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10/04/14 GREGORY BATESON www.filosofico.net/bateson.htm 1/15 GREGORY BATESON A cura di Fabrizio Cerroni «Desidero esprimere la mia convinzione che certi fatti come la simmetria bilaterale di un animale, la disposizione strutturata delle foglie in una pianta. l'amplificazione progressiva della corsa agli armamenti, le pratiche del corteggiamento, la natura del gioco, la grammatica di una frase, il mistero dell'evoluzione biologica, e la crisi in cui oggi si trovano i rapporti tra l'uomo e l'ambiente, possano essere compresi solo in termini di un'ecologia delle idee così come io la propongo» (Verso un’ecologia della Mente). VITA E OPERE Gregory Bateson nasce il 9 Maggio 1904 in Inghilterra. Suo padre era il famoso biologo William Bateson, padre della genetica. Dal 1922 Bateson studia storia naturale al St. John’s College di Cambridge, ma ben presto abbandona la storia naturale per dedicarsi all’antropologia. Fu allievo di Malinowski, con il quale fu in disaccordo, e di Radcliffe-Brown, di cui rimane favorevolmente impressionato, tanto da aderire totalmente alla sua teoria struttural-funzionalista. Le sue prime ricerche sul campo furono in Nuova Guinea, dove studiò la tribù degli Iatmul, ed in Indonesia, in particolare a Bali. Quanto ai primi, si concentrò su un rito degli stessi: il Naven. Ben presto si accorse come l’approccio struttural-funzionalista sia del tutto insufficiente per comprendere questo rito, soprattutto nei suoi aspetti emotivi. Ne segue una situazione di stallo, che superò grazie all’arrivo sull’isola dell’antropologa Margaret Mead, i fondamentali discorsi con la quale lo aiuteranno nell’analisi del rito. Frutto di questa collaborazione è il primo saggio di Bateson: Naven (1936). Nello stesso anno Bateson e Margaret Mead si sposarono (divorzieranno nel 1951). Dal matrimonio nacque Mary Catherine che sarà antropologa anch’essa, ed aiuterà il padre nelle sue ultime opere. Quanto ai balinesi, ai risultati della sua analisi relativa ad essi Bateson dedicò il saggio: Il Carattere Balinese (1942), scritto in collaborazione con Margaret Mead. Entrambi i lavoro si caratterizzano per essere tra i

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GREGORY BATESON

A cura di Fabrizio Cerroni

«Desidero esprimere la mia convinzione che certi fatti come lasimmetria bilaterale di un animale, la disposizione strutturata dellefoglie in una pianta. l'amplificazione progressiva della corsa agliarmamenti, le pratiche del corteggiamento, la natura del gioco, la

grammatica di una frase, il mistero dell'evoluzione biologica, e la crisiin cui oggi si trovano i rapporti tra l'uomo e l'ambiente, possano

essere compresi solo in termini di un'ecologia delle idee così come iola propongo» (Verso un’ecologia della Mente).

VITA E OPERE

Gregory Bateson nasce il 9 Maggio 1904 in Inghilterra. Suo padre

era il famoso biologo William Bateson, padre della genetica.

Dal 1922 Bateson studia storia naturale al St. John’s College di

Cambridge, ma ben presto abbandona la storia naturale per

dedicarsi all’antropologia. Fu allievo di Malinowski, con il quale

fu in disaccordo, e di Radcliffe-Brown, di cui rimane

favorevolmente impressionato, tanto da aderire totalmente alla sua

teoria struttural-funzionalista.

Le sue prime ricerche sul campo furono in Nuova Guinea, dove

studiò la tribù degli Iatmul, ed in Indonesia, in particolare a Bali. Quanto ai primi, si

concentrò su un rito degli stessi: il Naven. Ben presto si accorse come l’approccio

struttural-funzionalista sia del tutto insufficiente per comprendere questo rito, soprattutto

nei suoi aspetti emotivi. Ne segue una situazione di stallo, che superò grazie all’arrivo

sull’isola dell’antropologa Margaret Mead, i fondamentali discorsi con la quale lo

aiuteranno nell’analisi del rito. Frutto di questa collaborazione è il primo saggio di

Bateson: Naven (1936). Nello stesso anno Bateson e Margaret Mead si sposarono

(divorzieranno nel 1951). Dal matrimonio nacque Mary Catherine che sarà antropologa

anch’essa, ed aiuterà il padre nelle sue ultime opere. Quanto ai balinesi, ai risultati della

sua analisi relativa ad essi Bateson dedicò il saggio: Il Carattere Balinese (1942), scritto

in collaborazione con Margaret Mead. Entrambi i lavoro si caratterizzano per essere tra i

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primi studi antropologi ad utilizzare strumenti fotografici e cinematografici per

documentare le interazioni fra indigeni.

Oltre a questi saggi, nello stesso periodo scrisse importanti articoli, tra cui: Social

Structure of the Iatmul People of the Sepik River (1932-1935); Music in New Guinea

(1935); e Culture Contact and Schismogenesis (1935, incluso nella raccolta Verso

un’Ecologia della Mente); Age Conflicts and Radical Youth (1941); The Frustration-

aggression Hypothesis and Culture (1941).

Nel 1939 si trasferì negli Stati Uniti a causa della guerra, durante la quale lavorò in

Estremo Oriente all’Ufficio Studi Strategici come consulente antropologico per la

propaganda. Negli stessi anni, ad opera di ricercatori come Norbert Wiener, Ross

Ashby, John Von Neumann, Warren McCulloch, Arturo Rosenblueth sta nascendo negli

Stati Uniti una nuova disciplina: la cibernetica. Bateson contribuì sin dalle origini allo

sviluppo di questa scienza che lo influenzò profondamente.

In seguito, dopo essere stato visiting professor a Harvard, ricercatore associato al

Lanley Porter Neuropsichiatric Institute di San Francisco, si trasferì a Palo Alto dove fu

docente all’università di Stanford e consulente etnologico del Veterans Administration

Hospital. Si occupa qui di psichiatria operando con un gruppo di collaboratori: John

H.Weakland, ingegnere chimico, Jay Hayley, psicologo sociale, e dal 1956 Don

Jackson, psichiatra. In particolare, Bateson si concentrò sui problemi della psicosi,

elaborando la teoria del double bind (doppio vincolo o doppio legame), ipotesi

esplicativa della schizofrenia, che viene collegata ai patterns comunicativi della famiglia e

della società, ripresa dalla scuola psichiatrica di Palo Alto, da P. Watzlawick e per

determinati aspetti da R. Laing.

Nell’ambito psicoterapeutico Bateson introdusse un metodo terapeutico basato

sull’analisi non del singolo malato, ma della sua intera famiglia. Tale metodo,

denominato terapia famigliare ad orientamento sistemico, è oggi ampiamente utilizzato.

Sullo stesso argomento scrisse, nel 1951, con J. Ruesch il volume La Matrice Sociale

della Psichiatria. Bateson dedicherà alla psicologia altre opere come: l’Umorismo nella

Comunicazione Umana (1953); Perceval un Paziente Narra la Propria Psicosi, 1830-

1832(1961); nonché numerosi articoli e conferenze.

Successivamente Bateson si occupò di biologia svolgendo ricerche sulla comunicazione

degli animali, in particolare dei delfini, all’Istituto Oceanografico delle Hawaii.

Dal 1972 fu professore al Kresge College, un’università della California. Il suo corso

s’intitolava Ecologia della Mente.

Tale titolo fu ripreso per l’opera che lo rese famoso: Verso un’Ecologia della Mente

(1972), la quale testimonia la varietà degli interessi di Bateson, trattando di antropologia,

psichiatria, cibernetica, evoluzione biologica, genetica, ecologia, e manifestando il

carattere unitario ed olistico del suo approccio. Altre raccolte sono Mente e Natura

(1979), nella quale è esposta nel modo più compiuto la sua teoria; e Una Sacra Unità.

Altri Passi Verso un’Ecologia della Mente (1997), pubblicato postumo

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Deluso dall’ambiente scientifico, nel quale il suo libro passa inosservato, si ritira presso

l’Esalen Institute. Inizia a scrivere Dove gli Angeli Esitano. Vero un’Epistemologia del

Sacro, pubblicato postumo da Mary Cathrine Bateson nel 1987. Gravemente malato di

polmonite, dopo essere stato malato di cancro, la sua diffidenza dalla scienza lo porta a

non farsi ricoverare in ospedale. Muore il 4 Luglio 1980.

IL PENSIERO: L’ECOLOGIA DELLE IDEE

Bateson non si è occupato di filosofia in senso stretto, ma piuttosto dell’«area

d'incontro tra il pensiero filosofico molto astratto e formale da una parte e la storia

naturale dell'uomo e delle altre creature dall'altra» (Verso un’Ecologia della Mente).

Il metodo di Bateson è fortemente olistico, volto ad individuare le connessioni esistenti

tra fenomeni come la struttura delle foglie, la grammatica di una frase, la simmetria

bilaterale di un animale, la corsa agli armamenti, ecc. Questa epistemologia basata sulla

cibernetica è definita da Bateson ecologia delle idee.

L’ecologia delle idee è orientata allo studio dei sistemi evolutivi. Occupandosi

dell’evoluzione, questo modello considera anche l’apprendimento che appartiene alla

stessa classe di fenomeni. L’evoluzione è considerata come un processo conservativo

volto ad assicurare la sopravvivenza del sistema. Di questi sistemi Bateson ne considera

tre, in ordine crescente: l’individuo, la società in cui l’individuo vive e l’ecosistema.

Questi sistemi sono reti cibernetiche complesse, anelli collegati da una catena di

processi causali. Essi sono formati al loro interno da sottosistemi, ad esempio l’uomo e

gli altri animali sono sottosistemi dell’ecosistema, le cellule sono sottosistemi degli

individui. Ognuno di questi sottosistemi possiede processi potenzialmente rigenerativi

che se lasciati a se stessi crescono in maniera esponenziale. Un esempio di questi

processi è dato dalla schismogenesi, l’interazione cumulativa tra le componenti del

sistema che può portare al crollo di quest’ultimo; un tipico processo schismogenetico è

la corsa agli armamenti. Per questa ragione il sistema deve contenere meccanismi di

regolazione volti a garantire l’equilibrio, riportando il sistema allo stato stazionario. La

presenza di questi meccanismi fa sì che il sistema sia autocorrettivo. Essi consistono in

uno scambio di informazioni attraverso un processo comunicativo; pertanto la

comunicazione è un mezzo omeostatico volto a mantenere la stabilità del sistema. In altri

termini, la comunicazione è lo strumento attraverso cui si realizzano le connessioni nel

sistema. Per questa ragione Bateson afferma che la biologia e la grammatica rispondono

alle stesse leggi formali. Entrambe si occupano di relazioni; l’analisi logica che afferma

ciò che una cosa è illusoria, statica. Al contrario, ciò che conta è la dinamica del pattern

relazionale che si svolge tra soggetto e predicato. Nei mammiferi preverbali la

comunicazione ha carattere iconico ed analogico, e verte principalmente sulla struttura

delle relazioni, e solo indirettamente sulle cose. Con il linguaggio accade l’opposto: la

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comunicazione umana riguarda le cose, ma indirettamente rimane sempre discussione

sulle relazioni. Nell’uomo c’è anche una sopravvivenza del codice proprio degli altri

mammiferi, nel cosiddetto linguaggio del corpo, o nell’intonazione della voce. Tale

codice, inoltre, è anche più sviluppato nell’uomo che negli altri animali, giacché dà vita a

fenomeni quali la danza, la musica, la poesia. È proprio attraverso questo codice

cinetico che avviene prevalentemente il discorso sulle relazioni. La permanenza di questo

canale di comunicazione analogico è dovuta, secondo Bateson, al fatto che con il

linguaggio verbale è possibile mentire sulle relazioni, esso può essere falsificato; il

linguaggio cinetico serve quindi a mantenere una certa onestà in questo campo. Il

linguaggio cinetico si serve di una sineddoche per esprimere il tutto attraverso la parte,

ed è volto a creare ridondanza, ossia la possibilità per il ricevente di risalire agli elementi

mancanti nel messaggio con probabilità maggiore di quella che si avrebbe se provasse a

caso. Nell’uomo è inoltre presente una via di mezzo tra questi due codici: il processo

primario, il quale è privo di tempo e negazione, e si serve metafore non ancorate, ossia

isolate dal proprio contesto, che modificano i termini, ma lasciano intatta la relazione,

proprio come avviene nella comunicazione animale. La grande differenza tra questi due

codici è che il linguaggio verbale si serve di cornici metacomunicative che identificano il

genere del messaggio, stabilendo, ad esempio, se va inteso in senso letterale o

metaforico, seriamente, o come un gioco, ecc.

Ogni sistema cibernetico è considerato da Bateson come una mente. La mente è «il

sistema totale che elabora l'informazione e che completa il procedimento per tentativi ed

errori» (Verso un’Ecologia della Mente). Una mente opera sulla base di differenze. La

differenza non è nelle cose, ma piuttosto nel loro rapporto, essa non è presente né nel

tempo né nello spazio. Per definire la differenza, Bateson ricorre alla dicotomia di

Korzybski tra mappa e territorio. In questo caso la mente è la mappa, mentre la realtà è il

territorio; la differenza è dunque ciò che viene trasferito dal territorio alla mappa. Tra il

numero elevatissimo di differenze esistenti nella realtà, la mente ne considera una piccola

parte, che essa codifica, facendola divenire così informazione. La differenza che viaggia

nei circuiti mentali come informazione è un’idea. Utilizzando due termini gnostici, ripresi

da C.G. Jung, Bateson distingue tra il mondo fisico del pleroma che funziona secondo

forze ed urti, ed il mondo mentale della creatura che funziona secondo differenza,

cosicché in esso anche il nulla, in quanto diverso da qualcosa, può essere fonte di

energia. Comunque questi mondi sono solo astrattamente separabili; la mente è sempre

immanente al sistema.

In Mente e Natura Bateson individua i sei criteri che un sistema deve avere per essere

qualificato come mente. Innanzi tutto, il sistema agisce su differenze. In secondo luogo è

formato da parti collegate da canali attraverso i quali vengono trasmesse le differenze. In

terzo luogo, il sistema dispone di un’energia collaterale. Il quarto criterio è che il

processo mentale «dipende da catene di determinazione circolari e più complesse»

(Mente e Natura). Queste catene fanno sì che il sistema sia auotocorrettivo nella

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direzione dell’equilibrio o dell’instabilità. Il quinto criterio è che gli effetti della differenza

devono essere considerate come trasformate (versioni codificate) della differenza che li

ha preceduti. Questa è una conseguenza del fatto che la mappa non è il territorio,

pertanto nella mente non si avrà mai il territorio, la cosa in sé, ma solo mappe di mappe.

Infine, il sesto criterio è che la descrizione e la classificazione di questi processi di

trasformazione rivelano una gerarchia di tipi logici immanenti ai fenomeni. Bateson si

basa qui sulla teoria di A.N. Whitehead e B. Russell esposta nei Principia Matematica.

La mente deve operare sulla base di livelli diversi, quando la discriminazione tra i livelli

di comunicazione è distorta o confusa ne derivano patologie, tra le quali la più

importante è il doppio vincolo (double bind).

Nella concezione di Bateson, dunque, la mente non si limita agli individui, ma anche la

società e, soprattutto l’ecosistema è una mente. Di più, l’ecosistema è la “vasta Mente”

il sistema più grande ed importante che esista, di cui l’individuo è solo un sottosistema.

È questo l’aspetto olistico dell’ecologia delle idee, la mente individuale è solo un

sottosistema del sistema biologico che connette tutti gli esseri viventi, e che possiede le

caratteristiche di un sistema cibernetico. I confini della mente individuale non sono fissi

ma vanno tracciati in relazione alla ricerca, considerando tutti i canali di cui l’individuo

si serve. Ad esempio nella marcia di un cieco, la mente è costituita dall’uomo, più il

bastone, più la strada, e così via.

Questa concezione ha immediate ripercussioni etiche che Bateson considera molto

attentamente, e che lo portano a criticare la cultura occidentale. L’errore di questa

consiste nel suo carattere dicotomico che separa la ragione dalle emozioni, l’individuo

dalla società e l’umanità dalla natura. Ciò è il risultato della sopravvalutazione della

coscienza. Questa considera solo una piccola parte delle informazioni della mente, e

questa selezione è fatta secondo una finalità. In questo modo la coscienza, che è solo

una parte del più vasto sistema individuo-società-ecosistema, ignora tale connessione, e

rivendica esclusivamente per sé il carattere di mente. La finalità cosciente è

semplificante, non mira alla saggezza, ma all’individuazione del cammino più breve per

raggiungere il proprio fine. La coscienza è stolta perché ignora la natura sistemica del

mondo, credendo di avere il controllo di un sistema di cui è solo una parte. Se

quest’epistemologia errata è presente da secoli, nell’epoca moderna diventa pericolosa

poiché si serve di una tecnologia molto potente che le consente di arrecare gravi danni

all’ambiente circostante. Ogni volta che il sistema viene ignorato a favore della finalità si

generano danni. La finalità cosciente ha fatto sì che da Darwin in poi l’unità di

sopravvivenza nel contesto della selezione naturale sia considerato il singolo individuo, o

la famiglia, o la singola specie; in antitesi alle altre società, razze o specie. Ciò porta a

considerare l’uomo signore e padrone di una natura da sfruttare e manipolare secondo le

finalità coscienti. «Se questa è l'opinione che avete sul vostro rapporto con la natura e se

possedete una tecnica progredita, la probabilità che avete di sopravvivere sarà quella di

una palla di neve all'inferno» (Verso un’Ecologia della Mente). L’uomo distrugge il

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proprio ambiente e non si accorge di distruggere anche se stesso.

Qualcosa di analogo accade al livello della mente individuale. L’io cosciente si separa

del mondo inconscio delle emozioni presunte irrazionali. Ma in realtà le premesse

epistemologiche sulla cui base opera la coscienza sono inconsce, e le emozioni non

sono irrazionali, al contrario operano secondo propri algoritmi, e quindi hanno una

propria logica, anche se tale logica è diversa da quella del linguaggio, e quindi della

coscienza. Ma la pura razionalità finalizzata, senza l’aiuto dell’inconscio, nelle sue

diverse funzioni, è stolta e distruttrice di vita. «La coscienza priva di aiuto deve sempre

tendere all'odio: non solo perché‚ sterminare il prossimo è norma di buon senso, ma per

la ragione più profonda che, vedendo solo archi di circuito, l'individuo è continuamente

sorpreso e necessariamente irritato quando le sue cocciute tattiche si rivoltano a

mordere l'inventore» (Verso un’Ecologia della Mente).

Collegato all’occultamento delle connessioni della coscienza con la mente esterna, la

dissimulazione di quelle con la mente interna produce gli stessi risultati catastrofici. «È il

tentativo di separare l'intelletto dall'emozione che è mostruoso, e secondo me è

altrettanto mostruoso (e pericoloso) tentare di separare la mente esterna da quella

interna, o la mente dal corpo» (Verso un’Ecologia della Mente).

A questa tradizione Bateson contrappone l’ecologia delle idee ossia la riflessione sulle

relazioni tra l’uomo e il sistema in cui vive. Essa mira ad ottenere la saggezza, ossia la

conoscenza del sistema cibernetico. Per raggiungere questo stato è necessario

ricongiungere la coscienza con l’inconscio, e la mente individuale con la più vasta mente

dell’ecosistema; evitando di cadere nell’errore opposto, ossia nell’abbandono della

ragione. I mezzi per ottenere questa connessione sono numerosi, e riguardano le attività

in cui si utilizzano tutti i livelli della mente. Esempi di queste attività sono dati dall’arte in

tutte le sue varie forme, dalla religione, dalla musica, dal contatto con la natura, e

dall’amore. In questa concezione l’unità di sopravvivenza è l’individuo e l’ambiente. È

in questa ricerca della saggezza e della grazia che si esplica il carattere etico dell’ecologia

di Bateson.

ANTROPOLOGIA: ETHOS E SCHISMOGENESI

Originariamente Bateson condivideva l’approccio struttural-funzionalista all’antropologia

proposto da Radcliff-Brown, il quale era stato suo professore. Sarà la sua prima ricerca

empirica presso la tribù degli Iatmul in Indonesia a mostrargli i limiti di questa

prospettiva.

La pratica che mise in evidenza tali limiti fu il Naven, rito che coinvolge il clan ogni volta

che un giovane compie per la prima volta un atto da adulto, rilevante per la società. In

particolare quell’approccio gli sembrò deficitario nella comprensione dell’aspetto

emotivo, centrale nella cerimonia. Fu, dunque, dalla considerazione di tale aspetto che

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partì la riflessione di Bateson.

«Il retroterra emotivo è una causa attiva della cultura» (Naven). Si tratta di ciò che, in

uno scritto successivo, Bateson definirà l’aspetto emotivo dell’unità, punto di vista

fondamentale per la comprensione della cultura. «Quando studiamo la cultura da questo

punto di vista, c'interessa mostrare in tutti i particolari del comportamento la base

emotiva. Vedremo tutto il complesso del comportamento come un meccanismo

accordato e orientato verso la soddisfazione e l'insoddisfazione emotiva degli individui»

(Verso un’Ecologia della Mente).

Ogni cultura standardizza un proprio pattern, il quale stabilisce gli stili di

comportamento che gli individui devono adottare, producendo «una uniformazione degli

aspetti affettivi della personalità degli individui, i quali vengono modificati dalla loro

cultura in modo tale che il comportamento dei singoli ne risulti compatibile dal punto di

vista emotivo» (ibid.). La funzione emotiva del rito consiste nello stabilire le relazioni tra

gli individui, stabilendo il contesto che fornisce il senso di ciascun atto. È in forza di tale

processo che la «logica inerente a una cultura differisce profondamente da quella di altre

culture» (ibid.).

Ogni cultura realizza un carattere comune tra i suoi membri, attraverso un «processo di

differenziazione nelle norme del comportamento individuale risultante da interazioni

cumulative tra individui» (Naven). Il carattere comune è pertanto il risultato delle

«relazioni tra gruppi e individui all'interno della comunità» (Verso un’Ecologia della

Mente). In questo modo il carattere individuale è il risultato dell’interazione tra strutture

correlate, che, per la natura dicotomica del pensiero in occidente, possiedono in esso

carattere bipolare. Esempi possono essere: autorità-sottomissione, ammirazione-

esibizionismo, assistenza-dipedenza. Questa correlazione fa sì che se l’individuo

manifesta uno dei due termini della struttura, in esso è presente anche l’altro. «Ora, tutto

ciò che sappiamo sul meccanismo della formazione del carattere – specialmente i

processi di proiezione, formazione delle reazioni, compensazione e simili – ci porta a

ritenere che queste strutture bipolari siano unitarie all'interno dell'individuo. Se sappiamo

che un individuo è abituato a esprimere palesemente metà di una di queste strutture, per

esempio un comportamento autoritario, possiamo arguire con sicurezza (anche se non in

termini precisi) che nella sua personalità sono allo stesso tempo contenuti i germi

dell'altra metà, cioè della sottomissione» (ibid.). Questa teoria è definita da Bateson

degli estremi legati (endlinkage), essi riguardano la struttura qualitativa dei contesti. Il

fenomeno degli estremi legati mostra che il contesto può essere esso stesso messaggio.

Il carattere individuale è, dunque, il risultato di un processo sociale. Grazie a tale

processo le emozioni individuali possono esprimersi solo nell’ambito di un pattern

sociale, che Bateson chiama Ethos, definito come «un sistema culturalmente uniformato

di organizzazione degli istinti e delle emozioni degli individui» (Naven).

L’aspetto quantitativo, relativo all’intensità del processo di interazione, porta ad una

differenziazione, la quale può avere come effetto ciò che Bateson definisce

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schismogenesi. Questa è il risultato possibile del contatto non solo tra culture, ma anche

tra gruppi all’interno della stessa cultura.

Bateson distingue due casi di differenziazione: «a) casi in cui la relazione è

eminentemente simmetrica, per esempio nella differenziazione di fazioni, clan, villaggi,

delle nazioni europee; e b) casi in cui la relazione è complementare, per esempio nella

differenziazione di strati sociali, classi, caste, categorie di anzianità e, in certi casi, la

differenziazione culturale tra i sessi» (Verso un’Ecologia della Mente).

La differenziazione simmetrica comprende tutte quelle situazioni in cui «gli individui di

due gruppi, A e B, hanno le stesse aspirazioni e le stesse strutture di comportamento,

ma sono differenziati quanto all'orientazione di queste strutture. Così i membri del

gruppo A manifestano le strutture di comportamento A, B, C nei loro rapporti interni,

mentre adottano le strutture X, Y, Z nei rapporti con elementi del gruppo B.

Analogamente il gruppo B adotta le configurazioni A, B, C nei rapporti interni e

manifesta X, Y, Z nei rapporti col gruppo A» (ibid.). Ciò comporta una sequenza nella

quale si determinano ed aggravano fratture e divisioni, giacché «in questo modo si crea

una situazione in cui il comportamento X, Y, Z è la risposta consueta ad X, Y, Z.

Questa situazione contiene elementi che possono condurre a una differenziazione

progressiva o schismogenesi lungo le stesse linee. Qualora ad esempio tra le strutture X,

Y, Z ci sia la vanteria, se alle vanterie si replica con vanterie, è verosimile che ciascuno

dei due gruppi induca l'altro a una dilatazione eccessiva della struttura, processo che, se

non viene frenato, può solo condurre a una rivalità sempre più spinta e infine all'ostilità e

al collasso dell'intero sistema» (ibid.). Questo è il caso della schismogenesi simmetrica.

La differenziazione complementare comprende, invece, «tutti quei casi in cui il

comportamento e le aspirazioni dei membri dei due gruppi sono fondamentalmente

diversi. Così i membri del gruppo A trattano fra loro con le strutture L, M, N, e

manifestano le strutture O, P, Q nei rapporti col gruppo B. In risposta ad O, P, Q i

membri del gruppo B manifestano le strutture U, V, W, ma tra loro adottano le strutture

R, S, T. Ne segue dunque che O, P, Q è la risposta ad U, V, W, e viceversa» (ibid.).

Anche in questo caso la differenziazione può diventare progressiva producendo fratture

insanabili. «Se, per esempio, la serie O, P, Q include strutture che da un punto di vista

culturale sono considerate assertive, mentre U, V, W includono la soggezione culturale,

è possibile che la soggezione induca ulteriore assertività, che a sua volta indurrà ulteriore

soggezione. Tale schismogenesi, se non viene frenata, conduce a una progressiva

distorsione unilaterale della personalità dei membri dei due gruppi, che sfocia in una

reciproca ostilità» (ibid.). È questa la schismogenesi complementare, la quale comporta

gli stessi effetti di quella simmetrica, in quanto «inevitabilmente conduce al collasso

finale del sistema» (ibid.).

Le sequenze schismogenetiche sono, quindi, di due tipi: «a) schismogenesi simmetrica,

ove le azioni reciprocamente stimolanti di A e di B [sono] sostanzialmente simili, ad

esempio in casi di competizione, rivalità e simili; e b) schismogenesi complementare,

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ove le azioni reciprocamente stimolanti [sono] sostanzialmente dissimili, ma

reciprocamente appropriate, ad esempio in casi di autorità-sottomissione, assistenza-

dipendenza, esibizionismo-ammirazione e simili» (ibid.).

La schismogenesi è dunque una sequenza di interazioni cumulative che porta ad una

frattura e differenziazione insanabile tra i gruppi nei rapporti tra i quali si verificano. Tale

frattura renderà impossibile la convivenza ed inevitabile il conflitto.

La “tensione schismogenetica”, ossia la tendenza ad impegnarsi in sequenze

d’interazione cumulativa, è considerata da Bateson come caratteristica degli esseri

umani. Essa è collegata al fatto che mentre tutti mammiferi hanno un sistema di valori

multidimensionale, tra i quali cercano un equilibrio, negli uomini a quest’impostazione

primaria si sovrappongono contesti nell’ambito dei quali essi cercano di massimizzare

alcune variabili determinate. È questa ricerca della massimizzazione che provoca la

tensione. Contesti in grado di raggiungere tale risultato sono quelli competitivi. «I

contesti competitivi – purché gli individui possano essere posti in condizione di

riconoscerli come tali – riducono inevitabilmente la complessa gamma dei valori a

termini semplicissimi e addirittura lineari e monotòni. Considerazioni di questo tipo, più

le descrizioni delle regolarità nel processo di formazione del carattere, sono

probabilmente sufficienti a descrivere come scale di valori semplici vengano imposte ai

singoli mammiferi in società competitive, come quella Iatmul o quella dell'America del

Novecento» (ibid.).

La tensione, quindi, non va concepita come una curva infinitamente crescente, ma tale

curva è limitata dal fatto che il raggiungimento di un certo grado di intensità è seguito da

un rilassamento dalla tensione schismogenetica. È la ricerca di un simile stato di

liberazione, in tutto e per tutto simile all’orgasmo che, secondo Bateson, spinge gli

uomini ad azioni contrarie al “buon senso” (come la guerra), collegando così la morte e

l’amore.

L’ethos delle società schismogenetiche deve necessariamente comprendere dei fattori

frenanti, al fine di evitare che l’interazione cumulativa porti alla distruzione del sistema.

Bateson considera cinque di tali fattori:

a) La convivenza e contrapposizione tra sequenze simmetriche e complementari: «è

possibile che una piccolissima dose di comportamento complementare in una

relazione simmetrica, o una piccolissima dose di comportamento simmetrico in

una relazione complementare contribuisca in modo cospicuo alla stabilizzazione

della situazione. Esempi di questo tipo di stabilizzazione sono forse comuni: il

signorotto è in una relazione essenzialmente complementare, e non sempre

comoda, con gli abitanti del villaggio; ma se gioca a cricket con loro (rivalità

simmetrica) anche solo una volta all'anno, ciò può avere, su quella relazione, un

effetto stranamente sproporzionato» (ibid.).

b) La reciproca dipendenza alla quale possono portare le sequenze complementari.

c) L’esistenza di elementi di reciprocità, i quali sono, però, spesso deboli.

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d) La lealtà o l’avversione per un elemento esterno

e) Lo sviamento dell’attenzione verso circostanze esterne.

Non necessariamente una società è schismogenetica. Le relazioni tra i gruppi possono

anche basarsi sulla reciprocità. «In questo caso i membri di ciascun gruppo nei loro

rapporti con l'altro gruppo adottano le strutture di comportamento X e Y, ma invece

della configurazione simmetrica, in cui X è risposta a X, e Y a Y, si osserva che X è

risposta ad Y» (ibid.). È questo ciò che avviene nella società di Bali che cerca di

mantenere lo stato stazionario.

Bateson distingue, pertanto, due tipi di sistemi sociali. In primo luogo i sistemi

schismogenetici, come le società moderne, i quali comprendono numerosi “circoli

viziosi” costituiti da due o più individui che partecipano ad un’interazione

potenzialmente cumulativa. «Ne segue dunque che in un tale sistema schismogenico – se

non viene regolato – può intervenire una crescita eccessiva di quegli atti che sono

caratteristici della schismogenesi» (ibid.). In secondo luogo, gli stati stazionari, come la

società balinese, nei quali le sequenze schismogenetiche non si verificano. Una cultura

può dunque creare contesti nei quali alla naturale tendenza umana all’interazione

cumulativa venga impedito di manifestarsi, attraverso un ethos, interiorizzato dagli

individui sin dall’infanzia, che ricerchi il mantenimento dello stato stazionario. Quindi le

tendenze schismogenetiche «operano nella dinamica della società solo se l'educazione

ricevuta nell'infanzia non è tale da impedirne l'espressione nella vita adulta» (ibid.).

PSICHIATRIA: IL DOUBLE BIND

Nel campo psichiatrico e psicoterapeutico il nome di Bateson è legato ad una teoria

relativa all’eziologia della schizofrenia. Questa teoria individua nella comunicazione la

matrice sociale che genera questa forma di psicosi, ed ha dato vita alla scuola sistemica.

La comunicazione è studiata da Bateson attraverso la teoria dei Tipi Logici di Russell e

Whitehead. Come è noto, tale teoria afferma, tra l’altro, che vi è una discontinuità tra

una classe ed i suoi elementi. Una classe non può essere elemento di se stessa, ne uno

degli elementi può essere la classe, giacché la classe è di un tipo logico diverso rispetto

ai propri elementi

Tale gerarchia di livelli diversi si ritrova anche nella comunicazione. «La comunicazione

verbale umana può operare, e in effetti opera sempre, a molti livelli di astrazione tra loro

contrastanti» (Verso un’Ecologia della Mente). Tale diversificazione si verifica poiché

ogni enunciato è autoriflessivo. «Una data espressione è contemporaneamente

un’affermazione su se stessa» (La matrice Sociale della Psichiatria). Questo

messaggio, astratto e quasi sempre implicito, che comunica sulla comunicazione è

definito metacomunicativo. A questi livelli più astratti l’oggetto del discorso è la

relazione tra gli interlocutori. Il livello metacomunicativo fornisce l’inquadramento, il

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contesto nell’ambito del quale interpretare il messaggio.

L’altro livello astratto in cui si sviluppa il linguaggio è quello metalinguistico, relativo alle

relazioni tra le parole e ciò che esse denotano, relazione paragonabile a quella tra mappa

e territorio.

L’inquadramento psicologico diventa una necessità per l’individuo, poiché la

comunicazione si serve di segnali che possono essere utilizzati per simulare, negare,

amplificare, ingannare, ecc. In altri termini, i messaggi non sono solo descrittivi, ma

possono essere relativi a metafore, miti, scherzi, fantasie, menzogne.

L’inquadramento psicologico serve, dunque, a delimitare una classe di messaggi,

fornendo le premesse necessarie per interpretarli. Esso ha funzione inclusiva per certi

messaggi ed esclusiva per altri. La funzione della mente è la codificazione, ossia la

traduzione delle informazioni provenienti dall’esterno. «È chiaro che la mente non

contiene né oggetti né eventi – né maiali, né palme, né madri – ma contiene soltanto

trasformate, percezioni, immagini, eccetera, insieme con certe regole per generare queste

trasformate, percezioni, eccetera» (Verso un’Ecologia della Mente). Tali regole sono in

larga misura inconsce, quindi obbediscono al processo primario. Per poter operare, la

mente necessita di un inquadramento, di una cornice, che la informi su come devono

essere intesi i messaggi, ad esempio se in senso letterale o metaforico, reale o fantastico,

veritiero o simulato, ecc. Questo inquadramento è fornito dai messaggi

metacomunicativi.

Tale funzione è resa ancora più importante e necessaria dal fatto che la comunicazione si

caratterizza per provocare necessariamente dei paradossi, i quali fanno venire meno la

discontinuità tra classe ed elementi. Essa non rientra negli angusti limiti della teoria dei

Tipi logici. Si consideri, come esempi, un messaggio aggressivo qualificato da

movimenti, posture, toni di voce, comunicanti che esso è solo un gioco; oppure delle

parole arrabbiate dette ridendo. Nel linguaggio umano la possibilità di paradossi

aumenta, poiché in esso vengono utilizzati due canali: digitale (verbale) per lo scambio

delle informazioni; analogico (gesti, tono di voce, ecc.), per lo scambio dei messaggi

metacomunicativi. Tali paradossi sono alla base dello sviluppo della lingua. «L'ipotesi

che gli uomini potrebbero o dovrebbero obbedire alla Teoria dei Tipi logici nelle loro

comunicazioni non sarebbe solo cattiva storia naturale; se non obbediscono alla Teoria

non è solo per negligenza o per ignoranza. Riteniamo, viceversa, che i paradossi

dell'astrazione debbano intervenire in tutte le comunicazioni più complesse di quelle dei

segnali di umore, e che senza questi paradossi l'evoluzione della comunicazione si

arresterebbe. La vita sarebbe allora uno scambio senza fine di messaggi stilizzati, un

gioco con regole rigide e senza la consolazione del cambiamento o dell'umorismo»

(Verso un’Ecologia della Mente). Il paradosso comporta un’evoluzione del linguaggio

poiché rende sempre più evidente la differenziazione tra mappa e territorio, ossia tra la

parola e l’oggetto che essa dovrebbe denotare.

Gli inquadramenti che comportano tali paradossi sono definiti da Bateson

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transcontestuali. Innanzi tutto, tra gli inquadramenti appartenenti a questa categoria

Bateson considera il gioco. Esso comporta un paradosso per la teoria di Russell, poiché

serve a distinguere messaggi di tipo logico diverso, ossia quelli che Bateson chiama

segni d’umore, e quelli che simulano i segni d’umore (rendendo evidente la distinzione

tra mappa e territorio). Infatti, il messaggio: “questo è un gioco” implica che si

compiono azioni che ne denotano altre, ma non si denota ciò che queste ultime

tipicamente denotano. «Il mordicchiare giocoso denota il morso, ma non denota ciò che

sarebbe denotato dal morso» (Verso un’Ecologia della Mente). Secondo la teoria dei

Tipi logici questo è un paradosso, poiché il termine “denota” è utilizzato a livelli di

astrazioni diversi, e questi sono considerati sinonimi. Il carattere paradossale del

messaggio: “questo è un gioco” deriva, quindi, da due caratteristiche, che sono proprie

di ogni inquadramento transcontestuale. «a) che i messaggi o segnali scambiati nel gioco

sono in un certo senso non veri o non sono quelli che si hanno in mente; e b) che ciò

che viene denotato da questi segnali è inesistente» (Verso un’Ecologia della Mente).

Gli altri inquadramenti paradossali considerati da Bateson sono: la minaccia, l’inganno,

l’istrionismo, l’umorismo, la comicità, il rituale, la fantasia, la metafora, la poesia, l’arte,

e l’apprendimento.

La caratteristica centrale della schizofrenia consiste appunto nell’incapacità di

interpretare i messaggi dello stesso tipo logico di “questo è un gioco”, ossia i segnali

che indicano di che genere è il messaggio. «Difficoltà di fronte a segnali di questo tipo

sembrano costituire il nucleo di una sindrome che è caratteristica di un certo gruppo di

schizofrenici, ed è quindi ragionevole cercare un'eziologia a partire da questa

sintomatologia, quando essa sia formalmente definita» (Verso un’Ecologia della

Mente). Lo schizofrenico si caratterizza per l’incapacità di comprendere il genere dei

messaggi altrui, nonché quello dei propri messaggi, e delle proprie percezioni e

sensazioni. Giacché la capacità inconscia di comprendere i segnali metacomunicativi è

acquisita con l’apprendimento, bisogna individuare le cause che ne hanno inibito lo

sviluppo nel bambino. È da queste premesse che si sviluppa la teoria del doppio

vincolo.

Secondo tale teoria la schizofrenia è il risultato del modello comunicativo esistente nella

famiglia, che impone una sequenza di strutture comunicative aventi carattere traumatico.

Tale struttura ha alcuni elementi formali peculiari. Innanzi tutto essa si verifica nel

rapporto madre-figlio, anche se è possibile la partecipazione degli altri membri della

famiglia. In secondo luogo l’esistenza di due imposizioni, afferenti diversi livelli

comunicativi, tra loro contraddittorie. Entrambe sono collegate ad una punizione (come

ad esempio la perdita dell’affetto), e la seconda è, di solito, comunicata con mezzi non

verbali che negano la prima. Un altro elemento è l’impossibilità di qualsiasi

discriminazione tra le alternative o commento sul vincolo; o fuga dallo stesso. Infine,

deve trattarsi di un’esperienza ripetuta nel tempo.

L’individuo si trova prigioniero di due ordini dei quali l’uno nega l’altro, situazione che

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provoca un profondo senso di angoscia, frustrazione e depersonalizzazione, nonché il

venir meno della sua capacità di comprendere e formulare messaggi metacomunicativi.

«Noi avanziamo l'ipotesi che, ogni volta che un individuo si trova in una situazione di

doppio vincolo, la sua capacità di discriminazione fra tipi logici subisca un collasso»

(Verso un’Ecologia della Mente).

Questa situazione è tipica del rapporto tra il futuro schizofrenico e la madre, ma può

presentarsi anche nei rapporti normali, generando reazioni difensive, simili a quelle dello

schizofrenico. Questo comportamento difensivo è esteso dallo schizofrenico a tutte le

sue relazioni, anche a quelle in cui non sarebbe necessario; oltre a ciò, egli è del tutto

inconsapevole di starsi difendendo.

Inoltre, il doppio vincolo fa sì che la capacità di distinguere i tipi logici venga meno nello

schizofrenico anche per i propri messaggi, cosicché essi assumeranno un carattere

sempre più metaforico ed impersonale, apparentemente assurdo, ma in sé del tutto

logico. «Se un individuo ha trascorso la vita in un rapporto di doppio vincolo del tipo

qui descritto, i suoi rapporti con gli altri dopo una crisi psicotica dovrebbero possedere

una struttura sistematica. In primo luogo costui non userebbe quei segnali che, presso

gli individui normali, accompagnano i messaggi per indicare cosa si intende dire; cioè il

suo sistema metacomunicativo (le comunicazioni sulla comunicazione) si sarebbe

guastato, ed egli non saprebbe specificare il genere dei messaggi» (Verso un’Ecologia

della Mente).

A questo punto lo schizofrenico ha di fronte a sé tre alternative: potrebbe ritenere che

ogni messaggio contenga un significato nascosto, pericoloso per il proprio benessere,

può quindi diventare paranoico. Oppure potrebbe scegliere l’alternativa opposta e

prendere alla lettera tutti i messaggi che gli vengono rivolti, diverrebbe, in questo caso,

ebefrenico. Infine potrebbe scegliere di ignorare i messaggi dell’ambiente, e fare il

possibile per evitare una risposta da parte dello stesso, divenendo chiuso e silenzioso,

assumerebbe così un atteggiamento catatonico.

La schizofrenia, nelle diverse forme che assume, può, dunque, essere considerata una

risposta “normale” ad una situazione familiare patogena; essa non è un problema

individuale ma di gruppo. Nella famiglia la comunicazione svolge una funzione

omeostatica volta al mantenimento della stabilità delle relazioni esistenti, necessaria per la

sua sopravvivenza. Nel caso in cui tale equilibrio sia schizofrenico, la stabilità è

mantenuta attraverso il “sacrificio” del componente più debole che assume su di sé tutta

la follia. «Il paziente identificato si sacrifica per mantenere la sacra illusione che quanto

dice il genitore ha senso» (Verso un’Ecologia della Mente). Attraverso la schizofrenia

manifesta del figlio, i genitori riescono a mantenere un’apparenza di normalità che copre

la loro schizofrenia celata, occultando i loro disturbi. Sono tre le caratteristiche formali

di questo genere di famiglia: una madre che ha reazioni di ansia e di ostilità ogni volta ci

sia la possibilità di un rapporto intimo ed affettuoso con il figlio; l’inaccettabilità per la

madre di tali sentimenti di odio, che la porterà a negarli simulando affettuosità; l’assenza

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di una terza persona in grado di intervenire nei rapporti madre-figlio a favore di

quest’ultimo.

Questa situazione fa sì che la madre emetta due messaggi, di ordine diverso (essendo il

secondo un commento al primo), tra loro contraddittori: ostilità o ripiegamento quando

il bambino si avvicina, affetto simulato quando il bambino reagisce al comportamento

ostile della madre. «Il problema della madre è quello di regolare la sua ansietà regolando

la vicinanza e la distanza che la separano dal bambino. In altre parole, se la madre

comincia a sentirsi affezionata e vicina al figlio, comincia anche a sentirsi in pericolo, e

deve ritrarsi da lui; ma ella non può accettare questo atto di ostilità e, per negarlo, deve

simulare affetto e propensione per il bambino» (Verso un’Ecologia della Mente).

Se il bambino vuole evitare una punizione della madre, deve prendere per vera la

simulazione di affetto di quest’ultima, deve, quindi, distorcere le proprie percezioni per

non discriminare i diversi ordini di messaggi. Il doppio vincolo consiste nell’essere

punito per aver indovinato l’interpretazione. Ma l’errore non risolve il problema, poiché

se credesse alla simulazione, il bambino si avvicinerebbe alla madre, provocando la sua

reazione ostile, che lo spingerebbe a ritirarsi. «Ma se allora il bambino a sua volta si

ritraesse, la madre prenderebbe questo allontanarsi come un'affermazione che lei non è

una madre amorevole, e quindi o punirebbe il figlio per essersi allontanato o gli si

accosterebbe per farlo tornare a sé; ma se a questo punto egli le si avvicinasse, ella

reagirebbe respingendolo di nuovo. Il bambino dunque è punito se discrimina

correttamente i messaggi della madre, ed è punito se li discrimina erroneamente: è

preso in un doppio vincolo» (Verso un’Ecologia della Mente).

Le famiglie schizofreniche sono, dunque, caratterizzate dal fatto che la madre non voglia

essere compresa, perché non può accettare né il proprio figlio, né tale rifiuto. Il doppio

vincolo descrive la sua ricerca mascherata di relazioni distanti, travestita da concomitanti

dimostrazioni di comportamento amorevole. Un bambino che cerca una relazione è

respinto, ma i suoi sforzi di ritirarsi sono puniti anch’essi. Gli sforzi di distinguere i

diversi livelli, e di chiedere il significato della relazione sono anch’essi puniti, cosicché

viene inibita la sua capacità di formarsi un’impressione della realtà e di crederle.

Benché il doppio vincolo si riferisca a sequenze di interazioni, è possibile rendere molti

dei suoi caratteri con un singolo esempio. Una giovane donna ricoverata in una clinica

per schizofrenia migliorò abbastanza da ottenere un permesso di uscita, e di scegliersi i

vestiti per l’occasione. Quando i suoi genitori vennero a trovarla, sua madre mostrò

immediatamente il proprio disappunto per i vestiti della figlia, affermando che essi

manifestavano “un gusto eccessivamente giovanile”. La figlia fu costretta a cambiarsi

d’abito, indossando vestiti scelti dalla madre. “Ecco adesso sembri più grande!”, fu il

commento di quest’ultima. La situazione della giovane donna peggiorò, ed essa scivolò

presto in una condizione psicotica.

La reazione enfatica della madre all’indipendenza della figlia fu coperta dal messaggio

verbale per il quale questa doveva sembrare più grande. La figlia deve essere adulta ed

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indipendente, ma allo stesso tempo bambina e quindi dipendente. Incoraggiata ad essere

donna e bambina, indipendente e dipendente, vicina e lontana, la paziente rispose con un

comportamento psicotico. Una donna trasformata in bambina dalla malattia fu incapace

di indipendenza, ma troppo disturbata per essere a casa: non era né troppo lontana, né

troppo vicina. La sua relazione con la madre era preservata.

In conclusione, per Bateson la schizofrenia è un problema di adattamento al modello di

comunicazione patologico presente nel gruppo, quest’ultimo inteso come una relazione

tra un insieme di persone condividenti certe premesse sul significato dei messaggi.

Benché non neghi l’esistenza di un fattore genetico, Bateson individua

nell’apprendimento la causa principale della psicosi. Anche l’apprendimento comporta

una gerarchia di tipi. Al livello più basso c’è il proto-apprendimento che è il tipo più

semplice di apprendimento. Al livello superiore c’è il deutero-apprendimento con il

quale l’individuo apprende ad apprendere. Il deutero-apprandimento forma l’abitudine

che consiste in una particolare segmentazione del flusso degli eventi. Attraverso il

deutero-apprendimento, quindi, si forma il carattere o epistemologia, ed è attraverso

questo processo che si forma la schizofrenia. Pertanto la terapia deve mirare ad un

cambiamento dell’epistemologia, del modo di concepire la personalità-nel-mondo.

La sopravvivenza del sistema ha sempre una priorità su quella dei suoi componenti. In

questo ambito gioca un ruolo fondamentale la comunicazione, che in tutti i mammiferi è

comunicazione sulle relazioni, e solo negli umani può riguardare anche altro, senza però

mai perdere il proprio carattere originario; pertanto anche negli umani ogni messaggio

verte anche sulla relazione esistente tra gli interlocutori, e comunicherà su di esse in

modo non-verbale, cinetico. Questo aspetto Bateson lo definisce funzione μ del

linguaggio. La sopravvivenza del sistema, dunque, è mantenuta attraverso cambiamenti

adattivi dei membri, e proprio qui sta la possibilità delle patologie, se il sistema è

patogeno tale adattamento porterà necessariamente ad una schizofrenia.

Il doppio vincolo si verifica ogni volta che un individuo riceve due imposizioni

contraddittorie, se non esistono vie di fuga, l’individuo è portato ad un comportamento

schizofrenico. La schizofrenia comporta una forma paradossale di comunicazione che è

la stessa dalla quale emergono la poesia, il comico, l’umorismo, l’arte, il sogno, ecc.

Essa possiede una propria logica, la logica metaforica, la quale sembra assurda poiché

volutamente elimina i riferimenti al un contesto, per non essere compresa. Più che alla

terapia, Bateson è interessato a quello che la schizofrenia trasmette intorno alla

comunicazione. Il double bind può indurre nell’individuo una forte sofferenza, ma se si

è in grado di resistere al loro portato patologico «l'esperienza complessiva può favorire

la creatività» (Verso un’Ecologia della Mente).

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