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1 Gli STUDI di SETTORE come strumento ausiliario di accertamento tributario a cura di Roberto Lunelli, dottore commercialista e tributarista di Udine* I – PREMESSA II – Il CONTESTO economico III – La NORMATIVA di riferimento 1. Art. 39, co. 1° lett. d), del D.P.R. 600/1973 e art. 54 del D.P.R. 633/1972. L’accertamento analitico-presuntivo (o con poste determinate induttivamente) 2. Art. 62-bis e 62-sexies del D.L. 331/1993 convertito dalla L. 427/1993. Gli studi di settore: le due disposizioni (tuttora) basilari. 3. Art. 10 della L 146/1998. Modalità di utilizzo degli studi di settore IV – La EVOLUZIONE della normativa nel tempo 1. La Legge Finanziaria 2005 (L. 311/2004) 2. La “manovra estiva” del 2006 (D.L. 223/2006, convertito dalla L. 248/2006) a. L’ampliamento dell’ambito di operatività degli studi di settore b. L’obbligo generalizzato del contraddittorio preventivo 3. La Legge Finanziaria 2007 (L. 296/2006) a. Resta il presupposto delle gravi incongruenze b. I nuovi indicatori (transitori) di normalità economica c. La limitazione degli accertamenti per i contribuenti “virtuosi” d. Fra le altre novità, la revisione degli studi 4. L’attuale quadro legislativo: decorrenza degli effetti delle modifiche V – Le PRESUNZIONI fondate sugli studi di settore 1. La natura delle presunzioni (semplici o legali): un dilemma (forse) superabile 2. La motivazione degli atti di accertamento basati sugli studi di settore VI – IL CONTRADDITTORIO: per adeguare i risultati presuntivi alla situazione effettiva VII – LA TUTELA “ANTICIPATA” attraverso l’attestazione e l’asseverazione VIII – La TUTELA GIURISDIZIONALE avverso gli accertamenti da studi di settore IX – CONCLUSIONI X – APPENDICE *con la partecipazione dei propri collaboratori di studio e, in particolare, della dott.ssa Francesca Ravasio

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Gli

STUDI di SETTORE

come strumento ausiliario di accertamento tributario

a cura di Roberto Lunelli, dottore commercialista e tributarista di Udine*

I – PREMESSA

II – Il CONTESTO economico

III – La NORMATIVA di riferimento

1. Art. 39, co. 1° lett. d), del D.P.R. 600/1973 e art. 54 del D.P.R. 633/1972.

L’accertamento analitico-presuntivo (o con poste determinate induttivamente)

2. Art. 62-bis e 62-sexies del D.L. 331/1993 convertito dalla L. 427/1993.

Gli studi di settore: le due disposizioni (tuttora) basilari.

3. Art. 10 della L 146/1998. Modalità di utilizzo degli studi di settore

IV – La EVOLUZIONE della normativa nel tempo

1. La Legge Finanziaria 2005 (L. 311/2004)

2. La “manovra estiva” del 2006 (D.L. 223/2006, convertito dalla L. 248/2006)

a. L’ampliamento dell’ambito di operatività degli studi di settore

b. L’obbligo generalizzato del contraddittorio preventivo

3. La Legge Finanziaria 2007 (L. 296/2006)

a. Resta il presupposto delle gravi incongruenze

b. I nuovi indicatori (transitori) di normalità economica

c. La limitazione degli accertamenti per i contribuenti “virtuosi”

d. Fra le altre novità, la revisione degli studi

4. L’attuale quadro legislativo: decorrenza degli effetti delle modifiche

V – Le PRESUNZIONI fondate sugli studi di settore

1. La natura delle presunzioni (semplici o legali): un dilemma (forse) superabile

2. La motivazione degli atti di accertamento basati sugli studi di settore

VI – IL CONTRADDITTORIO: per adeguare i risultati presuntivi alla situazione effettiva

VII – LA TUTELA “ANTICIPATA” attraverso l’attestazione e l’asseverazione

VIII – La TUTELA GIURISDIZIONALE avverso gli accertamenti da studi di settore

IX – CONCLUSIONI

X – APPENDICE

*con la partecipazione dei propri collaboratori di studio e, in particolare, della dott.ssa Francesca Ravasio

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I - PREMESSA

a. La evoluzione nella disciplina degli studi di settore sta determinando una situazione che i

contribuenti destinatari hanno difficoltà ad accettare, dato che ad una crescente onerosità del

carico tributario - derivante dalla (recente e contestata) introduzione anche di (nuovi) indicatori di

normalità economica (che di per sé potrebbero essere anche giustificati) - si accompagna

l’incertezza e il disagio di dover seguire le variazioni normative apportate, di anno in anno, da un

Legislatore alla perenne ricerca di un compromesso fra “giusta imposizione” ed “esigenze di

gettito”. Non va trascurata la confusione - anche terminologica - che regna nel contesto: parte dai

cluster e dai “ricavi puntuali” (che stanno in cima all’”intervallo di confidenza”) passa attraverso gli

indici di congruità (quantitativa) e quelli di coerenza con l’aggiunta degli indicatori di normalità

economica (che trasformano talune incoerenze in incongruità dei ricavi, compensi e corrispettivi)

e perviene a individuare studi “sperimentali”, “studi monitorati”, “studi definitivi”, “studi revisionati”

o “studi evoluti”: con efficacia differenziata e portata (talora) provvisoria e condizionata …

L’utilizzo di una terminologia legislativa poco comprensibile per pretese impositive sempre più

rilevanti sta determinando, nei contribuenti che sono i potenziali destinatari degli studi di settore

(la stragrande maggioranza delle imprese e dei professionisti, come vedremo) e nei loro

consulenti (che sono messi in difficoltà dalla magmatica del quadro di riferimento), una situazione

di difficoltà che va al di là del fastidio e rischia di sfociare in una aperta - o dichiarata - ribellione

nei confronti di un istituto accertativo ritenuto, in molti casi, ingiusto e penalizzante: con la

(fondata) preoccupazione che la disordinata evoluzione nella disciplina di tale strumento di

accertamento sia andata ben oltre gli obiettivi originari, che erano quelli di selezionare (e

orientare) le imprese “minori” che operavano nel settore del commercio (e dintorni)1 e non anche

alle imprese “medie”2 o addirittura agli esercenti arti e professioni (per i quali riesce difficile, se

non addirittura impossibile, realizzare una “omogeneità” di base e una “misurazione economica”

dei loro compensi effettivi). Tanto più che - al di là dei “proclami” governativi, per cui “gli studi di

settore non sono uno strumento di accertamento automatico”3 - in concreto essi finiscono molto

spesso - negli Uffici Locali dell’Agenzia delle Entrate, per trasformarsi da strumento (ausiliario)

di accertamento in strumento (automatico) di “determinazione” dei ricavi, compensi (e,

indirettamente, del reddito imponibile ai fini Irpeg, IReS e Irap) nonchè dei corrispettivi (ai fini

dell’Iva). Soprattutto nei confronti, per un verso, degli operatori economici più deboli4 e, per altro

verso, di soggetti che, per essere strutturati e “non omogenei” con altre realtà cui vengono

(indebitamente) “assimilati”, non dovrebbero essere coinvolti in accertamenti di quel tipo.

b. A furia di modifiche, di distinzioni fra le varie tipologie di studio di settore (con sigle mutevoli), di

diverse modalità di applicazione a seconda della modalità di tenuta della contabilità ordinaria

1 All’inizio (siamo nel 1973-75) l’attenzione si era rivolta alle imprese del commercio all’ingrosso e al minuto, di bar, di

pubblici esercizi, in quanto nella elaborazione dei dati meccanografici che le riguardavano, erano emerse situazioni sostanzialmente omogenee in termini di struttura (familiare) e di risultati economici nei vari settori economici. 2 Considerate tali per gli standard italiani.

3 Anche gli Organismi Centrali dell’Agenzia delle Entrate si sono allineati, anche se non è mancata qualche

segnalazione sugli effetti del mancato adeguamento ai risultati degli studi: cfr. comunicati stampa e dei responsabili dell’Agenzia delle Entrate: cfr. “Il fisco” n. 27/2007, pag. 3843 e seguenti. 4 Che si trovano impreparati a fronteggiare richieste di maggiori imponibili e di maggiori imposte redatte sulla scorta di

modelli meccanografici di difficile comprensione anche per molti “addetti ai lavori”.

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(per obbligo o per opzione) o semplificata; e dopo aver dato il giusto rilievo alle “cause di

esclusione” e alle “cause di inapplicabilità”5, la “gestione” e l’utilizzo di tale “strumento” è

diventata così complicata che, nonostante le tante “istruzioni” fornite dall’Amministrazione

finanziaria, il contribuente (e chi lo assiste) si sta, a seconda dei casi, o ribellando, talora con

manifestazioni di piazza, o rassegnando per poi lamentarsi che gli studi di settore servono, di

fatto, alla determinazione dei ricavi o compensi e dei corrispettivi: con conseguenze sul piano

impositivo, inaccettabili e tali da indurre non pochi piccoli operatori economici a dover “chiudere

bottega”: effetto certamente non voluto, ma che in concreto si è realizzato.

Va, inoltre, rilevato che i contribuenti – soprattutto quelli di minore dimensione – si attendevano

una attenuazione (o addirittura una eliminazione) degli obblighi contabili, che, viceversa,

continuano a sussistere e, anzi, spesso costituiscono, per loro, ulteriore motivo di

preoccupazione6.

c. Eppure non si dovrebbe mai dimenticare:

∗ che gli studi di settore si fondano su metodi matematico-statistici di rilevamento ed

elaborazione di dati (non sempre rappresentativi e spesso obsoleti) che - nonostante una

elaborazione tecnica sugli studi7 - portano, nelle specifiche situazioni, a individuare valori

probabili8 o verosimili, ma mai “reali” e, soprattutto, mai “effettivi”;

∗ che l’articolo 53 della Costituzione impone che il “concorso alle spese pubbliche” (e quindi la

tassazione) deve avvenire “in ragione della propria capacità contributiva” e che lo Statuto dei

diritti del contribuente9 pretende (artt. 5 e 6) che il contribuente sia “informato” sulle leggi,

sulla prassi amministrativa e sul contenuto degli atti a lui destinati.

Resta il fatto che gli studi di settore esistono, e - seppure con qualche sperabile correttivo -

continueranno ad esistere nell’ordinamento tributario italiano, per cui è necessario che gli

operatori economici (e chi è chiamato ad assisterli)

• abbiano ben presenti le norme di riferimento, le loro variazioni nel tempo, la prassi

amministrativa, la giurisprudenza (di diritto e, soprattutto, di merito) che si è sviluppata in

materia;

5 Che si differenziano perché – si legge nella già citata Guida del luglio 2007 – “le cause di esclusione comportano la

non applicabilità sia degli studi di settore che dei parametri (mentre) le cause di inapplicabilità riguardano esclusivamente i contribuenti soggetti agli studi di settore” (la Guida non è mica ai parametri!). 6 Il non corretto adempimento dell’obbligo contabile legittima l’accertamento con il metodo induttivo “puro” (cioè

consentendo all’Ufficio di “prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalla scritture contabili”) di cui all’art. 39, comma 2°, del D.P.R. 600/1973, il quale si basa su presunzioni semplici non qualificate, che, dunque, prescindono dai requisiti di gravità, precisione e concordanza. E questo per quanto riguarda i ricavi, i compensi e i corrispettivi, si tenda sempre più spesso a superare le risultanze contabili, basandosi sui risultati degli studi di settore o su parametri o, comunque, su metodi presuntivi. 7 Che, però, non è alla portata dei contribuenti che, viceversa, vorrebbero “capire” le ragioni delle pretese erariali, in

termini “facili”. 8“In sostanza, tali strumenti statistici evoluti permettono di determinare i ricavi di gestione che, con maggiore

probabilità e grado di approssimazione al vero, possono essere attribuiti ai singoli contribuenti sulla base delle caratteristiche strutturali di ogni specifica attività economica, sia interne … che esterne …” Cfr. Circolare Comando generale Guardia di Finanza 29/11/1999, prot. 386000. 9 Definito più volte dalla Cassazione (Cfr. Sentenza 21513/2006) normativa “sovraordinata” (cioè di rango superiore)

rispetto alle leggi ordinarie.

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• conoscano le “regole” di formazione degli studi e le “modalità” utilizzate per selezionare e

poi procedere nei confronti dei soggetti che presentano “gravi scostamenti” fra dati

dichiarati e quelli “attesi”;

• si preparino ad un adeguato contraddittorio, predisponendo, per tempo, documenti e

argomenti utili a dimostrare che l’impresa (o lo Studio) non è stato in grado, in

quell’esercizio, di produrre i ricavi/compensi e corrispettivi “attesi”: per le più svariate

ragioni10.

II – IL CONTESTO economico

a. Secondo gli ultimi dati disponibili, a fronte dei 5,4 milioni di soggetti dotati, in Italia, di partita Iva

• il 15% è costituito da esercenti arti e professioni (ca. 760 mila);

• il 10% da imprese agricole (540 mila);

• l’1% da enti non commerciali (50 mila);

• il 74% (ca. 4,1 milioni) da imprese “commerciali” in senso ampio, cioè industriali, mercantili,

di trasporto, di servizi, ecc. Di questi 4,1 milioni di imprese pari (quasi) ai tre quarti dei soggetti

Iva operanti in Italia

∗ circa il 44% non raggiunge 25 mila euro di volume d’affari11;

∗ un ulteriore 14% si colloca tra i 25 e 50 mila euro;

∗ un ulteriore 32% fra i 50 e 500 mila euro;

∗ un 5% consegue ricavi compresi fra 500 mila euro e 1 milione di euro;

∗ un 4% da uno a cinque milioni di euro;

∗ solo meno dell’1% (lo 0,69% per l’esattezza: poco più di 36 mila) supera la soglia12 dei

cinque milioni di euro (i vecchi 10 miliardi).

La stragrande maggioranza delle imprese commerciali e dei professionisti (e artisti) continua,

dunque, ad essere obbligata alla tenuta delle scritture contabili (ed a sostenerne i relativi costi),

ancorchè il loro “ruolo” - ai fini dell’accertamento tributario - si sia, nel tempo, notevolmente

indebolito. E’ vero che in passato “il sistema” finiva per essere più attento alla forma (modalità di

tenuta della contabilità) che alla sostanza (contenuto della stessa), ma è anche vero che - per

quanto riguarda una posta “fondamentale” (i ricavi/compensi) - sono venute progressivamente

meno le “garanzie proprie” di una regolare contabilità, non solo “semplificata”, ma anche

“ordinaria”13.

10

Alcune delle quali, tra l’altro, riconosciute e recepite dalla stessa Agenzia delle Entrate: cfr. il Comunicato stampa del 28/06/2007, che riguardano le imprese definite “marginali” (non certo sotto il profilo “sociale” ma) economico, avendo riguardo alla loro dimensione, struttura e organizzazione. 11

I dati si riferiscono al “volume d’affari ai fini Iva”, che però non si discosta - nel complesso e nel lungo periodo - dall’entità dei ricavi e dei compensi di queste attività economiche “minori”. 12

Quanto, poi, alla forma nel 58% dei casi l’impresa (o lo Studio) è gestito in forma individuale, nel 20% attraverso una Società di persone (o uno Studio associato) nel 18% dei casi l’impresa assume la forma di Società di capitali (il residuo 4% opera utilizzando altre forme, come ad es. consorzi). 13

Come si è già ricordato, nel caso di mancato, incompleto o (comunque) non corretto adempimento dell’obbligo contabile è previsto l’accertamento (del reddito o dell’operazioni Iva) col metodo induttivo, per cui oggi le scritture contabili sono spesso considerate un “fattore di rischio” e non già - come dovrebbe essere - uno “strumento gestionale” (e, se del caso, di tutela nei confronti dei terzi, Fisco compreso).

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b. La predetta “frammentazione” delle imprese può giustificare (e, talora, suggerire) la adozione di

modalità forfetarie o “presuntive” in sede di accertamento tributario; ma non è accettabile che

solo meno dell’1% delle imprese italiane (non parliamo, poi, dei professionisti) abbia “diritto” ad

un accertamento “propriamente” analitico: l’unico che, basandosi sulle registrazioni contabili

cronologiche e sistematiche, assicuri (quanto meno in astratto) la “giusta tassazione”.

Ed è poco ragionevole che, con l’ultima Legge Finanziaria, si sia ulteriormente esteso il “campo

di applicazione” degli studi di settore, portando (dal 2007) il limite dei ricavi da 5,164 milioni a 7,5

milioni di euro; quando invece la soglia - tenendo conto delle esperienze fatte in questi dieci anni

- doveva essere posta come massimo a un milione di euro. E’, infatti, ormai chiaro che gli studi di

settore costituiscono uno strumento valido nei confronti delle piccole imprese, in particolare nel

settore del commercio ed eventualmente della produzione “standard” dei beni, ma inadatto sia

per (tutte) le imprese “che prestano servizi”, sia per (tutte) le imprese che non siano “minori”

(quale che sia la loro attività), sia - a maggior ragione - per i professionisti e gli artisti. In base ai

dati numerici a disposizione della Amministrazione finanziaria, potrebbe essere individuato un

limite eventualmente disaggregato (mai, in ogni caso, superiore al milione di euro) per una

tassazione basata (anche) sugli studi di settore procedendo, peraltro, ad una tassazione

forfettaria (senza oneri contabili) per quel 44% di imprese e quel 60% di professionisti e artisti

che conseguono meno di 25 mila euro di “ricavi” all’anno. Gli studi di settore, in altre parole,

potrebbero venire (efficacemente) utilizzati nei confronti di quella parte di soggetti (circa il 46%)

che consegue ricavi/compensi compresi fra i 25 mila e i 500 mila euro, con l’esclusione delle

imprese che prestano servizi o producono beni specifici: in definitiva, circa “un terzo” delle

imprese sarebbero suscettibili di accertamenti “fondati” su studi di settore “basati” su

aggregazioni statistiche e su valori medi significativi.

Le imprese di maggiori dimensioni (che presentano caratteristiche peculiari “loro proprie”) e gli

artisti e i professionisti (che sono “diversi” l’uno dall’altro: con una creatività - i primi - e una

competenza - i secondi - che non ammette un “modello” di riferimento)14, dovrebbero rimanere

estranei ad accertamenti di questo tipo per essere, tutt’al più “selezionati” con tale strumento: va,

viceversa, rivalutata, nei loro confronti, quella contabilità - non solo formalmente ma anche

sostanzialmente – regolare che era stata alla base della Legge sulla riforma tributaria n. 825 del

1971. Progetto, quest’ultimo che, in considerazione del “numero” dei soggetti operanti in Italia

con partita Iva è stato progressivamente abbandonato15, ma che andrebbe “rilanciato”, perché

14

Anche a prescindere dal fatto che la determinazione del reddito imponibile da lavoro autonomo è ispirata al “criterio di cassa”, l’esistenza di serie difficoltà di adattare un modello matematico statistico, originariamente “tarato” sulle attività commerciali “minori”, alla realtà economica (profondamente diversa) delle professioni liberali è stato riconosciuto in più occasioni anche dall’Amministrazione finanziaria, la quale ha riconosciuto che “la necessità di un’applicazione monitorata degli studi dei professionisti nasce dalla constatazione di alcuni elementi di criticità nella loro fase applicativa” considerato che “gli studi in evoluzione, nonostante gli apprezzabili miglioramenti, ancora non riescono a superare a pieno i problemi relativi all’applicazione del cosiddetto principio di cassa ed alla difficoltà di trovare elementi strutturali collegati con la capacità di produrre compensi. Inoltre negli studi proposti per l’evoluzione ancora non è possibile valutare con sufficiente affidabilità le situazioni di coloro che operano, in maniera significativa, con soggetti pubblici (…) ovvero che contestualmente alla attività professionale svolgono anche altre attività” (Cfr. Circolare 32/E/2005, ripresa dalla Circolare 26/E/2006). 15

I principi informatori di tale progetto si fondavano, per quanto riguarda l’accertamento, sulla centralità delle scritture contabili, per cui era previsto un obbligo generalizzato di tenuta della contabilità, cui si accompagnava il primato

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quello che si sta perseguendo oggi è un disegno che, attraverso medie e standard16 finisce, in

concreto, per far emergere corrispettivi diversi da quelli conseguiti dagli operatori economici e per

colpire non il reddito effettivo, ma quello “normale” o “probabile”17.

E questo soprattutto se, in concreto, negli Uffici locali dell’Agenzia delle Entrate, questi strumenti

vengono utilizzati in modo rigido e acritico, senza tenere in debito conto la situazione “reale” delle

varie e (variegate) realtà economiche: che presentano (ovviamente) “incongruità” o “incoerenze”,

rispetto al “modello di riferimento” che possono indurre ad un esame più approfondito, ma che

non significano necessariamente evasione. Il posizionamento del soggetto al di fuori dei canoni di

“normalità” previsti dallo studio può derivare dalle diverse ragioni: oggettive o soggettive, per

necessità o per scelta; e presenta anche una insidia: la “predeterminazione” potrebbe indurre

degli operatori economici che ottengono risultati più elevati a pianificarli in diminuzione: senza (o

quasi) rischi fiscali ...

c. Da ultimo, ai fini di una corretta valutazione di tale (per molti versi utile) strumento accertativo, va

richiamata l’attenzione su una osservazione che viene spesso (volutamente) trascurata: gli studi

di settore presentano un difetto inevitabile, dato che vengono utilizzati sempre in “ritardo”

rispetto al periodo temporale in cui i dati (contabili ed extracontabili) vengono costruiti. Si tende a

superare tale difficoltà sia con aggiornamenti più frequenti, sia con metodologie statistiche, ma

tutto i dati dichiarati dai contribuenti (all’Agenzia delle Entrate) nell’anno 0, vengono acquisiti ed

elaborati dalla So.Se. (Società per gli studi di settore) nell’anno 2 o 3; poi, nell’anno 3 o 4 sono

esaminati, talora revisionati e, infine, “convalidati” dalla apposita Commissione ministeriale degli

esperti nell’anno 4 o 5. Trascorre normalmente almeno un altro anno prima di applicarli in sede

di accertamento, per cui dati che 5 o 6 anni prima erano (in ipotesi) rappresentativi non lo sono

più al momento in cui si pretende di farli valere, perché la situazione (esterna ed interna) risulta

(spesso) completamente cambiata18, nel frattempo. Si tratta di un fattore ineliminabile, ma

distorsivo e di cui non si tiene adeguatamente conto quando si pretende di applicare - in via

“quasi automatica” - i risultati degli studi di settore.

d. Gli accertamenti basati sugli studi di settore sono di tipo analitico-presuntivo19. L’Ufficio

accertatore, pertanto, non prescinde dalla contabilità20; e non procede alla determinazione del

dell’accertamento analitico-contabile, con una serie di “garanzie” a favore di chi teneva regolarmente le scritture contabili, che sono andatevia via riducendosi. 16

La diffusione di metodi di accertamento che prescindono dalla contabilità rischia di far venir meno non tanto le garanzie connesse in sede di accertamento, quanto – e soprattutto – quelle relative alla imposizione in base alla reale capacità contributiva del singolo contribuente; così era per i coefficienti (di congruità o presuntivi) e i parametri (che ancora “resistono” in taluni comparti), così è per i 206 studi di settore (approvati) relativi a 583 attività d’impresa o professionali. 17

Fin tanto che tali metodi riguardano le strutture di minore dimensione, può essere giustificato: sia in considerazione della differenza - sempre modesta - in valore assoluto, sia del corrispondente esonero dall’obbligo di tenuta delle scritture contabili (e del relativo onere). 18

In un periodo di rapida evoluzione dei cicli economici e di andamento tutt’altro che regolare (e, viceversa, ondivago nel consumo dei beni e dei servizi) i parametri e i rapporti fra le “variabili” che determinano gli studi possono essere completamente diversi non già a distanza di cinque-sei anni, ma anche di un solo anno. 19

Ai sensi dell’art. 39, co. 1, lett. d), del D.P.R. 600/1973 e dell’art. 54 co. 2°, del D.P.R. 633/1972. 20

Mentre con l’accertamento analitico le singole poste che concorrono alla determinazione del reddito vengono individuate partendo dalle scritture contabili, con l’accertamento analitico-induttivo talune poste sono individuate sulla scorta di presunzioni semplici, che però devono essere “qualificate” (gravi, precise e concordanti). Nell’accertamento induttivo, invece è il reddito imponibile che viene (direttamente) determinato avendo riguardo ad una serie di (pochi) elementi contabili ed extracontabili.

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reddito (né di “categoria”, né tanto meno complessivo) del contribuente, ma rettifica solo i

ricavi/proventi (e, ai fini Iva, i corrispettivi) alla ricerca di “attività21 non dichiarate. In effetti - come

rileva giustamente la Corte di Cassazione22 - la maggior parte dei componenti positivi e negativi

di reddito vengono “conservati” nella misura in cui risultano dalla contabilità; vengono modificati,

se del caso, solo i ricavi (o i compensi) e i corrispettivi.

La (ipotizzata) infedeltà della dichiarazione non emerge da documenti, verbali, ecc., ma si basa

sulla presunzione che quelli “dichiarati” non siano “veri”, essendo più “affidabili” quelli che

risultano da un “modello di riferimento” individuato attraverso la elaborazione di dati matematico-

statistici che stabiliscono delle relazioni e inferenze tra variabili contabili ed extracontabili, siano

esse interne (come il processo produttivo, l’area di vendita, la struttura aziendale) o esterne

(come l’andamento della domanda, il livello dei prezzi, l’ambito territoriale, ecc.). Si perviene così,

a quella “normalità statistica”, per cui

• se i “ricavi/compensi e i corrispettivi dichiarati” non sono “congrui” (in termini quantitativi)

rispetto a quelli “statistici”, si ritiene che la differenza sia stata “non dichiarata” dal

contribuente (che avrebbe, pertanto, conseguito ricavi/ compensi e corrispettivi maggiori di

quelli dichiarati);

• se i principali “indicatori economici” caratterizzanti l’attività non sono “coerenti” (aspetto

qualitativo), si ritiene che l’eventuale scostamento sia indice di “inattendibilità” delle scritture

contabili, per cui il contribuente (anche in presenza di ricavi o compensi e corrispettivi

congrui), sarà inserito nelle liste delle posizioni da sottoporre a controllo con le tradizionali

metodologie accertative23.

e. Sulla “valenza giuridica” dei risultati degli studi di settore - e, quindi, sulle conseguenze

“pratiche” del loro utilizzo ai fini dell’accertamento - le opinioni non sono (ancora) concordi.

La dottrina prevalente, la giurisprudenza maggioritaria e, soprattutto, la legge inducono ad

affermare che si tratta di presunzioni semplici che l’Amministrazione può far diventare

“qualificate” assolvendo l’onere di dimostrare le “gravi incongruenze” dei dati contabili del

contribuente e la fondatezza, nel caso specifico, dello studio di settore adottato, mentre

l’Agenzia delle Entrate, da “sempre”24 ritiene che, per poter procedere ad un accertamento

fondato sugli studi di settore “non vanno fornite altre dimostrazioni”25 diverse dal risultato dello

studio utilizzato dall’Ufficio, rimanendo a carico del contribuente “l’onere di attivarsi per

dimostrare o l’impossibilità di utilizzare, nella fattispecie, le presunzioni o la inaffidabilità del

risultato ottenuto attraverso le presunzioni” 26.

21

Come vengono impropriamente definiti dal legislatore i componenti positivi di reddito. 22

Nella Sentenza del 27 febbraio 2002, n. 2891, che si riferiva ai parametri, ma lo stesso vale per gli studi di settore, si legge “buona parte dei valori esposti dal contribuente rimangono inalterati: quello che viene modificato radicalmente è il valore relativo ai ricavi”. 23

Accertamento analitico, sulla base di fatti o documenti specifici; analitico-induttivo, in base a criteri diversi da quelli utilizzati per gli studi di settore e “propriamente” induttivo, ex artt. 39, co. 2°, del D.P.R. 600/1973 e 55, del D.P.R. 633/1972. 24

cfr. Circ. 58/E/2002 e, di recente, cfr. “Guida agli studi di settore” del 23 luglio 2007.

25 Dato che la motivazione va ricercata, secondo l’Amministrazione finanziaria, “nell’intero procedimento di

approvazione dei singoli studi”. 26

Cfr., in proposito, la proposta (avanzata dal Sen. Thaler Ausserhofer) e altri con la quale è stato richiesto al Governo di impegnarsi o confermare, senza alcun dubbio interpretativo, che gli studi di settore, in base a quanto previsto dalla

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III – LA NORMATIVA di RIFERIMENTO

1. Art. 39, 1° co., lett. d), del D.P.R. 600/1973 e art. 54, del D.P.R. 633/1972. L’accertamento

analitico-presuntivo (o con poste determinate induttivamente)

a. In base all’art. 39, 1° co., lett. d) del D.P.R. 600/1973 l’Ufficio procede alla rettifica dei redditi

determinati in base alle scritture contabili (e, quindi, di impresa o di lavoro autonomo da arti o

professioni) “se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella

dichiarazione e nei relativi allegati risulta dalla ispezione delle scritture contabili, dalle altre

verifiche (…) ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni

contabili sulla scorta delle fatture, degli atti e dei documenti relativi all’impresa, nonché dei dati e

delle notizie raccolte dall’Ufficio”, precisando che

• “l’esistenza di attività non dichiarate (rectius, di componenti positivi di reddito) o la

inesistenza di passività dichiarate (rectius, di componenti negativi di reddito) è desumibile

anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti”

(per cui diventano “presunzioni qualificate”).

b. In base all’art. 54, 2° co., del D.P.R. 633/1972, “l’infedeltà della dichiarazione, qualora non

emerga o direttamente dal contenuto di essa o dal confronto con gli elementi di calcolo delle

liquidazioni (…) (periodiche) e con le precedenti dichiarazioni annuali, deve essere accertata

mediante il confronto tra gli elementi indicati nella dichiarazione e quelli annotati nei registri (…)

(Iva, ovviamente) e mediante il controllo della completezza, esattezza e veridicità delle

registrazioni sulla scorta delle fatture ed altri documenti, delle risultanze di altre scritture contabili

e degli altri dati e notizie raccolti nei modi previsti negli artt. 51” e segg. del D.P.R. 633/1972,

precisando che

• “le omissioni e le false o inesatte indicazioni possono essere indirettamente desunte da tali

risultanze, dati e notizie a norma dell’art. 53 (ora, D.P.R. 10 novembre 1997, n. 441) o anche

sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti”.

2. Art. 62-bis e 62-sexies del D.L. 331/1993, conv. dalla L. 427/1993. Gli studi di settore: le due

disposizioni (tuttora) basilari.

a. L’art. 62-bis del D.L. 331/1993, conv. dalla L. 427/1993, “al fine di rendere più efficace l’azione

accertatrice”, aveva previsto la elaborazione27, da parte del Ministero delle Finanze “sentite le

associazioni professionali e di categoria”, di appositi “studi di settore”, attraverso i quali

“individuare le condizioni effettive di operatività delle imprese e determinare i ricavi e i compensi

che, con ragionevole probabilità, possono essere attribuiti ai contribuenti”28 esercenti una attività

economica con modalità e strutture similari.

disciplina vigente, costituiscono elementi indicativi dei ricavi e che gli scostamenti delle stime indicate costituiscono una presunzione semplice per cui continua a gravare sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare le circostanze, i fatti e le risultanze contabili in base alle quali viene proposta la rettifica dei ricavi dichiarati dal singolo contribuente. In altre parole, viene impegnato il Governo a chiarire che la disposizione approvata dalla Camera dei deputati apporta una specificazione e una conferma che il carattere di presunzione semplice, attribuito – esplicitamente - agli indicatori di normalità economica vale anche per gli studi di settore. 27

I primi studi di settore sono stati approvati nel 1999 (DD.MM. 30/03/1999), con decorrenza dal periodo di imposta 1998. 28

Cfr. C.M. 110/E/1999.

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b. L’art. 62-sexies del predetto decreto stabiliva (e stabilisce) che l’Amministrazione finanziaria può

procedere ad accertamento analitico-induttivo [di cui agli artt. 39, 1° co., lett. d), del D.P.R.

600/1973 e all’art. 54, 2° co. del D.P.R. 633/1972], basandosi “anche sull’esistenza di gravi

incongruenze tra

• i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati, e

• quelli fondatamente desumibili (o dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della

specifica attività svolta, ovvero) dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62-bis del

presente decreto”.

Questa norma non ha subìto modifiche per cui è tuttora vigente nel suo contenuto originario;

pertanto, l’applicazione di tale disposizione è subordinata

• alla esistenza di gravi incongruenze (cioè incongruità, incoerenze, illogicità), fra ricavi o

compensi e corrispettivi dichiarati dal contribuente (sulla base di scritture contabili

regolarmente tenute) e quelli che derivano dagli studi di settore;

e, per di più

• alla fondatezza (intesa come verosimiglianza, credibilità, attendibilità) del risultato che

emerge dallo studio di settore applicato dall’Amministrazione finanziaria.

In sostanza, una volta accertate le gravi incongruenze tra

- i dati risultanti dalla contabilità (in ipotesi, formalmente e sostanzialmente) regolare; e

- i dati che emergono dai calcoli matematico-statistici che si ritiene essere fondati

vanno individuate le ragioni di tale difformità, che devono essere segnalate in modo chiaro

nell’avviso di accertamento; in mancanza di incongruenze gravi e di provata fondatezza del

risultato dello studio che l’Amministrazione finanziaria intende applicare mancano le

“condizioni di accesso” a questo strumento accertativo.

3. Art. 10 della L. 146/1998. Modalità di utilizzo degli studi di settore.

All’art. 62-sexies del D.L. 331/1993 - che è e resta, insieme con l’art. 62-bis del medesimo

decreto, la “norma di riferimento” in materia di studi di settore - si è data attuazione con l’art. 10

della L. 146/1998, rubricato “Modalità di utilizzazione degli studi di settore in sede di

accertamento”. Tale articolo ha subìto, anche di recente29, numerose modifiche: alcuni commi

sono stati abrogati (i commi 2 e 3), altri sono stati sostituiti (i commi 1 e 4); altri ancora sono stati

inseriti nel testo (il comma 4-bis). La conseguenza è stata che le modalità applicative degli studi

di settore sono cambiate. In particolare:

a. gli accertamenti basati sugli studi di settore di cui all’art. 62-sexies D.L. 331/1993, “sono

effettuati nei confronti dei contribuenti con le modalità di cui al presente articolo, qualora

l’ammontare dei ricavi o compensi dichiarati risulta inferiore all’ammontare dei ricavi o

compensi determinabili sulla base degli studi stessi” (co. 1); ma a condizione che sussistano i

(confermati) presupposti delle “gravi incongruenze” e della “fondatezza dello studio adottato”;

29

Dapprima con la Finanziaria 2005 (L. 311/2004), poi con la “manovra estiva” (D.L. 223/2006) e, infine, con la Finanziaria 2007 (L. 296/2006): di queste modifiche si darà conto analitico nel successivo paragrafo IV - Evoluzione alla normativa nel tempo.

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per cui va espletato un serio e aperto contraddittorio preventivo (co. 3-bis) divenuto

obbligatorio in via generalizzata;

b. la platea dei contribuenti soggetti all’applicazione degli studi di settore è stata ampliata (co.

4), con la riduzione delle cause di esclusione e l’innalzamento del limite dei ricavi/compensi e

corrispettivi; al tempo stesso, però, è stata prevista una limitazione del potere di

accertamento da parte dell’Amministrazione (co. 4-bis) nei confronti di contribuenti “virtuosi”;

c. sono stati introdotti: a regime, “valori di coerenza, risultanti da specifici indicatori definiti da

ciascuno studio, rispetto a comportamenti considerati normali per il relativo settore

economico” (art. 10-bis) e, in via transitoria (a partire dal periodo di imposta 2006), indicatori

di normalità economica (i cd. INE) “idonei all’individuazione di ricavi, compensi e

corrispettivi fondatamente attribuibili al contribuente in relazione alle caratteristiche e alle

condizioni di esercizio della specifica attività svolta”.

⇒ Nonostante tali modifiche, non è cambiata la finalità (accertativa, ma subordinata a certe

condizioni) e la natura (presuntiva) dei risultati degli studi di settore: come dire che il metodo

continua a fondarsi sull’(immutato) art. 62-sexies del D.L. 331/1993, per cui si può - e si deve

- affermare che gli studi di settore costituiscono (tuttora) uno strumento ausiliario di

accertamento, di cui l’Amministrazione Finanziaria può valersi per determinare i

ricavi/compensi (e dunque il reddito imponibile) nonché i corrispettivi (ai fini Iva) del

contribuente, quando i risultati fondatamente emergenti dallo studio di pertinenza del

contribuente presentano gravi incongruenze rispetto a quelli dichiarati dallo stesso.

Ancorchè il Legislatore sia stato piuttosto criptico, non ci dovrebbero essere dubbi sulla

qualificazione di presunzioni “semplici” (che per diventare “qualificate” devono superare le

condizioni appena considerate) o non di presunzioni legali (relative) dei risultati degli studi di

settore.

IV – La EVOLUZIONE della NORMATIVA nel TEMPO

L’evoluzione normativa degli ultimi anni ha visto un progressivo ampliamento della sfera

soggettiva di applicazione degli studi di settore: dalla (originaria) applicazione di tale modalità di

accertamento nei confronti solo delle piccole imprese mercantili in contabilità semplificata, si è

passati ad una progressiva estensione di questo strumento accertativo (a partire dal periodo di

imposta 2005) nei confronti di tutti i contribuenti soggetti a tassazione “in base alle scritture

contabili”; a nulla rilevando la (prima esistente) differenziazione fra soggetti obbligati alla tenuta

della contabilità ordinaria (o che la tenevano per opzione) e quelli ammessi alla tenuta della

contabilità semplificata.

1. La Legge Finanziaria 2005 (L. 311/2004)

Ha “rafforzato” la disciplina degli studi di settore attraverso una serie di modifiche legislative, le

più significative delle quali sono le seguenti:

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a. l’accertamento basato sugli studi di settore da “generale” diventa parziale.

Fino al 2003, gli accertamenti da studi di settore erano “effettuati, senza pregiudizio della

ulteriore azione accertatrice, (solo) con riferimento alle categorie reddituali diverse da quelle

che hanno formato oggetto degli accertamenti stessi”30; a partire dal periodo di imposta 2004 –

l’Amministrazione può procedere ad un nuovo accertamento anche in relazione alle

“medesime” categorie di reddito già assoggettate ad accertamento da studi di settore, per cui

quest’ultimo può essere modificato – ovviamente entro il termine di cui all’art. 43 del D.P.R.

600/1973 - mediante un secondo (o un terzo) avviso di accertamento, a valere sia per l’IVA

che per il reddito di impresa o di lavoro autonomo31;

b. anche i soggetti obbligati alla tenuta della contabilità ordinaria sono “accertabili” in base a

studi di settore: non più - come accadeva fino al 2003 - solo se ed in quanto la loro contabilità

fosse stata dichiarata inattendibile ai sensi del D.P.R. 570/1996; dal 2004, l’applicazione della

regola del “2 su 3” (vigente per le imprese in contabilità ordinaria per opzione) viene estesa

anche ai soggetti obbligati alla tenuta della contabilità ordinaria. Ferme restando le condizioni

delle gravi incongruenze e della “fondatezza” dello studio di riferimento, anche gli “ordinari per

obbligo” diventano accertabili in caso di scostamento (rispetto ai risultati di Gerico) per due

periodi su tre consecutivi considerati;

c. vengono introdotti indici di natura economica, finanziaria e patrimoniale.32

Quando, accanto alla non congruità del risultato, emergano “significative situazioni di

incoerenza33 rispetto ad indici di natura economica, finanziaria o patrimoniale”, viene prevista

la possibilità di procedere ad accertamento neanche in base alla regola del “2 su 3”, ma su

base annua, anche nei confronti delle imprese in contabilità ordinaria (per obbligo o per

opzione);

d. il contraddittorio preventivo diventa obbligatorio.

L’Agenzia delle Entrate ha - da sempre - invitato gli Uffici periferici a procedere, prima di

emettere l’avviso di accertamento, ad un contraddittorio con il contribuente; ma in termini

legislativi l’obbligo vale solo per i soggetti in contabilità ordinaria (per “obbligo” o per opzione)

e degli esercenti arti e professioni (indipendentemente dal tipo di contabilità); e non anche per

le imprese in contabilità semplificata; esso è diventato - anche legislativamente - obbligatorio

(anche per queste ultime) solo con il D.L. 223/2006 (di cui si dirà al numero successivo).

2. La “manovra estiva” del 2006 (D.L. 223/2006, convertito dalla L. 248/2006)

a. L’ampliamento dell’ ambito di operatività degli studi di settore.

Anche con tale provvedimento, il Legislatore è intervenuto sugli studi di settore per stabilire un

(ulteriore) ampliamento dell’ambito di loro operatività.

30

Cfr. art. 70, 1° co. della L. 342/2000, nella versione precedente alla Finanziaria 2005. 31

Sotto questo profilo, il contribuente ha minor interesse a definire (con adesione) un accertamento in base agli studi di settore, perché esso non “chiude” definitivamente la sua posizione. 32

Tali indici sono stati emanati, con provvedimento dell’Agenzia delle Entrate, in data 18 gennaio 2006. 33

Detti indici richiamano situazioni analoghe a quelle previste dal D.P.R. 570/1996 sulla inattendibilità delle scritture contabili e riguardano situazioni “estreme”, come un saldo di “cassa negativo”, la discordanza tra le rimanenze finali di un periodo e quelle iniziali del successivo, la presenza di ammortamenti superiori al valore dei beni ammortizzabili.

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L’art. 37 del D.L. 223/2006 ha abrogato i commi 2 e 3 dell’art. 10 della L 146/1998 (che

sancivano la regola c.d. del “2 su 3”), per cui le imprese in contabilità ordinaria sono state

equiparate, ai fini dell’applicabilità degli studi di settore, a quelle in contabilità semplificata34, con

effetto (retroattivo) dal periodo di imposta 2005, ma ferme restando, per le annualità precedenti,

le regole vigenti in precedenza.

La circolare dell’Agenzia delle Entrate 28/E/2006 commenta: con tali novità “il legislatore

dispone l’applicazione generalizzata dell’accertamento sulla base degli studi di settore nei

confronti dei contribuenti titolari di reddito di impresa e di lavoro autonomo, prescindendo dal

regime di contabilità adottato”, con effetto “a partire dal periodo di imposta per il quale il termine

di presentazione della dichiarazione scade successivamente alla data di entrata in vigore del

decreto; quindi, per i contribuenti con periodo di imposta coincidente con l’anno solare, anche

con riferimento al periodo di imposta 2005”;

b. l’obbligo generalizzato del contraddittorio preventivo.

Viene affermato in via legislativa (e non più soltanto amministrativa), l’obbligo generalizzato a

carico degli Uffici finanziari, di attivare il contraddittorio nei confronti di tutti i contribuenti nei

confronti dei quali si proceda ad un accertamento da studi di settore. Si è già detto che la prassi

amministrativa aveva, da tempo, invitato gli Uffici locali ad instaurare il contraddittorio per dare

al contribuente “la possibilità di fornire, in tale sede, le eventuali giustificazioni in merito al

mancato adeguamento alle risultanze di Gerico”: al fine “di adeguare le risultanze dello studio

alla situazione effettiva del contribuente”35, ma tale obbligo era stato formalizzato (dalla

Finanziaria 2005) solo per le imprese in contabilità ordinaria e per i professionisti, non anche

per le imprese in contabilità semplificata.

3. La Legge Finanziaria 2007 (L. 296/2006)

Con la “Finanziaria 2007”, il Legislatore ha introdotto ulteriori modifiche alla disciplina degli studi

di settore: con una serie di interventi che, oltre a dimostrarsi poco ponderati - tant’è che nel giro

di pochi mesi ha “dovuto” ricorre ad una loro “rivisitazione” – hanno spesso trascurato le “regole”

contenute nello Statuto dei diritti del contribuente. Con esse viene modificata (un’altra volta) la

Legge 146/1998 e in particolare l’art. 10 e viene introdotto l’art. 10-bis (mentre la norma istitutiva

degli studi di settore - cioè gli artt. 62-bis e sexies del D.L. 331/1993 - non viene modificata).

Le novità di maggior rilievo riguardano

� il tentativo - forse neanche non voluto, e comunque non riuscito - di far considerare come

“legali” anziché “semplici” le presunzioni da studi di settore (oltre sub a);

� l’annuncio della introduzione di nuovi indicatori di congruità e l’introduzione, in via provvisoria,

degli indicatori di normalità economica (oltre, sub b);

� la limitazione, a determinate condizioni, degli accertamenti per i contribuenti “virtuosi” (sub c);

� una serie di ulteriori modifiche di minore impatto per i contribuenti (sub d).

34

Le imprese in contabilità semplificata sono da sempre accertabili in base agli studi di settore per ciascun periodo in cui si verifichi un grave scostamento fra dato dichiarato e dato presunto. 35

Circolare A.E. 32/E/2005.

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a. Resta il presupposte delle “gravi incongruenze”

L’intervento più discusso è contenuto nell’art. 1, co. 23 (della L 296/2006) ed integra il disposto

(fino ad allora vigente)36 dell’art. 10, co. 1, della L 146/1998: al precedente testo “gli accertamenti

basati sugli studi di settore, di cui all’art.62-sexies del D.L. 331/1993 (…) sono effettuati nei

confronti dei contribuenti con le modalità di cui al presente articolo” viene aggiunta la frase

“qualora l’ammontare dei ricavi o compensi dichiarati risulti inferiore all’ammontare dei ricavi o

compensi determinabili sulla base degli studi stessi”.

Secondo una prima interpretazione, con tale innovazione si sarebbe voluto abrogare

implicitamente la condizione (prevista nel citato art. 62-sexies) della esistenza di “gravi

incongruenze” (tra dato dichiarato e dato presunto), per recepire legislativamente l’orientamento

della Amministrazione finanziaria che, fin dal 2002, aveva ritenuto che un qualsiasi scostamento

(anche minimo) tra ricavo/compenso dichiarato e ricavo/compenso da studi di settore “costituiva

una grave incongruenza”: “i gravi scostamenti non si possono considerare esistenti solo in

presenza di elevate differenze tra i ricavi dichiarati e quelli determinati in base agli studi di

settore, tenuto anche conto delle finalità degli studi stessi volti ad incentivare l’adeguamento

spontaneo da parte dei contribuenti e delle modifiche utilizzate nella fase di elaborazione”37.

Secondo l’Amministrazione finanziaria - dato che le disposizioni degli artt. 62-bis e 62-sexies

“furono emanate prima che fosse definita la metodologia usata per la elaborazione degli studi di

settore e la normativa di dettaglio per l’applicazione degli studi in sede di accertamento”, il quadro

di riferimento doveva essere aggiornato con l’art. 10 della L. 146/1998, con il quale “il legislatore

è nuovamente intervenuto al fine di disciplinare in modo dettagliato modalità e regole per

l’effettuazione degli accertamenti basati sugli studi di settore”, introducendo “una disciplina volta

a fornire garanzie in presenza delle quali si può ritenere che sussistano le “gravi” incongruenze

tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili

dall’applicazione degli studi di settore, genericamente previsti dall’art. 62-sexies” .

Sennonchè la giurisprudenza di merito si era mostrata molto più prudente, affermando che per

poter procedere ad accertamento da studi di settore38 dovevano sussistere “gravi incongruenze”.

Si era ritenuto che la (nuova) integrazione intendesse “legittimare” l’opinione, a suo tempo

espressa dall’Amministrazione finanziaria, per cui l’accertamento fondato sugli studi di settore

36

Sulla efficacia temporale della norma va segnalato che una recente giurisprudenza di merito (CTP Bari, 26/01/2007, n.228) ha affermato che la “nuova” disposizione “non può essere considerata retroattiva, perché non è qualificata tale dal Legislatore e, comunque, perché tale configurazione contrasterebbe col fondamentale principio dell’affidamento del contribuente. Come tale la norma in parola può essere applicata solo per il futuro” (cioè a partire dal 1° gennaio 2007). 37

Secondo l’Agenzia delle Entrate (Circ. 58/E/2002), la metodologia per la elaborazione degli studi di settore e la normativa di dettaglio per la loro applicazione garantirebbero (al contribuente) la attendibilità del metodo (anche in considerazione della sofisticata fase di analisi per la costruzione dello studio, della codifica dei criteri di quantificazione, dell’approvazione da parte della Commissione degli esperti e via dicendo), per cui anche un modesto scostamento integrerebbe le gravi incongruenze. 38

Cfr. Comm. Trib. Prov. di Milano, 18 aprile 2005, n. 60, conforme C.T.P. Macerata 17/05/2005, n.36; per cui l’art. 62-sexies, co. 3 “impone che nell’avviso di accertamento … venga affermata e motivata l’esistenza di «gravi [letteralmente, rilevanti] incongruenze» tra i ricavi dichiarati e quelli determinabili con gli studi di settore … non soltanto facendo riferimento all’importo dei ricavi «non dichiarati», perché l’anzidetto importo, isolatamente considerato, avrebbe scarsissima rilevanza”; e affermando che in mancanza di tali “gravi incongruenze” l’avviso di accertamento “è illegittimo [per difetto di motivazione] e va annullato”. Sotto il profilo quantitativo, si è ritenuto, ad esempio, che “Uno scostamento pari a circa il 10% di quanto accertato meccanicamente in forza dello studio di settore non integra il requisito delle gravi incongruenze che legittimano l’accertamento induttivo” (C.T.P. Macerata 08/02/06, n. 9).

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non sarebbe subordinato al “presupposto” delle “gravi incongruenze”… ma se così fosse, l’Ufficio

accertatore avrebbe potuto applicare i risultati di “Ge.Ri.Co.” “in via automatica”, ferma restando -

si intende - la “prova contraria” da parte del contribuente (trattandosi di presunzione “relativa”).

Va detto che l’Amministrazione finanziaria ha confermato questa interpretazione anche di

recente, quando, con Circ. 22/05/2007, n. 31 ha rilevato che “la (…) modifica non ha altra finalità

che quella di ribadire, esplicitandola più chiaramente rispetto al testo previgente, la valenza

probatoria dei ricavi e compensi stimati sulla base dello studio di settore, quale presunzione

relativa, dotata dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (quindi “qualificata”). In altri

termini, il nuovo disposto normativo intende semplicemente riaffermare che gli accertamenti

basati sugli studi di settore possono essere effettuati ogni qual volta il contribuente dichiari ricavi

o compensi “non congrui”, rispetto alla stima, senza che l’Amministrazione finanziaria debba

fornire ulteriori dimostrazioni a sostegno della pretesa tributaria”; pur riconoscendo che

“trattandosi di presunzione relativa, gli accertamenti in parola devono essere sempre calibrati

tenendo in debito conto tutti gli elementi offerti dal contribuente per dimostrare che i ricavi o

compensi presunti non sono stati effettivamente conseguiti”.

Si tratta di una presa di posizione che si pone in contrasto con le disposizioni relative alla

interpretazione della legge, perché: o è venuta meno la esigenza delle “gravi incongruenze” e

della “necessaria fondatezza” dello studio adottato dall’Amministrazione finanziaria per poter

applicare gli studi di settore, dato che il “nuovo” testo dell’art. 10 della L. 146/1998 avrebbe

abrogato la disposizione (precedente) dell’art. 62-sexies (per incompatibilità tra le due norme); o,

viceversa, le due norme coesistono ed hanno funzioni diverse, dato che l’una ha per oggetto le

modalità di effettuazione dell’accertamento e l’altra i suoi presupposti; ipotesi quest’ultima

confermata dall’attuale testo dell’art. 10, che richiama esplicitamente l’art. 62 sexies.

In effetti - come è stato riconosciuto successivamente - con una interpretazione più meditata, è

quest’ultima la soluzione corretta. Con la C.A.E. 11/E/2007, l’Amministrazione finanziaria ha

precisato che “con l’intervento in esame non è stata alterata la ratio“ posta a base dell’art. 10,

della L. 146/1998 (pur confermando che - a suo parere - gli studi di settore costituiscono delle

presunzioni “relative”, ma “gravi precise e concordanti”) e la dottrina (unanime) ha convenuto sul

fatto che la novella (sull’art. 10, della L. 146/1998) non ha comportato alcuna modifica

sostanziale al precedente assetto legislativo; e ha richiamato la necessità di riportarsi alla “norma

base” degli studi di settore: che resta l’art. 62-sexies del D.L. 331/199339. Avuto riguardo,

dunque, al testo (immutato e ancora valido) di quest’ultimo articolo, tale accertamento può essere

esperito solo nei confronti di soggetti che presentino - non una mera discordanza ma - “gravi

incongruenze” tra ricavi/compensi e corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dallo

studio di settore di sua “pertinenza”. La “mera discordanza” tra dato dichiarato e dato presunto

non legittima l’accertamento da parte dell’Ufficio: perché, se così fosse, gli studi di settore non

39

Rispetto al quale, l’art. 10, della L. 146/1998, si pone come “norma di attuazione”: come tale, non può modificare il presupposto dell’accertamento da studi di settore.

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costituirebbero più uno strumento di accertamento del reddito (attraverso una sua componente, i

ricavi o i proventi), ma uno strumento per la sua “determinazione” (sia pure in via mediata).

Non va dimenticato che gli studi di settore sono stati introdotti dall’art. 62-bis del D.L. 331/1993,

con il dichiarato scopo “di rendere più efficace l’azione accertatrice”; e che i relativi presupposti

sono stati individuati nel successivo art. 62-sexies. Anche dopo la modifica introdotta con la

“Finanziaria 2007”, l’art. 10 della L. 146/1998 fa riferimento agli “accertamenti basati sugli studi di

settore di cui all’art. 62-sexies”, per cui non si può pensare ad una sua “abrogazione” tacita per

incompatibilità fra il “vecchio” art. 62-sexies e la nuova versione dell’art. 10 della L. 14640.

Del resto, nella Circolare n. 31/2007 (e nella Guida agli studi di settore del 23/07/2007) - dopo

aver ribadito il proprio convincimento per cui il semplice scostamento dai risultati di Ge.Ri.Co.

legittima l’accertamento41 - ha precisato che “gli studi di settore non sono uno strumento di

accertamento automatico”42; e ha affermato (per la prima volta) che le “gravi incongruenze

(…) non possono (…) ritenersi sussistenti in presenza di qualsiasi scostamento,

indipendentemente dalla relativa rilevanza in termini assoluti o percentuali”. Aggiungendo

che “scostamenti di scarsa rilevanza in termini assoluti o in termini percentuali (in rapporto

all’ammontare dei ricavi o compensi dichiarati) potrebbero rivelarsi inidonei ad integrare le

sopra menzionate “gravi incongruenze”, oltre a determinare l’oggettiva difficoltà per il

contribuente, di contraddire le risultanze dello studio di settore”. La Circolare prosegue

affermando che “in sede di selezione delle posizioni da sottoporre a controllo sulla base degli

studi di settore, gli Uffici dovranno considerare prioritariamente gli scostamenti maggiormente

significativi, onde assicurare la massima proficuità dell’azione accertatrice, sia in termini di

effettivo recupero di base imponibile che di deterrenza verso le situazioni di maggior rischio di

evasione”. Per concludere “Gli scostamenti di più modesta entità potranno comunque essere

considerati come elementi da utilizzare unitamente ad altri elementi disponibili o acquisibili con

gli ordinari poteri istruttori”.

Analogo concetto è ripreso anche nella successiva circolare 38/E/2007, in cui l’Amministrazione

valorizza il “criterio di ragionevolezza” nell’applicazione degli studi, in modo “da evitare la

penalizzazione di contribuenti per i quali il meccanismo presuntivo potrebbe risultare non idoneo

a cogliere le effettive condizioni di esercizio dell’attività, soprattutto nel caso evidenzi scostamenti

rilevanti rispetto al dichiarato”; riconoscendo in tal modo, che il risultato calcolato dallo strumento

statistico potrebbe dimostrarsi inattendibile e, dunque, inidoneo a fondare il presupposto richiesto

dall’art. 62-sexies.

In definitiva, la natura della presunzione fondata sugli studi di settore non è cambiata e rimane

una presunzione semplice, come risulta - da ultimo - confermato anche dalla lettera del co. 4-

bis inserito nello stesso art. 10, quando richiama (e non potrebbe essere altrimenti) “le rettifiche

40

Del resto, se il Legislatore avesse voluto eliminare il previsto requisito delle “gravi incongruenze” (tra ricavi/compensi e corrispettivi “dichiarati” e ricavi/compensi e corrispettivi “presunti”) sarebbe intervenuto non sulla norma che regola le modalità di attuazione dello strumento (art. 10 della L. 146/1998), ma su quella che ne stabilisce i presupposti (art. 62-sexies del D.L. 331/1993) che – viceversa – non è stata modificata (ed è stata, anzi, richiamata). 41

Cfr. C.A.E. 11/E/2007. 42

Comunicato stampa del 07/06/2007.

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sulla base di presunzioni semplici di cui all’art. 39, primo comma, lett. d), secondo periodo“ (…);

e aggiunge - coerentemente - che l’Ufficio può “disattendere le risultanze degli studi di settore in

quanto inadeguate a stimare correttamente il volume di ricavi o compensi potenzialmente

ascrivibili al contribuente”.

Il Legislatore è, dunque, consapevole che gli studi possono dare risultati inadeguati43 e che, in

questo caso, possono essere disattesi dagli Uffici locali che procedono all’accertamento.

Del resto, che sia così è confermato anche da una considerazione fondamentale, che – a parere

dello scrivente – è dirimente. Posto che - tra le varie interpretazioni in astratto possibili - va

privilegiata quella che non si pone in contrasto con la Costituzione44, non può essere che

l’accertamento possa avvenire “in automatico” perché, in questo caso, gli studi di settore

assumerebbero una “nuova natura”45, trasformandosi da strumento di accertamento (come,

certamente, erano in origine) in strumento di determinazione dei ricavi/compensi (e corrispettivi)

e, di conseguenza, del reddito, per la quasi totalità delle imprese commerciali e dei professionisti.

Ma questo si porrebbe in palese contrasto con il principio costituzionale di capacità contributiva

che impone a ciascun contribuente di concorrere alla spesa pubblica in ragione della “propria”

capacità contributiva46 e non sulla base di “medie di settore”, seppure “personalizzate” attraverso

i cluster e gli altri accorgimenti propri degli studi di settore…

Conclusione: “qualora l’ammontare dei ricavi o compensi dichiarati risulti inferiore all’ammontare

dei ricavi o compensi determinabili sulla base degli studi di settore” può essere esperito

l’accertamento basato sugli studi di settore solo se sussistono le gravi incongruenze tra i ricavi

dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi stessi (condizioni-presupposto). Si tratta,

pertanto, di presunzioni “semplici” (e non certo “legali”) e, per diventare “qualificate”, devono

integrare quelle condizioni (da considerare “di accesso” allo strumento).

b. I nuovi indicatori (transitori) di normalità economica

La Legge Finanziaria 2007 (art. 1, co. 14) ha introdotto, con effetto dal periodo di imposta in

corso al 31.12.2006 e “fino alla elaborazione e revisione degli studi di settore”, gli indicatori

“transitori”, cioè “specifici indicatori di normalità economica, di significativa rilevanza, idonei

all’individuazione di ricavi, compensi e corrispettivi fondatamente attribuibili al contribuente in

relazione alle caratteristiche e alle condizioni di esercizio della specifica attività svolta”.

43

Lo si deduce anche dal riconoscimento di uno scostamento “ragionevole”, individuato nel limite del 40% dei ricavi, con un massimo di euro 50.000. 44

Cfr. Cass. Civ., Sez. III, 22/10/2002, n. 14900. 45

Prima, che non fosse necessaria una “elevata differenza” (fra ricavi dichiarati e ricavi presunti da studi di settore), lo affermava (solo) l’Agenzia delle Entrate; ora sarebbe stato sancito da una disposizione legislativa, da doversi applicare anche dai giudici (che possono trascurare le circolari dell’Amministrazione finanziaria, ma non certo i precetti legislativi). 46

La contribuzione alla spesa pubblica va effettuata in ragione della “capacità contributiva” del singolo e non sulla base della capacità contributiva “normale” o degli appartenenti al “gruppo”: non si deve mai dimenticare che il risultato matematico-statistico fornisce un risultato probabile, ma sempre approssimativo e mai “effettivo” o “personale”, come riconosciuto anche dalla Amministrazione finanziaria nella circolare esplicativa delle modifiche apportate dalla Finanziaria 2007. Nel Comunicato stampa del 07/06/2007 si legge che: “l’Agenzia delle Entrate ribadisce che gli studi, come peraltro stabilito dalla normativa, sono uno strumento utilizzabile come punto di riferimento dal contribuente, che adeguandosi può stare più tranquillo rispetto ad eventuali successivi controlli, e per l’Amministrazione stessa, ai fini della selezione delle posizioni da sottoporre a verifica e controllo”.

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Tali indicatori determinano un “nuovo livello di congruità”, nel senso che una eventuale

incoerenza rispetto ad essi comporterà un incremento dei ricavi o compensi in funzione delle

singole situazioni di incoerenza: sono quindi incoerenze (qualitative) che determinano incongruità

(quantitative). E’ noto che questi nuovi indicatori sono stati approvati (con Decreto del Ministero

dell’Economia e delle Finanze del 20/03/2007) senza il preventivo vaglio delle associazioni di

categoria e professionali e senza il preventivo parere della Commissione ministeriale degli

esperti, per cui risultano sensibilmente ridotte le garanzie di affidabilità, obiettività e trasparenza

cui l’Amministrazione “affida” la credibilità della presunzione derivante da tale concertazione.

Anche se in astratto “ragionevoli”, l’impatto che tali indicatori hanno avuto sui risultati degli studi

ha indotto l’Amministrazione finanziaria a ridimensionarne la valenza probatoria, con una serie di

provvedimenti poi sfociati in una disposizione legislativa.

Con circolare 31/E (del 22/05/2007), l’Agenzia delle Entrate ha raccomandato agli Uffici di

valutare con attenzione – in sede di contraddittorio - “la posizione del contribuente, soprattutto

nell’ipotesi in cui l’applicazione degli indicatori in parola determini scostamenti assai rilevanti tra i

ricavi o compensi dichiarati e quelli stimati dallo studio di settore”47; e ha individuato, a titolo

esemplificativo, alcune cause giustificative di scostamento. Poi, il Decreto del Ministro

dell’Economia e delle Finanze del 04/07/2007 ha modificato il contenuto del decreto (del

20/03/2007) che aveva inizialmente individuato gli indicatori e ha stabilito che il “nuovo livello di

congruità” “dovrà essere verificato “con riferimento al maggior valore tra

∗ il livello minimo risultante dall’applicazione degli studi di settore, che tiene conto dei

maggiori ricavi o compensi derivante dagli indicatori di normalità economica, ed

∗ il livello puntuale di riferimento derivante dalla sola analisi di congruità”,

� per cui “con riguardo agli studi di settore per i quali trovano applicazione gli indicatori di

normalità economica … il contribuente è considerato congruo alle risultanze degli studi se i

ricavi o compensi dichiarati, anche per effetto dell’adeguamento in dichiarazione, sono pari o

superiori al maggiore dei predetti valori di riferimento”48.

La “revisione” della normativa sugli indicatori ha trovato, infine, un “approdo” legislativo nel D.L.

81/2007, convertito dalla L. 3 agosto 2007, n. 127, con il quale è stata affermata la valenza

“sperimentale” degli indicatori di normalità economica ed è stato imposto - ai fini dell’’utilizzo

degli indicatori - uno specifico obbligo di motivazione, trattandosi di “presunzione semplice” 49

(in questo caso) non qualificata.

Infatti, dopo il comma 14 della L. 296/2006, che aveva introdotto tali indicatori, è stato aggiunto

un comma 14-bis, a mente del quale:

“gli indicatori di normalità economica di cui al comma 14, approvati con decreto del Ministro

dell’economia e della finanze, hanno natura sperimentale e i maggiori ricavi, compensi o

corrispettivi da essi desumibili costituiscono presunzioni semplici”, per cui l’Ufficio che intende

47

Provvedendo, in caso di inattendibilità del risultato determinato sulla base degli indicatori, ad adeguare alla situazione concreta del contribuente la stima complessiva del conteggio di Ge.ri.co.. 48

C.A.E. 41/E/2007. 49

La natura di presunzioni semplici e la necessità di specifica motivazione erano già state affermate dall’Agenzia delle Entrate nella circolare 41/E/2007.

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valersene dovrà fornire in sede di accertamento, ulteriori elementi a sostegno della sua

pretesa50.

In proposito, non si può far a meno di rilevare che la (esplicita) qualifica di “presunzioni

semplici” di tali indicatori, anzichè fare chiarezza, ha alimentato la confusione in ordine alla

qualificazione della “presunzione” degli studi di settore. Ci si è chiesti, infatti, se attraverso tale

precisazione il Legislatore non abbia, forse, inteso differenziare l’intensità dell’onere della prova

che incombe sull’Amministrazione finanziaria a seconda del caso in cui lo scostamento attenga

al risultato dello studio di settore propriamente detto (che sarebbe “minore”) e nel caso di

(ulteriore) scostamento da indicatori di normalità economica (che dovrebbe essere

“maggiore”)…. ovvero se l’intento del Legislatore non fosse quello di affermare surrettiziamente,

in una disposizione normativa, che gli studi di settore hanno natura di presunzione “legale” (sia

pure relativa), assegnando, di converso, valore di presunzione semplice (solo) agli indicatori di

normalità economica… Non solo: aver qualificato di “natura sperimentale” gli indicatori ha una

“ricaduta” sulla qualificazione della natura degli studi di settore? Taluno ha ritenuto che la

natura sperimentale degli indicatori si riverberi sulla natura degli studi, con conseguente loro

utilizzabilità solo per la selezione delle posizioni da sottoporre a controllo (secondo la regola

degli studi sperimentali), ma a me pare che questa conclusione non sia possibile: “sperimentali”

sono solo gli indicatori (la cui “portata” ed efficacia si è voluto – dopo le proteste delle categorie

economiche – ridimensionare) e non anche gli studi cui gli stessi ineriscono. La questione

merita, però, di essere approfondita, dato che l’Amministrazione finanziaria ha affermato che,

nel caso di incoerenza rispetto ad uno o più degli INE, “il risultato finale della stima, fornito dal

software Ge.Ri.Co., consisterà in un ricavo/compenso puntale e un ricavo/compenso minimo

maggiorato in funzione delle singole situazioni di incoerenza (per cui) si avrà (…) un solo

valore di riferimento ai fini dell’eventuale adeguamento in dichiarazione alle risultanze degli

studi di settore (…); aggiungendo, però, che “Il software GE.RI.CO. 2007, qualora si rendano

applicabili gli indicatori di normalità economica, evidenzia distintamente l’ammontare dei

maggior ricavi o compensi derivante dall’applicazione di ciascun indicatore. Ai fini

dell’accertamento, così come dell’adeguamento in dichiarazione alle risultanze degli studi di

settore, dovrà comunque essere considerato il solo risultato finale fornito dal software

(comprensivo dei detti, eventuali maggiori ricavi o compensi derivanti dalla analisi della

normalità economica)”51.

Poi, a seguito del ridimensionamento (normativo) della portata ed efficacia degli indicatori, l’A.E.

ha individuato in modo più analitico:

- le conseguenze del risultato di non congruità sulla base dei “vecchi” studi di settore; e

- le conseguenze del risultato di non congruità derivanti dalla introduzione degli INE, tant’è che

nella C.A.E. 41/E/2007 fa il seguente esempio:

50

Resta ferma l’altra funzione degli indicatori di normalità economica, che è quella di selezionare le posizioni dei contribuenti da sottoporre a controllo. 51

C.A.E. 31/E/2007.

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Ricavo/compenso dichiarato

Ricavo/compenso con indicatori (congruità/norm. economica)

Ricavo/compenso senza indicatori (solo congruità)

Maggiore ricavo/compenso accertabile

105.000 115.000 108.000 10.000

Il contribuente, per essere dichiarato congruo, deve adeguarsi al maggiore tra i due valori

risultanti dal calcolo statistico, cioè a 115; tuttavia il ricavo/compenso minimo senza indicatori,

pari a 108, costituisce un valore di congruità relativamente “affidabile”, che esprime la “vecchia”

congruità e comporta l’applicazione, sul piano probatorio, delle vecchie regole; per cui

l’eccedenza deve essere provata (e motivata) dall’Ufficio sulla scorta di presunzioni

“semplicissime”, cioè non qualificate; in altre parole, con “altri elementi” forniti

dall’Amministrazione finanziaria52.

La verità è che il Legislatore non ha ancora definito – una volta per tutte – la natura degli studi di

settore, tant’è che, per ottenere una conferma indiretta, la Commissione Finanze del Senato ha

espresso parere favorevole al D.L. 81/2007 “a condizione che sia chiarito (…) che sia per gli

studi di settore che per gli indici di normalità economica valgono la presunzione semplice, la

non automaticità degli accertamenti e l’onere della prova a carico dell’amministrazione

finanziaria”53.

A comprova dell’approssimazione lessicale con cui si sta legiferando in materia tributaria e, in

particolare, nel comparto – delicato e rilevante – dell’accertamento in base a studi di settore, vale

la pena richiamare il testo della disposizione (contenuta nel D.L. 81/2007 e inserita con il comma

14-ter nell’articolo 1 della Finanziaria 2007) per cui: “i contribuenti che dichiarano un ammontare

di ricavi, compensi o corrispettivi inferiori rispetto a quelli desumibili dagli indicatori di cui al

comma 14-bis non sono soggetti ad accertamenti automatici; e, in caso di accertamento,

spetta all’ufficio accertatore motivare e fornire elementi di prova per gli scostamenti riscontrati”.

Dalla lettura di tale disposizione si potrebbe dedurre, per converso, che gli studi di settore, in via

ordinaria, consentono – in contrasto, con la giurisprudenza e con le dichiarazioni ufficiali del vice-

Ministro dell’Economia e delle Finanze - “accertamenti automatici” (e senza ulteriori motivazioni

che non siano il richiamo agli studi di settore). Il problema si pone perché tale disposizione era

stata preceduta dalla seguente affermazione dell’Agenzia delle Entrate: “nelle ipotesi in cui il

livello di riferimento, ai fini della congruità, è rappresentato dal ricavo/compenso minimo

derivante dall’applicazione degli indicatori, l’Ufficio dovrà motivare l’avviso di accertamento

fornendo ulteriori elementi probatori per avvalorare i maggiori ricavi o compensi derivanti dalla

applicazione degli indicatori di normalità economica”. In altre parole, da questa “spiegazione”

parrebbe dedursi che i suddetti indicatori – in quanto espressione di presunzioni semplici –

abbisognano di “ulteriori elementi” per essere supportati; e che l’eventuale quota di “maggiori

ricavi o compensi” derivanti dalla loro applicazione necessita di una “specifica motivazione” in

52

La parte eccedente la differenza tra ricavo minimo (con indicatori), pari a 115, e ricavo puntuale (derivante dalla “vecchia” congruità) pari a 108, dovrebbe costituire una presunzione semplice per cui “l’Ufficio dovrà motivare l’avviso di accertamento fornendo ulteriori elementi probatori per avvalorare i maggiori ricavi o compensi derivanti dall’applicazione”

52 degli INE : cfr. C.A.E. 41/E/2007.

53 Cfr. il “resoconto dei lavori parlamentari”: in particolare Senato della Repubblica, Seduta del 2 agosto 2007.

Dovrebbe essere una conferma indiretta non solo del fatto che gli studi di settore integrano una presunzione semplice, ma soprattutto che l’onere della prova incombe comunque sull’Amministrazione finanziaria.

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ordine alla loro effettiva rilevanza.. Ma allora, per converso, tali ulteriori elementi non sono

necessari per l’applicazione dei “meri” studi di settore, per cui gli uffici potrebbero, in applicazione

di questi, procedere ad accertamenti automatici?…

Da ultimo, si ritiene opportuno precisare che

∗ nel caso di non congruità derivante dai nuovi indicatori di normalità economica,

l’adeguamento - dato che la loro introduzione va considerata una sorta di “revisione” degli

studi - potrà essere effettuato senza la maggiorazione del 3% (prevista dal D.P.R. 195/1999);

∗ i nuovi indicatori di normalità economica non interferiscono con gli indici di coerenza

economica degli studi, nel senso che “questi ultimi continueranno ad essere alla base della

valutazione sulla coerenza economica della situazione dichiarata, la quale, unitamente a

quella relativa alla congruità dei ricavi o compensi, rappresenta il risultato dell’applicazione

degli studi di settore alle attività economiche per le quali sono stati approvati. Anche l’utilizzo

degli indici di coerenza economica rimane immutato, nel senso che le situazioni di

incoerenza continuano a costituire criterio di selezione dei soggetti da sottoporre a

controllo”54.

c. La limitazione degli accertamenti per i contribuenti “virtuosi”

Non potranno essere operate rettifiche basate sulle presunzioni da studi di settore nei confronti

dei contribuenti che siano, al tempo stesso, congrui55, coerenti56 e fedeli57 qualora “l’ammontare

delle attività non dichiarate (rectius dei componenti positivi di reddito non dichiarati), con un

massimo di 50.000 euro, sia pari o inferiore al 40 per cento dei ricavi o compensi dichiarati”: è,

questa, la cd. “maxi cogruità” dei “contribuenti virtuosi”. L’accertamento di tipo presuntivo potrà,

dunque, essere effettuato solo se “l’ammontare delle attività non dichiarate, derivante dalla

ricostruzione di tipo presuntivo, sia superiore al 40% dell’ammontare dei ricavi/compensi

dichiarati” ovvero “superi, in valore assoluto, 50.000 euro”.

Tale preclusione opera già in sede di compilazione di Unico 2007 (quindi con effetto sul periodo

di imposta 2006) ma solo ed “esclusivamente (per gli accertamenti) fondati sulle modalità di tipo

presuntivo (…)58”; non anche qualora le rettifiche riguardino componenti reddituali diversi dai

54

C.A.E. 31/E/2007: una bella confusione terminologica … non c’è che dire …! Com’è possibile che un “normale contribuente” sia in grado di seguire queste sofisticate distinzioni … 55

Sono tali i contribuenti che dichiarano, anche per effetto di adeguamento, compensi pari o superiori a quelli determinati in base agli studi di settore (nei termini già indicati nel testo). Va, in ogni caso, rilevato che il livello di ricavi e compensi per essere considerati congrui, deve tenere conto, anche ai fini di tale disposizione, del contenuto del decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 20/03/2007 (modificato dal Decreto 04/07/2007), per cui “il livello di congruità coincide con il livello minimo di ricavi o compensi risultante dalla applicazione degli studi di settore che tengono conto degli indicatori di normalità economica approvati con il (…) decreto o, se di ammontare più elevato, con il livello puntuale di riferimento risultante dalla applicazione degli studi di settore senza tenere conto degli indicatori medesimi”. 56

Sono tali i contribuenti che rispettano i vecchi e i nuovi indicatori di “normalità economica” previsti dall’art. 10 e dal neo introdotto art. 10-bis della L. 146/1998. 57

Sono tali i soggetti che compilano correttamente i prospetti relativi al proprio studio di settore e non fanno valere cause di esclusione o di inapplicabilità inesistenti. “La preclusione - rileva la C.A.E. 31/E/2007 - non trova applicazione per i contribuente nei cui confronti sussistono le condizioni per l’irrogazione di sanzioni”. 58

C.A.E. 31/E/2007. Ciò “comporta che la limitazione prevista dal comma 4-bis non opera per le rettifiche fondate su disposizioni diverse da quelle espressamente citate” tra cui, ad esempio, gli accertamenti presuntivi previsti dagli artt. 32, 1° co. n. 2, del D.P.R. 600/1973, e 51, 2° co. n. 2, del D.P.R. 633/1972 - c.d. indagini finanziarie - nonché le presunzioni di acquisto o cessione ai fini Iva previste dal D.P.R. 441/19977/1986.

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ricavi o compensi “tipici”59; nè “con riferimento ai soggetti nei cui confronti si rendono applicabili i

parametri”.

Si tratta non di una franchigia60, ma di una “fascia di rispetto”, nel senso che impedisce

l’accertamento (analitico-induttivo) da studi di settore quando la differenza tra “dichiarato” e

“presunto” sia considerato “ragionevole”61.

A questo proposito, viene da chiedersi: dato che la procedura “studi di settore” individua, accanto

al “ricavo puntuale”, anche il c.d. “intervallo di confidenza”, “ossia il margine di oscillazione

tecnicamente ammesso fino alla soglia del ricavo minimo, oltre la quale lo scostamento tra il

dato contabile e quello reale non è giustificabile”62, i risultati compresi nell’intervallo di confidenza

possono essere classificati come scostamenti “ragionevoli”? Non tanto - sia chiaro - ai fini della

innovazione normativa in esame (che fissa limiti ben precisi) quanto piuttosto come indirizzo

interpretativo (ed anche applicativo) per l’Amministrazione che proceda all’accertamento sulla

base degli studi di settore. In definitiva: il contribuente che si pone nell’ambito del suddetto

intervallo è suscettibile di accertamento diretto a portarlo al “ricavo puntuale”? La risposta al

momento dovrebbe essere sì, ma va considerata l’opportunità di una rimeditazione, in proposito.

Nella motivazione dell’atto impositivo, l’Ufficio dovrà, peraltro, indicare le ragioni che lo inducono

“a disattendere le risultanze degli studi di settore, in quanto inadeguate a stimare correttamente il

volume di ricavi o compensi potenzialmente ascrivibili al contribuente”.

Ci si chiede se, per applicare un metodo tutto sommato empirico e orientativo, ci sia la necessità,

per l’Amministrazione finanziaria di tutte queste “precauzioni” … che finiscono per rendere lo

strumento accertativo “quasi cogente”, nell’”immaginario” (per la verità alquanto realistico) del

contribuente normale …

d. Fra le altre novità, la revisione degli studi

Le altre modifiche introdotte, in materia, dalla Finanziaria 2007 riguardano:

� la revisione e l’aggiornamento triennale (anziché quadriennale) degli studi di settore, che

verrà effettuata (sentito il parere della Commissione degli esperti) tenendo conto di “valori di

coerenza, risultanti da specifici indicatori63 definiti da ciascuno studio, rispetto a

comportamenti considerati normali per il relativo settore economico” (nuovo art. 10-bis, co. 2°

della L. 146/1998); ai fini della revisione si utilizzeranno dati e statistiche ufficiali, “quali quelli

della contabilità nazionale, al fine di mantenere, nel medio periodo, la rappresentatività degli

studi rispetto alla realtà economica cui si riferiscono”64;

� l’innalzamento, con decorrenza dal periodo di imposta 2007, del tetto massimo di ricavi

oltre il quale gli studi di settore non trovano applicazione (co. 16): si passa, come già riferito

59

Di cui, rispettivamente, all’art. 85, 1°co., escluse lett. c), d) ed e) e all’art. 54, 1° co., del DPR. 917/1986 60

C.A.E. 31/E/2007 “Nell’ipotesi in cui l’ammontare accertabile in base alle presunzioni semplici qualificate sia superiore ai predetti limiti, la rettifica dei ricavi e/o dei compensi sarà effettuata nella misura complessiva”. 61

Argomento questo, già “speso” per qualificare la natura delle presunzioni da studi. Se tali scostamenti non superano determinate soglie, il contribuente non corre rischi di essere destinatario di un accertamento da studi di settore (con il pericolo che, invece, ne possa approfittare). 62

Cfr. Circolare Comando generale della GdF 29/11/1999, prot. 38600. 63

Tali indicatori (come quelli “transitori”) incideranno sulla determinazione dei ricavi o compensi, nel senso di innalzare il “livello di congruità”. 64

C.A.E. 31/E/2007: sulla loro “inevitabile” tardività applicativa si è già detto nel testo.

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all’inizio, da 5.164 milioni di euro a 7.500 milioni65 di euro: “l’innalzamento del limite previsto

dal legislatore non presenta contenuti di carattere concettuale, ma è esclusivamente

finalizzato a ricomprendere nell’ambito di applicazione degli studi di settore buona parte dei

soggetti che, sino ad ora, sono rimasti al di fuori di tale sistema”. Come si è già osservato,

tale ampliamento, è del tutto ingiustificato e, tra l’altro, si pone in contrasto con l’opinione

espressa a suo tempo dall’Amministrazione finanziaria, che aveva ritenuto gli studi di settore

“inidonei a valutare la capacità produttiva di ricavi o compensi relativi alle realtà economiche

di ampie dimensioni”;

� la riduzione delle cause di esclusione e inapplicabilità degli studi di settore (co.16), dato

che non si ha esclusione

� a partire dal periodo di imposta 2006: nel caso di inizio di attività entro sei mesi dalla data

di cessazione, da parte dello stesso soggetto, ovvero quando vi è prosecuzione dello

svolgimento della medesima attività da parte di altri soggetti: “fattispecie (che) si verifica

quando l’attività presenta carattere di novità unicamente sotto l’aspetto formale, ma (…)

viene svolta, ancorché da un altro soggetto, in sostanziale continuità”66. “Il requisito della

omogeneità sussiste se le attività sono contraddistinte da un medesimo codice di attività

ovvero i codici di attività sono compresi nel medesimo studio di settore”; “la scelta di

riportare tali situazioni nell’ambito di applicazione degli studi di settore” - conclude l’A.E67 -

“trova la sua giustificazione nel fatto che, in realtà, le attività iniziate non rappresentano

vere e proprie nuove iniziative produttive” ma “possono essere considerate una

continuazione dell’attività precedentemente cessata e, pertanto, suscettibili di “stima” sulla

base anche degli studi di settore.”

� a partire dal periodo di imposta 2007, nel caso di periodo di imposta inferiore/superiore a

dodici mesi, fermo restando che valgono le “vecchie” regole per “i contribuenti che hanno

un periodo di imposta che termini entro il 31 dicembre 2006”;

� la previsione di specifici indicatori di normalità economica per i soggetti ai quali non si

applicano gli studi di settore (co. 19), con il conseguente obbligo di compilazione dei relativi

prospetti anche a carico di soggetti esclusi68;

� la individuazione, dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2006, di indicatori di

coerenza da applicare alle società di capitali nel primo periodo di esercizio dell’attività al

fine di individuare i “requisiti minimi di continuità della stessa, tenuto conto delle

caratteristiche e della modalità di svolgimento della attività medesima”, con esplicita

previsione di una specifica “attività di controllo nei confronti dei soggetti che risultano

incoerenti” rispetto a questi indicatori;

65

Questa previsione comporta delle ricadute anche sulle disposizioni del Tuir relative alla c.d. piccola trasparenza (art. 116 del D.P.R. 917/1986) e alla thin capitalization (art. 98, del D.P.R. 917/1986). 66

C.A.E. 11/E/2007. 67

C.A.E. 31/E/2007. 68

I modelli denominati “Indicatori di normalità economica” sono destinati a rilevare la presenza di ricavi o compensi non dichiarati ovvero di rapporti di lavoro irregolare.

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� l’inasprimento, pari al 10%, delle sanzioni amministrative in materia di IRPeF, IReS e IVA

(D.Lgs 471/1997) nonché di IRAP (D.Lgs. 446/1997) nel caso di omessa, infedele o inesatta

indicazione dei dati nei modelli relativi agli studi di settore, ovvero nei casi di falsa

indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilità, semprechè “il maggior reddito di

impresa ovvero di arte e professione, accertato a seguito della corretta applicazione degli

studi di settore, non (sia) superiore al 10% del reddito dichiarato”69.

L’aumento delle sanzioni - che opera a decorrere dal 1° gennaio 2007 e, dunque, “potrà

essere applicata con riferimento alle dichiarazione presentate successivamente a tale data”70

- persegue l’obiettivo di scoraggiare comportamenti di infedele indicazione dei dati, effettuata

al fine di far apparire le dichiarazioni “congrue” con i risultati degli studi di settore, ovvero al

fine di eludere l’obbligo di comunicazione dei dati relativi agli studi, previa indicazione di

cause di esclusione o inapplicabilità insussistenti. Tale aumento, però, non è applicabile “in

relazione a quelle fattispecie di infedele od omessa indicazione … delle variabili c.d.

“descrittive” … che non influenzano né il risultato dello studio di settore, né (…) incidono

sulla determinazione del reddito di impresa o di lavoro autonomo”71: in questi casi si

continuerà ad applicare la sanzione residuale per dichiarazione irregolare da 258,00 euro a

2.065,00 euro.

4. L’attuale quadro legislativo: decorrenza degli effetti delle modifiche

Le modifiche apportate dai recenti (e reiterati) provvedimenti – intervenuti a diverso livello

legislativo e illustrati da numerose circolari, note dell’Agenzia delle Entrate e comunicati stampa -

hanno inciso in maniera significativa sulla disciplina (e sulla operatività) degli studi di settore: sia

attraverso un (notevole) ampliamento dei soggetti interessati da tale strumento accertativo, sia

attraverso la (articolata e confusa) modifica delle relative modalità di applicazione. Ne deriva un

quadro di riferimento complesso, che vale la pena ricostruire.

a. Fino al periodo di imposta 2003

• le imprese in contabilità semplificata sono accertabili (in base agli studi di settore) in ciascun

periodo d’imposta in cui si verifica lo scostamento tra i risultati dichiarati e quelli “presunti”

(regola, questa, vigente da sempre);

• le imprese in contabilità ordinaria per opzione e gli esercenti arti e professioni72 risultano

accertabili sulla base della regola c.d. del “2 su 3”, per cui l’incongruenza tra ricavi/compensi

69

Anche in questo caso, dunque, il Legislatore introduce una “fascia di tolleranza”, con la precisazione che, in caso di perdita di esercizio, la rideterminazione della perdita in misura inferiore a quella dichiarata da parte dell’Ufficio, integra la condizione del superamento dello soglia del 10%. 70

C.A.E. 31/E/2007. 71

C.A.E. 31/E/2007 72

Con Unico 2007, per la prima volta alcune categorie di professionisti sono state interessate dall’approvazione della versione definitiva del loro studio di settore, con l’effetto di rendere applicabili i risultati di questi ultimi anche agli accertamenti relativi a tutti i periodi di imposta precedenti (nei quali gli studi di settore erano sperimentali o monitorati). In proposito, la C.A.E. 38/E/2007 ha precisato che “per tali ultime tipologie di soggetti, le attività di controllo per il periodo di imposta 2004 e precedenti, dovranno tenere conto delle specifiche disposizioni normative vigenti per tali annualità, ed in speciale modo che l’attività di accertamento potrà essere esperita nel caso in cui il contribuente risulti non congruo alle risultanze degli studi in almeno due periodi di imposta su tre consecutivi considerati”. Ai fini di tale verifica “il requisito della non congruità emergente dall’applicazione degli studi sperimentali o monitorati, dovrà essere confermato, in relazione allo stesso triennio, anche a seguito dell’applicazione di Ge.Ri.Co 2007, sulla

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dichiarati e quelli risultanti dagli studi di settore deve realizzarsi in almeno due periodi di

imposta (anche non consecutivi) su tre consecutivi considerati;

• le imprese obbligate alla contabilità ordinaria possono essere accertate in base agli studi di

settore solo in presenza di contabilità inattendibile ai sensi del D.P.R. 570/1996.

b. Per il (solo) periodo di imposta 200473,

• alle imprese in contabilità ordinaria per obbligo viene estesa la regola c.d. del “2 su 3”;

• viene introdotta la facoltà di accertamento per ciascun periodo di imposta nei confronti di tutte

le categorie di imprese nel caso di significative situazioni di incoerenza rispetto ad indici di

normalità economica individuati da un apposito provvedimento (approvato nel gennaio del

2006).

c. A partire dal periodo di imposta 2005, viene stabilita, per tutte le categorie di contribuenti

(imprese e professionisti, indipendentemente dal tipo di contabilità adottato), l’applicabilità

degli studi di settore per ciascun periodo di imposta in cui si è verificato lo scostamento tra

risultati dichiarati e risultati presunti (e, quindi a prescindere dalla regola c.d. del “2 su 3”). Ne

deriva che “l’unica condizione necessaria (per poter procedere ad accertamento sulla base

degli studi di settore) è rimasta quella dello scostamento tra i ricavi o compensi dichiarati e

quelli stimati dagli studi di settore nel singolo periodo di imposta”, con la precisazione che

“per gli accertamenti riguardanti i periodi di imposta 2003 e 2004, la verifica” della regola c.d.

del 2 su 3 “deve essere effettuata considerando anche i periodi di imposta 2005 e 2006”74.

d. A partire dal periodo di imposta 2006, viene meno la causa di esclusione dall’applicazione

degli studi di settore costituita dall’inizio e dalla cessazione dell’attività nel periodo di imposta,

nel caso di prosecuzione dell’attività da parte dello stesso soggetto entro sei mesi dalla data

di cessazione, ovvero quando l’attività prosegue quella svolta da altri soggetti.

Per i soggetti per i quali la causa di esclusione continua ad operare, è prevista l’applicazione

di appositi indicatori di normalità economica “idonei a rilevare la presenza di ricavi o compensi

non dichiarati ovvero rapporti di lavoro irregolare”, ed altri indicatori di coerenza sono previsti

nei confronti delle società di capitali al primo periodo di esercizio dell’attività.

e. A partire dal periodo di imposta 2007, gli studi di settore sono applicabili ai contribuenti con

ricavi/compensi (non più inferiori a 5,164 milioni di euro, ma) fino a 7,5 milioni di euro; e,

inoltre, il periodo di imposta inferiore/superiore a 12 mesi non costituisce più causa di

esclusione.

base dei dati e delle informazioni riferibili ai periodi di imposta oggetto di controllo. … senza tenere conto degli eventuali maggiori componenti positivi derivanti dalla applicazione degli indicatori di normalità economica”. 73

Ferma restando la precedente disciplina per le imprese in contabilità semplificata; la regole c.d. del “2 su 3” prevista per le imprese in contabilità ordinaria per opzione e per gli esercenti arti e professioni; e la possibilità di accertamento in base agli studi di settore in presenza di contabilità inattendibile ai sensi del DPR. 570/1996. 74

C.A.E. 31/E/2007

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Per comodità, quanto sopra viene riassunto nel seguente prospetto

Fino al periodo di imposta 2003 Soggetti Modalità di accertamento (in caso di incongruità)

Imprese in contabilità semplificata Per singola annualità

Imprese in contabilità ordinaria per

opzione

Regola del 2 su 3: l�incongruità tra ricavi dichiarati e quelli risultanti dagli studi di settore,

deve realizzarsi in almeno due periodi di imposta su tre consecutivi considerati

Imprese in contabilità ordinaria per

obbligo

La non congruità rileva solo in presenza di contabilità inattendibile ai sensi del Dpr 570/1996

Professionisti Regola del 2 su 3: l�incongruità tra compensi dichiarati e quelli risultanti dagli studi di settore,

deve realizzarsi in almeno due periodi di imposta su tre consecutivi considerati

Per il periodo di imposta 2004 Soggetti Modalità di accertamento

Imprese in contabilità semplificata Per singola annualità (come fino al 2003)

Imprese in contabilità ordinaria per

opzione o per obbligo

1) Regola del 2 su 3: l�incongruenza tra ricavi dichiarati e quelli risultanti dagli studi di

settore, deve realizzarsi in almeno due periodi di imposta su tre consecutivi considerati

2) Accertamento su base annua, se alla incongruità si accompagnano significative

situazioni di incoerenza rispetto a indici di natura economica, finanziaria e patrimoniale

Professionisti Regola del 2 su 3: l�incongruità tra compensi dichiarati e quelli risultanti dagli studi di settore,

deve realizzarsi in almeno due periodi di imposta su tre consecutivi considerati

Dal periodo di imposta 2005 Soggetti Modalità di accertamento

-Imprese in contabilità semplificata,

-Imprese in contabilità ordinaria per

opzione o per obbligo

-Professionisti

L�incongruità tra ricavi/compensi dichiarati e quelli risultanti dagli studi di settore rileva per

ciascuna singola annualità in cui si realizza. Ne deriva la irrilevanza della tipologia della

contabilità adottata e della tipologia di contribuente, con una estensione massima all�utilizzo

di questo strumento di accertamento

Dal periodo di imposta 2006 Soggetti Modalità di accertamento

-Imprese e professionisti,

indipendentem.dalla contabità

(come sopra)

Applicabilità degli studi di settore anche in caso di inizio/cessazione dell�attività

Dal periodo di imposta 2007 Soggetti Modalità di accertamento

(come sopra) Applicabilità studi di settore a tutti i contribuenti con ricavi/compensi fino a 7,5 milioni euro

Applicabilità studi di settore anche se il periodo di imposta è inferiore/superiore a 12 mesi

V – Le PRESUNZIONI fondate sugli STUDI di SETTORE

1. La natura delle presunzioni (semplici o legali): un dilemma (forse) superabile

A. Le presunzioni e i loro effetti

Le presunzioni consistono in un procedimento logico per cui da “fatti noti e certi” si fa

discendere, in via di ragionevole consequenzialità75, l’esistenza di “fatti ignoti e possibili” che si

intende provare.

Le presunzioni76 rilevano sul piano processuale, in quanto costituiscono un mezzo di prova;

in deroga al principio generale sull’onere della prova77, esse ne consentono l’inversione a

favore della parte nei cui confronti sono previste. Le presunzioni possono essere

75

“Ai fini del riconoscimento dell’efficacia probatoria della presunzione, non occorre che i fatti su cui essa si basa siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come l’unica conseguenza possibile dei fatti accertati, bastando, al riguardo, che l’operata inferenza sia effettuata alla stregua di un canone di probabilità la cui sequenza e ricorrenza sia verificabile secondo le comuni regole di esperienza” (Cfr. Cassazione 01/02/2006, n. 2217). 76

L’istituto è disciplinato dal codice civile all’art. 2727 e seguenti. 77

“Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, salvo il caso in cui si sia verificata inversione dell’onere della prova” (art. 2697 c.c.)

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• semplici, quando devono essere valutate “specificatamente” per verificare l’attendibilità dei

fatti che si intende provare; per essere utilizzate in sede di accertamento “analitico” (art. 39,

co. 1, D.P.R.600/1973) devono essere “qualificate”, cioè “gravi, precise e concordanti”,

mentre invece, in presenza delle circostanze che ammettono l’accertamento induttivo,

possono essere “non qualificate”;

• legali, quando è la legge stessa ad attribuire ad un “fatto noto” il valore di prova in ordine

all’esistenza di un “fatto presunto” che si intende accertare; le presunzioni legali possono

essere, a loro volta, relative o assolute, a seconda che ammettano o meno la prova

contraria78.

Secondo un orientamento ormai consolidato sia in dottrina che in giurisprudenza79, “in tema di

accertamento delle imposte sui redditi, spetta all’Amministrazione finanziaria, nel quadro dei

generali principi che governano l’onere della prova, dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi

della (maggiore) pretesa tributaria azionata”.

In campo tributario, le presunzioni vengono introdotte per facilitare l’Amministrazione stessa

nella ricostruzione di uno o più componenti di reddito o del reddito di categoria (o anche del

reddito complessivo netto) del contribuente, per cui “gli uffici competenti sono autorizzati ad

avvalersi della prova per presunzioni, la quale presuppone la possibilità logica di inferire, in

modo non assiomatico, da un fatto noto e non controverso, il fatto da accertare, con

conseguente onere della prova contraria a carico del contribuente”80.

Nell’ambito delle presunzioni previste a favore dell’Amministrazione finanziaria per la

ricostruzione dell’imponibile (ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva), si collocano anche gli studi

di settore e, in particolare, i risultati che emergono dalle relative elaborazioni.

• Se ai risultati dagli studi di settore viene attribuita natura di “presunzione semplice”,

a. l’Ufficio può procedere alla rettifica dei ricavi, compensi e corrispettivi solo in presenza di

gravi incongruenze tra quelli dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di

settore;

b. l’onere della prova resta a carico dell’Ufficio, che deve dimostrare la esistenza delle

condizioni per poterli applicare nel caso specifico motivando, tra l’altro, la plausibilità dello

studio nel caso specifico; il contribuente, a sua volta, per vincere la presunzione, deve o

contestare la validità della presunzione; o fornire la prova contraria;

c. al giudice spetta la decisione non solo sulla utilizzabilità degli studi di settore nel caso

concreto, ma anche sul quantum imponibile, sulla scorta del suo libero convincimento;

• Se, invece, agli studi di settore viene riconosciuta la natura di “presunzione legale”

(ancorché relativa)

78

Le presunzioni assolute non sono compatibili con il principio costituzionale di capacità contributiva, per cui neanche dovrebbero esistere nell’ordinamento tributario. 79

Da ultimo, cfr. Cassazione 07/05/2007, n. 10345. 80

Da ultimo, cfr. Cassazione 07/05/0007, n. 10345 e Cassazione 13/04/2007, n. 8869.

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a. qualunque scostamento del risultato documentato rispetto a quello presunto consente agli

Uffici finanziari di procedere ad accertamento da studi, senza dover fornire ulteriori

dimostrazioni a sostegno della propria pretesa;

b. l’onere della prova viene assolto dall’Amministrazione finanziaria attraverso lo studio di

settore, ope legis81; il contribuente può fornire “solo” la prova che si tratta di uno studio

inconferente per lui, ma non potrebbe contestare la validità del risultato;

c. al giudice spetterebbe di valutare “solo” la compatibilità della situazione concreta con la

previsione legislativa: perchè se sussistono i presupposti, non potrà entrare nel “merito”del

quantum imponibile (che, in ipotesi, è già stato stabilito dalla legge).

B. La posizione della giurisprudenza

a. La Corte costituzionale82, si è interessata, dell’accertamento presuntivo in base a parametri.

Riconosciuta la costituzionalità della norma che lo disciplina, ha precisato che si tratta di “un

sistema basato sulle presunzioni semplici la cui idoneità probatoria è rimessa alla

valutazione del giudice di merito”.

b. La Corte di Cassazione83 dapprima ha affermato la necessità che le percentuali (di ricarico)

risultanti dagli strumenti presuntivi siano “confortate da altri indizi”; poi, però, ha riconosciuto

“la possibilità che l’Amministrazione utilizzi strumenti presuntivi legittimati dalla prassi e valutati

già in sede preventiva a livello generale, tanto che ormai da qualche anno gli studi di settore si

stanno consolidando e stanno offrendo soluzioni sempre più accettate e condivise”.

Secondo i giudici di legittimità, la affidabilità dei risultati degli studi di settore deriverebbe dalla

affidabilità, obiettività e trasparenza della procedura di acquisizione dei dati e della loro

elaborazione, nonché dalla “validazione”, da parte delle associazioni di categoria e

professionali, per cui si determinerebbe “una situazione probatoria che investe la quantità dei

valori ottenuti sulla base delle presunzioni medesime”. La conseguenza sarebbe che

parametri e studi di settore potrebbero - anche da soli - costituire la base di un accertamento o

di una rettifica tributaria, per cui “il contribuente che voglia contestare il risultato delle

presunzioni medesime ha l’onere di attivarsi e di mostrare o l’impossibilità di utilizzare le

presunzioni in quella fattispecie o l’inaffidabilità del risultato ottenuto attraverso le presunzioni

(…). In tale contesto, è vero che si verifica una inversione dell’onere della prova, ma si tratta di

una inversione conseguente e legittima in un sistema che consente l’utilizzazione delle

presunzioni a favore dell’Amministrazione”.

Più di recente, la stessa Cassazione, ha però precisato che non è ammissibile che i

ricavi/compensi (e, quindi, il reddito) nonché i corrispettivi vengano determinati in via

automatica, prescindendo dalla capacità contributiva del soggetto: gli strumenti presuntivi

costituirebbero, dunque, “un importantissimo ausilio” dell’accertamento, che, peraltro, deve

81

La stessa Cassazione (2891/2002) ritiene che in questo caso si determina una inversione dell’onere della prova, con la conseguenza che dovrà essere il contribuente a provare fatti e situazioni idonei a superare la presunzione; ma, a ben vedere, l’onere resta in capo all’Amministrazione finanziaria che, però, lo assolve proprio attraverso la presunzione legale costituita, in ipotesi, dagli studi di settore. 82

Con Sentenza 105/2003 83

In quella che viene considerata una Sentenza fondamentale, la n. 2891/2002

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confrontarsi con la situazione concreta84. Non solo: gli studi di settore “non si possono

considerare sufficienti perché l’Ufficio operi l’accertamento di un rapporto giuridico tributario

(…) senza che l’attività istruttoria amministrativa sia completata nel rispetto del principio

generale del giusto procedimento, cioè consentendo al contribuente, ai sensi dell’art. 12,

comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, di intervenire già in sede procedimentale

amministrativa, prima di essere costretto ad adire il giudice tributario, di vincere la mera

praesumptio hominis costituita dagli studi di settore”.85

Da ultimo, si è affermato che, sotto il profilo probatorio, la validità dei meccanismi presuntivi di

determinazione del reddito è ridotta, nel caso in cui “il quadro considerato dal giudice risulti

corredato solo dagli indizi offerti dai parametri astratti, e questo sia stato contestato e sminuito,

proprio in ragione della allegazione e della prova di ulteriori circostanze e di variabili”86

prodotte dal contribuente e non contestate dalla Amministrazione.

c. La giurisprudenza di merito87, a sua volta, fra le tante decisioni assunte (a favore del

contribuente) ha rilevato che:

• gli studi di settore integrano “presunzioni e/o indicatori semplici, valutabili, di volta in volta, e

rettificabili dal giudice di merito”,88

• “il semplice scostamento tra il dichiarato e il risultato dei calcoli parametrici costituisce un

indizio o al massimo una presunzione semplice, priva dei caratteri di gravità, precisione e

concordanza, in quanto mancano gli ulteriori indizi di conforto ... che soli, concorrendo con lo

scostamento, lo fanno assurgere a presunzione grave precisa e concordante”89.

• “I parametri (…) sono (…) semplici indizi che, unitamente e a completamento di altri elementi

acquisiti dall’Ufficio, possono tutti insieme generare presunzioni semplici aventi i caratteri della

gravità, precisione e concordanza (…).

Gli accertamenti presuntivi obbligano l’Ufficio ad individuare presunzioni aventi i requisiti di cui

all’art. 2729 c.c. mentre la mancanza di qualunque rilievo sulla contabilità o sulla

dichiarazione del contribuente ovvero di qualunque violazione di norme fiscali impedisce il

disconoscimento automatico del reddito e la sua rielaborazione con calcoli parametrici che da

soli non possono mai assurgere a prova presuntivi”90

• “Merita ribadire che una contabilità non solo formalmente regolare, ma anche

sostanzialmente corretta, costituisce una valida opposizione alle presunzioni delle risultanze

degli studi di settore derivanti da GE.RI.CO (…) Considerato che gli studi di settore sono

inquadrati nel dettato dell’art. 39 del D.P.R. 600/1973 e, pertanto, riconducibili

all’accertamento dei “Redditi determinati in base alle scritture contabili”, le indicazioni di detti

84

Cfr. Sentenza n. 19163/2003, confermata dalla sentenza 2411/2006. 85

Cfr. Sentenza n. 17229/2006. 86

Cfr. Sentenza 21/03/2007, n. 6758 87

Cfr. CTP Macerata 51/2003 e 63/2003; CTP Milano 60/2005 CTP La Spezia 43/2005; e, prima della sentenza della Cass. 2891/2002, in materia di parametri e coefficienti presuntivi: CTP Salerno 67/2001 e 32/2001; CTP Verbania 10/2001. 88

CTP Vicenza 282/2006. 89

CTP Macerata 9/2006. 90

CTR Puglia, 67/2006 (in materia di parametri) confermata da CTR Puglia 70/2006

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studi non possono prescindere dalle risultanze delle stesse, che possono essere disattese

solo in presenza di gravi irregolarità formali e sostanziali, tali da renderle inattendibili”91….

• “Gli studi di settore ben possono individuare tutti quei contribuenti che, per dichiarare ricavi

sottodimensionati rispetto al cluster di appartenenza, presentino sintomi di evasione/elusione

fiscale; tuttavia, il mancato raggiungimento della media dei ricavi/corrispettivi prevista per quel

gruppo omogeneo di contribuenti che, all’interno del medesimo settore di attività, presentino

una certa comunanza di caratteristiche strutturali, non può significare, di per sé solo, un

fatto rivelatore di evasione/elusione proprio perché lo scostamento dalla media non può altro

che essere una figura sintomatica di evasione/elusione, e non l’evasione/elusione stessa.

In questo quadro, l’avviso di accertamento fondato esclusivamente sullo studio di settore non

può essere considerato legittimo proprio perchè, rappresentando una mera praesumptio

hominis, non attinge forza probante sufficiente per poter lecitamente configurare in capo al

contribuente quella capacità contributiva che legittima il prelievo fiscale”.92

• “Le presunzioni in essi (studi di settore) delineate, sono generalmente semplici e prive delle

caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, previste invece dall’art. 39 per costituire

fondamento dell’accertamento induttivo.”93

C. La posizione dell’Amministrazione finanziaria

L’Amministrazione finanziaria ha, da sempre, sostenuto - insieme con la (evidente) “presunzione

relativa” degli studi di settore - la legittimità di un avviso di accertamento/rettifica che si fondi sulla

semplice constatazione di uno scostamento tra quanto dichiarato dal contribuente e il risultato

(presunto) dallo studio: “L’importo determinato in base agli studi di settore ha il valore di

presunzione relativa ed in presenza delle condizioni richieste dall’articolo 10 della legge 146

del 1998 può essere, senz’altro posto a base di eventuali avvisi di accertamento senza che gli

uffici siano tenuti a fornire altre dimostrazioni in ordine alla motivazione della loro pretesa”.

Nella sostanza, dunque, ferme restando le condizioni “d’ingresso al metodo”, la presunzione

viene considerata “legale” dato che, una volta verificato lo scostamento tra risultati dichiarati e

risultati presunti, non rimarrebbe spazio per contestare l’applicabilità al caso concreto dello studio

di settore, ma solo per fornire prove contrarie che ne giustifichino la “non pertinenza” (sotto il

profilo qualitativo) o lo scostamento (sotto il profilo quantitativo).

Gli studi di settore, infatti, costituiscono uno strumento di ausilio all’accertamento di tipo

presuntivo e sono il frutto di un’intensa attività svolta dalla Agenzia delle Entrate in collaborazione

con la Società per gli studi di settore (So.Se Spa) e con le Associazioni di categoria e gli

Organismi rappresentativi delle professioni liberali. In particolare, con la Circolare n. 58/E del

2002, è stato chiarito che la motivazione degli atti di accertamento basati sugli studi di settore va

ricercata nell’intero procedimento di approvazione dei singoli studi, che viene così riassunto:

91

CTP Padova 205/2006 92

Comm.Prov. Bologna 385/2006 93

CTP Livorno 42/2007

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• analisi del contenuto dei questionari inviati dai contribuenti;

• individuazione della funzione di regressione;

• analisi della funzione regressiva da parte della Commissione degli esperti;

• eventuali modifiche della funzione regressiva;

• parere della Commissione degli esperti;

• approvazione da parte del Ministero e pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Pertanto, secondo l’Amministrazione finanziaria “la procedura di elaborazione degli studi di

settore garantisce affidabilità, obiettività e trasparenza al ragionamento presuntivo, ma non

priva il contribuente della possibilità di fornire prova contraria adducendo argomentazioni tali da

dimostrare la non attendibilità del risultato della applicazione dello studio in relazione alla

specifica situazione oggetto di controllo. E’, infatti, evidente che la validità delle metodologie

utilizzate non è garanzia della loro sicura applicabilità a tutti i contribuenti analizzati”. Viene,

inoltre, affermato che “lo scostamento potrà essere giustificato non solo in base a prove

documentali certe, che abbiano un riscontro diretto ed immediatamente quantificabile sui ricavi

dichiarati, ma anche in base ad un ragionamento di tipo presuntivo che si fondi su elementi

certi e che conduca a valutazioni che abbiano una reale capacità di convincimento dell’ufficio”94…

In definitiva, nonostante una procedura di costruzione, elaborazione e approvazione degli studi

accurata e garantista, che di per sé dovrebbe integrare la gravità, precisione e concordanza della

presunzione semplice (per cui gli Uffici sarebbero legittimati a emettere eventuali avvisi di

accertamento, senza dover fornire altre dimostrazioni in ordine alla motivazione della loro

pretesa), perché lo studio passi dal piano “teorico” del modello matematico-statistico a quello

“concreto” della “specifica” posizione soggettiva, è necessaria una preventiva fase di

contraddittorio fra le parti del rapporto tributario, dato che la effettiva sostenibilità della pretesa

tributaria deve essere verificata dall’Agenzia delle Entrate sulla scorta delle considerazioni e delle

giustificazioni rappresentate dal contribuente (o da chi lo assiste).

L’entità dei ricavi (o compensi) e dei corrispettivi da studi di settore sono, quindi, il frutto di una

specifica attività di analisi, che prevede la fattiva collaborazione delle Associazioni di categoria (e

degli Organismi professionali), che forniscono elementi di valutazione e conoscenza alla

commissione degli esperti; la quale esprime il parere (previsto dall’art. 10 della L. 146/1998)

prima del decreto ministeriale di (definitiva) approvazione, il quale viene accompagnato, in

Gazzetta Ufficiale, dalla pubblicazione delle “Note tecniche e metodologiche” che indicano i

criteri adottati per la determinazione dei ricavi, compensi o corrispettivi presunti.

Solo a seguito di tale confronto si può ritenere (eventualmente) raggiunta la prova dell’evasione

(e quindi emanare l’atto impositivo) o accedere (quanto meno in parte) alle istanze del

contribuente (definendo il rapporto con un accertamento con adesione) o, infine, convenire con il

contribuente sulla insostenibilità delle pretese erariali, per ciò stesso procedendo ad una motivata

archiviazione della posizione.

94

Cfr C.A.E. 58/E/2002, ribadita, da ultimo, da C.A.E. 31/E/2007.

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31

La previsione di un contraddittorio che precede l’emissione dell’atto impositivo comporta la

necessità che le giustificazioni del contribuente e le valutazioni espresse, al riguardo, dall’Ufficio

vengano opportunamente documentate, quale che sia l’esito; e rende nullo un atto impositivo

emesso in assenza di contraddittorio (che, però, deve ritenersi espletato anche nel caso in cui il

contribuente, a seguito dell’invito, non si presenti).

In proposito la Corte di Cassazione Sez. V, nella Sentenza n. 17229 del 28 luglio 2006, ha

ribadito l’importanza del contraddittorio, rilevando che “gli studi di settore (…) non si possono

considerare sufficienti (…) senza che l’attività istruttoria amministrativa sia completata nel

rispetto del principio generale del giusto procedimento, cioè consentendo al contribuente, ai sensi

dell’art. 12 della L. 27 luglio 2000, n. 212, di intervenire già in sede procedimentale

amministrativa, prima di essere costretto ad adire il giudice tributario”.

Conclusione: il risultato dello studio di settore fornirebbe all’Amministrazione finanziaria la prova

presuntiva secondo la quale i contribuenti cui possa essere applicato un determinato studio di

settore producano determinati ricavi/compensi e corrispettivi, per ciò stesso verificandosi non

tanto quella “inversione dell’onere della prova” dalla Amministrazione finanziaria al contribuente

che viene al riguardo evocata, quanto piuttosto integrando la prova (da parte della prima) della

procedura di formazione e approvazione degli studi di settore.

D. Le considerazioni dello scrivente

a. Il problema “vero” è quello di assegnare ai risultati degli studi di settore una valenza di

presunzione che, al di là degli aspetti formali (e forse formalistici) consenta o meno di “superare”

le risultanze delle dichiarazioni tributarie presentate dal contribuente sulla scorta, di una

contabilità regolarmente tenuta; la quale – non va mai dimenticato – costituisce pur sempre “la

base” dell’accertamento anche da studi di settore: perché tutti i dati contabili (recepiti nella

dichiarazione del contribuente) vengono accettati, con l’eccezione di quello - peraltro molto

importante - che esprime i ricavi/compensi e i corrispettivi95.

b. Nella lett. d) del 1° co, dell’art. 39/600 (così come nel corrispondente 2° co. dell’art. 54/633)

vengono richiamate solo le presunzioni semplici (semmai qualificate) e non quelle legali

(che, pertanto, non vanno neanche considerate a questi effetti). Il contenuto della norma è

chiarissimo: l’Ufficio finanziario può procedere a rettifica (del reddito di impresa o di lavoro

autonomo, in un caso; dell’Iva dovuta, nell’altro)

* se l’incompletezza, falsità o inesattezza di quanto dichiarato risulta da un controllo “specifico”

delle scritture contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e dei documenti relativi

all’impresa; o dei dati e notizie raccolti dall’Ufficio in sede di verifica [ed è questa la prima parte

della predetta lett. d)];

95

L’accertamento da studi di settore si colloca nell’ambito dell’accertamento analitico (art. 39, co. 1° del D.P.R.600/1973), che ha il suo fondamento nelle scritture contabili.

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32

* se l’esistenza di componenti positivi non dichiarati o l’inesistenza di componenti negativi fatti

valere – nella determinazione del reddito imponibile – dal contribuente è “desumibile” sulla base

di presunzioni semplici, purchè “qualificate” cioè gravi, precise e concordanti [e questa è la

seconda parte della lett. d)].

Ne deriva che il Legislatore prevede, nella lett. d) citata, una rettifica analitica che, nella prima

parte, si basa su “prove documentali”; nella seconda parte, si basa su “presunzioni qualificate”.

L’art. 62-sexies non fa che ampliare - da due a tre - le previsioni di rettifica analitica (del reddito

determinato su base contabile): l’accertamento analitico-presuntivo può essere operato (dagli

Uffici) anche quando sussistono gravi incongruenze fra ricavi/compensi e corrispettivi dichiarati

(prima condizione) e quelli fondatamente desumibili (secondo parametro) o dalle caratteristiche

e condizioni dell’attività esercitata (prima ipotesi) o dagli studi di settore (seconda ipotesi, che

qui interessa).

c. Le previsioni normative su indicate non modificano le “regole” sull’onere della prova, circa

l’esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria, che incombe, come di consueto,

sull’Ufficio accertatore, il quale non può far valere presunzioni legali (che consentirebbero un

utilizzo automatico dei risultati degli studi di settore) ma una presunzione semplice che lo agevola

nell’accertamento. Perché la presunzione diventi “qualificata” (e, quindi, idonea a sostenere un

accertamento) è sufficiente, secondo l’Amministrazione finanziaria, il procedimento (articolato e

garantista) che porta agli studi di settore; ma viene riconosciuta la necessità di un previo

contraddittorio con il contribuente, che di per sé attesa la mancanza di automatismo del

procedimento, dato che va verificata la esistenza delle gravi incongruenze fra il dichiarato dal

contribuente e i risultati dello studio che si ritiene pertinente; che i ricavi/compensi e corrispettivi

che il contribuente avrebbe dovuto indicare (in alternativa a quelli dichiarati) siano fondatamente

desumibili (su base contabile ed extracontabile) dallo studio di settore che intende utilizzare.

Solo in presenza di tali condizioni sarà consentito all’Ufficio di procedere ad un accertamento

sulla base degli studi di settore; in assenza anche di una sola di quelle condizioni, l’accertamento

sarà nullo per carenza di motivazione.

Non è vero, pertanto, che gli Uffici possono procedere a tale accertamento “senza essere tenuti a

fornire altre dimostrazioni in ordine alla motivazione della loro pretesa”, perché la motivazione va

ricercata nel procedimento di approvazione degli studi di settore (e in particolare nelle note

tecniche e metodologiche): perché se così fosse non ci sarebbe necessità di alcun contraddittorio

nel corso del quale mettere a raffronto “critico” non solo le risultanze, ma anche i contenuti

intriseci dello studio di riferimento con la situazione concreta del contribuente (ancor prima di

emettere l’atto impositivo): proprio per escludere atti di imposizione che non siano basati su gravi

incongruenze, cioè su contraddittorietà, illogicità, irrazionalità, incoerenze e incongruità che

portino a risultati di una certa consistenza: differenze, dunque, qualitative (incoerenza) e

quantitative (incongruità).

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E’ questo anche il pensiero della Corte di Cassazione in quella che va considerata una delle

Sentenze più rappresentative, nel comparto: “la flessibilità degli strumenti presuntivi trova origine

e fondamento proprio nell’art. 53 della Costituzione, non potendosi ammettere che il reddito

venga determinato in maniera automatica, a prescindere da quella che è la capacità contributiva

del soggetto sottoposto a verifica. Ogni sforzo, quindi, va compiuto per individuare la reale

capacità contributiva del soggetto, pur tenendo presente l’importantissimo ausilio che può

derivare dagli strumenti presuntivi, che non possono però avere effetti automatici, che sarebbero

contrastanti con il dettato costituzionale, ma che richiedono un confronto con la situazione

concreta”96.

La “situazione concreta” del contribuente si compone di dati reali (beni, rapporti), di dati contabili

(attività, passività), di constatazioni sull’utilizzo (totale o parziale) dei beni e dei rapporti; varia a

seconda delle modalità con cui è stata esercitata l’attività, delle condizioni esterne ed interne

all’impresa o allo studio professionale … situazioni, tutte queste, che dovrebbero emergere – se

fossero correttamente rappresentate – dalle scritture contabili che l’operatore economico tiene

(a fini conoscitivi) per sé e per i “terzi” fra i quali anche il Fisco.

A ben vedere, infatti, sia pure con riferimento ad una posta contabile (i

ricavi/compensi/corrispettivi), gli studi di settore si propongono di convalidare o smentire i risultati

desumibili dalle scritture contabili, con riferimento ad uno specifico componente positivo (i ricavi o

i compensi): per cui non dovrebbe essere indifferente, sotto il profilo probatorio97, una tenuta

ordinata delle scritture contabili, a partire – quando la contabilità è ordinaria – dall’Inventario, per

continuare con il Libro giornale, i mastri e ancora il Bilancio di esercizio, comprese le spiegazioni

che si riscontrano nella Nota Integrativa. Né dovrebbe essere trascurata la maggiore affidabilità

della “contabilità ordinaria” rispetto alla “contabilità semplificata”: perché il “superamento” dei dati

della prima (rispetto a quelli della seconda) è “meno facile” anche in presenza di una presunzione

come quella costituita dai risultati degli studi di settore; che, pur se ritenuti il prodotto di un

procedimento sofisticato, sono pur sempre strumenti fondati su elaborazioni matematico

statistiche, nelle quali è insita una certa approssimazione98. Tanto a maggior ragione se si

considera che i parametri utilizzati in sede di accertamento da studi di settore sono sempre

“datati” e spesso “obsoleti”; e che gli studi di settore sono relativamente affidabili solamente in

settori in cui prevale l’“oggetto” sul “soggetto”.

Al risultato dello studio non può essere assegnata, dunque, la natura di presunzione legale né gli

effetti automatici che si vorrebbero trarre, sul piano “concreto”, da presunzioni semplici

“qualificate”, dato che è l’Ufficio, in sede di contraddittorio, che deve rendere “gravi, precise e

concordanti”- con riferimento al “caso specifico” - quelle presunzioni che fino a quel momento

sono solo “semplici”. Infatti, una divergenza dei dati dichiarati rispetto a quelli dello studio stesso

può costituire un indizio utile per indirizzare i controlli (magari con il supporto delle c.d. verifiche

96

Cassazione 15/12/2003, n.19163. 97

Cioè in termini di soccombenza della prova contabile rispetto alla presunzione da studi di settore. 98

Il concetto di approssimazione contrasta evidentemente con il concetto di fatto noto (e non controverso) dal quale dedurre il fatto ignoto.

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finanziarie) e costituisce uno strumento ausiliario per consentire all’Ufficio di far emergere

eventuali incoerenze o situazioni patologiche, ma non è ancora una prova atta a sostenere un

avviso di accertamento.

In definitiva, i risultati degli studi di settore costituiscono presunzioni semplici, che possono

diventare “qualificate” in sede di contraddittorio.

Quanto alla gravità, va detto che uno scostamento minimo (in termini assoluti o percentuali)

rispetto al risultato presunto non potrebbe giustificare un accertamento da studi di settore; e

manca, a parere dello scrivente, la gravità tutte le volte in cui il ricavo dichiarato cade nel c.d.

“intervallo di confidenza”99 che, com’è noto, individua “il margine di oscillazione tecnicamente

ammesso fino alla soglia del ricavo minimo, oltre la quale lo scostamento tra il dato contabile e

quello reale non è giustificabile”100; anche se la Circ. Min. Fin. 148/E/1999 pretende che i

ricavi/compensi e i corrispettivi rilevati siano quelli “puntuali” (e non quelli minimi o intermedi).

Quanto alla precisione, è evidente che qualsiasi dato statistico porta a valori medi o “ordinari”,

che, come tali, difficilmente integrano questo requisito, tant’è che gli studi di settore necessitano

di continue revisioni e aggiornamenti, inevitabilmente “tardivi”.

Quanto, infine, alla concordanza, fermo restando l’ausilio degli studi di settore, gli Uffici non

possono assumerli “da soli” a base di un accertamento, ma devono sempre verificare la loro

compatibilità con la situazione effettiva del contribuente: in concreto, devono essere supportati da

altri dati e elementi che confermino i risultati degli studi di settore.

2. La motivazione degli atti di accertamento basati sugli studi di settore

a. L’obbligo di motivazione è – da sempre - previsto nella disciplina dell’accertamento delle

imposte sui redditi e dell’Iva101: l’avviso di rettifica o di accertamento “deve essere motivato in

relazione ai presupposti di fatto e alle ragioni giuridiche che lo hanno determinato (…) e con

la specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi

o sintetici (…) Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal

contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non

ne riproduca il contenuto essenziale. L’accertamento è nullo se l’avviso non reca (…) la

motivazione (…) e ad esso non è allegata la documentazione (…)”.

Tale obbligo ha assunto il ruolo di “principio generale” con l’art. 3 della L. 241/1990 e, in

campo specificatamente tributario, con l’art. 7 della L. 212/2000 sullo Statuto dei diritti del

contribuente, per effetto del quale “gli atti dell'amministrazione finanziaria sono motivati

secondo quanto prescritto dall'articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la

motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni

giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione”.

99

Come è noto gli studi di settore esprimono un risultato congruo pari ai ricavi/compensi/corrispettivi puntuali, ma anche un risultato ammissibile pari ai ricavi, compensi, corrispettivi minimi; ma tutti i valori compresi tra i due estremi sono parimenti verosimili, per cui va esclusa le stessa incongruenza (che deve essere anche grave). 100

Comando generale GdF Circolare 29/11/1999, prot. 386000. 101

Si cfr., rispettivamente l’art. 42 del D.P.R. 600/1973 e l’art. 56 del D.P.R. 633/1972.

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Nello Statuto viene, pertanto, non solo ribadito un obbligo “antico”, ma vengono anche

indicate le modalità per assolverlo, stabilendo che “se nella motivazione si fa riferimento ad

un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama” 102.

La motivazione dell’accertamento si traduce nell’indicazione delle ragioni - di fatto e di diritto -

che stanno alla base dell’atto impositivo, consentendo di esternare l’iter logico argomentativo

seguito dall’Amministrazione: a tutela del contribuente, che solo attraverso la motivazione è

messo in grado (prima) di conoscere le ragioni della pretesa erariale; (poi) di valutarne la

legittimità; infine, di esercitare il proprio diritto di difesa. In questo contesto, la “motivazione”

costituisce un fattore di riequilibrio (e bilanciamento) a favore del contribuente rispetto al

potere - riconosciuto alla Amministrazione finanziaria - di incidere nella sfera giuridica (ed

economica) del primo, con atti che possono diventare coercitivi. Se queste “precauzioni

legislative” valgono “in generale”, a maggior ragione devono essere rispettate quando al

Fisco sono concesse delle “presunzioni” per favorire l’espletamento di “accertamenti di

massa”, nei confronti di contribuenti che si trovano in particolari condizioni.

b. Secondo l’Amministrazione finanziaria, l’obbligo di motivazione viene assolto attraverso il

“procedimento di approvazione dei singoli studi”103; non solo: viene rilevato che nelle “Note

tecniche e metodologiche” pubblicate in occasione della loro approvazione, è illustrato il

“ragionamento presuntivo” che ha portato dal “fatto noto” (gli “elementi significativi”) a quello

che si vuol desumere (cioè i “maggiori ricavi”).

In forza di tale orientamento, gli Uffici dell’Agenzia delle Entrate (nei primi inviti al

contraddittorio emessi in base agli studi di settore), si sono limitati a prendere atto dello

“scostamento” tra ricavi/proventi e corrispettivi “dichiarati” e quelli “attesi” in base allo

specifico “studio”: senza alcuna motivazione ulteriore e senza neppure indicare quali

elementi specifici l’Ufficio abbia utilizzato per determinare i “maggiori ricavi” (e lo stesso vale

per i compensi e i corrispettivi) attribuiti al soggetto accertato.

E’ vero che altro sono i dati comunicati al contribuente per il contraddittorio e altro è l’avviso di

accertamento, ma questo approccio al problema è pericoloso, perché confonde due concetti:

“la motivazione” e “la prova” della pretesa tributaria.

Mentre la prova riguarda la fondatezza della pretesa sul piano sostanziale, la motivazione

concerne la legittimità formale dell’atto di accertamento e si manifesta al momento della

notifica.

c. La motivazione non ha il compito di convincere il contribuente circa la fondatezza della

pretesa tributaria contenuta nell’atto impositivo, ma adempie alla funzione di consentirgli il

diritto di difesa attraverso la contestazione dell’iter logico giuridico seguito dall’Ufficio per

determinare la pretesa tributaria; che, però, deve indicare da quale fatto noto discende

102

Si era posto il problema se fosse necessaria (ai fini del rispetto dell’obbligo di motivazione) l’allegazione all’avviso di accertamento del Decreto di approvazione dello Studio di settore (nonché delle “note tecniche e metodologiche”): indipendentemente dalla natura giuridica (regolamentare o generale) riconosciuta a tali documenti, a me pare che la loro allegazione non sia necessaria, dato che la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ha proprio la funzione di renderli “pubblici” (anche se, va detto, non sempre facilmente conoscibili dai diretti interessati). 103

Cfr. Circ. A.E. 58/2002.

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l’applicabilità (nel senso di validità/attribuibilità) di quel determinato studio allo specifico

contribuente: la presunzione regge nei limiti in cui l’atto è “adeguamente” motivato in questo

senso.

In altre parole: l’indagine si sposta dal piano della fondatezza sostanziale della pretesa

tributaria (che è data dalla prova per presunzione derivante dallo studio di settore) al piano

della motivazione, che riguarda la legittimità formale dell’avviso di accertamento: le

“presunzioni postulano, per la loro applicazione, il fatto noto da cui debbono derivare, ex art.

2727 del codice civile; e debbono altresì comportare una applicazione razionale e

argomentata delle stesse, sicché il contribuente possa comprendere l’ambito della pretesa

tributaria e possa adeguatamente contestare con riguardo all’avviso di accertamento di

maggior valore la sussistenza di una motivazione adeguata, cioè tale da delimitare l’ambito

delle contestazioni dell’ufficio e mettere il contribuente in grado di esercitare il diritto di

difesa”104.

In conclusione la affermazione dell’Amministrazione finanziaria secondo cui: “la motivazione

degli atti di accertamento basati sugli studi di settore va ricercata nell’intero procedimento di

approvazione dei singoli studi” non è condivisibile, perché il procedimento di approvazione

degli studi di settore si basa sulla presunzione che tutti i contribuenti rientranti in quello studio

debbano produrre il risultato atteso dallo studio stesso, mentre in realtà la presunzione di

maggior reddito rispetto ad un determinato contribuente deve essere motivata dalla

Amministrazione finanziaria attraverso la riferibilità del risultato dello studio utilizzato per

l’accertamento nei suoi confronti e con riferimento alla specifica situazione (soggettiva,

oggettiva, territoriale) del contribuente.

d. Anche la prevalente dottrina e la giurisprudenza di merito maggioritaria sono della stessa

opinione: è sull’Ufficio “impositore (che) incombe l’obbligo di motivare la plausibilità e la

correttezza dello studio di riferimento; con esclusione, pertanto, della semplice e mera

applicazione matematica”105 (rectius automatica), per cui la mancata indicazione dei fattori

“specifici” - che hanno portato ad accertare tali “maggiori ricavi” - determina l’illegittimità

dell’avviso di accertamento per “carenza di motivazione”.

“Nell’avviso di accertamento (…) devono essere esposti, anche in maniera sintetica, i dati e le

voci, vale a dire i motivi, che hanno originato il maggior reddito presunto: il contribuente deve

essere messo in grado di controllare la giustezza degli elementi e del metodo posti a

fondamento della stima presuntiva del reddito per poterli eventualmente contestare” nella

sostanza, dunque, “la motivazione deve rendere comprensibili i passaggi logico-giuridici su

cui si basa l’atto impositivo”106.

Se il contribuente non è posto in grado di conoscere quali - fra i vari possibili - elementi sono

stati assunti dall’Ufficio per fondare la sua pretesa, c’è lesione del “diritto di difesa” che

determina nullità dell’atto impositivo. Solo ricostruendo il procedimento “analitico” utilizzato

104

CTR Torino 27/03/2007, n. 15 105

CTP Lucca, 27/06/2006, n. 43. 106

CTP Rovigo 01.10.2005, n. 72.

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dagli studi di settore per giungere – partendo dagli elementi contabili ed extracontabili – al

ricavo presunto può essere individuata la “causa” che ha portato allo scostamento; compito,

questo, che - come ha rilevato la Cassazione nella Sent. 16 settembre 2005, n. 18415 – non

compete al contribuente, ma incombe sull’Ufficio impositore. La mancata conoscenza di

quali - fra i vari possibili - elementi sono stati assunti dall’Ufficio per fondare la sua pretesa

determina la impossibilità, per il contribuente, di esercitare il suo “diritto di difesa”, perché il

contribuente non viene messo in grado di “adeguatamente contestare, con riguardo all’avviso

di maggior valore, la sussistenza di una motivazione adeguata, cioè tale da delimitare

l’ambito delle contestazioni dell’ufficio” e “di esercitare il diritto di difesa”107

Altra giurisprudenza di merito108 ha ribadito che la “presunzione (connessa con gli studi di

settore) non esonera l’Ufficio dall’obbligo di motivazione e di specificare gli elementi,

almeno prevalenti, di incoerenza o incongruenza che lo stesso Ufficio ha rilevato tra

quelli forniti dal contribuente, garantendo così allo stesso il diritto al successivo eventuale

contraddittorio in sede contenziosa”, perché solo così il contribuente (che intenda contrastare

le pretese erariali), e il giudice (chiamato a decidere sull’impugnazione dell’atto) “sono … in

grado di sapere in base a quali elementi (certi e precisi) si è arrivati a ritenere lo scostamento

e la misura dello stesso”.

Conclusioni analoghe valgono anche nell’ipotesi in cui l’avviso di accertamento sia motivato

senza tener conto delle ragioni addotte dal contribuente in sede di contraddittorio. In

proposito, l’Amministrazione finanziaria109 ha raccomandato agli Uffici locali di tener conto,

nell’avviso di accertamento, “degli eventuali chiarimenti o prove documentali forniti dal

contribuente nel corso del contraddittorio precedentemente svolto”; e la giurisprudenza di

merito110 ha confermato e ribadito “che gli Uffici devono sempre attentamente valutare le

osservazioni formulate dal contribuente e motivare sia l’accoglimento che il rigetto delle

stesse”; “l’obbligo di motivare l’avviso di accertamento viene soddisfatto quando indica i

momenti ricognitivi e logico-deduttivi essenziali”, per cui “si ritiene che il contribuente,

attraverso il contraddittorio che ha preceduto l’avviso e la motivazione dell’accertamento

medesimo, abbia preso cognizione delle ragioni che hanno determinato la rettifica del reddito

dichiarato”.

VI – IL CONTRADDITTORIO: per adeguare i risultati presuntivi alla situazione effettiva

Nel caso di (grave) scostamento tra i risultati dichiarati111 e quelli (fondatamente) ritenuti affidabili

in base agli studi di settore, il contribuente è soggetto all’accertamento presuntivo solo dopo che

107

CTR Torino, 27 marzo 2007, n. 15. 108

CTP Macerata, Sentenza 63/2003. 109

C.A.E. 27/06/2001, n. 65 110

Cfr. per tutte CTP Vercelli, 05/05/2006, n. 44 e CTP La Spezia, 23/04/2005, n. 43 111

“L’(eventuale) adeguamento va effettuato tenendo conto del valore che nell’applicazione GE.RI.CO. viene indicato quale ricavo puntuale. I contribuenti se ritengono che vi sia motivo, possono collocarsi, anche in caso di adeguamento, all’interno dell’intervallo di confidenza” (C.M. 110/E/1999); ma in questo caso “fermo restando che si tratta, comunque, di un ricavo possibile”, l’Amministrazione finanziaria “potrà verificare e, quindi, chiedere al contribuente

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sia stato dato avvio al contraddittorio con l’Ufficio, nel corso del quale l’interessato può

giustificare, non solo con prove documentali, ma anche con ragionamenti presuntivi

(convincenti) le cause della divergenza tra i due risultati112. In effetti, dopo l’invito al contribuente

a comparire, se del caso con l’assistenza di un professionista, si svolgerà il contraddittorio fra le

parti, che, come già rilevato è ormai previsto (anche legislativamente113 ) per tutte le categorie di

contribuenti; esso, com’è stato affermato fin dall’origine dalla Amministrazione finanziaria - “(…)

consente una più fondata e ragionevole “misurazione” del presupposto impositivo (e deve

tener conto) degli elementi di valutazione offerti dal contribuente, soprattutto nella ipotesi in cui

sono applicate metodologie presuntive di accertamento che, sia pure particolarmente affidabili

quale quella degli studi di settore, possono non aver colto la peculiarità dell’attività

concretamente svolta dal contribuente114”.

In esito al contraddittorio si avrà

o l’archiviazione, nelle ipotesi in cui l’Ufficio accolga le ragioni del contribuente;

o la definizione del rapporto tributario mediante accertamento in adesione;

o la notifica dell’avviso di accertamento, se l’Ufficio non ritiene sufficienti le giustificazioni del

contribuente o, comunque, manchi un accordo tra quest’ultimo e il primo.

L’instaurazione del procedimento di “accertamento con adesione” ad iniziativa dello stesso Ufficio

finanziario, ai sensi dell’art. 5 del Dlgs. 218/1997 - ed il conseguente contraddittorio con il

contribuente o chi lo rappresenta – costituisce, dunque, una fase fondamentale per un serio

utilizzo degli studi di settore, dato che consente al primo di far valere l’ipotesi presuntiva e al

secondo di intervenire attivamente nella fase istruttoria, permettendo di passare dai risultati

“teorici” (di tipo matematico-statistico) a quelli che dovrebbero essere i risultati “effettivi” della

specifica impresa (o del professionista).

“Sulla base di elementi di valutazione direttamente acquisiti ovvero forniti dal contribuente in

sede di contraddittorio, gli uffici avranno cura di adeguare il risultato della applicazione degli studi

alla concreta particolare situazione dell’impresa, tenendo anche conto della localizzazione

nell’ambito del territorio comunale non colta dalle elaborazioni dalle quali sono scaturiti gli studi di

settore. Le osservazioni formulate dai contribuenti nel corso del contraddittorio andranno

attentamente valutate motivando sia l’accoglimento che il rigetto delle stesse.”115.

Quanto alla giurisprudenza, la Cassazione116 dopo aver sostenuto, in un primo tempo, che “il

contraddittorio, ed il conseguente diritto al contraddittorio, sorgono soltanto a seguito

dell’impugnazione dell’avviso di accertamento” - in quanto “prima di questo momento la lite

di giustificare per quali motivi abbia ritenuto di adeguarsi ad un livello di ricavi inferiore a quello di riferimento puntuale” (C.M. 148/E/1999). 112

Va precisato che in caso di scostamento, i maggiori ricavi o compensi non rivestono alcuna rilevanza penale, nel senso che non impongono l’obbligo di trasmissione della notizia di reato ai sensi dell’art. 331 c.p.p. 113

Il comma 3-bis dell’attuale art. 10, della L. 146/1998, recita: “Nelle ipotesi di cui al comma 1, l’Ufficio, prima della notifica dell’avviso di accertamento, invita il contribuente a comparire” ai sensi dell’art. 5 del Dlgs 218/1997. 114

C.M. 148/E/1999. 115

Cfr C.M. 110/E/1999, ma nello stesso senso si esprimono tutte le Circolari dell’Agenzia delle Entrate. 116

Cassazione, Sent. 17038/2002.

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fiscale non sussiste (o, a tutto concedere, è meramente eventuale)” - ha successivamente117,

riconosciuto che “lo stesso legislatore dello Statuto del contribuente, nel prevedere all’art. 12, co.

7 (che si pone come norma generale) un tendenziale necessario contraddittorio anticipato

(…), conferma indiscutibilmente l’esigenza che l’accertamento venga calibrato sempre al caso

concreto, sulla base di una conoscenza più approfondita del caso concreto”.

Infine – sempre – la Cassazione118 ha affermato che, in considerazione della natura

amministrativa (ancorché generale) degli studi di settore, gli stessi non “si possono considerare

sufficienti a sostenere (…) l’accertamento di un rapporto giuridico tributario (…), senza che

l’attività istruttoria amministrativa sia completata nel rispetto del principio generale del giusto

procedimento”119; il quale – va detto – è strumento necessario al fine di rispettare il principio di

“capacità contributiva”, che si realizza, in concreto, consentendo al contribuente di motivare le

ragioni dello scostamento tra “ricavi dichiarati” e “ricavi presunti”.

VII – La TUTELA “ANTICIPATA” attraverso l’attestazione e l’asseverazione

1. La tutela “anticipata” del contribuente: l’attestazione e l’asseverazione

L’art. 10, co. 3-ter, della L. 146/1998 prevede che “in caso di mancato adeguamento ai ricavi o

compensi determinati sulla base degli studi di settore, possono essere attestate le cause che

giustificano la non congruità dei ricavi o compensi dichiarati rispetto a quelli derivanti

dall’applicazione degli studi medesimi. Possono essere attestate, altresì, le cause che

giustificano un’incoerenza rispetto agli indici economici individuati dai predetti studi.”

Viene, in tal modo, introdotto l’istituto della attestazione, che consiste nella dichiarazione,

rilasciata (su richiesta del contribuente) da soggetti “abilitati”120, per dare conto che, nel caso

specifico, esistono ragioni obiettive che giustificano il mancato raggiungimento della congruità

ovvero della coerenza. In altre parole, con la attestazione si afferma “dal punto di vista tecnico,

la effettiva ricorrenza di elementi che, così come rappresentati dal contribuente, potrebbero

rendere non ragionevole l’applicazione del meccanismo presuntivo”.121

Altro istituto che presenta finalità simili, ma modalità diverse, è la asseverazione, che consiste

nella dichiarazione, rilasciata sempre da soggetti abilitati (su richiesta del contribuente), della

corrispondenza tra elementi contabili ed extracontabili risultanti dagli studi ed elementi

117

Cassazione, Sent. 15/12/2003, n. 19163. Già con la precedente Sentenza 12/12/2003, n.19062, la Cassazione aveva precisato che gli strumenti presuntivi (come parametri e studi di settore) hanno lo scopo di “consegnare agli uffici finanziari uno strumento agevolato non già persecutorio del contribuente infedele, … finalizzato alla determinazione della reale consistenza del reddito imponibile da lui prodotto, in modo da ragguagliare ad esso l’imposta effettivamente dovuta”. Ed in questo procedimento l’Amministrazione finanziaria è tenuta “al pieno rispetto del principio di capacità contributiva del soggetto d’imposta, posto dall’art. 53 della nostra carta fondamentale, nonché di quello che impone la correttezza dell’azione amministrativa sancito nel successivo art. 97”. 118

Cassazione, Sent. 28/07/2006, n. 17229 119

In altre parole, secondo la Cassazione al contribuente deve essere consentito (ai sensi di quanto previsto dall’art. 12, comma 7, dello Statuto dei diritti del contribuente), “di intervenire già in sede procedimentale amministrativa, prima di essere costretto ad adire il giudice tributario, per vincere la mera praesumptio hominis costituita dagli studi di settore”. In ogni caso se l’Ufficio emette un avviso di accertamento senza procedere al contraddittorio il giudice non potrà che dichiararlo nullo. 120

In particolare: i responsabili dell’assistenza fiscale dei Caf, i soggetti abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni e, limitatamente alla attestazione, anche i dipendenti e funzionari delle associazioni di categoria abilitati alla assistenza tecnica di fronte alle Commissioni tributarie. 121

CAE 38/E/2007.

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emergenti dalle scritture contabili e da altra idonea documentazione; con la precisazione che

essa (l’asseverazione) non deve essere effettuata relativamente ai dati per i quali è necessario

esaminare l’intera documentazione contabile o gran parte di essa (come nel caso della

rilevazione dei fatti la cui rappresentazione è richiesta attraverso l’indicazione di dati espressi

in forma percentuale);o che implicano valutazioni non rilevabili documentalmente e che, come

tali, non possono che essere effettuate dal contribuente (…)”122.

Si può affermare che i due istituti – della attestazione e della asseverazione – forniscono una

sorta di tutela anticipata del contribuente, tanto più che dovranno essere tenute presenti “fin

dal momento della selezione delle posizioni nei cui confronti effettuare l’accertamento basato

sugli studi di settore”123, fatta salva, ovviamente, la possibilità - per l’Amministrazione

finanziaria - di verificare la rispondenza alla realtà di quanto attestato/asseverato124.

Considerato che le modifiche intervenute con la Finanziaria 2007 hanno inciso sensibilmente

sull’incremento delle ipotesi di non congruità (anche derivante dalla non coerenza rispetto ai

“nuovi indicatori”), è ragionevole pensare che l’attestazione e l’asseverazione riceveranno, in

futuro, un significativo impulso, dato che attraverso di esse al contribuente è consentito di

spiegare, fin da subito, le ragioni del mancato raggiungimento del risultato presunto: non solo

nelle ipotesi c.d. di marginalità economica, ma anche “in tutti i casi, ulteriori rispetto a quello

della marginalità economica, in cui esistano elementi idonei a giustificare il mancato

adeguamento ai ricavi o compensi determinati sulla base degli studi di settore” 125.

Al fine di incoraggiare l’utilizzo di tale strumenti deflattivi dell’accertamento da studi di settore,

la stessa Amministrazione finanziaria fornisce un elenco di cause126, aperto ed integrabile -

che possono giustificare lo scostamento e che possono essere “certificate” dai soggetti

abilitati. Il comunicato stampa dell’Agenzia delle Entrate del 28/06/2007 – “Studi di settore:

elenco cause giustificative non congruità per dichiarazione e per attestazioni intermediari” –

individua “tre categorie” di cause che consentono di giustificare; di volta in volta

− la non normalità economica riferibile ai singoli indicatori;

− la marginalità economica;

− le altre condizioni particolari o specifiche che possono rendere non attendibili le risultanze

(…) degli studi.

� Per quanto riguarda le cause giustificative collegate agli indicatori (transitori) di normalità

economica, la loro valenza “attenuata” comporta l’obbligo, da parte degli Uffici accertatori di

addurre altri elementi per poter giustificare un accertamento che si basi su tali indicatori

(trattandosi di una presunzione semplice, non qualificata).

122

Cfr. “Istruzioni, Parte generale”, ai modelli per gli studi di settore 2007. 123

Cfr. CAE 38/E/2007, § 3 124

Con C.A.E. 52/E/2007, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in ordine al sistema sanzionatorio applicabile, a carico degli intermediari abilitati, in caso di rilascio dell’asseverazione in maniera infedele; nonché sulla applicabilità dell’istituto del ravvedimento operoso di cui all’art. 13 del D.Lgs. 472/1997. 125

Cfr. CAE 31/E/2007 e CAE 38/E/2007. 126

L’elenco di riferimento individua “le cause che giustificano la eventuale non congruità rispetto alle risultanze degli studi di settore, anche con riguardo all’applicazione dei nuovi indicatori di normalità, che il contribuente può evidenziare nel campo Annotazioni del modello” degli studi di settore.

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� Per quanto riguarda la marginalità economica, l’Amministrazione finanziaria127 ha chiarito che

tale condizione può essere ricondotta ad “una sorta di sopravvivenza economica, rispetto alla

prospettiva di una lenta ma irreversibile uscita dal mercato”, precisando che “la condizione di

marginalità economica è (…) riferibile, in generale, a tutti gli operatori i quali, per cause

indipendenti (o anche dipendenti) dalla propria volontà non gestiscono l’attività imprenditoriale

secondo logiche di mercato, ponendosi conseguentemente al di fuori del principio di

normalità che sottende l’intero impianto metodologico degli studi di settore”: può trattarsi, ad

es., di

− situazioni riferibili a condizioni soggettive del titolare, quali ad esempio l’età avanzata, o il

suo stato di salute;

− situazioni riferibili all’impresa, quali ad esempio la sua ridotta dimensione o l’assenza di

investimenti;

− situazioni riferibili al mercato, quali ad esempio una clientela privata di fascia

economicamente debole o situazioni di crisi del settore;

− situazioni riferibili alla localizzazione dell’impresa.

� Per quanto riguarda, infine, le altre condizioni particolari o specifiche che possono rendere non

attendibili le risultanze degli studi, il comunicato stampa precisa che si tratta della “descrizione,

in formato libero, delle condizioni particolari o delle specifiche situazioni che hanno connotato

l’esercizio di impresa”, tra le quali sono ricomprese tutte quelle già individuate dalla

precedente prassi amministrativa.

VIII – La TUTELA GIURISDIZIONALE avverso gli accertamenti da studi di settore

Nel caso in cui non siano state fornite preventive “attestazioni” ed “asseverazione”, ed il

contraddittorio con l’Ufficio A.E. abbia avuto esito negativo, al contribuente non congruo, che

voglia tutelare la propria posizione, non resta che ricorrere alla “giustizia tributaria”. Per affrontare

il contenzioso davanti alle Commissioni tributarie, è opportuno avere ben presente non solo la

normativa, la prassi e la giurisprudenza in materia di studi di settore, ma anche le regole sul

processo tributario.

Nella propria difesa avverso la pretesa erariale, il contribuente, dopo aver eccepito – se ne

sussistono le condizioni – eventuali eccezioni “in via pregiudiziale”, può, “in via principale”

• chiedere che venga dichiarata la inammissibilità del metodo accertativo per carenza della

condizione costituita dalle cd. gravi incongruenze, richieste dall’art. 62-sexies del D.L.

331/1993;

• eccepire il difetto di adeguata motivazione (imposto dall’art. 7 della L. 212/2000), laddove

l’avviso di accertamento non indichi in maniera adeguata gli elementi specifici che hanno

condotto alla determinazione dei maggiori ricavi, compensi e corrispettivi e le ragioni per cui

lo scostamento tra i dati dichiarati e quelli presunti integrano le gravi incongruenze;

127

CAE 38/E/2007

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• contestare il difetto di riscontro probatorio, laddove l’Ufficio abbia fondato l’accertamento

sul solo risultato dello studio di settore applicato, senza supportare la relativa presunzione

con ulteriori elementi;

• chiedere che venga disattesa una applicazione “pressoché automatica” del risultato dello

studio in considerazione della situazione specifica del “caso” rispetto al “modello”,

evidenziando la particolarità dell’impresa nel periodo accertato sotto il profilo soggettivo,

oggettivo a causa di fattori contingenti sia personali che oggettivi;

• chiedere, infine, il ridimensionamento della pretesa erariale, ammettendo la riduzione dei

ricavi determinati induttivamente sulla scorta dei costi correlati; e, comunque, che non

vengano applicate la sanzioni, per “mancanza di colpa” (ex art. 5 del D.Lgs. 472/1997).

In questa prospettiva, sarà opportuno che il contribuente si precostituisca, in relazione a ciascun

anno di imposta, le prove – documentali – che attestano le eventuali particolarità della propria

impresa rispetto alle normalità che promanano dallo studio, e, in ogni caso, sarà necessario che il

contribuente (e, soprattutto, chi lo assiste) conosca le norme sugli studi di settore, la prassi

amministrativa che è stata elaborata prima dal Ministero delle Finanze e poi dall’Agenzia delle

Entrate nel corso degli anni, la evoluzione della giurisprudenza; non solo, ma anche le modalità

di formazione degli studi di settore, la rilevanza ed incidenza dei dati di base, le note tecniche che

li accompagnano; e, per finire, le regole che governano il processo tributario, con particolare

riferimento al valore degli indizi, delle presunzioni e delle prove.

IX – CONCLUSIONI

a. Il grandissimo numero di operatori economici, spesso di dimensione minima, rende

pressoché indispensabile l’introduzione, nella legislazione tributaria, di strumenti di

accertamento presuntivo, destinati a facilitare la attività degli Uffici finanziari.

Dato che, però, solo l’accertamento analitico garantisce alle imprese e ai professionisti -

obbligati alla tenuta della contabilità - una imposizione in ragione della propria “capacità

contributiva”, va criticata la scelta del Legislatore di assoggettare ad accertamento in base a

“studi di settore” anche categorie di contribuenti che non sono compatibili con i presupposti di

tale metodo di accertamento: anche perché si fa perdere credibilità ad uno strumento (gli

studi di settore) che è nato e può “funzionare” per le imprese commerciali di minori

dimensioni, ma che risulta inadatto per le imprese di maggiori dimensioni128 e per i soggetti

(imprese e, a maggior ragione, professionisti) che prestano servizi (disomogenei per

definizione).

b. L’obiettivo di ridurre “la possibilità di eludere”, dovuta al fatto che - com'è stato autorevolmente

affermato129 - “i dati dimostrano che in questi anni è stata data la patente di onestà fiscale a

chi forse non la meritava del tutto” potrebbe, forse, essere perseguito meglio di quanto non

possa fare una continua evoluzione normativa, attraverso una più meditata rivisitazione delle

128

Adeguatamente strutturate e dotate di una contabilità corretta che per di più – ai fini statistici – non consentono aggregazioni significative. 129

Dal Direttore della Agenzia delle Entrate, dott. Massimo Romano: fr. Comunicato stampa del 20/06/2007.

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modalità di accertamento, che tenga conto della esperienza maturata nel corso degli ultimi

anni, e che rivaluti l’importanza dell’accertamento analitico (maggiormente aderente al

principio costituzionale di capacità contributiva) basato sulle scritture contabili, laddove il

relativo obbligo possa garantirne l’attendibilità; e, se del caso, di quello sintetico (in capo alle

persone fisiche destinatarie finali del reddito delle imprese, anche collettive).

c. Una soluzione di compromesso “virtuoso” potrebbe consistere nella diversificazione delle

modalità di accertamento, in modo da limitare l’utilizzo degli studi di settore a quelle posizioni

che siano suscettibili di essere “misurate” da tale strumento, sempre, però, tenendo conto che

si tratta di risultati solo probabili, che debbono essere confrontati “sul campo” attraverso il

contraddittorio con il contribuente. Avuto riguardo anche alle ultime novità in materia di D. di

L. sulla Finanziaria 2008130 che vuole istituire un regime tributario speciale per i contribuenti

minimi, si potrebbe avere

• una tassazione forfettaria per più della metà dei “soggetti Iva”, ossia di quei soggetti

dotati di una struttura minimale con circa 30 mila euro di “compensi/ricavi” all’anno,

• l’utilizzo degli studi di settore nei confronti di quel terzo dei “soggetti Iva” che consegue

ricavi compresi fra i 30 mila e i 500 mila euro (previe aggregazioni statistiche e valori medi

significativi), con l’esclusione delle imprese che prestano servizi o producono beni

specifici (da definire con chiarezza) e, ovviamente, dei professionisti e degli artisti;

• una tassazione analitica nei confronti delle altre imprese e dei professionisti (e artisti) cui

è imposto l’obbligo delle corretta tenuta delle scritture contabili: quantitativamente un

sesto dei soggetti tassati su base contabile, ma con un valore aggiunto pari a tre quarti

dell’”Azienda Italia”).

d. Gli studi di settore costituiscono uno strumento matematico-statistico utile per individuare dei

risultati possibili, probabili, ma quasi mai reali e mai effettivi. L’utilizzo degli studi di settore

può portare a risultati “accettabili” solo se funzionale ad un accertamento “concordato” con il

contribuente, nel rispetto del principio del contraddittorio, il quale deve assumere rilievo

sostanziale e non solo formale, per cui deve essere dato potere e responsabilità ai dirigenti e

funzionari della Amministrazione finanziaria di riconoscere “congrui” tutti i ricavi/compensi e

corrispettivi (dichiarati) che si collocano nell’ambito dell’“intervallo di confidenza” (anche senza

raggiungere il “ricavo puntuale”)131; e di dare rilievo132, oltre che alle prove documentali, anche

agli argomenti “logici” addotti dal contribuente (e da chi lo assiste). E’ necessario, infatti, che

durante lo svolgimento del contraddittorio (anticipato rispetto all’emissione dell’avviso di

accertamento) venga garantito in concreto quanto raccomandato – da sempre - dall’Agenzia

delle Entrate in ordine ad una adeguata flessibilità nella valutazione dei fatti.

130

Schema di D. di L. recante “Disposizioni in materia di entrate” approvato dal Consiglio dei Ministeri il 28 settembre 2007 e trasmesso alla Presidenza del Senato il 1° ottobre 2007 131

Perché tale dato rappresenta un risultato economico verosimile, come riconosciuto di recente dalla stessa Amministrazione finanziaria, quando con Circ. A.E. 31/E/2007, ha ammesso per la prima volta che non qualsiasi scostamento integra le gravi incongruenze prescritte (come presupposto legale) per l’accertamento in base a studi di settore. 132

Non solo a livello centrale nelle Circolari dell’Agenzia delle Entrate ma anche e soprattutto negli Uffici locali che procedono all’accertamento.

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e. Gli studi di settore costituiscono un importante ausilio in sede di accertamento, ma non

possono (da soli e in assenza di altri elementi) fondare un valido “atto impositivo”: altrimenti si

rischia di trasformarli da strumento di accertamento dei ricavi/compensi corrispettivi (e del

reddito) in strumento (seppure indiretto) di determinazione degli imponibili (ai fini Irpef, Irap e

Iva), in violazione del principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53 della Costituzione.

f. L’art. 62-sexies che costituisce tuttora la norma base sugli studi di settore, stabilisce che

l’accertamento analitico (nel quale, quindi, la regolare tenuta della contabilità continua ad

assumere rilevanza decisiva) con poste presuntive133 può essere operato solo se esistono

gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi:

una condizione “di accesso” chiara, che prevale sulla “ambiguità” legislativa sulla natura delle

presunzioni che sono (ex lege) semplici e che diventano “qualificate” attraverso l’attività

dell’Ufficio diretta a individuare le divergenze “specifiche” fra il modello di riferimento e la

situazione da verificare, sia in termini quantitativi (congruità) che qualitativi (coerenza): in

modo da accertare, se del caso, che sussistono le gravi incongruenze (fra dati dichiarati e

dati presunti) pretesi dalla legge e che il “modello” utilizzato è “idoneo” per appurare i dati

“veri” che la contabilità (pur formalmente corretta) non riporta.

Solo così viene rispettato il principio di “capacità contributiva” di cui all’art. 53, nel contesto

degli altri tre principi costituzionali di cui all’art. 3 (certezza), all’art. 23 (riserva di legge) e

all’art. 97 (buon andamento dell’azione amministrativa): così come vuole lo Statuto dei diritti

del contribuente.

133

Induttive di cui all’art. 39, co. 1, lett. d), del D.P.R. 600/1973 e all’art. 54 del D.P.R. 633/1972,

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X – APPENDICE LE PRINCIPALI FONTI LEGISLATIVE

A) Art. 39, 1°, co., lett. d), del D.P.R. 29/09/1973, n.600 e art. 54, del D.P.R. 26/10/1972, n. 633

B) D.L. 30/08/1993, n. 331, conv. dalla L. 29/10/1993, n. 427

•••• Art. 62- bis Testo in vigore dal 15/05/1998 (a seguito della modifica recata dall’art. 10, co. 11, della L. 08/05/1998 n. 146) 1. Gli uffici del Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze, sentite le associazioni professionali e di categoria, elaborano, entro il 31 dicembre 1996, in relazione ai vari settori economici, appositi studi di settore al fine di rendere più efficace l'azione accertatrice e di consentire una più articolata determinazione dei coefficenti presuntivi di cui all'articolo 11 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 aprile 1989, n. 154, e successive modificazioni. A tal fine gli stessi uffici identificano campioni significativi di contribuenti appartenenti ai medesimi settori da sottoporre a controllo allo scopo di individuare elementi caratterizzanti l'attività esercitata. Gli studi di settore sono approvati con decreti del Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 dicembre 1995, possono essere soggetti a revisione ed hanno validità ai fini dell'accertamento a decorrere dal periodo di imposta 1995. • Estratto dell’art. 62 – sexies (comma 3)

Attività di accertamento nei riguardi dei contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili Testo in vigore del 25/04/2001 (a seguito della modifica recata dall’art. 23, del D.P.R. 26/03/2001, n. 107) 3. Gli accertamenti di cui agli articoli 39, primo comma, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, e 54 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull'esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell'articolo 62-bis del presente decreto. C) L. 08/05/1998, n. 146 • Estratto dell’art 10 – Modalità di utilizzazione degli studi di settore in sede di accertamento. Testo in vigore dal 01/01/2007 (a seguito della modifica recata dall’art. 1, commi da 13 a 27 della L. 27/12/2006, n. 296, c.d. Finanziaria 2007) 1. Gli accertamenti basati sugli studi di settore, di cui all'articolo 62-sexies del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, sono effettuati nei confronti dei contribuenti con le modalità di cui al presente articolo qualora l'ammontare dei ricavi o compensi dichiarati risulta inferiore all'ammontare dei ricavi o compensi determinabili sulla base degli studi stessi. 2.(Comma abrogato) 3.(Comma abrogato) 3-bis. Nelle ipotesi di cui al comma 1 l'ufficio, prima della notifica dell'avviso di accertamento, invita il contribuente a comparire, ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218. 3-ter. In caso di mancato adeguamento ai ricavi o compensi determinati sulla base degli studi di settore, possono essere attestate le cause che giustificano la non congruità dei ricavi o compensi dichiarati rispetto a quelli derivanti dall'applicazione degli studi medesimi. Possono essere attestate, altresì, le cause che giustificano un'incoerenza rispetto agli indici economici individuati dai predetti studi. Tale attestazione è rilasciata, su richiesta dei contribuenti, dai soggetti indicati alle lettere a) e b) del comma 3 dell'articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni, dai responsabili dell'assistenza fiscale dei centri costituiti dai soggetti di cui alle lettere a), b) e c) dell'articolo 32, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e dai dipendenti e funzionari delle associazioni di categoria abilitati all'assistenza tecnica di cui all'articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546. 4. La disposizione del comma 1 del presente articolo non si applica nei confronti dei contribuenti a) che hanno dichiarato ricavi di cui all'articolo 85, comma 1, esclusi quelli di cui alle lettere c), d) ed e), o compensi di cui all'articolo 54, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, di ammontare superiore al limite stabilito per ciascuno studio di settore dal relativo decreto di approvazione del Ministro

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dell'economia e delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale. Tale limite non può, comunque, essere superiore a 7,5 milioni di euro; b) che hanno iniziato o cessato l'attività' nel periodo l'imposta. La disposizione di cui al comma 1 si applica comunque in caso di cessazione e inizio dell'attività, da parte dello stesso soggetto, entro sei mesi dalla data di cessazione, nonché quando l'attività costituisce mera prosecuzione di attività svolte da altri soggetti; c) che si trovano in un periodo di non normale svolgimento dell'attività. 4-bis. Le rettifiche sulla base di presunzioni semplici di cui all'articolo 39, primo comma, lettera d), secondo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all'articolo 54, secondo comma, ultimo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, non possono essere effettuate nei confronti dei contribuenti che dichiarino, anche per effetto dell'adeguamento, ricavi o compensi pari o superiori al livello della congruità, ai fini dell'applicazione degli studi di settore di cui all'articolo 62-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, tenuto altresì' conto dei valori di coerenza risultanti dagli specifici indicatori, di cui all'articolo 10-bis, comma 2, della presente legge, qualora l'ammontare delle attività non dichiarate, con un massimo di 50.000 euro, sia pari o inferiore al 40 per cento dei ricavi o compensi dichiarati. Ai fini dell'applicazione della presente disposizione, per attività, ricavi o compensi si intendono quelli indicati al comma 4, lettera a). In caso di rettifica, nella motivazione dell'atto devono essere evidenziate le ragioni che inducono l'ufficio a disattendere le risultanze degli studi di settore in quanto inadeguate a stimare correttamente il volume di ricavi o compensi potenzialmente ascrivibili al contribuente. La presente disposizione si applica a condizione che non siano irrogabili le sanzioni di cui ai commi 2-bis e 4-bis rispettivamente degli articoli 1 e 5 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, nonché al comma 2-bis dell'articolo 32 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446. • Art. 10-bis. Modalità di revisione ed aggiornamento degli studi di settore Testo in vigore dal 01/01/2007 (articolo aggiunto, inserito nella L. 146/1998, con l’art. 1, comma 13, della L. 27/12/2006, n. 296, c.d. Finanziaria 2007) 1.Gli studi di settore previsti dall’art. 62-bis del D.L. 331/1993 convertito, con modificazioni, dalla L. 427/1993, e successive modificazioni, sono soggetti a revisione, al massimo, ogni tre anni dalla data di entrata in vigore dello studio di settore ovvero da quella dell’ultima revisione, sentito il parere della commissione di esperti di cui all’art. 10, comma 7. Nella fase di revisione degli studi di settore si tiene anche conto dei dati e delle statistiche ufficiali, quali quelli di contabilità nazionale, al fine di mantenere nel medio periodo, la rappresentatività degli stessi rispetto alla realtà economica cui si riferiscono. La revisione degli studi di settore è programmata con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate da emanare entro il mese di febbraio di ciascun anno. 2. Ai fini della elaborazione e revisione degli studi di settore si tiene anche conto di valori di coerenza, risultanti da specifici indicatori definiti da ciascuno studio, rispetto a comportamenti considerati normali per il relativo settore economico. D) D.P.R. 31/05/1999, N. 195

Art. 1 Applicazione degli studi di settore Testo in vigore dal 09/07/1999 1. Le disposizioni previste nell'articolo 10, commi da 1 a 6, della legge 8 maggio 1998, n. 146, si applicano a partire dagli accertamenti relativi al periodo d'imposta nel quale entrano in vigore gli studi di settore. Tali disposizioni si applicano anche nel caso in cui gli studi di settore siano pubblicati nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 marzo del periodo d'imposta successivo a quello di entrata in vigore. 2. Le disposizioni di cui all'articolo 10, comma 8, della citata legge n. 146 del 1998, si applicano a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello di entrata in vigore degli studi. Art. 2 Adeguamento alle risultanze degli studi di settore Testo in vigore dal 01/01/2005 (a seguito della modifica recata dall’art. 1, della L. 30/12/2004 n. 311) 1. Per i periodi d'imposta in cui trova applicazione lo studio di settore, ovvero le modifiche conseguenti alla revisione del medesimo, non si applicano sanzioni e interessi nei confronti dei contribuenti che indicano nelle dichiarazioni di cui all'articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, e successive modificazioni, ricavi o compensi non annotati nelle scritture contabili per adeguare gli stessi, anche ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive, a quelli derivanti dall'applicazione dei predetti studi di settore. 2. Per i medesimi periodi d'imposta di cui al comma 1, l'adeguamento al volume di affari risultante dalla applicazione degli studi di settore operato, ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, senza applicazione di

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sanzioni e interessi, effettuando il versamento della relativa imposta entro il termine del versamento a saldo dell'imposta sul reddito; i maggiori corrispettivi devono essere annotati, entro il suddetto termine, in un'apposita sezione dei registri di cui agli articoli 23 e 24 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, e riportati nella dichiarazione annuale. 2-bis. L'adeguamento di cui ai commi 1 e 2 è effettuato, per i periodi d'imposta diversi da quello in cui trova applicazione per la prima volta lo studio, ovvero le modifiche conseguenti alla revisione del medesimo, a condizione che sia versata, entro il termine per il versamento a saldo dell'imposta sul reddito, una maggiorazione del 3 per cento, calcolata sulla differenza tra ricavi o compensi derivanti dall'applicazione degli studi e quelli annotati nelle scritture contabili. La maggiorazione non è dovuta se la predetta differenza non è superiore al 10 per cento dei ricavi o compensi annotati nelle scritture contabili. Art. 3 Comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore Testo in vigore dal 09/07/1999 1. Con i decreti di approvazione degli studi di settore sono stabiliti i termini e le modalità con cui i contribuenti comunicano all'amministrazione finanziaria i dati rilevanti ai fini dell'applicazione e della regione degli studi stessi”. E) L. 21/11/2000, n. 342

“Art. 70 Disposizioni riguardanti l'accertamento basato sugli studi di settore e l'accertamento basato sui parametri. Testo in vigore dal 01/01/2005 (a seguito della modifica recata dall’art. 1, della L 30/12/2004 n. 311) 1. Gli accertamenti basati sugli studi di settore di cui all'articolo 10, concernente modalità di utilizzazione degli studi di settore, della legge 8 maggio 1998, n. 146, recante disposizioni per la semplificazione e la razionalizzazione del sistema tributario e per il funzionamento dell'amministrazione finanziaria, nonché disposizioni varie di carattere 0finanziario, e successive modificazioni, sono effettuati senza pregiudizio dell'ulteriore azione accertatrice con riferimento alle medesime o alle altre categorie reddituali nonché con riferimento ad ulteriori operazioni rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto. 2. L'intervenuta definizione, ai sensi degli articoli 2 e 15 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, recante disposizioni in materia di accertamento con adesione e di conciliazione giudiziale, degli accertamenti basati sugli studi di settore di cui al comma 1 non esclude l'esercizio dell'ulteriore azione accertatrice con riferimento alle categorie reddituali oggetto di adesione, indipendentemente dalla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi e dai limiti previsti dall'articolo 2, comma 4, lettera a), del citato decreto legislativo n. 218 del 1997. 3. La disposizione di cui al comma 2 si applica anche in caso di intervenuta definizione degli accertamenti basati sui parametri previsti dall'articolo 3, commi 181 e 184, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, relativi al periodo d'imposta 1998 e ai successivi. Art. 71 Adeguamento alle risultanze degli studi di settore Testo in vigore dal 10/12/2000 1. Per il secondo periodo d'imposta in cui trovano applicazione gli studi di settore, approvati con decreti del Ministro delle finanze del 30 marzo 1999, pubblicati nei supplementi ordinari n. 61 e n. 62 alla Gazzetta Ufficiale n. 75 del 31 marzo 1999, non si applicano sanzioni e interessi nei confronti dei contribuenti che indicano nella dichiarazione dei redditi ricavi, non annotati nelle scritture contabili, per adeguarli a quelli derivanti dall'applicazione dei predetti studi di settore. 2. Per il secondo periodo d'imposta in cui trovano applicazione gli studi di settore approvati con i decreti del Ministro delle finanze del 30 marzo 1999, di cui al comma 1, l'adeguamento al volume di affari risultante dall'applicazione degli studi di settore può essere operato, ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, senza applicazione di sanzioni e interessi, effettuando il versamento della relativa imposta entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi.” F) D.M. 20/03/2001 Approvazione di 11 studi di settore relativi ad attività professionali134 Art. 1 Approvazione degli studi di settore Testo in vigore dal 31/03/2001 1. Sono approvati, in base all'articolo 62-bis del decreto legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993 n. 427, gli studi di settore relativi alle seguenti attività: a) Studio di settore SK01U - Attività degli studi notarili, codice di attività 74.11.2135;

134 Successivi decreti hanno approvato studi di settore relativi ad altre attività professionali: il relativo elenco è reperibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate

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b) Studio di settore SK02U - Studi di ingegneria, codice di attività 74.20.2;136 c) Studio di settore SK03U - Attività tecniche svolte da geometri, codice di attività 4.20.A;137 d) Studio di settore SK04U - Attività degli studi legali, codice di attività 74.11.1;138 e) Studio di settore SK05U - Servizi in materia di contabilità, consulenza societaria, incarichi giudiziari, consulenza fiscale, forniti da dottori commercialisti, codice di attività 74.12.A; Servizi in materia di contabilità, consulenza societaria, incarichi giudiziari, consulenza fiscale, forniti da ragionieri e periti commerciali, codice di attività 74.12.B; Consulenze del lavoro, codice di attività 74.14.2;139 f) Studio di settore SK08U - Attività tecniche svolte da disegnatori, codice di attività 74.20.C;140 g) Studio di settore SK16U - Amministrazione e gestione di beni immobili per conto terzi, codice attività 70.32.0;141 h) Studio di settore SK17U - Attività tecniche svolte da periti industriali, codice di attività 74.20.B;142 i) Studio di settore SK18U - Studi di architettura, codice di attività 74.20.1;143 j) Studio di settore SK20U - Attività professionale svolta da psicologi, codice attività 85.32.B;144 k) Studio di settore SK21U - Servizi degli studi odontoiatrici, codice di attività 85.13.0.145 2. Gli elementi necessari alla definizione presuntiva dei compensi o dei ricavi relativi agli studi di settore indicati nel comma 1 sono determinati sulla base della nota tecnica e metodologica, delle tabelle dei coefficienti nonché della lista delle variabili per l'applicazione dello studio, di cui agli allegati: per lo studio di settore SK 01 U; per lo studio di settore SK 02 U; per lo studio di settore SK 03 U; per lo studio di settore SK 04 U; per lo studio di settore SK 05 U; per lo studio di settore SK 08 U; per lo studio di settore SK 16 U; per lo studio di settore SK 17 U; per lo studio di settore SK 18 U; per lo studio di settore SK 20 U; per lo studio di settore SK 21 U. 4. Il programma per l'applicazione dello studio di settore segnala anche, con riferimento ad indici significativi, la coerenza economica rispetto ai valori minimi e massimi assumibili con riferimento a comportamenti normali degli operatori del settore. 5. Gli studi di settore si applicano ai contribuenti esercenti arti e professioni ovvero esercenti attività di impresa, che svolgono in maniera prevalente le attività indicate nel comma 1. Gli studi di settore si applicano, altresì, ai contribuenti esercenti attività di impresa che svolgono le predette attività in maniera secondaria per le quali abbiano tenuto annotazione separata. In caso di esercizio di più attività d'impresa, per le quali non è stata tenuta la annotazione separata, ovvero in caso di più attività professionali per attività prevalente si intende quella da cui deriva nel periodo d'imposta la maggiore entità, rispettivamente, dei ricavi o dei compensi. 6. Gli studi di settore approvati con il presente decreto sono utilizzabili a partire dal periodo di imposta 2000. Art. 2 Modalità di applicazione degli studi di settore Testo in vigore dal 31/03/2001 1. In via sperimentale, i compensi e i ricavi nonché gli indici di coerenza economica, risultanti dall'applicazione degli studi di settore approvati con il presente decreto, sono utilizzati come criteri selettivi per la scelta delle posizioni da sottoporre a controllo con le ordinarie metodologie. I contribuenti che dichiarano compensi o ricavi di ammontare non inferiore a quello risultante dai predetti studi di settore non sono assoggettabili ad accertamento in base all'articolo 10 della legge 8 maggio 1998, n. 146, sulla base dei maggiori compensi o ricavi determinati a seguito della revisione degli studi stessi. 135 Evoluto in TK01U – Definitivo (D.M. 20/03/2007) 136 Evoluto in TK02U – Monitorato (D.M. 20/03/2007) 137 Evoluto in UK03U – Monitorato (D.M. 20/03/2007) 138 Evoluto in UK04U – Monitorato (D.M. 20/03/2007) 139 Evoluto in UK05U – Monitorato (D.M. 20/03/2007) 140 Evoluto in TK08U – Definitivo (D.M. 20/03/2007) 141 Evoluto in TK16U – Definitivo (D.M. 20/03/2007) 142 Evoluto in TK17U – Monitorato (D.M. 20/03/2007) 143 Evoluto in UK18U – Monitorato (D.M. 20/03/2007) 144 Evoluto in TK20U – Definitivo (D.M. 20/03/2007) 145 Evoluto in UK21U – Definitivo (D.M. 20/03/2007)

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Art. 3 Categorie di contribuenti alle quali non si applicano gli studi di settore Testo in vigore dal 31/03/2001 1. Gli studi di settore approvati con il presente decreto non si applicano nei confronti dei contribuenti che hanno dichiarato compensi di cui all'articolo 50, comma 1, ovvero ricavi di cui all'articolo 53, comma 1, esclusi quelli di cui alla lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, di ammontare superiore a 10 miliardi di lire. Art. 4 Variabili delle attività professionali o delle imprese Testo in vigore dal 31/03/2001 1. La determinazione dei valori da attribuire alle variabili da utilizzare per l'applicazione degli studi di settore approvati con il presente decreto è effettuata sulla base delle istruzioni per la compilazione dei relativi questionari approvate con i decreti ministeriali 18 aprile 1997, 5 dicembre 1997, 10 febbraio 1998 e 10 agosto 1998, tenuto conto di quanto precisato in quelle per la compilazione delle dichiarazioni di cui all'articolo 6, comma 1 del presente decreto. Art.5 Determinazione del reddito imponibile Testo in vigore dal 31/03/2001 1. Sulla base degli studi di settore sono determinati presuntivamente i compensi di cui all'articolo 50, comma 1, ovvero i ricavi di cui all'articolo 53, ad esclusione di quelli previsti dalle lettere c) e d) del comma 1, dello stesso articolo del testo unico delle imposte sui redditi. 2. Ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo l'ammontare dei compensi di cui al comma 1 è aumentato degli altri componenti positivi, compresi i proventi e gli interessi moratori e dilatori di cui all'articolo 6, comma 2, del menzionato testo unico, ed è ridotto dei componenti negativi deducibili. Ai fini della determinazione degli importi relativi alle voci e alle variabili di cui all'articolo 4 del presente decreto devono essere considerate le spese sostenute nell'esercizio dell'attività anche se non dedotte in sede di dichiarazione dei redditi. 3. Ai fini della determinazione del reddito d'impresa l'ammontare dei ricavi di cui al comma 1 è aumentato degli altri componenti positivi, compresi i ricavi di cui all'articolo 53, comma 1, lettera c) e d), del menzionato testo unico, ed è ridotto dei componenti negativi deducibili. Ai fini della determinazione degli importi relativi alle voci e alle variabili di cui all'articolo 4 devono essere considerati i componenti negativi inerenti all'esercizio dell'attività anche se non dedotti in sede di dichiarazione dei redditi. 4. Per le imprese che eseguono opere, forniture e servizi pattuiti come oggetto unitario e con tempo di esecuzione ultrannuale i ricavi dichiarati, da confrontare con quelli presunti in base agli studi di settore, vanno aumentati delle rimanenze finali e diminuiti delle esistenze iniziali valutate ai sensi dell'articolo 60, commi da 1 a 4, del testo unico delle imposte sui redditi. Art. 6 (Comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi di settore) Testo in vigore dal 31/03/2001 1. I contribuenti ai quali si applicano gli studi di settore comunicano, in sede di dichiarazione dei redditi, i dati rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi stessi. (…) G) Decreto MEF 20/03/2007 Titolo del provvedimento: Approvazione di specifici indicatori di normalità economica, idonei all'individuazione di ricavi, compensi e corrispettivi fondatamente attribuibili al contribuente in relazione alle caratteristiche e alle condizioni di esercizio della specifica attività svolta. Art. 4 Determinazione dei ricavi e compensi derivanti dall’applicazione degli indicatori di normalità economica Testo in vigore dal 13/07/2007 (a seguito della modifica apportata con Decreto MEF del 04/07/2007, art. 1) 1.Gli indicatori di normalità economica, approvati con il presente decreto, sono utilizzati per la determinazione dei ricavi o compensi derivanti dall'applicazione degli studi di settore di cui all'art. 62-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito con modificazioni dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, sia ai fini degli accertamenti di cui all'art. 10 della legge 8 maggio 1998, n.146, che ai fini dell'adeguamento alle risultanze degli studi di settore, previsto dall'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1999, n. 195.

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1-bis. Gli accertamenti di cui all'art. 10 della legge 8 maggio 1998, n. 146, non possono essere effettuati nei confronti dei contribuenti che dichiarano, anche per effetto dell'adeguamento di cui al comma 1, ricavi o compensi in misura non inferiore al livello minimo risultante dalla applicazione degli studi di settore che tengono conto degli indicatori di normalità economica approvati con il presente decreto o, se di ammontare più elevato, al livello puntuale di riferimento risultante dalla applicazione degli studi di settore senza tenere conto degli indicatori medesimi. 1-ter. Ai fini dell'applicazione dell'art. 10, comma 4-bis, della legge 8 maggio 1998, n. 146, il livello della congruità coincide con il livello minimo di ricavi o compensi risultante dalla applicazione degli studi di settore che tengono conto degli indicatori di normalità economica approvati con il presente decreto o, se di ammontare più elevato, con il livello puntuale di riferimento risultante dalla applicazione degli studi di settore senza tenere conto degli indicatori medesimi. 2. Gli indicatori di normalità economica, approvati con il presente decreto, sono altresì utilizzati per la determinazione dei ricavi o compensi minimi di riferimento di cui all'art. 14 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, dopo aver normalizzato la posizione del contribuente ai sensi del comma 2 dello stesso art. 14. H) D.L. 02/07/2007, n. 81, conv. dalla L. 03/08/2007, n. 127

Estratto dell’art. 15 - Destinazione di risorse ed altri interventi urgenti Testo in vigore dal 18/08/2007 (a seguito della modifica recata dalla L. del 03/08/2007 n. 127) 3-bis. Dopo il comma 14 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono inseriti i seguenti: 14-bis. Gli indicatori di normalità economica di cui al comma 14, approvati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, hanno natura sperimentale e i maggiori ricavi, compensi o corrispettivi da essi desumibili costituiscono presunzioni semplici. 14-ter. I contribuenti che dichiarano un ammontare di ricavi, compensi o corrispettivi inferiori rispetto a quelli desumibili dagli indicatori di cui al comma 14-bis non sono soggetti ad accertamenti automatici e in caso di accertamento spetta all'ufficio accertatore motivare e fornire elementi di prova per gli scostamenti riscontrati".

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PRASSI E GIURISPRUDENZA PIÙ RILEVANTI

Di seguito si riporta la prassi e la giurisprudenza ritenute particolarmente significative, con l’indicazione di alcuni estratti.

1. La Prassi amministrativa più rilevante

� C.M. 21/05/1999, N. 110 Studi di settore. Modalità di applicazione. 1. Premessa. L'articolo 62-bis del decreto legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito,con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, ha previsto l'elaborazione, entro il 31 dicembre 1995, di appositi studi di settore in relazione ai vari settori economici da parte degli uffici del Dipartimento delle Entrate del Ministero delle finanze, sentite le associazioni professionali e di categoria. (…) Gli studi di settore si pongono l'obiettivo di individuare le condizioni effettive di operatività delle imprese e di determinare i ricavi e i compensi che con ragionevole probabilità possono essere attribuiti ai contribuenti, attraverso la rilevazione delle caratteristiche "strutturali" di ogni specifica attività economica, realizzata mediante la raccolta sistematica di dati di carattere fiscale e di elementi che caratterizzano l'attività e il contesto economico in cui la medesima si svolge. A tal fine, i predetti studi sono stati realizzati rilevando per ogni singola attività economica le relazioni esistenti tra le variabili contabili e quelle strutturali, sia interne che esterne all'azienda. 2.Vantaggi ed opportunità degli studi di settore.(…) Ulteriore caratteristica degli studi è che sono destinati a rappresentare un importante riferimento ai fini dell'attività di controllo, pur necessitando di essere aggiornati e affinati sistematicamente per tenere conto della variazione del mercato e dei processi produttivi. L'utilizzo di questo strumento produce vantaggi anche per il contribuente, in quanto potrà costituire un riferimento prezioso per gli imprenditori ai fini della verifica della propria efficienza produttiva e del miglioramento della propria capacità di competere nel mercato, fornendo criteri per orientarli nelle scelte aziendali. La mole di informazioni rilevate ai fini fiscali per l'elaborazione degli studi di settore costituisce, infatti, un patrimonio che potrà essere utilizzato, oltre che a fini fiscali, anche per effettuare analisi di tipo gestionale. 3. Come sono stati elaborati gli studi di settore. Con gli studi di settore viene superata la modalità di controllo di ricavi o compensi basata esclusivamente su dati contabili. Gli studi, infatti, consentono di determinare i ricavi o compensi che con più probabilità possono essere attribuiti al contribuente, individuando non solo la capacità potenziale di produrre ricavi, ma anche i fattori interni ed esterni all'azienda che possono determinare una limitazione della capacità stessa (orari di attività, situazioni di mercato, ecc.). In concreto, gli studi di settore sono realizzati rilevando, per ogni singola attività economica, le relazioni esistenti tra le variabili contabili e quelle strutturali, sia interne (il processo produttivo, l'area di vendita, ecc.) che esterne all'azienda (l'andamento della domanda, il livello dei prezzi, la concorrenza). Vengono, inoltre, rilevate le diverse fasi dell'attività in modo da individuare le possibili ragioni degli eventuali scostamenti tra i ricavi risultanti dallo studio e quelli dichiarati. Gli studi di settore, infine, tengono conto delle caratteristiche dell'area territoriale in cui opera l'azienda: il livello dei prezzi, le condizioni e le modalità operative, le infrastrutture esistenti e utilizzabili, la capacità di spesa, la tipologia dei fabbisogni. La capacità di attrazione e la domanda indotta dipendono infatti dal luogo ove la specifica attività è collocata.(…) 5.Risultati dell'applicazione degli studi di settore.(…) L'applicazione denominata GE.RI.CO fornisce indicazioni in ordine: - alla congruità dei ricavi dichiarati; - alla coerenza dei principali indicatori economici (ad esempio la produttività per addetto, la rotazione del magazzino) che caratterizzano l'attività svolta dal contribuente, rispetto ai valori minimi e massimi assumibili con riferimento a comportamenti normali degli operatori del settore che svolgono l'attività con analoghe caratteristiche. La valutazione della correttezza dei comportamenti del contribuente dipende quindi da valutazioni che involgono l'esame di entrambi gli aspetti.

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In particolare, le anomalie riscontrate negli indici di coerenza potranno essere utilizzate per la selezione delle posizioni da sottoporre a controllo, pur in presenza di ricavi congrui rispetto a quelli presunti sulla base degli studi di settore. Ovviamente detti controlli potranno essere effettuati utilizzando anche metodi di accertamento diversi da quello basato su detti studi di settore. Con riferimento a tali anomalie l'ufficio dovrà verificare se la mancata coerenza derivi da anomali comportamenti fiscali ovvero da insufficienze produttive dell'azienda. Qualora, in base alle verifiche effettuate, emergano, ad esempio, componenti di costo non contabilizzate che risultano rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi di settore, si potrà procedere ad accertamento in base a tale strumento, tenendo conto dei ricavi presunti che derivano dalla considerazione di tali nuovi elementi.”

� C.M. 05/07/1999, N. 148 Risposte ai quesiti concernenti gli studi di settore 5.1.Adeguamento dei ricavi alle risultanze degli studi di settore. “In sede di controllo dell’applicazione degli studi di settore l’Amministrazione finanziaria: nel primo caso (adeguamento al ricavo di riferimento puntuale) considererà corretta la posizione del contribuente e potrà procedere ad accertamento sulla base degli studi di settore solo nei casi in cui sulla base di elementi documentali sarà in grado di rettificare i dati presi a base per l’applicazione degli studi di settore; in caso di adeguamento all’interno dell’intervallo tra ricavo minimo e ricavo congruo, fermo restando che si tratta, comunque, di un ricavo “possibile”, potrà verificare e quindi chiedere al contribuente di giustificare per quali motivi abbia ritenuto di adeguarsi ad un livello di ricavi inferiore a quello di riferimento puntuale”. � CIRCOLARE Comando generale della GDF 29/11/1999, PROT. 386000 “In sostanza, tali strumenti statistici evoluti permettono di determinare i ricavi di gestione che, con maggiore probabilità e grado di approssimazione al vero, possono essere attribuiti ai singoli contribuenti sulla base delle caratteristiche strutturali di ogni specifica attività economica, sia interne … che esterne …. La suddetta procedura di calcolo è alla base del programma informatico “GE.RI.CO.” (GEstione dei RIcavi o Compensi), che determina, per ogni contribuente: − il “ricavo di riferimento puntuale”, che può essere presuntivamente accertato in relazione ai fattori

interni ed esterni dell’impresa considerata; − l’“intervallo di confidenza”, ossia il margine di oscillazione tecnicamente ammesso fino alla soglia

del ricavo minimo, oltre la quale lo scostamento tra il dato contabile e quello reale non è giustificabile”.

� C.M. 08/06/2000, N. 121/E Studi di settore. � C.A.E. 14/03/2001, N. 25 Attività di accertamento sulla base dei parametri previsti dalla legge 28 dicembre 1995, n. 549, per il periodo d'imposta 1996 - Ulteriori indicazioni in merito alla gestione della fase del contraddittorio. “Le risultanze degli studi di settore costituiscono, nella predetta fase (del contraddittorio nell’accertamento da parametri), un efficace strumento di valutazione dell’effettiva situazione economica del soggetto. Si ritiene, quindi, che i contribuenti, al fine di giustificare in tutto o in parte la legittimità dello scostamento dei ricavi o compensi dichiarati da quelli calcolati sulla base dei parametri, possano validamente addurre in contraddittorio le risultanze dello studio di settore già approvato con riferimento alla propria attività” � C.A.E. 13/06/2001, N. 54 Studi di settore “5. Applicazione sperimentale degli studi di settore. Gli studi … sono definiti sperimentali in quanto, fino all’approvazione di una nuova versione degli studi stessi: − le indicazioni relative alla coerenza ed alla congruità possono essere utilizzate per la formulazione dei

criteri di selezione delle posizioni da sottoporre a controllo; − i risultati derivanti dall’applicazione GE.RI.CO. 2001 non possono essere usati direttamente per

l’azione di accertamento. Tale attività sarà fondata sull’utilizzo delle ordinarie metodologie di controllo, rispetto alle quali i risultati dell’applicazione degli studi di settore costituiranno uno strumento di ausilio;

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− nei confronti dei contribuenti che non risultano congrui, i compensi derivanti dall’applicazione dello

studio di settore approvato al termine della fase sperimentale potranno essere utilizzati per effettuare accertamenti in relazione a tutti i periodi di imposta che si sono succeduti nel periodo sperimentale;

− i contribuenti che dichiarano compensi di importo non inferiore a quello risultante dagli studi sperimentali ovvero vi si adeguano spontaneamente, evitano l’eventuale accertamento sulla base delle risultanze dello studio di settore che verrà approvato al termine della fase sperimentale, a seguito di nuove elaborazioni. Tali contribuenti eviteranno il predetto accertamento anche nel caso in cui l’ammontare stimato dal nuovo studio di settore risulti superiore a quello determinato con l’applicazione GE.RI.CO. 2001 predisposta per il periodo di imposta 2000. (…)

8.Esito del procedimento di accertamento. “A seguito della regolare notifica dell’invito e dei successivi sviluppi del contraddittorio, l’esame delle posizioni si concluderà con uno dei seguenti provvedimenti: archiviazione, atto di adesione o atto di accertamento”. � C.A.E. 11/04/2002, N.29/E Attività di accertamento sulla base degli studi di settore per il periodo di imposta 1998 � C.A.E. 27/06/2002, N. 58 Studi di settore – Periodo di imposta 2001 “La procedura di elaborazione degli studi di settore garantisce affidabilità, obiettività e trasparenza al ragionamento presuntivo, ma non priva il contribuente della possibilità di fornire prova contraria adducendo argomentazioni tali da dimostrare la non attendibilità del risultato della applicazione dello studio in relazione alla specifica situazione oggetto di controllo. È infatti evidente che la validità delle metodologie utilizzate non è garanzia della loro sicura applicabilità a tutti i contribuenti analizzati. Lo scostamento potrà essere giustificato non solo in base a prove documentali certe, che abbiano un riscontro diretto ed immediatamente quantificabile sui ricavi dichiarati, ma anche in base ad un ragionamento di tipo presuntivo che si fondi su elementi certi e che conduca a valutazione che abbiano una reale capacità di convincimento dell’ufficio … Si evidenzia, infine, che la attendibilità delle procedure di elaborazione degli studi di settore non impedisce all’Amministrazione di svolgere l’azione di accertamento con le ordinarie procedure e di pervenire a risultati diversi da quelli degli stessi studi, anche nei confronti dei contribuenti che risultano congrui e coerenti”. � C.A.E. 17/07/2003, N.39 Studi di settore – Periodo di imposta 2002 “9.Effetti delle sanatorie di cui alla legge n. 289 del 27 dicembre 2002 9.1. Regolarizzazione delle scritture contabili “Per coloro i quali si sono avvalsi della predetta disposizione (art.14 L. 289/2002), le informazioni da indicare nel modello relativo ai dati da comunicare ai fini dell’applicazione degli studi di settore, devono tenere conto delle predette regolarizzazione, che hanno avuto riflessi anche per il periodo di imposta 2002, indipendentemente dagli effetti fiscali previsti dalla norma.” 9.2.Contabilità ordinaria per opzione, esercenti arti e professioni e sanatorie di cui alla legge 289 del 2002 “Ai fini della verifica della predetta condizione dei due periodi di imposta su tre consecutivi, non assume alcuna rilevanza la circostanza che il contribuente, per i periodi di imposta per i quali non risulta congruo, abbia provveduto ad effettuare la definizione prevista dall’art. 9 della legge 289 del 2002 … in quanto la disposizione, per le particolari modalità applicative, non elimina la posizione di “non congruità” ai fini degli studi di settore. Diverso è il caso in cui il contribuente si sia avvalso delle disposizioni previste dagli artt. 7 e 8 del predetto provvedimento … nell’ipotesi in cui il contribuente si sia avvalso della definizione automatica prevista all’art. 7, determinando i maggiori ricavi o compensi ai sensi del comma 1, lett. a), lo stesso per gli anni interessati alla definizione automatica, dovrà essere considerato “congruo” a tutti gli effetti. Relativamente all’art. 8 … l’integrazione dell’imponibile rileva a condizione che il contribuente risulti aver integrato i ricavi o compensi in misura non inferiore a quelli determinabili sulla base dell’applicazione degli studi di settore”.

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� C.A.E. 26/08/2003, N. 48 Attività di accertamento sulla base degli studi di settore per il periodo d'imposta 1999 nei confronti delle persone fisiche esercenti attivita d'impresa in regime di contabilità semplificata “6. Contraddittorio con il contribuente Per un corretto svolgimento del contraddittorio si deve, peraltro, porre particolare attenzione agli studi che hanno subito negli anni una evoluzione tale da coinvolgere l’intero impianto costruttivo dello studio stesso. Si segnala, ad esempio, lo studio SG69U – Lavori di costruzione edile. Data la più elevata attendibilità dello studio revisionato, il contribuente in sede di contraddittorio potrà far valere le risultanze dello stesso per giustificare gli scostamenti tra l’ammontare dei ricavi dichiarati e quelli presunti determinati in base alla precedente versione”. � C.A.E. 18/06/2004, N. 27 Studi di settore – Periodo di imposta 2003. � C.A.E. 21/06/2005, N. 32 Studi di settore – Periodo di imposta 2004. “2.3 L'apporto di lavoro da parte del personale non dipendente Con gli studi approvati, in vigore a decorrere dal periodo d'imposta 2004, è stata introdotta un'ulteriore novità con riferimento al personale non dipendente. In particolare la novità riguarda l'utilizzo, in termini percentuali, dell'apporto del personale non dipendente, incluso quello senza occupazione prevalente, nell'attività dell'impresa. Nelle versioni precedenti degli studi, l'apporto di lavoro del personale non dipendente assumeva rilievo, infatti, sulla base del numero di addetti indicati dal contribuente. 3.Le novità della legge finanziaria 2005 La disciplina relativa agli studi di settore è stata interessata dalle disposizioni introdotte dall'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005). Per quanto riguarda le modifiche relative agli studi di settore, le novità più rilevanti da segnalare riguardano: − la previsione della revisione periodica degli studi di settore al fine di adeguarli alle mutate realtà

economiche (commi 399 e 400); − le nuove modalità di adeguamento in dichiarazione alle risultanze degli studi di settore (comma 411); − la rilevanza, ai fini IRAP, dell'adeguamento in dichiarazione (comma411, lett. a), n. 3); − il nuovo termine previsto per il versamento, ai fini IVA, dell'importo dell'adeguamento in

dichiarazione alle risultanze degli studi di settore, (comma 411, lett. b, n. 3); − le nuove modalità di accertamento per i soggetti in contabilità ordinaria, anche per opzione, (comma

409 e 410); − la non rilevanza, ai fini dell'obbligo della trasmissione della notizia di reato, anche per l'adeguamento

in dichiarazione alle risultanze degli studi (comma 409, lett. c); − la possibilità di integrazione e modifica degli accertamenti da studi di settore e parametri

indipendentemente dalla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi relativi alle medesime categorie reddituali - lavoro autonomo e impresa - (comma 407 e 408).

5.1 Le novità in materia di accertamento (…) Articolo 10 della legge 8 maggio 1998, n. 146, accertamenti basati sugli studi di settore: viene modificata la disciplina prevista per gli accertamenti da studi di settore nei confronti dei soggetti in contabilità ordinaria; Articolo 70 della legge 21 novembre 2000, n. 342: consente l'esecuzione, per il medesimo periodo d'imposta, di ulteriori accertamenti, sia su base analitica che induttiva, anche in relazione al reddito di impresa e di lavoro autonomo e ad ulteriori operazioni rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, anche in presenza di accertamento con adesione, indipendentemente dalla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi; Comma 181, dell'articolo 3, primo periodo, della legge 28 dicembre 1995, n. 549: consente l'esecuzione di ulteriori accertamenti, per il medesimo periodo d'imposta, anche in relazione al reddito di impresa e di lavoro autonomo e ad ulteriori operazioni rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, indipendentemente dalla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.”

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� C.A.E. 22/06/2006, N. 23 Studi di settore – Periodo di imposta 2005 � C.A.E. 04/08/2006, N. 28 Decreto-legge n. 223 del 4 luglio 2006 – Primi chiarimenti “Il comma 3 dell'articolo 37 del decreto dispone che, con riferimento al primo periodo di imposta per il quale il termine di presentazione della dichiarazione scade successivamente alla data di entrata in vigore del decreto medesimo, l'adeguamento alle risultanze degli studi di settore può essere effettuato entro il termine di presentazione della dichiarazione, con le modalità previste dall'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica del 31 maggio 1999, n. 195. Ciò comporta, ad esempio, che per i contribuenti con periodo d'imposta coincidente con l'anno solare, il predetto adeguamento potrà essere eseguito già con riferimento all'anno 2005.” � C.A.E. 16/02/2007, N. 11 Profili interpretativi emersi nel corso di incontri con la stampa specializzata tenuti nel mese Di Gennaio 2007 “1.2 Indicatori di normalità economica Sia gli indicatori previsti dall'art. 10-bis, comma 2, della legge n. 146 del 1998, così come introdotto dall'articolo 1, comma 13, della legge finanziaria 2007, che gli indicatori di normalità economica previsti al comma 14, della medesima legge, incideranno direttamente sul risultato derivante dall'applicazione degli studi di settore effettuato da GERICO, nel senso che una eventuale "incoerenza" ad uno o più indicatori comporterà una maggiore stima del ricavo o compenso. Pertanto, sia il ricavo minimo che il ricavo puntuale saranno maggiorati in relazione alle ipotesi di incoerenza agli indici di normalità economica previsti dal comma 14. Si avrà comunque un solo livello di adeguamento: il soggetto risulterà "non congruo" alle risultanze degli studi di settore nel caso in cui i ricavi o compensi dichiarati risultino inferiori ai valori stimati dallo studio di settore, tenendo conto anche dei maggiori ricavi o compensi derivanti dall'applicazione dei predetti indicatori. Il software GERICO 2007 visualizzerà il maggior ricavo attribuibile a ciascun indicatore di incoerenza di normalità economica. 1.3 Limiti all'accertamento Il nuovo comma 4-bis, articolo 10, della legge 146 del 1998, introdotto dal comma 17 della legge finanziaria 2007, prevede una particolare inibizione dell'attività di accertamento di tipo presuntivo nei confronti dei contribuenti che dichiarano, anche per effetto dell'adeguamento in dichiarazione, ricavi o compensi pari o superiori al livello della congruità risultante dall'applicazione degli studi di settore, tenuto conto anche dei valori di coerenza risultanti dagli specifici indicatori. Infatti, per tali contribuenti non è possibile effettuare le rettifiche dei ricavi o dei compensi sulla base di presunzioni semplici, ancorché gravi, precise e concordanti, quando l'ammontare dei maggiori ricavi o compensi accertabili, con un massimo di 50.000 euro, sia pari o inferiore al quaranta per cento dei ricavi e compensi dichiarati. Il limite di 50.000 euro non costituisce in alcun modo una franchigia, per cui se l'ammontare accertabile sulla base di presunzioni semplici è superiore a tale importo è effettuabile la rettifica dei ricavi o compensi nella misura complessiva risultante” � C.A.E. 22/05/2007, N. 31 Studi di settore. Le novità intervenute con i provvedimenti legislativi emanati nel corso del 2006 “2.2 L’utilizzo degli studi in sede di accertamento. La … modifica (dell’art. 10, L. 146/1998) non ha altra finalità che quella di ribadire, esplicitandola più chiaramente rispetto al testo previgente, la valenza probatoria dei ricavi e compensi stimati sulla base dello studio di settore, quale presunzione relativa, dotata dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. In altre termini, il nuovo disposto normativo intende semplicemente riaffermare che gli accertamenti basati sugli studi di settore possono essere effettuati ogni qual volta il contribuente dichiari ricavi o compensi “non congrui”, rispetto alla stima, senza che l’Amministrazione finanziaria debba fornire ulteriori dimostrazioni a sostegno della pretesa tributaria. Va comunque evidenziato che, trattandosi di presunzione relativa, gli accertamenti in parola devono essere sempre calibrati tenendo in debito conto tutti gli elementi offerti dal contribuente per dimostrare che i ricavi o compensi presunti non sono stati effettivamente conseguiti. Così come va pure considerato che gli “scostamenti” cui la innovata disposizione fa riferimento, coincidono con le “gravi incongruenze” che rappresentano, a propria volta, il presupposto sancito dall’art. 62-sexies del decreto legge n. 331 del 1993 per fondare l’accertamento sulle risultanze degli studi di settore. Tali “gravi incongruenze”, se da un lato “non si possono considerare esistenti solo in presenza di elevate differenze tra ricavi dichiarati e quelli determinati in base agli studi di settore” (come già chiarito dalla circolare n. 58/E del 2002), non possono al tempo stesso ritenersi sussistenti in presenza di qualsiasi scostamento, indipendentemente dalla relativa rilevanza in termini assoluti o percentuali.

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Scostamenti di scarsa rilevanza in termini assoluti o in termini percentuali (in rapporto all’ammontare dei ricavi o compensi dichiarati) potrebbero infatti rivelarsi inidonei ad integrare le sopra menzionate “gravi incongruenze”, oltre a determinare l’oggettiva difficoltà per il contribuente, di contraddire le risultanze dello studio di settore. Ciò posto, in sede di selezione delle posizioni da sottoporre a controllo sulla base degli studi di settore, gli Uffici dovranno considerare prioritariamente gli scostamenti maggiormente significativi, onde assicurare la massima proficuità dell’azione accertatrice, sia in termini di effettivo recupero di base imponibile che di deterrenza verso le situazioni di maggior rischio di evasione. Gli scostamenti di più modesta entità potranno comunque essere considerati come elementi da utilizzare unitamente ad altri elementi disponibili o acquisibili con gli ordinari poteri istruttori”. � Comunicato stampa 07/06/2007 “Oggetto: Studi di settore non sono strumento di accertamento automatico. Gli studi di settore non sono uno strumento di accertamento automatico e i contribuenti non hanno alcun obbligo di adeguarsi agli stessi se ritengono che non rispecchiano la loro realtà. L'Agenzia delle Entrate ribadisce che gli studi, come peraltro stabilito dalla normativa, sono uno strumento utilizzabile come punto di riferimento dal contribuente, che adeguandosi può stare più tranquillo rispetto ad eventuali successivi controlli, e per l'Amministrazione stessa, ai fini della selezione delle posizioni da sottoporre a verifica e controllo. Pertanto tutti i contribuenti che, per qualsiasi ragione, ritengono di non rientrare nei parametri di congruità fissati dagli studi sono liberi di non adeguarsi.” ���� C.A.E. 12/06/2007, N. 38 Studi di settore – Periodo di imposta 2006 “2.4 Particolare attenzione, nell’ambito dell’attività di accertamento, dovrà essere posta con riguardo ai soggetti nei confronti dei quali, a decorrere dal periodo di imposta 2006, si applicano gli studi di settore approvati definitivamente e, in particolare, per quelli relativi alle attività professionali. Più precisamente, par tali ultime tipologie di soggetti, le attività di controllo per il periodo di imposta 2004 e precedenti, dovranno tenere conto delle specifiche disposizioni normative vigenti per tali annualità ed in special modo che l’attività di accertamento potrà essere esperita nel caso in cui il contribuente risulti “non congruo” alle risultanze degli studi in almeno due periodi di imposta su tre consecutivi considerati. Ai fini della verifica della predetta condizione dei due periodi di imposta su tre consecutivi, occorre precisare che il requisito della “non congruità” emergente dalla applicazione degli studi sperimentali o monitorati, dovrà essere confermato, in relazione allo stesso triennio, anche a seguito della applicazione di Ge.Ri.Co 2007, sulla base dei dati e delle informazioni riferibili ai periodi di imposta oggetto di controllo. Appare opportuno evidenziare che, in relazione ai periodi di imposta da accertare, gli Uffici provvederanno a determinare i maggiori compensi utilizzando Ge.Ri.Co 2007, senza tenere conto degli indicatori di normalità economica previsti dall’art. 1, comma 14, della legge finanziaria per il 2007”. ���� Comunicato stampa 28/06/2007 “Arriva il vademecum per i contribuenti "non congrui" che non si adeguano ai risultati dello studio di settore, in presenza di cause giustificative dello scostamento, e per i professionisti ed altri intermediari che attestano la sussistenza delle cause medesime. L'Agenzia delle Entrate ha predisposto un elenco di riferimento aperto e integrabile delle cause che giustificano la eventuale non congruità rispetto alle risultanze degli studi di settore, anche con riguardo all'applicazione dei nuovi indicatori di normalità, che il contribuente può evidenziare nel campo Annotazioni del modello di comunicazione dei dati rilevanti per l'applicazione degli studi di settore. L'elenco, allegato al presente comunicato, fornisce le descrizioni sintetiche delle varie circostanze, già enucleate nelle circolari n. 31/E e 38/E del 2007 ed ulteriormente dettagliate. Le descrizioni sono ripartite in tre categorie: − non normalità economica riferibile ai singoli indicatori; − marginalità economica; − altre condizioni particolari o specifiche che possono rendere non attendibili le risultanze

dell'applicazione degli studi. Le descrizioni potranno essere utilizzate in sede di compilazione del modello fungendo, inoltre, da riferimento per l'indicazione di eventuali, ulteriori ed analoghe circostanze riscontrabili nelle effettive condizioni di esercizio delle varie attività. L'elenco delle descrizioni riporta anche una casistica esemplificativa delle possibili modalità di compilazione del campo "Annotazioni" per indicare la categoria e le singole circostanze da evidenziare.”

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� Comunicato stampa 03/07/2007 � C.A.E. 06/07/2007, N. 41 Modifiche al D.M. 20 marzo 2007. Indicatori di normalità economica. Proroga dei termini per l'effettuazione dei versamenti e ulteriori precisazioni in materia di studi di settore “2.1 Modifica del livello di riferimento per l'accertamento basato sugli studi di settore. Il nuovo comma 1-bis del decreto 20 marzo 2007 stabilisce che gli accertamenti di cui all'art. 10 della legge 8 maggio 1998, n. 146 non possono essere effettuati nei confronti dei contribuenti che dichiarino, anche per effetto dell'adeguamento previsto dall'art. 2 del D.P.R. n. 195 del 1999, ricavi o compensi in misura non inferiore al maggiore tra i seguenti valori: − livello minimo risultante dall'applicazione degli studi di settore tenendo conto delle risultanze degli

indicatori di normalità economica di cui al comma 14, art. 1, della legge finanziaria per il 2007; − livello puntuale di riferimento risultante dalla applicazione degli studi di settore senza tener conto

delle risultanze degli indicatori medesimi. Pertanto, con riguardo agli studi di settore per i quali trovano applicazione gli indicatori di normalità economica di cui all'articolo 1, comma 14 della legge finanziaria per il 2007, il contribuente è considerato "congruo" alle risultanze degli studi se i ricavi o compensi dichiarati, anche per effetto dell'adeguamento in dichiarazione, sono pari o superiori al maggiore dei predetti valori di riferimento. Ne deriva che, con riguardo ai citati studi, l'ufficio non potrà effettuare accertamenti utilizzando i maggiori valori relativi al ricavo o compenso puntuale di riferimento, scaturenti dall'applicazione degli indicatori di normalità economica di cui all'articolo 1, comma 14.” 2.2 Valenza probatoria dei maggiori valori scaturenti dall'applicazione degli indicatori di normalità economica. Per far fronte agli impegni presi con le Associazioni di categoria dall'organo governativo, trasfusi successivamente nei comunicati stampa del Vice Ministro dell'Economia e delle finanze del 27 giugno 2007 e del 3 luglio 2007, nonchè, tenuto conto dell'emendamento all'Atto Senato 1485 in corso di approvazione, riguardante la definizione della valenza probatoria, quale presunzione semplice, dei maggiori valori risultanti dall'applicazione degli indicatori di normalità economica di cui al comma 14 della legge finanziaria 2007, si evidenzia che nelle ipotesi in cui il livello di riferimento, ai fini della congruità, è rappresentato dal ricavo/compenso minimo derivante dall'applicazione degli indicatori l'Ufficio dovrà motivare l'avviso di accertamento fornendo ulteriori elementi probatori per avvalorare i maggiori ricavi o compensi derivanti dall'applicazione degli indicatori di normalità economica. A tal fine si dovrà tener conto delle specifiche condizioni del contribuente e dell'attività svolta nonchè delle possibili cause giustificative già evidenziate nelle circolari n. 31/E e 38/E del 2007.” Comunicato stampa 06/07/2007 Comunicato stampa 16/07/2007 � C.A.E. 27/09/2007, N. 52 Modifiche apportate dalla legge 27 dicembre 2006 n. 296 (legge finanziaria per il 2007) al sistema delle sanzioni poste a carico dei soggetti abilitati a prestare assistenza fiscale nonchè degli intermediari incaricati della trasmissione telematica delle dichiarazioni, di cui agli articoli 7-bis e 39 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241

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2. La Giurisprudenza più rilevante Sulla natura delle presunzioni da studi di settore

1. C.T.P. Macerata 05/12/2003, n. 51 “La Commissione ritiene che la presunzione di evasione scaturente dallo scostamento accertato in forza degli studi di settore sia una presunzione semplice non titolata (per cui è improprio parlare di presunzione gravi, precise e concordanti) e che la stessa, quindi, possa essere contestata e superata dal contribuente con prove valutabili dal Collegio”. 2. C.T.P. Macerata, 22/03/2005, n. 90 “Lo studio di settore dà luogo a presunzioni gravi, precise e concordanti solo se sussistono negli atti dell’Ufficio oppure nei documenti di causa altri elementi sia pure indiziari che confermino le risultanze dello studio di settore, e cioè attestino la normalità dell’attività della ditta in ordinarie condizioni nella realtà economica del proprio settore.” 3. C.T.P. Macerata, 19/09/2005, n. 95 “Il semplice scostamento tra il dichiarato e il risultato dei calcoli parametrici (in questo caso non degli studi di settore) costituisce un indizio grave o, al massimo, una presunzione semplice priva però dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, in quanto mancano gli ulteriori indizi di conforto … In buona sostanza non è configurabile la presunzione ritenuta dall’Ufficio con il solo scostamento, ma è necessario che ricorrano altri indizi concordanti di evasione a carico del contribuente”. 4. C.T.P. Vicenza, 17/08/2006, n. 282 “L’accertamento del reddito imponibile del contribuente attraverso gli studi di settore non esime l’Amministrazione finanziaria dalla scrupolosa osservanza dell’implicito divieto sanzionato dall’art. 53 della Costituzione di determinare il reddito imponibile prescindendo dalla effettiva capacità contributiva del soggetto verificato. Ne consegue che l’utilizzo di presunzioni, ammissibili se sussistano la gravità, la precisione e la concordanza, non è sufficiente allorchè l’Amministrazione finanziaria non abbia fornito e documentato ulteriori elementi presuntivi o probatori necessari per appurare le condizioni di reale esercizio dell’attività … In altri termini, non si tratta di presunzioni assolute, ma di presunzioni e/o indicatori semplici, valutabili, di volta in volta, e rettificabili dal giudice di merito”. 5.C.T.R. Puglia, 24/08/2006, n.67 (In materia di parametri) (Conforme CTR Puglia, 29/09/2006, n.70) “I parametri … non possono costituire essi stessi elementi sufficienti a motivare l’accertamento ma sono unicamente semplici indizi che, unitamente e a completamento di altri elementi acquisiti dall’Ufficio, possono tutti insieme generare presunzioni semplici aventi i caratteri della gravità, precisione e concordanza. L’accertamento impugnato, invece, è fondato esclusivamente sulle risultanze di elaborazioni statistico-matematiche che prescindono totalmente dalla effettiva capacità contributiva del soggetto accertato e non possono costituire di per sé sole presunzioni gravi, precise e concordanti, in violazione sia dell’art. 53 della Costituzione che dell’art. 2729 c.c. … Gli accertamenti presuntivi obbligano l’Ufficio ad individuare presunzioni aventi i requisiti di cui all’art. 2729 c.c. mentre la mancanza di qualunque rilievo sulla contabilità o sulla dichiarazione del contribuente ovvero di qualunque violazione di norme fiscali impedisce il disconoscimento automatico del reddito e la sua rielaborazione con calcoli parametrici che da soli non possono mai assurgere a prova presuntiva.”

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6.C.T.P. Padova, 12/12/2006, n. 205 “Merita ribadire che una contabilità non solo formalmente regolare, ma anche sostanzialmente corretta, costituisce una valida opposizione alle presunzioni delle risultanze degli studi di settore derivanti da GE.RI.CO (…) Considerato che gli studi di settore sono inquadrati nel dettato dell’art. 39 del D.P.R. 600/1973 e, pertanto, riconducibili all’accertamento dei “Redditi determinati in base alle scritture contabili”, le indicazioni di detti studi non possono prescindere dalle risultanze delle stesse, che possono essere disattese solo in presenza di gravi irregolarità formali e sostanziali, tali da renderle inattendibili”. 7.COMM.PROV. Bologna, 18/12/2006, n. 385 “Gli studi di settore ben possono individuare tutti quei contribuenti che, per dichiarare ricavi sottodimensionati rispetto al cluster di appartenenza, presentino sintomi di evasione/elusione fiscale; tuttavia, il mancato raggiungimento della media dei ricavi/corrispettivi prevista per quel gruppo omogeneo di contribuenti che, all’interno del medesimo settore di attività, presentino una certa comunanza di caratteristiche strutturali, non può significare, di per sé solo, un fatto rivelatore di evasione/elusione proprio perché lo scostamento dalla media non può altro che essere una figura sintomatica di evasione/elusione, e non l’evasione/elusione stessa. In questo quadro, l’avviso di accertamento fondato esclusivamente sullo studio di settore non può essere considerato legittimo proprio perche, rappresentando una mera praesumptio hominis, non attinge forza probante sufficiente per poter lecitamente configurare in capo al contribuente quella capacità contributiva che legittima il prelievo fiscale”, Sulla necessità del presupposto delle gravi incongruenze 1.C.T.P. Milano, 18/04/2005, n. 60 “L’esistenza di gravi incongruenze deve essere espressamente affermata ed adeguatamente motivata nell’avviso di accertamento e, ovviamente, non soltanto facendo riferimento all’importo dei ricavi non dichiarati perché l’anzidetto importo, isolatamente considerato, avrebbe scarsissima rilevanza.” 2.C.T.P. Macerata 08/02/2006, n. 9 “Uno scostamento di una percentuale pari a circa il 10% di quanto accertato meccanicamente in forza dello studio di settore non integra il requisito delle gravi incongruenze, che legittimano l’accertamento induttivo”. 3.C.T.P. Bari, 11/09/2006, n.113 “A parere della Commissione, quelle gravi incongruenze tra ricavi dichiarati e quelli ritenuti congrui dall’applicazione del metodo matematico statistico di Gerico non possono costituire sic et simpliciter base legittimante l’accertamento, sia per la poca affidabilità dello stesso strumento statistico, sia perché dette gravi incongruenze possono rendere la contabilità, formalmente in regola, inattendibile, allorquando, però, confligga con regole fondamentali di ragionevolezza sì da privare la documentazione stessa di ogni credibilità”. 4.C.T.P. Rieti, 29/09/2006, n. 105 “La disposizioni dell’art. 62-sexies … richiede … l’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dagli studi di settore e non soltanto che l’ammontare dei ricavi determinabili sulla base degli studi di settore risulti superiore all’ammontare dei ricavi dichiarati. Nel caso di specie non sembra rilevarsi l’esistenza di gravi incongruenze … con uno scostamento … pari al 4,7%, determinando una differenza di lieve entità che non può essere considerata grave incongruenza”.

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Sulla necessità di adeguare lo studio di settore alla realtà concreta del contribuente 1.Corte di Cassazione, 15/12/2003, n. 19163 “La flessibilità degli strumenti presuntivi trova origine e fondamento proprio nell'art. 53 della Costituzione, non potendosi ammettere che il reddito venga determinato in maniera automatica, a prescindere da quella che è la capacità contributiva del soggetto sottoposto a verifica. Ogni sforzo, quindi, va compiuto per individuare la reale capacità contributiva del soggetto, pur tenendo presente l'importantissimo ausilio che può derivare dagli strumenti presuntivi, che non possono però avere effetti automatici, che sarebbero contrastanti con il dettato costituzionale, ma che richiedono un confronto con la situazione concreta (confronto che può essere anche vincente per gli strumenti presuntivi allorchè i dati forniti dal contribuente risultano inattendibili).” 2.C.T.P. Vercelli, 25/05/2006, n.44 “È pacifico che gli Uffici devono sempre adeguare il risultato degli studi di settore alla concreta e particolare situazione dell’impresa” 3.Corte di Cassazione, 28/07/2006, n.17229 “Data la natura di atti amministrativi generali di organizzazione, rivestita dagli studi di settore” questi “non si possono considerare sufficienti perché l’Ufficio tributario operi l’accertamento di un rapporto giuridico di specie ultima … è vano invocare uno studio di settore, che ha struttura oggettiva e soggettiva categoriale e, quindi, di genere, come strumento idoneo a regolare, di per sé, un caso di specie ultima”. 4.C.T.P. Bari, 15/09/2006, n.283 L’Amministrazione finanziaria “deve compiere qualsiasi sforzo per individuare la reale capacità contributiva del contribuente, pur tenendo presente il supporto degli strumenti presuntivi i quali, tuttavia, non devono avere una automatica applicazione ma essere confrontati con la reale e concreta situazione in cui il soggetto opera; deve tendere, quindi, ed evitare di sottoporre a trattamenti fiscali uniformi situazioni divergenti.” 5.C.T.P. Livorno, 16/03/2007, n. 42 “In tutti quei casi in cui viene meno il fondamento logico di tale metodologia e dunque laddove si dimostri la ricorrenza di ragioni di fatto che pongono l’attività del contribuente al di fuori del periodo di normale svolgimento dell’attività produttiva,” sarebbe necessario “avvalorare lo scostamento accertato mediante altri elementi indici di maggior capacità contributiva o mediante esame della situazione fiscale del ricorrente onde accertare l’esistenza di quelle gravi incongruenze contabili che legittimano, ex art. 39, comma 1 del D.P.R. n. 600/1973, la ricostruzione induttiva dei maggiori ricavi”. Sulla plausibilità dello scostamento 1.C.T.P. Gorizia, 02/02/2005, n. 60 – Cessione del ramo d’azienda e gravidanza dell’imprenditrice 2.C.T.P. Verbania, 04/02/2005, n. 11 – Stato prefallimentare della società 3.C.T.P. Udine, 09/03/2005, n. 12 – Contemporaneo svolgimento di attività professionale e di lavoro dipendente 4.C.T.P. Brescia, 28/04/2005, n. 18 – Inizio dell’attività in prossimità della fine del periodo di imposta 5.C.T.P. Udine, 06/06/2005, n. 39 – Obsolescenza degli strumenti informatici 6.C.T.P. Pescara, 20/06/2005, n. 58 – Obsolescenza dei beni strumentali e consumi ridotti 7.C.T.P. Gorizia, 29/08/2005, n. 106 – Situazioni contingenti di mercato 8.C.T.P. Gorizia, 01/03/2006, n.17 – Attività commerciale monomarca 9.C.T.P. Bari, 22/03/2006, n. 36 – Grave infortunio sul lavoro 10.C.T.P. Bari, 15/09/2006, n.283 – Precarie condizioni di salute

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Sulla necessità della motivazione 1.C.T.P. Macerata 30/12/2003, n.63 “Se è pur vero che esiste a favore dell’Ufficio in forza degli studi di settore, una presunzione semplice, e non grave precisa e concordante, è anche vero che tale presunzione non esonera l’Ufficio dall’obbligo di motivazione e di specificare gli elementi, almeno prevalenti, di incoerenza o incongruenza che lo stesso Ufficio ha rilevato tra quelli forniti dal contribuente, garantendo così allo stesso il diritto al successivo eventuale contraddittorio in sede contenziosa. … Occorreva, ad avviso di questo Collegio, che l’Ufficio avesse precisato quali elementi dichiarati sono stati ritenuti incongruenti e/o incoerenti. Solo in questo modo l’atto sarebbe stato ritenuto motivato, la ricorrente avrebbe potuto approntare appropriate difese e il giudicante avrebbe avuto elementi precisi ed incontestabili sui quali fondare il proprio convincimento”. 2.C.T.P. Milano, 18/04/2005, n. 60 “L’impugnato avviso di accertamento è quindi illegittimo per insufficiente motivazione perché prescinde dal requisito richiesto dalla legge “l’esistenza di gravi incongruenze” tra ricavi dichiarati e quelli determinabili con gli studi di settore”. 3.C.T.P. Rovigo, 01/10/2005, N. 72 “Nell’avviso di accertamento … devono essere esposti, anche in maniera sintetica, i dati e le voci, vale a dire i motivi, che hanno originato il maggior reddito presunto: il contribuente deve essere messo in grado di controllare la giustezza degli elementi e del metodo posti a fondamento della stima presuntiva del reddito per poterli eventualmente contestare … nella sostanza la motivazione deve rendere comprensibili i passaggi logico-giuridici su cui si basa l’atto impositivo”. 4.C.T.P. Vercelli, 25/05/2006, n. 44 “È … pacifico che gli Uffici devono sempre attentamente valutare le osservazioni formulate dal contribuente e motivare sia l’accoglimento che il rigetto delle stesse … Nell’atto di accertamento non risulta evidenziato, come sarebbe stato necessario, se siano state eseguite le opportune valutazioni in ordine sia alla congruità dei ricavi che alla coerenza degli indicatori economici utilizzati, per cui manca la prova dimostrativa, ad esempio, di una mancanza di coerenza dovuta a comportamenti irregolari del contribuente, oppure dovute ad insufficienze di gestione o a riscontrati componenti di costo non contabilizzati.” 5.C.T.P. LUCCA, 27/06/2006, n. 43 “Per l’Ufficio impositore incombe l’obbligo di motivare la plausibilità e la correttezza dello studio di riferimento con esclusione, pertanto, della semplice e mera applicazione matematica”. 6. C.T.P. Bari, 15/09/2006, n.283 “Al fine di consentire al ricorrente il suo pieno legittimo diritto alla difesa, se l’Amministrazione finanziaria in un atto fa riferimento ad altri atti questi devono essere necessariamente allegati all’atto che li richiama. Questo principio è stato riconosciuto dall’art. 7 della legge 212/2000 (Statuto dei Diritti del Contribuente); norma ispirata all’esigenza di far conoscere al contribuente in modo chiaro ed inequivocabile le ragioni poste a base della pretesa erariale avanzata nei suoi confronti dall’ente impositore, consentendogli, pertanto, di poter attivare ed adeguare meglio la propria difesa.” 7.C.T.P. Taranto, 17/01/2007, n. 505 La disposizione dell’art. 62-sexies del D.L. 331/1993 “impone che nell’avviso di accertamento (…) venga affermata e motivata l’esistenza di gravi incongruenze tra ricavi dichiarati “e quelli determinabili con gli studi di settore.

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8.C.T.R. Torino, 27/03/2007, n. 15 “Proprio in quanto presunzioni, esse postulano per la loro applicazione il fatto noto da cui devono derivare, ex art. 2727 del c.c., e debbono altresì comportare una applicazione razionale e argomentata delle stesse, sicché il contribuente possa comprendere l’ambito della pretesa tributaria e possa adeguatamente contestare, con riguardo all’avviso di maggior valore, la sussistenza di una motivazione adeguata, cioè tale da delimitare l’ambito delle contestazioni dell’ufficio e mettere il contribuente in grado di esercitare il diritto di difesa, ed il cui difetto impone al giudice tributario di dichiarare la nullità dell’avviso medesimo. Sulla rilevanza dell’intervallo di confidenza 1.C.T.P. Rovigo, 30/12/2005, n.91 2.C.T.P. Vicenza, 17/08/2006, n. 282 Sulla utilizzabilità degli studi di settore per giustificare i parametri 1.C.T.P. Vercelli, 14/02/2005, n. 10 2.C.T.P. Vercelli, 12/05/2005, n. 46 3.C.T.P. Savona, 27/07/2005, n. 104 4.C.T.P. Mantova, 11/08/2005, n. 81 5.C.T.R. Puglia, 29/09/2006, n. 70 Sull’intervento operato dalla manovra Finanziaria 2007 sull’art. 10 della legge 08/05/1998, n. 146 C.T.P. BARI, 26/01/2007, n. 228 “Il Legislatore ha, quindi, consacrato in una norma quello che è stato sempre l’indirizzo dell’Agenzia delle Entrate, secondo cui lo scostamento dai risultati degli studi di settore si configura di per sé come grave incongruenza, secondo quanto richiesto dall’art. 62-sexies, comma 3, del D.L. n. 331/1993, necessaria a legittimare l’accertamento da studi. Detta norma della finanziaria 2007, che in definitiva stabilisce come l’accertamento da studi possa essere fondato solo sui risultati di Gerico, a parte i dubbi di legittimità costituzionale, non può essere considerata retroattiva, perché non è qualificata tale da legislatore e, comunque, perché tale configurazione contrasterebbe col fondamentale principio dell’affidamento del contribuente. Come tale, la norma in parola può essere applicata solo per il futuro”.

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MODALITÀ OPERATIVE

Fac simile accertamento con adesione

Spett.le AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO di ……

ISTANZA per la formulazione di proposta di accertamento con adesione ai sensi dell’art. 6, comma 2 del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218.

* * * * * Il signor ……….. (codice fiscale e partita Iva) nato a ……….il …………, residente in …….. via …………… (oppure) La Società “……..”, (codice fiscale e partita Iva) con sede legale in ……, via ..…. n…., in persona del proprio Presidente del Consiglio di Amministrazione/Amministratore delegato/Amministratore-legale rappresentante pro tempore Sig.…… (codice fiscale ..…), nato a ……il……e residente in……., via…… n. …, assistito/a e rappresentato/a, giusta procura speciale in calce al presente atto, dal dott./avv./rag. ….., iscritto nell’Albo dei … della Provincia di/nel Foro di ………, ed elettivamente domiciliato/a ai fini del procedimento promosso con la presente istanza presso lo Studio di quest’ultimo sito in ………., via ………… (tel. …….. – fax ……………), premesso che in data …………. ha ricevuto la notifica dell’Avviso di Accertamento n. …….., relativo a ………. per il periodo d’imposta ………,

PRESENTA istanza, ex art. 6, comma 2 del D.Lgs. 218/1997, affinché codesto spett.le Ufficio, nei termini di legge, voglia formulare proposta di accertamento, ai fini dell’eventuale definizione del periodo di imposta accertato. Con osservanza. (Luogo e data)

per il sig./la Società ………., (firma del professionista)

Procura ex art. 63 del D.P.R. 600/1973: Il sottoscritto Sig. … residente in … (ovvero la società …. , con sede legale in … in persona del legale rappresentante pro tempore Sig …), delega l’avv./dott./rag. …, ad assisterlo/a e rappresentarlo/a presso l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di …… nel procedimento di accertamento con adesione che viene promosso con la presente istanza ex art. 6, co. 2 del D.Lgs. 218/1997 e in ogni altro procedimento amministrativo ad esso connesso. A tal fine, elegge domicilio presso lo studio del difensore, sito in …, via … Luogo e data Firma del delegante …………. “È autentica” Firma del difensore …………………

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Schema generale di ricorso e termini di proposizione

Indicazioni essenziali contenute nel ricorso: 6+1

Il ricorso deve contenere fin da subito l’intero programma difensivo che si intende sostenere e deve

necessariamente indicare:

1. Commissione Tributaria Provinciale (competente per territorio) cui è diretto il ricorso

2. Ricorrente o suo rappresentante (nel caso di persona fisica: cognome, nome, luogo e data di nascita;

inoltre codice fiscale, sanzionabile, ma non con la inammissibilità; nel caso di persona giuridica è

necessaria l’indicazione del legale rappresentante)

3. Resistente, cioè soggetto contro il cui atto o comportamento si ricorre

4. Tipologia dell’atto impugnato

5. Oggetto della domanda (petitum): consiste nella richiesta al giudice di tutela dei propri diritti

6. Motivi (causa petendi) di diritto e di merito

� Sottoscrizione da parte del difensore abilitato (fatte salve le eccezioni in cui il ricorso può essere

sottoscritto direttamente dal contribuente), al quale deve essere previamente conferita apposita procura

con sottoscrizione che può essere autenticata dallo stesso difensore.

Il ricorso deve essere proposto nel termine perentori di 60 giorni dalla data di notifica dell’atto impugnato,

fatto salvo il periodo “feriale” (dal 1° agosto al 15 settembre); in caso di richiesta di accertamento con

adesione, per l’esperimento della procedura, al termine di 60 giorni, si aggiungono ulteriori 90 giorni.

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Fac simile ricorso in Commissione tributaria Provinciale On.le COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE di …………….

RICORSO (con richiesta di discussione in pubblica udienza)

� proposto dal Sig. /dalla Società….. ….., residente in /con sede legale in …….. – parte ricorrente � difeso/a dal dott. / rag. / avv. …….. - difensore; � nei confronti della Agenzia delle Entrate – Ufficio di ……. - parte resistente; � avverso Avviso di accertamento n. …….., relativo ad IRPEF/IReS /IRAP /IVA per il periodo di imposta …… - atto impugnato

* * * * * Il Sig. ………. (Cod.fisc.……………, P.Iva ……………) , nato a …….. il ………. e residente a ………….. in via………………..; oppure

La Società ……… (Cod.fisc. ……., P. Iva ……), con sede in ………., via……………….., in persona del legale rappresentante Sig.………………. (Cod.fisc. ………), nato a ……………………. e residente a……………….via……………………; assistito/a e difeso/a, giusta procura in calce al presente atto, dal dott./rag./avv. ……, iscritto nell’Albo dei …… della Provincia di ……/nel Foro di ……… ed elettivamente domiciliato/a, ai fini del presente giudizio, presso lo Studio del difensore, sito in ………, via ……, * esaminato l’Avviso di accertamento in epigrafe, notificato il ………. (documento 1); * considerato che, con tale atto, l’Ufficio provvede a rettificare i ricavi/compensi/corrispettivi dichiarati “sulla base delle risultanze degli studi di settore”; da cui deriva una maggiore base imponibile (Irpef/IReS/IRap/Iva) di € …………., e maggiori imposte pretese a titolo di …………….. per € …….., nonché la irrogazione di sanzioni per infedele dichiarazione (calcolate ricorrendo al cumulo materiale/giuridico) per €……..; * valutate le motivazioni contenute nell’atto impositivo; * visti gli artt. 18 e segg. del D.Lgs. 546/1992 e ss.mm.,

RICORRE avverso il predetto Avviso di accertamento per i motivi che, in linea di diritto e nel merito, va ad esporre, dopo aver ricostruito i fatti. I fatti L’Ufficio A.E. di …….. ha emesso, in relazione al periodo d’imposta ……., l’avviso di accertamento in epigrafe, con il quale vengono recuperati a tassazione maggiori ricavi/compensi/corrispettivi (rispetto a quelli dichiarati pari a €………) derivanti dalla applicazione dello studio di settore ……..

∗ ∗ ∗ I) In via pregiudiziale. Si eccepisce – ex art. 134 della Costituzione e art. 23 della L. 11 marzo 1953 – l’illegittimità costituzionale degli artt. 62-bis e 62-sexies del D.L. 30 agosto 1993 n. 331, conv. in L. 29 ottobre 2003, n. 427 (in riferimento all’art. 23 della Costituzione), nella parte in cui non prevedono un limite al potere regolamentare della Amministrazione finanziaria. Posto che a quest’ultima (e a Società ad essa collegate) è stata delegata l’elaborazione degli studi e, in definitiva, la determinazione di un valore “teorico” di riferimento, non può essere quello l’unico presupposto per procedere alla rettifica (in più) dei ricavi/compensi/corrispettivi dichiarati. Se davvero le norme denunciate legittimassero la Amministrazione finanziaria ad utilizzare gli studi di settore (da essa stessa elaborati) alla stregua di un “nuovo sistema di determinazione della base imponibile”, allora si porrebbe – e qui si pone – il problema della compatibilità con la riserva di legge

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sancita dall’art. 23 della Costituzione, la quale sarebbe violata dalla attribuzione di poteri normativi - idonei ad incidere sulla base imponibile - alla stessa A.F.. Se, invece, come ritiene il ricorrente (in base al fondamentale e sovraordinato canone ermeneutico per cui, nel concorso tra più possibili interpretazioni di una norma deve essere preferita quella che sia conforme alla Costituzione: cfr. Cass., SS.UU., 30 marzo 2000, n. 72; nonché Corte cost., 21 gennaio 2000, n. 17), le norme in questione si limitano a fornire alla predetta Amministrazione un ulteriore strumento per verificare la attendibilità dei propri accertamenti o individuare i contribuenti che meritano di essere controllati, allora le predette norme sarebbero costituzionalmente legittime, ma non tali da consentire di sostenere un atto di imposizione.

∗ ∗ ∗ II) In via principale ed in diritto. L’avviso qui impugnato è nullo, per i seguenti motivi. A. Illegittimità del metodo accertativo per carenza dei presupposti L’art. 62-sexies del D.L. 331/1993 richiede – per l’accertamento da studi di settore – l’esistenza di “gravi incongruenze” tra i dati dichiarati e quelli desumibili dalle elaborazioni “Ge.Ri.Co.”. La condizione di accesso dipende dalla natura matematico-statistica di tale strumento, basato su una serie di elementi, contabili ed extra contabili (e, tra l’altro, acquisiti in data remota), ai quali viene assegnata una certa valenza probabilistica che consente di pervenire a risultati, in astratto, “ragionevoli”, ma che devono essere verificati, in concreto, sulla scorta della reale situazione del contribuente oggetto di accertamento. Non è, quindi, sufficiente un mero scostamento tra ricavi e corrispettivi dichiarati e ricavi e corrispettivi presunti, ma è necessaria a) una rilevante differenza quantitativa (incongruità) e qualitativa (incoerenza), b) la prova che il modello di riferimento adottato dall’Ufficio per operare la rettifica sia fondatamente applicabile nei confronti del contribuente. Lo ha riconosciuto la giurisprudenza sia di diritto che di merito (cfr. Comm. Trib. Prov. di Rieti, 29 settembre 2006, n.105; Comm. Trib. Prov. di Bari, 11 settembre 2006, Comm. Trib. Prov. di Macerata, 8 febbraio 2006, n. 9; Comm. Trib. Prov. di Milano, 18 aprile 2005, n. 60: estratti allegati, numerati da … a ….). Quanto alle incongruenze non possono certo dirsi “gravi” quelle rilevate, dato che in termini quantitativi sono pari a € …… (e in % pari a … ), mentre in termini qualitativi l’Ufficio non dà alcuna informazione sulle ragioni della rilevata divergenza, cioè sui fattori che – a suo giudizio - non sono (e dovrebbero, invece, essere) conformi al “modello”. Un tanto si riflette – come si dirà più oltre – anche sul difetto di motivazione. Per completezza va anche rilevato che la disposizione dell’art. 62 sexies citato - che richiede le “gravi

incongruenze” tra i ricavi dichiarati e quelli presunti - costituisce la “disposizione base” in materia di studi di settore; e che, per ammissione della stessa Agenzia delle Entrate, essa non è stata superata dalla nuova formulazione del comma 1, dell’art. 10 della L. 146/1998, perché quest’ultimo stabilisce solo le modalità applicative per effettuare un accertamento basato sugli studi di settore; e non le condizioni in presenza delle quali si può dar corso ad un tale accertamento; le quali condizioni continuano ad essere quelle “gravi incongruenze” di cui al citato art. 62 sexies. Del resto, dopo reiterate e ingiustificate resistenze, la stessa Amministrazione finanziaria ha riconosciuto, di recente, che “le gravi incongruenze (…) non possono (…) ritenersi sussistenti in presenza di qualsiasi scostamento, indipendentemente dalla relativa rilevanza in termini assoluti o percentuali”, in quanto “scostamenti di scarsa rilevanza (…) potrebbero rivelarsi inidonei ad integrare le sopra menzionate gravi incongruenze” (Cfr. Circolare A.E. 31/2007): lo ha fatto avendo riguardo all’aspetto quantitativo, ma un tanto vale, a maggior ragione, per l’aspetto qualitativo (cioè in termini di coerenza). E tanto a maggior ragione in presenza di una contabilità ordinaria “regolare” e mai contestata dall’Ufficio, come è nel caso in esame.

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L’accertamento, pertanto, non rispetta i presupposti previsti dalla legge ed è da ritenersi “nullo”.

∗ ∗ ∗ B. Difetto di motivazione In base all’art. 7 della L. 212/2000, “gli atti dell'amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall'articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti

amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la

decisione dell'amministrazione”. L’atto in esame è nullo perché l’Ufficio si è limitato a richiamare lo scostamento tra ricavi presunti e i ricavi dichiarati: senza alcuna motivazione ulteriore e senza specificare ∗ in base a quali elementi specifici l’Ufficio è pervenuto alla determinazione dei “maggiori ricavi” attribuiti al soggetto accertato; ∗ le ragioni per cui le incongruenze tra i ricavi/compensi dichiarati e quelli presunti sono da ritenersi “gravi”, non essendo sufficiente, a integrare quella condizione, una semplice differenza quantitativa. È noto allo scrivente che l’Agenzia delle Entrate (cfr. Circ. A.E. 58/2002), ritiene che “la motivazione … va ricercata nell’intero procedimento di approvazione dei singoli studi” e, in particolare, nelle “Note

tecniche e metodologiche” pubblicate in sede di approvazione dei singoli studi di settore… ma – anche senza rilevare che tale è la valutazione di controparte – va eccepito che nè il “procedimento” adottato per giungere al “ricavo presunto” nè “le note tecniche” consentono (all’interessato e - si deve ritenere - neanche al giudice) di individuare quale/quali “fattore/i specifico/i” giustificano la pretesa - fatta valere dall’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate di …… - di ricavi / corrispettivi omessi, cioè non dichiarati. Sarebbe, invece, necessario ricostruire il procedimento analitico utilizzato dagli studi di settore per giungere – partendo dagli elementi contabili ed extracontabili indicati – al ricavo presunto: compito che, come ha rilevato la Cassazione (Sent. 16 settembre 2005, n. 18415), non compete al contribuente e che, comunque, esso non sarebbe in grado di svolgere, dato che né nell’avviso di accertamento (specifico), né tantomeno nelle Note tecniche e metodologiche (generiche) si rinviene una risposta. La mancata conoscenza di quali - fra i vari possibili - elementi sono stati assunti dall’Ufficio per fondare la sua pretesa determina la impossibilità, per il contribuente, di esercitare il suo “diritto di difesa” (cfr. Comm. Trib. Prov. di Macerata, 30 dicembre 2003, n. 63; Cass. 12 agosto 2004, n. 15638). Il contribuente non viene messo in grado di «adeguatamente contestare, con riguardo all’avviso di maggior valore, la

sussistenza di una motivazione adeguata, cioè tale da delimitare l’ambito delle contestazioni dell’ufficio» e «di esercitare il diritto di difesa» (Cfr. Comm. Trib. Reg. di Torino, 27 marzo 2007, n. 15), per cui l’accertamento deve essere dichiarato nullo.

∗ ∗ ∗ C. Difetto di riscontro probatorio

L’Ufficio ha fondato la ripresa a tassazione (unicamente) sulla base del risultato degli studi di settore, ritenendo che esso integri quelle caratteristiche di gravità, precisione e concordanza che consentono alle presunzioni (semplici) di sostenere un atto di imposizione. Sulla natura di presunzioni semplici degli studi di settore non ci dovrebbero essere dubbi: non solo perché tale natura è stata ripetutamente affermata dalla giurisprudenza, ma soprattutto perché essa è prevista dalla legge: l’art. 62-sexies del D.L. 331/1993 fa riferimento all’art. 39, 1° co., lett. d) del D.P.R. 600/1973 (e all’art. 54 del D.P.R. 633/1972), che prevede, in quei contesti legislativi, solo presunzioni “semplici”. L’art. 62-sexies del D.L. 331/1993 stabilisce che gli accertamenti analitico-presuntivi - di cui agli articoli da ultimo citati - si basano su presunzioni che, per essere idonee a costituire “prova”, devono essere “gravi, precise e concordanti”: ma con riferimento allo “specifico” contribuente e non alla categoria cui esso viene “assegnato” sulla base di non meglio identificate (e identificabili) determinazioni matematico-statistiche. In altre parole, a supporto della pretesa erariale, l’Ufficio doveva recare ulteriori elementi, così come ha preteso, seppure in relazione ai parametri, la stessa Corte Costituzionale che, con la Sent. 1° aprile 2003, n. 105, ha precisato che quei risultati determinano “una presunzione semplice, la cui idoneità probatoria è

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rimessa alla valutazione del giudice di merito”. Anche la Suprema Corte aveva, ancor prima, richiamato l’attenzione sulla necessità che le percentuali (di ricarico) risultanti dagli studi di settore fossero “confortate da altri indizi” (Sent. 27 febbraio 2002, n. 2891), in quanto “meri supporti razionali offerti

dalla Amministrazione al giudice, paragonabili ai bollettini di quotazioni di mercato, ai notiziari Istat, in cui è possibile reperire dati medi presuntivamente esatti” (Sent. 3 maggio 2005, n. 9135); e, recentemente, ha aggiunto che “data la … natura di atti amministrativi generali di organizzazione, [gli studi di settore] non possono essere considerati sufficienti affinché l’Ufficio operi l’accertamento senza che l’attività

istruttoria amministrativa sia completata” (Sent. 28 luglio 2006, n. 17229). In altre parole, la “struttura oggettiva e soggettiva categoriale” degli “studi” consente agli Uffici finanziari di disporre di un “criterio guida”, ma non di applicare, in via quasi “automatica”, i risultati degli studi di settore, prescindendo dalla situazione specifica del contribuente accertato; nei cui confronti - per realizzare un “valido accertamento” - devono essere reperiti altri indizi o d’ufficio o attraverso il contraddittorio o aliunde. Ancor più esplicita la giurisprudenza di merito: “non è affatto sufficiente, al fine di ritenere sussistenti presunzioni gravi, precise e concordanti, il mero riferimento ai dati che risultano dallo studio di settore” (Comm. Trib. Prov. di Macerata, 17 maggio 2005, n. 36); essi devono essere supportati da “altri elementi, sia pure indiziari, che… attestino la normalità dell’attività della ditta in ordinarie condizioni nella realtà

economica del proprio settore…stante il fatto che la capacità contributiva non può essere presunta sulla base di dati generici e validi per tutti” (Comm. Trib. Prov. di Macerata, 22 marzo 2005 n. 90; nello stesso senso, Comm. Trib. Prov. di Milano, n. 60/2005). E, ancora: le risultanze delle elaborazioni statistico-matematiche “non possono costituire di per sé sole

presunzioni gravi, precise e concordanti, in violazione sia dell’art. 53 della Costituzione che dell’art. 2729 c.c. (…). Gli accertamenti presuntivi obbligano l’Ufficio ad individuare presunzioni aventi i requisiti di cui

all’art. 2729 c.c., mentre la mancanza di qualunque rilievo sulla contabilità o sulla dichiarazione del contribuente ovvero di qualunque violazione di norme fiscali impedisce il disconoscimento automatico del

reddito e la sua rielaborazione con calcoli parametrici che da soli non possono mai assurgere a prova presuntiva” (Comm. Trib. Prov. di Vercelli, 17 agosto 2006, n. 282, conforme Comm. Trib. Regionale della Puglia 29 settembre 2006, n. 70). In conclusione: il risultato dello studio non è altro che un “indizio rafforzato”, che va implementato con altri dati, elementi e argomenti che, insieme, siano tali da superare la valenza probatoria della contabilità tenuta dal contribuente. Non solo, ma quei risultati vanno sempre - prima di emettere l’atto di imposizione - verificati in sede di contraddittorio con il contribuente (o con chi lo rappresenta): proprio per evitare di procedere ad un accertamento che prescinde dalla capacità contributiva del soggetto accertato. Dato che l’accertamento in esame è basato solo sui risultati degli studi di settore, l’atto va dichiarato nullo.

∗ ∗ ∗ III) In via principale e nel merito, l’atto impugnato è illegittimo per inammissibilità e infondatezza delle riprese a tassazione operate, delle pretese impositive e sanzionatorie vantate. Come più volte chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 15 dicembre 2003, n. 19163) e di merito (cfr. Comm. Trib. Vercelli, 25 maggio 2006, n. 44; Comm. Trib. 1° grado di Bolzano, 23 novembre 2005, n. 44), il risultato dello studio di settore non può essere applicato “in via quasi automatica”, ma deve essere adeguato al caso concreto, in ossequio al principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione. Nell’avviso di accertamento in esame, invece, l’Agenzia delle Entrate si è limitata a recepire il risultato dello studio, senza tener conto delle peculiarità che presenta, nel periodo accertato, la azienda/lo studio che faceva capo allo scrivente. In particolare, …. [partendo dalle Note tecniche e metodologiche, esaminando

le circolari e la giurisprudenza di riferimento, appurare la compatibilità dello studio di settore esaminato con la situazione specifica dell’azienda, a partire dal “cluster di appartenenza” e dalla territorialità, per

continuare con l’esame della “normalità” dell’esercizio accertato, etc.].

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Tenuto conto delle ragioni che hanno determinato lo scostamento del risultato effettivo rispetto alla media del settore, si chiede l’annullamento della pretesa impositiva; e, al limite ed in via subordinata, il suo ridimensionamento.

∗ ∗ ∗

IV) In via subordinata, rispetto alle obiezioni formulate in via pregiudiziale e principale, si chiede il ridimensionamento della pretesa erariale in misura maggiore rispetto a quella che era stata «riconosciuta» come «possibile» dall’Ufficio, dato che esso ha accertato “maggiori ricavi” (e corrispettivi), avendo riguardo al «ricavo puntuale» (e non al “ricavo minimo”); e, per di più, senza tener conto che, a fronte dei maggiori ricavi (in ipotesi) accertati va tenuto conto (in diminuzione) dei costi correlati (nella determinazione del reddito d’impresa).

A. Determinazione del maggior ricavo in base al “ricavo puntuale” Dalla applicazione degli studi di settore emergono due risultati: il ricavo minimo e il ricavo puntuale. Tali valori individuano il cd. “intervallo di confidenza” (determinato statisticamente in base ad una “funzione di regressione”), il quale - come si legge nella Circolare del Comando generale della GdF 29 novembre 1999, prot. 38600 - individua “il margine di oscillazione tecnicamente ammesso fino alla soglia del ricavo minimo, oltre la quale lo scostamento tra il dato contabile e quello reale non è giustificabile”. All’interno di tale intervallo, dunque, si collocano tutte le possibili combinazioni di ricavo potenzialmente congruo accreditabili al contribuente, in quanto (tutte) dotate della medesima «credibilità statistica». L’Ufficio ha ritenuto che il contribuente debba attestarsi sul “valore puntuale”, cioè sul valore massimo anziché sul “valore minimo” o su qualsiasi altro punto dell’intervallo, ma senza alcuna motivazione: con una pretesa che si manifesta - anche sotto questo profilo - carente. Ne deriva che se anche codesta on.le Commissione superasse le precedenti eccezioni, la ripresa dell’Ufficio dovrebbe essere rideterminata in base al “ricavo minimo”, cioè adeguatamente ridotta.

∗ ∗ ∗ B. Rideterminazione del maggior imponibile, tenendo conto anche dei costi L’Ufficio, nella determinazione del maggior imponibile derivante dalla applicazione degli studi di settore, ha tenuto conto esclusivamente dei ricavi/ corrispettivi, senza valorizzare i (correlati) e inevitabili costi; che avrebbe potuto determinare in base alla percentuale di ricarico desumibile dalla contabilità (che - in quanto correttamente tenuta - non può essere disattesa): da essa si evince che la percentuale di abbattimento dei ricavi dovrebbe essere pari al ….%. Che sia così lo afferma sia la Corte Costituzionale (cfr. sent. 8 giugno 2005, n. 225) che la Corte di Cassazione (cfr. sent. 14 ottobre 2005, n. 19955;12 dicembre 2003, n. 19062; 10 aprile 1996, n. 3317): “il

principio sancito dall'art. 75 del D.P.R. n. 917/1986 [ora art. 109], …, secondo cui le spese sono deducibili se e nella misura in cui siano annotate nelle scritture contabili e abbiano concorso alla determinazione del

risultato del conto profitti e perdite …, non è applicabile in caso di rettifica induttiva, in cui alla ricostruzione dei ricavi deve corrispondere un'incidenza percentualizzata dei costi”: e nel caso si verte, per l’appunto, su una rettifica induttiva, anche se non riguarda il reddito imponibile, ma una sua componente (cioè i ricavi/corrispettivi). Per tali ragioni, il ricorrente richiede una riderminazione dell’imponibile dovuto da … a ….

∗ ∗ ∗ C. In termini di sanzioni In estremo subordine, si chiede che codesta on.le Commissione annulli le sanzioni per infedele dichiarazione, dato che il maggior imponibile (IRPEF/IreS/IRAP e IVA) non deriva da una inesatta indicazione dei ricavi e dei corrispettivi effettivamente conseguiti, ma dalla applicazione di parametri e calcoli matematico-statistici operati con riferimento a un «modello» che non rispecchia le peculiarità del ricorrente; e che manca quella “colpevolezza” dell’autore (della ipotizzata violazione) che l’art. 5 del D.Lgs. 472/1997 richiede per poter irrogare le sanzioni amministrative.

∗ ∗ ∗

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Per questi motivi, il sig. ……. / la Società ……, come sopra rappresentata e difesa,

CHIEDE a codesta on.le Commissione che dichiari la nullità dell’Avviso impugnato e/o provveda al suo annullamento I) in via pregiudiziale, se ritiene non manifestamente infondata (e, peraltro, rilevante) la eccezione di costituzionalità sollevata con il presente ricorso, sospenda il giudizio e rimetta gli atti di causa alla Corte costituzionale; II) in via principale e in diritto, disponga l’annullamento dell’atto per difetto dei presupposti richiesti dall’art. 62-sexies del D.L. 331/1993 e/o per carenza di motivazione in violazione degli artt. 7 e 12 della L. 212/2000; III) in via principale e nel merito, disponga l’annullamento dell’atto per infondatezza delle pretese a tassazione operate, nonché delle pretese impositive e sanzionatorie avanzate; IV) in via subordinata, ridimensioni adeguatamente la ripresa a tassazione operata e le conseguenti riprese impositive e dichiari non dovute le sanzioni, in quanto non viene accertata una evasione, ma la semplice mancata corrispondenza al modello “matematico statistico” cui l’Ufficio pretende di rapportare la specifica situazione del ricorrente (e manca, in ogni caso, qualsiasi “colpa”). Con rifusione delle spese e onorari di causa.

* * * Si chiede che la presente controversia venga discussa in pubblica udienza.

* * * All’atto della costituzione in giudizio saranno depositati i seguenti documenti, già richiamati in narrativa: 1) Avviso di accertamento/rettifica 2) ……

* * * Con osservanza. (Luogo e data) per il Sig. / la Società ……………. (firma del difensore) Il presente atto si compone di n. … pagine, numerate progressivamente e siglate dal difensore; e si conclude con la firma dello stesso apposta sopra la presente “formula di chiusura”. Procura: Il sottoscritto Sig. … (ovvero la società …., in persona del legale rappresentante pro tempore Sig …), delega a rappresentarlo e difenderlo in ogni fase del giudizio l’avv./dott./rag. … conferendogli ogni e più ampio potere, ivi compreso quello di conciliare, di farsi sostituire in udienza, di nominare coadiutori e assistenti in giudizio, di rinunciare al ricorso e agli atti. Elegge altresì domicilio presso lo studio del difensore, sito in …, via … Firma del delegante …………. “È autentica” Firma del difensore ...................

NOTE:

Tranne i casi di controversia di valore inferiore a euro 2.582,37 o che riguardi personalmente un difensore abilitato, il ricorso deve essere munito di “procura speciale” dal contribuente accertato a un “difensore

abilitato” alla difesa nel contenzioso tributario. Quanto all’atto, esso va redatto

* l’’originale (destinato all’Ufficio) in bollo da euro 14,62 ogni 4 pagine; * ulteriore marca da euro 14,62 deve essere apposta, sull’originale in relazione alla procura (c.d. “marca

delega”); * “la copia” (che deve essere dichiarata conforme all’originale) in carta libera.