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- 1 © 2011 RCS Libri S.p.A., Milano/La Nuova Italia – M. Sambugar, G. Salà - Letteratura+ sezione-1 Da Roma capitale al primo dopoguerra - 1 Grazia-Deledda La-vita-e-le-opere Grazia Deledda nacque a Nuoro nel 1871 da una famiglia agiata. Interrotti gli studi fin dalle scuole elementari, fu un’autodidatta e mosse i primi passi nel mondo letterario a diciassette anni, con il racconto Sangue sardo. Del 1892 è Fior di Sardegna, che ottenne qualche recensione favorevole. Dal 1894 al 1895 si interessò di et- nologia (la scienza che studia i sistemi culturali dei popoli), pubblicando a puntate su una rivi- sta specializzata Tradizioni popolari di Nuoro in Sardegna; sempre in quegli anni pubblicò Anime oneste (1895) e La via del male (1896). Il 1900 fu un anno particolarmente importante, per diver- si motivi per la Deledda: si sposò con Palmiro Madesani, un funzionario del Ministero delle Fi- nanze, e si trasferì a Roma, dove pubblicò Elias Portolu (1903). Nel 1904 uscì Cenere, da cui ven- ne tratto un film interpretato da Eleonora Duse (1916) cui seguirono Colombi e sparvieri (1912), Canne al vento (1913) e La madre (1920). Il 10 settembre 1926 le fu assegnato il premio Nobel per la letteratura, tuttora l’unico attribuito a una scrittrice italiana. L’ultimo romanzo pubblicato in vita, l’anno stesso della sua morte, è La Chiesa della solitudine (1936), mentre l’anno dopo uscì postumo Cosima, quasi Grazia, di ispirazione autobiografica (il nome della Deledda, in realtà, era Grazia Cosima). Canne al vento (1913) La- trama- e- il- significato- dell’opera-- Canne al vento è un romanzo imperniato sulla figura del vecchio servo Efix, devoto alle sue padrone (le sorelle Ruth, Noemi ed Ester Pintor), discen- denti di una famiglia potente e facoltosa, ma ora decaduta; egli coltiva l’unico podere rimasto di proprietà delle sorelle, che vivono del raccolto. Ma la vita di Efix è condizionata da un segreto: una quarta sorella, Lia, era fuggita dalla casa pa- terna per sottrarsi alla segregazione cui il padre condannava le figlie. Il padre aveva cercato di fer- mare Lia, ma Efix, probabilmente innamorato di lei, l’aveva aiutata contrastando il padrone che, nella colluttazione, era rimasto ucciso accidental- mente. Nessuno conosce questo segreto, tuttavia Efix si sente responsabile della morte del padrone e, di conseguenza, ne protegge in tutti i modi le figlie. All’inizio del romanzo, Giacinto, figlio di Lia, ormai morta, si presenta nella casa delle zie. Il giovane, conducendo una vita dissoluta, porta alla rovina le zie che si vedono costrette a ven- dere il loro podere a Don Predu, un ricco cugino respinto da Noemi (attratta, invece, dal nipote Giacinto). Il servo Efix si crede responsabile di una maledizione che regna sulla casa, perciò si allontana dal paese. Giacinto sposa infine Grixen- da, figlia di una serva, e Noemi accetta di sposare Don Predu. Finalmente Efix può trovare la pace: muore il giorno delle nozze di Noemi, dopo aver confessato il suo segreto al prete. Il titolo Canne al vento simboleggia la precarietà della vita umana, come dice Efix a Ester: «Sia- mo canne, e la sorte è il vento»; e alla domanda del perché del destino, Efix aggiunge: «E il vento, perché? Dio solo lo sa». Il-contenuto-folclorico--Con Canne al vento l’au- trice è riuscita a dare risalto alla componente più cupa, e al contempo irrazionale, dell’animo uma- no. Anche le descrizioni dei paesaggi selvaggi e pittoreschi della campagna sarda fanno emergere gli aspetti più istintivi della sensibilità della De- ledda, quando racconta le leggende locali che parlano di luoghi popolati da spiriti, come le pa- nas (gli spiriti delle donne morte di parto) che si ritrovano a lavare i panni nel fiume e si fanno sen- tire con il loro battere i panni, dall’ammattadore, un folletto che nei suoi sette berretti conserva un tesoro, da nani e janas, fate che vivono in case di roccia nelle quali tessono stoffe d’oro. Queste leg- gende contribuiscono a dare un’immagine quasi mitica della Sardegna più primitiva. La- poetica-- Considerata da molti una scrittri- ce verista per l’ambientazione dei suoi romanzi, popolati da personaggi umili e nobili, la Deledda

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Page 1: GraziaDeledda - Rizzoli Educationauladigitale.rizzolieducation.it/document_filter/6434/...Grazia Deledda La vita e le opere Grazia Deledda nacque a Nuoro nel 1871 da una famiglia agiata.

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Il­romanzo­italianotra Ottocento e Novecento

© 2011 RCS Libri S.p.A., Milano/La Nuova Italia – M. Sambugar, G. Salà - Letteratura+

sezione­1 Da Roma capitale al primo dopoguerra

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Grazia­Deledda

La­vita­e­le­opere

Grazia Deledda nacque a Nuoro nel 1871 da una famiglia agiata. Interrotti gli studi fin dalle scuole elementari, fu un’autodidatta e mosse i primi passi nel mondo letterario a diciassette anni, con il racconto Sangue sardo. Del 1892 è Fior di Sardegna, che ottenne qualche recensione favorevole. Dal 1894 al 1895 si interessò di et-nologia (la scienza che studia i sistemi culturali dei popoli), pubblicando a puntate su una rivi-sta specializzata Tradizioni popolari di Nuoro in Sardegna; sempre in quegli anni pubblicò Anime oneste (1895) e La via del male (1896). Il 1900 fu un anno particolarmente importante, per diver-si motivi per la Deledda: si sposò con Palmiro

Madesani, un funzionario del Ministero delle Fi-nanze, e si trasferì a Roma, dove pubblicò Elias Portolu (1903). Nel 1904 uscì Cenere, da cui ven-ne tratto un film interpretato da Eleonora Duse (1916) cui seguirono Colombi e sparvieri (1912), Canne al vento (1913) e La madre (1920). Il 10 settembre 1926 le fu assegnato il premio Nobel per la letteratura, tuttora l’unico attribuito a una scrittrice italiana. L’ultimo romanzo pubblicato in vita, l’anno stesso della sua morte, è La Chiesa della solitudine (1936), mentre l’anno dopo uscì postumo Cosima, quasi Grazia, di ispirazione autobiografica (il nome della Deledda, in realtà, era Grazia Cosima).

Canne al vento (1913)

La­ trama­ e­ il­ significato­ dell’opera­ ­ Canne al vento è un romanzo imperniato sulla figura del vecchio servo Efix, devoto alle sue padrone (le sorelle Ruth, Noemi ed Ester Pintor), discen-denti di una famiglia potente e facoltosa, ma ora decaduta; egli coltiva l’unico podere rimasto di proprietà delle sorelle, che vivono del raccolto. Ma la vita di Efix è condizionata da un segreto: una quarta sorella, Lia, era fuggita dalla casa pa-terna per sottrarsi alla segregazione cui il padre condannava le figlie. Il padre aveva cercato di fer-mare Lia, ma Efix, probabilmente innamorato di lei, l’aveva aiutata contrastando il padrone che, nella colluttazione, era rimasto ucciso accidental-mente. Nessuno conosce questo segreto, tuttavia Efix si sente responsabile della morte del padrone e, di conseguenza, ne protegge in tutti i modi le figlie. All’inizio del romanzo, Giacinto, figlio di Lia, ormai morta, si presenta nella casa delle zie. Il giovane, conducendo una vita dissoluta, porta alla rovina le zie che si vedono costrette a ven-dere il loro podere a Don Predu, un ricco cugino respinto da Noemi (attratta, invece, dal nipote Giacinto). Il servo Efix si crede responsabile di una maledizione che regna sulla casa, perciò si allontana dal paese. Giacinto sposa infine Grixen-da, figlia di una serva, e Noemi accetta di sposare Don Predu. Finalmente Efix può trovare la pace:

muore il giorno delle nozze di Noemi, dopo aver confessato il suo segreto al prete.Il titolo Canne al vento simboleggia la precarietà della vita umana, come dice Efix a Ester: «Sia-mo canne, e la sorte è il vento»; e alla domanda del perché del destino, Efix aggiunge: «E il vento, perché? Dio solo lo sa».

Il­contenuto­folclorico­­Con Canne al vento l’au-trice è riuscita a dare risalto alla componente più cupa, e al contempo irrazionale, dell’animo uma-no. Anche le descrizioni dei paesaggi selvaggi e pittoreschi della campagna sarda fanno emergere gli aspetti più istintivi della sensibilità della De-ledda, quando racconta le leggende locali che parlano di luoghi popolati da spiriti, come le pa-nas (gli spiriti delle donne morte di parto) che si ritrovano a lavare i panni nel fiume e si fanno sen-tire con il loro battere i panni, dall’ammattadore, un folletto che nei suoi sette berretti conserva un tesoro, da nani e janas, fate che vivono in case di roccia nelle quali tessono stoffe d’oro. Queste leg-gende contribuiscono a dare un’immagine quasi mitica della Sardegna più primitiva.

La­ poetica­ ­Considerata da molti una scrittri-ce verista per l’ambientazione dei suoi romanzi, popolati da personaggi umili e nobili, la Deledda

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tuttavia è difficilmente riconducibile a una cor-rente precisa. Sicuramente la sua narrativa risen-te di un influsso verista, ma la sua specificità regionale la rende unica, nelle descrizioni delle feste locali in cui si mescolano sacro e profano, nella conoscenza del folclore e delle sue tradi-

zioni, nell’uso della lingua che, spesso, si avvale del sardo. Attraverso le sue opere scopriamo un mondo arcaico pieno di regole non scritte, in cui sopravvivono valori e comportamenti che fanno parte di un codice fortemente radicato nella po-polazione.

Efix avverte il presentimento che è arrivata la sua ora e, in qualche modo, si sente adesso libero di morire: Noemi si sposerà e aiuterà economicamen-te la sorella Ester.Il vecchio servo non ha più il dovere di proteggere le

padrone, eppure è ancora legato alla vita dal senso di colpa per l’uccisione del padrone; quando ne av-vertirà il peso insostenibile, chiederà di confessarsi. Il giorno del matrimonio di Noemi, Efix, che ha de-dicato l’intera vita alle sorelle Pintor, morirà solo.

Una morte in solitudine(canne al vento, cap. 17)

CONTENUTI Le tradizioni popolari Il rapporto servo-padrone nella società agricola della Sardegna

Efix era di nuovo laggiù, al poderetto. Terminata la buona stagione, raccolte le frutta, Zuannantoni1, a cui il padrone aveva dato l’incarico di pascolare un branco di pecore nelle giuncaie2 intorno al paesetto, se n’era andato di buon grado.

Ed ecco dunque Efix di nuovo seduto al solito posto davanti alla capan-na, sotto il ciglione glauco di canne3. Il cielo è rosso, in alto sopra la collina bianca; passa il vento e le canne tremano e bisbigliano.

«Efix rammenti, Efix rammenti? Sei andato, sei tornato, sei di nuovo in mezzo a noi come uno della nostra famiglia4. Chi si piega e chi si spezza, chi resiste oggi ma si piegherà domani e posdomani5 si spezzerà. Efix rammen-ti, Efix rammenti?».

Egli intrecciava una stuoia e pregava. Di tanto in tanto un acuto dolore al fianco lo faceva balzare dritto, rigido come se qualcuno gli infilasse un palo di ferro nelle reni; si ripiegava di nuovo su se stesso, livido e tremante, proprio come una canna al vento; ma dopo lo spasimo provava una gran debolezza, una grave dolcezza, perché sperava di morire presto. La sua gior-nata era finita.

Finché poté resistere rimase laggiù accanto alla terra che aveva succhiato tutta la sua forza e tutte le sue lagrime.

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1.­Zuannantoni: un ragazzo che aiuta Efix nei lavori.2.­ giuncaie: luoghi dove cre-scono i giunchi, piante erbacee tipiche delle zone paludose;

vengono usate anche per fare le stuoie.3.­ciglione...­canne: Efix vive in una capanna che ha il tetto fatto di canne e giunchi. Qui, sta sot-

to una specie di rudimentale tettoia di color glauco (il termi-ne «glauco» è usato sia per de-finire l’azzurro sia una tonalità di grigio-azzurro tendente al

verdastro).4.­Sei­andato...­famiglia: in pre-cedenza, Efix era fuggito per motivi legati alla famiglia Pintor.5.­posdomani: dopodomani.

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L’autunno s’inoltrava coi giorni dolci di ottobre, coi primi freddi di no-vembre; le montagne davanti e in fondo alla valle parevano vulcani; nuvole di fumo solcate da pallide fiamme e poi getti di lava azzurrognola e colonne di fuoco salivano laggiù dal mare.

Verso sera il cielo si schiariva, tutto l’argento delle miniere del mondo s’ammucchiava a blocchi, a cataste sull’orizzonte; operai invisibili lo lavora-vano, costruivano case, edifizi, intere città, e subito dopo le distruggevano e rovine e rovine biancheggiavano allora nel crepuscolo, coperte di erbe dora-te, di cespugli rosei; passavano torme di cavalli grigi e neri, un punto giallo brillava dietro un castello smantellato e pareva il fuoco di un eremita o di un bandito rifugiatosi lassù: era la luna che spuntava.

Piano piano la sua luce illuminava tutto il paesaggio misterioso e come al tocco di un dito magico tutto spariva; un lago azzurro inondava l’orizzonte, la notte d’autunno limpida e fredda, con grandi stelle nel cielo e fuochi lontani sulla terra, stendevasi6 dai monti al mare. Nel silenzio il torrente palpitava come il sangue della valle addormentata. Ed Efix sentiva avvicinarsi la morte, piano piano, come salisse tacita dal sentiero accompagnata da un corteggio7 di spiriti erranti, dal batter dei panni delle panas8 giù al fiume, dal lieve svolaz-zare delle anime innocenti tramutate in foglie, in fiori...

Una notte stava assopito nella capanna quando si svegliò di soprassalto come se qualcuno lo scuotesse.

Gli parve che un essere misterioso gli piombasse sopra, frugandogli le viscere con un coltello: e che tutto il sangue gli sgorgasse dal corpo lacerato, inondando la stuoia, bagnandogli i capelli, il viso, le mani.

Cominciò a gridare come se lo uccidessero davvero, ma nella notte solo il mormorio dell’acqua rispondeva.

Allora ebbe paura e pensò di tornarsene in paese; ma per lunga ora della notte non poté muoversi, debole, come dissanguato: un sudore mortale gli bagnava tutta la persona.

All’alba si mosse. Addio, questa volta partiva davvero e mise tutto in or-dine dentro la capanna: gli arnesi agricoli in fondo, la stuoia arrotolata ac-canto, la pentola capovolta sull’asse, il fascio di giunchi nell’angolo, il foco-lare scopato: tutto in ordine, come il buon servo che se ne va e tiene al giu-dizio favorevole di chi deve sostituirlo.

Portò via la bisaccia, colse un gelsomino dalla siepe e si volse in giro a guardare: e tutta la valle gli parve bianca e dolce come il gelsomino.

E tutto era silenzio: i fantasmi s’erano ritirati dietro il velo dell’alba e anche l’acqua mormorava più lieve come per lasciar meglio risonare il passo di Efix giù per il sentiero; solo le foglie delle canne si movevano sopra il ci-glione, dritte rigide come spade che s’arrotolavano sul metallo del cielo.

«Efix, addio, Efix, addio».Ritornò dalle sue padrone e si coricò sulla stuoia.«Hai fatto bene a venir qui» disse donna Ester coprendolo con un panno;

e Noemi9 si curvò anche lei, gli tastò il polso, gli afferrò il braccio cercando di convincerlo a mettersi a letto10.

«Mi lasci qui, donna Noemi mia» egli gemeva sorridendo ma con gli oc-chi vaghi come quelli del cieco, coperti già dal velo della morte.

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6.­stendevasi: si stendeva.7.­corteggio: corteo.8.­panas: nelle tradizioni popo-lari sarde, le panas sono gli spi-riti delle donne morte di parto;

essi lavano i panni al fiume.9.­ Ester...­ Noemi: sono due delle sorelle Pintor (Ruth, la terza, a questo punto del ro-manzo è morta). Noemi sta

per sposarsi con un cugino, Don Predu.10.­cercando...­mettersi­a­letto: Efix ha sempre dormito su una stuoia; mettersi a letto gli sem-

bra una cosa non adatta alla sua condizione, un lusso che un servo non può conce dersi.

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«Questo è il mio posto».Più tardi un nuovo accesso del male lo contorse, lo annerì; e mentre le

padrone mandavano a chiamare il dottore egli cominciò a delirare.La cucina si empiva di fantasmi, e l’essere terribile che non cessava di

colpirlo gli gridò all’orecchio:«Confessati! Confessati!».Anche donna Ester si inginocchiò davanti alla stuoia mormorando:«Efix, anima mia, vuoi che chiamiamo prete Paskale? Ti leggerà il Vange-

lo e questo ti solleverà…».Ma Efix la guardava fisso, con gli occhi vitrei nel viso nero brillante di

gocce di sudore; il terrore della fine lo soffocava, aveva paura che l’anima gli sfuggisse d’improvviso dal corpo, come era fuggito lui dalla casa dei suoi padroni, e, scacciata dal mondo dei giusti si mettesse a vagabondare inquie-ta e dannata coi fantasmi della valle; eppure rispose di no, di no. Non voleva il prete: più che della morte e della sua dannazione aveva paura di rivelare il suo segreto.

In seguito Efix si confessa, poiché capisce che è il peso del suo segreto a tenerlo in vita. Il suo male avanza e i deliri sono sempre più frequenti, ma c’è ancora un avvenimento che deve compiersi, prima che egli si stacchi dalla vita: il matrimonio di Noemi con il ricco cugino Don Predu. Il fedele servo vuole assicurarsi che Noemi si sposi e, in questo modo, renda più facile la vita a se stessa e alla sorella. Arriva il giorno tanto atteso.

[...] Gli pareva di tenersi aggrappato all’orlo del panno per non cadere di là11; e di vedere dall’alto del muricciolo lo spettacolo del mondo.

Ed ecco Don Predu e i parenti arrivano per portar via la sposa12: entrano, si dispongono intorno nella cucina come le figure di un sogno, confusamen-te, ma con rilievi strani di particolari. [...]

Donna Ester, con lo scialle sciolto un po’ svolazzante sulle spalle, dispone il corteo: prima i bambini coi ceri alti in mano; poi la sposa con la parente; poi lo sposo coi parenti; in coda i pochi invitati; il Milese13 in ultimo pareva ridersi di tutti silenziosamente.

«Adesso mi lasciano solo» pensa Efix con un poco di amarezza. «Solo. E son io che ho fatto tutto!14».

Sulla porta Noemi si volse a fargli un cenno di addio con la croce d’oro15. Addio. Ed egli, come già per Giacinto, ebbe l’impressione che fosse lei a morire.

Uscivano tutti, se ne andavano: donna Ester si curvò su lui, parve coprir-lo con le sue ali nere.

«Torno presto, io, appena li avrò accompagnati: bisogna che vada; sta’ quieto, fermo fermo».

Sì, egli stava fermo al suo posto; fermo e solo. S’udiva la fisarmonica che Zuannantoni suonava in onore degli sposi, ed egli ricominciò a ricordare tante cose: il rumore del Molino, su a Nuoro, le nuvole sopra monte Gonare, il fruscio delle canne sul ciglione...

«Efix, rammenti? Efix, rammenti?».Com’era diventata grande la cucina! Scura e tiepida, coi muri lontani,

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11.­per­non­cadere­di­là: nel suo delirio, Efix si pensa seduto su un muricciolo.12.­la­sposa: è Noemi che sposa

il ricco cugino Don Predu.13.­il­Milese: il padrone dell’em-porio del paese.14.­E­son­io...­tutto!: Efix è con-

sapevole di aver sempre tutela-to, protetto e favorito le sue pa-drone, ma non si sente ricam-biato.

15.­croce­d’oro: è il regalo di ma-trimonio, fattole da Don Predu, un gioiello di famiglia.

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con sfondi misteriosi come una tanca16 di notte. L’usignuolo cantava, il cie-co17 raccontava la storia del palazzo d’oro del Re Salomone.

«... tutto era d’oro, come nel mondo della verità; tutto era puro, lucente. Melagrane d’oro, vasi d’oro, stuoie d’oro...».

Ed egli vedeva la casa di Don Predu, coi melagrani carichi di frutta, i palmizi, le stuoie coperte di grappoli d’uva e di zucche d’oro.

«Noemi starà bene... là... mangerà bene, ingrasserà, darà i denari a donna Ester per accomodare qui il balcone. Starà bene... Sarà come la Regina di Saba18. Ma anche lei, la Regina di Saba, non era contenta... Anche Noemi si stancherà della sua croce d’oro19 e vorrà andare lontano, come Lia, come la Regina di Saba, come tutti...».

Ma questo non gli destava più meraviglia; andare lontano, bisognava an-dare lontano, nelle altre terre, dove ci sono cose più grandi delle nostre.

Ed egli andava.Chiuse gli occhi e si tirò il panno sulla testa. Ed ecco si trovò di nuovo20

sul muricciolo del poderetto: le canne mormoravano, Lia e Giacinto stavano seduti silenziosi davanti alla capanna e guardavano verso il mare.

Gli parve di addormentarsi. Ma d’improvviso sussultò, ebbe come l’im-pressione di precipitare dal muricciolo.

Era caduto di là, nella valle della morte.

da Canne al vento, Milano, La Biblioteca Ideale Tascabile, 1995

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16.­tanca: in Sardegna, la «tan-ca» è un appezzamento di terre-no adibito al pascolo degli ovini.17.­il­cieco: personaggio minore

del romanzo.18.­Regina­di­Saba: espressione con la quale si identifica una donna molto ricca. Nella Bibbia,

infatti, Regina di Saba, era la so-vrana del regno di Saba, nota per le sue grandi ricchezze.19.­si­stancherà...­croce­d’oro: si

stancherà della ricchezza e del matrimonio.20.­di­nuovo: Efix aveva già pro-vato questa sensazione dolorosa.

  Il vecchio Efix sente avvicinarsi la morte: spaventa-to, riordina e pulisce il suo misero capanno e quindi lo lascia per sempre, recandosi dalle sorelle Pintor. Nonostante i violenti attacchi di cui soffre, il rimorso per il delitto involontario che ha commesso non gli la-scia tregua e non gli permette di morire; decide così di confessarsi per liberarsi di questo peso. Tuttavia il suo affetto per le padrone è così forte da tenerlo in vita fino al matrimonio di Noemi: vuole essere sicuro che la donna si sposi, risolvendo così i problemi economici che gravano sulla famiglia. E proprio nel giorno delle nozze, quando tutti lasciano la casa per partecipare alla cerimonia, Efix­muore­solo, dopo aver dedicato tutta la sua vita alle sorelle Pintor.

  Il protagonista di Canne al vento è presentato negli ultimi giorni della sua vita; tuttavia, anche in queste pa-gine, si può percepire la straordinaria umanità­del­per-sonaggio,­socialmente­umile­ma­di­grande­nobiltà­d’ani-mo. Ha dedicato tutta la vita alle sue padrone e ora tro-va assurdo perfino dormire – e morire – in un vero letto, piuttosto che su una stuoia, più adatta alla sua condi-

zione di servo. Efix, che nel suo delirio, a tratti, si crede seduto su un muretto da cui ha paura di cadere, teme non tanto la morte, quanto il dover confessare il suo segreto, ma, quando capisce che è proprio questo a co-stringerlo a vivere, si deciderà a liberarsi la coscienza e a lasciarsi cadere dall’altra parte del «muricciolo».

  Nella prima parte del brano emerge un importante elemento della scrittura della Deledda: la conoscenza del folclore, delle credenze e delle tradizioni­popolari della sua terra, popolate di spiriti.Efix vive circondato da queste presenze, in un rapporto­arcaico­e­magico­con­la­natura­che lo circonda, quasi ne fosse lui stesso un elemento, con la sua forza, la sua nobiltà, la sua saggezza.

  La scrittura della Deledda, difficilmente collocabile in una precisa corrente, è l’ideale anello­di­congiunzio-ne­ tra­ la­poetica­del­“vero”­e­quella­decadente (vedi U.4), soprattutto per quanto riguarda l’approfondimen-to­psicologico­dei­personaggi, lontano dall’osservazio-ne scientifica e distaccata della poetica naturalista.

­PER­LAVORARE­SUL­TESTO

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COMPRENSIONE

Il­riassunto

1.  �Riassumi il brano in un massimo di 6 righe.

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Efix,­il­servo

2.  �Perché Efix mette in ordine la sua capanna, prima di lasciarla per sempre?

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3.  �Per quale motivo Efix non vuole mettersi a letto nella casa del padr0ne?

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Il­segreto­di­Efix

4.  �Perché Efix si sente responsabile della vita delle sorelle Pintor?

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5.  �Qual è il suo segreto?

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­VERSO­L’ESAME­­ 1a­prova,­tip.­A Analisi�di�un�testo�in�prosa

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Il­romanzo­italianotra Ottocento e Novecento

© 2011 RCS Libri S.p.A., Milano/La Nuova Italia – M. Sambugar, G. Salà - Letteratura+

ANALISI

Il­lessico

6.  �Nelle pagine che hai letto compaiono alcuni termini del dialetto sardo: individuali. In quale rapporto è il loro uso con la poetica dell’autrice? In quale modo contribuiscono alla descrizione dell’ambiente?

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Il­protagonista

7.  �Delinea un breve ritratto di Efix, soffermandoti, in particolare, sul suo rapporto con la natura, con le persone, con la sofferenza e con la morte.

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Le­canne

8.  ��Nel brano ricorre più volte l’immagine delle canne. Che cosa evoca la loro presenza? Di che cosa sono simbolo?

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Il­commento

9.  �Individua gli elementi descrittivi presenti nel brano: la Sardegna, come luogo di ambientazione del romanzo, ti sem-bra realistica o mitica? Motiva la tua risposta in un breve commento facendo riferimenti al testo.

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Page 8: GraziaDeledda - Rizzoli Educationauladigitale.rizzolieducation.it/document_filter/6434/...Grazia Deledda La vita e le opere Grazia Deledda nacque a Nuoro nel 1871 da una famiglia agiata.

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LA C

RIT

ICA

La Deledda evocò, come essa stessa ha scritto, pae-

saggi e persone della Sardegna, appoggiandosi a fatti che ave-va sentito narrare. Il mondo è quello patriarcale dei pastori e in esso sopravvivono miti e riti antichissimi che generano un sentimento religioso della vita. [...] Dal punto di vista esi-stenziale la condizione sociale non è senza influenza nel de-terminare la condizione uma-na. La Deledda colorisce con la fantasia la vita dei pastori ma non tende all’idealizzazione perché il suo intento è quello di cogliere la vita degli uomini richiamandosi a quella società pastorale-patriarcale da lei di-rettamente conosciuta. [...]

Il punto di vista della Deled-da non è quello dello scrittore contadino o dello scrittore bor-ghese: in questo senso il rac-cordo letterario con la tradizio-ne italiana è secondario perché

nella Deledda prevale il punto di vista esistenziale, la narra-zione della vita, di una vita ec-cezionale collegata, come si è detto, a un mondo patriarcale e a una psicologia pur essa ec-cezionale. L’opera della Deled-da appare, per questo motivo, scentrata nei confronti della tradizione e della cultura ita-liana: esistono i laterali raccor-di con il romanticismo e con il verismo ma il rapporto segreto di quell’opera è con se stessa, romanticismo e verismo corri-spondono genericamente all’al-terno pre valere di una accen-tuazione psicologica o di un’al-tra da parte della scrittrice, la quale solitamente soprattutto quando era nella pienezza del-la vitalità artistica, si attenne ai modi del verismo.

(A. Piromalli,Grazia Deledda,

Firenze, La Nuova Italia, 1968)

grazia deledda tra romanticismo  e verismo Nel brano che segue il critico Antonio Piromalli esamina la narrativa della Deledda mostrando come essa sia difficilmente collocabile all’interno della tradizione letteraria italiana tra Otto e Novecento.

Per­comprendere

1.  �� Quali sono, secondo il cri-tico, gli aspetti caratteristi-ci della narrativa di Grazia Deledda?

2.   Che cosa significa il concetto di «punto di vista esistenzia-le»?

Approfondimento

3.   Sotto quali aspetti la narrativa della Deledda può essere defi-nita verista? Approfondisci questo aspetto della poetica della Deledda.