE (ATTIVA)SPECIE MARINE

BENTONICHE

SPECIE MARINEINTERSTIZIALI

FASE 1:TRANSAZIONE

VERTICALE(ATTIVA)

SPECIE DI ACQUESUPERFICIALI

SPECIE DI ACQUESOTTERRANEE

FASE 2:TRANSAZIONE

VERTICALE(ATTIVA)

FASE 2: TRANSAZIONE ORIZZONTALE (ATTIVA, RARAMENTE PASSIVA)

Vie di colonizzazione delle acque dolci sotterranee

8382 • Carso dinarico. Sicuramente una delle aree note da più tempo agli speleolo-gi ed ai biospeleologi, il Carso dinarico ha una sua interessante propagginenell’Italia nordorientale con il Carso triestino ed isontino, il cosiddetto “Carsoclassico”. Si tratta di un territorio poco esteso entro i confini politici italiani (l’a-rea non supera i 200 km2), compreso tra il Fiume Isonzo, il mare ed il confineitalo-sloveno; la sua fauna presenta affinità indubbie con quella del Carso slo-veno, dell’Istria e della Dalmazia. Vi prevalgono specie endemiche o a distribu-zione illirica o illirico-balcanica, che vedono spesso nel Fiume Isonzo il limiteoccidentale del loro areale. Tra gli elementi faunistici che (con rarissime ecce-zioni) non hanno superato l’Isonzo, vanno annoverati interi generi di gastero-podi (Plagygeyeria), crostacei (Sphaeromides), aracnidi (Stalita), coleotteri(Leptodirus) ed il noto proteo (Proteus anguinus). • Area alpina e prealpina. Le Prealpi sicuramente costituiscono una delle areepiù esplorate dai biospeleologi, che ben sanno come ogni massiccio prealpino(dal Piemonte sino al confine italo-sloveno) costituisca un piccolo mondo ric-co di specie endemiche. Tra la fauna terrestre sono tipici rappresentanti i cara-bidi dei generi Orotrechus ed Anophthalmus, accanto ad elementi endemicialtamente specializzati (Italaphaenops, Lessinodytes); nella fauna acquaticasono caratteristici di quest’area gli isopodi del genere Monolistra, le numerosespecie endemiche di anfipodi del genere Niphargus, i copepodi del genere Les-sinocamptus. Si tratta sempre di specie ad affinità balcaniche o con l’Europaorientale, che hanno colonizzato l’area in un periodo sicuramente pre-glaciale.Il Carso alpino in senso stretto, cioè quello delle grotte poste nei massicciinterni delle Alpi e sovente a quote elevate, è invece ancora imperfettamenteesplorato. Si tratta di un’area impoverita dall’effetto delle glaciazioni quaterna-rie e, per questo motivo, ritenuta dai biospeleologi priva di grande interesse.Opinione errata, poiché recenti ricerche sulla fauna terrestre hanno dimostratola presenza di specie endemiche di carabidi (Anophthalmus), colevidi (Pseu-doboldoria) ed opilioni (Ischyropsalis). Le indagini sulla fauna acquatica hannoinoltre rivelato un popolamento di notevole interesse biogeografico: troviamoinfatti esclusivamente in quest’area alcune specie di crostacei anfipodi delgenere Niphargus (quali N. strouhali, esclusivo di aree carsiche situate a quoteelevate, anche oltre i 2000 m s.l.m.), accanto a specie sia di provenienza set-tentrionale, sia affini a quelle che popolano l’area prealpina. Mentre alcuni ele-menti ad ampia distribuzione a nord delle Alpi (quali il copepode Eucyclopsgraeteri o l’anfipode Niphargus foreli), tipici di climi freddi, hanno colonizzatol’area seguendo il ritiro dei grandi ghiacciai quaternari, la maggior parte dellespecie ha forse ricolonizzato le grotte alpine da aree prealpine marginali,oppure a partire da falde freatiche profonde o da massicci di rifugio (varie spe-cie di Elaphoidella, Lessinocamptus, Speocyclops, Niphargus): in quest’ultimocaso si tratta sempre di specie endemiche.

1 CARSO DINARICO

2 AREA ALPINA E PREALPINA

3 ALPI LIGURI

4 APPENNINO

5 CARSO PUGLIESE

6 SICILIA

7 SARDEGNA

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Provincie biogeografiche delle aree carsiche

8584 • Alpi Liguri. Il carso dell’estrema propaggine occidentale delle Alpi presentaaffinità faunistiche con la Francia meridionale (ad esempio fra gli isopodi:Proasellus del gruppo cavaticus) e con l’area alpina da una parte e quellaappenninica e tirrenica dall’altra. Biogeograficamente pertanto si tratta diun’area di transizione che ha ben pochi elementi comuni con il carso alpino eprealpino; vi troviamo una ricca fauna ad eucavernicoli, con numerose specieendemiche appartenenti ad esempio a vari generi di isopodi (Proasellus),diplopodi (Glomeris, Spelaeoglomeris), coleotteri carabidi (Duvalius, Agostinia)e catopidi (Parabathyscia).• Appennino. Le grotte del carso appenninico hanno una fauna troglobia ingenere più povera e monotona di quelle dell’area prealpina, anche se in alcu-ne regioni ciò potrebbe essere dovuto a carenza di indagini. Non mancanoaree con presenza di specie endemiche (per la fauna acquatica in particolareAppennino Ligure, Monti Alburni, Massiccio del Gran Sasso, per quella terre-stre Preappennino Laziale-Campano), accanto però ad altre dove gli endemitisono, con poche eccezioni, quasi assenti (Alpi Apuane, Calabria). La monoto-nia faunistica che si può rilevare tra la Liguria e la Campania potrebbe essereposta in relazione alla minore antichità del carsismo in queste aree e forse all’”effetto penisola” che ha sicuramente ostacolato la colonizzazione dell’Ap-pennino; ma la spiegazione definitiva ancora sfugge. Le novità emerse nel cor-so delle ricerche condotte negli ultimi vent’anni non hanno modificato sostan-zialmente questo quadro, pur aggiungendo alla fauna dell’area nuove speciedi troglobi o di eutroglofili appartenenti a generi ampiamente diffusi in Italia,quali pseudoscorpioni (Neobisium), carabidi (Duvalius), colevidi (Bathysciola);la fauna acquatica ha rivelato interessanti eccezioni nel Gran Sasso e negliAlburni, con la scoperta di probabili relitti marini miocenici (crostacei copepo-di del genere Pseudoectinosoma).Interessanti si sono rivelate le recenti ricerche condotte nelle grotte dei gessidell’Appennino Emiliano e Bolognese; la fauna terrestre è costituita per lo piùda pochi elementi eutroglofili, mentre la fauna acquatica è ricca di elementi sti-gobi (copepodi e anfipodi), nessuno però esclusivo delle grotte (sono cioè pre-senti anche nell’ambiente interstiziale), a rimarcare una colonizzazione recentedi queste cavità. Negli ultimi anni sono state condotte ricerche biospeleologi-che anche nei gessi (evaporiti del Messiniano) della Calabria, in provincia diCrotone; anche in questo caso, pur non mancando elementi interessanti (adesempio una nuova specie del genere Niphargus), l’incidenza dei troglobi èpiuttosto bassa.La povertà di troglobi può essere dovuta ad una concomitanza di fattori sfavo-revoli, quali la maggiore compattezza delle formazioni gessose rispetto a quel-le carbonatiche (e pertanto un minor grado di fessurazione) e la giovanilità erapida evoluzione dei fenomeni pseudocarsici.

• Carso pugliese. Nettamente distinto dal carso appenninico, il carso puglieseè invece ricco di endemiti e con una fauna cavernicola molto specializzata;della trentina di specie troglobie note, una ventina sono esclusive della Puglia,alcune delle quali anche a livello di genere o famiglia. Nella fauna acquatica,ancora incompletamente studiata, sono qui presenti eccezionali elementiendemici, quali il porifero Higginsia ciccaresei, i misidacei dei generi Spe-laeomysis e Stygiomysis, il decapode Typhlocaris salentina e numerosi cope-podi, isopodi e anfipodi altamente specializzati. È in quest’area che si ritrova-

L’ingresso della Grotta Zinzulusa lungo la costa Salentina (Puglia)

Poriferi. I poriferi o spugne sono metazoiprimitivi, per lo più marini, con pochirappresentanti nelle acque dolci (famigliaspongillidi); alcune specie sono statesegnalate nelle acque sotterranee, ingenere come stigossene o stigofile,eccezionalmente come stigobie. In Italiasono state rinvenute spugne cavernicolein alcune grotte costiere; tra questericordiamo Petrosia pulitzeri del Golfo diNapoli, Sicilia e Mar Adriatico,Myrmekioderma spelaea della Puglia,Petrobiona incrustans della Grotta delPresepe a S. Maria di Leuca; è probabiletuttavia si tratti di specie eustigofile. Il piùrecente ed eccezionale rinvenimento èquello di Higginsia ciccaresei raccolta daspeleosub nella grotta Zinzulusa (Puglia),a circa 250 m dall’entrata della cavità e a12 m di profondità, in totale oscurità, cheper le sue caratteristiche morfologiche el’ambiente di raccolta è da considerarsispecie stigobia.

Idrozoi. Gli idrozoi cavernicoli sonoestremamente rari. Nei sifoni di alcune

risorgive e inghiottitoi possono essererinvenute specie del genere Hydra, polipisolitari che mancano della generazionemedusoide tipica di questa classe dicnidari; sull’ecologia di questepopolazioni si sa poco o nulla.L’unico idrozoo considerato stigobio ecavernicolo è Velkovrhia enigmatica,diffuso in grotte del Carso dinarico, dallaSlovenia all’Erzegovina: la sua presenza,peraltro possibile, in territorio italiano nonè però ancora stata accertata.

Tricladi. I tricladi, o planarie,comprendono numerose specie diffuse inacque marine e dolci, nonché nel suoloumido; alcune si rinvengono confrequenza nell’ambiente interstiziale enelle sorgenti carsiche (generi Dugesia,

Dendrocoelum, Polycelis). Le speciestigobie sono caratterizzate, oltre chedalla depigmentazione (che si riscontraperò anche in talune popolazioni epigee),dalla riduzione o scomparsa degli organivisivi, dalla lentezza del ciclo riproduttivo

8786 no anche alcuni degli elementi più eccezionali ed enigmatici della fauna italia-na, come l’anfipode Metaingolfiella mirabilis. Tra i troglobi terrestri, spiccano igeneri di isopodi Murgeoniscus e Castellanethes ed il carabide Italodytesstammeri, di probabile antico insediamento, accanto a colonizzatori forse piùrecenti (Aegonethes, Pseudanapis).La ricchezza di elementi endemici e specializzati è in relazione, oltre che conl’estensione ed antichità dei fenomeni carsici, anche con la storia geologicadell’area, considerata dai paleogeografi come parte dell’Egeide o comunqueappartenente ad una microzolla di origine distinta da quelle che hanno datoorigine alla restante porzione della penisola italiana.• Sicilia. Biogeograficamente composita, la fauna cavernicola della Sicilia èancora poco nota, in particolare nella sua componente acquatica. Nella Siciliatroviamo sia grotte dovute a carsismo sia grotte di lava, dovute al vulcanesi-mo. Proprio in questo tipo di cavità sono state condotte diverse ricerche fau-nistiche che non hanno però portato alla scoperta di elementi cavernicoli diparticolare interesse; questo è dovuto alla relativa "giovinezza" delle grotte dilava ed alla struttura di quest’ultima, che non consente la creazione dell’indi-spensabile sistema di microfessure utilizzabile dai troglobi. Diversi elementiendemici interessanti sono invece conosciuti per le cavità che si aprono inrocce carbonatiche; tra questi citiamo lo pseudoscorpione Roncus siculus,l’anfipode Tyrrhenogammarus catacumbae, gli isopodi del genere Spelaeoni-scus; endemiche di quest’ isola sono anche alcune specie di coleotteri trechi-ni del genere Duvalius.• Sardegna. Il territorio carsico sardo è un mondo a sé stante, ricco di speciecavernicole (oltre 300 sinora segnalate), numerose delle quali endemiche, e adaffinità faunistiche con l’area provenzale e pirenaica da una parte, la Corsica ela fauna toscana dall’altra. Questa originalità faunistica deriva dalle vicissitudi-ni paleogeografiche dell’isola, che faceva anticamente parte, con le terre cita-te, di un paleocontinente, la Tirrenide. In seguito alla sua frammentazione, apartire dall’Oligocene, la Sardegna e la Corsica si sono staccate dall’area pro-venzale e sono migrate verso l’Italia con un lento movimento di rotazione insenso antiorario. Come grandi zattere alla deriva, hanno recato con sé ele-menti antichi della fauna della Tirrenide, detti appunto paleotirrenici. Classici esempi sono forniti dai generi a chiara affinità pirenaica (Scotoniscus,Catalauniscus, Typhloblaniulus) o catalano provenzale (Spelyngochthonius,Stygioglomeris, Oritoniscus), con la Spagna orientale e le Baleari (Parabloth-rus, Syniulus, Speomolops, Ovobathysciola, Patriziella), la Francia meridionalee la costa toscana (Stenasellus), accanto a generi con specie endemiche (Sar-dostalita, Sardaphaenops). Accanto a questi troviamo anche elementi a piùampia distribuzione nella penisola italiana, che possono testimoniare fasi dicolonizzazione più recenti.

Higginsia ciccaresei

Triclade troglofilo del genere Dugesia

Parte tassonomica Fabio Stoch · Leonardo Latella · Luca Lapini

e dei processi respiratori, nonché da unelevato numero di cromosomi. In Italiasono note alcune specie cavernicole,poco frequenti e localizzate; tra quellesicuramente stigobie ricordiamoDendrocoelum collinii delle Prealpi Giulie(segnalata dubitativamente anche in altreparti d’Italia), D. italicum delle PrealpiLombarde, Atrioplanaria morisii delCuneese, A. racovitzai di Sardegna eItalia centro-meridionale, Polycelisbenazzii della Liguria.

Temnocefali. Si tratta di un taxon,solitamente ascritto ai turbellari,comprendente nelle nostre grotte specieectoparassite di crostacei troglobi deigeneri Niphargus (anfipodi) e Troglocaris(decapodi) di cui succhiano l’emolinfa.Si tratta di organismi di piccoledimensioni (inferiori ai 2 mm), dotati ditentacoli e dischi adesivi con cui siattaccano in genere alle branchiedell’ospite. In Italia sono sinora segnalatiesclusivamente per le acque di base delCarso goriziano e triestino, ove sonotalora abbondanti sui gamberetti delgenere Troglocaris; ne sono stati riportatitre generi (Bubalocerus, Scutariella eTroglocaridicola), ma la tassonomiadell’intero gruppo è controversa; direcente è stata intrapresa una ricercasugli spermatozoi delle specie italianecon l’intento di ricostruirne le affinitàfilogenetiche.

Nematodi. Si tratta di un phylum moltodiversificato (oltre 100 000 specie), checonta rappresentanti nel bentos sia delleacque dolci che marine, nel suolo, ospecie parassite di altri vertebrati oinvertebrati. A causa del numero diindividui talora molto elevato, anchenelle grotte, il loro ruolo dovrebbe esserefondamentale nel funzionamento degliecosistemi cavernicoli italiani, ma sinoranon sono stati fatti studi in proposito.

Le difficoltà tassonomiche connesse conlo studio di questi organismi hannofinora costituito un impedimento allaredazione di liste faunistiche esaustiveper le grotte italiane; nel corso di unostudio intrapreso di recente nell’Italiasettentrionale, e tuttora in svolgimento,sono state identificate numerose specierinvenute in pozzette di stillicidio e neiruscelli sotterranei, appartenenti aigeneri Aphanolaimus, Dorylaimus,Eudorylaimus, Paractinolaimus, Trypila.Le nostre conoscenze sono ancoratroppo approssimative per sapere sealcune delle specie rinvenute possanoessere considerate troglobie.

Nematomorfi. I nematomorfi o gordiaceicostituiscono un piccolo taxon affine ainematodi. Gli adulti vivono in genere inruscelli a lento decorso, pozze eabbeveratoi; hanno l’aspetto di filamentilunghi una decina di cm e spessisolamente circa 1 mm. Tali filamentisono talora raggomitolati a formare unintrico che ricorda il nodo gordiano, dacui deriva il nome. Le larve sono inveceendoparassite di vari artropodi.Nei ruscelli delle grotte dell’Italiasettentrionale si rinvengono

occasionalmente; è tuttavia presumibilesi tratti di specie stigossene o forsestigofile. Manca completamente unostudio sui gordiacei cavernicoli italiani.

Molluschi. Tra i molluschi, solamente igasteropodi ed i bivalvi hannocolonizzato gli ambienti ipogei e leacque sotterranee. Talvolta potrebbetuttavia capitare di ritrovare in grottaaccumuli di detriti e fango frammisti anicchi di molte specie di molluschi. Sitratta però di materiale fluitato,proveniente dall'ambiente epigeoattraverso la circolazione e percolazionedelle acque. In realtà le specie troglobievere e proprie sono rappresentate solodal genere Zospeum.Talvolta anche un altro ellobiide,appartenente al genere Carychium, chenormalmente vive in altri habitat diambiente esterno, come lettiera moltoumida, compare in ambiente ipogeo conesemplari isolati, mentre propriamentestigofili sono molti zonitidi. Le acquesotterranee sono colonizzate soprattuttodai prosobranchi idrobiidi; i bivalvi sonorappresentati dal solo genere Pisidium.Anche i molluschi troglobi hanno subitodelle trasformazioni a causa della vitasotterranea: il nicchio è bianco,trasparente, mentre l'animale, diafano,non presenta macchie oculari. Laconchiglia nelle varie specie diZospeum (vedi disegno) èsempre di piccole dimensioni,raggiungendo al massimo unpaio di millimetri. Vivononelle zone più umide,anche all' interno difessure, raschiando lepareti. Per quel cheriguarda l'aspetto delnicchio c'è molta variabilitàtra esemplari di stazionidiverse e anche nell'ambitodella stessa popolazione.

L' interesse per queste specie è natorelativamente tardi, a partire dallaseconda metà dell'800.Essendo difficili da individuare, date ledimensioni, il Pollonera, insigne studiosoche tra i primi si occupò di questespecie, consigliava agli esploratori diallora di passare le pareti delle grottecon delle spazzoline, tenendo al di sottodelle scatole, o di ricercarli nelleposature dei fiumi provenienti da areecarsiche. Sono state così descritte molteentità, tra specie e sottospecie, in Italia,in Austria e nei Balcani occidentali, dallaSlovenia all'Erzegovina. Recentementesono stati trovati anche nei Pirenei. Analogamente ad una revisione delgenere Zospeum effettuata negli annisettanta per la Slovenia, recentemente,attraverso un meticoloso censimento ditutti i siti e reperti raccolti, è stataproposta un' interpretazione delle varieforme finora descritte in letteratura dalbresciano al bacino dell' Isonzo.Dalla verifica del materiale emergerebbeche tutte le popolazioni di Zospeum piùoccidentali, fino al massiccio del MonteGrappa, presentano una sola plicaparietale, mentre ad orientepredominano le forme con due pliche. Ilnicchio presenta in questi ultimi talvolta

anche costolature. Le conclusioniporterebbero a far rientrare le specie

più occidentali in unraggruppamento riferibile a

Zospeum globosum, mentre igruppi più orientalicomprenderebberoZ. isselianum e Z. spelaeum,che è diffuso anche in

Slovenia. Z. alpestresarebbe invece presentequasi esclusivamente interritorio sloveno, anchese recentemente è stato

probabilmente individuatoin Italia in alcune grotte della

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Gordiacei

catena del Monte Musi (Prealpi Giulie).Tra i molluschi troglofili predatori ilgenere Oxychilus è molto diffuso. O.draparnaudi è presente in quasi tuttaItalia, mentre altre specie sono piùlocalizzate in alcune regioni. Al genereAegopis appartiene A. gemonensis, altraentità troglofila frequente nelle grottedelle Prealpi centro-orientali. Talvoltaanche il genere Argna, con la specie A.biplicata, tipica soprattutto dell’ambienteendogeo, compare in habitat di caverna.Tra i gasteropodi d'acqua dolce esalmastra, la famiglia idrobiidi è la piùnumerosa, in quanto a numero di generie specie. Si rinvengono soprattutto insorgenti o in acque sotterranee carsichee interstiziali. Alcune specie, inparticolare quelle riferibili algenere Iglica, sono atutt’oggi conosciutesolamente dalla morfologiadella conchiglia, in quanto dallesorgenti o dalle acqueiporreiche fuoriescononicchi già vuoti che fannopresupporre per questeentità habitat sotterraneipiù profondi e pocoaccessibili, anche molto

distanti dai luoghi in cui si rinvengono.L'aspetto della conchiglia negli idrobiidiè molto varia; prevalgono le forme aspira elevata, ma esistono generi a spiradepressa, come Hauffenia, Hadziella(vedi disegno) o Islamia. Le dimensionisono sempre ridottissime.Alcune specie stigofile presentano arealiabbastanza ampi, come Graziana pupulanel settore alpino-orientale, G. alpestrisin quello centro-occidentale eBythinella schmidtii che si estende dalleAlpi agli Appennini fino alla Campania.La maggior parte delle speciestrettamente stigobionti possiededistribuzioni più localizzate, come moltespecie dei generi Alzoniella,Pseudavenionia, Iglica, Paladilhiopsis,Phreatica e Hauffenia nella regionealpina; Avenionia, Fissuria, Pezzolia eIslamia in quella appenninicasettentrionale, Moitessieria, Sardhoratiae Sardopaladilhia in Sardegna.Per alcune di esse, come Istriana mirnaenelle aree flyschioidi della Venezia Giuliae Istria, e Plagigeyeria stochi del Timavosotterraneo, la distribuzione nota èridotta a poche stazioni.

Policheti. I policheti sono anellidiessenzialmente marini; alcune speciecolonizzano le grotte lungo le coste,mentre molto rare sono le specieadattate alle acque dolci continentali.In Italia è presente, nelle acque di base

delle grotte del Carso gorizianoe triestino, la specie stigobiaMarifugia cavatica. Si tratta diun anellide diafano,

depigmentato ed anoftalmo,che vive in un tubo più o meno

calcificato, lungo anche oltre1 cm. Forma estese colonie

che tappezzano le pareti dellegrandi gallerie del Timavo

sotterraneo presso Trieste; unaricca microfauna, costituita da

protozoi, gasteropodi, oligocheti ecrostacei abita negli spazi tra i tubuli oall’interno dei tubuli abbandonati.M. cavatica è distribuita dal fiume Isonzosino ai confini con l’Albania; è statoipotizzato trattarsi di un relitto di originemarina molto antico, presumibilmentemiocenico.

Oligocheti. Si tratta di anellidi dal corpoallungato, costituito da una successionedi metameri privi di appendici, marecanti file di setole trasversali, la cuiforma e disposizione ha valoresistematico; includono principalmentespecie detritivore o microfaghe.Nelle grotte sono frequenti alcunefamiglie acquatiche (lumbriculidi, naididi,tubificidi), o semiacquatiche e terrestri(enchitreidi, lumbricidi).Generalmente le specie terresti, moltocomuni nel terreno umido e nei depositidi materia organica alla base dei pozzicarsici, sono ritenute troglosseni regolario semplici endogei (ad esempioAllolobophora rosea, Octolasiumcyaneum, Dendrobaena cognettii);alcune specie acquatiche tuttavia,rivelando affinità esclusivamente congeneri marini o essendo state sinoraraccolte solamente nelle acque carsichesotterranee, sono da considerare verielementi stigobi. Tra le specie sinoranote solo per le grotte vanno ricordateHaber monfalconensis, delle Bocche delTimavo nel Carso triestino;Rhyacodrilus gasparoi di una grotta dellePrealpi Giulie; R. dolcei di piccolepozzette di stillicidio di una grotta delCarso triestino; Tubifex pescei, noto daacque freatiche delle Marche edell’Umbria e da una grotta slovena;Abyssidrilus cuspis, raccolto in acquefreatiche dell'Umbria e in grotte dellaLiguria e del Friuli - Venezia Giulia,specie stigobia appartenente ad ungenere che conta rappresentanti marini.

Irudinei. Gli irudinei o sanguisughe sonopoco frequenti nelle acque sotterraneeitaliane, ove si rinvengono per lo piùcome stigosseni; solamente la specieDina krasensis, che popola le sorgenti suterreni marnoso-arenacei nelle estremepropaggini orientali delle Prealpi Giulie enei dintorni di Trieste, penetra nelle grotteove si rinviene talora con regolarità elocalmente abbondante, e può venirconsiderata come un elemento stigofilo.Specie troglobie sono state segnalate ingrotte dell’Erzegovina, Montenegro eTurchia, ma non in Italia. Le specie dellenostre grotte non sono ematofaghe,come verrebbe spontaneamente dapensare, ma si tratta di predatori di altriinvertebrati acquatici.

Tardigradi. Sono animali di piccoledimensioni (superano di rado il mm),trasparenti, dotati solitamente di quattropaia di zampe, non articolate; siconoscono specie marine, d’acqua dolcee terricole. Sono numerosi soprattuttonei muschi, ove sono stati segnalati oltre2 milioni di individui per metro quadrato.I tardigradi sono attivi solo quando èpresente un velo d’acqua (ad esempio inseguito a pioggia o rugiada); altrimentientrano in uno stadio di immobilità(criptobiosi) che può durare anche moltianni. I dati sui tardigradi cavernicoli sonomolto scarsi; secondo recenti ricerche,tuttora in corso di svolgimento, le speciepiù comuni in questo ambiente sonoMacrobiotus cf. richtersi e Diphasconnobilei, talora abbondanti nelle piccolepozzette di stillicidio nell’argilla; si trattaperò di specie rinvenute anche in lettierae nei muschi.

Ostracodi. Si tratta di crostaceidall’aspetto inconfondibile, per il corporacchiuso in un carapace bivalvesolitamente di forma ovoidale, a fagiolo otrapezoidale, talora ornato da tubercoli o

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Plagigeyeria stochi

fossette. Sono organismi di piccoledimensioni (la maggior parte delle speciestigobie non supera il mm di lunghezza),diffusi in tutte le tipologie di acque dolcio marine, dalle piccole pozzette che siformano nei cavi degli alberi (tree-holes),alle pozzanghere, agli stagni, ai laghi, ovesono in genere bentonici o interstiziali,molto raramente planctonici. Si tratta diun gruppo purtroppo ancora molto pocostudiato nelle acque carsiche sotterraneeitaliane, ove tuttavia è diffusissimo neiruscelli e nei sifoni delle grotte. Recentiraccolte intraprese in questi ambientihanno rivelato una fauna ricca ediversificata, che consta di numerosespecie nuove per la scienza, cieche edepigmentate: tra queste la maggiorparte appartiene alla vasta famigliacandonidi. Una nuova specie (Cypriacavernae) è stata di recente descritta pergrotte del Carso goriziano e triestino; sitratta dell’unica specie stigobia delgenere, ed è comune nelle acquetranquille della zona freatica. Una specie molto particolare, che meritadi essere ricordata per il suo stile di vita,è Sphaeromicola stammeri. Si tratta di uncommensale che vive esclusivamente suvarie specie di crostacei isopodi stigobidel genere Monolistra, ove è talora

abbondante e si rinviene aggrappato alleappendici dell’ospite. Il suo areale didistribuzione ricalca quello delle specieospiti, e va pertanto dall’Erzegovina allaLombardia. Una specie affine (S.sphaeromidicola) vive invece sui grossicirolanidi cavernicoli del genereSphaeromides recentemente rinvenutianche in territorio italiano.

Cladoceri. Si tratta di crostaceicomunissimi nelle acque dolci disuperficie, ove popolano pozzetemporanee, stagni, laghi e corsi d’acquaa lento decorso; in Italia sono note oltreun centinaio di specie. Sono stati raccoltifrequentemente nelle acque di grotteitaliane, ove tuttavia sono generalmentepresenti come elementi stigosseni. Lascarsità di reperti in acque sotterranee sideve presumibilmente all’alimentazione(molte sono le specie legate allapresenza di fitoplancton e vegetazionesommersa) e alla spiccata tendenza perle acque eutrofiche. Tuttavia di recentesono state descritte due specie stigobie(Alona stochi e A. sketi), cieche e diafane,di piccole dimensioni (0.5 mm), rinvenutein grotte slovene a breve distanza dalconfine di stato (A. sketi è stata raccoltain una risorgiva situata a poche centinaiadi metri dal confine italo-sloveno). La loropresenza in Italia è pertanto probabile.

Copepodi. I copepodi sono crostaceimediamente di piccole dimensioni(0.2-5.0 mm), ampiamente distribuiti siain ambiente marino che dulcacquicolo.Nelle acque continentali italiane sonocomponenti essenziali dello zooplanctonlacustre, del bentos lotico e lentico, edelementi spesso dominanti nellecomunità acquatiche sotterranee. In Italiasono presenti alcune centinaia di specie,e dei 10 ordini complessivamente notisolo tre (calanoidi, arpatticoidi eciclopoidi) contano rappresentanti

troglobi ampiamente diffusi nelle acquevadose e freatiche delle nostre grotte. • Calanoidi: sono copepodi planctonici,presenti nei laghi e corsi d’acqua a lentodecorso. L’unica specie stigobia - efrancamente troglobia – italiana,Troglodiaptomus sketi, vive nelle grottedel Carso goriziano e triestino, nonché inSlovenia e Croazia. È comune nei sifonidi grotte e pozzi carsici legati al corso delTimavo sotterraneo.• Ciclopoidi: diffusissimi nelle acque disuperficie, comprendono numerosespecie stigobie per lo più bentoniche edinterstiziali, rinvenute in tutte le regioniitaliane, molte delle quali ancora in attesadi descrizione. In base all’ecologiapossiamo attribuire i ciclopoidi dellegrotte italiane a tre distinte categorieecologiche: specie prevalentementeplanctoniche (ad esempio il genereMetacyclops, segnalato in Italia nellegrotte della Venezia Giulia, della Puglia edella Sardegna); specie bentonicheesclusive della zona freatica, o talorainterstiziali (ad esempio le specie stigobiedei generi Eucyclops, Diacyclops eAcanthocyclops); specie legate alla zonavadosa, ove abitano il reticolo dimicrofessure nelle rocce carbonatiche(numerose specie di Speocyclops).

I ciclopoidi più diffusi nelle acquesotterranee appartengono al gruppolanguidoides del genere Diacyclops; sitratta di un complesso di specie, moltedelle quali non ancora descritte, chepopola sia le aree carsiche che i terrenialluvionali. Tra le altre specie diciclopoidi, l’area nordorientale ospitaalcune specie endemiche italiane (qualiMetacyclops gasparoi) o a ristrettadistribuzione giuliano-slovena (tra cuicomuni Diacyclops charon, Metacyclopspostojnae, Speocyclops infernus) oillirico-balcanica (ad esempioAcanthocyclops troglophilus eAcanthocyclops gordani); l’area prealpinaed alpina ospitano in genere specie piùampiamente distribuite nei sistemi carsici(e non) dell’Europa meridionale (qualiEucyclops graeteri, Acanthocyclopskieferi, Graeteriella unisetigera); la faunacavernicola appenninica è invece moltomeno conosciuta. Degna di nota è lapresenza di Acanthocyclops agamus,eccezionale specie endemica della grottadi Castelcivita (Massiccio degli Alburni).La fauna delle grotte insulari è ancorascarsamente studiata; qualche specie èlegata alle grotte anchialine, comeMuceddina multispinosa, recentementedescritta per grotte della Sardegna (masegnalata anche per le Baleari e leCanarie).Non dobbiamo dimenticare che accantoalle specie stigobie sono ampiamentediffusi in acque sotterranee italianeelementi substigofili o stigosseni, chenelle grotte possono essere presenti conun elevato numero di individui (Eucyclopsserrulatus, Paracyclops fimbriatus,P. imminutus).• Arpatticoidi: l’ordine comprendenumerose specie bentoniche edinterstiziali, molto comuni nelle grotte. Trale specie stigofile vanno annoverati irappresentanti dei generi Bryocamptus eAttheyella, tra cui però non mancano

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Ostracodi troglobi del genere Pseudocandona Ciclopoidi troglobi del genere Diacyclops

elementi eustigofili (B. typhlops) o stigobi(B. balcanicus, A. paranaphtalica). Tra lespecie stigobie vanno ricordati numerosielementi endemici di ristrette areecarsiche, appartenenti ai generiNitocrella, Elaphoidella, Lessinocamptus,Moraria, Morariopsis, Paramorariopsis,Ceuthonectes e Parastenocaris.Numerose sono in questi generi le speciedi recente scoperta o in corso didescrizione, talora note solo di unasingola cavità; si tratta in genere dispecie che popolano le microfessure delcalcare e le piccole vaschette di stillicidioo i rivoletti di percolazione delle grotte.La natura di questi habitat, chefunzionano in un certo senso da isoleall’interno di un dato sistema carsico, el’isolamento dei diversi massiccicarbonatici in seguito al progredire delcarsismo hanno presumibilmente favoritoi meccanismi di speciazione che hannodato origine ad un numero così elevato dispecie endemiche. Generi quali Elaphoidella eLessinocamptus avrebbero colonizzato leacque sotterranee a partire dai corpiidrici superficiali o da ambientisemiterrestri attraverso “corridoi” qualiad esempio l’ambiente iporreico. Membridei generi Nitocrella eParapseudoleptomesochra hanno invecepresumibilmente colonizzato le acquesotterranee continentali a partire daprogenitori marini. Di recente sono staterinvenute nei sistemi carsici internidell’Italia centro-meridionale (Massicciodel Gran Sasso, Abruzzo e Massicciodegli Alburni, Campania) due diversespecie appartenenti al generePseudectinosoma, che annoveravasinora un sola specie marina atlantica.Questo rinvenimento assume unaimportanza ancor più rilevante se siconsidera che il genere è sconosciutoper l’intero bacino mediterraneo e chequeste specie stigobie d’acqua dolce

potrebbero essere rappresentanti di unaantica fauna del Mediterraneoscomparsa dall’ambiente marino diorigine durante la crisi di salinità.

Isopodi. Si tratta di un ordine dicrostacei malacostraci che ha raggiuntoun eccezionale grado di radiazioneadattativa, con oltre 10000 specie diffusein ambienti terrestri, d’acqua dolce emarini, o che si sono adattate alla vitaparassitaria. Si suppone che gli isopodiabbiano colonizzato le grotte italiane apartire dal mare (durante le regressionimioceniche e plioceniche: cirolanidi,microparasellidi, forse sferomatidi - ma siveda la scheda per un approfondimentodi questa controversa ipotesi), dalleacque dolci superficiali (aselloti) o dalsuolo e dalla lettiera (oniscoidei).La varietà degli adattamenti, degli stili divita e della storia evolutiva delle diversefamiglie di isopodi è tale che ognuna diesse costituisce un microcosmo del tuttopeculiare.• Sferomatidi: sono presenti in territorioitaliano con il genere Monolistra,distribuito con numerose specie nellegrotte della fascia prealpina dal confineitalo-sloveno al Lago di Como. Ognispecie o sottospecie è da ritenersiendemica di un ristretto massicciocarsico. M. (Microlistra) schottlaenderi,

esclusiva di alcune sorgenti del Carsoisontino, ed una specie in corso distudio, rinvenuta nell’estrema propaggineorientale della Venezia Giulia, sono irappresentanti italiani del sottogenereMicrolistra, diffuso in Slovenia e Croazia.Tutte le specie di questo sottogenerepresentano vistosi tubercoli dorsali,talora prolungati in lunghe spine,interpretabili come efficaci strutturedifensive, in particolare quando l’animalesi appallottola per proteggersi daipredatori o per farsi trasportare dallacorrente. M. (Monolistra) coeca julia èinvece l’unico rappresentante italiano delsottogenere Monolistra ed è endemicadelle Prealpi Giulie; le restanti specie esottospecie italiane appartengono alsottogenere Typhlosphaeroma (o forse apiù sottogeneri affini) e sono presenti nelCarso triestino e goriziano, nelle Prealpicarniche, venete (Monti Lessini,Massiccio del Brenta e Colli Berici) elombarde. • Cirolanidi: famiglia comprendente perlo più specie marine, scoperta solo direcente nelle acque sotterranee italiane.Typhlocirolana aff. moraguesi (distintacon tecniche di biologia molecolare daT. moraguesi dell’Isola di Maiorca),rinvenuta in pozzi artificiali lungo la costanei pressi di Siracusa, hapresumibilmente colonizzato le acquesotterranee nel corso delle regressionimarine plioceniche, come sembranoconfermare le datazioni ottenute su basemolecolare. Sphaeromides virei, presentein grotte del Carso goriziano e triestino,Istria e Dalmazia, è un predatore didimensioni considerevoli (supera i 3 cmdi lunghezza), che si pone ai vertici dellecatene alimentari dei semplici ecosistemisotterranei cavernicoli; il suo areale didistribuzione segue la linea di costa dellaDalmazia (distribuzione illirica); la suaframmentazione in numerose sottospecieendemiche depone a favore di un antico

insediamento nelle acque sotterranee delCarso dinarico.• Microparasellidi: isopodi di piccoledimensioni (pochi mm), in genere daconsiderarsi interstiziali; si tratta dispecie di origine marina, la cuidistribuzione ricalca antiche linee dicosta dei mari terziari. Si conoscono seispecie italiane del genere Microcharon,ma nessuna di queste è stata sinoraraccolta in grotta.• Asellidi: famiglia comprendentenumerose specie dulcacquicole, presentisia nelle acque superficiali che in quellesotterranee, con forme specializzate allavita in ambiente sia freatico checavernicolo. La famiglia è presente inEurasia, Nord Africa e Americasettentrionale e centrale, ma le sueaffinità con altre famiglie di isopodi marinipermangono dubbie: le acquesotterranee sono state colonizzatesicuramente a partire dai corpi idrici disuperficie. Sono state anche rinvenutenelle grotte popolazioni di specie epigee,depigmentate e ad occhi ridotti(microftalme), che denotano una fase dicolonizzazione attiva del dominio ipogeoancora in corso. Quasi tutte le speciestigobie sono endemiche italiane epresentano ristretti areali di distribuzione.Nell’ambito del genere Asellus è presentein Italia Asellus cavernicolus, che vive nelbacino del Fiume Timavo in provincia di

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Isopodi acquatici del genere Monolistra

Proasellus franciscoloi

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Tra gli stigobi meglio studiati da un pun-to di vista tassonomico ed evoluzionisti-co si distinguono senza dubbio duegeneri di crostacei isopodi (Monolistra eCoecosphaeroma) appartenenti allafamiglia sferomatidi. Hanno concorso afocalizzare su di essi l’interesse dei bio-speleologi alcuni importanti aspetti:• i loro parenti più stretti sono tutti rigo-rosamente marini (il genere Sphaeroma,che raggruppa specie molto comuni nel-le lagune e lungo le spiagge ciottolose),a testimonianza della loro origine;non esistono generi affini nel-le acque dolci di superfi-cie• la distribuzione geografi-ca dei generi ricalca fedel-mente i limiti dei mari ter-ziari, come già ipotizzatoda vari ricercatori all’iniziodel secolo• le loro dimensioni e lafacilità di rinvenimentohanno consentito di effet-tuare accurate analisi alivello molecolare (elet-troforesi), che hanno per-messo di datare l’originedel genere Monolistra e dialcune delle sue specie:questa datazione coincidecon estrema precisionecon la crisi di salinità delMediterraneo che avevaportato al quasi totale pro-sciugamento del bacino nelcorso del Messiniano (Mioce-ne superiore).

Questi fatti rendono i monolistrini degliegregi “modelli” di studio per formulare etestare ipotesi sull’origine ed evoluzionedegli organismi cavernicoli. Anche inquesto caso tuttavia non mancano lecontroversie, che partono sostanzial-mente dalla seguente ipotesi: l’originemarina e la distribuzione del gruppo

sembrano congruenti con il “regressionmodel evolution”, che presuppone chequesti organismi siano relitti adattatisiall’ambiente sotterraneo in seguito allaregressione marina del Miocene. Lacolonizzazione avrebbe pertanto seguitouna via diretta dal mare alle acque carsi-che sotterranee e probabilmente inmodo indipendente per i due generi(Monolistra, di origine mediterranea, eCoecosphaeroma, di origine atlantica).Questa teoria tuttavia è stata di recente

criticata, contenendo in sé uncerto finalismo (gli animalisarebbero stati “spinti” acolonizzare le acque sot-

terranee dalle avverse con-dizioni ambientali, cioè dal-l’incremento della salinità).Recenti ricerche, ancorainedite, e la scoperta diinnumerevoli fossili disferomatidi terziari inruscelli e torrenti di

superficie hanno portatoad una nuova, piùmoderna ipotesi:

• le specie marine delgenere Sphaeroma avreb-

bero colonizzato libera-mente le acque dolci disuperficie occupando lenicchie disponibili

• la crisi di salinità messi-niana avrebbe interrotto ilflusso genico con le popola-

zioni marine dando avvio alprocesso di speciazione

• l’ incarsimento del territorioavrebbe favorito la colonizzazio-

ne attiva delle acque sotterranee, ove viera disponibilità di nicchie vuote eminore pressione competitiva, mancan-do gli insetti• il progredire dell’incarsimento avreb-be isolato i diversi massicci carsici efavorito i processi di speciazione allopa-trica; attualmente ogni bacino idrografi-

co ha infatti la sua specie o sottospeciedi Monolistra• variazioni climatiche o altri processiavrebbero infine causato la scomparsadelle specie di superficie.I nostri monolistrini hanno sviluppatotalora meccanismi di difesa eccezionali,in particolare nel genere Monolistra, conla presenza di acuminate e lunghe spineo di tubercoli; i loro nemici naturali sonoprincipalmente i grossi anfipodi del

genere Niphargus o il proteo. Un altromeccanismo di difesa è la volvazione:possono appallottolarsi nascondendototalmente ai predatori le appendici e laparte ventrale del corpo. Recenti studihanno avvalorato l’ipotesi che in realtàla volvazione non sia solo un meccani-smo di difesa, ma anche un mezzo perfarsi trasportare più rapidamente dalleacque correnti, rotolando tra i ciottolidel fondale.

Lo scenario biogeografico ed evoluzionistico dei monolistrini: teorie a confronto Fabio Stoch

Distribuzione attuale dei monolistrini, sovrapposta alla paleogeografia dei mari messiniani

M ONOLISTRINI

M ARI M ESSINIANI

TERRE EM ERSE

Trieste ed è stato recentemente studiatoa livello molecolare da un’équipeslovena; si tratta presumibilmente delrelitto di una colonizzazione pre-glacialedell’area carsica giuliana eslovena da parte dell’affine specieepigea A. aquaticus. Al genereChthonasellus è ascritta l’unicaspecie C. bodoni, endemicaitaliana (Provincia di Cuneo);presenta affinità solo col generefrancese Gallasellus e con specieamericane, a testimonianza diun’origine forse molto antica.Molto più numerosi sono invece irappresentanti del genereProasellus, presenti connumerose specie stigobie,cavernicole ed interstiziali, in tuttaItalia; alcune di queste sonoancora in attesa di venir descritte.Tra le specie cavernicoleendemiche più interessantiricordiamo P. ligusticus, della Liguriae delle Alpi Apuane, P. pavani diuna grotta nei pressi di Brescia, P.cavaticus del Piemonteoccidentale, Liguria e Francia, P.franciscoloi di grotte dellaLiguria e del Cuneese, accanto anumerose specie, non ancora definitecon esattezza, note finora con il nomecollettivo di P. patrizii, esclusive di grottedella Sardegna. Anche per le speciestigobie del genere Proasellus, che contain Italia anche specie di superficie, sonostate formulate svariate ipotesirelativamente all’origine come relitti, cioèderivati da popolazioni che hanno trovatorifugio nelle acque sotterranee in seguitoall’instabilità dei reticoli idrograficisuperficiali, oppure come attivicolonizzatori delle acque sotterranee.• Stenasellidi: famiglia ad ampiadistribuzione, include esclusivamentespecie stigobie di origine molto antica. Ilnumero di specie italiane non è noto con

esattezza, poiché il raffinarsi delletecniche di studio a livello molecolare staportando ad uno sconvolgimento dellasistematica tradizionale. Nel nostro Paese

la distribuzione della famiglia è limitataa Toscana e Sardegna; la specie più

nota è Stenasellus racovitzai (vedidisegno), di grotte della Toscana,mentre la fauna sarda è in corso direvisione. Utilizzando tecnichebiochimiche, è stato possibile

individuare in Sardegna almeno seidiverse specie endemiche. Due diqueste (sinora attribuite a S.racovitzai) mostrano affinità conspecie francesi, altre due (S. nuragicuse S. assorgiai) rivelano invece affinitàcon specie dell’Europa orientale; infinedue specie, individuate nel Nuorese,sono affini a quelle della PenisolaIberica, a testimonianza dellecomplesse vicissitudinipaleogeografiche di quest’isola.• Microcerberidi: è presente in Italianelle acque dolci continentali con lasola specie stigobia Microcerberus

ruffoi, della falda freatica dell’Adige,mai rinvenuto però in grotte; altrespecie sono invece marine litorali.• Oniscoidei: gli isopodi terrestri

contano numerose famiglie conrappresentanti troglobi in Italia(stiloniscidi, triconiscidi, buddelundiellidi,trachelipidi, speleoniscidi e armadillidi); sitratta infatti di organismi dotati in generedi bassa capacità di dispersione epertanto le specie endemiche sonofrequenti; la loro distribuzione è moltointeressante per il biogeografo, poichétestimonia le vicissitudinipaleogeografiche del territorio italiano. Nell’Italia nordoccidentale troviamo adesempio elementi che presentanopopolazioni anche nelle Alpi Marittimefrancesi (e talora troglofile in una partedell’areale e troglobie in un’altra):ricordiamo come caratteristici di

quest’area Trichoniscus voltai eAlpioniscus feneriensis; interessanteinoltre la concentrazione di specieendemiche del genere Buddelundiellanelle Alpi Marittime e in Liguria.Procedendo da occidente verso orientelungo l’arco alpino, la casistica si fa piùcomplessa e la tassonomia intricata; viprevalgono specie afferenti alsottogenere Dentigeroniscus del genereAndroniscus, con prevalenza dellaspecie A. dentiger, presumibilmenteeutroglofila. Nella Venezia Giulia infinetroviamo specie troglobie ad affinitàilliriche: Titanethes dahli,Androniscus stygius e Alpioniscus(Illyrionethes) strasseri. L’Italia appenninica presenta un numerodi specie più limitato (ricordiamoMiktoniscus patrizii del Lazio eTrichoniscus callorii dei Monti Lepini),con l’eccezione della Puglia, dove sirinvengono interessanti elementiendemici (Castellanethes sanfilippoi,Murgeoniscus anellii) o transadriaticiquali Aegonethes cervinus. In Siciliatroviamo invece specie sì endemiche,ma appartenenti a generi che contanoper lo più rappresentanti epigei, qualiArmadillium lagrecai; infine la Sardegnaoffre forse uno dei quadri faunistici piùinteressanti per il biogeografo, per lapresenza di elementi paleotirrenici;ricordiamo Scotoniscus janas,Catalauniscus hirundinella e C. puddui.

Anfipodi. Come gli isopodi, anche glianfipodi si presentano nel nostro Paesecome un ordine ricco di specie marine,d’acqua dolce e, in piccolissimo numero,subterrestri. Gli anfipodi hannocolonizzato le acque sotterranee dal mareo dalle acque dolci di superficie ove sisono differenziati in un numero moltoelevato di specie, mostrando in alcunicasi (si pensi al genere Niphargus)splendidi esempi di radiazione adattativa.Sono presenti in Italia quasi un centinaiodi specie di acque sotterranee, gran partedelle quali cavernicole, altre infeudatenegli ambienti interstiziali delle pianurealluvionali, negli interstrati delle roccemarnoso-arenacee o addirittura nellefratture delle rocce ignee e metamorfiche.Di questa gran varietà verranno prese inconsiderazione le principali famiglie checontano rappresentanti stigobi.• Bogidiellidi: si tratta di anfipodicomprendenti specie in gran parteinterstiziali, talora litorali (eurialine ofrancamente marine), raramente raccoltenelle grotte (ad esempio Bogidiella calicalidella Grotta del Fico, nell’Isola di SanPietro).• Gammaridi: comprende per lo piùspecie di acque dolci superficiali omarine, piuttosto frequenti nelle grotte, inparticolare nei tratti illuminati dei torrentisotterranei nelle risorgive e negliinghiottitoi, come stigosseni (Gammarus,Echinogammarus). Sono stati trovati ingrotte anchialine e sorgenti carsichecostiere specie dei generiRhipidogammarus e Tyrrhenogammarus.L’unica specie italiana francamentestigobia è Ilvanella inexpectata, di sistemifreatici e carsici dell’Isola d’Elba e dellaToscana.• Hadziidi: le specie del genere Hadzia,presumibile relitto tetideo, sono per lo piùlegate all’ambiente interstiziale e marinolitorale. Tuttavia non mancano le speciecavernicole, quali Hadzia fragilis stochi,

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Titanethes dahli

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sottospecie endemica, recentementescoperta alle Bocche del Timavo ed inalcune grotte del Carso isontino; si trattadi un elemento francamente troglobio,con appendici molto allungate e delicate,che denotano una specializzazioneall’habitat costituito dalle acque di basedelle condotte carsiche. Altre specieitaliane sono Hadzia minuta, di grotte epozzi del Salento, e H. adriatica di pozzipugliesi.• Metacrangonictidi: famiglia direcentissima scoperta in Italia, annoveraspecie freatobie e cavernicole del bacinodel Mediterraneo, del Marocco e diFuerteventura. Da noi è presente soloMetacrangonyx ilvanus, endemicodell’Isola d’Elba, ove è stato rinvenuto inun solo pozzo, situato però in terrenialluvionali.

• Nifargidi: la sistematica del genereNiphargus (oltre 250 specie note, conrarissime eccezioni tutte stigobie) èmolto intricata e controversa, erappresenta forse per i tassonomi unodei gruppi più “difficili” della nostrafauna. Sono note in Italia oltre unasessantina di specie (ma numerose altresono in corso di descrizione), le cuidifferenze sono spesso basate su minutidettagli morfologici. Il genere Nipharguspresenta una distribuzione di tipo

europeo-meridionale, con estensioneverso oriente sino all’Iraq, mentre adoccidente interessa solo marginalmentela Penisola Iberica; il genere è assente inNord Africa. Il limite settentrionale èchiaramente segnato dalla massimaespansione delle calotte glacialiwürmiane, con rari esempi diricolonizzazione di aree glacializzate daparte di specie ad ampia distribuzione. Inbase alle caratteristiche dell’areale didistribuzione è stato supposto che ilgenere abbia colonizzato le acque dolcieuropee a partire dai bacini dellaParatetide terziaria, anche serecentemente è stata postulataun’origine ancora più antica. La regione alpina è quella a più elevatabiodiversità in Italia; vi sono presentinumerose specie endemiche diNiphargus da riportare ai gruppi stygius(a gravitazione europeo-orientale) elongicaudatus (a distribuzione piùmeridionale). Le specie del gruppostygius si spingono sino all’Italia centralelungo la dorsale appenninica e alle isoledell’Arcipelago Toscano, ove si trovanospecie affini a Niphargus speziae dellaLiguria. L’Italia meridionale, la Sicilia e laSardegna sono invece molto più poveredi specie e vi predomina il gruppolongicaudatus. Un altro interessantegruppo, il gruppo orcinus, comprendegrosse specie diffuse in Italiameridionale, nei Balcani e in MedioOriente; in territorio italiano alcune speciepenetrano dai Balcani nel Carso triestinoed isontino. Nelle grotte italiane siriscontrano ancora rappresentanti di altrigruppi di specie, a tassonomia intricata,tutti ad ampia distribuzione in Europa(gruppi aquilex, kochianus, bajuvaricus,puteanus) o specie endemiche ad affinitàincerte (quali Niphargus stefanellii, notodi grotte dell’Italia centro-meridionale,che ha affinità solo con una speciedell’Istria e Dalmazia).

Da un punto di vista ecologico irappresentanti del genere Niphargus,presenti pressoché in tutte le grotte ovevi sia una seppur minima attività idrica,rivestono un ruolo importante nell’ambitodegli ecosistemi sotterranei, dovefungono da predatori o detritivori;possono raggiungere dimensioni notevoli(sino a 4 cm di lunghezza) e collocarsipertanto al vertice delle piramidialimentari di questi ambienti. Occupanotutte le nicchie disponibili, dall’ambienteinterstiziale alle microfessure nelle roccecarbonatiche e non, ai corsi d’acqua,laghetti e sifoni sotterranei, sino allecondotte carsiche di maggioridimensioni; alcune specie sono moltoresistenti al disseccamento dei baciniove abitano e possono sopravvivere incellette nel suolo umido. A questa grandevarietà di microhabitat corrisponde unanotevole varietà nelle dimensioni (chevanno dai 2 ai 40 mm) e nella forma delcorpo, che può essere “globuliforme”,come nelle specie che presentanotendenza alla volvazione, o allungata,talora “vermiforme” (nelle specieinterstiziali); la struttura può esseremassiccia e tozza, come nelle specie delgruppo orcinus, con grossi arti anterioriconformati a pinza (gnatopodi), oppureesile e allungata, con gnatopodi piccoli,come in talune specie del gruppolongicaudatus.

• Pseudonifargidi: si tratta di una famigliache non presenta uno stretto grado diparentela con i nifargidi, come potrebbesuggerire ingannevolmente il nome, mache come quest’ultima ha prodotto unastraordinaria radiazione adattativa nelleacque sotterranee. Ad esempio nellamaggior parte della Penisola Iberica lespecie di Pseudoniphargus sostituisconoquelle del genere Niphargus nelle grotteoccupandone le stesse nicchieecologiche. In Italia sono note quattrospecie (di cui la più comune èP. adriaticus), presenti sia in ambienteinterstiziale che in grotte non lontanedalla linea di costa.• Salentinellidi: il genere Salentinella haun’ampia distribuzione nelle regioni che siaffacciano sul Mediterraneo, ed è statosupposto trattarsi di un elemento antico(forse paleomediterraneo); include solospecie stigobie. La colonizzazione delleacque sotterranee è probabilmenteavvenuta ad opera di ignoti progenitorimarini, forse a più riprese sin dal Miocenemedio, considerando che la distribuzionedel genere ricalca antiche linee di costa.La tassonomia delle specie di Salentinellaitaliane necessita di una revisione; laspecie più comune, Salentinella angelieri,tipicamente interstiziale e frequente inacque debolmente salmastre non lontanodalla linea di costa, è riportata anche pergrotte di massicci carsici isolati, inambiente tipicamente montano; èpresumibile che in queste aree carsificatesiano presenti entità tassonomichedistinte ed endemiche, già descritte inprecedenza come buone specie. Unaspecie sicuramente distinta ed endemica,S. gracillima, popola invece grotte e pozzifreatici della Puglia.• Ingolfiellidi: si tratta di piccoli anfipodistigobi dal corpo allungato, diffusiprevalentemente nell’ambienteinterstiziale, sia marino che d’acquadolce. Una sola specie è stata sinora

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Niphargus del gruppo speziae

Niphargus julius

nettamente separabili con metodi dibiologia molecolare. In base allaricostruzione paleogeografica ed alladatazione approssimativa dei tempi didivergenza mediante l’orologiomolecolare, si è postulato che laspeciazione delle tre specie sia avvenutatra 700 000 e 1 700 000 anni fa in seguitoal formarsi di barriere idrogeologiche trale acque sotterranee del Carso isontino(legato al bacino dell’Isonzo), del Carsotriestino (legato al bacino del Timavo) edei piccoli bacini locali del Carso istriano,di cui esiste in Italia un piccolo lembo.Attualmente queste barriereidrogeologiche in parte non sussistonopiù, ed è per questo motivo che in alcunelocalità due delle tre specie di Troglocarisconvivono senza incrociarsi.L’altra specie italiana, Typhlocarissalentina, è invece endemica di grottedella Puglia; le altre due specie

103rinvenuta in Italia in acque francamentedolci; si tratta di Ingolfiella (Tyrrhenidiella)cottarellii, rinvenuta solamente in unagrotta dell’Isola di Tavolara (Sardegna).

• Metaingolfiellidi: Metaingolfiellamirabilis (vedi disegno) rappresenta unodegli animali più eccezionali della faunacavernicola italiana. La specie è stataraccolta una sola volta (ma in numeroelevato di esemplari) nell’acqua pompatada un pozzo del Salento, che attinge aduna falda carsica profonda, e descrittada Ruffo nel 1969; da allora le numerosericerche biospeleologiche condotte nelCarso pugliese non hanno consentito diraccogliere ulteriori esemplari di questoendemita, da considerarsi rarissimo.Questo crostaceo è probabilmente unodei più antichi elementi dell’intera faunaitaliana.

Batinellacei. Sono note oltre 200 speciedi questi crostacei, tutte stigobie. È stataformulata da alcuni ricercatori l’ipotesiche si tratti di un gruppo di origine moltoantica, forse già ben diversificato nelPaleozoico. A quel tempo i batinellaceisarebbero stati diffusi nelle acquecostiere litorali, nelle lagune e negliestuari della Laurasia, da dove avrebberocolonizzato il Gondwana nel Permo-Triassico, prima della frammentazionedella Pangea, diffondendosi poi nelleacque sotterranee continentali. Questaaffascinante ipotesi, seppure non ancorasuffragata da prove oggettive, legaindissolubilmente lo studio dellatassonomia di questi organismi con i

grandi eventi paleogeografici del nostropianeta.In Italia la fauna a sincaridi è stata sinorapoco studiata; sono stati riscontrati igeneri Bathynella, Anthrobathynella,Meridiobathynella, Sardobathynella eHexabathynella, comprendenti per lo piùspecie interstiziali. Tuttavia è recente ilrinvenimento di ricche popolazioni disincaridi, appartenenti a più specie incorso di studio del genere Bathynella, inpozzette di stillicidio di grotte dei MontiLessini, delle Prealpi Giulie e del Carsogoriziano e triestino, ove popolanopresumibilmente le microfessure neimassicci carbonatici. Poiché questascoperta è dovuta all’applicazione dinuove metodiche di campionamento inquesti ambienti peculiari, è presumibileche i sincaridi siano molto più diffusi nellegrotte italiane di quanto sinora supposto.

Termosbenacei. Anche in questo caso,come per i batinellacei, ci troviamo inpresenza di un ordine di origine moltoantica, diffuso con oltre una trentina dispecie stigobie nei cinque continenti.Anche la storia evolutiva di questicrostacei è legata, come per ibatinellacei, alle regressioni marinetetidee, e ne ha seguito le vicissitudini. InItalia sono presenti nelle acque carsichesotterranee (raramente in ambienteinterstiziale) le seguenti specie:Limnosbaena finki, di grotte del Carsogoriziano e triestino (nota anche dellaBosnia); Monodella stygicola, endemicadi grotte e pozzi della Puglia;Tethysbaena argentarii, endemica di unagrotta del Monte Argentario (Toscana), eT. siracusae, endemica di pozzi dellaSicilia.

Misidacei. I misidacei comprendonoattualmente oltre 800 specie, per lo piùmarine o di acque salmastre, mentrepochi sono i rappresentanti presenti nelle

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Spelaeomysis bottazzii

Troglocaris gruppo anophthalmus

Typhlocaris salentina

acque dolci e nelle acque sotterranee. Lamaggior parte delle stazioni di raccoltadelle specie stigobie sono localizzatelungo la costa, a testimonianza di unaorigine presumibilmente recente daprogenitori marini. In Italia sono note duespecie stigobie presenti in grotte e pozzicon acque freatiche della Puglia:Spelaeomysis bottazzii e Stygiomysishydruntina. Entrambe le specie, chepossono convivere, sono endemicheitaliane. Se l’adattamento di questespecie alle acque sotterranee, comesuggeriscono recenti ricercheelettroforetiche, può essere ritenuto unevento piuttosto recente (pliocenico),l’ampia distribuzione geografica deigeneri (che abbraccia le areemediterranea, americana ed indo-pacifica) testimonia invece una notevoleantichità dei misidacei delle acquecontinentali ed una presumibile originetetidea.

Decapodi. I decapodi sono rappresentatinelle acque sotterranee del globo daoltre 170 specie stigobie; in Italia sonoconosciuti i generi cavernicoli Troglocaris(presente nel Carso isontino e triestino) eTyphlocaris (presente in Salento).Esistono in Italia tre specie di gamberettidel genere Troglocaris appartenenti algruppo anophthalmus; si tratta tuttavia di“sibling species”, cioè specieindistinguibili morfologicamente, ma

conosciute del genere Typhlocaris vivonoin acque sotterranee di Israele e Libia.

Acari. Si tratta di aracnidi di piccole opiccolissime dimensioni (da 3 cm a 0,1mm), per la maggior parte terrestri anchese si contano diverse specie d’acquadolce e pochissime specie marine. Sonopresenti praticamente in tutti gli ambientie possono essere predatori, necrofagi,fitofagi, commensali di mammiferi educcelli - nutrendosi di peli, penne, pelledesquamata, secrezioni grasse - edinfine parassiti di altri animali, siainvertebrati che vertebrati.Gli acari terrestri che frequentano legrotte sono numerosi; si possonoincontrare sui depositi di guano o neipressi di altro materiale organico, sulterreno o nelle fessure della roccia. Pochidi essi sono legati a questo ambiente epossono quindi essere consideraticavernicoli. Nelle grotte italiane siincontrano i rappresentanti di diversefamiglie tra cui citiamo a titolo di

esempio: macrochelidi, con Geholaspismandibularis; parasitidi, con Pergamasusquisquiliarum, ampiamente distribuitonelle grotte di tutta Italia e delle isole;poliaspinidi con Uroseius sorrentinus,specie legata alle grotte dell’Italia centromeridionale; ragidiidi, con numerosespecie tra cui ricordiamo Troglochelesstrasseri, elemento apparentementemolto legato agli ambienti cavernicoli delnord Italia, Francia, Svizzera, Austria edex Yugoslavia. Vi sono poi diversespecie, legate al suolo ed al guano,dell’ordine oribatidi che si possonoincontrare nelle grotte italiane. Moltointeressante e discussa la posizione di unparassita di pipistrelli, Ixodesvespertilionis (famiglia ixodidi): moltiautori lo considerano infatti come unelemento troglobio, essendo statotrovato spesso all’interno delle grottesenza il proprio ospite ed in tutti gli stadidi sviluppo, mentre altri studiosi loconsiderano invece come cavernicolooccasionale legato alla presenza deichirotteri.

Palpigradi. Questi piccoli aracnidi ciechi,caratterizzati dalla presenza di un lungoflagello all’estremità dell’addome, sonosenza dubbio gli abitanti delle grottemeno conosciuti dagli zoologi. Il fattoche tutti i palpigradi siano depigmentati eprivi di apparato visivo, sia che vivano ingrotta che fuori, e la scarsità di datiecologici riguardanti quest’ordine diartropodi, rende molto difficile inquadrarele specie trovate in grotta in una dellecategorie ecologiche normalmente usateper i cavernicoli. Si nutronopreferibilmente di collemboli ed altripiccoli artropodi che predano alla basedelle stalagmiti o sotto i sassi sul suolo.Nelle grotte italiane sono state ritrovatedieci specie, tutte appartenenti al genereEukoenenia. Sette di queste sono stateraccolte solo in grotta. Di particolare

interesse E. gasparoi della Venezia Giulia,E. brignolii della Puglia, E. patrizii ed E.grafittii della Sardegna che sembranopresentare particolari tratti adattativi perla vita in ambienti ipogei. Altre speciesono note di alcune cavità dell’arcoalpino.

Pseudoscorpioni. Gli pseudoscorpioni,piccoli aracnidi simili agli scorpioni maprivi della famosa “coda” e di aculeovelenifero, costituiscono un ordine moltoben rappresentato nelle grotte italiane ein quelle di molte aree in Europa, in Asiae nelle Americhe. Presentano degliadattamenti, a volte molto accentuati,per la vita in ambienti ipogei. Le lorodimensioni variano dai 2 mm delle formeepigee, che si trovano sotto le fogliemorte nel sottobosco, sotto le cortecce osotto le pietre profondamente interrate,fino ai 7-8 mm delle forme cavernicolepiù specializzate. In grotta si possonoincontrare sotto le pietre o sul pavimentomentre attendono i piccoli invertebrati dicui si nutrono e che catturano con lechele poste sui pedipalpi,particolarmente allungati nelle specietroglobie. Su circa 210 specie sinora note delterritorio italiano, 124 sono state citate di

grotta e 80 di queste si possonoconsiderare dei veri cavernicoli. Le grotteche hanno fornito reperti dipseudoscorpioni sono oltre 440 e leregioni meglio conosciute riguardo glistessi sono la Liguria, il Veneto, il Friuli-Venezia Giulia e la Sardegna; poco onulla si sa invece della Val d’Aosta, delleMarche, dell’Umbria e del Molise.Gli pseudoscorpioni cavernicoli italianiappartengono a tre distinte famiglie.Agli ctoniidi appartengono i generiChthonius, Spelyngochthonius eTroglochthonius, di cui gli ultimi due sonoconsiderati elementi relitti di unpopolamento molto antico risalente alprequaternario. Tra i neobisiidiricordiamo: il genere Neobisium,distribuito in tutta la penisola connumerose specie epigee e con pochespecie dei sottogeneri Blothrus eOmmatoblothrus rispettivamente nellegrotte del Veneto e Friuli-Venezia Giulia edell’Italia centro-meridionale; il genereRoncus, generalmente meno legato del

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Acari specializzati del genere Rhagidia

Palpigrade del genere Eukoenenia

Neobisium lulense

precedente alle grotte nell’Italia centromeridionale, è rappresentato da specietroglobie in numerose cavità dell’arcoalpino e dell’Appennino settentrionale; ilgenere Acanthocreagris, di cui sonoattualmente conosciute, per l’Italia, trespecie troglobie trovate in grottedell’Italia settentrionale e della Sardegna;ed infine il genere Balkanoroncus con B.boldorii delle Prealpi lombarde e venete.Ai siarinidi afferiscono i generiHadoblothrus, rappresentato nelle nostregrotte unicamente in Puglia da H. gigas,e Pseudoblothrus, con P. ellingseni digrotte del Piemonte: le specie di questiultimi due generi, relitti di antichipopolamenti, sono estremamentemodificate in relazione all’ambientesotterraneo.

Opilioni. Aracnidi noti per le loro lunghezampe, vengono facilmente confusi con iragni; gli osservatori più attenti potrannoperò osservare come l’addome degliopilioni non sia attaccato al resto delcorpo tramite un sottile peduncolo, comenei ragni, ma saldato ad esso in tutta lasua larghezza. Sono per lo più attivipredatori ma non disdegnano, in alcunicasi, anche animali morti.Numerose sono le specie di opilioni chefrequentano le nostre grotte, ma soloalcune di queste possono essereconsiderate realmente troglobie o

comunque eucavernicole. Tra quelle chemostrano un legame più stretto conl’ambiente di grotta, possiamo citare lafamiglia travuniidi con Buemarinoa patriziiche abita alcune grotte in provincia diNuoro. Sempre nelle grotte dellaSardegna, possiamo incontrareMitostoma patrizii che, insieme aMitostoma anophthalmum delle Prealpilombarde, sono i rappresentanti troglobidella famiglia nemastomatidi. Un'altrafamiglia, che comprende diverse speciecavernicole, è quella degliischiropsalididi; a questa appartengono,tra le numerose altre, Ischyropsalisravasinii, conosciuto di alcune grotte delVeneto e Friuli, I. muellneri, presente nelleAlpi e Prealpi Giulie e Ischyropsalisstrandi, del Monte Baldo e della Lessinia;vi sono poi altre specie di questo genere,non propriamente troglobie, macomunque fortemente legate agliambienti ipogei, come I. adamii dellegrotte appenniniche, probabilecolonizzatore recente di questi ambienti.Tutte le specie cavernicole diIschyropsalis preferiscono ambienti contemperature piuttosto basse; si cibanoabitualmente di chiocciole che catturanocon i possenti cheliceri.

Ragni. Si tratta dell'ordine di aracnidimeglio conosciuto, di cui sono segnalatein Italia oltre 1400 specie, 200 delle qualisono state rinvenute nelle grotte, anchese solo una parte di esse può essereconsiderata cavernicola; numerosespecie di superficie, infatti, sono moltomobili e penetrano con facilità(volontariamente o accidentalmente) neitratti iniziali delle cavità sotterranee, dovecostituiscono una rilevante frazione dellafauna troglossena.Questi formidabili predatori colonizzanol'ambiente sotterraneo in tutte le sueparti, dagli ingressi, ove sono presentiforme igrofile e lucifughe che tessono

tele (anche di grandi dimensioni) allepareti o fra i sassi del fondo, ai settori piùinterni, abitati da elementi piùspecializzati, che cacciano costruendo latela oppure vagando nel detrito o sulleconcrezioni calcitiche.I ragni possiedono normalmente otto osei occhi semplici che, nelle speciecavernicole, tendono a ridursi fino ascomparire del tutto. Tale riduzione nonavviene però casualmente; gli occhimediani sono i primi a scomparire,mentre quelli laterali sono assenti solonelle forme più specializzate.Parallelamente alla scomparsa degliocchi si nota lo sviluppo dei tricobotri,lunghe setole che permettono dipercepire gli spostamenti dell’aria el’ambiente circostante.All’interno di una grotta sono molte lezone dove si possono incontrare deiragni; le specie cavernicole presentano

spesso strette parentele con quelle chevivono in ambienti umidi come la lettieradei boschi, in zone rocciose con pocavegetazione o sotto le pietre infossate nelterreno. Ricordiamo le principali famiglierappresentate nell’ambiente di grotta:• Disderidi: vi appartengono gli elementitroglobi più specializzati, tutti predatorivaganti; sono rappresentati in Italia daStalita nocturna e Stalita taenaria dellaVenezia Giulia e da Sardostalita patriziidella Sardegna centro-orientale. • Leptonetidi: appartengono a questafamiglia cinque specie troglofile delgenere Leptoneta, che si possonotrovare nelle grotte della Liguria e dellaSardegna, e la troglobia Leptonetabaccettii dell’Isola d’Elba, unica speciecieca. Paraleptoneta spinimana è unelemento troglofilo diffuso nel versantetirrenico della penisola, in Sicilia ed inSardegna. I leptonetidi catturano le loroprede utilizzando una piccola ragnatelache viene tesa tra i sassi sul suolo o nelleanfrattuosità delle pareti. • Folcidi: comprende specie di modestedimensioni ma con zampe notevolmenteallungate; l’unico elemento legato inparte all’ambiente di grotta è il troglofiloPholcus phalangioides, diffuso inmoltissime grotte italiane dove caccia lesue prede costruendo ragnateleirregolari; è specie sinantropa, diffusaanche nelle cantine e nelle abitazioni.• Tetragnatidi: è presente nelle nostrecavità con tre specie cavernicoleappartenenti alla fauna parietale:Metellina merianae, frequentissima intutto il paese; Meta menardi, più grandedella precedente e presente solonell’Italia peninsulare e Meta bourneti,anch’essa di grandi dimensioni epresente in alcune aree della penisola enelle isole. • Linifiidi: vi appartengono piccoli ragniche costruiscono tele orizzontali; sono i

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Opilione del genere Ischyropsalis

Nesticus eremita

Stalita taenaria

più diffusi in Italia e presentano il numeropiù elevato di specie cavernicole. Traesse le numerose specie diTroglohyphantes presenti nelle grottedell’arco alpino e in una dell’Appenninoligure; a questo genere appartengonouna trentina di specie, per lo più nonparticolarmente specializzate, ma conalcuni elementi che possono essereconsiderati troglobi, come T. konradi delPiemonte, T. bolognai e T. bonzanoi dellaLiguria, T. caporiaccoi, T. cavadinii e T.regalini della Lombardia, T. exul delVeneto e T. juris e T. scientificus del Friuli.Sempre a questa famiglia appartengono igeneri Porrhomma, non particolarmentelegato ad ambienti ipogei, il cuirappresentante più conosciuto e adampia diffusione è P. convexum;Lepthyphantes, rappresentato da specietroglofile e presente in tutta Italia; eCentromerus, composto da ragni dipiccole dimensioni, il cui unico elementotroglobio italiano è il minuscolo C.cottarellii noto di una grotta ligure. • Nesticidi: annovera in Italia sette speciedel genere Nesticus, tutte cavernicole. Indue casi si tratta di troglofili pocospecializzati: N. eremita, presentenell'Europa mediterranea e comunissimonelle grotte italiane (fatta eccezione per laSardegna), e N. cellulanus, ampiamentediffuso nell'Europa centro-settentrionaleed occidentale, che si rinviene in Italiasolo nella regione alpina. Le rimanenticinque specie, presenti in aree limitate ecaratterizzate in varia misura da riduzioneoculare, sono da considerarsi troglobie otroglofile specializzate; si tratta di N.idriacus, presente in Friuli e in pochestazioni del Veneto, N. morisii di unacavità artificiale del Piemonte,N. menozzii della Liguria, N. speluncarum,rinvenuto in una ristretta area a cavallo diLiguria, Emilia e Toscana, e N. sbordoniidi una grotta del Lazio.• Agelenidi: è rappresentata dai generi

Tegenaria, non particolarmentespecializzato, di cui è facile vedere ingrotta le caratteristiche tele ad imbuto eHistopona, che presenta l’unicoagelenide italiano particolarmentespecializzato, H. palaeolithica dellaLiguria.• Liocranidi: è da segnalare la presenza,in due grotte della Sicilia, di Cybaeodesmolara, specie microftalma esclusivadell’isola.

Chilopodi. I chilopodi (centogambe ocentopiedi) sono facilmente riconoscibiliosservando il numero di zampe presentisu ciascuno dei segmenti corporei:ognuno di essi reca sempre un unicopaio di zampe (15 o più paia negli adulti).Molti chilopodi sono legati ad ambientiumidi o sub-lapidicoli, molto simili agliambienti cavernicoli che spessocolonizzano.Nelle grotte italiane sono presenti unasettantina di specie di centopiedi e lamaggior parte di esse appartiene allafamiglia litobiidi con i generi Lithobius,Eupolybothrus e Harpolithobius.Sebbene questi veloci predatori sianofrequenti negli ambienti ipogei, solopochissimi di loro sono stati ritrovati

unicamente all’interno di cavità naturali,tra questi: Lithobius scotophilus presentein alcune grotte delle Alpi Liguri e AlpiMarittime; Lithobius doderoi che siincontra solo nelle cavità della Sardegnain provincia di Nuoro e Lithobiuselectrinus, della Grotta Tomba delPolacco nelle Prealpi bergamasche,rinvenuto però anche in sede epigea nelComasco. Tra tutte quelle presenti inItalia, solo due specie possono essereconsiderate realmente troglobie; una èLithobius sbordonii, litobiide cieco,depigmentato e con antenne fortementeallungate che vive in alcune grotte dellaporzione orientale della Sardegna, el’altra è Eupolybothrus obrovensis,specie presente nelle grotte dellaSlovenia e solo recentemente rinvenutaanche sul Carso triestino. Tra gliscolopendromorfi si possono incontrare irappresentanti della famiglia criptopidi,tutti ciechi ma in genere non troglobi;all’interno delle cavità si incontrano infattisolo alcune specie appartenenti algenere Cryptops che, pur essendopiuttosto comuni nelle nostre grotte, nonpresentano caratteri adattativiparticolarmente evidenti.

Diplopodi. I diplopodi (o millepiedi) sidistinguono immediatamente daichilopodi (centopiedi) poiché possiedonodue paia di zampe per ogni segmento delcorpo. Sono animali molto legati agliambienti umidi e per questo motivofrequenti sia nell’ambiente endogeo cheall’interno delle grotte; spesso non èpertanto facile stabilire il grado di fedeltàdelle specie all’ambiente sotterraneo. I diplopodi che possono essereconsiderati veri troglobi presentano iclassici adattamenti morfologici alla vitadi caverna; sono infatti depigmentati,ciechi e con antenne allungate. Lamaggior parte di essi si ciba di restivegetali e, occasionalmente, di animali in

decomposizione. I diplopodi si possonoosservare, all’interno delle cavità, neipressi di resti di legno o fogliemarcescenti, sotto i sassi o vaganti sullepareti nelle zone più umide. Per l’Italiasono conosciute circa 150 specie chehanno, a diverso titolo, rapporti conl’ambiente cavernicolo. • Glomeridi e trachisferidi: sonocaratterizzati dalla presenza di un

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Litobiide del genere Eupolybothrus

Polydesmus troglobius

Chersoiulus sphinx

Plectogona sanfilippoi bosseae

numero ridotto di segmenti e dallacapacità di arrotolarsi formando unapiccola palla (volvazione,comportamento per il quale possonoessere superficialmente confusicon alcuni isopodi oniscoidi); igeneri italiani più interessantisono Spelaeoglomeris delle Alpi Liguri eMarittime e Trachysphaera.• Polidesmidi: tutti ciechi, sia che vivanoin grotta che in superficie, presentano glianelli spesso carenati e sonoampiamente rappresentati nelle nostregrotte dai generi Polydesmus, Serradium,Mastigonodesmus, Sardodesmus eSchedoleiodesmus. • Craspedosomatidi: famigliaampiamente diffusa in tutta Italia eSardegna con diversi generi e numerosespecie; queste presentano spesso deiprocessi laterali su ciascuno dei segmentidel corpo e posseggono un paio di filierepreposte alla secrezione di seta.• Callipodidae: anch’essi provvisti difiliere, hanno un regime alimentarecarnivoro e sono presenti in Italia con ilgenere Callipus, diffuso in tutta lapenisola ed in Sardegna, ed il genereSardopus, endemico di quest’isola.Nonostante la loro predilezione per gliambienti sotterranei, questi diplopodinon mostrano particolari adattamentimorfologici alla vita nelle grotte.• Julidi: sono presenti nelle nostre cavitàcon diverse specie appartenenti ai generiTrogloiulus dell’Italia settentrionale eTyphloiulus con alcune specie dell’Italiasettentrionale ed una del Lazio eSyniulus, endemico della Sardegna.

Collemboli. Questa classe costituisce ilpiù antico gruppo di esapodi conosciuto.I collemboli sono tutti di piccoledimensioni (in genere 1-2 mm) e sonoforse gli artropodi più numerosi presentinelle grotte. Nonostante ciò, si tratta diun gruppo ancora poco studiato.

Nei collemboli la depigmentazione e lariduzione o la scomparsa degli occhi nonè una caratteristica esclusiva delle specietroglobie; in queste ultime è stato perònotato un allungamento delle unghie,probabilmente per facilitare glispostamenti su substrati umidi e ricopertida un film di acqua, nonché altriadattamenti tipici dei troglobi(rallentamento del metabolismo, riduzionedella prolificità, diminuzione dellacapacità di ritenzione idrica e maggioreresistenza al digiuno).Per l’Italia è conosciuta una cinquantinadi specie ritrovata unicamente o con unacerta frequenza in grotta; della maggiorparte non è possibile stabilire il grado diaffezione per l’ambiente cavernicolo.Queste specie appartengono a numerosefamiglie: ipogastruridi, comeBonetogastrura cavicola della Puglia e B.subterranea, entrambe probabilicolonizzatrici recenti dell’ambientesotterraneo, e diverse specie diMesogastrura; onichiuridi con diversespecie del genere Onychiurus; isotomidi,a cui appartiene Isotomurus subterraneusdelle grotte del Trentino; entomobriidi,con specie maggiormente specializzate,che presentano un maggioreallungamento degli arti e delle unghie,delle antenne e dell’organo sensorio adesse associato; tra le specie piùinteressanti ricordiamo Pseudosinella

alpina, P. insubrica e P. concii presentinell’arco alpino dal Piemonte al Veneto.Di notevole interesse è sicuramente iltomoceride Troglopedetes ruffoi presentein Puglia nella Grotta l’Abisso, nei pressidi Castro Marina. Infine bisogna ricordarela famiglia arropalitidi, con alcune speciedel genere Arrhopalites, e la famigliasminturidi a cui appartieneDisparrhopalites patrizii presente in grottedella penisola ed in Sicilia.

Dipluri. A questa classe di esapodiappartengono complessivamente circa800 specie che, per la maggior parte,prediligono aree con climi caldi etemperati. I dipluri sono prevalentementedepigmentati e forniti di lunghe antenne.Delle cinque famiglie italiane, solo duepresentano specie legate all’ambientecavernicolo.• Campodeidi: sono provvisti di lungheantenne e dall’ultimo segmentoaddominale si dipartono due lunghi cercimultiarticolati. Di tutte le aree del mondo,l’Europa centrale e meridionale sono lezone più ricche di campodeidicavernicoli; in Italia sono presenti alcunespecie dei generi Campodea, in massimaparte nel centro-sud ed in Sardegna e,

nelle grotte appenniniche, Plusiocampa.A quest’ultimo genere appartiene ilnumero più elevato di campodeidicavernicoli (quasi 40 specie in Europa).Di particolare interesse la presenza inSardegna dell’endemica Patrizicampasardoa, elemento troglobio che presentaun elevato livello di specializzazione.• Japigidi: nei rappresentanti di questafamiglia i cerci sono formati da un unicoarticolo e sono trasformati in una sorta dipinza con la quale si difendono masoprattutto catturano le loro prede,rappresentate da acari ed altri piccoliartropodi. Meno diffusi dei campodeidi elegati ad ambienti con umidità relativamolto elevata, non sembrano avereparticolari adattamenti alla vitacavernicola sebbene siano abbastanzapresenti nelle grotte. Per l’Italia sono dasegnalare Metajapyx moroderi patrizianusdella Sardegna, sottospecie endemica diuna specie nota solo di poche altregrotte della Spagna, e Metajapix peanoi,cavernicola dell’Italia settentrionale, chepresenta un allungamento delle antenneparticolarmente pronunciato.

Ortotteri. Gli ortotteri o saltatoricomprendono i grilli e le cavallette. Sitratta di insetti fitofagi (che si nutronocioè di vegetali), saprofagi (che sinutrono cioè di sostanze organiche indecomposizione) o predatori; le speciecavernicole sono in genere saprofaghe,ma sono stati osservati casi dipredazione e cannibalismo. Altriadattamenti negli ortotteri cavernicolisono la classica riduzione dellapigmentazione, l’allungamento dei palpi,la riduzione o scomparsa delle ali. Gliortotteri sono rappresentati, nelle cavitànaturali ed artificiali italiane, dalle famiglierafidoforidi e grillidi, cui afferisconospecie più o meno troglofile.• Rafidoforidi: vi appartengono i generiDolichopoda e Troglophilus; il primo è

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Dipluro campodeide

Collembolo del genere Pseudosinella

presente in Italia con una decina dispecie tra cui degne di nota Dolichopodaligustica della Liguria, Piemonte eLombardia; Dolichopoda laetitiaedell’Italia centro settentrionale;Dolichopoda schiavazzii del litoraletoscano e dell’Isola d’Elba; Dolichopodageniculata presente dal Lazio alla Pugliae Dolichopoda calabra della Calabria. InSicilia è stata descritta, nel 1776, D.palpata da un autore tedesco al qualeerano stati inviati alcuni esemplari di unagrotta vicino a Siracusa, dove non è statamai più ritrovata. Interessante ilritrovamento di una consistentepopolazione di Dolichopoda in una grottadel Veneto (Grotta della Poscola, suiLessini vicentini) che pare essere stataintrodotta accidentalmente dall’uomo. Ilgenere Troglophilus è invece presente inItalia con tre specie: Troglophilusneglectus del Friuli-Venezia Giulia,Veneto e Trentino Alto Adige;Troglophilus cavicola il cui areale siestende fino alla Lombardia; Troglophilusandreinii è invece presente, con duesottospecie, unicamente in Puglia,testimone di un antico popolamentoanteriore alla separazione di questaregione dalla vicina penisola balcanica.• Grillidi: vi appartengono Gryllomorphadalmatina, ad ampia distribuzione inItalia, e Gryllomorphella uclensis, chefrequentano abitualmente le cavitàartificiali e naturali, zone umide e cantine;Petaloptila andreinii, specie tipica dellelettiere dei boschi ma presente in diversecavità appenniniche (questa specie è dicolore marrone scuro ed ha due piccoleali squamiformi). Acroneuroptila puddui eA. sardoa sono ortotteri alquantocaratteristici perché, pur essendo specieesclusivamente cavernicole, hannoanch'esse conservato delle cortissime alisquamiformi, ma evidenziano unamarcata depigmentazione. Il generesembra essere esclusivo della Sardegna.

Tricotteri. Questi insetti, alati da adulti,sono acquatici allo stadio larvale. Sirinvengono comunemente in grotta allostadio adulto come subtroglofili, mentrele larve con i loro caratteristici astucci(dette portalegna o portasassi) sipossono incontrare nelle zone d’ingressodi grotte con corsi d’acqua interni. Nellecavità italiane i tricotteri sono presenti dafebbraio a novembre, con un massimo dipresenze in primavera ed estate, epossono rappresentare una componentepiuttosto importante della faunaparietale. Una quindicina di specie distenofilacini sono presenti nelle grotteitaliane come elementi subtroglofili; traqueste ricordiamo Stenophylaxpermistus, il più grande stenofilacinocavernicolo, la specie più ampiamentediffusa nelle cavità dell’Italia continentale,peninsulare e Sardegna; S. vibex, speciepiuttosto rara in Italia, conosciuta dialcune grotte dell’Appennino centrosettentrionale; S. mucronatus, S.crossotus e S. mitis. Passando al genereMicropterna incontriamo M. lateralisdell’Italia settentrionale, M. nycterobiache sembra prediligere le grotte di altaquota situate tra i 1000 ed i 2500 metri dialtitudine, M. sequax, M. malatesta, M.testacea e M. fissa che è la specie ditricottero più numerosa nelle grotteitaliane e per la quale sono stati osservatiaccoppiamenti da marzo a settembre. Al

genere Mesophylax appartengono trespecie cavernicole: Mesophylax aspersusè distribuito dall’Italia settentrionale finoalla Puglia ed è l’unica specieattualmente segnalata di Sicilia;M. sardous è una specie endemica dellaSardegna presente in diverse grottedell’isola; M. impunctatus è una specieriportata per poche grotte dell’Italiasettentrionale.

Lepidotteri. Le grotte rappresentano, permolte farfalle, un rifugio stabile nellospazio e nel tempo. Alcune di essetrascorrono sulle pareti delle grotte ilperiodo invernale, altre vi si trovano nellestagioni calde ed altre ancora leutilizzano durante il giorno o la notte edin caso di cattivo tempo.Sebbene nessuna specie possa essererealmente considerata troglobia, moltilepidotteri sono ospiti costanti dellegrotte e alcuni microlepidotteri, legati alguano, trascorrono tutta la loro vita nellecavità dove vi siano ammassi diescrementi di pipistrelli; i loro bruchivivono sul guano cibandosi di funghi, delguano stesso ed occasionalmentepredando piccoli invertebrati.I lepidotteri rappresentano unaimportante fonte di nutrimento pernumerosi animali troglobi, sia come ciboper i saprofagi una volta morti sia comeprede per diversi ragni o per i

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Gryllomorpha dalmatina

Dolichopoda calabra

Troglophilus neglectus

Stenophylax mitis

Scoliopteryx libatrix

gasteropodi del genere Oxychilus,adattatisi a cibarsi di artropodi come lefarfalle del genere Scoliopteryx su cui èstata più volte osservata una predazioneattiva.In Italia sono state ritrovate, con unacerta frequenza all’interno di cavità, unaquindicina di specie appartenenti adiverse famiglie.• Psichidi: vi appartiene Psyche casta,piccola farfalla notturna le cui femmine,come tutte quelle ascritte a questogenere, non posseggono ali edaspettano il maschio all’interno di unastuccio fatto di frammenti vegetali,dove hanno trascorso il periodo larvale;all’interno delle grotte è stata osservatasolo in Italia.• Tineidi: conosciuti ai più per i danniche alcuni rappresentanti di questafamiglia possono arrecare ai vestiti edaltri tessuti, incontriamo Monopisrusticella, nota anche di diverse grottedell’Europa centro-orientale. • Acrolepidi: è rappresentata nellanostra penisola da Digitivalva (Inuliphila)granitella, presente spesso in grannumero nei pressi degli ingressi dellecavità.• Alucitidi: è presente il genere Alucita,caratteristico per le ali piumose, chepresenta in diversi paesi europeinumerose specie subtroglofile. • Geometridi: vi appartengono Triphosadubitata, i cui adulti volano in estate e sipossono incontrare di giorno in questoperiodo o ibernanti durante i mesi freddi,e T. sabaudiata, che si può incontrareestivante o ibernante nelle nostre grotteed in quelle di tutta Europa.• Arctiidi: sono state recentementestudiate delle popolazioni appenninichedi Nudaria mundana, specie presente intutta l’Italia peninsulare, che in alcunegrotte del Gran Sasso d’Italia sono staterinvenute costantemente all’interno ed intutte le fasi del ciclo biologico.

• Nottuidi: vi appartengono la maggiorparte dei lepidotteri che frequentano lanostre grotte; tra questi ricordiamoRhyacia simulans e Apopestes spectrummolto diffusi nelle grotte di tutta l’Italia;Scoliopteryx libatrix, che trascorrel’inverno nelle grotte da dove esce nelperiodo primaverile; Autophila dilucida eHypena obsitalis, ritrovata in grotteitaliane, slovene e croate.• Ninfalidi: tra questi lepidotteri diurni siincontrano con una certa frequenzaInachis io e Aglais urticae, che possonotrascorrere l’inverno all’interno dellegrotte.

Ditteri. Dei ditteri, provvisti notoriamentedi un solo paio di ali (il secondo èridottissimo e trasformato in organi diequilibrio, i bilancieri), esistono circa100 000 specie conosciute, delle qualicirca un centinaio è stato rinvenuto, conuna certa frequenza, nelle cavità naturalied artificiali delle zone temperate. Nelle nostre grotte si incontrano diversespecie, più o meno legate all’ambientesotterraneo. La specie più diffusa èLimonia nubeculosa (famiglia limoniidi),

subtroglofila, comunissima nelle grottedove si trova spesso sulle pareti nellezone di ingresso o più raramenteall’interno. Questa specie è abbondantesoprattutto durante il periodo estivo,

quando si possono contare, inalcune cavità, anche centinaia diindividui per metro quadrato.Durante il periodo invernale,sulle pareti delle grotte fannola loro comparsa le specie dellafamiglia culicidi, in particolare lefemmine di Culex pipiens, lanostra zanzara comune.L’elemento più interessante, forse unicovero troglobio tra i ditteri italiani, èAllopnyxia patrizii (sciaridi). Questaspecie, conosciuta solo di una grottavicino a Roma, presenta un maschio didimensioni molto ridotte (meno di unmillimetro) e con le ali molto piccole (maprovvisto di bilancieri ed ocelli); lafemmina invece è di dimensioni molto piùgrandi, circa due millimetri e mezzo,senza ali e bilanceri. Anche gli ocelli,nella femmina, sono assenti e l’addome èenormemente sviluppato, tanto dasuperare di quasi tre volte la lunghezzadel resto del corpo. Entrambi i sessi sonodepigmentati ed anche gli occhi sonomolto ridotti (8 ommatidi nel maschio e 4nella femmina). La larva di questa specieè ancora sconosciuta. Nelle grotte fredde di alta quota siincontrano frequentemente i tipulidi delgenere Chionea, elementi criofili, atterima apparentemente non particolarmentelegati all’ambiente di grotta che usanoper lo più come rifugio. Gli eleomizidicavernicoli comprendono la cosiddetta“mosca del guano”, Thelida atricornis,dittero troglofilo legato soprattutto allapresenza di accumuli di guano, ma anchedi altri escrementi di mammiferi e piccolicadaveri; si può incontrare in grotta tuttol’anno in diversi stadi del ciclo biologico.Per i foridi, nelle nostre grotte siincontrano alcune specie del genereTriphleba, presenti nelle cavità naturali edartificiali, spesso legate alla presenza diguano. Altre famiglie riscontrate,regolarmente o occasionalmente, nelle

grotte italiane sono: micetofilidi,chironomidi, psicodidi e foridi.

Un discorso a parte meritano inicteribiidi (vedi disegno),ectoparassiti dei pipistrelli, atteri,

ciechi e con zampe ed unghiesviluppate, atte alla presa sull’ospite.

Solo le femmine prima delladeposizione ed i giovani in cerca del

loro primo ospite lasciano il pipistrello.Anche gli streblidi sono parassiti deichirotteri ma posseggono ali e sonomeno strettamente legati all’ospite.

Coleotteri.• Carabidi: i carabidi rappresentano unadelle più grandi famiglie di coleotteri;comprendono infatti più di 40 000 speciein tutto il mondo, in massima partepredatrici (pur potendo utilizzare anchealtre risorse alimentari). Centinaia dispecie di carabidi sono state descritte indiversi ambienti sotterranei del mondo;gli adattamenti morfologici e fisiologicisono spesso molto evidenti,dall’allungamento degli arti ed antenne,allo sviluppo di setole sensoriali sulleelitre e di chemiocettori e organi olfattivi,fino alla scomparsa dei ritmi circadiani, alrallentamento del metabolismo ed allariduzione del numero di uova deposte.Insieme ai colevidi, rappresentano ilgruppo più studiato e maggiormenterappresentato della fauna cavernicolaitaliana. Si possono infatti osservare nellevarie specie di questa famiglia tutti itermini di passaggio verso la conquistadell’ambiente ipogeo, dalle specie concaratteristiche tipiche degli endogei,passando attraverso diversi gradi diadattamento, fino alle numerose specietroglobie cosiddette “ultraevolute”.I carabidi cavernicoli italianiappartengono a quattro tribù: clivinini,trechini, sfodrini e molopini. Tra i clivinini incontriamo solo il troglobioItalodytes stammeri, endemico della

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Limonia nubeculosa

Puglia, dove si può incontrare nellegrotte delle Murge e del Salento. I più numerosi sono senz’altro i trechiniche rappresentano la maggioranza deicarabidi cavernicoli, con undici generiattualmente conosciuti in Italia, di anticaorigine paleoegeica o paleomediterranea.Typhlotrechus bilimeki, eutroglofilo, èspecie nota di grotte del Carso Triestinoe più comune in Slovenia e Croazia. Il

genere Orotrechus comprende più di unatrentina di specie, di cui almeno unaventina eucavernicole e le altre endogee,diffuse dai Lessini veronesi finoall’Austria, alla Slovenia ed alla Croazia.La maggior parte delle specie di questogenere è endemica delle Alpi e Prealpiorientali italiane e molte di essepresentano una sovrapposizione diareali. Sulle Alpi occidentali si incontrainvece il genere endemicoDoderotrechus, a cui appartengono trespecie: D. ghilianii presente in ambientiendogei e di grotta, D. crissolensis che sitrova spesso nelle stesse località dellaprecedente e D. casalei più strettamentecavernicola. Strette affinità conDoderotrechus sono evidenti nel genereBoldoriella delle Alpi centrali a cuiappartiene un gruppo di specie chefrequentano l’ambiente endogeo e nonfrequenti, o addirittura mai ritrovate,all’interno delle grotte accanto ad unaltro gruppo più strettamente cavernicoloche presenta anche un grado dispecializzazione morfologica più elevato.Insieme alle specie cavernicole diBoldoriella si incontrano spesso quelledel genere Allegrettia, elementi troglobidistribuiti nelle prealpi bresciane ebergamasche. Italaphaenops dimaioi,endemico dei Lessini veronesi, ritrovatola prima volta durante una delleesplorazioni all’interno della Spluga dellaPreta, è il più grande trechinocavernicolo del mondo. Lacolonizzazione delle grotte da parte diquesto troglobio può essere fatta risaliread un’ epoca anteriore alle ultimeglaciazioni. Altri elementi troglobi diestremo interesse sono le tre specieattualmente conosciute di Lessinodytes,endemiche dei Lessini veronesi e dellePrealpi bresciane ed anch’essesistematicamente isolate dagli altritrechini cavernicoli; la difficoltà nelreperimento degli individui di questo

genere, nelle grotte per le quali sonoconosciuti, lascia supporre chel’ambiente di elezione di questi animalinon sia rappresentato dalle cavità vere eproprie, bensì dall’ambiente sotterraneosuperficiale circostante. Il genere piùnumeroso di trechini cavernicoli italiani,Duvalius, è rappresentato da più disessanta specie, riunite in diversi gruppi.Questo genere è ampiamente distribuitosulle Alpi, sull’Appennino, in Sicilia ed inSardegna. Alcune specie sembranoappartenere ad un popolamento di piùantica origine e sono maggiormentespecializzate ed isolate geograficamente,altre sono di origine più recente.Agostinia launoi, unica specie del generein Italia, è endemica del MonteMarguareis nelle Alpi Liguri dove abita legrotte più fredde e convive con alcunespecie di Duvalius. Il genereAnophthalmus comprende invecenumerose specie, cavernicole edendogee, a diverso grado di adattamentoalla vita cavernicola. L’areale di questogenere è compreso tra la Croazia, laSlovenia ed a nord fino alla Drava; inItalia è presente con una decina dispecie, anch’esse a diversi livelli dispecializzazione, sulle Alpi orientali.Ultimo nell’elenco dei trechini èSardaphaenops supramontanus,elemento estremamente specializzato adaffinità betico - pirenaiche.È endemico della Sardegna orientaledove si trova in varie cavità delSupramonte di Orgosolo, di Oliena e deimonti di Urzulei. Alla tribù sfodrini appartengono lamaggior parte dei carabidi eutroglofili;non sono infatti conosciuti, sul territorionazionale, sfodrini troglobi. A questatribù appartiene Sphodropsis ghilianii,endemico delle Alpi occidentali dove ènoto di numerose cavità e, in alcunestazioni di alta quota, è stato ritrovato inambienti epigei ed in tane di marmotta.

Anche il genere Laemostenus appartienealla tribù degli sfodrini. Esso è suddivisoin due sottogeneri (fino a qualche tempoaddietro considerati come generi):Antisphodrus che popola le grotte delleAlpi centro orientali e Actenipus che siincontra nelle cavità delle Alpioccidentali, dell’Appennino centromeridionale e della Sardegna. Alla tribù dei molopini appartengonodiverse specie endogee ma anche unatroglobia di particolare importanza:Speomolops sardous endemico dellaSardegna, dove abita poche grotte nelNuorese. Le sue affinità sistematiche conaltri generi delle Baleari e della Spagna lofanno rientrare in quella categoria dianimali che testimoniano i rapporti dellefaune sarde con quelle tirrenico-occidentali.

• Colevidi: questa famiglia di coleotteriha probabilmente avuto origine nelGiurassico (e forse anche in epocaanteriore) nelle foreste che ricoprivano laparte meridionale dell’unico continenteallora esistente, la Pangea. Lafrantumazione di quest’ultima e ilsuccessivo allontanamento delle zollecontinentali che ne derivarono portaronoall’attuale disposizione delle terre emerseche rende in parte conto dell’odiernadistribuzione degli organismi animalioriginari di quell'antico unico continente.Da quei primi antenati degli attuali

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Orotrechus muellerianus

Italaphaenops dimaioi

Duvalius apuanus

Sphodropsis ghilianii

colevidi si sono evolute, seguendo glispostamenti dei continenti, le ottosottofamiglie di questi coleotteri cheattualmente popolano gran parte delleterre emerse del nostro pianeta. Lamaggioranza delle specie vive al suolo euna buona parte di esse è legata aidiversi ambienti sotterranei terrestri, dallegrotte vere e proprie, alla rete di fessuree microclasi inaccessibili all’uomo,dall’ambiente sotterraneo superficialealle cavità artificiali. Tutti i colevidipresentano costumi alimentari di tiposaprobiotico; si nutrono infatti di materiaorganica in decomposizione. Insieme aicarabidi, presentano i più straordinari estudiati esempi di adattamento alla vita inambienti ipogei. L’aspetto più evidenteriguarda la regressione degli occhi, giàmolto avanzata nelle specie endogee maportata al massimo nelle specie troglobieper le quali è stata osservata in alcunicasi anche la totale scomparsa dei centriottici gangliari; la scomparsa delpigmento e delle ali membranose el’allungamento degli arti sono altre bennote forme di adattamento presentianche in questi insetti. Diversi colevidileptodirini e carabidi trechini presentanoanche una particolare forma globosadelle elitre definita come “falsafisogastria”, adattamento legato albisogno di mantenere un alto tasso diumidità per la respirazione attraverso lasuperficie dorsale dell’addome;l'argomento è stato discusso nel capitolodedicato agli adattamenti dei troglobi.Numerosi studi, condotti sull’ecologia el’etologia dei leptodirini, hanno permessodi evidenziare diverse strategieadattative; tra queste, di particolarerilevanza sono la riduzione del numero diuova, la scomparsa dei ritmi circadiani,l’abbassamento del metabolismo el’utilizzo di particolari feromoni diaggregazione in risposta alla scarsità dicibo e alle particolari condizioni di vita

all’interno delle cavità terrestri.Delle otto sottofamiglie in cui sonosuddivisi i colevidi, solo cinque sonopresenti in Italia e non tutte presentano lastessa affezione per l’ambientesotterraneo. La sottofamiglia deinemadini, infatti, pur comprendendoalcune specie cavernicole dell’Anatolia,dell’Afghanistan, del Pakistan edell’Arizona, non è rappresentata nellenostre grotte da alcun elemento legato aquesto particolare ambiente; lo stesso sipuò dire degli ptomafagini, di cui sonoconosciute numerose specie eutroglofilee troglobie in diverse parti del mondo,ma ritrovati solo molto raramenteall’interno delle grotte italiane e mai conspecie esclusive di questo ambiente.Anche per gli anemadini vale lo stessodiscorso mentre fra i colevini si possonoincontrare alcuni elementi che, seppurenon strettamente cavernicoli, siriscontrano frequentemente all’internodelle grotte italiane; fra questi Catopsspeluncarum delle grotte sarde, trespecie appartenenti al genere Choleva,presenti in diverse grotte della penisola eApocatops monguzzii dell’Italiasettentrionale. I leptodirini, infine, rappresentano circa lametà delle specie di colevidi conosciutenel mondo e sono quelli più strettamentelegati all’ambiente ipogeo; fra essitroviamo gli esempi più eclatanti estudiati di strategie adattative che si

manifestano sia a livello organismico chepopolazionale. Nelle grotte della Liguria si incontranonumerose specie, troglobie ed endogee,del genere Parabathyscia; rappresentantidi questo genere si incontrano anchenelle Alpi Marittime francesi, in Corsica ein Inghilterra, oltre che in Piemonte enell’Italia peninsulare (alcune stazioni inToscana, Lazio, Campania e Calabria),dove però non si trovano all’interno dellegrotte ma solo in ambiente endogeo. InPiemonte, sul versante orientale dell’arcoalpino, si incontrano due specie delgenere Dellabeffaella: D. olmii, che vivenell’ambiente sotterraneo superficialenelle Alpi Cozie e D. roccai delle grottedelle Alpi Graie. Altre tre specie sirinvengono nelle grotte e nell’ambientesotterraneo superficiale del Piemonte:Canavesiella lanai, C. casalei eArcheoboldoria doderoana. In Lombardiasono presenti il genere Insubriella conuna sola specie (I. paradoxa)dell’ambiente sotterraneo superficiale delbresciano, numerose specie diPseudoboldoria, tre specie troglobie euna endogea di Viallia del bergamasco ele numerose specie del genere Boldoria,delle quali molte troglobie, cheestendono il loro areale fino al MonteBaldo in Veneto. Nelle Alpi orientali, il cui confine conquelle occidentali è nettamente segnato,per quanto riguarda i leptodirini, dallavalle dell’Adige, la situazione èsicuramente più complessa e variegata.Sono infatti presenti numerosi generi adiverso grado di specializzazione e condifferenti affinità filetiche. CitiamoMonguzziella grottoloi, appartenente allaserie filetica delle Boldoria, unicoelemento dell’arco alpino orientale chemostri delle affinità con i generioccidentali; Neobathyscia comprendediverse specie concentrate in massimaparte nelle grotte dei Monti Lessini in

Veneto che presentano una interessantedistribuzione altitudinale compresa tra i500 ed i 1100 metri di quota. Due speciedi Lessiniella sono presenti in provincia diVicenza e due specie appartenenti algenere troglobio Cansiliella vivonorispettivamente in una grotta delCansiglio e in una del Monte Ciaurlec(Friuli), dove si ritrovano per lo più vagantisul velo d’acqua che ricopre leconcrezioni. Nelle cavità delle PrealpiTridentine, dei Lessini e dell’Altopiano deiSette Comuni in Veneto si trovano,generalmente in grotte d’alta quota, lecinque specie conosciute del genereHalbherria; nelle cavità delle Prealpivenete e friulane si possono incontrare lespecie del genere Orostygia, elementiprevalentemente troglobi che, inparticolari condizioni ambientali diumidità elevata e stabile, come avvienead esempio nel bosco del Cansiglio, sipossono trovare in ambienti endogei;interessante anche il genere Oryotus,delle prealpi dal Veneto alla Slovenia:nelle zone orientali dell’areale si ritrovaanche in grotte d’alta quota con ghiaccio.Delle tre specie e ben quindicisottospecie appartenenti al genereAphaobius, solo una arriva in Italia, A.milleri forojulensis del Friuli, mentre lealtre sono distribuite in Slovenia eCroazia; questo genere è strettamenteimparentato con i due precedenti e conCansiliella. Il genere di leptodirini italiano

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Colevidi leptodirini in accoppiamento Leptodirus hohenwarthi reticulatus

che presenta il maggior grado dimodificazione morfologica in funzioneadattativa all’ambiente sotterraneo èsenza dubbio Leptodirus. Questo generemonospecifico è presente in Italia in unagrotta del Carso triestino con lasottospecie L. hohenwarthi reticulatus,mentre il suo areale è maggiormenteesteso in Slovenia e Croazia; è statoquesto, come si è già ricordato, il primoinsetto scoperto all’interno di una grotta.Sugli Appennini si incontrano, oltre allegià citate Parabathyscia, le specie delgenere Bathysciola, presenti anche inPiemonte, Liguria, Veneto e Sicilia.Queste sono però per la maggior parteendogee e solo alcune specie sonotroglobie; esempi interessanti di speciecavernicole, come Bathysciola sisernica,B. sbordonii e B. delayi, si incontrano nelPreappennino laziale e campano.Altri interessanti esempi di leptodirinitroglobi si ritrovano in Sardegna: i generiendemici Ovobathysciola e Patriziella e ilgenere Speonomus, comune anche aiPirenei, dove è più largamente diffuso. Ladistribuzione di quest’ultimo genere ètestimone delle vicende paleogeografichedell’isola.• Stafilinidi: famiglia di coleotterifacilmente riconoscibili per il corpoallungato e le elitre fortemente ridotte,conta pochi rappresentanti nell’ambientecavernicolo; tra questi le specie troglofileAtheta spelaea e Quedius mesomelinussono elementi tipici dell’associazioneguanobia; Lathrobium alzonai è specieendemica delle grotte dei Colli Berici.Vengono oggi ascritti agli stafilinidi anchegli pselafidi (sottofamiglia pselafini).Si tratta di coleotteri di piccola taglia,(inferiore ai 2.5 mm), lucifughi ed igrofili.All’esterno delle grotte si trovanonell’ambiente endogeo, nei formicai, neitermitai, nella lettiera, nei detriti vegetali indecomposizione e nel legno marcio. Sonotutti predatori, per lo più di collemboli. In

Italia sono presenti una decina di specieeucavernicole, altre sono invece presentiin grotta solo occasionalmente. Le speciefrancamente cavernicole appartengono aigeneri Tychobythinus, con specie presentinelle cavità dell’Italia peninsulare e dellaSardegna; Bryaxis, con specie note peralcune grotte dell’Italia nordorientale;Machaerites, a cui appartiene M. ravasiniidel Carso triestino e della Slovenia, unadelle specie della fauna italiana piùspecializzate per la vita in grotta;Bythoxenus, con B. italicus segnalatosolo per una grotta in provincia di Udine eGasparobythus del Carso triestino.• Isteridi: questi coleotteri, per lo più diforma globosa od ovale, vivono nellosterco, nei cadaveri, sotto le corteccedegli alberi morti o deperienti e nel legnofradicio, nei funghi marcescenti ed in altrimateriali in decomposizione, così come innidi di uccelli e tane di mammiferi,nonché associati a formiche di diversespecie. Sono tutti predatori di altriartropodi sia allo stadio larvale che allostadio immaginale. Pochi isteridi hannocolonizzato l’ambiente cavernicolo; inItalia sono attualmente conosciute solocinque specie troglobie: Spelaeabraeusagazzii (con ben tre sottospecie),S. georgii, S. infidus e S. tormenei,presenti solo in alcune grotte dell’Italianordorientale, e Sardulus spelaeus,endemica di una grotta in provincia diNuoro (Sardegna). Tutte queste speciemostrano una totale regressione degliocchi, l’assenza di ali e la fusione delleelitre, oltre ad un parziale allungamentodelle zampe. Occasionalmente nellegrotte, ma più frequentemente nellevicinanze dell' ingresso, si rinvengonoanche altri isteridi, soprattutto specie delgenere Gnathoncus, che però nonpresentano alcuno degli adattamentimorfologici caratteristici della vitacavernicola e pertanto non possonoessere considerate troglobie.

• Curculionidi: sono coleotteri facilmentericonoscibili per l’inconfondibileallungamento del capo che conferisceloro una forma a rostro più o menoallungata. Questa caratteristica ha fattoguadagnare a questi insetti il nomecomune di “punteruoli” . Tutti irappresentanti di questa famiglia sonofitofagi; molti di loro sono altamentespecializzati per questo tipo dialimentazione, tanto da essere legatiunicamente ad alcune parti di specifichepiante. Proprio questa loro caratteristicaalimentare ha impedito ai curculionidi dicolonizzare massivamente l’ambiente digrotta. Le specie che si incontrano piùfrequentemente all’interno delle grottesono quelle che si cibano di radici e dilegno e che sono, quindi, più legate alsuolo ed all’ambiente endogeo.La maggior parte di queste specieappartiene al genere Otiorhynchus(sottogeneri Troglorhynchus eLixorhynchus) e sono frequenti (odesclusive) dell'ambiente cavernicolodell' Italia centro-settentrionale. Sonotuttavia presenti anche nell' Italiameridionale con O. (L.) monteleoniidell' inghiottitoio di Campo Braca e conuna seconda specie, sempre diLixorhynchus, ancora inedita di unagrotta dei Monti Alburni. In Sardegna O.(L.) doderoi è stata rinvenuta nella grottadi Sos Turrittas (Golfo Aranci).

Quest'ultima tuttavia è stata raccoltanumerosa anche all'esterno al vaglio inambiente di macchia mediterranea.Altri generi rappresentati nelle grotteitaliane sono Absoloniella, con A. reitteridi due grotte del Carso triestino;Amaurorhinus caoduroi e Pselactuscaoduroi, di due grotte in Puglia ePararaymondyonimus mingazziniidell’Emilia Romagna.

Anfibi. Escludendo le specietroglossene, che talora (comeSalamandra salamandra, la salamandrapezzata), possono riprodursi consuccesso nei ruscelli delle grotte, sonoda considerarsi cavernicole le specieappartenenti ai pletodontidi ed aiproteidi.

• Pletodontidi: si tratta di una famiglia diurodeli privi di polmoni, con unadistribuzione molto particolare. Sonoinfatti presenti in America con 250 specieed in Europa con almeno 7 entità relittediffuse in Italia (Alpi Liguri, Appenninocentro-settentrionale e Sardegna) e inFrancia sud-orientale. Le specie delgenere Speleomantes (geotritoni), in granparte legate al territorio italiano,rappresentano una delle più importantiemergenze naturalistiche del nostropaese. Esse vivono in habitat rupestrimolto diversi, ma tutti caratterizzati daridotta insolazione diretta, grande umidità

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Curculionidi del genere Otiorhynchus inaccoppiamento

Speleomantes

relativa, e sono sempre legati ad interstizifra le rocce oppure alle cavità ipogee,dalle quali raramente si allontanano. Perquanto nel corso della notte oppure nellegiornate più umide si possano talorarinvenire anche in ambiente epigeo, è piùfacile osservarli all' interno di cavitàcarsiche, ove possono essereparticolarmente numerosi anche su paretirocciose verticali, subverticali oaggettanti. Su queste superfici umide esovente sottoposte a intenso stillicidio igeotritoni si spostano lentamentesfruttando sia la tensione di interfacciaaria-acqua, sia la capacità adesiva diparticolari espansioni digitali. Questianimali sono piuttosto opportunisti dalpunto di vista alimentare. Anche nella piùtotale oscurità essi catturano invertebratidi diversi gruppi tassonomici, utilizzandola lingua vischiosa e fungiforme che puòessere rapidamente rovesciataall'esterno della bocca. Nelle cavitàitaliane possono essere facilmenteosservate le seguenti specie:Speleomantes ambrosii (provincie di La

Spezia e Massa Carrara, meno leporzioni nord-occidentali dove si rinvienela specie seguente); Speleomantesstrinatii (Piemonte sud-occidentale eLiguria, nelle provincie di Savona,Genova e Imperia); Speleomantes italicus(Garfagnana, Alpi Apuane, provincie diReggio Emilia, Lucca, Pesaro e Pescara,introdotto nel Senese); Speleomantesflavus (provincia di Nuoro); Speleomantes

genei (Sulcis-Iglesiente, provincia diCagliari); Speleomantes imperialis(provincie di Nuoro, Oristano e Cagliari);Speleomantes supramontis (Oliena,provincia di Nuoro).I geotritoni sono protetti dallaconvenzione di Berna e risultano inclusinella Direttiva Habitat promulgata dallaComunità Europea. La loro limitatadistribuzione areale, talora circoscritta aridotti sistemi di cavità ipogee, li rendevulnerabili, dato che in queste condizioniessi non sono in grado di sopravvivere aradicali trasformazioni dell'habitat. Perquesto motivo alcuni geotritoni sonoanche inclusi nelle liste rosse dell' IUCN(Unione Internazionale per laConservazione della Natura).• Proteidi: l’unico rappresentanteeuropeo di questa famiglia, e l’unicoanfibio troglobio della fauna italiana, èProteus anguinus, il proteo. L’altrogenere della famiglia, Necturus, èamericano e vive in superficie nei fiumi enei laghi. Il proteo è sicuramente unodegli organismi cavernicoli più noti algrande pubblico, e la storia della suascoperta risale addirittura al 1689, annoin cui il Valvasor lo segnalò come un“pétit dragon” delle grotte di Postumia(attualmente in Slovenia), mentre la primaesatta descrizione scientifica è statafornita dal Laurenti nel 1768.I protei hanno il corpo anguilliforme e gliocchi, negli individui adulti, sono atroficie nascosti sotto la pelle; gli arti anterioripossiedono tre dita, i posteriori due. Ilcolore è di solito biancastro, talorarosato, ma si è osservato chel’esposizione alla luce induce una debolee labile pigmentazione. Tra lecaratteristiche che rendono il proteo unaspecie eccezionale della nostra fauna viè senza dubbio il fenomeno dellaneotenia. Vengono indicati comeneotenici quelli animali che raggiungonola maturità sessuale e si riproducono pur

mantenendo morfologicamente deicaratteri larvali. Il fenomeno è frequentein alcuni urodeli, come i tritoni, che taloraconservano da adulti le branchie esterneproprie dello stadio larvale. Tuttavia, senei tritoni la metamorfosi può essereindotta da stimoli naturali o inlaboratorio, nel proteo si tratta di unaneotenia obbligatoria ed irreversibile. La riproduzione del proteo è rimasta alungo un mistero ed un tempo vi eranoopposte teorie che hanno fatto nascereuna controversia tra coloro chesostenevano trattarsi di una specievivipara e quelli che invece la ritenevanoovipara. In realtà il proteo è una specieovipara; le uova vengono deposte innatura una alla volta nell’arco di circa unmese, in numero di 20-80. Normalmentesono attaccate le une alle altre sullerocce e sotto le pietre e la nascita dellelarve avviene a temperatura ambientedopo 13-20 settimane. E qui sta lasorpresa: le larve, grigiastre, possiedonoocchi ben distinti sino all’età di circa duemesi. Le larve, che alla nascita misuranocirca 16-22 mm, crescono lentamente efino a 3 mesi si nutrono esclusivamentedelle riserve vitelline; solosuccessivamente divengono predatrici.In natura la riproduzione avvieneraramente prima del decimo anno di età(11-14 anni nei maschi, 15-18 nellefemmine). Tutti i protei adulti sono

predatori e si cibano prevalentemente dioligocheti e crostacei acquatici; sonostati osservati anche in Italia casi diprotei che nel corso della notte escono insuperficie a predare piccoli artropodi.Anche l’origine del proteo e l’antichitàdella colonizzazione delle acquesotterranee è spesso dibattuta.Dall’esame di resti fossili(Hylaeobatrachus croyi) trovati aBernissart in Belgio assieme a quelli degliiguanodonti e risalenti al Cretaceoinferiore, è noto che i proteidi vivevano inquel periodo nelle acque di superficie. Lateoria in passato più accreditatasosteneva che le popolazioni epigee diproteidi siano persistite nelle acquesuperficiali europee almeno sino allametà del Miocene, quando le aree ove ilproteo attualmente vive erano in faseprecarsica ed esisteva ancora un estesoreticolo idrografico epigeo. Con ilprogredire del carsismo nel Pliocene èpresumibile che il proteo abbiaattivamente colonizzato le acquesotterranee del Carso dinarico. Tuttaviaquesta teoria è stata di recente confutatadai ricercatori sloveni, dopo la scopertadi una nuova sottospecie (Proteusanguinus parkelj, descritta nel 1994), dalmuso più schiacciato, oculata epigmentata, nel Carso della Bela Krajina,che le analisi genetiche hannodimostrato molto affine alle popolazionitroglobie della stessa area; è statapertanto postulata una colonizzazionedel dominio ipogeo molto più recente.Tuttavia recenti indagini hanno messo inevidenza come in realtà potrebbeesistere più di una specie di proteonell’area dinarica (nel 1850 ne eranostate descritte addirittura 7 sottospeciein base al numero di vertebre),riproponendo pertanto la possibilità diuna colonizzazione pre-quaternaria delleacque sotterranee. La distanza geneticatra le popolazioni della Bela Krajina e

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Speleomantes strinatii

Proteus anguinus

quelle di Postumia sembra datare ledivergenze addirittura al Miocenesuperiore, riproponendo la validità dellavecchia ipotesi.La distribuzione del proteo va dal fiumeIsonzo, in provincia di Gorizia, sino alMontenegro spingendosi nell’entroterra diSlovenia, Croazia e Bosnia. In Italia laspecie è nota di numerose grotte delCarso isontino e triestino dove, purminacciata da recenti eventi inquinanti edalla compromissione dell’habitat, èfortunatamente ancora comune; unacolonia isolata esiste inoltre nella GrottaParolini ad Oliero (Valstagna, provincia diVicenza). Si sa comunque con certezzache questa popolazione deriva da unaimmissione, avvenuta nel 1850, di alcuniesemplari sloveni che si sono benacclimatati. Il proteo, per la suaeccezionalità ed il ristretto areale cheoccupa nel territorio attuale dellaComunità Europea, è protetto da varienormative internazionali, ed in particolareè specie inclusa nell’allegato II dellaDirettiva Habitat e nell’IUCN Red List.

Chirotteri. Per quanto i pipistrelli nonsiano sempre strettamente associati allegrotte, l' immaginario collettivo attribuisceloro uno speciale legame con le cavitàipogee. Si tratta nel complesso di quasiun migliaio di specie volatrici di aspetto,taglia e abitudini molto varie. Oltre allacapacità di volare utilizzando un ampiopatagio teso fra le falangi delle mani, lezampe posteriori e la coda, la piùspettacolare caratteristica dei pipistrelli èl'ecolocazione. Molti altri mammiferi siservono di emissioni ultrasoniche percomunicare con i conspecifici, perlocalizzare la preda o farsi un'idea dellatopografia dell'ambiente in cui vivono(cetacei, toporagni, ecc.), ma neimicrochirotteri insettivori questa capacitàsembra essere particolarmente raffinata,poiché essi la utilizzano costantemente,

anche nel corso dei più rapidi scarti edevoluzioni aeree. Nelle più diversecondizioni di attività essi emettono rapidesequenze di click ultrasonici e si servonodei loro echi di ritorno sia per localizzarein volo le prede di cui si nutrono, sia percatturarle, sia per orientarsi in assenza diluce ed evitare gli ostacoli. Per questomotivo non sono in grado di cacciarequando piove e di regola si rifugiano neiloro nascondigli parecchi minuti primache abbiano inizio le precipitazioni.I microchirotteri europei sono per lo piùcaratterizzati da limitate capacità ditermoregolazione. Questa condizione,nota come omeotermia imperfetta, èabbastanza diffusa tra i mammiferi diclimi temperati (ricci, ghiri, marmotte,pochi carnivori, ecc.) e consente dilimitare il dispendio metabolico sia neiperiodi di riposo diurno, sia nel corsodell' inverno, quando l'ambiente èparticolarmente avaro di risorse. Inquesto periodo gli animali si ritirano inletargo all' interno di un ibernacolo dotatodi temperatura e umidità costanti, nelquale fra l'altro si possono accoppiare. Iluoghi scelti per l' ibernazione sono per lopiù cavità rupestri o arboree, crepe ofessure di soffitte, infissi sconnessi,fabbricati diruti, e hanno caratteristiche

diverse nelle varie specie. Anche sealcune di esse amano cavità fredde eventilate (barbastello), in generale lecavità scelte per l' ibernazione sonoprofonde, umide e termostatate, con unatemperatura che si mantiene piuttostocostante anche nel corso della cattivastagione. All' interno di queste celle diibernazione i pipistrelli gregari si possonoradunare in gran numero, fino araggiungere impressionanticoncentrazioni di animali. I pipistrelli nani(Pipistrellus pipistrellus), ad esempio, siradunano in ibernacoli particolarmenteaffollati, talora popolati da centinaia omigliaia di animali disordinatamenteammucchiati l'uno sull'altro. In una grottarumena uno di questi assembramentiletargali era addirittura costituito da100 000 individui. L' ibernazione di questianimali è comunque tutt'altro checontinua. In caso di disturbo o dieccessivi abbassamenti dellatemperatura gli animali si possonorisvegliare, cercando attivamente nuoviibernacoli. Questi spostamenti invernalipossono essere molto spettacolari, taloracoinvolgendo centinaia di animali in cercadi una nuova cella di ibernazione.Il ciclo riproduttivo di questi mammiferi èpure molto peculiare. Il periodo degli

accoppiamenti ha inizio con ladispersione delle femmine mature dallanursery, tra la fine di agosto e l'autunnosuccessivo. Esso può durare tuttol' inverno e includere gran parte dellaprimavera, ma gli accoppiamenti in molticasi avvengono all' interno degli ibernacoli(Myotis). In varie specie del genereNyctalus e Pipistrellus, comunque, imaschi difendono attivamente veri epropri harem riproduttivi di 2-5 femmine,che si costituiscono all' inizio del periododegli accoppiamenti e per diversi annisono difesi dallo stesso maschio. I parti siverificano verso la metà di giugno,quando le femmine pregne hanno giàcostituito cospicui assembramentiriproduttivi (nurseries), talora costituiti dacentinaia o migliaia di gestanti e ridottequantità di maschi.Lo stato delle conoscenze sui pipistrelliitaliani è tuttora particolarmente lacunoso.Nel nostro paese non esiste una specificatradizione di studi chirotterologici, anchese dalla fine degli anni '80 l'attenzione delmondo della ricerca si è destato ancheattorno a questi animali. In Italia ci sono una trentina di specie dichirotteri, ma soltanto alcuni di essi sonofortemente legati alle cavità ipogee(rinolofi, miniotteri, barbastelli e diverse

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Plecotus auritus Myotis myotis Myotis myotis in letargo

specie del genere Myotis). Alcune diqueste specie, del resto, non di radoutilizzano strutture edilizie di varia naturao cavità arboree in diversi momenti delloro ciclo biologico. Tracciare i confini fraentità troglofile, antropofile e forestali èquindi in realtà molto difficile, soprattuttoconsiderando che per gran parte dellespecie antropofile gli edificicostituiscono veri e propri surrogati dihabitat rupestri altrimenti piuttostolocalizzati. Per fare soltanto un esempio,il grande successo biologico delpipistrello di Kuhl (Pipistrellus kuhlii) sideve proprio alla sua capacità diutilizzare costruzioni urbane e suburbaneparticolarmente ben diffuse sul territorio,ove può costituire nurseries affollate eraggiungere elevate densità dipopolazione.Nel corso di un'escursione speleologicaè facile rintracciare segni della presenzadi chirotteri. Si tratta in molti casi diridotti accumuli di deiezioni posti sotto aipiù frequentati posatoi. Non è semprepossibile stabilire un contatto visivo congli animali, talora perché essi sononascosti all' interno di strette fessure,talora perché le tracce sono soltanto unricordo di loro trascorse attività. In molticasi questo accade anche localizzando ipiù spettacolari accumuli di guano. Imaggiori depositi di guano di pipistrello,infatti, sono invariabilmente connessi ailoro assembramenti riproduttivi tardoprimaverili-estivi. Al di fuori del ridotto

periodo riproduttivo le stesse cavità nonvengono utilizzate e sono per lo piùdeserte. All' interno delle cavità ipogee italiane neimesi estivi è abbastanza facilelocalizzare le nurseries di varie specietroglofile. Le specie più comuni nellenostre cavità sono: Miniopterus schreibersii (gruppi dimigliaia di esemplari aggrappati con lequattro zampe, spesso in due-tre stratidi esemplari, sovente associati a variespecie del genere Myotis o Rhinolophus);Myotis myotis; Myotis blythii (gruppi didecine di animali appesi con le zampeposteriori, talora anche all' interno dicostruzioni, a stretto contatto reciproco);Myotis emarginatus (gruppi di decine dianimali appesi con le zampe posteriori,talora anche all' interno di costruzioni, astretto contatto reciproco); Myotisdaubentonii (gruppi di decine di animaliappesi con le zampe posteriori, taloraanche all' interno di costruzioni, vicinoall'acqua, a stretto contatto reciproco);Rhinolophus hipposideros, Rhinolophusferrumequinum, Rhinolophus euryale(gruppi di decine di animali appesi con lezampe posteriori, ammantati nel propriopatagio alare con aspetto a “goccia”,non a contatto reciproco).Nei mesi invernali, invece, è possibilestabilire il contatto visivo con le piùdiverse specie ibernanti. Nonnecessariamente si tratta di entitàspiccatamente troglofile. A parte lenottole (genere Nyctalus), infatti, granparte dei pipistrelli europei possonoutilizzare ibernacoli ipogei.Si tratti di assembramenti riproduttivi odi aggregazioni per letargo, questianimali richiedono una grandetranquillità. Anche nel caso che sianecessario eseguire dei rilievi è benecomunque non imporre la propriapresenza per più di cinque minuticontinuativi.

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Rhinolophus hipposideros

Colonia di chirotteri

129128

L'unico vertebrato europeo perenne-mente legato alle cavità ipogee inondateè, come abbiamo visto, la sottospecienominale del proteo. In Italia e in alcunecavità francesi vivono alcuni anfibi uro-deli pure molto legati all'ambiente fre-sco e umido delle grotte, i geotrito-ni del genere Speleomantes.Essi però non sono rigida-mente legati al buio dellegrotte e all' imbrunire sipossono talora incon-trare anche in superfi-cie, ove frequentanohabitat rupestri forte-mente fessurati, fre-schi, ombrosi, umidie soggetti a stillici-dio. Anche i pipi-strelli frequentanocavità ipogee, masi tratta di fattitemporanei, perlo più legati allasosta diurna,all'epoca ripro-duttiva oppureall' ibernazione dialcune specie.Alcuni strigiformi(allocco), colum-biformi (piccioniselvatici), roditori(ghiro, topo sel-vatico e rattonero) e carnivori(gatto selvatico,volpe, tasso, orsoe faina) sono pure taloralegati al vestibolo delle maggiori cavità,ma anche in questo caso si tratta di fattiepisodici, quasi sempre connessi al lororiposo diurno oppure ad eventi riprodut-tivi. Tutte queste specie si definisconotroglofile e la loro attività in grotta, purfrequente, non è mai esclusiva. Nel cor-so di una visita in grotta è facile rilevarela loro presenza. Si può a volte trattare

di incontri diretti, ma più spesso accadedi imbattersi in tracce delle loro attività,oppure nelle loro spoglie mortali. Anchela presenza di accumuli di escrementirivela la loro recente attività ipogea e incerti casi stupisce il luogo di deposizio-

ne delle deiezioni, talora anchemolto distante dall' ingresso

delle grotte (ghiro, toposelvatico, ratto nero, fai-na). La spiegazione inquesti casi dev'esserericercata nella presen-za di ridotti accessi allestesse cavità, taloraignoti e molto distantida quelli ufficialmentenoti e percorsi daglispeleologi. Tuttavia, se un accu-mulo di escrementi eossa nel vestibolo diuna grotta può facil-mente essere riferitoall'attività predatoriadi un troglofilo (ossa dimicromammiferi rigur-

gitate da strigiformi,escrementi di ghiro, ratto

nero e faina, resti di prededi volpe), l' incontro con

una rana di Lataste, unarana agile, una ranaverde, un tritone o

una salamandra pez-zata, tutte di superfi-

cie, dev'essere spiega-to in altro modo. Il più tipico meccani-smo attraverso il quale questi animalifiniscono involontariamente in grotta èla fluitazione dei loro stadi larvali o adul-ti. Tutti questi organismi troglosseni ven-gono per lo più a trovarsi in grotta inseguito ad eventi straordinari, quali pie-ne improvvise, accidentali cadute inpozzi subverticali, ecc. Talora anche iserpenti restano imprigionati in questomodo in cavità ipogee, ma più spesso

ciò si deve alla spontanea ricerca diibernacoli adatti a trascorrere l' in-verno. All' interno delle cavità sipossono inoltre rinve-nire ossami diincerta origine edattribuzione.Sovente sono restifossilizzati o subfossi-li, ma non di rado essisembrano moltorecenti. Quando sitratta di veri e pro-pri resti fossili essihanno un peso specifi-co particolarmente ele-vato. La loro intima strutturaè spesso del tutto mineralizzata, se ven-gono esposti a una fiamma viva noncarbonizzano e non emettono l'odore diossa bruciate tipico delle ossa fresche osubfossili. In certi casi essi costituisco-no il ricordo della trascorsa attività ipo-gea di specie troglofile ormai estinte(Ursus spelaeus). Ma non è detto che gliaccumuli di ossa che si rinvengonoall' interno delle cavità si debbano al lorotrascorso utilizzo da parte di specie tro-glofile, intrusive o litoclasifile. IsabellePathou, una studiosa francese che hacercato di stabilire l'origine dei giaci-menti di ossa subfossili di marmotte dialcune cavità dei Pirenei, è giunta adesempio alla conclusione che in verità inquesto caso si tratta dei resti del pastodi antiche popolazioni di cacciatori-rac-coglitori. Esaminando attentamente lasuperficie delle ossa di questi giacimen-ti, infatti, la studiosa ha potuto in granparte dei casi rilevare la presenza digraffi, incisioni acute ed abrasioni nonparallele, certamente dovute all'azionedi primitivi ma affilati strumenti litici. Lapiù frequente origine dei giacimenti diossa che si rinvengono presso il vesti-bolo delle maggiori cavità ipogee èinfatti ancor oggi antropogena. In molti

I vertebrati occasionali nelle grotte Luca Lapini

casi si tratta diaccumuli recenti di

resti di animali domesti-ci, per lo più cani, ma anche

ovini, capre, bovini e suini, chevengono lasciati cadere in pozzi, foibe einghiottitoi subverticali. In alcune zonedel Carso triestino e goriziano, maanche in Sardegna, Sicilia e in diversezone degli Appennini centro-meridionaliquesta abitudine è molto radicata pres-so le popolazioni rurali, che in questomodo si liberano rapidamente di rifiutibiologici ingombranti. Questo rapidosistema di smaltimento di rifiuti specialiera (ed è) anche utilizzato in diversezone prealpine da cacciatori e bracco-nieri, tanto che nelle cavità delle PrealpiGiulie e del Carso non è raro rinvenireresti di camoscio, capriolo e cinghiale.Recentemente in una piccola foiba sitanei pressi di Doberdò del Lago (Gorizia)è stato addirittura possibile recuperarelo scheletro di uno sciacallo dorato(Canis aureus) abbattuto illegalmente dabracconieri. Esso troneggiava su unvero e proprio “giacimento” di scheletridi cani, muti testimoni di un lungo utiliz-zo dell' inghiottitoio.Presso alcune popolazioni questa tradi-zione è talmente radicata che l'elimina-zione in foiba o inghiottitoio carsicosubverticale è stato purtroppo ampia-mente utilizzato anche in recenti tempidi guerra come estrema forma di spre-gio per i condannati a morte.

Allocco

Orso speleo

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■ Fruizione turistica, speleologica, sportiva e conservazione

Entità e distribuzione del turismosotterraneo. Le grotte e gli ipogei ingenerale sono accessibili in due modi,quello speleologico e quello turistico.Le 800 grotte turistiche importanti nelmondo veicolano ogni anno circa 170milioni di visitatori svolgendo un ruolosocioeconomico non trascurabile dacui trae reddito una popolazione dioltre 10 milioni di persone. In Italia, il turismo sotterraneo in cavitànaturali e in ipogei artificiali coinvolgeogni anno circa 2,5 milioni di persone;ciò costituisce un cospicuo introitofinanziario e rivela, di fatto, un poten-

ziale interesse naturalistico specifico assolutamente non trascurabile.La parte più rilevante di tale flusso (circa 1,5 milioni/anno) viene assorbita dal-le visite di circa 70 “grotte turistiche”; conseguentemente i problemi ambienta-li indotti si esplicano solo in poche decine di grotte: lo 0,3% ca. delle cavitànaturali attualmente conosciute (oltre 33.000). Le grotte turistiche sono impor-tanti infrastrutture dove il rendimento della “azienda grotta” deve coesisterecon la conservazione del bene che è alla base di questo rendimento. Parallelamente a questo afflusso esiste una folta schiera di appassionati del-l’escursionismo speleologico che percorre in lungo e in largo i sentieri sotter-ranei di grotte “non turistiche”. Comprendendo le persone coinvolte nei corsi enelle visite guidate, possiamo stimare che circa 12.000 speleologi svolgonoescursioni in grotta ogni anno: se questa attività fosse omogeneamente distri-buita nelle oltre 33.000 cavità conosciute, il danno ambientale relativo sarebbepressoché ininfluente. Di fatto non è così: ci sono grotte, in ogni regione italia-na, consumate esplorazione dopo esplorazione con danni conseguenti a voltegravi e irreversibili.

Tutela e conservazione dell’ambientesotterraneo MAURO CHIESI · LUCA LAPINI · FABIO STOCH

La Grotta Gigante presso Trieste (Venezia Giulia) è una delle più visitate grotte turistiche italiane

UFFIZI (21% )

POMPEI (23% )

COLOSSEO (27% )

GROTTE TURISTICHE (29% )

Entità del turismo sotterraneo in Italia nel 1998

133132 Speleologi e grotte turistiche. Con lacrescita del movimento speleologico,stante la delicatezza degli ambienti car-sici, si sono manifestati i primi segnali disofferenza “da eccesso di fruizione”proprio di quei beni di cui si andavaconoscendo non solamente bellezza eintegrità, ma anche delicatezza e pecu-liarità dei fragili meccanismi ambientaliche li determinano. Parallelamente allacrescita di una coscienza ambientalepropria della speleologia, quindi, èandata maturando l'esigenza di porredei limiti al consumo diretto (le cave e leasportazioni di concrezioni) ed allo

sfruttamento inconsapevole (impatto umano) dei territori carsici, sino ad arrivarealla consapevolezza che esiste una “soglia di tollerabilità” anche per quel cheriguarda il numero di visitatori - sia che questi siano turisti o speleologi o visita-tori occasionali - di una singola grotta o una parte di essa. Gli speleologi sanno spingersi, con grandi difficoltà tecniche, a decine di oredagli ingressi riemergendo con l’impressione di aver toccato il centro della Ter-ra. Dall’altra parte certe grotte vengono adattate nelle loro porzioni menoprofonde per un turismo di massa: vi vengono installati sentieri, scavate galle-rie, messe in opera luci di ogni sorta per sfruttare il “bene grotta” inteso comeun complesso di concrezionamenti di cui non esiste, all’esterno, qualcosa dianalogo. Negli anni le tecniche si sono affinate, i corsi di speleologia arrivanonormalmente in luoghi dove decenni fa si arrivava stremati: abbandonarvimateriali esplorativi non è più ammissibile, come non si devono abbandonaresui sentieri esterni. Le grotte hanno cominciato a mostrare d’essere molto piùgrandi di quel che si pensava, ma anche molto meno capaci di sopportarel’impatto degli esploratori. Dall’altra parte anche le grotte turistiche hanno mostrato di essere ambientifragili: le scenografie hanno mostrato tendenza a sfaldarsi sotto l’urto di milio-ni di visitatori. I due cammini, quello della fruizione speleologica e quello dellafruizione turistica del mondo sotterraneo, hanno cominciato ad avvicinarsisino ad intersecarsi in questi anni: oggi sappiamo che le grotte vanno protettesia dagli adattamenti imprudenti sia dagli speleologi ignoranti. Se è vero che esiste una avversione diffusa tra gli speleologi nei confronti del-le "grotte turistiche", questo è da attribuirsi ai danni che ha prodotto e produ-ce un turismo di massa inconsapevole del "consumo", quindi della distruzioneirreversibile, proprio di quei beni naturali - oggetto del richiamo turistico -

conosciuti grazie all’opera di esplorazione e documentazione degli speleologi.Ogni frequentazione dell’ambiente sotterraneo, sia pure sporadica, provocaun’alterazione all’ecosistema. Può trattarsi di un’alterazione temporanea, conun generico aumento d’energia del sistema, oppure permanente, come nellarottura di concrezioni. L’inquinamento e la distruzione sono causati dall’igno-ranza, o dalla sottovalutazione, degli effetti nocivi conseguenti a determinateazioni. Solo cominciando a studiare gli effetti delle fruizioni di massa all’internodelle grotte turistiche si è cominciato a comprendere quali e quanti danni pos-sono inconsapevolmente essere arrecati al fragile ambiente sotterraneo.

Il “livello energetico” di una grotta. Il concetto di livello energetico di unagrotta (sviluppato da Heaton nel 1986) è un fondamentale parametro che cipermette di prevedere, in prima approssimazione, il peso relativo dell’influenzadell’uomo sull’ambiente ipogeo. Si distinguono tre differenti livelli, via viadecrescenti di vari ordini di grandezza: 1. le grotte ad alta energia sono interessate periodicamente da eventi impo-nenti quali le alluvioni2. le grotte a media energia sono interessate da apporti energetici da parte dipiccoli corsi d’acqua, del vento e degli animali3. le grotte a bassa energia, infine, sono quelle in cui il flusso energetico è inpratica ridotto al solo stillicidio.Va da sé che in grotte della prima categoria non vi sono problemi all’introdu-zione di visitatori: i periodici apporti energetici naturali sono in grado di can-cellare, azzerandole, le modificazioni indotte dalle visite. Le grotte a energiaintermedia, ricche di concrezioni, possono al contrario essere pesantemente

disturbate da un flusso di visite quan-do il conseguente apporto energeticodiviene confrontabile con il bilancioenergetico della grotta stessa. Le grot-te a bassa energia, infine, non devonoessere frequentate: l’influenza indottadalla presenza umana è in grado diperturbare irreversibilmente l’equilibriogenerale dei parametri ambientali.

Il concetto di “capacità ricettiva” diuna grotta. Dal punto di vista del flus-so di energia o di massa, la quasi tota-lità delle grotte deve essere considera-ta come un ambiente quasi isolato; alfine di mantenere la perturbazione del-

Utilizzo termale delle grotte di MonsummanoTerme (Toscana)

San Giovanni d’Antro: la chiesa all’ingressodella grotta fortificata con sorgente

135134 l’ambiente entro una soglia accettabile di reversibilità, occorre limitare lamodificazione dei parametri ambientali fondamentali. La capacità ricettiva diuna grotta può essere definita come “… il massimo numero di visitatori accet-tabili in una determinata unità di tempo e con condizioni definite, che nonimplica una permanente modificazione di un parametro rilevante” (definizionedata da A. Cigna). Questa definizione è applicabile indistintamente a tutti gliipogei. Riconoscendo che i parametri ambientali subiscono fluttuazioni natu-rali nel tempo, si pone l’attenzione a quelle variazioni che a seguito della fre-quentazione di visitatori si scostano da tali andamenti naturali. In questomodo è possibile determinare quali parametri “critici” sono da tenere costan-temente sotto controllo con particolare riguardo. Ecco perché è da ritenereindispensabile effettuare un monitoraggio preliminare ad ogni progetto diadattamento turistico: si devono rilevare i valori naturali di riferimento e stabi-lire la dinamica (energia) naturale del sistema, che è esclusivo e caratteristicodi ogni grotta o ipogeo.Accomunare lo “speleologo” al “ turista” sotterraneo non è una forzatura: dalpunto di vista dell’ecosistema grotta non vi è sostanziale differenza, sia sotto ilprofilo della scala del problema (nel nostro caso una singola cavità) sia sotto ilprofilo dell’analisi dei fattori di degrado producibili. Alla scala di una singolagrotta la qualità dei danni producibili è essenzialmente identica: il dannoaumenta in funzione della frequenza dei passaggi nelle varie aree sensibili del-la grotta. L’adattamento turistico, quindi, influisce prevalentemente sulla quan-tità del danno piuttosto che sulla qualità, fatti salvi ovviamente i casi in cuiall’adattamento turistico corrispondano opere infrastrutturali interne (percorsi,disostruzioni, apertura di nuovi ingressi, ecc.) ed esterne (apertura di strade,piazzali di sosta, ecc.) pesanti e irreversibili. Le possibili risposte ai problemiesposti sono essenzialmente le medesime, richiamando tutte a: - valutazione preventiva delle condizioni ambientali precedenti alle esplora-zioni/visite - minimizzazione dell’impatto da visitatori/speleologi - codice di comportamento etico/deontologico e necessità di vigilanza.

■ Degrado ambientale ed inquinamento delle acque

Gli acquiferi carsici rappresentano oggi circa il 40% delle fonti di approvvigio-namento idrico (per usi potabili e non) nel bacino del Mediterraneo, e la ten-denza è per un sempre maggiore sfruttamento degli stessi, nonostante sianooggi poco conosciuti, poco studiati, ancor meno protetti. Per le loro particola-ri caratteristiche risultano generalmente molto vulnerabili all’inquinamento emolto esposti a rischi di contaminazione, sia accidentale che permanente. Trale principali fonti di inquinamento e contaminazione ricordiamo gli scarichiPrincipali cause di degrado delle cavità naturali

contaminazioni:rifiuticarburobatterieindumenticoloranti

danni fisici:rottura di concrezionicalpestioesplosioniscassiallargamento strettoie

asportazioni:furto di concrezionidepositi archeologicimineralifauna

graffiti:carburoverniciincisioni

esplosioni di cava

grotte “consumate” dalle cave grotte “riempite” da:rifiuti solidi urbaniinerticementorifiuti industrialirifiuti agroalimentariidrocarburiscarichi fognarispoglie di animali morti

inquinamentozootecnico

inquinamentoindustriale

occultamento rifiuti

C A U S E U M A N E · S P E L E O L O G I D E T E R I O R A M E N T O

D A N N I G R AV I A L L E G R O T T E

I N D U S T R I A Z O O T E C N I C A · P O P O L A Z I O N E D I S T R U Z I O N E P A R Z I A L E

D I S T R U Z I O N E D E L L E G R O T T E

I N D U S T R I A D I S T R U Z I O N E T O T A L E

favorevoli alla diluizione di un inquinante (nel caso vengano “pistonate” dalreticolo di fratture nell’acquifero acque pulite) oppure viceversa pesantementein termini negativi (nel caso della rimozione in massa di accumuli di inquinante“intrappolati” in sifoni e specchi d’acqua della zona vadosa), con restituzioneal recapito di onde concentrate di inquinante.La tutela della qualità delle acque sotterranee va rivolta anche alla necessità diconservare l’integrità della sua delicata comunità animale, sia per motivi diordine protezionistico, sia per motivi di ordine pratico, poiché gli organismisvolgono un ruolo essenziale nel riciclo della sostanza organica e pertanto nel-l’autodepurazione delle acque. Quando la qualità delle acque è riferita all’inte-grità del suo popolamento, si parla di qualità biologica. I metodi di valutazione della qualità biologica delle acque superficiali sono notida tempo e da quasi un ventennio vengono impiegati correntemente per lavalutazione del grado di inquinamento dei corsi d’acqua di superficie. Sononoti i vantaggi di questi metodi, basati sullo studio dei macroinvertebrati ben-tonici (organismi di fondo di dimensioni superiori al mm), rispetto ai metodichimici e microbiologici. Gli organismi acquatici infatti, essendo sensibili altasso di inquinamento e vivendo con continuità nell’ambiente acquatico, regi-

137136 civili, industriali, zootecnici, agricoli, oltre alle discariche di rifiuti solidi urbani eindustriali e, per finire, le fonti permanenti o accidentali dovute al traffico vei-colare.Gli acquiferi carsici presentano per lo più caratteristiche dinamiche tali daesercitare uno scarsissimo contrasto alla diffusione degli inquinanti: possiedo-no elevate velocità di flusso e scarsissima capacità di autodepurazione. Il percorso di un’inquinante, dalla superficie al recapito, avviene attraverso: - introduzione dell’inquinante- migrazione ed evoluzione dell’inquinante in zona non satura (zona vadosa)- propagazione ed evoluzione nella zona satura (freatica)- restituzione dell’inquinante.Se la copertura del carso (ove presente) può ridurre gli effetti dell’inquinamen-to, nel percorso dalla zona vadosa a quella freatica è la velocità del flusso adeterminare direttamente la capacità autodepurativa, influendo sulla sedimen-tazione e sulla ossigenazione, quindi sulle condizioni biologiche complessive(azioni battericide e antibiotiche, chiusura del ciclo biologico alimentare daparte di organismi predatori). Questi fenomeni, fondamentali nell’autodepura-zione delle acque superficiali, sono assai meno attivi ed efficaci nella zona nonsatura del carso.Nella zona freatica, in assenza di ossigenazione, il potere depurante è pratica-mente limitato alla eventuale azione di diluizione per apporti non inquinati.La restituzione dell’inquinante, infine, dipende dalle caratteristiche idrogeolo-giche complessive: se l’acquifero è impostato prevalentemente in condotti larisposta ai recapiti è estremamente veloce e concentrata, mentre nei sistemiimpostati su reticoli di fratture l’onda inquinante arriva lentamente e diluita,anche molto, nel tempo. Interessante è notare come il fattore tempo agisca inmodo differente a seconda dell’inquinante: è importante nel caso di batteripatogeni, ininfluente in altri casi, ad esempio per i cloruri.Banalizzando ancora, possiamo affermare che sono fattori estremamente sfa-vorevoli l’assenza di copertura, la presenza di inghiottitoi attivi e il deflusso incondotte di rapido scorrimento. A parità di carico inquinante le dimensioni e la geometria dell’acquifero influi-scono direttamente sul grado di vulnerabilità: sorgenti che drenano acqueassorbite in aree vaste caratterizzate da notevoli spessori della zona non satu-ra (massicci carsici) presentano una vulnerabilità inferiore rispetto ad acquiferidi modesto spessore con reti freatiche localizzate poche decine di metri al disotto della superficie. È il caso di tutti gli acquiferi nei gessi che, a titolo diesempio, costituiscono circa un terzo del territorio delle assetate province sici-liane di Agrigento, Enna, Caltanissetta.Per finire accenniamo all’effetto “pistonaggio” cui sono sottoposti gli acquifericarsici in caso di piena: questo può ripercuotersi direttamente sia in termini

I fattori di degrado indotti agli ipogei dalla frequentazione umana

SPELEOLOGI E TURISTI

CONTAM INAZIONI

DANNI FISICI

ASPORTAZIONI

GRAFFITI

A QUESTI SI AGGIUNGONO

TUTTI I DANNI DERIVATI DAGLI

ADATTAM ENTI TURISTICI DELLE

CAVITÀ E QUESTI SONO,M OLTO SPESSO,DANNI IRREVERSIBILI

I DANNI PRODOTTI SONO

IN FUNZIONE DI:

1. QUANTITÀ

2. QUALITÀ

3. NUM ERO DI PRESENZE IN GROTTA

(TURISM O SPELEO)4. TEM PO DI PERM ANENZA IN GROTTA

RIEQUILIBRIO AM BIENTALE

ILLUM INAZIONE

SCAVI

PASSERELLE

TRENI A SCARTAM ENTO RIDOTTO

COLONNE DI SOSTEGNO

IM PIANTI TECNOLOGICI

SISTEM I DI PULIZIA

CONTAM INAZIONI

ULTERIORI GRAFFITI

139138 strano le variazioni di qualità delle acque con notevole precisione e possonoessere utilizzati con successo anche laddove le analisi chimiche non fornisco-no risultati adeguati (ad esempio nel caso di inquinamenti intermittenti o epi-sodici).L’uso di bioindicatori nello studio della qualità delle acque sotterranee è piùcomplesso, per una serie di problematiche di non facile soluzione:- minore biodiversità (mancando quasi totalmente gli insetti), che richiede unaidentificazione degli organismi a livello di specie e non di genere o famiglia,come accade nelle acque di superficie e obbliga a considerare nello studiooltre ai macroinvertebrati anche la meiofauna (cioè organismi di dimensionicomprese tra 0.3 e 1 mm)- le necessità di tecniche specialistiche per il campionamento, lo studio e l’i-dentificazione degli esemplari, spesso laboriose e basate solamente sulla let-teratura specializzataQuest’ultimo punto è reso ulteriormente complesso da altri due fattori:- la conoscenza insufficiente della tassonomia e distribuzione delle speciedelle acque sotterranee italiane, dove vengono scoperte ogni anno specienuove per la scienza o per l’Italia- l’elevata tendenza alla formazione di specie endemiche, con la conseguen-za che la fauna risulta essere diversa in ogni singolo massiccio carsico.Nonostante questi problemi di carattere tecnico, gli studi sinora realizzati inFrancia, Olanda e Stati Uniti hanno dimostrato l’efficacia di tale metodologianella sorveglianza ecologica delle falde acquifere e sono state sviluppate tec-niche adeguate per le acque interstiziali. Per le acque carsiche il problema delcampionamento è più complesso e le tecniche sono tuttora in corso di perfe-zionamento; in Italia tali tecniche sono state applicate raramente alle acque digrotta e delle sorgenti carsiche. In genere si è notato che dove si assiste ad unlieve inquinamento organico decresce il numero degli stigobi, più sensibili, afavore dei stigofili e degli stigosseni, a più ampia valenza ecologica, fino adarrivare a delle situazioni limite in cui gli stigobi scompaiono completamenteper lasciare spazio a dense popolazioni di specie stigossene che traggonovantaggio dall’accumulo di materiale organico in decomposizione. Questofenomeno è stato riscontrato in un recente studio condotto sulla fauna deiMonti Lessini, dove in una cavità ad elevato tasso di inquinamento organico(Spurga di Peri) sono state riscontrate solamente banali specie stigossene dioligocheti tubificidi, copepodi, ostracodi, ma anche cladoceri e coleotteri diti-scidi infrequenti nelle acque sotterranee. Questo incoraggiante risultato ci per-mette di affermare che la struttura dei popolamenti delle acque carsiche sot-terranee ci consente di valutare lo stato di integrità biologica degli ecosistemie dischiude la possibilità di creare degli indici di qualità delle acque in unimmediato futuro.

■ Normative di tutela e di disciplina della pratica speleologica

Per un paese in cui oltre un terzo del territorio è carsificato e oltre il 40% dellerisorse idriche ad uso potabile proviene da acquiferi carsici, il quadro normati-vo complessivo di tutela puntuale e territoriale relativo a queste peculiari eimperdibili risorse risulta, più che inadeguato, inaccettabile.Nel campo della tutela del patrimonio carsico nazionale poco o nulla di con-creto è stato fatto, né per prevenire le conseguenze da “ impatto” di operepubbliche e private sui siti carsici, di superficie come sotterranee, né perrimuoverle, se possibile. Ogni qual volta occorra perseguire l’inquinamento diun acquifero carsico, ad esempio, incerte sono le strade percorribili:- la legge 1089 del 1939 (recentemente sostituita dal D. L.vo 490 del29.10.1999), che tutela i beni di interesse artistico, storico, archeologico, etno-logico e paleontologico, è efficace solo per le grotte (non poche) che conten-gono beni di questo tipo: tutela il “contenuto” e non il “contenitore” (il paesag-gio carsico, la superficie, la grotta, l’acquifero)- la legge 1497 (recentemente sostituita dal D. L.vo 490 del 29.10.1999), sem-pre del 1939, preclude la possibilità di tutela di zone carsiche superficiali chenon rivestano peculiari caratteristiche paesaggistiche o geologiche: ben sap-piamo al contrario che un paesaggio privo di queste “peculiarità” può vicever-sa assumere una importanza fondamentale in rapporto al drenaggio delleacque superficiali nel caso di un carso coperto. Ma anche in caso di vincolocon questa legge è solamente l’aspetto esteriore della cavità (e solo quello) adessere soggetto ad autorizzazione per la sua modificazione da parte dellalocale Soprintendenza; in caso di inosservanza, interviene la norma penale(art. 734 CP, distruzione o deturpazione di bellezze naturali) che sanziona, seoggetto vincolato, con un’ammenda da 2 a 12 milioni di lire- la legge n. 319 del 1976, la “ legge Merli” sull’inquinamento delle acque, si èoccupata di disciplinare e regolamentare gli scarichi nelle acque, sui suoli e nelsottosuolo, ma anche nelle sue successive articolazioni e attribuzioni agli EntiLocali non ha mai costituito una valida risposta alle peculiari esigenze di tute-la effettiva degli acquiferi carsici. Sono innumerevoli i casi di scarichi fognari,pubblici e non, pienamente “ in tabella” che quotidianamente accumulanoinquinanti all’interno di cavità carsiche che, con ricorrenza, restituiscono ondedi piena ad inquinamento concentrato. E cosa dire delle discariche, controlla-te e non, di cui è punteggiato il Tavoliere della Puglia? Un perfetto esempio diacquifero in rapidissimo e irreversibile degrado, anche a causa dall’eccesso diemungimento cui corrisponde per vaste aree l’oramai definitiva ingressione diacque marine salate, reso inutilizzabile anche per l’irrigazione agricola.In questo quadro normativo, non deve stupire quindi che per tutelare questerisorse naturali si sia ricorso più volte al R.D. n. 1016 del ’39 (anno felice, evi-

141140 dentemente, per la legislazione di tutela della nostra bella Italia, ma oramai trop-po lontano dall’attualità) cioè il Testo Unico sulla Caccia in cui all’art. 38 si predi-spose una apposita tutela per i Pipistrelli, oppure ancora al D.L.vo 30.12.23 Vin-coli per Scopi Idrogeologici, o al R.D. n. 1443 del ’27 Legge Mineraria.L’assenza di una legge-quadro nazionale che sancisca, tutelandone l’integrità,la peculiarità degli ambiti carsici a cui afferiscono acquiferi potabili e di utilizzoagricolo, ha sinora demandato alle variegate sensibilità regionali l’emanazionedi provvedimenti a volte sì puntuali ma in sé disarticolati e a volte, per questoaspetto, inefficaci. Le stesse leggi regionali “ in favore dell’attività speleologi-ca”, già operanti in alcune realtà regionali sin dal 1972, non sono “scese” asalvaguardare il patrimonio ambientale carsico. A questi strumenti legislatividobbiamo riconoscere esclusivamente un fattivo impulso allo sviluppo delCatasto delle Grotte, strumento dinamico fondamentale per la conoscenza delterritorio.Le legislazioni sui Parchi e quelle derivanti dalla “ legge Galasso”, sulla predi-sposizione dei Piani Territoriali Paesistici Regionali e Provinciali, sempre a cau-sa dell’assenza di una legge-quadro nazionale di indirizzo per la salvaguardiadel patrimonio carsico, rappresenterebbero una occasione imperdibile percolmare il ritardo e le lacune accumulate: sono pochissimi i casi in cui questoè avvenuto, tutti casi legati alla fortuita ma combattiva presenza di speleologitra i funzionari addetti alla pianificazione.Un ulteriore progresso è stato fatto con il D.L.vo 11 maggio 1999, n. 152,recante disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento, comprese leacque sotterranee. Anche questa legge però, al pari della precedente, consi-dera le acque in funzione del loro uso umano (potabilità, uso agricolo o indu-striale) e non dell’interesse dell’ambiente.

■ La Direttiva Habitat e l’ambiente sotterraneo

Prende il nome di “Direttiva Habitat” la direttiva 92/43/CEE del Consiglio dellaComunità Europea, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habi-tat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche. La direttivahabitat è stata di recente integrata (Direttiva 97/62/CE del Consiglio, del 27ottobre 1997, recante adeguamento al progresso tecnico e scientifico dellaDirettiva Habitat) e trova il suo regolamento applicativo in Italia nel DPR 8 set-tembre 1997, n. 357. Si tratta di strumenti molto potenti per garantire la con-servazione degli habitat naturali e dell’ambiente carsico, nonché della sua flo-ra e fauna.La direttiva si pone come obiettivo la tutela di habitat e specie di interessecomunitario, fornendo precisi criteri di selezione in base alla presenza di spe-cie rare, endemiche, vulnerabili o a rischio di estinzione. Anche se le informa-Sala concrezionata nella Grotta Mitica (Prealpi Giulie, Friuli)

zioni sullo stato di rischio possono essere scarse, la rarità e l’endemicità sonocriteri che si adattano perfettamente alle specie troglobie e stigobie in sensolato, e pertanto molte potrebbero essere incluse in un prossimo adeguamen-to normativo tra le specie di interesse comunitario. Non solo, ma la direttivafornisce da subito degli elenchi di habitat e specie di interesse per la Comu-nità Europea.Di interesse fondamentale è l’allegato I della Direttiva Habitat (allegato A delDPR 357), in cui vengono elencati i tipi di habitat naturali di interesse comuni-tario la cui conservazione richiede la designazione di aree speciali di conser-vazione. Tra questi al punto 8 della Direttiva 97/62/CE troviamo gli “Habitatrocciosi e grotte” fra cui sono elencati: 8310 (65 delle normative precedenti) Grotte non ancora sfruttate a livello turistico8320 Campi di lava e cavità naturali8330 Grotte marine sommerse o semisommerse.Risulta evidente pertanto che viene richiesta agli stati membri la specifica tute-la di questi ambienti. Nonostante questo fatto, le grotte incluse nei siti di inte-resse comunitario o nazionale (rete Natura 2000 e siti Bioitaly) sono in numerolimitato, con eccezione di alcune regioni o province autonome (ad esempio ilTrentino) che hanno invece proposto un congruo numero di siti da sottoporre atutela. Sicuramente il punto debole delle scelte sinora effettuate è quello ditutelare prevalentemente singole cavità e non intere aree carsiche o baciniidrografici, tuttavia il programma di tutela è ormai avviato in modo irreversibile.Per quanto riguarda la fauna, negli allegati II (elenco delle specie animali evegetali di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazionedi zone speciali di conservazione, chiamato allegato B nel DPR 357) e IV (elen-co delle specie animali e vegetali di interesse comunitario che richiedono unaprotezione rigorosa, detto allegato D nel DPR citato) troviamo tra i vertebratitutti i pipistrelli che frequentano le nostre grotte (ed in particolare tutte le spe-cie del genere Rhinolophus nell’allegato II, la dizione “Tutte le specie” di micro-chirotteri nell’allegato IV), e tra gli anfibi i geotritoni (Speleomantes) ed il proteo(Proteus anguinus). Fortemente carente è invece la lista degli invertebrati, ovesostanzialmente non vi sono troglobi. Appare evidente come le grotte ove sia-no presenti pipistrelli, geotritoni e proteo possano essere proposte come sitida tutelare ai sensi della Direttiva Habitat.Nel DPR 357 all’art. 8 leggiamo che per le specie dell’allegato D (e pertanto pertutti i chirotteri, i geotritoni ed il proteo) è fatto divieto di: catturare o uccidereesemplari di tali specie nell’ambiente naturale; perturbare tali specie, in partico-lare durante tutte le fasi del ciclo riproduttivo o durante l’ibernazione, lo sverna-mento o la migrazione; danneggiare o distruggere i siti di riproduzione o le areedi sosta (e pertanto tutte le grotte ove queste specie anche soltanto sostino).Per tali specie è inoltre vietato il possesso, il trasporto, lo scambio e la com-

143mercializzazione di esemplari prelevati nell’ambiente naturale, salvo quelli leci-tamente prelevati prima dell’entrata in vigore del presente regolamento. Di que-sto divieti devono essere ben consci gli speleologi ed anche i biospeleologi.

■ Strategie di tutela dei chirotteri

Le popolazioni di predatori con ridottitassi riproduttivi sono rette da fragiliequilibri. Se per qualche motivo essesono già in crisi, può accadere chevengano minacciate da situazioni didisturbo anche lieve, che in condizioniottimali potrebbero essere ben sop-portate o ignorate. I chirotteri nonsfuggono a questa regola e devonoessere attualmente considerati fra ivertebrati a maggior rischio di estinzio-

ne in gran parte dei paesi industrializzati. Si tratta del resto di animali partico-larmente delicati anche per la loro condizione di omeotermi imperfetti. Perquesto motivo essi sono infatti molto sensibili ad oscillazioni climatiche e sta-gionali anche ridotte. Una forte e prolungata piovosità concentrata nel periodoriproduttivo di varie specie può ad esempio provocare un fortissimo aumentodella mortalità neonatale (miniotteri, rinolofi minori), e la loro distribuzione puòforse addirittura essere condizionata dalle recenti modificazioni del clima,almeno in parte indotte dall’uomo.Per quanto le informazioni relative alla situazione delle popolazioni di chirotte-ri europee siano tuttora molto scarse, esistono vari dati aneddotici riferiti alpassato che sostengono l’ipotesi che essi siano da lungo tempo in crisi. Sitratta di informazioni sovente discontinue, ma comuni a vari paesi centroeuro-pei (Inghilterra, Francia, Paesi Bassi, Svizzera, Germania), che paiono concor-dare con una generale tendenza alla contrazione numerica di gran parte delleaggregazioni riproduttive o letargali da maggior tempo monitorate. Anche se sidispone di dati pregressi di confronto relativi a limitate situazioni locali e apoche specie, gli animali maggiormente in crisi sembrano essere i rinolofiminori e maggiori (Europa centrale), i vespertilioni maggiori (Germania), i bar-bastelli e i pipistrelli nani. La situazione non è ovunque omogenea, in alcunezone qualche specie mostra lievi segni di ripresa (vespertilio di Daubenton),ma la densità relativa delle loro popolazioni è dappertutto in calo. Le cause di questa situazione di declino generalizzato non sono ancora statedel tutto chiarite, ma possono essere raggruppate in categorie di varia impor-tanza, tutte legate alla recente evoluzione di attività antropiche tradizionali.

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145144 A livello italiano tutte le specie sono inoltre protette dalla Legge 157/92, che neproibisce l’uccisione o il disturbo.Sono state suggerite varie misure per mitigare l’impatto delle attività antropi-che sulle popolazioni di chirotteri, ma in molti casi sono velleitarie, per lo piùriducendosi a semplici proposte o dichiarazioni di intenti. Infatti, vista la gran-de variabilità delle possibilità di contrasto diretto e indiretto tra le esigenzelogistiche ed economiche dell’uomo e questi delicati animali, poche di questemisure risultano veramente efficaci e sostenibili. Se esse venissero veramenteapplicate dovrebbero incidere sugli stessi modelli di sviluppo delle societàoccidentali, limitando drasticamente l’utilizzo di presidi chimici in agricoltura,imponendo diversi criteri di edificazione delle costruzioni e di gestione delpatrimonio forestale. La stessa distribuzione di cassette nido sul territorio

sembra costituire soltanto un palliativo, dato che èin realtà funzionale a poche specie, e viene per lo

più effettuata molto limitatamente, come sup-porto a specifici programmi di ricerca. Perquanto concerne i chirotteri che si ripro-ducono in cavità, comunque, la più prati-

ca e funzionale misura di protezione controil disturbo diretto da parte dell’uomo è la

regolamentazione, per mezzo di cancelli asbarre orizzontali, dell’accesso alle cavità piùutilizzate.

■ Etica della speleologia

La montagna è di tutti. Gli speleologi, che cominciano a conoscerla dentro,hanno qualche diritto ma anche molti doveri in più. È dovere di ogni speleolo-go cosciente e responsabile prevenire e correggere ogni danneggiamento allegrotte e alle riserve idriche che racchiudono.Quali regole etiche e deontologiche potrebbero essere consigliate le seguenti.

Prevenire i danni all’ambiente esterno- richiedere autorizzazioni al passaggio ogni qual volta è possibile, rispettan-do scrupolosamente le disposizioni dei proprietari o degli Enti di gestione deiParchi o Riserve Naturali - divulgare sempre la particolare dinamica e vulnerabilità degli acquiferi carsi-ci avvertendo della loro particolare capacità di accumulo di inquinanti, dellaincapacità di autodepurazione e delle possibilità di restituzione in massa (con-centrata) degli inquinanti accumulati al fine di far conoscere le possibili gravicompromissioni della potabilità delle captazioni di acque

L’origine della crisi sembra poter essere principalmente collegata alla transi-zione fra un’economia agricola di tipo tradizionale ed una più moderna, tesa amigliorare la resa delle diverse colture agricole. Ciò ha portato ad un maggioreutilizzo di biocidi al fine di ridurre da un lato le perdite dovute a vari agenti crit-togamici ed entomologici, dall’altro a limitare la competizione delle diversecolture con varie specie erbacee infestanti. La riduzione della quantità di inset-ti da predare e l’accumulo di pesticidi nei tessuti adiposi di questi piccoli pre-datori ha coinvolto sia le specie forestali, sia quelle troglofile. L’accumulo dipesticidi nei grassi sottocutanei di questi animali è ancora poco studiato, ma èdi certo particolarmente dannoso. Esso infatti rivela i suoi nefasti effettisoprattutto nei periodi di maggiore fabbisogno energetico, quando l’assorbi-mento di lipidi da parte dell’organismo è molto intenso e quindi interferiscecon la riproduzione, l’allattamento dei piccoli e il risveglio dall’ibernazione. Questa situazione di crisi generalizzata è aggravata da tutta una serie di circo-stanze di disturbo più o meno pesanti, ma sempre legate allo sfruttamento delterritorio da parte dell’uomo. La continua azione di ringiovanimento dellecenosi arboree dovuta a diverse attività selvicolturali e le operazioni fitosanita-rie ad esse associate hanno ad esempio contemporaneamente ridotto laquantità di cavità arboree a disposizione delle specie più spiccatamente fore-stali (diverse specie di nottole e vespertilioni), mentre il disturbo delle cavitàipogee legata all’escursionismo speleologico ha limitato le possibilità di aggre-gazione delle entità troglofile sia in fase riproduttiva, sia in fase letargale (rino-lofi, miniotteri, diverse specie di vespertilioni).Anche i pipistrelli antropofili hanno sofferto per il recente generalizzatoammodernamento dei criteri di edificazione, ma la grande adattabilità di alcu-ne specie e la quantità di costruzioni a disposizione sembra in certi casi averlimitato i danni (si veda il caso in precedenza ricordato del pipistrello di Kuhl).Nonostante ciò, quelle più legate alle vecchie strutture edilizie almeno in par-te lignee (vespertilioni maggiori, orecchioni ed alcuni rinolofi) sono state allon-tanate dalle costruzioni sia per l’eliminazione diretta delle strutture che li ospi-tavano, sia per i moderni trattamenti chimici a cui sono sottoposte quelleancora disponibili.La maggior parte dei microchirotteri europei è specificatamente tutelata dadiversi trattati e convenzioni internazionali (Berna e Bonn) e tutte le speciesono, come abbiamo visto, inserite nelle liste della Direttiva Habitat. Molte diqueste specie sono inserite nelle Liste Rosse dell’IUCN (l’unione internaziona-le per la conservazione della natura) in un ambito di variazione dei livelli diattenzione che oscilla tra LR (specie a minor rischio) e VU A2c (esposto a gra-ve rischio di estinzione per via di una riduzione del 20% prevista nei prossimi10 anni o nelle prossime tre generazioni, dovuta al declino della superficieoccupata, dell’areale e/o della qualità dell’habitat).

147146 - evitare di pubblicizzare la scoperta di una nuova grotta prima che siano sta-te prese le necessarie misure di protezione: ciò eviterà di attirare eventualicuriosi (inesperti ed esposti a rischi di incidente) e di raccoglitori clandestini diconcrezioni, mineralizzazioni, fauna o altro, che probabilmente danneggereb-bero irreparabilmente l’integrità della grotta appena scoperta - attribuire grande importanza all’educazione ecologica fornita dai corsi dispeleologia e nella formazione delle guide del turismo speleologico - fornire al turista sotterraneo ogni informazione utile alla comprensione dellaimportanza della conservazione del patrimonio ipogeo e degli acquiferi carsici.

Prevenire i danni all’ambiente sotterraneo- evitare l’eccesso da ripetizioni, anche se le grotte più delicate sono quelleche attirano di più, evitando in assoluto le esplorazioni con gruppi tropponumerosi riservando ai corsi di speleologia le grotte meno delicate - evitare il calpestio inutile, sempre e ovunque, anche in ambienti vastissimi,creando sentieri visibili (una semplice fettuccia di cotone rosso appoggiata alsuolo), per passare tutti sul medesimo percorso e limitare i danni conseguenti.

■ Strategie di selezione delle grotte ed aree carsiche da sottoporre atutela per la fauna

L’urgente necessità di tutelare le grotte e le aree carsiche a rischio pone dei seriproblemi sui criteri da usare per selezionare tra le oltre 33 000 cavità sinora cata-state in Italia quelle ritenute “prioritarie”. Ovviamente non è possibile improvvi-sare o basarsi su opinioni personali ma servono metodi scientificamente rigoro-si per quantificare il valore delle diverse aree carsiche ai fini di una tutela.Rivolgendo le nostre attenzioni alla fauna, servono dei metodi oggettivi peridentificare gli “hotspot” (il termine significa letteralmente “punto caldo”) dibiodiversità, rarità ed endemicità; in particolare, è stato dimostrato che i pun-ti di maggior interesse sono quelli ad elevato tasso di endemismo, che solo inparte coincidono con quelli a maggiore biodiversità.Le moderne tecniche statistiche e i programmi di GIS (Geographic Informa-tion System, cartografie computerizzate) oggi a disposizione dei ricercatorisono estremamente potenti e consentono pertanto di selezionare, mappare eattribuire dei valori per la conservazione al territorio, consentendo l’individua-zione dei siti prioritari. Tuttavia queste tecniche, per quanto potenti e sofisti-cate, non possono basarsi su una banca dati debole ed incompleta; per poterapplicare qualsiasi statistica, è necessario disporre di adeguate conoscenzesul territorio, conoscenze che possono essere acquisite solo da parte di spe-leologi e biospeleologi che debbono collaborare strettamente per la realizza-zione di questa comune finalità.

■ Perché tutelare le grotte?

In questo volume sono state esposte tutte le più salienti caratteristiche del-l’ambiente carsico italiano ed è stata fatta una rapida carrellata sui gruppi zoo-logici che contano rappresentanti cavernicoli, sulla loro origine, distribuzioneed ecologia. È stato anche esaminato in dettaglio il problema delle strategie ditutela delle grotte, delle carenze legislative ma anche dei progressi compiutinegli ultimi anni. Ma se lo Speleologo ha ben chiare le motivazioni che induco-no a ritenere le grotte e le aree carsiche siti meritevoli di una immediata tutela,giova ricordare le motivazioni per le quali questi ambienti sono di così straor-dinaria importanza anche per chi in una grotta non è mai entrato.Vi sono tre grosse motivazioni che suggeriscono che la tutela delle nostregrotte è indilazionabile.

Valore intrinseco delle grotte. In primo luogo, le grotte racchiudono in sestesse valori scientifici e culturali per i quali sono patrimonio dell’umanità:valori geologici, mineralogici, idrogeologici, paesaggistici, archeologici,paleontologici e come habitat per specie rare ed uniche nel panorama fauni-stico mondiale.

Valore economico e sociale. Accanto al valore intrinseco, le grotte hannoanche un valore economico e sociale, sia per l’aspetto turistico (che comeabbiamo visto produce un notevole introito) e ricreativo, sia perché fornisconoacqua potabile ad una discreta frazione della popolazione italiana.

Valore etico-estetico. C’è però anche un terzo, più profondo valore, radicatonell’essenza stessa dell’animo umano, troppo spesso trascurato nei piani ditutela e fruizione del nostro patrimonio naturale. Questo aspetto ha a che farecon i sentimenti; noi apprezziamo le grotte e le loro strane creature per quelloche sono, senza bisogno di un supporto scientifico o economico. Le conside-riamo monumenti naturali, che, come i monumenti architettonici, sono impor-tanti in quanto tali e per questo degni di essere tutelati. La scienza e l’econo-mia possono fornire indicazioni indispensabili per pianificare le scelte e indiriz-zare gli sforzi di tutela, ma l’emozione e la meraviglia che molti di noi provanoentrando in una grotta, ascoltando il rumore delle acque e osservando le stra-ne creature bianche e cieche che si muovono nell’oscurità bastano da sole pergiustificare la necessità di tutela.

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Lo studio dei fenomeni carsici ipogei potrebbe sembrare un argomento specia-listico, destinato solo alle università o agli ultimi anni di una scuola superiore. Inrealtà non è così: l’approccio ad ambienti particolari e ricchi di fascino, come ledoline e le grotte, che incutono certo un po’ di timore nei più piccoli ma proprioper questo attirano e incuriosiscono, può essere un utilissimo strumento perl’educazione alla conoscenza del territorio. L’interesse delle grotte anche per lapreistoria e l’archeologia creano poi immediatamente quel legame multidiscipli-nare che permette di affrontare lo studio di un ambiente sotto molteplici punti divista arricchendo il patrimonio di conoscenze dello studente. È proprio con queste finalità che vengono presentate, a conclusione di questovolume, due schede didattiche che si propongono di fornire alcuni spunti estrumenti rivolti agli insegnanti o a tutti coloro che si propongono di fare didat-tica della speleologia.

■ Topografia di una dolina

• Obiettivi di un’esercitazione topografica: stimolare la conoscenza e la lettu-ra del proprio territorio; sviluppare le capacità di osservazione, di analisi e diastrazione; esercitare la capacità di interpretazione dei simboli cartografici.• Prosecuzione del lavoro in campo: escursione di verifica, sul territorio,durante la quale confrontare aspettative e riscontri reali.• Livello: secondo ciclo della Scuola Elementare e Scuola Media Inferiore(dagli 8 anni in su); il livello di approfondimento sarà direttamente collegatocon la preparazione dei ragazzi (si veda la scheda sulle doline di pag. 24).

FASI DI LAVORO

1. Studio di alcune carte topografiche di un’area carsica, preferibilmente laCarta Tecnica alla scala 1:5000 (in mancanza la tavoletta dell’IGM alla scala1:25 000) e individuazione delle aree più interessanti in cui vi siano diffuse ecartografate forme di carsismo sia superficiale (doline, polie, uvala, ecc.) cheipogeo (ingresso di grotte); nomi di località e di insediamenti antropici sonoparticolarmente utili per un approccio multidisciplinare alla cartografia2. Individuata una tavoletta particolarmente significativa, fornirne copia in sca-la ad ogni ragazzo; pochi altri strumenti (righelli, goniometro, carta millimetra-

Proposte didatticheMARGHERITA SOLARI

Grotta di Punta Galera (Palinuro, Campania)

151150 ta e matita) sono sufficienti per lo svolgimento dell’esercitazione3. Ricerca individuale da parte dei ragazzi dei toponimi riferiti alla morfologia;osservazione dei vari simboli che rappresentano idrografia, rilievi e scarpate,vegetazione, infrastrutture ed elementi antropici, vie di comunicazione, sen-tieri, ecc.4. Osservazione e confronto delle varie rappresentazioni cartografiche delleforme carsiche superficiali: le doline, ad esempio, potranno essere rappresen-tate mediante curve di livello concentriche, cunei in cerchio, o semplici riferi-menti altimetrici5. Esercitazioni: individuare del perimetro delle doline rappresentate con isoipseconcentriche e delimitazione della linea di rottura di pendenza dei versanti;dedurre le quote non specificate aiutandosi con le curve di livello; ricavare allostesso modo la quota del fondo delle conche qualora non sia specificata6. Individuazione del diametro massimo della dolina, cioè del segmento cheunisce i due punti più distanti del perimetro, e del diametro minimo ad essoperpendicolare; calcolo dell’orientazione del diametro rispetto al Nord con l’u-so del goniometro7. Disegno del profilo di una dolina: tracciare il diametro massimo della dolinae riportare in grafico, su carta millimetrata, la distanza dei punti di intersezionecon le isoipse; si considerino le isoipse principali (ogni 25 metri di altimetria)per le conche di diametro grande e le curve secondarie (ogni 5 metri di altime-tria, ma, a volte, anche ogni metro) per le forme minori8. Schizzo della dolina: riportare il profilo e completarlo con simboli della vege-tazione; interpretazione della legenda ed estrapolazione di informazioni sul“paesaggio” ; elaborazione di una simbologia adeguata a rappresentare lavegetazione indicando specie (vegetazione arborea, vigneti, coltivazioni, ecc.)e densità; osservazione sulle eventuali diversità nella copertura vegetale deiquattro versanti9. Esercitazione aggiuntiva: analisi e confronto della rappresentazione di unpiccolo rilievo; disegno del profilo; riflessione sulle problematiche della rappre-sentazione cartografica.

PROSECUZIONE DEL LAVORO

10. Escursione finale in campo: verifica delle aspettative, confronto tra il pae-saggio reale e quello immaginato dedotto dalla carta topografica; esercitazio-ne di orientamento: individuare i punti cardinali e il diametro massimo dellaforma; se possibile, compiere la discesa nella conca a gruppi, individuando ipunti che sono serviti nel disegno del profilo (intersezione del diametro con leisoipse) e tentando di ricostruire con alcuni nastri le isoipse rappresentate sul-la carta topografica; osservazioni guidate sull’ambiente naturale, in particolaresulla vegetazione dei versanti, al fondo e nel territorio circostante.

Pianta e sezione di una grande dolina del Carso triestino in cui viene evidenziato il variare dellavegetazione in funzione del microclima: da sinistra a destra (quindi da Sud a Nord) boscagliamicroterma, igrofila e termofila

153152 ■ Un’escursione in grotta

• Obiettivi della visita ad una cavità naturale: approfondire le tematiche del per-corso didattico; sviluppare le capacità di esplorazione, orientamento e osserva-zione, fondamentali per un migliore radicamento delle conoscenze acquisite;completare il percorso formativo con l’esperienza diretta e rinforzare le cono-scenze tramite la concretizzazione delle situazioni vissute; coniugare diverti-mento e studio in una ricerca multidisciplinare (prima di iniziare ad organizzareun’attività di questo genere, si consiglia di compiere un’indagine nella classe alfine di rilevare eventuali casi di claustrofobia: in questo caso è lecito solamentecreare motivazioni per vincere leggeri timori, ma non sforzare nessuno).• Livello: classi della Scuola Elementare o Media (oppure dagli 8 anni in poi),ma è possibile realizzare iniziative di questo tipo, opportunamente modificatee preparate, anche con bambini più piccoli (esperienze analoghe sono staterealizzate anche con bambini delle scuole materne).A seconda degli obiettivi e delle capacità dei ragazzi, considerando la loroesperienza escursionistica, è possibile prevedere vari livelli di escursione:- visita ad una grotta turistica (in scarpe da ginnastica e giacca a vento) in cuiconcentrarsi sulle osservazioni generali dell’ambiente ipogeo, che in questocaso si può presentare antropizzato e degradato- escursione in una cavità naturale con poche difficoltà- escursione impegnativa con uso di attrezzatura specialistica.La scelta della cavità da esplorare ed il comportamento da tenere sarannocomunque ispirati a quanto indicato nel capitolo sull’etica della speleologia. • Collaborazioni indispensabili: è preferibile contattare un circolo speleologi-co in grado di fornire sia un supporto logistico sia, qualora vi siano personespecializzate nella didattica della speleologia, utili indicazioni specifiche.Sarà utile concordare con gli speleologi la scelta della grotta e la difficoltà del-l’itinerario secondo le esigenze del gruppo e programmare un numero ade-guato di accompagnatori tra insegnanti e speleologi (in genere per un’escur-sione di media difficoltà si consiglia un accompagnatore ogni 3-4 ragazzi).• Attrezzatura: per una grotta di media difficoltà i partecipanti dovranno esse-re forniti di adeguata attrezzatura: casco con luce, stivali in gomma o comun-que calzature robuste, abbigliamento in lana o pile e, se l’ambiente è fangoso,ricambio di vestiti da lasciare all’ingresso della grotta.

ATTIVITÀ PRELIMINARI

1. Introduzione teorica generale sul fenomeno carsico e sull’importanza del-l’ambiente ipogeo creando aspettative e stimolando curiosità ed interesse2. Scelta della cavità adeguata alle capacità della classe3. Verifica del percorso da parte degli accompagnatori

155154 4. Ricerca bibliografica e cartografica in classe per l’individuazione della cavità5. Dibattito in classe per l’organizzazione del materiale necessario all’escursio-ne, scelta del percorso per raggiungere la cavità, individuazione di gruppi dilavoro con diversi compiti (stesura indicazioni generali, predisposizione dischemi di rilevamento, stesura note di percorso ed altro). Approfondimento suicomportamenti corretti da tenere in grotta: seguire le indicazioni degli accom-pagnatori, non lasciare rifiuti, non toccare (né tantomeno rompere) le concre-zioni e così via6. Predisposizione del materiale da parte dei gruppi.

ESCURSIONE

7. Individuazione del percorso: il gruppo con questa mansione guida la classeall’imbocco della cavità8. Raccolta appunti e note di percorso per la stesura della relazione: tipo disentiero, quota, orientamento, vegetazione presente, tempo di percorso, geo-morfologia ed eventuali forme di carsismo superficiale9. Individuato e raggiunto l’ingresso della cavità, raccolta delle informazioni edei dati morfologici, fisici e biotici: - forma e orientamento dell’ingresso, eventuale presenza di acqua che indicase la grotta è attiva (inghiottitoio o risorgiva)- variazioni di temperatura, luce, vegetazione, presenza di materiale (rami ofoglie) proveniente dall’esterno- eventuali segni di degrado: presenza di rifiuti, di residui di carburo, stato diconservazione delle concrezioni, ecc. 10. Procedendo all’interno della cavità, rilevazione delle variazioni della lumi-nosità percepita; con l’ausilio di un termometro, rilevazione delle variazioni ditemperatura11. Stesura di appunti sul percorso osservando gli elementi significativi perl’orientamento: biforcazioni, corsi d’acqua, ecc; esperimento sulla stesura diun rilievo planimetrico con bussola e cordella metrica, almeno su un tratto dipercorso12. Osservazioni guidate su: - ambiente: eventuale presenza di correnti d’aria che possono indicare aper-ture secondarie o ampi vani; rumore di acqua, stillicidio o ruscelli; presenza diumidità (nuvolette di vapore del respiro)- vegetazione: osservazioni sulla seriazione (che presenta un interessanteparallelismo con l’evoluzione); vegetazione abbondante all’ingresso, via viapiù rada al diminuire della luminosità (es. Parietaria, Lunaria annua, ecc.)- morfologia della cavità: la sezione sarà determinata soprattutto dallo scorri-mento dell’acqua nelle condotte, da fattori tettonici nelle gallerie; osservazionedel pavimento, delle eventuali fratture, faglie, frane e crolli; osservazione delle

varie concrezioni (stalattiti e stalagmiti, vaschette, colonne, vele, ecc.) sia dalpunto di vista morfologico che di quello della composizione mineralogicageneralmente - ma non sempre - calcitica; osservazioni su eventuali rapportitra le varie forme caratteristiche delle concrezioni e le strutture tettoniche; neiprimi metri della cavità si osserverà la presenza di sassi e frane provenientidall’esterno, mentre massi di crollo autoctoni potranno essere visti ovunque ingrotta; osservazione della volta di gallerie e sale (chi visita una grotta tendesempre ad osservare pavimento e pareti, tralasciando il soffitto che rappre-senta invece proprio il nucleo originario della genesi della cavità)- fauna: osservazione sulla presenza di depositi di guano che testimoniano lapresenza di pipistrelli; osservazione di animali cavernicoli parietali: ortotteri,ditteri, lepidotteri, ragni; ricerca di qualche eventuale troglobio e osservazionedelle caratteristiche di colorazione13. Osservazione su se stessi: notare le varietà di progressione per avanzare ingrotta (strisciare, arrampicare, calarsi, ecc.)14. Riflessione sulla semplicità e sulla fragilità dell’ecosistema sotterraneo,sull’importanza del rispetto dell’ambiente e sulla propria capacità di viverlosenza depredarlo o danneggiarlo; recupero dei rifiuti15. Momento ludico, da effettuarsi in concomitanza con l’intervallo di pranzo:il gioco del buio, spegnendo tutte le luci e cercando di stare in silenzio assolu-to, provando a vivere l’ambiente naturale senza falsarlo; condivisione delleimpressioni ed emozioni16. Consultazione e interpretazione degli appunti stesi all’andata per indivi-duare il percorso di rientro17. Condivisione delle proprie impressioni all’uscita della cavità, in particolaresulle sensazioni della luce e degli odori dell’ambiente esterno.

ATTIVITÀ CONCLUSIVE IN CLASSE

18. Rielaborazione dei dati in classe: elaborazione dei rilevamenti, stesura diuna relazione scientifica sulla cavità, elaborazione di temi sulle impressionipersonali riguardo alla nuova esperienza.

PROSECUZIONE DEL LAVORO

19. L’insieme dei dati rilevati e osservati nella visita alla cavità naturale assumeulteriore significato se reinterpretata per confronto con un ambiente superfi-ciale. La diversità dei due ambienti comporta una serie di considerazioniimportanti sulla fragilità dell’ambiente sotterraneo e sulla necessità di tutelarlo.Per completare l’esperienza ed approfondire i temi affrontati l’uscita può esse-re abbinata ad una visita ad una struttura museale che tratti il tema del carsi-smo, o ad un laboratorio di biologia sotterranea (diffusi in tutt’Italia: Trieste, Vit-torio Veneto, Verona, Brindisi, Roma e molti altri).

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AA. VV., 1978 - Manuale di Speleologia. Longanesi, Milano.Ampio e completo trattato realizzato dalla Società Speleologica Italiana, dedicato a tuttigli aspetti della Speleologia. Seppure datato per alcune parti specifiche (descrizione del-le aree carsiche), appare ancora oggi validissimo per gli argomenti generali.

AA. VV., 1982 - Biogeografia delle caverne italiane. Lavori della Società Italiana di Bio-geografia, n.s., vol. 7 (1978).La più completa raccolta di articoli scientifici originali dedicati alla fauna cavernicola dialcune regioni italiane con particolare attenzione agli aspetti biogeografici.

AA. VV., 1989 - Problemi di inquinamento e salvaguardia delle aree carsiche (a cura di M.Chiesi). SSI, CAI, Nuova Editrice Apulia.Volume interamente dedicato alla descrizione dei meccanismi di compromissione degliacquiferi e del paesaggio carsico, superficiale e profondo, con indicazioni circa le possi-bili azioni di salvaguardia territoriale e puntuale da intraprendere.

BADINO G., 1998 - Fisica del clima sotterraneo. Memorie dell’Istituto Italiano di Speleolo-gia, serie II, 7, Bologna.Ampio lavoro dedicato alla descrizione puntuale della fisica del clima sotterraneo: il piùcompleto lavoro mai pubblicato sulla climatologia delle grotte.

BOTOSANEANU L. (ed.), 1986 - Stygofauna Mundi. E.J. Brill/Dr. W. Backhuys, Leiden.Esauriente e rigorosa trattazione di tutti i taxa presenti nelle acque sotterranee del mon-do. Per ogni gruppo animale viene fornita una breve diagnosi, ed un elenco di tutte lespecie note sino al 1985, con la distribuzione a livello mondiale.

CASTIGLIONI G.B., 1979 - Geomorfologia. Utet, Torino.In questa opera di grande valore, un corposo capitolo, curato da U. Sauro, è dedicatoalle morfologie carsiche. Ottima la parte iconografica che è stata anche fonte di ispira-zione per alcuni disegni di questo volume.

CHIESI M., FERRINI G. & BADINO G., 1999 - L’impatto dell’uomo sull’ambiente di grotta.Quaderni Didattici, n. 5, Società Speleologica Italiana, Bologna.Dispensa didattica, ad uso dei corsi di introduzione alla speleologia della Società Spe-leologica Italiana, che riassume i principali problemi ambientali indotti dalla frequenta-zione umana delle grotte.

COLLIGNON B., 1992 - Il manuale di Speleologia. Zanichelli, Bologna.Volume dedicato ai diversi aspetti delle speleologia scientifica con particolare attenzio-ne al carsismo, pur non dimenticando biospeleologia ed altre tematiche connesse allostudio delle cavità naturali. Riccamente illustrato e completato da una vasta bibliografia,il volume nella sua traduzione in italiano è stato integrato con numerosi ed espliciti rife-rimenti al nostro territorio.

Bibliografia

Ghiacciaio sotterraneo in una cavità del Monte Canin (Alpi Giulie, Friuli)

158 FILECCIA A., 1996 - Speleologia subacquea. Vallardi, Milano.Manuale dedicato a questo particolare aspetto dell’attività speleologica. È completatodalla descrizione delle aree con le più interessanti cavità marine in Italia e dei più inte-ressanti sifoni in grotta.

FORNASARI L., VIOLANI C. & ZAVA B., 1997 - I Chirotteri italiani. Epos, Palermo.Agile volume che si propone come discreto riferimento divulgativo per chi voglia avvici-narsi al mondo dei pipistrelli senza particolari esigenze di approfondimento.

JUBERTHIE C., DECU V. (eds.), 1994 - Encyclopaedia Biospeologica. Société de Biospéo-logie, Moulis (C.N.R.S.), Academie Roumaine, Tomo I, Bucarest.Primo volume di un’imponente opera dedicata alla biospeleologia. In questo tomo ven-gono trattati a livello mondiale numerosi taxa di invertebrati, ed esaminate le faune tro-globie dell’America e dell’Europa. Un capitolo è dedicato alla fauna delle grotte italiane.

JUBERTHIE C., DECU V. (eds.), 1998 - Encyclopaedia Biospeologica. Société de Biospéo-logie, Moulis (C.N.R.S.), Academie Roumaine, Tomo II, Bucarest.In questo secondo volume ampio spazio è dedicato, accanto ad alcuni gruppi tassono-mici minori, agli insetti cavernicoli (in particolare ai coleotteri), ai vertebrati ed alla flora. Ilterzo volume è ancora in preparazione.

LANZA B., 1983 - Anfibi, rettili. Guide per il riconoscimento delle specie animali delleacque interne italiane. 27. CNR, Roma.Quest’opera, fra letteratura scientifica ed alta divulgazione, contiene una buona sintesidelle conoscenze sul proteo, sui geotritoni e su altre specie di anfibi che è talora possi-bile incontrare nelle grotte italiane.

MINELLI A., RUFFO S., LA POSTA S., 1993 - Checklist delle specie della fauna italiana. Cal-derini, Bologna.Elenca tutte le specie note della fauna italiana, rendendo possibile l’uso di una nomen-clatura corretta e unificata. La collana è costituita da 110 fascicoli.

TOSCHI A. & LANZA B., 1959 - Fauna d’Italia. IV. Mammalia (Generalità, Insectivora, Chi-roptera). Calderini, Bologna.In questo volume della Fauna d’Italia una parte corposa (pp. 187-473) è dedicata all’e-same della fauna italiana a pipistrelli con espliciti riferimenti alle specie presenti nellecavità. È bene non farsi trarre in inganno dalla data di pubblicazione: quest’opera deveessere considerata ancor oggi un ottimo riferimento scientifico per chiunque vogliaoccuparsi di chirotteri.

VIANELLI M., 2000 - I fiumi della notte. Bollati Boringhieri, Torino.Opera di pregio, anche dal punto di vista fotografico; esamina le varie caratteristiche del-le acque sotterranee ed il loro ruolo fondamentale nello sviluppo del fenomeno carsico.Vengono descritti alcuni dei più importanti fiumi sotterranei ed acquiferi carsici italiani.

Molte notizie possono essere ricavate dalle numerose riviste dedicate alla speleologiache vengono pubblicate in Italia. Possiamo citare le pubblicazioni della Società Spe-leologica Italiana (Speleologia e Le Grotte d’Italia), le riviste Atti e Memorie della Com-missione Grotte E. Boegan, Mondo Sotterraneo, International Journal of Speleology(sezioni biologica e scienze della terra), accanto ai numerosi bollettini dei gruppi spe-leologici locali.

Glossario

> Allopatria: condizione di completa separazione degli areali di una o più specie; si defi-nisce “speciazione allopatrica” la differenziazione di nuove specie dovuta all’isolamentodi alcune popolazioni di un comune progenitore.> Anoftalmia: assenza di occhi; si tratta di uno degli adattamenti più comuni alla vita nel-le cavità ipogee.> Bentonico: organismo che in un corpo idrico contraendo sempre stretti rapporti con ilsubstrato di fondo.> Dissoluzione: processo chimico che porta alla solubilizzazione dei calcari ad opera diacque arricchite in anidride carbonica.> Endemica: aggettivo che indica una specie esclusiva di un territorio geografico diestensione limitata; le grotte sono tra gli ambienti più ricchi di specie endemiche> Interazioni biotiche: generiche interazioni tra i più diversi organismi viventi (es.: com-petizione, predazione, ecc.).> Freatica: in un massiccio carsico è la zona perennemente satura, in cui prevale loscorrimento orizzontale delle acque ipogee.> Gour: termine francese che indica le vaschette di stillicidio.> Ipogeo: termine che indica l’ambiente sotterraneo; può essere usato come aggettivo(sinonimo di sotterraneo) o come sostantivo (per indicare una cavità sotterranea, natura-le o artificiale).> MSS: acronimo con cui gli autori francesi indicano l’orizzonte del suolo costituito inprevalenza dalla disgregazione delle rocce sottostanti (Milieu Souterrain Superficiel); èconsiderato habitat intermedio per la colonizzazione dell’ambiente cavernicolo.> Planctonico: organismo che vive sempre in sospensione nelle acque.> Speleotemi: insieme dei diversi tipi di depositi presenti in una grotta (concrezioni ed altri).> Speciazione: processo evolutivo che porta alla differenziazione di nuove specie.> Stigobi: organismi esclusivi delle acque sotterranee (carsiche e non), ove conduconol’intero ciclo vitale; presentano sempre particolari adattamenti alla vita ipogea.> Stigofili: organismi presenti nelle acque sotterranee (carsiche e non), ove possonoriprodursi, ma non sono esclusivi di questi ambienti potendo condurre il loro ciclo vitaleanche nelle acque di superficie.> Stigosseni: organismi di acque superficiali presenti occasionalmente nelle acque sot-terranee, sia per trasporto passivo, sia perché vi ricercano condizioni particolari in alcu-ne fasi del loro ciclo vitale.> Troglobi: organismi esclusivi delle grotte, ove conducono l’intero ciclo vitale; presenta-no sempre particolari adattamenti alla vita nell’ambiente ipogeo.> Troglofili: organismi presenti regolarmente nelle grotte, ove possono riprodursi, manon ne sono esclusivi di questi ambienti; in alcuni casi (organismi eutroglofili) possonopresentare parziali adattamenti alla vita nell’ambiente sotterraneo.> Troglosseni: organismi di superficie presenti occasionalmente o accidentalmente nel-l’ambiente sotterraneo; in alcuni casi frequentano le grotte in particolari fasi del loro ciclovitale o in alcune stagioni (troglosseni regolari).> Vadosa: zona di un massiccio carsico in cui prevale lo scorrimento verticale delleacque (zona insatura), con stillicidi e percolazioni di intensità varia.

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Un particolare ringraziamento a Paolo Forti per gliutili consigli e per la lettura critica della partededicata al carsismo.

Molti speleologi, cui va il nostro ringraziamento,hanno collaborato alla stesura dei capitoli dedicatialle diverse regioni (Marco Bani, Ezio Burri,Gian Domenico Cella, Paolo Giuliani, Pino Guidi,Carmine Marotta, Paolo Mietto, Mauro Muccedda,Paolo Zambotto).

Gli autori desiderano ringraziare gli specialisti chehanno fornito notizie, revisionato ed integrato i testirelativi ai taxa di loro competenza:Maria Manuela Giovannelli, Marco Bodon eWilly de Mattia (molluschi);Beatrice Sambugar (oligocheti);Diana Galassi (copepodi);Roberto Argano (isopodi);Sandro Ruffo (anfipodi, malacostraci);Fulvio Gasparo (palpigradi, ragni);Claudio Chemini (opilioni);Giulio Gardini (pseudoscorpioni);Marzio Zapparoli (chilopodi);Alessandro Minelli (chilopodi, diplopodi);Pietro Paolo Fanciulli (collemboli);Paolo Fontana (ortotteri);Carlo Morandini (lepidotteri);Achille Casale eAugusto Vigna Taglianti (coleotteri carabidi);Stefano Zoia (coleotteri colevidi);Adriano Zanetti (coleotteri stafilinidi);Giorgio Sabella e Roberto Poggi(coleotteri stafilinidi pselafini);Fabio Penati (coleotteri isteridi);Giuseppe Osella (coleotteri curculionidi). Achille Casale ha inoltre gentilmente revisionato iltesto relativo alla biogeografia della faunacavernicola e Valerio Sbordoni ha fornito preziosisuggerimenti.

La responsabilità di quanto riportato nel testo,nonché di eventuali errori ed omissioni, rimaneesclusivamente degli autori.

Il volume è stato realizzato con i fondi del Ministerodell’Ambiente.

Finito di stampare nel mese di aprile 2002presso le Arti Grafiche Friulane SpA - Tavagnacco, Udine.Printed in Italy.