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rafologiaAnno 33 Gen-Mar 2017 n° 117

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G Indice

Per il piacere di discuternedi Maria Letizia Andenna

Il lenzuolo della signora Cleliadi Cristina Floris

pag. 4-6Sempre più connessi sempre più solitaridi Gianni Pastro

pag. 7-9

Luci e ombre dell’adozionedi Milvia Fioroni

pag. 10-12

pag. 13-14

pag. 15-16

Omaggio a Evi Crottia cura di Alessandra Cova

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Indice

pag. 22-31

pag. 17-18

pag. 22

pag. 35

Arrivano i Libri

Intossicazioni da piombodi Alga Guernieri

Dizionario psicologicoa cura di Maria Letizia Andenna

Poesie dei lettoridi Giuseppina Ranalli

EnigmisticaGrafologia e dintornia cura di Maria Letizia Andenna

pag. 19-21

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PoesiaPoesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia

poesia

criminologia

enigmistica

calendario iniziative

poesie

disegni

grafologia nella scuola

dizionario grafologico

convegni

comunicazioni

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a cura del dott. Gianni Pastro

Cervicali e sindrome da sguardo basso.

Un osteopata attento, intelligente, amante del suo lavoro mi ha fatto osservare un dato: secondo la sua esperienza aumentano i malanni da cervicali, disturbi al collo, piccoli traumi e dolori nei giovani (non solo).La sindrome da sguardo basso: quando camminate per la strada ti viene naturale incrociare il viso della gente, la direzione che sta prendendo, cosa guarda, se sorride, se è seria, preoccupata. Il viso, gli occhi sono fatti per guardare avanti, in alto, destra, sini-stra. Homo erectus.Una costante degli ultimi anni è altra: la sindrome da sguardo basso. Tutti impegnati (genitori e bam-bini) sul cellulare, smartphone, tablet, tutti con lo sguardo ed occhi a terra. Per pigiare tastolini, anche con tutte e due le mani e con le cuffie alle orecchie. Tanto per non farsi mancare nulla. La gente si com-porta come se fosse in una camera iperbarica. Se la persona che ti viene incontro sullo stesso marciapie-de incontra il tuo viso, hai la sensazione che ti ab-bia visto. Non diciamo che si interessi a te. Sarebbe troppo. Ma almeno non intralcia il cammino tuo e degli altri, ti accenna una minima attenzione, non ti viene addosso.Questi viandanti discutono a voce alta con un inter-locutore lontanissimo, si sbracciano, cuffia e micro-fono hanno la precedenza sulla presenza degli altri, ingombrano marciapiedi, spesso non rispettano i segnali stradali, ti urtano. Troppo impegnati. Trop-po presi dalla conversazione. Tutto troppo.

Il treno

Fino a qualche decennio fa era il mezzo di traspor-to più tranquillo, potevi farci anche un sonnellino, leggere un libro, ammirare il panorama. Tanto c’è il capotreno.Io da qualche anno, se posso, lo evito,: sentirmi la conversazione di tizio con il proprio avvocato, il commercialista, udirlo sbraitare, offendere, urlare

Ringraziamo il professore per la sua preziosa collaborazione e desidereremmo che continuasse a collaborare inviandoci altri interessanti articoli di grafologia.

SEMPRE PIÙ CONNESSISEMPRE PIÙ SOLITARI

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mi dà fastidio.Gli altri passeggeri stanno in silenzio ma non lo danno da vedere. Sopportano.Per carattere non sono curioso se non delle proble-matiche umane, della sofferenza altrui, di chi fa fati-ca, è malato, del disabile che ha una vita tutti i giorni uguale, con gli stessi dolori, limiti. Non mi interes-sano i cicalecci, il tanto per parlare, la conversazione fine a se stessa. Mi interessano gli altri come per-sone, non le loro gelosie, paranoie, le offese, spesso anche le bestemmie.Sentirmi uno o una che a mezzo metro di distanza mi rende partecipe della sua vita, si sfoga di essere stata lasciata o lasciato mi innervosisce, mi disturba. Forse sto diventando asociale.

Scenari fuori controllo

I mezzi pubblici, un giardino, il marciapiede, l’am-bulatorio di un medico, spesso si riducono a luogo di non senso: vedi uno che parla con un altro che non c’è, lo vedi gesticolare, inveire, urlare, sbraitarsi. Spesso sono luoghi e situazioni scomposte di indi-vidui che sembrano avere perso la bussola, il senso dell’altro. Formicai dove si va e si viene, senza ri-spettare lo spazio altrui. Gli altri sono considerati ingombri. Non ti interessa lasciare loro lo spazio (anche fisico) per sentirsi liberi e a loro agio. E que-sto perché di mezzo (non solo) c’è il cellulare, lo smartphone, tablet e via discorrendo. Non so se sia per timidezza o alterigia, ma alcune situazioni non riesco più a sopportarle, non ammetto di essere in-vaso, disturbato dall’egocentrismo altrui.

Le foto

Altra possibilità della tecnica moderna: trasmette-re voci ed immagini in tempo reale. Non se ne può più: il bambino sul vasetto, la mamma che allatta, il nonno che dorme: tutto documentato, nulla sfugge. E giù tutti a ridere, a meravigliarsi, scattare. Credo che dovremmo, talora, ciascuno di noi fare un passo indietro. Sia fisicamente che nelle relazio-ni. Un passo indietro e tante chiacchiere in meno.

I bambini a scuola: parlo spesso con maestre che non si capacitano del perché gli alunni scrivano male, che quello che scrivono è illeggibile, non os-servano un minimo di ordine.Faccio loro notare che, simbolicamente, il foglio di carta è lo spazio di vita e la mia mano si muove sul foglio come io mi rapporto nella vita, gli altri, come vivo le relazioni.Quello è lo spazio a mia disposizione.E’ del tutto ovvio che, se non allenato, un bambino, una bambina tende ad andare fuori dai propri spazi, ad invadere quelli altrui. Occorre, al contrario, fare buon esercizio di scrittura (tenendo una matita, la penna in mano), con calma, usando le cinque dita, non certamente solo l’indice come si fa col cellu-lare. Ma mi accorgo che è tempo perso: le giovani maestre sono figlie del loro tempo e del consumi-smo. Mentre parlo controllano l’ultimo messaggio, rispondono allo stesso, alla telefonata della suocera.

Io a raffica

Una o uno che riproduce centinaia di volte al giorno il proprio viso, lo spedisce a dieci amici che lo ritra-smettono ad altri cento, secondo voi come si vive? E’ tutto un fare o tutto un esserci? Finzione o realtà? Quale tipo di fantasie può sviluppare? Lo scrivere a raffica, spesso in maniera compulsiva, salutini, barzellette, in forma sgrammatica, estremamente abbreviata che cosa produce nell’animo e nella testa di un piccolo? Un abuso di segni che non possono non lasciare traccia. E poi c’è l’incoraggiamento de-gli adulti, dei genitori che si congratulano sul fatto che il loro bimbo è bravo, veloce, se la cava con il computer, sa fare ricerche usando i motori di ricerca che contengono tutto e il contrario di tutto.

Sempre connessi. Sempre più soli.

Guardate quando siete in autobus: il papà ha il pro-prio tablet di ultima generazione dove può sfoglia-re il giornale, guardare i goal della partita della sera precedente, la mamma ( più discreta ma non meno

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impegnata) è curva sul proprio cellulare, ne scorre le pagine, il loro piccolo non è da meno: ha il telefo-nino colorato, lo tiene a malapena in mano, smanet-ta, ogni tanto sorride soddisfatto (forse ha vinto un premio al casinò?). Una cosa è certa: ognuno dei tre non è interessato all’altro.

Dottore, non so più scrivere.

Questa ve la voglio proprio raccontare: faccio il pe-rito grafologo nei tribunali e il mio lavoro è quello di vedere scritture, firme, sottoscrizioni per tentare di capire se sono autografe o, invece, frutto di copia-tura, se siano falsificate da altra mano.Le banche in questo periodo non godono di molta considerazione ma vi assicuro (per esperienza) che spesso falsificano le firme dei propri clienti. Il caso: viene da me un uomo di 29 anni, fa l’autista, ha famiglia e mi dice che, secondo lui, alcune firme su un contratto non sono sue e che, anzi, qualcuno le ha falsificate.Lo convoco nel mio studio e gli chiedo: ma sei pro-prio convinto che queste firme non siano tue? Pen-saci bene, perché ti puoi beccare una denuncia per calunnia.Gli faccio scrivere una ventina di volte la sua firma, poi gli detto un testo, semplice, con parole com-prensibili, facili da comprendere.Ad un certo punto mi guarda e mi dice: non so più scrivere, non mi ricordo le lettere, non scrivo mai.Trasalisco ma l’incoraggio. Niente da fare. Non ri-corda più le lettere dell’alfabeto, riesce a malapena a tenere in mano la penna a sfera.Insisto ancora ma lui comincia a stizzirsi, si inner-vosisce, non ce la fa.Comprendo il disagio (è diplomato geometra), ap-pare sveglio, parla bene.Ad un certo momento ….il fattaccio: gli cade a terra il cellulare.‘Proprio per questo, mi dice, non so più scrivere. Al massimo telefono. O scrivo al computer’.Gli faccio capire che, se in sede di udienza in Tri-bunale, lui affermerà di non saper scrivere, nessuno

gli crederà, il Giudice per primo. Sarebbe screditato in partenza. La sua denuncia sulla falsità delle firme potrebbe risultare non affidabile, non motivata.Lo licenzio con… i compiti per casa: dovrà scrive-re, ogni giorno, un testo da un giornale, basta anche la lista della spesa al supermercato, comunque deve reimparare a tenere la penna in mano e scrivere cor-rentemente. E telefonare solo quando serve.

Tecnica e vita

Spero di non avere dato l’impressione di essere con-tro la tecnica, perché (non sono più diciottenne) ormai superato, rimasto ancorato alle ‘aste’ della calligrafia, passatista. Nulla di tutto questo: so bene che una telefonata può salvare una vita, risolvere un problema, riallacciare una amicizia, riprendere una relazione. Non sono contro il cellulare, non lo cambio ogni sei mesi, non mi ci trastullo. Lo uso e non ne divento schiavo: guardo a destra e a sinistra, ammiro un panorama. Finora non ho problemi di dolori cervicali.Non sono intristito o incattivito verso i giovani e le loro mode.Cerco di riflettere in maniera critica.Connesso e solidale.

Gianni Pastro

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Tesi diploma in consulente grafodiagnostico della Scuola Crottia cura di Floris Cristina

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Introduzione

Nel paese di Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo, si trova il Museo del Diario presso l’Archi-vio Diarisitico Nazionale La particolarità di questo piccolo quanto originale museo è quella di raccogliere diari scritti da persone “qualunque”; infatti, a questo museo, chiunque può donare il proprio diario purché inedito ed autobio-grafico.La cosa che colpisce maggiormente è la presenza, presso il museo, di un lenzuolo matrimoniale uti-lizzato per apporvi la propria memoria di vita quoti-diana scritto dalla signora Clelia. Infatti esso è rino-mato come “Il lenzuolo della signora Clelia”.La signora Clelia era una donna nata nel 1912, vis-suta a cavallo delle due guerre e la cui vita è stata caratterizzata da stenti, povertà e difficoltà di natu-ra diversa. Proveniente da famiglia di umili origini, anch’ella ha trascorso la sua vita nell’ umiltà allevan-do ben 8 figli, di cui due deceduti prematuramente, e dedicandosi, insieme al marito, alla vita agreste. Dopo tanta stentatezza la coppia, ormai anziana, raggiunge un tenore di vita finalmente tranquil-lo. Ma negli anno ‘80 il marito della signora Clelia viene investito e muore. Da questo momento per la signora Clelia il dolore e la solitudine divengono la costante della sua vita futura. Per sfogare tanta sof-ferenza la signora decide di iniziare a scrivere la sua vita creando un diario, dedicando ad esso alcuni momenti della giornata, soprattutto i più melanco-nici. Ad un certo punto, decide di utilizzare come

foglio su cui scrivere, il lenzuolo del corredo matri-moniale (“le lenzuola non le posso più consumare col marito e così ho pensato di adoperarle per scri-vere “).Scrivere su di un lenzuolo non è esattamente l’orto-dossia dello scrivere: si è soliti vergare un foglio di carta che può avere dimensioni diverse, oppure scri-vere sul cotone per abbellire magliette a scopo deco-rativo. Ma scrivere il proprio vissuto quotidiano su di un lenzuolo matrimoniale diviene anche un’ ope-razione di non facile realizzazione. Mi sono interro-gata su dove la signora potesse appoggiare questo diario dalle origine e dimensioni insolite: per terra? su un grande tavolo? se ogni giorno lo richiude-va, piegava ordinatamente ? Ebbene, questi miste-ri quotidiani non mi è stato possibile svelarli ma è certo che la signora, nonostante la scarsa praticità dell’insieme del materiale scrittorio ( campo grafico e mezzo scrivente ) ha realizzato un capolavoro.Sapere dove posava il lenzuolo per scrivervi sopra potrebbe fornire anche le indicazioni sulla postura che la stessa teneva o era costretta a tenere. Sap-piamo che la posizione corretta per scrivere è se-duta, ad un’adeguata distanza ed altezza dal piano scrittorio che consente così anche l’appoggio dell’a-vambraccio, “dell’eminenza ipotenar “ e della parte esterna del dito mignolo della mano scrivente. Non poter mantenere questa posiziona condiziona inevi-tabilmente il tracciato grafico. Così come il campo grafico fatto di stoffa, più verosimilmente di cotone, non consente una grafia fluida o priva di intozza-ture; ed altresì dicasi per il mezzo scrivente che per poter tracciare grafemi leggibili deve essere idoneo al materiale di cui è composto il campo grafico.L’originalità di questo diario mi ha indotto ad inter-rogarmi sulla possibilità di leggere e costruire, at-traverso di esso, un profilo grafologico completo e corretto.Le possibili sbavature e difficoltà, l’impossibilità di rilevare il segno pressione, ho ipotizzato non potes-se consentire la formulazione di un profilo grafolo-gico attendibile.

IL LENZUOLO DELLASIGNORA CLELIA

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Pertanto ho pensato di avvalermi della comparazio-ne con un manoscritto della signora Clelia, anch’esso conservato nell’Archivio. La consultazione, l’osser-vazione e la misurazione di questo manoscritto ho potuto svolgerla in una stanza dell’Archivio sotto la costante osservazione di un’addetta alla salvaguar-dia del materiale in esso conservato.Ho fatto le fotografie al lenzuolo dalle quali ho ri-cavato le misurazioni ed ho proceduto a costruire il profilo dapprima quello dal lenzuolo e poi dal ma-noscritto. Da questo manoscritto è poi stato ricavato un libro, fortemente voluto dal nipote di Arnoldo Mondadori nativo di Poggio Rusco, sig. Luca Formenton, dal titolo : “ Il tuo nome sulla neve- Gnanca na busia”. Da questo lavoro, da grafologa ancora inesperta, ho tratto delle conclusioni che , prima di riportare, vor-rei fossero anticipate da alcune riflessioni.Ho rilevato come, dalla dura e sofferta vita della si-gnora Clelia, sia emersa una forza ed una energia creativa, forse a lei stessa sconosciuta. I suoi diari sono ricchi di disegni, collage, poesie, sono tutti fo-derati con cotone lavorato ad uncinetto e di svariati colori. La creatività esplosiva del lenzuolo: scoprire come mezzo di comunicazione un telo ormai rite-nuto non più utilizzabile è come avergli donato la vita.Sembra che questa storia voglia testimoniare, anco-ra una volta, come sia possibile che la sofferenza, la durezza della vita, possano far sgorgare nuove for-ze nella persona, trasformando il dolore e la pena in energia vitale e creativa, in voglia di comunicare, fino a produrre vere opere d’ arte.Attraverso l’ osservazione dei due lavori ho potuto trovare conferma del fatto che l’atto dello scrivere, con tutte le sue componenti fisiche ed emotive, as-surge anche ad un altro ruolo, non soltanto quello comunicativo, ma anche “ terapeutico”. Mutuando il senso terapeutico insito nello psico-dramma, azzardo ad affermare che la signora Clelia, nel cimentarsi a scrivere la propria esperienza di vita su un lenzuolo, per di più non un lenzuolo qualsiasi ma del corredo matrimoniale e, quindi fortemente simbolico, abbia potuto rivivere periodi, sensazioni e sentimenti vissuti nei momenti del tempo che fu:

un esercizio paragonale ad un percorso senza con-fini e senza freni, in totale solitudine che consente un’azione liberatoria, di evacuazione e di sfogo che potrebbe condurre permette alla rielaborazione di quanto vissuto.Il cambiamento dei gradi di misurazione di alcuni segni rilevano dei cambiamenti nella signora Clelia e, per lo più, sono cambiamenti che io interpreto positivamente per il suo benessere. Se l’età può sem-brare un handicap o un ostacolo al cambiamento, la funzione dello scrivere, invece, sembra superare tale ostacolo e, tenuto conto delle condizioni gene-rali della signora Clelia, sembrerebbe altresì dimo-strare che alcuni cambiamenti si sono realizzati. La grafia della signora Clelia ha una forma essen-ziale dove si evidenzia l’assimilazione del modello grafico scolastico, non ha concluso la II° elementare, ciò nonostante essa mostra una propria personaliz-zazione (le iniziali maiuscole sono vergate con ricci )) ed una certa accuratezza, non nel significato del segno grafico accurata; evidenzia un imprinting ap-partenente ad un determinato periodo storico, ad un contesto educativo e di apprendimento in cui la signora è cresciuta.Esposte queste considerazioni, posso ora adden-trarmi nell’analisi che ho svolto e che ha avuto come scopo quello di confrontare i due lavori della signo-ra Clelia ed i rispettivi profili, alla luce del fatto che sono stati utilizzati mezzi scrittori completamenti differenti tra loro.Il quesito rilevante è se e quanto si modificano i ge-sti grafici più significativi, cioè quelli che svelano la personalità del soggetto scrivente e se ciò ha com-portato profili differenti tra loro. Mi riferisco nelle specifico alle “ larghezze, alla dimensione, alla for-ma “ che consentono di tracciare un orientamento personologico del soggetto. Il confronto tra i due lavori, lenzuolo e manoscrit-to, attraverso le misurazioni da me raccolte, mi ha permesso di osservare che i segni, quelli conside-rabili fondamentali, non sembrano patire in modo stravolgente l’inadeguatezza dei materiali scrittori utilizzati.Nel lenzuolo come nel manoscritto le larghezze non sembrano subire significative differenziazioni di

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grado seppure il lenzuolo, sia dal punto di vista del materiale con cui è fatto sia per il mezzo scrittorio utilizzato ed infine, ma non ultima, per la postura adottata per vergarlo (la signora Clelia teneva il len-zuolo appoggiato su un cuscino a sua volta posato sulle sue ginocchia, ne stirava le pieghe con le mani e, terminata la riga, lunga quanto la larghezza del lenzuolo, faceva scivolare quest’ultimo da sinistra verso destra per iniziare una nuova riga, nume-rando ognuna affinché in futuro i lettori potessero seguirne la traccia senza confondersi), avrebbero potuto apportare importanti modifiche al tracciato. La curva, il largo tra lettere, il largo tra parole ed il calibro mantengono, in entrambi i casi, il grado medio confermando un carattere predisposto alla relazione, all’estroversione, alla socievolezza della si-gnora Clelia ed un adeguato spirito di adattamento.Ciò che, a mio avviso inevitabilmente, ha subito modifiche è il MIR con annesse direzioni.Se nel lenzuolo possiamo osservare un’apprezzabile disordine di rigo, caratterizzato da ondeggiamenti e da direzioni diversificate lungo tutto il lavoro ( in questo caso la postura può aver inciso in modo de-terminante), nel manoscritto questo non appare. Vero è che il manoscritto, però, è stato vergato su un foglio a righe che, come da regola, non consen-te il suo spontaneo utilizzo, sia dal punto di vista dell’occupazione dello spazio sia dal punto di vista della direzione della grafia. Eppure, pur avendo una traccia su cui posare la grafia ( le righe del foglio) nel manoscritto della signora Clelia è possibile notare un leggero disordine del rigo ed una lieve discen-dente, rintracciabili anche sul lenzuolo.Così come sono rintracciabili i gesti fuggitivi ( i ric-ci, il tratto della t, i puntini della i) anch’essi mol-to importanti nel caratterizzare la personalità dello scrivente ( “movimento scrittorio proiettivo di at-teggiamenti profondi “).Alla luce delle considerazioni di cui sopra, sono indotta a ritenere che il materiale scrittorio potreb-be incidere soltanto relativamente sul complessivo tracciato poiché le dimensioni fondamentali della grafia, essendo espressione di aspetti caratterizzanti la personalità, innata ed acquisita, non si modifi-cano.

Ciò che potrebbe subire modifiche sostanziali, a mio avviso, sono i segni : pressione, intozzata I° e II° modo, tratto ineguale ed i segni grafici che svela-no eventuale insicurezza nel soggetto.In merito all’intozzata I modo, nel manoscritto scompare mentre sul lenzuolo ha un grado media: come precedentemente già detto la presenza di tale grado nel lenzuolo assume a mio avviso un signifi-cato molto importante: ci si trova davanti alla deter-minazione di compiere questa azione. Così come il cambio di grado tra lenzuolo e manoscritto: mag-giore nel lenzuolo ed anche in questo caso credo una spiccata emotività e sensibilità sia dettata dal momento che la signora Clelia sta rivivendo attra-verso questo lavoro.Per quanto concerne la pressione, la cui misurazio-ne implicherebbe necessariamente la possibilità di toccare il foglio, mi sento di dire che il confronto da me fatto tra il lenzuolo, che se anche avessi potuto toccarlo non sarebbe stato possibile trarre la consi-stenza della pressione, ed il manoscritto mi ha forni-to una risposta incoraggiante: la valutazione in me-rito alla pressione può essere espletata anche senza palpare il foglio; altri elementi possono supportare l’analisi : l’intensità dell’inchiostro, la forma delle let-tere, la velocità. Certamente l’esito della valutazione senza l’utilizzo dei criteri ortodossi di misurazione e tenuto conto del materiale scrittorio, diminuisce l’attendibilità del dato, motivo per cui questa analisi è preferibile lasciarla fare agli esperti del settore.A fronte di quanto sinora esposto mi sento di dire che i segni fondamentali ( le larghezze, il calibro) che consentono di elaborare i tratti principali di un profilo personologico di uno scrivente possono non subire modifiche a fronte dell’utilizzo di mezzi e campi scrittori, anche i più diversi.I segni complementari, invece, sono influenzati sia dall’insieme dei mezzi scrittori sia dalla postura: la pressione, il tratto, i ricci, la velocità, il ritmo subi-scono o possono subire più o meno gravi influenze, non connotando di attendibilità il profilo grafolo-gico.

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a cura di Fioroni Milvia

no dopo quattro anni, siamo tornati con Francisco, sette anni di orfanotrofio alle spalle, gli occhialini da professorino e un “castigliano” forbito. Tornati in Italia ci chiedevano se l’avessimo adottato a Oxford! Siamo rimasti in contatto con la maggior parte di queste famiglie e abbiamo condiviso, incontrandoci una volta all’anno, i trent’anni di vita legati alle co-muni adozioni. Riflettendo insieme ci siamo accorti che le gioie e i dispiaceri di genitori adottivi hanno dei tratti comuni. Tutte iniziano nella gioia e nella gratitudine: non avevamo un figlio e adesso, ecco-la qua, è qui con noi. Era un sogno, un desiderio che si è fatto realtà: ride, piange, bacia, abbraccia, fa i capricci, è goloso di gelato, non vuole mangiare la fettina di vitello. Insomma fa il suo mestiere di bambino. In generale chi ha adottato un bambino molto piccolo non incontra particolari difficoltà a crescerlo, l’aspetto educativo viene impostato dalla famiglia, il piccolo non ha ricordi consapevoli del suo breve passato ma – questo i futuri adottanti de-vono saperlo – il bambino porta in sé un patrimonio genetico a noi sconosciuto, che ne determinerà in parte la vita. Inoltre, la ferita dell’abbandono, anche se non vissuta consapevolmente, ha lasciato una traccia, al momento invisibile, ma potrà generare molto dolore nel bambino, magari quando i genitori non si ricorderanno neanche più di averlo adottato, ma sembrerà loro di aver sempre vissuto accanto al figlio.Il piccolo avrà tutte le opportunità che sono offerte a ogni bambino della sua età e i suoi passi saranno uguali a quelli dei coetanei, sarà viziato dai nonni, andrà alla scuola materna, la sua salute sarà super controllata da mamme ansiose come me. Più complessa la vicenda con i bambini più grandi, che hanno un vissuto sempre difficile, anche se sono stati accuditi fin dalla nascita in un ambiente acco-gliente, come è accaduto a Francisco. L’istituto sper-sonalizza sempre un bambino che, fin da neonato, è nutrito, curato, visitato mensilmente da un medico anche quando sta bene, gli vengono curati i dentini e controllata la vista. Se poi l’Istituto è mediocre o

Quando, dopo un iter piuttosto lungo e complesso, una coppia di aspiranti genitori riceve la sospirata “idoneità” per l’adozione – nazionale e/o internazio-nale – è solo all’inizio di un cammino, che li porterà a diventare veramente genitori, di un vero bambino. Le adozioni nazionali non richiedono particolari pratiche burocratiche; quelle internazionali sono at-tualmente gestite da Enti riconosciuti dallo Stato, che aiutano i futuri genitori ad orientarsi nella giun-gla di tali adozioni. Io e mio marito abbiamo vis-suto le nostre due adozioni negli anni 1985 e 1989, quando non esistevano Enti dedicati a questo sco-po; abbiamo quindi compiuto la ricerca del Paese in cui adottare e il pellegrinaggio per cercare il nostro bambino, da soli, avendo come unico riferimento un lontano parente missionario che ci ha offerto ospitalità a Santiago del Cile.Guardando i fogli pieni di firme e timbri, che co-stituivano ”l’idoneità”, abbiamo iniziato subito a im-maginare il “nostro” bambino o bambina. Ha avu-to inizio una sorta di gravidanza, della mente e del cuore, che ci apriva a un’attesa piena di domande. Ogni sera, prima di addormentarci, abbiamo inco-minciato a recitare un’ Ave Maria per nostro figlio, chiedendo protezione per il bambino che ci aspet-tava. Dopo varie vicissitudini, fra cui un terremo-to, abbiamo incontrato Osé, otto anni e una vita di soprusi alle spalle. Uno sguardo, un sorriso, il cuore che batte forte, lacrime di gioia di noi adulti e siamo tornati in Italia con lui: nostro figlio.Dopo di noi, una cinquantina di famiglie, grazie al “passa parola”, ha percorso la stessa strada e ha pro-vato le stesse emozioni. Abbiamo visto partire tante coppie piene di trepidazione e incertezze e le abbia-mo viste tornare con la gioia che brillava nei loro occhi, mentre stringevano al petto il bambino di po-chi mesi o tenevano per mano – stretto fra mamma e papà – un bambino che non era capace di stare fermo e continuava a volgere lo sguardo all’uno o all’altro di quei due personaggi che avrebbe impara-to a chiamare “mamma” e “papà”. Fra le famiglie in partenza anche noi abbiamo rifatto lo stesso cammi-

LUCI E OMBRE DELL’ ADOZIONE

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pessimo, si aggiungono la paura, l’incertezza, la ri-bellione o la negazione di qualsiasi desiderio e una serie di soprusi anche fra bambini. Uno dei piccoli, Luis di quattro anni, appena arrivato nascondeva il pane nel cavo dell’ascella per il timore che gli venis-se rubato. I ragazzini, come il più grande dei nostri figli, spesso non hanno trascorso la loro vita in un Istituto, ma vi sono arrivati dopo una vita per noi impensabile. Alla base di queste situazione c’è qual-che rara volta la povertà ma, nella maggior parte dei casi, c’è una non-famiglia, vale a dire una coppia instabile o una ragazza madre, coinvolti nell’alcoli-smo, nella droga o in carcere. Chi adotta ragazzi in età scolare deve sapere – le esperienze nostre degli amici lo hanno confermato – che il bambino porta con sé un pesante bagaglio di dolore consapevole che, nella maggior parte dei casi lo accompagnerà per molti anni.La scolarizzazione dei figli adottivi può presentare particolari problemi, li sintetizzo illustrando ciò che è avvenuto con i miei figli. Josè non era mai andato a scuola, non sapeva scrivere il proprio nome, ma sapeva scrivere “mamà”, la parola chiave della vita. La disegnava anche: un grande triangolo con una testa minuscola e un accenno di occhi, naso e bocca. Gambe e braccia erano assenti, ma – quando gli ho fornito le matite colorate – si è affrettato a colora-re il triangolo con la matita rosa. Con Josè è stato necessario un lungo e impegnativo lavoro, condotto in società dalla maestra (straordinaria maestra!) e da me, mamma e insegnante di professione. Josè ha lavorato con molto impegno, noi adulti pure, inven-tando metodi di lavoro adatti a lui, che era fiero dei propri progressi. Così, in tre anni, ha completato il ciclo della scuola primaria, con un solo anno di ri-tardo rispetto ai compagni. Francisco, al contrario, era un piccolo “Pico della Mirandola”, era un bam-bino dialettico, assimilava rapidamente tutto quello che sentiva e lo utilizzava subito, anche perché ama-va far sfoggio delle proprie capacità linguistiche. Ha avuto ottimi voti, ha frequentato il liceo classico e ha conseguito una laurea triennale in Linguistica italia-na. Purtroppo, durante il liceo, si sono manifestati i primi sintomi di una malattia psichiatrica che gli ha creato varie difficoltà. Fortunatamente, grazie alle

cure degli specialisti, la sua vita può svilupparsi in modo quasi normale.Quando la fanciullezza si avvia verso la preadole-scenza e l’adolescenza, alcuni nodi vengono al pet-tine. Ai normali cambiamenti, turbamenti, accom-pagnati da ribellione e tentativi di trovare il proprio volto, che caratterizzano questo “seconda nascita” della vita, il figlio adottivo deve fare i conti con la propria storia. In qualche modo rivive il dramma dell’abbandono, deve riaccettare i genitori che l’han-no accompagnato nella crescita, si domanda perché proprio lui è stato abbandonato e cerca di ritrovare l’immagine della madre perduta. La figura materna, anche solo vagamente ricordata, diviene nuovamen-te presente, forse perché il bambino deve in qualche modo ri-nascere come giovane uomo. Per mia espe-rienza, ampiamente condivisa dagli amici genitori adottivi, nell’adolescente adottato si possono spes-so manifestare atteggiamenti e conflitti di difficile soluzione. Molti di noi hanno fatto ricorso a uno psicoterapeuta per comprendere cosa stesse succe-dendo ai figli. In alcuni casi i ragazzi stessi sono stati disponibili a entrare direttamente in contatto con uno specialista e questa disponibilità ha dato buoni risultati. Adolescenza e prima giovinezza sono an-che il tempo in cui possono insorgere malattie, di ordine fisico o psichiatrico, che probabilmente rap-presentano l’eredità negativa trasmessa dai genitori biologici. Tutti i ragazzi hanno frequentato regolarmente la scuola dell’obbligo, alcuni con facilità, altri con la costante guida dei genitori, in alcuni casi è stato ne-cessario l’aiuto di un insegnante di sostegno. I gio-vani meno motivati nei confronti dello studio, o con reali difficoltà di apprendimento, si sono comunque inseriti positivamente nel mondo del lavoro, soprat-tutto quelli adottati da famiglie semplici, abitanti in località rurali, dove è possibile apprendere un lavoro prevalentemente manuale. Altri, invece, hanno pro-seguito gli studi, giungendo tranquillamente a una laurea. L’aspetto più fragile della giovinezza è quello affettivo. Qualche ragazza ha messo al mondo un figlio al di fuori del matrimonio o di una conviven-za stabile. Nessuna aveva un partner intenzionato a diventare padre e le giovani mamme, con il loro

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piccolo, quasi sempre sono rientrate nella famiglia adottiva e hanno cresciuto il loro figlio con l’aiuto dei “nonni”. Si è potuto constatare che, talvolta, l’e-sperienza di una maternità precoce e del disinteres-se del partner è stato shoccante, ma ha portato le ragazze ad una nuova consapevolezza, al recupero del ruolo materno e spesso hanno chiesto aiuto ai genitori adottivi per poter consolidare l’impegno nel lavoro e garantire al bimbo, non atteso ma ama-to, un futuro dignitoso. Sempre le famiglie adotti-ve sono state disponibili e, in qualche caso, hanno accompagnato figlia, e nipotino, verso un regolare matrimonio I ragazzi si sono talvolta sposati, o han-no iniziato una convivenza stabile, ed hanno avuto figli. Non sempre sono stati in grado di dare stabilità al loro matrimonio ma, anche in questo caso, la fa-miglia adottiva è stata percepita come un punto di riferimento, anche dopo periodi di aspro e doloroso conflitto. L’esser diventati padri ha spinto i giovani (con le compagne) a riavvicinarsi alla famiglia adot-tiva, forse intuendo che era l’unico luogo in cui loro stessi avevano vissuto l’esperienza di essere accolti. I risultati migliori – tenendo conto che mi riferisco a

persone che attualmente hanno 30-40 anni – sono stati ottenuti da un gruppo di ragazze che hanno compiuto studi regolari, si sono sposate con ottimi giovani, hanno dei figli e una professione.Il quadro descritto presenta colori e sfumature molto diverse perché così è la vita: ogni coppia ge-nitoriale è diversa dalle altre; ogni figlio adottivo è “unico” per età, storia ed eredità biologica; ogni contesto sociale ha caratteristiche proprie, che pos-sono favorire o ostacolare la crescita del bambino adottato. La cifra sintetica che mi sembra poter in-dicare è che l’adozione costituisce un’avventura: ciò che succederà non è prevedibile, occorre mettersi in un atteggiamento di grande disponibilità, accettan-do che la libertà del figlio potrà coincidere con le nostre attese, oppure orientarsi in una direzione op-posta. Il compito di noi genitori adottivi è quello di offrire noi stessi perché “un altro” possa vivere una situazione migliore rispetto a quella di partenza: “un altro” che ci chiama “mamma” e “papà”. Credo che, in ogni caso, anche se l’esperienza dovesse diventare dolorosa, adottare un bambino sia un modo buono di mettere a disposizione la propria vita.

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di Alessandra CovaOMAGGIO A CROTTI

per cogliere ogni sfumatura ambientale negativa mi sentii da subito a mio agio con questa “adulta” che non giudicava ma comprendeva.Comprendeva il percorso adolescenziale con inten-sità e delicatezza, sapeva comunicare rispettando le difese della persona.Qualche anno dopo ho intrapreso il cammino gra-fologico e ho apprezzato profondamente la materia perché Evi Crotti insegnava un linguaggio non ver-bale in modo scientifico ma, allo steso tempo uma-no.Sempre senza elencare i suoi successi in campo professionale ma sempre e solo amando insegnare qualcosa di profondamente amato.Nel leggere i profili di Evi Crotti dipinti da Padre Gi-rolamo Moretti e di Padre Lamberto Torbidoni ho ritrovato la persona che istintivamente avevo impa-rato a conoscere.Afferma Padre Moretti “…..Riuscirebbe bene per insegnare in quanto ha l’abilità e la tendenza a saper spezzettare la materia che insegna…”Imparare la grafologia direttamente da Evi Crotti è stato un privilegio. Materia non facile in quanto si occupa della comunicazione non verbale, del non espresso, non è possibile insegnarla solo imparten-do istruzioni asettiche. Evi Crotti è sempre riuscita a trovare la strada per aiutarci a comprendere il tracciato davanti a noi, non leggendolo solo come una costellazione di se-gni ma come un ritratto della persona che, nuda e indifesa, si rivelava ai nostri occhi con la sua storia, le sue scelte, le sue prospettive.Ha anche insegnato a porsi nello schema di vita della persona di cui si stava analizzando la persona, superando le proprie personali proiezioni o i propri personali schemi di vita.Frequentandola ho compreso che il suo riserbo ini-ziale nasceva dal fato che: “…tende ad essere infa-stidita dalle mezze misure e a provare antipatia per coloro che le mettono in atto…” (cit. profilo sinteti-co di Padre Girolamo Moretti ).

Ho letto con molto interesse e attenzione “40 anni e + dedicati alla grafologia”, monografia che il dr. Ma-gni in collaborazione con il corpo docente dell’Ac-cademia Grafologica Crotti hanno fortemente vo-luto, e, nonostante la mia personale conoscenza della dott.ssa Crotti abbia una profondità temporale importante, sono rimasta colpita nell’apprendere quanto ha fatto e quanto ha speso per la grafologia.Ho conosciuto Evi Crotti nella mia lontana adole-scenza e sono subito rimasta colpita dalla riservatez-za con cui si presentava e, nello stesso tempo, dalla empatia che naturalmente dimostrava nei confronti delle mie difficoltà a crescere.Ragazzina sensibile e sempre con le antenne attive

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La lettura del profilo eseguito da Padre Torbidoni mi ha permesso di leggere nero su bianco quello che , semplice adolescente, avevo intuito: “…. Ha la disponibilità intellettiva ed affettiva all’ascolto del-le proposte altrui perché aperta di mente e genero-sa….”.Ecco perché riesce a trovare la chiave di comunica-zione con l’altro.Sono sempre rimasta profondamente colpita dal suo modo unico e irripetibile di entrare in comunicazio-ne con l’altro, con i bambini cui ha dedicato molto di sé, e questo perché, come s legge nel profilo di Padre Torbidoni: “.. Non tarda a capire quanto di valido c’è nella tesi altrui e quindi è capace di organizzare il proprio pensiero con quello degli altri..”.Ho avuto il privilegio di lavorare sul campo al suo fianco e vedere bambini tristi e incupiti, convinti di essere sbagliati, aprirsi alla fiducia e ad una nuova possibilità è qualcosa che scalda il cuore.Afferma ancora Padre Torbidoni: “…Ha talento psi-cologico che la porta ad essere introspettiva e ad approfondire l’interiorità, a valutare la disponibilità psichica e affettiva delle persoen…”L’ho vista impegnata in grandi battaglie, affrontare argomenti spinosi e difficili, capace di “…..padro-neggiare avvenimenti di una certa difficoltà….” (cit. profilo Padre Torbidoni), l’ho vista apparentemente diffidente e distante quando si trovava a remare in ambienti ostili.Sono profondamente onorata di aver incontrato sul mio cammino Evi Crotti, di averla potuta conoscere in differenti fasi della mia vita e in ognuna di esse ho sentito sempre la sua vicinanza discreta ma intensa.Sono colpita da come ama il prossimo, da come dona tutta sé stessa alla comprensione dell’altro, da come dona la sua energia.

Non posso che condividere quanto emerso dai pro-fili di Padre Moretti e di Padre Torbdoni, ed essere soprattutto profondamente riconoscente alla d.ssa Crotti alla sua umiltà, al suo profondo amore per la grafologia, disciplina che ha saputo elevare a livello di scientificità senza rinnegare le sue origini.

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di Maria Letizia AndennaPER IL PIACERE DI DISCUTERNE

completa possibile, avendo a disposizione solo l’at-tuale scritto e nessuno di precedente. I segni, con il rispettivo grado, che strutturano que-sta grafia (gli altri mi sono rifiutata di misurarli per-ché quasi impossibile farlo) sono:

- Pressione congestionata M,- Oscura M alto,- Stentata M,- Tentennante M,- Disordinata M,- MIR sm.

La scrittura è di uno studente di anni 30 al III anno di Giurisprudenza.

Profilo A

L’ispessimento e il blocco dell’energia non permet-tono un’adeguata irrorazione nell’intera persona del soggetto e riflettono una forte eccitabilità che rende lo stesso irritabile e poco propenso all’ascolto, alla calma. L’agitazione lo rende tumultuoso, inconclu-dente.Il timore delle responsabilità e una condizione di precarietà e insicurezza si ripercuotono sulla sua forza produttiva che difficilmente avrà quella fer-mezza indispensabile per compiere una scelta e por-tarla alle sue ultime conseguenze. La presenza simultanea di sentimenti opposti non permettono al soggetto di giungere a una sintesi, a una decisione unitaria e a formulare giudizi obiet-tivi.Il suo comportamento è contraddittorio e reattivo nei confronti del mondo circostante, che è conside-rato causa del suo malessere psicofisico, e crea nel soggetto disturbi di comunicazione e di relazione, acuendo sensi di dubbio e d’instabilità; inoltre, l’ac-cumulo di tensione, se non espresso con scatti col-lerici, spesso immotivati, è causa di somatizzazioni. Il soggetto si sente incapsulato da forze inibenti che ne impoveriscono l’Io, ledono la spontaneità e im-pediscono quella distensione utile per far emergere

L’ allegata grafia n. 33 è fra quelle inserite nel “Nuo-vo Dossier di Scritture” della nostra scuola. Non so se sia mai stata analizzata in classe. Mi ha “interessato” perché mi è sembrata una brutta scrittura, anche se so benissimo che non possiamo dire di una scrittura che è bella o brutta. Io l’ho de-finita così non per un fattore estetico, ma perché la vedevo “contratta, sofferente”. Del resto i segni più evidenti sono per la maggior parte negativi e di un certo grado che rendono molto difficile riuscire a individuare le potenzialità che, in modi, in qualità e in quantità differenti, tutti possediamo.Questa scrittura l’ho paragonata a un cartoccio di carta sgualcito, spiegazzato, stropicciato che se fosse stato possibile aprire e spianare avrebbe probabil-mente potuto mostrare una interiorità ricca di doti umane e intellettive. Qui di seguito ho cercato di stilare un profilo di-dattico (profilo A) e successivamente come mi sarei espressa se questa persona fosse venuta da me per sapere qualcosa di se stessa (profilo B). In ogni caso è sempre necessaria un’anamnesi la più

Grafia 33

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e sfruttare le sue potenzialità che risultano imbri-gliate nell’espressione e nell’espansione.

Profilo B

La scrittura del soggetto indica una personalità compressa nella quale le indubbie buone potenzia-lità non trovano svolgimento perché bloccate da un ingorgo emotivo.Esitante nell’agire, il soggetto non ha ancora deci-so quale indirizzo dare alla propria vita e compreso che, una volta attuata una scelta, non dovrà desistere di fronte agli ostacoli che si incontrano sempre du-rante il percorso verso una meta.E’ opportuno che, con la riflessione e un paziente impegno, riesca a districarsi da questa modalità di reazione eccessiva agli stimoli che lo àncora a una amplificazione e a una moltiplicazione ingiustifi-cabili dei problemi che finiscono per aumentare in modo vizioso la sua insicurezza.Tutto ciò contrasta con la fluidità evolutiva, per mezzo della quale il soggetto può far conoscere e valere le sue qualità intellettive e le sue capacità di espansione, conferendo di conseguenza un’ampia gratificazione alla sua vita.Deve accordare più fiducia a se stesso e agli altri e misurare la sua ricchezza umana nell’interscambio di opinioni e sentimenti. Anche il considerare gli eventuali insuccessi come esperienze, anziché esi-genze insoddisfatte da parte dell’ambiente, ha il pre-gio di stimolare la libertà di attingere alle proprie ri-sorse interiori di cui non ne ha ancora sperimentato la reale portata.La gestione della collera può giovargli ai fini della produttività in senso umano e rendere più duttile e penetrante la comunicazione e più adattivo il suo modo di essere, anche se l’eventualità di somatizzare la tensione trattenuta sarà sempre presente. Ha mai cercato di praticare una qualsiasi attività fisica per scaricare parte della sua “irruenza”?

N.B. E’ bene ricordare che un profilo va sempre con-segnato di persona e discusso con il soggetto, così da poter addolcire con le parole, se serve, qualche pas-saggio che può non essere condiviso o addirittura risultare sgradito allo stesso.Qui di seguito alcuni dei principali positivi atteggia-menti da interiorizzare e mettere in pratica concre-tamente nell’approccio alla scrittura da esaminare e quindi alla persona che si manifesta da essa:- accoglienza e ascolto,- empatia,- misura valutativa,- prudenza e rispetto.

Mai cedere al desiderio di porre in luce le nostre co-noscenze; limitiamoci a rispondere a quanto ci vie-ne richiesto.

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e

SNewNew

a due voci

editoriale

personaggio storico

personaggio attuale

recensioni

firme famose

spunti grafologicifisiognomica

perizia

ricerche

aggiornamenti

psicologia

di Alga Guernieri

Una lettera inedita di Elio Vittorini (1908-1966)INTOSSICAZIONE DA PIOMBO

che modo Elio Vittorini sia stato intossicato, né per quanto tempo.Il piombo più comune si trova nella benzina e nel-la pittura per le pareti. Il piombo è ovunque, anche nello sporco, polvere, o nei nuovi giocattoli, ma an-che nelle tubature, gas di scarico, gioielli e cerami-che. Purtroppo non si può vedere, non ha sapore o odore. Gli esperti affermano che tra gli effetti, so-prattutto se sono i bambini a venire intossicati, ci possono essere una ridotta crescita fisica, un ritardo intellettivo (ridotto quoziente intellettivo), proble-mi di attenzione o nel comportamento, problemi di udito. In ogni caso, se i livelli di intossicazione sono elevati, cioè severi, una parte del corpo che viene colpita è anche il cervello. Il prof. Ugo Bardi (docente presso la facoltà di Scienze Matematiche e Fisiche Naturali dell’Università di Firenze ( http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/01/16/anni-di-piom-bo-spiegazione-inaspettata-delle-origini-del-crimi-ne-e-della-violenza/471266/ ) afferma che “Alcuni studi, in effetti, hanno messo in relazione l’ondata di violenza degli ultimi decenni con la quantità di piombo presente nell’ambiente.” Sembra che in passato ci fosse l’abitudine di edulco-rare il vino con sali di piombo. Questa pratica pro-vocava un progressivo accumulo di piombo nell’or-ganismo, che si rifletteva in comportamenti anomali e schizofrenici. Gli stessi romani antichi conserva-vano spesso il vino in botti di piombo: l’acidità del vino scioglieva l’ossido di piombo che passava nella bevanda. Altra situazione: molti pittori, tra i qua-li Van Gogh e Goya, erano soliti utilizzare colori a base di piombo per la realizzazione delle loro ope-re; la pazzia, la schizofrenia ed i disturbi mentali e psicologici degli stessi erano attribuiti all’intossi-cazione da piombo, causata appunto dall’inalazio-ne e dall’ingestione dei colori (le fonti riportano che Goya aveva l’abitudine di bagnare la punta del pennello con la saliva, non con l’acqua, ingerendo notevoli quantità di piombo che si accumulavano nell’organismo).

Il critico letterario e documentarista Sergio Palum-bo, nel suo interessante e variegato sito : http://www.sergiopalumbo.com/LETTERATURA.htm alla voce letteratura presenta una lettera ine-dita di Elio Vittorini – noto scrittore del ‘900, tra-duttore – indirizzata al giurista Salvatore Pugliatti con il quale si scusa per essersi comportato verso di lui in modo polemico e poco cordiale a seguito di una recensione del Pugnatti su Montale che gli ha fatto letteralmente “andare il sangue alla testa” per la rabbia.Ebbene, a parte l’immancabile interesse grafologi-co per la scrittura di Elio Vittorini, quello che mi ha spinta a proporvela in questa sede è stata la con-comitanza della lettera in questione (del 1931) con l’insorgere proprio in quell’anno di una intossica-zione da piombo che ha poi costretto il Vittorini ad abbandonare il posto di lavoro come correttore di bozze e da quel momento a vivere solamente del ri-cavato delle sue traduzioni dall’inglese (note quelle di Faulkner, Poe, Lawrence) e dell’attività di consu-lente editoriale.Una concomitanza che, dal nostro punto di vista grafologico, ci permette di scrutare alcuni elementi che si riallacciano al suo stato di (non) salute.Non ho modo di vedere la sua scrittura abituale, ma ci sono diversi indizi che portano a concludere che quando egli ha scritto questa lettera non fosse in buone condizioni di salute (vedere anche quell’altra su youtube: https://www.youtube.com/watch?v=P5bM160Miw0&feature=youtu.be dello stesso periodo).

Note sugli effetti possibili dell’intossicazione da piombo

Non sono un medico, quindi il mio linguaggio potrà risultare un po’ semplicistico. Questo tipo di avve-lenamento può essere valutato nella sua fase acuta o diventare cronico se l’esposizione al piombo (per ingestione o per inalazione della polvere del metallo o attraverso la pelle) avviene in modo continuati-vo, anche a piccole dosi. Non ci è dato di sapere in

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Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/benesse-re/saturnismo.html

La scrittura di Elio Vittorini

Se osserviamo attentamente, come sempre facciamo del resto, lo scritto di Elio Vittorini, quello che ap-pare evidente quasi subito è il tratto “a scatti”, che non si può definire del tutto “tremolante” ma che subisce accelerazioni e decelerazioni scomposte: le frasi è un borghese’ / comprenderà – confronti della poesia – Circoli (nella seconda metà della pagina) – lo ammiro – simpatia.La scrittura è molto spontanea, slanciata, vi è un entusiasmo di fondo, sensibilità e passionalità: la risposta sua abituale non può che essere immedia-ta. E’ però una scrittura fortemente agitata, rasen-ta l’impazienza, è ascendente, con accelerazioni e decelerazioni in un andamento legato (attaccata) e molto rapido (veloce), ma comunque ansioso (ad-dossamenti). Il nervosismo è presente e lo si avverte al primo sguardo. Viene da chiedersi: tutta questa concitazione fa parte del suo carattere o viene am-plificata dallo stato di avvelenamento? Propendo per la seconda situazione, in quanto anche il trat-to filiforme, a volte evanescente, a volte - in modo contrastante - sicuro e determinato (recisa) denota uno stato di stress con scarsa capacità di vero au-tocontrollo, in un contesto che definirei ‘esagitato’, ‘conturbato’, ‘frenetico’, ‘agitato’. Anche nel testo del-la lettera trapela il suo stato d’animo di persona, sì sensibile, ma anche ‘sconcertata’, ‘spaventata’. La recensione del Pugnatti gli ha infatti, a suo dire, ‘fatto andare il sangue alla testa’. Egli, per il suo modo sociale di reagire in quell’occasione, si defi-nisce ‘quasi un pazzo’, ‘non so tollerare’. Nella lettera si umilia, chiedendo scusa, esponendo per iscritto le sue debolezze interiori, ma per natura non è una persona umile! È anzi piuttosto combattiva, tenace (ascendente, pendente, acutezze, recisa e dinamica).

A conclusione di questo breve studio, ritengo che segni importanti, rivelatori di uno stato di salute al-terato, vadano proprio ricercati nella pressione (se-gno che il Palaferri ha messo in primo piano rispetto a tutti gli altri, compreso il curva e l’angolosa) e nel ritmo grafico che, dalla scuola Crotti viene esplicita-mente paragonato al respiro che “nei suoi movimen-ti di inspirazione ed espirazione produce equilibrio psicofisico”. Nella scrittura di Elio Vittorini pressio-ne e ritmo appaiono, secondo il mio giudizio, piut-tosto alterati.

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GRAFOLOGICA E DINTORNIENIGMISTICA

Soluzioni a pag. 33

SOLUZIONE CALIBRO

a cura di Maria Letizia Andenna

PoesiaPoesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia

poesia

criminologia

enigmistica

calendario iniziative

poesie

disegni

grafologia nella scuola

dizionario grafologico

convegni

comunicazioni

CRARARC

6 9 7 5 8 10 4

RBLIBIL

ALCBCLR

BOBAIBA

OARLRCA

BCIRLBL

IRAOARO

Scrivete nelle caselle vuote le lettere che, riportate nella seguente griglia, compaiono tante volte quanto indicato dal numero segnato nelle caselle stesse. A gioco ultimato si otterrà il nome di quel segno la cui grandezza è legata al senso di potere e di impor-tanza.

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Scrivete nelle caselle vuote le lettere che, riportate nella seguente griglia, compaiono tante volte quanto indicato dal numero segnato nelle caselle stesse. A gioco ultimato si otterrà il nome di quel segno la cui scorrevolezza del gesto non presenta arresti, in-ceppamenti o contorsioni.

GRAFOLOGICA E DINTORNIENIGMISTICA

PoesiaPoesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia

poesia

criminologia

enigmistica

calendario iniziative

poesie

disegni

grafologia nella scuola

dizionario grafologico

convegni

comunicazioni

IDLIUID

5 6 8 9 10 11

FAUDLFA

DIFLIUA

ALDADIL

UAUIFLU

AAIDUIA

ADAUDDF

SOLUZIONE FLUIDA

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Parole incrociate facilitateLe operazioni svolte dalla memoria sono di quattro tipi. Provate a individuarle risolven-do le sottoelencate definizioni.

Verticali1) Viene attuata, in base alle espe-rienze, alle conoscenze precedenti, agli interessi e alle aspettative del soggetto, per ritenere le cose salienti su un deter-minato argomento a cui si è assistito.

2) Subentra quando viene conferito un certo significato a quanto si è capito delle cose ascoltate e di quanto queste si rapportano con ciò che già si sa o si pre-vede.

3) Indica la ritenzione delle proprietà principali delle informazioni significative e l’eliminazione dei dettagli.

Orizzontale1) E’ l’ultimo procedimento condotto a termine dalla memoria; le informazioni vengono trattenute e incorporate in quel-le già possedute, così da creare un in-sieme unico e coerente con il sistema di nozioni acquisite.

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RAGIONAMENTOProcesso della mente grazie al quale si parte da un dato reale per arrivare, come conseguenza inevitabi-le, a un altro. Questa funzione viene compromessa nei soggetti con deficit intellettivo e nei casi di pa-ranoia.

RANCORESentimento di astio profondo causato da paura o insicurezza che aumenta col tempo e arricchisce di dettagli falsi l’avvenimento che l’ha determinato.

RAPTUSImpulso improvviso e incontrollabile che spinge ad azioni molto aggressive (fino a fatti estremi come l’o-micidio o il suicidio). Il raptus può aver luogo al cul-mine di un momento di malinconia, di depressine, di angoscia, d’ira e nelle crisi di epilessia.

RAZIONALETermine attinente alla ragione.

REATTIVOChe stimola una risposta (ottenuta per mezzo di un test) che permette di approfondire la personalità o un particolare aspetto della stessa (intelligenza, cul-tura, sessualità, ecc.) che interessa allo psicoterapeu-ta.

REGOLA FONDAMENTALERiguarda l’invito (o l’ingiunzione) da parte dell’ana-lista al paziente per fargli dire ciò che pensa e pro-va, senza riserve e senza preoccuparsi di come sarà giudicato.

REGRESSIONEE’ il ritorno di un processo psichico a uno stadio precedente del suo sviluppo, con modalità espres-sive e di comportamento già sperimentate. E’ un meccanismo di difesa dell’Io che si attiva dopo un evento traumatico (malattia, incidente, lutto) pro-prio per proteggersi da sentimenti spiacevoli e da conflitti inconsci dolorosi.

RELIGIOSITA’La religiosità è un sentimento di intenso e intimo coinvolgimento che si esprime con atti di devozione e di attenzione a un ideale religioso. La religiosità è il senso del soprannaturale, una spinta interna for-tissima che ci avvicina al “sacro”; allo stesso tempo è esperienza di paura perché oltrepassa il territorio dell’inconscio e dell’irrazionale. Ai giorni nostri, vi sono patologie della psiche che accompagna-no con sempre più frequenza il gravoso cammino dell’uomo e che pare appartengano alla perdita di religiosità che produce turbamento, confusione e vuoto interiore, tramite cui si esprimono le comuni nevrosi esistenziali. Per vivere, come per uscire dal-la sofferenza, abbiamo bisogno, come diceva C. G. Jung, di fede, speranza, amore e conoscenza: “Que-ste quattro massime acquisizioni, meta del desiderio umano, sono altrettante grazie che non si possono né insegnare né apprendere, né dare né prendere, né trattenere né meritare, poiché sono legate a una condizione irrazionale sottratta all’arbitrio umano, cioè all’esperienza. Ma le esperienze non si possono mai fare: accadono”.

REPRESSIONETrattasi dell’annullamento volontario di un deside-rio, di un’idea, di un sentimento sgradevole o con-trario alle convinzioni morali ed etiche (per esem-pio, il desiderio di sedurre il marito di un’amica).

RESILIENZASe in fisica la resilienza è la capacità dei materiali di resistere agli stress, in psicologia indica l’abilità di liberare le risorse interiori nei momenti diffici-li. Elena Campanini, psicologa clinica e autrice con Alfredo Formosa de L’arte di risalire (Mental Fitness Publishing), riferendosi a questi tempi di crisi in cui capita di avere meno lavoro o, peggio, di averlo perso, afferma: “Confrontarsi con le sfide rafforza la capacità di adattamento che possediamo tutti. Le mosse giuste, che dobbiamo imparare a sfruttare, sono: 1) Non fissarsi sul trauma, per non scivola-re nell’autocommiserazione, a un certo punto dob-biamo dire basta; 2) guardarsi attorno, allargare la visione e imparare da chi, più sfortunato di noi, ce R

Dizionario Psicologico

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A cura di Maria Letizia Andenna

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l’ha fatta; 3) trovare un lavoro qualsiasi, ci sentiremo utili e attiveremo mente e corpo con esperienze che arricchiscono; 3) fare tesoro di quello che si ha, le nostre risorse materiali e psicologiche sono il baga-glio più importante che occorre valorizzare sempre; 4) cercare degli alleati, non siamo soli a questo mon-do, se condividiamo e ci facciamo aiutare i nostri progetti ci daranno più soddisfazione”. RESISTENZAE’ un meccanismo di difesa paradossale che si rileva sempre durante la terapia analitica, riguardante una sorta di opposizione istintiva al processo di raziona-lizzazione dei conflitti inconsci.

RETICENZAForte ostilità psicologica; consiste nel nascondere o nel mascherare in modo più o meno conscio alcu-ni disturbi interiori, emozioni, sentimenti, idee che provocano vergogna o non piacciono, così da trarne un vantaggio. E’ una peculiare forma di menzogna.

RICETTIVITA’La capacità individuale di cogliere dall’ambiente esterno le varie informazioni che non sono, comun-que, copia diretta della realtà, ma il risultato di una serie di mediazioni.

RIDERERidere è un atto solo umano così come il pianto. La risata libera tutte le tensioni concentrare al nostro interno, è liberatoria e salutare, quindi terapeutica. Il riso ridesta e ravviva tutto il corpo; alle volte ci è difficile trattenerci e ridiamo in modo irrefrenabile e non c’è niente di più travolgente per la nostra sa-lute fisica (infatti si dice “il riso fa buon sangue”), ma anche mentale. Ridere facilita il contatto socia-le, l’amicizia, l’interesse per l’altro, suscita simpatia e accresce la risposta del sistema immunitario che aiuta quei fattori di protezione che ci difendono dagli agenti esterni. E’ una vera e propria “pozione magica” contro la drammatizzazione, questo stress negativo che la nostra società diffonde a piene mani.

RIFIUTOMisconoscimento cosciente o inconscio di una si-tuazione, di un comportamento, di parole che cau-sano dolore. Il rifiuto è anche una manifestazione di delirio, malinconia e schizofrenia.

RIFLESSOReazione immediata e spontanea a uno stimolo esterno, che non richiede l’intervento volontario e

cosciente.

RIFLESSO CONDIZIONATOTermine ricavato dalla “psicologia comportamenta-le” del fisiologo russo I. P. Pavlov (1849 – 1936), su cui si basa la psicologia sperimentale. Secondo que-sto processo, uno stimolo viene associato svariate volte di seguito a un altro stimolo, in modo da pro-vocare una precisa reazione. Dopo un certo numero di queste “prove di condizionamento”, il primo sti-molo causa la reazione anche in assenza del secondo stimolo. L’esperimento iniziale di Pavlov venne fatto su un cane.

RILASSAMENTOIl riposo fisico e mentale; “la pausa” dalla tensione determinata dai problemi quotidiani.

RIMOZIONEMeccanismo di difesa dell’Io, messo in atto per sep-pellire nell’inconscio fatti, pensieri e ricordi (pronti a tornare a galla in seguito a specifiche sollecitazioni psicologiche) legati a una pulsione negativa.

RITARDO AFFETTIVOLa non evoluzione della sfera degli affetti e delle emozioni più profonde, che condiziona a comporta-menti e richieste infantili (per esempio, volere tutto e subito). Il ritardo affettivo può essere determina-to da un’educazione sbagliata, troppo autoritaria o troppo libera.

RITMIAIl dondolamento in avanti e all’indietro della testa e della parte superiore del corpo. E’ tipico di alcune psicosi infantili.

RITUALEInsieme di gesti che vengono compiuti secondo un preciso ordine. E’ un comportamento ripetiti-vo quasi obbligatorio e talmente vincolante da far ritenere punibile il non assolverlo. E’ un termine derivato dal lessico religioso per accentuare il suo carattere sacro.

ROMANTICO (amore)E’ un tipo di amore che si nutre, oltre che del rap-porto col partner, anche di ideali e fantasmi. Questo amore, frequente in età adolescenziale, è indice di immaturità affettiva se si presenta in forma accen-tuata in un soggetto adulto. Si distingue dagli altri tipi di amore in quanto porta il soggetto a “immer-gersi totalmente” nella persona amata, che viene così

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a essere idealizzata (e ovviamente falsata) nella sua dimensione reale. Infatti, questo tipo di amore, stra-volge l’obiettività portando a ignorare i difetti e a esaltare i pregi della persona amata.

RORSCHACH HERMANN Psichiatra svizzero (1884 – 1922). E’ famoso per aver ideato il test che porta il suo nome (o delle “macchie d’inchiostro”), impiegato sia in psicologia che in psichiatria per approfondire lo studio delle personalità particolarmente alterate. Il test consiste nell’osservare una serie di macchie, apparentemen-te senza significato, per poi darne l’interpretazione personale.

RUOLO SESSUALESi riferisce al modo in cui il soggetto esprime la pro-pria sessualità e afferma la propria mascolinità o la propria femminilità nell’ambiente sociale in cui si trova a vivere. La coscienza del ruolo sessuale e dei segni esteriori della mascolinità e della femminili-tà inizia a svilupparsi nel bambino intorno ai due o tre anni di età. Oggi la vecchia divisione dei ruoli e degli stereotipi maschile-attivo e femminile-pas-sivo è per lo più scomparsa fra gli adolescenti che, al contrario, si esprimono sessualmente sempre più attraverso nuovi modelli di comportamento, mag-giormente complessi e non ben definiti.

RUPOFILIAAttrazione per la sporcizia e per il cattivo odore che emana un soggetto ed è, in effetti, una deviazione sessuale contraddistinta dalla ricerca di tutto ciò che in lui è sudicio.

RUPOFOBIAE’ la paura patologica dello sporco caratterizzata da una sequenza di atti compulsivi che contrastano in modo esagerato i rapporti sessuali più semplici. R

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Arrivano i libri...

Prefazione al libro di Evi CrottiMio figlio è (quasi) un adolescentea cura di Bruno Ravasio

“Ciò che rimane silenzioso durante l’infanzia di solito si manifesta a gran voce nell’adolescenza”.(E. Kestemberg)

Convinti del dovere che la nostra società ha di educare i suoi giovani, ci poniamo la domanda: «Come si fa a ‘educare’, oggi, con tutte le difficoltà che incontriamo? Non basta dire che ‘si deve’; diteci invece come `si fa”. Proviamoci. Nessuno può educarsi da solo: «Ubi puer, ibi patres», dove c’è un ragazzo, lì ci deve essere un educatore.Quando incomincia l’educazione di un figlio?Prima che nasca, dalla costituzione della ‘coppia genitoriale’. Esiste infatti uno scenario fantasmatico dei genitori: come ognuno pensa, desidera, vorrebbe il figlio... e il figlio viene inserito in un mondo di aspettative e di sogni. Il rischio è che il genitore si innamori di questo figlio fantasticato, idealizzato, e continui a relazionarsi con lui emotivamente come se fosse reale... Il figlio ‘vero’ può essere quindi una delusione, non corrispondere ai sogni dei genitori e non venire ac-cettato, ma piuttosto rifiutato, discusso, criticato. Il figlio percepisce di non cor-rispondere alle aspettative dei genitori, di non essere come lo avevano desidera-to, e per questo può innescare un comportamento reattivo fatto di aggressività o di passivo sabotaggio alle richieste genitoriali. Afferma la sua personalità, come se dicesse: «Non sono il figlio che voi volevate, sono io». Compito del genitore sarà quello di abbandonare l’immagine del figlio sognato per dedicarsi al suo ‘vero’ figlio, con le sue caratteristiche, i suoi limiti, la sua unicità.Lo strumento più valido che abbiamo tra le mani per educare è la nostra perso-nalità; quindi la prima attenzione che un educatore deve avere è quella verso se stesso.

* Bruno Ravasio è stato fondatore e direttore del Cospes (Centro di orientamento scolastico, professionale e sociale).

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Più la sua personalità è matura, più si troverà nella condizione di saper educare.Il nostro ‘apparato psichico’ è come uno strumento musicale non sempre ben ac-cordato; quindi, compito primario è accordare questo strumento per non correre il rischio di stonare, di sbagliare l’intervento, di peggiorare l’occasione educativa.Se siamo alterati nell’umore, carichi di aggressività, stanchi per il lavoro o per altro, indispettiti, o, peggio, in stato di depressione... non siamo certo nella con-dizione migliore per dire la parola giusta, per valutare con esattezza la situazione del ragazzo, per cui il nostro intervento corre il rischio di essere inopportuno e inadeguato; si risolverà in una sgridata inefficace, in uno sfogo personale, forse utile a noi stessi, ma improduttivo ai fini della correzione.Dobbiamo saper attendere il momento giusto per noi e per il ragazzo; la reazio-ne istintiva è spesso sbagliata. Occorre prima accordare lo strumento (la nostra personalità), attendere in silenzio e poi toccare la corda giusta.Educare è un’arte! Dobbiamo diventare professionisti dell’educazione. Quando una coppia decide di avere un figlio deve attrezzarsi a fornirgli un ambiente af-fettivo, una presenza costante, un progetto educativo sano, accoglienza e gioia di vivere insieme.Un figlio ha bisogno di regole, di indicazioni comportamentali precise, di co-noscere ciò che è bene e ciò che è male fin dall’inizio dei suoi giorni; norme impartite con dolcezza e fermezza da genitori coerenti tra quello che dicono e quello che fanno.Ogni comportamento del ragazzo, anche il più sbagliato, è sempre un messaggio inviato a noi genitori o educatori. Ogni azione, anche la più riprovevole, ha sem-pre in sé un’anima di verità.Tocca a noi coglierla decifrando il messaggio, decodificandolo, non per giustifi-care il ragazzo, ma per capire il perché della sua azione. Così potremo compren-derlo e correggerlo. Ciò vuol dire ‘mettersi nei suoi panni’, cioè nella migliore condizione per cogliere le motivazioni del suo comportamento. Non è sempre facile, è vero! Ma questa è la strada da percorrere. Partire dalle sue ragioni, dai suoi bisogni inespressi, poco chiari anche per lui, che lo portano a comporta-menti qualche volta riprovevoli.

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Qual è il ruolo di un educatore nel processo evolutivo che porta il ragazzo dalla fase puberale a quella dell’adulto?L’educazione è fondata sulla giusta graduazione della frustrazione e delle gra-tificazioni, che è un problema di estrema difficoltà, perché gli individui sono diversi e il grado di frustrazione, così come quello di gratificazione, che ognuno è capace di sopportare, differisce da individuo a individuo.È molto importante perciò stabilire il giusto rapporto tra giovane ed educatore, per poter comprendere questo limite e individualizzare, per quanto possibile, l’attività educativa.Il punto-base dell’educazione è la relazione tra autorità e ubbidienza. L’autorità deve essere esercitata ed è, anzi, un diritto del bambino quello di essere guidato; ma non deve essere opprimente, bensì regolata sui bisogni della natura del ra-gazzo. Deve essere un’autorità serena e comprensiva, che cerca di non avvilire, ma di rafforzare la volontà autonoma. Inoltre, va esercitata ordinatamente, in modo che intervenga soltanto quando è necessario.Il ragazzo che disubbidisce, assai spesso, lo fa soltanto per ribellarsi a un eserci-zio sbagliato dell’autorità da parte di genitori o educatori. L’autorità può degene-rare in ‘autoritarismo’, si ha allora la prepotenza, il prevaricare l’uno sull’altro, la violenza che genera violenza.L’autorità può invece trasformarsi in ‘autorevolezza’, fatta di affetto, simpatia, rispetto, amore. Per educare, l’adulto deve sapersi conquistare autorevolezza e credibilità nei confronti del ragazzo. Dove non c’è autorevolezza, l’uno non tra-smette niente all’altro. L’autorevolezza è la consapevolezza della propria respon-sabilità nella funzione di guida. Ciò significa dare norme e regole precise e saper essere coerenti e costanti davanti ai ‘sì’ e ai ‘no’ necessari nel nostro rapporto con i figli.Non va inoltre trascurato il ‘silenzio’ di cui bisogna saperli circondare; il che si traduce nel mantenere una giusta distanza.Non si ripeterà mai abbastanza quanto sia sbagliato per i genitori essere i ‘mi-gliori amici’ dei propri figli; dove si crea troppa intimità infatti non è più pos-sibile esigere il rispetto e mantenere l’autorevolezza che richiede l’imposizione di regole indispensabili a una crescita armoniosa. Occorre mantenere vivi nella famiglia i ruoli generazionali e sane distanze, colmate però da tanta saggia affet-tività.

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Gli autori di questo libro percorrono l’età evolutiva presentando una galleria di quadri che inducono genitori ed educatori alla curiosità e all’approfondimento di tanti spunti che il testo suggerisce.L’uomo comunica attraverso vari tipi di linguaggio. Il linguaggio non verbale è il primo a essere percepito e può sostituire, completare o contraddire le in-formazioni inviate verbalmente. Il corpo umano, per la sua grande potenzialità espressiva, può essere definito un corpo linguistico: i movimenti della testa e delle mani, la mimica del volto, lo sguardo...Gli autori privilegiano l’analisi del gesto grafico. A tal proposito, la scrittura, co-municazione in sé, in quanto comportamento espressivo particolare e privilegia-to non può non palesare la modalità espressiva del suo autore. L’indagine grafo-logica, pur nell’impossibilità di cogliere tutta la persona che scrive, consente di individuare lo stile comunicativo che la caratterizza.Questo volume, di facile lettura e comprensione, si rivela assai utile per genitori, insegnanti ed educatori che quotidianamente si trovano a essere coinvolti nelle problematiche di tanti adolescenti.

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PINI DI NATALE

È solo in un luogo lontano e specialeche nascono i pini di Natale.

Sono tutti alti ugualie sui rami, a dicembre, crescono i regali.

Si tratta di ottimi dolcettisimpatici occhiolini e dei buffetti.Ci sono anche rami da riempire

che spetta a noi abbellire.Io ci metterei qualche sorrisoper chi non ne ha più sul viso

e un po’ di linguacce irriverentiper ridere mostrando i denti.

Non ci starebbe male anche un po’ di pacema forse non a tutti piace

anche se son certa che alle bastonatepreferiscono carezze e crostate.

Io quest’anno, ho deciso, appendo la serenitàper tutte le mamme e i papà.

Giuseppina Ranalli

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Soluzioni Enigmistica:

Esercizio 1 Esercizio 3

Esercizio 4

Esercizio 2

1 2 3 4 A S T A C T O N C E N G U N I O R T C L A A I O T T T S A A A’ A

G E N I T A LE

L A B I L I TÀ

I N S I C U RO

E M O Z I O NE

S O M A T I CO

O R G O G L IO

A P E R T U RA

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SIASPRMTZOEEV

EDETACITNETUA

GIVERIFICATEI

NFLOEIIAINSRL

RICONOSCIUTEE

1 = V; 2 = F, il testo incriminato, specie se breve, è ripetuto più volte; 3 = V; 4 = F, al contrario è impor-tante; 5 = V; 6 = V; 7 = F, è sempre meglio verifica-re il sesso dello scrivente dai dati anamnestici dello stesso; 8 = F, il tipo di penna usata condiziona il flu-ire del materiale colorante sulla carta, influenzando lo spessore del tratto/la pressione; 9 = F, la copia per composizione può essere fatta utilizzando vari tipi di strumenti che permettono di trasferire sul PC im-magini realistiche.

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rafologiaGPeriodico dell’ACCADEMIA GRAFOLOGICA CROTTI

Direttore responsabileEdvige CrottiVicedirettoreAlberto Magni

Art DirectorAlessandro CrottiValentina Pezzella

Comitato ScientificoMarcello Cesa-BianchiEvi CrottiAlberto MagniLucia SimottiCarlo CristiniAlessandro PorroOscar VenturiniFrancesca MorelliMichele Sforza

Hanno collaboratoMaria Letizia AndennaGianni PastroMilvia FioroniAlessandra CovaCristina FlorisAlga GuernieriGiuseppina Ranalli

Direzione e redazioneViale Marche, 35 - 20125 Milano

Autorizzazione del tribunale di Milano n° 284 del 2/6/1984

ISSN: 0393-7453

E’ severamente vietata ogni riproduzione, tradu-zione o adattamento dei manoscritti senza l’auto-rizzazione della direzione.I manoscritti inviati, allegati ai testi non saranno restituiti. Eventuali riduzioni o ingrandimenti degli stessi sono in funzione dell’impaginazione grafica.La responsabilità degli articoli è degli autori.

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L’abbonamento annuo ha il costo di € 20; dopo aver comunicato il paga-mento di tale somma verrà inviata una mail con il codice Id e la Pas-sword per poter scaricare la rivista Online. Per gli allievi in corso l’abbo-namento è gratuito. Il pagamento può essere effettuato tramite bollettino postale o bonifico bancario:- ccp n° 58159203 intestato Evi Crotti, viale Marche, 35 - 20125 Milano- codice IBAN: IT48X0311101628000000010248

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Edvige CrottiLa nostra e-mail: [email protected]

Il nostro sito: www.evicrotti.com