GLACIOLOGIA EEEE GEOMORFOLOGIA - Cai Seregno

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CLUB ALPINO ITALIANO SEZIONE DI SEREGNO SCUOLA DI ALPINISMO RENZO CABIATI GLACIOLOGIA GLACIOLOGIA GLACIOLOGIA GLACIOLOGIA E GEOMORFOLOGIA GEOMORFOLOGIA GEOMORFOLOGIA GEOMORFOLOGIA MARZO 2005

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CLUB ALPINO ITALIANO SEZIONE DI SEREGNO

SCUOLA DI ALPINISMO

RENZO CABIATI

GLACIOLOGIAGLACIOLOGIAGLACIOLOGIAGLACIOLOGIA

EEEE

GEOMORFOLOGIAGEOMORFOLOGIAGEOMORFOLOGIAGEOMORFOLOGIA

MARZO 2005

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IL MONDO NATURALE DELLE MONTAGNE

NOZIONI DI GEOLOGIA

Una delle maggiori soddisfazioni di chi pratica il trekking è quella di superare il puro e semplice

atteggiamento estetico di fronte a un ambiente naturale per essere in grado di leggerne le

forme ed interpretarne la dinamica evolutiva.

Individuare il tipo e le caratteristiche delle rocce e conoscere la morfologia glaciale è inoltre

essenziale per l’alpinista ai fini della scalata che si accinge ad interpretare. Le più elementari

nozioni di geologia (la scienza che studia le rocce), di geomorfologia (la scienza che studia le

forme del territorio) e di glaciologia (la scienza che studia i ghiacciai) devono quindi far parte

del bagaglio culturale di quanti si avvicinano al mondo della montagna.

Va subito detto che quanto ci circonda solo apparentemente è statico ed immutabile.

Rappresenta invece un momento della sua evoluzione che nella maggior parte dei casi si svolge in

tempi geologici così lunghi da non poter essere da noi percepiti. Se infatti la forma delle nuvole

muta a vista d’occhio, la morfologia di una valle o di una montagna è il risultato momentaneo di un

processo durato milioni di anni e tuttora in corso.

I materiali delle nostre montagne

La crosta terrestre è costituita da una strato sottostante di rocce contenenti diversi tipi di

minerali. I geologi distinguono le rocce in tre categorie sulla base della loro origine:

Le rocce magmatiche o vulcaniche, si formano in seguito al raffreddamento ed alla conseguente solidificazione del magma vulcanico presente in sacche all’interno della crosta terrestre.

Il processo può essere avvenuto all’interno della crosta terrestre (rocce magmatiche intrusive

come il granito) oppure all’esterno (rocce magmatiche effusive come il basalto o il tufo).

Il granito forma gran parte delle Alpi occidentali e si distingue per la sua tessitura granulare,

cioè per la presenza di granuli dalla struttura cristallina mescolati senza un particolare

orientamento.

Le rocce sedimentarie, si formano dalla deposizione in mare o sulla terraferma, dall’accumulo e dal progressivo consolidamento di materiali diversi trasportati dai fiumi e dai venti. Sono le

rocce più diffuse sulla terra e si riconoscono soprattutto per la loro stratificazione essendo

costituite da una successione di strati corrispondenti ai successivi depositi.

Possono essere di origine inorganica o organica. Le prime sono costituite dall’accumulo di detriti

trasportati dal vento, dalle correnti, dai fiumi, dalle onde del mare. Ne offrono un esempio i

conglomerati e le arenarie costituiti dalla cementazione rispettivamente di ciottoli di varia

grandezza e di piccoli granuli.

Le seconde si formano dall’accumulo sul fondo marino di resti di animali e di vegetali che

mescolati a sabbie finissime si sono trasformati in roccia per effetto della pressione e della

temperatura. Le più importanti sono le rocce calcaree che si caratterizzano per la ricchezza di

fossili. Le rocce calcaree sono molto comuni nelle Alpi orientali (dolomie) e formano l’ossatura

degli Appennini.

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Le rocce metamorfiche, derivano dalla trasformazione all’interno della crosta terrestre di rocce vulcaniche e sedimentarie a causa delle forti pressioni e delle temperature. Nel caso dei

micascisti, delle lavagne e delle ardesie assumono una tessiture scistosa, sono cioè formate da

foglietti a lamelle disposte secondo piani paralleli fra loro e facilmente sfaldabili. Negli gneiss la

scistosità e poco definita, mentre manca del tutto nei marmi che formano, ad esempio le Alpi

Apuane.

“Roccia buona”, “roccia cattiva”, “roccia marcia” sono termini usati dagli alpinisti per indicare la

qualità delle rocce che si accingono a scalare e che impongono con la loro diversa conformazione

anche differenti tecniche di arrampicata.

Le rocce più idonee all’arrampicata sono il granito ed il calcare. Il primo si presenta molto

compatto e solido con grandi placche di colore grigio scuro più o meno ricche di appigli su cui si

procede in aderenza. Si sfruttano spesso gli spigoli affilati, le lame di roccia e le fessure che

tagliano le placche. I calcari dolomitici sono invece molto corrosi ed articolati in guglie ed in

torrioni di colore variante fra il grigio ed il giallognolo, quelli puri sono i più compatti e saldi.

Tutti presentano numerose sporgenze e rientranze e caratteristici camini.

Molto pericolose per la loro friabilità sono al contrario le rocce scistose ad eccezione dello

gneiss che ha le stesse caratteristiche del granito.

Formazione delle Alpi nell’era Mesozoica. Il mare Tetide ha ricoperto le antiche montagne erciniche e su di esse si depositano per tutto il Mesozoico (da 230 a 70 milioni di anni fa) formazioni marine, coralligene calcaree. L’avvicinamento della zolla africana verso quella europea obbliga il fondo di rocce metamorfiche e la copertura dei sedimenti marini a fratturarsi ed a piegarsi. L’ulteriore spinta determina l’emersione e l’accavallamento dei blocchi e il piegamento delle rocce calcaree marine.

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Le forze endogene creano i rilievi

Alla base dell’architettura dei rilievi stanno le forze che agiscono all’interno della crosta

terrestre provocando l’innalzamento degli strati rocciosi e la formazione delle montagne e che gli

studiosi spiegano rifacendosi alla teoria della tettonica a zolle.

Le Dolomiti ad esempio, altro non sono che isole e scogliere coralline oppure potenti depositi di

organismi marini formatisi in milioni di anni sul fondo del mare e successivamente innalzati dallo

scontro fra la zolla africana e quella euroasiatica. Lo prova la presenza nella roccia di coralli e di

conchiglie fossili.

Antiche isole coralline sono ad esempio il complesso del gruppo del Sasso Piatto – Sasso Lungo e

la base del Sella, montagne compatte prive della stratificazione tipica della sedimentazione di

organismi marini visibile invece, sempre nelle Dolomiti, ad esempio nel Catinaccio e nelle Odle.

Gli strati delle rocce sedimentarie dovevano essere all’origine orizzontali, ma durante le ere

geologiche profondi sconvolgimenti ne hanno modificato la primitiva posizione. Essi si sono così

innalzati, piegati, fratturati e incurvati.

Le diverse forme di pieghe: A. a ventaglio; B. raddrizzata; C. normale; D. leggermente coricata; E. rovesciata; F. rovesciata e con faglia nella sinclinale.

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Forma di una piega perfetta.

L’incurvatura dovuta a spinte laterali o tangenziali su strati dotati di una certa plasticità ha dato

origine alle pieghe. Una piega completa ha la forma ad S: la parte concava si chiama sinclinale, quella convessa anticlinale. Sinclinali e anticlinali possono presentare dimensioni diverse, da pochi centimetri a centinaia di metri.

In questi casi ad una anticlinale corrisponde in genere una vetta e ad una sinclinale una valle, ma

la modificazione subita ad opera degli agenti atmosferici può renderne difficile l’individuazione:

una valle potrebbe essere stata colmata da depositi ed una vetta erosa.

Quando invece le rocce che subiscono le spinte hanno perso gran parte della loro plasticità,

allora si verifica una rottura dello strato e la formazione di fratture.

Una frattura con slittamento degli strati dalla posizione originaria dà origine ad una faglia. Gli strati delle rocce sedimentarie possono quindi essere considerati come le pagine del gran

libro della storia della Terra e soprattutto se contengono fossili, ci aiutano a ricostruirne le

vicende geologiche.

Le forze esogene demoliscono i rilievi

Alle forze interne alla Terra che tendono a costruire gli edifici delle montagne si contrappone

l’azione di modellamento esercitata dall’atmosfera (agenti meteorologici come il vento e la

pioggia) e dall’idrosfera (mare, corsi d’acqua, ghiacciai).

I rilievi sono quindi soggetti ad un’opera di degradazione che avviene attraverso processi fisici e

chimici e che li rende simili a grandiosi castelli naturali in demolizione.

La forma del paesaggio della superficie terrestre dipende quindi da un lato dal grado di

erodibilità della roccia e dalla disposizione degli strati, dall’altro dalle condizioni climatiche della

regione di appartenenza.

Le nostre montagne appartengono alla fascia temperata nella quale i fattori atmosferici che

esercitano la degradazione meteorica sono sostanzialmente la temperatura, che svolge un’azione

termica e l’acqua che svolge un’azione meccanica e chimica.

L’azione termica è dovuta in massima parte all’escursione giornaliera. Durante il giorno il calore

del sole provoca un forte riscaldamento delle rocce e le dilata. Di notte, l’abbassamento della

temperatura determina una contrazione con distacco di scaglie e rottura della roccia in blocchi

di ogni dimensione (disgregazione). A questo fenomeno si aggiunge l’alternarsi del gelo e del disgelo: l’acqua penetrata nelle fessure delle rocce gela di notte a causa dell’abbassamento della

temperatura, aumenta di volume e provoca l’allargamento delle fessure stesse.

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In ambedue i casi i frammenti di roccia rotolano per gravità ai piedi delle montagne e formano i

detriti di falda spesso dalla caratteristica forma di cono. La presenza di questi detriti rivela la

friabilità e quindi la loro pericolosità. Questo paesaggio è proprio della montagne calcaree e

dolomitiche dove l’allargamento delle primitive fessure crea col tempo ampi canaloni.

Falde detritiche ai piedi di una parete rocciosa: D falda, S sezione della montagna (rocce stratificate)

L’erosione differenziata di rocce stratificate di diversa consistenza (calcari, micascisti, gneiss)

porta invece alla formazione di cenge, lunghi e stretti ripiani che interrompono la verticalità di

una parete. Sulle Dolomiti molte cenge sono state trasformate in sentieri e sono raccordate le

une alle altre da scale e percorsi attrezzati con catene e corde fisse (vie ferrate).

Sezione del monte Pelmo (“ el caregòn del Signor”, la poltrona del Signore Iddio) con la successione dei vari strati di roccia formatisi per sedimentazione sul fondo dell’antico mare dell’era Mesozoica, in seguito emersi ed erosi dagli agenti atmosferici. Cominciando dal basso: 5. marne e calcari marnosi; 4. calcari di scogliera madreporica del periodo Ladinico; 3. marne e calcari marnosi del periodo Carnico; 2.calcari ben stratificati del Nordico; 1. calcari con strati marnosi del Retico.

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La degradazione ha avuto maniera di agire in modo più incisivo sulle catene montuose più antiche

che oggi si presentano così come lievi ondulazioni collinose (ad esempio il massiccio centrale in

Francia, la Selva Nera in Germania, le Highlands in Scozia).

Le Alpi e gli Appennini, invece, risalgono all’ultima orogenesi iniziatasi 60 milioni di anni fa ed

ancora in atto e presenta di conseguenza montagne giovani non ancora intaccate a fondo dagli

agenti esogeni.

Lo dimostrano le cime più spettacolari dalla forma a torre, tipica degli strati orizzontalii roccia

compatta calcarea (le tre Cime di lavaredo, le Torri del Vaiolet, il gruppo dl Brenta ecc.) o a

guglia, propria delle rocce compatte a banchi verticali, come i graniti del Monte Bianco o del

gruppo Masino-Bregaglia.

Diffusa è dovunque, infine la forma a piramide che caratterizza le montagne a banchi orizzontali

più friabili (Monviso, Pizzo Scalino ecc.).

In genere si può affermare che sulle Alpi la maggior resistenza delle rocce ha determinato

un’erosione lineare che ha loro conferito un aspetto impervio e selvaggio.

Sugli Appennini, invece, la predominanza di rocce tenere come argille, calcari, arenarie, ha fatto

si che le forme del terreno assumessero aspetti più dolci ed arrotondati.

Qui prevale l’azione meccanica delle acque meteoriche, chiamate anche selvagge o dilavanti

poiché non possiedono come i fiumi un proprio alveo, ma scorrono libere seguendo la pendenza del

terreno.

Ne deriva il paesaggio dei calanchi: essi si formano sui pendii argillosi e marnosi, teneri ed

omogenei, in cui l’acqua incide dei solchi paralleli o a ventaglio che approfondisce col tempo

sempre di più separandoli con creste affilate.

Le acque svolgono anche in particolari situazioni un’azione chimica. E’ il caso delle rocce calcaree

sciolte e fratturate dalle acque contenenti anidride carbonica, tipico delle zone carsiche ricche

di cavità sotterranee e di doline.

Tipiche forme del carsismo: tutte conseguenze del fratturamento e della corrosione del calcare in acqua acidula e conseguenti depressioni superficiali e franamenti sotterranei.

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Gli strati possono presentarsi orizzontali, verticali e inclinati. Nei nostri esempi gli strati rocciosi sono costituiti alternativamente da rocce compatte (ad es. calcari) e da rocce friabili (ad es. scisti argillosi). Il diverso grado di compattezza fa si che gli agenti atmosferici determinino su di essi una erosione differenziata e diano origine a rilievi di diversa natura. 1. Rocce stratificate orizzontali tendono a forme tabulari e a torrioni. 2. Rocce con strati o banchi verticali determinano creste accidentate con guglie, denti e pinnacoli. 3. Rocce a strati uniformemente inclinati danno alla cresta il tipico profilo seghettato.

Valle a U e a V

Gli effetti del modellamento degli agenti atmosferici non sono visibili solo nella morfologia dei

rilievi ma anche in quella delle valli.

La maggior parte delle valli alpine, infatti mostra il classico profilo trasversale a U dovuto

all’azione erosiva di un antico ghiacciaio. I fianchi sono ripidi mentre il fondovalle è pianeggiante

e percorso da un torrente. Il disegno alla pagina seguente mostra anche una valle sospesa

collegata a quella principale da un ripido gradino superato dal torrente mediante una cascata.

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In questo caso si tratta di una valle dal profilo trasversale a V di escavazione fluviale: il

fondovalle è stretto con i due versanti che degradano in modo regolare.

Questi tipi di vallate più ripide prevalgono negli Appennini. Alla testata della valle sospesa

troviamo infine due circhi modellati da un antico ghiacciaio oggi scomparso. La sua azione erosiva

era inferiore a quella del ghiacciaio di fondovalle e questo spiega l’esistenza della soglia sospesa.

Schema di valle glaciale a (U) e di valle sospesa a (V): S. soglia di cascata; V. valle alta su quella glaciale; C. circhi

Le piramidi di terra

Frutto dell’azione meccanica delle acque selvagge su terreni non omogenei costituiti da ciottoli e

blocchi rocciosi immersi in materiale poco coerente sono le piramidi di terra.

I ciottoli di maggiori dimensioni proteggono il terreno sottostante dall’erosione delle acque che

si esercita invece tutto intorno creando una struttura piramidale o colonnare a forma di fungo.

Si tratta di formazioni precarie che durano fino a quando il masso di copertura non crolla

completamente.

Formazione di piramidi di terra in accumulo morenico

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Le frane

La frana è il crollo improvviso e rovinoso di blocchi rocciosi anche di notevoli dimensioni

provocato da una notevole infiltrazione di acqua.

In qualsiasi frana si distingue una nicchia di distacco e un accumulo detritico di materiale

franato alla base.

Una frana: N. nicchia di distacco, C. accumulo detritico di frana

OSSERVAZIONI GEOLOGICHE

In montagna si presentano all’osservazione, talora in modo assai evidente, i materiali costituenti

la crosta terrestre, che in pianura sono generalmente nascosti da terreno vegetale, alluvionale

ecc.

Tali materiali diconsi rocce, e dai geologi vengono ripartite in diversi gruppi a seconda della loro origine.

Abbiamo così:

a) Rocce sedimentarie, formatesi per deposizione sul fondo del mare (o dei laghi), a volte sulla terra emersa, di materiale trasportato dai corsi d’acqua o dal vento ad esempio conglomerati, arenarie, argille. Formati per cementazione di ciottoli di varia grandezza e primi, di granuli seconde, di particelle impalpabili le ultime e deposti a distanza rispettivamente crescente

dalla spiaggia e dalle falde dei monti se trattasi di deposito fluviale; oppure l’accumularsi dei

resti (conchiglie di molluschi, scheletri di corallari) degli organismi che popolavano il bacino di

sedimentazione ad esempio calcari, dolomie. Caratteristica di tali rocce è l’essere generalmente stratificate, ossia costituite dalla

sovrapposizione di un gran numero di banchi (strati) a modo di una pila di libri, che indicano le

fasi successive della sedimentazione. L’osservazione ed il ragionamento ci insegnano che gli

strati si depositano, all’atto della loro origine, pressoché orizzontalmente ed in modo che il

più recente viene a riposare sul più antico. Tutte queste rocce poi possono contenere dei

fossili, ossia le tracce ed i resti degli organismi che vivevano nell’ambiente ove si operava la sedimentazione, o che vi erano trasportati per opera di cause diverse, dopo la loro morte.

b) Rocce eruttive o magmatiche, originatesi per raffreddamento e consolidazione di una massa pastosa ad alta temperatura, proveniente da regioni profonde della crosta terrestre;

consolidazione che può essere avvenuta nello spessore della crosta stessa (es. il granito ecc.)

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oppure all’esterno, dopo espansione attraverso un camino vulcanico (es. lave, accompagnate da ceneri, ecc.).

In relazione al modo di origine stanno i caratteri distinguenti le rocce eruttive, ossia la

mancanza di stratificazione e di fossili e l’essere costituite da elementi cristallini (rocce

granitoidi), o da una massa vetrosa racchiudente singoli cristalli, talora assai visibili (lave). c) Scisti cristallini, che sono rocce delle due prime categorie profondamente modificate in

regioni profonde della scorza terrestre, per opera di cause connesse con la formazione delle

montagne quali alta temperatura e forti pressioni. I caratteri di questo terzo gruppo

(diffusissimo ad es. nelle Alpi), hanno determinato il nome che lo designa, e sono la struttura

cristallina e la tessitura scistosa della roccia, costituita cioè come da tanti foglietti, talora

ben riconoscibili (es. gneiss, micascisti, filladi).

IL MONDO DEI GHIACCIAI

La struttura di un ghiacciaio

I ghiacciai sono una delle componenti più suggestive dell’ambiente dell’alta montagna, un mondo in

movimento pieno di fascino che va conosciuto nelle sue principali caratteristiche anche per

percorrerlo con sicurezza. Il ghiacciaio è una massa di ghiaccio che si è originata dall’accumulo e

dalla progressiva trasformazione della neve caduta e si trova in lento ma continuo movimento.

Esso si forma al di sopra del limite delle nevi persistenti dove le precipitazioni quasi sempre allo

stato nevoso e le nevi permangono sul suolo anche nei mesi più caldi dell’anno. Qui si trova il suo

bacino collettore, una conca o un altopiano racchiuso tra le pareti delle montagne in cui si

accumula la neve di origine meteorica o portata dalle valanghe e poco alla volta si trasforma in

ghiaccio.

Il ghiacciaio continua poi al di sotto del limite delle nevi persistenti con il bacino di ablazione

formato da una lingua di ghiaccio rinserrata tra le pareti di un vallone. A causa del calore del sole

che fonde la neve la lingua si presenta d’estate come una massa di ghiaccio verdastro o nero

spesso ricoperta da detriti di ogni forma e dimensione. L’acqua in fusione confluisce in torrenti

superficiali, poi scompare in profondi crepacci per formare il torrente che scorre sotto la lingua glaciale ed esce alla luce del sole in corrispondenza della sua fronte. La fronte segna la fine del ghiacciaio, il punto in cui il bilancio fra il ghiaccio che scende e quello che fonde risulta in

pareggio. Essa è soggetta a continue variazioni: progredisce verso valle quando il bacino

collettore è stato interessato da forti nevicate invernali e durante l’estate la temperatura si è

mantenuta per lo più rigida; si ritira verso monte nel caso opposto.

Si tratta però di fenomeni di lunga durata che si manifestano in un intero ciclo di anni.

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Schema di un ghiacciaio secondo il catasto dei ghiacciai del mondo.

Il ghiacciaio è un fiume di ghiaccio in movimento

Solo all’apparenza il ghiacciaio potrebbe sembrare una massa statica ed immobile. In realtà è

soggetto al movimento dovuto alla forza di gravità che spinge verso valle le coltri glaciali e quindi

può essere paragonato ad un vero e proprio fiume che scorre incanalato tra le rocce delle

montagne.

La sua velocità dipende da diverse variabili ed è differente da ghiacciaio a ghiacciaio: si passa

da una media di 50 metri all’anno per i ghiacciai alpini a più di 7 chilometri all’anno per quelli

artici. Il movimento dei ghiacciai spiega la formazione dei crepacci e delle morene.

I crepacci costituiscono il massimo pericolo per le cordate che risalgono i ghiacciai specialmente

quando la coltre nevosa impedisce di individuarli. Si tratta infatti di fratture che si formano

nella massa del ghiaccio in corrispondenza delle variazioni di inclinazione e delle asperità del

letto glaciale.

I grandi crepacci si formano all’inizio del ghiacciaio separando il bacino collettore dalle pareti

delle montagne (crepacci terminali), altri si creano per l’aumento della pendenza e quindi della velocità (crepacci trasversali), altri ancora si trovano nella lingua glaciale che di solito si apre a ventaglio (crepacci longitudinali). Le morene sono il complesso di detriti rocciosi prodotti dall’erosione delle pareti circostanti

caduti sul ghiacciaio a da questo trasportati a valle. Emergono sotto il limite delle nevi

persistenti e si allungano a formare cordoni ai bordi della lingua di ghiaccio (morene laterali), oppure alla congiunzione di due lingue glaciali (morene mediane o galleggianti). L’insieme del materiale morenico trasportato a valle ed accumulato alla sua fronte costituisce infine le morene frontali. Le morene sono un elemento caratteristico del paesaggio dell’alta montagna ed il loro studio

permette di ricostruire la dinamica del ghiacciaio di appartenenza.

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Spaccato verticale trasversale di una lingua glaciale formata dalla confluenza di tre lingue minori (1,2,3): L morene laterali (in parte deposte); M morene mediane (quella a destra proviene dal disfacimento d’un “naso” roccioso emergente dal ghiacciaio); I morenici interno; F morenico di fondo. Si riconosce che la colata principale deriva dalla confluenza di tre colate minori, perché ciascuna è costituita di strati di ghiaccio piegati, piegamento a cucchiaie dovuto alla compressione dai fianchi vallivi e tra le lingue glaciali aderenti. Questo esempio è l’immagine molto semplificata della lingua glaciale della Mer de Glace sopra Chamonix.

I ghiacciai delle Alpi

Sulle Alpi possiamo osservare due tipi di ghiacciai: i ghiacciai vallivi ed i ghiacciai di circo.

I ghiacciai vallivi rispecchiano la classica tipologia descritta: sono infatti costituiti da un bacino

collettore dal quale si dirama la lingua che scende a valle. I più grandi chiamati anche di tipo

himalayano sono composti da più lingue che confluiscono in una sola. Il più lungo è l’Aletsch in

Svizzera, nel gruppo della Jungfrau che si sviluppa per 23 chilometri, seguito dalla Mer de Glace

che scende per 15 chilometri sul versante francese del Monte Bianco. Il più esteso è invece il

ghiacciaio dei Forni nel gruppo dell’Ortles-Cevedale che occupa un bacino di 13 kmq.

I ghiacciai di circo sono invece molto più piccoli ed occupano una conca della montagna circondata

da creste rocciose senza presentare una lingua. Si trovano quindi annidati al di sopra del limite

delle nevi persistenti.

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La morfologia glaciale

Si è detto che i ghiacciai sono in lento ma continuo movimento e registrano fasi alterne di

avanzata e di ritiro. Gli studiosi hanno identificato quattro grandi glaciazioni che si sono

verificate nel Pleistocene tra 600.000 e 100.000 anni fa.

Ad ognuna di essa ha avuto riscontro una fase di espansione che ha portato le lingue dei ghiacciai

fino alle soglie della Pianura Padana ed è seguito un periodo interglaciale nel quale, in seguito

all’aumento della temperatura, la massa di ghiaccio si è ritirata nei settori più elevati delle

vallate.

L’ultima glaciazione è terminata circa 25.000 anni fa e da allora i ghiacciai, per con qualche fase

intermedia di oscillazione, sono in costante ritiro.

Le glaciazioni pleistoceniche hanno inciso profondamente sulla morfologia delle regioni alpine

grazie soprattutto alla forza di erosione della massa di ghiaccio in movimento.

Ai ghiacciai, come abbiamo visto, sono da addebitare, ad esempio, il profilo ad U delle vallate

alpine un tempo da loro occupate ed oggi in parecchi casi sede di grandi bacini lacustri (lago

Maggiore, di Como, di Garda, di Lugano ecc.).

Nella fase di avanzata e di regresso inoltre, i ghiacciai hanno abbandonato una serie di morene

che oggi si presentano come cordoni di colline rivestite dalla vegetazione (ad esempio le colline

della Brianza). Gli apparati più grandiosi e meglio conservati sono la Serra di Ivrea

corrispondente alla morena laterale sinistra del ghiacciaio della Dora Baltea e le colline del Garda

formate dalla morena frontale del suo antico ghiacciaio.

Alle quote più alte gli escursionisti e gli alpinisti possono invece identificare le più modeste

morene che si trovano immediatamente a valle delle fronti attuali e che sono state depositate in

tempi recenti.

Le più comuni ed evidenti risalgono infatti alla metà dell’Ottocento (stadio napoleonico) quando si

è verificata l’ultima sensibile espansione glaciale e le lingue dei ghiacciai erano giunte a lambire i

pascoli d’alta quota.

E’ sulla cresta delle morene laterali ottocentesche che sono tracciati oggi molti sentieri che

portano ai rifugi alpini.

Di origine glaciale sono anche alcuni laghi che occupano i circhi scavati da ghiacciai oggi

scomparsi (laghi di circo) oppure si sono originati grazie allo sbarramento di una morena deposta

da un ghiacciaio (laghi morenici).

Come si sono formati i circhi, le creste e molti laghetti alpini. 1. Periodo preglaciale: montagne tondeggianti; solchi ed imbuti torrentizi. 2. Sviluppo di ghiacciai: arretramento delle pareti per gelo; protezione del fondo dell’imbuto da parte del ghiaccio-neve. 3. Arretramento sempre maggiore delle pareti: i costoni e le sommità per il gelo si fratturano e diventano creste, il ghiacciaio ha scavato un laghetto, oramai ben visibile con la scomparsa del ghiacciaio.

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Oltre che alle morene, l’esistenza degli antichi ghiacciai è indicata dalle rocce erose e levigate

dal loro passaggio e che sono dovunque visibili con un po’ di attenzione anche ai limiti della fascia

della vegetazione.

Sono chiamate rocce montonate perché ricorderebbero il dorso di un montone. In esse si

trovano spesso “le marmitte glaciali o dei giganti”, profondi e regolari fori di ogni dimensione

scavati dai torrenti subglaciali.

Come si formano le “marmitte” glaciali: non è il ghiacciaio che le scava, ma le cascate d’acqua di torrenti sul ghiacciaio che precipitano da un crepaccio dello stesso, aiutate da blocchi di compatte che aiutano il trapanamento della roccia su cui scorre il ghiacciaio.