Gradi, Marco, Vizi in Procedendo e Ingiustizia Della d

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STUDI IN ONORE DI CARMINE PUNZI Estratto G. GIAPPICHELLI EDITORE – TORINO

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STUDI IN ONOREDI

CARMINE PUNZI

Estratto

G. GIAPPICHELLI EDITORE – TORINO

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VOLUME TERZO

DIRITTO PROCESSUALE

IMPUGNAZIONI

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MARCO GRADI

VIZI IN PROCEDENDO E INGIUSTIZIA DELLA DECISIONE

SOMMARIO: 1. Il giudizio come scioglimento dell’incertezza. – 2. Ingiustizia e nullità della sentenza. – 3. L’appello proposto per soli motivi di rito. – 4. Profonda umanità dell’impugnazione per vizi in procedendo avverso la sentenza di primo grado. – 5. Condizioni di ammissibilità della stessa e ve-rifica della fondatezza del motivo di nullità. – 6. Sentenza nulla e abuso del processo.

1. – Come ha insegnato il Maestro che qui si onora, non vi può essere alcuna confortante certezza che, nello sforzo dell’ordinamento di raggiungere la giusta de-cisione della lite attraverso il riesame della controversia, l’appello e le altre forme di impugnazione della sentenza assicurino senza dubbio un tale risultato, poiché, in verità, «non esiste alcun mezzo che dia la prova assoluta della giustizia» (1).

In effetti, anche se la possibilità di riesaminare la decisione appare «un vero e prepotente bisogno dei civili consorzi» al fine di consentire un’ulteriore chance per l’affermazione della verità e del diritto (2), non può sfuggire che, a prescindere dalla

(1) Così, espressamente, S. SATTA, C. PUNZI, Diritto processuale civile13, Padova, 2000, p. 456, rispec-chiando il pensiero che già si trovava espresso nel suo Maestro, S. SATTA, Diritto processuale civile, Pa-dova, 1948, p. 286; cfr. anche C. PUNZI, Il processo civile. Sistema e problematiche, Torino, 2008, vol. I, p. 46 s.

Per giustizia della decisione, intendo, per il momento, «la sua conformità alla regola di diritto posi-tivo applicabile al singolo caso», che è indicata, come punto di partenza e come requisito indispensabi-le, da M. TARUFFO, Idee per una teoria della decisione giusta, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1997, p. 316 ss.; peraltro, come rilevato dal medesimo autore, ciò non esaurisce affatto il problema della giustizia, considerato che vi è sempre la questione della legge ingiusta e dei criteri per stabilire siffatta ingiustizia: in argomento, v. E. OPOCHER, voce Giustizia (filosofia del diritto), in Enc. dir., XIX, Milano, 1970, p. 557 ss., spec. p. 573 ss.; C. PERELMAN, La giustizia, trad. it. con prefazione di N. Bobbio, Torino, 1959, p. 83 ss.

(2) Per tale significato e scopo dell’appello, v. già G. PISANELLI, in P.S. MANCINI, G. PISANELLI, A. SCIALOJA, Commentario del codice di procedura civile per gli Stati sardi, vol. IV, Torino, 1857, p. 21 ss., spec. p. 33; L. MORTARA, voce Appello civile, in Dig. it., vol. III, 2, Torino, 1890, p. 447 ss.; E.T. LIE-

BMAN, Il giudizio d’appello e la Costituzione, in Riv. dir. proc., 1980, p. 401 ss.; contra, v. principalmente E.F. RICCI, voce Doppio grado di giurisdizione (principio del), in Enc. giur., XII, Roma, 1989, p. 7 ss., il quale nega invece l’utilità dell’appello ai fini della giustizia, essendo a ciò sufficiente la garanzia del ri-corso per cassazione. Nel senso che anche quest’ultimo debba in ogni caso essere inteso (soprattutto) a tutela del diritto delle parti ad una sentenza giusta, v., di recente, G. VERDE, In difesa dello jus litigatoris (sulla Cassazione come è e come si vorrebbe che fosse), in Riv. dir. proc., 2008, p. 10 ss.; ma già L. MOR-

TARA, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile4, Milano, 1923, vol. II, p. 21; E. FAZZALA-

RI, Il giudizio civile di cassazione, Milano, 1960, p. 208 s.; per l’idea che la funzione della Suprema Corta sia (prevalentemente) quella di assicurare l’uniforme interpretazione del diritto e che, quindi, l’interesse della parte ad una sentenza giusta sia solo indiretto, v. la classica trattazione di P. CALAMANDREI, La Cassazione civile, Milano-Torino-Roma, 1920, vol. II, p. 131 ss., che trova ancora eco, fra l’altro, in V.

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qualità del controllo consentito in sede di impugnazione, la pronuncia emessa dal giudice superiore risente comunque degli stessi limiti in cui incorre la sentenza im-pugnata, limiti che sono da attribuire al fatto che ogni giudizio, proprio in quanto finalizzato alla scioglimento dell’incertezza, non può mai acquistare – fuori da sé stesso – un valore universale ed eterno (3).

Ciascuna decisione giurisdizionale implica infatti la necessità di compiere una complessa serie di scelte fra possibili alternative, alcune delle quali, pur escludendo-si a vicenda, si presentano potenzialmente plausibili ed equivalenti (4); ciò compor-ta, come hanno avvertito tutti coloro che hanno considerato il giudizio come que-stione centrale del processo, un’operazione estremamente delicata, al cui riguardo si è non a caso parlato di una vera e propria «angoscia della scelta», ovvero di «dram-ma del processo» (5).

In primo luogo, il giudice deve ricostruire la verità dei fatti nei suoi elementi bruti o empirici, compiendo «una vera e propria ricerca del tempo perduto» (6), muovendosi peraltro in un terreno dell’esperienza a lui estraneo in quanto «altro da sé», nel quale le difficoltà pratiche e gli ostacoli alla conoscenza sono ictu oculi evi-denti (7).

In secondo luogo, si pone il problema di definire tali fatti in termini più pretta-mente giuridici, ossia di qualificare la dimensione empirica dei fatti bruti nell’am-bito dei fatti istituzionali, attraverso un’operazione che non sempre è immediata ed univoca, ma che al contrario impone frequentemente prese di posizione di non poco momento, in ragione della necessità di calare la legge generale e astratta nell’espe-rienza inevitabilmente particolare e concreta (8).

CARBONE, Presentazione, in AA.VV., Il nuovo giudizio di cassazione, a cura di G. IANNIRUBERTO e U. MORCAVALLO, Milano, 2007, p. XI.

Va peraltro rilevato che, benché i mezzi di impugnazione siano ovviamente finalizzati a rimuovere le sentenze ingiuste, non possono non essere concessi anche contro quelle che poi si riveleranno giuste; v. L. MORTARA, Appello civile, cit., p. 449; P. CALAMANDREI, Vizi della sentenza e mezzi di gravame, pubblicato in edizione fuori commercio, Firenze, 1915, ora in Opere giuridiche, vol. VIII, Napoli, 1979, p. 263.

(3) Cfr. innanzitutto le illuminanti pagine di G. CAPOGRASSI, Giudizio processo scienza verità, in Riv. dir. proc., 1950, I, p. 10 ss.

(4) Sul giudizio come scelta, v. F. CARNELUTTI, Diritto e processo, Napoli, 1958, p. 220 s.; M. TARUF-

FO, Idee per una teoria della decisione giusta, cit., p. 318 s.; N. IRTI, Dubbio e decisione, in Riv. dir. proc., 2001, p. 64 ss.

(5) F. CARNELUTTI, Verità, dubbio, certezza, in Riv. dir. proc., 1965, p. 5.

(6) G. CAPOGRASSI, Giudizio processo scienza verità, cit., p. 5.

(7) In senso critico su tali possibilità, P. CALAMANDREI, Verità e verosimiglianza nel processo civile, in Riv. dir. proc., 1955, I, p. 164 ss.; sui limiti della conoscenza dei fatti da parte del giudice, v. anche M. TA-

RUFFO, La prova dei fatti giuridici, Milano, 1992, p. 1 ss., spec. p. 24 ss., il quale tuttavia dimostra limpi-damente come ciò non implichi la rinuncia alla ricerca della verità nel processo civile.

(8) Si pensi all’inquadramento degli accadimenti storici nell’ambito di concetti giuridici come «ina-dempimento di non scarsa importanza», «rapporto di lavoro subordinato» e via discorrendo: che ciò determini «un’incertezza obbiettiva del diritto» è rilevato già da F. CARNELUTTI, Lite e funzione proces-suale (postilla), in Riv. dir. proc. civ., 1928, I, p. 25. Sulle difficoltà di distinguere il giudizio di fatto da quello di diritto, cfr. invece C. PUNZI, Giudizio di fatto e di diritto, Milano, 1953, p. 53 ss.; M. TARUFFO, voce Giudizio (teoria generale), in Enc. giur., XV, Roma, 1989, p. 2 ss.; A. PANZAROLA, La Cassazione civile giudice del merito, Torino, 2005, vol. I, p. 152 ss.

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Infine, si tratta di individuare, interpretare ed applicare al caso concreto quelle norme di legge che si ritengono regolatrici della fattispecie ricostruita, traendone le relative conseguenze giuridiche per le parti, secondo un giudizio di diritto che, per la naturale ambiguità del linguaggio, è aperto a possibili interpretazioni difformi, specialmente quando sono diverse le premesse assiologiche di partenza (9).

Questa complessa attività del giudicare, che pare una finzione qualificare come di mera «attuazione del diritto obiettivo» (10), costituisce un fenomeno che esprime l’es-senza stessa della giurisdizione come jus dicere (11), e che, come sa bene l’operatore pratico, è il frutto di scelte tragiche (12), alle quali non è possibile attribuire un valore certo e assoluto e il cui esito può senza dubbio essere ancora sottoposto a critica.

La critica della sentenza può ovviamente assumere rilievo per l’ordinamento sol-tanto se compiuta in un altro giudizio, della cui correttezza può peraltro ancora du-bitarsi, verificando la nuova decisione attraverso un ulteriore giudizio, e così via, fi-no ad immaginare un sistema processuale che consenta un numero infinito di impu-gnazioni, ovvero che non comporti mai la definitività dell’accertamento (13).

Questa soluzione è però esclusa dal nostro legislatore per un’esigenza di stabilità e di certezza (14), cosicché la sentenza del giudice civile può essere rimessa in discus-sione soltanto un numero limitato di volte, dopodiché l’accertamento contenuto nella sentenza «fa stato ad ogni effetto» secondo la nota formulazione dell’art. 2909 c.c., salva peraltro la possibilità di ricorrere ai mezzi straordinari di impugnazione (i quali danno la misura dell’irrinunciabile interesse dell’ordinamento per la ricerca della verità e per la giustizia della decisione anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza) (15).

(9) In proposito, v. PUNZI, Il giurista e la speranza. Note sulla filosofia del diritto di Salvatore Satta, in Riv. intern. fil. dir., 2004, p. 15 ss., il quale, pur rilevando tali difficoltà, evidenzia la necessità dello sfor-zo dell’interprete per non abbandonare il valore della certezza; cfr. anche F. CAVALLA, Retorica giudizia-le, logica e verità, in AA.VV., Retorica processo verità. Principî di filosofia forense, a cura di F. CAVALLA, 2a ed., Milano, 2007, p. 35 ss., il quale riconosce la possibilità di attribuire significati univoci al linguag-gio ordinario.

(10) In tal senso, v., per tutti, G. CHIOVENDA, Principii di diritto processuale civile3, Napoli, 1923, p. 63 ss.

(11) S. SATTA, La vita della legge e la sentenza del giudice, in ID., Soliloqui e colloqui di un giurista, Padova, 1968, p. 22 s.

(12) Mutuo qui, ad altri fini, il termine adoperato da G. CALABRESI, P. BOBBITT, Scelte tragiche, 2a ed. italiana, Milano, 2006, spec. p. 153 ss., per indicare il problema decisionale nell’allocazione delle risorse scarse, che sembra ben adattarsi anche al giudizio del giudice in condizioni di incertezza.

(13) Per tale soluzione, accolta nell’ordinamento canonico per le cause concernenti lo stato delle per-sone, v. J. LLOBELL, voce Processo canonico ordinario, in Dig., disc. priv., sez. civ., vol. XV, Torino, 1997, p. 36 s.

(14) Ma non mancano ipotesi in cui, invece, l’ordinamento stesso prevede, peraltro sempre più di frequente, l’emanazione di provvedimenti inidonei ad acquistare l’autorità di cosa giudicata; sul punto, v., per tutti, S. MENCHINI, Nuove forme di tutela e nuovi modi di risoluzione delle controversie: verso il superamento della necessità dell’accertamento con autorità di giudicato, in Riv. dir. proc., 2006, p. 869 ss.

(15) A conferma di siffatta tensione dell’ordinamento, si consideri inoltre la recente C. Giust. CE, grande sez., 18 luglio 2007, C-119/05, in Rass. trib., 2007, fasc. 5, p. 1579 ss., con nota di P. BIAVATI, La sentenza Lucchini: il giudicato nazionale cede al diritto comunitario, e in Riv. dir. proc., 2008, p. 224 ss.,

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Se ne ricava che, all’interno del processo e una volta consumate le facoltà di im-pugnazione, il giudizio è esaurito, mentre fuori dal processo la postulazione dell’in-giustizia – pur logicamente ancora possibile – è giuridicamente irrilevante (16), con la conseguenza, tanto banale quanto sconcertante, che non esiste alcuno strumento per misurare la giustizia della sentenza diverso dalla decisione stessa del giudice (17); e qui sta il paradosso: che ogni giudizio – oltre ad essere sempre soggetto alla possi-bilità dell’errore (18) – è, per sua natura, autorefenreziale, in quanto non può trovare altro fondamento che in sé stesso (19).

Non si può pertanto negare che l’irretrattabilità e la stabilità della decisione si ri-solvano infine in un’imposizione dell’ordinamento, per certi versi terribile, ossia in una scelta dell’autorità, senza ulteriore possibilità di discussione (20). Ma poiché tale decisione non può essere stimata come giusta se non dal giudice all’interno del pro-cesso, detta imposizione risulta accettabile soltanto se la scelta tragica è resa secondo forme idonee a garantirne la correttezza, ovvero, in particolare, soltanto se essa è condivisa, id est se e solo se ciascuna delle parti è stata messa in grado di incidere sulla sua decisione attraverso la partecipazione al procedimento, che proprio in ra-gione di tale libertà diventa vero e proprio processo (21).

La necessità di partecipare alla formazione del giudizio del magistrato si impone quindi, non solo perché altrimenti non sarebbe tollerabile il comando dell’autorità al soccombente, ma soprattutto perché, in ragione dell’irrilevanza ontologica e pra-tica di un’analisi esterna del giudizio, essa rappresenta un irrinunciabile strumento attraverso il quale è possibile (tentare di) garantire la giustizia della decisione, la

con nota di C. CONSOLO, La sentenza Lucchini della Corte di Giustizia: quale possibile adattamento degli ordinamenti processuali interni e in specie del nostro?, la quale ha ritenuto superabile l’autorità del giu-dicato nazionale per contrasto con i superiori princìpi del diritto comunitario; cfr. altresì E.F. RICCI, Recensione a E. TALAMINI, Coisa julgada e sua revisão, São Paulo, 2005, in Riv. dir. proc., 2007, p. 732 s. per la notizia della profonda ed eversiva riflessione avviata in Brasile sull’immutabilità della cosa giudi-cata, che deve cedere di fronte al contrasto con i valori fondamentali dell’ordinamento.

(16) Solo in questi termini è corretto affermare, sulla scia di G. FABBRINI, voce Potere del giudice (diritto processuale civile), in Enc. dir., XXXIV, Milano, 1985, p. 722, che non esiste la sentenza ingiusta.

(17) P. CALAMANDREI, Vizi della sentenza e mezzi di gravame, cit., p. 257 s. osserva in proposito che la sentenza del giudice è sempre giusta «poiché manca il concreto termine di paragone in base al quale si possa determinare la sua ingiustizia»; nello stesso senso, S. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, vol. II, 2, Milano, 1966, p. 10, il quale afferma che «il giudizio, come tale, cioè nella sua discretivi-tà, non è suscettibile di valutazione se non in relazione a un altro giudizio».

(18) F. CARNELUTTI, Diritto e processo, cit., p. 241 s.

(19) Per questo motivo, S. SATTA, Il mistero del processo, in Riv. dir. proc., 1949, I, p. 273 ss., spec. p. 281, ha affermato il paradosso secondo cui scopo del processo è appunto il giudizio.

(20) In tal senso, U. SCARPELLI, Auctoritas non veritas facit legem, in Riv. fil., 1984, p. 29 ss., spec. p. 42.

(21) Sull’importanza del contraddittorio, v. E. FAZZALARI, Valori permanenti del processo, in Riv. dir. proc., 1989, p. 2 ss., spec. p. 8 s.; N. PICARDI, Il principio del contraddittorio, in Riv. dir. proc., 1998, p. 673 ss. Tale supremo principio va inteso tanto in relazione all’esigenza di una corretta instaurazione del con-traddittorio quanto in riferimento alle modalità del suo concreto esercizio, essendo necessario garantire anche la «possibilità effettiva (…) di partecipare attivamente alla cognizione del materiale decisorio e, quin-di, prima della decisione finale, alla formazione del convincimento del giudice»; così, per tutti, L.P. CO-

MOGLIO, voce Contraddittorio (principio del). I) Diritto processuale civile, in Enc. giur., VIII, Aggiornamen-to, 1997, p. 12 ss., spec. p. 15 ss., a cui si rinvia anche per ampi riferimenti giurisprudenziali e dottrinali.

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quale è tanto migliore quanto più il giudicante è posto di fronte alla necessità di va-lutare gli opposti punti di vista nel dialogo con le parti (22). Ed è quindi proprio a tal fine che, facendo tesoro di un’esperienza secolare, si richiede che il giudizio giuridi-co sia reso seguendo particolari forme (23), prevalentemente finalizzate, salvo alcune derive formalistiche, a favorire il contraddittorio delle parti (24), e quindi, in via me-diata, la correttezza del giudizio (25).

Eppure, la rilevata fragilità del giudizio che siamo costretti ad ammettere, non-ché l’impossibilità di apprezzare altrove il contenuto della sentenza, non possono in nessun caso condurre a ritenere che la pronuncia del giudice sia semplicemente il «sostituto di un introvabile ordine ontologico», né tantomeno a sostenere che nel processo si assista ad una rassegnata rinuncia della ricerca della verità (26), ma sem-

(22) In proposito, v. ancora N. PICARDI, «Audiatur et altera pars». Le matrici storico-culturali del con-traddittorio, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2003, p. 21 s., secondo il quale «il contraddittorio non costitui-sce tanto uno strumento di lotta fra le parti, quanto, piuttosto, uno strumento operativo del giudice e, quindi, un momento fondamentale del giudizio», ossia uno «strumento di ricerca della verità probabi-le», che costituisce il «cardine della ricerca dialettica».

(23) Peraltro, non possiamo esimerci dal rilevare un ulteriore paradosso, altrettanto sconcertante: che cioè anche l’esistenza di un eventuale errore del procedimento deve comunque essere apprezzata dal medesimo giudice che lo ha diretto, ovvero da quello superiore adìto per l’impugnazione, di guisa che, a un certo punto, anche la ritualità del procedere è infine «garantita» tramite un giudizio autorefen-reziale. Si potrebbe allora essere tentati di dire che la giustificazione del giudizio riposi nella sua razio-nalità interna, ma la verità è che anche tale necessaria coerenza è pur sempre oggetto dell’apprezza-mento del medesimo giudice che rende la decisione e che, ove fosse postulata l’illogicità o l’insufficienza del ragionamento fondativo, occorrerebbe comunque un altro giudizio per verificarla, il quale è anch’esso, inesorabilmente, autorefenreziale.

(24) Nel senso che lo scopo degli atti processuali è proprio quello di consentire alle parti di esercitare i poteri processuali che la norma attribuisce loro, v. C. PUNZI, Il processo civile, cit., vol. I, p. 85 s.; A. PROTO PISANI, Violazione di norme processuali, sanatoria ex nunc o ex tunc e rimessione in termini, in Foro it., 1992, I, c. 1720; in giurisprudenza, v. Cass. 27 settembre 2000, n. 12785, in Foro it. Rep., 2000, voce Consulente tecnico, n. 28, secondo cui la finalità delle disposizioni processuali «è quella di garanti-re alla parte l’esercizio del diritto di difesa»; cfr. anche L.P. COMOGLIO, voce Contraddittorio, in Dig., disc. priv., sez. civ., IV, Torino, 1989, p. 16.

(25) In tal senso, v. G. CAPOGRASSI, Giudizio processo scienza verità, cit., p. 11 s., secondo cui «la pu-rezza dei mezzi garantisce la verità del fine»; S. SATTA, Il mistero del processo, cit., p. 284 s., secondo cui ognuna delle norme processuali «fissa una secolare esperienza, tutta l’esperienza di questa povera uma-nità che ha affidato al giudizio le sue sorti e trema di fronte all’immane potenza dei questo giudizio»; F. CARNELUTTI, Diritto e processo, cit., p. 230, secondo cui «i requisiti, dai quali dipende la validità della decisione, sono infatti statuiti in quanto si ritengono necessari o almeno utili a garantirne la giustizia»; P. CALAMANDREI, La Cassazione civile, cit., vol. II, p. 383, per il quale le forme processuali «sono istitui-te dal legislatore unicamente perché aumentano la probabilità che il processo possa raggiungere la meta verso la quale tende, cioè la giustizia della decisione»; T. ASCARELLI, Processo e democrazia, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1958, p. 858, secondo cui «la giustizia della sentenza sta nel cammino seguito pel risulta-to»; G. FABBRINI, Potere del giudice, cit., p. 722 s., il quale rileva la necessità della correttezza del meto-do per poter assumere la decisione come giusta; A. CARRATTA, Funzione dimostrativa della prova (verità del fatto nel processo e sistema probatorio), in Riv. dir. proc., 2001, p. 103, il quale evidenzia la necessità del «momento dialettico del confronto delle parti nel processo»; M. TARUFFO, Idee per una teoria della decisione giusta, cit., p. 320 s., il quale tuttavia ammonisce che «la correttezza del procedimento non è di per sé sufficiente ad assicurare da sola la giustizia della decisione».

(26) Così, invece, J. MONTERO AROCA, I princìpi politici del nuovo processo civile spagnolo, Napoli, 2002, p. 103 ss.

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mai a constatare che questa inadeguata umanità non può che compiere – con soffer-ta speranza (27) – una scommessa sul giudizio del giudice (28), al contempo ricono-scendo senza esitazioni che esso è, e non può non essere, il risultato di quella lotta per la verità e per la giustizia che si consuma nella dialettica processuale (29), il cui irrinunciabile fine – senza il quale l’intera esperienza processuale non avrebbe alcun senso (30) – è indubbiamente quello di mostrare, appunto, la verità e la giustizia (31).

2. – Il dualismo fra diritto e processo, fra giudicare e procedere, che nel paragra-

fo precedente si è implicitamente presupposto, ha condotto alla tradizionale distin-zione fra ingiustizia e nullità della sentenza, in base alla quale si indica come ingiusta quella decisione che contenga un accertamento non conforme alla realtà materiale e/o alle norme di diritto sostanziale e come nulla o invalida quella pronuncia che sia stata resa a seguito di un processo viziato da un errore di attività (32). Così, si affer-ma che la prima tipologia di sentenza viziata deriva dal compimento di errores in judicando e/o da un’insufficiente ricostruzione del fatto, mentre la seconda è invece da attribuirsi ad errores in procedendo (33).

Una tale distinzione – che, per le osservazioni svolte supra nel par. 1, può assu-mere significato soltanto in riferimento alla sentenza ancora impugnabile – è stata invero oggetto di penetranti critiche sulla base della considerazione che l’ingiustizia non costituisce di per sé un vizio della decisione impugnata, ma al contrario emerge, a seguito del nuovo esame della causa, dalla «discrepanza del contenuto della sen-tenza da quello di un successivo giudizio» (34); ciò richiede ovviamente l’individua-

(27) C. PUNZI, Il giurista e la speranza, cit., p. 16 ss., spec. p. 23, secondo il quale «la sofferenza del giurista, nel suo stesso sorgere, è già apertura alla speranza».

(28) F. CARNELUTTI, Diritto e processo, cit., p. 221 parla in proposito di «atto di fede», ossia di fidu-cia nella giustizia «umana».

(29) Nel senso che il processo «si configura come una lotta per la conoscenza», v. E. OPOCHER, Le-zioni di filosofia del diritto, Padova, 1983, p. 311 s.; F. CAVALLA, A proposito della ricerca della verità nel processo, in Verifiche, 1984, p. 469 ss.; cfr. altresì A. GIULIANI, voce Logica del diritto (teoria dell’argo-mentazione), in Enc. dir., XXV, Milano, 1975, p. 23 ss.

(30) V. ancora G. CAPOGRASSI, Giudizio processo scienza verità, cit., p. 19, il quale rileva che «il pro-cesso suppone la verità (…) suppone che si creda alla verità».

(31) Cfr., fra i Patres, L. MORTARA, Appello civile, cit., p. 448; F. CARNELUTTI, Sistema di diritto pro-cessuale civile, vol. I, Padova, 1936, p. 247 s.; P. CALAMANDREI, La Cassazione civile, cit., vol. II, p. 383; R. PROVINCIALI, Sistema delle impugnazioni civili secondo la nuova legislazione, Padova, 1943, p. 116; S. SATTA, Commentario, vol. II, 2, cit., p. 6.

(32) Sulla distinzione v., ex pluribus, P. CALAMANDREI, La Cassazione civile, cit., vol. II, p. 168 ss.; G. CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile2, vol. II, Napoli, 1936, p. 512 s.; F. CARNELUTTI, Istitu-zioni del processo civile italiano5, Roma, 1956, vol. II, p. 173 ss.; E. BETTI, Diritto processuale civile ita-liano2, Roma, 1936, p. 626 ss.; N. GIUDICEANDREA, Le impugnazioni civili, Milano, 1952, vol. I, p. 22 ss.

(33) In proposito, cfr., senza pretesa di completezza, G. CHIOVENDA, Principii, cit., pp. 1023 ss.; P. CALAMANDREI, Sulla distinzione tra «error in judicando» ed «error in procedendo», in Dir. comm., 1917, p. 57 ss., ora in Opere giuridiche, vol. VIII, cit., p. 285 ss.; N. GIUDICEANDREA, Le impugnazioni civili, cit., vol. I, p. 23 s.; G. OLIVIERI, La rimessione al primo giudice nell’appello civile, Napoli, 1999, p. 160; A. PANZAROLA, La Cassazione civile giudice del merito, cit., vol. II, p. 744 ss.

(34) In tal senso, S. SATTA, Commentario, vol. II, 2, cit., p. 8, secondo cui «la ingiustizia (…) non è

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zione dei parametri per valutare l’esattezza della decisione, i quali non possono che esse-re ravvisati tanto nei vizi in judicando quanto in quelli in procedendo, gli uni e gli altri assolutamente idonei ad offuscare la «presunzione di giustizia» della sentenza che si im-pugna, anche se mentre la verifica dei primi conduce direttamente alla sua riforma, il riscontro dei secondi impone soltanto la necessità di rinnovare il primo giudizio (35).

Fatta una tale e necessaria precisazione concettuale, non vi sono però ragioni per abbandonare la radicata convenzione linguistica che contrappone la sentenza ingiusta alla sentenza nulla. Siffatta distinzione risale al diritto romano, nel quale le parti ave-vano a disposizione il rimedio della querela nullitatis, rivolto a reagire contro i vizi di nullità della sentenza (36), e quello dell’appellatio, con il quale, in epoca successiva, si offriva un più ampio gravame anche contro i vizi del giudizio (37). Tali rimedi, che in passato erano fra loro concorrenti e distinti, in tempi più recenti hanno finito per fon-dersi fra loro in un unico strumento (38), secondo una soluzione che ha originato il c.d. principio della conversione dei vizi di nullità in motivi di impugnazione, in base al quale anche tali vizi devono oggi essere fatti valere con l’appello e, successivamente, con il ricorso per cassazione (v. l’odierno art. 161, comma 1°, c.p.c.).

Ciò nonostante, la ripartizione dei vizi della sentenza fra errores in judicando ed errores in procedendo continua senza dubbio a rivestire un’utilità pratica indiscutibi-le nel diritto positivo (si pensi, al regime delle nullità degli atti processuali, ai casi di rimessione della causa al primo giudice, agli specifici motivi di ricorso per cassazio-ne enucleati dall’art. 360 c.p.c.), ma, nondimeno, essa – oltre a determinare alcuni dubbi di classificazione (39) – sembra oscurare la profonda relazione che intercorre fra processo e giudizio (40), finendo così per creare due concetti autonomi e distinti

un “vizio” della sentenza»; più approfonditamente, A. CERINO CANOVA, Le impugnazioni civili, cit., pp. 29 s., 96 ss., spec. p. 101, nonché pp. 225, 400 ss., cui adde anche G. BALENA, La rimessione della causa al primo giudice, Napoli, 1984, p. 316.

(35) Cfr. ancora A. CERINO CANOVA, Le impugnazioni civili, cit., p. 98 ss., spec. p. 100, secondo il quale tanto gli uni quanto gli altri possono essere visti, sotto un altro profilo semantico, come motivi di nullità della prima decisione; S. SATTA, Commentario, vol. II, 2, cit., p. 11, il quale afferma che «il vizio di attività si presenta come un errore, non diversamente dal vizio di giudizio».

(36) Cfr. però P. CALAMANDREI, La Cassazione civile, cit., vol. I, p. 27 ss. e, più di recente, G. OLI-

VIERI, La rimessione al primo giudice nell’appello civile, cit., p. 47 s., i quali rilevano che fra i casi di nulli-tà idonei a fondare la querela nullitatis sono stati col tempo inclusi, al fianco dei vizi procedurali, anche alcuni vizi del giudizio.

(37) P. CALAMANDREI, La Cassazione civile, cit., vol. I, p. 63 ss.; G. PUGLIESE, Note sull’ingiustizia della sentenza nel diritto romano, in Riv. dir. proc., 1960, p. 225 s.; L. RAGGI, Studi sulle impugnazioni civili nel processo romano, vol. I, Milano, 1961, p. 21 ss.; G. BALENA, La rimessione della causa al primo giudice, cit., p. 314; G. OLIVIERI, La rimessione al primo giudice nell’appello civile, cit., p. 16 ss.

(38) Sull’evoluzione storica dei due istituti, v., anche per ampi riferimenti, G. OLIVIERI, La rimessio-ne al primo giudice nell’appello civile, cit., p. 20 ss., spec. p. 47 ss.

(39) Si allude al problema dei vizi in judicando de jure procedendi, per il quale si rinvia alle osserva-zioni di A. PANZAROLA, La Cassazione civile giudice del merito, cit., vol. II, p. 751 ss.

(40) Sulla profonda unità del giudicare e del procedere, v. invece G. CAPOGRASSI, Giudizio processo scienza verità, cit., p. 11 s.; F. CARNELUTTI, Torniamo al «giudizio», in Riv. dir. proc., 1949, I, p. 165 ss.; P. CALAMANDREI, Processo e giustizia, in Riv. dir. proc., 1950, I, p. 283; S. SATTA, Commentario, vol. II, 2, cit., p. 10 s.

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di giustizia della sentenza, quella sostanziale e quella procedurale (41), quest’ultima corrispondente alla sopra richiamata categoria della nullità.

In verità, se si riconosce che le forme processuali sono in prevalenza rivolte a fa-vorire che, tramite l’espletamento dei poteri processuali delle parti (rectius, per mezzo della semplice possibilità del loro concreto esercizio, rimesso alla valutazione discrezionale degli interessati), emerga la veritas e la giustizia della decisione, non sembra affatto una provocazione osservare che i concetti di sententia iniqua e sen-tentia nulla finiscano quasi per sovrapporsi, considerato che, in realtà, la previsione di vizi in procedendo, ossia di ragioni di invalidità della sentenza, è infine posta a presidio e garanzia della correttezza del giudizio sul merito della causa, ossia ad evi-tare, in un sistema dominato dall’incertezza, l’ingiustizia della decisione (42).

Ciò è stato acutamente notato da coloro i quali hanno affermato che i motivi di nullità processuale della sentenza sono in realtà un «sintomo dell’ingiustizia» (43), con ciò cogliendo proprio il fatto che non è possibile scommettere sul giudizio del giudice inferiore, se questo non è stato reso seguendo le forme prescritte, in quanto tale giudizio non offre, nemmeno dal suo interno, sufficienti garanzie della sua cor-rettezza. Ma ciò non spiegherebbe ancora la sostanziale convergenza dei due con-cetti di ingiustizia e di invalidità della sentenza, se non si osservasse anche che, nella prospettiva della parte che impugna, il vizio del procedimento costituisce, al pari del vizio in judicando, un vero e proprio motivo con cui far valere l’ingiustizia (so-stanziale e non meramente processuale) della sentenza (44), la cui fondatezza, pur lasciando impregiudicata la soluzione della questione di merito, impone tuttavia la necessità di compiere un nuovo giudizio, il quale dovrà essere reso, a seconda delle scelte di ogni singolo ordinamento processuale, dallo stesso giudice dell’impugna-zione o da un altro giudice al quale la causa dovrà essere rinviata o presso il quale la domanda dovrà essere nuovamente proposta.

3. – Se quanto detto nei precedenti paragrafi può essere condiviso, è adesso pos-

sibile affrontare il tema centrale del presente scritto, che consiste nel problema dell’impugnazione proposta per far valere, avverso una sentenza di merito, esclusi-

(41) Quanto a quest’ultima, v. A.J.D. PEREZ RAGONE, Profili della giustizia processuale (procedural fair-ness): la giustificazione etica del processo civile, in corso di pubblicazione su Riv. dir. proc., 2008, spec. §§ 1, 7 e 8, a cui si rinvia anche per gli amplissimi riferimenti bibliografici; ma v. anche M. TARUFFO, Idee per una teoria della decisione giusta, cit., p. 316 s., il quale rileva che la giustizia procedurale non può costituire l’unico criterio di valutazione della giustizia della decisione.

(42) Cfr. A. CERINO CANOVA, Le impugnazioni civili, cit., p 29 s., secondo cui «l’ingiustizia non si contrappone all’invalidità, poiché le nullità in cui questa consiste attengono a requisiti dal cui rispetto l’ordinamento vuole assicurare la “giustizia” della pronuncia».

(43) V., su tutti, F. CARNELUTTI, Istituzioni, cit., vol. II, p. 173; nello stesso senso, R. PROVINCIALI, Si-stema delle impugnazioni civili, cit., p. 116 s.; N. GIUDICEANDREA, Le impugnazioni civili, cit., vol. I, p. 23.

(44) Secondo R. PROVINCIALI, Sistema delle impugnazioni civili, cit., p. 124, «nel caso in cui l’impu-gnazione sia consentita solo per l’ipotesi di nullità della sentenza, anche in questo caso vuol dire che l’im-pugnazione è consentita contro l’ingiustizia della quale la nullità è condizione»; nello stesso senso, G.A. MICHELI, Corso di diritto processuale civile, vol. II, Milano, 1960, p. 229, secondo cui il vizio in proce-dendo «diviene (…) rilevante come motivo di non conformità a legge della decisione e perciò di ingiu-stizia di quest’ultima».

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vamente un vizio in procedendo (45). Mentre un’impugnazione siffatta è pacificamen-te ammessa in sede di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 4, c.p.c. (46), la questione è invece oggetto di contrasto in riferimento all’appello civile.

Si afferma, da un lato, e in questo senso è la giurisprudenza prevalente, che l’ap-pello per soli motivi di rito non sarebbe ammissibile fuori dai casi di rimessione al primo giudice, ossia fuori delle ipotesi regolate dagli artt. 353 e 354 c.p.c., perché una tale impugnazione non corrisponderebbe al suo modello legale, ovvero perché essa non potrebbe dare alcuna utilità all’appellante (47). Mancando infatti una e-

(45) Si vuole con ciò alludere, non già a tutti i possibili vizi processuali, ma soltanto ai difetti di in-staurazione del contraddittorio e alle nullità degli atti processuali compiuti nel corso del giudizio, con esclusione, quindi, delle nullità originarie e non derivate della sentenza (su cui v. però le osservazioni svolte infra, nt. 91); sul problema della classificazione dei vizi di nullità, cfr., anche per ampi riferimenti, C. PUNZI, Il processo civile, cit., vol. I, p. 78 ss.

(46) Cfr., ad esempio, Cass. 21 giugno 2004, n. 11496, in Foro it. Rep., 2004, voce Cosa giudicata civi-le, n. 1, la quale chiarisce, in motivazione, che «una volta denunziata la nullità della sentenza per un vi-zio del procedimento non è necessario investire anche con specifiche censure le singole statuizioni che essa contiene, perché, qualora il vizio sia riconosciuto come sussistente, nessuna di tali statuizioni, a prescindere dal suo contenuto, può considerarsi validamente posta, stante la invalidità dell’atto da cui ciascuna di esse discende»; si ritiene tuttavia necessaria l’indicazione del pregiudizio subìto dal ricorren-te, ovvero delle attività difensive che lo stesso non avrebbe potuto svolgere a causa del vizio in procedendo (così, ad esempio, Cass. 30 giugno 1997, n. 5837, in Foro it. Rep., 1997, voce Cassazione civile, n. 66).

(47) In questo senso, con riferimento all’invalidità della citazione introduttiva del giudizio di primo grado per vizio derivante dalla mancata indicazione dell’udienza, Cass. 29 settembre 2005, n. 19159, in Riv. dir. proc., 2006, p. 1411 ss., con nota di A. PANZAROLA, L’appello per soli motivi di rito e la sanato-ria in appello della nullità della citazione introduttiva di primo grado per mancata indicazione della udien-za di comparizione; per la nullità della citazione derivante dalla fissazione di un termine di comparizione inferiore a quello legale, Cass. 7 marzo 2003, n. 3424, in Foro it., 2003, I, c. 3080 ss.; Cass. 29 ottobre 1997, n. 10692, in Foro it. Rep., 1997, voce Appello civile, n. 109; per l’inosservanza del termine mimino per la fissazione dell’udienza di discussione ex art. 420 c.p.c., Cass. 7 marzo 1992, n. 2761, in Foro it. Rep., 1992, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 223; con riferimento al processo iniziato in una data anteriore a quella fissata, Cass. 4 ottobre 1991, n. 10389, in Foro it. Rep., 1991, voce Appello civile, n. 54; per la nullità dell’atto introduttivo derivante da incerta designazione del tribunale adìto, Cass. 22 aprile 1989, n. 1934, in Foro it., 1989, I, c. 2165 ss.; in relazione alla nullità degli atti successivi all’inter-ruzione del processo verificatasi ipso iure, Cass. 27 aprile 1994, n. 4018, in Foro it. Rep., 1994, voce Ap-pello civile, n. 81; per la mancata cancellazione della causa dal ruolo a seguito dalla mancata compari-zione di tutte le parti a due successive udienze di trattazione, Cass. 5 febbraio 1982, n. 665, in Giust. civ., 1982, I, p. 1584 ss.; in caso di nullità intervenuta nel giudizio di primo grado per la mancata comu-nicazione ad una delle parti costituite di un’ordinanza emessa fuori udienza, Cass. 9 marzo 1995, n. 2735, in Foro it. Rep., 1995, voce Appello civile, n. 13; in relazione all’omissione di avviso di differimen-to dell’udienza di discussione della causa, Cass. 14 dicembre 1998, n. 12541, in Giur it., 1999, p. 1805 ss., con nota di RONCO, Errores in procedendo, errores in iudicando e requisiti dell’atto d’appello, in Nuova giur. civ. comm., 2000, I, p. 160 ss. con nota di F. CUOMO ULLOA, Appello per motivi di nullità ed interesse ad impugnare e in Guida dir., 1999, fasc. 1, p. 32 ss., con nota di S. RECCHIONI, Negata l’esistenza di un interesse della parte a ottenere un diverso tipo di soccombenza; per un particolare caso in cui la parte lamentava lo stralcio del proprio fascicolo dagli atti di causa, Cass. 29 agosto 1995, n. 9105, in Foro it. Rep., 1995, voce Appello civile, n. 12; per pronunce più risalenti, cfr. Cass. 26 giugno 1980, n. 4012, in Foro it. Rep., 1980, voce Appello civile, n. 181; Cass. 27 novembre 1967, n. 2837, in Giust. civ., 1968, I, p. 432 ss.; Cass. 8 ottobre 1957, n. 3643, in Foro it. Rep., 1957, voce Appello civile, nn. 370-372; per l’accoglimento del medesimo principio nel processo tributario, v. infine Cass. 26 agosto 2004, n. 17026, in Foro it. Rep., 2004, voce Appello civile, nn. 174-175.

In dottrina, per l’inammissibilità di un appello siffatto, cfr. P. CALAMANDREI, Sopravvivenza della

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spressa richiesta di rinnovazione del giudizio di primo grado, ovvero una esplicita censura delle decisioni di merito in esso assunte, i poteri sostitutivi del giudice d’appello non potrebbero esplicarsi in relazione alla sentenza impugnata, così de-terminando un uso improprio dello strumento, ovvero un difetto di interesse ad im-pugnare.

Più precisamente, secondo il richiamato orientamento della giurisprudenza pre-valente, la deduzione di motivi di nullità del giudizio implicherebbe soltanto una richiesta di annullamento della sentenza di primo grado tale da impedire la pronun-cia di merito del giudice superiore, così contravvenendo al paradigma legale dell’ap-pello civile, che invece riassume in sé tanto il giudizio rescindente quanto quello re-scissorio; inoltre, un’impugnazione così congegnata circoscriverebbe l’ambito della cognizione del giudice di seconde cure ai soli motivi di nullità della sentenza di pri-mo grado, così risultando inidonea a consentire una diversa soluzione delle varie questioni, di fatto e di diritto, su cui si era fondata la decisione di merito del primo giudice (48).

In senso contrario, qualche isolata pronuncia ha invece ritenuto ammissibile un appello con il quale la parte lamenti soltanto vizi di rito, ma mentre talvolta si è so-stenuto che il giudice d’appello dovrebbe in tal caso limitarsi a dichiarare la nullità del primo giudizio (49), ovvero a rimettere la causa al primo giudice anche oltre i casi regolati degli artt. 353 e 354 c.p.c. (50), talaltra si è affermato che lo stesso giudice di seconde cure dovrebbe comunque decidere la causa nel merito, previa opportuna rinnovazione, in quanto possibile, degli atti nulli (51).

Un tale contrasto verrebbe senza dubbio a cadere nel caso in cui si reputasse ammissibile in appello una mera dichiarazione di absolutio ab instantia per nullità del giudizio di primo grado, con conseguente possibilità di riproporre la domanda

querela di nullità nel processo civile vigente, in Riv. dir. proc., 1951, I, pp. 112 s., 118; G. GIANNOZZI, Il reclamo nel processo civile, Milano, 1968, p. 40, nt. 13; N. RASCIO, L’oggetto dell’appello civile, Napoli, 1996, p. 331 s.; S. CHIARLONI, voce Appello. I) Diritto processuale civile, in Enc. giur., Aggiornamento, Roma, 1995, p. 24; A. PROTO PISANI, Note sulla struttura dell’appello civile e sui suoi riflessi sulla cassa-zione, in Foro it., 1991, 1, c. 112; A. PANZAROLA, L’appello per soli motivi di rito, cit., p. 1414 s.; C. CA-

VALLINI, Nullità della citazione per inosservanza del termine a comparire e poteri del giudice d’appello, in Riv. dir. proc., 1998, p. 479, nt. 6.

(48) Per l’illustrazione di tale ragionamento, talvolta implicito, della giurisprudenza, v. G. BALENA, In tema di appello fondato esclusivamente sulla nullità della citazione, in Foro it., 2006, I, c. 3223 s.

(49) V., in riferimento alla nullità della citazione introduttiva, Cass. 11 ottobre 1999, n. 11394, in Fo-ro it. Rep., 1999, voce Appello civile, n. 107.

(50) Per una singolare ipotesi, cfr. Cass. 16 luglio 1998, n. 6954, in Giur. it., 1999, p. 921 ss., con no-ta di G. ALAIA, e in Giust. civ., 1999, I, p. 121 ss., con nota di M. GATTI, Negligenza del cancelliere, abu-so della parte e rimessione al primo giudice: un caso emblematico di patologia del processo.

(51) In tal senso, v. esplicitamente Cass. 27 maggio 2005, n. 11292, in Foro it., 2006, I, c. 3223 ss., con nota di G. BALENA, In tema di appello fondato esclusivamente sulla nullità della citazione, cit. e in Riv. dir. proc., 2006, p. 1411 ss., con nota di A. PANZAROLA, L’appello per soli motivi di rito, cit. Cfr. anche Cass. 23 novembre 1995, n. 12102 e Cass., Sez. un., 3 ottobre 1995, n. 10389, entrambe in Foro it., 1996, I, c. 1297 ss., con note di G. BALENA, Nullità del procedimento di primo grado per vizi del contraddittorio e poteri del giudice d’appello e S. TOFFOLI, Sulla possibilità, e i limiti, dell’applicazione in via analogica degli artt. 353 e 354 c.p.c. in tema di rinvio della causa al primo giudice da parte del giudice d’appello.

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in un altro processo (52), ovvero qualora, a seguito della verifica della nullità della sentenza impugnata, fosse consentito un rinvio della causa al primo giudice (53). Nell’uno e nell’altro caso, è infatti chiaro che, proprio in ragione dell’opposta pre-messa di partenza, la limitazione del giudizio di appello alla sola fase rescindente non potrebbe creare ostacoli od imbarazzi dal punto di vista dell’oggetto dell’im-pugnazione; per la medesima ragione, non si porrebbe alcun problema di denuncia immediata in ordine alle decisioni sulle questioni di merito, le quali risorgerebbero come impregiudicate dopo l’annullamento della prima sentenza, così da poter esse-re nuovamente conosciute e risolte nel corso del successivo giudizio (54).

Tuttavia, in un sistema come il nostro, in cui, salvo alcune eccezioni, è chiara-mente previsto un appello destinato a concludersi con una decisione di merito (55), queste strade non appaiono percorribili in generale: non la prima, che, oltre a com-portare un’ingiustificata vanificazione della disciplina di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c. (56), contrasta con il principio di economia processuale (57) e con quello di ef-fettività della tutela giurisdizionale (58), di guisa che non può certo essere proposta come valida per qualsiasi tipo di vizio in procedendo; non la seconda, in considera-zione della ritenuta tassatività dei casi di rimessione al primo giudice (59), che soltan-to in particolari ipotesi è stata oggetto di dissenso da parte della dottrina. Si tratta quindi di vie di uscita alternative, che, oltre ad operare su di un piano estraneo al cuore del problema, possono in realtà essere discusse soltanto in alcuni casi speciali,

(52) Cfr. L. SALVANESCHI, L’interesse ad impugnare, Milano, 1990, p. 364; N. RASCIO, L’oggetto del-l’appello civile, cit., p. 329 s.; G.P. CALIFANO, L’interesse ad impugnare, in G.P. CALIFANO, C. PERAGO, Le impugnazioni civili, Torino, 1999, p. 115; A. RONCO, Errores in procedendo, cit., p. 1806; S. REC-

CHIONI, Negata l’esistenza di un interesse, cit., p. 37; A. PANZAROLA, L’appello per soli motivi di rito, cit., p. 1415 s.

(53) Cfr. Cass. 26 agosto 2004, n. 17026, cit.; Cass. 7 marzo 2003, n. 3424, cit.; Cass. 27 luglio 2001, n. 10288, in Foro it. Rep., 2001, voce Appello civile, n. 105; Cass., Sez. un., 14 dicembre 1998, n. 12541, cit.; e già Cass. 27 novembre 1967, n. 2837, cit.; in dottrina, N. RASCIO, L’oggetto dell’appello civile, cit., p. 329; A. RONCO, Errores in procedendo, cit., p. 1807.

(54) Nel medesimo senso, v. A. RONCO, Errores in procedendo, cit., 1807.

(55) Cfr., per tutti, G. OLIVIERI, La rimessione al primo giudice nell’appello civile, cit., p. 2 s., ove an-che ampi riferimenti bibliografici; nonché L. BIANCHI, I limiti oggettivi dell’appello civile, Padova, 2000, p. 41 ss.

(56) Cass., Sez. un., 14 dicembre 1998, n. 12541, cit.

(57) Cfr., per tutti, L.P. COMOGLIO, Il principio di economia processuale, vol. II, Padova, 1982, p. 46 s.

(58) Sulla necessità che il processo pervenga ad una decisione di merito, il cui difetto può essere visto come diniego di tutela giurisdizionale v., ad esempio, A. CERINO CANOVA, Le impugnazioni civili, cit., p. 403, nt. 39; in giurisprudenza, cfr., di recente, in tema traslatio judicii, Cass. 22 febbraio 2007, n. 4109 e Corte cost. 12 marzo 2007, n. 77, entrambe in Riv. dir. proc., 2007, p. 1577 ss., con nota di M. ACONE, Giurisdizione e translatio iudicii… aspettando Godot.

(59) In tal senso, la giurisprudenza è granitica: v., ad esempio, Cass. 15 settembre 2004, n. 18571, in Fo-ro it. Rep., 2004, voce Appello civile, n. 165; Cass. 5 giugno 2003, n. 8993, ivi, 2003, voce cit., n. 150; Cass. 2 maggio 2000, n. 5471, ivi, 2000, voce cit., n. 124; Cass. 26 novembre 1999, n. 13176, in Giur. it., 2000, p. 1148 ss.; Cass. 23 novembre 1995, n. 12102, cit.; ma per alcune ipotesi in cui, per assimilazione o equipara-zione, si è fatto ricorso ad un’interpretazione estensiva, v. Cass. 4 febbraio 1992, n. 1197, in Foro it. Rep., 1992, voce Appello civile, n. 67; Cass. 10 febbraio 1983, n. 1063, ivi, 1983, voce cit., n. 108.

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quali ad esempio i difetti dell’atto introduttivo di primo grado, con cui si sono in effetti prevalentemente, anche se non esclusivamente, misurate le pronunce sopra citate (60).

Il duplice ragionamento della giurisprudenza prevalente non può tuttavia essere condiviso nemmeno restando sul suo stesso terreno, ossia partendo dall’assunto – pacifico fuori dalle ricordate ipotesi – secondo cui il giudice di secondo grado deve pronunciarsi (salvo il riscontro di altri vizi impedienti) sul merito della lite, emet-tendo una sentenza sostitutiva della precedente. Al riguardo, è in effetti sufficiente notare che, diversamente da quanto affermato dalla medesima giurisprudenza, la rilevazione del solo vizio in procedendo non è di per sé ostativa ad una nuova deci-sione del merito della causa.

Con un’impugnazione siffatta, la parte appellante non si limita infatti a denun-ciare soltanto i vizi di nullità della sentenza, ma postula in realtà – vuoi esplicita-mente, vuoi implicitamente – l’ingiustizia della decisione, sollevando l’esigenza di un nuovo giudizio di merito, sul presupposto che proprio l’esistenza del vizio in procedendo faccia «venir meno quel minimo di garanzie per cui è legittimo aspettarsi una sentenza giusta» (61). Pertanto, anche se l’appellante pone a fondamento della propria impugnazione soltanto motivi di nullità del giudizio di primo grado, è pos-sibile che chieda contestualmente (expressis verbis o anche per implicito) la riforma della decisione viziata (62); in tal caso, il giudice d’appello potrà sicuramente pro-nunciare sul merito della lite dopo aver verificato la fondatezza dei motivi di impu-gnazione proposti, i quali, pur attenendo esclusivamente al rito, non violano di per

(60) Nel caso in cui il giudice d’appello rilevi un difetto dell’atto introduttivo di primo grado afferen-te alla vocatio in jus, si ritiene, da un lato, che lo stesso dovrebbe dichiarare la nullità dell’intero giudizio (v. Cass. 6 maggio 1991, n. 4997, in Giust. civ., 1991, I, p. 2275 ss.; C. CAVALLINI, Nullità della citazione, cit., p. 474 ss., cui si rinvia anche per ampi riferimenti bibliografici); dall’altro, si afferma che in tal caso dovrebbe essere disposta la rimessione della causa al primo giudice, anche se l’ipotesi non è espressa-mente contemplata negli artt. 353 e 354 c.p.c. (v., ex multis, F.P. LUISO, Diritto processuale civile4, Mila-no, 2007, vol. II, p. 401 ss.; B. SASSANI, voce Appello (dir. proc. civ.), in Enc. dir., Aggiornamento, vol. III, Milano, 1999, p. 197 s.; G. COSTANTINO, Quattro interventi sulla riforma della giustizia civile, in Riv. dir. proc., 1993, p. 461). La tesi attualmente prevalente è tuttavia quella secondo cui, anche in tale ipote-si, il giudice di seconde cure è tenuto a rendere una decisione di merito; in tal senso, v. Cass. 26 aprile 2005, n. 8604, in Foro it. Rep., 2005, voce Impugnazioni civili, n. 10; Cass. 15 settembre 2004, n. 18571, cit.; G. OLIVIERI, La rimessione al primo giudice nell’appello civile, cit., p. 427 ss.; G. BALENA, La riforma del processo di cognizione, Napoli, 1994, p. 117 ss.; S. CHIARLONI, Appello, cit., p. 24; A. PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, p. 89; A. BONSIGNORI, La nullità della citazione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1991, p. 748.

È invece pacifico che, in caso di vizio dell’atto introduttivo afferente alla editio actionis, il giudice d’appello debba chiudere il processo con una sentenza di rito; cfr., ad esempio, F.P. LUISO, Diritto pro-cessuale civile, cit., vol. II, p. 401 s.; C. CONSOLO, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, Padova, 2006, p. 127 s.

(61) R. PROVINCIALI, Sistema delle impugnazioni civili, cit., p. 115 ss.

(62) Per un’interpretazione non atomistica né parcellizzante dell’atto d’impugnazione, v. A. RONCO, Errores in procedendo, cit., p. 1807, secondo il quale l’inammissibilità dell’impugnazione sarebbe «rav-visabile soltanto ove non sia in alcun modo arguibile quale sia il contenuto della decisione di merito cui l’appellante aspira»; in senso analogo, F. CUOMO ULLOA, Appello per motivi di nullità, cit., p. 169 s.; in giurisprudenza, cfr. Cass. 14 luglio 2003, n. 10979, in Foro it. Rep., 2003, voce Appello civile, n. 120.

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sé il requisito della specificità (63) e sono potenzialmente idonei – come subito ve-dremo – a determinare il conseguimento dell’effetto sperato, ossia una decisione di merito favorevole a colui che impugna (64).

Soltanto qualora la parte appellante si limitasse a chiedere la dichiarazione di nullità della sentenza di primo grado potrebbe in concreto porsi un problema di deviazione dell’appello dal suo modello legale, ma anche in tal caso la conseguenza dell’inammissibilità dell’impugnazione dovrebbe essere esclusa sulla base dei prin-cìpi del «giusto processo» e, segnatamente, della tutela del contraddittorio e del di-ritto di difesa, che impongono senza dubbio il massimo rispetto dei poteri proces-suali delle parti, a presidio dei quali sono poste, appunto, le forme degli atti del pro-cesso. Pertanto, delle due l’una: o si ammette che le parti possano limitare l’appello ad una mera absolutio ab instantia (65), oppure, se si sostiene che motivi di effettività della tutela giurisdizionale, unitamente a ragioni di economia processuale, escluda-no siffatta possibilità (66), deve al tempo stesso ritenersi che il correttivo da apporta-re non possa essere costituito dall’inammissibilità dell’appello, che sarebbe invero eccessivamente penalizzante per la parte che impugna, bensì dalla necessità della decisione sostitutiva del giudice di secondo grado anche a prescindere dalla formu-lazione di una esplicita richiesta in tal senso (67).

(63) V. ancora A. RONCO, Errores in procedendo, cit., p. 1807, il quale afferma che la decisione di merito che si assume viziata in ragione dell’error in procedendo è sufficientemente motivata in relazione alla nullità del procedimento di primo grado; in giurisprudenza, cfr. Cass., Sez. un., 23 dicembre 2005, n. 28498, in Riv. dir. proc., 2006, p. 1397 ss., con nota di R. POLI, L’oggetto del giudizio di appello, se-condo la quale è sufficiente la denuncia di «specifici “vizi” di ingiustizia o nullità della sentenza impu-gnata».

(64) In virtù del rapporto di pregiudizialità fra rito e merito, il vizio di rito denunciato implica infatti che l’appello avrà ad oggetto tutte le questioni di merito risolte dal primo giudice, la cui decisione si ponga in un rapporto di dipendenza con l’attività viziata. In argomento, v. R. POLI, I limiti oggettivi delle impugnazioni ordinarie, Padova, 2002, p. 62 ss., spec. p. 64; A. RONCO, Errores in procedendo, cit., p. 1807.

(65) In tale direzione, cfr. Cass. 15 settembre 2004, n. 18571, cit.; Cass. 13 marzo 1997, n. 2251, in Foro it., 1997, I, c. 2511 ss., le quali hanno affermato, sebbene in esclusivo riferimento alla nullità della citazione introduttiva, che, qualora manchi la richiesta a partibus di una decisione sul merito, il giudice d’appello dovrebbe limitarsi ad una pronuncia di absolutio ab instantia. Questa soluzione, che sembra preferibile, non danneggia la parte appellata vincitrice in primo grado, la quale potrebbe comunque chiedere al giudice d’appello la conferma della decisione di merito.

(66) In proposito, v. supra, nt. 57 e 58.

(67) Giunge a quest’ultima conclusione, ma per diversa via, G. BALENA, In tema di appello, cit., c. 3224, il quale ritiene che le domande decise in primo grado dovrebbero ritenersi attribuite al giudice ad quem per effetto del solo atto d’appello, comunque esso sia formulato, ed esclude che possa porsi un problema di violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la decisione di merito dovrebbe imporsi in forza delle domande originariamente formulate in primo grado; più precisamente, l’autore, muovendo dal-l’orientamento secondo il quale l’onere di riproposizione di cui all’art. 346 c.p.c. deve essere inteso, ri-spetto alle domande «non accolte», come riferito esclusivamente a quelle «non decise» (in tal senso, v., ad esempio, A. PROTO PISANI, Appunti sull’appello civile (alla stregua della l. 353/90), in Foro it., 1994, V, c. 196 s.; G. MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile4, Milano, 2007, vol. I, p. 624 s.; G. BASILICO, Sulla riproposizione di domande ed eccezioni in appello, in Riv. dir. proc., 1996, p. 107 ss.; ma, per un’ampia panoramica dei differenti orientamenti sul punto, cfr. N. RASCIO, L’oggetto dell’appello

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Un diverso modo di ragionare comporterebbe infatti il grave rischio di tenere in piedi una sentenza nulla anche nei casi di grave violazione del contraddittorio, seb-bene detta violazione sia stata tempestivamente denunciata dalla parte interessata, così giungendo ad una conclusione aberrante dal punto di vista del diritto di difesa di quest’ultima, che non può in alcun modo essere accettata. Ciò è tanto vero che una decisione straniera viziata per tale ragione non può essere riconosciuta in Italia in quanto contrastante con l’ordine pubblico processuale (e ciò indipendentemente dalla fondatezza o meno della pretesa dedotta) (68); ma allora nemmeno una senten-za italiana resa in seguito ad un processo viziato nel contraddittorio può produrre una qualche efficacia, proprio quando la parte soccombente abbia lamentato, in se-de di impugnazione, l’esistenza del vizio processuale in discorso, anche a prescinde-re da ulteriori censure di merito: non si può infatti seriamente sostenere che l’ordi-namento giuridico nazionale assuma come vincolanti decisioni che, se invece fossero emesse da un giudice straniero, sicuramente non riconoscerebbe.

In secondo luogo, in riferimento all’ambito della cognizione davanti al giudice del gravame, avverso la tesi della giurisprudenza maggioritaria può facilmente obiet-tarsi che la sussistenza dell’errore di rito è senza dubbio pregiudiziale rispetto alla decisione di merito, tanto che la verifica della sussistenza del primo rende inutiliz-zabili gli atti viziati ai fini della seconda e quindi travolge illico et immediate le di-pendenti statuizioni di merito contenute nella sentenza impugnata (69), delle quali la parte appellante abbia postulato, implicitamente o esplicitamente, l’ingiustizia. La nullità della sentenza per vizi in procedendo comporta quindi la necessità di un nuo-vo giudizio, nell’ambito del quale le questioni di merito compromesse si presentano totalmente nuove ed impregiudicate, con la conseguenza che la contestuale denun-cia in appello di errores in judicando non è affatto indispensabile al fine di giungere ad una riforma della sentenza.

Sarebbe infatti superfluo costringere l’appellante a censurare puntualmente la decisione del giudice di primo grado, qualora, ad esempio, abbia lamentato l’inat-tendibilità della perizia disposta in ragione del fatto che il proprio consulente tecni-co è stato pretermesso, oppure che la testimonianza assunta davanti dal primo giu-

civile, cit., p. 134 ss.), deduce a contrario che le domande «decise» dovrebbero ritenersi trasmesse al giudice superiore in conseguenza degli atti introduttivi.

In senso diverso, v. A. RONCO, Errores in procedendo, cit., p. 1807, secondo il quale il difetto di pe-titum di merito dell’atto d’appello non consente al giudice di secondo grado di emettere una sentenza sostitutiva, ma potrebbe essere emendato attraverso la rinnovazione o l’integrazione della citazione, con effetto non retroattivo, purché il termine per appellare non sia nel frattempo trascorso.

(68) Più precisamente, tale principio impone la necessità di salvaguardare tanto la corretta instaura-zione del contraddittorio quanto il rispetto dei diritti essenziali della difesa: in tal senso, in relazione all’art. 64, comma 1°, lett. b), l. 31 maggio 1995, n. 218 e all’art. 34, nn. 1 e 2, reg. CE n. 44/2001 del 22 dicembre 2000, v. E. D’ALESSANDRO, Il riconoscimento delle sentenze straniere, Torino, 2007, p. 134 ss. spec. pp. 144 s., 191 s.; M.G. CIVININI, Il riconoscimento delle sentenze straniere (artt. 64-67 l. n. 218/1995), Milano, 2001, p. 45 ss.; in giurisprudenza, Cass. 22 luglio 2004, n. 13662, in Foro it. Rep., 2004, voce Delibazione, n. 13.

(69) R. POLI, I limiti oggettivi delle impugnazioni ordinarie, cit., p. 64, il quale precisa che tale conse-guenza si verifica «vi sia stata o meno un’espressa statuizione negativa sul punto della sentenza impu-gnata»; G. BALENA, In tema di appello, cit., c. 3224 s.; A. RONCO, Errores in procedendo, cit., p. 1807.

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dice è stata resa in violazione del contraddittorio (70). In tutti questi casi, infatti, la sussistenza del vizio processuale rende inaccettabili le soluzioni date dal giudice alle singole questioni, del tutto a prescindere da una specifica censura di merito in ordi-ne alle stesse (71); quello che l’appellante auspica è proprio un nuovo giudizio di me-rito, nell’ambito del quale poter compiere quelle attività difensive che gli sono state impedite davanti al giudice di prime cure.

Pertanto, anche se in appello deve essere resa una nuova decisione in sostituzione della precedente, non può negarsi l’esistenza di un interesse ad un’impugnazione con la quale la parte denunci soltanto vizi in procedendo. Detto interesse consiste eviden-temente nell’eliminazione del giudizio di merito sfavorevole in quanto viziato nel pro-cedimento della sua formazione e nella possibilità, per la parte che se ne lamenta, di spendere in appello quei poteri processuali che le sono stati negati nel corso del pro-cesso di primo grado (72). Il giudice d’appello dovrà pertanto disporre la rinnovazione dell’attività viziata ai sensi dell’art. 354, comma 4°, c.p.c. al fine di rendere un nuovo giudizio, il quale potrà ovviamente basarsi soltanto sugli atti di primo grado non col-piti dalla nullità e su quelli legittimamente rinnovati in appello (73).

È pur vero che il risultato della rinnovazione disposta potrebbe coincidere con quello già raggiunto dal primo giudice e che quindi la sentenza impugnata potrebbe nel concreto non rivelarsi ingiusta (74), ma tale mera eventualità potrà essere appura-ta solo in seguito alla rinnovazione, non potendo certo costituire un impedimento della stessa, né tantomeno escludere, di per sé, l’ammissibilità dell’impugnazione. Ove si verificasse una tale evenienza, il giudice d’appello dovrà semplicemente e-mettere una decisione di contenuto analogo a quello della pronuncia impugnata, se del caso censurando il comportamento «abusivo» della parte appellante (75). Tutta-

(70) Nel medesimo senso, G. BALENA, In tema di appello, cit., c. 3224. Va tuttavia precisato che, se-condo la giurisprudenza, la parte deve comunque indicare in maniera non generica i poteri processuali che assume violati in relazione all’espletamento dei mezzi istruttori (cfr., in relazione ai vizi inerenti alla consulenza tecnica, Cass. 7 luglio 2001, n. 9231, in Foro it. Rep., 2001, voce Consulente tecnico, n. 37; Cass. 19 aprile 2001, n. 5775, ivi, 2001, voce cit., n. 38; Cass. 7 febbraio 1996, n. 986, ivi, 1996, voce cit., n. 12, la quale ha affermato che la nullità della consulenza si verifica soltanto nel caso in cui l’inos-servanza delle forme previste «abbia effettivamente comportato, con riguardo alle circostanze del caso concreto, un pregiudizio del diritto di difesa»); sulla questione, v. anche infra, nt. 85.

(71) In specifico riferimento al problema dell’ammissibilità dell’appello, v. Cass. 27 maggio 2005, n. 11292, cit.; A. RONCO, Errores in procedendo, cit., p. 1807. Più in generale, per l’importanza del con-traddittorio anche nella fase di acquisizione ed assunzione delle prove, v. G. TARZIA, Problemi del con-traddittorio nell’istruzione probatoria civile, in Riv. dir. proc., 1984, p. 656 ss.; V. DENTI, Perizie, nullità processuali e contraddittorio, in Riv. dir. proc., 1967, p. 404 ss.; ID., voce Nullità degli atti processuali civi-li, in Noviss. dig. it., XI, Torino, 1965, p. 473.

(72) V., ad esempio, Cass. 21 marzo 2001, n. 122, in Foro it., 2001, I, c. 2811 ss.; Cass. 23 novembre 1995, n. 12102; cit.; Cass., Sez. un., 3 ottobre 1995, n. 10389, cit.; Cass. 20 maggio 1994, n. 4986, in Fo-ro it. Rep., 1994, voce Appello civile, n. 78.

(73) G. BALENA, La rimessione della causa al primo giudice, cit., p. 321 s. Peraltro, se la rinnovazione non è possibile, si ritiene che il giudice d’appello debba comunque prescindere dagli atti nulli; in tal senso, cfr. N. RASCIO, L’oggetto dell’appello civile, cit., p. 331, nota 319, ove anche ulteriori riferimenti.

(74) Lo rileva, ad esempio, R. PROVINCIALI, Sistema delle impugnazioni civili, cit., p. 118 s.

(75) Su questo problema, v. infra, par. 6.

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via, non è detto che la ripetizione dell’attività conduca necessariamente il giudice di secondo grado alle medesime conclusioni di quello precedente, ben essendo possi-bile, al contrario, che il nuovo giudizio di merito si concluda in senso favorevole all’appellante: ciò basta per dimostrare la sussistenza di un potenziale interesse di quest’ultimo ad un appello per soli motivi di rito.

Il fatto che la parte appellante proceda a rilevare soltanto un vizio in procedendo può peraltro in concreto comprendersi nel caso in cui l’esito positivo degli atti da rin-novare non sia indispensabile al fine dell’accoglimento delle proprie ragioni, ossia quando, ad esempio, si contesti la validità di una prova essenziale per la controparte; in tale circostanza, la strategia processuale dell’appellante può senza dubbio limitarsi a denunciare l’errore di attività del primo giudice e, successivamente, a contrastare il proprio avversario in sede di rituale rinnovazione della stessa. Ma, a pensarci bene, un interesse all’impugnazione per soli motivi di rito può ravvisarsi anche qualora l’appel-lante abbia l’esigenza di coltivare, al fine della propria vittoria, determinate attività, per esempio quando lamenti l’errore processuale compiuto nel corso dell’assunzione di una prova per sé decisiva; non può infatti escludersi che il risultato voluto, ossia una diverso convincimento del giudice in ordine alle questioni di merito investite dalla nullità, venga comunque raggiunto nel corso del processo d’appello, a seguito del possibile esito fausto dell’attività rinnovata, nell’ambito della quale il soccombente in primo grado potrà ovviamente svolgere le difese che riterrà opportune.

A tal fine, non pare nemmeno necessario che l’appellante formuli un’esplicita ri-chiesta di rinnovazione dell’attività viziata, essendo a ciò sufficiente la sola eccezio-ne di nullità. L’obbligo di disporre la ripetizione degli atti nulli sorge infatti anche in mancanza di una specifica istanza di parte, in quanto è proprio il riscontro della nullità denunciata a prescrivere ex lege al giudice d’appello di rimediare all’errore processuale compiuto in primo grado (76). Ove, al contrario, si ritenesse che l’assun-zione degli opportuni provvedimenti di cui all’art. 354, comma 4°, c.p.c. fosse su-bordinata alla richiesta della parte appellante (77), ciò varrebbe comunque soltanto ad esigere, ai fini dell’ammissibilità dell’appello, una richiesta di rinnovazione del-l’attività viziata, ma non certo ad imporre anche la contestuale denuncia dei vizi di merito della sentenza impugnata.

Quanto finora osservato si attaglia, con tutta evidenza, esclusivamente ai casi in cui l’attività nulla possa essere ripetuta soltanto con il concorso del giudice o di un suo ausiliario, in particolare quando la rinnovazione riguardi l’assunzione dei mezzi istruttori o l’espletamento di una consulenza tecnica, cui in effetti fa espresso rife-rimento il combinato disposto degli artt. 354, comma 4° e 356 c.p.c. (78); in tali ipo-

(76) Cass. 26 ottobre 1988, n. 5803, in Giust. civ., 1989, I, p. 335 s.; G. BALENA, In tema di appello, cit., c. 3224 s.

(77) Per la necessità di un’istanza di parte, cfr. la sibillina Cass. 27 maggio 2005, n. 11292, cit.

(78) Per la limitazione dell’articolo in discorso alle sola attività istruttoria, v. V. DENTI, Nullità degli atti processuali civili, cit., p. 482; G. MARTINETTO, Delle nullità degli atti, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da E. ALLORIO, vol. I, 2, Torino, 1973, p. 1652; B. CIACCIA CAVALLARI, La rin-novazione nel processo di cognizione, Milano, 1981, p. 411 ss.; Cass. 5 febbraio 1982, n. 665, cit., secon-do cui, fuori dalle nullità degli atti istruttori, «le eventuali violazioni del diritto di difesa (…) trovano

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tesi, i poteri processuali delle parti potranno infatti essere spesi soltanto a seguito della rinnovazione disposta in appello, per cui non è certamente possibile escludere l’esistenza di un concreto interesse ad un’impugnazione di tal fatta. Ciò è tanto vero che la giurisprudenza non ha mai negato l’ammissibilità di un appello basato esclu-sivamente su motivi di rito nel caso in cui la censura sia rivolta a denunciare un vizio processuale della fase istruttoria (79).

Vi sono tuttavia dei casi nei quali le facoltà difensive compromesse nel corso del giudizio di primo grado potrebbero essere esercitate dalla parte appellante diretta-mente nel proprio atto introduttivo: si pensi, ad esempio, alle ipotesi in cui la parte lamenti un vizio di instaurazione del contraddittorio in primo grado, ovvero la vio-lazione del proprio diritto di replica, o ancora la fissazione di un termine insuffi-ciente per predisporre le proprie difese (80), nelle quali il compimento in appello dell’attività impedita (difese in diritto, allegazioni, contestazioni, istanze istruttorie, modifica di domande ed eccezioni già proposte, proposizione di nuove domande ed eccezioni, chiamata di terzi in causa) non discende necessariamente da un provve-dimento del giudice di seconde cure (81). In tali circostanze, potrebbe anche ritener-

rimedio nel riesame del merito da parte del giudice dell’impugnazione»; contra, G. OLIVIERI, La rimes-sione al primo giudice nell’appello civile, cit., p. 168 s., secondo il quale la rinnovazione non deve essere limitata agli atti di acquisizione probatoria, dovendo al contrario essere consentito alla parte l’esercizio di tutte quelle attività che sono state precluse in primo grado; in giurisprudenza, cfr. Cass. 13 marzo 1997, n. 2251, cit.

(79) Cfr., ad esempio, in tema di nullità nell’espletamento della consulenza tecnica, Cass. 19 aprile 2001, n. 5775, cit., che, pur ritenendo infondata la questione, non ha però contestato la possibilità della censura esclusiva in appello; nello stesso senso, Cass. 9 febbraio 1995, n. 1457, in Foro it. Rep., 1995, voce Consulente tecnico, n. 38; in dottrina, v. G. BALENA, In tema di appello, cit., c. 3224 s.

(80) Si ritiene, ad esempio, che comporti la nullità del procedimento la mancata comunicazione di un’ordinanza che fissa un’udienza di trattazione o di discussione (Cass. 15 ottobre 1988, n. 5621, in Fo-ro it. Rep., 1988, voce Procedimento civile, n. 95; R. ORIANI, voce Nullità degli atti processuali. I) Diritto processuale civile, in Enc. giur., XXI, Roma, 1990, p. 4, il quale appunto precisa che la nullità può verifi-carsi anche a seguito dell’omesso compimento di un atto della sequenza procedimentale), oppure il di-fetto di fissazione dei termini per il deposito delle appendici scritte dell’udienza di trattazione di cui all’art. 183 c.p.c. (così, implicitamente, Cass. 15 febbraio 2007, n. 3607, in Foro it. Rep., 2007, voce Pro-cedimento civile, n. 91), o ancora il non aver consentito alle parti di esercitare le proprie facoltà difensi-ve in ordine ad una questione rilevata ex officio (in tal senso, v. Cass. 21 novembre 2001, n. 14637, in Giust. civ., 2002, I, p. 1611 ss., con nota di F.P. LUISO, Questione rilevata di ufficio e contraddittorio: una sentenza «rivoluzionaria»?, nonché in Giur. it., 2002, p. 1363 ss., con nota di S. CHIARLONI, La sen-tenza della «terza via» in cassazione: un altro caso di formalismo delle garanzie?; Cass. 5 agosto 2005, n. 16577, in Riv. dir. proc., 2006, p. 747 ss., con note di E.F. RICCI, La sentenza della «terza via» e il con-traddittorio e di L.P. COMOGLIO, «Terza via» e processo «giusto»; nonché in Foro it., 2006, I, c. 3174 ss., con nota di E. FABIANI, Rilievo d’ufficio di «questioni» da parte del giudice, obbligo di sollevare il con-traddittorio delle parti e nullità della sentenza; Cass. 31 ottobre 2005, n. 21108, in Corr. giur., 2006, p. 507 ss., con nota di C. CONSOLO, Questioni rilevabili d’ufficio e decisioni della terza via: conseguenze; ma contra, Cass. 27 luglio 2005, n. 15705, pubblicata sempre in Foro it., 2006, I, c. 3174 ss.).

(81) In particolare, nel caso di vizi dell’atto introduttivo afferenti alla vocatio in ius, si è posto il pro-blema della proposizione, davanti al giudice di secondo grado, di domande riconvenzionali, ovvero del-la chiamata in causa di terzi, in quanto siffatte attività difensive sembrerebbero precluse a causa del di-vieto di jus novorum in appello. Ma, mentre per G. BALENA, La rimessione della causa al primo giudice, cit., p. 344 ss., non ci sarebbero insuperabili ostacoli a rinviare tali difese ad un successivo ed autonomo giudizio, secondo S. TOFFOLI, Sulla possibilità, e i limiti, dell’applicazione in via analogica degli artt. 353

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si che quest’ultimo debba consentire alla parte danneggiata l’esercizio dei relativi poteri processuali anche nel proseguio dell’appello; ma questa soluzione permissiva si scontra con il granitico orientamento della Suprema Corte secondo la quale ogni nuova attività ammessa in appello deve essere compiuta, a pena di decadenza, in li-mine litis (82).

Ciò nonostante, anche aderendo a quest’ultima soluzione, non viene ad essere escluso l’autonomo rilievo dell’impugnazione per motivi di rito. Da un lato, infatti, il vizio processuale, che da un punto di vista logico resta anteriore e pregiudiziale rispetto alla decisione di merito, impone comunque di rimuovere il giudizio reso dal primo giudice, di guisa che in appello potrà liberamente discutersi di tutte le que-stioni che, in conseguenza della nullità, sono rimaste sfornite di una valida decisio-ne (83); dall’altro, e come conseguenza, le difese svolte nel merito dalla parte appel-lante, pur dovendo essere contenute a pena di decadenza nell’atto introduttivo, non si pongono affatto come motivi di critica della prima sentenza, che viene meno a se-guito della fondatezza del motivo di nullità (84), bensì costituiscono argomenti per dimostrare, nel nuovo giudizio, la bontà delle proprie ragioni (85).

e 354 c.p.c., cit., c. 1309 ss., ciò comporterebbe una violazione, se non dell’art. 24 Cost., almeno del principio della parità delle armi, di guisa che sarebbe necessario aderire alla tesi secondo la quale il giu-dice d’appello è tenuto a chiudere il processo in rito; in proposito cfr. altresì la posizione di A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile5, Napoli, 2007, p. 237 s., testo e nt. 2. Secondo la giurispru-denza, invece, anche tali difese devono essere consentite in appello; in tal senso, v. Cass. 10 febbraio 2003, n. 1935, in Foro it. Rep., 2003, voce Appello civile, n. 151.

(82) In tal senso, in relazione al deposito di nuovi documenti in appello, v. Cass., Sez. un., 20 aprile 2005, n. 8203, pubblicata, fra l’altro, in Corr. giur., 2005, p. 929 ss., con note di G. RUFFINI, Preclusioni istruttorie in primo grado e ammissione di nuove prove in appello: gli artt. 345, comma 3, e 437, comma 2, c.p.c. al vaglio delle sezioni unite e C. CAVALLINI, Le sezioni unite restringono i limiti delle nuove produ-zioni documentali nell’appello civile, ma non le vietano; Cass. 14 febbraio 2005, n. 2895, in Foro it., 2005, I, c. 1012 ss.; Cass. 20 gennaio 2003, n. 775, in Corr. giur., 2003, p. 913 ss., con nota di G. RUFFI-

NI, Nuove produzioni documentali in appello e poteri istruttori del giudice nel rito ordinario ed in quello del lavoro. Per qualche apertura, cfr. invece Cass. 10 agosto 2002, n. 12139, in Foro it. Rep., 2002, voce Procedimento civile, n. 226; Cass. 30 marzo 2000, n. 3892, ivi, 2000, voce cit., n. 285.

(83) R. POLI, L’oggetto del giudizio di appello, cit., p. 1404 ss., il quale precisa che il giudice d’appello è libero, nell’ambito delle questioni riaperte, di fondare la sua decisione su argomentazioni diverse ri-spetto a quelle svolte dall’impugnante nell’ambito della specifiche censure proposte nei suoi motivi.

(84) In altre parole, la verifica dell’errore di rito è idonea e sufficiente ad assolvere l’onere, gravante sull’appellante, di dimostrare il vizio della sentenza di primo grado, onere che sorge per effetto della soccombenza in primo grado e che può anche comportare, in appello, una sorta di inversione dell’onere probatorio in ordine al merito della lite; per tale orientamento della giurisprudenza, v. Cass., Sez. un., 23 dicembre 2005, n. 28498, cit.; in senso adesivo, R. POLI, L’oggetto del giudizio di appello, cit., p. 1397 ss.; contra, però, A. PROTO PISANI, R. ORIANI, G. BALENA, N. RASCIO, Oggetto del giudizio di appello e riparto degli oneri probatori: una recente (e non accettabile) pronuncia delle sezioni unite, in Foro it., 2006, I, c. 1346 ss.

(85) Va peraltro rilevato che, secondo la giurisprudenza, la parte interessata è comunque tenuta ad indicare in quale modo l’irritualità del procedimento abbia effettivamente determinato una violazione del proprio diritto di difesa; in tal senso, Cass. 8 settembre 2003, n. 13091, in Foro it. Rep., 2003, voce Impugnazioni civili, n. 35; in dottrina, V. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile3, vol. I, Na-poli, 1957, p. 413, secondo il quale la relativa indagine «è assai delicata perché implica l’esame della finalità della norma, che sancisce la nullità»; S. SATTA, C. PUNZI, Diritto processuale civile, cit., p. 244 e F. MARELLI, La conservazione degli atti invalidi nel processo civile, Padova, 2000, p. 143 ss., i quali fanno

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4. – I motivi appena illustrati suggeriscono in conclusione di rifiutare l’orienta-mento giurisprudenziale prevalente e, quindi, di ritenere ammissibile la proposizione di un appello con il quale la parte attacchi la sentenza di primo grado soltanto attra-verso i vizi in procedendo della stessa; quanto all’esito di siffatta impugnazione, il c.d. «effetto sostitutivo» dell’appello induce altresì a ritenere che, per lo meno nella mag-gior parte dei casi, il giudice del gravame debba decidere la causa nel merito, dopo aver assunto gli opportuni provvedimenti ai sensi dell’art. 354, comma 4°, c.p.c.

Mentre quest’ultima conclusione dipende dalla soluzione accolta da ciascun ordi-namento positivo, ben potendo, in alternativa, essere prevista una rimessione della causa al giudice inferiore, ovvero consentita una dichiarazione di nullità del primo giudizio, la possibilità di far valere, anche da soli, i vizi processuali della fase prece-dente costituisce invece una soluzione irrinunciabile e di profonda umanità, che non può venire meno per il solo fatto che l’appello riveste anche una funzione sostitutiva.

Se, infatti, i vizi in procedendo non fossero denunciabili in maniera autonoma, ben-sì soltanto unitamente a quelli di merito, il significato delle forme processuali del giu-dizio di primo grado verrebbe senza dubbio svuotato, con conseguenze sicuramente inaccettabili, in quanto verrebbe vanificata la loro funzione di garanzia, posta a presi-dio della libertà dei litiganti e, soprattutto, della correttezza della decisione.

L’ordinamento giuridico è invece pienamente consapevole del fatto che ogni giudizio, oltre ad essere il frutto di scelte tragiche in un sistema soverchiato dal dub-bio, è autorefereziale, ossia incapace di fornire con assoluta certezza la prova della

riferimento alla necessità che la parte interessata dimostri che l’inosservanza del requisito formale dell’atto le abbia causato un pregiudizio rispetto allo «scopo» previsto dalla norma processuale. Per la tesi secondo cui non sarebbe necessaria l’allegazione di uno specifico pregiudizio, v. invece Cass. 18 maggio 2001, n. 6817, in Giust. civ., 2002, I, p. 461 ss., con nota di C. ASPRELLA, Osservazioni su un caso di decisione in primo grado prima della scadenza del termine per le conclusionali, sanatoria in appello e cassazione con rinvio; in dottrina, R. ORIANI, Nullità degli atti processuali, cit., p. 11, il quale afferma che, per lo meno nel caso di violazione delle forme processuali previste a pena di nullità, il pregiudizio alla difesa è in re ipsa, di guisa che la parte danneggiata non deve dimostrare anche il mancato raggiun-gimento dello «scopo», dovendo pertanto ritenersi che l’onere contrario gravi sulla controparte; ancora più estremo è G. MARTINETTO, Delle nullità degli atti, cit., p. 1597 s., secondo il quale la denuncia del vizio in discorso sarebbe possibile «indipendentemente dalla circostanza che la nullità abbia o no causa-to un pregiudizio»; ma quest’ultima tesi non può in alcun modo essere accolta, dovendo necessariamen-te ritenersi che tale pregiudizio debba almeno essere postulato, implicitamente o esplicitamente, dalla parte che vuol far valere la nullità.

Diversamente, secondo F.P. LUISO, Questione rilevata di ufficio, cit., p. 1614, non sarebbe sufficien-te l’indicazione di un generico pregiudizio, dovendo invero l’appellante enucleare subito quali specifi-che attività difensive (domande, allegazioni, eccezioni, prove, ecc.) non avrebbe potuto svolgere a causa del vizio del procedimento; nel medesimo senso, S. CHIARLONI, La sentenza della «terza via», cit., p. 1364 s.; in giurisprudenza, Cass. 15 febbraio 2007, n. 3607, cit.; Cass. 5 dicembre 2003, n. 18618, in Foro it. Rep., 2003, voce Procedimento civile, n. 277; e, per ulteriori indicazioni, G. BERTOLINO, in Giur. it., 2006, p. 2355 s. Questa soluzione, pur comportando un indissolubile intreccio fra la questione di merito e quella di rito, non è comunque tale da escludere l’autonomo rilievo in appello della censura del vizio in procedendo: infatti, anche se ai fini della verifica del pregiudizio processuale risulta necessario esaminare l’ambito delle difese di merito impedite, è chiaro che tali difese non si pongono affatto come critica nei confronti della sentenza impugnata; che l’esame dell’invalidità della sentenza possa anche in tal caso essere logicamente separato dall’esame (successivo e consequenziale) dell’ingiustizia è infatti di-mostrato dalla circostanza che, in sede di ricorso per cassazione, la verifica del vizio in discorso impone, salvo che non siano necessari nuovi accertamenti di fatto, l’annullamento con rinvio della sentenza.

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sua giustizia, per cui non può in alcun modo confidare in esso qualora il procedi-mento che ha condotto alla sua formazione risulti in qualche modo viziato. In altre parole, ogni violazione delle norme che governano il processo comporta, a seguito della denuncia proveniente dalla parte interessata, una vera e propria «presunzione di ingiustizia» (86), tale da impedire quella scommessa sul giudizio che, sotto un velo di ingenuità, è invece necessaria per recidere il nodo gordiano derivante dallo scontro fra il terribile compito del giudicare e il difetto di garanzie esterne della decisione, ov-vero fra la consapevole incertezza della conoscenza e il tragico divieto di non liquet.

Così, ad esempio, non si ritiene possibile prestare fede ad una decisione di meri-to resa senza aver ascoltato le ragioni e le repliche di uno dei litiganti, ove quest’ul-timo non sia rimasto volontariamente contumace o inerte, oppure ad una sentenza basata sulle risultanze di una consulenza tecnica svolta in difetto del contradditto-rio, o ancora su una testimonianza assunta senza aver consentito ad una delle parti di parteciparvi, e via discorrendo. In tali circostanze, il vizio di rito consumatosi da-vanti al giudice di prime cure determina il diritto del soccombente, beninteso ove se ne lamenti e faccia scattare la «presunzione di ingiustizia» di cui si è detto, a veder rimuovere siffatta decisione e ad ottenere un nuovo giudizio (87), senza che il mate-riale istruttorio acquisito in primo grado o le decisioni in fatto e in diritto prese dal primo giudice possano assumere in tale sede un qualche valore vincolante (88).

Ciò significa che, in presenza di una nullità del procedimento di primo grado, l’appello funziona in una prima fase come una querela nullitatis con effetti rescin-denti (89), con l’unica particolarità che il giudizio rescissorio è reso davanti allo stes-so giudice di secondo grado; la circostanza che, fuori dei casi previsti dagli artt. 353 e 354 c.p.c., il giudizio rescindens venga compiuto insieme al giudizio rescissorium non può infatti condurre a confondere i due momenti, i quali restano in realtà logi-camente distinti (90).

(86) V., per tutti, R. PROVINCIALI, Sistema delle impugnazioni civili, cit., p. 116 s., nt. 5.

(87) In proposito, v. ancora R. PROVINCIALI, Sistema delle impugnazioni civili, cit., pp. 115 s., 120 s. Va peraltro precisato che, operando il principio di cui all’art. 157, comma 2°, c.p.c., la nullità processu-ale deve essere denunciata nel primo atto difensivo successivo alla notizia di essa, altrimenti la parte de-cade dal potere di eccepirla: al riguardo, in relazione alle nullità il cui rilievo è appunto ritenuto riserva-to alla parte, v., ex multis, Cass. 15 febbraio 2007, n. 3607, cit.; Cass. 17 ottobre 2003, n. 15554, in Foro it. Rep., 2003, voce Prova testimoniale, n. 2; in relazione ai vizi del contraddittorio, la giurisprudenza ha tuttavia enucleato alcune ipotesi in cui la nullità è rilevabile d’ufficio, nelle quali pertanto il suddetto principio non può operare (si tratta, in particolare, delle nullità inerenti alla vocatio in jus, ovvero dei difetti di integrità del contraddittorio; sul punto, v., anche per gli opportuni richiami, C. PUNZI, Il pro-cesso civile, cit., vol. I, p. 89).

(88) Cfr. G. OLIVIERI, La rimessione al primo giudice nell’appello civile, cit., p. 167 s., testo e nt. 49, secondo il quale, prima di rendere la decisione sostitutiva, il giudice d’appello deve dichiarare la nullità degli atti viziati.

(89) In altre parole, avverso le sentenze che hanno pronunciato nel merito, la querela nullitatis sem-bra «sopravvivere» per ogni ipotesi di invalidità del primo giudizio e non solo nei casi previsti dagli artt. 353 e 354 c.p.c., come invece rilevato da P. CALAMANDREI, Sopravvivenza della querela di nullità nel processo civile vigente, cit., p. 519 ss. e, più di recente, da G. BALENA, La rimessione della causa al primo giudice, cit., p. 309, cui si rimanda anche per ulteriori riferimenti.

(90) Da ultimo, v. R. POLI, I limiti oggettivi delle impugnazioni ordinarie, cit., p. 578 ss., il quale rileva

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L’intero sistema delle nullità processuali è infatti rivolto, secondo una soluzione di profonda giustizia, a garantire alla parte appellante un nuovo giudizio esente da vizi in procedendo (91), il cui rilievo, anche autonomo, è pertanto imprescindibile quando – come avviene nel nostro ordinamento – l’appello è strutturato come una revisio prioris instantiae, cioè come una verifica della correttezza della precedente decisione, di guisa che il controllo della stessa deve appuntarsi, in prima battuta, av-verso il contenuto della sentenza di primo grado, nei limiti dei motivi di impugna-zione dedotti (92). Ove, al contrario, non fosse consentita anche (o solo) la denuncia dei motivi di nullità che viziano la decisione impugnata, l’attacco avverso la sentenza (che la parte ritiene ingiusta) sarebbe infatti evidentemente dimidiato.

Se invece il giudizio di secondo grado si atteggiasse già ex se come un novum ju-dicium, ossia qualora una tale impugnazione consentisse un esame delle questioni devolute completamente nuovo e indipendente rispetto al contenuto della pronun-cia censurata, e se in appello fosse consentito alle parti il libero esercizio di ogni po-tere processuale, non vi sarebbero ostacoli a ritenere irrilevanti gli errori di rito che hanno viziato, in tutto o in parte, la decisione del primo giudice (fatta eccezione, ovviamente, per quelle ipotesi in cui l’ordinamento imponesse la rimessione della causa al primo giudice, nelle quali si esprime l’esigenza di un doppio grado di giuri-sdizione) (93). Per la medesima ragione, quale che sia la struttura dell’appello, nel

come il giudizio di appello e quello di cassazione presentano, a parte le differenti possibilità di accerta-mento dei fatti storici, oggetto, struttura e funzione sostanzialmente identici; nello stesso senso, cfr. R. PROVINCIALI, Sistema delle impugnazioni civili, cit., p. 393; F. CARNELUTTI, Istituzioni, cit., vol. II, p. 149 ss.; in giurisprudenza, v. Cass. 7 luglio 1999, n. 7054, in Foro it., 1999, I, c. 3240 ss.; Cass., Sez. un., 14 dicembre 1998, n. 12541, cit. Escludono invece l’esistenza di un momento propriamente rescindente nell’appello sostitutivo, in quanto la rescissione della sentenza di primo grado sarebbe conseguenza del-la sua sostituzione: P. CALAMANDREI, Vizi della sentenza e mezzi di gravame, cit., p. 267 ss.; A. CERINO CANOVA, Le impugnazioni civili, cit., p. 442 s.; sulle distinzione fra impugnazioni sostitutive e rescinden-ti, cfr. anche V. TAVORMINA, Contributo alla teoria dei mezzi di impugnazione delle sentenze, Milano, 1990, pp. 79 ss., 141 ss., 195 ss.

(91) La medesima soluzione sembra peraltro sostenibile anche in riferimento alle nullità originarie della sentenza, in quanto anche i requisiti formali della stessa sono posti a garanzia della correttezza del-la decisione (si pensi al caso del difetto assoluto di motivazione); in dottrina, per una devoluzione piena ed automatica di tutta la controversia al giudice superiore in caso di vizi siffatti, e quindi per un riesame delle conclusioni delle parti in primo grado, v. A. PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, p. 178 ss.; N. RASCIO, L’oggetto dell’appello civile, cit., p. 333 ss., ove anche ulteriori rife-rimenti; ma, contra, G. BALENA, La rimessione della causa al primo giudice, cit., p. 322 s.; ID., In tema di appello, cit., p. 3225; in giurisprudenza, per un’ipotesi di mancata lettura del dispositivo in udienza, Cass. 8 agosto 1987, n. 6799, in Foro it. Rep., 1987, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 544.

(92) Per tale struttura dell’appello, v. R. POLI, I limiti oggettivi delle impugnazioni ordinarie, cit., p. 581 ss.; nel medesimo senso, cfr. anche M. DE CRISTOFARO, Inammissibilità, appello senza motivi ed am-piezza dell’effetto devolutivo, in Corr. giur., 2000, p. 761 s.; in giurisprudenza, v. Cass., Sez. un., 23 di-cembre 2005, n. 28498; contra, ossia per la tesi secondo la quale l’appello avrebbe ad oggetto immedia-tamente e direttamente il merito della causa, anche se nei limiti dell’impugnazione proposta, cfr., ex pluri-bus, A. PROTO PISANI, R. ORIANI, G. BALENA, N. RASCIO, Oggetto del giudizio di appello, cit., c. 1438 s.; C. CONSOLO, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, cit., p. 26.

(93) Cfr. P. CALAMANDREI, Sopravvivenza della querela di nullità nel processo civile vigente, cit., p. 520, il quale, sul presupposto del libero riesame della controversia in appello, ritiene che l’indagine sulla ingiustizia della sentenza assorba l’esame della sua nullità; per analoga conclusione, T. SEGRÈ, Irrilevan-

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caso in cui il vincitore di primo grado provvedesse a dimostrare nuovamente la fon-datezza nel merito delle proprie ragioni, consentendo all’avversario il pieno eserci-zio dei propri poteri processuali, in appello potrebbe senza dubbio essere omesso l’esame della questione di nullità del precedente giudizio (94), in quanto, anche in tal caso, sarebbe comunque garantita una decisione immune da vizi in procedendo.

5. – Visto il collegamento funzionale fra nullità ed ingiustizia, un appello per soli

motivi di rito deve però ritenersi inammissibile nel caso – peraltro piuttosto improbabi-le – in cui la parte appellante lamenti l’esistenza di un vizio del procedimento, al con-tempo affermando espressamente che la decisione impugnata è comunque giusta (95). È chiaro infatti che una tale impugnazione sarebbe del tutto priva di senso, in quanto lo stesso soccombente, riconoscendo che il primo giudice non è incorso in alcun errore di giudizio, ha senza dubbio escluso l’utilità di un nuovo giudizio di merito (96).

La parte che impugna – per la quale la sentenza può essere soltanto giusta o ingiu-sta – ha invero la facoltà di far valere il vizio di rito esclusivamente come motivo di in-giustizia, sostanziale e non meramente processuale, della sentenza (97), al fine di poter dimostrare la bontà delle proprie ragioni in un nuovo giudizio immune da errores in procedendo, ma non può certamente chiedere la tutela di una posizione processuale fine a sé stessa, la cui eventuale richiesta appare ictu oculi «abusiva» e strumentale. Pertanto, la denuncia dell’errore di rito non può essere disgiunta dall’affermazione, implicita o esplicita, dell’ingiustizia nel merito della sentenza impugnata.

za dei vizi formali nei provvedimenti soggetti ad opposizione o ad appello, in Riv. dir. proc., 1971, p. 483 ss., il quale ritiene superflua in appello la denuncia dei vizi di nullità del primo giudizio; più di recente, cfr. A. PROTO PISANI, R. ORIANI, G. BALENA, N. RASCIO, Oggetto del giudizio di appello, cit., c. 1438 s.

Tuttavia, il libero riesame delle questioni sulla base della sola attività compiuta in primo grado non è sufficiente a garantire la parte che abbia subìto, in tale fase del giudizio, una compressione dei propri poteri processuali. Pertanto, se l’esercizio in appello di siffatti poteri (comportanti il compimento di attività difensive anche in deroga al divieto di jus novorum e/o la rinnovazione degli atti istruttori com-piuti nel primo giudizio) è subordinato alla verifica della nullità dell’atto o del procedimento (così come dispone l’art. 354, comma 4°, c.p.c. e come si ricava a contrario dall’art. 345 c.p.c.), non può parlarsi di un completo assorbimento dell’invalidità nell’ingiustizia; in tal senso, se ben intendo, R. ORIANI, Nullità degli atti processuali, cit., p. 16.

(94) In quest’ultimo senso, v. già L. MORTARA, Appello civile, cit., p. 766, ove anche riferimenti alla giurisprudenza del tempo.

(95) Nel medesimo senso, v. S. SATTA, Commentario, vol. II, 2, cit., p. 9, in quanto una tale dichiara-zione «implicherebbe accettazione della sentenza»; F. CARNELUTTI, Diritto e processo, cit., p. 230; V. TAVORMINA, Azione di impugnativa e potere di impugnazione, in Riv. dir. proc., 1980, p. 58; R. PROVIN-

CIALI, Sistema delle impugnazioni civili, cit., p. 124. Peraltro, come precisato da G. VERDE, Profili del processo civile3, Napoli, 2005, vol. II, p. 276, la necessità della denuncia (implicita o esplicita) dell’in-giustizia della sentenza impugnata si pone anche nel caso in cui il motivo di nullità rientri fra quelli che autorizzano il giudice d’appello alla rimessione della causa al giudice inferiore.

(96) In effetti, alcune sentenze che hanno optato per l’inammissibilità dell’appello hanno fatto leva, benché solo implicitamente, sulla mancanza di una contestuale denuncia contro l’ingiustizia della sen-tenza; cfr. Cass. 29 settembre 2005, n. 19159, cit.; Cass. 14 dicembre 1998, n. 12541, cit.; Cass. 9 marzo 1995, n. 2735, cit.; v. anche Cass., sez. un., 29 gennaio 2000, n. 16, in Foro it., 2000, I, c. 1606 ss., la quale ha affermato che lo scopo dell’atto d’appello è, fra l’altro, «quello di evitare il passaggio in giudi-cato della sentenza di primo grado, attraverso la denuncia della sua pretesa ingiustizia».

(97) Cfr. ancora R. PROVINCIALI, Sistema delle impugnazioni civili, cit., p. 123.

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Ciò, evidentemente, non implica che, ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazio-ne, l’appellante sia anche gravato dell’onere di dimostrare che il vizio in procedendo abbia effettivamente condotto ad un’errata decisione di merito; un tale assunto e-quivarrebbe infatti ad imporre surrettiziamente a suo carico una vera e propria pro-va dell’ingiustizia della sentenza, attraverso la contestuale censura del contenuto di merito della stessa, mentre al contrario, in presenza di un vizio di nullità della sen-tenza, l’ordinamento intende offrire all’appellante la possibilità – ben più favorevole – di ottenere un nuovo giudizio a seguito della sola dimostrazione del vizio in proce-dendo (98).

Deve tuttavia essere preliminarmente verificato se il vizio di rito abbia avuto un’incidenza causale, anche se soltanto potenziale, sulla decisione di merito del pri-mo giudice, ovvero se l’attività viziata abbia o meno influito, in un senso o nell’altro, sul suo giudizio. In difetto di un qualsiasi rapporto di estensione ai sensi dell’art. 159, commi 1° e 2°, c.p.c., l’impugnazione limitata alla censura del relativo vizio in procedendo risulta pertanto priva di fondamento, ossia, non tanto inammissibile, quanto piuttosto infondata (99). È di tutta evidenza che non potrebbe, ad esempio, avere buona sorte la mera denuncia della nullità in ordine all’assunzione di una pro-va sfavorevole, ovvero la tardività di una produzione documentale pregiudizievole, qualora l’una o l’altra non siano state utilizzate per fondare la decisione contra se e al contempo non siano utili per una decisione favorevole all’appellante (100).

Laddove invece la compressione dell’attività assertiva e asseverativa, ovvero degli altri poteri processuali della parte, abbia avuto riflesso sul giudizio del giudice, oc-corre verificare rispetto a quali decisioni di merito abbia operato la propagazione del vizio: a seconda dei casi, la duplicazione dell’attività e del giudizio dovrà coin-volgere soltanto alcune questioni, ovvero comportare una rinnovazione integrale della precedente decisione (101). In ogni caso, quale che sia l’ambito di estensione della nullità, non sembra che tale necessità si ponga soltanto a riguardo del convin-

(98) È evidente che il fatto processuale, caduto sotto l’esame del giudice di primo grado e, quindi, ri-sultante dagli atti, è assai più agevole da dimostrare rispetto all’erroneità del convincimento in fatto o in diritto in cui è incorso il primo giudice; in proposito, cfr. R. POLI, I limiti oggettivi delle impugnazioni ordinarie, cit., p. 583, nt. 173.

(99) Cfr. G. FABBRINI, Potere del giudice, cit., p. 727 s., il quale parla di «“sterilizzazione spontanea” per mancanza di nesso causale tra contenuto della sentenza ed errore sulla nullità di un atto»; nel mede-simo senso, F. CARNELUTTI, Istituzioni, cit., vol. II, p. 178; E. FAZZALARI, Il giudizio civile di cassazione, cit., p. 101; R. ORIANI, Nullità degli atti processuali, cit., p. 13.

(100) Al riguardo, cfr. Cass. 7 agosto 1999, n. 8521, in Foro it. Rep., 1999, voce Procedimento civile, n. 192; Cass. 18 marzo 2003, n. 3989, ivi, 2003, voce cit., n. 198, secondo cui «l’eventuale nullità di una prova non comporta la nullità della sentenza (…) se la decisione finale della controversia non è in alcun modo fondata su detta prova»; per la diversa prospettiva secondo cui l’utilizzazione della prova nulla al fine della formazione del convincimento del giudice determinerebbe, non già la nullità derivata della sentenza, bensì un vizio di valida motivazione della stessa, v. invece Cass. 23 settembre 2004, n. 19072, in Foro it. Rep., 2004, voce Procedimento civile, n. 232.

(101) Per la propagazione del vizio in procedendo alla sentenza, v., ad esempio, Cass. 6 aprile 2006, n. 8025, in Mass. Foro it., 2006, 657; Cass. 22 agosto 2003, n. 12360, in Foro it. Rep., 2003, voce Procedi-mento civile davanti al giudice di pace, n. 17; Cass. 29 gennaio 2003, n. 1283, ivi, 2003, voce Procedimen-to civile, n. 274; Cass. 17 dicembre 1997, n. 12794, ivi, 1997, voce cit., n. 257.

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cimento raggiunto in ordine alla quaestio facti, dovendo essere travolte anche le de-cisioni inerenti alle questioni di diritto pregiudicate dal vizio di rito (102).

Sul piano della fondatezza del motivo di nullità denunciato, va anche considera-to che la disciplina processuale non si limita ad imporre una sterile verifica del ri-spetto delle forme previste dalla legge, ma è al contrario sapientemente ancorata al raggiungimento dello «scopo» degli atti, in modo tale da evitare inutili formalismi della legge processuale (103). Vi sono pertanto alcune violazioni di forma che non meritano alcuna tutela e che, quindi, non comportano l’invalidità del primo giudi-zio, in quanto non impediscono l’esercizio dei poteri processuali delle parti (104).

6. – Benché la facoltà di impugnare per soli motivi di rito costituisca un’irrinun-

ciabile garanzia per i litiganti, non può tuttavia escludersi che la parte soccombente possa impiegare siffatto potere in maniera strumentale e maliziosa, ad esempio con l’intento di allungare i tempi processuali, ovvero allo scopo di proseguire una lite te-meraria, e non invece al legittimo fine di ottenere una sentenza giusta. Una tale con-dotta processuale deve ovviamente ritenersi «abusiva» e riprovevole, in quanto tutti i comportamenti processuali devono essere ispirati alla lealtà e alla buona fede (105), per

(102) Cfr. G. BALENA, In tema di appello, cit., 3225, secondo cui le decisioni in jure verrebbero travolte in quanto dipendenti per pregiudizialità dagli accertamenti di fatto. Più in generale, il loro venir meno de-riva dal rilievo che, al fine di evitare «sentenze a sorpresa», anche in relazione alla soluzione della quaestio juris deve trovare attuazione il principio del contraddittorio, in quanto la relativa discussione può far e-mergere l’esigenza di nuove difese (in proposito, cfr. L.P. COMOGLIO, Contraddittorio, cit., p. 26 s.)

(103) V., in particolare, S. SATTA, Il formalismo nel processo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1958, p. 1142 ss. Sullo «scopo» degli atti processuali, cfr., senza pretesa di completezza, R. ORIANI, Nullità degli atti processuali, cit., p. 3 ss.; R. POLI, Sulla sanabilità dei vizi degli atti processuali, in Riv. dir. proc., 1995, p. 489 ss.; G. MARTINETTO, Delle nullità degli atti, cit., p. 1581 ss. Come già rilevato supra, al par. 1, non pare tuttavia dubbio che, per lo meno nella maggior parte dei casi, la funzione delle forme processuali sia quella di consentire alle parti l’esercizio delle facoltà difensive; in tal senso, v. gli autori citati supra, alla nt. 24, cui adde E. FABIANI, Rilievo d’ufficio di «questioni», cit., c. 3178.

Sul delicato problema di stabilire se, e in quali termini, la parte danneggiata dal vizio processuale debba anche dimostrare il mancato raggiungimento dello «scopo» dell’atto che assume viziato, v. supra, nt. 70 e 85; tale questione pare tuttavia attenere alla fondatezza del motivo di nullità e non invece all’ammissibilità dell’impugnazione, a meno che la mancata o insufficiente indicazione delle facoltà di-fensive violate non si risolva in un difetto di specificità del motivo di appello.

(104) V., ad esempio, Cass. 13 agosto 2004, n. 15777, in Foro it., 2005, I, c. 762 ss. Va peraltro inci-dentalmente notato come ogni violazione dei poteri processuali delle parti determini un vizio in proce-dendo anche nelle ipotesi in cui la legge ometta di regolare, in tutto o in parte, le forme del procedimen-to, dovendo in ogni caso trovare compiuta attuazione il principio del contraddittorio (cfr., in particola-re, F.P. LUISO, Diritto processuale civile, cit., vol. II, p. 43 s.); sulla deminutio di garanzie per le parti in caso di «deformalizzazione» del processo, che è massima nei procedimenti in camera di consiglio, v., per tutti, L. LANFRANCHI, voce Giusto processo. I) Processo civile, in Enc. giur., XV, Aggiornamento, Roma, 2001, p. 8 ss.

(105) Cfr., di recente, Cass. 15 novembre 2007, n. 23726, la quale ha rilevato «l’acquisita consapevo-lezza della intervenuta costituzionalizzazione del canone generale di buona fede oggettiva e correttezza, in ragione del suo porsi in sinergia con il dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 della Costitu-zione»; nonché L.P. COMOGLIO, Abuso del processo e garanzie costituzionali, in corso di pubblicazione su Riv. dir. proc., 2008, § 3, il quale rileva come il dovere di lealtà, di buona fede e di probità debba es-sere apprezzato nell’ottica del «giusto processo»; in argomento, cfr. anche F. MACIOCE, La lealtà. Una filosofia del comportamento processuale, Torino, 2005, p. 117 ss.; F. CORDOPATRI, L’abuso del processo,

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cui devono essere individuati gli strumenti idonei a sanzionare e, se possibile, ad evita-re un tale abuso (106).

Fra i rimedi successivi, va sicuramente annoverata la responsabilità aggravata di cui all’art. 96 c.p.c., a norma del quale la parte soccombente deve essere condannata al risarcimento, in favore dell’avversario, dei danni processuali causati dalla propria condotta illecita, qualora risulti aver proseguito la lite con la consapevolezza dell’in-giustizia della propria pretesa (107); nel caso di specie, il giudice d’appello potrà in-fatti ricavare un probabile indice della mala fede dell’appellante proprio dalla circo-stanza che quest’ultimo abbia cercato di ottenere una decisione a sé favorevole de-ducendo soltanto vizi di nullità della sentenza di primo grado, la quale, benché af-fetta dall’errore procedimentale, si è invece rilevata giusta (108).

L’impiego di rimedi preventivi contro l’uso distorto dell’appello per soli motivi di rito deve invece essere invece valutato con maggior rigore, in quanto un eventua-le vaglio di ammissibilità dell’impugnazione rischia di pregiudicare la garanzia costi-tuzionale dell’azione e del diritto di difesa, che a priori deve essere invece ricono-sciuta a chiunque e quindi anche all’improbus litigator (109).

Padova, 2000, vol. II, pp. 110 ss., 443 ss. e passim; C. MANDRIOLI, Dei doveri delle parti e dei difensori, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da E. ALLORIO, vol. I, 2, Milano, 1973, p. 961 ss.

(106) Sul tema dell’abuso processuale e sulla necessità di individuarne i possibili rimedi, v., da ultimo, L.P. COMOGLIO, Abuso del processo e garanzie costituzionali, cit., spec. § 6 e V. ANSANELLI, voce Abuso del processo, in Dig., disc. priv., sez. civ., Aggiornamento, III, 1, Torino, 2007, spec. p. 7 ss., ai quali si rinvia anche per ampi riferimenti dottrinali.

(107) Intorno al requisito soggettivo della responsabilità, cfr. Cass. 8 gennaio 2003, n. 73, in Foro it. Rep., 2003, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 137; Cass. 2 febbraio 1995, n. 1237, in Foro it. Rep., 1995, voce Procedimento civile davanti al pretore, n. 20; in dottrina, v. la tradizionale formulazione di G. CHIOVENDA, La condanna nelle spese giudiziali2, Roma, 1935, p. 328 ss. e F. CARNELUTTI, Istituzioni, cit., p. 241 s.; più di recente, cfr. P. PAJARDI, La responsabilità per le spese e i danni del processo, Milano, 1959, p. 352; A. GUALANDI, Spese e danni nel processo civile, Milano, 1962, p. 300 ss.; G. BONGIORNO, voce Re-sponsabilità aggravata, in Enc. giur., XXVI, Roma, 1991, p. 3; G. SCARSELLI, Le spese giudiziali civili, Mila-no, 1998, p. 348 ss.; F. CORDOPATRI, L’abuso del processo, cit., vol. II, p. 605 ss.

(108) Per il collegamento (anche se non esclusivo) fra la slealtà processuale e la responsabilità di cui all’art. 96 c.p.c. per aver condotto o proseguito una lite infondata, cfr. V. ANDRIOLI, Commento, vol. I, cit., p. 267 s., secondo cui «i criteri di lealtà e probità operano, in questo articolo, a proposito della va-lutazione della fondatezza della pretesa o della resistenza»; F. CARNELUTTI, Istituzioni, cit., p. 236 s.; C. CALVOSA, La condanna al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1954, p. 389 s.; più di recente, F. CORDOPATRI, L’abuso del processo, cit., vol. II, p. 605 s., il quale afferma che l’animus del litigante di mala fede va ravvisato nella «coscienza che la parte ha del fatto che usa dello strumento processuale non per uno scopo istituzionale di questo»; V. ANSANELLI, Abuso del processo, cit., p. 7 ss.; contra, però, C. MANDRIOLI, Dei doveri delle parti e dei difensori, cit., p. 961 ss., secondo cui l’art. 88 c.p.c. sanzionerebbe soltanto il come dell’attività processuale svolta e non anche il se dell’attività stessa; ma, in verità, come riconosciuto da E. GRASSO, Della responsabilità delle parti, in Commentario al codice di procedura civile, diretto da E. ALLORIO, vol. I, 2, cit., p. 1034 e da G. CALOGE-

RO, Probità, lealtà, veridicità nel processo civile, in Riv. dir. proc. civ., 1939, I, p. 148, non può negarsi che chi proponga coscientemente una domanda (o un’impugnazione) infondata agisca slealmente.

(109) Per la delicatezza della questione, v. M. TARUFFO, Elementi per una definizione di abuso del pro-cesso, in AA.VV., Il diritto privato, vol. III, L’abuso del diritto, Padova, 1998, p. 440, secondo il quale si pone il problema «di stabilire se, e sino a che punto, le attività processuali che siano attuazione di ga-ranzie costituzionali possano considerarsi abusive»; per la necessità di individuare i limiti di esercizio del diritto di azione e di difesa, ovvero dei poteri processuali che ne sono espressione, cfr. L.P. COMO-

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Il che non significa affatto che la denuncia del solo vizio del procedimento sia sempre idonea e sufficiente a determinare la «presunzione d’ingiustizia» della prima sentenza e quindi il diritto del soccombente ad ottenere un nuovo giudizio. Infatti, l’impugnazione per soli motivi di rito, che in astratto risponde ad esigenze di pro-fonda giustizia, potrebbe in concreto risultare immeritevole di tutela, qualora non sia finalizzata alla rimozione di una sentenza ingiusta, ma risulti al contrario prete-stuosa ed incoerente, ossia tale da far supporre la male fede dell’appellante (110).

Così, come abbiamo già indicato, è da ritenersi sicuramente inammissibile un at-to d’appello in cui la parte non postuli, nemmeno implicitamente, l’ingiustizia della sentenza, risultando in tal caso evidente l’uso improprio dell’impugnazione (111).

Gravi dubbi di inammissibilità potrebbero porsi anche nel caso in cui l’appel-lante, dopo aver lamentato la compressione di certe facoltà processuali a causa del vizio in procedendo in primo grado, non provveda poi ad esercitare in appello i rela-tivi poteri. In particolare, quando tali facoltà processuali possano essere spese già nell’atto introduttivo – trattandosi di attività assertive ed asseverative che la parte può compiere senza bisogno di un provvedimento autorizzativo del giudice del gra-vame (112) – il loro mancato esercizio in limine litis potrebbe costituire il probabile sintomo di un comportamento pretestuoso o dilatorio, tale da far sospettare la scar-sa serietà dell’impugnazione per vizi di rito (113).

Ancora più problematica, e quindi da considerare con tutte le cautele del caso, appare l’ipotesi in cui l’appellante si limiti a domandare la dichiarazione di nullità del primo giudizio, o comunque non chiarisca, nel proprio atto d’appello, il conte-nuto della decisione di merito desiderata, con ciò ingenerando un possibile dubbio sulla necessità di un effettivo bisogno di tutela giurisdizionale (114).

GLIO, Abuso del processo e garanzie costituzionali, cit., § 4; F. CORDOPATRI, L’abuso del processo, cit., vol. II, p. 738 s.; E.M. CATALANO, L’abuso del processo, Milano, 2004, p. 56 ss., i quali ravvisano un fonda-mento logico e costituzionale nel divieto di abuso del processo.

(110) In proposito, cfr. M.F. GHIRGA, La meritevolezza della tutela richiesta. Contributo allo studio sull’abuso dell’azione giudiziale, Milano, 2004, p. 89 ss., la quale ritiene che il difetto di causa degli atti processuali integri un uso improprio del processo, ovvero un esercizio abusivo dei poteri processuali, che deve essere censurato dal giudice adìto con una pronuncia di inammissibilità. Si deve tuttavia se-gnalare che la tesi dell’a. è approfondita in riferimento ai soli casi di abuso della domanda giudiziale, la cui declinatoria in rito non esclude la possibilità di far valere il diritto in un altro processo; ben diversa – e più grave – è invece la dichiarazione di inammissibilità dell’appello, che, ai sensi dell’art. 358 c.p.c., ne impedisce invece la riproposizione e che, se confermata in sede di eventuale ricorso per cassazione, comporta la definitiva stabilizzazione della decisione sfavorevole. Il rigetto dell’appello senza esame è tuttavia immaginato da G. ZANI, La mala fede nel processo civile, Roma, 1931, p. 314 come rimedio av-verso i casi di mala fede comportanti «il malizioso prolungamento del processo» e, in particolare, per sanzionare «le impugnative non serie» (p. 185 s.).

(111) V. supra, par. 5.

(112) In proposito, v. tuttavia le osservazioni già svolte supra, par. 3, laddove si è segnalata la possibi-lità alternativa di consentire tali attività anche nel proseguio dell’appello.

(113) Anche G. BALENA, In tema di appello, cit., c. 3225 collega infatti l’appello per soli motivi di rito alla volontà di spendere i poteri processuali compressi nel precedente giudizio.

(114) Nel senso dell’inammissibilità di un appello siffatto, cfr. A. RONCO, Errores in procedendo, cit., p. 1807, il quale tuttavia ammette la necessità di interpretare le intenzioni dell’appellante in maniera non formalistica (peraltro, non sembra che possano sussistere dubbi in tal senso nel caso in cui l’appellante

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Vizi in procedendo e ingiustizia della decisione

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Come è evidente, si tratta di circostanze nelle quali il giudice di seconde cure è posto dinnanzi ad una scomoda scelta, in ogni caso insoddisfacente: infatti, se è op-portuno evitare che la denuncia di questioni di forma possa essere utilizzata dai liti-ganti in mala fede al fine di proseguire liti infondate, in quanto il rimedio successivo del risarcimento dei danni potrebbe apparire inadeguato a sanzionare tali abusi, è altrettanto degna di attenzione l’esigenza di «non sacrificare ingiustamente il diritto di difesa della parte a cui danno ha giocato la nullità», sulla quale non vi sarebbe alcuna verifica nel caso in cui l’appello venisse dichiarato inammissibile (115).

abbia interesse al mero rigetto della pretesa avversaria); per la possibilità della decisione di merito da parte del giudice d’appello anche in difetto della domanda di parte, v. invece G. BALENA, In tema di appello, cit., c. 3224, cui adde le considerazioni svolte supra, par. 3. Nessun dubbio di ammissibilità si pone invece nelle ipotesi in cui sia consentita, in appello, un’absolutio ab instantia o un rinvio della cau-sa al primo giudice (v. supra, nt. 52, 53 e testo corrispondente).

(115) Analogo dilemma è illustrato da A. PROTO PISANI, in Foro it., 1978, I, c. 2141.

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