Gli Anonimi e i Grandi Maestri Del 400

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da Gli anonimi e i grandi maestri del xv secolo di Jos Koldeweij con la collaborazione di Alexandra Hermesdorf Storia dell’arte Einaudi 1

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da Gli anonimi e igrandi maestri delxv secolo

di Jos Koldeweij

con la collaborazione di Alexandra Hermesdorf

Storia dell’arte Einaudi 1

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Edizione di riferimento:in La pittura in Europa. La pittura nei Paesi Bassi, acura di Bert J. Meijer, vol. I, Electa, Milano 1997

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Indice

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La pittura nel Quattrocento. I primitivi Nederlandesi 4

Gli sviluppi storico-artistici dal 1425 al 1500 4

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La pittura nel Quattrocento. I primitivi Nederlandesi

Gli sviluppi storico-artistici dal 1425 al 1500

Nella trattistica storica e storico-artistica si rilevanofin dagli esordi, nell’Ottocento, due concezioni diver-genti sulla cultura nederlandese del Quattrocento. Da unlato questo periodo d’innegabile splendore viene defi-nito come tardogotico e considerato come grandiosaconclusione delle tradizioni medievali. Dall’altro si fariferimento a quest’epoca con il termine di Rinasci-mento nederlandese. Ciò che comunque appare eviden-te è che si tratta di un periodo di grande fioritura sullimite di demarcazione tra il Medioevo e l’età moderna.Tale rigoglio culturale si sviluppò nel contesto di unasocietà marcatamente urbana e costituisce il pendantnordico del Rinascimento italiano. I fitti scambi com-merciali nonché le frequenti relazioni culturali che que-sti scambi alimentarono nel Quattrocento tra le cittàfiamminghe e quelle del nord Italia, bastano ad eviden-ziare come le spettacolari trasformazioni avvenute nelledue regioni più prospere dell’occidente non possonoessere considerate fenomeni a sé stanti.

E tuttavia gli sviluppi in Italia sono di tutt’altrocarattere e assumono in modo più pronunciato la valen-za di una “rinascita” o un “recupero” dell’antichità. Anord, invece, prosegue l’evoluzione del Gotico interna-zionale, anche se il linguaggio delle forme si fa meno raf-

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finato e più realistico per quanto riguarda la resa del pae-saggio, dello spazio, delle figure e dei dettagli, e va com-binandosi con tematiche spesso permeate di forte emo-tività. Corte, nobiltà, clero e borghesia diventano i com-mittenti di questo nuovo e apprezzatissimo linguaggioformale, che conobbe una magnifica fioritura in parti-colare nella sfera d’influenza della corte borgognona eche è consuetudine designare con il termine di pitturanederlandese antica o delle origini; gli artisti attivi inquesto periodo vengono definiti primitivi nederlandesisettentrionali e meridionali o meglio “primitivi fiam-minghi”. Tuttavia, questa pittura di stampo realisticoera tutt’altro che primitiva nell’accezione riduttiva deltermine: tanto la tecnica pittorica quanto la padronan-za dei materiali, l’iconografia, il linguaggio delle formee il simbolismo, il senso della realtà, ove questa eraricercata, e il contenuto devozionale erano, anzi, oltre-modo raffinati e raggiunsero dei livelli qualitativi note-voli. E sebbene si sia soliti parlare anche di “primitivitedeschi” e di “primitivi francesi” in riferimento agli svi-luppi stilistici più o meno coevi nei paesi confinanti, èdavvero sorprendente la misura in cui da questa “nuova”arte si evolva uno stile prettamente nederlandese, carat-terizzato da un forte accento sul naturalismo e sul rea-lismo. Questo stile peculiare si diffuse dapprima nei ter-ritori meridionali della regione considerata – Fiandre,Hainaut e Brabante – per poi muovere verso nord, versol’Olanda.

La pittura nederlandese del Quattrocento si svilup-pa lungo tre generazioni più o meno consecutive. Vistain prospettiva, la prima generazione, i cui pittori piùsignificativi furono i fratelli Van Eyck, Robert Campine Rogier van der Weyden, fornì forse il contributo piùrilevante alla formazione di quei lineamenti tipici dellapittura nederlandese delle origini. Furono questi artistiche, muovendo dal Gotico internazionale, posero le pre-

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messe per il seguente periodo di fioritura, durato gros-so modo tre quarti di secolo e contraddistinto da un’e-levata qualità sia tecnica che contenutistica e da unaforte unità stilistica, che però non era certo statica. Laproduzione artistica è costantemente animata da un rea-lismo idealizzato, di forte impronta religiosa e soprat-tutto innestato su una cultura borghese e cittadina, anzi-ché nobiliare e clericale in senso conservativo. In que-sta fase ebbe un ruolo di assoluto rilievo, difficilmentesopravvalutabile, l’opera di Jan van Eyck, sebbene ancheil suo geniale lavoro non possa essere considerato inmaniera isolata da quanto lo precedette e dal contestoin cui si esplicò. Dopo aver lavorato tra l’altro per lacorte dell’Aia, Jan van Eyck andò a stabilirsi a Bruges.La città divenne un centro importante, con Petrus Chri-stus quale successore di Van Eyck, ospitando una tra-dizione che si protrarrà sino alla fine del Quattrocento.Fino al 1440 circa ebbe un ruolo di primo piano Tour-nai, città in cui Rogier van der Weyden fece il suoapprendistato presso Robert Campin prima di stabilirsia Bruxelles, dove si dispiegò la sua carriera.

Le figure di spicco della seconda generazione di pit-tori sono Hans Memling, Dirck Bouts e Hugo van derGoes. Si noti che due di loro si recarono espressamen-te nelle Fiandre, Bouts infatti si trasferì a Lovanio dallanativa Haarlem, nell’Olanda settentrionale, e Memlinglasciò la tedesca Seligenstadt per andare a Bruges; Vander Goes, invece, era nato e cresciuto a Bruges. Per l’O-landa della seconda metà del Quattrocento occorre cita-re Albert van Ouwater e Geertgen tot Sint Jans, entram-bi attivi ad Haarlem. Intorno al 1450 ’s-Hertogenboschdiede i natali a Hieronymus Bosch, il quale, dopo unaformazione ispirata alla tradizione fiamminga, divenneun maestro del tutto originale e, cosa piuttosto sor-prendente, altamente apprezzato.

La terza generazione di “primitivi nederlandesi”,

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verso la fine del Quattrocento e soprattutto nel primoCinquecento, fa proprie le conquiste del Rinascimentoitaliano nell’ambito dello stile, del linguaggio formale edei soggetti. Va detto che già in precedenza artistinederlandesi avevano compiuto dei viaggi in Italia oavevano avuto modo di conoscere l’arte italiana attra-verso i disegni e le stampe, anche se al nord si rimane-va ben radicati alle proprie tradizioni. Con maestri comeGerard David, proveniente da Oudewater in Olanda eQuentin Metsys, attivi rispettivamente a Bruges e adAnversa, e con Jan Mostaert, Jacob Cornelisz van Oost-sanen e Cornelis Engebrechtsz, attivi in Olanda, si inau-gura una nuova tendenza. Il Rinascimento italianocomincia a diffondersi anche nei Paesi Bassi: in manie-ra ancora embrionale nell’opera di questi artisti, quindidecisamente negli esponenti appena più giovani dellaloro generazione come Jan Gossaert detto Mabuse eLucas da Leida.

A partire dalla seconda metà del Quattrocento neiPaesi Bassi e in Germania al posto della tradizionale tec-nica su tavola si va affermando la pittura su tela, su lino.Uno dei primi esempi di pittura su tela è rappresentatodal già citato Parement de Narbonne, un dipinto in gri-saglia realizzato a Parigi nel 1375 circa su commissionedel re di Francia. Considerata la sua destinazione adantependium, realizzato cioè per la parte anteriore del-l’altare, non sorprende la scelta della tela quale suppor-to e per lungo tempo si è perfino ipotizzato che questapittura estremamente raffinata servisse da base per unlavoro di ricamo. La grisaglia tuttavia appare eseguitacon notevole perfezione e fu senz’altro ritenuta un’operain sé conclusa. Il sobrio disegno in nero che non appa-re arricchito da materiali pregiati quali sete colorate efili d’oro, né da pigmenti costosi, rendeva ancor piùmanifesto il fatto che si era di fronte a un paramentofunebre. È comunque principalmente nella sfera del-

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l’arte applicata che si iniziò ad utilizzare la pittura sutela; partendo da questo ambito specifico e con un pro-cesso lento, ma inarrestabile, la tela sarebbe in seguitoandata a sostituire la tavola. Rientrano in questa tradi-zione applicata, ad esempio, le numerose commesse rice-vute nel tardo Quattrocento da Melchior Broederlam inqualità di pittore di corte dal duca di Borgogna; questecomprendevano in gran parte banderuole, stendardi,scudi stemmati e armature per tornei, e capitava ancheche ne venissero ordinati mille in una sola volta. In que-sti casi si trattava di lavori con finalità prettamentedecorative, che devono aver visto senza meno l’inter-vento di molti allievi e garzoni di bottega. Ancora intor-no al 1470 anche un pittore della portata di Hugo vander Goes risultava attivo nella realizzazione di prodot-ti del genere.

Un esempio considerevole di dipinto su lino dellaprima pittura nederlandese è la pala della Passione diRoermond. Questa pala d’altare, che vide la luce nel1435 circa in Gheldria, è eseguita a tempera su una telafissata su tavola. Questa tecnica, in cui il lino consenti-va di ridurre le deformazioni del supporto ligneo, fuimpiegata molto raramente nei Paesi Bassi, al contrariodi quanto accadde invece nell’area di Colonia. La tec-nica che prevedeva di incollare la tela su legno, qualebase di preparazione, venne adottata, per ovvie ragio-ni, regolarmente alle statue policrome. Si è già avutomodo di osservare come l’applicazione del colore alleopere scultoree rientrasse, quanto meno nel Trecento enel Quattrocento, tra gli incarichi ordinari del pittore.

Un passo significativo nella graduale transizione dallatavola alla tela tesa è segnato dalle ante della pala disanta Chiara del 1360-1370 circa, collocata nel duomodi Colonia e dono delle contesse Filippa e Isabella diGheldria al convento di santa Chiara di questa città,città in cui il dipinto vide la luce. Furono certo motivi

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di ordine pratico a suggerire l’uso, nella pala a doppieante (ciascuna di 282,5 x 138 cm), della tela tesa e fis-sata su telai per i battenti più esterni, il cui peso veni-va in tal modo ridotto al minimo. La riproduzione sutela della struttura architettonica delle ante lignee evi-denzia quella che è in effetti ancora una scelta “negati-va”. Le stesse ragioni spinsero un concittadino di Jero-nimus Bosch oltre un secolo dopo, nel 1513, a dipinge-re due grandi tele con la funzione di sportelli per un oro-logio con lo spettacolo del Giudizio Universale nellachiesa di San Giovanni a ’s-Hertogenbosch . Ogni voltache l’orologio artistico faceva la sua rappresentazione, irobusti sportelli (250 x 80 cm circa) dovevano aprirsi erichiudersi meccanicamente, e dunque una struttura leg-gera era della massima importanza. Il lino ben teso sultelaio fu dipinto a tempera su entrambi i lati, all’inter-no con quattro angeli con le Arma Christi, gli strumen-ti della Passione, all’esterno invece con i santi patronidella chiesa a grandezza oltre il naturale, GiovanniEvangelista e la Madonna col Bambino. Analoghe anteleggere di tela rossa vennero aggiunte nella primaveradel 1482 alla Giustizia di Ottone III nel municipio diLovanio. Queste scene della Giustizia erano state com-missionate nel 1468 a Dirck Bouts, tuttavia alla suamorte, nel 1475, l’opera non era ancora completa: latavola con la scena dell’Esecuzione è frutto del suo pen-nello, mentre quella con la Prova del fuoco è opera dellasua bottega. Dopo che Hugo van der Goes ebbe eseguitoper la città una stima delle tavole, forse portandoleanche a compimento, queste furono appese nel 1482 nelmunicipio. Esse vennero, inoltre, munite di battentiper preservare i pregevoli quadri dalla polvere e dallaluce, che vennero forse a loro volta dipinti con immagi-ni o testi. I battenti sono purtroppo andati perduti, legrandi tavole della Giustizia di Ottone III sono conser-vate i Koninklijke Musea di Bruxelles (ciascuna misura

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324 x 182 cm). Altri pannelli protettivi in tela, seppu-re non dipinti, erano fissati alla pala della gilda deiminiatori di codici di Bruges. L’esecuzione dell’operaera stata affidata nel 1478 a Hans Memling dal minia-tore di Utrecht Willem Vrelant, che in quella città eraa capo di una delle botteghe più importanti e si erafatto raffigurare insieme alla consorte come donatoresulle ante fisse della pala stessa.

Nella pittura nederlandese furono per l’appuntoDirck Bouts e Hugo van der Goes, verosimilmente suoallievo, a scegliere ben presto quale supporto la telaanziché la tavola. Rispetto ad un supporto ligneo, il linoteso a dovere e preparato con cura non solo è notevol-mente più leggero e dunque più maneggevole, ma èanche più stabile della tavola, formata da diversi assi esoggetta a continue deformazioni per gli sbalzi del tassod’umidità nell’atmosfera. Un’altra spiegazione, ugual-mente plausibile, per l’impiego di alcune delle prime teleeseguite a tempera (colori stemperati in acqua e mischia-ti alla colla) è che si trattasse di studi preparatori menopregiati oppure di varianti dipinte dei popolari arazzi.A questo proposito deve essere menzionata la Deposi-zione, ovvero il Compianto di Dirck Bouts databile gros-so modo al 1470 (Londra, National Gallery), che oggiappare quasi come una grisaglia. Va, inoltre, segnalatoun Calvario di notevoli dimensioni (181,5 x 153,5 cm,Bruxelles, Koninklijke Musea voor Schone Kunsten)attribuito allo stesso Bouts o a un pittore più giovane,segnatamente a Hugo van der Goes, la cui produzionecomprende varie tele. Molte di queste sono di estremointeresse in quanto mostrano ancora il sistema primiti-vo usato per stendere la tela, o consentono almeno diricostruirlo. Tra queste opere emerge, ad esempio, il dit-tico con la cosiddetta Piccola deposizione all’incirca del1480 (ciascun pannello 53 x 38 cm, Stati Uniti, pro-prietà privata; Berlino, Staatliche Museen Preußischer

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Kulturbesitz). Davvero spettacolare è un Tüchleinnederlandese della seconda metà del Quattrocento, pub-blicato nel 1992 da Jochen Sander. Questa piccola teladevozionale di un artista anonimo, in proprietà privata,raffigura la Maria Lactans a mezzo busto. La toccanteimmagine della Madre di Dio è dipinta entro un tondodorato su un lembo pressoché quadrato di lino finissi-mo (24,6 x 24,1 cm), tuttora racchiuso entro la propriacornice sul primitivo supporto ligneo posto dietro ilvetro originale. Sul retro della tela è ancora chiaramen-te visibile il disegno preparatorio; la stretta cornicemodanata, di color oro, presenta ancora tracce di untesto pio che assieme alla pittura doveva esortare ad unasincera devozione.

Lo sviluppo stilistico dell’illustrazione dei codici neiPaesi Bassi non procedette inizialmente di pari passo conle innovazioni radicali sperimentate dalla pittura sutavola con l’affermarsi, a partire dal 1425 circa, di unpronunciato realismo. I miniatori non ricercavano unaresa naturalistica dello spazio o effetti di profondità, macontinuarono il più delle volte a impiegare sfondi ditipo decorativo. I paesaggi vengono costruiti su pianiposti in sequenza come fossero quinte e le dimensionidelle figure sono spesso del tutto sproporzionate rispet-to all’ambiente, più piccolo perché meno importante. Ivolti e le espressioni erano e rimanevano stereotipati,rari o del tutto assenti erano i tentativi di conferiretratti individuali.

Pochi sono i nomi noti dei miniatori attivi nel perio-do compreso tra il 1400 e il 1440 circa e nella maggiorparte dei casi per quanto resta delle opere miniate risa-lenti al tardo Quattrocento si è costretti a ricorreresoprattutto ad una suddivisione per “gruppi”, scuole ea maestri a cui sono stati dati dei nomi convenzionali.Tuttavia, in maniera occasionale le novità si affaccianoanche nell’ambito dei codici miniati, come dimostra il

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famoso Libro d’ore Torino/Milano con le sue miniatureforse dipinte da Jan van Eyck durante il soggiorno del1422-1424 all’Aia presso la corte d’Olanda. Anche alcu-ni altri illustratori introdussero innovazioni nella deco-razione dei tanti e lussuosi libri di preghiere commis-sionati da benestanti cittadini, da religiosi o conversi edalla nobiltà per la loro devozione privata. Nei PaesiBassi settentrionali il Libro d’ore di Caterina di Cleve rap-presenta un vertice assoluto. Le miniature, frutto distraordinaria inventiva, e la decorazione sul margine diquesto manoscritto vennero eseguite intorno al 1440,probabilmente a Utrecht, e presentano influenze deri-vanti dalla pittura su tavola e dalla miniatura tanto deiPaesi Bassi meridionali quanto di quelli settentrionali.La domanda sempre crescente di libri di preghiere, inparticolare nei territori a nord dei grandi corsi d’acqua,determinò la formazione di gruppi di opere con carat-teristiche proprie in città come Delft e Haarlem, oppu-re più diffusi a livello regionale, in Gheldria, nei PaesiBassi orientali e così via. Nei Paesi Bassi meridionali fula corte borgognona ad avere un ruolo importante perl’illustrazione di codici nel periodo tra il 1400/1445 e il1475. Il mecenatismo e l’influenza esercitata dai duchidi Borgogna, che avevano fissato le loro residenze indiversi luoghi, crearono una grande uniformità nellaproduzione calligrafica. Molto apprezzati erano i testi siaprofani che religiosi di ampie dimensioni, cosicché spes-so vennero creati manoscritti composti da più tomi. Ilduca Filippo il Buono si distinse in questo senso: alla suamorte la biblioteca personale contava niente meno che900 volumi! Tra le diverse città prospere dei Paesi Bassimeridionali dotate di propri scriptoria, Bruges divenneun centro di spicco di notevole richiamo. Numerosiminiatori di gran talento andarono a stabilirsi a in que-sta città lavorando in proprio come membri della gilda.Si citano qui solo alcuni esempi: il francese Jean Dreux

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fu attivo in quella città negli anni 1448-1466, WillemVrelant, di Utrecht, dal 1454 fino al 1481, anno dellamorte, Loyset Liédet, di Hesdin, e il francese Philippede Mazarolle vi lavorarono dal 1469 fino alla loro mortenel 1479. Di Philippe de Mazarolle va segnalato in par-ticolare un singolare manoscritto, un libro d’ore stilatoin oro e argento su pergamena nera. Il libro venne dona-to dalla città di Bruges al duca Carlo il Temerario il 24febbraio 1467 in occasione del suo ingresso ufficiale inqualità di duca e fu De Mazarolle a ottenere l’incaricodi ultimare il manoscritto ancora incompiuto. È possi-bile che questo libro d’ore in pergamena nera, attestatonei documenti d’archivio, sia da identificarsi con unmanoscritto attualmente conservato a Vienna (Öster-reichische Nationalbibliothek, ms. 1856). In tal casoPhilippe de Mazarolle sarebbe l’illustratore di questocodice spettacolare, che rientra in un gruppo di mano-scritti di dimensioni molto piccole, estremamente pre-ziosi e raffinati, provenienti dagli ambienti della corteborgognona. Di questi libri d’ore di colore nero si con-servano nel complesso sette esemplari, tutti eseguiti aBruges e risalenti al terzo quarto del Quattrocento.

Negli ultimi decenni del Quattrocento e agli inizidel Cinquecento anche nelle regioni meridionali il mer-cato mostra un notevole interesse per i libri d’ore deco-rati. Se da una parte vennero meno la corte e la casatadi Borgogna nella loro veste di grandi committenti, dal-l’altra aumentano in maniera vistosa gli incarichi dei pri-vati relativi a manoscritti per la devozione personale.Con il modificarsi del tipo di clientela mutò anche ilcarattere della miniatura dei Paesi Bassi meridionali,che fu allora spesso riferita alla “scuola di Gand-Bru-ges”, nome che deriva dai due maggiori centri di pro-duzione. I libri sono ridotti a un formato più piccolo,pur presentando ancora ricchi ornamenti. La decora-zione a margine, che corre tutt’intorno al testo, assume

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un carattere molto marcato e talvolta esibisce elementiarchitettonici. Celebri sono inoltre le scene istoriate esoprattutto le cornici realistiche cosparse di fiori, con-chiglie, insegne di pellegrinaggio o gioielli e altri ogget-ti, tutti raffigurati con notevole minuzia. Le stesseminiature cambiarono aspetto rispecchiando in modopalese l’influenza della pittura su tavola, in un processoche sfociò in raffigurazioni simili a quadri di piccolo for-mato, la cui funzione poteva esplicarsi tanto in un libroche su una parete. Anche nell’ultimo periodo dellaminiatura gli artisti noti per nome sono relativamentepochi e soltanto di alcuni illustratori si conoscono concertezza le opere. Sono da annoverare tra i più insignimaestri del tardo Quattrocento e del primo Cinquecen-to l’anonimo Maestro di Maria di Borgogna, che deveil suo nome alla committente per la quale eseguì la deco-razione di taluni magnifici codici, e i due miniatori diGand, Alexander Bening e Gerard Horenbout. Que-st’ultimo trascorse gran parte della sua carriera, dal 1420alla sua morte nel 1440, alla corte inglese del re EnricoVIII. Simon Bening, figlio di Alexander, si stabilì aBruges, dove morì nel 1561: nei suoi quadri miniaturi-stici egli raggiunse ancora risultati di elevato livello nellafase conclusiva della tradizione dei codici miniati neder-landesi. Nel frattempo l’arte tipografica aveva già unsecolo di storia alle spalle e aveva soppiantato ormaidefinitivamente il libro scritto e decorato a mano.

Nel Quattrocento trasformazioni rilevanti interessa-no nelle regioni nordiche anche il rivestimento pittori-co degli interni delle chiese. La tradizione dominanteprescriveva per le grandi cattedrali francesi l’intonaca-tura sia delle pareti che delle volte: tutti i materiali dellacostruzione erano nascosti alla vista da un sottile stratodi malta policroma. Questa copertura esaltava la strut-tura architettonica degli edifici religiosi e conferivaarmonia ai loro vasti interni. Una cortina finta veniva

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dipinta su uno sfondo dalle tinte tenui che variavano dalgrigio e bianco sporco al rosato o all’ocra. Talvolta glielementi portanti erano evidenziati attraverso abbina-menti cromatici e le volte potevano avere un colorediverso dalle pareti. A completamento della costruzio-ne della cattedrale di Chartres, ad esempio, l’edificio fuinteramente dipinto nella prima metà del Duecento inocra chiaro con una cortina finta di colore bianco e l’ac-centuazione degli elementi portanti, anch’essi bianchi;un rivestimento analogo, solo su sfondo rosato, loconobbe verso la fine del Duecento la chiesa di SantaElisabetta a Marburgo. Diverso invece l’interno dellacattedrale di Amiens: l’alzato era completamente grigio,le volte rossastre e sull’insieme era dipinta in bianco unacortina finta. Il rivestimento pittorico delle architettu-re faceva da scenario alle vetrate con figure dai colorispesso brillanti e alle sculture variopinte. Nel corso delTrecento a queste si aggiunsero anche dipinti murali dicarattere figurativo. Il gotico brabantino del Quattro-cento introdusse una tendenza più sobria: un rivesti-mento uniforme e monocromo di tutto l’interno dellechiese, su cui venivano poi apportate decorazioni dalletinte accese e vistose. Queste decorazioni si estesero len-tamente fino a divenire pitture murali di ampie dimen-sioni e dipinti figurativi e decorativi a copertura totaleo parziale delle volte. Questi dipinti murali formavanospesso un continuum con gli arredi, le porte, le finestre,le mensole e i baldacchini scolpiti. Tale sviluppo è illu-strato in maniera molto eloquente dall’interno di chie-sa raffigurato da Jan van Eyck nella miniatura dellaMessa funebre databile al 1440 circa: un ambiente inte-ramente dipinto di bianco, intorno alle chiavi di voltacolori di forte impatto e in fondo al coro, sulla paretenord, una scultura posta in risalto dal contesto dipintoin cui è inserita. Van Eyck mostra inoltre come il mate-riale di costruzione venisse effettivamente occultato

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sotto l’intonaco: la cornice della miniatura delimita inalto la parte intonacata da quella non ancora rivestita ein quel punto si vede chiaramente la grezza muratura.Il trittico dei Sette Sacramenti di Rogier van der Wey-den, risalente al 1453-1455, presenta lo stesso internodi chiesa austero e dai colori chiari che sottolineano gliarredi. Un analogo rivestimento pittorico bianco mono-cromo, ascrivibile al gotico brabantino, con vistosiaccenti cromatici intorno alle chiavi di volta, anch’essedipinte, è stato riportato alla luce nella cattedrale diNotre Dame ad Anversa e di recente ripristinato. Lostesso ideale decorativo si ritrova nella chiesa di SanGiovanni a ’s-Hertogenbosch, dove al contempo siosserva chiaramente come in epoche successive, che arri-vano fino al periodo neogotico, le tonalità degli internitornino a ravvivarsi con scene di natura decorativa efigurativa. Che questo processo prenda le mosse già nelQuattrocento lo dimostrano le pitture nella volta delcoro della chiesa di San Giovanni: nel secondo quartodel Quattrocento, la copertura tanto dell’alzato che dellavolta era bianca, le linee di forza dell’architettura eranoevidenziate dal rosso e dal nero. Le chiavi di volta eranodipinte in oro e policromia realistica e inoltre circonda-te da pennellate di colore. In vista dell’assemblea capi-tolare dell’ordine del Toson d’Oro, che si svolse nel1481 nel coro della chiesa di San Giovanni, la volta fuornata con dipinti figurativi, in cui compaiono tra l’al-tro, la Seconda venuta di Cristo, santi e angeli che suo-nano la tromba. Sotto il profilo stilistico, l’evoluzionedella pittura monumentale procede ovviamente in paral-lelo alle trasformazioni che hanno luogo nella miniatu-ra e nella pittura su tavola. Come si è osservato in pre-cedenza, d’altronde, tra queste espressioni artisticheesistevano forti legami. Si prenda ancora Hugo van derGoes quale esempio. Il suo dipinto murale che in unacasa di Gand illustra la storia del re Davide e di Abigail,

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personaggio amato come prototipo di Maria, era moltofamoso e fu descritto come tale già nel tardo Cinque-cento nonché citato da Karel van Mander nel suo Librodella pittura del 1604.

La miniatura. La fama del pittore greco Zeusi, vissu-to nel quinto secolo a.C., si perpetuò anche nei PaesiBassi fino al tardo medioevo. Diversi erano gli aneddo-ti che circolavano sin dall’antichità a proposito di que-sto geniale artista. L’episodio più celebre è quello deichicchi d’uva da questi dipinti con tale realismo da trar-re in inganno gli stessi uccelli. Un altro racconto moltodiffuso venne riportato da Cicerone (106-43 a.C.) e apiù riprese illustrato nei manoscritti tardomedievali delbrano di Cicerone, come ad esempio nella copia dellaRhetorica di fine Quattrocento, appartenente alla biblio-teca dell’abate di Gand Rafaël de Mercatellis. Rafaël deMercatellis, figlio naturale di Filippo il Buono, fu abatedell’abbazia di San Bavone a Gand dal 1478 alla morte,avvenuta nel 1508. Una schiera di amanuensi e minia-tori lavorò per lui sia a Gand che a Bruges al fine di crea-re una vasta biblioteca personale. In una delle sueMiscellanea, raccolte di testi di diversa natura, si riferi-sce quanto Cicerone scrisse nel 91 a.C. a proposito diZeusi: il rinomato pittore aveva ricevuto l’incarico direalizzare per un tempio un’effigie della leggendariaElena, figlia di Giove. Il ritratto avrebbe dovuto coglie-re la venustà senza pari della “donna più bella delmondo”, nel suo dipinto Zeusi doveva trascendere larealtà per dare forma a quest’ideale di bellezza. Egli scel-se quindi cinque modelle componendo per sintesi il suoideale femminile.

Nell’illustrazione qui raffigurata il miniatore fiam-mingo (1482-1487 ca.) ha scelto proprio questa storia,offrendo al contempo l’occasione di gettare uno sguar-do dentro una bottega dell’epoca. Sullo sfondo, attra-

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verso l’imponente finestra, figurano due fasi del rac-conto: in lontananza, il pittore che prende accordi coni suoi committenti, quindi, in posizione più vicina all’os-servatore, gli stessi mentre scelgono alcuni giovani in ungruppo di allievi di una palestra che si stanno eserci-tando. La narrazione prosegue in alto, sulla destra: iragazzi prescelti per la loro bellezza conducono il pitto-re e i committenti dalle loro rispettive sorelle, tra le qualivengono scelte le cinque modelle, cui Zeusi si ispireràper dipingere la sua Elena. Questo è il tema principalee occupa lo spazio maggiore al centro della miniatura.Sulla sinistra, in primo piano, il committente sta par-lando, mentre il pittore, seduto al centro su una cassa,è intento a rifinire il suo ritratto muliebre idealizzato.Il dipinto su tavola è collocato su un cavalletto, sullasinistra stanno in posa cinque bellezze fiamminghe e adestra è sistemato un tavolo basso con recipienti di colo-re già diluito. Sebbene non sia dato vederla, la manosinistra del pittore tiene senz’altro la tavolozza su cuiegli crea gli impasti più delicati prima di applicarli sullatavola con il pennello. Si noti che anche qui, come nelcaso di Colyn de Coter, di cui parleremo in seguito, ildipinto si trova sul cavalletto già montato in una corni-ce. In effetti, come rivelano le indagini sui materialidelle pitture su tavola, questo era il modo abituale dioperare, eseguendo la pittura letteralmente entro lo spa-zio delimitato dalla cornice: il margine estremo delleantiche tavole si presenta in genere privo di colore, cheforma invece uno spesso bordo rialzato tutt’intorno aldipinto, la cosiddetta “bava”. Sulla destra della minia-tura compare un assistente del pittore, che trita i pig-menti e prepara il colore per il maestro Zeusi, impegnatoa combinare quanto di più bello hanno le cinque model-le per creare la figura della bellissima Elena, avvolta inuna veste d’oro bordata di ermellino.

Passiamo ora a descrivere un libro di preghiere e alta-

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re portatile di grande interesse. Modellato sulle esigen-ze personali del duca Filippo il Buono, questo libro dipreghiere, di dimensioni minime, costituisce un impor-tante esempio di manufatto destinato alla devozioneprivata: la parte testuale contiene alcune preghiere rivol-te a Maria, alla Trinità – oggetto di un culto particola-re nella certosa di Champmol – e a Cristo, che riguar-dano soprattutto la Passione. L’apparato decorativo èformato da cinque miniature, due nel dittico applicatosulla copertina del libro e tre inserite nel volumettostesso, risalenti a epoche diverse e differenti nello stile.I due fogli miniati incorporati nella copertina, datanoall’incirca al 1430, la copertina e il manoscritto sono del1450 circa.

Sulla parte sinistra del dittico è raffigurata la Trinità,a sinistra Dio Padre con la tiara sul capo e a destra loSpirito Santo nelle insolite sembianze di un Cristo alato.Nel mezzo, il Cristo crocifisso, la croce poggiata su unglobo terrestre. L’Incoronazione di Maria sull’altra metàdel dittico è presentata in maniera alquanto tradiziona-le: la Madonna e il Cristo benedicente con il globo ingrembo, siedono l’una di fronte all’altro sul trono, degliangeli sorreggono e incoronano Maria. Dio Padre inGloria osserva la scena dal cielo e dà la sua benedizio-ne. Alcuni angeli rosso fuoco incorniciano la scena.

In ogni miniatura del libro figura il committenteFilippo il Buono in persona. Sulla prima pagina egli èinginocchiato insieme al figlio Carlo di Borgogna, dettoil Temerario, davanti a un piccolo dittico di forma sor-prendentemente simile a quello applicato all’esterno dellibro. Come si legge nel testo della pagina opposta, lasingolare figura della scena seguente è la cosiddettaMadonna delle Spighe, ispirata a una scultura marmo-rea nel Duomo di Milano (attualmente nel Castello Sfor-zesco della città) che fin dal 1410 aveva compiuto nume-rosi miracoli. Con ogni probabilità Filippo il Buono

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venne a conoscenza del particolare culto tributato a que-st’immagine, peraltro rarissima nell’arte a nord delleAlpi, attraverso i suoi stretti rapporti con gli Sforza,duchi di Milano. Lo stile delle miniature sulla coperti-na appare ancora fortemente improntato al Gotico inter-nazionale degli inizi del Quattrocento. Le scene conte-nute nel libro stesso, invece, devono essere collocate inun periodo più tardo, alla luce degli accenni di tridi-mensionalità dello spazio in cui sono inserite le figure.Il manoscritto è rilegato con una copertina realizzata inmaniera tradizionale con tavolette lignee rivestite dicuoio punzonato. Ciò che rende eccezionale il volume èil fatto che le tavolette siano state prolungate nella partesuperiore in modo da formare un dittico: a tutt’oggi que-sto è l’unico esemplare noto di libro che combini unmanoscritto e un dittico.

L’artista anonimo indicato, sulla scorta del mano-scritto illustrato più pregevole di cui fu autore, comeMaestro del Libro d’ore di Caterina di Cleve, o sempli-cemente Maestro di Caterina di Cleve, è ritenuto ilmigliore e più originale miniatore tardomedievale deiPaesi Bassi settentrionali e forse persino di tutta Euro-pa. Ben quattordici manoscritti, tutti databili agli annicompresi tra il 1430 e il 1460, sono stati identificaticome opera dell’artista e della sua bottega. Dall’insiemedella produzione si desume che la sua attività si svolsecon ogni probabilità a Utrecht. Di fronte all’eccelsa qua-lità e al carattere notevolmente innovativo delle sueminiature e illustrazioni a margine, originalità che già aisuoi tempi non deve essere sfuggita, stupisce che egli siatuttora un anonimo di cui non si hanno notizie certe.

Lo splendido manoscritto, cui deve il suo nome, è unlussuoso libro d’ore di oltre 350 fogli di fine pergamena,riccamente illustrato: 25 miniature a piena pagina, 132miniature a mezza pagina, un’iniziale istoriata (un capo-lettera con una raffigurazione), innumerevoli lettere

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decorate, ornamenti sul margine di quasi tutti i fogli.L’artista offre in quest’opera un campionario delle suecapacità, che vanno dalle realistiche scene di generedomestico alle scene permeate di simbolismi o alle imma-gini fantastiche, quasi visionarie. Nelle decorazioni suimargini si rileva spesso una mirabile resa della realtà, chenel contenuto è a volte chiaramente correlata al temaprincipale del testo della pagina o alla miniatura checampeggia sul foglio; ma capita anche che il significatoultimo sia di ardua interpretazione o che si tratti di com-binazioni di oggetti di natura puramente associativa.

Il Libro d’ore di Caterina di Cleve costituisce l’esem-plare più voluminoso e riccamente decorato di questotipo di libro di preghiere molto amato nei Paesi Bassi,che offriva ai laici l’opportunità, attraverso la preghie-ra privata e la religiosità personale, di condurre la pro-pria vita, giorno per giorno e ad ogni ora, all’insegna delcristianesimo. Sia il testo che il corredo decorativo sonoestremamente minuziosi ed elaborati. Il Maestro diCaterina di Cleve concepì in modo originale le illustra-zioni traendo ispirazione dal mondo circostante, da unlato da particolari eccezionali, oggetti preziosi, fattinotevoli, dall’altro da piccoli e commoventi dettagli esfumature quotidiani che egli coglieva e poi rielaboravanelle decorazioni. E tuttavia nemmeno quest’artista sicolloca al di fuori della tradizione da cui proveniva e dalcontesto artistico in cui era inserito. Nella sua opera siindividuano chiaramente motivi desunti dalle miniatu-re del passato nonché spunti tratti dai dipinti su tavo-la, ad esempio, di Jan van Eyck e del Maestro di Flé-malle (Robert Campin). Era normale che schizzi e dise-gni circolassero nelle botteghe e fossero impiegati qualimodelli; sembra persino che già a quei tempi il Maestrodi Caterina di Cleve utilizzò come esempi alcune ripro-duzioni, in particolare stampe dell’artista anonimo, pro-veniente dall’alto Reno, noto col nome convenzionale di

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Maestro delle Carte da gioco (attivo fino al 1435 circa).Si può supporre che per la decorazione di questo librod’ore il miniatore ottenne da parte della committentepiena libertà. Ne risultò un’opera di ampie dimensioni,che richiese certo alcuni anni di impegno, ma la cuistruttura era stata pianificata fin dall’inizio. In diversipunti del manoscritto compare la committente in per-sona, e qui e là nelle illustrazioni è inserito anche il suostemma; varie volte, inoltre, ricorrono le iniziali CD,che stanno per “Catharina Duxissa”, duchessa Caterina.

Figlia del duca Adolfo di Cleve e nipote di Filippo ilBuono, duca di Borgogna, Caterina di Cleve (1417-1476)fu data in sposa ad Arnoldo di Egmont, rampollo di unacelebre casata d’Olanda. Durante il governo del ducaArnoldo, la casa di Borgogna minacciava di avere ilsopravvento sul ducato di Gheldria; conflitti, guerre civi-li e lotte tra fazioni si susseguirono senza portare a unasoluzione definitiva e alla morte del duca Arnoldo, nel1473, le truppe borgognone di Carlo il Temerario inva-sero la regione. Caterina ebbe un suo ruolo nella politi-ca del tempo: fu la reggente di Gheldria negli anni 1449-1451, durante un pellegrinaggio di Arnoldo a Gerusa-lemme, e difese la causa del figlio Adolfo presso il vesco-vo di Utrecht, Filippo di Borgogna, in un periodo in cuiil consorte, con cui era in lite, conduceva una politicaanti-borgognona. Con il suo libro di preghiere Caterinaentrò di diritto sia nella tradizione della Casa di Cleve,di cui si conoscono vari pregiati manoscritti, sia in quel-la borgognona, cui era legata tramite la madre. Consi-derazioni stilistiche e iconografico-contenutistiche indu-cono a ritenere che il libro d’ore fu eseguito probabil-mente intorno al 1440. Oltretutto un Hollandse Groot,riprodotto nel manoscritto con estrema precisione, for-nisce un terminus post quem trattandosi di una monetaconiata nel 1434 dal duca di Borgogna Filippo il Buonoin qualità di conte d’Olanda.

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La pittura. La miniatura di Zeusi che dipinge Elenamostra l’artista mentre con il pennello fine esegue gliultimi ritocchi. È lecito ipotizzare che l’artista utilizzidei colori a olio, dal momento che qui è raffigurata latecnica in uso nel tardo Quattrocento. In precedenza ipittori adoperavano la tempera, colori disciolti in acqua,dove l’uovo o la colla funzionavano da leganti. Perdipingere le ante dell’ancona di Champmol, verso lafine del Trecento, Melchior Broederlam si servì, adesempio, prevalentemente di colori ad acqua miscelaticon l’uovo. Le prime pitture su tela furono eseguite conpigmenti impastati con colla animale, colla che in lineadi massima veniva dapprima applicata sulla tela. Del-l’imprimitura o della mestica ancora non vi era traccia.Nel corso del Quattrocento si ricorre sempre più fre-quentemente agli oli quali leganti e fu soprattutto Janvan Eyck ad utilizzare i “colori a olio” con estrema per-fezione. Non che egli fosse il primo, le proprietà agglu-tinanti degli oli erano sicuramente già note nell’ottavosecolo: esisteva tuttavia il problema dell’essiccazione,particolarmente lunga e laboriosa nel caso dei colori aolio. D’altra parte l’uso di pigmenti diluiti in sostanzeoleose consentiva di dare corpo al colore e alle grada-zioni per successivi strati sottili e trasparenti; tenui sfu-mature potevano essere combinate con colori scuri eintensi, con passaggi morbidi e graduali e con una lumi-nosità notevole. Tutti gli artisti fecero i loro esperi-menti alla ricerca della combinazione utile tra tempo diessiccazione, fluidità, capacità di miscelarsi, durata ealtre qualità dei colori. Un grande passo in avanti in que-sta direzione fu compiuto da Jan (e Hubert) van Eycke, a quanto pare, ciò avvenne direttamente su un’operadalle sorprendenti dimensioni come il polittico dell’A-gnello mistico, a Gand. È stata talvolta formulata l’ipo-tesi che al fine di accelerare il processo di essiccazionedei colori, Van Eyck vi avesse unito un solvente all’olio

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di seme di lino, ma dalle moderne indagini scientifichenon è risultato nulla in questo senso. Si accertò inveceche l’artista aveva aggiunto all’olio di lino uova e piom-bo. Per abbreviare il procedimento, a volte gli strati dicolore contenenti olio erano applicati su una base a tem-pera che aveva come legante l’uovo. Lo strato prepara-torio era in genere chiaro, in pratica quasi bianco, matalvolta la stessa mestica veniva colorata con terre nereo rosse. In tal modo si otteneva per le parti chiare deldipinto una tessitura luminosa ed espressiva applicandoun piccolo quantitativo di colore trasparente su questofondo già chiaro; per le porzioni scure non occorrevainvece più uno strato spesso di colore in quanto la baseera già scurita.

Sullo strato di mestica veniva tracciato il disegnopreparatorio: in maniera più o meno schematica il pit-tore eseguiva con il gesso, il carboncino (a secco) o conil pennello (a fresco) il bozzetto del dipinto; soprattut-to nel caso di strutture architettoniche il disegno pre-paratorio poteva anche venire inciso nello strato dimestica. Talvolta si può riconoscere anche l’impiego ditecniche particolari per tracciare il disegno preparatorio,in particolare il sistema dello spolvero che consentiva ditrasferire il disegno dal cartone sulla superficie da dipin-gere. Dal momento che il disegno preparatorio dovevaessere occultato alla vista dagli strati di colore, questo èdi solito molto naturale e personale, la firma dell’artistapiù spontanea: da maestro a maestro cambia l’approccioal disegno e il suo carattere. Alcuni tracciano linee flui-de e sovrappongono correzioni e versioni diverse, altriinvece eseguono sin dal primo momento un disegno pre-ciso e già quasi definitivo. Di particolare interesse sononaturalmente quei disegni che rivelano dettagli sulleattività tipiche della bottega e sulla collaborazione tramaestro e aiuti. Sorprendentemente ricco di informa-zioni è ad esempio il disegno preparatorio del Giudizio

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Universale di Rogier van der Weyden a Beaune, da cuirisulta che l’artista impostò l’opera abbozzando su ognitavola alcuni personaggi e lasciando ad almeno quattroaiuti e allievi il completamento dei disegni; fu di nuovoil maestro a stendere il primo strato di colore apportan-do in quella fase modifiche al disegnopreparatorio, poiultimò le parti più rilevanti del polittico mentre i suoiassistenti eseguirono il resto.

In alcuni casi, con il passar del tempo il colore sbia-disce tanto da consentire di cogliere ad occhio nudoporzioni di disegno preparatorio; ciò si rileva con gran-de chiarezza, ad esempio, nel corpo del Cristo nellascena del Compianto nel Dittico di Vienna, opera diHugo van der Goes e nella piccola bilancia di sant’Eli-gio, disegnata da Petrus Christus, in un primo momen-to di dimensioni maggiori di quelle conferitegli poi nellaversione definitiva del Sant’Eligio nel suo laboratorio.Parti di disegno preparatorio si osservano anche nel trit-tico delle Tentazioni di sant’Antonio di HieronymusBosch, ora a Lisbona: soprattutto al di sotto dei dipin-ti a grisaille dalle tonalità brune che si trovano sull’e-sterno delle ante, ma anche nelle parti interne policro-me delle ante e nello scomparto centrale sono ben visi-bili i disegni apportati sullo strato di mestica, con det-tagli che spesso differiscono dalla versione definitiva.

A partire da Jan van Eyck, i primitivi nederlandesidel Quattrocento adoperarono in prevalenza colori aolio per tutti gli strati del dipinto. All’olio, legante dirapida essiccazione, si aggiungevano talvolta anchesostanze resinose per il glacis, gli strati superiori di colo-re, che sono diafani e lasciano trasparire la luce. Già nelQuattrocento si stendeva spesso come ultimo strato,quale glacis incolore, una mano di smalto sull’intera pit-tura, sia per proteggere che per conferire maggiore bril-lantezza e intensità ai colori.

Nel Quattro- e nel Cinquecento il numero di pig-

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menti a disposizione era limitato: venivano utilizzatiprincipalmente pigmenti di origine minerale a fianco adalcune sostanze coloranti organiche, e ciò in particolareper il rosso, il marrone e il nero. Il nero si otteneva dalcarbone di piante o di ossa bruciate, mentre il rosso deri-vava da sostanze animali come la cocciniglia, o vegetalicome la robbia. Diversi pigmenti furono ben presto pre-parati artificialmente, come ad esempio la cerussa e lamaggior parte delle sostanze coloranti gialle e rosse. Ilblu si otteneva soprattutto dall’azzurrite o dal lapislaz-zuli, ma anche dal vetro di cobalto (azzurro di smalto);quest’ultimo ebbe largo uso nel Cinquecento e ha assun-to col tempo una colorazione grigiastra. L’azzurrite (uncomposto del rame) presenta riflessi verdastri e il lapi-slazzuli forniva il blu intenso più bello, ma era estre-mamente costoso. Prima della scoperta dell’America,infatti, il lapislazzuli doveva essere importato dall’Af-ghanistan, per cui il minerale, più caro ancora dell’oro,veniva impiegato con grande parsimonia, tanto che spes-so può essere interpretato come status symbol. Il verdee il marrone erano per lo più il risultato di miscele e crea-vano problemi sia per le tonalità che per la tenuta. Ilmarrone infatti opacizza rapidamente e si altera confacilità. Il pigmento verde malachite ha basso poterecoprente mentre il verderame, in grado di offrire un belverde scuro se impastato con resine e oli si ossida diven-tando marrone per effetto della luce. È per questo moti-vo che gran parte delle distese d’erba della prima pittu-ra nederlandese si presentano oggi come riarse dal sole.

“colin de coter / pingit me in brabancia / brusel-le” (“Colyn de Coter, mi dipinse in Brabante/ Bruxel-les”). Con queste parole, disposte sull’orlo del manto diMaria, il pittore brussellese Colyn de Coter (1455 ca.-1540 ca.) firmò, attorno al 1490 circa, la sua grandetavola con San Luca che dipinge la Vergine con il Bambi-no. Luca, che secondo la tradizione è medico nonché pit-

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tore, è raffigurato dietro al cavalletto mentre è intentoa ultimare un ritratto della Vergine su una tavola giàmunita di cornice. La scena si svolge in un atelier dome-stico: recatasi nell’abitazione cittadina dell’artista perfarsi ritrarre, Maria ora siede in posa su una pancadavanti al camino con il Bambino in grembo. Sullo sfon-do, sul retro della casa, un falegname sta costruendo unatavola per il pittore, un particolare, questo, che sembrasuggerire che i lavori di falegnameria potevano averluogo anche nella bottega dei pittori. È inoltre possibi-le, che la persona all’opera nel cortile recintato non siaaltri che Giuseppe nelle vesti di falegname e che il ritrat-tista sia venuto col cavalletto e gli attrezzi del mestierea casa dei committenti del dipinto. Se così fosse, e tuttosommato questa sembra l’interpretazione più plausibi-le, l’opera getta una luce interessante sulle pratiche pit-toriche nell’ambiente borghese dei Paesi Bassi meridio-nali del tardo Quattrocento.

L’evangelista ha a portata di mano tutto l’occorrenteper la sua attività. Sul cavalletto e sul tavolo dietro di lui,alla sua destra, ci sono conchiglie con i pigmenti prontiper l’uso e diversi pennelli. Nella mano sinistra l’artistatiene una tavolozza con i colori che sta impiegando e unbastone da pittore a sostegno della destra con cui dipin-ge. Ad avvalorare l’identità dell’evangelista Luca, quasisotto il cavalletto, giace un bue alato, suo simbolo perantonomasia. I lineamenti del volto del pittore, calmo econcentrato nel suo lavoro, suscitano l’impressione di unritratto: ma allora chi è che rappresenta?

Comunque sia, è probabile che in questo quadroColyn de Coter abbia imitato fedelmente un esempio diRobert Campin, il Maestro di Flémalle, della primametà del Quattrocento. La rappresentazione di Lucaquale ritrattista della Vergine col Bambino era moltoamata. Non solo a Roma, infatti, ma anche altrove,come ad esempio a Cambrai, immagini di Maria ritenu-

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te opera dello stesso Luca, erano oggetto di una vene-razione particolare. Da questa leggenda Luca derivavala sua fama di protettore dei pittori e degli artisti equindi la sua popolarità. La più celebre raffigurazione diquesto soggetto venne eseguita nel 1432-1436 dal pit-tore Rogier van der Weyden, anch’egli di Bruxelles.Del suo San Luca che dipinge la Vergine Maria si cono-scono ben quattro versioni, di cui una, in base a calco-li dendrocronologici, risulta collocabile grosso modo nel1434 (la dendrocronologia è un metodo per la datazio-ne assoluta fondato sugli anelli di accrescimento annua-le presenti sul supporto ligneo). Ne consegue che è que-sta la tavola originale di Van der Weyden (Boston,Museum of Fine Arts), mentre le altre tre sono copie,sempre brussellesi, della seconda metà del Quattrocen-to. L’artista dipinse il quadro per la cappella di proprietàdella gilda dei pittori, eretta nella chiesa di Santa Gudu-la a Bruxelles. Come artista ispirato egli si identificòsenza dubbio con l’evangelista Luca intento a dipinge-re; tuttavia, non avrebbe mai potuto immaginare di tro-vare un giorno sepoltura davanti alla sua magnifica palad’altare.

Robert Campin. Questo artista (1376?-1444) è da iden-tificarsi con ogni probabilità con il Maestro di Flémalle:Viene menzionato per la prima volta nel 1406 a Tournai,dove rimase fino alla morte nel 1444. Campin frequentòin questa città gli ambienti della nuova borghesia e quirivestì diversi incarichi di rilievo, tra cui quello di decanodella corporazione degli orafi e di capo della gilda di SanLuca, in cui erano associati i pittori. Diresse inoltre unabottega con artigiani e apprendisti, come testimonia unelenco dei suoi allievi, tra i quali compaiono pure gli arti-sti “Roggie van der Weyden” e Jacques Daret.

Noto anche come Trittico Seilern dal nome del suooriginale proprietario, il duca Antoine Seilern, il tritti-

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co della Deposizione, che compare sul pannello centrale,venne eseguito da Campin nel 1415 circa. Per le inten-se emozioni racchiuse nel dipinto, questo è certo più cheuna semplice pala d’altare. Esso si propone come unAndachtsbild, un’immagine devozionale, una scenadavanti alla quale lo spettatore, come del resto il dona-tore sull’anta sinistra, si inginocchia in profonda medi-tazione per immedesimarsi in tal modo con il Cristo cheha sofferto per gli uomini. Sulle ante sono raffigurate lacollina del Golgota e la Resurrezione.

L’enfasi posta in quest’opera sull’episodio della Depo-sizione rappresenta un fatto eccezionale per il Quattro-cento. Come soggetto autonomo, la Deposizione ricorreinvece con maggiore frequenza nella scultura francese,specialmente in Borgogna: ciò indica una certa familia-rità dell’artista con l’arte borgognona. Per alcuni detta-gli, inoltre, Campin si fece ispirare dalla pittura italia-na, come mostra il motivo della Madonna che abbrac-cia il Cristo morto, desunto dalla tradizione bizantina emolto diffuso in Italia.

L’insolita combinazione di temi presenti nel tritticocon la Deposizione, la croce vuota sul Golgota e la Resur-rezione rimanda molto probabilmente alla liturgiapasquale. Secondo quanto risulta dalle fonti scritte, ilVenerdì Santo, durante la messa della Deposizione, siriponeva un’ostia consacrata, a volte insieme ad unacroce, in una sorta di sepolcro per poi farla miracolosa-mente riapparire il giorno di Pasqua nel corso dellamessa dell’Elevazione, riproducendo pressoché alla let-tera le vicende legate alla sepoltura e alla Resurrezionedi Cristo.

Sul fondo dorato sono graffite delle foglie di vite,allusione al vino quale simbolo del sangue di Cristodurante l’Eucaristia. Come l’ostia durante l’offertorioviene innalzata sopra l’altare, così il corpo di Cristo èsorretto sopra la tomba: si coglie qui un’eco della tradi-

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zione risalente all’alto Medioevo che considerava l’alta-re il simbolo tangibile della tomba di Cristo. L’ideadella funzione religiosa è ulteriormente rafforzata dagliangeli ai lati del sepolcro, vestiti da chierici. Nel suocomplesso la scena è caratterizzata da un forte realismo.Le figure collocate in prossimità della cornice, che sot-traggono ogni profondità allo spazio, sono tipiche dellostile di Campin. Lo sfondo d’oro e l’espediente di riem-pire oltre ogni limite la superficie pittorica, il cosiddet-to horror vacui, conferiscono all’opera un sapore arcai-co. I fondali gremiti di tralci di vite richiamano visto-samente la miniatura del Trecento. Inoltre, le figuremonumentali, dalla volumetria accentuata, i drappeggidi grande linearità e le donne dalle vesti colorate, spes-so colte di schiena per suggerire una maggiore profon-dità, appaiono caratteristici del suo stile. Riflessi delloStile internazionale traspaiono nell’elegante panneggiodelle vesti degli angeli che si librano nell’aria e nella tipo-logia dei volti che evocano con forza esempi italiani.Quest’influenza si riscontra parimenti nell’opera di JeanMalouel e Henri Bellechose, due pittori nederlandesiattivi presso la corte borgognona. Dal momento cheCampin aveva familiarità con la scultura borgognona, èverosimile che egli abbia avuto contatti con questaambiente artistico.

Il Trittico di Mérode, eseguito grosso modo nel 1425-1430, costituisce uno dei primi esempi di Annunciazio-ne ambientata in un interno domestico. La scena del-l’angelo che reca l’Annuncio è forse da porre in relazionecon il nome dei probabili donatori, la famiglia Engel-brecht (di Colonia?), il cui stemma familiare apparesulle finestre dipinte.

In quest’opera emerge la maestria di Campin nellaraffigurazione degli oggetti quotidiani. In una stanzasovraccarica di suppellettili, dal singolare impianto pro-spettico, Maria siede a terra assorta nella lettura quan-

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do l’angelo compare a portare la Buona Novella. Sul-l’anta sinistra i donatori inginocchiati in adorazioneosservano l’evento, mentre Giuseppe, sull’anta destra,continua imperturbabile a lavorare nella sua bottega difalegname.

Come nell’Adorazione del Bambino, Campin si servequi del linguaggio per immagini abitualmente indicatocon il termine di disguised symbolism, simbolismomascherato: gli oggetti all’apparenza comuni inseritinella scena sono scelti con cura e racchiudono un signi-ficato più profondo. I gigli bianchi sulla tavola, ad esem-pio, alludono alla verginità e alla purezza di Maria, e cosìil bollitore, il lavabo e l’asciugamano nella nicchia sullaparete di fondo. La devozione di Maria e la sua fami-liarità con le profezie veterotestamentarie circa la venu-ta del Cristo sono suggerite dal libro che sta leggendo.Nel suo essere seduta in terra (humus), a dimostrazionedella sua modestia, essa è raffigurata come Madonna del-l’Umiltà, un motivo caro all’arte italiana. Alle sue spal-le la panca con i leoncini rimanda al trono del saggio reSalomone e indicano in Maria la Sedes Sapientiae, ilTrono della Saggezza. Il contenuto del messaggio ange-lico viene illustrato dal Bambino nudo che, con unacroce tra le braccia, entra in volo nella stanza attraver-so la finestra intatta. La figura simboleggia al contem-po la Passione di Cristo e la sua Incarnazione attuatasisenza che Maria perdesse la sua verginità. La candela sultavolo è stata a volte identificata con il Cristo stesso, eallora la cera rinvierebbe alla sua natura umana, mentrelo stoppino e la fiamma rappresentano la sua anima e lasua natura divina. Il Bambino che sopraggiunge in volosubentra alla simbologia della candela che, forse perquesto motivo, si è appena spenta e ancora fuma. Sem-bra che gli artisti amassero molto simili sovrapposizionidi simbolismi, che conobbero con Jan van Eyck unadelle massime espressioni. Una possibile chiave di lettura

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per il particolare della candela è dato dalla Visione di Bri-gida di Svezia. Sebbene questa, infatti, riguardi laNascita di Cristo, nulla esclude che qui Campin abbiadi nuovo ripreso il passaggio ove si legge che l’emana-zione divina del Bambino cancella la luce naturale delmondo. Secondo un’altra ipotesi, invece, l’artista avreb-be raffigurato la Brautkerze, la “candela nuziale”, comeallusione al momento in cui si celebra lo sposalizio dellaVergine con Dio.

Un tema davvero inconsueto lo offre l’anta destra:Giuseppe, che oltretutto non compare quasi mai nell’e-pisodio dell’Annunciazione, è al lavoro nella sua botte-ga di falegname. Può darsi che qui si faccia riferimentoalla prima moglie del committente del trittico, PeterEngelbrecht, che si chiamava “Scrynmakere” (Ebani-sta). D’altra parte non bisogna dimenticare che fin datempi antichissimi Giuseppe godette di grande popola-rità nei Paesi Bassi. Il falegname ha un gran da fare: sulbancone, sul tavolo da lavoro davanti a lui e per terra sitrovano sparsi gli attrezzi del mestiere e gli oggetti cheha realizzato per la vendita. Le bizzarre gabbiette dilegno sono trappole per topi e rimandano alla Reden-zione dell’umanità da parte del Cristo e al suo trionfosul Male, il diavolo. Ecco a tal proposito le parole delPadre della Chiesa Agostino: “Il diavolo si rallegrò allamorte di Cristo, ma proprio attraverso la morte di Cri-sto il diavolo è stato sconfitto, come se avesse mangia-to l’esca di una trappola per topi [...] la trappola è lacroce di Cristo; l’esca con cui venne preso è la morte delSignore”. La stessa scure, la sega e il bastone in primopiano sembrano essere una metafora. Un brano del pro-feta Isaia (10, 15) recita: “Si glorierà forse la scure con-tro chi la brandisce? O si insuperbirà la sega contro chila muove? Come se una verga si levasse contro chi l’al-za e si atteggiasse come un bastone, che non è altro chelegno!” Il commento del padre della Chiesa Girolamo

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chiarisce che anche questa immagine allude al diavolo.Non del tutto chiara è la funzione della tavoletta in cuiGiuseppe sta praticando dei fori. Potrebbe essere l’ele-mento di un torchio per l’uva in miniatura oppure ilblocchetto irto di chiodi che pende dalla cintola di Cri-sto durante la sua salita al Golgota. In entrambi i casi èquindi un simbolo della Reincarnazione ovvero del-l’Eucaristia. I donatori ne sono testimoni: secondo il rac-conto per cui le porte del Paradiso vennero di nuovoaperte al genere umano grazie alla Reincarnazione, adessi è permesso assistere al mistero attraverso la portaspalancata. La figura esotica presso la porta del giardi-no ha suscitato numerose interpretazioni, ma probabil-mente esso rappresenta il profeta Isaia, ai cui scritti ildipinto rinvia molto chiaramente.

Anche quest’opera di Campin racchiude un’icono-grafia complessa, di cui si ignora se sia frutto delle cono-scenze dell’artista oppure del contributo di un teologoerudito.Gli oggetti tratti dalla vita quotidiana sono resicon grande perizia. Mediante un sapiente gioco di lucie ombre quanto è rappresentato acquista notevoleprofondità: il trattamento volumetrico delle figure, ilpesante panneggio delle loro vesti, gli oggetti, lo spazioin cui la scena si svolge. I dettagli minuziosi e il natu-ralismo con cui l’artista narra la storia sottolineano alcontempo la funzione dell’opera, una pala d’altare perla devozione domestica, che per lo spettatore sarà statacerto di stimolo per una meditazione sul tema del Cri-sto fattosi uomo.

Il ritratto autonomo e individualizzato non fece la suacomparsa che nel tardo Medioevo. Nel corso del Tre-cento l’attenzione si sposta gradualmente dall’essereuniversale verso l’individuo, l’uomo è visto sempremeno come rappresentante del genere umano e in misu-ra crescente come persona nella sua unicità. Ritratti dicommittenti, immagini di defunti e, quale forma inter-

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media, raffigurazioni su epitaffi di donatori che eranoal contempo persone estinte da commemorare, ne costi-tuiscono i primi esempi. Inizialmente i ritratti sono diprofilo, figure a mezzo busto rappresentate esclusiva-mente di lato. Questa è la tipologia che sarebbe rimastain voga soprattutto in Italia, mentre nei paesi nordici lapreferenza andava al ritratto di tre quarti. Un esempioprecoce di quest’ultimo genere lo fornisce il ritratto pre-cedentemente esaminato contenuto nella miniatura Mar-cia dipinge il proprio ritratto. Nel ritratto di tre quarti ilbusto della persona non è né in posizione frontale nélaterale bensì leggermente voltata rispetto allo spetta-tore, le mani sono talvolta visibili. La particolare ango-lazione consente quindi di raffigurare le due metà delvolto senza rigidità, rendendo possibile una caratteriz-zazione del personaggio ritratto.

Il ritratto di un uomo e di una donna eseguiti daRobert Campin sono di estremo interesse per l’evolu-zione della ritrattistica. Non si tratta infatti solo diritratti sorprendentemente precoci – anteriori a quellipervenuti di Jan van Eyck e Rogier van der Weyden –essi formano anche un doppio ritratto, un dittico bor-ghese. Il dittico, che nasce come oggetto devozionale,viene qui trasformato in supporto dei ritratti, intima-mente legati, dei due coniugi di cui oggi si ignora ilnome. Sotto il profilo tecnico Campin si servì abil-mente delle opportunità offerte dalla nuova tecnica pit-torica, la trasparente pittura a olio. Egli ha saputo ren-dere con notevole maestria l’incarnato, dove la lumi-nosità della base affiora attraverso gli strati di coloretrasparenti e di intensità cromatica variabile. Magnifi-co è il contrasto così ottenuto tra il volto rosa pallidodella donna e il velo drappeggiato con cura intorno alcollo, che è per l’appunto di un bianco coprente. Sianella donna che nell’uomo la stoffa del copricapo è ele-mento essenziale ad inquadrare i visi fortemente espres-

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sivi e pone in risalto le figure sullo sfondo pressochénero.

Il composto ritratto femminile di Campin può defi-nirsi più propriamente un’eccelsa rappresentazionedell’“essere guardati” piuttosto che uno dei consuetiritratti che “guardano” lo spettatore. Questo trattoviene accentuato dagli accostamenti cromatici, dallaposizione dei personaggi e dall’inquadratura dei dueritratti posti uno di fronte all’altro. Il rosso intenso e latonalità scura dell’uomo emergono dal dipinto, il bian-co vivissimo e l’incarnato chiaro della donna tendonoinvece a ritrarsi; l’uomo, di dimensioni maggiori, è raf-figurato appena più da vicino, la donna invece a distan-za tale che le sue mani, posate l’una sull’altra, vengonoa formare il primo piano; questo effetto è ulteriormen-te rafforzato dal copricapo dell’uomo, che ne ingrandi-sce la testa, e dal velo della donna che le riduce il capoe il volto; l’uomo guarda leggermente verso l’alto, men-tre lo sguardo della donna è orientato appena verso ilbasso. In passato queste osservazioni sono state utiliz-zate a sostegno della tesi che affermava l’autenticità delsolo ritratto femminile, considerando quello maschileun’aggiunta o una copia da un più antico modello. Tut-tavia, oggi i pareri sono concordi nel ritenere le duetavole originali e concepite come pendants. La forza e l’e-levata qualità dei ritratti sono racchiuse per l’appuntoin queste raffinate contrapposizioni. Con il doppioritratto di questa coppia borghese, benestante a giudi-care dall’abbigliamento, Campin ha saputo fornireun’eccellente caratterizzazione dei due personaggi e haraffigurato un armonioso scambio di pensieri tra le parti.Nemmeno un secolo più tardi Quentin Metsys, nel suospettacolare ritratto doppio di Erasmus e Pieter Gillis,avrebbe compiuto un passo ulteriore, coinvolgendo l’os-servatore nell’impianto dell’opera.

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Jan van Eyck. “Meyster Ian den maelre” (“maestroJan, il pittore”) lavorò presso la corte dell’Aia dal 1422al 1424, anni in cui il potere su Olanda e Zelanda eranelle mani di Giovanni di Baviera (1419-1425) in qua-lità di duca supplente del fratello Guglielmo. Il pittoreJan van Eyck nacque intorno al 1390 probabilmente aMaaseik, nella regione della Mosa, mentre si ignoradove compì il suo apprendistato; secondo i cronisti cin-quecenteschi furono pittori anche la sorella Margarethae i fratelli Lambert e Hubert. Questi ultimi acquistaro-no fama a livello internazionale, sebbene di Hubert nonsi conosca alcuna opera. La produzione pittorica attri-buibile con certezza a Jan van Eyck è invece copiosa ele fonti d’archivio consentono di ricostruire anche alcu-ni tratti della sua carriera. Sembra che egli giungesse inOlanda al seguito di Giovanni di Baviera (1374-1425),figlio del conte Alberto di Olanda, Zelanda e Hainaute vescovo-elettore di Liegi (1389-1418). Questi ammi-nistrava il vescovado con lo spirito di un soldato piut-tosto che come un religioso e quando nel 1417 morì ilfratello, il conte Guglielmo VI di Olanda, egli scavalcòla legittima erede, la nipote Jacoba di Baviera, e riuscìad assumere quale reggente il controllo dell’Olanda,rinunciando pertanto al vescovado. Morto Giovanni peravvelenamento, Van Eyck, suo pittore di corte, lasciòl’Aia per entrare al servizio del duca di Borgogna, Filip-po il Buono, e si stabilì a Lilla. L’artista seppe conqui-starsi una posizione di fiducia presso il duca, per il qualefu, infatti, oltre che pittore ufficiale, anche consiglieree diplomatico. A più riprese Van Eyck fu inviato in mis-sione e nel 1428-1429 fece parte della delegazione inca-ricata delle trattative con il re Giovanni del Portogalloper le nozze della figlia di questi con il duca Filippo. Inquell’occasione egli eseguì un ritratto di Isabella delPortogallo, che il 7 gennaio 1430 sarebbe andata insposa a Filippo il Buono. L’incarico ricevuto trattenne

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Van Eyck per oltre un anno in Portogallo e in Spagna,periodo nel quale ebbe modo di visitare Santiago deCompostela, Granada e diversi altri luoghi. Anche inseguito venne richiesto il suo intervento in vicende poli-tiche e diplomatiche; un esempio per tutti è il viaggiosegreto compiuto nel 1436 per conto del duca. Intornoal 1430 l’artista si trasferì a Bruges, dove due anni dopoacquistò una casa in cui abitò fino alla morte nell’esta-te del 1441. In quanto pittore ufficiale le commesseducali costituirono senz’altro la voce principale dell’at-tività di Van Eyck, tuttavia egli lavorò anche per la corteche circondava il duca, per la città, la nobiltà e la bor-ghesia. Delle opere eseguite per Filippo il Buono nonrimane nulla; del ritratto d’Isabella del Portogallo e diun planisfero grandemente apprezzato restano solo testi-monianze d’archivio; dei ritratti del duca non sonosopravvissute che copie mediocri. Sono inoltre andateperdute le pitture murali, le bandiere e gli stendardidipinti, gli stemmi, le decorazioni per le occasioni solen-ni e la policromia delle sculture, alla cui realizzazionepartecipò in alcuni casi anche Henri Bellechose. Del-l’artista restano il celebre polittico di Gand e gli incari-chi in prevalenza di modesta entità eseguiti per contodella sua clientela di Bruges. La tradizione vuole chesulla lastra a sigillo della tomba andata dispersa intornoal 1800 si leggesse: “Qui giace il Maestro Joannes deEijcke, il più eccelso maestro di dipinti che vi sia maistato nei Paesi Bassi, morto nell’anno 1441”.

Non esiste alcun documento che riguardi la forma-zione e gli esordi di Van Eyck; certo è che quando nel1422 viene detto “maestro” e approda all’Aia, deveessersi già fatto un nome come pittore. Alla sua produ-zione iniziale viene ascritto un dittico con la Crocifis-sione e il Giudizio universale (New York, MetropolitanMuseum of Art), forse degli anni 1420-1425, nonché ilcontributo, probabilmente del 1420 circa, al già citato

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Libro d’ore Torino/Milano. Questo libro ha una storiacomplessa. Il manoscritto venne iniziato per un membrodella casa reale francese. Ne entrò poi in possesso il ducaJean de Berry che vi fece aggiungere delle illustrazionima a sua volta lo diede via prima che questo fosse ulti-mato; in seguito il manoscritto fu smembrato, una parterimase in Francia (ora a Parigi, Bibliothèque Nationale,Nouv. Acq. Lat. 3093), l’altra entrò in possesso di Gio-vanni di Baviera (in seguito smembrata a sua volta in piùparti: Torino, Biblioteca Nazionale, scomparsa in unincendio; Torino, Museo Civico; Parigi, Musée du Lou-vre, Cabinet des Dessins, RF 2022-2025, cinque foglistaccati). Nel 1420 Giovanni di Baviera fece ampliarele decorazioni del manoscritto e altre illustrazioni furo-no aggiunte attorno al 1450. Sei sono i fogli, risalenti al1420 circa, attribuiti a Jan van Eyck (mano G), mentrealtre pagine provengono da ambienti a lui vicini (manoH). Alcuni autori ritengono che anche Hubert van Eyckabbia dato il suo apporto tanto nelle miniature che neldittico di New York, tuttavia non esistono prove ariguardo. Si aggiunga che recentemente i due esperti diminiature fiamminghe, Maurits Smeyers e Cyriel Stroo,hanno decisamente respinto la datazione e l’attribuzio-ne a Van Eyck delle miniature in questione, realizzatea loro parere nel 1440-1450 a Bruges.

Sono invece generalmente riferite all’artista le minia-ture con la Nascita di San Giovanni Battista (fol. 93v) ela Messa funebre (fol. 116r). Le foto a infrarossi delfoglio 93v rivelano che il miniatore apportò delle modi-fiche al disegno preliminare: Van Eyck eseguì il lavoropartendo da uno schizzo tracciato da un artista che l’a-veva preceduto. La miniatura rappresenta la Nascita delBattista secondo la descrizione resa dal vangelo di Luca(Luca 1, 57-66) e arricchita da aneddoti posteriori.Distesa sul letto a baldacchino Elisabetta riceve dallemani della levatrice il piccolo Giovanni. Una donna è

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venuta a farle visita con il figlio, sulla destra Maria, inattesa del Figlio, è raffigurata con una brocca. SUllosfondo a destra si scorge un vecchio intento a leggere,senza dubbio si tratta di Zaccaria che, punito con la pri-vazione della parola, avrebbe scritto che suo figlio dove-va chiamarsi Giovanni. È un’allusione veterotestamen-taria a queste parole divine la minuscola immagine diMosé con le tavole della legge sopra il passaggio dietroZaccaria. Con notevole ingegno l’artista ha raccordatoil capolettera istoriato D con la decorazione del margi-ne inferiore della pagina. Nell’iniziale Dio Padre, assi-so su un trono, benedice la scena che si svolge sotto dilui. Attraverso i raggi d’oro che racchiudono lo SpiritoSanto viene creato il legame tra il Padre in cielo e Gio-vanni accovacciato che battezza il Cristo nelle acque delGiordano. Il paesaggio fluviale fortemente realistico,dall’orizzonte insolitamente basso, è stato da talunoposto in relazione alla vallata della Mosa.

Nella pagina della Messa funebre ancora una volta ledecorazioni figurative sono state concepite come uninsieme iconografico. La miniatura rappresenta un fune-rale in una chiesa gotica: nel coro appare la bara collo-cata sotto un cataletto, mentre all’altare un sacerdotecelebra la messa di requiem. Sul margine inferiore delfoglio si osserva la conclusione della cerimonia: il sacer-dote in preghiera, seguito dai chierici con l’acqua santae da tre figure che piangono il defunto, avanza tra letombe e le croci di un cimitero. Quanto raffigurato èevidentemente il principio e la fine del rito: da un latosi vede l’inizio delle esequie nella chiesa, dall’altro i pic-coli gruppi in basso che stanno lasciando il camposanto;qui non compaiono più né la bara né la recente sepol-tura. All’interno della R istoriata, incipit del testo, è raf-figurata la Seconda venuta di Cristo alla fine dei tempi;egli siede sull’arcobaleno in qualità di Giudice mentresotto di lui i defunti resuscitano dai loro sepolcri. Gli

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stemmi sul cataletto consentono di indicare quale com-mittente dell’opera Giovanni di Baviera, Olanda e Hai-naut. Molto suggestivo è infine l’effetto che l’artistaottiene facendo uscire dalla cornice della miniatura laparte dell’edificio religioso ancora in costruzione.

L’opera più famosa della pittura fiamminga delle ori-gini è senza dubbio il polittico con l’Adorazione dell’A-gnello mistico di Jan e Hubert van Eyck (Bruges 1432).Il polittico non conosce pari sia per le dimensioni cheper il numero di pannelli che formano l’insieme. L’ico-nografia è complessa e affascinante e ha suscitato nelcorso del tempo svariate interpretazioni. Un’iscrizioneriporta data e firma dei due fratelli Van Eyck, non risul-ta chiaro però quali parti siano da attribuire a Hubert,venuto a mancare molto tempo prima che il lavoro fosseterminato. Fu Jan van Eyck a portare a compimentol’imponente pala d’altare, impiegando la sua tecnica aolio senza sperimentare prima su una tavola di piccoledimensioni, ma direttamente sulle tavole di formatoeccezionale del polittico con una perfezione raramenteeguagliata. L’opera ebbe una storia molto movimenta-ta, fu infatti più volte smembrata, trafugata e rivendu-ta per tornare definitivamente nella sua collocazioneoriginaria nel 1945; mutila, però, dello scomparto con iGiudici equanimi scomparso nel corso di uno spettaco-lare furto nel 1934 e tuttora ricercato.

Nel 1823, all’epoca in cui sei delle otto ante si tro-vavano al Kaiser-Friedrich Museum di Berlino, sulbordo inferiore della cornice originale venne individua-ta un’iscrizione. Nel testo si dichiara che Hubert vanEyck, il più grande tra i pittori, aveva cominciato la palad’altare e che il fratello Jan, secondo per importanza, l’a-veva ultimata il 6 maggio 1432 su incarico di JodocusVijd. Dalle indagini tecniche, che hanno interessatoanche i disegni preparatori, non sono emersi elementiutili a distinguere l’opera dei due fratelli e non risulta-

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no quindi individuabili mani diverse. Di Hubert vanEyck non si conserva nessun altra opera e in base aidocumenti d’archivio sono note soltanto alcune com-messe affidategli. Egli morì il 18 settembre 1426 e fusepolto davanti all’altare dove vari anni più tardi sareb-be stata sistemata la pala. Jan van Eyck completò ilgrandioso polittico sfruttando appieno le potenzialitàdella sua nuova tecnica. Come scrisse lo storico dell’ar-te Brinkman nel 1993, Van Eyck non fu tanto l’inven-tore dei colori a olio quanto piuttosto della pittura a olio,giacché egli impiegò tecniche già note in modo innova-tivo e poté così raggiungere con la tecnica il risultatoartistico cui mirava.

A battenti chiusi il polittico presenta quattro scenecon funzione introduttiva alle complesse e maestose rap-presentazioni visibili a battenti aperti. Al centro, inbasso, i santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelistasono raffigurati a grisaglia come statue dipinte, con irispettivi attributi, l’Agnello di Dio e il calice di vele-no. I due santi erano venerati quali patroni della chiesacui era destinato il polittico: la cattedrale di San Bavo-ne era in origine una chiesa parrocchiale dedicata alBattista, non a caso, infatti, l’iscrizione reca la data del6 maggio, vale a dire una delle feste dell’Evangelista.Ritratti con grande realismo, i coniugi donatori dell’o-pera sono in inginocchiati a fianco alle due statue, a sini-stra Jodocus Vijd e a destra la moglie Elisabeth Borluut.Nelle lunette in cima alle ante trovano posto quattropersonaggi veterotestamentari che predissero l’Incarna-zione di Cristo e l’avvento del suo Regno: i profeti Zac-caria e Michea, e tra loro la Sibilla Eritrea e la SibillaCumana. Nel registro superiore si snoda per tutta la lar-ghezza della pala l’episodio dell’Annunciazione dell’av-vento del Redentore. Le parole rivolte dall’angelo allaVergine sono scritte a caratteri d’oro: “Ave Maria, pienadi grazia, il Signore sia con Te”, mentre la risposta di

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Maria, “Ecco l’ancella del Signore”, è disposta a rove-scio, così che la breve frase procede letteralmente versol’angelo. L’umile risposta è leggibile sia dallo SpiritoSanto sopra al capo di Maria sia dalla sibilla e dal pro-feta più in alto.

A battenti aperti, nel registro inferiore si estendedall’una all’altra estremità del polittico un’ampia scenaambientata sulla terra, mentre nel riquadro superioreappare una visione celeste che sembra vicinissima all’os-servatore. Al centro di quest’ultima è raffigurato unagigantesca Deësis, il Cristo glorificato quale apparirà alsuo ritorno alla fine dei tempi, affiancato da Maria e daGiovanni Battista come intercessori dell’umanità. Sia laVergine che il Battista sono investiti qui di un dupliceruolo: la Madre di Dio è al contempo Regina dei cieli eSposa mistica di Cristo, Giovanni è insieme il patronodella chiesa. Cristo Onnipotente domina l’insieme, conla tiara papale sul capo e la corona del potere tempora-le ai suoi piedi. Ai lati di Maria e di san Giovanni sonodisposti angeli che suonano e cantano e vicino ad essi,in piccolissime nicchie, si vedono i nudi davvero reali-stici di Adamo ed Eva; sopra di loro viene rappresenta-ta a grisaille, in due riquadri che sembrano dei rilieviscolpiti, la storia dei loro figli, Caino e Abele. Questaappare come una profezia veterotestamentaria dellaRedenzione operata attraverso la morte di Cristo sullacroce.

I cinque pannelli inferiori del polittico formano nelloro complesso un paesaggio paradisiaco in cui sei gran-di gruppi di figure muovono verso l’altare al centrodella scena. Sull’altare, l’Agnello mistico riempie uncalice con il sangue che gli sgorga dal petto; angeli inpreghiera sono inginocchiati ai lati dell’altare, quattrodi loro hanno in mano le Arma Christi, gli strumentidella passione che alludono al sacrificio di Cristo, ealtri due cospargono d’incenso l’Agnello. All’orizzonte

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si stagliano edifici in parte reali e in parte inventati, trai quali spicca, quasi al centro, la torre del duomo diUtrecht, che forma di fatto il prolungamento della lan-cia che trafisse il costato di Cristo. Nel mezzo, al disopra dell’Agnello di Dio, è raffigurato lo Spirito Santoentro una corona radiale, la cui luce ispiratrice rag-giunge tutti i santi. In primo piano, in posizione cen-trale, compare una fontana quale sorgente di vita: dallavasca ottagonale, di forma perfetta, l’acqua vivificantee salvifica fluisce direttamente verso l’osservatore. Que-sti era in prima istanza il sacerdote che, secondo ladonazione di Jodocus Vijd e Elisabeth Borluut, cele-brava la messa all’altare nella loro cappella sopra ilquale era collocato il polittico; il fine era la salute del-l’anima dei donatori, della loro famiglia e dell’umanitàintera, salvata dall’Agnello.

Il doppio ritratto che Jan van Eyck eseguì nel 1434di Giovanni Arnolfini e della moglie Giovanna Cena-mi è oggetto di innumerevoli analisi e famoso in tuttoil mondo come quadro “profano”. I due coniugi Arnol-fini sono ritratti a figura intera in una camera da letto.Nella mano sinistra Giovanni Arnolfini tiene la destradella consorte, aperta con benevolenza verso di lui, ungesto che è da interpretarsi come promessa di fedeltàconiugale. Con la mano destra levata quasi a compiereun giuramento, egli suggella il voto reciproco. Questainterpretazione è stata dimostrata in maniera convin-cente nel 1986 e poi ancora nel 1990 dallo storico del-l’arte olandese Bedaux, il quale contesta con validiargomenti la tesi di Panofsky secondo cui il ritrattodegli Arnofini sarebbe la rappresentazione di un con-tratto coniugale. Il quadro presenta in effetti una seriedi riferimenti alla cerimonia nuziale nonché i tipiciregali di nozze, tuttavia si tratta di tradizioni e di sim-bologie manifeste e non di un ingegnoso e sottile lin-guaggio figurativo, carico di simboli reconditi ed ela-

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borato di proposito dal pittore: non si tratta di undisguised symbolism, un simbolismo mascherato, come lodefinisce Panofsky.

Giovanni era figlio di mercanti ed era nato a Luccaall’incirca nel 1400; dal 1421 divenne a sua volta mer-cante di stoffe a Bruges. Molto ricco e potente, otten-ne persino la carica di consigliere di Filippo il Buono emorì nel 1472 a Bruges, dove trovò sepoltura. La con-sorte Giovanna era la figlia di un mercante di Lucca chesi era stabilito a Parigi e in quella città aveva sposato unadonna francese. Giovanni Arnolfini e Giovanna Cena-mi furono uniti in matrimonio nell’anno 1434, data cheè riportata al centro del quadro, tra le teste dei due gio-vani personaggi, sotto la scritta del nome dell’artista. Siha l’impressione che le parole “Johannes de eyck fuithic” e l’anno “1434” siano scritti di pugno dell’artistasulla parete della stanza, esattamente sopra lo specchio.L’affermazione, che si discosta dalla formula in uso,rende l’artista evidentemente testimone di quanto hadipinto. Tale lettura è confermata dallo specchio con-vesso, in cui si scorgono i due coniugi di schiena non-ché il pittore e un quarto astante. Lo specchio indicainoltre che il matrimonio degli Arnolfini è indubbia-mente un’unione cristiana. Esso costituisce il centroottico del duplice ritratto e cattura l’immagine di tuttociò che accade nella camera. Le immagini riflesse sonodi natura cristiana: intorno al grande specchio sonodisposte a raggiera dieci piccole scene dipinte dietrovetro, che vanno della Passione di Cristo. Il ciclo ha ini-zio in basso, al centro, con il Cristo in preghiera nell’Or-to degli Ulivi, all’estremità opposta, in alto, figura ilcompianto di Maria e Giovanni sul Cristo crocifisso, inbasso a destra la narrazione si conclude con la discesadi Cristo nel limbo e da ultimo con la Resurrezione.

Quasi tutti gli oggetti presenti nella scena racchiu-dono, al pari dello specchio, un duplice significato: essi

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sono riproduzione della realtà e hanno al contempo unavalenza simbolica. Per l’osservatore del tempo sarannostati senz’altro evidenti i richiami moralistici e le allu-sioni al tradizionale rito nuziale, anche se vi compari-vano elementi estranei al linguaggio figurativo dei paesinordici, come il grandissimo cappello nero dello sposo,tipico dell’Italia settentrionale. Quello che Van Eyck hainteso rappresentare nel suo magistrale doppio ritrattoè un matrimonio già celebrato che viene riconfermato daparte dei due coniugi felici nella cosiddetta chambreétoffée, la camera da letto con ricchi arredi e una seriedi doni, che, secondo la tradizione, il mattino seguentealla prima notte di nozze lo sposo regala alla sua sposa.

Tanto realistica appare la stanza da letto in cui è raf-figurata la coppia Arnolfini, quanto fittizio si mostra lospazio in cui Van Eyck ha collocato Nicolas Rolin e laMadonna col Bambino nella Madonna del cancelliereRolin (1435 ca.). Il donatore è inginocchiato in pre-ghiera; un libro di preghiere giace aperto sul suo ingi-nocchiatoio, ma egli guarda davanti a sé assorto in altripensieri. Le sue vesti sono di preziosissimo broccatod’oro orlato di ermellino, l’inginocchiatoio è nascosto daun sobrio drappo di raffinato velluto o damasco deltanto costoso color blu. Di fronte a lui siede la VergineMaria con il Bambino nudo in grembo, che con la suapiccola destra benedice il cancelliere mentre un angeloin volo tiene una corona finemente decorata sopra ilcapo della Madonna. Lungo il bordo d’oro tempestatodi gemme del suo mantello rosso brillante, sono ricamatiframmenti delle preghiere del piccolo Ufficio della Ver-gine. Non è casuale che anche il libro d’ore di Rolin siaaperto su queste preghiere, che esaltano tra l’altro laposizione eminente di Maria, qui considerata come SedesSapientiae, trono della saggezza.

Nicolas Rolin, nato intorno al 1380 a Autun, ebbevita lunghissima, morì infatti il 18 gennaio 1462, e mal-

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grado i suoi umili natali riuscì a rivestire le cariche piùprestigiose e ad accumulare grandi ricchezze. Nel 1408ricoprì la carica di giureconsulto presso i parlamenti diParigi e di Dole. Poco tempo dopo la morte di Giovan-ni senza Paura, nel 1419, venne chiamato in veste diconsigliere dal figlio di questi, l’ancora giovanissimoFilippo il Buono. Dal 1422 in poi Rolin fu come can-celliere di Borgogna il massimo funzionario di corte, fin-ché nel 1457 non cadde in disgrazia. Il duca Filippo ilBuono aveva subito a tal punto la sua influenza e gli eratalmente affezionato che nel 1462 nessuno osò riferireal duca malato, così raccontano le cronache, della mortedel consigliere che gli era stato al fianco quasi tutta lavita. Il mecenatismo di Nicolas Rolin si concentrò sullasua città natale Autun e su Beaune, dove era nata esepolta la madre. Per suo volere a Beaune nacque ilgrande ospedale, l’Hôtel-Dieu; ad Autun egli fu autoredi una serie di donazioni materiali e spirituali nella chie-sa di Notre-Dame-du-Chastel, andata distrutta nel 1798.In questa chiesa, che sorgeva nei pressi della casa avita,il cancelliere era stato battezzato e qui ebbe sepolturadavanti al coro. Sull’altare maggiore Rolin aveva fattocollocare una pala in cui figuravano lui e la terza mogliein veste di donatori. Sull’altare della cappella sepolcra-le della famiglia, dedicata a san Sebastiano, vi erano lestatue dei santi patroni della famiglia Antonio e Seba-stiano, che in veste di santi protettori compaiono anchenel Giudizio Universale di Rogier van der Weyden desti-nato alla “Sala dei malati” a Beaune. Tra la propria abi-tazione e la chiesa Rolin fece costruire un passaggio, chesboccava in una seconda cappella di famiglia, con unbovindo da cui si vedevano sia la cappella sepolcrale chel’altare maggiore e il punto dove sarebbe stato seppelli-to il cancelliere. I duchi di Borgogna avevano un analo-go oratorio nella loro certosa di Digione, e così pure isovrani francesi nella Sainte Chapelle a Parigi, senza

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dubbio l’esempio per antonomasia di questi oratori. ABruges la famiglia Adornes possedeva un luogo privatoper la preghiera nella chiesa di Gerusalemme, di cui erala fondatrice, e sempre in quella città un’altro splendi-do esempio è l’oratorio del palazzo cittadino dei Signo-ri di Gruuthuse, che si affacciava sul coro della chiesadi Notre Dame.

Jan van Eyck non dipinse certo il quadro dellaMadonna del cancelliere Rolin, come più volte è stato sug-gerito, con l’intento di realizzare una pala d’altare, nétantomeno come epitaffio o tavola commemorativa.Esso è invece un quadro di devozione privata, che Rolinavrà portato con sé nei suoi viaggi al seguito della corteborgognona e che avrà avuto una sua collocazione nelpalazzo del cancelliere e una sistemazione ancor piùappropriata nell’oratorio allorché questa venne ultima-ta nel 1453. Il committente e primo proprietario, Nico-las Rolin, e la Madonna col Bambino si non si trovanoin un ambiente reale, bensì simbolico, elevato in unasfera irraggiungibile al di sopra del magnifico paesaggiosullo sfondo. Del tutto inverosimili per la loro grandez-za sono le due figure del cancelliere e di Maria, una spro-porzione vistosa in rapporto agli elementi architettoni-ci, alle piante e ai fiori del piccolo giardino recintato, esoprattutto alle due piccole figure maschili collocate alcentro, sul fondo. L’architettura romanica ha la mae-stosità di un palazzo ed evoca le vaste sale tipiche deicastelli imperiali con le arcate aperte. I tre archi rap-presentano qui senza dubbio il numero divino tre contutte le sue implicazioni simboliche. In questo palazzoceleste, al cospetto di Rolin in preghiera, si svolge lavisione di Maria come regina dei cieli e del Bambino conil globo imperiale come sovrano. Rolin è qui raffigura-to anzitutto come uomo pio intensamente dedito allapreghiera. Nel disegno preparatorio alla sua cintura èappesa una borsa gonfia di denaro, attributo tipico per

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la carica di cancelliere e comunque piuttosto materiali-stico; è senz’altro per questo motivo che venne omessanel dipinto definitivo. È invece impossibile dire checosa tenesse in mano il Bambino nel disegno preparato-rio, solo in un secondo momento egli divenne l’Onni-potente che osserva e benedice Rolin.

“Il suo bozzetto sullo strato di mestica era ben piùnetto e marcato...” scriveva a proposito di Jan van Eyckil già citato pittore di Haarlem Karel van Mander nelsuo Libro della pittura, comparso nel 1604 (fol. 202):“ricordo altrettanto bene di aver visto un suo quadret-to con una figura muliebre sullo sfondo di un paesaggio,eseguito nella sola coloritura di base, e tuttavia oltre-modo minuzioso e compiuto...”. Il quadretto cui egliallude è la tavola con Santa Barbara (1437) che VanMander aveva visto a Gand dal suo maestro Lucas deHeere.

La santa vergine Barbara è seduta a terra nell’atto disfogliare un libro, un ramo di palma nella mano sinistraallude al suo martirio. L’ampio drappeggio delle vestipone la figura della santa in primo piano e la rende ilsoggetto principale del piccolo dipinto. In posizione cen-trale, alle sue spalle, un’imponente torre in costruzionesi staglia sul vasto panorama in lontananza. Figure minu-te di operai trasportano carichi per il cantiere e sonoall’opera tutt’intorno, all’interno o sopra la torre anco-ra incompiuta. Al primo piano, sopra la testa della santa,tre finestre gotiche a lancetta, l’una a fianco all’altra,sono comunemente interpretate come un riferimentoalla Trinità. Questa lettura si fonda sulla leggenda dellasanta, secondo la quale ella fece aprire una terza fine-stra in aggiunta a quelle esistenti nella torre in cui ilpadre la teneva prigioniera. Barbara si convertì ugual-mente al cristianesimo e diede in tal modo prova dellasua particolare devozione per la Trinità. Proprio per lasua fede in Cristo ella venne decapitata dal padre.

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La piccola tavola è probabilmente il più antico esem-pio di disegno che abbia un valore artistico autonomo.La rappresentazione, elaborata fin nei minimi dettagli,è eseguita con matita e pennello fine su una base bian-ca. La cornice e il retro sono marmorizzati, come usa-vano spesso sia Van Eyck che i colleghi del tempo, e sulbordo inferiore del quadro compare la firma e la data“joh(ann)es de eyck me fecit. 1437” Ne consegue cheevidentemente il pittore considerava l’opera in sé com-piuta. La campitura celeste pallido e beige del cielo èsenza dubbio un’aggiunta posteriore. Lo stesso VanMander affermava nella sua descrizione trattarsi di undisegno preparatorio e che quindi il quadro, per quan-to perfetto e altamente lodevole, attendeva il suo com-pletamento. Questo dibattito si protrae fino ai giorninostri: alcuni ritengono che per un qualche motivo VanEyck non sia riuscito a terminare l’opera, altri invecesono certi che il pittore si proponesse di realizzare undisegno e collocano la tavola nella tradizione delle gri-saglie e dei dipinti monocromi. Al di là di queste sem-plici constatazioni, nessuno ha ancora fornito argomen-ti concreti atti a chiarire il singolare stato di questo“dipinto disegnato”.

Sotto il profilo iconografico la scena di Van Eyck èestremamente insolita. La torre, attributo per antono-masia della santa, non era mai apparsa come strutturain costruzione, ancora incompiuta. In passato questoparticolare veniva spiegato sulla base delle parole del-l’apostolo Paolo, che vede ogni credente come costrut-tore al servizio di Dio, dunque Barbara sarebbe vicinoalla sua torre quale simbolo della Chiesa Operosa. Que-st’analisi è senz’altro puntuale, ma Jan van Eyck rendeancora più pregnante il gioco tra forma e contenuto. Bar-bara è qui presentata come santa, la palma indica che ellaè una martire: l’attendeva infatti la decapitazione, maevidentemente il momento non è ancora giunto, come

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indica la torre tuttora in costruzione. Ella è già santa,ma il suo destino di martire non si è ancora compiuto.Alla luce del formato e del carattere intimistico dell’o-pera, questa era certo destinata alla devozione domesti-ca: ogni cristiano era tenuto a porre il messaggio in rela-zione alla propria esistenza. Per nessun credente, d’al-tronde, la missione terrena si compie con il solo batte-simo, la vita del cristiano deve invece arricchirsi di ulte-riori contenuti spirituali. Van Eyck esprime l’idea, rac-chiusa nella scena, dell’incompiuto che è al tempo stes-so compiuto, anche nell’esecuzione tecnica del quadro.L’opera è compiuta, tuttavia pare incompiuta: in basealla forma esteriore e alle norme di tecnica pittorica inuso all’epoca, questa è incompiuta, sono state però ese-guite le operazioni preparatorie necessarie al suo com-pimento. Lo strato di base e il disegno preliminare,però, sono secondo le parole di Van Mander “oltremo-do minuziosi e compiuti”. In effetti le moderne indagi-ni condotte sui disegni preparatori, in particolaremediante la riflessografia a raggi infrarossi, hanno dimo-strato che in nessun altro caso Van Eyck ha eseguito ildisegno preparatorio con tale dovizia di particolari etanta precisione come per la tavola di Santa Barbara. Ildisegno preparatorio divenne poi risultato definitivo.Non per una scelta di natura estetica, bensì ispirandosial contenuto di quanto aveva raffigurato, Jan van Eyckfece un passo di cruciale importanza verso il disegnocome opera d’arte autonoma.

Rogier van der Weyden. Questo artista (1399/1400-1464), noto anche come Rogelet de la Pasture, era nati-vo di Tournai e in questa città fu allievo, insieme a Jac-ques Daret, di Robert Campin. Dopo aver conseguitonel 1432 il titolo per esercitare liberamente, Van derWeyden si trasferì intorno al 1435 a Bruxelles, dovedivenne “pittore ufficiale della città”. Qui egli dirigeva

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un’importante bottega e godeva di grande considera-zione. Dal momento che in città non era insediata alcu-na corte, gli incarichi provenivano soprattutto dallanobiltà e dalla borghesia agiata, tuttavia egli lavoròanche per istituti ecclesiastici. Nel 1439-1440 risulta cheegli fu pagato per realizzare la policromia di una pala deiFrati minori a Bruxelles e nel 1441 per la decorazionedi un drago da portare nella processione di santa Ger-trude a Nivelles.

Anche all’estero Rogier acquistò rapidamente noto-rietà. Ricevette commesse in Spagna e Italia, dove nel1450, in occasione del Giubileo, soggiornò a Roma comepellegrino. Il viaggio a Roma venne affrontato proba-bilmente grazie al denaro ricevuto per il suo incaricopresso l’Hôtel-Dieu a Beaune.

La fama di questo pittore benestante, che facevaparte dei nuovi ricchi della città, era davvero estesa. Benpresto nelle cronache gli scrittori celebrarono la suaarte, tra questi l’italiano Bartolomeo Facio (1456), Vasa-ri nelle sue Vite (1550) e Karel van Mander (1604).Tuttavia, secondo la testimonianza di queste nonché dialtre fonti, Rogier van der Weyden conservò sempreintatta la sua modestia e non mancò mai di dare il suocontributo agli enti di beneficenza per i poveri, i mala-ti e i religiosi, e al benessere della comunità.

Nel 1574 Filippo II fece dono di una collezione diquadri all’Escorial di Madrid. Di questa faceva parteuna delle più celebri pale d’altare di Van der Weyden,la Deposizione dalla croce. Il tema della Deposizione eraparticolarmente popolare nel Quattrocento e in parti-colare quest’opera, sicuramente di grande impatto giàsolo per le sue dimensioni (2.00 x 2.65 m), fu di ecce-zionale importanza per altri pittori, come provano anchele innumerevoli copie e imitazioni.

La “Grande Gilda dei Balestrieri” di Lovanio avevacommissionato all’artista nel 1439 una pala d’altare per

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la cappella della gilda nella chiesa di Onze-Lieve-Vrouw-van-Ginderbuiten in quella città (le piccole balestre negliangoli superiori rimandano a questo committente). Evi-dentemente a Lovanio non vi erano artisti della levatu-ra richiesta dalla gilda e venne pertanto interpellato ilMaestro Rogier di Bruxelles. Una volta ultimata l’ope-ra, nel 1443, vi fu subito un pittore anonimo di Lova-nio che ne eseguì una copia, destinata a una cappellasepolcrale privata nella chiesa di San Pietro di quellacittà (il “Trittico del nobiluomo”, 1443, Lovanio Chiesadi San Pietro). Dell’originale di Van der Weyden riuscìad impadronirsi, un secolo più tardi, la governatriceMaria d’Ungheria che lo collocò nella cappella del suopalazzo a Binche (Hainaut): alla gilda dei balestrieri diLovanio fu corrisposta una certa somma di denaro, inol-tre Maria d’Ungheria donò alla chiesa di Onze-Lieve-Vrouw-van-Ginderbuiten un organo nonché una copiafedele della Deposizione eseguita dal suo pittore di corteMichiel Coxcie di Malines. Maria d’Ungheria portò l’o-pera con sé in Spagna, dove in seguito divenne proprietàdel re Filippo II.

Dieci figure a grandezza quasi naturale sono rappre-sentate con teatralità su un semplice fondo d’oro, in unospazio di limitata profondità e dal forte sviluppo oriz-zontale, due tratti peculiari dello stile di Van der Wey-den. In tal modo l’accento è posto interamente sul dram-ma che si compie davanti all’osservatore: la Passione diCristo morto per l’umanità. Un evento che l’artista haraffigurato con tale intensità da suscitare quel profon-do sentimento di pietà che ognuno deve provare al suocospetto.

Il corpo privo di vita di Cristo è sorretto da Giusep-pe d’Arimatea e Nicodemo, che non lasciano trapelarele loro emozioni. Tra le donne, invece, due manifesta-no tutto il loro strazio: ai piedi di Cristo Maria Mad-dalena si contorce disperata le mani mentre una donna

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dietro Giuseppe porta affranta la mano alla fronte.Maria vinta dal dolore perde i sensi. Il suo corpo vienecosì ad assumere quasi la stessa posizione del Figlio,esprimendo il concetto della totale compassione di Mariacon Cristo. Nella letteratura mistica tardogotica questodivenne un tema prediletto, tanto che nacque la cosid-detta Imitatio Christi, dove l’osservatore si identificacompletamete con le sofferenze di Cristo e di Maria. Lamaniera in cui è raffigurata Maria deve stimolare que-sta riflessione devozionale.

Al contrario di Van Eyck, Van der Weyden qui noncerca tanto di rappresentare il mondo che lo circondaquanto piuttosto di rendere la concezione gotica dellacommozione e della compassione. E questa resa è sem-pre attentamente ponderata. Il dipinto presenta, infat-ti, Maria sconvolta dal dolore quasi svenuta, in quantoera pur sempre impensabile e teologicamente insosteni-bile che la Madre di Dio perdesse realmente il control-lo delle emozioni e dei sensi.

Il maestoso polittico con il Giudizio Universale,commissionato a Van der Weyden dal facoltoso can-celliere borgognone Nicolas Rolin e dalla consorte diquesti, è tuttora collocato nel luogo cui era destinato inorigine, vale a dire il lebbrosario Hôtel-Dieu a Beaune(1443-1451 ca.). Non avendo figli, i coniugi Rolin elar-givano grandi somme di denaro in beneficenza e per leopere d’arte, in parte anche a maggior onore e gloria dise stessi. Già qualche tempo prima il cancelliere avevaordinato, ad esempio, il citato dipinto a Jan van Eyck,in cui figuravanono la Madonna e lui stesso in veste didonatore.

È stato suggerito che Van der Weyden progettò ilpolittico del Giudizio Universale di proporzioni cosìgrandiose per competere con il polittico di Gand di Janvan Eyck. E la tesi non è del tutto inverosimile, inquanto sia le dimensioni che la struttura – quasi un

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“supertrittico” – e l’iconografia delle due pale hannouna notevole somiglianza.

Come accade nella pala di Van Eyck, il programmaiconografico sul lato esterno del polittico inizia conun’Annunciazione, realizzata in questo caso a grisaglia.Nel registro inferiore, sull’anta sinistra e su quelladestra, sono raffigurati i ritratti dei due donatori, Nico-las Rolin e la moglie Guigonne de Salins. Sono inoltrepresenti i santi dipinti a grisaglia come fossero statue dipietra. Invece dei santi patroni personali, come è con-suetudine, tra i due donatori sono collocati due santi,che da un lato erano considerati i patroni della famiglia,e dall’altro avevano grande importanza per l’ospedale:sant’Antonio, santo protettore di Beaune fino al 1453e protettore dalla peste nonché da altre malattie dellapelle, e san Sebastiano, anch’egli invocato in caso dipeste.

A battenti aperti la pala mostra uno sbalorditivo Giu-dizio Universale. La Deësis, Cristo Giudice, con Maria esan Giovanni Battista, occupa la posizione centrale comenell’opera di Van Eyck. Il Giudice universale, Maria,Giovanni e le due schiere di santi quali intercessori del-l’umanità nel Giudizio, vengono per così dire catturatientro un’enorme nube a forma di arcobaleno. Cristo sierge come giudice in elevata solitudine, in piedi sulglobo terrestre e al contempo assiso su un secondo arco-baleno a semicerchio. Raffigurato con il giglio e la spadavicino alla bocca, egli tiene la mano destra levata in attodi benedizione, mentre con la sinistra indica in manie-ra eloquente il testo del Giudizio che si srotola verso ilbasso. Ai lati di Cristo, angeli si librano in volo con glistrumenti della passione e sotto di lui l’arcangelo Miche-le è intento a pesare le anime. L’insieme rappresenta lacosiddetta psicostasìa, la “pesatura” delle anime deidefunti, un tema pressoché assente negli artisti con-temporanei a Rogier Van der Weyden. Una scena ana-

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loga scolpita si trova nel portale centrale della cattedra-le di Bourges.

Nel riquadro inferiore del polittico le anime dispera-te, dannate o meno, avanzano a carponi e barcollano intutta la loro fragilità sulla terra arida in cerca di una viaverso il cielo, sull’anta sinistra più esterna, o verso l’in-ferno, sull’estrema destra della scena. Alcune vannoincontro al loro destino urlando per la disperazione,altre si abbandonano all’autocommiserazione, lancianogrida di orrore, oppure sono colte dal terrore per l’i-gnoto, talune invece si avviano rassegnate incontro alloro destino.

L’intercessione in cui esse ripongono la loro speran-za di salvezza verrà dagli intermediari disposti in filadietro a Maria, avvocata dell’umanità, e a san Giovan-ni Battista. Alle spalle di Maria siede san Pietro allaguida di un nutrito gruppo di intercessori. La comunitàdei santi è rappresentata da quattro figure emblemati-che: un papa, un vescovo, un principe e un monaco, cuisi accompagnano cinque apostoli. Di fronte a Pietro, die-tro al Battista, siede l’apostolo Paolo che conduce laschiera degli altri intercessori, vale a dire tre figure rap-presentative di sante, una vergine, una principessa euna donna sposata, nonché i rimanenti cinque apostoli.

Sebbene la scena sia resa fin nei dettagli in modospettacolare, Rogier riuscì ad evitare che l’accento venis-se a cadere su questo aspetto. Tramite la disposizioneorizzontale, di ampio respiro, quasi a fregio, delle figu-re, egli evidenzia l’essenziale, la scena complessiva delGiudizio. Non gli interessano gli effetti illusionisticicari a parecchi colleghi del suo tempo, il dipinto apparenell’impianto quasi arcaico. In luogo del caos brulican-te di particolari atroci, così frequentemente esibito nellerappresentazioni del Giudizio, qui si incontra un ordi-ne quasi rasserenante. A tal fine Van der Weyden hafatto un uso calibrato della struttura orizzontale della

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pala di forma rettangolare. La collocazione delle figuresu un’ampia superficie di scarsa profondità contribuiscea rendere armoniosa la composizione.

A prima vista il dipinto sembrerebbe, dunque, il tipi-co prodotto di un’ininterrotta tradizione medioevalecon la scena della psicostasìa, l’articolazione orizzonta-le in uno spazio poco profondo, gli attributi arcaici comeil giglio e la spada presso la bocca di Cristo, a simbo-leggiare l’equità del suo giudizio. Eppure l’opera fuestremamente innovativa. Questa rappresentazione delGiudizio Universale è stata la prima, e per lungo tempol’unica, a raffigurare l’inferno senza l’immagine del dia-volo; del tutto assenti anche demoni e angeli. La gran-diosa pala fu sistemata nella cappella, consacrata il 31dicembre 1451, adiacente la grande sala dei malati del-l’ospedale. È facile immaginare quale intensa emozionesuscitasse sia in quanti assistevano i pazienti che neitanti malati che all’ospedale trascorrevano periodi più omeno lunghi, spesso lottando tra la vita e la morte.Senza dubbio il polittico sarà stato loro di conforto nellameditazione e nelle preghiere rivolte a Dio, dal quale siachi assisteva caritatevolmente i malati che i malati stes-si potevano attendersi tanta grazia durante la loro esi-stenza terrena.

La seconda generazione. L’attività pittorica di PetrusChristus si inserisce tra quella di Van Eyck, morto giàda alcuni anni quando questi ottenne la cittadinanza diBruges nel 1444, e quella di Memling, che in quellacittà gli sopravvisse quasi un quarto di secolo. Ad unaconsiderazione a posteriori, il fatto più significativo del-l’evoluzione artistica di Petrus Christus consiste nell’a-dozione, per la prima volta in assoluto nei Paesi Bassi enel nord Europa, della costruzione prospettica raziona-le e geometrica con unico punto di fuga, che l’artistaapplicò secondo un metodo elaborato da Filippo Bru-

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nelleschi. Tra le opere pervenute, le prime in cui PetrusChristus utilizza appieno la prospettiva centrale sono laMadonna con il Bambino tra i santi Girolamo e Francesco(Francoforte, Städelsches Kunstinstitut) e l’Annuncia-zione del 1452 (Bruges, Groeningemuseum).

Di quest’artista si conserva un corpus di opere rela-tivamente certe: una trentina di dipinti, dei quali novefirmati e datati, cinque disegni e un’unica miniatura.Non sono noti i luoghi in cui soggiornò prima di stabi-lirsi a Bruges nel 1444, né i maestri presso i quali siformò. Risulta dal registro dei cittadini di Bruges cheegli nacque a Baerle, ma se si tratti dell’omonimo vil-laggio nel Brabante non è affatto certo. Arrivò a Bru-ges come pittore già esperto e in qualità di cittadino illu-stre divenne membro di due confraternite di Maria,Nostra Signora delle Nevi (Onze Lieve Vrouw terSneeuw) e Nostra Signora dell’albero secco (Onze LieveVrouw van de Droge Boom). Ricevette importanti com-missioni sia da privati che da parte delle autorità e daenti ecclesiastici: ritratti, pale d’altare, dipinti devozio-nali ma anche fastose decorazioni e progetti per tableauxvivants, come in occasione dell’ingresso trionfale delduca Filippo il Buono a Bruges nel 1463. Nel 1468 col-laborò nuovamente alla realizzazione di apparati per lacerimonia delle nozze tra Carlo il Temerario e Marghe-rita di York. Oltre 150 furono gli artisti mobilitati nel-l’intero regno borgognone, tra cui anche Hugo van derGoes, per dare lustro ai festeggiamenti e soprattutto algrandioso torneo organizzato da Antonio di Borgogna.

La tavola con Sant’Eligio nel suo laboratorio fu conogni probabilità commissionata a Petrus Christus nel1449 dalla gilda degli orafi e argentieri di Bruges;sant’Eligio era, infatti, il patrono della corporazione. Lacappella della gilda, che sorgeva a fianco alla casa dellacorporazione nella Smedestraat (via dei fabbri) e veni-va condivisa con i fabbri di quella città, era stata sotto-

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posta a lavori di ristrutturazione e fu riconsacrata nel1449. È perciò verosimile che l’opera sia stata concepi-ta come dipinto devozionale da collocare nella cappellarinnovata. Il santo vi è raffigurato seduto dietro al suobancone di lavoro intento a pesare un anello con unagemma rossa, senza alcun dubbio una fede nuziale chela giovane coppia sta acquistando nel suo laboratorio.L’uomo tiene stretta la sua amata mentre segue attentol’operazione dell’orafo. Il gioiello è chiaramente desti-nato alla mano sinistra della giovane donna, protesa aricevere l’anello, come nella raffigurazione delle nozzemistiche tra santa Caterina e Cristo, dipinta da HansMemling. Nel mobile da esposizione alle spalle disant’Eligio, si scorgono materiali preziosi – perle, coral-li rossi, cristallo – e oggetti di grande bellezza creati dal-l’artigiano. Alla larga fascia fulva drappeggiata sul ban-cone deve essere forse applicata una fibbia pregiata,magari proprio quella appesa in alto nel mobile. Sebbe-ne il colore fulvo ricorra identico anche nelle maniche enel colletto delle vesti della donna, resta dubbia l’inter-pretazione della fascia come cintura nuziale. Altrettan-to oscura appare tuttora la funzione del signore sontuo-samente abbigliato e del suo falconiere, che osservanola scena attraverso la finestra aperta del laboratorio e chevengono riflessi nello specchio convesso sull’estremitàdestra del bancone.

Al centro della tavola è apposta la scritta con firmae data: “m’. petr’. xpi. me .. fecit. ao 1449” (“il mae-stro Petrus Christus mi fece nell’anno 1449”), seguitada un marchio simile a un contrassegno. Può darsi chequesto fosse il marchio di Petrus Christus; marchi delgenere erano certo d’uso corrente e a partire dal 1426ai miniatori di Bruges fu fatto persino obbligo, ribadi-to ancora nel 1457, di registrare il loro marchio pressola gilda e di contrassegnare con questo le loro opere. Diquest’artista si conosce in realtà una sola miniatura, tut-

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tavia è noto che il sistema dei marchi non trovava un’ap-plicazione sistematica presso i miniatori. Occorre peral-tro notare che Petrus Christus non appose il marchio innessun altra occasione. Secondo un’altra ipotesi plausi-bile, il marchio sarebbe da riferire all’orafo che com-missionò a Petrus Christus l’opera per la cappella dellagilda riconsacrata nel 1449. Gli orafi infatti utilizzava-no regolarmente i loro marchi di maestro, obbligatori aBruges fin dal 1441. A sostegno di questa tesi è oppor-tuno citare l’Incoronazione di spine di Hieronymus Boschal Museo del Prado. In base ai marchi d’argento ripro-dotti con grande precisione da Bosch sul dipinto, si ipo-tizza che l’Incoronazione di spine fu eseguita nel 1510-1511 su incarico di un argentiere di ’s-Hertogenbosch– autore anonimo di alcuni manufatti individuati grazieal contrassegno – per l’altare della corporazione degliorafi nella chiesa di San Giovanni della città.

Nel 1604 il pittore e scrittore Karel van Manderosservava nel suo Libro della pittura a proposito di Die-ric van Haarlem (Dirck Bouts, 1415?-1475) che questi“era stato fin da giovane un maestro di eccezionale bra-vura”. Van Mander non sapeva da chi Bouts ricevesse irudimenti del mestiere e cosa avesse fatto a Haarlemnella prima parte della sua vita. Già nel 1572 comunqueil cronista Lampsonius aveva ricordato l’artista nel suoPictorum Effigies, citandolo come “Theodorus Harle-mius”, con una descrizione corredata da un verso, ripre-so poi dallo stesso Van Mander. Che Bouts abbia lavo-rato ad Haarlem risulta inoltre dalla Descrittione di tuttii Paesi Bassi, opera del 1567 di Lodovico Guicciardini.In questo libro dedicato alle diverse città, Guicciardiniafferma di aver visto un quadro di Bouts con una vedu-ta topografica di Haarlem.

Non si sa con precisione quando ebbe luogo il tra-sferimento del pittore a Lovanio. Ad ogni modo diver-si documenti d’archivio risalenti al periodo compreso tra

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1457 e il 1475 attestano la sua attività in questa città.Qui egli incontrò Catharina van der Bruggen, dettaanche Metten Gelde (“con i soldi”), divenuta poi suamoglie, che gli diede diversi figli. I due figli maschi,Dirck e Aelbrecht, appresero anche loro il mestiere dipittore e fecero da assistenti al padre nella grande bot-tega che questi conduceva. Nel 1468 Bouts divenne pit-tore ufficiale di Lovanio. E in questa città, che perlungo tempo l’aveva ospitato tributandogli onori e fama,morì nel 1475.

Il quadro con la Cena a casa di Simone il Fariseo (1445-1450 circa) rivela l’ascendente esercitato sull’artista daJan van Eyck e Rogier van der Weyden, suoi insigni pre-decessori fiamminghi; senz’altro Bouts ebbe modo divedere a Lovanio la Deposizione di quest’ultimo, nonchéaltre opere. Il dipinto rappresenta l’episodio di Cristoospite a casa di Simone il Fariseo (Luca 7, 36-50). Men-tre egli siedeva a tavola con gli altri commensali, entròin casa Maria Maddalena la peccatrice recando con sé unvasetto pieno di mirra. Bagnati i piedi di Cristo con lesue lacrime, ella li asciugò con i capelli, li baciò e li unsecon il profumo. Egli le disse che il suo era un gesto d’a-more e le perdonò i suoi peccati. Nel quadro Cristocompare nell’atto di impartire la sua benedizione men-tre Simone si sporge in avanti per vedere cosa stia facen-do la Maddalena. Con la sua espressione di biasimo e ilgesto di ripulsa, Giuda Iscariota, il discepolo che pro-testò per lo spreco dei preziosi unguenti (Giovanni 12,4-6), rende manifesta la sua disapprovazione.

Questo soggetto era molto amato nel medioevo, inparticolare nei Paesi Bassi settentrionali. La sua popo-larità derivava forse in parte dalla diffusione attraversolibri devozionali illustrati, quali la Biblia Pauperum e loSpeculum Humanae Salvationis. Il suo significato erachiaro. A tal proposito Ludolf il Certosino ebbe a scri-vere: “Questa donna che era una peccatrice e che si

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abbandona ai piedi di Cristo, rappresenta tutti coloroche si mostrano sinceramente pentiti dei loro peccati.”È probabile che l’anonimo monaco certosino, che com-pare sulla tavola in veste di donatore, si sentisse parti-colarmente toccato dalle parole del suo confratello e pertale motivo commissionò l’opera.

Lo stile del dipinto richiama quello della pala d’alta-re con scene dalla vita di Maria, attualmente al Prado,che Bouts eseguì intorno al 1445. Le figure, con i lorovisi tondi, si assomigliano; analogo è anche il delicatotrattamento della luce con cui l’artista dà volume aicorpi. I riflessi sulle superfici lucenti, le ombre deglioggetti e delle figure sanno dare alla rappresentazioneuna certa vivacità, spesso assente invece nella resa delleemozioni. Il cromatismo tipicamente nordico conferisceall’opera una certa freddezza. Per accrescere l’effetto diprofondità, Bouts ha scelto un punto di vista che con-ferisce al pavimento un effetto fortemente scorciato.

L’influenza di Van Eyck nella cura per il dettaglioemerge tra l’altro nella splendida natura morta formatadalla tavola imbandita. Si tratta di una “natura mortacon colazione” ante litteram, un genere che solo piùtardi, con i pittori di nature morte del Seicento, avreb-be conosciuto piena fioritura. I pesci in parte tagliati indue, le brocche, i calici e boccali colmi, i pezzi di pane,le pieghe nella tovaglia: raramente una natura morta furesa con tanta magnificenza in ogni suo particolare.

Nel suo Libro della pittura Karel van Mander men-ziona Albert van Ouwater come fondatore della Scuoladi Haarlem e sebbene il suo nome indichi una prove-nienza da Oudewater, presso Gouda, è verosimile cheegli ottenesse la fama soprattutto nella città di Haarlem.L’unica opera che può essere attribuita con certezza aquest’artista è la Resurrezione di Lazzaro (1455-1460circa), eppure la sua fama doveva essere considerevole.Van Mander dedica un’ampia trattazione al pittore e a

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questa pala, occupandosi del modo insolito di trattare iltema e dell’introduzione della parete divisoria con lefigure che guardano curiose attraverso la grata.

Albert van Ouwater era rinomato per i suo i paesag-gi. In un appunto del 1521, di pugno di MarcantonioMichiel, si legge di alcuni paesaggi opera di “Albert deHolanda” nella collezione del cardinale Grimani diVenezia. Lo stesso Van Mander, osservando che leprime nonché più compiute manifestazioni nel campodella paesaggistica ebbero luogo a Haarlem, elogia iltalento di Ouwater. A testimonianza della sua abilitàegli descrive una pala d’altare realizzata dall’artista perla chiesa di San Bavone a Gand, in cui compare un inte-ressante paesaggio con un gran numero di pellegrini:alcuni camminano, altri fanno una sosta, c’è chi mangiae chi sta bevendo. Quest’opera, purtroppo andata per-duta, è tuttavia nota grazie ad alcune copie tedesche, dacui risulta che il paesaggio di Ouwater era simile a quel-li di Dirck Bouts e che pertanto è forse possibile parla-re di una precoce tradizione di questo filone ad Haar-lem. Comunque sia, Ouwater assicurò una continuità aquesta tradizione trasmettendola ai suoi allievi, tra iquali figurava, secondo quanto è stato tramandato,anche Geertgen tot Sint Jans.

La scena della Resurrezione di Lazzaro, apparente-mente ambientata all’interno di una chiesa, è divisa indue metà. Sul lato sinistro della tavola è raffigurato Cri-sto con alcuni suoi discepoli, tra questi Marta e Maria,sorelle di Lazzaro. Vestiti con abiti piuttosto semplici,essi stanno in disparte in un atteggiamento d’attesaquasi passiva, alquanto inespressivi, osservando il mira-colo che si compie sotto ai loro occhi. Di fronte a loro,nell’altra metà del dipinto, i Giudei, abbigliati con sfar-zosi abiti di stoffe pregiate, volgono quasi le spalle allascena con fare irrequieto e nervoso, come se non voles-sero averevi nulla a che fare. Pietro, il primo discepolo

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di Cristo, ha la funzione di raccordo tra i due gruppi esembra voler placare gli animi inquieti. Davanti a luisiede Lazzaro, appena risorto dalla tomba, che costitui-sce chiaramente il punto focale dell’evento. Al centrodella composizione, esattamente dietro alla testa di Pie-tro, gli spettatori che tentano di seguire il miracolo dadietro la grata del coro. Come Van Eyck e altri artistiprima di lui, Ouwater fa uso di un simbolismo masche-rato, il già citato disguised symbolism. Così ad esempio idue gruppi stanno a rappresentare il Bene e il Male, untema che viene espresso nuovamente in due capitelli deldeambulatorio, attraverso la raffigurazione del Sacrificiodi Isacco. Quest’episodio veterotestamentario allude allasalvezza di un uomo di nome Lazzaro e, più in genera-le, alla salvezza dell’essere umano attraverso il sacrificiodi Cristo. Tramite i due capitelli successivi, sui qualiappare Mosé che riceve le tavole della legge sul monteSinai e poi le mostra ai figli d’Israele, Ouwater illustral’ineluttabilità dell’avvento di una nuova era. In basso,Pietro intuisce quanto sta avvenendo e si rivolge allaschiera di Giudei che impersonano i miscredenti.

La scena si svolge nella parte inferiore del dipinto, lametà superiore è invece occupata dalle strutture archi-tettoniche. Lo spazio relativamente vuoto creato dallagrandissima rotonda con deambulatorio riesce a creareun’atmosfera piuttosto tranquilla e armoniosa. Uno deitratti tipici della prima pittura nederlandese, infatti, èche spesso atmosfera e carattere di un quadro non ema-nano tanto dalle figure, ma sono piuttosto determinatedall’ambiente circostante.

Il cromatismo di Ouwater è decisamente olandese: alposto della tavolozza spesso sgargiante dei suoi colleghifiamminghi, qui dominano le tonalità delicate del verde,il grigio, il marrone e altre tinte neutre che fanno dasfondo alle figure dal cromatismo più vivo. Ouwater nonera il solo, anche Dirck Bouts e Giusto di Gand, come

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si vedrà in seguito, operarono una scelta cromatica simi-le per ottenere un identico effetto.

Come abbiamo già osservato, i pittori del tardoMedioevo realizzarono, oltre a dipinti su tavola, diver-si altri generi di opere, quali pitture tombali, murali,miniature, forse persino vetri dipinti e in ogni casomanufatti pertinenti alla sfera più propriamente deco-rativa o applicata. Verranno qui esaminati due esemplaridi quest’ultima categoria, un prezioso scudo da paratafiammingo, finemente dipinto, e un gonfalone della cittàdi Gand parzialmente conservato.

Nel 1452 le autorità municipali di Gand affidaronoa Achille van den Bossche la decorazione pittorica deicinque grandi stendardi dei rioni della città, nonchéquattro drappelle per tromba, ventisei banderuole e duegonfaloni con lo stemma della città. In collaborazionecon altri due pittori egli realizzò inoltre diverse bandie-re. Sugli stendardi dei rioni furono raffigurati i varisanti patroni, Giovanni, Nicola, Giacomo, Michele eMartino, ognuno con i relativi attributi in modo che fos-sero riconoscibili. I gonfaloni comunali, invece, presen-tavano di solito la “Vergine di Gand”.

L’artista Achille van den Bossche, libero maestro aGand a partire dal 1428 fino alla morte nel 1452, eral’esponente più anziano di una famiglia di pittori di cuifacevano parte anche un certo Tristram van den Bosschee i suoi figli, Agnes e Livinus, tutti quanti appartene-vano alla gilda di San Luca. Ad Agnes van den Bosscheviene attribuito un gonfalone quattrocentesco conser-vatosi a Gand con l’immagine della Vergine della cittàe un leone rampante. Il vessillo riveste un’importanzaparticolare da un lato in quanto si tratta dell’opera diuna delle poche pittrici attestate nei documenti, dall’al-tro per il fatto stesso di essere giunto fino ai nostri gior-ni: infatti i prodotti d’arte applicata di questo genere,realizzati senz’altro in numero cospicuo, andarono in

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gran parte perduti. Alcuni esemplari si preservaronoperché divennero parte del bottino di guerra degli sviz-zeri in seguito alla serie di sconfitte da loro inflitte aCarlo il Temerario nel corso del 1476. Gli svizzeri,infatti, custodirono le bandiere e gli stendardi conqui-stati come trofei e provvidero inoltre alla loro puntualedocumentazione in numerosi inventari, corredati anchedi illustrazioni.

Lo scudo da parata conservato oggi al British Museumdi Londra, non rivela tracce di combattimento ed è dun-que logico pensare che venne usato con grande cura eorgoglio nel corso di cortei pacifici e sfarzosi. La rap-presentazione applicata sullo scudo interamento dorato,allo stesso modo di un dipinto su tavola di buona qualitàrealizzato secondo la tradizione dei primitivi fiamminghi,racchiude due tematiche: la scena cortese del giovanecavaliere in ginocchio davanti alla sua dama, e la cadu-cità, simboleggiata dalla morte in persona pronta a cin-gere con un abbraccio fatale il giovane con l’armatura.La donna indossa una preziosissima veste di broccatointessuto d’oro con guarnizioni d’ermellino e un copri-capo a punta con un lunghissimo strascico di finissimaseta trasparente. Ella pare porgere la lunga catena dimaglie ritorte che le cinge la vita al cavaliere genuflesso,che ha appena posato a terra guanti, elmo e alabarda perrivolgere all’amata le parole che figurano nel cartigliosopra la sua testa: “Vous, ou la mort”. Il gesto della damapuò interpretarsi come un assenso alle sue profferte amo-rose, il cavaliere non avrà che da afferrare la sua cintu-ra. Ben note sono le raffigurazioni quattrocentesche dipersonaggi nobili con cotta d’arme insieme alle loro con-sorti avvolte in mantelli stemmati, che vengono letteral-mente portate via in catene dai loro mariti.

“Maestro Giusto depintore” si impegnò nel 1473 adultimare per una confraternita religiosa di Urbino unapala d’altare che il fiorentino Paolo Uccello aveva ini-

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ziato senza portare a compimento e che era già stata esa-minata da Piero della Francesca nel 1469. Il pittore èmenzionato ancora nel 1474, stavolta in modo più espli-cito, come “Giusto da Guanto”. Quando gli viene ver-sata l’ultima somma dovuta, l’11 aprile 1475, evidente-mente l’opera è ormai compiuta. Nello stesso anno,qualche tempo dopo, ricevette dalla stessa confraterni-ta l’incarico di realizzare uno stendardo.

La pala della Comunione degli Apostoli (1473-1475)era destinata alla chiesa del Corpus Domini, che eraamministrata da una confraternita omonima e sorgevaaccanto al Palazzo Ducale di Urbino. Sulla predella dellapala Paolo Uccello aveva rappresentato il Miracolo del-l’ostia. Anche Giusto di Gand pose il Santissimo Sacra-mento al centro della sua opera, nella tavola centraledella pala, realizzando una variante singolare dell’epi-sodio dell’Ultima Cena, e cioè Cristo che distribuiscel’ostia agli apostoli. Era stato il Beato Angelico a raffi-gurare per la prima volta questo soggetto in un affrescodegli anni 1440-1445 nel convento di San Marco aFirenze, inaugurando una tradizione duratura. Non è daescludere che Giusto abbia potuto vedere l’affresco inuna delle celle del convento, dal momento che sembraessere proprio lui il pittore attivo a Firenze citato neidocumenti nel 1445. Probabilmente l’artista nacque aGand agli inizi del Quattrocento, ebbe in quella città lasua formazione e vi lavorò per un breve periodo primadi andare a Firenze. Le fonti a riguardo, tuttavia, sonooltremodo sommarie e le opere forse effettivamente dimano dell’artista, che sono citate in documenti più tardi,sono andate perdute. In ogni caso è da respingere l’ipo-tesi, più volte formulata, della sua identificazione con ilpittore Joos van Wassenhove.

Secondo quanto risulta dalle fonti d’archivio, laComunione degli Apostoli per la chiesa del SantissimoSacramento di Urbino è dunque un’opera autografa di

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Giusto di Gand. Recenti indagini storico-artistichehanno evidenziato, grazie all’ausilio delle moderne tec-niche di analisi dei disegni preparatori, che il pittore èanche l’artefice della concezione e del disegno prepara-torio di una serie di tavole che un tempo ornavano lostudiolo del duca di Urbino e inoltre che egli stesso necompletò due (Urbino, Palazzo Ducale, studiolo di Fede-rico da Montefeltro; Parigi, Musée du Louvre). È faci-le immaginare che l’intervento di Giusto possa essereindividuato anche in altre opere eseguite espressamen-te per il palazzo del duca Federico da Montefeltro aUrbino.

Per quanto scarne siano le notizie sull’artista, è evi-dente che egli appartiene in pieno alla tradizione dei pit-tori dei Paesi Bassi meridionali e che le commesse affi-dategli a Urbino dall’esigente duca erano altamente pre-stigiose. La pala d’altare eseguita per la Confraternitadel Corpus Domini – il duca ne finanziò l’esecuzione inminima parte ma dovette esservi coinvolto molto davicino – è interessante per diversi motivii. Già nel 1550Giorgio Vasari osservava nelle Vite de’ più eccellenti pit-tori che Giusto di Gand “autore del dipinto della Comu-nione degli Apostoli e di altri dipinti per il duca di Urbi-no” era stato tra i primi ad utilizzare i colori a olio.Sotto il profilo iconografico, poi, l’opera è, del tuttoeccezionale. Inoltre Giusto di Gand rappresenta inmaniera esemplare la schiera dei valenti pittori fiam-minghi che lavorarono per committenti italiani dellamassima levatura. Ciò che rende infine la tavola davve-ro sorprendente sono le dimensioni dell’unica scena raf-figurata: con una superficie di oltre 7,6 metri quadriquesta è la più grande pala finora nota della pitturanederlandese delle origini.

Esattamente al centro della scena, leggermente pie-gato, il Cristo amministra il sacramento dell’Eucaristia.Sulla destra, sopra di lui, pende una lampada perpetua

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affiancata, nei due angoli superiori, da due angeli. Allesue spalle, un tavolo è collocato come fosse un altare inuno spazio che ricorda un’abside. Nove apostoli sonoschierati davanti a Cristo sulla sinistra della pala, altritre sono inginocchiati sulla destra. All’estremità, dietroal primo gruppo, compare Giuda che tiene ben strettala sua borsa coi denari. Raffigurato come un giovane dibell’aspetto, Giovanni dietro l’altare assiste Cristo nel-l’amministrazione dell’Eucaristia prendendo la caraffadel vino per versarlo nel calice. Sullo sfondo, versodestra, vi è un altro piccolo gruppo di persone, tra lequali Federico da Montefeltro – sebbene non sia lui ildonatore della pala – e una donna con un bambino inbraccio, che si ritiene sia il figlio e successore del duca,Guidobaldo. Giusto di Gand sembra aver intrecciato inquesta grandiosa opera la monumentalità tipica dell’ar-te italiana con la tradizione di matrice nordica. Così lefisionomie degli apostoli derivano dall’attenta osserva-zione di personaggi del popolo, mentre Giovanni e gliangeli sono chiaramente idealizzati alla maniera neder-landese, il duca Federico infine è inserito nella scena inun tipico ritratto di profilo all’italiana.

Il 5 maggio 1467 Hugo van der Goes venne nomina-to maestro della gilda dei pittori di Gand, sua città nata-le (?), testimone il pittore Joos van Wassenhove insie-me ad un’altra persona. La sua fu una carriera folgo-rante, senz’altro perché egli era giunto (tornato?) aGand come maestro già esperto. Alcuni ritengono cheegli compiesse il suo alunnato presso Dirck Bouts. Unanno più tardi, nel frattempo egli era già divenuto“membro giurato” della gilda, venne chiamato a Brugesper partecipare a un importante progetto, l’allestimen-to degli apparati festivi in onore delle nozze di Carlo ilTemerario con Margherita di York da celebrarsi il 3luglio 1468. Gli venne così affidato il compito di deco-rare, insieme ad altri pittori, il palazzo ducale nonché di

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realizzare le bandiere che avrebbero ornato le strade diBruges. Negli anni seguenti ricevette dalle autorità altriincarichi simili: nel 1469 una serie di piccoli scudi conlo stemma papale per la città di Gand e per conto delduca alcune bandiere dipinte con motivi araldici desti-nate alla cerimonia del suo insediamento; nel 1472 eglirealizzò per Carlo il Temerario due grandi tele raffigu-ranti rispettivamente un quadro araldico dei suoi pos-sedimenti e la “Vergine di Gand”. Nel 1474, infine,dipinse trenta scudi con l’arme per la cerimonia funebreche accompagnò la traslazione dei corpi di Filippo ilBuono e Isabella del Portogallo da Bruges in Borgognapassando per Gand.

Dal 1473 al 1476 Van der Goes fu anche decano dellagilda, poi nel 1478, all’acme della sua carriera di artistaacclamato, decise di ritirarsi come frate laico nel con-vento Roode Klooster nei pressi di Bruxelles, una prio-ria legata a Groenendael di Ruysbroeck. Egli, tuttavia,non si dedicò esclusivamente alle pratiche religiose econtinuò anzi a dipingere, ricevette ospiti e persinocommittenti al convento – tra cui il futuro imperatoreMassimiliano – e partì anche alla volta di Lovanio perdare il proprio parere sulle tavole della Giustizia di DirckBouts. Egli non ebbe vita facile al convento: nelle cro-nache conventuali di quegli anni stilate dal monacoGaspar Ofhuys, si legge dello stato di confusione men-tale, descritta con dovizia di particolari, in cui versaval’artista, aggravato agli inizi del 1481 da una profondadepressione che gli procurò la morte l’anno seguente.

Il Dittico cosiddetto “di Vienna” dal luogo della suaattuale collocazione, mostra due scene la cui associazio-ne può apparire a prima vista bizzarra: il Peccato origi-nale con Adamo ed Eva sul pannello sinistro e il Com-pianto sul Cristo ai piedi della croce, su quello destro.Eppure i due soggetti hanno molto in comune. AllorchéAdamo ed Eva scoprirono nel Giardino dell’Eden l’al-

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bero del Bene e del Male, non seppero resistere alle ten-tazioni dell’astuto serpente e colsero il frutto della cono-scenza, macchiando così l’essere umano del Peccato ori-ginale.

Tale peccato non fu cancellato che con l’avvento diCristo che sacrificò se stesso morendo sulla croce eliberò in tal modo l’uomo dalla colpa: da un lato dun-que il Peccato e dall’altro la Redenzione. Per quanto ildittico formi perciò un’opera omogenea, esso vide tut-tavia la luce in due fasi distinte, come si rileva anchedalle differenze stilistiche e iconografiche esistenti trale due tavole. La datazione basata sulla dendrocronolo-gia ha confermato quanto supposto in base a considera-zioni storico-artistiche, e cioè che il Peccato originale pre-cede di sei anni il Compianto. La santa Genoveffa dipin-ta a grisaglia sul retro di quest’ultima tavola potrebbeforse fornire qualche indizio sulle vicende all’originedel dittico.

Adamo ed Eva sono raffigurati nel momento in cuiEva, spinta dal serpente, che qui ha le sembianze di unasorta di lucertola dalla testa umana, coglie la mela dal-l’albero della conoscenza, al centro del lussureggiantegiardino. Il paesaggio è dipinto con grande cura dei par-ticolari e nelle resa dei corpi umani, di fiori e delle pian-te, della morbida luce vi sono chiari richiami a VanEyck.

Per quanto riguarda il Compianto, invece, sia la com-posizione che il trattamento delle figure appare piutto-sto influenzata dai modi di Van der Weyden. Comequesti, anche Van der Goes ha messo in scena il temaentro una composizione sovraffollata, dove i personag-gi sono disposti in prossimità della cornice. Le stesseemozioni, e i gesti che le esprimono, sono rappresenta-te in questa metà del dittico in maniera commovente.Maria Maddalena in primo piano, sulla sinistra, coin-volge con il suo sguardo afflitto l’osservatore nella scena;

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ella pare quasi invitare a soffermarsi su questo eventostraziante di cui tutti noi, peccatori, siamo responsabi-li. Perfino il paesaggio sembra sconvolto dal dramma, labellezza che aveva nel giardino terrestre si è ormai dile-guata. Sul monte Golgota, freddo e deserto, gli avvol-toi volteggiano intorno alla croce vuota che si stagliacontro il cielo cupo.

Alla luce delle sue modeste dimensioni, è verosimileche il piccolo dittico fosse destinato alla devozione pri-vata: la resa penetrante delle scene e lo sguardo com-passionevole della Maddalena, destinato non solo al Cri-sto morto ma sicuramente anche all’osservatore che lerivolge l’attenzione, saranno stati per il proprietario del-l’opera di indubbio stimolo nelle sue preghiere.

Tommaso Portinari, un importante uomo d’affari,risiedeva in qualità di rappresentante della ricchissimastirpe di banchieri della casata dei Medici di Firenzenella prospera Bruges della seconda metà del Quattro-cento. Già a quei tempi, infatti, le case di commercio,i banchieri e simili, invece di effettuare personalmenteviaggi d’affari o soggiornare lungo tempo all’estero,erano soliti assumere agenti che curassero i loro inte-ressi: commessi viaggiatori come Tommaso Portinari eGiovanni Arnolfini, per l’appunto, che in questa vestesi erano stabiliti nelle Fiandre.

Simili uomini d’affari godevano di grande conside-razione ed erano in genere personaggi molto facoltosi.Spinti dal desiderio di esibire la fama raggiunta, essiamavano farsi ritrarre dai rinomati maestri fiamminghi.

Si ricordi ad esempio Giovanni Arnolfini che si erafatto immortalare insieme alla consorte in un ritratto diJan van Eyck. Non solo il ritratto costituiva un tramitemolto apprezzato per tenere vivo il ricordo del com-mittente e della sua famiglia, ma anche chi commissio-nava grandi pale d’altare spesso vi compariva di perso-na in qualità di donatore.

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È questo è il caso del trittico con l’Adorazione deiPastori attualmente collocato negli Uffizi a Firenze, chefu dipinto per incarico di Tommaso Portinari. Insiemeall’Altare Monforte, sempre dello stesso artista (ante per-dute; tavola centrale a Berlino, Staatliche MuseenPreußischer Kulturbesitz), la pala d’altare è tra le piùgrandi della prima pittura nederlandese. In posizioneaperta l’opera è più alta e più larga dello stesso Giudi-zio Universale di Rogier van der Weyden a Beaune; perdimensioni la tavola centrale è seconda solo alla Comu-nione degli Apostoli di Giusto di Gand.

Sui battenti esterni del trittico Portinari compareun’Annunciazione dipinta a grisaille in uno stile oltre-modo sobrio e discreto. A battenti aperti, invece, il trit-tico esplode in un tripudio di colori attorno al minu-scolo neonato Gesù quale punto focale della rappre-sentazione.

Sull’anta sinistra è raffigurato Tommaso Portinari edietro di lui i figlioletti Antonio e Pigello e i santi pro-tettori: san Tommaso con la lancia e sant’Antonio vesti-to da eremita.

La moglie di Tommaso, Maria Baroncelli, e la figliaMargherita sono raffigurate in ginocchio sull’anta destrain compagnia delle sante Maria Maddalena, con il vasod’unguento, e Margherita con il drago ai suoi piedi.

Nello scomparto centrale trova posto l’Adorazionedei pastori, che in ginocchio sembrano accogliere a brac-cia aperte il Bambino appena nato. Insieme alle altrefigure del quadro essi formano un cerchio intorno alBambino nudo disposto su un giaciglio di paglia. Maria,Giuseppe, le schiere di angeli, tutti sono rivolti con lemani giunte in sua adorazione del piccolo Redentore, inuno scenario creato dai resti del palazzo di Re Davide.L’arpa nell’arco a tutto sesto e le iniziali p.n.s.c. e m.v.,rispettivamente “Puer Nascitur Salvator Christus” e“Maria Virgo”, indicano la nascita di Cristo in questo

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luogo. Il bue e l’asino assistono all’evento da dietro lamangiatoia.

In quest’opera Van der Goes riprende la tradizionepittorica nederlandese inaugurata dai suoi predecessori:il senso per la luce, lo spazio e il naturalismo di PetrusChristus e Dirck Bouts, la monumentalità di Rogier vander Weyden, ma in primo luogo il gusto per il dettaglioe il disguised symbolism di Van Eyck.

La semplice natura morta in primo piano con i duevasi di fiori e il fascio di spighe risulta così essere la chia-ve di un concetto iconografico complesso che Van derGoes intende illustrare, e cioè la dottrina dell’Incarna-zione: con la nascita Dio si fa uomo e in tal modo l’u-mile natura umana viene riunita con quella divina. Nelvaso di sinistra, un alberello spagnolo, vi sono tre iris –due bianchi e uno blu – e un giglio scarlatto, che allu-dono alla passione, alla purezza e alla regalità di Cristoe della Vergine Maria. Nel piccolo vaso di vetro a fian-co – la luce del sole l’attraversa senza deviare – sono col-locate invece sette aquilegie blu e tre garofani rossi. Perla sua forma che ricorda una colomba in volo, l’aquile-gia divenne simbolo dello Spirito Santo. L’insieme disette aquilegie, come in questo caso, sta ad indicare isette doni dello Spirito Santo. Il significato simbolicodel garofano è strettamente correlato al fidanzamento,qui è forse un’allusione alle nozze mistiche di Maria conCristo. I fiorellini sparsi a terra, aquilegie e violetteormai appassite, rinviano all’umiltà e alle sofferenze diMaria. Il fascio di spighe dietro ai vasi nonché i tralci ele foglie di vite sull’alberello rappresentano gli attribu-ti dell’Eucaristia. Si noti che il Bambino appena nato sitrova esattamente sopra alla natura morta, come fosseegli stesso l’offerta sacrificale. Gesù è qui al contempol’officiante della prima Santa Messa in terra, assistitodagli angeli che indossano le vesti usate per l’appuntoin occasione della prima messa di un sacerdote. Certo

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non è facile sapere fin dove occorra spingersi nell’inte-pretazione della pittura nederlandese delle origini senzaincorrere in eccessi e in un travisamento del passato. Lapresenza dei fiori e delle spighe nella pala si presta anchead un’altra spiegazione, meno complessa. Il giglio allu-de alla Passione, i tre garofani simboleggiano la Trinità,l’aquilegia violacea ha il colore della melanconia e ilnumero sette si riferisce ai sette dolori di Maria e infi-ne il fascio di spighe rappresenta il luogo della nativitàgiacché Betlemme significa “Casa del Pane”. Ma anchequesta versione, forse troppo ricercata, non è affattoaccolta in modo univoco. Di volta in volta si dovrà dun-que valutare attentamente, nel singolo pittore o nellasingola opera, la presenza o meno di una simbologia edeventualmente di un disguised symbolism e si dovrà valu-tare fin dove sia lecito spingersi con l’interpretazione deiparticolari.

Nel trittico le singole figure sono fortemente carat-terizzate: una vena malinconica sul viso di Maria; i rusti-ci pastori, ciascuno con la propria individualità, Giu-seppe che si tiene più in disparte. L’essenza umana, chesi coglie chiaramente nei volti, viene qui fusa con lamistica natura divina, un’unione che caratterizza ilmovimento religioso che nasce nell’ultimo quarto delQuattrocento e raggiunge attraverso la Renania anche iPaesi Bassi.

Di “Gerrit van Haarlem”, soprannominato tot SintJans (di San Giovanni), Karel van Mander afferma nelsuo Libro della pittura che fu importante capostipitedella pittura nederlandese. Il soprannome gli venne dalfatto che viveva presso la Commendatoria di San Gio-vanni ad Haarlem dove era “famulus et pictor” (“gar-zone e pittore”). Per questo motivo egli era esoneratodalla maggior parte delle regole della gilda in quellacittà. Non è chiaro dove si sia svolta la sua formazione,comunque Van Mander lo dichiara allievo di Albert van

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Ouwater. Probabilmente l’artista soggiornò per un certoperiodo nelle Fiandre. Negli archivi della gilda deiminiatori di Bruges, infatti, viene citato nel 1475 un“Gheerkinde Hollandere” e non è da escludere che sitratti proprio di Geertgen tot Sint Jans, dal momentoche stile e tecnica soprattutto delle sue piccole tavole siricollegano strettamente a quelle tipiche dei miniatoridell’epoca. Tuttavia essendo morto appena ventottenne,secondo quanto riferisce Van Mander, è molto difficileche egli abbia potuto in un così breve lasso di tempo eagli inizi della sua carriera inserire anche un soggiornoin Fiandra.

La tavola con la Madonna in Gloria (Madonna delRosario) (Rotterdam, Museum Boijmans van Beunin-gen) e quella con la Crocifissione con i santi Girolamo eDomenico (Dublino, National Galleries of Scotland),dai più ritenuta opera non originale dell’artista, forma-vano un tempo un dittico. Le dimensioni identiche delledue tavole nonché le tracce di cerniere inducono a que-sta conclusione. Si aggiunga che l’associazione del temadella Madonna col Bambino con quello della Crocifissio-ne era molto usuale nel Medioevo. Il dittico, di caratte-re marcatamente devozionale, ha stretti legami con lacorrente mistica della seconda metà del Quattrocento incui svolgeva un ruolo di rilievo il culto del rosario, unadevozione diffusa soprattutto dall’ordine dei Domeni-cani, che nel 1478 fondò ad Haarlem la prima confra-ternita del Rosario. In entrambi i pannelli si colgonoinfatti riferimenti a questa particolare devozione.

La Madonna è qui raffigurata entro tre cerchi, chesembrano emanare una luce divina e al cui interno simuove un gran numero di angioletti musicanti e di altriangeli. Essa rappresenta la Maria in Sole, che risale all’A-pocalisse di Giovanni (12, 1-6). Nella visione descrittain questo brano appare “una Donna rivestita di sole, conla luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodi-

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ci stelle” che partorisce un bambino e viene poi minac-ciata da un drago. Geertgen si è ispirato qui a questadonna dell’Apocalisse, da sempre identificata con Maria.Le dodici stelle sono riprese nella corona di Maria, cheè in piedi sulla falce di luna sotto cui si contorce ildrago. Sotto la corona Maria reca una coroncina di rose,i cui singoli boccioli rappresentano le preghiere del rosa-rio, cinque boccioli bianchi per gli Ave Maria si alter-nano regolarmente a un bocciolo rosso per il PadreNostro. Maria è assistita nelle sue orazioni due angeli ailati della sua testa, che reggono un rosario tra le mani.

Come si è detto la devozione per il rosario divenneun fenomeno di ampia portata grazie anche all’impegnodei domenicani. L’indulgenza che veniva accordata,secondo il decreto di papa Sisto IV del 1479, a chi reci-tasse il rosario, avrà certo spronato anche i laici a pre-gare. Acceso sostenitore dell’importanza del rosario fuil domenicano Alanus de Rupe (1428-1475), il cui disce-polo Jacobus Weyts divenne priore del convento domi-nicano di Haarlem, fondatore della prima confraternitadel Rosario nei Paesi Bassi. Se si osserva ora la tavolacon la Crocifissione, sarà ancor più chiaro il nesso esi-stente tra le due scene e l’ordine religioso. Oltre a Mariae a san Giovanni, sotto la croce compaiono i santi Giro-lamo e Domenico, mentre sullo sfondo, all’interno e neidintorni di una cittadina medievale, sono ambientatescene della Passione. I due santi si infliggono un casti-go, Girolamo si percuote il petto con una pietra e Dome-nico si flagella a sangue con il cordone che gli cinge ifianchi. Penitenze e devozione del rosario furono pro-pugnate con fervore dall’ordine domenicano e premia-te, come detto, con l’indulgenza. In primo piano, ilcorpo scheletrico e in stato di decomposizione ai piedidella croce rinvia al concetto di memento mori (“ricor-da che morirai”) sottolineando l’importanza della reli-giosità e dell’espiazione. L’essere lentamente consuma-

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ti dai vermi e costretti a un prolungato soggiorno nelpurgatorio, qui rappresentato da una buca nella terra chesprigiona fiamme con dentro alcuni morti, non era certouna prospettiva allettante. Il processo di purificazionedell’anima nel calore infernale del fuoco poteva comun-que essere notevolmente abbreviato conseguendo leindulgenze, e ciò stimolò fortemente le pratiche dellapenitenza e della recita del rosario. Il dittico di Geert-gen tot Sint Jans aveva il preciso fine di risvegliare taledevozione.

Il 30 gennaio 1465 Hans Memling si fece iscriverecome cittadino nei registri anagrafici di Bruges, dove sistabilì già come maestro-pittore: “Jan van Mimnelinghe,figlio di Hamman, nato a Seligenstadt”. Egli era natoprobabilmente nel 1440 circa a Seligenstadt sul Meno,dove in effetti negli archivi risultano attestati i genito-ri del pittore, e malgrado poi si fosse trasferito altrove,mantenne sempre i contatti con la città natale. Si igno-ra invece dove ricevette la sua formazione. Oltre alleconsiderevoli affinità stilistiche tra la sua opera e quel-la di Van der Weyden esistono altri argomenti validi perritenere che abbia compiuto il proprio tirocinio propriopresso Van der Weyden a Bruxelles e sia diventato forseanche un assistente nella bottega di questo artista.Essendo Van der Weyden morto il 18 giugno 1464, iltrasferimento dell’artista a Bruges avviene a conclusio-ne del suo rapporto di lavoro a Bruxelles. Un’altra indi-cazione, per quanto cauti si voglia essere, è fornita dalVasari quando dichiara già nel 1550 che Memling era unallievo di Van der Weyden; infine risale al 1516 la men-zione di un piccolo trittico nell’inventario di Margheri-ta d’Austria, raffigurante una “pietà” di Rogier van derWeyden con ante del “Maestro Hans”.

Prima di trasferirsi a Bruges Memling avrà senz’altrovalutato vantaggi e svantaggi della movimentata cittàmercantile dalla clientela internazionale e soprattutto

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italiana. La decisione non si fece attendere a giudicaredagli incarichi di alcuni facoltosi banchieri che seguiro-no rapidamente (Angelo Tani, Tommaso Portinari).Anche l’élite e le istituzioni di Bruges si rivolsero benpresto al “Maestro Hans”, seguite a ruota da prestigio-se commesse estere – che andavano dalla spagnola Naje-ra alla città anseatica tedesca di Lubecca. Già nel 1466Memling abitava in una grande casa in mattoni, di cuiin seguito divenne proprietario, e da diverse fonti risul-ta che egli era tra i notabili di Bruges, città dove si spen-se l’11 agosto 1494. Della sua produzione pittorica, difacile lettura e costantemente permeata di una culturaborghese idealizzata e cordiale, è giunta a noi una quan-tità eccezionale di opere: una ventina di pale d’altarespesso di grandi dimensioni o di tavole di analoga natu-ra religiosa con figure di donatori, più o meno quindiciraffigurazioni della Madonna, all’incirca venti pannellicon scene prevalentemente religiose, ma a volte ancheallegoriche e infine oltre trenta ritratti, talvolta in formadi dittico associati alla Madonna col Bambino.

Intorno al 1470 Hans Memling ottenne alcune com-messe dall’uomo di fiducia del duca Carlo il Temerario,il fiorentino Tommaso Portinari, agente del BancoMediceo a Bruges. Fu probabilmente in occasione delmatrimonio di questi che egli dipinse i ritratti di Tom-maso e della moglie Maria Baroncelli (New York, TheMetropolitan Museum of Art), nonché l’affascinantePassione di Cristo.

Sotto la grandiosa veduta di Gerusalemme, alle dueestremità del dipinto, sono raffigurati i due committentigenuflessi in preghiera chepartecipano da vicino allaPassione di Cristo. La narrazione delle sofferenze diCristo, che comprende la Resurrezione e alcune altrescene ad esclusione dell’Ascensione, si sviluppa lungoventitré scene ambientate all’interno e intorno a unaGerusalemme medievale interamente fortificata. Le

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architetture pseudo-romaniche con varie costruzioni apianta centrale e diverse cupole evocano atmosfereorientali e somigliano molto allo scenario di una rap-presentazione teatrale; le stesse scene della passionesembrano piuttosto un’innocua recita di carattere reli-gioso che la terribile vicenda dei patimenti di Cristo.

Il più grande trittico eseguito da Memling è il cosid-detto trittico di San Giovanni (1474-1479). La pala, cheappare datata sulla cornice, si trova insieme ad alcunealtre opere tuttora nell’ospedale di San Giovanni diBruges, istituto per cui fu realizzato come pala destina-ta all’altare maggiore della relativa chiesa. Con ogniprobabilità l’opera gli venne affidata su iniziativa deidue frati e delle due suore dello stesso ospedale chesono raffigurati, insieme ai loro patroni, sui lati esternidelle ante della pala e ciò avvenne con ogni probabilitàprima del 1475, dal momento che uno dei personaggiritratti venne a mancare proprio in quell’anno. Siaggiunga che il trittico era destinato alla nuova absidedel coro costruita nel 1473-1474 sul lato nord-est dellesale dei malati.

A battenti chiusi il trittico mostra due nicchie di fat-tura gotica con a sinistra due santi e a destra due santedietro ai donatori devotamente raccolti in preghiera. Ilati esterni delle ante, per quanto sobri nei colori, nonpossono tuttavia definirsi più monocromi come lo eranocerte opere precedenti. I committenti con i loro abitineri e bianco-neri e l’incarnato compatto tipico di Mem-ling sono resi in modo realistico. I loro santi protettori,nell’ordine Giacomo Maggiore, Antonio Abate, Agne-se e Clara, sono raffigurati con il medesimo realismoidealizzato; le loro vesti hanno qualche colore in più edessi sono accompagnati dai loro caratteristici attributi.

Il contrasto esistente tra la parte esterna e l’internodel trittico è davvero notevole. Le tonalità scure, in pre-valenza nere e bruno-grigiastre, dell’esterno dei batten-

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ti, visibili durante la Quaresima e negli altri periodi incui la pala era chiusa, creavano certo un’atmosfera tristenelle sale dei malati e nella chiesa che costituivano ununico grande ambiente. Il trittico in posizione aperta,invece, con tanto rosso a contrasto con le tonalità diverde e con il blu pallido del cielo che si estende sull’in-sieme, doveva essere una festa per gli occhi. L’ottimisti-co messaggio di salvezza contenuto nella pala avrà dun-que dato conforto e speranza ai pazienti e a quanti pre-stavano le loro cure nell’ospedale. Lo stesso effetto bene-fico deve aver sortito anche l’imponente Giudizio Uni-versale di Van der Weyden nell’Hôtel-Dieu di Beaune.

Al centro dello scomparto mediano è raffigurata laMadonna col Bambino, la Madre di Dio con il Salvato-re. L’anta sinistra è dedicata a san Giovanni Battista,che preannunciò la Venuta di Cristo introducendolo, percosì dire, nel Nuovo Testamento, e alla fine diede la pro-pria vita per la sua fede in Cristo. Sull’anta destra è raf-figurato l’apostolo Giovanni Evangelista intento a scri-vere i libri dell’Apocalisse sull’isola di Patmos, mentrecontempla la visione della Seconda venuta di Cristocome Redentore e Giudice universale. Nella tavola cen-trale i due Giovanni, due angeli e due sante sono schie-rati ai lati della Madonna col Bambino, incoronata dal-l’alto da due piccoli angeli blu. L’ospedale era in realtàdedicato al solo Giovanni Evangelista, ma nella praticadevozionale entrambi gli omonimi erano considerati isanti patroni. Essi sono i protagonisti del messaggio disalvezza che si dispiega attraverso le tre grandi tavole,anche se, ovviamente, Cristo e la Madonna occupano laposizione più importante. Memling pone così in modogeniale il Battista e l’Evangelista a protagonisti della suacomposizione.

La tavola centrale è al contempo una Sacra conversa-zione, un dialogo divino tra la Madonna e alcuni santi.Un angelo suona un organo portativo, l’altro sorregge un

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libro in cui Maria sta leggendo. Il Bambino sta infilan-do un anello al dito della santa alla sua destra che, allaluce di queste nozze mistiche e dei suoi emblemi – laspada e la ruota, strumenti del suo martirio – risultaessere santa Caterina; l’iconografia rimanda inoltre allamistica Caterina da Siena e alla martire Caterina d’A-lessandria. Alla sinistra di Cristo con la Madre, santaBarbara appare assorta nella lettura, alle spalle la torre,suo attributo tradizionale. Le due sante raffigurate insie-me simboleggiano, nell’ordine, la vita contemplativa ela vita attiva. Nell’ospedale di San Giovanni i santiGiovanni Battista e Giovanni Evangelista fungevanodunque da intercessori in favore dei malati, degli assi-stenti e degli altri credenti di sesso maschile, mentre ledue popolarissime sante Caterina e Barbara assolveva-no alla medesima funzione per le credenti.

Nei capitelli sopra le teste dei due Giovanni sonoscolpiti episodi della loro vita, in una narrazione che pro-segue nelle scene sullo sfondo della tavola centrale edelle ante. Il panorama alle spalle dell’evangelista raffi-gurato in piedi è veramente eccezionale, in quanto sitratta di una rappresentazione realistica della “misura-zione” della gradazione alcolica del vino importato aBruges che si svolgeva sul Kraanplaats (Piazza del rubi-netto). Si riconoscono il rubinetto municipale di legnoe la chiesa di San Giovanni ormai scomparsa, ulterioreriferimento al patrono dell’ospedale. I frati dell’ospedaledi San Giovanni erano infatti titolari del diritto di misu-ra, che costituiva per loro una fonte di profitto. Forsequi si può leggere un altro richiamo a san Giovanni, raf-figurato sulla destra mentre purifica con la benedizioneil vino avvelenato offertogli.

Un’opera singolare nel corpus delle opere di Memling,ma anche dell’intero repertorio iconografico quattrocen-tesco, è il piccolo trittico della Vanità Terrena e dellaRedenzione Celeste che collega in modo molto esplicito il

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sacro con il profano. Come si deduce dallo stemma, l’o-pera fu commissionata a Memling da un membro dellafamiglia Loiani di Bologna. Non sappiamo in che modofosse assemblato in origine il trittico, ormai scompostoin sei piccoli pannelli a sé stanti. Non vi sono dubbicomunque che lo stemma e la morte, Dio Padre e ladonna nuda, il teschio e la scena infernale costituivanoun tempo, nell’ordine, la faccia anteriore e quella poste-riore delle tre tavolette in seguito divise nel senso dellospessore. L’ipotesi che i pannelli fossero incernierati afisarmonica, come nel del polittico di Anversa-Baltimo-ra, appare più plausibile che non quella, ancora corren-te, di un tipo di trittico con ante che si sovrappongono.

A battenti chiusi la parte anteriore del trittico pre-sentava lo stemma recante il motto “nessun bene senzapena”, mentre quella posteriore ospitava il teschio inuna nicchia. La seguente iscrizione è scolpitoa in pietradura al di sopra e al di sotto della profonda nicchia:“scio enim quod redemptor meus vivit et in novis-simo diedeterra surrecturus sum et rursumcircu(m)dabor pelle mea et incarne mea videbodeu(m) salvatorem meum iob xix, cap” (“Io so che ilmio Redentore è vivo, che io risorgerò nell’ultimo gior-no della terra e nuovamente rivestito della mia pelle edella mia carne vedrò Dio, il mio Salvatore”) (Giobbe19, 25-26).

A battenti aperti la parte interna delle tre tavoletteformava nell’insieme un’allegoria della caducità terrena:al centro, la donna nuda e di fronte ad essa, dietro allospecchio e alla sua destra, la morte dal volto scheletricosul pannello sinistro; alle spalle della donna, nel pannellodestro, dunque, c’è il teschio nella nicchia. La parteanteriore delle tavole mostra, al centro, Dio Padre cir-condato da angeli musicanti. Il pannello destro costi-tuisce la parte anteriore del trittico, già menzionata,con lo stemma: orientato verso sinistra, lo stemma guar-

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da a Dio Padre nell’alto dei cieli alle cui spalle, sul pan-nello sinistro, è rappresentato l’Inferno.

Questa ipotesi di ricostruzione del trittico ha il meri-to di ripristinare su entrambi i lati un’unità visuale ediconografica. Dio Padre riacquista in tal modo la suaposizione centrale e non è più relegato, come nelle pre-cedenti ricostruzioni, nella parte retrostante. Il cielo el’inferno si trovano affiancati in una rappresentazionecontrastante e leggermente allucinata, che ha la funzio-ne di monito. Essi si trovano vicino allo stemma rivol-to a sinistra, cosicché il proprietario viene confrontatocon il Bene e il Male. Il cartiglio al di sopra del fanta-sioso diavolo attesta l’irrevocabilità del giudizio divino:“in inferno nulla est redemptio”. Sul retro il teschioguarda alla personificazione della lussuria, raffigurata inun ameno paesaggio, nonché alla morte che si stagliacontro un cielo nero. La morte dal volto scavato fa vol-teggiare un cartiglio recante “Ecce finis hominis com-paratus sum luto et assimilatus sum faville et cineri”(“Ecco la fine dell’uomo; sono fatto di fango e divenu-to polvere e cenere”). La morbosità della rappresenta-zione è ulteriormente accentuata dal sepolcro aperto,dalla lapide spostata recante un’altra immagine dellamorte, dal nudo camposanto disseminato di scheletri edal buio della notte. La Morte è tutta pelle e ossa, il ven-tre squarciato e i vermi che frugano negli intestini. Ilrospo aggrappato al sesso della Morte corrisponde aquanto vi è di lussurioso e di immorale nella giovanedonna al centro. Il cagnolino, i levrieri che si inseguo-no, l’asino con il carrettiere presso il mulino sullo sfon-do e soprattutto, ovviamente, la completa nudità delladonna suggeriscono senz’ombra di dubbio un significa-to erotico. Il prezioso diadema sui lunghissimi capellisciolti fin oltre la schiena e le scarpette ai suoi piedirafforzano questo effetto: senza pudore alcuno la gio-vane gode della sua terrena bellezza e si rimira in uno

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specchio: l’osservatore vede la sua immagine riflessa,non è che la donna vede invece il teschio che sogghigna?

Nel Dittico di Maarten van Nieuwenhove (1487),eseguito da Hans Memling, il ritratto del giovane ven-titreenne di Bruges dall’aspetto deciso, rientra in quel-la tradizione sorta nel tardo Trecento che raffiguraval’uomo mortale in devota preghiera davanti alla Madon-na col Bambino. Da allora però si era verificato un radi-cale cambiamento. Invece dell’effimero mortale che siavvicina a Dio, è il Divino a muovere verso l’uomo.

Come già rilevato nel doppio foglio di pergamena diAndré Beauneveu degli anni intorno al 1390 oppurenell’epitaffio dei Signori di Montfoort del 1375-1380circa, la distanza fra il donatore e la Madonna col Bam-bino era in origine sensibile e palese: non vi era possi-bilità di equivoco circa il carattere di apparizione divi-na di coloro cui era rivolta la preghiera rispetto a quel-lo, reale ed inizialmente quasi impersonale, di chi pre-gava. I santi patroni e protettori introducevano l’esseremortale presso la Madre di Dio sostenendolo nel suoconfronto diretto con l’Altissimo. Il donatore veniva percosì dire accolto nella visione, nella dimensione dell’ir-reale o meglio, in un altro ordine di realtà. L’essereumano accedeva a sfere ultraterrene, comparendo inscene neotestamentarie come quelle della Nascita e dellaPassione o in raffigurazioni atemporali del Cristo glori-ficato e giudice. Se Petrus Christus fa varcare alla gio-vane coppia la soglia del laboratorio di un orafo deltempo, occorre ricordare che questa entra in uno spazioche è ancora dominio del santo. I donatori raffigurati daJan van Eyck, ma lo stesso vale per Rogier van derWeyden o per Petrus Christus, hanno visioni celestiche si svolgono in simbolici edifici sacri sulla terra, mapoi anche loro vengono a trovarsi all’interno dell’am-biente sacrale. Nel Trittico di Mérode di Robert Cam-pin, i coniugi donatori si trattengono volutamente fuori

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della porta, che è comunque aperta verso la stanza in cuiha luogo l’Annunciazione.

Rogier van der Weyden che, fu forse il maestro diHans Memling, è stato probabilmente il primo artista acombinare nella forma di un dittico, un doppio ritrattocon l’immagine devozionale della Madonna col Bambino.Alcuni di questi dittici devozionali eseguiti dal pittoresono arrivati ai nostri giorni, tra gli altri la Madonna colBambino e Philippe de Croy (San Marino, California, Hun-tington Library and Art Gallery; Anversa, KoninklijkeMusea voor Schone Kunsten; entrambi 49 x 31 cm). Pereffetto dello sfondo d’oro dietro la Madonna e dello spa-zio scuro alle spalle del donatore la distanza fra il divinoe il terreno è qui comunque ancora piuttosto marcata.

Nel Dittico di Maarten van Nieuwenhove è raggiun-to lo stadio in cui il Cristo, la Madonna e i santi incon-trano l’essere umano nel suo proprio ambiente. L’enor-me influenza della devotio moderna ha sensibilmenteravvicinato il Divino. Il santo protettore di Maarten vanNieuwenhove, san Martino, viene ridotto ad immagineentro l’immagine, nella piccola vetrata alle spalle del gio-vane. Allo stesso modo anche gli altri due santi protet-tori, i santi Giorgio e Cristoforo, sono rappresentatisolo nell’ambiente in cui si trova il donatore raccolto inpreghiera. Lo stemma con il relativo motto nonché leraffigurazioni che esemplificano questo motto e sonoinseriti in un’altra piccola vetrata, provano inequivoca-bilmente che la scena si svolge proprio nell’abitazione diMaarten van Nieuwenhove. L’immagine della stanza sicompleta nello specchio convesso alle spalle dellaMadonna: ci si rende allora conto, come ha sottolinea-to Hans Belting nel 1994, che le ante del dittico costi-tuiscono propriamente le due finestre attraverso cui l’os-servatore guarda nella stanza. Il pittore, e quindi lospettatore, posto all’esterno della finestra, è dinanzi allaMadonna; nel guardare Maria Maarten van Nieuwenho-

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ve è voltato verso di lei e la vede quindi di profilo. Giac-ché la Madonna e il giovane sono egualmente viciniall’osservatore, questi vede Maarten van Nieuwenhovecome un ritratto di tre quarti e la Madonna col Bambi-no in posizione frontale. Il Bambino Gesù sembra fis-sare intensamente l’uomo in preghiera al quale è appar-so. Lo specchio convesso mostra dunque chiaramenteuna stanza con una parete cieca, a sinistra, mentre suciascuna delle altre si aprono due finestre munite divetri unicamente nella parte superiore e con battenti inbasso. L’immagine riflessa lascia inoltre vedere che ildonatore, nel pieno rispetto della tradizione, è inginoc-chiato e assorto in preghiera dinanzi alla Madonna colBambino che appare ai suoi occhi; anche il libro apertoaccanto a Maria rientra nella tradizione. Sotto questoaspetto il pittore non si è dunque discostato dalla tra-dizione, che ha però infranto ponendosi come spettato-re in un’angolazione diversa e sorprendente.

Allorché il trittico con i due Giovanni stava per esse-re ultimato o era forse già compiuto, l’omonimo ospe-dale di San Giovanni commissionò a Memling due lavo-ri di dimensioni minori. Per conto di due frati dell’isti-tuto egli eseguì infatti due piccoli trittici, databili rispet-tivamente al 1479 e al 1480 (Bruges, Memlingmuseum).Alla luce del modesto formato, del carattere intimo edella raffigurazione del donatore su entrambe le opere,queste si configurano in primo luogo come oggetti per-sonali destinati alla devozione privata, anche se non diutilizzo esclusivo da parte dei committenti. Se i due trit-tici sono dunque in qualche modo paragonabili al Ditti-co di Maarten van Nieuwenhove, tuttavia rispetto aquesto conservano una forma, un’iconografia e soprat-tutto un linguaggio figurativo più tradizionali.

Alcuni anni dopo lo stesso ospedale tornò ad affi-dargli un incarico di eccezionale importanza, un nuovoreliquiario in onore di sant’Orsola.

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L’ospedale possedeva alcune decine di piccole reliquiecustodite in un modesto scrigno ligneo del tardo Tre-cento. Dalla decorazione di questa teca risulta che find’allora le reliquie di sant’Orsola e delle UndicimilaVergini venivano considerate le più importanti di tutte:piccole immagini dipinte della Madonna col Bambino, diSan Giovanni Battista e delle sante Cecilia e Barbara –tra cui vi erano anche alcune reliquie – affiancanosant’Orsola ponendone in risalto la figura sensibilmen-te più grande in rilievo policromo. Sotto il suo mantel-lo foderato di ermellino essa protegge le Vergini unite alei nel martirio. Sui lati dello scrigno è dipinto l’Agnel-lo di Dio con il vessillo a croce. È probabile che neltardo Quattrocento la teca venisse considerata troppomediocre. Le dimensioni minime delle numerose reliquienon intaccava in alcun modo il loro grande valore devo-zionale, realtà che non trovava espressione nell’aspettomodestissimo della vecchia custodia, soprattutto in unacittà prospera come Bruges che contava in diverse chie-se e cappelle imponenti reliquiari e scrigni in metallonobile.

Il 21 ottobre, festa di sant’Orsola, dell’anno 1489 lereliquie vennero solennemente traslate da Egidius deBardemaker, vescovo di Sarepta e vescovo ausiliare diTournai, nel nuovo reliquiario realizzato nella formatradizionale in uso per i più comuni reliquiari in orefi-ceria: una cappella in miniatura, costruita su elementiarchitettonici e riccamente decorata con motivi orna-mentali scolpiti. L’intera struttura nonché gli intaglifloreali furono rivestiti d’oro e le quattro piccole statuesugli angolivennero decorate utilizzando numerose lami-ne d’oro, in modo da armonizzarle con l’opera nel suocomplesso. Il tetto a schiena d’asino è dipinto in modoche gli stessi spioventi sembrino ricoperti da traforidorati, che racchiudono tre tondi per parte. In nettocontrasto con questa struttura architettonica dorata, i

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sei tondi, le sei arcate cieche e le due facciate cortefurono decorate con immagini realistiche dai colori viva-ci. I tondi del tetto mostrano piccoli scorci di cielo.Affiancati da angeli musicanti, i tondi centrali, più gran-di, raffigurano rispettivamente l’Incoronazione di Mariae sant’Orsola circondata dal suo seguito. Sui due latibrevi del reliquiario, invece, compare un ambiente goti-co, di notevole altezza, coperto da una volta con fine-stre ad arco acuto e vetrate trasparenti. L’osservatore hala sensazione di guardare all’interno dell’edificio e diveder così apparire la Madonna col Bambino e sant’Or-sola con le sue Vergini, entrambe a grandezza oltre ilnaturale. Accanto alla Madonna sono genuflesse le com-mittenti del reliquiario, intese sia come donatrici siacome rappresentanti delle suore dell’ospedale. I reggen-ti dell’ospedale negli anni in cui lo scrigno venne rea-lizzato, sono simboleggiati dalle quattro piccole statuedi santi agli angoli: sant’Elisabetta, sant’Agnese, sanGiovanni Evangelista e san Giacomo Maggiore. Sui latilunghi sei scene raffigurano la storia di sant’Orsola. LaVita della santa, la sua leggendaria biografia, raccontacome la principessa e vergine cristiana Orsola, prima diunirsi contro la sua volontà in matrimonio con un paga-no, si recasse in pellegrinaggio a Roma e subisse al suoritorno il martirio. Negli archi a tutto sesto, al di sopradi ognuna delle sei scene, una lavorazione a traforo goti-co si sovrapponeva in origine alle porzioni di cielo, cheoggi risultano piuttosto spoglie, realizzando un maggio-re equilibrio con le parti inferiori sovraffollate. Nellaprima scena sant’Orsola giunge con le sue compagne aColonia, segue l’arrivo a Basilea e quindi a Roma. Ilretro del reliquiario raffigura il ritorno passando perBasilea e nelle ultime due scene, l’approdo e il martirioa Colonia dove la santa e le altre vergini vengono bar-baramente uccise, mentre la vita continua imperturba-bile e la costruzione del duomo è in pieno corso.

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La terza generazione. Il 14 gennaio 1484 GérardDavid venne iscritto come maestro nella Gilda degliintagliatori e dei sellai di Bruges, di cui facevano parteanche i pittori. Come regola generale il titolo di maestropoteva essere acquisito soltanto all’età di venticinqueanni; David era nato probabilmente intorno al 1450 e,prima di arrivare a Bruges, aveva trascorso altrove ilperiodo di formazione e i primi anni di attività. Dadocumenti posteriori risulta fosse originario di Oudewa-ter nella provincia d’Olanda. Ad ogni modo si suppone,senza potersi fondare tuttavia su fontidocumentarie,che seguisse l’apprendistato nella bottega del padre perandare poi a lavorare ad Haarlem e a Utrecht. Nelleprime opere di Gérard David è stata riconosciuta l’in-fluenza di Geertgen tot Sint Jans; i più rilevano inoltrei contatti avuti in seguito a Gand e a Lovanio con l’o-pera di Hugo van der Goes e di Dirck Bouts, mentre aGand il pittore ebbe senz’altro modo di conoscere anchei dipinti di Jan van Eyck.

David era attivo a Bruges da quattro anni come mae-stro indipendente allorché venne prescelto per la primavolta per una carica direttiva all’interno della gilda di cuidivenne poi decano negli anni 1501-1502. Come in pre-cedenza Petrus Cristus, Gérard David fu membro dal1507 al 1514 della confraternita religiosa di NostraSignora dell’albero secco (Onze Lieve Vrouw van deDroge Boom), a dimostrazione della sua ascesa socialeverso l’élite cittadina di Bruges. Anche il matrimoniocon la figlia di una ricca famiglia di orafi della città,non-ché le opere commissionategli dalle massime gerarchiedel clero e dall’amministrazione cittadina, illustrano inmaniera eloquente le capacità di David nel coltivare icontatti sociali e politici necessari ai fini di una carrie-ra artistica colma di successi. Dal 1494, e fino alla suamorte nel 1523, visse in una casa con annesso lo studio,nel quartiere in cui abitavano anche Hans Memling e

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altri insigni artisti. Appare interessante che GérardDavid si facesse iscrivere nel 1515 come maestro anchealla gilda di San Luca ad Anversa. Una decisione detta-ta probabilmente soltanto da motivi di ordine utilitari-stico e commerciale, dal momento che Anversa stavaacquistando sempre più importanza come città mercan-tile, mentre Bruges andava rapidamente declinando. Ilpittore morì il 13 agosto 1523 e venne sepolto a Brugessotto il campanile della chiesa dedicata alla Vergine.

L’influenza del pittore di Haarlem Geertgen tot SintJans si osserva in particolare nello scomparto centrale diun trittico che rappresenta la Nascita di Cristo (NewYork, Metropolitan Museum). La scena principale deltrittico sarebbe una delle prime opere di Gérard Davide confermerebbe la sua proveninza dalla provincia d’O-landa, mentre le ante che presentano influenze degliambienti artistici di Gand e Bruges, sarebbero stateaggiunte in un secondo tempo.

Un secondo trittico, attualmente a New York, risaleagli anni in cui l’artista, pur essendo attivo a Bruges,aveva il permesso di vendere i suoi quadri anche adAnversa. Ancora una volta la tavola centrale ospita laNatività affiancata, sulle due ante dai donatori con i lorosanti patroni. Sotto il profilo iconografico va notato chegli stessi donatori vengono rappresentati rispettivamen-te come sant’Antonio e santa Caterina, a loro voltasotto la tutela dei santi Girolamo e Vincenzo. Oltre cheper questa identificazione dei donatori con i loro santipatroni, il trittico merita attenzione per il destino toc-cato alle tavole esterne delle ante. Intorno al 1920 que-ste vennero distaccate e vendute separatamente come unpaesaggio autonomo. Una valutazione ovviamente deltutto errata: collocata sul lato esterno del trittico dellaNatività, anche questa veduta silvestre racchiude, nellasua funzione introduttiva alla scena principale, un signi-ficato spirituale. I buoi che pascolano e l’asinello sdraia-

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to nei pressi dell’edificio in pietra, venivano immedia-tamente associati, dall’osservatore credente, a Maria ea Giuseppe alla ricerca di alloggio nonché alla locanda-dove avevano cercato riparo. Ciononostante apparemolto singolare che David abbia dato così ampio spazioall’elemento paesaggistico, inserendovi in maniera quasicelata la tematica religiosa: il dettaglio minuscolo, malatore del significato della rappresentazione, infinitesi-mo come l’uomo di fronte all’incommensurabile gran-dezza della creazione divina. Non può essere casuale ilfatto che nel 1515 Gérard David venne iscritto adAnversa nei registri della corporazione di San Luca vici-no a Joachim Patenier, che rappresentò in modo analo-go la tematica religiosa in vasti paesaggi panoramici.

I due grandi pannelli che rappresentano la Giustiziadi Cambise (1498) appartengono al nucleo delle opere piùconsiderevoli di Gérard David. Attraverso quattro sceneviene rappresentata la leggenda vetero-persiana dellaGiustizia di Cambise così come è narrata dallo scritto-re greco Erodoto (485 ca.-425 a.C.). Sullo sfondo dellatavola sinistra è raffigurata la corruzione del giudiceSisamne e nella scena principale il suo arresto su ordinedel re Cambise. L’atroce pena cui fu condannato il giu-dice corrotto è presentata sul pannello destro: egli vienescuoiato vivo e strisce della sua pelle sarebbero poi ser-vite per lo scranno di un giudice. Da quello scranno ilfiglio di questi, Otane, anch’egli giudice, doveva ammi-nistrare la giustizia per ordine del re. Questo lugubreseguito compare sullo sfondo a destra.

Come si legge al di sopra del sinistro panno nero col-locato sullo scranno del giudice, il cui sguardo è piutto-sto angosciato, Gérard David completò i due pannellinel 1498. In quell’anno la città di Bruges pagò al pitto-re la somma residua dovutagli per il compimento di “ungrande dipinto con ritratti” destinato alla sala degli sca-bini nel municipio. Una prima rata del compenso per le

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due tavole era stata versata probabilmente già nel 1487,tuttavia restano tuttora oscuri i tempi del pagamentocomplessivo per le scene della Giustizia. Le due opere siinseriscono nella tradizione delle pitture a caratteremorale, che si proponevano cioè di richiamare gli orga-ni amministrativi e giudicanti alle loro responsabilità.Nella maggior parte dei casi venivano prescelti soggettireligiosi e il Giudizio Universale, in particolare, eraovviamente un tema appropriato. La scelta di un temaclassico da parte delle autorità di Bruges appare ecce-zionale, ma è al contempo tipica perla cultura del Rina-scimento, fortemente orientato verso il mondo antico,che in questi anni inizia a farsi strada nell’Europa delnord. Gérard David unisce al suo realismo nordicoanche elementi stilistici che evidenzianola diffusione dimodelli rinascimentali: i putti e i festoni sopra lo scran-no del giudice nel pannello sinistro, in primo piano, esullo sfondo del panello destro, sono una novità neiPaesi Bassi e costituiscono l’avvio di grandi trasforma-zioni. I due rilievi ovali ai lati dello scranno del giudicecorrotto palesano il medesimo orientamento, essendocopie dirette di modelli antichi, popolari nel Rinasci-mento italiano del Quattrocento. Entrambi sono espres-sione del medesimo intento moralizzatore che caratte-rizzava le scene della Giustizia nel loro complesso.

Raffigurando la Giustizia di Cambise come se si svol-gesse ai tempi e nei luoghi familiari all’osservatore,David si avvalse di un metodo sperimentato ed efficaceper ottenere dal pubblico l’identificazione con l’episo-dio rappresentato. I personaggi sono abbigliati secondola moda del tempo, con le vesti borgognone ufficiali,armature e armi riconoscibili; le architetture sono fede-li riproduzioni di edifici di Bruges, gli stemmi raffigu-rati accentuano ancor più l’attualizzazione delle scene.Sulla tavola sinistra, al di sopra del capo del giudiceSisamne, si osservano gli stemmi con le armi gentilizie

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del duca Filippo il Bello e della consorte Giovanna d’A-ragona, mentre sull’altra tavola, al di sopra dello spie-tato ma equo Cambise, sono esibiti gli stemmi dellacittà di Bruges e della contea di Fiandra

Appare inevitabile inserire le scene della Giustizia diGérard David nel contesto politico estremamente tesodella Bruges del tardo Quattrocento. L’imperatore Mas-similiano d’Austria fungeva da reggente per l’ancor gio-vane Filippo il Bello, ma ben tre città fiamminghe nonriconoscevano Massimiliano che come tutore del futuroduca. Le tensioni si acuirono a tal punto che nel 1488l’imperatore venne trattenuto come ostaggio a Bruges efu liberato soltanto al sopraggiungere dell’imperatoretedesco Federico III, che si era mosso in aiuto del figliocon un esercito; in seguito Bruges si ribellò ancora varievolte ma nel 1491 le agitazioni furono stroncate defini-tivamente. Durante questo continuo alternarsi dei rap-porti di forza tra i poteri, David seppe conservare la suaposizione; il numero e l’identità dei notabili ritratti nellescene della Giustizia furono nel corso della lavorazioneopportunamente adattati.

Le solenni esequie di Hieronymus Bosch ebberoluogo a ’s-Hertogenbosch il 9 agosto 1516. Le notizie ariguardo sono abbastanza precise in quanto il pittorericeveva sepoltura in qualità di “membro giurato” dellaConfraternita di Nostra Signora: una confraternita inonore della Madonna, che contava, accanto ad un nume-ro imponente di associati esterni, un piccolo nucleo dicomponenti interni, i cosiddetti “confratelli giurati”.Nel 1486-1487 Bosch fece il suo ingresso nella confra-ternita da esterno e probabilmente nella primavera del1488 fu accettato come membro giurato. Ciò significa-va che il pittore, in quanto benestante o perché social-mente affermato per le sue qualità intellettuali e arti-stiche, si muoveva negli ambienti dell’élite di ’s-Herto-genbosch e del Brabante. Negli ultimi anni del Quat-

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trocento l’artista figurava tra gli abitanti più facoltosidella città, anche se in verità i suoi beni erano in partecostituiti dal patrimonio dotale della moglie. ComunqueBosch seppe conquistarsi un nome anche come pittore,tanto che nel 1504 il duca Filippo il Bello gli commis-sionò un Giudizio Universale, forse un trittico. La stes-sa provenienza potrebbe avere un trittico di Sant’An-tonio, donato nel 1505 da Filippo il Bello al padre Mas-similiano; certo è che Bosch dipinse questo soggettovarie volte.

Non sono più di venticinque le opere attualmenteconsiderate autentiche e di mano di Bosch, tra cui spic-cano un certo numero di trittici e di frammenti. Appa-re singolare che nessuna di queste opere possa esseremessa in relazione con un incarico formale al pittore oche non se ne conosca la destinazione originaria. Anzi,i documenti d’archivio che riguardano le commesse affi-date all’artista o il suo lavoro, contrastano in manierastridente con le opere, in parte davvero bizzarre, con-servate e attribuitegli. Dai libri contabili della confra-ternita di ’s-Hertogenbosch emerge che Bosch non davaaffatto nell’occhio in città quale artista stravagante conidee poco ortodosse; al contrario, riceveva ogni tipo diincarichi eseguendoli con piena soddisfazione dei com-mittenti. Come “confratello giurato”, che esercitava ilmestiere di pittore, egli forniva inoltre consigli in casodi lavori commissionati ad altri artisti ed effettuava con-trolli sulle opere consegnate. Nel 1492-1493 l’artistaprogettò una vetrata dipinta, nel 1504-1505 un aiutodella sua bottega realizzò alcuni piccoli stemmi, nel1511-1512 Bosch eseguì il disegno per una pianeta rica-mata e nel 1512-1513 quello per un candelabro a coro-na. Sono probabilmente opera sua anche le ante ester-ne (scomparse) di una grande pala d’altare scolpita ededicata a Maria, nella Cappella della confraternita nellachiesa di San Giovanni di ’s-Hertogenbosch.

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A partire dai primi anni del Cinquecento, l’interesseper l’opera di Hieronymus Bosch aumentò sensibilmen-te; apprezzati negli ambienti più colti, i suoi lavori cosìoriginali e sorprendenti furono imitati sia in incisioniche in dipinti. Secondo quanto attestato da una fontespagnola del 1560 circa, già allora i suoi quadri veniva-no falsificati di proposito con un’accentuazione esaspe-rata del suo stile: se ne fecero le imitazioni più fanta-siose, mentre la produzione di Bosch stesso non mostre-rebbe, ad eccezione delle scene dell’inferno e del pur-gatorio, “nulla di innaturale”! Se poste l’una a fiancoall’altra, le opere attualmente reputate di HieronymusBosch si differenziano notevolmente quanto a caratte-re, tecnica, composizione e iconografia. Ricerche futu-re chiariranno probabilmente che molte pitture in realtànon sono affatto autografe bensì copie, imitazioni o“genere” Bosch.

Il piano di tavola con i Sette peccati capitali si trova-va già intorno al 1560 in possesso del re di Spagna Filip-po II, grande ammiratore delle opere di Bosch. Nel1574 il re ne fece dono al suo convento dell’Escorial.Oggi l’opera è ritenuta da alcuni di mano dello stessoartista, da altri proveniente dalla sua bottega, mentreappare verosimile una datazione precoce al periodo1480-1485. La tavola è costituita da cinque medaglio-ni. Il più grande, al centro, rappresenta l’occhio di Dio.Nella sua pupilla il Cristo come Ecce Homo sorge dallatomba accompagnato dal testo “Cave cave Dominusvidet” (“Fai attenzione, il Signore ti sorveglia”). Intor-no a quest’Occhio Onniveggente sono stati raffigurati isette peccati capitali. I cartigli al di sopra e al di sottodel medaglione centrale recano citazioni dal canto diMosè (Deuteronomio 32, 28-29 e 20), che alludono allafine dei tempi, che è rappresentata nei quattro angoli:la morte dell’uomo, il Giudizio Universale, l’Inferno e ilParadiso.

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La Cura della follia di Hieronymus Bosch al Museodel Prado (1481?) potrebbe effettivamente essere operadel maestro di ’s-Hertogenbosch, anche se appare ancorpiù probabile che si tratti di una copia accurata dipintaintorno al 1520 da un originale andato perduto. Non èda escludere, peraltro, che questa copia si trovasse nel1521 nel castello di Wijk bij Duurstede in possesso delvescovo di Utrecht Filippo di Borgogna, ultimo dei figliillegittimi del duca Filippo il Buono. Le descrizioni rela-tive a quel dipinto corrispondono con precisione allaCura della follia conservata al Prado; è comunque altret-tanto possibile che già in quel periodo circolassero piùcopie pressoché identiche. L’originale dipinto a ’s-Her-togenbosch, probabilmente nel 1481, riscosse molto suc-cesso e fu imitato nel Cinquecento con decine e decinedi copie più o meno libere e anche molto più tardi vifurono pittori dei Paesi Bassi che scelsero questo tema,ad esempio Rembrandt nel 1625 circa e perfino JamesEnsor nel 1892.

Sulla tavola rettangolare, al di sopra e al di sotto delmedaglione, è riportato in bella calligrafia un testo didue righe: “Meester snijt die keye ras” “Myne name islubbert das” che tradotte significano più o meno: “Mae-stro, cava fuori la pietra (della follia)” “Il mio nome èlubbert das” (lubbert das, letteralmente significa bassot-to castrato, vale a dire persona ingannata, sempliciotto).I caratteri ridondanti e tipicamente borgognoni con leloro sinuose decorazioni intrecciate sono oltremodo sin-golari specialmente per il modo in cui incorniciano laparte centrale della tavola. Nel medaglione, sullo sfon-do di un ampio paesaggio, è raffigurato un corpulentopaziente, semisdraiato su una sedia, sottoposto ad un’o-perazione alla testa da un chirurgo che estrae dal suocapo un fiore. L’intervento è seguito da un monaco conun boccale di peltro tra le mani nonché da una suora conun libro chiuso sulla testa. Si tratta di una scena assur-

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da: il chirurgo porta un imbuto sul capo e appesa allacintura una brocca. Una piccola insegna sulla sua spalladestra riproduce un fiore con riferimento al suo mestie-re, keisnijder, dove la parola “kei” poteva significareoltre che “pietra” anche “fiore”. L’estrazione della pie-tra della follia non era un’operazione seria, fatto cheviene ancora ribadito da questo gioco di parole. Il dipin-to raffigura dunque una scena burlesca.

Nel 1481 nella chiesa di San Giovanni di ’s-Herto-genbosch si svolse il quattordicesimo Capitolo del Tosond’Oro, l’assemblea dell’ordine cavalleresco borgogno-ne. In occasione di questa adunanza, il coro della chie-sa venne decorato con trentasei tavole con stemmi e testiche si riferivano ai cavalieri del Toson d’Oro dell’epo-ca. Massimiliano d’Asburgo presiedeva l’assembleadurante la quale il giovanissimo Filippo il Bello vennenominato cavaliere. Le insegne con l’arme dei cavalieridel Toson d’Oro furono dipinte, seguendo un modellocaratteristico e codificato, dal pittore di corte borgo-gnone Pierre Coustain: su uno sfondo scuro lo scudoaraldico multicolore, circondato dalla catena del Tosond’Oro e tutt’intorno ondeggianti drappi dorati, il nomee i titoli scritti con esuberanti caratteri decorativi.

Bosch ebbe certamente modo di vedere di personaqueste pitture borgognone nel coro della chiesa, maanche fuori di questa, considerato che per umiliare uncavaliere espulso dall’Ordine per tradimento, il suostemma venne esposto in posizione capovolta su uno deiportali della chiesa al cospetto di tutti i cittadini. L’a-nalogia formale fra la Cura della follia e questi stemminon può essere casuale. Forse la tavola è il frutto dellacollaborazione tra Pierre Coustain e Hieronymus Bosch,ciascuno con l’apporto delle proprie specifiche compe-tenze: Bosch eseguì la sorprendente scena centrale eCoustain il testo scritto. Il tempo a disposizione nonmancava, giacché era consuetudine che il pittore di corte

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si recasse sul luogo per collocare gli stemmi e rimanessesul posto durante l’assemblea capitolare per eventualimodifiche delle insegne e delle scritte. In tal caso laprima Cura della follia sarebbe stata dipinta nell’aprileo nel maggio del 1481. Un’altra ipotesi è che Bosch, ispi-rato dagli stemmi dei cavalieri del Toson d’Oro, fecepropria questa tipica ornamentazione dei caratteri,dipingendo quindi l’intera tavola. In tal caso il Capito-lo di ’s-Hertogenbosch costituisce il terminus post quemper la Cura della follia, che avrebbe quindi visto la lucenel corso del 1481. La scena non può essere che una sati-ra del mondo che circondava il Capitolo del Tosond’Oro con i suoi rituali relativi agli stemmi oppure, piùprobabilmente, una messa in berlina di uno dei Cavalieridel Toson d’Oro. Il vescovo Filippo, Bastardo di Bor-gogna, che possiamo supporre presente a ’s-Hertogen-bosch nel 1481, con la corte di Bruxelles al seguito, eracertamente al corrente di queste allusioni tanto che qua-rant’anni dopo appese il dipinto nella sala da pranzodella sua residenza a Wijk bij Duurstede.

Passiamo ora ad analizzare un’altra opera di Bosch.Contrariamente all’l’opinione corrente, la tavola delVenditore ambulante non nasce come quadro di formarotonda o poligonale. La maggior parte delle interpre-tazioni muove invece da tale assunto, il che generaovviamente seri malintesi. Nell’ambito della presentepanoramica sulla pittura primitiva nederlandese la pre-ferenza è andata sempre alle opere d’arte che potevanoconsiderarsi esemplari sia per contenuto, iconografia estile sia per forma, funzione e apprezzamento. Ebbene,con il Venditore ambulante, a torto più noto come ilFigliol prodigo, si intende illustrare in maniera signifi-cativa come un’opera d’arte una volta modificata possacondurre una nuova vita e svolgere spesso come tale per-fino un ruolo di rilievo nell’opera dell’artista.

Una serie di osservazioni, risultato di recenti ricerche

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molto accurate, offrono un’immagine dell’affascinantetavola, radicalmente diversa da quella che si ha a primavista. Già durante il restauro del 1931 venne constata-to che la forma ottagonale non era quella originaria, mache gli angoli furono eliminati in un secondo momento.Per di più la tavola venne segata in due nel senso dellospessore, cosicché la parte anteriore e quella posteriorefurono separate. In tal modo la tavola risulta attual-mente formata da quattro assi sottili congiunti l’unoall’altro in verticale. A loro volta i due assi centrali for-mavano un tempo un’unica tavola, tagliata poi in duequando il dipinto venne diviso in due metà perfette. Siignora quando la divisione ebbe luogo, però vi è chi sug-gerisce che questa potrebbe essere coeva al taglio deldipinto nel senso dello spessore, forse tecnicamente nonrealizzabile in altro modo. L’ipotesi pare altamenteimprobabile in quanto la scelta sarebbe caduta piutto-sto sulla divisione lungo i tre assi, le cui due commetti-ture si delineavano già attraverso gli strati di mestica edi colore. È impossibile che il nudo legno di quercia,oggi visibile intorno al medaglione, sia stato a vista sindall’origine come è d’altronde impossibile che intorno altondo vi fosse una cornice ottagonale a ricoprire ilbordo, per il semplice motivo che intorno al 1500 nonesisteva ancora questo tipo di quadro, diffusosi soltan-to nel secondo quarto del Seicento.

Tutto ciò induce a concludere che Hieronymus Boschrealizzò il Venditore ambulante quale tavola esterna del-l’anta di una pala. Può darsi che il tondo fosse circon-dato da una pittura monocroma: analizzando al micro-scopio il bordo del medaglione potrà forse ancora esse-re rintracciato perfino il colore di tale pittura. La divi-sione in due della scena e anche del personaggio princi-pale sembra inverosimile ma trova il suo esatto paralle-lo sull’esterno delle ante del Trittico del fieno conserva-to al Prado. Bosch inoltre effettuò quest’operazione

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varie volte, come risulta fra l’altro dalla Messa di SanGregorio in grisaglia sull’esterno del trittico con l’Ado-razione dei Magi al Prado. Il tondo con il Venditore ambu-lante ebbe origine dunque dallo smembramento di untrittico, separando le parti l’interne da quelle esternedelle ante e ricongiungendo tra loro il lato esterno sini-stro e quello destro. Alla luce della larghezza dell’attualetavola, appare meno verosimile che fosse l’esterno di unasola anta di trittico. Il supporto ligneo di quercia diquesto dipinto, sottoposto ad analisi dendrocronologi-che, risultò essere il legno dello stesso albero che Boschusò per la Morte di un avaro (Washington, National Gal-lery), opera che al pari della prima non fu realizzataprima del 1502. Anche l’analisi dei disegni preparatorievidenzia che il Venditore ambulante, la Morte di unavaro e inoltre la Nave dei folli (metà superiore a Parigi,Musée du Louvre; metà inferiore a New Haven, YaleUniversity Art Gallery) hanno un impianto analogo erisalgono molto probabilmente allo stesso periodo.Anche la combinazione dei colori, sobria e misurata,poco più che una grisaglia, è in armonia con quantodetto. Viene subito da pensare che questo trittico smem-brato (scomparto centrale 60-65 cm circa) fosse unavariante di minori dimensioni del Trittico del fieno(scomparto centrale 135 x 100 cm, ante 45 cm di lar-ghezza). In tal caso il Venditore ambulante non forma piùun tema a se stante bensì l’introduzione alla scena prin-cipale del trittico aperto. Comunque lo si voglia chiari-re ulteriormente, esso rappresenta l’homo viator, il vian-dante, l’uomo sul sentiero della sua vita. Minacciato dapericoli e tentazioni, egli deve continuare il camminolungo una via spesso stretta o accidentata e irta di osta-coli. Il tema ricorre fin nei minimi dettagli, come adesempio nella scenetta del gufo sull’albero che adesca lapiccola cinciallegra più in basso. Nel caso del Trittico delfieno, l’homo viator che procede per la sua strada igno-

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rando piaceri e violenze, introduce il grandioso tema delBene e del Male: sulla terra, sotto gli occhi di Dio, sisvolge la vita peccaminosa degli uomini, vita che origi-na dal Paradiso terrestre, creato da Dio e raffigurato sul-l’anta sinistra, e che finirà nell’inferno, anch’esso crea-to da Dio e raffigurato sull’anta destra.

Tra le opere più affascinanti nell’ambito di quellemaggiori di Bosch, figura senz’altro il trittico delle Ten-tazioni di Sant’Antonio conservato a Lisbona (1505-1510circa). La grande considerazione di cui godette la pala sindagli inizi del Cinquecento è testimoniata in primo luogodal gran numero – una ventina almeno – di imitazioni edi copie che ci sono pervenute. Già nel secondo quartodel Cinquecento, questo trittico, o un trittico simile raf-figurante sant’Antonio, entrò in possesso di un pittoreportoghese inviato a soggiornare nei Paesi Bassi perconto del re Juan II del Portogallo, mentre nel 1574 una“tentación de Sant Anton de mano de GerónimoBosque” si trovava all’Escorial e il re Filippo II di Spa-gna ne possedeva altri due esemplari; non è chiaro, tut-tavia, se il trittico in esame sia da identificarsi con unodi questi esemplari o se si tratti di un altro ancora.

Il tema centrale del trittico è l’intercessione disant’Antonio, eremita di eccelsa fermezza nella fede cri-stiana. A battenti chiusi il trittico presenta la Cattura diCristo e la Salita al Calvario, dipinte a grisaglie bruno-gri-giastre. Gli episodi principali delle due scene sono piut-tosto arretrati sullo sfondo. Per effetto dell’orizzontealto, l’esteso paesaggio risulta molto profondo e con ungrande proscenio dove si svolgono vicende parallele allascena principale. All’interno, per l’intera larghezza deltrittico, Bosch ha dipinto la medesima linea alta dell’o-rizzonte, creando anche in questo caso un proscenioabbastanza ampio che avvicina lo spettatore. Le duescene della Passione sull’esterno delle ante non sonoseguite, nella parte interna, dalla Crocifissione e dalla

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Resurrezione di Cristo, bensì da sant’Antonio espostoalle tentazioni. Il santo genuflesso in preghiera è collo-cato in modo che il suo viso segna l’esatto centro del trit-tico in posizione aperta. Egli è l’unico fra tutti gli uomi-ni e gli esseri mostruosi che popolano il trittico, a guar-dare dritto negli occhi l’osservatore. Circuito da tenta-zioni raffigurate in modo bizzarro e fantastico, il santoeremita, che stava fissando il crocifisso nella rovina allesue spalle, si è voltato brevemente per indicare con ladestra benedicente quel crocifisso al credente che osser-va il trittico. Nello stesso momento e alla stessa manie-ra il Cristo, apparso nella nicchia buia accanto al croci-fisso, indica l’immagine al santo. In tal modo il Cristocrocifisso resta comunque l’elemento figurativo princi-pale del trittico aperto e la Crocifissione si configuracome continuazione diretta e logica delle due scene all’e-sterno delle ante.

Nella scena della tavola centrale soltanto sant’Anto-nio che prega è rappresentato in modo “realistico”. Ilcrocifisso è collocato in un edificio in rovina, decoratocon riferimenti veterotestamentari alla Redenzione cheverrà, sia pure non senza difficoltà e privazioni. Mosèriceve la prima volta le tavole della Legge mentre i Giu-dei adorano il vitello d’oro e gli inviati nella terra pro-messa fanno ritorno con un grandissimo grappolo d’uva.Quasi tutti gli altri elementi figurativi sono simili avisioni e rappresentano le tentazioni e le privazioni disant’Antonio. Il complesso degli edifici in fiamme nonè il convento del santo bensì, più in generale, la dimo-ra terrena dell’uomo: come Antonio Abate era assedia-to da seduzioni diaboliche, dalle quali non si lasciò tut-tavia fuorviare, così l’intera cristianità viene messa allaprova. Le ante laterali raffigurano scene fantastiche trat-te dalla leggenda di sant’Antonio, a sinistra il Santoviene sollevato in aria da esseri mostruosi, al di sopradelle miserie terrene, e a destra l’eremita che non appe-

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na distoglie lo sguardo dalle tentazioni della carne vieneimmediatamente confrontato con altre tentazioni. Ilsanto che, come intercessore e modello, ha un ruolocentrale nel trittico, è chiaramente individuabile inognuno dei tre pannelli: sulle ante porta un ampio man-tello sopra il saio grigio, nella scena centrale indossa unatonaca grigio scuro mentre in tutti e tre i casi sulla suaveste è appuntato un segno di riconoscimento, la Crocedi Sant’Antonio.

Le interpretazioni avanzate circa i numerosi dettaglidel trittico sono – come sempre nelle opere di Bosch –talvolta sensate ma spesso anche troppo ricercate. Chia-rimenti e spiegazioni dettagliate, anche del particolareminimo, sono certo necessarie e utili ma più importan-te ancora è il significato nel suo insieme, il messaggiodell’intera opera. Infatti la forza artistica del pittore siesprime magari con più immediatezza nel coacervo degliinnumerevoli dettagli intriganti, ma la sua essenza èmalgrado ciò nell’insieme. Nel trittico di Sant’Antonio,Bosch sa cogliere il nucleo teologico attraverso unacostruzione ottica molto raffinata entro un caos ordinatogremito di elementi figurativi. Le scene monocromedella Passione sull’esterno delle ante, sono state ridi-mensionate a piccoli panorami. Aprendo il trittico, ilformato diviene notevolmente più grande: le ante rad-doppiano le dimensioni offrono un’immagine più ampia:una moltitudine di colori e di visioni. Tuttavia, ciò cheè davvero rilevante, l’elemento figurativo essenziale,l’atteso seguito delle scene della Passione, è raffiguratonell’insieme più vasto come dettaglio infinitesimale cherifulge nel buio: il Cristo crocifisso. Sant’Antonio comemaestro e modello, ma anche come intercessore, deveaiutare l’uomo a trovare il Salvatore.

L’ipotesi che il trittico sia stato concepito in origineper un ospedale diretto dagli antoniani oppure dedica-to allo stesso santo, è rafforzata dall’interpretazione qui

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proposta. Infatti, il trittico si riallaccia perfettamente alcontenuto delle due pale d’ospedale di Rogier van derWeyden e di Hans Memling esaminate in precedenza.La tradizione viene continuata: a Beaune il GiudizioUniversale è rappresentato in combinazione con la Deë-sis – l’intercessione di Maria e di san Giovanni Batti-sta –, i santi patroni Antonio e Sebastiano, nonché l’An-nunziata e l’Arcangelo Gabriele sono dipinti come sta-tue sulla parte esterna del polittico; a Bruges anche laVenuta e la Seconda Venuta del Salvatore – predette daidue san Giovanni, qui anche patroni dell’ospedale –hanno un posto centrale; Bosch infine colloca sant’An-tonio fra l’uomo e il suo Salvatore.

Nel 1517, anno in cui Martin Lutero affisse i suoiproclami sul portale della chiesa di Wittenberg, Erasmoda Rotterdam si fece ritrarre con un amico, il segreta-rio comunale di Anversa Pieter Gillis. Già a quell’epo-ca il sacerdote, scienziato e umanista Erasmo (1469-1536), di fama ormai internazionale, aveva assunto unaposizione moderatamente critica nei confronti della vec-chia chiesa cattolica e da questa non si discostò fino allamorte avvenuta a Basilea nel 1536: a suo parere moltetradizioni e usanze medievali dovevano essere corrette,comunque esclusivamente attraverso una riforma inter-na della chiesa e non già attraverso uno scisma. Erasmosi rendeva ben conto di quanto fosse preziosa la tradi-zione tramandata dal medioevo, alla quale egli stesso ei suoi contemporanei si ispiravano.

L’anno 1517 fu per Erasmo di importanza capitale.Lutero prese apertamente e violentemente posizione, ladisputa che covava divampò. Cambiamenti radicali inte-ressarono anche Erasmo personalmente, prova ne sianoi ritratti che da allora in poi si fece fare. Nel 1517 papaLeone X concesse ad Erasmo la dispensa e con ciò i rap-porti di questi con il convento Steyn presso Gouda furo-no formalmente interrotti; quel che più contava è che

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ora l’umanista poteva muoversi liberamente attraversol’Europa, secondo il proprio intendimento, e inoltrenon era più tenuto a indossare l’abito talare e aveva lafacoltà di conseguire un proprio reddito amministrandoi propri beni. Inoltre sempre in quell’anno, il papa legit-timò la nascita di Erasmo, il cui padre era un uomo dichiesa. Così per la prima volta nel 1517 Erasmo potéfarsi fare un ritratto, pagarlo e donarlo, com’era in vogaall’epoca negli ambienti che lo zelante teologo frequen-tava: i prìncipi rinascimentali, l’élite nobiliare e quellaborghese di eruditi ed artisti amavano scambiarsi i ritrat-ti, dipinti su formato più o meno grande, oppure fusicome piccole medaglie o ancora sotto forma di stampe.Anche Erasmo si sarebbe servito di questi tre mezzi d’e-spressione artistica. Nel 1520 si fece ritrarre dal grandeartista tedesco Albrecht Dürer, il quale nel 1526 eseguìanche una sua incisione; il primo a fare un ritratto del-l’umanista, però, fu nel 1517 Quentin Metsys, che dueanni dopo realizzò anche un ritratto su medaglia cheErasmo fece fondere alcune volte in più copie. HansHolbein infine dipinse tutta una serie di piccoli tondinonché tavole di maggiori dimensioni con l’effigie diErasmo talvolta associata con elementi iconici simboli-ci ed eruditi, ma recanti spesso anche il solo busto deldotto teologo oppure il suo volto. Il Doppio ritratto diErasmo e di Pieter Gillis del 1517 occupa nell’ambito diquesti incarichi un posto speciale. Erasmo lo commis-sionò per farne dono, insieme a Gillis, all’umanistainglese Tommaso Moro (1478-1535). Entrambi eranolegati da profonda amicizia a Moro e grazie ai loro ritrat-ti sarebbero stati con lui per sempre e non, come ildestino in terra aveva stabilito, per un periodo di tempolimitato e fugace, anche se pieno di felicità. Erasmo ePieter Gillis sono raffigurati in un semplice studio,dinanzi a un tavolo di lavoro, uno di fronte all’altro.Erasmo sta scrivendo in un grosso quaderno; Gillis tiene

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nella mano sinistra una lettera ricevuta da TommasoMoro, indicando con la destra il libro gli Antibarbari, incui Erasmo aveva descritto la pacifica e armoniosa atmo-sfera che aveva conosciuto soggiornando da Moro.Nascono così due livelli di comunicazione: il primo,interno al dittico, il secondo al di fuori dello stesso. Laprima triangolazione è formata da Gillis, Erasmo e la let-tera di Moro. La seconda, e con essa il capolavoro nelsuo insieme, si completa soltanto nel momento in cuiTommaso Moro si trova dinanzi al doppio ritratto; i treamici saranno allora l’uno di fronte all’altro e la separa-zione degli spiriti è scongiurata. Le lettere tuttora con-servate, che Tommaso Moro inviò per ringraziare i suoiamici nei Paesi Bassi, confermano quest’interpretazio-ne, ed è proprio questa l’idea sottesa al doppio ritratto.Moro ringraziò in dotti versi e portò il gioco ancoraoltre, dando la parola al doppio ritratto e a se stesso eprofondendosi in complimenti all’indirizzo dei due amiciritratti e anche dell’artista. Al contempo, però, chiesead Erasmo la restituzione della lettera a suo tempo spe-dita a Gillis, e raffigurata in maniera eccelsa da Quen-tin Metsys nelle mani dello stesso, poiché solo metten-do quella missiva davanti al dittico, il gioco era com-pleto.

Con questo doppio ritratto, Metsys ha realizzato,senza dubbio in stretto dialogo con Erasmo o, più vero-similmente, su progetto dello stesso, un’opera d’arteche segna magnificamente la fine della tradizionemedievale. Nel suo Dittico di Maarten van Nieuwenhove,Hans Memling aveva già accorciato le distanze tra l’os-servatore e il donatore e la visione della Madre di Diocol Bambino. Quentin Metsys ed Erasmo andaronooltre: al centro dell’opera ormai vi è l’uomo del Rina-scimento con le sue grandi capacità intellettuali che dia-loga in un mutuo scambio di conoscenze con il suo simi-le. E non solo, l’opera d’arte era completa soltanto in

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presenza dello spettatore, non in quanto osservatore main quanto interlocutore nel dialogo.

In prima istanza, dunque, era rivolto alla persona cuiera destinato il doppio ritratto e che lo aveva ricevutoin dono e, in seconda istanza, ad ogni essere umano chedesideri prendere parte al gioco intellettuale.

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