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FONDAZIONE TEATRO LA FENICE DI VENEZIA

CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE

presidente

Paolo Costa

consiglieri

Giancarlo Galan

Pierdomenico Gallo

Alfonso Malaguti

Angelo Montanaro

Armando Peres

Giorgio Pressburger

Giampaolo Vianello

—————————

sovrintendente

Giampaolo Vianello

direttore musicale

Isaac Karabtchevsky

—————————

COLLEGIO REVISORI DEI CONTI

presidente

Angelo Di Mico

Adriano Olivetti

Maurizia Zuanich Fischer

—————————

SOCIETÀ DI REVISIONE

PricewaterhouseCoopers S.p.A.

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RIGOLETTO

FONDAZIONE TEATRO LA FENICE DI VENEZIA

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RIGOLETTO

melodramma in tre atti diFRANCESCO MARIA PIAVE

musica di

GIUSEPPE VERDI

TEATRO MALIBRANvenerdì 30 novembre 2001, ore 20.00, turno Adomenica 2 dicembre 2001, ore 15.30, turno Cmartedì 4 dicembre 2001, ore 20.00, turno Dgiovedì 6 dicembre 2001, ore 20.00, turno E

domenica 9 dicembre 2001, ore 15.30, turno B

FONDAZIONE TEATRO LA FENICE DI VENEZIA

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F. Torriani, Ritratto di Giuseppe Verdi (1843). Olio su tela. Milano, Museo Teatrale alla Scala.

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SOMMARIO

7LA LOCANDINA

11IL LIBRETTO

43RIGOLETTO IN BREVE

44ARGOMENTO - ARGUMENT - SYNOPSIS - HANDLUNG

53STÉPHANE BRAUNSCHWEIG

RIGOLETTO O LA MALEDIZIONE

57MICHELE GIRARDI

DUE FACCE DI RIGOLETTOTHOU WOULDST MAKE A GOOD FOOL - EGLI È DELITTO, PUNIZION SON IO

77CARLIDA STEFFAN

LASSÙ IN CIELO, VICINO ALLA MAMMAOSSERVAZIONI ATTORNO AD UN INEVITABILE SUICIDIO

83GIUSEPPE VERDI

a cura di MIRKO SCHIPILLITI

106BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

a cura di GILDO SALERNO

117BIOGRAFIE

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Stéphane Braunschweig. Modellino per Rigoletto (inizio dell’atto I). Venezia, Teatro Malibran, novembre 2001.

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LA LOCANDINA

RRIIGGOOLLEETTTTOOmelodramma in tre atti (1851)

libretto diFRANCESCO MARIA PIAVE

tratto dal dramma Le Roi s’amuse di VICTOR HUGO

musica di

GIUSEPPE VERDI

personaggi ed interpretiRigoletto ANTONIO SALVADORI

Il duca di Mantova FERNANDO PORTARIGilda CINZIA FORTE

Sparafucile ELDAR ALIEVMaddalena CLAUDIA MARCHI

Giovanna ANTONELLA TREVISANIl conte di Monterone DANILO RIGOSA

Marullo ARMANDO GABBAMatteo Borsa ENRICO COSSUTTA

Il conte di Ceprano FRANCO BOSCOLOLa contessa di Ceprano MARIA D’ALESSIO

Un usciere PAOLO DRIGOUn paggio BERNADETTE LUCARINI

maestro concertatore e direttore

ANGELO CAMPORIregia e scene

STÉPHANE BRAUNSCHWEIGcostumi light designer

THIBAULT VANCRAENENBROECK MARION HEWLETT

assistente regia coreografo

GEORGES GAGNERÉ BARBARA MANZETTI

ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO LA FENICEdirettore del Coro GIOVANNI ANDREOLI

in coproduzione con il Théâtre Royal de La Monnaie di Bruxelles

nuovo allestimento

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direttore musicale di palcoscenico GIUSEPPE MAROTTAdirettore di palcoscenico PAOLO CUCCHI

altro maestro del coro ALBERTO MALAZZIresponsabile allestimenti scenici MASSIMO CHECCHETTO

altro direttore di palcoscenico LORENZO ZANONImaestro di sala STEFANO GIBELLATO

maestri di palcoscenico RAFFAELE CENTURIONI, ULISSE TRABACCHINmaestro rammentatore PIERPAOLO GASTALDELLO

maestro alle luci GABRIELLA ZENassistente alle luci PATRICE LECHEVALLIER

capo macchinista VALTER MARCANZINcapo elettricista VILMO FURIANcapo attrezzista ROBERTO FIORIcapo sarta MARIA TRAMAROLLO

responsabile della falegnameria ADAMO PADOVANcapogruppo figuranti CLAUDIO COLOMBINI

costumi THÉÂTRE ROYAL DE LA MONNAIE (Bruxelles)calzature CTC PEDREZZOLI (Milano)

attrezzeria THÉÂTRE ROYAL DE LA MONNAIE (Bruxelles)parrucche FABIO BERGAMO (Trieste)

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Stéphane Braunschweig. Modellino per Rigoletto (I.1). Venezia, Teatro Malibran, novembre 2001.

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Francesco Maria Piave. Incisione (Milano, Museo Teatrale alla Scala).

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IL LIBRETTO

RIGOLETTO

melodramma in tre atti di

FRANCESCO MARIA PIAVE

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Giuseppe Bertoja, Estremità più deserta d’una via cieca. Bozzetto per la prima rappresentazione di Rigoletto(I.7). Venezia, Teatro La Fenice, 11 marzo 1851. Matita e penna. Pordenone, Civico Museo Ricchieri.

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ppeerrssoonnaaggggii

Il Duca di Mantova

Rigoletto, suo buffone di corte

Gilda, sua figlia

Sparafucile, bravo

Maddalena, sua sorella

Giovanna, custode di Gilda

Il conte di Monterone

Il cavaliere Marullo

Matteo Borsa, cortigiano

Il conte di Ceprano

La contessa, sua sposa

Un usciere di corte

Un paggio della Duchessa

Cavalieri, Dame, Paggi, Alabardieri

La scena si finge nella città di Mantova e suoi dintorni. Epoca, il secolo XVI.

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Giuseppe Bertoja, Estremità più deserta d’una via cieca. Bozzetto per la prima rappresentazione di Rigoletto(I.7). Venezia, Teatro La Fenice, 11 marzo 1851. Matita, penna e acquerello. Pordenone, Civico MuseoRicchieri.

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ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

Sala magnifica nel Palazzo Ducale con porte nelfondo che mettono ad altre Sale, pure splendida-mente illuminate; folla di Cavalieri e Dame ingran costume nel fondo delle sale; Paggi che vannoe vengono. La festa è nel suo pieno. Musica internada lontano e scrosci di risa di tratto in tratto.Il Duca e Borsa che vengono da una porta delfondo.

DUCA

Della mia bella incognita borgheseToccare il fin dell’avventura io voglio.

BORSA

Di quella giovin che vedete al tempio?

DUCA

Da tre lune ogni festa.

BORSA

La sua dimora?

DUCA

In un remoto calle;Misterioso un uom v’entra ogni notte.

BORSA

E sa colei chi siaL’amante suo?

DUCA

Lo ignora.

(Un gruppo di Dame e Cavalieri attraversano lasala.)

BORSA

Quante beltà!… Mirate.

DUCA

Le vince tutte di Cepran la sposa.

BORSA

(piano)Non v’oda il Conte, o Duca…

DUCA

A me che importa?

BORSA

Dirlo ad altra ei potria…

DUCA

Né sventura per me certo saria…Questa o quella per me pari sono

A quant’altre d’intorno mi vedo;Del mio core l’impero non cedoMeglio ad una che ad altra beltà.

La costoro avvenenza è qual donoDi che il fato ne infiora la vita;S’oggi questa mi torna graditaForse un’altra doman lo sarà.

La costanza, tiranna del core,Detestiamo qual morbo crudele.Sol chi vuole si serbi fedele;Non v’ha amor, se non v’è libertà.

De’ mariti il geloso furore,Degli amanti le smanie derido;Anco d’Argo i cent’occhi disfidoSe mi punge una qualche beltà.

SCENA SECONDA

Detti, il conte di Ceprano che segue da lungi lasua sposa servita da altro Cavaliere, Dame e Si-gnori che entrano da varie parti.

DUCA

(alla signora di Ceprano movendo ad incontrar-la con molta galanteria)Partite?… Crudele!

CONTESSA DI CEPRANO

Seguire lo sposoM’è forza a Ceprano.

DUCA

Ma dee luminosoIn corte tal astro qual sorte brillar.Per voi qui ciascuno dovrà palpitar.Per voi già possente la fiamma d’amoreInebria, conquide, distrugge il mio core.

(con enfasi baciandole la mano)

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CONTESSA DI CEPRANO

Calmatevi…

DUCA

No.

(Le dà il braccio ed esce con lei.)

SCENA TERZA

Detti, e Rigoletto che s’incontra nel signor di Ce-prano, poi Cortigiani.

RIGOLETTO

In testa che avete,Signor di Ceprano?

(Ceprano fa un gesto d’impazienza e segue ilDuca.)

RIGOLETTO

(ai Cortigiani)Ei sbuffa, vedete?

CORO

Che festa!

RIGOLETTO

Oh sì…

BORSA E CORO

Il Duca qui pur si diverte!…

RIGOLETTO

Così non è sempre? Che nuove scoperte!Il giuoco ed il vino, le feste, la danza,Battaglie, conviti, ben tutto gli sta.Or della Contessa l’assedio egli avanza.E intanto il marito fremendo ne va.

(Esce.)

SCENA QUARTA

Detti e Marullo premuroso.

MARULLO

Gran Nuova! Gran nuova!

CORO

Che avvenne? Parlate!

MARULLO

Stupir ne dovrete…

CORO

Narrate, narrate…

MARULLO

(ridendo)Ah! ah!… Rigoletto…

CORO

Ebben?

MARULLO

Caso enorme!…

CORO

Perduto ha la gobba? Non è più difforme?…

MARULLO

Più strana è la cosa!… Il pazzo possiede…

CORO

Infine?

MARULLO

Un’amante!

CORO

Amante! Chi il crede?

MARULLO

Il gobbo in Cupido or s’è trasformato.

CORO

Quel mostro Cupido… Cupido beato!…

SCENA QUINTA

Detti ed il Duca seguito da Rigoletto, poi da Ce-prano.

DUCA

(a Rigoletto)Ah, più di Ceprano importuno non v’è!…La cara sua sposa è un angiol per me!

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RIGOLETTO

Rapitela.

DUCA

È detto; ma il farlo?

RIGOLETTO

Stasera.

DUCA

Né pensi tu al Conte?

RIGOLETTO

Non c’è la prigione?

DUCA

Ah, no.

RIGOLETTO

Ebben… l’esilia…

DUCA

Nemmeno, buffone.

RIGOLETTO

Adunque la testa…

(indicando di farla tagliare)

CEPRANO

(da sé)(Oh l’anima nera!)

DUCA

(battendo con la mano una spalla al Conte)Che di’, questa testa?…

RIGOLETTO

È ben naturale.Che far di tal testa?… A cosa ella vale?

CEPRANO

(infuriato, brandendo la spada)Marrano!

DUCA

(a Ceprano)Fermate…

RIGOLETTO

Da rider mi fa.

CORO

(tra loro)In furia è montato!

DUCA

(a Rigoletto)Buffone, vien qua.

Ah, sempre tu spingi lo scherzo all’estremo.Quell’ira che sfidi colpir ti potrà.

RIGOLETTO

Che coglier mi puote? Di loro non temo,Del Duca un protetto nessun toccherà.

CEPRANO

(ai Cortigiani a parte)Vendetta del pazzo!…

CORO

Contr’esso un rancorePe’ tristi suoi moti, di noi chi non ha?

CEPRANO

Vendetta.

CORO

Ma come?

CEPRANO

Stanotte, chi ha coreSia in armi da me.

TUTTI

Sì.

CEPRANO

A notte.

TUTTI

Sarà.

(La folla dei danzatori invade la scena.)

Tutto è gioia, tutto è festa,Tutto invitaci a goder!Oh, guardate, non par questaOr la reggia del piacer?

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SCENA SESTA

Detti e il conte di Monterone.

MONTERONE

(dall’interno)Ch’io gli parli.

DUCA

No.

MONTERONE

(entrando)Il voglio.

TUTTI

Monterone!

MONTERONE

(fissando il Duca, con nobile orgoglio)Sì, Monteron… la voce mia qual tuonoVi scuoterà dovunque…

RIGOLETTO

(al Duca)Ch’io gli parli.

(Si avanza con ridicola gravità.)

Voi congiuraste contro noi, signore,E noi, clementi in vero, perdonammo…Qual vi piglia or delirio... a tutte l’oreDi vostra figlia reclamar l’onore?

MONTERONE

(guardando Rigoletto con ira sprezzante)Novello insulto!… Ah sì, a turbare

(al Duca)

Sarò vostr’orgie… verrò a gridare,Fino a che vegga restarsi inultoDi mia famiglia l’atroce insulto.E se al carnefice pur mi dareteSpettro terribile mi rivedretePortante in mano il teschio mioVendetta chiedere al mondo e a Dio.

DUCA

Non più, arrestatelo.

RIGOLETTO

È matto.

CORO

Quai detti!

MONTERONE

(al Duca e Rigoletto)Oh, siate entrambi voi maledetti.Slanciare il cane al leon morenteÈ vile, o duca…

(a Rigoletto)

e tu serpente,Tu che d’un padre ridi al dolore,Sii maledetto.

RIGOLETTO

(da sé, colpito)(Che sento! Orrore!)

TUTTI

(meno Rigoletto)O tu che la festa audace hai turbato,

Da un genio d’inferno qui fosti guidato;È vano ogni detto, di qua t’allontana,Va, trema, o vegliardo, dell’ira sovrana…Tu l’hai provocata, più speme non v’è.Un’ora fatale fu questa per te.

(Monterone parte fra due alabardieri; tutti gli al-tri seguono il Duca in un’altra stanza.)

SCENA SETTIMA

L’estremità più deserta d’una via cieca. A sini-stra una casa di discreta apparenza con una pic-cola corte circondata da muro. Nella corte ungrosso ed alto albero ed un sedile di marmo; nelmuro, una porta che mette alla strada; sopra ilmuro un terrazzo praticabile, sostenuto da arca-te. La porta del primo piano dà sul dettoterrazzo. A destra della via è il muro altissimodel giardino, e un fianco del palazzo di Ceprano.È notte.Rigoletto chiuso nel suo mantello; Sparafucilelo segue, portando sotto il mantello una lungaspada.

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RIGOLETTO

(Quel vecchio maledivami!)

SPARAFUCILE

Signor?…

RIGOLETTO

Va, non ho niente.

SPARAFUCILE

Né il chiesi… a voi presenteUn uom di spada sta.

RIGOLETTO

Un ladro?

SPARAFUCILE

Un uom che liberaPer poco da un rivale,E voi ne avete…

RIGOLETTO

Quale?

SPARAFUCILE

La vostra donna è là.

RIGOLETTO

(Che sento!) E quanto spenderePer un signor dovrei?

SPARAFUCILE

Prezzo maggior vorrei…

RIGOLETTO

Com’usasi pagar?

SPARAFUCILE

Una metà s’anticipa,Il resto si dà poi…

RIGOLETTO

(Demonio!) E come puoiTanto securo oprar?

SPARAFUCILE

Soglio in cittade uccidere,Oppure nel mio tetto.L’uomo di sera aspetto...Una stoccata e muor.

RIGOLETTO

E come in casa?

SPARAFUCILE

È facile…M’aiuta mia sorella…Per le vie danza… è bella…Chi voglio attira… e allor…

RIGOLETTO

Comprendo.

SPARAFUCILE

Senza strepito…È questo il mio stromento

(Mostra la spada.)

Vi serve?

RIGOLETTO

No… al momento.

SPARAFUCILE

Peggio per voi…

RIGOLETTO

Chi sa?…

SPARAFUCILE

Sparafucil mi nomino…

RIGOLETTO

Straniero?

SPARAFUCILE

(per andarsene)Borgognone…

RIGOLETTO

E dove all’occasione?…

SPARAFUCILE

Qui sempre a sera.

RIGOLETTO

Va.

(Sparafucile parte.)

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SCENA OTTAVA

RIGOLETTO

(guardando dietro a Sparafucile)Pari siamo!… io la lingua, egli ha il pugnale;L’uomo son io che ride, ei quel che spegne!Quel vecchio maledivami!…O uomini!... o natura!…Vil scellerato mi faceste voi!…Oh rabbia!… esser difforme!… esser buffone…Non dover, non poter altro che ridere!…Il retaggio d’ogni uom m’è tolto… il pianto!…Questo padrone mio,Giovin, giocondo, sì possente, bello,Sonnecchiando mi dice:Fa’ ch’io rida, buffone…Forzarmi deggio e farlo!… Oh dannazione!…Odio a voi, cortigiani schernitori!Quanta in mordervi ho gioia!Se iniquo son, per cagion vostra è solo…Ma in altr’uom qui mi cangio!…Quel vecchio maledivami!… tal pensieroPerché conturba ognior la mente mia?...Mi coglierà sventura?… Ah, no, è follia…

(Apre con chiave ed entra nel cortile.)

SCENA NONA

Detto e Gilda ch’esce dalla casa e si getta nellesue braccia.

RIGOLETTO

Figlia!…

GILDA

Mio padre!

RIGOLETTO

A te dappressoTrova sol gioia il core oppresso.

GILDA

Oh, quanto amore!

RIGOLETTO

Mia vita sei!Senza te in terra qual bene avrei?

(Sospira.)

GILDA

Voi sospirate!… che v’ange tanto?Lo dite a questa povera figlia…Se v’ha mistero… per lei sia franto…Ch’ella conosca la sua famiglia.

RIGOLETTO

Tu non ne hai…

GILDA

Qual nome avete?

RIGOLETTO

A te che importa?

GILDA

Se non voleteDi voi parlarmi…

RIGOLETTO

(interrompendola)Non uscir mai.

GILDA

Non vo che al tempio.

RIGOLETTO

Oh, ben tu fai.

GILDA

Se non di voi, almen chi siaFate ch’io sappia la madre mia.

RIGOLETTO

Deh, non parlare al miseroDel suo perduto bene…Ella sentia, quell’angelo,Pietà delle mie pene…Solo, difforme, povero,Per compassion mi amò.

Morìa… le zolle copranoLievi quel capo amato...Sola or tu resti al misero…O Dio, sii ringraziato!…

GILDA

(singhiozzando)Quanto dolor!… Che spremereSì amaro pianto può?

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Padre, non più, calmatevi…Mi lacera tal vista…Il nome vostro ditemi,Il duol che sì v’attrista…

RIGOLETTO

A che nomarmi? è inutile!…Padre ti sono, e basti…Me forse al mondo temono,D’alcuno ho forse gli asti…

Altri mi maledicono…

GILDA

Patria, parenti, amici,Voi dunque non avete?

RIGOLETTO

Patria!… parenti!… dici?

(con effusione)

Culto, famiglia, patria,Il mio universo è in te!

GILDA

Ah, se può lieto rendervi,Gioia è la vita a me!

Già da tre lune son qui venuta,Né la cittade ho ancor veduta;Se il concedete, farlo or potrei…

RIGOLETTO

Mai!… mai!… uscita, dimmi, unqua sei?

GILDA

No.

RIGOLETTO

Guai!

GILDA

(Che dissi!)

RIGOLETTO

Ben te ne guarda!(Potrien seguirla, rapirla ancora!Qui d’un buffone si disonoraLa figlia, e ridesi… Orror!) Olà?

(verso la casa)

SCENA DECIMA

Detti e Giovanna dalla casa.

GIOVANNA

Signor?

RIGOLETTO

Venendo mi vide alcuno?Bada, di’ il vero…

GIOVANNA

Ah, no, nessuno.

RIGOLETTO

Sta ben… la porta che dà al bastioneÈ sempre chiusa?

GIOVANNA

Lo fu e sarà.

RIGOLETTO

(a Giovanna)Veglia, o donna, questo fioreChe a te puro confidai;Veglia attenta, e non sia maiChe s’offuschi il suo candor.

Tu dei venti dal furoreCh’altri fiori hanno piegato,Lo difendi, e immacolatoLo ridona al genitor.

GILDA

Quanto affetto!… Quali cure!Che temete, padre mio?Lassù in cielo, presso Dio,Veglia un angiol protettor.

Da noi toglie le sventureDi mia madre il priego santo;Non fia mai divelto o frantoQuesto a voi diletto fior.

SCENA UNDECIMA

Detti e il Duca in costume borghese dalla strada.

RIGOLETTO

Alcuno v’è fuori…

(Apre la porta della corte e, mentre esce a guar-

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dar sulla strada, il Duca guizza furtivo nella cor-te e si nasconde dietro l’albero gettando a Gio-vanna una borsa la fa tacere.)

GILDA

Cielo!Sempre novel sospetto…

RIGOLETTO

(a Gilda, tornando)Alla chiesa vi seguiva mai nessuno?

GILDA

Mai.

DUCA

(Rigoletto!)

RIGOLETTO

Se talor qui picchianoGuardatevi da aprir…

GIOVANNA

Nemmeno al Duca?

RIGOLETTO

Meno che a tutti a lui… Mia figlia, addio.

DUCA

(Sua figlia!)

GILDA

Addio, mio padre.

(S’abbracciano e Rigoletto parte chiudendosidietro la porta.)

SCENA DODICESIMA

Gilda, Giovanna, il Duca nella corte, poi Cepra-no e Borsa a tempo sulla via.

GILDA

Giovanna, ho dei rimorsi…

GIOVANNA

E perché mai?

GILDA

Tacqui che un giovin ne seguiva al tempio.

GIOVANNA

Perché ciò dirgli? L’odïate dunqueCotesto giovin voi?

GILDA

No, no, ché troppo è bello e spira amore…

GIOVANNA

E magnanimo sembra e gran signore.

GILDA

Signor né principe - io lo vorrei;Sento che povero - più l’amerei.Sognando o vigile - sempre lo chiamo,E l’alma in estasi - gli dice: t’a…

DUCA

(Esce improvviso, fa cenno a Giovanna d’andar-sene, e inginocchiandosi ai piedi di Gilda termi-na la frase.)

T’amo!T’amo; ripetilo - sì caro accentoUn puro schiudimi - ciel di contento!

GILDA

Giovanna?… Ahi, misera! - non v’è più alcunoChe qui rispondami!… – Oh Dio!… nessuno!...

DUCA

Son io coll’anima - che ti rispondo…Ah, due che s’amano - son tutto un mondo!...

GILDA

Chi mai, chi giungere - vi fece a me?

DUCA

S’angelo o demone - che importa a te?Io t’amo…

GILDA

Uscitene.

DUCA

Uscire!… Adesso!…Ora che accendene - un fuoco istesso!Ah, inseparabile - d’amore il DioStringeva, o vergine, - tuo fato al mio!

È il sol dell’anima, - la vita è amore,

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Sua voce è il palpito - del nostro core…E fama e gloria, - potenza e trono.Terrene, fragili - cose qui sono.Una pur avvene - sola, divina,È amor che agli angeli - più ne avvicina!Adunque amiamoci, - donna celeste,D’invidia agli uomini - sarò per te.

GILDA

(Ah, de’ miei vergini - sogni son questeLe voci tenere - sì care a me!)

DUCA

Che m’ami, deh, ripetimi.

GILDA

L’udiste.

DUCA

Oh, me felice!

GILDA

Il nome vostro ditemi…Saperlo non mi lice?

CEPRANO

Il loco è qui…

(a Borsa dalla via)

DUCA

(pensando)Mi nomino…

BORSA

Sta ben…

(a Ceprano e partono)

DUCA

Gualtier Maldè…Studente sono… povero…

GIOVANNA

(tornando spaventata)Rumor di passi è fuore…

GILDA

Forse mio padre…

DUCA

(Ah, coglierePotessi il traditoreChe sì mi sturba!)

GILDA

(a Giovanna)Adducilo

Di qua al bastione… ite…

DUCA

Di’, m’amerai tu?

GILDA

E voi?

DUCA

L’intera vita… poi…

GILDA

Non più… non più… partite.

a 2Addio… speranza ed anima

Sol tu sarai per me.Addio… vivrà immutabile

L’affetto mio per te.

(Il Duca entra in casa scortato da Giovanna. Gil-da resta fissando la porta ond’è partito.)

SCENA TREDICESIMA

GILDA

Gualtier Maldè… nome di lui sì amato,Ti scolpisci nel core innamorato!Caro nome che il mio corFesti primo palpitar,Le delizie dell’amorMi dei sempre rammentar!Col pensiero il mio desirA te sempre volerà,E fin l’ultimo sospir,Caro nome, tuo sarà.

(Entra in casa e comparisce sul terrazzo con unalanterna per vedere anco una volta il credutoGualtiero, che si suppone partito dall’altra par-te.)

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SCENA QUATTORDICESIMA

Marullo, Ceprano, Borsa, Cortigiani, armati emascherati dalla via. Sul terrazzo Gilda che tostorientra.

BORSA

(indicando Gilda al Coro)E là…

CEPRANO

Miratela.

CORO

Oh, quanto è bella!

MARULLO

Par fata od angiol.

CORO

L’amante è quellaDi Rigoletto.

SCENA QUINDICESIMA

Detti e Rigoletto concentrato.

RIGOLETTO

(Riedo!… perché?)

BORSA

Silenzio… all’opra… badate a me.

RIGOLETTO

(Ah, da quel vecchio fui maledetto!!)

(Urta in Borsa.)

Chi è la?

BORSA

(ai compagni)Tacete… c’è Rigoletto.

CEPRANO

Vittoria doppia! l’uccideremo.

BORSA

No, ché domani più rideremo.

MARULLO

Or tutto aggiusto…

RIGOLETTO

(Chi parla qua?)

MARULLO

Ehi, Rigoletto?… Di’?

RIGOLETTO

(con voce terribile)Chi va là?

MARULLO

Eh, non mangiarci… Son…

RIGOLETTO

Chi?

MARULLO

Marullo.

RIGOLETTO

In tanto buio lo sguardo è nullo.

MARULLO

Qui ne condusse ridevol cosa…Tôrre a Ceprano vogliam la sposa…

RIGOLETTO

(Ohimè respiro!…) Ma come entrare?

MARULLO

(a Ceprano)La vostra chiave?

(a Rigoletto)Non dubitare.

Non dee manciarci lo stratagemma…

(Gli dà la chiave avuta da Ceprano)

Ecco le chiavi…

RIGOLETTO

(palpando)Sento il suo stemma.

(Ah, terror vano fu dunque il mio!)

(respirando)

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N’è là il palazzo… con voi son io.

MARULLO

Siam mascherati…

RIGOLETTO

Ch’io pur mi mascheri!A me una larva.

MARULLO

Sì, pronta è già.(Gli mette una maschera e nello stesso tempo lobenda con un fazzoletto, e lo pone a regger unascala, che avranno appostata al terrazzo.)

Terrai la scala…

RIGOLETTO

Fitta è la tenebra.

MARULLO

(ai compagni)La benda cieco e sordo il fa.

TUTTI

Zitti, zitti, muoviamo a vendetta,Ne sia côlto or che meno l’aspetta.Derisore sì audace costanteA sua volta schernito sarà!…Cheti, cheti, rubiamgli l’amanteE la Corte doman riderà.

(Alcuni salgono al terrazzo, rompono la portadel primo piano, scendono, aprono ad altri cheentrano dalla strada e riescono trascinando Gilda, la quale avrà la bocca chiusa da un fazzo-letto. Nel traversare la scena ella perde unasciarpa.)

GILDA

(da lontano)Soccorso, padre mio!

CORO

(come sopra)Vittoria!

GILDA

(più lontano)Aita!

RIGOLETTO

Non han finito ancor!… qual derisione!…

(Si tocca gli occhi.)

Sono bendato!…

(Si strappa impetuosamente la benda e la ma-schera, ed al chiarore d’una lanterna scordatariconosce la sciarpa, vede la porta aperta: entra,ne trae Giovanna spaventata; la fissa con istupo-re, si strappa i capelli senza poter gridare; final-mente dopo molti sforzi esclama:)

Ah! la maledizione!!

(Sviene.)

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Giuseppe Bertoja, Salotto nel palazzo ducale. Bozzetto per la prima rappresentazione di Rigoletto (II.1).Venezia, Teatro La Fenice, 11 marzo 1851. Matita e penna. Pordenone, Civico Museo Ricchieri.

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ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Salotto nel Palazzo Ducale. Vi sono due porte la-terali, una maggiore nel fondo che si schiude. Aisuoi lati pendono i ritratti, in tutta figura, a sini-stra del Duca, a destra della sua sposa. V’ha unseggiolone presso una tavola coperta di velluto.Il Duca dal mezzo, agitato.

Ella mi fu rapita!E quando, o ciel… ne’ brevi istanti, prima Che il mio presagio internoSull’orma corsa ancora mi spingesse!...Schiuso era l’uscio! La magion deserta!E dove ora sarà quell’angiol caro?Colei che poté prima in questo coreDestar la fiamma di costanti affetti?Colei sì pura, al cui modesto accentoQuasi tratto a virtù talor mi credo!...Ella mi fu rapita!E chi l’ardiva?… ma ne avrò vendetta…Lo chiede il pianto della mia diletta.

Parmi veder le lagrimeScorrenti da quel ciglio,Quando fra il dubbio e l’ansiaDel sùbito periglio,Dell’amor nostro memoreIl suo Gualtier chiamò.

Né ei potea soccorrerti,Cara fanciulla amata;Ei che vorria coll’animaFarti quaggiù beata;Ei che le sfere agli angeliPer te non invidiò.

SCENA SECONDA

Marullo, Ceprano, Borsa ed altri Cortigiani dalmezzo.

TUTTI

Duca, duca!

DUCA

Ebben?TUTTI

L’amanteFu rapita a Rigoletto.

DUCA

Come! E d’onde?

TUTTI

Dal suo tetto.

DUCA

Ah! ah! Dite, come fu?

(Siede.)

TUTTI

Scorrendo uniti remota viaBrev’ora dopo caduto il dì;Come previsto ben s’era in priaRara beltade ci si scoprì.Era l’amante di RigolettoChe vista appena si dileguò.Già di rapirla s’avea il progetto,Quando il buffone vêr noi spuntò;Che di Ceprano noi la contessaRapir volessimo, stolto credé;La scala quindi all’uopo messa,Bendato, ei stesso ferma tené.Salimmo e rapidi la giovinettaCi venne fatto quinci asportar.Quand’ei s’accorse della vendettaRestò scornato ad imprecar.

DUCA

(O cielo!… È dessa! la mia diletta!…Ah, tutto il cielo non mi rapì!)

(al Coro)

Ma dove or trovasi la poveretta?

TUTTI

Fu da noi stessi addotta or qui.

DUCA

(alzandosi con gioia)(Possente amor mi chiama,

Volar io deggio a lei:Il serto mio dareiPer consolar quel cor.

Ah! sappia alfin chi l’ama,Conosca appien chi sono,

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Apprenda ch’anco in tronoHa degli schiavi Amor.)

(Esce frettoloso dal mezzo.)

TUTTI

Oh! Qual pensier or l’agita?Come cangiò d’umor!

SCENA TERZA

Marullo, Ceprano, Borsa ed altri Cortigiani, poi,dalla destra, Rigoletto, che entra cantarellandocon represso dolore.

MARULLO

Povero Rigoletto!

CORO

Ei vien… Silenzio.

TUTTI

Buon giorno, Rigoletto…

RIGOLETTO

(Han tutti fatto il colpo!)

CEPRANO

Ch’hai di nuovo? Buffon?

RIGOLETTO

Che dell’usatoPiù noioso voi siete.

TUTTI

Ah! ah! ah!

RIGOLETTO

(spiando inquieto dovunque)(Dove l’avran nascosta?…)

TUTTI

(Guardate com’è inquieto!)

RIGOLETTO

(a Marullo)Son felice

Che nulla a voi nuocesseL’aria di questa notte…

MARULLO

Questa notte!…

RIGOLETTO

Sì… Ah, fu il bel colpo!…

MARULLO

S’ho dormito sempre!

RIGOLETTO

Ah, voi dormiste!… avrò dunque sognato!

(S’allontana e vedendo un fazzoletto sopra unatavola ne osserva inqueto la cifra.)

TUTTI

(Ve’ come tutto osserva!)

RIGOLETTO

(gettandolo)(Non è il suo.)

Dorme il Duca tuttor?

TUTTI

Sì, dorme ancora.

SCENA QUARTA

Detti e un Paggio alla Duchessa.

PAGGIO

Al suo sposo parlar vuol la duchessa.

CEPRANO

Dorme.

PAGGIO

Qui or or con voi non era?

BORSA

È a caccia.

PAGGIO

Senza paggi!… senz’armi!…

TUTTI

E non capisciChe per ora vedere non può alcuno?RIGOLETTO

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(che a parte è stato attentissimo al dialogo, bal-zando improvvisamente tra loro prorompe:)Ah, ell’è qui dunque!… Ell’è col Duca!…

TUTTI

Chi?

RIGOLETTO

La giovin che stanotteAl mio tetto rapiste.Ma la saprò riprender… Ella è là…

TUTTI

Se l’amante perdesti, la ricercaAltrove.

RIGOLETTO

Io vo’ mia figlia!…

TUTTI

La sua figlia!

RIGOLETTO

Sì, la mia figlia… d’una tal vittoriaChe?… Adesso non ridete?…Ella è là… la vogl’io… la renderete.

(Corre verso la porta di mezzo, ma i Cortigianigli attraversano il passaggio.)

Cortigiani, vil razza dannata,Per qual prezzo vendeste il mio bene?A voi nulla per l’oro sconviene,Ma mia figlia è impagabil tesor.La rendete… o, se pur disarmata,Questa man per voi fora cruenta;Nulla in terra più l’uomo paventa,Se dei figli difende l’onor.

Quella porta, assassini, m’aprite:

(Si getta ancora sulla porta che gli è nuovamen-te contesa dai gentiluomini; lotta alquanto, poiritorna spossato sul davanti del teatro.)

Ah! Voi tutti a me contro venite!

(Piange.)

Ebben, piango, Marullo… signore,Tu ch’ai l’alma gentil come il core,Dimmi tu dove l’hanno nascosta?

È là?… È vero?… tu taci!… perché?…Miei signori… perdono, pietate…

Al vegliardo la figlia ridate…Ridonarla a voi nulla ora costa,Tutto il mondo è tal figlia per me.

SCENA QUINTA

Detti e Gilda, ch’esce dalla stanza a sinistra e sigetta nelle paterne braccia.

GILDA

Mio padre!

RIGOLETTO

Dio! Mia Gilda!Signori, in essa è tuttaLa mia famiglia… Non temer più nulla,Angelo mio… fu scherzo, non è vero?…

(ai Cortigiani)

Io che pur piansi or rido… E tu a che piangi?…

GILDA

Ah, l’onta, padre mio!

RIGOLETTO

Cielo! Che dici?

GILDA

Arrossir voglio innanzi a voi soltanto…

RIGOLETTO

(rivolto ai Cortigiani con imperioso modo:)Ite di qua voi tutti…Se il duca vostro d’appressarsi osasse,Che non entri, gli dite, e ch’io ci sono.

(Si abbandona sul seggiolone.)

TUTTI

(fra loro)(Co’ fanciulli e coi dementi

Spesso giova il simular.Partiam pur, ma quel ch’ei tentiNon lasciamo d’osservar.)

(Escono dal mezzo e chiudono la porta.)SCENA SESTA

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Gilda e Rigoletto.

RIGOLETTO

Parla… siam soli.

GILDA

(Ciel! dammi coraggio!)Tutte le feste al tempio

Mentre pregava Iddio,Bello e fatale un giovaneS’offerse al guardo mio…Se i labbri nostri tacqueroDagli occhi il cor parlò.

Furtivo fra le tenebreSol ieri a me giungeva…Sono studente, povero,Commosso, mi diceva,E con ardente palpitoAmor mi protestò.

Partì… il mio core aprivasiA speme più gradita,Quando improvvisi apparveroColor che m’han rapita,E a forza qui m’addusseroNell’ansia più crudel.

RIGOLETTO

(Solo per me l’infamiaA te chiedeva, o Dio…Ch’ella potesse ascendereQuanto caduto er’io…Ah, presso del patiboloBisogna ben l’altare!...Ma tutto ora scompareL’altar si rovesciò!)

Piangi, fanciulla, e scorrereFa il pianto sul mio cor.

GILDA

Padre, in voi parla un angeloPer me consolator.

RIGOLETTO

Compiuto pur quanto a fare mi restaLasciare potremo quest’aura funesta.

GILDA

Sì.RIGOLETTO

(E tutto un sol giorno cangiare poté!)

SCENA SETTIMA

Detti un Usciere e il conte di Monterone, chedalla destra attraversa il fondo della sala fra glialabardieri.

USCIERE

(alle guardie)Schiudete… ire al carcere Monteron dee.

MONTERONE

(fermandosi verso il ritratto)Poiché fosti invano da me maledetto,Né un fulmine o un ferro colpiva il tuo petto,Felice pur anco, o duca, vivrai.

(Esce fra le guardie dal mezzo.)

RIGOLETTO

No, vecchio, t’inganni… un vindice avrai.

SCENA OTTAVA

Rigoletto e Gilda.

RIGOLETTO

(con impeto, vôlto al ritratto)Sì, vendetta, tremenda vendetta,

Di quest’anima è solo desio…Di punirti già l’ora s’affretta,Che fatale per te suonerà.

Come fulmin scagliato da DioIl buffone colpirti saprà.

GILDA

O mio padre, qual gioia feroceBalenarvi negli occhi vegg’io!Perdonate… a noi pure una voceDi perdono dal cielo verrà.

(Mi tradiva, pur l’amo; gran Dio,Per l’ingrato ti chiedo pietà!)

(Escono dal mezzo.)

ATTO TERZO30

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Giuseppe Bertoja, Deserta sponda del Mincio. Bozzetto per la prima rappresentazione di Rigoletto (III.1).Venezia, Teatro La Fenice, 11 marzo 1851. Matita e penna. Pordenone, Civico Museo Ricchieri.

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Giuseppe Bertoja, Deserta sponda del Mincio. Bozzetto per la prima rappresentazione di Rigoletto (III.1).Venezia, Teatro La Fenice, 11 marzo 1851. Matita, penna e acquerello. Pordenone, Civico Museo Ricchieri.

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SCENA PRIMA

Deserta sponda destra del Mincio. A sinistra èuna casa in due piani, mezza diroccata, la cuifronte, volta allo spettatore, lascia vedere peruna grande arcata l’interno d’una rustica osteriaal pian terreno, ed una rozza scala che mette algranaio, entro cui, da un balcone senza imposte,si vede un lettuccio. Nella facciata che guarda lastrada è una porta che s’apre per di dentro; ilmuro poi è sì pieno di fessure, che dal di fuori sipuò facilmente scorgere quanto avviene nell’in-terno. Il resto del teatro rappresenta la desertaparte del Mincio, che nel fondo scorre dietro unparapetto in mezza ruina; di là dal fiume è Man-tova. È notte.

Gilda e Rigoletto inquieto, sono sulla strada.Sparafucile nell’interno dell’osteria, seduto pres-so una tavola, sta ripulendo il suo cinturone sen-za nulla intendere di quanto accade al di fuori.

RIGOLETTO

E l’ami?

GILDA

Sempre.

RIGOLETTO

PureTempo a guarirne t’ho lasciato.

GILDA

Io l’amo.

RIGOLETTO

Povero cor di donna!... Ah, il vile infame!…Ma avrai vendetta, o Gilda…

GILDA

Pietà, mio padre…

RIGOLETTO

E se tu certa fossiCh’ei ti tradisse, l’ameresti ancora?

GILDA

Non so, ma pur m’adora.

RIGOLETTO

Egli?…

GILDA

Sì.

RIGOLETTO

Ebbene, osserva dunque.

(La conduce presso una delle fessure del muro,ed ella vi guarda.)

GILDA

Un uomoVedo.

RIGOLETTO

Per poco attendi.

SCENA SECONDA

Detti, ed il Duca, che in assisa di semplice uffi-ciale di cavalleria, entra nella sala terrena peruna porta a sinistra.

GILDA

(trasalendo)Ah, padre mio!

DUCA

(a Sparafucile)Due cose e tosto…

SPARAFUCILE

Quali?

DUCA

Una stanza e del vino…

RIGOLETTO

(Son questi i suoi costumi!)

SPARAFUCILE

(Oh, il bel zerbino!)

(Entra nella stanza vicina.)

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DUCA

La donna è mobileQual piuma al vento,Muta d’accento - e di pensiero.

Sempre un amabileLeggiadro viso,In pianto o in riso, - è menzogner.

È sempre miseroChi a lei s’affida,Chi le confida, - mal cauto il cor!

Pur mai non sentesiFelice appienoChi su quel seno, - non liba amor!

SPARAFUCILE

(Rientra con una bottiglia di vino e due bicchie-ri che depone sulla tavola; quindi batte col pomodella sua lunga spada due colpi al soffitto. A quelsegnale una ridente giovane, in costume di zin-gara, scende a salti la scala. Il Duca corre per ab-bracciarla, ma ella gli sfugge. Frattanto Sparafu-cile, uscito sulla via, dice a parte a Rigoletto:)È là il vostr’uomo… viver dee o morire?

RIGOLETTO

Più tardi tornerò l’opra a compire.

(Sparafucile si allontana dietro la casa verso ilfiume.)

SCENA TERZA

Gilda e Rigoletto sulla via, il Duca e Maddalenanel piano terreno.

DUCA

Un dì, se ben rammentomi,O bella, t’incontrai…Mi piacque di te chiedereE intesi che qui stai.Or sappi, che d’alloraSol te quest’alma adora.

MADDALENA

Ah ah!… e vent’altre appressoLe scorda forse adesso?Ha un’aria il signorinoDa vero libertino…

DUCA

Sì… un mostro son…

(per abbracciarla)

MADDALENA

Lasciatemi,Stordito.

DUCA

Eh, che fracasso!

MADDALENA

Stia saggio.

DUCA

E tu sii docile,Non farmi tanto chiasso.Ogni saggezza chiudesiNel gaudio e nell’amore.

(Le prende la mano.)

La bella mano candida!

MADDALENA

Scherzate, voi signore.

DUCA

No, no.

MADDALENA

Son brutta.

DUCA

Abbracciami.

MADDALENA

Ebro…

DUCA

D’amore ardente.

MADDALENA

Signor, l’indifferenteVi piace canzonar?

DUCA

No, no, ti vo’ sposar…

MADDALENA

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Ne voglio la parola…

DUCA

(ironico)Amabile figliuola!

RIGOLETTO

(a Gilda che avrà tutto osservato ed inteso)E non ti basta ancor?…

GILDA

Iniquo traditor!

DUCA

Bella figlia dell’amore,Schiavo son de’ vezzi tuoi;Con un detto sol tu puoiLe mie pene consolar.

Vieni e senti del mio coreIl frequente palpitar.

MADDALENA

Ah! ah! Rido ben di core,Ché tai baie costan poco;Quanto valga il vostro giuocoMel credete, so apprezzar.

Sono avvezza, bel signore,Ad un simile scherzar.

GILDA

Ah, così parlar d’amoreA me pur l’infame ho udito!Infelice cor tradito,Per angoscia non scoppiar.

Perché, o credulo mio core,Un tal uom dovevi amar?

RIGOLETTO

(a Gilda)Taci, il pianger non vale;

Ch’ei mentiva or sei secura…Taci e mia sarà la curaLa vendetta d’affrettar.

Pronta fia, sarà fatale;Io saprollo fulminar.M’odi, ritorna a casa…Oro prendi, un destriero,Una veste viril che t’apprestai,E per Verona parti…Sarovvi io pur domani…

GILDA

Or venite…

RIGOLETTO

Impossibil.

GILDA

Tremo.

RIGOLETTO

Va.

(Gilda parte.)(Durante questa scena e la seguente il Duca eMaddalena stanno fra loro parlando, ridendo,bevendo. Partita Gilda, Rigoletto va dietro la ca-sa e ritorna parlando con Sparafucile e contan-dogli delle monete.)

SCENA QUARTA

Sparafucile, Rigoletto, il Duca, e Maddalena.

RIGOLETTO

Venti scudi hai tu detto? Eccone dieci;E dopo l’opra il resto.Ei qui rimane?

SPARAFUCILE

Sì.

RIGOLETTO

Alla mezzanotteRitornerò.

SPARAFUCILE

Non cale;A gettarlo nel fiume basto io solo.

RIGOLETTO

No, no, il vo’ far io stesso…

SPARAFUCILE

Sia… il suo nome?

RIGOLETTO

Vuoi saper anco il mio?Egli è Delitto, Punizion son io.

(Parte: il cielo si oscura e tuona.)

SCENA QUINTA35

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Detti, meno Rigoletto.

SPARAFUCILE

La tempesta è vicina!…Più scura fia la notte.

DUCA

Maddalena?

(per prenderla)

MADDALENA

(sfuggendogli)Aspettate… mio fratello

Viene…

DUCA

Che importa?

(S’ode il tuono.)

MADDALENA

Tuona!

SPARAFUCILE

(entrando)E pioverà tra poco.

DUCA

Tanto meglio,Io qui mi tratterrò… tu dormiraiIn scuderia… all’inferno… ove vorrai…

SPARAFUCILE

Oh! grazie.

MADDALENA

(piano al Duca)(Ah no!… partite.)

DUCA

(a Maddalena)(Con tal tempo?)

SPARAFUCILE

(piano a Maddalena)(Son venti scudi d’oro.)

(al DucaBen felice

D’offrirvi la mia stanza... se a voi piaceTosto a vederla andiamo.

(Prende un lume e s’avvia per la scala.)

DUCA

Ebben, sono con te… presto, vediamo.

(Dice una parola all’orecchio di Maddalena e se-gue Sparafucile.)

MADDALENA

(Povero giovin!… grazïoso tanto!Dio!… qual notte è mai questa!)

DUCA

(giunto al granaio, vedendone il balcone senzaimposte)Si dorme all’aria aperta? bene, bene…Buona notte.

SPARAFUCILE

Signor, vi guardi Iddio…

DUCA

Breve sonno dormiam... stanco son io.

(Depone il cappello, la spada, e si stende sul let-to, dove in breve s’addormenta. Maddalena frat-tanto siede presso la tavola. Sparafucile bevedalla bottiglia lasciata dal Duca. Rimangono am-bidue taciturni per qualche istante, e preoccupa-ti da gravi pensieri.)

MADDALENA

È amabile invero cotal giovinotto.

SPARAFUCILE

Oh sì… venti scudi ne dà di prodotto…

MADDALENA

Sol venti!… son pochi!… valeva di più.

SPARAFUCILE

La spada, s’ei dorme, va, portami giù.

MADDALENA

(sale al granaio e contemplando il dormiente:)Peccato!...è pur bello!

(Ripara alla meglio il balcone e scende.)SCENA SESTA

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Detti e Gilda che comparisce nel fondo della viain costume virile, con stivali e speroni, e lenta-mente si avanza verso l’osteria, mentre Sparafu-cile continua a bere. Spessi lampi e tuoni.

GILDA

Ah, più non ragiono!…Amor mi trascina!… mio padre, perdono…

(Tuona.)

Qual notte d’orrore!... Gran Dio, che accadrà?

MADDALENA

(Sarà discesa ed avrà posata la spada del Ducasulla tavola.)Fratello?

GILDA

Chi parla?

(Osserva per la fessura.)

SPARAFUCILE

(frugando in un credenzone)Al diavol ten va.

MADDALENA

Somiglia un Apollo quel giovine… io l’amo…Ei m’ama… riposi… né più l’uccidiamo…

GILDA

Oh cielo!…

(ascoltando)

SPARAFUCILE

(gettandole un sacco)Rattoppa quel sacco!

MADDALENA

Perché?

SPARAFUCILE

Entr’esso il tuo Apollo, sgozzato da me,Gettar dovrò al fiume…

GILDA

L’inferno qui vedo!MADDALENA

Eppure il danaro salvarti scommettoSerbandolo in vita.

SPARAFUCILE

Difficile il credo.

MADDALENA

M’ascolta… anzi facil ti svelo un progetto.De’ scudi già dieci dal gobbo ne avesti;

Venire cogli altri più tardi il vedrai…Uccidilo, e venti allora ne avrai:Così tutto il prezzo goder si potrà.

SPARAFUCILE

Uccider quel gobbo!… Che diavol dicesti!Un ladro son forse? Son forse un bandito?Qual altro cliente da me fu tradito!…Mi paga quest’uomo… fedele m’avrà.

GILDA

Che sento!… mio padre!…

MADDALENA

Ah, grazia per esso!

SPARAFUCILE

È d’uopo ch’ei muoia…

MADDALENA

Fuggire il fo adesso.

(Va per salire.)

GILDA

Oh, buona figliola!

SPARAFUCILE

(trattenendola)Gli scudi perdiamo.

MADDALENA

È ver!…

SPARAFUCILE

Lascia fare…

MADDALENA

Salvarlo dobbiamo.

SPARAFUCILE

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Se pria ch’abbia il mezzo la notte toccatoAlcuno qui giunga, per esso morrà.

MADDALENA

È buia la notte, il ciel troppo irato,Nessuno a quest’ora di qui passerà.

GILDA

Oh, qual tentazione!… Morir per l’ingrato?Morire!… E mio padre!… oh cielo pietà!

(Battono le undici e mezzo.)

SPARAFUCILE

Ancor c’è mezz’ora.

MADDALENA

(piangendo)Attendi, fratello…

GILDA

Che! Piange tal donna!… Né a lui darò aita!…Ah, s’egli al mio amore divenne rubello,Io vo’ per la sua gettar la mia vita…

(Picchia alla porta.)

MADDALENA

Si picchia?

SPARAFUCILE

Fu il vento…

(Gilda torna a bussare.)

MADDALENA

Si picchia, ti dico.

SPARAFUCILE

È strano!…

MADDALENA

Chi è?

GILDA

Pietà d’un mendico;Asil per la notte a lui concedete.

MADDALENA

Fia lunga tal notte!SPARAFUCILE

Alquanto attendete.

(Va a cercare nel credenzone.)

GILDA

Ah, presso alla morte sì giovine sono!Oh ciel, per questi empî ti chiedo perdono.Perdona tu, o padre, a questa infelice!...Sia l’uomo felice – ch’or vado a salvar.

MADDALENA

Su, spicciati, presto, fa l’opra compita:Anelo una vita – con altra salvar.

SPARAFUCILE

Ebbene… son pronto, quell’uscio dischiudi;Più ch’altro gli scudi – mi preme salvar.

(Va a postarsi con un pugnale dietro alla porta;Maddalena apre e poi corre a chiudere la grandearcata di fronte, mentre entra Gilda, dietro a cuiSparafucile chiude la porta, e tutto resta sepoltonel silenzio e nel buio.)

SCENA SETTIMA

Rigoletto solo si avanza dal fondo della scenachiuso nel suo mantello. La violenza del tempo-rale è diminuita, né più si vede e sente che qual-che lampo e tuono.

RIGOLETTO

Della vendetta alfin giunge l’istante!Da trenta dì l’aspettoDi vivo sangue a lagrime piangendo,Sotto la larva del buffon… quest’uscio…

(esaminando la casa)

E chiuso!… Ah, non è tempo ancor!… S’attenda.Qual notte di mistero!Una tempesta in cielo!…In terra un omicidio!Oh, come invero qui grande mi sento!…

(Suona mezzanotte.)

Mezza notte...SCENA OTTAVA

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Detto e Sparafucile dalla casa.

SPARAFUCILE

Chi è là?

RIGOLETTO

(per entrare)Son io.

SPARAFUCILE

Sostate.

(Rientra e torna trascinando un sacco.)

È qua spento il vostr’uomo…

RIGOLETTO

(gli dà una borsa)Oh, gioia!… Un lume!

SPARAFUCILE

Lesti all’onda il gettiam…

RIGOLETTO

No, basto io solo.

SPARAFUCILE

Come vi piace… Qui men atto è il sito.Più avanti è più profondo il gorgo. Presto,Che alcun non vi sorprenda. Buona notte.

(Rientra in casa.)

SCENA NONA

Rigoletto, poi il Duca a tempo.

RIGOLETTO

Egli è là… morto!… Oh sì!… vorrei vederlo!…Ma che importa?… è ben desso!… Ecco i suoi

[sproni.Ora mi guarda, o mondo…Quest’è un buffone, ed un potente è questo!…Ei sta sotto i miei piedi!… È desso! Oh gioia!È giunta al fin la tua vendetta, o duolo!…Sia l’onda a lui sepolcro,Un sacco il suo lenzuolo!…

(Fa per trascinare il sacco verso la sponda,

quando è sorpreso dalla lontana voce del Duca,che nel fondo attraversa la scena.)

Qual voce!… Illusïon notturna è questa!

(trasalendo)

No!… No! Egli è desso… è desso!…

(verso la casa)

Maledizione! Olà!… dimon bandito?…

(Taglia il sacco.)

Chi è mai, chi è qui in sua vece?

(Lampeggia.)

Io tremo… È umano corpo!…

SCENA ULTIMA

Rigoletto e Gilda.

RIGOLETTO

Mia figlia!… Dio!… mia figlia!…Ah no… è impossibil!… per Verona è in via!

(inginocchiandosi)

Fu visïon… È dessa!...O mia Gilda!... fanciulla, a me rispondi!…L’assassino mi svela… Olà?… Nessuno?

(Picchia disperatamente alla porta.)

Nessun!… mia figlia?

GILDA

Chi mi chiama?

RIGOLETTO

Ella parla!… si move!… è viva!… Oh Dio!Ah, mio ben solo in terra…Mi guarda… mi conosci…

GILDA

Ah… padre mio!RIGOLETTO

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Qual mistero!… che fu?… sei tu ferita?…

GILDA

L’acciar qui mi piagò…

(indicando al core)

RIGOLETTO

Chi t’ha colpita?

GILDA

V’ho ingannato… colpevole fui…L’amai troppo… ora muoio per lui…

RIGOLETTO

(Dio tremendo!… ella stessa fu côltaDallo stral di mia giusta vendetta!…)Angiol caro… mi guarda, m’ascolta…Parla… parlami, figlia diletta.

GILDA

Ah, ch’io taccia!... a me… a lui perdonate…Benedite alla figlia, o mio padre…Lassù… in cielo, vicina alla madre…

In eterno per voi… pregherò.

RIGOLETTO

Non morir… mio tesoro… pietate…Mia colomba… lasciarmi non dêi…Se t’involi… qui sol rimarrei…Non morire… o ch’io teco morrò!

GILDA

Non più… a lui… perdo… nate…Mio padre… Ad… dio!…

(Muore.)

RIGOLETTO

Gilda! mia Gilda!… [È morta!…

Ah, la maledizione!

(Strappandosi i capelli, cade sul cadavere dellafiglia.)

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Adrien Moreau, Francesco I e il suo buffone Triboulet. Incisione per Le roi s’amuse di Victor Hugo.

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Bernardo Amiconi, Ritratto di Teresa Brambilla, prima Gilda, qui in costume di Norma. 1851. Olio su tela.Milano, Museo Teatrale alla Scala.

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Felice Varesi in costume di Rigoletto, personaggio di cui fu il primo interprete alla Fenice di Venezia. 1851.Questa fotografia fu colorata dallo stesso Varesi. Milano, Museo Teatrale alla Scala.

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Rigoletto esordì al Teatro La Fenice l’11marzo 1851. Tratto da Francesco MariaPiave dal dramma storico di Victor Hugo Leroi s’amuse, l’opera giunse sulla scena do-po una serie di vicissitudini legate alle in-terdizioni della censura veneziana, la qualeinnanzitutto non accettava che un ruolonegativo fosse attribuito ad un sovrano (ciòindusse a scegliere il duca di Mantova, conun richiamo forse intenzionale alla figuradello spregiudicato Vincenzo Gonzaga) edinoltre riteneva il soggetto indecoroso lamaledizione un fatto empio.Verdi era entusiasta della pièce di Hugo –«è il più gran soggetto e forse il più grandramma de’ tempi moderni. Tribolet ècreazione degna di Shakespeare!!» – alpunto di giungere a sfidare la censura e dievitare contatti diretti con Hugo, nel timoreche gli potesse negare l’autorizzazione al-l’utilizzo del proprio modello drammatico(pare che il grande scrittore francese, ricor-so alla giustizia, sia receduto dopo l’ascoltodel quartetto dell’atto III, riconoscendo chein letteratura sarebbe stato impossibile farequalcosa di analogo). Tra vicissitudini d’o-gni tipo l’opera giunse infine al termine,«Te Deum laudamus» fu il significativocommento del Piave. L’opera incontrò il fa-vore del pubblico, ma non quello della cri-tica, come minimo disorientata dall’«eccen-tricità» della pièce. Il governatore di Vene-zia deplorò che il celebre maestro ed il poe-ta avessero sacrificato il proprio talento perun soggetto di «ributtante immoralità edoscena trivialità».Prima opera della cosiddetta “trilogia popo-lare” (comprendente anche Trovatore eTraviata), l’opera segna una svolta epocalenell’evoluzione artistica di Verdi: con Rigo-

letto si conclude il lungo periodo degli «an-ni di galera», che fino al 1850 lo vide sfor-nare tra originali e rifacimenti ben 16 ope-re; lo stesso personaggio di Rigoletto, buffo-ne ma triste, rancoroso e provocatore madolorosamente afflitto, dipinto da Verdi intutto lo spessore tragico della sua condizio-ne umana, rappresenta una vistosa ecce-zione in un panorama operistico che distin-gueva con molto maggior rigore fra miseraabiezione da un lato e immacolata virtùdall’altro. Proprio dalla sentita necessità dipotenziare la caratterizzazione del perso-naggio principale, indagandone gli oppostilati di una personalità contrastata e, pro-prio in questo, così umana, muove il rinno-vamento operato dalla drammaturgia ver-diana intorno a convenzioni radicate: «Cor-tigiani, vil razza dannata» è l’esempio me-morabile che sancisce la nascita di unanuova voce per il melodramma italiano,quella “spinta” del baritono che sarà chia-mato per antonomasia verdiano, dal poten-te declamato, per il quale non regge più latradizionale definizione di “basso cantan-te” (in più di un caso Rigoletto, più che can-tare, urla). La stessa distribuzione dei ruolifra prime parti, comprimari e ruoli secon-dari non rispetta le “convenienze” teatrali;sul piano della costruzione formale, inol-tre, le scene del terzo atto realizzano un ori-ginalissimo esempio di dissoluzione e ri-composizione della tradizionale sequenzadei tempi nei numeri d’opera, conferman-do la priorità conferita da Verdi alla ricercadrammatica su condizionamenti d’altro ge-nere.

RIGOLETTO IN BREVE

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Mantova, secolo XVI.

AATTTTOO PPRRIIMMOOGran festa a palazzo ducale.Dopo aver vantato le proprie conquiste alcortigiano Borsa, il duca rivela di desidera-re una fanciulla che vede ogni domenica inchiesa ove si reca sotto mentite spoglie perfare conquiste tra le giovani mantovane.Frattanto egli corteggia l’avvenente mogliedel conte di Ceprano. Il gobbo buffone dicorte, Rigoletto, irride a quest’ultimo; purdivertiti, i cortigiani astanti meditano ven-detta nei suoi confronti... ne hanno scoper-to un segreto: Rigoletto tiene nascosta unadonna, che suppongono sia la sua amante.Si aprono le danze, ma lo spettacolo è inter-rotto dal conte Monterone, sopraggiunto adifendere l’onore della figlia, sedotta dalduca. La lingua di Rigoletto non si fermaneppure innanzi a lui. Monterone, trasci-nato fuori dalla sala, scaglia una maledizio-ne al duca e soprattutto a Rigoletto, che am-mutolisce.Una via cieca. Notte. Rigoletto, avvolto nelproprio mantello, pensa alla maledizionedi Monterone; con lui Sparafucile, che glioffre i suoi servigi di sicario. Rigoletto siinforma del suo nome e recapito; una voltarimasto solo egli sfoga lo struggimento del-la sua vita: deforme, sfortunato, schernito,è costretto a far ridere gli altri; in Sparafu-cile egli vede una possibilità per far giusti-zia ai torti patiti. In casa lo attende l’unicoaffetto rimastogli dopo la morte della mo-glie: quello di Gilda sua figlia. Egli temeche questo suo segreto venga scoperto, inparticolar modo il suo timore è rivolto aicortigiani. Mentre, immerso nei sospetti,esce dal cortile di casa, vi penetra furtiva-

mente il duca, in abiti borghesi. A Gilda eglisi finge Gualtier Maldè, studente e povero.È lui il giovane che l’aveva avvicinata inchiesa e che ora le dichiara il proprio amo-re. L’idillio è interrotto da rumori improv-visi provenienti dall’esterno: il duca scom-pare, aiutato da Giovanna, cui Rigolettoaveva affidato l’incarico di sorvegliare la fi-glia e che in precedenza il duca aveva av-vinto alla propria causa con una borsa didanari. Gilda sale nella propria stanza an-cora trasportata per l’incontro poc’anzi vis-suto. Al di fuori Marullo, Borsa e gli altricortigiani armati e mascherati attirano l’at-tenzione di Rigoletto: gli fanno credere divoler rapire la moglie di Ceprano. Quest’ul-timo in realtà è con loro; la vittima desi-gnata è Gilda. Rigoletto si unisce loro: ma-scherato e bendato, egli sostiene la scalaper consentire di scavalcare il muro. Gildaviene rapita e perde una sciarpa. Rigolettovede la sciarpa, corre a casa e, resosi contodella sciagura piombatagli addosso, rievo-ca la maledizione.

AATTTTOO SSEECCOONNDDOOSalotto nel palazzo ducale.Il duca è in preda a forte agitazione: torna-to in casa di Gilda, l’ha trovata deserta; giu-ra vendetta e prova tenerezza al suo ricor-do. Sopraggiungono Marullo, Ceprano,Borsa e gli altri cortigiani raccontando l’av-ventura notturna: il duca viene così a sape-re che la giovane è a palazzo: esce di frettacon sorpresa di tutti. Entra Rigoletto, cer-cando di nascondere il dolore e la preoccu-pazione che lo attanagliano; irrequieto, siguarda intorno. Un paggio viene a cercareil duca su ordine della duchessa, i cortigia-ni gli fanno intendere la sua occupazione;

ARGOMENTO

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comprendendo che oggetto dell’occupazio-ne del duca è Gilda, Rigoletto perde il con-trollo: infuriato, si getta contro la porta,smania e impreca, ma alla fine implora icortigiani affinché gli rendano la figlia. Gil-da stessa esce incontro al padre, confessan-dogli di aver perduto l’onore; quindi narradi come abbia conosciuto Gualtier Maldè,ossia il duca. Rigoletto medita vendetta.

AATTTTOO TTEERRZZOOLa sponda destra del Mincio. Un’osteriamezza diroccata. Sullo sfondo Mantova.Notte.Gilda e Rigoletto sono sulla strada. Il padrechiede alla figlia se è ancora innamoratadel duca: Gilda conferma... Rigoletto la in-vita a guardar dentro l’osteria, dove il suoadoratore, travestito da ufficiale di cavalle-ria, chiede una stanza e del vino, e cantauna canzonetta amorosa; scende Maddale-na, che il duca corteggia. Un veloce dialogofra Sparafucile e Rigoletto lascia compren-dere la segreta intesa che li unisce per sop-primere il duca. Rigoletto dà conforto allafiglia, sconvolta dal comportamento del du-ca con Maddalena e le promette un’immi-nente vendetta, lei intanto riparerà a Vero-na ove il padre la raggiungerà l’indomani.Gilda si allontana, Rigoletto anticipa dieciscudi d’oro a Sparafucile; altri dieci verran-no alla consegna del cadavere. Si avvicinaun temporale. Il duca va a dormire, Madda-lena cerca di convincere Sparafucile a ri-sparmiare il giovane avventore. Gilda rien-tra con addosso gli abiti maschili che dove-vano servirle per la fuga a Verona ed ascol-ta, non vista, il colloquio. Maddalena diceal fratello di uccidere il gobbo: il duca ètroppo bello e lei ne è innamorata. Sparafu-

cile rifiuta, ma si dichiara disposto a sosti-tuire la vittima designata con qualche altroavventore, purché giunga all’osteria primadella mezzanotte, l’ora convenuta con Ri-goletto. Gilda chiede perdono a Dio ed alpadre; augura ogni bene all’uomo che amae che salverà, batte l’uscio e viene trafittada Sparafucile. Il temporale diminuisce. Amezzanotte Rigoletto salda il debito conSparafucile e ritira il sacco con il cadavere,apprestandosi a gettarlo nel fiume. Nellanotte si ode la voce del duca che si allonta-na canticchiando la sua canzone. Rigolettoè preso dall’angoscia taglia il sacco e allaluce di un lampo riconosce Gilda. Dalla lo-canda nessuno gli risponde. Gilda, ancorain vita, gli racconta l’accaduto e muore conparole di perdono: in cielo, vicina alla ma-dre, pregherà per lui. Rigoletto, quasi inpreda alla follia, cade sul cadavere della fi-glia riconoscendo nell’accaduto il terribileeffetto della maledizione.

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ARGUMENT

A Mantoue, au XVIème siècle.

PPRREEMMIIEERR AACCTTEEGrande fête au palais ducal.Après avoir ses conquêtes au courtisanBorsa, le duc révèle qu’il désire une jeunefille qu’il voit chaque dimanche à l’égliseoù il se rend sous un faux nom, afin de con-quérir les jeunes de Mantoue. Il courtiseentre temps la séduisante épouse du comtede Ceprano, dont se moque le bossu, lebouffon de la cour, Rigoletto. Bien qu’il lesdivertisse, les courtisans ourdissent unevengeance contre lui, car ils ont découvertson secret: Rigoletto cache une femme dontils supposent qu’elle est sa maîtresse. Lesdanses commencent, mais le spectacle estinterrompu par le comte de Monterone, ar-rivé pour défendre l’honneur de sa fille,que le duc a séduite. Rigoletto ne retient passa langue, même devant lui. Monterone,que l’on fait sortir de la salle, maudit le ducet surtout Rigoletto, qui finit par se taire.Dans une impasse. La nuit.Rigoletto, enveloppé dan son manteau,songe à la malédiction de Monterone. Il estaccompagné de Sparafucile, qui lui offreses services de tueur à gages. Rigoletto serenseigne sur son nom et son adresse. Unefois seul, il révèle ce qui brise sa vie: diffor-me, bafoué et sans le sou, il est obligé defaire rire les autres. Il voit en Sparafucile lapossibilité de se venger de tous les tortsqu’il a subis. Chez lui l’attend la seule per-sonne aimante, depuis la mort de son épou-se: sa fille, et il vit dans la crainte que sonsecret ne soit découvert, surtout parmi lescourtisans. Tandis qu’il sort de chez lui,tout empli de soupçons, entre le duc, qui aabandonné ses vêtements de noble pour

d’autres plus simples. Il se présente à Gildasous un faux nom: il se fait passer pourGualtier Maldè, un pauvre étudiant. C’est lejeune homme qui l’avait abordée à l’égliseet qui lui déclare maintenant sa flamme.L’idylle est interrompue par des bruits sou-dains, qui proviennent de l’extérieur. Leduc disparaît, aidé de Giovanna que Rigo-letto avait chargé de surveiller sa fille, maisqui est entrée au service du duc en l’échan-ge d’une bourse pleine d’argent. Gildamonte dans sa chambre, encore troubléepar la recontre qui vient d’avoir lieu.Dehors Marullo, Borsa et d’autres courti-sans, armés et masqués, cherchent à attirerl’attention di Rigoletto: ils lui font croirequ’ils veulent enlever la femme de Cepra-no. En réalité, ce dernier est avec eux; enfait, la victime désignée de l’enlèvement estGilda. Rigoletto s’unit à eux: masqué etbandé, il tient l’échelle pour qu’ils puissentpasser le mur. Gilda est enlevée, mais perdson écharpe. Rigoletto voit l’écharpe, courtchez lui et se rend compte du malheur quivient de le frapper; il évoque la malédictiondont il a fait l’objet.

DDEEUUXXIIÈÈMMEE AACCTTEEDans un salon du palais ducal.Le duc est en proie à une forte agitation: re-tourné chez Gilda, il a trouvé la maison dé-serte. Il jure de se venger er il éprouve de latendresse au souvenir de la jeune femme.Arrivent Marullo, Ceprano, Borsa et les au-tres courtisans qui lui racontent l’aventureadvenue pendant la nuit: le duc apprendainsi que la jeune femme est dans le palais:il sort précipitamment, à la surprise detous. Entre Rigoletto, qui qui cherche à ca-cher la douleur et l’inquiétude qui le tenail-

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lent. Il regarde partout autour de lui. Un pa-ge vient chercher le duc, sur l’ordre de laduchesse; les courtisans lui font compren-dre que c’est Gilda qui est l’objet de sessoins. Rigoletto perd alors le contrôle et fu-ribond, il se précipite vers la porte, enlançant toutes sortes d’imprécations. A lafin il implore les courtisans de lui rendre safille. Gilda sort et avoue à son père qu’elle aperdu son honneur. Elle lui raconte sa re-contre avec Gualtier Maldè, autrement ditle duc. Rigoletto médite sa vengeance.

TTRROOIISSIIÈÈMMEE AACCTTEESur la rive droite du Mincio. Dans une ta-verne à moitié en ruines. A l’arrière-plan,la ville de Mantoue. La nuit.Gilda e Rigoletto sont dans la rue. Le pèredemande à sa file si elle aime encore le duc.Gilda le lui confirme... Rigoletto l’invite àjeter un coup d’œil dans la taverne, où sonadorateur, déguisé en officier de cavalerie,demande une chambre et du vin, et enton-ne une chansonnette d’amour. DescendMadeleine, que le duc est en train de cour-tiser. Un dialogue rapide entre Rigoletto etSparafucile laisse l’entente secrète qu’ilssont en train de sceller pour supprimer leduc. Rigoletto réconforte sa fille, boulever-sée par le comportement du duc enversMadeleine. Il lui promet une vengance im-minente. Elle, en attendant, réparera safaute à Vérone où son père ira la rejoindrele lendemain. Gilda s’éloigne. Rigolettodonne dix écus d’or à Sparafucile. Il lui endonnera dix autres à la livraison du cada-vre. L’orage approche. Le duc va dormir.Madeleine tente convaincre Sparafuciled’épargner le jeune aventurier. Gilda ren-tre en portant les vêtements d’homme qui

devaient lui servir pour sa fuite à Vérone etelle écoute, en cachette, leur conversation.Madeleine enjoint son frère de tuer le bos-su. Le duc est trop beau et elle est amou-reuse de lui. Sparafucile refuse, mais il sedéclare disposé à remplacer la victime dé-signée par une tout autre personne, l’essen-tiel étant qu’il arrive à la taverne avant mi-nuit, l’heure convenue avec Rigoletto. Gil-da demande pardon à Dieu et à son père.Elle souhaite tout le bien du monde àl’homme qu’elle aime et qu’elle sauvera; el-le frappe à la porte et Sparafucile la tue.L’orage diminue. A minuit, Rigoletto règlesa dette avec Sparafucile et retire le sacavec le cadavre, en s’apprêtant à le jeter àla rivière. On entend dans la nuit la voix duduc qui s’éloigne, en chantonnant. Rigolet-to est saisi d’angoisse: il ouvre le sac et à lalumière d’un éclair, il reconnaît Gilda. Per-sonne ne lui répond de l’auberge. Gilda,encore en vie, lui raconte ce qui s’est passéet meurt en prononçant des mots de par-don. Près de sa mère, au ciel, elle prierapour lui. Rigoletto, qui frôle la folie, s’é-croule sur le cadavre de sa fille en voyantdans cet événement le terrible effet de lamalédiction.

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Mantua - XVIth century.

AACCTT II..Great feast in the ducal palace.Having boasted of his own conquests to thecourtier Borsa, the Duke reveals that he de-sires a young lady whom he sees everySunday in church where he goes in disgui-se to make conquests among the young wo-men of Mantua. In the meantime he courtsthe lovely wife of the Count of Ceprano.The hunchback court jester, Rigoletto,makes fun of the Count of Ceprano; thoughamused, the courtiers present meditate totake their revenge upon him; they have di-scovered a secret: Rigoletto keeps a womanhidden, whom they assume is his lover.The dances begin, but the spectacle is in-terrupted by the Count of Monterone, cometo defend the honor of his daughter whohas been seduced by the Duke. Rigolettodoes not hold his tongue even before him.Monterone, dragged out of the room, yells acurse at the Duke and especially at Rigolet-to, who falls silent.A blind alley. At night. Rigoletto, wrappedin his own cloak, thinks of Monterone’scurse; with him is Sparafucile, who offershis services as an assassin. Rigoletto asksfor his name and address; when he is leftalone, he unburdens the tragedy of his life:deformed, unlucky, jeered at, he is forcedto make others laugh; Sparafucile seems tohim to be a way to achieve justice for all thewrongs he has suffered. At home awaits theonly loved one left to him after the death ofhis wife: his daughter. He is afraid that thissecret of his will be discovered, and he isespecially afraid of the courtiers. While,immersed in his suspicions, he leaves the

courtyard of his house, the Duke secretlyenters it, dressed as commoner. To Gildahe pretends to be Gualtier Maldè, a poorstudent. He is the young man who had ap-proched her in church and who now decla-res his love to her. The moment is inter-rupted by sudden noises coming from out-side: the Duke disappears, assisted by Gio-vanna, whom Rigoletto has charged withlooking out for his daughter, and whom theDuke had earlier won over with a bag ofmoney. Gilda goes up to her room still tran-sported by the encounter she had just expe-rienced. Outside, Marullo, Borsa and theother masked and armed courtiers attractRigoletto attention: they make him believethey want to kidnap Ceprano’s wife. Cepra-no, in fact, is with them; the designated vic-tim of the kidnapping is Gilda. Rigolettojoins them: masked and hooded, he holdsthe ladder which allows them to climb overthe wall. Gilda is kidnapped and loses ascarf. Rigoletto sees the scarf, runs home,and realizing what tragedy has just befal-len him, remembers the curse.

AACCTT IIII..The great Hall in the Ducal palace.The Duke is deeply disturbed: upon his re-turn to Gilda’s house, he found it deserted;he swears revenge and fondly remembersher. Marullo, Ceprano, Borsa and the othercourtiers arrive and recount their night ofadventure: the Duke thus discovers that thegirl is in the palace: he leaves quickly, toeveryone’s surprise. Rigoletto enters, tryingto hide the pain and the worry that griphim; restlessly, he looks around. A page co-mes looking for the Duke by order of theDuchess, the courtiers hint at what he is up

SYNOPSIS

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to, understanding that the object of theDuke’s occupation is Gilda, Rigoletto losescontrol: infuriated, he throws himselfagainst the door, ranting and raving, but inthe end implores the courtiers to give himback his daughter. Gilda herself comes outto her father, confessing that she has losther honor; then she tells how she has metGualtier Maldè, that is the Duke. Rigolettoplans his revenge.

AACCTT IIIIII..The right bank of the Mincio. A dilapidatedtavern. In the background, Mantua. At ni-ght.Gilda and Rigoletto are on the road. Thefather asks his daughter if she is still in lo-ve with the Duke: Gilda says that she is...Rigoletto invites her to look into the tavern,where her admirer, dressed as an officier ofthe cavalry, asks for a room and some wi-ne, and sings a love song; Maddalenawhom the Duke is wooing, comes downthe stairs. A quick conversation betweenRigoletto and Sparafucile hints at theagreement which binds them to eliminatethe Duke. Rigoletto consoles his daughter,upset by the Duke’s behaviour with Mad-dalena and promises her a rapid revenge,she in the meantime will go to Verona whe-re her father will meet her the next day.Gilda walks away, Rigoletto gives ten gol-den scudi to Sparafucile; another ten willcome when the body is delivered. A stormis approaching. The Duke goes to sleep,Maddalena tries to convince Sparafucile tosave the young man. Gilda comes back indressed in the men’s clothes that she was touse for her escape to Verona, and listens tothe conversation unseen. Maddalena tells

her brother to kill the hunchback: the Dukeis too handsome and she is in love withhim. Sparafucile refuses, but says he is wil-ling to substitute the designated victimwith some other young man, as long as hecomes to the tavern before midnight, thehour he has agreed upon with Rigoletto.Gilda begs forgiveness from God and fromher father; she wishes well to the man thatshe loves and whom she will save, knokson the door and is killed by Sparafucile.The storm abades. At midnight, Rigolettopays his debt to Sparafucile and takes thebag with the corpse, to throw into the ta-vern. In the night the voice of the Duke isheard humming his song as he leaves. Ri-goletto is taken by panic: he cuts the bagopen and recognized Gilda by lamplight.Nobody from the tavern answers his cries.Gilda, still alive, tells him what has happe-ned and dies with words of forgiveness: inHeaven, next to her mother, she will prayfor him. Rigoletto, almost in prey to mad-ness, falls on the corpse of his daughter andrecognizes the terrible effect of the curse inwhat has happened.

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Mantua, im 16.Jahrhubdert.

11.. AAKKTTEin großes Fest im Palast des Herzogs.Nachdem er dem Höfling Borsa von seinenErfolgen erzählt hat, gesteht der Herzogihm seinen Wunsch das junge Mädchenkennenzulernen dem er jeden Sonntag inder Kirche begegnet, in die er sich ver-kleidet begibt um unter den jungen Man-tuanerinnen seine Eroberungen zu ma-chen. Inzwischen aber macht er der schö-nen Gattin des Grafen Ceprano den Hof.Der Hofnarr Rigoletto ergießt seinen Spottüber den Grafen Ceprano. Die anwesendenHöflinge scheinen belustigt, wollen Rachean ihm nehmen. Sie haben sein Geheimnisaufgedeckt: Rigoletto hält eine Frau ver-steckt, die, so nehmen sie an, seine Geliebteist. Der Tanz beginnt, wird aber durch dieAnkunft des Grafen von Monterone unter-brochen, der gekommen ist die Ehre seiner,vom Grafen verführten, Tochter zu vertei-digen. Nicht einmal vor dem Schmerz desVaters schweigt die spitze Zunge Rigolettos.Monterone schleudert seinen Fluch gegenden Grafen aber vor allem gegen Rigoletto,der verstummt. Eine Sackgasse. Rigoletto,in seinen Mantel gehüllt, in Begleitung vonSparafucile der ihm seine Dienste anbietet,will der Fluch Monterones nicht aus demSinn. Allein geblieben ergeht sich Rigolettoin verzweifelten Klagen über sein Los: miß-gestaltet, erfolglos, verspottet ist er gezwun-gen die anderen bei guter Laune zu halten.In Sparafucile sieht er die Möglichkeit seineerlittene Schmach zu rächen. Zu Hauserwartet ihn der einzige Trost der ihm nachdem Tode seiner Frau geblieben ist: seineTochter. Er ist besorgt, daß die Höflinge

sein Geheimnis enthüllen. Voller Miß-trauen verlaßt Rigoletto den Hof seinesHauses, während sich, in bürgerlicher Klei-dung, der Herzog hereinstiehlt, und sichvor Gilda als Gualtier Maldè, ein mittelloserStudent, ausgibt. Er ist es der sich ihr in derKirche näherte und der ihr jetzt seine Liebegesteht. Geräusche von Schritten unterbre-chen das Idyll. Mit Hilfe von Giovanna, derRigoletto aufgetragen hatte über die Toch-ter zu wachen, die aber einem gefülltenGeldbeutel des Herzogs nicht wiederstehenkonnte, verschwindet der Herzog. Gilda,noch voller Erinnerungen an die Bege-gnung, zieht sich in ihr Zimmer zurück. ImSchutze der Nacht schleichen sich, bewaff-net und verkleidet, Marullo, Borsa und an-dere Höflinge heran, denen es gelingt Rigo-lettos Aufmerksamkeit auf sich zu richten.Sie geben vor Cepranos Ehefrau, die sichaber unter ihnen befindet, entführen zuwollen. Das wirkliche Entführungsopfer istGilda. Rigoletto ist zur Mitwirkung bereit.Mit verbundenen Augen hält er die Leiterdie zum Überklettern der Mauer nötig ist.Gilda verliert während ihrer Entführung ei-nen Schal. Rigoletto sieht den Schal, stürztins Haus und findet seine Befürchtung be-stätigt. Des Fluches eingedenkt, bricht erzusammen.

22.. AAKKTTEin Salon im Palast des Herzogs.DerHerzog ist erregt und beunruhigt: beiseiner Rückkehr in die Wohnung Gildas,hat er junge Mädchen nicht mehr angetrof-fen. Marullo, Ceprano, Borsa erscheinenund erzählen den anderen Höflingen vonihrem nächtlichen Erlebnis. So erfährt derHerzog, daß sich das Mädchen im Schloß

HANDLUNG

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befindet. Zur Überraschung aller, verläßter eilig den Raum. Rigoletto, der versuchtseinen Schmerz und seine Sorge unter ge-spielter Heiterkeit zu verbergen, naht. EinPage, der auf Bitte der Herzogin nach demHerzog sucht, tritt ein. Die Höflinge gebenihm zu verstehen, daß die Beschäftigungdes Herzogs nur Gilda sein kann. Rigolettoverliert die Kontrolle: rasend vor Wut, wirfter sich gegen die Tür; bittet am Ende aberdie Höflinge flehentlich ihm seine Tochterzurückzugeben. Gilda stürzt in die Armedes Vaters, aus ihrem Mund vernimmt derVater von der erlittenen Schande und wiesie Gualtier Maldè, d. h. den Herzog, ken-nengelernt hat. Rigoletto schwört Rache.

33.. AAKKTTDas Ufer des Mincio. Ein halbzerfallenerGasthof. Im Hintergrund Mantua bei Nacht.Gilda und Rigoletto sind auf der Straße. DerVater fragt die Tochter ob sie immer nochdem Herzog zugeneigt sei: Gilda bejaht dieFrage. Rigoletto, um sie von dessen Untreuezu überzeugen, rät ihr einen Blick in denGasthof zu tun wo ihr Verehrer, als Kavalle-rieoffizier verkleidet, nach einem Zimmerfragt, Wein bestellt und mit einem Liebe-slied um die Gunst Maddalenas wirbt. Derkurze Wortwechsel zwischen Sparafucileund Rigoletto läßt verstehen, daß beide dasgleiche Anliegen haben: den Herzog zu tö-ten. Rigoletto tröstet seine Tochter die sich,durch das Verhalten des Herzogs Maddale-na gegenüber, zutiefst verletzt fühlt. Erempfiehlt ihr nach Verona zu fliehen,wohin er ihr am Tag darauf folgen werde.Gilda entfernt sich. Rigoletto gibt Sparafuci-le als Anzahlung zehn Scudi; die weiterenzehn bei Auslieferung der Leiche. Ein

Gewitter nähert sich. Der Herzog hat sichinzwischen zur Ruhe begeben. Maddalenaversucht Sparafucile zu bereden den jun-gen Gast zu schonen. Gilda, schon in derMännerkleidung die ihr die Flucht nach Ve-rona ermöglichen soll, belauscht das Ge-spräch. Maddalena sagt dem Bruder er sol-le den Narren töten, denn der Herzog habees ihr angetan, sie sei in ihr verliebt. Spara-fucile weigert sich, ist aber bereit als Opfereinen anderen Gast der Herberge, der jedo-ch vor Mitternacht, der mit Rigoletto ve-reinbarten Stunde, eintreffen müsse, umsLeben zu bringen. Als Gilda, die Gott undihren Vater um Vergebung gebeten, demvon ihr geliebten Manne für den sie sich op-fert ihre letzten Gedanken gewidmet hat, andie Tür klopft und um Einlaß bittet, trifft sieder Degen Sparafuciles. Das Gewitter ziehtab. Um Mitternacht übergibt Sparafucile Ri-goletto die Leiche, und erhält den Rest dervereinbarten Summe. In der Nacht hörtman plötzlich die Stimme des Herzogs, dersingend den Heimweg angetreten hat. Rigo-letto von Angst erfaßt, schneidet den Sackauf und erkennt im Lichte eines Blitzes Gil-da, die noch einmal zu kurzem Lebenerwacht, das Vorgefallene erzählt und mitdem letzten Hauch ihres Mundes Verge-bung erfleht: im Himmel, vereint mit ihrerMutter, wird sie für ihn beten. Rigoletto, er-drückt von der Last des Fluches, sinkt überder Leiche seiner Tochter zusammen.

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Stéphane Braunschweig. Modellini per Rigoletto (II.1 e 5). Venezia, Teatro Malibran, novembre 2001.

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Un infelice padre che piange l’onore toltoalla sua figlia, deriso da un buffone di corteche il padre maledice, e questa maledizionecoglie in una maniera spaventosa il buffo-ne, mi sembra morale e grande al sommogrande. [...] Ti ripeto che tutto il sogetto stain quella maledizione. (Verdi a Piave, daCremona, 3 giugno 1850)

La lettura di queste poche righe permettebene di capire perché Verdi intendessechiamare questo suo dramma lirico La Ma-ledizione. Il titolo definitivo però mi parequasi più appropriato. E ciò non perché l’o-pera abbia un carattere meno noir rispettoall’intitolazione iniziale (mentre Rigolettosuona più leggero ed allegro), ma perchéquesto cambio di titolo sottolinea un indub-bio mutamento di prospettiva: come se Ver-di si fosse accorto che questa maledizionenon va attribuita a una fatalità (prospettivatragica), ma ai personaggi del dramma chene hanno così tutta la responsabilità (pro-spettiva drammatica).Verdi porta i suoi personaggi ad accettare illoro destino, non solamente a subirlo, e ciòè vero tanto per Rigoletto quanto per sua fi-glia Gilda. Rigoletto può ben invocare que-sta maledizione come una fatalità, egliprenderà coscienza nel corso dell’operache la sorte avversa non gli è stata impostadall’esterno, ma che è stato lui a provocar-la e a realizzarla. Anche Gilda perde la suaapparenza di vittima inerme appena ci sirende conto che il suo sacrificio è il puntoculminante di una ricerca d’identità.Io credo che se Verdi avesse voluto fare deisuoi protagonisti solo degli zimbelli del de-stino, quest’opera non ci colpirebbe cosìtanto per i suoi contrasti, gli sbalzi d’ener-

gia, gli spasimi, l’incredibile libertà di scrit-tura musicale e nel contempo l’unità pos-sente e quasi paradossale che da essa spri-giona. È che in Rigoletto vita e morte sonostrettamente intrecciate e l’unità dell’operarinvia all’indefettibile unione delle pulsionidi vita e di morte. Il contrasto tra il preludiofortemente drammatico che prefigura lamaledizione e la musica di scena, moltopiù lieve, che segue subito dopo mi sembraesprimere molto bene il contenuto poeticodi quest’opera; ho dunque cercato un’evo-cazione visiva che mi permettesse di rien-trare nell’opera attraverso quanto essa hadi più riposto. I feretri neri disegnano ilpaesaggio della maledizione, ma non appe-na si rovesciano si levano, come da crisali-di, giovani donne assolutamente vive, corpiintatti che si risvegliano alla sensualità co-me altrettante Susanne sotto lo sguardo deivecchioni predatori, padri o amanti. Evoca-zioni di Gilda sepolta viva sotto l’amore ec-cessivo del padre, asfissiante nella sua pu-rezza: per lei il desiderio distruttore delDuca sarà libertà, accesso alla vita vera, co-me anche alla vera morte. Con ostinazioneGilda vuole conoscere il vero nome di suopadre, poi quello del Duca suo amante: maciò che domanda non è in fondo che il suostesso nome. Paradossalmente si potrebbedire che Gilda porta in qualche modo acompimento la sua identità attraverso lamorte: prendendo il posto del suo amante,e assumendone il nome, ella si consegnaalla vendetta di suo padre nel momentostesso in cui trova la libertà. Morendo perl’uomo amato, Gilda raggiunge sua madre,la sposa defunta del padre, la donna chequesti gli ha sempre chiesto di essere, la so-la donna che ha amato Rigoletto, la sola che

STÉPHANE BRAUNSCHWEIG

RIGOLETTO O LA MALEDIZIONE

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lo ha scelto malgrado la sua deformità. Peraccedere a questa nuova dimensione sarànecessaria a Gilda la conoscenza del verovolto sia del padre sia del suo amante, delbuffone e del volubile, altrettante disillusio-ni.Rigoletto è un’opera piena di vita ma colmadi ferite, di piaghe segrete che sono di certoanche quelle di Verdi stesso. Dietro l’appa-renza rutilante dell’opera c’è una sorta diintimissima danza mortuaria. «Una terzabara esce da casa mia» scriveva il vecchioVerdi evocando molti anni più tardi le mor-ti precoci e consecutive della giovane sposae dei due figli. L’immagine è sorprendente.Lavorando sulla malinconia del personag-gio di Rigoletto piuttosto che sulla sua arro-ganza, sulla sua fragilità segreta piuttostoche sul suo astio scoperto, si sente ciò cheVerdi vi ha proiettato di sé stesso, l’abissopronto ad aprirsi improvvisamente sotto ipiedi e le contorsioni della sua coscienzaper restare in piedi o integro. In sintoniacon la doppia vita del suo personaggio epo-nimo Rigoletto è un’opera con un dritto eun rovescio, un costume di scena e un abi-to da città: il dramma comincia quando icampi d’azione si mescolano, quando cedeil compartimento stagno che separa la vitapubblica da quella privata.Il tema victorhughiano della bruttezza, del-la deformità non mi sembra invece così de-cisivo in Verdi. C’è sempre un momento incui ci si chiede: e se Rigoletto non fossedeforme? Forse ogni padre che circonda lafiglia di un amore così opprimente e co-strittivo non corre verso un simile disastro?La deformità di Rigoletto mi sembra so-prattutto rinviare al mondo sociale in cuiegli agisce, uno spazio di corruzione e di ci-nismo diffuso che porta alcuni esseri uma-ni a strumentalizzarne altri per soddisfare ipropri piaceri immediati. Quello che senzadubbio mi commuove in Rigoletto è il biso-gno tutto mentale e immaginario di preser-vare uno spazio puro, un riparo per l’amo-re in un mondo sconvolto dall’interesse.Tuttavia l’amore assolutamente puro comeRigoletto lo concepisce è impossibile. SeGilda è attratta dal Duca, è perché l’amorepadre-figlia è totalmente asimmetrico: l’a-

more del padre è quello di un uomo chenon è stata lei a scegliere. Per sentirsi esi-stere ella ha dunque bisogno di uscire dalvincolo paterno, pur col rischio di amarequalcuno che non la ricambierà.L’aspirazione alla purezza di Rigoletto –certamente esasperato dalla deformità edalla sensazione di macchia che essa com-porta – si può tuttavia rintracciare in tutticoloro che si rifugiano nell’amore per sfug-gire alla realtà. Queste persone cercano diricreare una piccola isola in cui credere an-cora a qualcosa: quest’isola però è talmentechiusa in sé stessa che si disintegra dall’in-terno, distruggendo così la purezza che es-se pensavano di proteggere. Rigoletto si èmaledetto da solo nel tentativo di tenere ri-gidamente separate alcune sfere della suaesistenza, nella sua aspirazione a costruireun mondo fuori dal mondo e forse oggi bi-sogna ricercare proprio in quest’àmbito laportata politica dell’opera.Alla fine Verdi sembra suggerire che il solospazio di purezza possibile è la morte. MaRigoletto deve sopravvivere al sacrificiodella figlia. Poiché il mondo di Rigolettonon si divide tra quelli che saranno salvatie quelli che non lo saranno, come il prota-gonista vorrebbe credere, ma tra coloro chemuoiono e coloro che sopravvivono. È unmondo in cui non ci si può più affidare aDio anche se i personaggi tante volte lo in-vocano, è un mondo senza trascendenzaove ognuno è dolorosamente rimandato asé stesso e ai suoi fantasmi.

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Stéphane Braunschweig. Modellini per Rigoletto (III.1 e 5). Venezia, Teatro Malibran, novembre 2001.

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Giuseppe Verdi. Fotografia (Venezia, 1856). Milano, Museo Teatrale alla Scala.

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««TTuuttttoo iill ssooggeettttoo ssttaa iinn qquueellllaa mmaalleeddiizziioonnee»»

Nel 1850 Verdi ricevette una terza commis-sione dalla Fenice di Venezia, dopo l’Attila(1846) e quell’Ernani (1844) che insiemecon il Leon di Castiglia aveva ridestatoquello di San Marco, simbolo di una cittàsottomessa ma non ancora doma. Scelsecome soggetto Le Roi s’amuse (1832)dramma in versi di Victor Hugo, scrittoredecisamente sgradito alle monarchie euro-pee, ma l’intenzione fu prontamente osteg-giata dalla Direzione centrale d’ordinepubblico con parole forti, poiché la tramaad essa sottoposta era improntata a una «ri-buttante immoralità ed oscena trivialità».1

Subito Verdi esercitò forti pressioni su Pia-ve, poeta incaricato del libretto, affinchériuscisse a conservare il carattere e le “po-sizioni” di un dramma a cui teneva partico-larmente, al punto da rifiutare con fermez-za ogni proposta alternativa da parte delladirezione del teatro. Il suo atteggiamento fudecisivo perché lo stesso Marzari, presi-dente degli spettacoli della Fenice, si ado-perasse per far approvare il progetto, piut-tosto che rescindere il contratto che lo lega-va al compositore.Per meglio comprendere la portata degli in-tenti di Verdi val la pena di scorrere sinteti-camente le obiezioni dei censori, a comin-ciare dal divieto di far calcare le scene al Redi Francia Francesco I, dipinto da Hugo co-me un dissoluto libertino del tutto disinte-ressato delle sorti dei propri sudditi.2 Si re-se dunque necessario straniare la vicendaper evitare che, assistendo alle gesta di unsovrano indegno, crescesse il diffuso ran-core verso Ferdinando I, imperatore d’Au-stria, e si risvegliassero i sentimenti irre-

dentisti dell’inquieta cittadinanza venezia-na, dopo l’effimera esperienza repubblica-na del 1848. Non servì peraltro mutare l’e-poca dell’azione (il secolo XVI) ma solo illuogo (da Parigi a Mantova) e il rango delpersonaggio nobile (da Re a Duca): super-fluo precisarne la casata, altra non potendoessere che quella dei Gonzaga. La Manto-va del Rinascimento, in fin dei conti, è an-cor più adatta della Francia all’intrecciodell’opera, visto che la storia d’Italia è zep-pa di esempi che la rivelano come ambien-te estremamente congeniale alla corruzio-ne politico-morale destinata a rimanereimpunita.3

Piave e Verdi riuscirono invece a mantene-re la gobba piazzata da Hugo sulla schienadel buffone Triboulet: la sbilenca immagi-ne scenica del cantante traduceva con mu-ta eloquenza l’uguaglianza metaforica frala difformità fisica e quella morale, consen-tendo allo spettatore di comprendere im-mediatamente uno dei presupposti dellatrama.Il censore aveva disapprovato anche il fina-le dell’opera: sotto il pugnale del sicarioSparafucile cadeva la stessa figlia di Rigo-letto, Gilda, che si sacrificava al posto delDuca. Il suo corpo veniva poi rinchiuso inun sacco e consegnato al mandante dell’o-micidio. Nell’opinione di Verdi questa erauna “posizione” chiave: in questo modo ilbuffone non avrebbe ravvisato subito la fi-sionomia del suo nemico, e la sorpresa nel-l’aprire il macabro involucro sarebbe stataancora più atroce. «Ora mi guarda, o mon-do!.. / Quest’è un buffone, ed un potente èquesto!..»: aveva creduto, e confessato inmodo indimenticabile al pubblico, di scon-figgere un signore dispotico e arrogante,

MICHELE GIRARDI

DUE FACCE DI RIGOLETTO*THOU WOULDST MAKE A GOOD FOOL – EGLI È DELITTO,PUNIZION SON IO

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ma il peso della cruenta beffa ricade invecesu di lui, annientandolo.Il contestato sacco rimase, mentre fu giocoforza cambiare il titolo originariamenteprescelto, La Maledizione, che metteva inprimo piano un concetto bollato come bla-sfemo.4 Verdi leggeva in questa chiave LeRoi s’amuse, e lo aveva scritto sin dall’ini-zio a Piave:

Tutto il sogetto è in quella maledizione chediventa anche morale. Un infelice padreche piange l’onore tolto alla sua figlia, deri-so da un buffone di corte che il padre male-dice, e questa maledizione coglie in unamaniera spaventosa il buffone, mi sembramorale e grande al sommo grande.5

Ma i cattolicissimi censori, uomini di politi-ca e di lettere, non avevano ben calcolato ilpotere della musica: la parola rimase in al-cuni momenti pregnanti del libretto che as-sunsero un rilievo gigantesco nella partitu-ra, dove Verdi tese un arco semantico apartire dal conciso preludio in do minore.Esso è costruito su un ritmo puntato, scan-dito da trombe e tromboni sulla fondamen-tale, cui gli altri ottoni, insieme a legni etimpani, rispondono con una sesta ecce-dente che risolve sull’accordo di tonica (es.mus. 1 a).6 Indi il declamato si sposta sulladominante e sfocia in una cadenza, seguita

da una progressione cromatica che porta alvibrante lamento dei violini nel registroacuto. Questo brano è un puro gesto sonoroche prepara magistralmente lo sviluppodell’intero dramma: Monterone romperàl’allegria della festa (n. 2) intonando la stes-sa nota (do) per scagliare la sua invettivacontro il Duca che gli ha sedotto la figlia, econtro il buffone che gli rifà il verso perschernirlo. La sequenza iniziale viene poiconnotata nella scena successiva, quandoRigoletto ripensa a quelle parole rientrandoa casa, e sosta declamando «Quel vecchiomaledivami!...» (n. 3, es. mus. 1 b). L’im-pianto armonico è pressoché il medesimo,ma da qui in poi la sesta eccedente risolvesull’accordo maggiore e non su quello mi-nore.7 Il procedimento sembra enfatizzareun moto dell’animo del protagonista, comevolesse scacciare dalla mente un terroreprivo di fondamento, quando l’implacabilenarrazione sonora del preludio non conce-deva speranze, quasi che di una tragediafosse l’esodo, e non il parodo. Il motto è re-so più cupo nella ricorrenza perché confi-nato nel registro grave (b) e meno teso nel-la scansione metrica rispetto all’inizio del-l’opera (a):

Il protagonista viene bruscamente interrot-to da Sparafucile, che diverrà strumentodella sua vendetta, ma il motto torna in due

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(Quel vecchio ma le di va mi!)

2 Cl

2 Vle, I Fag

II Fag, Vlc

Cb

(b)

Cimbasso

2 Fag, 2 Trbn

4 Cor

II Tr

I Tr

I Trbn

(a)

esempio 1

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punti chiave del successivo monologo diRigoletto (n. 4, «Scena e duetto»), introdu-cendo la fremente dichiarazione del suoodio verso l’umanità («O uomini!... o natu-ra!...»), e prima che egli entri in casa, pertrovare nella braccia della figlia quella pa-ce che il mondo esterno gli nega.Questi richiami, allusi o precisi che siano,tracciano un arco concettuale che congiun-ge in modo indissolubile la maledizione diun padre oltraggiato, Monterone, al sicario,all’odio e alla stessa paternità del gobbo. Ilpreludio è dunque l’argomento di una tra-gedia incanalata su un percorso obbligato

che prosegue nel finale primo, dove il mot-to s’ode nuovamente quando il buffone tor-na sui suoi passi mentre i cortigiani stannoper rapire Gilda («Ah, da quel vecchio fuimaledetto!»). Subito dopo il grido straziantedi Rigoletto («La maledizione!») sigla le ul-time battute, in cui il richiamo al motto èaffidato a una cellula puntata e la “parolascenica” emerge in tutta la sua pregnanza(es. 2 a):

Nell’atto successivo la sequenza dell’inizioviene allusa dal movimento armonico (di-steso melodicamente sulle note la bemolle

3 3 3 3

3 3 3 3

Poi ché fo sti in va no da me ma le det to,

Monterone(fermandosi verso il ritratto del Duca)

Ah! la ma le di zio ne!

No, vecchio t’in gan ni... un vin di ce avrai!

ah! la ma le di zio ne!!

(a)

(b)

(c)

e fa diesis, che fanno parte della sesta ecce-dente e risolvono sul sol, che qui funge daperno), e accompagna Monterone che vie-ne condotto al carcere:

Alla comparsa del genitore che di fronte alritratto del Duca si dichiara impotente e de-solato, perché a nulla la sua maledizione è

esempio 2

esempio 3

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servita, il buffone si trova nella stessa situa-zione dell’uomo che poc’anzi aveva atroce-mente deriso: lo schema ritmico passa dalpadre condotto alla prigione all’altro cheraccoglie la missione di vendetta (cfr. es. 2b), creando la prospettiva del finale ultimo.«La maledizione!» è ancora una volta l’urlodi rabbia e dolore che Rigoletto scaglia con-tro il cielo prima che cali il sipario, e acco-glie in sé sia il modello offerto dal finaleprimo, sia quello ritmico che regge il motto(es. 2 c).

DDrraammaattiiss ppeerrssoonnææ

Grazie al reticolo musicale creato dal mot-to della maledizione, nelle sue implicazionimetriche e armoniche, Verdi scavalcò dislancio ogni censura ponendo in enfasi ilconcetto che stava alla base del suo dram-ma, o fu forse il divieto a stimolarne viep-più l’estro. Ne scaturì una delle sue trage-die più immani, che corre rapida coerenteed implacabile verso la catastrofe, pervasadi un disperato rigore morale. Già in LuisaMiller, ma nel romantico contesto dettatodal rapporto fra destino e amore, era emer-so il tema del potere (incarnato dall’ambi-zioso conte di Walter) che opprime le aspi-razioni alla felicità dei due amanti. In Rigo-letto Verdi si spinse molto più in là, presen-tandoci una classe dominante fatta da cor-tigiani amorali, che passano il tempo aspettegolare di amanti e corna, o a tesseretrame crudeli.Fra loro emerge il Duca, primo ed unico te-nore totalmente negativo del teatro verdia-no: frivolo ed egoista, egli è preda di tutte lepassioni più effimere che soddisfa conprontezza, abituato all’esercizio dispoticodel potere. Peraltro egli canta alcune splen-dide melodie liriche, ma Verdi gliele affidòsoprattutto per connotare la sua fatuità efargli esprimere a scopi ingannevoli unsentimento che in realtà non prova mai si-no in fondo, anche quando sembra andarcivicino, come nella «Scena e aria» (n. 8 delsecond’atto) dove si strugge per il rapimen-to di Gilda – «colei sì pura, al cui modestosguardo / quasi spinto a virtù talor mi cre-

do», declama con abbandono. «Quasi»: in-fatti, non appena apprende che la ragazza èstata nascosta dai cortigiani nei suoi appar-tamenti, si riscuote e intona la cabaletta, in-no al più bruciante dei desideri che imme-diatamente corre a placare. Anche nelduetto con Gilda i versi minano l’immaginedel giovane povero e innamorato, in unasorta di esaltazione dell’amore fine a séstessa:

Adunque amiamoci, – donna celeste.D’invidia agli uomini – sarò per te.

Dal canto suo Rigoletto sin dall’inizio fa ilpossibile per guadagnarsi l’odio di chi locirconda in palcoscenico e l’antipatia di chilo guarda dalla sala ma, a differenza deisuoi superficiali nemici, egli ci spalancal’abisso della propria anima, e le sue con-fessioni esprimono un infinito tormento in-teriore. La paternità, sentimento umano eprotettivo, lo riscatta solo parzialmente ainostri occhi, pure non riesce a farci dimen-ticare la ferocia con cui ha schernito Ce-prano e Monterone. Non è dissimile la suacondizione da quella del sicario Sparafuci-le, che nell’indimenticabile seconda scenadel primo atto viene a offrirgli i suoi servigiin una buia calle di Mantova, ed egli ne èconsapevole quando intona il monologo«Pari siamo! ... io la lingua, egli ha il pugna-le». Perfette “parole sceniche”, perché scol-piscono la situazione in una fulminea sin-tesi, che è cifra anche della grande «Scenaed aria» n. 9 del secondo atto. Il buffonepassa dal sospetto (la lamentosa cantilenainiziale), all’ira («Cortigiani, vil razza dan-nata!») alla commozione («Ebben io pian-go»), sino ad umiliarsi di fronte a tutta lacorte («Miei signori, perdono, pietate...»).Ed è proprio questa concentrazione di at-teggiamenti, in un arco che ripiega su séstesso (dal più agitato ed imperioso all’im-plorazione, sino al lirismo, un po’ sentito eun po’ di facciata, comunque musicalmen-te autentico) ad ingigantire l’empito delpersonaggio che, nel finale secondo, decidedi vendicarsi («Sì, vendetta, tremenda ven-detta»).Ma il povero protagonista non ha tenuto

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Alfredo Edel, figurini per il conte di Ceprano e Rigoletto. Milano, Teatro alla Scala, 7 gennaio 1880.(Milano, Archivio Storico Ricordi).

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nel dovuto conto la diversità dell’animofemminile, e l’amore altruistico di cui unadonna è capace, anche se indossa i pannicoloriti della prostituta Maddalena, e dun-que il Duca si salverà grazie alla passioneche accende nella sorella del sicario, e aquella che ha già infiammato l’innocentecuore di Gilda. Verdi aveva dipinto la figliadi Rigoletto con tratti di enfatica ingenuitànel «Caro nome», stucchevole aria cesellatacome un merletto dalle colorature, ma diassoluta necessità drammatica:8 quellabimba ingenua sino al limite del credibile,dopo aver conosciuto l’amore in modo di-verso da come l’immaginava, diviene trau-maticamente, prima nella confessione del-l’oltraggio subito (il rapimento e la rotturadell’illusione nell’incontro col Duca a pa-lazzo, e chissà che altro ancora: «Tutte lefeste al tempio»), poi nel «Quartetto» n. 12 einfine nella «Scena, terzetto e tempesta» n.13, una donna matura e consapevole, asso-luta dominatrice della scena. Quale contra-sto con quel Duca da lei amato, smaniosopupazzetto sempre uguale a sé stesso, ca-pace solo di affermare nella ballata inizialeche «Questa o quella per me pari sono» e ri-badire alla fine il suo credo libertino can-tando la celebre romanza «La donna è mo-bile». Verdi ne vietò l’esecuzione al tenoreMirate alle prove, volendo che fosse uditasolo alla prima recita, poiché su questasemplice melodia, facilmente memorizza-bile, aveva progettato un formidabile coupde théâtre. Nel finale Rigoletto torna allacapanna di Sparafucile per ritirare il cada-vere commissionato e si accinge a gettarlonel fiume, quando dal fondo della scena gligiunge la voce del suo nemico che cantic-chia proprio quel futile motivo: in quel mo-mento il pubblico assume lo stesso punto divista del personaggio, e divide la sua atrocesensazione di sorpresa.«V’ho ingannata, colpevole fui» è una dellefrasi più disperate che mai abbia pronun-ciato una donna verdiana, e tocca cosìprofondamente il cuore da farci sembrareforse l’unico omaggio, del resto doveroso,alle convenzioni dei più il momento in cui,accompagnata dagli arpeggi del flauto, Gil-da offre al padre l’unica consolazione per i

poveri e i reietti, «Lassù in cielo, vicino allamadre». Quel cielo di delizie incorporeenon può esistere per il povero gobbo che,impotente, è messo di fronte al suo totalefallimento.

««UUnnaa ssffiillzzaa iinntteerrmmiinnaabbiillee ddii dduueettttii»»

Fra tutti i capolavori di Verdi, Rigoletto èquello più sperimentale dal punto di vistadella drammaturgia musicale, prima del-l’ultima stagione creativa. Se ne scorral’impianto generale per cogliervi come latradizionale «solita forma» quadripartitadell’aria (1. Scena 2. Adagio 3. Tempo dimezzo 4. Cabaletta) sia seguita soltanto neln. 8 «Scena ed Aria» del Duca di Mantova(1. «Ella mi fu rapita» 2. «Parmi veder le la-grime» 3. «Duca, duca? – Ebben?» 4. «Pos-sente amor mi chiama»).9 Non è certo uncaso che tale trattamento spetti al perso-naggio più a senso unico di tutta l’opera, eche un dato formale venga poi ad esseretradotto in puro dramma: causa principaledel meccanismo per cui si giunge alla cata-strofe, il libertino agisce, e nell’unico mo-mento in cui sosta a riflettere è capace solodi sentimenti convenzionali, a differenza ditutti gli altri personaggi dell’opera, ivi com-prese seconde parti come i fratelli borgo-gnoni, l’uno sicario l’altra prostituta.Scorrendo l’indice dei numeri il dato chebalza subito agli occhi è la schiaccianteprevalenza di forme dialogiche. Ben cinquesono infatti i duetti (nn. 3-5, 10, 14), di cuitre di fila al prim’atto: in essi Rigoletto com-pare quattro volte, e in tre casi insieme allafiglia. Si può ben dire che la sua figura ven-ga definita all’interno di un sistema di rela-zioni col mondo intimo dei propri affetti, inaperta dialettica col mondo esterno in cuitalora si specchia, ed è il caso di Sparafuci-le in cui vede, con orrore, un suo doppio.«Ma in altr’uomo qui mi cangio» sussurradolcemente prima di rientrare in casa: tut-tavia il mondo familiare disattende le sueaspettative, perché Gilda gli disobbedisceben due volte, prima palpitando per il gio-vane che incontra nel recarsi in chiesa, epoi non partendo per Verona, ma immolan-

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dosi in luogo dell’amato.Di queste novità formali Verdi parlò chiara-mente a Borsi, motivando il suo rifiuto adaggiungere nuovi pezzi solistici:

ho ideato il Rigoletto senz’arie, senza finali,con una sfilza interminabile di duetti, per-ché così ero convinto. Se qualcuno sog-giunge: “Ma qui si poteva far questo, làquello” ecc. ecc. io rispondo: Sarà benissi-mo, ma io non ho saputo far meglio.10

Bell’esempio di nonchalance, si direbbequasi che il compositore voglia accreditareil primato di un impulso proveniente dal-l’inconscio. Ma già obiettando ai primi stra-li piovutigli addosso dalla censura, avevascritto a Marzari

che le mie note, belle o brutte che sianonon le scrivo mai a caso e che procuro sem-pre di darvi un carattere.11

E in seguito manifestò in molte circostanzel’opinione che Rigoletto fosse «il miglior so-getto in quanto ad effetto» per le «posizionipotentissime»,12 «più rivoluzionaria, quindipiù giovane, e più nuova come forma e co-me stile»13 dell’Ernani (l’altro dramma diHugo ridotto da Piave). Chiunque abbiaavuto a che fare con Verdi sa come nullaegli lasciasse al caso, e questo telaio di dia-loghi su cui è intessuta l’azione non trova ilsolo riscontro nelle peculiarità del soggetto,ma fa parte di un progetto generale.

““MMuussiiccaa iinn sscceennaa””

Rigoletto è opera di conflitti laceranti. Sipuò compiere una prima verifica sulla fun-zionalità di un sistema drammatico co-struito su cogenti opposizioni prendendo inesame il modo in cui Verdi ha impiegato uningrediente tipico del teatro d’opera otto-centesco, la “musica in scena”, cioè con-cretamente prodotta sul palcoscenico davoci insieme a strumenti (come nel caso,piuttosto frequente, delle bande) o dietro lequinte (oppure in altri luoghi) da voci e/ostrumenti.14 Verdi era solito sfruttare la di-

stinzione delle fonti sonore nello spazio percreare diversi piani narrativi, e lo vediamosin dal quadro iniziale (n. 2 «Introduzione»)interamente occupato da una festa, dove hainizio una strategia elaborata per imprime-re una connotazione specifica all’impiantogenerale dell’opera: la vita della corte rina-scimentale di Mantova diviene il presuppo-sto dei conflitti drammatici che seguiranno.Realistico l’avvio, affidato alla banda cheda sola e dietro le quinte, mentre il palco-scenico è sfarzosamente illuminato e pienodi dame e cavalieri, attacca una musica daballo in la bemolle maggiore. Il primo con-trasto è espresso dai differenti piani di so-norità che incarnano due atteggiamenti: al-la forza dirompente del conciso e tragicopreludio affidato all’orchestra segue il te-nue e frivolo motivetto che viene da fuori.Basta questa continuità fra una musica an-cora priva di connotazione – solo alla finedella scena verrà, ad inquadrarla, la male-dizione di Monterone – e una musica spen-sierata, volutamente priva di costrutto, agarantire ricchezza di sfumature psicologi-che. Visibile sul palco, oltre alla banda col-locata dietro il fondale, è disposta una pic-cola orchestra d’archi, composta da dueviolini, una viola e un contrabbasso, cheaccompagna le danze. Verdi impiega dun-que ben tre fonti sonore, a cui affida unospecifico ruolo drammatico: alla bandaquello di far indovinare uno spazio esternodove tutto è lecito, mantenendo con esso unvivo rapporto di sincronia, e al tempo stes-so di accompagnare i recitativi da lontanoconferendo alla parola un rilievo assoluto,all’orchestrina sulla scena il ruolo ufficialedi eseguire le danze più raffinate che incar-nano la galanteria di facciata del cortigiano(Minuetto e Perigordino, ambedue francesi,quasi un indicazione nascosta circa la veraidentità del soggetto). All’orchestra in sala,infine, è riservato il compito di accrescereil livello emotivo di certi passaggi, accom-pagnando la ballata del Duca e il concerta-to, e di rafforzare l’impatto del momento incui farà il suo ingresso Monterone.Sin troppo evidente il debito con il finaleprimo del Don Giovanni di Mozart, con lesue tre danze affidate a tre orchestre sul

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Il tenore Lodovico Graziani nel ruolo del duca di Mantova. Litografia di C. Herberth (1852). (Milano,Museo Teatrale alla Scala).

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palco, ma tale relazione ha più che altro unsapore di citazione del più celebre dei luo-ghi del teatro in musica dedicato al mondoin cui opera un libertino.15 È altresì impor-tante rilevare che a differenza di Mozart, ilquale attua una virtuosistica simultaneitàdelle danze, sovrapponendo le due ultimeal Minuetto iniziale, Verdi sviluppa in unasuccessione diacronica gli eventi, e propriograzie alle possibilità che gli offre la musi-ca in scena nelle sue coordinate spaziali:ognuna delle fonti sonore impiegate svolgeun preciso compito narrativo che la distin-gue dalle altre.L’altro luogo dell’opera in cui un eventoche si svolge all’esterno è posto in relazio-ne col quadro visivo e con il dramma è latempesta del terz’atto, citata anche cometale nell’indice dei pezzi (n. 13 «Scena, Ter-zetto e Tempesta»). E pensiamo anche allaportata metaforica di tale evento, visto chenoi partecipiamo dell’azione in modo spe-ciale, poiché vediamo contemporaneamen-te l’osteria da fuori e da dentro. Qui Verdiimpiegò, ed è un unicum nel suo teatro, ilcoro maschile in funzione connotativa: loschema della mimesi dell’atmosferico pre-vede il lampo, seguito dal tuono (cui da vo-ce il rullo dalla gran cassa interna) e dal co-ro maschile, che vocalizza a bocca chiusasopra un movimento cromatico di terze pa-rallele, il cui ambito d’estensione, ampliatoda una terza minore a una quinta diminui-ta, accompagna le varie fasi d’intensità delfenomeno. L’effetto ha mire realistiche, maviene prodotto con mezzi onomatopeici –in termini riduttivi l’intervento del coro po-trebbe essere definito come la mimesi delvento –, rispecchiando fedelmente la cele-bre massima del maestro per cui era me-glio «inventare il vero» piuttosto che imitar-lo pedissequamente.Questo “vero” ricreato è il clima ideale perun omicidio, poiché accresce a dismisurala tensione e interagisce con i personaggi:Sparafucile, da bravo professionista, intra-vede i vantaggi per il proprio lavoro («Latempesta è vicina!.. / Più scura fia la notte»),mentre Gilda torna sui suoi passi con l’ani-mo scosso da oscuri presagi («Qual notted’orror»). Maddalena, che per salvare il

giovane di cui s’è invaghita ha convinto ilfratello a uccidere il primo viandante chebusserà alla porta, viene còlta da una com-prensibile ansia («È buia la notte, il cieltroppo irato, / Nessuno a quest’ora da quipasserà»), dal canto suo il Duca rimane to-talmente indifferente all’osservazione diSparafucile («E pioverà tra poco – Tantomeglio / Io qui mi tratterrò»). Ma la tempe-sta ha l’effetto più forte su Rigoletto, al suorientro in scena per riscuotere il sacco cheha commissionato:

Qual notte di mistero!Una tempesta in cielo!..In terra un omicidio!...Oh come invero qui grande mi sento!...

Il fulminante parallellismo fra cielo e terra,fallace presupposto della sua grandezza, glisi rovescerà addosso poco dopo con tutta laforza di un’ironia che più tragica non po-trebbe essere.

IInntteerrnnoo vvss eesstteerrnnoo??

Verdi ricorse alla musica in scena, peraltroin modo topico, solo nel quadro d’aperturae per gli effetti della tempesta. Tutto il restodel dramma si sviluppa in modo affatto pe-culiare intorno all’idea di rendere il piùmanifesto possibile ciò che è o potrebbe re-stare implicito, cardine di un dramma incui la stessa visibile difformità fisica servea mettere in enfasi quella morale. Per rea-lizzare questo scopo sfruttò le peculiaritàdella musica in scena in relazione alla“musica di scena” – cioè eseguita con ca-rattere di inserto nell’azione da uno o piùpersonaggi, o dal coro, e dall’orchestra inbuca (come la canzone «La donna è mobi-le») – dove invece la fonte dell’effetto è, perregola, del tutto palese.16 Si legga in questachiave il suo rammarico perché la censuragli avrebbe certo vietato di conservare una“posizione” priva di sottintesi del Roi s’a-muse: la scena in cui Blanche (Gilda) entranella camera da letto del Re (Duca).Il proposito di far interagire esplicito e im-plicito portò inoltre il compositore con coe-

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renza anche a realizzare un progetto sceni-co, in cui fossero riuniti anche visivamenteinterno ed esterno in ben due quadri: la casadi Rigoletto sulla via cieca di Mantova nelprimo atto (sc. 7-15, cfr. i bozzetti alle pp. 12e 14) e l’osteria sul Mincio di Sparafucile nelterzo (cfr. le pp. 31-32). Fu ostico, in questedue circostanze, il compito dello scenografoGiuseppe Bertoja, che se la cavò, a quantorisulta dai bozzetti e dalle cronache del tem-po, piuttosto brillantemente. Il visto che Ver-di appose sui bozzetti è un’ulteriore testimo-nianza della sua volontà di controllare ognidettaglio, così come le informazioni che ot-teneva da Piave su come procedevano i la-vori (il 21 gennaio 1851: «il giovinetto Ca-prara [allora macchinista della Fenice – ndr]vuol provarti la sua abilità nei praticabi-li»).17 Di particolare importanza è la simme-tria con cui in ambo i quadri l’interno fu po-sto alla sinistra di chi guarda, e l’introduzio-ne del praticabile per rappresentare il ter-razzo in cui Gilda canta il «Caro nome». Lascena divisa in due parti rifletteva l’ideadrammatica dell’opera in cui le due zone siscambieranno i ruoli, da positivo a negativo,nella prospettiva di Rigoletto: l’interno dellacasa s’identifica col mondo intimo dell’affet-to paterno del protagonista, ma il rapimentodei cortigiani, che lo viola, innesta un pro-cesso irreversibile che porta all’interno del-

la taverna, dove si compirà la tragedia.Se la cura per la verosimiglianza indussePiave a specificare nel dettaglio particolaridella scena dell’osteria (giunse a precisarenel libretto, sull’esempio della didascalia diHugo, che il muro che divide la scena nelterzo atto «n’è sì pien di fessure che dal difuori si può facilmente scorgere quanto av-viene nell’interno»), non meno grande fu lapreoccupazione di Verdi nel rendere piùevidente la sua volontà mediante la musicadi scena. Perciò anche quando utilizzò «Ladonna è mobile», canzone libertina del Du-ca di Mantova, come semplice segnale ri-volto a Rigoletto per fargli aprire il saccoche stringe fra le mani, non volle nascon-dere la fonte dell’effetto, e fece attraversareal Duca visibilmente il fondo del palco can-tando. L’effetto è micidiale:L’impianto scenico che mette in rapportointerno ed esterno trova piena corrispon-denza col trattamento drammatico-musi-cale del soggetto, che Verdi controllò a di-versi livelli. Nella sottile interazione fra idue ambienti egli seppe creare le premesseper il compimento della tragedia.

BBeennddaa ee ssaaccccoo

«Io trovo appunto bellissimo rappresentare

8

Rigoletto

Al l’on da! al l’on da!

8

Duca

La donna è mobile qual piuma al

(fa per trascinare il sacco verso la sponda, quando

ven to, muta d’ac cen to e di pen sie ro. Sempre un a

Qual voce!..

è sorpreso dalla voce del Duca, che nel fondo attraversa la scena)

esempio 4

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questo personaggio estremamente deformee ridicolo, ed internamente appassionato epieno d’amore», così Verdi, in una bellissi-ma lettera a Marzari del 14 dicembre1850,18 ribadì uno dei suoi principali moti-vi d’interesse per Le Roi s’amuse. Ancoraun’espressione diretta che fa riferimento aun’opposizione fra interno ed esterno, quifra aspetto ed animo. Ma ad esprimere tale contrasto di cui l’operaè permeata sono coinvolti anche due oggettidi scena. Quando Rigoletto torna sui suoipassi, còlto da cattivi presagi, incontra i cor-tigiani che gli propongono di partecipare alrapimento della Contessa di Ceprano. È uninganno atroce ma, come dice a Marullo concui s’intrattiene brevemente a dialogo, «Intanto bujo lo sguardo è nullo», e una palpataalla chiave portagli con l’intento di convin-cerlo è sufficiente per indurlo a partecipare aquella che crede l’ennesima beffa ai danni diun cortigiano. Abbocca perché la scusa èplausibile: durante la festa egli stesso avevavolgarmente deriso Ceprano, mentre il Ducacorteggiava la sua sposa coram populi («Intesta che avete / Signor di Ceprano?»), gli ser-ve però «una larva» onde mascherarsi. Inluogo di essa gli viene stretta al capo unabenda che «cieco e sordo il fa» – come c’infor-mano i cortigiani stessi. Quella benda inter-rompe i contatti col mondo e fa sì che il trau-matico ritorno alla realtà, dove i cani s’allon-tanano con la loro preda, sia mille e millevolte più atroce; inoltre la cecità degli occhirimanda a quella dell’animo (essendo la sor-dità meno pertinente a una benda, e qui uti-lizzata al fine pratico di rendere il protagoni-sta insensibile alle invocazioni d’aiuto dellafiglia).Più importanti ancora sono le implicazionidel sacco, al di là di quello che rappresenta-va per la censura, vale a dire un oggetto inuso a macellai o bottegai, dunque di bassorango, per di più calcato simbolicamente dalpiede di un miserabile che schiaccia un no-bile. Esso cela per l’ultima volta la realtà al-la vista del buffone, e gli consente di vivereper pochi, atroci istanti, una fallace riconci-liazione col potere testé umiliato. Dentro alsacco, squarciato con rabbia e ansia indici-bile nel riudire il Duca, c’è tutto il mondo dei

suoi affetti, c’è quella figlia che sino a quelmomento aveva salvato l’intimo del suo ani-mo dall’ostilità del mondo esterno. Il giocointerno/esterno è dunque caleidoscopico,poiché mille fili s’intrecciano in un telaio fit-tissimo: giunge un segnale musicale (la ri-presa de «La donna è mobile») a giustiziarel’illusione di Rigoletto, visivamente rappre-sentata da una ruvida scorza che ricopreuna materia palpitante. È come se un motodell’animo venisse tradotto in evidenza rap-presentativa.

««PPaattrriiaa!!...... ppaarreennttii!! aammiiccii!!...... IIll mmiioo uunniivveerrssoo èè iinnttee»»

Si notava come l’ossatura di Rigoletto siafatta di duetti, forma dialogica per eccellen-za, ma li si guardi meglio, e vi si scopriràche manca proprio quel confronto che essisollecitano, e che solitamente fa lievitare ildramma. Dialogo non c’è di sicuro tra pa-dre e figlia: nel loro primo incontro eglimostra tutta la sua preoccupazione per laprecarietà del loro destino, le riversa ad-dosso tutto l’affetto di cui è capace, e le for-nisce, non senza esitazioni, qualche scarnainformazione su un passato che par quasinon esistere, perché annullato nel presen-te, l’unico tempo che sembri contare qual-cosa per lui. È dato di cui tener conto il fat-to che nell’ambito della struttura pentapar-tita del duetto (0. Scena 1. Tempo d’attacco2. Adagio 3. Tempo di mezzo 4. Cabaletta),la Scena, normalmente in stile recitativocon carattere introduttivo all’azione suc-cessiva, sia occupata dal grande monologo«Pari siamo», a sua volta direttamente ag-ganciato all’incontro precedente con Spara-fucile, e che il Tempo d’attacco sia segnatodal motivo ottimistico dell’orchestra in domaggiore, che accompagna l’abbraccio frapadre e figlia: tale gesto imprime al branoseguente il sapore di un’illusione di confor-to e pace del tutto irreale.19

Quando padre e figlia torneranno ad incon-trarsi, nell’atto successivo, ben altra è la si-tuazione, e quei fondati timori che agitavanoil buffone si sono infallibilmente tradotti inrealtà. Qui la struttura è assai complessa, vi-

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sto che dalla Scena in versi sciolti (con l’ec-cezione dell’inserto corale dei cortigiani, inversi ottonari)20 si passa direttamente a unlungo Adagio che principia con l’appassiona-ta confessione da parte di Gilda («Tutte le fe-ste al tempio»), una gemma melodica nel ge-nere patetico, tale da commuovere chiun-que. Non però il genitore, messo di fronte alfallimento delle sue legittime aspirazioni,che seguita imprecando:

(Solo per me l’infamiaA te chiedeva, o Dio ...Ch’ella potesse ascendereQuanto caduto er’io ... [...])

ed è rivendicazione solitaria, un a parte diotto versi in partitura dal carattere eroico,che viene così a cozzare contro l’elementopatetico di Gilda. Anche pochi istanti dopo,quando è il momento di consolare la figliaper l’onta appena subita, il padre altro nonfa che tradurre il suo impulso in un’esorta-zione lirica dove, ancora una volta, prendesulle sue spalle ogni responsabilità:

Piangi, fanciulla, e scorrerfa il pianto sul mio cuor.

Ma la piena incomunicabilità tra i due di-viene ancor più chiara nella cabaletta diquesto secondo duetto, quando Rigoletto ri-mane sordo alle invocazioni di pietà e per-dono della fanciulla, e dal suo angolo dellascena si lancia in un solitario, fremente, in-no di morte per il suo nemico. Gilda si limi-ta a riprendere la melodia del padre, comeaveva fatto nella corrispondente sezionedel primo duetto («Veglia, o donna» –«Quanto affetto!...»), quasi che la sua vo-lontà s’annullasse di fronte a lui.In questo percorso il Quartetto, in cui ilbuffone cerca di distogliere la figlia dal sen-timento d’amore per il Duca con l’esempio,è ulteriore conferma che non esistono ca-nali d’intesa: l’articolazione per opposizio-ni incrociate di registri vocali (soprano ebaritono contro mezzosoprano e tenore) edi luoghi scenici (l’interno dell’osteria con-tro la deserta sponda del Mincio) è l’idealepremessa al terzo e ultimo duetto, quando

al padre non resta altro da fare che racco-gliere dalla morente l’ultima strazianteconfessione («L’amai troppo... ora muoioper lui!...»), e di ricevere una vana consola-zione.I duetti padre/figlia sono dunque il cardinedi una prospettiva drammatica da cui Rigo-letto par quasi cercare ad ogni costo confer-me della solitudine ch’è marchio del suostato: «Solo, difforme, povero». Col Duca,poi, non ci sono duetti, né avrebbero senso:l’unico momento in cui signore e buffonesono insieme è la festa, quando dividono lascena con tutti gli altri cortigiani e scam-biano poche, feroci battute. A differenzadel nobile Monterone, il padre plebeo nonva apertamente a reclamare giustizia, aprezzo della propria vita, ma agisce comeagirebbe il suo signore, pur coi limiti delsuo rango. Peraltro il buffone può solo beffare, e l’uni-co modo in cui può realizzare i suoi propo-siti è quello di servirsi del pugnale di un si-cario. Per questo l’unico duetto in cui egliintrattiene un reale rapporto di scambio conun altro personaggio dell’opera è quello conSparafucile, grande pezzo drammatico incui ogni convenzione salta per aria, essendocostruito su un lungo dialogo in stile par-lante: sopra le voci dei due interlocutoriscorre una sinistra melodia in fa maggioredi un violoncello e un contrabbasso. Tutto èscuro, tutto è sinistro: la tessitura degli ar-chi che accompagnano su una figura osti-nata, cui si aggiungono nella seconda parteclarinetti e fagotti, non passa mai il do3 senon nelle ultime battute, dunque le voci in-sieme ai due archi gravi si fondono in unmare di cupezza.Questa strategia dei duetti, da cui mancaun confronto diretto fra servo e signore, en-fatizza dunque la solitudine di Rigoletto:nella mancanza di dialogo col Duca è ilbuffone a farsi carico di una dimensione in-teriore gigantesca, proprio perché ognunova per la propria strada a partire dall’inizio.Il signore interferirà sempre con le sorti diRigoletto, ma come una volontà immanen-te.

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««UUnnaa mmaanniieerraa ddeell ttuuttttoo nnuuoovvaa,, vvaassttaa,, sseennzzaa rrii--gguuaarrddoo aa ccoonnvveenniieennzzee ddii ssoorrttaa»»

Parole verdiane che sono tutte un program-ma, specie «senza riguardo a convenienzedi sorta»,21 adattissime dunque al tratta-mento formale subito da Le Roi s’amuse eda cui sortì Rigoletto. Esse peraltro non so-no riferite al dramma di Hugo, ma a unsoggetto amatissimo da Verdi, che proprioin quegli anni prese più seriamente in con-siderazione, tanto da incaricare Cammara-no di trarne un libretto. Si trattava della Hi-story of King Lear, e la prescrizione accom-pagnava un preciso programma per tale ri-duzione (una “selva”) realizzato da Verdistesso, che l’inviò allo scrittore napoletanoil 28 febbraio del 1850, proprio nel momen-to in cui stava più intensamente pensandoa Hugo. Si rilegga il titolo di questo para-grafo e vi si accosti l’estratto di una letterarivolta al librettista muranese, l’8 maggio1850:

Oh Le Roi s’amuse è il più grande sogetto eforse il più gran dramma dei tempi moder-ni. Tribolet è creazione degna di Shake-speare!!.22

La lettera fu scritta due mesi dopo l’altra,ma conosciamo una missiva di Tito Ricordidel 13 aprile 1850 in cui offre a FilippoDanzinger, direttore del teatro di Trieste«una nuova Opera che il sudd.° Maestro[Verdi] sta componendo per me sopra sog-getto tratto da una tragedia di Skaspeare[sic]».23 Da qui in poi si perdono le traccedel Lear sino a che Verdi stesso non infor-ma l’amico Carcano di aver accantonato ilprogetto, nel giugno dello stesso anno: oraLe Roi s’amuse aveva definitivamente pre-so il sopravvento.Ma fu ciò che realmente accadde? Vale lapena di rileggere, in proposito, l’opinione diJulian Budden che, da buon inglese, serbacostantemente un’attenzione particolare allungo e complesso rapporto tra Verdi eShakespeare:

Le Roi s’amuse non costituiva una novità perVerdi, l’aveva più di una volta preso in consi-

derazione ritenendolo adatto per un’opera,ma fu solo quando dovette abbandonaretemporaneamente il Re Lear che se ne inna-morò. È troppo immaginoso supporre che lanuova vampata d’entusiasmo per il drammadi Victor Hugo abbia avuto origine dallo stes-so impulso creativo che aveva spinto Verdi acimentarsi con Shakespeare? Il raggio di lu-ce che aveva penetrato i meandri nascosti diRe Lear non si è puramente rivolto ad illu-minare Le Roi s’amuse? Entrambi i drammivertono sulla paternità. Il buffone di corte ètratto distintivo di entrambi. [...] Rigoletto po-trebbe anche essere considerato un Re Learmancato.24

Non mi pare affatto un’ipotesi troppo im-maginosa, anzi vari indizi la rendono at-traente e proverò ad esporli, senza preten-dere che le riflessioni seguenti altro nonsiano che suggestioni per ulteriori ap-profondimenti.È anzitutto notevole che Cammarano, giàimpegnato col libretto shakespeariano,avesse ricevuto il compito di ridurre anchela pièce di Hugo, non appena la Fenicecommissionò una nuova opera a Verdi (fusolo in marzo che il lavoro venne girato aPiave). Mi pare che ciò confermi come ilcompositore sentisse pienamente l’affinitàdei soggetti («Tribolet è creazione degna diShakespeare!!!», appunto). Aggiungerei poi,a quanto nota Budden, che non solo ilbuffone di corte distingue ambo i drammi,ma lo stesso ambiente di corte, pervaso dicinismo e ambizione, è lo sfondo impre-scindibile in cui operano i protagonisti.Riflettendo sulla tragedia della paternità,mi pare che Gilda abbia per statuto, qualefiglia unica, le caratteristiche di Cordelia,terza figlia di Lear, e che per natura nonpossa sottrarsi alle leggi dell’amore, ma aquelle filiali concepite come assoluto dove-re: per questo va contro al padre. Si rilegga-no le parole con cui Cordelia, nella scenainiziale, rifiuta apertamente di camuffare ipropri principi e i propri sentimenti, comeGoneril e Regan hanno appena fatto per ot-tenere il loro terzo d’eredità, e dichiara pre-ventivamente, come legge naturale, la pa-rità di doveri fra l’amore verso il genitore e

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verso chi la sposerà:

Obey you, love you, and most honour you.Why have my sisters husbands if they sayThey love you all? Haply when I shall wedThat lord whose hand must take my plight

[shall carryHalf my love with him, half my care and

[duty.Sure, I shall never marry like my sisters,To love my father all.25

Rigoletto, dal canto suo, ama Gilda di unamore assoluto che non ammette repliche,così come Lear che, nel momento della di-sillusione, viene còlto dal furore per nonessere stato adulato come s’attendeva, e re-plica a Kent, che osa prendere le parti diCordelia:

I loved her most, and thought to set my restOn her kind nursery. [to Cordelia] Hence,

[and avoid my sight!26

Quanto peso avranno poi gli organi dellavista nel Lear: non vedono gli occhi del Re,per sinestesia, quanto le parole delle due fi-glie maggiori celano (la ribellione), e nonsono nemmeno in grado di riconoscereKent, che riammette al suo servizio dopoaverlo discacciato. Ancora occhi nell’azio-ne parallela che riguarda il povero Glouce-ster, colpevole anch’egli di non aver saputodistinguere l’assoluta lealtà del primogeni-to Edgard dalla maligna ambizione del ba-stardo Edmund, ideatore della trama cheavrà come conseguenza la scena cruentadove gli verranno cavati a forza gli occhidall’orbita. «Out, vile jelly» [«Via, vile gelati-na»] esclama il carnefice Cornwall: l’acce-camento è reale ma ha l’evidente portatametaforica che lo lega all’azione principale,dove l’altro padre, accecato moralmente,non ha saputo distinguere la sincerità dal-l’adulazione.Come non vedere baluginare il riflesso diquesto complesso intreccio nel rifiuto daparte di Rigoletto di accettare la realtà? Nel-l’essere egli stesso privato della facoltà divedere da una benda portagli dai cortigiani,che maschera un prevedibile inganno? Nel

non comprendere, o nel non voler accetta-re la realtà affettiva di Gilda, incomprensio-ne che trascinerà ambedue nel baratro?

««SSee uunn ppaazzzzoo èè nnoobbiillee oo pplleebbeeoo?? LLeeaarr rriissppoonnddee:: ÈÈuunn rree;; èè uunn rree!!!!»»

«Pazzo», nell’accezione di Verdi intento aimmaginare il proprio Lear,27 corrispondeal Fool di Shakespeare: trovo suggestivoche il musicista avesse inserito fra le partiprincipali proprio il Fool che accompagnaLear in tante vicissitudini del play, e cheavesse immaginato per Lear, nella riduzio-ne spedita a Cammarano, un duetto con-clusivo tra padre e figlia ambientato nellaprigione, scena che manca in Shakespeare.Colpisce soprattutto la frase «Lear senzabadare a chi arriva solleva il cadavere diCordelia».28 Sono segni di come nella suamente maturasse un posto speciale per dueluoghi drammatici per antonomasia del Ri-goletto: il padre che perde l’unico bene au-tentico, e un buffone che viene elevato dirango.Di fronte a questa costellazione il Duca diMantova rivela un’assoluta inconsistenza.Di più: par quasi una sorta di fantasma cheabita la mente di Rigoletto. Il rapporto frasignore e padrone viene quasi rovesciato,rispetto a Shakespeare dove

Lear parla con un affetto curiosamente inti-mo e senza riguardo per la dignità, quasiche le parole del Buffone fossero una suaallucinazione [...]; ed è vero che il Buffonefunge praticamente da seconda personalitàesternata dal re.29

Rigoletto, invece, contiene in sé sia il comi-co sia il tragico, mentre il suo contraltarerappresenta solo il brillante. La mediazio-ne di Hugo stesso, nella ricezione di Shake-speare, mi sembra decisiva, specie quandoafferma che

Shakespeare, c’est le drame; et le drame,qui fond sous un même souffle le grotesqueet le sublime, le terrible et le bouffon, latragédie et la comédie, le drame est le ca-

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ractère propre de la troisième époque de lapoésie, de la littérature actuelle.30

Non solo: il potente-marionetta si muovesempre, musicalmente e drammaticamen-te, come uno se lo aspetta, intona ballate efatue canzoni. Ha persino le stesse reazionidel suo buffone, ma le rivela dopo. Rigolet-to, nel finale del prim’atto, torna sui suoipassi e borbotta tra sé e sé: «(Riedo!... per-ché?)», percosso dal motto della maledizio-ne. All’inizio dell’atto successivo il Duca di-chiara:

Ella mi fu rapita!E quando, o ciel? ne’ brevi istanti, primaChe il mio presagio internoSull’orma corsa ancora mi spingesse!...

Ed è significativo che questa scena sosti-tuisse quella tratta direttamente dal dram-ma originale (per il prevedibile divieto del-la censura), in cui Blanche entra nella ca-mera del Re: sono Piave e Verdi, dunque,che lo spingono a tornare verso la casa delbuffone. Il Duca, peraltro, non deve far fati-ca per ritrovare la sua “amata”, vista le de-vozione dei suoi scherani, e avrà ben mododi consolare atrocemente il pianto della suadiletta.Rigoletto è dunque più che il rovescio di unFool, mi pare un matto che è un re, per mu-tuare le parole tratte dalla riduzione ver-diana del Lear: concepisce un piano di ven-detta contro un signore inconsistente, siconquista un livello di dignità versando la-

crime, sudore e sangue, e se la maledizionelo stronca, tuttavia non cancella tutto il tra-vagliato processo che lo porta ad esclama-re: «O come invero qui grande mi sento»,immerso nei lacerti di una tempesta chemalintende.Ben altro effetto aveva avuto la tempestanell’animo di Gilda, il baluginare di queilampi accompagnava il tumulto del suoanimo, vero pedale tragico per un gesto no-bile come il sacrificio. Una decisione eroicapresa nel contesto di una natura nemica, difronte a una miserabile stamberga, mentrein orchestra risuonano accordi grevi, con lequinte vuote in guisa di bordone. Un climamusicale di depravazione che WolfgangOsthoff ha mirabilmente descritto, parago-nando quegli accordi che si muovono esi-tanti, punteggiati dal suono stridulo dell’o-boe, come l’evocazione di un suono di ghi-ronda («Drehleiermusik», es. 5 a):31

Ciò che caratterizza l’attacco e il successivosviluppo di questa Scena è il piede dattilico(– ∪ ∪) che imprime un pigro movimento auna catena d’accordi statici su cui si scate-neranno gli elementi, e che regge anche levoci del coro che vocalizza a bocca chiusa(es. 5 b). Torniamo al primo duetto tra pa-dre e figlia, e precisamente alla cabaletta«Veglia, o donna», per cogliere un suggesti-vo arco che attraversa la partitura e, al tem-po stesso, l’intera azione dammatica:Nella cabaletta del duetto (es. 6) la formulad’accompagnamento degli archi al canto diRigoletto, per piedi dattilici regolarmentealternati a piedi spondaici, segue immedia-

Vle, Vlc, Cb

estremamente piano

Ob

(a)

Tenori

Bassi(entro le scene vocalizzando a bocca chiusa)

(b)

esempio 5

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formula ritmica rimane solo un inquietantelacerto ma è quanto basta, perché oramaiogni illusione di serenità non ha più ragiond’essere. Ma si noti inoltre, riguardando l’es. 6, comela successione di dattili e spondei (– ∪ ∪ – –)abbia un celeberrimo precedente inBeethoven, autore amatissimo da Verdi e alui consentaneo, per l’espressione assolutadi valori drammatici nella musica:32

Quella sezione del duetto è intrisa di unatragica ironia: la raccomandazione allaserva corrotta, intonata con voce soave

quale in nessun altro momento dell’operagli sentiremo, suona come il più cupo pre-sagio del Rigoletto-padre, che sa già dentrodi sé che perderà la figlia. In riva al Mincio,atmosfera a entrambi fatale, nutrita di ungesto d’amore assoluto, c’è un barlume dicivile speranza, perché Gilda è indotta alsacrificio nel vedere il pianto rigare le gotedi una prostituta come Maddalena («Che!piange tal donna!... Né a lui darò aita!...»).Ma proprio quel presagio nato all’internodelle pareti domestiche, altrimenti sicure,si sta avverando. Il riferimento a Beetho-

Fl, Ob, Cl, Fag, Cr

Vle, Vlc, Cb

esempio 6

esempio 7

Beethoven, VII Sinfonia || Allegretto

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ven, che reputo consciamente attuato daVerdi (es. 8 b), è volto allo schema ritmicosu cui si sviluppa il corto motivo dal passoimplacabile (es. 8 a):Una cieca ostinazione di Rigoletto che ètratto distintivo dell’opera ed è ineluttabilecome il suo destino, qui tradotto in una pe-netrante quanto raffinata metafora sonora.«Ah mio ben solo in terra»: se Lear ha tuttoe tutto lascia, Rigoletto ha solo una figlia,

ma la sua perdita è più radicale, più ro-mantico il suo agire, e altrettanto tragica eoscura la conclusione.La Maledizione: forse il nobile Monterone,tonante “convitato di pietra”, uscirà dalcarcere, ma l’umile reietto non può evitareil proprio destino – ed è questo il messaggiopessimistico che ci giunge da Rigoletto. Lafiducia in un ideale di riscatto da questomomento lascia Verdi per sempre, segno

(a) (b)

che il suo laicismo sta per divenire radica-le. Quella sorte che sfascia un uomo prede-stinato prenderà aspetti più concreti, ve-stendo gli abiti da sera dell’ipocrita societàborghese che accelera il disfacimento diVioletta Valéry, o la tonaca del Grande In-quisitore, emblema del cupo potere clerica-le che annienta Elisabetta e Don Carlos, o ilcostume ieratico di Ramfis, gran sacerdoteche condanna Radames e Aida. Contro diessa, in un utopico tentativo di riconcilia-zione, il soprano del Requiem invocherà«Libera me».

NOTE

* Desidero ringraziare Fabrizio Della Seta e David Ro-sen, che hanno letto la prima stesura di questo saggio emi hanno dato preziosi suggerimenti per correggerlo emigliorarlo. L’analisi è condotta sulla partitura di Rigo-letto (Milano, Ricordi, © 1914, rist. 1980), da cui sonotratti gli ess. mus. (la riduzione è in suoni reali). Il saggio è tratto da Verdi-Studien. Pierluigi Petrobellizum 60.Geburstag, herausgegeben von SieghartDöhring und Wolfgang Osthoff, unter Mitarbeit vonArnold Jakobshagen, München, G. Ricordi & Co., 2000,pp. 153-177.1 Il decreto della R. Direzione centrale d’Ordine pub-blico viene trascritto in appendice alla lettera di Mar-zari a Verdi del 1° dicembre 1850, in I copialettere diGiuseppe Verdi, pubblicati e illustrati da Gaetano Ce-sari e Alessandro Luzio e con prefazione di MicheleScherillo, Milano, Commissione per le onoranze a Giu-seppe Verdi nel primo centenario della nascita, 1913

esempio 8

[ristampa fotomeccanica: Bologna, Forni, 1968], p. 487.2 Cfr. MARIO LAVAGETTO, Un caso di censura. Il “Rigo-letto”, Milano, Il Formichiere, 1979, dove l’autore svelacon acume i meccanismi di una potenza clericale e cie-ca.3 Lucrezia Borgia (1833), ambientata presso gli Esten-si a Ferrara nel XVI secolo è il diretto antecedente di Ri-goletto nel melodramma ottocentesco, e Verdi studiòattentamente le numerose novità formali contenutenella partitura di Donizetti, fra cui l’uso drammaticodel “parlante” (cfr. nota 20) nel dialogo tra Rustichelloe Astolfo (n. 10 «Scena e Coro»). Lega le due opere an-che la comune origine da Victor Hugo, la cui Lucrèce

Borgia (1833) forma, col Roi s’amuse, una sorta di dit-tico della difformità (qui morale là fisica). Da Hugo(Angelo, tyran de Padoue, 1835) fu tratto anche Il giu-ramento di Mercadante (1837), dove lo sfondo è il cor-rotto ambiente della corte degli Ezzelini.4 Per l’intera questione della genesi dell’opera si ri-manda all’appassionata quanto documentata ricostru-zione di MARCELLO CONATI (Tribolet è creazione degnadi Shakespeare!!!), nel suo “Rigoletto”. Un’analisidrammatico-musicale, Venezia, Marsilio, 1992 pp. 3-74.5 Lettera del 3 giugno 1850, in FRANCO ABBIATI, Giusep-pe Verdi, 4 voll., Milano, Ricordi, 1959: II, pp. 63-4.

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6 La terza dell’accordo viene raddoppiata al basso: ta-le procedimento enfatizza la sonorità del do iniziale ditrombe e tromboni e porta all’anomala risoluzione di-retta sulla triade di tonica allo stato fondamentale enon in secondo rivolto (I 6

4 ). Eccede le norme anche ilfatto che Verdi non impieghi l’accordo eccedente (co-munemente noto come «sesta tedesca») con la tradizio-nale funzione di dominante secondaria in modo mag-giore.7 Verdi impiega la sesta tedesca in modo analogo aSchubert nelle due battute iniziali e nelle due conclusi-ve di Am Meer, n. 12 di Schwanengesang, anche se l’u-nica analogia fra le due situazioni sta nel fatto che inambo i casi si tratta di una sorta di motto armonico(Cfr. Franz Schubert’s Werke. Kritish durchgeseheneGesamtausgabe, Leipzig, Breitkopf & Härtel, 1884-97,serie XX, vol. 9, 1895, pp. 178-9).8 Si leggano in proposito le argomentazioni diWOLFGANG OSTHOFF, Caratterizzazione musicale delpersonaggio di Gilda, in «Verdi. Bollettino dell’Istitutodi studi verdiani», III/8, 1973, pp. 1275-1314.9 Adotto qui, e altrove per il duetto, la griglia analiticaproposta da HAROLD POWERS («“Melodramatic Structu-re”. Three Normative Scene Types»); cfr. “La solita for-ma” and “the uses of convention”, in Nuove prospetti-ve della ricerca verdiana, Parma/Milano, Istituto distudi verdiani/Ricordi, 1987, pp. 74-109 (anche in «Ac-ta musicologica», LIX/1, 1987, pp. 65-90), e particolar-mente la tavola 1, p. 106.10 Lettera dell’8 settembre 1852, in I copialettere diGiuseppe Verdi, cit., p. 497.11 Lettera del 14 dicembre 1850, ibid., p. 111.12 Queste due espressioni sono estrapolate da una let-tera del 22 aprile 1853 ad Antonio Somma (ALESSANDRO

PASCOLATO, “Re Lear” e “Ballo in maschera”. Lettere diGiuseppe Verdi ad Antonio Somma, Città di Castello,Lapi, 1902, pp. 46-7), cui Verdi intendeva affidare ilcompito di scrivere il libretto del Re Lear, dopo la mor-te di Salvatore Cammarano. Ecco un primo esempio dicortocircuito fra Lear e Rigoletto.13 Lettera a Piave dell’ottobre 1854, in FRANCO ABBIATI,Giuseppe Verdi, cit., II, pp. 175-6.14 Per una prima disamina della musica prodotta inscena, e le sue funzioni, si veda MICHELE GIRARDI, Unaspetto del realismo nella drammaturgia di “Stiffelio”:la musica da fuori scena, in Tornando a “Stiffelio”. Po-polarità, rifacimenti, sperimentalismo, messinscena,effettismo e altre “cure” nella drammaturgia del Verdi“romantico”. Atti del Convegno internazionale di studi(Venezia, 17-20 dicembre 1985), a cura di G. Morelli,Firenze, Olschki, 1987, pp. 223-241 (Quaderni della Ri-vista Italiana di Musicologia, 14). 15 Cfr. PIERLUIGI PETROBELLI, Verdi e il “Don Giovanni”.Osservazioni sulla scena iniziale del “Rigoletto”, in At-ti del I Congresso internazionale di studi verdiani. Ve-nezia, 31 luglio-2 agosto 1966, Parma, Istituto di studiverdiani, 1969, pp. 232-46. 16 La categoria generale di “musica di scena” è statatratteggiata da CARL DAHLHAUS (Drammaturgia dell’o-pera italiana, in Storia dell’opera italiana. VI: Teorie etecniche, immagini e fantasmi, a cura di L. Bianconi eG. Pestelli, Torino, EDT/Musica, 1988, pp. 113-6); su diessa è tornato LUCA ZOPPELLI (‘Stage Music’ in Early Ni-neteenth-Century Italian Opera, in «Cambridge opera

journal», ed. by A. Groos and R. Parker, II/1, 1990, pp.29-39). Per una distinzione fra “musica di scena” e“musica in scena”, si veda MICHELE GIRARDI, Per un in-ventario della musica in scena nel teatro verdiano, in«Studi verdiani», VI, 1990 (1991), pp. 99-145.17 FRANCO ABBIATI, Giuseppe Verdi, cit., II, p. 100. Sull’u-so dei praticabili cfr. MARIA TERESA MURARO, Le sceno-grafie delle cinque ‘prime assolute’ di Verdi alla Fenicedi Venezia, in Atti del I Congresso internazionale distudi verdiani [sul tema “Situazione e prospettive deglistudi verdiani nel mondo”]. Venezia, 31 luglio-2 agosto1966, Parma, Istituto di studi verdiani, 1969, pp. 328-34.18 I copialettere di Giuseppe Verdi, cit., pp. 110-1.19 Verdi aveva sperimentato l’inserimento di un mo-nologo all’interno della «solita forma de’ duetti» nel n. 7«Gran Scena e Duetto» tra il protagonista e la moglienel primo atto di Macbeth (1847), dove «Mi s’affacciaun pugnal?!» occupa una posizione analoga a «Pari sia-mo», e precede lo sviluppo regolare della forma.20 A complicare ulteriormente l’articolazione formaledi questo duetto, Verdi impiegò nella Scena la tecnicadel parlante che, solitamente, distingue le sezioni cine-tiche (Tempo d’attacco e Tempo di mezzo): affidò cioèla melodia principale all’orchestra mentre le voci dia-logano. 21 Verdi a Cammarano, 28 febbraio 1850, in I copialet-tere di Giuseppe Verdi, cit., p. 478.22 FRANCO ABBIATI, Giuseppe Verdi, cit., II, p. 62.23 MARCELLO CONATI, La bottega della musica. Verdi ela Fenice, Milano, Il Saggiatore, 1983, p. 200.24 JULIAN BUDDEN, The Operas of Verdi, 3 voll., London,Cassell, 1973-1978; trad. it.: Le opere di Verdi, Torino,Edt/Musica, 1985-1988: I (= Da “Oberto” a “Rigoletto”),p. 528.25 The History of King Lear, 1.90, in WILLIAM SHAKE-SPEARE, The complete Works, ed. by S. Wells and G.Taylor, Oxford, Clarendon Press, 1988, p. 911.26 The History of King Lear, cit., 1.116, p. 912.27 L’espressione è tratta dal programma del Lear in-viato da Verdi a Cammarano in allegato alla lettera del28 febbraio 1850, in I copialettere di Giuseppe Verdi,cit., p. 478.28 Ibid., p. 482.29 WILLIAM EMPSON, Seven Types of Ambiguity, Lon-don, Chatto & Windus, 19533; trad. it.: Sette tipi di anbi-guità, Torino, Einaudi, 1965, p. 97.30 VICTOR HUGO, Préface à Cromwell, Paris, Garnier-Flammarion, 1968, p. 75. Sul ruolo di mediatori traShakespeare e la cultura italiana di Victor Hugo e delfiglio François-Victor cfr. JAMES HEPOKOSKI, Boito andF.-V. Hugo’s “Magnificent Translation”: A Study in theGenesis of the “Otello” libretto, in Reading Opera, ed.by A. Groos and R. Parker, Princeton, Princeton Uni-versity Press, 1988, pp. 34-59; MICHELE GIRARDI, Fontifrancesi del “Falstaff” e alcuni aspetti di drammaturgiamusicale, in Arrigo Boito, atti del convegno nel cento-cinquantesimo della nascita, a cura di G. Morelli, Fi-renze, Olschki, 1994, pp. 395-430 (trad. inglese: FrenchSources of “Falstaff” and Some Aspects of Its MusicalDramaturgy, in «Opera Quarterly», XI/3, 1995, pp. 45-63).31 WOLFGANG OSTHOFF, Verdis musikalische Vorstel-lung in der Szene III, 4 des “Rigoletto”, in Nuove pro-spettive della ricerca verdiana, Parma/Milano, Istituto

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di studi verdiani/Ricordi, 1987, pp. 57-73. La ghironda,nel rinascimento, era chiamata «viola da orbo», perchéveniva di norma usata da suonatori ciechi per accom-pagnare il canto. Tornata in auge come strumento pa-storale presso l’aristocrazia francese nel XVIII secolo, ri-divenne strumento popolare nel secolo successivo, ecome tale fu immortalata da Schubert nel Leiermann,ultimo Lied della Winterreise (1822), e da Donizetti, inLinda di Chamounix (1842).32 LUDWIG VAN BEETHOVEN, VIIE Symphonie, Paris,Heugel & Cie, © 1951, p. 68.

Locandina della prima assoluta di Rigoletto al Teatro La Fenice, 11 marzo 1851. (Venezia, Archivio Storicodel Teatro La Fenice).

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Jean-Adolphe Beaucè, Il re e Bianca, da Le roi s’amuse, dramma di Victor Hugo. Immagine tratta daOeuvres illustrées de Victor Hugo, Parigi 1855.

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Io trovo […] bellissimo rappresentare que-sto personaggio esternamente deforme e ri-dicolo, ed internamente appassionato e pie-no d’amore.

Così Verdi guarda a Rigoletto: buffone sgra-devole, cinico, crudele, socialmente infimo,che si alimenta della propria degradazionementre tiene nascosto dentro di sé il sacrosentimento dell’amore paterno. Questa la-cerazione di sentimenti lo porta ad esaspe-rare il suo ruolo di istigatore e regista delledepravazioni del Duca e della corte manto-vana, tanto da attirarsi sul capo la “maledi-zione” di un altro padre (Monterone) e su-birne la più tragica delle conseguenze: il“suicidio” della propria figlia.La maledizione, quindi, come motore deldramma: lanciata nelle prime scene, av-vertita da Rigoletto dopo il rapimento-beffadella figlia e alla fine inevitabilmente subi-ta.Sulla centralità della maledizione aveva giàdetto tutto Hugo consegnando finalmentealle stampe (1846) il suo Le Roi s’amuse,straordinaria fonte di Rigoletto. Lo stampadopo oltre dieci anni da una sola apparizio-ne sulla scena teatrale, bruscamente inter-rotta: non era ammissibile per la censuramettere alla berlina del giudizio del pubbli-co parigino un buffone che corrompe il re,«lo abbrutisce, […],lo esorta a turbare laquiete delle famiglie dei nobili di corte, gliindica incessantemente la moglie da sedur-re, la sorella da rapire, la figlia da disonora-re». Che poi questo re finisse anche per cer-care le prostitute nei bassifondi parigini fa-ceva del dramma un “lavoro immorale”. Ecosì Hugo, nello stampare il suo drame,passa in silenzio le vicende non certo edifi-

canti del re Francesco I e di Bianca, la figliadel buffone, e concentra tutta l’attenzionesu quest’ultimo, o meglio sulla maledizionedi un padre deriso verso un altro padre,che, ahimè, non riesce neppure a salvare lafiglia ormai persa nella “follia” amorosa.E Verdi, scrivendo con entusiasmo all’inse-parabile Piave circa il soggetto della nuovaopera per il Teatro La Fenice non fa che pa-rafrasare le parole del drammaturgo fran-cese.

Tutto il soggetto è in quella maledizione chediventa anche morale. Un infelice padreche piange l’onore tolto alla sua figlia, deri-so da un buffone di corte che il padre male-dice, e questa maledizione coglie in unamaniera spaventosa il buffone, mi sembramorale e grande al sommo grande.

Ma la maledizione basta da sola a giustifi-care il complesso percorso drammaturgi-co-musicale che porta Gilda al suicidio?Che cosa possiamo intuire del suo punto divista interno al di là della violenza macro-scopica che subisce sulla scena – peraltronon così rara al tempo, data la sua condi-zione sociale?Spalleggiati da alcune declinazioni dellamusicologia à la mode (ce ne sono per tuttii gusti: antropologia della ricezione, genderstudies – con i pre-giudizi delle “femmini-ste” – o queer studies – dalla parte degliomosessuali) vorremmo provare a rilegge-re il dramma con gli occhi di Gilda, confes-sando di provare un senso di imbarazzo difronte al suo folle suicidio messo lucida-mente in atto per salvare un amante (nonval la pena di scomodare tutti i giudizi dinefandezza che si continuano a prodigare

CARLIDA STEFFAN

LASSÙ IN CIELO, VICINO ALLA MAMMAOSSERVAZIONI ATTORNO AD UN INEVITABILE SUICIDIO

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verso il povero Duca, anche lui animasconnessa che nel fondo vorrebbe poterprovare sentimenti autentici d’amore, chegli sono impediti dal ruolo libertino a cui èobbligato – prima di tutti da Rigoletto – permantenere appariscente la propria posizio-ne di potere, ovvero di chi può sovvertireogni buon ordine morale), un amante cheapparentemente ha solo “giuocato” con ilsuo candore e ormai saturo anche delle no-bili dame se la fa con le prostitute.Ma la percezione di un personaggio all’in-terno delle convenzioni del melodramma èuna faccenda complicata che passa ovvia-mente attraverso le parole con cui si espri-me ma anche – e soprattutto – attraverso lemodalità con cui vengono assecondati odeformati o stravolti i cliché delle formemusicali.Tutto è già stato detto. Rigoletto dovendoguerreggiare incessantemente con la paro-la – virtù che per altro si autoriconosceva –usa soprattutto l’andamento duttile, spez-zato e libero del declamato, dove la parola èa volte buttata fuori con rabbia a volte pla-smata in linee melodiche; e anche quandoè costretto nel numero chiuso tradisce nel-la forma la lacerazione continua, la man-canza di stabilità psicologica ed emotiva. Alcontrario, il Duca si muove senza alcunsenso di colpa tra il gioco d’identificazionein uno studente povero e i panni del poten-te depravato, impiegando così all’occasioneuna «solita forma» per l’aria patetica (iniziosecondo atto) oppure un motivo da canzo-netta senza pretese o quasi di irriverentefattura («La donna è mobile» dell’atto fina-le, fondamentale per riconvertire ai nostriocchi la percezione del personaggio, condi-zionata, per l’appunto, dall’aria «Parmi ve-der le lagrime»).Facilissimo, quindi, percepire all’internodel codice melodico-formale che i due per-sonaggi (come ogni baritono e tenore nelleconvenzioni della scena melodrammatica)sono tra loro antagonisti (ma costretti dalburrone della differenza sociale a non con-frontarsi mai in un duetto) e mirano en-trambi (per differenti motivi, ovviamente)a “possedere” Gilda.Sì, perché rimbalza subito dal duetto del

primo atto la possessività con cui Rigoletto“gestisce” il rapporto con la figlia (un so-spetto: forse c’entra con la “pazzia” finaledi Gilda): «apre con chiave [un’altra chiaveverrà invece censurata], ed entra nel corti-le» della casa dove la tiene segregata, dopoessersi triturato l’animo, bestemmiando ilcielo e confidandoci l’estrema delusione edannichilimento della sua esistenza. Il duet-to sortisce al contrario con tutte le risorsesemantiche della tensione felice (energiaritmica dell’orchestra e luminosa tonalitàd’impianto), che mantiene alta la nostratensione di fronte all’incontro. Ma Gildanon canta un suo motivo, non apporta mu-sicalmente un’idea diversa da Rigoletto;l’impressione è che preferisca rispecchiare(senza esserne convinta fino in fondo) leidee (musicali) del padre, perché “immatu-ra” e non preparata ad affrontare un con-fronto diretto. Così, dopo essersi vicende-volmente trastullati (Gilda: «Oh quantoamore!» / Rigoletto: «Mia vita sei») su sche-mi melodici discendenti affini, bastano po-che domande dirette a far precipitare tuttodentro accordi ribattuti nella zona gravedopo aver fatto sparire i trilli in orchestra.Chi sono? Come ti chiami? Chi è la mia fa-miglia? – chiede Gilda (difficile immagina-re un rapporto filiale che non implichi nep-pure la conoscenza del “nome” – parolache invece la ragazza intonerà di lì a pocorivolgendosi a tutt’altro amore).Da parte di Rigoletto nessuna risposta: solola proibizione a non uscire di casa. Gildainsiste; chiede della madre confidando nel-la seduzione melodica di un canto puro einnocente (quasi eco di chiesa); ma l’egori-ferimento di Rigoletto si traduce in un can-tabile in cui si piange addosso per aver per-so la donna tanto buona cara e dolce cheper di più aveva avuto il coraggio di amar-lo (che poi le mamme non compaiano maiè un topos del melodramma dell’Ottocentofunzionale sia alla distillazione del terzettosoprano e due antagonisti – ovvero lui, lei el’altro oppure il padre, lei e lui – sia a riflet-tere la condizione di una società patriarca-le che per altro si prende la briga di man-dare tutte le mamme in paradiso e trasfor-marle in angeli tutelari), istillando all’uopo

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in Gilda il classico complesso di colpa («tusola resti al misero») per cui, quando è co-stretta ad intervenire, aggiunge un’artifi-ciosa fiorettatura litanica («Oh, quanto do-lor! Quanto dolor!»).Molto si è scritto su questo duetto, soprat-tutto in rapporto al superamento delle con-venzionali articolazioni tra cantabile e ca-baletta; potremmo aggiungere che tale«mediazione» (C. Dahlhaus) rispetto allescansioni rigide della «solita forma» è fun-zionale ad esprimere l’inesistenza di unrapporto familiare, dove Rigoletto trattaGilda da figlia-oggetto e lei (con una vergi-nità vocale di facciata) non può fare a me-no di avere l’approvazione del padre e pro-va con un tenero cantabile («Già da tre lu-ne»): ma Rigoletto non ci sente e la ragazza,nella cabaletta finale, si dimentica di avergià confessato le sue fughe in chiesa e men-te spudoratamente di fronte all’ostinazionepaterna. E neppure nella cabaletta – luogoformale ideale per convogliare cliché mu-sicali di sicuro effetto risolutivo – i due ar-rivano ad un confronto sincero: Rigolettointona un Allegro assai moderato chieden-do a Giovanna di «vegliare» sulla figlia eGilda rinuncia a metterci una sua idea mu-sicale (rinuncia ad esprimere il suo puntodi vista), preferisce ripetere meccanica-mente le sedici battute declinate dal padre,rendendo palese quanto fittizia e di “con-venzione” sia l’obbedienza filiare della ra-gazza, che esploderà tra breve, appena Ri-goletto avrà girato l’angolo.Di più apparente convenzione formale è in-vece il duetto in cui Gilda dialoga con ilDuca. Qui la «solita forma» si esprime conun più naturale svolgimento, con tanto dicabaletta precipitosa («Addio, addio spe-ranza ed anima») che proprio nella con-venzionalità del vecchio stile operistico –deplorato da molti commentatori – e nelcarattere di conclusione enfatica (i dueamanti sembrano non volersi mai lasciare)comunica all’ascoltatore che il Duca ha in-vece pieno controllo sul cuore di Gilda. Maanche qui, nell’esordio del duetto, la ragaz-za ripete un frammento di due battute, poiimitato dall’orchestra, senza che riesca a fi-nire di formalizzare il suo episodio lirico e

poi sul più bello il Duca le porta via rapida-mente il canto e impone vocalmente la suacapacità di controllo sulla ragazza intonan-do «È il sol dell’anima». Gilda, quindi, spar-ge più di un segnale musicale che ci avver-te della sua immaturità e incapacità di af-fermare la propria personalità: preferisceassecondare senza convinzione il padre olasciarsi risucchiare nelle fatue scaltrezzedell’amore del Duca, perché priva di un’a-deguata educazione sentimentale che pro-prio il padre le ha negato.(Nel testo di Hugo l’amore di Bianca per ilmisterioso «cavaliere» si declina in versi diautentica autoconvinzione: «Tranne me, ledonne non sono niente per lui. Pensa sol-tanto a me, per lui non esiste altro: né gio-chi, né feste, né passatempi»!!!)La sua aria, nel consumarsi del primo atto,dove invoca con forte emotività il «caro no-me» finalmente conosciuto dell’amante(nome invece negato dal padre), è di nuovolontana dalla struttura dialettica conven-zionale; è una «cavatina» in un tempo solo,strana forma con variazioni, funzionale perlasciare libero sfogo interiore alle fioriture(si noti: sempre sul «nome» di Gualtiero):in altre parole, è l’inevitabile fantasticare diun’adolescente che arrivata sguarnita distrumenti all’incontro amoroso, ha persoogni controllo e manifesta la propria totalepassività.Quando, dopo il fattaccio, Rigoletto scoprela figlia nelle stanze del Duca, quest’ultima,concentrata nel suo dolore, non ha il tempoper dirci cosa prova, ora che ha finalmentedato un “volto sociale” al proprio padre; daparte sua Rigoletto recita alla grande, fa ilduro, prova anche lui a lanciare qualchemaledizione nei confronti del Duca (stessimoduli melodici usati da Monterone); forsecerca solo di apparire agli occhi della figliain una situazione di forza («Se il Duca vo-stro d’appressarsi osasse, / Ch’ei non entri,gli dite! e ch’io ci sono», suggellata dal piùscontato degli effetti armonici, una cadenzaperfetta, che assume una ridefinizione se-miotica di gran forza e di autorevolezza…).Rimasti soli, Gilda prova con fatica doloro-sa a raccontare al padre il suo vero incon-tro con l’amore proprio a ridosso del rapi-

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mento e Rigoletto dopo un a parte di invo-cazione a Dio non ha di meglio che indurrela figlia al pianto, senza entrare in un “veri-tiero” incontro-scontro degli opposti senti-menti ed ancora una volta la cabaletta (che,come abbiamo già visto, funziona un po’ dacartina tornasole del rapporto) la musicanon fa nulla per distinguere queste opposi-zioni.E se le articolazioni formali del duetto nonriescono a convincere fino in fondo è so-prattutto perché il cantabile di Gilda passasenza soluzione di continuità dalla descri-zione di Gualtiero a quella del rapimentosenza metterci a conoscenza diretta dell’in-contro tra i due amanti come avviene nellascena seconda del terzo atto de Le Roi s’a-muse. Qui l’incontro tra Bianca e il Re ren-de palese il grado di coinvolgimento dellaragazza e, perché no, anche del giovane so-vrano. Lei è senza parole quando scopreche il mandante del rapimento è il suo po-vero studentello e dimostra di essere assaipiù scaltra ed avveduta di quanto si possapensare; sa valutare bene l’inconsistenza diogni promessa da parte di un potente («Tut-to questo è un gioco, non è vero?»), che daparte sua si lascia sfuggire l’amara consta-tazione di essere risucchiato nelle spiredella convenzione sociale («[…] se sono ilre, questa non è una buona ragione per ac-cogliermi con tanta avversione! Se non hoavuto la fortuna di nascere povero, che ma-le c’è?»). Un duetto importante, quindi, percapire come vanno le vicende del terzo attodi Rigoletto, ma purtroppo un duetto daconfezionare sullo sfondo della camera daletto e con un paio di allusioni – se si vole-va tenere il testo sagace di Hugo – che nonsarebbero certo passate indenni all’occhiovigile della censura austriaca di stanza aVenezia.Censura che da parte sua impose non po-chi sacrifici alla gestazione del libretto diRigoletto (si sa: da Re Francesco di Hugo alDuca di Mantova di Piave, e poi vari cam-biamenti del titolo, ecc..), e l’Imperial RegiaDirezione Centrale d’Ordine Pubblico se laprese direttamente con i vertici del teatroveneziano, anche se fu lo stesso Verdi, dauomo di mondo qual era, a comandare per

suo conto all’obbediente Piave di cassare lascena a corte dove il Re toglie dalla tascauna bella chiave d’oro e si appresta ad en-trare nella camera dove si era infilata laverginella rapita.

Bisognerebbe trovare qualche cosa di piùpudico e togliere quel fotisterio troppo evi-dente. Levare la chiave che suggerisce l’i-dea chiavare et… et… Oh Dio! Son cosesemplici, naturali ma il patriarca non puòpiù gustare quest’idea!!

Un taglio che continuò a rodere il ricordodi Verdi e a far soffrire certo soprattutto ilsuo spiritello anticlericale ribelle, maanche – mi piace oggi azzardare – la suasensibilità drammaturgica lucidissima,giacché a lavoro concluso continuava adinterrogarsi, scrivendo sempre all’insepa-rabile Piave:

un pezzo nuovo vi sarebbe in più. Difattideve trovare una posizione? Dei versi e del-le note se ne possono fare, ma sarebberosempre senza effetto dal momento che nonvi è una posizione: una ve ne sarebbe, maDio ci liberi; saressimo flagellati. Bisogne-rebbe far vedere Gilda col Duca nella suastanza da letto!!! Mi capisci? In tutti i casisarebbe un Duetto. Magnifico Duetto!! Ma ipreti, gli ipocriti griderebbero allo scanda-lo…

Proprio negli ultimi versi della cabalettaconclusiva del secondo atto Gilda continuaa ripetere fra sé di amare il Duca; la loro re-lazione continua idealmente durante l’in-tervallo fra i due atti (da Hugo sappiamoche la ragazza continuava con serafica bea-titudine la relazione amorosa, «Vedete – di-ce al padre – anche lui mi ama»; glielo haconfessato e giurato anche il giorno avantie lei si sente disposta a tutto per questoamore – «io sarei pronta a morire per luicome per voi»). Sotto il peso di tali allucina-zioni amorose va da sé che l’architettatascena del quartetto con il Duca tra le brac-cia di Maddalena spiato da Rigoletto e Gil-da contribuisce non a prendere posizionidecise e razionali ma accelera il processo

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di deflagrazione interna e sotto gli assaltisinistri della tempesta Gilda consuma nellalucidità della “follia” il suo inutile suicidio. Quando Rigoletto se la ritrova fra le bracciamorenti Gilda ha ancora il coraggio (belcoraggio) di chiedere perdono non solo perlei, ma anche per il Duca:

GILDA

V’ho ingannato! Colpevole fui!L’amai troppo! Ora muoio per lui!

prima che Verdi le accordi una melodia on-dulante con lunghi arpeggi acuti che presa-gisce il passaggio al cielo, dove – secondo laconvenzione operistica – potrà finalmenteabbracciare la propria madre.La follia del suicidio è in realtà l’unica scel-ta che finalmente emancipa Gilda dai rap-

porti di forza imposti dagli uomini che han-no gestito e consumato la sua vita. Se il Du-ca è arrivato a conquassare la sua anima ela sua ragione a tal punto, è pur sempre percolpa di Rigoletto, il quale, sia pur in buonafede, si è preoccupato di preservare la figliadal mondo esterno ma non da sé stessa. (Ele vergini, si sa, non vanno tenute sotto unacampana di vetro.)

Jean-Adolphe Beaucè, Triboulet riconosce Bianca, scena finale di Le roi s’amuse, dramma di Victor Hugo.Immagine tratta da Oeuvres illustrées de Victor Hugo, Parigi 1855.

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Le mie note o belle o brutte che sieno nonle scrivo a caso e […] procuro sempre didarle un carattere.

GIUSEPPE VERDI

Iniziando una conferenza su Rigoletto, Ric-cardo Muti introduce la figura musicale diGiuseppe Verdi:

Verdi è una montagna. Una delle grandimeraviglie della nostra cultura. Che cos’èVerdi? Opere popolari come Trovatore, Ri-goletto, Traviata sono opere che tutti abbia-mo addosso, ognuno di noi è cresciuto condeterminate melodie, profumi della nostrainfanzia che ognuno si porta dietro e cheimprovvisamente in qualsiasi posto ritrova.Verdi ha investito tutti noi, è un musicistauniversale, è l’Italia nella sua accezione piùvasta.

Purtroppo, in pieno centenario verdiano, lecarenze che paradossalmente investono an-cora oggi l’istruzione musicale in Italia pos-sono porre serie difficoltà nel trattare il com-positore italiano più noto e sicuramente fra ipiù eseguiti. Un sondaggio apparso sul quoti-diano «La Repubblica» il 27 gennaio 2001,esattamente a cento anni dalla morte del«Maestro», chiese al campione intervistato«Cos’è il Va’ pensiero sull’ali dorate…» otte-nendo queste risposte in percentuale:

UNA CANZONE DI BOCELLI 33%IL CORO TRIONFALE DEI SOLDATI

NELL’AIDA 26%L’INNO DELLA LEGA NORD 19%L’ARIA CANTATA DAGLI SCHIAVI EBREI

NEL NABUCCO 18%ALTRO/NON SO 9%

La confusione è veramente molta, con er-rori eclatanti, e con meno di un quinto di ri-sposte corrette (si tratta ovviamente del co-ro di schiavi ebrei nel Nabucco). La situa-zione non migliora se si scende nello speci-fico chiedendo «Centenario verdiano: cosasi commemora quest’anno?»:

L’ANNIVERSARIO DEL TROVATORE 38%L’ANNIVERSARIO DELLA NASCITA

DI GIUSEPPE VERDI 33%L’ANNIVERSARIO DELLA MORTE

DI GIUSEPPE VERDI 13%IL CENTESIMO ANNIVERSARIO DELLA

SCALA DI MILANO 11%ALTRO/NON SO 5%

Solo il 13%, meno di un ottavo, sa dell’effet-tiva ricorrenza. Ma l’identità nazionale sirisveglia alla domanda «Grandi italianidell’800: Quali sono i nomi che danno lu-stro all’Italia?», con questo esito per le pri-me tre posizioni, comprendenti rispostemultiple:

GIUSEPPE VERDI 62%GIUSEPPE GARIBALDI35%ALESSANDRO MANZONI 29%

Verdi (la musica) viene posto quindi al disopra di Garibaldi (la storia) e Manzoni (laletteratura). Eppure, risulta chiaro comeuna serie di contraddizioni necessitino unapprofondimento dei significati musicalidell’opera verdiana, lanciando un segnalesu quanto di apparentemente ovvio o supi-namente considerato come noto o abba-stanza conosciuto nasconda in realtà fortibuchi culturali. Ma Verdi è anche un casostrano. René Leibowitz, musicista e stu-

MIRKO SCHIPILLITI

UN UOMO DI TEATROCENNI SULL’OPERA VERDIANA INTORNO A RIGOLETTO

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dioso, intitolò il capitolo dedicatogli nellapropria Storia dell’opera (ed. Garzanti)limitandosi acutamente alle parole «Cono-scete Verdi?», e tracciando già nel 1957 unsintetico e ancora attuale quadro degliatteggiamenti più diffusi verso il grandeitaliano:

Non è forse eccessivo affermare che leopere di Verdi costituiscono uno dei casipiù singolari di tutta la storia della musi-ca. Se, anzitutto, esaminiamo le reazioniche hanno provocato e continuano a pro-vocare fra gli appassionati d’opera e fra glistessi intenditori e musicisti, ci troviamodavanti a un inestricabile complesso diposizioni diverse, ambigue e persino con-traddittorie. […] Impossibile contestarel’immensa popolarità della sua opera: nonc’è una serata nel corso dell’anno, in cuinon si rappresentino su più scene con-temporaneamente opere come La traviata,Rigoletto o Aida. Questo significa che taliopere esercitano un fascino autentico suun certo pubblico del teatro lirico. Ma que-sto successo non è senza ambivalenza.Anzitutto si limita a un pubblico che fre-quenta esclusivamente l’opera, mentrequello dei concerti sinfonici, dei recital disolisti e della musica da camera non solosi disinteressa in gran parte della produ-zione di Verdi, ma arriva a manifestareverso di essa un vero disprezzo. È unatteggiamento singolare, perché non trovareciprocità presso gli altri appassionati dimusica. […] E d’altra parte, si osserva conuna certa perplessità che lo stesso pubbli-co che adora Verdi ha scelto come ogget-to della sua adorazione una parte assailimitata dell’opera del maestro. Ancora piùstrano e sconcertante è l’atteggiamento deimusicisti di professione. Eclissata anzitut-to dal prestigio dell’opera di Wagner, quel-la di Verdi per lunghi anni non fu neppurpresa sul serio dalla maggior parte deicompositori, e neppure dalla maggior par-te degli interpreti degli inizi del nostrosecolo. […] Riteniamo semplicemente chein fin dei conti l’opera di Verdi sia in com-plesso mal conosciuta tanto dai suoidetrattori quanto da coloro che le attribui-

scono un valore modesto, e forse anchedalla maggior parte dei suoi ammiratori, iquali ne apprezzano esclusivamente unaspetto particolare, a detrimento di unavera comprensione che dovrebbe mirare acogliere l’unità profonda e insieme ilcostante progresso di una delle più gran-di coscienze creatrici che si conoscono.

Più di quarant’anni dopo non possiamo checoncordare, osservando anche come in let-teratura esistano pochi approfondimenti suiperché della musica di Verdi. Leibowitz fo-calizza i concetti basilari di «unità» e «pro-gresso», intorno ai quali potrebbe veramen-te riassumersi l’arte verdiana, sintesi e con-clusione di un’evoluzione dell’era vocaleitaliana, con propaggini estese fino ai veri-sti, lasciando affermare a Puccini, nel 1924,che «nel campo lirico non c’è nessuna piùpiccola conquista».Non è semplice desumere dalle partituregli aspetti basilari del pensiero operisticoverdiano, poiché la musica esprime inesse una ricchezza di elementi estrema-mente diversi, stabilendo di continuo nuo-ve conquiste in ogni partitura e costrin-gendo a procedere induttivamente per riu-nirne le eterogeneità. A differenza di com-positori-scrittori come Wagner e Berlioz,Verdi non scrisse né disse molto sulla pro-pria concezione musicale, le sue opinionisono desumibili da estratti epistolari, in unatteggiamento globalmente schivo. Nellelettere Verdi potrebbe sembrare semplici-stico, immediato nei giudizi, affermandoimplicitamente ma costantemente unaposizione fondamentalmente anti-intellet-tuale, al di là di teorizzazioni o specula-zioni. Sembra istintivo, sanguigno, dice diinterrogare il cuore, di credere in un cer-to artigianato compositivo. Con tutti i limi-ti di una definizione, Gabriele D’Annunziooffrì una bella, forse retorica, descrizionedel valore musicale di Verdi:

Verdi, un artista che pianse e amò per tutti.

Frase che non interessa solo per i sottintesirisvolti musicali, appaganti la ricerca diuna trasfigurazione acustica del sentimen-

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to, ma in grado di accennare ai segni uni-versali che prendono piede nell’opera ver-diana, in particolar modo considerando lasituazione storico-sociale dell’Italia nellaseconda metà dell’Ottocento. La miglioredefinizione di Verdi compositore viene for-tunatamente da lui stesso:

Sono un uomo di teatro.

In parole essenziali si presenta con atteg-giamento pratico: ma in Verdi essere prati-ci significa trasformare ogni elemento deltesto e della musica per convogliarlo comecontributo verso la creazione del dramma.Infatti la ricerca verdiana sul teatro spingela musica a cercare un rapporto nuovo coltesto, portandosi dentro il testo stesso, infil-trando il testo nella musica, operazione sti-listica che su altri fronti coinvolse ancheWagner in Germania, lasciando esclamaread Hans von Bülow «Evviva Verdi! Il Wa-gner dei nostri cari alleati». È curioso maprofondamente significativo che già nellaseconda metà dell’Ottocento i musicologiriconoscessero questi profili nella novitàdell’opera verdiana. Nicola Marselli, nellaRagione della musica moderna, scrive nel1859:

La musica drammatica con lui venne all’al-tezza maggiore che in Italia fosse mai. Al-lorquando il Verdi attende a scrivere undramma musicale, egli s’inspira in esso,ovvero si compenetra colla situazione chene forma il nodo, coi caratteri e coll’azioneche la determinano ed effettuano, e colleparole che esprimono ogni moto della pas-sione. […] Per tanto in quel modo che si èdivisato delle forme particolari si potrà di-scorrere della forma generale della musicadi Verdi. Il Verdi concepisce da prima l’ope-ra come un tutto, al quale porge nella suamente il colorito che gli conviene: così ildramma acquista la propria forma genera-le. Per la qual cosa è notabile come quasitutte le musiche del Verdi abbiano una pro-pria forma individuale che risponde esclu-sivamente al soggetto. […] Se prima di luifuvvi in Italia chi scrisse l’opera in musicarendendola in qualche modo espressione

del dramma, egli fu il primo a dare una for-ma scolpita a quel che dicesi comunemen-te musica drammatica.

Vengono rivelate posizioni fondamentali,soprattutto nella consapevolezza che Verdi«si compenetra colla situazione […] coi ca-ratteri e coll’azione […] e colle parole», che«concepisce da prima l’opera come un tut-to», in una «propria forma individuale», inun ambito di «musica drammatica». Nonera usuale una simile poetica in un conte-sto musicale italiano pressoché vuoto, po-vero di figure alternative e fortemente con-servatore. Nel suo Discorso intorno alle vi-cende della musica italiana (1818) AndreaMajer critica pesantemente le condizionidella musica italiana:

Io credo adunque (né sarò solo in Italia,spero, che lo creda) che sia di già arriva-ta alla musica quella sciagura inevitabilea tutte le arti d’imitazione, le quali perve-nute che sieno all’apice della perfezione,cominciano tosto a soffrire il tarlo dellacorruzione che ne arresta i voli […]. Laconfusione dei generi; la trivialità dellecantilene, variate soltanto nelle figure; laseccaggine delle infinite volte replicatecadenze, variate soltanto nelle figure; l’af-fastellamento di cento motivi, meno quel-lo solo che ci vorrebbe; gli sbalzi strava-ganti ed irregolari di tempo e di tuonosenz’alcuna relazione colle parole; la man-canza di verità, unità e di espressione nel-le melodie; la stravaganza di uno stileincondito […] senza curarsi mai di pene-trare il cuore; […] il bastardume deglistrumenti sconvolti nelle loro proprietà[…]; gli ottavini fischianti; la banda turca;[…] il frastuono, i turbini, le cateratte del-le orchestre teatrali; […] la profusionedegli ornamenti del Canto insignificanti,monotoni, manierati, che distruggono ogniritmo musicale, e dividono le battute inquanti quarti piace al Cantore.

Senza dimenticare che, mentre Majer scri-veva da classicista e Rossini trionfava sullescene, la negazione della ricerca composi-tiva si andò purtroppo consolidando, di-

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ventando un triste baluardo contro cui an-che gli intellettuali più progressisti prima opoi si sarebbero scagliati, italiani e stranie-ri. Nelle sue «Regole di vita musicale» Ro-bert Schumann prende posizioni molto du-re contro l’opera italiana:

Si spera che sarai presto disgustato dallemisere identità delle nuove melodie, parti-colarmente di quelle dei nuovi melodram-mi italiani.

Berlioz non è da meno quando commentale opere in italiano di Mozart:

Il loro grande torto era quello di aver tuttal’aria di appartenere alla scuola ultramon-tana.

Arrigo Boito arrivò a capeggiare una rivol-ta avanguardista al passo coi tempi, nonsenza suscitare le rimostranze dello stessoVerdi, ma con parole sulla condizione dellamusica italiana non di poco conto:

Il trito querulo lamentarsi della impotenza,della vacuità e nullità della moderna musi-ca italiana può e dev’essere una menzogna.

Sembra quasi incredibile che Verdi potessevenire dalla limitata realtà musicale italia-na, decisamente diversa da una rivoluzio-naria come quella tedesca. Non solo. Gliunici compositori italiani di rilievo, Rossi-ni, Bellini e Donizetti, erano nati in am-bienti cittadini, come Wagner: città era si-nonimo di teatri o almeno di un clima arti-stico e letterario che invece Verdi non ebbemodo di conoscere in origine, nato nellecampagne emiliane di un’Italia prevalente-mente contadina. Amò identificarsi nell’uo-mo fattosi da solo, tenace, autoritario, eter-no autodidatta, cercando di apparire im-mune da influenze esterne, e consapevoledei propri studi disorganici, da organistaalle Roncole e a Busseto, alla mancata am-missione in conservatorio, agli studi priva-ti basati sul contrappunto:

Non ho visto che canoni e fughe, e fughe ecanoni in tutte le salse. Nissuno mi ha inse-

gnato l’istrumentazione ed il modo di trat-tare la musica drammatica.

La sua crescita musicale sembra essersievoluta autonomamente, portandolo persi-no a esprimere negli ultimi decenni l’aspi-razione a un universalismo in cui la musi-ca potesse superare ogni preconcetto discuola:

La melodia e l’armonia non devono essereche mezzi nella mano dell’artista per faredella Musica, e se verrà un giorno in cuinon si parlerà più né di melodia né di ar-monia, né di scuole tedesche, italiane, né dipassato né di avvenire allora forse comin-cerà il regno dell’arte.

Cosa significano mai queste scuole, questipregiudizi di canto, d’armonia, di tedesche-ria, d’italianismo di vagnerismo, etc. etc.?Vi è qualche cosa in più nella musica,… viè la musica!… Che il pubblico non s’occupidei mezzi di che l’artista si serve: non abbiapregiudizi di scuola… Se è bello applauda.Se brutto! Fischi… Ecco tutto. La musica èuniversale. Gl’Imbecilli ed i pedanti hannovoluto trovare, ed inventare delle scuole,dei sistemi!!!… Io vorrei che il pubblicogiudicasse altamente, non colle miserabiliviste dei Giornalisti, Maestri, e Suonatori diPiano-Forte, ma dalle sue impressioni!!…Capite? Impressioni, impressioni enient’altro.

All’opera arriva relativamente tardi per l’e-poca, debuttando a 26 anni con ObertoConte di San Bonifacio, ma sviluppando in-vece una lunga carriera, un’evoluzione do-ve si intensificano relazioni strutturali edrammaturgiche, evidenti seppur sottiliquelle avvertibili già nelle prime grandiopere, come le scelte, per esempio, dei pia-ni tonali in Rigoletto. Rigoletto è operaspartiacque fra due epoche, la precedente,necessaria al consolidamento di quegli ele-menti che nella successiva saranno gra-dualmente innovazione sposa e contempo-raneamente superatrice della tradizione.L’attività compositiva è frenetica fino a Unballo in maschera, che conclude i «sedici

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anni di galera» iniziati con Nabucco, entro iquali si stabilisce un’incredibile diversitànella continuità fra ben ventuno opere, consoluzioni sempre nuove a problemi nuovi.Ma ai «sedici anni di galera» si contrappon-gono curiosamente sedici anni di silenzioda Aida a Otello (complice anche l’agiatez-za economica), alle opere di prima mano siaffiancano rifacimenti o revisioni (Jerusa-lem, Macbeth, Simon Boccanegra, Aroldo,La forza del destino, Trovatore), fra opereinnovative (Macbeth, Rigoletto, Traviata,Simon Boccanegra, La forza del destino,Don Carlo, Otello, Falstaff) e più conserva-trici (Trovatore, Vespri Siciliani, Un balloin maschera, Aida), toccando le esperienzedel grand’opèra (Jerusalem, Vespri Sicilia-ni, Don Carlo, La forza del destino, Aida),specie di stimolante laboratorio. Verdimantenne un atteggiamento culturalmenteaperto, lavorando molto all’estero, e racco-gliendo influssi non solo dall’opera italia-na, sua base di partenza, ma anche da auto-ri come Meyerbeer, Berlioz, Wagner, Au-ber, Halevy. Ecco la celebrità raggiunta siain Italia che all’estero in una lettera di Liszta Wagner:

Finché le condizioni dei teatri stranieri nonmuteranno, finché Meyerbeer e Verdi re-gneranno sovrani, e dalla loro immediatainfluenza dipenderanno direzioni teatrali,cantanti, direttori, stampa e pubblico biso-gna che non t’immischi affatto in tali fac-cende.

Fra le molte trascrizioni di cui fu autore, lostesso Liszt non disdegnò di cimentarsi inrivisitazioni di pagine verdiane con le para-frasi da Jerusalem, Trovatore, Aida, Rigo-letto, Simon Boccanegra, Don Carlo, Erna-ni. La popolarità di Verdi si giocava su scel-te compositive vicine anche se non del tut-to identiche ai gusti del popolo. Ma se Wa-gner componeva per l’avvenire, in Italia siscriveva per il presente. Cresciuto col po-polo, con i sentimenti del popolo, Verdi di-venne un’icona risorgimentale-popolare,rispecchiata nelle scelte di certi soggettioperistici, e nella semplicità apparente del-le soluzioni musicali. Una posizione equili-

brata viene espressa da Carl Dahlhaus, sot-tolineando giustamente che egli «fu uncompositore popolare prima di diventareun compositore importante». Non rinunciòa tradizioni legate a un melodismo di forteimpatto emotivo, o a strutture d’accompa-gnamento ternarie, per esempio, pur tra-sformate con meccanismi equilibratissimiin precisi disegni drammaturgici; fu sensi-bile alle reazioni del pubblico, revisionan-do spesso parti di opere oppure opere inte-re.Per Verdi la comunicazione funzionava so-lo se la scelta dei soggetti dipendeva effetti-vamente dalla loro autentica originalità evalenza rappresentabile, per rinnovarnel’espressività in letture personali:

In Victor Hugo havvi sempre uno scopo, edei caratteri potenti, appassionati e soprat-tutto originali.

[Traviata] è un soggetto dell’epoca. Un altroforse non l’avrebbe fatto pei costumi, peitempi e per mille altri goffi scrupoli, io lofaccio con tutto il piacere. Tutti gridaronoquando io proposi un gobbo da mettere inscena. Ebbene, io era felice di scrivere il Ri-goletto.

Desidero sogetti nuovi, grandi, belli, varia-ti, ed arditi all’estremo punto, con formenuove e nello stesso tempo musicabili.

Se non possiamo fare una gran cosa cer-chiamo di fare una cosa almeno fuori delcomune.

[I libretti] sono trattati con tutte le libertà esenza essere rispettate le solite convenien-ze. Qualche volta per verità ardisco fare al-cune operazioni, ma questo lo faccio perl’effetto generale della cosa.

Solo due le opere comiche (Un giorno di re-gno e Falstaff), fra le quali curiosamente siracchiude la produzione di Verdi. La ricer-ca cadeva facilmente su trame insolite ogrottesche (per esempio il gobbo Rigoletto),oppure fantastiche, come Macbeth. Temibasati sul destino, sul fato, su maledizioni

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non compaiono solo in Rigoletto, ma anchein Simon Boccanegra e nella Forza del de-stino. Uno sguardo complessivo focalizzain Shakespeare uno dei centri espressividel teatro musicale (Macbeth, Otello, Fal-staff, il sospirato e mai realizzato Re Lear,insieme alle proposte per Tempesta, Amle-to), ma altri stranieri ebbero fortuna: Schil-ler (Giovanna d’Arco, Luisa Miller, I ma-snadieri, Don Carlo), Hugo (Ernani, Rigo-letto), Dumas figlio (Traviata), Scribe (I ve-spri siciliani, Un ballo in maschera), Byron(I due Foscari, Il Corsaro), Gutiérrez (Tro-vatore, Simon Boccanegra), il Duca di Ri-vas (La forza del destino). Ulteriore mo-mento di indagine è la musica sacra, domi-nata dal Requiem, mostrandoci l’insiemedegli atteggiamenti umani e verdiani sullamorte, oltre alle pagine dell’ultima fasecreativa, nate parallelamente a uno studioapprofondito della musica antica. I riferi-menti al Risorgimento sono diventati spes-so luoghi comuni, quando il consenso su-scitato all’epoca per temi operistici viciniall’orgoglio nazionale fece facilmente asse-gnare alle partiture verdiane connotati pa-triottici anche oltre le effettive intenzionidell’autore. Lo slancio patriottico vieneravvisato soprattutto nelle opere corali, opiù genericamente nei cori, in grado di ren-dere protagonista un intero popolo. Nabuc-co, La battaglia di Legnano, I Lombardi al-la prima crociata, o Ernani, Attila, Macbeth,Don Carlo, diventano opere collettive su 2piani: gruppi di personaggi o masse pren-dono la parola sulla libertà. Coralità diven-ta sinonimo di valori comuni, Mazzini stes-so aveva inteso il coro come incontro disentimento individuale e nazionale:

E perché – se il dramma musicale ha dacamminar parallelo allo sviluppo degli ele-menti invadenti progressivamente la so-cietà – perché il coro […] non otterrebbenel dramma musicale moderno più ampiosviluppo, e non s’innalzerebbe dalla sferasecondaria passiva che gli è in oggi asse-gnata, alla rappresentazione solenne ed in-tera dell’elemento popolare?

Incontestabile è il significato storico di ver-

si come «resti l’Italia a me» (Attila), «O miapatria, sì bella e perduta» (Nabucco), «S’im-pugni la spada» (I Lombardi alla prima cro-ciata), «Siamo tutti una sola famiglia» (Er-nani), «O patria oppressa!», «La patria tradi-ta» (Macbeth), «Viva Italia forte ed una»,«Leviam tutti la spada», «Italia risorge» (Labattaglia di Legnano), che sembrano pro-prio abbracciare la coralità di una nascenteItalia. Da aggiungere il coro finale del III at-to di Trovatore, «All’armi!», dopo la cele-berrima cabaletta «Di quella pira», passocon cui Luchino Visconti apre il film Senso,in un Teatro La Fenice inondato da volanti-ni patriottici al grido «Viva l’Italia!». MaVerdi non fu politicamente troppo militan-te, preferendo il ritiro vicino al popolo in at-teggiamenti assistenziali. Scattava ovvia-mente lo scoglio delle censure, duramenteaffrontate fino all’unità nazionale, sia poli-tiche (comprese le opposizioni alle derisio-ni di un potente nel libretto di Rigoletto),sia morali, come ha ben rimarcato Muti, ri-cordando la risultante incongruenzaespressiva delle parole di Rigoletto all’ini-zio del III atto «Son questi i suoi costumi»contro le richieste del Duca («Due cose etosto…una stanza e del vino»), spiegabilesolo svelando la sostituzione, apportata al-l’epoca, con «una stanza» al posto dell’origi-nale «tua sorella».Nonostante un impianto soggettistico moltoarticolato con relazioni complesse fra per-sonaggi, mancava tuttavia una concezionedel valore letterario del libretto, general-mente affidato ad autori di poco rilievo, no-nostante le migliori attenzioni di un Boitoper la revisione di Simon Boccanegra, perOtello e Falstaff. Nel 1839 il letterato Loren-zo Neri parla di «pessimi libretti, che nonsono poesia […] ma neppure linguaggioumano», e non è difficile trovare in quellidelle opere di Verdi versi poco interessantio carichi di pesantezza, specie nei più gio-vani, con frasi come: «Non vedrò l’amataterra svanir lenta e farsi a brano», «Re ti fer-ma, è veleno. Chi il temprava?», «Santo dipatria indefinito amor» (Temistocle Solera,Attila), oppure «Così furtiva palpita la gioianel dolor», «Tu viver dei morendo nel pri-sco esilio orrendo», «Varcata è l’ora», «Pen-

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sosa ognora ogni consorzio evita» (France-sco Maria Piave). Fra Solera e Cammarano,i limiti del libretto di Piave per Rigoletto(autore anche di quelli per I due Foscari,Macbeth, Il Corsaro, Stiffelio, Rigoletto,Traviata, Aroldo, Simon Boccanegra primaversione, La forza del destino) erano statiampiamente sottolineati dalla critica deltempo, ma ne era sottilmente consapevolelo stesso Verdi:

Io ho la debolezza di credere, per esempio,che il Rigoletto sia uno dei più bei libretti,salvo i versi, che vi sono.

A me pare che il miglior soggetto in quantoa effetto che io abbia finora posto in musica(non intendo parlare affatto sul merito let-terario e poetico) sia Rigoletto.

Verdi pensava all’architettura musicale giàdurante la stesura degli abbozzi, stabilendonessi e scene principali in quella che chia-mava «selva», nella convinzione che eraprincipalmente la musica a dover creare ildramma, con la quale il testo si completa sefunzionale, e il libretto va quindi conside-rato nel suo complesso di situazioni. PerVerdi conta infatti saper esprimere la “si-tuazione”:

[Gounod] non ha fibra drammatica. Musicastupenda, simpatica, dettagli magnifici, benespressa quasi sempre la parola… inten-diamoci bene, la parola, non la situazione,non bene delineati i caratteri, e non im-pronta e colore particolare al dramma, o aiDrammi.

Per riuscire a realizzare convergenze in cuila musica fosse naturalmente ma intrinse-camente coincidente col testo, anche quan-do non eccelso, uno stretto rapporto con ilibrettisti era imprescindibile per Verdi,scoprendo così una gestione personalissi-ma di testo e musica insieme, o meglio del-la musica in sé e del rapporto fra musica,testo, drammaturgia. Il compositore diven-ta responsabile sul progetto complessivo,pur non avendo scritto anche il libretto, maseguendone comunque la realizzazione in

dettaglio:

È bene che poeta e maestro sentano all’u-nissono!

Bisogna che il taglio del libretto, dei pezzi,ecc. ecc. sia più originale che si può. Ciònon può farsi se noi non siamo insieme.

Una sentenza che sarebbe bellissima in unlibro, ed anche in un dramma recitato, fanridere in un dramma cantato.

In questo genere di composizioni non c’è ef-fetto se non c’è azione, quindi parole sempremeno che si può. […] In quanto alla duratadei pezzi, la brevità non è mai un difetto.

Verdi è un maestro nel valorizzare la paro-la: nel III atto di Rigoletto, alla fine dellaterza scena, definisce con altissima teatra-lità la concitazione psicologica di Rigolettointento a convincere Gilda di partire perVerona, soffermandosi sull’esortazioneconclusiva «Va» con una nota tenuta ( h )dopo un’incalzante successione di crome esemicrome, con la quale riacquista tutta lasua verità di padre protettore, in un brevebrano privo di interventi strumentali:

RIGOLETTO

M’odi, ritorna a casa…Oro prendi, un destriero,Una veste viril che t’apprestai,E per Verona parti…Sarovvi io pur domani…

GILDA

Or venite…

RIGOLETTO

Impossibil.GILDA

Tremo.

RIGOLETTO

Va.

Nel celeberrimo «Va’ pensiero» da Nabuc-co, Verdi valorizza sensibilmente le sillabedi parole chiavi con durate, ritmi e movi-

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menti melodici calcolatissimi, ma in unasuccessione di estrema naturalezza: «Va»(nota lunga) «pensiero», disteso come «sul-l’a-» (nota lunga) «-li» richiama ricordi lon-tani; l’oscillazione melodica sulla parola«clivi» sembra alludere a una descrizionemusicale di salite e discese; le terzine di-scendenti in «Giordano le rive saluta» si-mulano invece un pianto, con accenti ap-positamente predisposti; «Sì bella» squillasu una lunga nota acuta, mentre «perduta»,subito dopo, si rinchiude all’opposto muo-vendosi su altezze più basse ma terminan-do su una settima di dominante, sospesa.Procedimenti così fini permettono la mas-sima concentrazione sulla psicologia deipersonaggi e sulle dinamiche di relazione.Emblema di un modus operandi così stabi-lizzatosi è il grande monologo di Rigoletto«Pari siamo!» nel I atto (che segna il pas-saggio dal duetto con Sparafucile al duettocon Gilda), in cui il recitativo viene utiliz-zato magistralmente in senso introspettivo,vero monologo interiore, animato e libera-to da convenzioni, esaltando la fusionedrammatica di musica e parola, mantenen-do vivo l’interesse dell’ascoltatore e contri-buendo a un andamento a forti contrasti. Inquesto momento dell’opera, nella mente diRigoletto l’idea fissa della maledizione siinsinua solo due volte, sufficienti a caratte-rizzarne l’aspetto ossessivo grazie al proce-dere per note ribattute, otto do costituenti iltema della maledizione (�� ��� ���� �� ����� � � �), giàemerso all’inizio della scena VII (es. 1), maora così parafrasato:

Quel vecchio maledivami!Tal pensiero perché conturba ognor lamente mia?

ES. 1 RIGOLETTO, ATTO I SCENA VII

L’instabilità del pensiero si traduce in un’i-niziale andamento ritmico-tonale incerto eimprevedibile, lungo una molteplicità diidee e sezioni musicali attraverso cui ven-gono ricordati i personaggi principali, tas-selli della coscienza di Rigoletto, ognunocaratterizzato da figure melodiche peculia-ri: Sparafucile, Monterone, il Duca (canzo-nato con grottesche movenze da aria buf-fa), i cortigiani, Gilda (in un anticipo dell’a-ria «Caro nome») si assecondano insieme ariflessioni sull’esistenza, sulla natura e suldestino:

Mi coglierà sventura?

A Verdi interessano soprattutto le passioniumane, il rapporto e il contrasto male/be-ne, luce/buio, vissuto da soggetti comuni,non solo reali o nobili, attraverso un corteodi valori di riferimento, dove amicizia,amore, virtù civile, si scontrano con le piùdiverse facce della morte, da quella com-movente di Violetta a quella dell’eroe Otel-lo. In quest’ambito Verdi scopre la perditadella centralità del potere puro o dell’amo-re fine a sé stesso, sostituiti sia dagli affettidella vita amorosa, sia dalla forza espressi-va dei conflitti nella persona, vero fulcrodell’opera: in amore come nelle relazionipadre-figlio, in amicizia, nelle lotte rivaliper il potere, approfondite nelle ultime ope-re. Potere politico-religioso e fatalitàschiacciano e impediscono l’affermazionedella felicità individuale. I mezzi musicaliadottati sono essenziali e di straordinariaforza rappresentativa, realizzando unasempre migliore capacità di dar vita a pro-fili psicologici, da quello di Rigoletto all’al-

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lucinato Macbeth, allo sconfortato FilippoII in Don Carlo, toccando interiorità scon-volgenti in Otello: Otello entra in scena con«Esultate», in una tessitura vocale che èsimbolo musicale del suo eroismo; all’ini-zio del II atto si dispiegano unisoni impo-nenti prima della dichiarazione di Jago«Credo in un Dio tremendo», sottolineatada trilli e ghigni strumentali diabolici, masoffocata da misteriosi timbri in pianissimoprima del silenzio orchestrale su cui affer-ma «La Morte è il Nulla»; nel IV atto, dopoun’apparente conclusione con la buonanot-te data ad Emilia, Desdemona esplode im-provvisamente «con passione» nel premo-nitore grido di dolore «Ah! Emilia, Emiliaaddio, Emilia addio!» che lascia sfogare tut-to il dolore serbato in precedenza; all’iniziodel III atto di Traviata le flebili richieste diVioletta vengono inframmezzate da fram-menti del preludio appena udito, che oltre afissare la condizione espressiva della situa-zione accompagnano i gesti esecutori dellaservitrice Annina. Fissare così intensamen-te l’impronta psichica dei personaggi, nepermette una serrata differenziazione neiduetti, uno dei momenti fondamentali nelleopere di Verdi, a dispetto di precedenti tra-dizioni dove era l’aria il momento di mag-gior peso emotivo, tanto che Verdi stessonon esitò a definire Rigoletto «un’opera diDuetti». Nei duetti verdiani non solo le li-nee melodiche, ma il loro carattere è netta-mente contrapposto, può eventualmenteesserci omogeneità timbrica di registro, ne-cessaria a ricreare il clima in cui si scon-trano o incontrano i personaggi, come nelduetto fra Rigoletto e Sparafucile nel I atto,baritono e basso rispettivamente, o il cuposcontro fra potenti in Don Carlo, con Filip-po II e l’Inquisitore, due bassi. Separazionepiù evidente viene ottenuta nella giustap-posizione fra il canto di Rigoletto e di Gildaalla fine dell’opera, celando nell’acuta e so-spesa immobilità di Gilda morente control’ansia frenetica di Rigoletto, da armonieelementari a modulazioni ben articolate,una divisione fra aldilà e tragedia terrena.La concentrazione sul personaggio vieneconservata nelle scene d’assieme, poichénon conta tanto o solamente l’approfondi-

mento di un ruolo, ma i rapporti fra gli af-fetti di più personaggi rappresentati con-temporaneamente. Verdi riesce a elaboraretali complessità in una dimensione di dia-logizzazione, sia con una differenziazionelirica dei ruoli, che con l’utilizzo di unacantabilità affine al parlato, processo chetroverà massima espressione in Falstaff,per diventare essenziale nell’opera verista.Il dialogo acquista profonda importanzagrazie allo sviluppo drammatico che Verdicrea in un modello di scena d’assieme defi-nita da Leibowitz «concertato psicologico».Più in generale egli è in grado di sottolinea-re istantaneamente e simultaneamente tut-ti i percorsi psicologici che in un qualsiasimomento sono in divenire, facendo acqui-stare all’opera stessa una tensione colletti-va. L’assieme che chiude il II atto di Tra-viata offre un esempio corale, dove Verdigestisce con astuzia le masse e i rapporticoi singoli: Violetta si incastra col coro e glialtri personaggi, mentre l’afflizione di Al-fredo continua imperterrita nel concertato.Quando invece Victor Hugo ascoltò Rigo-letto per la prima volta, non poté non rima-nere meravigliato dal quartetto del III atto,«Bella figlia dell’amore»:

Potessi anch’io, nei miei drammi, far parla-re contemporaneamente quattro personag-gi in modo che il pubblico ne percepisse leparole e i diversi sentimenti.

Nel brano, che Liszt riprese in una parafra-si pianistica dell’opera, si delinea l’applica-zione di quello che si potrebbe definire«contrappunto psicologico». La trasparenzadella scrittura fa intersecare infatti i quattropersonaggi divisi in due gruppi: la dispera-zione di Gilda e Rigoletto contro il diverti-mento scherzoso del Duca e Maddalena,fra figure melodiche segnate, in sequenza,dal provocatorio belcanto ascendente delDuca, le risate staccate di Maddalena, ilpianto lamentoso di Gilda, la severità stati-ca di Rigoletto, progressivamente in so-vrapposizione. L’equilibrio perfetto delquartetto non era sfuggito ai critici dellaprima:

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In nessuno altro luogo questa grandiosaeloquenza de’ suoni è maggiore, quanto nelquartetto e terzetto del terz’atto. […] Il mae-stro, con isquisito e profondo magistero,seppe nel medesimo musicale discorsoesprimere i sentimenti così fra loro diverside’ personaggi, e ne trovò l’ingegnoso lega-me. («Gazzetta ufficiale di Venezia»)

Verdi stesso ne era consapevole:

Una delle migliori che vanti il nostro teatro.

Le linee artistiche fondamentali di Verdi siriassumono non tanto in una teoria ufficia-le, che egli non espose mai organicamente,ma in princìpi che invece elaborò e chiari-ficò progressivamente lunga la sua carrie-ra:

1. Inventare il vero: il risultato deve co-struire realismo psicologico.

Copiare il vero può essere una buona cosa,ma inventare il vero è meglio, molto me-glio.

Io non ho esclusività: io non credo allascuola, e mi piace il gajo, il serio, il terribi-le, il grande, il piccolo, etc, etc. Tutto tutto,purché il piccolo sia piccolo, il grande siagrande, il gajo sia gajo, etc, etc… insomma,che tutto sia come deve essere: Vero e Bel-lo.

2. Parola scenica: mezzo espressivi sonobrevità, sintesi, efficacia comunicativa.

Per parola scenica intendo dire la parolache scolpisce e rende netta ed evidente lasituazione.

3. Piegare la nota: l’abilità del compositoresta nella libertà finalistica in grado di strut-turare il discorso musicale.

Mi trovo ad aver la mano abbastanza fortea piegare la nota come desidero, ed abba-stanza sicura per ottenere, ordinariamente,gli effetti che immagino; e quando scrivoqualche cosa d’irregolare, si è perché la

stretta regola non mi dà quel che voglio, eperché non credo nemmeno buone tutte leregole finora adottate.

4. Torniamo all’antico sarà un progresso:non è una posizione conservatrice, ma uncredo che insiste sull’artigianato formativo,sulla conoscenza di regole, indispensabileappunto per superarle “piegando la nota ”.

Dimostrando su tali basi una capacità dicambiamento e di trasformazione incredi-bile dell’opera italiana, Verdi afferma unautorinnovamento, nel corso di un’evolu-zione fondata anche su: 1) Aumento d’im-portanza della parola scenica, con progres-sivo raffinamento della caratterizzazionepsicologica, per cui «Le mie note o belle obrutte che sieno non le scrivo a caso e […]procuro sempre di darle un carattere»; 2)Accresciuta dialogizzazione entro una rot-tura della scena chiusa; 3) Scelta semprepiù mirata di orchestrazione e armonizza-zione, di condotte melodiche e ritmiche. InVerdi la musica si impone creando di fattoil dramma, in un organismo che divoral’architettura librettistica, con unità struttu-rale fra testo, musica, collocazione dellescene, rapporti fra concertati, arie e fra fi-gure musicali:

L’idea è una, e tutto deve concorrere a for-mare quest’uno.

Tante composizioni non sarebbero cadutese vi fossero state miglior distribuzione deipezzi, meglio calcolati gli effetti, più chiarele forme musicali.

Anch’io ho tentato la fusione della musi-ca con il dramma e precisamente nelMacbeth.

Dopo aver ascoltato I vespri siciliani, Ber-lioz vide in Verdi «l’intensità penetrantedell’esperienza melodica», lodando la«strumentazione», la «poetica sonorità», la«forza appassionata del genio»:

Verdi si è levato molto in alto in questo nuo-vo lavoro. Senza voler diminuire il meritodel suo Trovatore e di tante altre emozio-

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nanti partiture, bisogna convenire che neiVespri l’intensità penetrante dell’esperienzamelodica, la varietà sontuosa, la sobrietàsapiente della strumentazione, l’ampiezza,la poetica sonorità dei pezzi d’insieme, ilcaldo colorito che si vede brillare dapper-tutto, e questa forza appassionata del geniodi Verdi, danno all’intero lavoro un’impron-ta di grandezza, una sorta di maestà sovra-na più marcata che nelle produzioni teatra-li precedenti dell’autore.

L’opera verdiana diventa dunque una na-turale sintesi sul teatro, dove non si perdemai la visione d’insieme, grazie anche aelementi musicali minimi in grado di lega-re grandi architetture. Uno dei procedi-menti microstrutturali con cui Verdi asse-sta l’unità drammaturgica è il ricorso a te-mi ricorrenti, non temi conduttori in sensowagneriano, ma figure che uniscono il pri-ma e il dopo della partitura, ricordi e presa-gi allo stesso tempo. In Rigoletto è il temacon cui esordisce l’opera, gli otto do ripetu-ti di «Quel vecchio maledivami» (es. 1), asegnare più volte l’ineluttabilità degli even-ti; in Traviata l’aria «Di quell’amor» cantatada Alfredo ripercorre strumentalmente i ri-cordi di Violetta fino al letto di morte; nellaForza del destino il concitato e drammati-cissimo tema degli archi nel preludio ritor-na ancora nel corso dell’opera; in Otello iltema d’amore del I atto ricompare poco pri-ma della morte di Otello sul corpo inani-mato di Desdemona. Temi ricorrenti pote-vano anche attraversare opere diverse, uti-lizzati come formule o cliché, ma per Verdimai circostanze o convenzioni, poichésempre arricchiti di una nuova caricaespressiva, di una “tinta” diversa secondo ilcontesto. L’immagine della fatalità vienesimboleggiata dall’impiego di note ribattu-te, dal tema della maledizione in Rigoletto,al tema del destino nella Forza del destino,procedimento adottato anche da altri auto-ri, negli accordi ultraterreni del Don Gio-vanni di Mozart, nelle note dell’incipit del-la Sinfonia n. 5 di Beethoven o ancora inquello della Sinfonia n. 4 di CŠajkovskij. Larappresentazione del dolore si muove inve-ce fra acciaccature o appoggiature melodi-

che, come quelle nel canto di Gilda in Rigo-letto (es. 2) dopo le parole del padre «Pian-gi, fanciulla» nella scena VI del II atto, maanche nel «Lacrymosa» dal Requiem, nel-l’attacco del III atto di Don Carlo, nel finaledi Simon Boccanegra, nell’introduzione or-chestrale al coro che apre il IV atto diMacbeth.

ES. 2 RIGOLETTO, ATTO II SCENA VI

In Verdi non mancano autocitazioni, comel’anticipazione del tema di «Amami Alfre-do» di Traviata in Rigoletto nelle parole diGilda «No, chè troppo è bello e spira amo-re», nella scena XII del I atto (es. 3), o i rife-rimenti tematici tra il canto di Amonasro«Pensa che un popolo vinto» nel finale delIII atto di Aida e il tema di Leonora dell’aria«Madre, pietosa vergine» dal II atto dellaForza del destino.

ES. 3 RIGOLETTO, ATTO I SCENA XII

Importante motivo ricorrente è la sigla concui viene indicata la morte, due note breviche precedono una fermata (�� �) ben evi-dente nelle trombe del «Tuba mirum» delRequiem, nei tre richiami di Ramfis nel IVatto di Aida, nel «Miserere» dal Trovatore,nei lugubri rintocchi dell’ultima scena di

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Traviata, nella morte di Leonora nella For-za del destino, prima della morte di Bocca-negra, o all’inizio della Sinfonia dei Vesprisiciliani. Quest’ultimo brano, con l’utilizzodi un tamburo, riprende probabilmente l’o-rigine della formula, risalente forse al rit-mo eseguito per accompagnare i condan-nati al patibolo. La presenza di un elemen-to musicale specifico per richiamare lamorte è anche segnale del significato nega-tivo assegnatole da Verdi, che ebbe modopiù volte di esprimere un certo pessimismoesistenziale:

Ma infine nella vita non è tutto morte?Penso che la vita è la cosa più stupida, e quel-lo che è ancor peggio inutile. Cosa si fa? Co-sa abbiamo fatto? Cosa faremo? Nulla.

L’unità dell’opera nasce anche da sottili ac-corgimenti melodici o tonali: in Rigolettol’ultima nota del preludio, un do, è la stessache apre la melodia della prima scena, main una trasfigurazione timbrica grottesca-mente alienante; altro legame segreto èquello fra il re bemolle che chiude la scenanel palazzo ducale e quello con cui inizia ilbuio incontro fra Rigoletto e Sparafucile;aggancio geniale è inoltre il re bemolle di«Va», cantato da Rigoletto dopo aver saluta-to la figlia nel III atto, e l’accordo di re na-turale della scena successiva, ricalcandoenarmonicamente una relazione di sensi-bile-tonica. Sono solo alcuni possibiliesempi, che dimostrano come Verdi pen-sasse la continuità per impedire qualsiasifrattura nello sviluppo drammatico. Lasemplicità è apparente: con la maturità ar-tistica le formule musicali accrescono lapropria funzione espressiva, in una sintesiin grado di svilupparsi con economie dimezzi. Basta poco per trasformare un inno-cua melodia di danza in un minaccioso in-quietante rintocco, nella scena della con-giura all’inizio del III atto di Un Ballo inmaschera, o giocare con le tonalità rica-vando il tema in mi maggiore del preludiodella Forza del destino da quello in minoreappena concluso.Verdi è abilissimo a entrare subito nel cli-ma dell’opera, nella “tinta”, con cenni

istantanei, fra temi incisivi e orchestrazionisottili: ci introduce immediatamente neldramma di Rigoletto per mezzo delle trom-be nella prima battuta del preludio, o nel-l’inquietante incontro con Sparafucile at-traverso cinque accordi in registro grave;in Traviata entriamo insieme agli archi inregistro acuto del preludio, flebilmente so-spesi; nella scena che apre la versione inquattro atti di Don Carlo, una serie di uni-soni di ottoni ci porta al cupo raccoglimen-to dei frati, segnato da un bipolarismo cro-matico tra fa diesis minore e fa diesis mag-giore. Per creare la “tinta” Verdi raggiungeuna concezione sempre più aperta della to-nalità, aumentando il cromatismo, i cambidi accordo improvviso: piccole oscillazionicostruiscono moti psichici di grande ten-sione negli unisoni da do a re bemolle del-l’esordio del II atto di Macbeth, o nel pas-saggio improvviso dall’accordo di Mi be-molle maggiore a quello di mi maggiorepoco prima del verso «Va tre nomi in quel-l’urna» pronunciato da Renato nella scenadella congiura in Un ballo in maschera.Inoltre cromatismi minacciosi si susseguo-no nell’ammonizione di Jago «Temete, si-gnor, la gelosia» e l’apertura dell’opera conun’armonia di undicesima in piena tempe-sta trasforma l’accordo in senso dramma-turgico, fino a trattare la tonalità ai confinidi una «pseudoatonalità» dove gli accordipossono impiegarsi liberamente, per giu-stapposizione rappresentativa (e non dia-lettica secondo tensioni fra gradi della sca-la), spesso al fine di preparare situazionitonali successive. In Rigoletto c’è un accor-do insolito sulle parole di Monterone nelprimo atto, subito prima di maledire Rigo-letto, con un la naturale di passaggio controun la bemolle al basso su un’armonia diquarta e sesta in re bemolle minore, disso-nanza trasfigurata quasi in uno schiaffo alghigno di Rigoletto buffone, vista la collo-cazione dell’accordo sulla parola «ridi»(«Tu che d’un padre ridi al dolore», es. 4).

ES. 4 RIGOLETTO, ATTO I SCENA VI

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Ben più distante dalla tonalità è la sequen-za in pianissimo dalla triade di do maggio-re do-mi-sol all’accordo incompleto fa#-do-mi sopra i sussurri del coro «Sia male-detto!!» nella scena del Gran Consiglio allafine del I atto di Simon Boccanegra, oppurele sequenze prive di nessi armonici che ac-compagnano le parole dell’Inquisitore nelduetto con Filippo II in Don Carlo, operaove sono enigmatici e psicologicamentetormentati i bicordi che precedono le paro-le «Pietà! Pietà!» di Eboli nel penultimo atto;vera forza d’urto sono invece le armoniesulla morte di Leonora nella Forza del de-stino. Verdi usa inoltre nel III atto di Rigo-letto frequenti accordi in quinte vuote,creando indeterminatezza tonale fra scalamaggiore e minore, instabilità e precarietàscenica (es. 5); incertezze tonali compaio-no anche nell’uso della modalità all’iniziodel III atto di Don Carlo.

ES. 5 RIGOLETTO, ATTO III SCENA IV

Complessità armoniche si alternano tutta-via a disegni più leggeri, in continui cambidi luce. Il tanto contestato ritmo ternario,l’«Umpapà» dei denigratori, era imprescin-dibile per l’epoca, nel clima musicale in cuiVerdi nacque e crebbe: ciò che oggi ci sem-bra banale non doveva esserlo allora. Laverità rappresentativa sta nell’alternanza

di strutture complesse e semplici, per cuiogni scelta diventa funzionale alla situazio-ne per la quale nasce, come Verdi stesso fanotare nel caso delle cabalette:

Io sono sempre d’opinione che le cabalettebisogna farle quando la situazione lo do-manda.

Del resto quanti di noi hanno familiaritàcon i ritmi ternari di Chopin, onnipresentiin quasi tutta la sua produzione pianistica.Come altri hanno evidenziato, la questionesta infatti da un lato nel rapporto tra arte po-polare e arte seria, aulica, dall’altro nell’ef-fettiva presenza, in opere come Rigoletto eTraviata per esempio, di ambientazioni incui ricorrono danze o movimenti coreogra-fici. Ma il duetto d’amore fra Amelia e Ric-cardo nel II atto di Un ballo in maschera ac-costa un consueto movimento di cabaletta auno squarcio armonico che sembra addirit-tura anticipare Puccini, con un repentinocambio di tonalità, ritmo e condotta melodi-ca in cui esplodono passioni trattenute. Èuna delle situazioni dove si rispecchia quel-l’andamento per contrasti tipicamente ver-diano, che si muove nell’alternanza fra cal-ma e tensione, nello scarto fra tipologie vo-cali, o nelle intrusioni di elementi di distur-bo in situazioni di serenità apparente: men-tre, per esempio, Rigoletto canta «Veglia odonna» nel I atto, basta un rumore in stradaper mutare di soprassalto il clima del brano(«Alcun v’è fuori…»), ma tornando poi esat-tamente dove si era rimasti. Analogamente,in Otello Desdemona interrompe brusca-mente la «Canzone del salce» spaventata daun rumore («Chi batte a quella porta? È ilvento»), con tutto il contorno psicologico diun inquietante presentimento che svela ten-sioni latenti. Altrove Verdi adotta movimen-ti ritmico-melodici o di accompagnamentocon aspetti cullanti, creando sezioni musi-cali quasi immobili dove il tempo si bloccain moti incantatori, rispecchiandone unaconcezione psicologica di tempo interiore,della coscienza. È il caso di due arie di Gil-da in Rigoletto, «Tutte le feste al tempio»nella scena VI del II atto (es. 6) e «V’ho in-gannato» nel III, ma anche del celebre «Ad-

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dio del passato» in Traviata o della «Canzo-ne del salce» in Otello, dove il ritmo sembra

quasi fermarsi.

ES. 6 RIGOLETTO, ATTO II SCENA VI

La concezione drammatica del tempo svi-luppa inoltre la sensazione che gli eventiprecipitino progressivamente, aiutata dapresagi tematici e ritorni motivici come av-viene con la gelosia in Otello, o attraverso ilfilo guida della maledizione in Rigoletto. Inuna crescita graduale di tensione l’avvici-narsi della morte di Gilda, nel III atto, si so-vrappone a quello dello scoppio del tempo-rale, che si carica pertanto di un peso psi-cologico stravolgente. In una dimensionepiù ridotta, altrettanto ben congegnata è l’e-voluzione musicale della consapevolezzadella tragedia in Rigoletto, dall’ascolto del-l’improvvisa alienante «Donna è mobile»cantata fuori scena alla scoperta della figliamorente.Entro queste condotte, il melodismo di Ver-di, tanto amato, ma anche frainteso, non vi-ve solo di estetica, è anch’esso appropriatodrammaturgicamente, generalmente construttura propulsiva, «melodie lunghe» conun’articolazione interna densa di tensionedove si scoprono nuovi mezzi espressivi. Ilceleberrimo «Amami Alfredo» da Traviatariprende un tema già utilizzato da Donizettiin Pia de’ Tolomei e da Meyerbeer negliUgonotti: in entrambi i casi la prima sezioneè molto simile o identica a quella di Verdi,senza avere però alcuna direzione, mentrein Traviata dopo l’esplosione in fortissimo,si sviluppa un andamento ritmico a sin-ghiozzo che dispiega un’incontenibile slan-cio appassionato, sviluppando così quantoda altri solamente accennato. Ci può essereanche una caratterizzazione melodica ingrado di concentrare le melodie in formulequasi estreme dove il pensiero si condensa,come in «Niun mi tema» di Otello, ultimogrido dell’eroe sconfitto. Altrettanta funzio-ne drammatica sta nel saper porgere la me-lodia, mai sostenuta passivamente, ma se-condo le più varie necessità teatrali, consemplici accompagnamenti («Va’ pensie-ro»), rinforzata in raddoppio su archi in tre-

molo («Questa donna conoscete?», Alfredoin Traviata), all’unisono («Oh, infamia orri-bile tu commettesti!», coro in Traviata), conaccordi quasi primordiali («Niun mi tema»,Otello) o terzine da canzonetta («La donna èmobile», il Duca in Rigoletto). L’improntamelodica rimane indubbiamente vocale, lascelta delle voci divide soprano e tenore fragli eroi, bassi e baritoni fra gli antagonisti, epoiché Verdi procede sempre per forti con-trasti, anch’esse vengono pensate in sensodrammatico e in reciproco scontro se com-binate. La tipologia vocale diventa sinonimodi personalità e di ruolo, sfruttando il cantoin ogni proprietà, dalla sillaba al lirismo piùdispiegato, e in tutta la sua estensione («Tuche le vanità», Elisabetta in Don Carlo).Gli estremi vengono esplorati anche a livel-lo strumentale, intendendo il timbro nonedonisticamente, ma conferendogli grandeforza rappresentativa. Verdi esagera fre-quentemente le indicazioni di pianissimo,spinto quasi ai limiti dell’udibile, o scopresuggestioni coloristiche nei fiati all’iniziodel III atto di Aida o nei minacciosi con-trabbassi del IV atto in Otello, la purezzadel suono degli archi nel preludio di Tra-viata e di Aida, i turbolenti trilli di trombenella scena del Gran Consiglio di SimonBoccanegra e nel I quadro di Falstaff. Piùsottilmente, riesce a giocare anche fra con-trapposizione dello stesso timbro, acco-stando il suono degli ottoni appena estinto-si in teatro, alla fine del preludio di Rigolet-to, con quello della successiva banda fuoriscena, che insieme al cambio di tonalitàcrea un impressionante effetto di strania-mento. Il suono viene inteso spazialmente,anche per il timbro vocale, basti pensareall’uso del coro in Rigoletto per definire ilsoffio del vento, o ad altre voci e cori fuoriscena (in contaminazioni da grand’opéra):il «Miserere» in Trovatore traccia unastraordinaria prospettiva acustica graziealle tre sorgenti di Leonora e orchestra inscena, coro fuori scena, Manrico e un’arpaancora fuori scena ma più lontano. Il pen-siero timbrico è una posizione nuova rag-giunta da Verdi rispetto alla tradizione ope-ristica italiana, per la quale l’orchestra ri-maneva invece un evento piuttosto sconta-

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to, dovendo semplicemente sostenere ilcantante e richiamare applausi, in un’ope-ra praticamente in funzione della voce. Al-l’inizio della carriera, pur iniziando a svi-luppare un pensiero strumentale già evolu-to, Verdi realizzava la strumentazione du-rante il periodo di prove con i cantanti, pra-ticamente poco prima di andare in scena.Così fu anche per la partitura di Rigoletto,anche se è probabile che gran parte del la-voro fosse stato già pensato, visti i risultatie i consensi manifestati dalla critica, che ri-conobbe la novità in un panorama di volga-ri consuetudini:

Frange strumentali belle quasi sempre, esempre accurate. («L’Italia musicale»)

Stupendo, mirabile è il lavoro della istru-mentazione; quell’orchestra ti parla, tipiange, ti trasfonde la passione, quasi dissi,il concetto nel cuore; ti colpisce con savi in-gegnosi passaggi, con peregrine armonieimitative; mai non fu più possente l’elo-quenza de’ suoni. («Gazzetta ufficiale di Ve-nezia»)

La istrumentazione dell’opera è sublime:l’orchestra ti parla, ti trasfonde la passionenell’anima, ora nuova per peregrini pas-saggi, ora straordinaria per armonie imita-tive. («L’Arte»)

Dicendo che Verdi sagrificò i cantanti aglistrumenti, si va subito a riflettere esserequesto il solito e capitale difetto della odier-na nostra musica; si corre subito col pen-siero alla gran cassa, ai tromboni, e a quel-la ridicola esagerazione di tinte, nella qua-le, pur troppo, consisteva da qualche tempoil secreto di appagare il gusto prevaricatodei più. La cosa ora è ben diversa. Il regnodella gran cassa, e dei tromboni, è, a quelche pare, bello e terminato. Una volta lostrumentale soverchiava i cantanti, in unmodo affatto materiale, la schiacciava perdir così, sotto l’immane suo peso specifico,era insomma il brutale dominio della forza.Verdi s’accorse finalmente che quel modosapeva un po’ di barbaro e cangiò strada.La tinta generale dello strumentale del Ri-

goletto è calma e tranquilla, e il dominioche essa esercita sulla parte cantabile è ilgentile dominio della leggiadria e della fi-nezza. («L’Italia musicale»)

In effetti l’Italia musicale di allora non offri-va modelli di rilievo, basti pensare alle or-chestrazioni dei Concerti per violino di Pa-ganini, specchio di quel mondo operistico(dove venivano spesso eseguiti come inter-mezzi fra opere), quando l’orchestra «regnodella gran cassa, e dei tromboni», appunto,era spesso piuttosto roboante, con pochissi-mi violoncelli, meno dei contrabbassi, co-me annotato da Berlioz durante il suo viag-gio in Italia, osservando che «a Roma, la pa-rola sinfonia, come quella ouverture, non èimpiegata che per designare un certo ru-more che fan le orchestre di teatro primadell’alzarsi del sipario». Le necessità dram-matiche spingono invece Verdi ad aumen-tare progressivamente la complessità e lafunzione intrecciata della strumentazione,fino a far nascere l’idea musicale stessa perun determinato timbro. Sentendo una spin-ta fortissima a rivoluzionare la partitura,esorta i giovani a studiare a fondo l’orche-strazione, ricordando come egli stesso nonebbe invece nessun maestro da cui impa-rarla. Ciò non toglie che non vedesse dibuon occhio un linguaggio orchestraletroppo spinto, mostrando qualche riservasul giovane Puccini, poiché «l’opera è l’ope-ra: la sinfonia è la sinfonia, e non credo chein un’opera sia bello fare uno squarciosinfonico», ma apprezzando Wagner, che«supera tutti i compositori nella varietà deicolori della strumentazione».Tratta ancora l’orchestra a blocchi la mag-gior parte delle volte, ma ne sviluppa i ruo-li in termini psicologici: nella rappresenta-zione della tempesta che apre Otello, essa èanche il timore dei marinai verso le avver-sità del temporale; nel «Dies Irae» del Re-quiem riecheggia le paure dell’uomo di-nanzi alla morte; nel Preludio al II atto diTraviata si trasforma nella precaria condi-zione psicofisica di Violetta. A volte l’orche-stra assume un ruolo tematico indipenden-te verso le voci che dialogano per definirnelo stato d’animo, oltre a quello già dichiara-

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to, come nel tema scattante che contornal’incontro di Rigoletto e Gilda nel I atto («Fi-glia! Mio padre», es. 7); in Traviata, duran-te la partita a carte del II atto il clima di ten-sione si snoda proprio dall’incalzare degliarchi; in Don Carlo l’inizio orchestrale delIII atto ci prepara all’afflizione di Filippo II.

ES. 7 RIGOLETTO, ATTO I SCENA IX

L’orchestrazione diventa finalistica nell’o-scuro duetto fra Rigoletto e Sparafucilesfruttando tutti i registri gravi a disposizio-ne (melodia a contrabbasso e violoncellocon sordina, accompagnati da violoncelli,contrabbassi, clarinetto, fagotto, grancassa),come nel duetto fra Filippo II e l’Inquisitorein Don Carlo, dove compare un controfa-gotto. Singoli strumenti dell’orchestra cer-cano relazioni con la voce, la imitano, in unlascito della tradizione sfruttato però daVerdi psicologicamente, determinando l’af-fetto, non l’effetto. L’oboe ricama movimen-ti melodici nell’«Addio del passato» in Tra-viata o in «Tutte le feste al tempio» in Rigo-letto; il clarinetto è l’anima di Violetta men-tre scrive ad Alfredo, in Traviata; il clarinet-to basso rivela scorci inquietanti nella sce-na del Gran Consiglio in Simon Boccane-gra, come il corno inglese nel IV atto di Otel-lo; il violoncello assume slanci di tormenta-to lirismo prima del monologo di Filippo IIin Don Carlo, nell’aria di Amelia «Morrò,ma prima in grazia» di Un ballo in masche-ra, nel pianto di Rigoletto che reclama la fi-glia.Per assicurare una concezione del teatromusicale così nuova, Verdi cercò di ricosti-tuire un giusto rapporto non solo tra com-positore e librettista, ma anche tra autoreed esecutore, affinché la parola fosse effet-tivamente scenica, libera da manipolazionidell’interprete, nell’ambito di una fedeltà altesto musicale pressoché inesistente all’e-poca, con precise esigenze esecutive: se lamusica scritta ha un finalismo, l’esecuzio-

ne lo deve rispecchiare. Nel 1846 il criticomusicale Alberto Mazzuccato aveva già de-nunciato uno stato musicale carente nelteatro italiano:

Nell’esecuzione, dico, di qualunque sparti-to, è a notarsi nei nostri teatri un sensibiledisequilibrio ed ondeggiamento, una man-canza di aplomb rimarchevolissima, cheesiste anzitutto tra cantanti e orchestra(che i cantanti italiani ritardano sempre ilmovimento della musica): poi tra cori edorchestra: indi tra coristi e consti: tra suo-natori e suonatori. […] Questa mancanza diassieme che esiste così sensibile in Italiatra le masse vocali ed istrumentali de’ teatriviene poi favorita ed anzi animata dal maloesempio (come diceva poc’anzi) dei nostricantanti, che allargano sempre 1a misura,anche se la cantilena nol richiede; a ciòcondotti in generale da una falsa idea cheessi formansi dell’espressione drammatica,e più ancora dalla maniera ond’è il mag-gior numero delle nostre opere: manieracomoda, larga e chiarissima che perciò nonnecessita di tutto quell’assieme che puredovrebbesi esigere in qualunque musica,per quanto chiara e facile ella sia. Quasitutte le partizioni italiane che precedetteroquelle di Rossini favorirono, senz’ombra didubbio, il difetto di cui è parola. Oltre al co-modo ritmo della melodia, i mille abbelli-menti che il cantante aveva diritto di intro-durvi davano luogo di necessità al poco ri-gore della misura, e la semplicità, chiarez-za e larghezza degli accompagnamenti im-pedivano a che questa incertezza di misuranon trascinasse m confusione.

Si aggiungono le critiche di Berlioz:

Ahimè! è cosa tristemente nota, il pubblicopoco s’inquieta di simil atti. Così anche inGermania, in Inghilterra, e in altri paesi ol-tre alla Francia si tollera che le opere piùnobili di tutti i vengan arrangiate, ovveroguastate, ovvero insultate in mille modi, dagente che non vale nulla. Simili libertà neiconfronti dei grandi artisti, come ben siammette d’ordinario, non dovrebbero esserprese (se mai sia veramente giusto pren-dersele) che da artista immensi e ben più

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grandi ancora. Le correzioni apportate aun’opera, antica o moderna, non dovrebbe-ro mai provenire dal basso all’alto, ma dal-l’alto al basso.

Verdi fu molto sensibile alle scelte dei can-tanti per le proprie opere, ponendo peresempio rigide condizioni sul cast di Rigo-letto, o insistendo sulla preparazione musi-cale (più di 150 le prove per il duetto del Iatto di Macbeth). Prima di lui l’opera eracaduta nelle mani dei cantanti, con mani-polazioni sia sulla presenza o meno di cer-ti brani che sulla loro integrità. Ma imporrefrasi come «conviene inoltre che gli artisticantino non a loro modo, ma al mio», «cheinfine tutto dipenda da me», «io voglio unsolo creatore», «il male sta che non s’ese-guisce mai quello ch’è scritto», «io non am-metto né ai cantanti né ai direttori la facoltàdi creare», «io ho il diritto che le mie opere,come da contratti, vengano eseguite comele ho scritte» sarebbe stato impensabile agliinizi della carriera. Contro il divismo deicantanti e le cattive esecuzioni Verdi potépermettersi di non concedere alla Scala al-cuna prima per ben 24 anni e di obbligareRicordi a inserire nei contratti clausole cheimponessero multe a chi alterava le parti-ture.Agendo su più fattori portò le forme tradi-zionali in una nuova ottica, ricreando ilteatro italiano, conservatore, bloccato inimmobili schemi, pietrificato in convenzio-ni formali, poiché la musica deve essereespressione continua in ogni direzione, è li-berazione dell’espressione, esplosiva, perdare vita a passioni umane in un’opera co-munque del presente e per il presente. Dasolo portò avanti la storia musicale italianaimpersonando un ruolo che da nazionaleassunse presto una dimensione europea,integrando il passato in stilemi che rivolu-zionarono le consuetudini, attraverso«unità» e «progresso». Essere «un uomo diteatro» e desiderare «soggetti nuovi con for-me nuove» significa accogliere l’avvenire,da progressista capace di innalzare la tradi-zione alla massima perfezione:

L’artista deve scrutar nel futuro, veder nel

caos nuovi mondi; e se nella nuova stradavede in fondo il lumicino, non lo spaventi ilbuio che l’attornia: cammini, e se qualchevolta inciampa e cade, s’alzi e tiri drittosempre. È bella qualche volta anche unacaduta in un capo scuola.

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Le pubblicazioni dell’Istituto Nazionale diStudi Verdiani di Parma, qui sotto indicate,costituiscono ormai un punto di riferimen-to essenziale all’interno della ricchissimabibliografia verdiana:- «Bollettino di studi verdiani», dal 1960;- «Quaderni dell’Istituto di studi verdiani»,

dal 1963;- «Atti di Congressi», dal 1969;- «Studi verdiani», rivista attiva dal 1982;- «Carteggi».

aa)) BBiibblliiooggrraaffiiee ee ccaattaalloogghhii

«Studi verdiani», sin dal primo numero del1982, pubblica una Bibliografia verdiana, acura di Marcello Conati, che censisce lepubblicazioni dal 1977 a oggi.- CECIL HOPKINSON, A Bibliography of the

Works of Giuseppe Verdi, 1813-1901, 2 voll.,Broude Brothers, New York 1973 e 1978.

- MARTIN CHUSID, A Catalog of Verdi’s Ope-ras, Boonin, Hackensack (NJ) 1974 (Mu-sic Indexes and Bibliographies, 5).

- ELVIDIO SURIAN, Lo stato attuale degli studiverdiani: appunti e bibliografia ragionata,in «Rivista italiana di musicologia», XII,1977, pp. 305-329.

bb)) OOppeerree ee lliibbrreettttii

Le opere di Giuseppe Verdi / The Works ofGiuseppe Verdi, a cura di Philip Gossett,Julian Budden, Martin Chusid, FrancescoDegrada, Gabriele Dotto, Ursula Günther,Giorgio Pestelli e Pierluigi Petrobelli. Av-viata nel 1983, l’edizione critica delle opereverdiane è stampata da Casa Ricordi e dal-

la University of Chicago Press. Sono stati fi-nora pubblicati: Nabucco, Ernani, Alzira, Ilcorsaro, Luisa Miller, Rigoletto, Il trovato-re, La traviata, Messa da requiem.

- Tutti i libretti di Verdi, a cura di LUIGI BAL-DACCI, Milano, Garzanti, 1975.

- Verdi: tutti i libretti d’opera, a cura di PIE-RO MIOLI, 2 voll., Roma, Newton Compton,1996.

- Tutti i libretti di Verdi, introduzione e no-te di LUIGI BALDACCI, Torino, Utet, 1996.

- Verdi. Libretti, antologia di libretti verdia-ni (Nabucco, Macbeth, Rigoletto, Il trova-tore, La traviata, Un ballo in maschera,Aida, Otello, Falstaff), con un saggio diPhilip Gossett, Milano, Oscar ClassiciMondadori, 2000 (insieme a un volumeantologico di Lettere).

cc)) CCaarrtteeggggii

- I copialettere di Giuseppe Verdi, a cura diGAETANO CESARI e ALESSANDRO LUZIO, Mila-no 1913 (ristampa anastatica: Bologna,Forni, 1968).

- Verdi intimo: carteggio di Giuseppe Verdicon il conte Opprandino Arrivabene(1861-1886), a cura di Annibale Alberti,Milano, Mondadori, 1931.

- Franco Faccio e Verdi: carteggi e docu-menti inediti, a cura di RAFFAELLO DE REN-SIS, Milano, Treves, 1934.

- Carteggi verdiani, a cura di ALESSANDRO

LUZIO, 4 voll., Roma, Reale Accademia d’I-talia e Accademia Nazionale dei Lincei,1935-47.

- Giuseppe Verdi: autobiografia dalle lette-re, a cura di ALDO OBERDORFER, Milano,

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALEPERCORSI DI APPROFONDIMENTOa cura di GILDO SALERNO

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- Verdi. Lettere, antologia a cura di MICHELE

PORZIO (insieme al volume antologico diLibretti), Milano, Oscar Classici Monda-dori, 2000.

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- Rigoletto, programma di sala per il Teatroalla Scala, Milano, 1993-94. Contiene isaggi: MARIO LAVAGETTO, Un soggetto de-gno di Shakespeare; PIERLUIGI PETROBELLI,Dramma per musica; ROBERTO ZEDDA, Ri-pensare il “Rigoletto”; GIUSEPPE PUGLIESE,Il libertino di Verdi. Appunti per uno stu-dio sul Duca di Mantova; SERGIO SEGALINI,I cantanti della prima veneziana; inoltrela cronologia della vita e delle opere diVerdi a cura di M. Mattarozzi, e la disco-grafia a cura di L. Bellingardi.

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- Rigoletto, programma di sala dell’opera,Venezia, PalaFenice, stagione lirica 1997(aprile). Contiene: FORTUNATO ORTOMBINA,1850: Un “fool” e un buffone per Verdi.Note sulla genesi di “Rigoletto”, pp. 57-68;MICHELE GIRARDI, Solo, difforme, povero /Per compassion mi amò, pp. 71-73.

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Giovanni Pividor, Interno del Teatro La Fenice di Venezia all’epoca della prima rappresentazione diRigoletto (1851). Litografia a colori, Milano, Museo Teatrale alla Scala.

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Giuseppe Verdi. Litografia (Bologna, 1850). Milano, Civica Raccolta Bertarelli.

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O le opere pei cantanti, o i cantanti per leopere.1

Amo l’arte quand’è rappresentata degna-mente. […] Ah il mio cuore, il mio istinto sevolete, mi dice sempre la verità: nelle coseun po’ incerte lo interrogo, e mi rispondegiusto.2

L’arte che manca di spontaneità, di natura-lezza e di semplicità non è più arte.3

Conviene inoltre che gli artisti cantino nona loro modo, ma al mio; che le masse, chepure hanno molta capacità, abbiano altret-tanto buon volere; che infine tutto dipendada me; che una volontà sola domini tutto: lamia. Ciò vi parrà un po’ tirannico… ed èforse vero; ma se l’opera è di getto, l’idea èuna, e tutto deve concorrere a formare que-st’uno. […] Io credo all’ispirazione.4

GIUSEPPE VERDI

11881133Giuseppe Fortunino Francesco Verdi nasceil 10 ottobre5 alle Roncole,6 frazione del co-mune di Busseto nel ducato di Parma, figliodi Carlo Verdi (1785-1867), gestore di un’o-steria rivendita di vini, e Luigia Uttini(1787-1851), sposi dal 1812. Sia i nonni pa-terni che materni erano osti, di origini risa-lenti a famiglie di contadini e commercian-ti insediatesi nel ’700 presso Parma. Graziealla madre riesce a scampare all’invasionedelle truppe austriache.7 Ha una sorella ditre anni più giovane, Giuseppa Francesca,mentalmente ritardata per aver contrattouna meningite, morta a 16 anni nel 1833.11882211

Iniziati precocemente gli studi musicalicon Don Pietro Baistrocchi, organista emaestro elementare alle Roncole, disponegià di una spinetta,8 regalatagli per la pre-dilezione dimostrata verso la musica, cometestimonia l’iscrizione dell’artigiano Stefa-no Cavalletti che riparò gratuitamente lostrumento:

La buona disposizione che ha il giovinettoGiuseppe Verdi d’imparare a suonare que-sto strumento.

Chierichetto, durante le funzioni si distraeascoltando l’organo.9

11882222Alla morte di Baistrocchi, Verdi gli succedenegli incarichi musicali alle funzioni reli-giose, venendo presto soprannominato«maestrino delle Roncole». Intanto cantanel coro di Madonna dei Prati e si reca pe-riodicamente a Busseto per le lezioni dimusica con Lorenzo Gagliardi.

11882233Iscritto al ginnasio gesuita riceverà unaformazione umanistica; in adolescenza di-venterà un lettore assiduo. Intanto, forsecontrariato dal padre, studia composizionee contrappunto col maestro di cappellaoperista Ferdinando Provesi, organista allacattedrale di Busseto e direttore della scuo-la di musica municipale.

11882288Rimane a Busseto, dove fino al 1832 com-porrà prevalentemente musica vocale (fracui le cantate I deliri di Saul e Le lamenta-zioni di Geremia), pezzi per la locale So-

GIUSEPPE VERDIa cura di MIRKO SCHIPILLITI

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cietà Filarmonica:10 marce, sinfonie (braniunici in un movimento), concertati, e unanuova Sinfonia per Il barbiere di Siviglia diRossini. Si tratta di prime esperienze cheVerdi non ricorderà con piacere, conside-randole in seguito «una farragine di pezzi»:nel 1895 ne distruggerà i manoscritti.11

11883311Ormai al centro della vita musicale cittadi-na, viene ospitato nella casa di Antonio Ba-rezzi, presidente della Società Filarmonicadi Busseto, mecenate, musicista dilettante ecommerciante, che ammira il talento diVerdi con affetto quasi paterno. Il giovaneGiuseppe, conosce così sua figlia Margheri-ta Barezzi, coetanea alla quale impartiscelezioni di canto e pianoforte, futura primamoglie. Barezzi finanzierà gli studi musica-li di Verdi in assenza della borsa di studioche il Monte di Pietà di Busseto gli conce-derà solo a partire dal 1833.12

11883322Viene bocciato all’esame di ammissione alConservatorio di Milano, non solo per ra-gioni musicali (scorretta impostazione pia-nistica e immatura conoscenza del con-trappunto), ma soprattutto per le iscrizioniallora in soprannumero, il superamentodel limite d’età di 18 anni e la provenienzada fuori provincia. Consigliato dal violini-sta Alessandro Rolla, membro della com-missione esaminatrice, «capo d’orchestra»alla Scala e amico di Barezzi, studierà pertre anni da Vincenzo Lavigna,13 con cuianalizzerà partiture (fra cui Don Giovannidi Mozart con studio accanito) e dal qualeverrà spinto a frequentare concerti e spetta-coli:

Studiai con lui fino al 1835. Lavigna era for-tissimo nel contrappunto, qualché poco pe-dante e non vedeva altra musica che quelladi Paisiello! […] Nei tre anni passati con luinon ho visto che canoni e fughe, e fughe ecanoni in tutte le salse. Nissuno mi ha inse-gnato l’istrumentazione ed il modo di tratta-re la musica drammatica. Ecco cosa fu La-vigna. […] era dotto ed io vorrei che fosserotutti così i maestri insegnanti.14

L’aria per due tenori e orchestra Ch’io lavidi è fra le prime composizioni di Verdipervenuteci.

11883344L’ambiente più aperto di Milano ampliamolto le prospettive creative di Verdi, chefrequenta la Società Filarmonica diretta daPietro Massini, partecipando come diretto-re d’orchestra e maestro al cembalo allaCreazione di Haydn. Massini procura aVerdi anche un libretto d’opera, che il com-positore porta con sé a Busseto, insieme al-la promessa di una rappresentazione alTeatro dei Filodrammatici di Milano. Conla morte di Provesi, aspira a diventare suosuccessore, ma il posto di organista allacattedrale di Busseto,15 nonostante le rimo-stranze e gli scontri con le autorità, non gliviene assegnato, né quello della collegiata.Dovrà rinunciare anche a quello nella cat-tedrale di Monza.

11883366Esaminato da Giuseppe Alinovi,16 vienenominato per nove anni insegnante di can-to, clavicembalo, pianoforte, organo, con-trappunto e composizione alla scuola dimusica di Busseto, stipendiato esiguamen-te dal comune con 657 lire annue. Partecipaalle accademie locali (talvolta a casa di Ba-rezzi), dove vengono eseguite sue composi-zioni da camera sia strumentali che vocali,fra cui un Tantum ergo per voce e organo;fra queste anche alcuni cori a tre voci per letragedie di Manzoni e Il 5 Maggio per vocesola. Si sposa con Margherita Barezzi(1814-1840). Avranno due figli: VirginiaMaria Luigia, nata nel 1837 e Icilio RomanoCarlo Antonio, nato nel 1838. Entrambimoriranno prematuramente nel 1838 e nel1839.

11883399Grazie all’aiuto di Massini e all’intermedia-zione di Vincenzo Merighi, primo violon-cello alla Scala, Verdi viene presentato aBartolomeo Merelli, impresario del teatromilanese, che gli promette di rappresentare

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una sua opera in occasione delle recite chela Scala organizzava in beneficenza per ilPio Istituto Teatrale di Milano.17 Si trasferi-sce a Milano con la famiglia, conscio del-l’importanza di uscire dal ristretto circolobussetano. A Barezzi, sempre suo finanzia-tore, scrive:

Lei sa a che siano rivolte le mie mire e lemie speranze. Non certamente la speranzadi accumulare ricchezze, ma quella di esse-re qualche cosa fra gli uomini e di non es-sere inutile arnese come tanti altri.

Dopo la pubblicazione di una raccolta diSei romanze per canto e piano presso l’edi-tore milanese Canti nel 1838 (che ora pub-blica altri tre brani), Verdi viene chiamatoda Merelli per inserire la sua opera nellastagione della Scala:

Era una bella offerta: giovine, sconosciuto,mi imbattevo in un impresario che osavamettere in scena un nuovo lavoro senza do-mandarmi indennizzo di sorta, indennizzoche del resto sarei stato nell’impossibilitàdi dare. Merelli, arrischiando del suo tuttele spese di messa in scena, mi propose sol-tanto di dividere per metà quella sommache avrei preso, se in caso di successo aves-si venduta l’opera. Né si creda che con ciòmi facesse proposta onerosa: era l’opera diun principiante.

Il 17 novembre debutta felicemente allaScala con Oberto, conte di San Bonifacio,18

opera in due atti su libretto di TemistocleSolera, dall’originale di Antonio Piazza of-fertogli da Massini, con apporti dello stessoVerdi e di Merelli. Nel cast canta Giuseppi-na Strepponi (1815-1897),19 futura compa-gna e moglie di Verdi, fra i primi suoi soste-nitori, avendo insistito per la rappresenta-zione dell’opera. Merelli procura tre nuoviincarichi.

11884400Sul libretto Il finto Stanislao di Felice Ro-mani, la seconda opera di Verdi è la com-media Un giorno di regno, un fiasco allaScala, cadendo dopo una sola recita. Oltre

all’inadatto soggetto buffo, Verdi viveva unperiodo difficile, che dopo la perdita deidue figlioletti e alcuni problemi di salute,accorpa ora l’insuccesso teatrale alla mortedella moglie Margherita, pochi mesi prima,portandolo al diniego per la composizio-ne.20 Solo l’astuzia di Merelli lo riavvicinaalla musica con la realizzazione di unanuova opera: Nabucodonosor, titolo abbre-viato in Nabucco. Giulio Ricordi ricostruìinsieme al compositore il celebre episodioin cui Verdi torna a comporre, nel raccontoautobiografico in Vita aneddotica di Giu-seppe Verdi di Arthur Pougin:

Ero sfiduciato, né più pensavo alla musica,quando una sera d’inverno […] m’imbattoin Merelli […]: «Vedi, ecco qui il libretto diSolera! Un così bell’argomento, e rifiutar-lo!… Prendi… leggilo!» […] Rincasai e conun gesto quasi violento, gettai il manoscrit-to sul tavolo, fermandomi ritto in piedi da-vanti. Il fascicolo cadendo sul tavolo stessosi era aperto; senza saper come, i miei oc-chi fissano la pagina che stava a me innan-zi, e mi si affaccia questo verso: Va, pensie-ro, sull’ali dorate. Scorro i versi seguenti ene ricevo una grande impressione, tantopiù che erano quasi una parafrasi dellaBibbia, nella cui lettura mi dilettavo sem-pre. Leggo un brano, ne leggo due: poi, fer-mo nel proposito di non scrivere, faccio for-za a me stesso, chiudo il fascicolo e me nevado a letto!… Ma sì… Nabucco mi trottavanel capo!… Il sonno non veniva: mi alzo eleggo il libretto, non una volta, ma due, matre, tanto che al mattino si può dire ch’io sa-peva a memoria tutto quanto il libretto delSolera. Con tutto ciò non mi sentivo di re-cedere dal mio proposito, e nella giornataritorno al teatro e restituisco il manoscrittoa Merelli. […] Ritornai a casa col Nabuccoin tasca: un giorno un verso, un giorno l’al-tro, una volta una nota, un’altra volta unafrase… a poco a poco l’opera fu composta.21

Iniziano gli anni di intensissima attività incui nasceranno alcuni dei suoi più impor-tanti capolavori:

Dal Nabucco in poi non ho avuto, si può di-re, un’ora di quiete. Sedici anni di galera!22

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E cominciano anche le ricorrenti polemi-che con le censure degli stati italiani sottodominio straniero, che volevano frenareogni incitamento patriottico, specie quandosi osservò che le opere di Verdi lasciavanoemergere negli ascoltatori sentimenti poli-tici latenti.

11884422In scena alla Scala in primavera, Nabucco(dove canta ancora la Strepponi), libretto diTemistocle Solera, è il primo grande suc-cesso di Verdi, con 57 repliche in autunno euna serie di rappresentazioni in Europa eAmerica fino al 1851.23 Con le successivesei opere (da I lombardi ad Attila) Verdi siassicurerà solide basi economiche, ricom-pensato anche dall’ampio consenso popo-lare. Sia per Nabucco che per Un giorno diregno riceve 4000 lire, oltre alle 2500 per lavendita dei diritti all’editore Ricordi (tantoquanto era stata pagata Norma di Bellini).Casa Ricordi diventerà in poco più di qua-rant’anni l’editore di tutte le sue opere.24 AMilano frequenta il salotto di GiuseppinaAppiani e quello del poeta Andrea Maffei edella contessa Clara Spinelli Carrara Maf-fei, futura grande amica alla quale rimarràsempre molto legato, e attraverso cui entrain contatto con i movimenti politici con-temporanei, aderendo alla causa risorgi-mentale, e con i liberali barone Ricasoli,Gino Capponi, Giuseppe Giusti e GiovanniBattista Niccolini. Nell’alta società milane-se stringe amicizia anche con la Somaglia ela contessa Samoyloff.25 A Bologna conosceRossini in occasione dell’esecuzione delsuo Stabat Mater diretto da Donizetti:

Sono stato a visitare Rossini il quale mi haaccolto assai gentilmente e l’accoglienzami è parsa sincera. Comunque sia, io sonostato contentissimo. Quando penso cheRossini è la reputazione mondiale viventeio mi ammazzerei e con me tutti gli imbe-cilli. Oh è una gran cosa essere Rossini.26

Verdi stimava moltissimo anche Bellini:

Povero, è vero, nell’armonia e nell’istru-mentazione, ma ricco di sentimento, e diuna tinta melanconica tutta sua propria!Anche nelle opere sue meno conosciute,nella Straniera, nel Pirata, vi sono melodielunghe, lunghe, lunghe, come nissuno hafatto prima di Lui. E quanta verità e poten-za di declamazione come nel duetto tra Pol-lione e Norma! E quanta altezza di pensieronella prima frase dell’Introduzione di Nor-ma; seguita dopo poche battute da un’altrafrase, male istromentata, ma che nissunoha mai fatto altra più celestiale!

11884433Su libretto di Solera alla Scala va in scena Ilombardi alla prima crociata, dal poema diTommaso Grossi. È un trionfo, tuttavia nonconfermato alla Fenice di Venezia («Ungran fiasco, uno di quei fiaschi veramenteclassici»).

11884444Il Conte Mocenigo, presidente degli spetta-coli al Teatro La Fenice di Venezia (città«bella, è poetica, è divina, ma… io non cistarei volentieri»27), propone a Verdi unanuova opera.28 Per la Fenice, tra i più im-portanti palcoscenici europei, concorrentediretto della Scala e del San Carlo, Verdicompone Ernani, libretto del muraneseFrancesco Maria Piave (che invece avevapronto un Cromwell), su soggetto sceltodallo stesso compositore, da Victor Hugo(«Oh, se si potesse fare l’Hernani, sarebbeuna gran bella cosa!»). Le modalità di lavo-ro di Verdi sono peculiari:

In ciò che riguarda l’istromentazione, io so-no solito farla incominciate le prove a cem-balo. Io per sistema faccio l’istromentaledurante le prove a cembalo, e lo spartitonon è mai interamente finito che all’anti-prova generale.29

Ma è soprattutto il rapporto con i librettisti,che in una strettissima collaborazione ge-stita dal compositore al fine di assicurareuna corretta drammaturgia («è bene chepoeta e maestro sentano all’unissono!»30),trova fin d’ora un carattere mai più abban-

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donato:

Il Sig. Piave non ha mai scritto, e quindi ènaturale che in queste cose manchi. […]Per quanta poca esperienza io mi possaavere, vado nonostante in teatro tutto l’an-no, e sto attento moltissimo: ho toccato conmano che tante composizioni non sarebbe-ro cadute se vi fossero state miglior distri-buzione dei pezzi, meglio calcolati gli effet-ti, più chiare le forme musicali… insommase vi fosse stato maggior esperienza sì nelpoeta che nel maestro. Tante volte un reci-tativo troppo lungo, una frase, una senten-za che sarebbe bellissima in un libro, edanche in un dramma recitato, fan ridere inun dramma cantato.31

Il 9 marzo Ernani alla Fenice è subito unostorico grande successo (nonostante la nonbuona esecuzione), rappresentando ancheil primo legame con gli ideali risorgimenta-li attribuito a Verdi. Il giornale veneziano«Il Gondoliere» riporta che

Le ultime sue note inebbriarono, ben quat-tro volte, gli animi sin de’ gravi aristarchi edelle severe matrone. Negli atrii, nelle vie,nelle sale, nei geniali convegni stanno sullabbro di tutti i nuovi canti… La musica èsparsa di soavi melodie, di eletti accordi, displendida istrumentazione.

Suo assistente e copista diventa l’allievobussetano – l’unico che ebbe Verdi – Ema-nuele Muzio (1825-1890).32 Lavora assi-duamente per le repliche dei Lombardi allaprima crociata. A Roma, al Teatro Argenti-na, viene rappresentata I due Foscari conun certo successo. Donizetti, ascoltata l’o-pera, scrive:

Verdi ha grande ingegno. Manca di fantasiaper trovare la prima battuta di un pezzo;una volta trovata, però, va avanti divina-mente. Egli farà dei voli rapidi. A mio vede-re andrà avanti assai. Io aveva ragione didire che Verdi avea talento! E sì i Due Fo-scari non formano il suo bello che a lam-pi… Invidia a parte, ché non lo conosco, èl’uomo che brillerà.

All’intenso lavoro di compositore si affian-cano frequenti disturbi di salute, allo sto-maco (gastrite) e alla gola, nonché alcunimomenti di depressione. Inizia la stesuradei Copialettere, riportanti le bozze di mol-te lettere, curando così con estrema atten-zione la propria corrispondenza. Acquista iprimi poderi intorno a Busseto.

11884455Dopo gli attriti con Merelli a causa dellascarsa attenzione agli allestimenti dellaScala, con un mal realizzato ma felicemen-te applaudito debutto di Giovanna d’Arco(libretto di Solera da Schiller), per 24 anniVerdi non concederà più prime esecuzionidelle proprie opere al teatro milanese. Alzi-ra (libretto di Salvatore Cammarano daldramma di Voltaire) va in scena al San Car-lo di Napoli con successo, ma sarà un fiascoalla Scala nel 1847. A Busseto acquista Pa-lazzo Dordoni, dove si stabilirà dal 1849, ela tenuta di Sant’Agata, dove vivrà dal 1851.Aveva iniziato presto ad arricchirsi econo-micamente. Dopo Un giorno di regno e Na-bucco, aveva guadagnato 12000 lire per Er-nani e per I lombardi, 18000 sia per Attilache per Macbeth, in seguito 20000 franchiper I Masnadieri a Londra e 5000 franchiper Jerusalem a Parigi più 8700 per i dirittidi pubblicazione e rappresentazione. Sipreparano le traduzioni francesi di I lom-bardi, Ernani e Nabucco; Il finto Stanislaoviene accolto bene al Teatro S. Benedetto diVenezia; giungono proposte per opere aMadrid e San Pietroburgo.

11884466La seconda opera di Verdi rappresentata inprima assoluta al Teatro La Fenice di Vene-zia è Attila (libretto di Temistocle Soleradal dramma di Zacharias Werner) conqualche dissenso iniziale, ma con i consen-si della propaganda risorgimentale.33 Verdisi dimostra molto interessato alla ricostru-zione storica, ma anche a certe scelte musi-cali:

[Le bande] non hanno più il prestigio dellanovità e sono controsensi perpetui, e fra-

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stuoni; poi delle marce io ne ho fatte: unaguerriera nel Nabucco, ed un’altra solennee grave nella Giovanna che non farò maipiù le migliori. E che non si può fare un’o-pera grandiosa senza il frastuono dellabanda?… E il Guglielmo Tell, ed il Robertoil Diavolo non sono grandiose? Pure nonhanno banda! Ormai la banda è una pro-vincialata da non usarsi più nelle grandicittà.

Attila è un successo anche in altri teatri italia-ni, da Firenze a Ferrara, Reggio Emilia, Li-vorno, Rovigo, Vicenza, Trieste, Cremona.

11884477Con successo, al Teatro La Pergola di Firen-ze debutta Macbeth, su libretto di Piave e An-drea Maffei tracciato dallo stesso Verdi:

Eccoti lo schizzo del Macbet. Questa trage-dia è una delle più grandi creazioni uma-ne!… Se non possiamo fare una gran cosacerchiamo di fare una cosa almeno fuoridel comune. Lo schizzo è netto: senza con-venzione, senza stento, e breve. Ti racco-mando i versi che essi pure siano brevi:quanto più saranno brevi e tanto più trove-rai effetto… Nei versi ricordati bene chenon vi deve essere parola inutile: tutto devedire qualche cosa.34

Macbeth fa il giro delle città italiane, fra leprime Venezia, Padova, Vicenza, Brescia,Bergamo. A Londra I due Foscari sono ungrande successo («Un successo così straor-dinario non si è mai visto a Londra») comela nuova opera I Masnadieri, che debutta alHer Majesty’s Theatre (libretto di AndreaMaffei da Friedrich Schiller), prima operadi un italiano di allora composta espressa-mente per gli inglesi. È a Londra che Verdiconosce Mazzini. A Parigi segue l’allesti-mento di Jerusalem, rifacimento dei Lom-bardi alla prima crociata. Qui rivede Giu-seppina Strepponi e se ne innamora.35 Ini-zia così la lunga convivenza con la donnache sarà per lui anche prezioso e attento as-sistente e consigliere, collaboratrice persi-no nella stesura di alcuni libretti. Con lei –la «Peppina» – risiede a Passy, vicino Parigi.

11884488A Parigi firma una petizione di italiani resi-denti in Francia a favore del governo prov-visorio lombardo: è il suo primo gesto poli-tico. I moti rivoluzionari lo richiamano inItalia, partecipe alla vita politica:

Onore a questi prodi! Onore a tutta l’Italiache in questo momento è veramente gran-de! L’ora è suonata, siine pur persuaso, del-la sua liberazione. È il popolo che la vuole:e quando il popolo vuole non avvi potere as-soluto che le possa resistere. Potranno fare,potranno brigare finché vorranno quelli chevogliono essere a viva forza necessarj manon riesciranno a defraudare i diritti del po-polo. Sì, sì, ancora pochi anni forse pochimesi e l’Italia sarà libera, una, repubblica-na. Cosa dovrebbe essere? Tu mi parli dimusica!! Cosa ti passa in corpo?... Tu crediche io voglia ora occuparmi di note, di suo-ni?... Non c’è né ci deve essere una musicagrata alle orecchie delli Italiani del 1848. Lamusica del cannone!36

Al Teatro Grande di Trieste va in scena IlCorsaro, libretto di Francesco Maria Piaveda Byron, ma con esiti disastrosi, sia dipubblico che di critica, cancellato dal car-tellone dopo tre recite.

11884499Accantonato un progetto per un’operadall’Assedio di Firenze di Guerrazzi, su li-bretto di Salvatore Cammarano La batta-glia di Legnano va in scena al Teatro Ar-gentina di Roma, unica opera verdiana ditaglio propagandistico, scritta interamentea Parigi durante i moti rivoluzionari a favo-re della Repubblica romana. Scrive su pro-posta di Mazzini l’inno rivoluzionario Suo-na la tromba su testo di G. Mameli. Com-menta la situazione politica:

Della nostra povera Italia non so cosa diredi consolante! […] Cosa mai sperare da tuttiquesti intrighi diplomatici, dal prolunga-mento dell’armistizio? […] La Lombardiadiventerà un deserto, un cimitero. Dopo sidirà che la nazione estenuata di tutti i mez-

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zi, può chiamarsi felice di appartenere alpaterno governo austriaco. Iddio li benedica[…] Che bella Repubblica!37

È a Napoli con Barezzi per l’allestimento diLuisa Miller al Teatro San Carlo, la nuovaopera che dopo le prime incerte recite ac-quista successo. A Napoli Verdi critica «l’in-degno modo di procedere», qui il lavoro nonfu mai facile, per i pettegolezzi, gli assilli del-la censura, i problemi contrattuali:

I grandi successi sono difficili a Napoli, esoprattutto per me.

Propone tuttavia a Vincenzo Flaùto, impre-sario del San Carlo, un’altra opera, per unarappresentazione entro la primavera pros-sima:

Ora bisogna pensare seriamente al librettodell’Opera che anderà in scena il giornodopo Pasqua. […] Pel soggetto suggerite aCammarano Le Roi s’amuse di Victor Hu-go. Bel dramma con posizioni stupende, edin cui avvi due parti magnifiche per laFrezzolini e De Bassini.38

11885500Ha in mente molti progetti per Ricordi e perLa Fenice, riceve proposte per soggettishakespeariani come La Tempesta e Amle-to, meditando anche su un Re Lear. ConPiave lavora a Stiffelio (dalla commediafrancese di Emile Souvestre e Bourgeois),che pur dopo pesanti modifiche impostedalla censura, viene rappresentata al Tea-tro Grande di Trieste, con scarsi esiti. An-drà in scena a Firenze, Roma e Napoli colnuovo titolo di Guglielmo Wellingrode. So-no anni di frenetica attività, che a Verdi nonrisparmiano stress e problemi di salute(«Oh se potessi non lavorare!»39). Estrema-mente prolifico, fa della rapidità di scritturaun suo punto di forza:

Per scriver bene occorre poter scrivere ra-pidamente, quasi d’un fiato, riservandosipoi di accomodare, vestire, ripulire, l’ab-bozzo generale; senza di che si corre il ri-schio di produrre un’opera a lunghi inter-

valli con musica a mosaico, priva di stile edi carattere!

Una modalità di lavoro che continuerà aconfermare, come ricorderà la Strepponi:

Egli non potrebbe comporre le sue Opere apezzi e bocconi, con pause in mezzo. Masti-ca ben bene il soggetto prima di dare manoalla musica. Rigoletto, Trovatore, Traviataetc. furono scritte in poco tempo, tutte d’unfiato, sotto la sferza di un’attività febbrile.40

In aprile stipula un contratto con la Feniceper una nuova opera, ma senza una deci-sione sul soggetto. L’interesse di Verdi siconcentra definitivamente su Le Roi s’a-muse di Hugo, lavoro già noto dal 1844, lacui trasposizione librettistica passa daCammarano a Piave, sul quale piovono lemolte insistenze del compositore, che ini-zia a svilupparne la musica:

Tentate! Il soggetto è grande, immenso, edavvi un carattere che è una delle più gran-di creazioni che vanti il teatro di tutti i pae-si e di tutte le epoche. Il soggetto è Le Rois’amuse, ed il carattere di cui ti parlo sareb-be Tribolet.41

Oh Le Roi s’amuse è il più grande soggettoe forse il più gran dramma dei tempi mo-derni. Tribolet è creazione degna di Shake-speare!! Altro che Ernani!! È soggetto chenon può mancare. Tu sai che 6 anni faquando Mocenigo mi suggerì Ernani, ioesclamai: «sì, per Dio… che non sbaglia».Ora riandando diversi sogetti quando mipassò per la mente Le Roi fu come un lam-po, un’ispirazione e dissi l’istessa cosa…«sì, per Dio ciò non sbaglia».42

Carico di entusiasmo, Verdi fissa già la tin-ta e i caratteri principali dell’opera:

In quanto al titolo quando non si possa te-nere Le Roi che sarebbe bello… il titolo de-ve essere necessariamente La maledizionedi Vallier, ossia per essere più corto La Ma-ledizione. Tutto il soggetto è in quella male-dizione che diventa anche morale. Un infe-lice padre che piange l’onore tolto alla sua

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figlia, deriso da un buffone di corte che ilpadre maledice, e questa maledizione co-glie in una maniera spaventosa il buffone,mi sembra morale e grande al sommogrande.43

Piave cura le relazioni con la censura au-striaca a Venezia, inaspritasi dopo i motidel 1848, opponendosi fermamente all’alle-stimento:

Sua Eccellenza il Signor Governatore Mili-tare Cavalier de Gorzkowski […] deplorache il poeta Piave ed il celebre Maestro Ver-di non abbiano saputo scegliere altro cam-po per far emergere i loro talenti che quellodi una ributtante immoralità ed oscena tri-vialità qual è l’argomento del libretto intito-lato La Maledizione, per la di cui produzio-ne, sulle scene della Fenice, codesta Presi-denza ebbe a presentarlo. La prelodata Ec-cellenza sua ha quindi trovato di vietarneassolutamente la rappresentazione, e vuoleche in pari tempo io renda avvertita code-sta Presidenza di astenersi da ogni ulterio-re insistenza in proposito.

La presidenza della Fenice non aveva delresto esposto posizioni incoraggianti:

Malgrado tutti gli sforzi della Presidenza edel Poeta, l’argomento viene assolutamenterifiutato, con proibizione anco di proporviqualsiasi ammenda. Piave spera che, sosti-tuendo al Re di Francia un feudatario con-temporaneo e togliendovi qualch’una dellesconcezze di cui infatti è zeppo, possa esse-re riproposta quasi per intiero la tela. Ma laPresidenza, dopo i fatti tentativi, non sa lu-singarsi di riuscita.

Verdi è abbattuto, proponendo una ripresadi Stiffelio, con alcune modifiche:

Io musicai una buona parte del dramma emi occupava colla massima assiduità ondeterminarlo all’epoca prefissa. Il decreto chelo rifiuta mi mette alla disperazione, perchéora è troppo tardi per scegliere altro libret-to che mi sarebbe impossibile, affatto im-possibile di musicare per questo Inverno.44

A Piave non rimane che fare alcune modifi-che, trasformando il soggetto nel nuovo ti-tolo Il Duca di Vendome, approvato dallacensura, ma non da Verdi:

Ridotto in questo modo manca di carattere,d’importanza, ed infine i punti di scena so-no divenuti freddissimi. […] Il Duca diven-ta un carattere nullo e il Duca deve essereassolutamente un libertino, senza di ciònon si può giustificare il timore di Tribolet-to che sua figlia sorta dal suo nascondiglio,senza di ciò impossibile questo Dramma.[…] Non capisco perché siasi tolto il sacco:cosa importava del sacco alla polizia? Te-mono dell’effetto? Ma mi si permetta dire,perché ne vogliono sapere in questo più dime? Chi può fare da Maestro? Chi può direquesto farà effetto, e quello no? Una diffi-coltà di questo genere c’era pel corno d’Er-nani: ebbene chi ha riso al suono di quelcorno? […] Si è evitato di fare Tribolettobrutto e gobbo!! Per qual motivo? Un gobboche canta dirà taluno! E perché no?… Faràeffetto?… non lo so, ma se non lo so io, nonlo sa, ripeto, neppure chi ha proposto que-sta modificazione. Io trovo appunto bellis-simo rappresentare questo personaggioesternamente defforme e ridicolo, ed inter-namente appassionato e pieno d’amore.Scelsi appunto tale sogetto per tutte questequalità e questi tratti originali, se si tolgonoio non posso più farvi musica. Se mi si diràche le note possono stare egualmente suquesto dramma, io rispondo che non com-prendo queste ragioni, e dico francamenteche le mie note o belle o brutte che sienonon le scrivo a caso, e che procuro sempredi darle un carattere – In somma di undramma originale, potente, se ne è fattouna cosa comunissima, e fredda.45

La lunga esperienza mi ha confermato nel-le idee che io ebbi sempre riguardo all’effet-to teatrale, quantunque ne’ miei primordinon avessi il coraggio che di manifestarle inparte. (Per esempio dieci anni fa non avreiarrischiato di fare il Rigoletto).46

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Dopo un incontro a Busseto fra Verdi, Piavee il segretario della Presidenza della FeniceGuglielmo Brenna, si decidono quindi gliaggiustamenti necessari, in seguito fortuna-tamente approvati dalla censura.

11885511Muore la madre, mentre i rapporti col pa-dre si fanno difficili. In febbraio Verdi, cheha concluso la nuova opera, ma non lastrumentazione, è a Venezia per le prove(vieta all’interprete del Duca di cantare lacanzone «La donna è mobile» al di fuori delteatro, prima del debutto per preservarnel’effetto sul pubblico della prima). Rigolettodebutta l’11 marzo al Teatro La Fenice,inaugurando la cosiddetta «trilogia popola-re» (Rigoletto-Trovatore-Traviata) congrande successo, suscitando pareri moltodiversi nella critica:

Fummo come sopraffatti dalle novità: no-vità, o piuttosto stranezza, nel soggetto; no-vità nella musica, nello stile, nella stessaforma de’ pezzi, e non ce ne femmo un in-tero concetto. («Gazzetta ufficiale diVenezia»)

La stranezza del soggetto si prestava a unatal novità di situazioni, a una tal originalitàdrammatica da fare spavento a qualunquemaestro che non fosse Verdi. Ma Verdi neuscì vittorioso… Il suo Rigoletto non è perquesto paragonabile a nessuna opera.(«L’Arte»)

Il Rigoletto andò ogni sera crescendo nellegrazie delle persone, e alcune parziali bel-lezze, che a tutta prima non s’erano avver-tite, furono nelle susseguenti rappresenta-zioni notate. Mai l’estro di Verdi non fu piùfelice, né più feconda la vena. Lo spartito ècondotto con grande amore; è tutto sparsodi leggiadri e cari pensieri; cantan le voci ecanta l’orchestra. («Gazzetta ufficiale di Ve-nezia»)La sveltezza della forma, l’efficacia de’ rit-mi, la vivacità de’ movimenti e la chiarezzadelle melodie, a cui le opere di Verdi, devo-no tanta parte della popolarità cui godono,sono doti delle quali Rigoletto se ne potreb-

be quasi dir privo. Qui invece troviamo mo-notonia nel colorito, e non di rado, lungag-gini e languori, tanto nelle forme come ne’ritmi. […] E un altro difetto del Rigoletto (equesto capitalissimo) è la mancanza asso-luta e continua d’invenzione. («L’Italia mu-sicale»)

[Musica] puerile e ridicola, piena di volga-rità e di eccentricità, e povera d’idee.(«Atheneum», Londra)

Le imitazioni e i plagi da altri compositorisono frequenti nel Rigoletto, mentre non viè di accurato né un finale, né un pezzo d’in-sieme. Nel cercare la semplicità il Verdi ècaduto nella frivolità. In altre opere ha so-vente nascosto, con un certo successo, lapovertà dell’idea con pomposo sfoggio d’i-strumenti, ma ora ha dimostrato di averepoche idee che possano dirsi originali… Ri-goletto è l’opera più debole del signor Ver-di, la più sfornita d’ispirazione, la più nudae destituita d’ogni contributo. («Times»,Londra)

È voce che Rossini, dopo aver udito la pri-ma volta Rigoletto, nell’uscire di teatro,esclamasse: «Questa è la più bella opera diVerdi». […] Nel Rigoletto, abbondano i trat-ti sublimi, le melodie squisite, la verità del-la passione e la condotta drammatica. («Ri-vista contemporanea»).

Quattordici le recite a Venezia; l’opera faràil giro dei teatri italiani ed esteri in Austria,Germania, Ungheria, Boemia, e in Francia,dove dopo gli iniziali divieti di Hugo verràreplicata un centinaio di volte in un anno.Purtroppo le censure degli altri stati italianiporranno limiti alle messe in scena, impo-nendo cambiamenti nella trama e nel tito-lo, sostituito con Viscardello nel Granduca-to di Toscana, nel Ducato di Mantova e nel-lo Stato Pontificio (che si oppone ad «avve-lenare il pubblico con tanta sozzura», «la-voro di argomento immorale, di derisione escorno per i Principi, rappresentandovisiun Principe carico di vizi»), Lionello nelRegno delle Due Sicilie, Clara di Perth aNapoli, e scatenando le inevitabili ire di

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Verdi:

Questi impresarj non hanno ancora capitoche quando le opere non si possono darenella loro integrità, come sono state ideatedall’autore è meglio non darle: non sannoche la trasposizione d’un pezzo, d’una sce-na è quasi sempre la causa del non succes-so d’un opera. Immaginati quando si trattadi cambiar argomento!47

Ho ideato Rigoletto quasi senz’arie senza fi-nali, con una filza interminabile di Duettiperché così era convinto. Se qualcuno sog-giunge, ma qui non si poteva, si doveva fa-re questo, là quello etc… io rispondo: saràbenissimo ma io non ho saputo far me-glio.48

Rigoletto rimane un punto di riferimentoper lo stesso Verdi:

A me pare che il miglior soggetto in quantoa effetto che io abbia finora posto in musica(non intendo parlare affatto sul merito let-terario e poetico) sia Rigoletto. Vi sono po-sizioni potentissime, varietà, brio, patetico:tutte le peripezie nascono dal personaggioleggero, libertino del Duca, da questo i ti-mori di Rigoletto, la passione di Gilda ecc.ecc., che formano molti punti drammaticieccellenti, e fra gli altri la scena del quartet-to, che in quanto ad effetto sarà sempre unadelle migliori che vanti il nostro teatro.49

Io ho la debolezza di credere, per esempio,che il Rigoletto sia uno dei più bei libretti,salvo i versi, che vi sono.50

Il Rigoletto avrà vita più lunga d’Ernani. Sobene che tutti i barbassori, i dottori in mu-sica che dieci anni [fa] fuggivano arrabiatial solo nome d’Ernani lo troveranno mi-gliore perché ha otto anni di più di suo fra-tello, ma Rigoletto è opera un po’ più rivo-luzionaria, quindi più giovane, e più nuovae come forma e come stile.51

Intanto vanno e vengono ancora i progettiper un Re Lear, mai realizzato, nonostantele trattative con i librettisti Salvatore Cam-

marano e Antonio Somma. Insofferente peri pettegolezzi dei bussetani, riparte per Pa-rigi. Trasferisce la sua residenza nella peri-ferica tenuta di Sant’Agata, dove tuttavia ri-siederà stabilmente solo dal 1857 dopo ifrequenti viaggi in Francia:

Io che darei tutto per un po’ di pace e chefaccio di tutto per tenerla, non posso rie-scirvi: ho un bel girare di paese in paese,dalle città rumorose alle campagne quasidisabitate.52

Il clima bussetano non gli fu mai gradito:

Un paese che ha il mal vezzo d’intricarsispesso degli affari altrui, e disapprovaretutto quello che non è conforme alle sueidee.

Era ritenuto un «prodotto del posto», nono-stante i passati scontri:53

Molti parlando di me van sussurrando unafrase non so se più ridicola od indegna…:L’abbiam fatto noi! Parole che mi sono bal-zate all’orecchio. […] Ripeto che ciò è ridi-colo e indegno. Ridicolo perché io posso ri-spondere: “Perché non fate gli altri?”

Inoltre rimarrà oggetto di pettegolezzo perla convivenza con la Strepponi:

In casa mia vive una signora libera, indi-pendente, amante come me della vita soli-taria, con una fortuna che la mette al co-perto da ogni bisogno. Né io né Lei dobbia-mo a chicchessia conto delle nostre azioni;ma d’altronde chi sa quali rapporti esistanotra noi? Quali gli affari? Quali i legami?Quali diritti che io ho su di Lei, ed Ella su dime? Chi sa s’Ella è o non è mia moglie? […[Chi sa se ciò sia bene o male? Perchè nonpotrebbe anche essere un bene? E fosse an-che un male chi ha diritto di scagliarci l’a-natema? Bensì io dirò che a Lei, in mia ca-sa, si deve pari anzi maggior rispetto chenon si deve a me, e che a nessuno è per-messo mancarvi; che infine Ella ne ha tuttoil diritto, e pel suo contegno, e pel suo spiri-to, e pei riguardi speciali e a cui non manca

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verso gli altri.54

11885522Stipula un contratto con l’Opéra di Parigi,sperando in un Re Lear, ma Scribe e Du-veyrier gli propongono un libretto in realtàgià scritto per il Duca d’Alba di Donizetti.55

La scelta cade comunque su un soggettoitaliano, I vespri siciliani.

11885533A Parigi assiste alla Signora dalle Camelie,dramma teatrale di A. Dumas figlio, chesarà fonte di Traviata. A Rigoletto seguonoinfatti il Trovatore, acclamato trionfalmen-te al Teatro Apollo di Roma, e Traviata, an-cora alla Fenice, inizialmente un insucces-so, ma applaudita l’anno seguente al teatroveneziano di S. Benedetto:

La Traviata, ieri sera, fiasco. La colpa è miao dei cantanti?… Il tempo giudicherà.56

È un soggetto dell’epoca. Un altro forse nonl’avrebbe fatto pei costumi, pei tempi e permille altri goffi scrupoli, io lo faccio con tut-to il piacere. Tutti gridarono quando io pro-posi un gobbo da mettere in scena. Ebbene,io era felice di scrivere il Rigoletto.

Molti saranno i soggiorni nella capitalefrancese. Fino al 1857 vi rimarrà per I ve-spri siciliani, recandosi in Italia solo per ilNatale del 1855 e nella primavera 1856.

11885555Il conte Mocenigo assegna a Verdi una nuo-va opera per La Fenice. In occasione dell’e-sposizione universale, I vespri sicilianivanno in scena all’Opéra di Parigi congrandi entusiasmi, e in seguito al TeatroDucale di Parma, mutatone il titolo in Gio-vanna da Guzman. Verdi riesce ad adattar-si alle esigenze francesi, nonostante alcunesue rimostranze:

Due cose mancheranno sempre all’Opéra:il ritmo e l’entusiasmo. […] ma la colpa èanche un po’ di voi altri Francesi, che met-tete dei ceppi ai piedi agli artisti col vostrobon gout… comme il faut etc, etc. Lasciate

alle arti libertà completa, e tollerate difettinelle cose d’ispirazione. Se spaventate l’uo-mo di genio con la critica compassata emeschina Egli non si abbandonerà mai, egli toglierete il naturale e l’entusiasmo.57

L’autorità del compositore e il rispetto deltesto originale sono fondamentali:

È la strada che condusse al barocco e al fal-so l’arte musicale alla fine del secolo passa-to e nei primi anni di questo, quando i can-tanti si permettevano creare (come diconoancora i francesi) le loro parti e farvi inconseguenza ogni sorta di pasticci e contro-sensi. No: io voglio un solo creatore, em’accontento che si eseguisca semplice-mente ed esattamente quello ch’è scritto; ilmale sta che non s’eseguisce mai quelloch’è scritto.

Io non ammetto né ai Cantanti né ai Diret-tori la facoltà di creare, che come dissi, è unprincipio che conduce all’abisso.

Fu sempre attento alla difesa del dirittod’autore, richiedendo compensi per ogniforma di utilizzo delle proprie musiche, pe-nalità per i tagli, scegliendo in prima perso-na in quali teatri si poteva o non si potevarappresentare una sua opera, stipulandocon accuratezza i contratti:

Cosa divento io allora? Un operajo, un gior-naliero che porta la sua merce alla Casa, eche la Casa sfrutta come le pare e piace! –Non è quello che voglio io […] Se avessi vo-luto fare il Mercante, nissuno m’avrebbeimpedito di scrivere dopo la Traviata un’o-pera all’anno, e formarmi una fortuna trevolte maggiore di quella che ho! Io aveva al-tri intendimenti d’arte.58

Io ho il diritto che le mie opere, come dacontratti, vengano eseguite come le hoscritte.59

Stabilisce così una nuova autonomia delcompositore e nuovi rapporti con teatri ededitori, contestando la mancanza di ade-guate leggi o trattati fra stati e premendo

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sul ducato di Parma affinché stipuli accordiinternazionali per la tutela dei diritti d’au-tore: in Spagna si copiavano le partitureprestate dagli editori, in Inghilterra si ri-schiava di essere eseguiti gratis. Nel 1882contribuirà insieme ad altri autori alla na-scita della Società Italiana di Autori ed Edi-tori (SIAE) a Milano.

11885566Dopo iniziali incertezze («Non so dopo l’o-pera di Parigi [I vespri siciliani] quando miverrà voglia di scrivere una nota»), comin-ciano le trattative col presidente della Feni-ce Giobatta Tornielli per la nuova opera:sarà Simon Boccanegra, su libretto di Fran-cesco Maria Piave (e qualche consiglio diSomma) da un cupo dramma storico diGarcia Gutierrez. A Venezia revisiona Stif-felio e inizia quindi a comporre Simon Boc-canegra. La censura austriaca preme percontrollare i testi, ma Verdi ribatte:

Nel libretto non si porrà né un concetto néuna parola cambiata. Cosa importa se perora sia in prosa o in versi? E come tu hai os-servato benissimo, questo Simone ha qual-che cosa di originale. Così bisogna che il ta-glio del libretto, dei pezzi, ecc. ecc. sia piùoriginale che si può. Ciò non può farsi senoi non siamo insieme.60

11885577Il 12 marzo al Teatro La Fenice Simon Boc-canegra va in scena per la stagione di Car-nevale, prima versione dell’opera. Non èun successo, lentamente verrà abbandona-ta dai teatri:

Ho fatto a Venezia un fiasco quasi altrettan-to grande di quello della Traviata. Credevodi aver fatto qualcosa di possibile, ma pareche mi sia ingannato.61

Diretto da Angelo Mariani, a Rimini Aroldo(rifacimento di Stiffelio per problemi dicensura) non ottiene successo. Verdi con-duce una vita abbastanza isolata a Sant’A-gata (gli amici l’avevano soprannominato«l’orso di Busseto»), conservando rapportisolo con Barezzi e rifiutando di presiederela Società Filarmonica di Busseto:

Quale male avvi se io vivo isolato? Se iocredo bene di non far visite a chi porta tito-li? Se io non prendo parte alle feste, allegioie altrui? Se io amministro i miei fondiperché mi piace e mi diverte?62

A Sant’Agata fissa la nuova dimora per ilpadre Carlo, che curerà le questioni ammi-nistrative della proprietà, segue con moltadedizione le attività contadine della propriatenuta («Il suo amore per la campagna è di-ventato mania, raptus, furore», scriverà lamoglie):

Da mattina a sera sono sempre fra campi,boschi, in mezzo a paesani, a bestie.

Si sveglia alle quattro e mezzo, gestisce lacorrispondenza e compone, dopo pranzo sioccupa della tenuta:

Il Maestro compone ordinariamente nellasua camera da letto con artistica profusio-ne. […] Alto di persona, snello, vigoroso,dotato di una ferrea salute, come di una fer-rea energia di carattere, egli promette un’e-terna virilità.63

È una personalità molto riservata: ritroso,schivo, modesto, sensibile e generoso, spi-rito indipendente e libero ma che sapevafar valere le proprie ragioni. Amava le risa-te fra amici ed era appassionato di biliardo.Così lo ritrasse Hanslick:

Qualcosa d’infinitamente mite, modesto earistocratico nella stessa modestia, rilucenella figura di quest’uomo, che la fama nonha reso vanitoso, gli onori non arrogante,l’età non bisbetico.

E Rossini aggiunse:Un compositore col casco, ha carattere me-lanconicamente serio, ha colorito fosco emesto, che scaturisce abbondante e sponta-neo dall’indole sua, ed è apprezzabilissimoappunto per questo, ed io lo stimo assaissi-mo.

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11885599Alla Scala viene ripreso Simon Boccanegra,ma anche qui è un fiasco colossale. L’operarisveglia tuttavia gli animi patriottici nelloslogan «Viva VERDI», acronimo di VittorioEmanuele Re D’Italia. Dopo le pressioni e icambiamenti voluti dalle censure preunita-rie del 1858, Una vendetta in dominio vienemutata in Un ballo in maschera (libretto diAntonio Somma) debuttando al TeatroApollo di Roma invece che al San Carlo diNapoli. Alla prima le grida di «Viva VERDI» simescolano agli applausi. Non si trattava so-lo di identificare ideali risorgimentali nelleopere di Verdi, ma anche valori morali sucui si stava fondando la coscienza naziona-le della società italiana di allora. Verdi esul-ta per Garibaldi, i moti rivoluzionari italia-ni trovano la sua adesione, acquista armiper i dimostranti della Seconda Guerrad’Indipendenza, raccoglie fondi per le fa-miglie dei caduti. L’armistizio di Villafran-ca trova la sua disapprovazione; rifiuta laproposta di musicare un Canto per Napo-leone, che intanto appoggia gli italiani:

Spero si presenteranno, e presto, altre cir-costanze per onorare, come meglio saprò,l’Uomo che ha promesso liberar l’Italia daogni straniero.

A Busseto viene eletto rappresentante al-l’assemblea delle provincie parmensi e sireca come delegato dal Re a Torino; incon-tra Cavour. Dopo undici anni di conviven-za si sposa con Giuseppina Strepponi nellapiccola chiesa valdostana di Collonges-sous-Salève64 con grande riservatezza (te-stimoni il campanaro e il cocchiere).

11886611Dopo le insistenze di Cavour, Verdi vienenominato membro della Camera dei Depu-tati nell’appena nato parlamento italiano,deputato a Borgo S. Donnino (Fidenza):

Se i miei scarsi talenti, i miei studi, l’arteche professo mi rendono poco atto a questasorta d’uffizi, valga almeno il grande amoreche ho portato e porto a questa nostra nobi-le ed infelice Italia.65

Trasferitosi a Torino, dopo la morte dellostatista frequenterà saltuariamente le sedu-te parlamentari, fino a dimettersi dalla ca-rica nel 1865:

La mia vita pubblica non esiste. Son depu-tato, è vero, ma fu per sbaglio. […] Non ave-vo mai visto il Conte di Cavour ed ero an-siosissimo di conoscerlo. […] Egli m’ascol-tava attentamente e quando gli descrissi lamia inettitudine ad essere deputato […] lofeci in modo così bizzarro ch’egli diede inun gran scoppio di risa. Bene, dissi fra me,son riuscito. Allora egli cominciò a ribatte-re una per una le mie ragioni, e ne aggiun-se alcune che mi fecero un certo senso. Iosoggiunsi: ebbene Signor Conte, accetto;ma alla condizione che dopo qualche meseio darò la mia dimissione. Sia, rispose, mame ne farete prima cenno […] Più volte vol-li dare le dimissioni […] ma ora per una co-sa ora per un’altra io sono ancora deputa-to.66

11886622All’esposizione universale di Londra parte-cipa con l’Inno delle nazioni per soprano,coro e orchestra, su testo di Boito, eseguitoal Her Majesty’s Theatre. È l’occasione delprimo incontro con il giovane ventenne let-terato scapigliato. Inizia un periodo di pro-duzioni estere: in Russia visita Mosca e SanPietroburgo, dove dopo l’enorme successoriscosso con Il Trovatore al Teatro Impe-riale, è La forza del destino a debuttarvicon altrettanti consensi, ma alla quarta re-cita viene contestata dai sostenitori di Mi-chail Glinka. Verdi viene insignito dell’Or-dine Imperiale e Reale di S. Stanislao.

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11886633Con la Strepponi visita la Spagna, in occa-sione delle recite a Madrid della Forza deldestino, recandosi all’Escurial, a Siviglia,Cordoba, Cadice, Granada. L’opera va inscena a Roma con il titolo Don Alvaro. AParigi spera di diventare direttore delTheatre-Italien.

11886644Dopo la morte di Meyerbeer viene nomina-to membro dell’Academie des Beaux Arts.

11886655Nella versione francese Macbeth viene rap-presentato al Theatre Lyrique, ma è un fia-sco. Da novembre, fino a marzo dell’annoventuro è a Parigi per la stesura del librettodi Don Carlos.

11886677È ancora all’Opéra per la produzione diDon Carlos, accolto senza grossi consensi.Ma continua a diffidare dell’ambiente fran-cese, iniziando una serie di contrasti conl’orchestra del teatro parigino:

Io credo all’ispirazione: voi altri alla fattu-ra; ammetto il vostro criterio per discutere:ma io voglio l’entusiasmo che a voi mancaper sentire e giudicare. Voglio l’Arte in qua-lunque siasi manifestazione, non l’amuse-ment, l’artifizio ed il sistema che voi prefe-rite.67

Ottima cosa sarebbe il Teatro di repertorio,ma non lo credo realizzabile. Gli esempidell’Opéra e della Germania hanno per mepochissimo valore perché in tutti questiteatri gli spettacoli sono deplorabili. Al-l’Opéra splendida la mise en scène, supe-riore per esattezza di costume e di buon gu-sto a tutti i Teatri, ma la parte musicale pes-sima. Cantanti sempre mediocrissimi, or-chestra e coro svogliati e senza disciplina.Io ho sentito a quel teatro spettacoli a centi-naia, e mai e poi mai una buona esecuzio-ne musicale ma in una città di 3.000.000d’abitanti vi sono sempre duemila personeper riempire la sala anche con cattivo spet-tacolo.68

Diretto da Angelo Mariani, a Bologna DonCarlo nella versione tradotta in italiano, ri-scuote invece vivo successo. Verdi inizia arecarsi periodicamente a Genova in villeg-giatura presso un appartamento apposita-mente acquistato a palazzo Sauli, che fre-quenterà ripetutamente d’inverno. Muoreil padre Carlo. Adotta col nome di Maria lafiglia di un suo cugino paterno, Filomena,di 7 anni, che studierà in un collegio torine-se e sposerà a 18 anni il notaio bussetanoAlberto Carrara: sarà lei l’erede universaledel Maestro, garantendo l’attuale discen-denza. Con i suoi 5 figli costituiva la fami-glia di Verdi.

11886688Restituisce la croce di commendatore alMinistro dell’Istruzione Broglio, che nonl’aveva menzionato in una lettera a Rossinisulla riforma dei Conservatori:

Benché ignorante in musica (come Ellastessa lo dice e lo crede) sentenzia che daquaranta anni non si è più fatta un’opera inItalia. Perché allora si manda a me questadecorazione? Vi è certamente un equivoconell’indirizzo e ve la rimando.

Alla morte di Rossini Verdi progetta unaMessa da Requiem composta dai «più di-stinti maestri italiani» dell’epoca69 per l’an-niversario della scomparsa. Viene realizza-ta ma non eseguita, in mancanza di fondi:

Un gran nome è scomparso dal mondo! Erala riputazione la più estesa, la più popolaredell’epoca nostra, ed era gloria italiana!70

Per l’occasione scrive un Libera me, che fi-nirà invece nella Messa da Requiem com-posta in memoria di Alessandro Manzoninel 1874. Verdi lo incontra attraverso lamediazione di Clarina Maffei:

Lo stimo e venero quanto si può stimare evenerare su questa terra e come uomo e co-me altissimo e vero onore di questa nostrasempre travagliata patria.71

Cosa potrei dirvi del Manzoni? Come spie-garvi la sensazione dolcissima, indefinibi-

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le, nuova, prodotta in me, alla presenza diquel Santo, come voi lo chiamate? Io me glisarei posto in ginocchio dinanzi, se si po-tessero adorare gli uomini.72

A Busseto si inaugura il nuovo teatro, cheonora Verdi con un busto appositamenterealizzato. Ma Verdi non presenzia alla ce-rimonia, continuando a diffidare dei busse-tani, con i quali non manteneva rapporti dadodici anni.73

11886699Alla Scala va in scena con successo unanuova versione della Forza del destino. Inquesta circostanza, attraverso la mediazio-ne della contessa Maffei, Verdi incontra perla prima volta il direttore d’orchestra Fran-co Faccio, dimostrandogli subito stima.Non presenzia invece alle rappresentazionidell’opera a Napoli, a causa del rifiuto diadottare per l’intonazione il diapason inuso in Francia. L’unificazione del diapasona livello europeo rimarrà una sua costantepreoccupazione.74

11887711Gli viene proposta la direzione del Conser-vatorio di Napoli, ma rifiuta l’invito, non ri-tenendo di avere la possibilità di potersi de-dicare con costanza a un tale impegno. Nonè affatto indifferente ai problemi allora sol-levati sull’istruzione musicale, e viene chia-mato – invano – a presiedere un’appositacommissione ministeriale:

Ho ragione di credere esservi nei nostriistituti musicali studj che dovrebbero esse-re severissimi e sono mal fatti, e che si per-de un tempo, che riesce alla fin fatale, adinsegnare quello che non si può insegnare,a ridurre l’arte a sistema, e collo scopo(scopo che conoscono e sentono meglio gliuomini che creano) di cacciare mali cherealmente esistono, ma creandone dei nuo-vi che sono peggiori e più perniciosi. È unacosa strana la lotta che esiste fra gli uominicosì detti di scienza, e quelli che fanno (lot-ta senza frutto per l’indifferenza dei secon-di, e per la petulante ostinazione dei primi);ed è ancora più strano vedere che tutte le

nostre grandi sommità del secolo attualenon sono quasi mai figlie di Conservatorj!.

Diede suggerimenti sulla formazione musi-cale (e offrì borse di studio a giovani busse-tani meritevoli), specie per futuri composi-tori o cantanti, spesso sottolineando gliaspetti autodidattici dei propri studi, negan-do di avere grandi conoscenze:

In casa mia non vi è quasi musica; non so-no mai andato in una Biblioteca musicale,mai da un Editore per esaminare un pezzo.Sto a giorno d’alcune delle migliori operecontemporanee, non mai studiandole, masentendole qualche volta in teatro. […] So-no fra i maestri passati e presenti, il menoerudito di tutti. Intendiamoci bene, e sem-pre per non fare blague: dico erudizione, enon sapere musicale. Da questo lato menti-rei se dicessi che nella mia gioventù nonabbia fatto lunghi e severi studi.

Prediligendo la letteratura musicale italia-na del ’700, specialmente vocale, Verdi eracomunque ben fornito di partiture. Nellasua biblioteca di Sant’Agata conservavamusiche di Palestrina, Carissimi, Corelli,Marcello, Porpora, Bach, Händel, Haydn,Mozart, Beethoven, Weber, Mendelssohn,Schumann, Berlioz, Liszt, Brahms, Wa-gner, spesso acquistate a Parigi. Ma perVerdi la formazione del giovane composi-tore rimaneva saldamente ancorata al con-trappunto:

Avrei detto ai giovani alunni: Esercitatevinella fuga costantemente, tenacemente finoalla sazietà, e fino a che la mano sia dive-nuta franca e forte a piegar la nota al volervostro. Imparerete così a comporre con si-curezza, a disporre bene le parti ed a mo-dulare senz’affettazione. Studiate Palestri-na e pochi altri suoi coetanei. Saltate dopo aMarcello e fermate specialmente la vostraattenzione sui recitativi. Assistete a pocherappresentazioni delle Opere moderne,senza lasciarvi affascinare né dalle moltebellezze armoniche ed istromentali né dal-l’accordo di settima diminuita, scoglio e ri-fugio di tutti noi che non sappiamo com-

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porre quattro battute senza una mezza doz-zina di queste settime. Fatti questi studi,uniti a larga coltura letteraria, direi infineai giovani: Ora mettete una mano sul cuo-re; scrivete, e (ammessa l’organizzazioneartistica) sarete compositori. In ogni modonon aumenterete la turba degli imitatori edegli ammalati dell’epoca nostra, che cer-cano, cercano e (facendo talvolta bene) nontrovano mai. […] Le licenze e gli errori dicontrappunto si possono ammettere e sonobelli talvolta in teatro: in Conservatorio, no.Torniamo all’antico, sarà un progresso.

Mi si potrà opporre: “Chi insegnerà al gio-vine l’istromentale? Chi la composizioneideale?” La sua testa ed il suo cuore. Se neavrà. Pel Cantante vorrei: estesa conoscen-za della musica; esercizj sull’emissionedella voce; studj lunghissimi di solfeggiocome in passato; esercizi di voce e parolacon pronunzia chiara e perfetta. Poi, senzache un Maestro di perfezionamento gli in-segnasse le affettazioni del canto, vorreiche il giovine forte in musica e colla golaesercitata e pieghevole cantasse guidato so-lo dal proprio sentimento. Non sarebbe uncanto di scuola, ma di ispirazione. L’artistasarebbe un’individualità; sarebbe lui, o me-glio ancora, sarebbe nel melodramma ilpersonaggio che dovrebbe rappresentare. Èinutile il dire che questi studj musicali de-vono essere uniti a molta cultura letteraria.

Alla prima italiana di Lohengrin di Wa-gner, Verdi segue la nuova opera con parti-tura alla mano:

Wagner non è una bestia feroce come vo-gliono i puristi, né un profeta come lo vo-gliono i suoi apostoli. È un uomo di moltoingegno che si piace delle vie scabrose, per-ché non sa trovare le facili e più diritte. Nonbisogna che i giovani si illudano, vi sonomolti e molti che fanno credere di aver del-le ali, perché veramente non hanno gambeda reggersi in piedi.

Presto verrà posto in contrasto col coetaneocollega tedesco, al quale non negherà diver-si pregi («Un nome che lascia un’impronta

potentissima nella storia dell’arte»):

Anch’io ho tentato la fusione della musicacon il dramma e precisamente nel Mac-beth, ma non potrei scrivere da solo i li-bretti come fa Wagner. Wagner supera tut-ti i compositori nella varietà dei colori del-la strumentazione. All’inizio egli combattécon successo il realismo, più tardi però siallontanò con esagerazione dalla poesiaideale e incorse nel medesimo errore che siera inizialmente fatto un dovere di correg-gere. La monotonia, dunque, che egli com-batté vittoriosamente, minaccia da qualchetempo di dominarlo.75

L’entusiasmo dei giovani intellettuali ita-liani come Boito per il wagnerismo e lamusica tedesca che iniziava a diffondersi inItalia, fece assumere loro una posizione dirifiuto verso i contemporanei italiani a cuiVerdi risponde:

Ho sempre amato e desiderato il progresso[…]. Anch’io voglio la musica dell’avvenire,vale a dire che credo ad una musica a veni-re, e se non l’ho saputa, come volevo, fare,la colpa non è mia. Se anch’io ho sporcatol’altare, come dice Boito, Egli lo netti, ed iosarò il primo a venire ad accendergli unmoccolo.

So anch’io che vi è una musica dell’avvenire,ma io presentemente penso e penserò cosìanche l’anno venturo che per fare una scarpaci vuole del corame e delle pelli!… Che ti pa-re di questo stupido paragone che vuol direche per fare un’opera bisogna aver in corpoprimieramente della musica?!… Dichiaroche io sono e sarò un ammiratore entusiastadegli avveniristi a una condizione che mi fac-ciano della musica!… qualunque ne sia il ge-nere, il sistema, ecc. ma la musica!… Basta,basta! Che non vorrei che parlandone troppomi si attaccasse il male.76

Dopo aver scartato Adriana Lecouvrer,Verdi si dedica ad Aida, commissionata daIsmail Pascià, viceré d’Egitto, in occasionedelle celebrazioni per l’apertura dello stret-to di Suez.77 Partecipa attivamente al sog-getto tracciato da Du Locle «stendendo da

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capo a fondo, scena per scena, frase per fra-se» in preparazione al libretto di AntonioGhislanzoni. Compone la musica in quattromesi, ma per il debutto a Il Cairo affida ladirezione a Giovanni Bottesini invece cheall’amico Angelo Mariani. Assente alla pri-ma, non rimane molto colpito dal successoclamoroso riscosso: la prima italiana – lavera prima per Verdi – sarà alla Scala nel1872, trionfalmente applaudita (chiaman-dolo in proscenio 32 volte) e riscuotendoancora grandi consensi all’Opéra di Pariginel 1880. Verdi ha perfezionato la propriaconcezione del timbro e dell’acustica tea-trale in relazione alla disposizione dell’or-chestra:

Di un’importanza ben maggiore di quel checomunemente si crede, per gli impasti de-gli strumenti, per la sonorità, per l’effetto.Questi piccoli perfezionamenti aprirannola strada ad altre innovazioni, che verran-no un giorno; e fra queste quella di toglieredal palcoscenico i palchetti degli spettatori,portando il sipario alla ribalta, l’altra: direndere l’orchestra invisibile. Quest’ideanon è mia, è di Wagner: è buonissima. Pareimpossibile che al giorno d’oggi si tolleri divedere il nostro meschino frack e le cravat-tine bianche miste ad un costume egizio,assiro, druidico, ecc.; e di vedere, inoltre, lamassa d’orchestra, che è parte del mondofittizio, quasi nel mezzo della platea fra ilmondo dei fischianti o dei plaudenti.78

Qualcuno avvertì influssi wagneriani in Ai-da, smentiti da Verdi («Bel risultato dopo 35anni di carriera finire come imitatore»79). Ildibattito sull’arte contemporanea, le in-comprensioni col direttore d’orchestra Ma-riani80 per motivi artistici e personali, cau-sati dalle voci di un’ipotetica relazione traVerdi e l’amica Teresa Stolz (ex-amante diMariani e interprete sia in Aida che nel Re-quiem) le conseguenti incertezze dellaStrepponi, segnano l’inizio e il seguito di unperiodo di silenzio operistico. In Franciaviene insignito della Legion d’onore.

11887733A Napoli per le recite di Don Carlo e Aida,

sospese le prove per imprevisti, compone ilQuartetto per archi in mi minore, eseguitoin forma privata all’albergo delle Crocelle aChiatamone.81 Verrà presentato pubblica-mente al Conservatorio di Milano e a Vien-na nel 1875. A Genova si trasferisce a Pa-lazzo Doria, a Milano fissa una residenzaall’Hotel Milan. La morte di Manzoni lo co-glie di sorpresa:

Ora tutto è finito! E con Lui finisce la piùpura, la più santa, la più alta delle glorienostre.

11887744La Messa da Requiem in memoria di Man-zoni viene eseguita a Milano nella chiesa diS. Marco, diretta dall’autore e successiva-mente portata in Europa a Parigi, Londra eVienna, uno dei suoi più grandi successi.Contrastanti le opinioni sulla sua religio-sità, anticlericale e forse prevalentementeateo, in questo opposto alla Strepponi, mol-to cattolica. La accompagnava a messa, manon entrava in chiesa. In seguito pare inve-ce che si fermasse in chiesa per meditare, enel 1892 verrà celebrata una messa di Na-tale in casa sua. Arricchitosi, viene nomi-nato senatore per censo, ma come tale nonsvolse attività politica:

I giornali scherzano atrocemente quandopossono parlare delle mie immense ric-chezze! Immense?!! E come possono esseretali? […] Quando io scrivevo molto, le ope-re si pagavano poco; adesso che si paganobene, non scrivo quasi più.82

11887777Viene invitato in Germania al Festival mu-sicale di Colonia, dove vengono eseguiti ilQuartetto e la Messa da Requiem, riceven-do in segno di stima una bacchetta d’avorioe argento e una corona d’argento e oro.

11887799A Milano dirige la Messa da Requiem in be-neficenza, per le vittime delle alluvioni.L’orchestra lo saluta con una serenata sottocasa. Non sembra intenzionato a ritornare alteatro, si sente vecchio e vuole lasciare il

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campo ai giovani. Inoltre diventerà pessimi-sta sul destino dei teatri in Italia:

La nostra musica a differenza della tedesca,che può vivere nelle sale con le Sinfonie,negli appartamenti coi Quartetti, la nostra,dico, ha il suo seggio principalmente nelteatro. Ora i teatri senza l’aiuto del Governonon possono durare. È un fatto che non sipuò negare: devono necessariamente chiu-dersi tutti ed è soltanto per eccezione sequalcuno trascina stentatamente la vita.. LaScala, la stessa Scala forse chiuderà.83

Oramai i teatri vanno così male che è inuti-le scrivere delle opere. […] Tutti i teatri sichiuderanno l’uno dopo l’altro. Tutti!84

Ma Ricordi cerca di riavvicinarlo ugual-mente all’opera provocandolo con il sog-getto di Otello: in novembre è pronto il li-bretto di Boito.85 In Verdi la predilezioneper Shakespeare si era ormai consolidata(«Preferisco Shakespeare a tutti i dramma-tici, senza eccettuarne i Greci86»). Leggevaanche Ariosto, amava pittura e scultura,frequentava esposizioni d’arte.

11888800Nel ritiro di Sant’Agata si dedica ad attivitàcontadine. Dai 350 ettari iniziali la tenutaera stata portata a mille:

Io sto qui respirando dell’aria finché voglio,ma non ho da amministrare altro che lemie vacche, i miei bovi, cavalli ecc. e facen-do il contadino, il muratore, il falegname, ilfachino se occorre… Quindi addio libri, ad-dio musica, mi pare di aver dimenticato edi non conoscere più le note.87

Scrive un Pater noster a cinque voci e un’A-ve Maria per soprano e archi, diretti allaScala da Franco Faccio l’anno seguente. Alsilenzio operistico di Verdi risponde Ricor-di, proponendogli la revisione di SimonBoccanegra, ormai uscito dal repertorio.L’atteggiamento di Verdi verso le proprieopere passate è critico, come egli dimostrariguardo al periodo di Attila:

Non crediate che io disdegni troppo i lavoridi quell’epoca. Certo che ora non li farei, névorrei farli in quel modo.88

Viene comunque preparata una nuova ver-sione del Boccanegra con prologo, su li-bretto di Boito, motivo per avvicinare mol-tissimo librettista e compositore per laprossima impresa di Otello, vista l’attivapartecipazione di Verdi al perfezionamentodel nuovo libretto.

11888811Segue la produzione delle sue terre e impe-gna generosamente i propri guadagni inopere benefiche iniziando la realizzazionedell’ospedale rurale di Villanova sull’Arda(Sant’Agata ne era frazione), interamente asue spese, inaugurato nel 1887. Si occuperàanche della bonifica dei territori intorno aBusseto, costruirà case coloniche per i con-tadini, lascerà larga parte della propria ere-dità a istituti per bisognosi e ai poveri diSant’Agata.89 Frequenta le terme di Tabia-no Bagni e Montecatini. Comincia rapida-mente la revisione della partitura di SimonBoccanegra, rappresentata alla Scala il congrande successo, diretta da Franco Faccio.Nella traduzione di Jacopo Caponi vienepubblicata in italiano la Vita aneddotica diG. Verdi di Arthur Pougin, già edita a pun-tate su Le Menestrel. Alla Scala viene inau-gurata una scultura di Verdi, ma il musici-sta non presenzia alla cerimonia.

11888844Nuova versione italiana di Don Carlo allaScala, portata da 5 a 4 atti. Giacomo Pucci-ni debutta come compositore dell’opera LeVilli; Boito lo presenta a Verdi, che lo invitaspesso a pranzo, e che forse ebbe modo diascoltare alcuni suoi lavori:

Ho sentito dir molto bene del musicistaPuccini. [...] Segue le tendenze moderne, edè naturale, ma si mantiene attaccato allamelodia che non è moderna né antica. Pareperò che predomini in lui l’elemento sinfo-nico! Niente di male. Soltanto bisogna an-dar cauti in questo. L’opera è l’opera: lasinfonia è la sinfonia, e non credo che in

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un’opera sia bello fare uno squarcio sinfo-nico. [...] Dico per dire...con la certezza d’a-ver detto cosa contraria alle tendenze mo-derne.90

Inizia con discontinuità la stesura di Otello,prima opera non commissionata, lavoran-doci fra periodi di interruzione:

L’Otello va, lentamente ma va! Lo finirò?Forse sì! Lo darò? La risposta è difficile an-che per me! Intanto tiriamo via ed Amen.91

11888877Richiamando da ogni parte del mondo cri-tici, compositori, editori, Otello va in scenatrionfalmente alla Scala, con un tale suc-cesso da soprannominare Milano «Otello-poli». Una folla acclama Verdi presso la suaresidenza milanese. Nell’orchestra ArturoToscanini suona come violoncellista. Hansvon Bülow esulta per la nuova opera, cosìcome Ferruccio Busoni:

L’Otello è il vertice più alto di quanto è sta-to finora raggiunto nella musica italianad’opera, e ciò sia detto non tanto a proposi-to dell’invenzione e del contenuto, quanto aproposito della forma e dell’indirizzo.

11888899A cinquant’anni dall’Oberto, sua primaopera, la carriera di Verdi viene festeggiatain una sorta di Giubileo, con gli auguri del-le più alte autorità, una raccolta di pensieriin suo onore dagli studenti delle Universitàitaliane, l’elogio di Carducci:

Giuseppe Verdi co’ primi palpiti dell’artegiovine presentì e annunziò la patria risor-gente. Oh canti indimenticabili e sacri a chinacque avanti il 1848! Giuseppe Verdi conla gloria della grande arte superstite ador-na ed esalta nel cospetto delle genti la pa-tria risorta. Gloria a lui, immortale, serenoe trionfante, come l’idea della patria e del-l’arte.92

Verdi è ormai un monumento vivente, co-me rimarca Antonio Fogazzaro:

L’anima stessa d’Italia, che splende nellabellezza delle cose come nell’opera deigrandi poeti e dei grandi artisti, che viveoscura in ogni colore, in ogni forma del no-stro paese come in ogni petto del nostro po-polo, ha oggi la sua voce nel nome di Giu-seppe Verdi. Quando questa voce ne sgorgae suona, ciascuno di noi si sente a muoveredentro la potente anima misteriosa dellapatria e sente che il canto esce in qualchemodo da lui stesso, da infiniti altri a luicongiunti, dalla cara terra che a tutti è ma-dre. Dimentichiamo in quel momento ilVerdi; e questa è la sua gloria.

Il libretto di Falstaff viene cominciato daBoito, ottenendo da subito l’approvazionedi Verdi., che ormai da molto tempo medi-tava su un’opera comica. La vicenda attin-ge ancora una volta a Shakespeare, ripren-dendo episodi dalle Allegre comari diWindsor e da Enrico IV. Per Verdi è un tra-guardo:

Voi nel tracciare Falstaff avete mai pensatoalla cifra enorme de’ miei anni! […] Chegioja! Poter dire al pubblico: Siamo qui an-cora! A Noi!93

Acquista un terreno alla periferia di Milanoper l’edificazione di una Casa di riposo permusicisti su progetto dell’architetto Camil-lo Boito, fratello di Arrigo.

11889922Dirige la preghiera dal Mosè di Rossini nelcentenario della nascita del compositorepesarese, ultima apparizione pubblica co-me direttore. Per il quarto centenario dellascoperta dell’America il sindaco di Genovagli chiede un’opera celebrativa, ma Verdipassa l’incarico all’amico giovane esor-diente Alberto Franchetti.94 «Eccellentemusicista» era per Verdi anche Alfredo Ca-talani, altro giovane compositore.

11889933Frequenta assiduamente le prove di Fal-staff, in scena alla Scala con grande succes-so, diretta da Edoardo Mascheroni. Car-ducci è entusiasta:

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La prima rappresentazione di Falstaff allaScala fu una cosa assolutamente meravi-gliosa. Il gran vecchio Verdi, quando andaia salutarlo, mi abbracciò e mi baciò.

A Roma, dopo essere stato da Re Umberto ericevuta la cittadinanza onoraria, viene an-cora applaudito alle rappresentazioni nellacapitale, sensibilmente commentate daHanslick:

Che svolta inaspettata, bella, significativa,quella del vegliardo che verso il terminedella sua vita si svincola dal tragico e con lasaggezza della sua felice vecchiaia fa posa-re lo sguardo sul lato solare e giocondo del-l’esistenza!

L’opera passa presto a Venezia, Trieste,Vienna, Berlino. Boito gli propone un sog-getto su Antonio e Cleopatra e uno su ReLear. Un balletto per l’edizione francese diOtello è la nota conclusiva della sua lungacarriera operistica, mentre l’anno seguentela rappresentazione all’Opéra segnerà in-sieme a Falstaff all’Opéra Comique l’ultimavisita a Parigi. Falstaff sarà molto ammira-to da Richard Strauss, che invierà a Verdi lapartitura della sua prima opera Guntram«in segno d’omaggio ed ammirazione». AParigi partecipa alla commemorazione diCharles Gounod.

11889977Si dedica allo studio della musica antica,già da tempo frequentata in quaderni diesercizi con madrigali a quattro, cinque esei voci, e scrive uno Stabat Mater per coroe orchestra, che andrà a completare i cosid-detti Quattro pezzi sacri, costituiti anche daun Te Deum per doppio coro e orchestra(1895), un’Ave Maria su una scala enigma-tica per coro a 4 parti (1889) e le Laudi allaVergine Maria per coro femminile (1886).Giuseppina Strepponi muore a Sant’Agata,nominato Verdi suo erede universale, malasciandogli un grande vuoto («Io sono so-lo! Triste, triste, triste!»). Si dedica all’edifi-cazione della Casa di riposo per musicisti a

Milano (che oggi porta il suo nome) allaquale assegnerà una parte della propriaconsistente eredità. Ormai abbandonata lacomposizione, segue le produzioni dellesue opere in Italia:

Non sono ammalato, ma sono troppo vec-chio!! Passar la vita senza poter far nulla! Èduro assai!

Io, senza essere malato, ho mille malanniaddosso. Le gambe mi portano a stento, enon cammino quasi più: la vista indebolita,e non posso leggere a lungo: di più sono an-che un po’ sordo. Insomma, millemalanni.95

Ma nel 1883 era stato più pessimista:

Gli anni cominciano proprio ad esseretroppi e penso…penso che la vita è la cosapiù stupida, e quello che è ancor peggioinutile. Cosa si fa? Cosa abbiamo fatto? Co-sa faremo? Nulla.96

11889988A Parigi vengono eseguiti i Pezzi sacri,mentre in Italia debuttano sotto la bacchet-ta di Arturo Toscanini, passando poi in In-ghilterra e Germania. Il giovane direttoreincontra Verdi per ricevere alcuni consiglisull’esecuzione. La salute peggiora e au-mentano i problemi di cuore.97

11990000Si sceglie di intitolargli il Conservatorio diMilano, ma Verdi non è d’accordo:

Conservatorio “Giuseppe Verdi” è una sto-nazione! Un Conservatorio ha attentato(non esagero) alla mia esistenza, ed io deb-bo sfuggirne fin la memoria. E se quelsant’uomo di mio suocero, sentita la sen-tenza dei Profeti del Conservatorio del Giu-gno 1832, m’avesse detto “Sento che la mu-sica non è affare per te: è inutile perdertempo e spender denari. Ritorna al tuo vil-laggio nativo, torna organista, lavora la ter-ra e muori in pace”.

Non mi hanno voluto da giovane, non mi

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avranno da vecchio.

Anche altri conservatori aspirano a que-st’onore, fra cui quello di Parma. Verdi ri-fiuta il Collare dell’Annunziata, che il reUmberto gli vuole offrire; l’imperatored’Austria Francesco Giuseppe gli conferi-sce un’onorificenza per meriti intellettuali.Trascorre il Natale nella sua suite milaneseall’Hotel Milan, insieme alla Stolz, Boito eRicordi. Viene terminata la Casa di riposoper musicisti. Ultimi suoi appunti sono al-cune note sulla preghiera della regina Mar-gherita per l’assassinio di Umberto I.

11990011All’Hotel Milan il 21 gennaio rimane emi-plegico e incosciente per un ictus cerebra-le. Si dispiega una mobilitazione generale:le autorità inviano telegrammi, una follaattende notizie sotto il suo appartamento,per non disturbare le sue ultime ore la stra-da viene cosparsa di paglia per attutire ognirumore e viene impedito il passaggio deiveicoli. Giuseppe Verdi muore alle 2.50 del27 gennaio, assistito da Maria Carrara, Te-resa Stolz, Giulio e Giuditta Ricordi, ArrigoBoito, Giuseppe Giacosa, l’avvocato Cam-panari, il proprietario dell’albergo e alcunimedici. Il 30 gennaio una folla numerosaassiste al trasferimento della salma al Ci-mitero monumentale di Milano. I funeralisono semplici secondo le sue volontà:

Ordino che i miei funerali sieno modestis-simi, e sieno fatti o allo spuntar del giorno,o all’Ave Maria di sera senza canti e suoni.Non voglio nessuna partecipazione dellamia morte colle solite formole.

Il giorno seguente Toscanini dirige allaScala un solenne concerto commemorati-vo. Il 27 febbraio le salme di Verdi e dellamoglie, seguite dalle autorità e da circa tre-centomila persone, vengono trasportate,dopo apposito decreto parlamentare, all’O-ratorio della Casa di Riposo per musicisti,dove verranno conservate rispettando cosìle volontà del Maestro; simultaneamente,novecento esecutori diretti da Toscaninicantano «Va pensiero» dalla gradinata del

Fanedio. La Casa di riposo per musicistiverrà inaugurata nel 1902, solo dopo lamorte di Verdi, che non voleva essere rin-graziato personalmente. Boito lo ricordòcon immensa ammirazione:

L’atto della mia vita di cui maggiormentemi compiaccio è la servitù volontaria cheho dedicato all’uomo giusto, nobile fra tuttie veramente grande.

Nel 1918 Toscanini trovò nella partituraautografa di Falstaff un appunto di Verdi:

Tutto è finito,Va, va, vecchio John,Cammina per la tua viaFin che tu puoi.Divertente tipo di bricconeEternamente vero sottoMaschera diversa in ogni Tempo, in ogni luogo.Va, va,Cammina, camminaAddio!!!!98

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NOTE

1 Lettera a Ricordi. 20 novembre 1880.2 Lettera a Ricordi, 1868.3 Lettera a Giulio Ricordi, 1880.4 Lettera a Camille Du Locle.5 Secondo i registri battesimali (dove fu iscritto comeJoseph Fortunin François, poiché il ducato di Parmaera sotto dominio francese). Verdi sosteneva di esserenato il 9 ottobre, giorno di S. Donnino, fatto plausibilepoiché i nati dopo il tramonto venivano registrati nelgiorno successivo.6 Frazione a 5 Km da Busseto.7 Secondo i primi biografi la madre si era rifugiata conlui nel campanile della chiesa di le Roncole. Una lapi-de ricorda l’avvenimento.8 Sui tasti acuti riporta ancora i nomi delle note ag-giunti a penna. Verdi la custodì per tutta la vita. Attual-mente è conservata al Museo della Scala di Milano.9 È a questi episodi che si riferisce il celebre aneddotosecondo cui durante la funzione religiosa il piccoloGiuseppe, distratto dall’ascolto, ricevette in cambiouna pedata dal prete, che avrebbe aggiunto «Dio t’man-da ‘na sajetta!». Ma sarà invece il sacerdote – come rac-contò Verdi – a morire colpito da un fulmine duranteuna messa.10 I filarmonici di Busseto costituivano una piccolabanda composta da dilettanti, che si esibiva in case pri-vate. 11 Dopo la morte della seconda moglie di Antonio Ba-rezzi, che li aveva custoditi.12 Grazie all’intercessione della duchessa Maria Luigiatramite lo stesso Barezzi. Altrimenti gli sarebbe stataconcessa se avesse frequentato per un anno il Conserva-torio di Milano. I “forestieri” potevano essere ammessisolo come paganti nella classe di pianoforte.13 Autore di balletti e opere, rappresentate anche allaScala con discreto successo, Vincenzo Lavigna (1776-1836), di scuola napoletana (fu allievo di Paisiello) esostituto al teatro milanese, insegnava al conservatoriodi Milano dal 1823.14 Lettera a Francesco Florimo, 1871.15 Vi era stato ammesso senza concorso Giovanni Fer-rari, nonostante la disputa sollevata da Verdi.16 Fu maestro di cappella alla Corte Ducale di Parma.17 Fondato dal duca Carlo Visconti di Modrone per aiu-tare ex-teatranti bisognosi.18 Probabile rifacimento del progetto operistico origi-nario perduto e mai rappresentato intitolato Rocester(pare che Verdi sperasse in una sua messa in scena aParma). Viene altresì menzionato il titolo Lord Hamil-ton, forse solo una fonte librettistica per l’Oberto (cfr.JULIAN BUDDEN, Tutte le opere di Verdi, 3 voll., EDT, To-rino, 1985: I).19 In carriera dal 1834 al 1846, Giuseppina Strepponifu una brillante cantante, ma allora in declino, peraltrodopo una trascorsa vita sentimentale tormentata. Par-lava anche l’inglese e il francese ed era diplomata inpianoforte.20 In una custodia con l’incisione «Ricordi della miapovera famiglia», Verdi conserverà per tutta la vita i lo-ro anelli nuziali, i capelli biondi di lei incastonati nelproprio anello, un suo anellino e un fermaglio, e una

ciocca di capelli di Antonio Barezzi, dopo la morte diquest’ultimo. Alla morte di Verdi per suo volere fu con-segnata agli eredi di Barezzi.21 Il racconto leggendario su Nabucco viene stempera-to dalla ricostruzione di M. LESSONA in Volere è poteredel 1869, antecedente, probabilmente più veritiera eapprovata in seguito dallo stesso compositore: abban-donato il libretto dell’opera per circa cinque mesi, Ver-di lo riprese per caso in mano, lesse l’ultima scena e lamusicò.22 Lettera a Clarina Maffei, 12 maggio 1858.23 Vienna e Lisbona, 1843; Barcelona, Berlino, Corfù,Stoccarda, Oporto, Malta, 1844; Parigi, Amburgo, Mar-siglia, Algeri, 1846; Copenaghen, Costantinopoli, Buda-pest, Londra, 1847; L’Avana, Bucarest, 1847; New York,Bruxelles, 1848; Praga, 1849; Lwow, Buenos Aires,1850; Zurigo, San Pietroburgo, 1851.24 A partire dal 1888 incorporerà l’editore Lucca chedisponeva ancora dei diritti di Attila, I Masnadieri e Ilcorsaro.25 Fu amante dello zar di Russia.26 In FRANCO ABBIATI, La vita e le opere di GiuseppeVerdi, Milano, 1959.27 Dopo i successi veneziani, Verdi cambierà opinionesulla città lagunare: «Scriveva che non mi piaceva ilsoggiorno di Venezia, dimani al contrario con mio grandispiacere la devo lasciare. E chi non sarà sensibile atante gentilezze?». Tuttavia in seguito ribadirà su Vene-zia: «Questa quiete cupa e melancolica mi mette orad’un umore qualche volta insopportabile». All’HotelEuropa orchestrò Rigoletto, Traviata e Simon Boccane-gra.28 Verdi era stato preferito a Donizetti, Mercadante, Pa-cini e Nini.29 Lettera alla direzione del Teatro La Fenice, 1843.30 Lettera a Cammarano, 4 aprile 1851.31 Lettera al segretario della Fenice Guglielmo Brenna.32 Modesto compositore di opere, svolse una carriereinternazionale di direttore d’orchestra.33 La frase di Attila «Avrai tu l’universo, resti l’Italia ame» era diventata uno slogan patriottico.34 Lettera al Piave, settembre 1846.35 Si era stabilita nella capitale francese dal 1846 comeinsegnante, fondando anche una scuola di canto.36 Lettera al Piave, aprile 1848.37 Lettera a Clarina Maffei, 3 ottobre 1848.38 Erminia Frezzolini aveva cantato nei Lombardi enella Giovanna d’Arco, Achille De Bassini era stato pri-mo interprete dei Due Foscari e della Luisa Miller.39 Lettera a Piave, 1847.40 Lettera a Mauro Corticelli, 27 settembre 1862.41 Lettera al Piave, aprile 1850.42 Lettera a Piave, 8 maggio 1850.43 Lettera a Piave, 3 giugno 1850.44 Lettera a Carlo Marzari, presidente degli spettacolidella Fenice, 5 dicembre 1850.45 Lettera a Carlo Marzari, 14 dicembre 1850.46 Lettera ad Antonio Somma, 22 aprile 1853.47 Lettera a Vincenzo Luccardi, 1 dicembre 1851.48 Lettera a Carlo Antonio Borsi, 8 settembre 1852.49 Lettera ad Antonio Somma.50 Lettera a De Sanctis, 7 febbraio 1856.51 Lettera al Piave, ottobre 1854.52 Lettera a Clarina Maffei, 1852.

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53 La borsa di studio che aveva percepito gli era statadonata «per legato», oltre al fatto che inizialmente gli in-carichi musicali della cittadina gli erano stati negati.54 Lettera ad Antonio Barezzi, gennaio 1852.55 Verdi lo scoprirà soltanto nel 1882, in occasione deldebutto postumo dell’opera di Donizetti.56 Lettera a Muzio.57 Lettera a Léon Escudier, 1867.58 Lettera Tito Ricordi, 11 marzo 1874.59 Lettera a Giulio Ricordi, 9 giugno 1894.60 Lettera a Piave da Parigi, 3 settembre 1856.61 Lettera a Clarina Maffei.62 Lettera a Barezzi.63 Riferito da Ghislanzoni nel 1865.64 A pochi chilometri da Ginevra, nell’Alta Savoia.65 Ringraziamento al Podestà di Busseto.66 Lettera a Francesco Maria Piave, 8 febbraio 1865.67 Lettera a Du Locle, 7 dicembre 1869.68 Lettera ad Arrivabene, 5 febbraio 1876.69 Oltre a Verdi erano stati convocati Buzzolla, Bazzini,Pedrotti, Cagnoni, Federico Ricci, Nini, Boucheron,Coccia, Gaspari, Platania, Petrella e Mabellini.70 Lettera a Clarina Maffei.71 Lettera a Clarina Maffei, 24 maggio.72 Lettera a Clarina Maffei, 7 luglio.73 Verdi aveva rifiutato di partecipare all’inaugurazio-ne del nuovo teatro, e aveva accumulato risentimentidopo che nel 1856 i consigli richiestigli per la nominadi un nuovo maestro di musica della città erano statitotalmente ignorati.74 Dal 1859 in Francia si utilizzava il diapason a 435Hz. Nel 1885 Boito rappresenterà l’Italia al congressointernazionale di musica di Vienna sostenendo la tesidi Verdi per un diapason a 432 Hz. Verranno adottati i435 Hz.75 Dichiarazione alla «Neue Freie Press» di Vienna,1875.76 Lettera a Opprandino Arrivabene, 1868.

77 Va in scena dopo due anni dall’apertura dello stret-to. In caso di rifiuto la commissione sarebbe passata aGounod o Wagner.78 Lettera a Giulio Ricordi, 1871.79 Lettera a Ricordi.80 Nel 1870 aveva diretto il Lohengrin di Wagner.81 Poi Hotel Hasserl, ora scomparso.82 La motivazione originaria della nomina a senatoreverrà quindi appositamente modificata.83 Lettera a Giuseppe Piroli, 1883.84 Lettera ad Arrivabene, 15 marzo 1883.85 Per Faccio Boito aveva redatto il libretto su Amletodi Shakespeare.86 Lettera ad Antonio Somma.87 Lettera all’amico Opprandino Arrivabene, 14 set-tembre 1880.88 Lettera a Giuseppe Perosio, 7 giugno 1880.89 Dal testamento olografo di Verdi: «Di distribuire inperpetuo l’elemosina di lire trenta per ciascuno a cin-quanta poveri del mio villaggio nativo le Roncole ilgiorno 10 Novembre di ogni anno; si distribuiranno aipoveri del Villaggio di S. Agata lire mille nel giorno do-po la mia morte».90 Lettera ad Arrivabene, 10 giugno 1884.91 Lettera all’amico Opprandino Arrivabene, 19 marzo1886.92 Pubblicato sulla «Gazzetta musicale» di Milano. Ver-di rispose a Carducci: «Non avrei mai osato sperarech’Ella potesse rammentare il mio nome con parole in-dulgenti e tanto splendide. M’inchino ringrazio, e conammirazione profonda mi dico, Dev.mo».93 Lettera a Boito, 7 luglio 1889.94 Franchetti scriverà l’opera Cristoforo Colombo.95 Lettera a Boito, 1897.96 Lettera a Clarina Maffei.97 Secondo «Il Caffaro» di Genova.98 Conservato al Museo Teatrale alla Scala.