G.Ricciardelli - Le argonautiche orfiche

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Le Argonautiche orficheGABRIELLA RICCIARDELLI

Ordinario di lingua e letteratura greca, Università La Sapienza, Roma

a spedizione degliArgonauti è il racconto di un viaggio sulla costameridionale del mar Nero per andare a recuperare il vello d'oro;vi partecipano gli eroi delle famiglie più illustri, antenati di quelliche poi prenderanno parte alla guerra di Troia. Gli antichi, infatti,consideravano l’impresa degli Argonauti più antica di questa

guerra; la cronaca di Eusebio pone l'una intorno al 1263-1257 a. C., l'altra versoil 1189-1180 a. C.

Un accenno all' impresa degliArgonauti figura già in Omero (Od. 12,69 s.), maessa è legata soprattutto alle Argonautiche diApollonio Rodio. Vi è poi sullo stessoargomento un altro poema in esametri, che secondo l'ipotesi più diffusa va datatofra il IV e il V sec. d. C., di cui non si conosce il vero autore, ma tramandato sottoil nome di Orfeo: le Argonautiche orfiche.

Per inquadrare la spedizione degli Argonauti è opportuno ricordare quanto laprecede e la motiva.Atamante, re dei Mini d'Orcomeno in Beozia, sposa Nephele,da cui ha due figli: Frisso e Helle. Più tardi abbandona la moglie per sposare inTessaglia Ino, figlia di Cadmo. Questa prende in odio Frisso e Helle e, quandoscoppia una carestia, fa diffondere la notizia che, per farla terminare, è necessarioimmolare Frisso a Zeus. Mentre il giovane viene condotto all'altare per essere sa-crificato, la madre Nephele lo pone insieme alla sorella su un montone dal vellod'oro, donatole da Hermes, e li fa volar via. Helle cade nel mare che da lei pren-derà il nome di Ellesponto.

Di questo racconto Diodoro (Bibl. 4,47) dà una versione più prosaica: Frissonon viaggia su un montone capace di volare ma su un'imbarcazione, di cui ilmontone non è che un ornamento; Helle, poi, non precipita durante il volo, macade dalla nave per il mal di mare.

Frisso arriva a Eea, in Colchide, dove regna Eeta, figlio del Sole e fratello diCirce; qui immola il montone a Zeus e dona il vello d'oro a Eeta, di cui sposa lafiglia Calciope.

In tutto questo mito si riconoscono spunti etimologici, che erano cari agli an-tichi: la madre di Frisso si chiama Nephele, che in greco vuol dire ''Nuvola'', ed èlei a fornire ai figli il montone che vola; ma soprattutto vi sono numerosi elementifiabeschi comuni a molti racconti: la matrigna cattiva, la vittima che si salva al mo-mento del sacrificio, le imprese difficili, gli animali che parlano e aiutano.

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Intanto a Iolco, nella Tessaglia meridionale, regna Pelia. Questi si era impadro-nito del potere a discapito del fratellastro e del nipote Giasone che, divenutoadulto, reclama il trono che gli spetta; per liberarsi di lui, Pelia gli affida l'incaricodi andare a prendere il vello d’oro a Eea.

Quando fu elaborato questo mito, la Colchide (nel Caucaso) era considerata ilpunto estremo a oriente; le coste del Ponto Eusino (mar Nero), che era ritenuto unmare grandissimo e lontanissimo, erano allora abitate da popoli selvaggi e violenti.Il nome stesso di quel mare non è che un eufemismo: euxeinos significa ''buonocon gli stranieri'', ma il vero nome era axeinos ''senza stranieri'', ''inospitale''. In-somma si trattava di un viaggio molto pericoloso, anche a prescindere dalla verae propria conquista del vello; Pelia spera che in quest'impresa Giasone incontri lamorte.

Per il viaggio in Colchide occorre un’ottima imbarcazione, e questa sarà la naveArgo, che può parlare e comprendere la voce umana. La sua costruzione è cantatadaApollonio Rodio (1,18), ma alcune informazioni sono fornite anche da altri au-tori. Per Diodoro (4,41) era la nave più lunga vista sino ad allora; l’Odissea (12,69s.) dice che fu la prima nave che riuscì ad attraversare le Rocce Erranti, e che lasua chiglia era fatta con la quercia di Dodona, di cui Zeus si serviva per gli oracoli(Od. 14,327). Oltre l'imbarcazione, occorrono molti uomini; uno di quelli che Gia-sone chiamerà a raccolta è Orfeo.

Secondo la tradizione, Orfeo era originario della Tracia e di origine almeno inparte divina; era figlio, infatti, della Musa Calliope e di Eagro (Arg. orph.9), maper il padre si fa anche il nome di Apollo. Quando la sua sposa, Euridice, muoreper un morso di serpente, Orfeo discende nell'Ade per ricondurla tra i vivi; conl’armonia dei suoi canti convince gli dèi infernali a restituirgliela ma, mentre la stariportando sulla terra, si volge a guardarla e così la perde per sempre. Oltre glidèi, Orfeo ha il potere di incantare anche gli uomini, gli animali e tutta la natura.

Apollonio Rodio presenta Orfeo come colui che con i canti ammalia tutti; il suoruolo tra i compagni è quello di alleviare col canto e la musica la loro fatica. Gia-sone lo chiama a partecipare all'impresa su consiglio di Chirone, e il suo interventosi rivela prezioso quando sorge una disputa fra due Argonauti: Orfeo canta ac-compagnandosi con la cetra, e gli animi di tutti si acquetano (1,494-515). E' ancorail suono del suo strumento a scandire il ritmo dei remi (1,540) ed è il suo canto acelebrare Artemide, mentre i pesci, ammaliati, seguono la nave (1,569-79). NelleArgonautiche di Apollonio, dunque, il ruolo di Orfeo è soprattutto quello di can-tore, ma in qualche caso è la sua scienza delle cose divine a giovare agliArgonauti,come quando, all'avvicinarsi degli eroi assetati, le Esperidi diventano polvere eterra: Orfeo comprende il prodigio divino e, pregandole, riesce a ottenere l'indi-cazione di una fonte (4,1407-18); o ancora quando la naveArgo cerca invano unavia per uscire dal lago Tritonide, finché Orfeo ordina di offrire agli dèi del luogo

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il tripode diApollo, e allora si avvicina il figlio di Posidone, Tritone, che si prestaa mostrar loro il passaggio (4,1546-59).

Rispetto all'opera di Apollonio Rodio, che ne è il modello, nelle Argonauticheorfiche il ruolo di Orfeo acquista un rilievo straordinario, a detrimento di tutti glialtri personaggi. Non è qui possibile un'analisi particolareggiata delle Argonauti-che orfiche; mi limiterò perciò a ricordare solo alcuni episodi, che mettono in luceil rilievo che Orfeo assume in quest'opera. Ciò che soprattutto lo contraddistingueè la forza del suo canto accompagnato dalla musica, e a questa forza è strettamentelegata la capacità di incantare. Al momento del varo, gli eroi non riescono a tra-scinare in acqua la nave insabbiatasi e trattenuta da alghe secche. Orfeo (248-73),ispirato dalla madre, compone un canto: esorta gli eroi a tirare la nave verso leonde e, rivolgendosi alla nave stessa, le chiede di ascoltarlo; questa scivola inmare.

Dinanzi al pericolo delle rocce Cianee è particolarmente evidente il legame cheunisce la bellezza del canto alla capacità di incantare qualsiasi cosa: Orfeo conoscela pericolosità di queste rocce, descrittegli dalla madre Calliope. Mentre gli eroiremano con ardore, Orfeo cantando incanta le Cianee che si staccano l'una dall'al-tra; l'abisso del mare ubbidisce alla cetra e alla sua voce divina, e la nave passa.Nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, invece, è la dea Atena che con una manosi appoggia a una roccia e con l'altra spinge la nave attraverso il passaggio (2,599-600).

Il canto di Orfeo è determinante anche in un altro episodio. Già in Apollonio(1,902-11), quando gli Argonauti si dirigono verso l'isola delle Sirene, incantatidalla voce di queste, Orfeo li trattiene intonando un canto veloce, in modo che gliorecchi dei compagni rimbombino di questo suono, e la sua cetra vinca la vocedelle Sirene (4,891-919 ). Ma, benché questa risulti indistinta, Bute si getta inacqua.Anche nelle Argonautiche orfiche (1268-90) le Sirene con la loro voce me-lodiosa affascinano i mortali, facendo dimenticare loro il ritorno. Gli Argonautivorrebbero accostarsi, e Anceo si sta già dirigendo verso il promontorio, quandoOrfeo, ispirato dalla madre Calliope, canta un inno sul conflitto fra Zeus e l'Eno-sigeo. Non solo salva tutti gli Argonauti, ma, udendolo suonare, le Sirene sonoprese da tale stupore che interrompono il loro canto, gettano via gli strumenti mu-sicali e si tuffano in mare, tramutandosi in pietre.

Oltre il ruolo di cantore e di incantatore, Orfeo ha ancora quello di consigliere.ASamotracia persuade gli eroi a farsi iniziare ai misteri degli dèi, perché per ogninavigatore la partecipazione a questi riti è salutare (464-70). Ma l'aspetto che,nelle Argonautiche orfiche, ha più spazio è quello di Orfeo esperto di riti e misteri.Persino la maga Circe demanda a lui i riti espiatorî per l'uccisione di Apsirto, av-vertendo gli Argonauti che non potranno tornare in patria prima di aver lavato laloro colpa con purificazioni divine grazie alla scienza di Orfeo (1230-3), riti che

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questi compirà al capo Malea, supplicando l'Enosigeo di concedere loro il ritorno(1363-8). È soprattutto nell'episodio della conquista del vello (887-1019) che ilpoeta delle Argonautiche orfiche si sbizzarrisce e dà spazio a Orfeo, che invecenon compare in questo punto del racconto di Apollonio, dove è Medea che si oc-cupa di tutto (4,109-82). Nel poema orfico una particolareggiata presentazionedei luoghi conduce il lettore fino al vello d'oro: dinanzi al palazzo di Eeta c'è unarecinzione altissima; guardiana delle porte è Artemide, terribile da vedere e daudire per chi non abbia partecipato alle iniziazioni e ai riti purificatorî. Al di làdella recinzione c'è un bosco pieno di piante, con in mezzo una quercia altissima,dai cui rami pende il vello. Un serpente, coperto di scaglie d'oro, fa la guardia,senza mai dormire. Una minuziosa descrizione di un rito rivela il gusto dell'autoreper la magia popolare; alcuni particolari ricordano i papiri magici. Orfeo scavauna fossa triangolare, dentro colloca una pira e compie un sacrificio; vestito diveli scuri, fa risuonare il bronzo e prega. Al suo richiamo subito escono fuori dalbaratro Tisifone, Aletto e Megera, seguite da due figure inquietanti: Pandora dalcorpo di ferro e Ecate dall'aspetto mutevole. La statua d'Artemide lascia cadere aterra le torce e fissa il cielo, mentre i cani che l'accompagnano agitano la coda. Leporte si aprono; Orfeo e gli altri entrano nel bosco sacro. Il serpente di guardia alvello sibila in modo terrificante, ma Orfeo accorda la voce divina della sua lira e,sulla corda più grave, intona un canto in sordina, senza articolarlo, con labbra si-lenziose: invoca il Sonno, affinché venga a incantare il drago, che infatti si ad-dormenta. Anche qui il canto si intreccia alla magia.

La sua fama come esperto nella scienza dei misteri e forse la sua discesa nel-l'Ade1 hanno fatto sì che il suo nome fosse tradizionalmente collegato all’insegna-mento delle cerimonie d'iniziazione2 . Queste prevedevano dei riti mediante i qualisi entrava a far parte di un gruppo religioso, condividendone le speranze in un de-stino migliore dopo la morte. Un riflesso di questa credenza emerge dalle lamineorfiche. Si tratta di lamelle d'oro di pochi centimetri, scritte in epoche diverse (trala fine del V secolo a. C. e il III secolo d. C.) e trovate su alcuni defunti in diverselocalità del mondo greco (Italia meridionale, Roma, Tessaglia, Creta). Queste per-sone da vive erano state iniziate ai misteri, e il testo della lamina, deposta sul lorocorpo, le guiderà dopo la morte lungo la strada da seguire nel mondo infernale esuggerirà loro le parole da dire ai custodi per essere accolte. Riporto la traduzionedi due di queste lamine.

La prima è stata trovata a Petelia (Calabria): <<Troverai a sinistra delle casedi Ade una fonte, / presso di essa si erge un bianco cipresso; / a questa fonte nonavvicinarti neppure. / Ne troverai un'altra, fresca acqua che scorre / dal lago diMemoria (Mnemosyne); innanzi vi sono custodi. / Di': "Sono figlia di Terra e di

1. Per recuperare Euridice; ved. sopra.2. Ved. Aristofane, Ran.1032; cfr. Platone, Prot.316d 8, Resp. II 364e; pseudo-Euripide, Rh.943 s.

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Cielo stellato, ma la mia stirpe è celeste; questo anche voi lo sapete. / Sono arsadi sete e vengo meno: ma datemi presto / l'acqua fresca che scorre dal lago di Me-moria". / Ed essi ti daranno da bere dalla fonte divina, / e allora poi regnerai congli altri eroi. / Questo è sacro a Memoria, quando sia sul punto di morire ...>>. Inmargine si legge: << ... la tenebra che intorno avvolge>>.

La seconda è stata trovata a Turi (Puglia): <<Vengo pura dai puri, o sovranadegli inferi, / Eucle, Eubuleo e altri dèi immortali; / perché mi vanto di essere an-ch'io vostra stirpe felice. / Ma mi uccise la Moira e il Folgoratore che si slanciadagli astri. / Volai via dal doloroso ciclo di gravi dolori, / con piedi veloci entrainella desiderata corona; / mi immersi nel grembo della sovrana regina degli inferi,/ con piedi veloci uscii dalla desiderata corona. / "Felice e beatissimo, sarai dio in-vece che mortale". / Capretto caddi nel latte>>.

Queste lamine sono dette orfiche in quanto rispecchiano quella che viene ge-neralmente ritenuta la dottrina di Orfeo, nella quale rientra l’idea della metempsi-cosi, per cui dopo la morte l’anima entra in un altro corpo, e poi in un altro ancora,finché non si sia pienamente purificata.All’idea di una purificazione necessaria perle colpe personali va aggiunta quella che riguarda tutto il genere umano, comeportatore di una colpa originaria a causa della sua natura titanica.

Per spiegare cosa si intende con questo, è opportuno ricordare il mito narratoin una teogonia orfica, quella rapsodica, di cui abbiamo molti frammenti.All'iniziodi tutto c'è Tempo, che ha forma di serpente alato. Questi si unisce a Necessità egenera Etere e Chaos; dall'Etere produce un uovo splendente, dal quale esce il dioermafrodito Phanes, che con la Notte dà vita a Cielo e Terra.

Phanes è il primo re del cosmo, poi passa lo scettro alla Notte, che a sua voltalo cede al figlio Cielo. Dal matrimonio tra Cielo e Terra nascono le Moire, i Cen-timani, i Ciclopi. Ma Cielo sa che verrà deposto dai propri figli, per cui li getta nelTartaro; allora Terra genera i Titani e li aizza contro il padre. Uno di questi, Kro-nos, diventa re al posto di Cielo, ma a sua volta agisce tirannicamente, ingoiandoi propri figli. L'unico a salvarsi è Zeus che, divenuto adulto, vince Kronos e poiingoia Phanes, che ha in sé il seme di tutti gli dèi. Perciò adesso è Zeus ad avereogni cosa dentro di sé: cielo, mare, terra, Oceano, Tartaro, tutti gli dèi e le dee,quanti sono già nati e quanti debbono ancora nascere. Zeus riporta tutto alla luce,divenendo egli stesso l'intero universo: la sua testa è il cielo, le chiome sono gliastri, i suoi occhi il sole e la luna, la sua mente è l'etere, il busto l'aria, il ventre laterra, la cintura il mare, i piedi sono il Tartaro. Così è risolto uno dei temi chestanno più a cuore al pensiero greco: il rapporto fra unità e molteplicità dell'uni-verso.

Zeus si unisce a Persefone, dando vita a Dioniso. Il padre gli cede lo scettromentre è ancora bambino, e lo presenta come nuovo re. I Titani attirano Dioniso,lo uccidono e, fattolo a pezzi, lo cucinano e poi lo mangiano; solo il cuore si salva,

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e da questo viene formato un nuovo Dioniso. I Titani colpevoli sono fulminati daZeus, e dalla fuliggine depositata dai loro corpi bruciati nasce il genere umano, nelquale convivono una natura buona (dionisiaca) e una cattiva (titanica). Dunquel’uomo deve mirare a purificarsi di questa parte deteriore della sua anima, perpoter rientrare, dopo la morte, nel numero degli eletti.

Come ho detto, questo racconto figura in una teogonia orfica. I racconti teogo-nici erano molto diffusi nell'antichità; in essi teogonia e cosmogonia si intreccia-vano, dal momento che la nascita degli dèi in certa misura coincide con quelladegli elementi naturali. Una breve cosmogonia si legge nel poema di ApollonioRodio (1,494-511), che la fa cantare a Orfeo: terra, cielo e mare, un tempo unitiin un'unica forma, furono divisi dall'odio; stelle, luna e sole hanno un segno fissoin cielo, sorgono i monti, nascono i fiumi insieme alle Ninfe, e tutti gli animali.

Nelle Argonautiche orfiche figurano due racconti cosmogonici; il primo cantal'implacabile necessità dell'antico Chaos e il Tempo, che generò Etere e Phanes,padre della Notte, e la discendenza di Brimò e le opere dei Giganti, nati dallegocce del Cielo e dai quali nacquero gli uomini (vv.12-20).

Un'altra cosmogonia si legge ai vv.421-431. Orfeo canta dapprima l'inno tene-broso del Chaos, come scambiò le nature 3 , come il Cielo giunse al confine, la na-scita della terra, il fondo del mare, Eros con tutte le cose da lui generate, distintel'una dall'altra; poi Kronos, e come Zeus ebbe la sovranità sugli immortali.Ancora,Orfeo canta la nascita e la contesa dei beati più giovani, le opere di Brimò, diBacco e dei Giganti, e infine la nascita degli uomini.

Concludendo, sembra che per l'autore delle Argonautiche orfiche il raccontodell'avventura degli Argonauti abbia il solo scopo di mettere in luce la figura diOrfeo. Oltre alla sua massiccia presenza, la differenza fondamentale delle Argo-nautiche orfiche rispetto al poema di Apollonio Rodio risiede nel fatto che è lostesso Orfeo a parlare in prima persona. Si è discusso sul valore dell'aggettivo neltitolo Argonautiche orfiche: Orfeo è infatti il personaggio di maggior rilievo nel-l'avventura degliArgonauti, ma è anche colui che questa avventura narra in primapersona, ed è infine colui al quale l'opera stessa è attribuita, l'autore nominale. Na-turalmente le Argonautiche orfiche sono un'opera pseudo-orfica. Con un po' di re-torica potremmo dire che il vero autore sceglie di sparire a vantaggio della suaopera: un poema alquanto mediocre, infatti, difficilmente si sarebbe conservato neltempo, se non fosse stato attribuito a Orfeo. In questo modo, invece, l'autore si an-nulla, ma la sua opera acquista il prestigio di una paternità illustre. Si potrebbe, conun certo disincanto, mettere in conto il successo commerciale di un libro di ''Orfeo''piuttosto che di un autore ignoto ma, comunque stiano le cose, il nome del veroautore è ignoto, mentre la sua opera è sopravvissuta.

3. F.Vian (Les Argonautiques orphiques, Paris 1987, p.104, v.422) interpreta ''come produsse l'uno dopo l'altro gli elementinaturali''.

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