Giulio Mazzolini (ePub) Ugo Santamaria - Liber Liber ... · TRE UOMINI IN UNA BARCA (per tacer del...

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Tre uomini in una barca (per tacer del cane)AUTORE: Jerome, Jerome K.TRADUTTORE: Spaventa Filippi, SilvioCURATORE: NOTE:

CODICE ISBN E-BOOK: 9788897313700

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/libri/licenze/

COPERTINA: [elaborazione da] "Boating on the Thames"di John Lavery (1856–1941) - https://commons.wiki-media.org/wiki/File:Boating_on_the_Thames_by_John_Lavery.jpeg – Pubblico dominio.

TRATTO DA: Tre uomini in una barca : (per tacer delcane) / Jerome K. Jerome ; versione dall'inglese diSilvio Spaventa Filippi. - Milano : Casa Ed. Sonzo-gno, 1922 (Matarelli). – 255 p. ; 19 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

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TITOLO: Tre uomini in una barca (per tacer del cane)AUTORE: Jerome, Jerome K.TRADUTTORE: Spaventa Filippi, SilvioCURATORE: NOTE:

CODICE ISBN E-BOOK: 9788897313700

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/libri/licenze/

COPERTINA: [elaborazione da] "Boating on the Thames"di John Lavery (1856–1941) - https://commons.wiki-media.org/wiki/File:Boating_on_the_Thames_by_John_Lavery.jpeg – Pubblico dominio.

TRATTO DA: Tre uomini in una barca : (per tacer delcane) / Jerome K. Jerome ; versione dall'inglese diSilvio Spaventa Filippi. - Milano : Casa Ed. Sonzo-gno, 1922 (Matarelli). – 255 p. ; 19 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

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1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 6 marzo 20082a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 29 ottobre 20143a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 26 ottobre 2017

INDICE DI AFFIDABILITA': 1 0: affidabilità bassa 1: affidabilità media 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima

SOGGETTO:FIC004000 FICTION / Classici

DIGITALIZZAZIONE:Catia Righi, [email protected]

REVISIONE:Clelia Mussari, [email protected] Mazzolini (ePub)Franco Perini (ePub), Biblioteca civica di ColognoMonzese

IMPAGINAZIONE:Catia Righi, [email protected] SantamariaUgo Santamaria (ePub)

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected] Calvo, http://www.marcocalvo.it/

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1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 6 marzo 20082a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 29 ottobre 20143a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 26 ottobre 2017

INDICE DI AFFIDABILITA': 1 0: affidabilità bassa 1: affidabilità media 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima

SOGGETTO:FIC004000 FICTION / Classici

DIGITALIZZAZIONE:Catia Righi, [email protected]

REVISIONE:Clelia Mussari, [email protected] Mazzolini (ePub)Franco Perini (ePub), Biblioteca civica di ColognoMonzese

IMPAGINAZIONE:Catia Righi, [email protected] SantamariaUgo Santamaria (ePub)

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected] Calvo, http://www.marcocalvo.it/

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Indice generale

PREFAZIONE................................................................7CAPITOLO I..................................................................8CAPITOLO II...............................................................21CAPITOLO III..............................................................30CAPITOLO IV..............................................................41CAPITOLO V...............................................................56CAPITOLO VI.............................................................68CAPITOLO VII............................................................83CAPITOLO VIII...........................................................95CAPITOLO IX............................................................111CAPITOLO X.............................................................125CAPITOLO XI...........................................................138CAPITOLO XII..........................................................153CAPITOLO XIII.........................................................170CAPITOLO XIV.........................................................188CAPITOLO XV..........................................................204CAPITOLO XVI........................................................224CAPITOLO XVII.......................................................229CAPITOLO XVIII......................................................240CAPITOLO XIX........................................................250

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Indice generale

PREFAZIONE................................................................7CAPITOLO I..................................................................8CAPITOLO II...............................................................21CAPITOLO III..............................................................30CAPITOLO IV..............................................................41CAPITOLO V...............................................................56CAPITOLO VI.............................................................68CAPITOLO VII............................................................83CAPITOLO VIII...........................................................95CAPITOLO IX............................................................111CAPITOLO X.............................................................125CAPITOLO XI...........................................................138CAPITOLO XII..........................................................153CAPITOLO XIII.........................................................170CAPITOLO XIV.........................................................188CAPITOLO XV..........................................................204CAPITOLO XVI........................................................224CAPITOLO XVII.......................................................229CAPITOLO XVIII......................................................240CAPITOLO XIX........................................................250

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JEROME K. JEROME

TRE UOMINI

IN UNA BARCA(per tacer del cane)

Versione di SILVIO SPAVENTA FILIPPI

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JEROME K. JEROME

TRE UOMINI

IN UNA BARCA(per tacer del cane)

Versione di SILVIO SPAVENTA FILIPPI

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PREFAZIONE.

Non nello stile o nell’abbondanza e nell’utilità dellesue notizie, ma nella sua veracità assoluta consiste labellezza di questo libro. Son pagine, queste, che regi-strano eventi realmente accaduti e che io non ho fattoche colorire, senza, per questo, aggiungervi un sovrap-prezzo. Giorgio, Harris e Montmorency non sono idealipoetici, ma esseri di carne e d’ossa – specialmente Gior-gio, che oltrepassa il quintale di sedici chili. Altri lavoripossono rivaleggiar con questo per profondità di pensie-ro e penetrazione della natura umana; altri libri possonosuperarlo per originalità e lucentezza di forma; ma nullaancora è stato scoperto che possa sorpassarlo in incura-bile sincerità. S’intende che questo, più di tutti gli altripregi, lo renderà prezioso agli occhi del lettore serio, edarà maggiore importanza alla morale della storia.

Londra, agosto del 1889.J. K. JEROME.

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PREFAZIONE.

Non nello stile o nell’abbondanza e nell’utilità dellesue notizie, ma nella sua veracità assoluta consiste labellezza di questo libro. Son pagine, queste, che regi-strano eventi realmente accaduti e che io non ho fattoche colorire, senza, per questo, aggiungervi un sovrap-prezzo. Giorgio, Harris e Montmorency non sono idealipoetici, ma esseri di carne e d’ossa – specialmente Gior-gio, che oltrepassa il quintale di sedici chili. Altri lavoripossono rivaleggiar con questo per profondità di pensie-ro e penetrazione della natura umana; altri libri possonosuperarlo per originalità e lucentezza di forma; ma nullaancora è stato scoperto che possa sorpassarlo in incura-bile sincerità. S’intende che questo, più di tutti gli altripregi, lo renderà prezioso agli occhi del lettore serio, edarà maggiore importanza alla morale della storia.

Londra, agosto del 1889.J. K. JEROME.

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CAPITOLO I.

Tre invalidi. – Sofferenze di Giorgio e Harris. – Una vittima dicentosette fatali malattie. – Prescrizioni utili. – Cura della ma-lattia di fegato nei ragazzi. – Concludiamo che lavoriamo trop-po e abbiamo bisogno di riposo. – Una settimana sulla profon-dità liquida. – Giorgio consiglia il Tamigi – Montmorency af-faccia un’obiezione. – La mozione approvata a maggioranza.

Eravamo in quattro: Giorgio, Guglielmo SamueleHarris, io e Montmorency. Seduti nella mia stanza, si fu-mava e si parlava di come stessimo male… male, inten-do, rispetto alla salute.

Ci sentivamo tutti sfiaccati e ne eravamo impensieriti.Harris diceva che a volte si sentiva assalito da tali straniaccessi di vertigine, che sapeva a pena che si facesse; epoi Giorgio disse che anche lui era assalito da accessi divertigine e appena sapeva anche lui che si facesse. Iopoi avevo il fegato ammalato. Sapevo di avere il fegatoammalato, perchè avevo appunto letto un annuncio dipillole brevettate nel quale si specificavano minutamen-te i vari sintomi dai quali il lettore poteva arguire d’ave-re il fegato malato. Io li avevo tutti.

È strano, ma non mi avviene mai di leggere un an-nuncio di specialità brevettate, senza sentirmi tratto allaconclusione d’essere affetto dalla peculiare malattia –nella sua forma più virulenta – che forma il soggettodell’annuncio. A ogni modo, la diagnosi par che corri-

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CAPITOLO I.

Tre invalidi. – Sofferenze di Giorgio e Harris. – Una vittima dicentosette fatali malattie. – Prescrizioni utili. – Cura della ma-lattia di fegato nei ragazzi. – Concludiamo che lavoriamo trop-po e abbiamo bisogno di riposo. – Una settimana sulla profon-dità liquida. – Giorgio consiglia il Tamigi – Montmorency af-faccia un’obiezione. – La mozione approvata a maggioranza.

Eravamo in quattro: Giorgio, Guglielmo SamueleHarris, io e Montmorency. Seduti nella mia stanza, si fu-mava e si parlava di come stessimo male… male, inten-do, rispetto alla salute.

Ci sentivamo tutti sfiaccati e ne eravamo impensieriti.Harris diceva che a volte si sentiva assalito da tali straniaccessi di vertigine, che sapeva a pena che si facesse; epoi Giorgio disse che anche lui era assalito da accessi divertigine e appena sapeva anche lui che si facesse. Iopoi avevo il fegato ammalato. Sapevo di avere il fegatoammalato, perchè avevo appunto letto un annuncio dipillole brevettate nel quale si specificavano minutamen-te i vari sintomi dai quali il lettore poteva arguire d’ave-re il fegato malato. Io li avevo tutti.

È strano, ma non mi avviene mai di leggere un an-nuncio di specialità brevettate, senza sentirmi tratto allaconclusione d’essere affetto dalla peculiare malattia –nella sua forma più virulenta – che forma il soggettodell’annuncio. A ogni modo, la diagnosi par che corri-

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sponda sempre esattamente a tutte le mie particolari sen-sazioni.

Ricordo d’esser andato un giorno al British Museuma leggere il trattamento di un piccolo malanno del qualeavevo qualche leggero attacco – credo che fosse la feb-bre del fieno. Mi feci dare il libro, e lessi tutto quelloche dovevo leggere; e poi, in un momento d’oblio, vol-tai oziosamente le pagine e cominciai a studiare indo-lentemente le malattie in generale. Non ricordo più ilprimo morbo nel quale m’immersi – so che era un pau-roso flagello devastatore – e prima che avessi datoun’occhiata a una metà della lista dei «sintomi premoni-tori», ero già bell’e convinto di esserne affetto.

Rimasi per un po’ agghiacciato d’orrore; e poi,nell’incuranza della disperazione, mi misi a voltare lealtre pagine. Arrivai al tifo – ne lessi i sintomi – scoper-si d’averlo (dovevo averlo da mesi senza saperlo) – midomandai che altro avessi; incontrai il ballo di San Vito– trovai, come m’aspettavo, d’avere anche quello, – co-minciai a interessarmi al mio caso, e risoluto d’andarefino in fondo, cominciai per ordine alfabetico – lessidella malaria e appresi che ne ero affetto e che la faseacuta sarebbe cominciata fra una quindicina circa. Miconsolai trovando che l’albuminuria l’avevo soltanto informa attenuata, e che quindi, per quel che mi riguarda-va, sarei potuto vivere ancora anni e anni. Avevo il cole-ra con gravi complicazioni; e sembra che con la difteriteci fossi nato. Percorsi faticosamente e coscienziosamen-te tutte quante le lettere dell’alfabeto, e potei concludere

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sponda sempre esattamente a tutte le mie particolari sen-sazioni.

Ricordo d’esser andato un giorno al British Museuma leggere il trattamento di un piccolo malanno del qualeavevo qualche leggero attacco – credo che fosse la feb-bre del fieno. Mi feci dare il libro, e lessi tutto quelloche dovevo leggere; e poi, in un momento d’oblio, vol-tai oziosamente le pagine e cominciai a studiare indo-lentemente le malattie in generale. Non ricordo più ilprimo morbo nel quale m’immersi – so che era un pau-roso flagello devastatore – e prima che avessi datoun’occhiata a una metà della lista dei «sintomi premoni-tori», ero già bell’e convinto di esserne affetto.

Rimasi per un po’ agghiacciato d’orrore; e poi,nell’incuranza della disperazione, mi misi a voltare lealtre pagine. Arrivai al tifo – ne lessi i sintomi – scoper-si d’averlo (dovevo averlo da mesi senza saperlo) – midomandai che altro avessi; incontrai il ballo di San Vito– trovai, come m’aspettavo, d’avere anche quello, – co-minciai a interessarmi al mio caso, e risoluto d’andarefino in fondo, cominciai per ordine alfabetico – lessidella malaria e appresi che ne ero affetto e che la faseacuta sarebbe cominciata fra una quindicina circa. Miconsolai trovando che l’albuminuria l’avevo soltanto informa attenuata, e che quindi, per quel che mi riguarda-va, sarei potuto vivere ancora anni e anni. Avevo il cole-ra con gravi complicazioni; e sembra che con la difteriteci fossi nato. Percorsi faticosamente e coscienziosamen-te tutte quante le lettere dell’alfabeto, e potei concludere

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che l’unica malattia che non avessi era il ginocchio dellalavandaia.

A questo sulle prime mi sentii un po’ offeso; mi sem-brava che la cosa implicasse una specie di dispregio.Perchè non avevo il ginocchio della lavandaia? Perchèquesta oltraggiosa distinzione? Dopo un poco, però, pre-valsero dei sentimenti meno esclusivi. Pensai che avevotutte le malattie note in farmacologia, e divenni menoegoista, e risolsi di fare a meno del ginocchio della la-vandaia.

Pareva che la gotta, nella sua fase più maligna, miavesse invaso senza che me ne fossi accorto; e che aves-si sofferto di zona fin dall’infanzia. Non v’erano altremalattie dopo la zona; e così conclusi che non avevo al-tro.

Mi misi a riflettere. Pensai che cosa interessante do-vessi essere dal punto di vista medico, e che fortuna sa-rei stato per tutta la facoltà. Se gli studenti avessero po-tuto studiarmi, non avrebbero avuto bisogno di frequen-tare gli ospedali. Ero io tutto un ospedale. Non avrebbe-ro dovuto far altro che girarmi un po’ intorno e, dopo,farsi dare la laurea.

Allora mi domandai quanto avessi ancora da vivere.Provai a visitarmi. Mi tastai il polso. In principio non miriuscì di percepirlo. Poi, a un tratto, mi sembrò di avver-tirlo. Cavai l’orologio e contai: calcolai cento quaranta-sette pulsazioni al minuto. Tentai di sentir quelle delcuore: non ci riuscii. Il cuore non batteva più. D’allorasono stato indotto a pensare che frattanto ci fosse e che

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che l’unica malattia che non avessi era il ginocchio dellalavandaia.

A questo sulle prime mi sentii un po’ offeso; mi sem-brava che la cosa implicasse una specie di dispregio.Perchè non avevo il ginocchio della lavandaia? Perchèquesta oltraggiosa distinzione? Dopo un poco, però, pre-valsero dei sentimenti meno esclusivi. Pensai che avevotutte le malattie note in farmacologia, e divenni menoegoista, e risolsi di fare a meno del ginocchio della la-vandaia.

Pareva che la gotta, nella sua fase più maligna, miavesse invaso senza che me ne fossi accorto; e che aves-si sofferto di zona fin dall’infanzia. Non v’erano altremalattie dopo la zona; e così conclusi che non avevo al-tro.

Mi misi a riflettere. Pensai che cosa interessante do-vessi essere dal punto di vista medico, e che fortuna sa-rei stato per tutta la facoltà. Se gli studenti avessero po-tuto studiarmi, non avrebbero avuto bisogno di frequen-tare gli ospedali. Ero io tutto un ospedale. Non avrebbe-ro dovuto far altro che girarmi un po’ intorno e, dopo,farsi dare la laurea.

Allora mi domandai quanto avessi ancora da vivere.Provai a visitarmi. Mi tastai il polso. In principio non miriuscì di percepirlo. Poi, a un tratto, mi sembrò di avver-tirlo. Cavai l’orologio e contai: calcolai cento quaranta-sette pulsazioni al minuto. Tentai di sentir quelle delcuore: non ci riuscii. Il cuore non batteva più. D’allorasono stato indotto a pensare che frattanto ci fosse e che

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dovesse pur battere; ma non posso garantirlo. Mi palpaitutta la fronte, e dalla vita alla testa, e vagai un po’ da unfianco all’altro, e un pochino su per la schiena. Ma nonmi riuscì di sentire e udire nulla. Tentai di guardarmi lalingua. La cacciai fuori finchè mi fu possibile, e chiusiun occhio, cercando di esaminarla con l’altro. Ne poteivedere solo la punta, e l’unico vantaggio che n’ebbi fudi sentirmi più che certo d’aver la scarlattina.

Ero entrato in quella sala di lettura felice e pieno disalute, e ne uscivo come un miserabile cencio.

Andai dal mio medico, che è mio buon amico, mi ta-sta il polso, mi guarda la lingua, e chiacchiera con medel tempo gratuitamente, quando m’immagino di sentir-mi male. Pensai che gli avrei fatto piacere andando allo-ra da lui. «Ciò di cui un dottore abbisogna», mi dissi, «èla pratica. Egli avrà me. Farà più pratica con me che conduemila dei soliti malati, che hanno al massimo due otre malattie per ciascuno». Lo trovai, ed egli mi disse:

— Bene, che c’è?— Non ti farò perder tempo, caro amico — risposi —

col farti l’elenco di ciò che ho. La vita è breve, e tu po-tresti andartene, prima che io avessi finito. Ti dirò inve-ce quello che non ho. Non ho contratto il ginocchio del-la lavandaia. Non capisco perchè non ho il ginocchiodella lavandaia; il fatto sta che non l’ho. Ma tutto il re-sto l’ho.

E gli narrai come avessi fatto la scoperta. Allora eglim’aperse la bocca, e mi guardò dentro, m’afferrò il pol-so, mi picchiò il petto quando non me lo aspettavo – un

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dovesse pur battere; ma non posso garantirlo. Mi palpaitutta la fronte, e dalla vita alla testa, e vagai un po’ da unfianco all’altro, e un pochino su per la schiena. Ma nonmi riuscì di sentire e udire nulla. Tentai di guardarmi lalingua. La cacciai fuori finchè mi fu possibile, e chiusiun occhio, cercando di esaminarla con l’altro. Ne poteivedere solo la punta, e l’unico vantaggio che n’ebbi fudi sentirmi più che certo d’aver la scarlattina.

Ero entrato in quella sala di lettura felice e pieno disalute, e ne uscivo come un miserabile cencio.

Andai dal mio medico, che è mio buon amico, mi ta-sta il polso, mi guarda la lingua, e chiacchiera con medel tempo gratuitamente, quando m’immagino di sentir-mi male. Pensai che gli avrei fatto piacere andando allo-ra da lui. «Ciò di cui un dottore abbisogna», mi dissi, «èla pratica. Egli avrà me. Farà più pratica con me che conduemila dei soliti malati, che hanno al massimo due otre malattie per ciascuno». Lo trovai, ed egli mi disse:

— Bene, che c’è?— Non ti farò perder tempo, caro amico — risposi —

col farti l’elenco di ciò che ho. La vita è breve, e tu po-tresti andartene, prima che io avessi finito. Ti dirò inve-ce quello che non ho. Non ho contratto il ginocchio del-la lavandaia. Non capisco perchè non ho il ginocchiodella lavandaia; il fatto sta che non l’ho. Ma tutto il re-sto l’ho.

E gli narrai come avessi fatto la scoperta. Allora eglim’aperse la bocca, e mi guardò dentro, m’afferrò il pol-so, mi picchiò il petto quando non me lo aspettavo – un

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atto abbastanza vile, debbo dire – e immediatamentedopo mi colpì con una zuccata. Dopo, si sedè a scrivereuna ricetta, la piegò, me la diede, e io me la misi in tascae me ne andai.

Non mi venne in mente di aprirla. La portai dal far-macista più vicino, e gliela consegnai. Il farmacista lalesse, e poi me la diede indietro.

Disse che quella roba non la teneva. Io domandai:— Non fate il farmacista?Mi rispose:— Faccio il farmacista. Se fossi un magazzino coope-

rativo o un ristorante per famiglie, sarei in grado di ser-virvi. Ne sono impedito dall’essere soltanto farmacista.

Lessi la ricetta. Diceva:

«1 libbra di bistecche con1 pinta di birra amara ogni sei ore.1 passeggiata di dieci miglia tutte le mattine.1 letto alle 11 in punto tutte le sere.

E non t’ingombrare la testa di cose che non capisci».

Seguii quelle istruzioni, col felice risultato – parlandoper conto mio – che mi fu conservata la vita e continuaancora.

Nel caso presente, per ritornare all’annuncio delle pil-lole per il fegato, io avevo i sintomi d’una malattia di fe-gato, dei quali il principale era «una generale svoglia-tezza al lavoro di qualunque specie».

Quel che io soffro a questo riguardo nessuna lingua

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atto abbastanza vile, debbo dire – e immediatamentedopo mi colpì con una zuccata. Dopo, si sedè a scrivereuna ricetta, la piegò, me la diede, e io me la misi in tascae me ne andai.

Non mi venne in mente di aprirla. La portai dal far-macista più vicino, e gliela consegnai. Il farmacista lalesse, e poi me la diede indietro.

Disse che quella roba non la teneva. Io domandai:— Non fate il farmacista?Mi rispose:— Faccio il farmacista. Se fossi un magazzino coope-

rativo o un ristorante per famiglie, sarei in grado di ser-virvi. Ne sono impedito dall’essere soltanto farmacista.

Lessi la ricetta. Diceva:

«1 libbra di bistecche con1 pinta di birra amara ogni sei ore.1 passeggiata di dieci miglia tutte le mattine.1 letto alle 11 in punto tutte le sere.

E non t’ingombrare la testa di cose che non capisci».

Seguii quelle istruzioni, col felice risultato – parlandoper conto mio – che mi fu conservata la vita e continuaancora.

Nel caso presente, per ritornare all’annuncio delle pil-lole per il fegato, io avevo i sintomi d’una malattia di fe-gato, dei quali il principale era «una generale svoglia-tezza al lavoro di qualunque specie».

Quel che io soffro a questo riguardo nessuna lingua

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può dire. Dalla mia primissima infanzia sono stato unmartire della svogliatezza. Ragazzo, la malattia non milasciò libero neppure una giornata. Chi sapeva, allora,che era il fegato? La scienza in quei tempi era moltomeno progredita, e in casa solevano battezzarla pigrizia!

— Bene, pigraccio — mi dicevano — alzati e mettitia fare qualcosa; — non sapendo, naturalmente, ch’io eromalato.

E non mi si davano pillole, ma scapaccioni. E, perquanto possa apparir strano, quegli scapaccioni spessomi curavano… per il momento. E so che uno scapaccio-ne faceva allora effetto sul fegato, e mi metteva più vo-glia di andare difilato dove dovevo andare e di fare ciòche doveva esser fatto, senza perder tempo, che non oratutte le pillole dell’universo.

Si sa bene, spesso è così: i semplici rimedi d’una vol-ta talvolta riescono più efficaci di tutti gl’intrugli dellefarmacie.

Rimanemmo lì una mezz’ora a descriverci a vicendale nostre malattie. Io spiegai a Giorgio e a GuglielmoHarris come mi sentivo quando la mattina mi levavo, eGuglielmo Harris ci disse come si sentiva quando anda-va a letto; e Giorgio, che era sdraiato sul tappeto accantoal caminetto, ci diede una bella e magnifica rappresenta-zione di come si sentiva la notte.

Giorgio immagina d’essere malato; ma dovete saperech’egli non ha assolutamente nulla.

A questo punto picchiò all’uscio la signora Poppetsper sapere se non volessimo andare a cena. Ci scam-

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può dire. Dalla mia primissima infanzia sono stato unmartire della svogliatezza. Ragazzo, la malattia non milasciò libero neppure una giornata. Chi sapeva, allora,che era il fegato? La scienza in quei tempi era moltomeno progredita, e in casa solevano battezzarla pigrizia!

— Bene, pigraccio — mi dicevano — alzati e mettitia fare qualcosa; — non sapendo, naturalmente, ch’io eromalato.

E non mi si davano pillole, ma scapaccioni. E, perquanto possa apparir strano, quegli scapaccioni spessomi curavano… per il momento. E so che uno scapaccio-ne faceva allora effetto sul fegato, e mi metteva più vo-glia di andare difilato dove dovevo andare e di fare ciòche doveva esser fatto, senza perder tempo, che non oratutte le pillole dell’universo.

Si sa bene, spesso è così: i semplici rimedi d’una vol-ta talvolta riescono più efficaci di tutti gl’intrugli dellefarmacie.

Rimanemmo lì una mezz’ora a descriverci a vicendale nostre malattie. Io spiegai a Giorgio e a GuglielmoHarris come mi sentivo quando la mattina mi levavo, eGuglielmo Harris ci disse come si sentiva quando anda-va a letto; e Giorgio, che era sdraiato sul tappeto accantoal caminetto, ci diede una bella e magnifica rappresenta-zione di come si sentiva la notte.

Giorgio immagina d’essere malato; ma dovete saperech’egli non ha assolutamente nulla.

A questo punto picchiò all’uscio la signora Poppetsper sapere se non volessimo andare a cena. Ci scam-

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biammo l’un l’altro un triste sorriso, e ci dicemmo cheforse sarebbe stato meglio provare a buttar giù un boc-cone. Harris aggiunse che un pezzettino di qualche cosanello stomaco spesso tiene a freno un malanno; e la si-gnora Poppets ci portò il vassoio in tavola, e noi ci avvi-cinammo, baloccandoci con qualche bistecchina con lecipolline, e qualche tartina.

Mi dovevo sentire una gran debolezza quella sera,perchè dopo la prima mezz’ora a un di presso, non ave-vo più voglia di nulla – cosa insolita per me – tanto chenon assaggiai neanche il formaggio.

Compiuto il nostro dovere, ci riempimmo i bicchieri,accendemmo le pipe, e ripigliammo la discussione sullenostre condizioni di salute. Nessuno di noi era certo diciò che in quei giorni lo tormentava, ma fu opinioneunanime che – qualunque cosa, fosse – era effetto deltroppo lavoro.

— Noi abbiamo bisogno — disse Harris — di riposo.— Di riposo e d’un mutamento completo — aggiunse

Giorgio. — Lo sforzo sul nostro cervello ha prodottouna depressione generale in tutto l’organismo. Il cam-biamento d’aria e l’assenza della necessità di pensare ciridaranno l’equilibrio mentale.

Giorgio, che ha un cugino indicato sul libro nerocome studente di medicina, ha quindi contratto una certaabitudine di esporre le cose in maniera alquanto scienti-fica.

Convenni con Giorgio, e suggerii che dovevamo sco-vare qualche punto deserto e ignoto, lontano dalla folla

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biammo l’un l’altro un triste sorriso, e ci dicemmo cheforse sarebbe stato meglio provare a buttar giù un boc-cone. Harris aggiunse che un pezzettino di qualche cosanello stomaco spesso tiene a freno un malanno; e la si-gnora Poppets ci portò il vassoio in tavola, e noi ci avvi-cinammo, baloccandoci con qualche bistecchina con lecipolline, e qualche tartina.

Mi dovevo sentire una gran debolezza quella sera,perchè dopo la prima mezz’ora a un di presso, non ave-vo più voglia di nulla – cosa insolita per me – tanto chenon assaggiai neanche il formaggio.

Compiuto il nostro dovere, ci riempimmo i bicchieri,accendemmo le pipe, e ripigliammo la discussione sullenostre condizioni di salute. Nessuno di noi era certo diciò che in quei giorni lo tormentava, ma fu opinioneunanime che – qualunque cosa, fosse – era effetto deltroppo lavoro.

— Noi abbiamo bisogno — disse Harris — di riposo.— Di riposo e d’un mutamento completo — aggiunse

Giorgio. — Lo sforzo sul nostro cervello ha prodottouna depressione generale in tutto l’organismo. Il cam-biamento d’aria e l’assenza della necessità di pensare ciridaranno l’equilibrio mentale.

Giorgio, che ha un cugino indicato sul libro nerocome studente di medicina, ha quindi contratto una certaabitudine di esporre le cose in maniera alquanto scienti-fica.

Convenni con Giorgio, e suggerii che dovevamo sco-vare qualche punto deserto e ignoto, lontano dalla folla

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matta e frettolosa, e passar in quei sentieri sonnolentiuna settimana piena di sole – un posticino obliato nasco-sto dalle fate, irraggiungibile dal mondo – qualche stra-no nido accoccolato sulle rupi del tempo, dove l’ecodelle incalzanti onde del secolo decimonono non giun-gesse che remoto e fievole.

Harris disse che un posto simile sarebbe stato scomo-do. Sapeva ciò che io intendevo: un luogo dove si anda-va a letto con le galline, dove non si poteva avere unaindiscrezione neanche a pagarla un occhio, e bisognavafare dieci miglia a piedi per farsi la provvista di tabacco.

— No — disse Harris — per godere un po’ di riposoe cambiar d’aria, non c’è nulla di meglio d’un viaggio dimare.

Io mi opposi vivamente al viaggio di mare. Un viag-gio di mare giova quando si tratta d’un paio di mesi, maper una settimana non è affatto indicato.

Si parte il lunedì con l’idea fondata d’andare a diver-tirsi. Si dà un allegro addio agli amici sulla riva, si ac-cende la pipa più grossa e si vacilla su per il ponte,come se si fosse il capitano Cook, sir Francesco Drake eCristoforo Colombo concentrati in una persona sola. Ilmartedì si vorrebbe non esser partiti. Il mercoledì, ilgiovedì e il venerdì, si vorrebbe piuttosto esser morti! Ilsabato si è in grado d’inghiottire un po’ di brodo, di se-dere sul ponte, e di rispondere con un debole, dolce sor-riso alle persone gentili che s’informano del nostro statodi salute. La domenica cominciate a far due passi, e ainghiottire un po’ di cibo. E il lunedì mattina, quando,

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matta e frettolosa, e passar in quei sentieri sonnolentiuna settimana piena di sole – un posticino obliato nasco-sto dalle fate, irraggiungibile dal mondo – qualche stra-no nido accoccolato sulle rupi del tempo, dove l’ecodelle incalzanti onde del secolo decimonono non giun-gesse che remoto e fievole.

Harris disse che un posto simile sarebbe stato scomo-do. Sapeva ciò che io intendevo: un luogo dove si anda-va a letto con le galline, dove non si poteva avere unaindiscrezione neanche a pagarla un occhio, e bisognavafare dieci miglia a piedi per farsi la provvista di tabacco.

— No — disse Harris — per godere un po’ di riposoe cambiar d’aria, non c’è nulla di meglio d’un viaggio dimare.

Io mi opposi vivamente al viaggio di mare. Un viag-gio di mare giova quando si tratta d’un paio di mesi, maper una settimana non è affatto indicato.

Si parte il lunedì con l’idea fondata d’andare a diver-tirsi. Si dà un allegro addio agli amici sulla riva, si ac-cende la pipa più grossa e si vacilla su per il ponte,come se si fosse il capitano Cook, sir Francesco Drake eCristoforo Colombo concentrati in una persona sola. Ilmartedì si vorrebbe non esser partiti. Il mercoledì, ilgiovedì e il venerdì, si vorrebbe piuttosto esser morti! Ilsabato si è in grado d’inghiottire un po’ di brodo, di se-dere sul ponte, e di rispondere con un debole, dolce sor-riso alle persone gentili che s’informano del nostro statodi salute. La domenica cominciate a far due passi, e ainghiottire un po’ di cibo. E il lunedì mattina, quando,

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con la valigia e l’ombrello in mano, ve ne state contro ilparapetto in attesa di sbarcare, il viaggio comincia a pia-cervi.

Ricordo mio cognato che, per salute, fece una voltaun breve viaggio di mare. Comprò un biglietto d’andatae ritorno Londra-Liverpool; e quando arrivò a Liverpooll’unico desiderio che aveva era di vendere il ritorno.

Seppi che andò in giro per venderlo a enorme ribasso!e per caso potè sbarazzarsene per trentasei soldi a ungiovane d’aspetto bilioso che era stato appunto consi-gliato a girare in mare e a far moto.

— Il mare! — disse mio cognato, mettendogli inmano affettuosamente il biglietto; — ne avrete tanto dadurarvi tutta la vita, e quanto a far moto!… farete piùmoto stando su quel bastimento, di quanto mai ne fare-ste sulla terra asciutta, a esercitarvi nei salti mortali.

Quanto a lui – mio cognato – ritornò in treno, perchè,com’egli mi disse, la strada ferrata gli faceva assai bene.

Conobbi un’altra persona che fece un viaggio lungola costa. Prima della partenza gli si presentò il dispen-siere a domandargli se intendesse pagare il pasto ognivolta o pagare anticipatamente tutti i pasti.

Il dispensiere gli raccomandò quest’ultimo modo,perchè avrebbe risparmiato molto. Si trattava di cin-quantotto lire per tutta la settimana. Colazione dellamattina: pesce, seguito da arrosto ai ferri; seconda cola-zione all’una, di quattro piatti. Desinare alle sei: mine-stra in brodo, pesce, intramesso filetto, pollo, insalata,dolce, formaggio e frutta. E un pasto leggero alle dieci.

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con la valigia e l’ombrello in mano, ve ne state contro ilparapetto in attesa di sbarcare, il viaggio comincia a pia-cervi.

Ricordo mio cognato che, per salute, fece una voltaun breve viaggio di mare. Comprò un biglietto d’andatae ritorno Londra-Liverpool; e quando arrivò a Liverpooll’unico desiderio che aveva era di vendere il ritorno.

Seppi che andò in giro per venderlo a enorme ribasso!e per caso potè sbarazzarsene per trentasei soldi a ungiovane d’aspetto bilioso che era stato appunto consi-gliato a girare in mare e a far moto.

— Il mare! — disse mio cognato, mettendogli inmano affettuosamente il biglietto; — ne avrete tanto dadurarvi tutta la vita, e quanto a far moto!… farete piùmoto stando su quel bastimento, di quanto mai ne fare-ste sulla terra asciutta, a esercitarvi nei salti mortali.

Quanto a lui – mio cognato – ritornò in treno, perchè,com’egli mi disse, la strada ferrata gli faceva assai bene.

Conobbi un’altra persona che fece un viaggio lungola costa. Prima della partenza gli si presentò il dispen-siere a domandargli se intendesse pagare il pasto ognivolta o pagare anticipatamente tutti i pasti.

Il dispensiere gli raccomandò quest’ultimo modo,perchè avrebbe risparmiato molto. Si trattava di cin-quantotto lire per tutta la settimana. Colazione dellamattina: pesce, seguito da arrosto ai ferri; seconda cola-zione all’una, di quattro piatti. Desinare alle sei: mine-stra in brodo, pesce, intramesso filetto, pollo, insalata,dolce, formaggio e frutta. E un pasto leggero alle dieci.

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Il mio amico, che era una famosa forchetta, scelse dipagare le cinquantotto lire.

Appunto al largo di Sheerness fu servita la secondacolazione. Non si sentì così affamato come si dovevasentire, e si limitò a un pezzettino di manzo allesso e aun po’ di fragole alla panna. Ponderò molto durante ilpomeriggio, talvolta con la sensazione di non aver man-giato altro che allesso di manzo da settimane, e talvoltadi non aver vissuto che di fragole alla panna da secoli.

Neppure il manzo e le fragole alla panna, da parteloro, sembravano soddisfatte: si mostravano parimentimalcontente.

Alle sei andarono ad annunciargli che il desinare erapronto. L’annuncio non suscitò in lui alcun entusiasmo;ma, comprendendo che v’era da consumare un po’ dellesue cinquantotto lire, andò da basso, sostenendosi allegomene e agli altri oggetti che gli venivano sotto mano.Un gradito odore di cipolline e di salame caldo, insiemecon quello del fritto di pesce e della verdura stufata, losalutò in fondo alla scaletta; e poi il dispensiere gli sipresentò con un sorriso untuoso, dicendo:

— Desidera, il signore?— Di andarmene via di qui — rispose fiocamente

l’amico mio.E lo portarono via in fretta in fretta, e lo appoggiaro-

no a qualche cosa, sottovento, dove lo lasciarono.I quattro giorni seguenti egli visse una semplice e ir-

reprensibile vita, alimentandosi di biscotti sottili ed’acqua di soda; ma verso il sabato, si sentì meglio, e

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Il mio amico, che era una famosa forchetta, scelse dipagare le cinquantotto lire.

Appunto al largo di Sheerness fu servita la secondacolazione. Non si sentì così affamato come si dovevasentire, e si limitò a un pezzettino di manzo allesso e aun po’ di fragole alla panna. Ponderò molto durante ilpomeriggio, talvolta con la sensazione di non aver man-giato altro che allesso di manzo da settimane, e talvoltadi non aver vissuto che di fragole alla panna da secoli.

Neppure il manzo e le fragole alla panna, da parteloro, sembravano soddisfatte: si mostravano parimentimalcontente.

Alle sei andarono ad annunciargli che il desinare erapronto. L’annuncio non suscitò in lui alcun entusiasmo;ma, comprendendo che v’era da consumare un po’ dellesue cinquantotto lire, andò da basso, sostenendosi allegomene e agli altri oggetti che gli venivano sotto mano.Un gradito odore di cipolline e di salame caldo, insiemecon quello del fritto di pesce e della verdura stufata, losalutò in fondo alla scaletta; e poi il dispensiere gli sipresentò con un sorriso untuoso, dicendo:

— Desidera, il signore?— Di andarmene via di qui — rispose fiocamente

l’amico mio.E lo portarono via in fretta in fretta, e lo appoggiaro-

no a qualche cosa, sottovento, dove lo lasciarono.I quattro giorni seguenti egli visse una semplice e ir-

reprensibile vita, alimentandosi di biscotti sottili ed’acqua di soda; ma verso il sabato, si sentì meglio, e

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cominciò ad assaporare il tè debole coi crostini, e il lu-nedì s’ingozzava già di ristretto di pollo. Lasciò il bat-tello il martedì, e mentre esso s’allontanava in mare fu-mando, l’amico mio dal punto dello sbarco lo seguì conuno sguardo pieno di rimpianto.

— Ecco che se ne va — egli mormorò — ecco che sene va con cinquantotto lire di vitto che m’appartengonoe che io non ho consumate.

Disse che con un altro giorno di tempo avrebbe fattopartita pari.

Così io mi opposi al viaggio di mare. Non, come spie-gai, per me, giacchè non ero mai strano e fantastico, maper téma di Giorgio. Giorgio disse che quanto a lui glisarebbe piaciuto, ma che consigliava me e Harris di nonpensarci, perchè era certo che noi ci saremmo sentitimale. Harris osservò che per lui era un mistero comemai avvenisse a tanti di soffrire il mal di mare – forse lofacevano a bella posta, per affettazione. Lui, per quantoci si fosse provato, non ci era mai riuscito.

Poi ci narrò degli aneddoti su quelle volte che avevaattraversato il Canale in tempesta, e che si dovevano le-gare i passeggeri nelle cabine, mentre lui e il capitanoerano le sole anime vive a bordo rispettate dal male. Tal-volta era soltanto lui col secondo, bene in gamba; mageneralmente si trattava di lui e di un altro. Se non di luie di un altro, allora di lui solo.

Strano, ma nessuno ha il mal di mare… a terra. Inmare, s’incontrano a iosa persone veramente in cattivecondizioni; se ne incontrano bastimenti pieni; ma in ter-

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cominciò ad assaporare il tè debole coi crostini, e il lu-nedì s’ingozzava già di ristretto di pollo. Lasciò il bat-tello il martedì, e mentre esso s’allontanava in mare fu-mando, l’amico mio dal punto dello sbarco lo seguì conuno sguardo pieno di rimpianto.

— Ecco che se ne va — egli mormorò — ecco che sene va con cinquantotto lire di vitto che m’appartengonoe che io non ho consumate.

Disse che con un altro giorno di tempo avrebbe fattopartita pari.

Così io mi opposi al viaggio di mare. Non, come spie-gai, per me, giacchè non ero mai strano e fantastico, maper téma di Giorgio. Giorgio disse che quanto a lui glisarebbe piaciuto, ma che consigliava me e Harris di nonpensarci, perchè era certo che noi ci saremmo sentitimale. Harris osservò che per lui era un mistero comemai avvenisse a tanti di soffrire il mal di mare – forse lofacevano a bella posta, per affettazione. Lui, per quantoci si fosse provato, non ci era mai riuscito.

Poi ci narrò degli aneddoti su quelle volte che avevaattraversato il Canale in tempesta, e che si dovevano le-gare i passeggeri nelle cabine, mentre lui e il capitanoerano le sole anime vive a bordo rispettate dal male. Tal-volta era soltanto lui col secondo, bene in gamba; mageneralmente si trattava di lui e di un altro. Se non di luie di un altro, allora di lui solo.

Strano, ma nessuno ha il mal di mare… a terra. Inmare, s’incontrano a iosa persone veramente in cattivecondizioni; se ne incontrano bastimenti pieni; ma in ter-

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ra non ho ancora incontrato alcuno che sappia che cosasia il mal di mare. Dove le migliaia e migliaia di cattivimarinai, che sciamano in ogni bastimento, si nasconda-no quando sono in terra è per me un mistero.

Se la maggior parte fossero come un tale che io vidiun giorno sul battello di Yarmouth, questo apparenteenigma potrebbe essere facilmente spiegato. Fu al largodel molo di Southend, ricordo, ed egli si chinava fuorid’uno dei finestrini del bastimento in atteggiamento pe-ricoloso. Corsi da lui per tentar di salvarlo.

— Ehi, venite dentro — dissi, scotendolo per le spal-le. — Cadrete in mare.

— Dio volesse — fu la sola risposta che riuscii a ca-vargli di bocca; e dovetti lasciarlo lì.

Tre settimane dopo, nella sala del caffè d’un albergodi Bath, lo incontrai che parlava dei suoi viaggi e spie-gava, con entusiasmo, come fosse appassionato delmare.

— Buon marinaio! — rispose a una domanda di unmite giovane che lo guardava con occhi ammirati. —Pure una volta, lo confesso, mi sentii un po’ sconcertato.Fu al largo del capo Horn. La mattina appresso il battel-lo era naufragato.

Gli domandai:— Un giorno non vi sentiste un po’ scosso presso il

molo di Southend, tanto da desiderare d’essere gettatoin mare?

— Il molo di Southend! — mi rispose con un’espres-sione impacciata.

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ra non ho ancora incontrato alcuno che sappia che cosasia il mal di mare. Dove le migliaia e migliaia di cattivimarinai, che sciamano in ogni bastimento, si nasconda-no quando sono in terra è per me un mistero.

Se la maggior parte fossero come un tale che io vidiun giorno sul battello di Yarmouth, questo apparenteenigma potrebbe essere facilmente spiegato. Fu al largodel molo di Southend, ricordo, ed egli si chinava fuorid’uno dei finestrini del bastimento in atteggiamento pe-ricoloso. Corsi da lui per tentar di salvarlo.

— Ehi, venite dentro — dissi, scotendolo per le spal-le. — Cadrete in mare.

— Dio volesse — fu la sola risposta che riuscii a ca-vargli di bocca; e dovetti lasciarlo lì.

Tre settimane dopo, nella sala del caffè d’un albergodi Bath, lo incontrai che parlava dei suoi viaggi e spie-gava, con entusiasmo, come fosse appassionato delmare.

— Buon marinaio! — rispose a una domanda di unmite giovane che lo guardava con occhi ammirati. —Pure una volta, lo confesso, mi sentii un po’ sconcertato.Fu al largo del capo Horn. La mattina appresso il battel-lo era naufragato.

Gli domandai:— Un giorno non vi sentiste un po’ scosso presso il

molo di Southend, tanto da desiderare d’essere gettatoin mare?

— Il molo di Southend! — mi rispose con un’espres-sione impacciata.

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— Sì, andando a Yarmouth, tre settimane fa. Era divenerdì.

— Ah, oh… sì — rispose, irradiandosi; — ora ricor-do. Avevo un mal di testa quel giorno. Avevo fatto indi-gestione di sottaceti. I sottaceti più orribili che io avessimai mangiati in un battello rispettabile. E voi non li ave-vate assaggiati?

Per conto mio, io ho scoperto, nell’equilibrarmi, uneccellente preventivo contro il mal di mare. Vi mettetein piedi nel centro del ponte, e, come il bastimento sisolleva e s’abbassa, vi girate col corpo in maniera da te-nervi sempre ritto. Quando la prua si alza, vi chinate inavanti, finchè la tolda vi tocchi quasi il naso; e quandosi alza la poppa, vi appoggiate all’indietro. Questo vabenissimo per un paio d’ore; ma non potete stare a equi-librarvi per tutta una settimana.

Giorgio disse:— Andiamo al fiume.Avremmo avuto aria fresca, moto e quiete: il continuo

mutamento di scena ci avrebbe occupato la mente (com-preso ciò che rimaneva di quella di Harris); e l’attivo la-voro ci avrebbe dato un grande appetito e ci avrebbe fat-to dormire saporitamente.

Harris disse che non credeva che Giorgio dovesse farcosa che avesse la virtù di renderlo più dormiglione diquel che era sempre stato, perchè poteva riuscirgli peri-coloso. Non capiva affatto come Giorgio avrebbe potutodormire più di quanto dormiva di solito, visto che nonv’erano in un giorno che ventiquattr’ore sole, tanto

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— Sì, andando a Yarmouth, tre settimane fa. Era divenerdì.

— Ah, oh… sì — rispose, irradiandosi; — ora ricor-do. Avevo un mal di testa quel giorno. Avevo fatto indi-gestione di sottaceti. I sottaceti più orribili che io avessimai mangiati in un battello rispettabile. E voi non li ave-vate assaggiati?

Per conto mio, io ho scoperto, nell’equilibrarmi, uneccellente preventivo contro il mal di mare. Vi mettetein piedi nel centro del ponte, e, come il bastimento sisolleva e s’abbassa, vi girate col corpo in maniera da te-nervi sempre ritto. Quando la prua si alza, vi chinate inavanti, finchè la tolda vi tocchi quasi il naso; e quandosi alza la poppa, vi appoggiate all’indietro. Questo vabenissimo per un paio d’ore; ma non potete stare a equi-librarvi per tutta una settimana.

Giorgio disse:— Andiamo al fiume.Avremmo avuto aria fresca, moto e quiete: il continuo

mutamento di scena ci avrebbe occupato la mente (com-preso ciò che rimaneva di quella di Harris); e l’attivo la-voro ci avrebbe dato un grande appetito e ci avrebbe fat-to dormire saporitamente.

Harris disse che non credeva che Giorgio dovesse farcosa che avesse la virtù di renderlo più dormiglione diquel che era sempre stato, perchè poteva riuscirgli peri-coloso. Non capiva affatto come Giorgio avrebbe potutodormire più di quanto dormiva di solito, visto che nonv’erano in un giorno che ventiquattr’ore sole, tanto

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d’estate che d’inverno: se avesse dormito di più, tantovaleva che si decidesse a morire, risparmiandosi così ilvitto e l’alloggio.

Harris aggiunse, però, che il fiume gli andava perfet-tamente a capello. Calzava perfettamente a capello an-che a me, e Harris e io convenimmo che l’idea di Gior-gio era buona, e in un tono che sembrava in qualchemodo implicare che eravamo sorpresi dell’accorgimentodi Giorgio.

Il solo a cui la cosa non piacque fu Montmorency.Del fiume non ne voleva mai sapere, Montmorency.

— Va bene per voi — egli disse — a voi piace, ma ame no. Per me non v’è nulla da fare. Il panorama non èil mio genere. Se io veggo un topo, voi non vi fermate; ese io mi addormento, voi cominciate a baloccarvi con labarca, e mi buttate in acqua. Se volete sapere il mio pa-rere, io vi dichiaro che commettete una vera stupidità.

Eravamo tre contro uno, però; e la mozione fu appro-vata.

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d’estate che d’inverno: se avesse dormito di più, tantovaleva che si decidesse a morire, risparmiandosi così ilvitto e l’alloggio.

Harris aggiunse, però, che il fiume gli andava perfet-tamente a capello. Calzava perfettamente a capello an-che a me, e Harris e io convenimmo che l’idea di Gior-gio era buona, e in un tono che sembrava in qualchemodo implicare che eravamo sorpresi dell’accorgimentodi Giorgio.

Il solo a cui la cosa non piacque fu Montmorency.Del fiume non ne voleva mai sapere, Montmorency.

— Va bene per voi — egli disse — a voi piace, ma ame no. Per me non v’è nulla da fare. Il panorama non èil mio genere. Se io veggo un topo, voi non vi fermate; ese io mi addormento, voi cominciate a baloccarvi con labarca, e mi buttate in acqua. Se volete sapere il mio pa-rere, io vi dichiaro che commettete una vera stupidità.

Eravamo tre contro uno, però; e la mozione fu appro-vata.

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CAPITOLO II.

I piani discussi. – Il piacere del riposo all’aperto nelle notti sere-ne. – Idem nelle notti piovose. – L’accordo. – Le prime im-pressioni di Montmorency. – Timori ch’egli sia troppo buonoper questo mondo; timori poi abbandonati perchè senza fonda-mento. – La riunione si aggiorna.

Cavammo fuori le carte, e discutemmo i piani.Stabilimmo di partire il sabato seguente da Kingston.

Harris e io saremmo andati giù nella mattinata a condur-re la barca a Chertsey, e Giorgio, che non avrebbe potu-to uscir da Londra se non nel pomeriggio (Giorgio va adormire in una banca dalle dieci alle quattro, tutti i gior-ni, tranne il sabato, che dev’esser svegliato e messo fuo-ri alle due), ci avrebbe raggiunti colà.

Ci saremmo accampati all’aperto o avremmo dormitonegli alberghi?

Giorgio e io ci dichiarammo per l’accampamentoall’aperto. Saremmo stati così soli e liberi; così patriar-cali, inoltre!

Pian piano la memoria aurea del sole morto svaniscedai cuori delle nuvole tristi e fredde. Silenziosi, comefanciulli afflitti, gli uccelli hanno cessato di cantare, esoltanto il grido lamentoso della gallinella d’acqua e ilrauco grido della pernice turbano il religioso silenzio in-torno al letto delle onde sulle quali il giorno morente dàl’ultimo respiro.

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CAPITOLO II.

I piani discussi. – Il piacere del riposo all’aperto nelle notti sere-ne. – Idem nelle notti piovose. – L’accordo. – Le prime im-pressioni di Montmorency. – Timori ch’egli sia troppo buonoper questo mondo; timori poi abbandonati perchè senza fonda-mento. – La riunione si aggiorna.

Cavammo fuori le carte, e discutemmo i piani.Stabilimmo di partire il sabato seguente da Kingston.

Harris e io saremmo andati giù nella mattinata a condur-re la barca a Chertsey, e Giorgio, che non avrebbe potu-to uscir da Londra se non nel pomeriggio (Giorgio va adormire in una banca dalle dieci alle quattro, tutti i gior-ni, tranne il sabato, che dev’esser svegliato e messo fuo-ri alle due), ci avrebbe raggiunti colà.

Ci saremmo accampati all’aperto o avremmo dormitonegli alberghi?

Giorgio e io ci dichiarammo per l’accampamentoall’aperto. Saremmo stati così soli e liberi; così patriar-cali, inoltre!

Pian piano la memoria aurea del sole morto svaniscedai cuori delle nuvole tristi e fredde. Silenziosi, comefanciulli afflitti, gli uccelli hanno cessato di cantare, esoltanto il grido lamentoso della gallinella d’acqua e ilrauco grido della pernice turbano il religioso silenzio in-torno al letto delle onde sulle quali il giorno morente dàl’ultimo respiro.

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Dalle selve oscure sull’una e l’altra riva, l’esercitospettrale della notte, le grige ombre, scivolano con tacitopasso a scacciare la retroguardia della luce che s’attarda,e passano con silenziosi e invisibili piedi sulle piante ac-quatiche ondeggianti e attraverso i giunchi sospirosi; ela notte, dal suo fosco trono, ripiega le ali nere sopra ilmondo abbuiato, e regna in calma dal suo fantastico pa-lazzo.

Allora noi guidiamo la nostra piccola imbarcazione inun tranquillo recesso, e viene piantata la tenda, e la cenafrugale cucinata e mangiata. Si caricano le grosse pipe esi accendono, e si chiacchiera allegramente sottovoce,mentre negl’intervalli della conversazione, il fiume, tra-stullandosi intorno alla barca, mormora e strane fiabe esegreti, intona piano la vecchia canzone infantile che hacantato per tante migliaia d’anni, e canterà ancora pertante migliaia d’anni, prima che la voce gli diventi rocae vecchia – una canzone della quale noi, che abbiamoimparato ad amare il suo viso mutevole, e che ci siamorannicchiati così presso nel suo seno compiacente, cre-diamo a ogni modo di comprendere il senso, benchè nonsapremmo dire in chiare parole la storia che essa ci nar-ra.

E ci sediamo sul margine del fiume, mentre la luna,che anche lo ama, si china a baciarlo con un bacio di so-rella, e lo allaccia con le sue braccia d’argento. E loguardiamo correre, sempre cantando, sempre bisbiglian-do, incontro al suo re, il mare – finchè le note voci si di-leguano nel silenzio, e le pipe si spengono – finchè noi,

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Dalle selve oscure sull’una e l’altra riva, l’esercitospettrale della notte, le grige ombre, scivolano con tacitopasso a scacciare la retroguardia della luce che s’attarda,e passano con silenziosi e invisibili piedi sulle piante ac-quatiche ondeggianti e attraverso i giunchi sospirosi; ela notte, dal suo fosco trono, ripiega le ali nere sopra ilmondo abbuiato, e regna in calma dal suo fantastico pa-lazzo.

Allora noi guidiamo la nostra piccola imbarcazione inun tranquillo recesso, e viene piantata la tenda, e la cenafrugale cucinata e mangiata. Si caricano le grosse pipe esi accendono, e si chiacchiera allegramente sottovoce,mentre negl’intervalli della conversazione, il fiume, tra-stullandosi intorno alla barca, mormora e strane fiabe esegreti, intona piano la vecchia canzone infantile che hacantato per tante migliaia d’anni, e canterà ancora pertante migliaia d’anni, prima che la voce gli diventi rocae vecchia – una canzone della quale noi, che abbiamoimparato ad amare il suo viso mutevole, e che ci siamorannicchiati così presso nel suo seno compiacente, cre-diamo a ogni modo di comprendere il senso, benchè nonsapremmo dire in chiare parole la storia che essa ci nar-ra.

E ci sediamo sul margine del fiume, mentre la luna,che anche lo ama, si china a baciarlo con un bacio di so-rella, e lo allaccia con le sue braccia d’argento. E loguardiamo correre, sempre cantando, sempre bisbiglian-do, incontro al suo re, il mare – finchè le note voci si di-leguano nel silenzio, e le pipe si spengono – finchè noi,

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abbastanza comuni e pari a tanti altri, ci sentiamo stra-namente pieni di pensieri, mezzo malinconici, mezzodolci, e non ci curiamo o non sentiamo il bisogno di par-lare – finchè ridiamo, e, alzandoci, scotiamo la ceneredelle pipe spente, e ci diciamo «buona notte», e, cullatidal gorgoglio delle acque e dallo stormire delle frondi,cadiamo addormentati sotto le grandi, calme stelle, e so-gniamo che la terra sia di bel nuovo giovane – giovane edolce come soleva essere prima che secoli di tristezza edi affanni le solcassero la bella faccia, prima che i pec-cati e le follie dei suoi figliuoli le invecchiassero il cuo-re affettuoso – giovane e dolce com’era nei giorni remo-ti in cui, madre novella, ci nutriva, al proprio profondopetto – prima che gli artefici d’una simulata civiltà ci al-lontanassero dalle sue braccia d’amore, e i truci sogghi-gni della convenzione ci rendessero vergognosi dellavita semplice che conducevamo con lei, e della sempli-ce, sublime casa dove l’umanità nacque tante migliaiad’anni fa.

Harris disse— E quando piove?Noi non possiamo mai scuotere Harris. Non v’è om-

bra di poesia in Harris – in lui mai un acuto desideriodell’irraggiungibile. Mai una volta che Harris «pianga,chi sa mai perchè». Se gli occhi di Harris si riempionodi lagrime, si può scommettere che ha mangiato cipollecrude, o che ha sparso troppo pepe di Caienna, sulla suacostoletta.

Se uno, trovandosi di notte sulla riva del mare con

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abbastanza comuni e pari a tanti altri, ci sentiamo stra-namente pieni di pensieri, mezzo malinconici, mezzodolci, e non ci curiamo o non sentiamo il bisogno di par-lare – finchè ridiamo, e, alzandoci, scotiamo la ceneredelle pipe spente, e ci diciamo «buona notte», e, cullatidal gorgoglio delle acque e dallo stormire delle frondi,cadiamo addormentati sotto le grandi, calme stelle, e so-gniamo che la terra sia di bel nuovo giovane – giovane edolce come soleva essere prima che secoli di tristezza edi affanni le solcassero la bella faccia, prima che i pec-cati e le follie dei suoi figliuoli le invecchiassero il cuo-re affettuoso – giovane e dolce com’era nei giorni remo-ti in cui, madre novella, ci nutriva, al proprio profondopetto – prima che gli artefici d’una simulata civiltà ci al-lontanassero dalle sue braccia d’amore, e i truci sogghi-gni della convenzione ci rendessero vergognosi dellavita semplice che conducevamo con lei, e della sempli-ce, sublime casa dove l’umanità nacque tante migliaiad’anni fa.

Harris disse— E quando piove?Noi non possiamo mai scuotere Harris. Non v’è om-

bra di poesia in Harris – in lui mai un acuto desideriodell’irraggiungibile. Mai una volta che Harris «pianga,chi sa mai perchè». Se gli occhi di Harris si riempionodi lagrime, si può scommettere che ha mangiato cipollecrude, o che ha sparso troppo pepe di Caienna, sulla suacostoletta.

Se uno, trovandosi di notte sulla riva del mare con

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Harris, gli dicesse: — Odi? Non son le sirene che canta-no nel seno profondo delle onde, o gli spiriti maligniche intonano inni funebri su pallidi cadaveri impigliatinelle alghe? — Harris lo piglierebbe per il braccio, e ri-sponderebbe: — So io di che si tratta, amico. Tu sei feb-bricitante. Ora vieni con me. So un posticino qui allacantonata, dove si può avere un sorso del più squisito li-quore immaginabile, e ti sentirai subito meglio.

Harris conosce sempre un posticino alla cantonatadove si può avere qualche sorso del più squisito liquoreimmaginabile. Credo che se si incontrasse Harris in Pa-radiso (immaginando la probabilità d’una cosa simile),vi saluterebbe immediatamente con un: — Oh che pia-cere che sei venuto, amico bello; ho trovato un posticinoqui alla cantonata, dove si può bere un nettare strafino.

Nel caso di cui ora si tratta, però, riguardo all’accam-pamento all’aperto, egli accennò opportunamente allapoca praticità dell’idea. Essere all’aperto col tempo pio-voso non è piacevole.

È sera. Vi siete bagnato tutto, e nella barca vi sonocinque centimetri d’acqua, e nulla che non sia inzuppa-to. Trovate un posto sulla riva che non è così infangatocome gli altri, e approdate e tirate fuori la tenda, e duedella brigata si dispongono a piantarla.

La tenda è pesante e fradicia d’acqua, e si rovescia evi precipita addosso, e vi s’aggrappa intorno alla testafacendovi ammattire. Intanto continua a piovere violen-temente. È abbastanza difficile piantare una tenda coltempo asciutto; con la pioggia, il compito diventa ercu-

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Harris, gli dicesse: — Odi? Non son le sirene che canta-no nel seno profondo delle onde, o gli spiriti maligniche intonano inni funebri su pallidi cadaveri impigliatinelle alghe? — Harris lo piglierebbe per il braccio, e ri-sponderebbe: — So io di che si tratta, amico. Tu sei feb-bricitante. Ora vieni con me. So un posticino qui allacantonata, dove si può avere un sorso del più squisito li-quore immaginabile, e ti sentirai subito meglio.

Harris conosce sempre un posticino alla cantonatadove si può avere qualche sorso del più squisito liquoreimmaginabile. Credo che se si incontrasse Harris in Pa-radiso (immaginando la probabilità d’una cosa simile),vi saluterebbe immediatamente con un: — Oh che pia-cere che sei venuto, amico bello; ho trovato un posticinoqui alla cantonata, dove si può bere un nettare strafino.

Nel caso di cui ora si tratta, però, riguardo all’accam-pamento all’aperto, egli accennò opportunamente allapoca praticità dell’idea. Essere all’aperto col tempo pio-voso non è piacevole.

È sera. Vi siete bagnato tutto, e nella barca vi sonocinque centimetri d’acqua, e nulla che non sia inzuppa-to. Trovate un posto sulla riva che non è così infangatocome gli altri, e approdate e tirate fuori la tenda, e duedella brigata si dispongono a piantarla.

La tenda è pesante e fradicia d’acqua, e si rovescia evi precipita addosso, e vi s’aggrappa intorno alla testafacendovi ammattire. Intanto continua a piovere violen-temente. È abbastanza difficile piantare una tenda coltempo asciutto; con la pioggia, il compito diventa ercu-

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leo. Vi sembra che il compagno, invece di aiutarvi, si di-verta semplicemente a crearvi delle difficoltà. Nel mo-mento che l’avete bravamente fissata dal lato vostro,egli la solleva per il lembo che ha in mano lui, e guastatutto.

— Ehi, che cosa fai? — gridate.— Che fai tu? — egli ribatte. — Vuoi lasciar andare?— Non tirare; l’hai rovinata tutta, asino che non sei

altro! — v’infuriate.— Io non ho rovinato niente! — vi latra in risposta;

— allenta dalla tua parte.— Ti dico che hai rovinato tutto! — ruggite, deside-

rando d’aver l’amico nelle mani; e intanto date unostrappo alle corde, e spiantate tutti i pioli dall’altra par-te.

— Ah, lo squisito idiota! — udite brontolare dal com-pagno; e allora accade una violenta scossa e salta il vo-stro lato. Gettate via il martello e balzate in giro peresprimere all’amico la vostra opinione in tutta quellafaccenda; mentre, nell’atto stesso, egli balza in giro nel-la medesima direzione per venirvi a spiegare la sua. E viseguite l’un l’altro, intorno alla tenda, scagliandovi im-precazioni a gara, finchè tutto va a catafascio, e rimane-te a fissarvi fra le ruine, esclamando indignati nello stes-so istante

— Lo vedi ora? Non te l’avevo detto?Intanto il terzo compagno, che s’è affannato a vuotar

la barca dell’acqua, riversandosela tutta nella manica ebestemmiando continuamente negli ultimi dieci minuti,

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leo. Vi sembra che il compagno, invece di aiutarvi, si di-verta semplicemente a crearvi delle difficoltà. Nel mo-mento che l’avete bravamente fissata dal lato vostro,egli la solleva per il lembo che ha in mano lui, e guastatutto.

— Ehi, che cosa fai? — gridate.— Che fai tu? — egli ribatte. — Vuoi lasciar andare?— Non tirare; l’hai rovinata tutta, asino che non sei

altro! — v’infuriate.— Io non ho rovinato niente! — vi latra in risposta;

— allenta dalla tua parte.— Ti dico che hai rovinato tutto! — ruggite, deside-

rando d’aver l’amico nelle mani; e intanto date unostrappo alle corde, e spiantate tutti i pioli dall’altra par-te.

— Ah, lo squisito idiota! — udite brontolare dal com-pagno; e allora accade una violenta scossa e salta il vo-stro lato. Gettate via il martello e balzate in giro peresprimere all’amico la vostra opinione in tutta quellafaccenda; mentre, nell’atto stesso, egli balza in giro nel-la medesima direzione per venirvi a spiegare la sua. E viseguite l’un l’altro, intorno alla tenda, scagliandovi im-precazioni a gara, finchè tutto va a catafascio, e rimane-te a fissarvi fra le ruine, esclamando indignati nello stes-so istante

— Lo vedi ora? Non te l’avevo detto?Intanto il terzo compagno, che s’è affannato a vuotar

la barca dell’acqua, riversandosela tutta nella manica ebestemmiando continuamente negli ultimi dieci minuti,

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vuol sapere a che maledetto giuoco state giocando, eperchè quella maledetta tenda non è ancora piantata.

Infine, in un modo o nell’altro, la tenda è piantata, evi trasportate gli utensili. Siccome è inutile tentar di ac-cendere un fuoco di legna, accendete il fornello a spiritodenaturato, intorno a cui vi date da fare.

L’acqua piovana è il principale ingrediente del vitto acena. Il pane è per due terzi acqua piovana, il pasticciodi carne ne è fradicio, e la marmellata, il burro, il sale eil caffè si son tutti alleati con essa per far la minestra.

Dopo cena, si trova che il tabacco è umido, e non sipuò fumare. Fortunatamente c’è una bottiglia di ciò che,preso in giusta quantità, rallegra e inebria; ed è la solacosa che riesce a ridestarvi tanto interesse nella vita damandarvi a letto.

Vi sognate che un elefante vi s’è improvvisamente se-duto sul petto, e che un vulcano ha esploso scagliandovinel fondo del mare – l’elefante continua tranquillamentea dormirvi in seno. Vi svegliate e credete che realmentesia accaduto chi sa che cosa di terribile. La prima im-pressione è che sia la fine del mondo, e poi si pensa chenon può essere, e che si tratti di ladri, o di assassini o diun incendio, invece, e questa opinione si esprime nellamaniera consueta. Nessuno accorre in aiuto, però, e tut-to ciò che sapete è che centinaia di persone vi pigliano acalci e che siete soffocato.

Sembra, inoltre, che qualche altro soffra la stessa di-sgrazia. Sentite che delle deboli grida si levano di sottoil vostro letto. Proponendovi, in ogni caso, di vender

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vuol sapere a che maledetto giuoco state giocando, eperchè quella maledetta tenda non è ancora piantata.

Infine, in un modo o nell’altro, la tenda è piantata, evi trasportate gli utensili. Siccome è inutile tentar di ac-cendere un fuoco di legna, accendete il fornello a spiritodenaturato, intorno a cui vi date da fare.

L’acqua piovana è il principale ingrediente del vitto acena. Il pane è per due terzi acqua piovana, il pasticciodi carne ne è fradicio, e la marmellata, il burro, il sale eil caffè si son tutti alleati con essa per far la minestra.

Dopo cena, si trova che il tabacco è umido, e non sipuò fumare. Fortunatamente c’è una bottiglia di ciò che,preso in giusta quantità, rallegra e inebria; ed è la solacosa che riesce a ridestarvi tanto interesse nella vita damandarvi a letto.

Vi sognate che un elefante vi s’è improvvisamente se-duto sul petto, e che un vulcano ha esploso scagliandovinel fondo del mare – l’elefante continua tranquillamentea dormirvi in seno. Vi svegliate e credete che realmentesia accaduto chi sa che cosa di terribile. La prima im-pressione è che sia la fine del mondo, e poi si pensa chenon può essere, e che si tratti di ladri, o di assassini o diun incendio, invece, e questa opinione si esprime nellamaniera consueta. Nessuno accorre in aiuto, però, e tut-to ciò che sapete è che centinaia di persone vi pigliano acalci e che siete soffocato.

Sembra, inoltre, che qualche altro soffra la stessa di-sgrazia. Sentite che delle deboli grida si levano di sottoil vostro letto. Proponendovi, in ogni caso, di vender

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cara la vita, lottate eroicamente, picchiando a destra e asinistra, con le braccia e le gambe, e latrando forte nelfrattempo, finchè qualcosa cede, e sbucate con la testaall’aria fresca. Un paio di metri lontano, scorgete oscu-ramente un brigante seminudo che aspetta per ammaz-zarvi, e vi preparate per una lotta a sangue, quando co-mincia a balenarvi in niente che sia l’amico Gianni.

— Ah, sei tu? — egli dice, riconoscendovi nello stes-so momento.

— Sì — rispondete, stropicciandovi gli occhi — cheè accaduto?

— Credo che sia andata in aria la tenda — egli dice.— Dov’è Guglielmo?

Allora voi due vi mettete a chiamar forte Guglielmo,e il suolo al di sotto si solleva e barcolla, e la voce sof-focata, che avete sentito prima, risponde di sotto le ma-cerie:

— Presto, liberatemi la testa!E Guglielmo si divincola, ed esce fuori tutto pesto e

infangato, e in atto abbastanza aggressivo, giacchè hal’impressione che tutta la faccenda sia stata a bella postatramata contro di lui.

Nella mattinata siete tutti e tre muti, per il forte raf-freddore che vi siete beccato durante la notte, e spinti daun umore litigioso, imprecate l’uno contro l’altro in rau-chi bisbigli per tutto il tempo della colazione,

Deliberammo perciò di dormire all’aperto nelle nottiserene, e di andare negli alberghi, nelle locande, neglialloggi e stallaggi, da persone rispettabili quali eravamo,

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cara la vita, lottate eroicamente, picchiando a destra e asinistra, con le braccia e le gambe, e latrando forte nelfrattempo, finchè qualcosa cede, e sbucate con la testaall’aria fresca. Un paio di metri lontano, scorgete oscu-ramente un brigante seminudo che aspetta per ammaz-zarvi, e vi preparate per una lotta a sangue, quando co-mincia a balenarvi in niente che sia l’amico Gianni.

— Ah, sei tu? — egli dice, riconoscendovi nello stes-so momento.

— Sì — rispondete, stropicciandovi gli occhi — cheè accaduto?

— Credo che sia andata in aria la tenda — egli dice.— Dov’è Guglielmo?

Allora voi due vi mettete a chiamar forte Guglielmo,e il suolo al di sotto si solleva e barcolla, e la voce sof-focata, che avete sentito prima, risponde di sotto le ma-cerie:

— Presto, liberatemi la testa!E Guglielmo si divincola, ed esce fuori tutto pesto e

infangato, e in atto abbastanza aggressivo, giacchè hal’impressione che tutta la faccenda sia stata a bella postatramata contro di lui.

Nella mattinata siete tutti e tre muti, per il forte raf-freddore che vi siete beccato durante la notte, e spinti daun umore litigioso, imprecate l’uno contro l’altro in rau-chi bisbigli per tutto il tempo della colazione,

Deliberammo perciò di dormire all’aperto nelle nottiserene, e di andare negli alberghi, nelle locande, neglialloggi e stallaggi, da persone rispettabili quali eravamo,

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nelle notti di pioggia, o tutte le volte che ci sentissimodisposti a cambiare.

Montmorency salutò questo accordo con viva appro-vazione. Esso non apprezza la solitudine romantica. Da-tegli qualche cosa di rumoroso, che tanto più gli piaceràquanto più sarà volgare. Guardando Montmorency, im-maginereste che fosse un angelo mandato in terra, peruna ragione impenetrabile all’umanità, sotto la specied’un piccolo fox-terrier. Par che Montmorency dica colsuo aspetto: — Oh che malvagio mondo che è questo, ecome vorrei farlo migliore e più nobile! — un’espres-sione da far spuntare le lacrime agli occhi di tutte levecchie bigotte.

Dal primo giorno che cominciò a vivere a mie spese,pensai che non sarei stato in grado di tenerlo per moltotempo. Solevo star seduto a considerarlo, mentre essomi fissava dal tappeto, e mi dicevo: — Questo cane noncamperà; sarà rapito nei lucenti cieli in una carretta.Ecco ciò che gli capiterà.

Ma, dopo ch’ebbi pagato per una dozzina di pulcinida lui uccisi, e lo ebbi tratto fuori, digrignante e riottoso,per la pelle del collo, da un centinaio di mischie, ed ebbiveduto un gatto morto portato al mio esame da una fem-mina irata, che mi diede dell’assassino; dopo che fui ci-tato, per aver mandato in giro un cane feroce, da un vi-cino, che era rimasto confitto, per due ore di una rigidanotte, nel bugigattolo dei suoi strumenti agricoli, temen-do di avventurare il naso fuori dell’uscio, ed ebbi appre-so che il giardiniere, a mia insaputa, s’era guadagnato

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nelle notti di pioggia, o tutte le volte che ci sentissimodisposti a cambiare.

Montmorency salutò questo accordo con viva appro-vazione. Esso non apprezza la solitudine romantica. Da-tegli qualche cosa di rumoroso, che tanto più gli piaceràquanto più sarà volgare. Guardando Montmorency, im-maginereste che fosse un angelo mandato in terra, peruna ragione impenetrabile all’umanità, sotto la specied’un piccolo fox-terrier. Par che Montmorency dica colsuo aspetto: — Oh che malvagio mondo che è questo, ecome vorrei farlo migliore e più nobile! — un’espres-sione da far spuntare le lacrime agli occhi di tutte levecchie bigotte.

Dal primo giorno che cominciò a vivere a mie spese,pensai che non sarei stato in grado di tenerlo per moltotempo. Solevo star seduto a considerarlo, mentre essomi fissava dal tappeto, e mi dicevo: — Questo cane noncamperà; sarà rapito nei lucenti cieli in una carretta.Ecco ciò che gli capiterà.

Ma, dopo ch’ebbi pagato per una dozzina di pulcinida lui uccisi, e lo ebbi tratto fuori, digrignante e riottoso,per la pelle del collo, da un centinaio di mischie, ed ebbiveduto un gatto morto portato al mio esame da una fem-mina irata, che mi diede dell’assassino; dopo che fui ci-tato, per aver mandato in giro un cane feroce, da un vi-cino, che era rimasto confitto, per due ore di una rigidanotte, nel bugigattolo dei suoi strumenti agricoli, temen-do di avventurare il naso fuori dell’uscio, ed ebbi appre-so che il giardiniere, a mia insaputa, s’era guadagnato

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una cinquantina di lire con l’addestrare Montmorencyad ammazzare topi in un tempo dato, allora cominciai apensare che dopo tutto, lo avrebbero fatto rimanere interra un po’ più a lungo.

Gironzare intorno alle stalle, raccogliere un brancodei peggiori cani che errano per la città e condurli per ipiù miserabili quartieri a combattere contro altri canidella stessa risma, è l’idea che della vita si fa Montmo-rency; e così, come ho già osservato, esso diede allaproposta degli alberghi, delle locande e degli alloggi estallaggi, la sua più energica approvazione.

Prese, quindi, le disposizioni del ricetto notturno consoddisfazione di tutti e quattro, la sola cosa alla quale ri-maneva da provvedere era ciò che avremmo portato connoi; e s’era cominciato già a discutere, quando Harrisdisse che aveva già speso abbastanza oratoria per quellasera, e che ci proponeva di uscire, perchè aveva trovatoun posticino sulla cantonata della piazzetta, dove si po-teva bere un sorso di nettare degno degli dei.

Giorgio disse che si sentiva assetato (mai una voltache Giorgio non abbia sete); e siccome io avevo un pre-sentimento che un po’ di alcool caldo, con una fettina dilimone, avrebbe lenito il mio male, la discussione fu, dicomune accordo, rimandata alla sera seguente; el’assemblea si mise il cappello e uscì.

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una cinquantina di lire con l’addestrare Montmorencyad ammazzare topi in un tempo dato, allora cominciai apensare che dopo tutto, lo avrebbero fatto rimanere interra un po’ più a lungo.

Gironzare intorno alle stalle, raccogliere un brancodei peggiori cani che errano per la città e condurli per ipiù miserabili quartieri a combattere contro altri canidella stessa risma, è l’idea che della vita si fa Montmo-rency; e così, come ho già osservato, esso diede allaproposta degli alberghi, delle locande e degli alloggi estallaggi, la sua più energica approvazione.

Prese, quindi, le disposizioni del ricetto notturno consoddisfazione di tutti e quattro, la sola cosa alla quale ri-maneva da provvedere era ciò che avremmo portato connoi; e s’era cominciato già a discutere, quando Harrisdisse che aveva già speso abbastanza oratoria per quellasera, e che ci proponeva di uscire, perchè aveva trovatoun posticino sulla cantonata della piazzetta, dove si po-teva bere un sorso di nettare degno degli dei.

Giorgio disse che si sentiva assetato (mai una voltache Giorgio non abbia sete); e siccome io avevo un pre-sentimento che un po’ di alcool caldo, con una fettina dilimone, avrebbe lenito il mio male, la discussione fu, dicomune accordo, rimandata alla sera seguente; el’assemblea si mise il cappello e uscì.

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CAPITOLO III.

Le disposizioni prese. – Il metodo di lavoro di Harris. – Come ilpadre di famiglia appende un quadro. – Giorgio fa un’osserva-zione accorta. – Delizia del bagno mattutino. – In caso di rove-sci.

Così, la sera seguente, ci riunimmo di nuovo, per di-scutere ed elaborare i nostri piani. Harris disse:

— Ora, la prima cosa da stabilire è ciò che bisognaportarci. Tu, Gerolamo, piglia un pezzo di carta e scrivi;e tu, Giorgio, piglia il catalogo della drogheria, e datemiun pezzetto di lapis, chè farò la lista.

Questo è tutto Harris – così pronto ad assumersil’onere di ogni cosa e poi di addossarlo agli altri.

Egli mi fa venire sempre in mente il mio povero zioPodger. In vita mia non avevo visto mai tanto trambustoin una casa, come nel momento che mio zio Podger siaccingeva a far qualche cosa. Un quadro era ritornatodal negoziante di cornici, ed era stato lasciato ritto con-tro una parete della sala da pranzo aspettando d’essereappeso. La zia domandava che cosa si doveva farne, e lozio diceva:

— Lascia fare a me. Nessuno di voi s’impicci delquadro. Farò tutto io.

E allora si cavava la giacca, e cominciava. Mandava,la fantesca a comprare cinquanta centesimi di chiodi, e

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CAPITOLO III.

Le disposizioni prese. – Il metodo di lavoro di Harris. – Come ilpadre di famiglia appende un quadro. – Giorgio fa un’osserva-zione accorta. – Delizia del bagno mattutino. – In caso di rove-sci.

Così, la sera seguente, ci riunimmo di nuovo, per di-scutere ed elaborare i nostri piani. Harris disse:

— Ora, la prima cosa da stabilire è ciò che bisognaportarci. Tu, Gerolamo, piglia un pezzo di carta e scrivi;e tu, Giorgio, piglia il catalogo della drogheria, e datemiun pezzetto di lapis, chè farò la lista.

Questo è tutto Harris – così pronto ad assumersil’onere di ogni cosa e poi di addossarlo agli altri.

Egli mi fa venire sempre in mente il mio povero zioPodger. In vita mia non avevo visto mai tanto trambustoin una casa, come nel momento che mio zio Podger siaccingeva a far qualche cosa. Un quadro era ritornatodal negoziante di cornici, ed era stato lasciato ritto con-tro una parete della sala da pranzo aspettando d’essereappeso. La zia domandava che cosa si doveva farne, e lozio diceva:

— Lascia fare a me. Nessuno di voi s’impicci delquadro. Farò tutto io.

E allora si cavava la giacca, e cominciava. Mandava,la fantesca a comprare cinquanta centesimi di chiodi, e

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poi uno dei bambini che la raggiungesse per dirle di chedimensione dovevano essere, e dopo imprendeva grada-tamente a mettere in moto tutta la casa.

— Ora, tu, Guglielmo, va a pigliarmi il martello —gridava — e tu Tommasino, va a pigliarmi la squadra; em’occorrerà anche la scaletta, e forse sarà meglio unasedia di cucina. Tu, Gianni, fa due salti dal signor Gog-gles; digli: — Tanti saluti da parte di papà, e come statecon le gambe? — e se mi vuol prestare il livello. E tu,Maria, non te ne andare, perchè ho bisogno che qualcu-no mi tenga la candela; e quando ritorna la fantesca,deve andare a comprare un pezzo di cordone; e, Tom-masino!… dov’è Tommasino?… Tommasino, vieni qui;piglia il quadro e dammelo!

E allora il quadro sollevato gli cadeva di mano, e sal-tava dalla cornice, ed egli, per salvare il vetro, si taglia-va un dito; e allora si metteva a saltare per la stanza,cercando il fazzoletto. Non poteva trovare il fazzoletto,perchè l’aveva nella tasca della giacca, e non sapevadove aveva lasciata la giacca, e tutti di casa dovevanointerrompere la ricerca degli strumenti e cominciare acercar la giacca, mentr’egli intanto seguitava a saltare ingiro, impacciandoli.

— Sa nessuno in tutta la casa dov’è la mia giacca?Non m’è capitato mai di vedere gente simile! Siete insei!… e non siete capaci di trovare una giacca che mison cavata, cinque minuti fa!… Quant’è vero…

In quel momento era seduto, e scoprendo di star soprala giacca, gridava:

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poi uno dei bambini che la raggiungesse per dirle di chedimensione dovevano essere, e dopo imprendeva grada-tamente a mettere in moto tutta la casa.

— Ora, tu, Guglielmo, va a pigliarmi il martello —gridava — e tu Tommasino, va a pigliarmi la squadra; em’occorrerà anche la scaletta, e forse sarà meglio unasedia di cucina. Tu, Gianni, fa due salti dal signor Gog-gles; digli: — Tanti saluti da parte di papà, e come statecon le gambe? — e se mi vuol prestare il livello. E tu,Maria, non te ne andare, perchè ho bisogno che qualcu-no mi tenga la candela; e quando ritorna la fantesca,deve andare a comprare un pezzo di cordone; e, Tom-masino!… dov’è Tommasino?… Tommasino, vieni qui;piglia il quadro e dammelo!

E allora il quadro sollevato gli cadeva di mano, e sal-tava dalla cornice, ed egli, per salvare il vetro, si taglia-va un dito; e allora si metteva a saltare per la stanza,cercando il fazzoletto. Non poteva trovare il fazzoletto,perchè l’aveva nella tasca della giacca, e non sapevadove aveva lasciata la giacca, e tutti di casa dovevanointerrompere la ricerca degli strumenti e cominciare acercar la giacca, mentr’egli intanto seguitava a saltare ingiro, impacciandoli.

— Sa nessuno in tutta la casa dov’è la mia giacca?Non m’è capitato mai di vedere gente simile! Siete insei!… e non siete capaci di trovare una giacca che mison cavata, cinque minuti fa!… Quant’è vero…

In quel momento era seduto, e scoprendo di star soprala giacca, gridava:

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— È inutile che andiate in giro. L’ho trovata da me.Rivolgermi a voi perchè troviate qualche cosa, è comedirlo al gatto.

E, dopo ch’aveva impiegato mezz’ora a legarsi l’indi-ce, ed era stato trovato un altro vetro, e gli strumenti, ela scala, e la sedia e la candela erano lì pronti, comincia-va un altro divertimento: chè tutta la famiglia, compresala fantesca e la donna a giornata, doveva assistere in se-micerchio, pronta a dare una mano. Due persone dove-vano reggere la sedia, una terza doveva consegnargli unchiodo, una quarta passargli il martello; e lui, pigliandoin consegna il chiodo, lo lasciava cadere.

— Ecco — diceva, in tono d’offesa — è caduto ilchiodo!

E tutti dovevamo inginocchiarci a cercarlo,mentr’egli se ne stava ritto sulla sedia a brontolare, e adomandarsi se doveva rimaner lì tutta la sera.

Il chiodo veniva finalmente scovato, ma intanto luiaveva perduto il martello.

— Dov’è il martello? Che n’ho fatto del martello?Giusto cielo! Ve ne state lì in sette a bocca aperta, e nonsapete che cosa n’ho fatto del martello!

Gli trovavamo il martello; e intanto aveva perso di vi-sta il segno da lui fatto sulla parete, per configgervi ilchiodo; e ciascuno doveva a turno salire accanto a luisulla sedia per cercar di trovare il segno; e ciascuno loscopriva in un punto diverso; e lui ci chiamava stupidi,l’uno dopo l’altro, ordinandoci di scendere. E prendevala squadra, per prender le misure un’altra volta, e tro-

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— È inutile che andiate in giro. L’ho trovata da me.Rivolgermi a voi perchè troviate qualche cosa, è comedirlo al gatto.

E, dopo ch’aveva impiegato mezz’ora a legarsi l’indi-ce, ed era stato trovato un altro vetro, e gli strumenti, ela scala, e la sedia e la candela erano lì pronti, comincia-va un altro divertimento: chè tutta la famiglia, compresala fantesca e la donna a giornata, doveva assistere in se-micerchio, pronta a dare una mano. Due persone dove-vano reggere la sedia, una terza doveva consegnargli unchiodo, una quarta passargli il martello; e lui, pigliandoin consegna il chiodo, lo lasciava cadere.

— Ecco — diceva, in tono d’offesa — è caduto ilchiodo!

E tutti dovevamo inginocchiarci a cercarlo,mentr’egli se ne stava ritto sulla sedia a brontolare, e adomandarsi se doveva rimaner lì tutta la sera.

Il chiodo veniva finalmente scovato, ma intanto luiaveva perduto il martello.

— Dov’è il martello? Che n’ho fatto del martello?Giusto cielo! Ve ne state lì in sette a bocca aperta, e nonsapete che cosa n’ho fatto del martello!

Gli trovavamo il martello; e intanto aveva perso di vi-sta il segno da lui fatto sulla parete, per configgervi ilchiodo; e ciascuno doveva a turno salire accanto a luisulla sedia per cercar di trovare il segno; e ciascuno loscopriva in un punto diverso; e lui ci chiamava stupidi,l’uno dopo l’altro, ordinandoci di scendere. E prendevala squadra, per prender le misure un’altra volta, e tro-

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vando che gli occorreva la metà di ottantuno centimetrie tre settimi di centimetro dall’angolo, tentava di fare ilcalcolo a memoria e gli pareva d’impazzire.

E tutti tentavamo a memoria, e tutti giungevamo a ri-sultati diversi, e ci davamo l’un l’altro la beffa. Neltrambusto generale, era dimenticato il numero originalee zio Podger doveva rimettersi a prender le misure.

Questa volta egli usava un pezzo di corda, e, nel mo-mento critico che lo zio era inclinato sulla sedia a un an-golo di quarantacinque, provando di raggiungere unpunto un decimetro più di quanto si potesse sporgere, gliscappava la corda, ed egli s’abbatteva sul pianoforte,con un effetto musicale veramente bello, prodotto dallavelocità con cui la testa e il corpo avevano colpito con-temporaneamente tutte le note.

E zia Maria esclamava che non voleva che i bambinistessero lì presenti a sentire le espressioni di mio zio.

Finalmente, zio Podger fissava di nuovo il punto,mettendovi su l’estremità aguzza del chiodo con la sini-stra, e prendeva il martello nella destra. E, al primo col-po, si schiacciava il pollice, e con un urlo, lasciava ca-scare il martello sui piedi del più vicino.

Zia Maria osservava con dolcezza che la prossimavolta che zio Podger avrebbe dovuto ficcare un chiodonel muro, le facesse la finezza di avvertirla in tempo,perchè essa potesse disporre le cose in modo da andarenel frattempo a passare una settimana con la madre.

— Oh! le donne fanno sempre un mondo di difficoltàper niente — rispondeva zio Podger, riprendendosi. —

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vando che gli occorreva la metà di ottantuno centimetrie tre settimi di centimetro dall’angolo, tentava di fare ilcalcolo a memoria e gli pareva d’impazzire.

E tutti tentavamo a memoria, e tutti giungevamo a ri-sultati diversi, e ci davamo l’un l’altro la beffa. Neltrambusto generale, era dimenticato il numero originalee zio Podger doveva rimettersi a prender le misure.

Questa volta egli usava un pezzo di corda, e, nel mo-mento critico che lo zio era inclinato sulla sedia a un an-golo di quarantacinque, provando di raggiungere unpunto un decimetro più di quanto si potesse sporgere, gliscappava la corda, ed egli s’abbatteva sul pianoforte,con un effetto musicale veramente bello, prodotto dallavelocità con cui la testa e il corpo avevano colpito con-temporaneamente tutte le note.

E zia Maria esclamava che non voleva che i bambinistessero lì presenti a sentire le espressioni di mio zio.

Finalmente, zio Podger fissava di nuovo il punto,mettendovi su l’estremità aguzza del chiodo con la sini-stra, e prendeva il martello nella destra. E, al primo col-po, si schiacciava il pollice, e con un urlo, lasciava ca-scare il martello sui piedi del più vicino.

Zia Maria osservava con dolcezza che la prossimavolta che zio Podger avrebbe dovuto ficcare un chiodonel muro, le facesse la finezza di avvertirla in tempo,perchè essa potesse disporre le cose in modo da andarenel frattempo a passare una settimana con la madre.

— Oh! le donne fanno sempre un mondo di difficoltàper niente — rispondeva zio Podger, riprendendosi. —

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Ebbene, a me piace di lavorare un po’ a questo modo.E allora ci si provava di nuovo, e, al secondo colpo, il

chiodo entrava tutto quanto nell’intonaco, trascinandosidietro mezzo martello, mentre zio Podger veniva proiet-tato contro la parete con forza quasi sufficiente da ap-piattirgli il naso.

Allora gli dovevamo trovar di nuovo la squadra e lacorda, e si doveva fare un buco nuovo; e, verso mezza-notte, il quadro era appeso – storto e alquanto instabile,con la parete che per dei metri in giro sembrava grattatada un rastrello, e tutti stanchi morti e infelici – tranne lozio Podger.

— Ecco qui — diceva, balzando pesantemente dallasedia sui calli della donna a giornata, e dando unosguardo a tutta quella confusione in giro con orgoglioevidente. — Molti avrebbero avuto bisogno d’un opera-io per fare un lavoretto come questo.

So che Harris sarà la stessa specie d’uomo quandosarà attempato, e glielo dissi. Aggiunsi che non potevopermettere che s’addossasse tanta mole di lavoro, e os-servai:

— No, piglia tu la carta, il lapis e il catalogo; Giorgioscriverà, e io farò il lavoro.

La prima lista che compilammo dovè essere rigettata.Era chiaro che il corso superiore del Tamigi non avrebbepermesso la navigazione d’una barca tanto grande dacontenere gli oggetti segnati come indispensabili. Lace-rammo la lista, e ne ideammo un’altra.

Giorgio disse:

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Ebbene, a me piace di lavorare un po’ a questo modo.E allora ci si provava di nuovo, e, al secondo colpo, il

chiodo entrava tutto quanto nell’intonaco, trascinandosidietro mezzo martello, mentre zio Podger veniva proiet-tato contro la parete con forza quasi sufficiente da ap-piattirgli il naso.

Allora gli dovevamo trovar di nuovo la squadra e lacorda, e si doveva fare un buco nuovo; e, verso mezza-notte, il quadro era appeso – storto e alquanto instabile,con la parete che per dei metri in giro sembrava grattatada un rastrello, e tutti stanchi morti e infelici – tranne lozio Podger.

— Ecco qui — diceva, balzando pesantemente dallasedia sui calli della donna a giornata, e dando unosguardo a tutta quella confusione in giro con orgoglioevidente. — Molti avrebbero avuto bisogno d’un opera-io per fare un lavoretto come questo.

So che Harris sarà la stessa specie d’uomo quandosarà attempato, e glielo dissi. Aggiunsi che non potevopermettere che s’addossasse tanta mole di lavoro, e os-servai:

— No, piglia tu la carta, il lapis e il catalogo; Giorgioscriverà, e io farò il lavoro.

La prima lista che compilammo dovè essere rigettata.Era chiaro che il corso superiore del Tamigi non avrebbepermesso la navigazione d’una barca tanto grande dacontenere gli oggetti segnati come indispensabili. Lace-rammo la lista, e ne ideammo un’altra.

Giorgio disse:

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— Sapete che siete assolutamente su una falsa pista?Non si deve pensare a ciò che ci potrebbe occorrere, masoltanto a quello di cui non si può far senza.

Giorgio, talvolta, se ne esce con delle osservazionipiene di buon senso, che vi sorprendono. Io la dichiaro,questa, vera saggezza, non semplicemente rispetto alnostro caso particolare, ma al nostro pellegrinaggio sulfiume della vita, in generale. Quanta gente, in tal viag-gio, carica la propria barca, arrischiando continuamentedi farla arenare, con un monte di stupidità che si credo-no essenziali al piacere e alla comodità della gita, mache in realtà son ciarpame inutile.

Come si sovraccarica la povera barchetta, finoall’altezza dell’albero, di splendide vesti e di grandi ca-seggiati, di servi inutili e d’un esercito di eleganti amiciche non si curano un fico secco del proprietario, e che ilproprietario non stima un centesimo; di dispendiosi rice-vimenti, che non divertono nessuno, di formalità e dimode, di alterigia e di ostentazione, e della paura – oh ilpiù grave e folle ciarpame! – della paura di che cosapenserà il vicino, di lussi che nauseano soltanto, di pia-ceri che annoiano, di vacui sfoggi, che, come la coronadi ferro dei delinquenti d’una volta, fanno gonfiare esanguinare la testa dolente che li porta!

È ciarpame, amico, tutto ciarpame! Gettalo in mare.Esso aggrava la barca, e t’è difficile guidarla, e tu quasisvieni sui remi. La rende ingombrante e pericolosa, e tunon hai un momento libero da ansie e da cure, non unmomento per sognare a tuo agio – non un momento per

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— Sapete che siete assolutamente su una falsa pista?Non si deve pensare a ciò che ci potrebbe occorrere, masoltanto a quello di cui non si può far senza.

Giorgio, talvolta, se ne esce con delle osservazionipiene di buon senso, che vi sorprendono. Io la dichiaro,questa, vera saggezza, non semplicemente rispetto alnostro caso particolare, ma al nostro pellegrinaggio sulfiume della vita, in generale. Quanta gente, in tal viag-gio, carica la propria barca, arrischiando continuamentedi farla arenare, con un monte di stupidità che si credo-no essenziali al piacere e alla comodità della gita, mache in realtà son ciarpame inutile.

Come si sovraccarica la povera barchetta, finoall’altezza dell’albero, di splendide vesti e di grandi ca-seggiati, di servi inutili e d’un esercito di eleganti amiciche non si curano un fico secco del proprietario, e che ilproprietario non stima un centesimo; di dispendiosi rice-vimenti, che non divertono nessuno, di formalità e dimode, di alterigia e di ostentazione, e della paura – oh ilpiù grave e folle ciarpame! – della paura di che cosapenserà il vicino, di lussi che nauseano soltanto, di pia-ceri che annoiano, di vacui sfoggi, che, come la coronadi ferro dei delinquenti d’una volta, fanno gonfiare esanguinare la testa dolente che li porta!

È ciarpame, amico, tutto ciarpame! Gettalo in mare.Esso aggrava la barca, e t’è difficile guidarla, e tu quasisvieni sui remi. La rende ingombrante e pericolosa, e tunon hai un momento libero da ansie e da cure, non unmomento per sognare a tuo agio – non un momento per

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guardare le ombre procellose che affiorano dalle profon-dità, o lo scintillio dei raggi fra le onde che s’increspa-no, i grandi alberi della sponda che vi contemplano laloro immagine, o i boschi tutti verde e oro, o i gigli can-didi e gialli, o i cupi giunchi ondeggianti, o le alghe, o leorchidee e gli azzurri non-ti-scordar-di-me.

Getta via il ciarpame, amico! Che la tua barchetta sialeggera, e porti soltanto ciò di cui hai bisogno – unacasa modesta e dei piaceri semplici, un paio d’amici de-gni di questo nome, qualche persona da amare e che tiami, un gatto, un cane, un paio di pipe, abbastanza damangiare e da metterti addosso, e un po’ più di abba-stanza da bere, perchè la sete è cosa pericolosa.

Troverai che la tua barca si guida più facilmente e chesarà meno soggetta a rovesciarsi. Se poi si rovescia, cheimporta? La buona, la semplice mercanzia resisteall’acqua. Avrai tempo di pensare, come anche di lavo-rare. Tempo di bere nel sole della vita – tempo di ascol-tare la musica eolia che il vento di Dio trae dalle cordedei cuori umani che ci stanno d’intorno – tempo di…

Domando scusa. M’ero per un momento obliato.Dunque, lasciammo che facesse la lista Giorgio, ed

egli la cominciò.— Non porteremo una tenda — consigliò Giorgio —

avremo la barca coperta. È molto più semplice, e più co-moda.

L’idea ci sembrò ottima, e noi approvammo. Non sose voi abbiate mai veduto l’oggetto al quale s’accenna.Si fissano degli archi di ferro sulla barca, e su di essi si

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guardare le ombre procellose che affiorano dalle profon-dità, o lo scintillio dei raggi fra le onde che s’increspa-no, i grandi alberi della sponda che vi contemplano laloro immagine, o i boschi tutti verde e oro, o i gigli can-didi e gialli, o i cupi giunchi ondeggianti, o le alghe, o leorchidee e gli azzurri non-ti-scordar-di-me.

Getta via il ciarpame, amico! Che la tua barchetta sialeggera, e porti soltanto ciò di cui hai bisogno – unacasa modesta e dei piaceri semplici, un paio d’amici de-gni di questo nome, qualche persona da amare e che tiami, un gatto, un cane, un paio di pipe, abbastanza damangiare e da metterti addosso, e un po’ più di abba-stanza da bere, perchè la sete è cosa pericolosa.

Troverai che la tua barca si guida più facilmente e chesarà meno soggetta a rovesciarsi. Se poi si rovescia, cheimporta? La buona, la semplice mercanzia resisteall’acqua. Avrai tempo di pensare, come anche di lavo-rare. Tempo di bere nel sole della vita – tempo di ascol-tare la musica eolia che il vento di Dio trae dalle cordedei cuori umani che ci stanno d’intorno – tempo di…

Domando scusa. M’ero per un momento obliato.Dunque, lasciammo che facesse la lista Giorgio, ed

egli la cominciò.— Non porteremo una tenda — consigliò Giorgio —

avremo la barca coperta. È molto più semplice, e più co-moda.

L’idea ci sembrò ottima, e noi approvammo. Non sose voi abbiate mai veduto l’oggetto al quale s’accenna.Si fissano degli archi di ferro sulla barca, e su di essi si

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stende una grossa tela, legandola intorno intorno, daprua a poppa: la barca si trasforma in una specie di bellae comoda casetta, sebbene un po’ afosa; ma, già, ognicosa ha i suoi difetti, come disse quel tale quando glimorì la suocera e dovè pagare le spese dei funerali.

Giorgio disse che quindi dovevamo portarci una co-perta per ciascuno, una lampada, del sapone, un pettinee una spazzola (fra tutti), uno spazzolino da denti (perciascuno), un catino, della polvere dentifricia, degli stru-menti da raderci (sembra un esercizio di francese, non èvero?) e un paio di grandi accappatoi da bagno. Io os-servo che la gente fa sempre dei giganteschi preparativiquando deve recarsi presso l’acqua, ma che quando ci sitrova, di bagni non ne fa molti.

Accade lo stesso quando si va al mare. Io decido sem-pre – quando ci penso stando a Londra – che mi leveròpresto la mattina e andrò a tuffarmi in acqua prima dicolazione; e metto religiosamente nella valigia un paiodi mutandine e l’accappatoio e compro sempre le mu-tandine rosse. Mi piace di figurare in mutandine rosse,che s’adattano così bene alla mia carnagione. Ma quan-do sono al mare, non sento la stessa voglia che sentivoin città, di levarmi la mattina presto.

Al contrario, provo più che mai il bisogno di restar-mene a letto fino all’ultimo momento, e poi d’alzarmi afar colazione. Un paio di volte la virtù trionfò, e m’alzaialle sei e mi vestii alla meglio, e, afferrando le mutandi-ne e l’accappatoio, uscii melanconicamente di casa. Manon mi divertii. Quando vado a bagnarmi la mattina pre-

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stende una grossa tela, legandola intorno intorno, daprua a poppa: la barca si trasforma in una specie di bellae comoda casetta, sebbene un po’ afosa; ma, già, ognicosa ha i suoi difetti, come disse quel tale quando glimorì la suocera e dovè pagare le spese dei funerali.

Giorgio disse che quindi dovevamo portarci una co-perta per ciascuno, una lampada, del sapone, un pettinee una spazzola (fra tutti), uno spazzolino da denti (perciascuno), un catino, della polvere dentifricia, degli stru-menti da raderci (sembra un esercizio di francese, non èvero?) e un paio di grandi accappatoi da bagno. Io os-servo che la gente fa sempre dei giganteschi preparativiquando deve recarsi presso l’acqua, ma che quando ci sitrova, di bagni non ne fa molti.

Accade lo stesso quando si va al mare. Io decido sem-pre – quando ci penso stando a Londra – che mi leveròpresto la mattina e andrò a tuffarmi in acqua prima dicolazione; e metto religiosamente nella valigia un paiodi mutandine e l’accappatoio e compro sempre le mu-tandine rosse. Mi piace di figurare in mutandine rosse,che s’adattano così bene alla mia carnagione. Ma quan-do sono al mare, non sento la stessa voglia che sentivoin città, di levarmi la mattina presto.

Al contrario, provo più che mai il bisogno di restar-mene a letto fino all’ultimo momento, e poi d’alzarmi afar colazione. Un paio di volte la virtù trionfò, e m’alzaialle sei e mi vestii alla meglio, e, afferrando le mutandi-ne e l’accappatoio, uscii melanconicamente di casa. Manon mi divertii. Quando vado a bagnarmi la mattina pre-

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sto, par che si tenga in serbo, a bella posta per me, unospeciale e tagliente vento di levante che m’aspetta, e poiche si raccolgano tutte le pietre triangolari, che le metta-no al di sopra, le aguzzino agli scogli e ne coprano lepunte con un po’ di sabbia, in modo che io non possavederle, e che quindi piglino il mare e me lo scaraventi-no due miglia lontano, così che io ho da rannicchiarmitutto e saltellare fin laggiù, rabbrividendo a traverso die-ci centimetri di acqua. E quando ci arrivo, al mare, nons’immagina quanto esso si mostri oltraggioso e brutale.

Un cavallone mi abbranca con invincibile violenza, emi costringe a rannicchiarmi contro uno scoglio ch’èstato messo lì per me. E, prima che io possa dire: —Ahi, oh! — e scoprir ciò che è accaduto, il cavallone ri-torna e mi trasporta in mezzo all’oceano. Comincio a di-vincolarmi freneticamente verso la sponda, e mi doman-do se rivedrò mai la famiglia e gli amici, e vorrei esserstato più buono con la mia sorellina, da ragazzo. Proprioquando ho rinunziato a ogni speranza, l’ondata si ritira emi lascia in convulsione sulla sabbia, come una stella dimare; e mi levo e mi guardo indietro per trovare che hocorso rischio della vita in sessanta centimetri d’acqua.Salto a vestirmi, e torno mogio mogio a casa, dove deb-bo fingere d’essermi divertito un mondo.

Noi, in quel momento, parlammo come se ci dovessi-mo bagnare e nuotare a lungo tutte le mattine. Giorgiodisse ch’era un piacere svegliarsi nella barca la mattinaal fresco, e tuffarsi nel limpido fiume. Harris disse chenon v’era nulla come un po’ di moto prima di colazione

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sto, par che si tenga in serbo, a bella posta per me, unospeciale e tagliente vento di levante che m’aspetta, e poiche si raccolgano tutte le pietre triangolari, che le metta-no al di sopra, le aguzzino agli scogli e ne coprano lepunte con un po’ di sabbia, in modo che io non possavederle, e che quindi piglino il mare e me lo scaraventi-no due miglia lontano, così che io ho da rannicchiarmitutto e saltellare fin laggiù, rabbrividendo a traverso die-ci centimetri di acqua. E quando ci arrivo, al mare, nons’immagina quanto esso si mostri oltraggioso e brutale.

Un cavallone mi abbranca con invincibile violenza, emi costringe a rannicchiarmi contro uno scoglio ch’èstato messo lì per me. E, prima che io possa dire: —Ahi, oh! — e scoprir ciò che è accaduto, il cavallone ri-torna e mi trasporta in mezzo all’oceano. Comincio a di-vincolarmi freneticamente verso la sponda, e mi doman-do se rivedrò mai la famiglia e gli amici, e vorrei esserstato più buono con la mia sorellina, da ragazzo. Proprioquando ho rinunziato a ogni speranza, l’ondata si ritira emi lascia in convulsione sulla sabbia, come una stella dimare; e mi levo e mi guardo indietro per trovare che hocorso rischio della vita in sessanta centimetri d’acqua.Salto a vestirmi, e torno mogio mogio a casa, dove deb-bo fingere d’essermi divertito un mondo.

Noi, in quel momento, parlammo come se ci dovessi-mo bagnare e nuotare a lungo tutte le mattine. Giorgiodisse ch’era un piacere svegliarsi nella barca la mattinaal fresco, e tuffarsi nel limpido fiume. Harris disse chenon v’era nulla come un po’ di moto prima di colazione

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per dare appetito. Il moto gli metteva sempre appetito.Giorgio osservò che, se il moto doveva far mangiare adHarris più di quanto mangiasse ordinariamente, si senti-va in dovere di protestare contro l’intenzione di Harrisdi bagnarsi anche una volta sola.

E gli fece osservare che già c’era molto da lavorareper trascinar contro corrente le vettovaglie capaci disoddisfar il suo appetito ordinario.

Feci riflettere a Giorgio quanto sarebbe stato più pia-cevole aver Harris lindo e fresco in giro nella barca, an-che se avessimo dovuto portare un po’ più di quintali diprovviste; ed egli finì col veder le cose nella stessa lucein cui le vedevo io, e ritirò la sua opposizione contro ilbagno di Harris.

Ci accordammo finalmente di portar tre accappatoi,invece di due, per non starci ad aspettare a vicenda.

Per gli abiti, Giorgio disse che due costumi di flanellasarebbero stati sufficienti, giacchè potevamo lavarli danoi, nel fiume, quando fossero divenuti sudici. Gli do-mandammo se avesse mai tentato di lavar la flanella nelfiume, ed egli ci rispose: — No, io veramente no; maconosco delle persone che lo han fatto, ed è abbastanzafacile; — e Harris e io fummo abbastanza deboli da cre-dere che sapesse di che cosa parlava, e che tre giovani,rispettabili sì, ma ancora senza posizione e influenza, esenza alcuna esperienza di bucato, potessero realmentelavarsi le camicie e i calzoni nel fiume Tamigi con unpezzo di sapone.

Dovevamo apprendere nei giorni avvenire, quand’era

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per dare appetito. Il moto gli metteva sempre appetito.Giorgio osservò che, se il moto doveva far mangiare adHarris più di quanto mangiasse ordinariamente, si senti-va in dovere di protestare contro l’intenzione di Harrisdi bagnarsi anche una volta sola.

E gli fece osservare che già c’era molto da lavorareper trascinar contro corrente le vettovaglie capaci disoddisfar il suo appetito ordinario.

Feci riflettere a Giorgio quanto sarebbe stato più pia-cevole aver Harris lindo e fresco in giro nella barca, an-che se avessimo dovuto portare un po’ più di quintali diprovviste; ed egli finì col veder le cose nella stessa lucein cui le vedevo io, e ritirò la sua opposizione contro ilbagno di Harris.

Ci accordammo finalmente di portar tre accappatoi,invece di due, per non starci ad aspettare a vicenda.

Per gli abiti, Giorgio disse che due costumi di flanellasarebbero stati sufficienti, giacchè potevamo lavarli danoi, nel fiume, quando fossero divenuti sudici. Gli do-mandammo se avesse mai tentato di lavar la flanella nelfiume, ed egli ci rispose: — No, io veramente no; maconosco delle persone che lo han fatto, ed è abbastanzafacile; — e Harris e io fummo abbastanza deboli da cre-dere che sapesse di che cosa parlava, e che tre giovani,rispettabili sì, ma ancora senza posizione e influenza, esenza alcuna esperienza di bucato, potessero realmentelavarsi le camicie e i calzoni nel fiume Tamigi con unpezzo di sapone.

Dovevamo apprendere nei giorni avvenire, quand’era

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troppo tardi, che Giorgio era un miserabile impostore, ilquale della faccenda non doveva intendersi un bel nien-te. Se aveste veduto quegli abiti dopo… Ma non antici-piamo.

Giorgio ci persuase di portarci una muta di biancheriae una buona quantità di calze, in caso dovessimo colarea picco e avessimo bisogno di roba asciutta; inoltre ab-bondanza di fazzoletti, perchè avrebbero servito adasciugar degli oggetti, e oltre le scarpe da barca un paiodi stivaloni di cuoio, da servirci nel caso che la barca sirovesciasse.

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troppo tardi, che Giorgio era un miserabile impostore, ilquale della faccenda non doveva intendersi un bel nien-te. Se aveste veduto quegli abiti dopo… Ma non antici-piamo.

Giorgio ci persuase di portarci una muta di biancheriae una buona quantità di calze, in caso dovessimo colarea picco e avessimo bisogno di roba asciutta; inoltre ab-bondanza di fazzoletti, perchè avrebbero servito adasciugar degli oggetti, e oltre le scarpe da barca un paiodi stivaloni di cuoio, da servirci nel caso che la barca sirovesciasse.

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CAPITOLO IV.

La questione del vitto. – Obiezioni al petrolio come atmosfera. –Vantaggi del cacio come compagno di viaggio. – Una signoramaritata abbandona la casa. – Altre provviste per colare a pic-co. – Faccio il bagaglio. – Malignità degli spazzolini da denti.– Giorgio e Harris fanno il bagaglio. – Terribile condotta diMontmorency. – Andiamo a riposare.

Poi discutemmo la questione del vitto. Giorgio disse:— Cominciamo dalla colazione. — (Giorgio è così

pratico!) Ora per la colazione abbiamo bisogno d’unapadella… — (Harris disse ch’era indigesta; ma noi loavvertimmo semplicemente di non fare lo stupido, eGiorgio continuò)… d’una teiera, d’un calderino ed’una cucinetta economica a spirito denaturato.

— Niente petrolio — disse Giorgio, con uno sguardoespressivo; e Harris e io approvammo.

Comprammo una volta un fornello a petrolio, ma nonci accadrà mai più. Quella settimana fu come se si vi-vesse in una vendita di petrolio. Non avevo visto mainulla che avesse la penetrazione del petrolio. Lo teneva-mo a prua, e di lì stillava giù sul timone, impregnandotutta la barca e ogni oggetto che incontrava sulla suavia, e poi si riversava nel fiume, saturava il paesaggio ecorrompeva l’atmosfera. A volte soffiava un vento diponente olezzante di petrolio, e altre volte un vento dilevante olezzante di petrolio, e altre volte ancora un

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CAPITOLO IV.

La questione del vitto. – Obiezioni al petrolio come atmosfera. –Vantaggi del cacio come compagno di viaggio. – Una signoramaritata abbandona la casa. – Altre provviste per colare a pic-co. – Faccio il bagaglio. – Malignità degli spazzolini da denti.– Giorgio e Harris fanno il bagaglio. – Terribile condotta diMontmorency. – Andiamo a riposare.

Poi discutemmo la questione del vitto. Giorgio disse:— Cominciamo dalla colazione. — (Giorgio è così

pratico!) Ora per la colazione abbiamo bisogno d’unapadella… — (Harris disse ch’era indigesta; ma noi loavvertimmo semplicemente di non fare lo stupido, eGiorgio continuò)… d’una teiera, d’un calderino ed’una cucinetta economica a spirito denaturato.

— Niente petrolio — disse Giorgio, con uno sguardoespressivo; e Harris e io approvammo.

Comprammo una volta un fornello a petrolio, ma nonci accadrà mai più. Quella settimana fu come se si vi-vesse in una vendita di petrolio. Non avevo visto mainulla che avesse la penetrazione del petrolio. Lo teneva-mo a prua, e di lì stillava giù sul timone, impregnandotutta la barca e ogni oggetto che incontrava sulla suavia, e poi si riversava nel fiume, saturava il paesaggio ecorrompeva l’atmosfera. A volte soffiava un vento diponente olezzante di petrolio, e altre volte un vento dilevante olezzante di petrolio, e altre volte ancora un

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vento di settentrione olezzante di petrolio, e forse ancheun vento di mezzogiorno olezzante di petrolio; ma siache venisse dalle nevi del polo artico, sia che si levassenell’immensità delle sabbie del deserto, il vento ci arri-vava sempre carico della fragranza del petrolio.

E il petrolio continuava a stillare e ci rovinava il tra-monto del sole; e quanto al chiaror della luna, esso odo-rava positivamente di petrolio.

Provammo a fuggire e a riparare a Marlow. Lasciam-mo la barca accanto al ponte, e andammo a passeggioper la città, ma l’odore ci seguiva. Tutta la città era im-pregnata di petrolio. Passammo per il cimitero, e ci sem-brò che i cadaveri fossero sepolti nel petrolio. Il corsopuzzava di petrolio; e ci domandammo come la popola-zione potesse viverci. Camminammo miglia e migliasulla via di Birmingham: tutto inutile, la campagna erainzuppata di petrolio.

Alla fine di quella passeggiata ci riunimmo insieme amezzanotte in un campo solitario, sotto una quercia ma-ledetta e facemmo un terribile giuramento (avevamo im-precato tutta una settimana intorno alla cucinetta econo-mica in maniera ordinaria e familiare, ma era cosa abi-tuale) un terribile giuramento di non portar più petrolioin una barca mai più – tranne, naturalmente, in caso dimalattia.

Perciò, allora, ci limitammo allo spirito denaturato.Anche questo è abbastanza cattivo. Se ne hanno dei pa-sticci denaturati e delle torte denaturate. Ma lo spiritodenaturato è più sano del petrolio, se penetra nell’orga-

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vento di settentrione olezzante di petrolio, e forse ancheun vento di mezzogiorno olezzante di petrolio; ma siache venisse dalle nevi del polo artico, sia che si levassenell’immensità delle sabbie del deserto, il vento ci arri-vava sempre carico della fragranza del petrolio.

E il petrolio continuava a stillare e ci rovinava il tra-monto del sole; e quanto al chiaror della luna, esso odo-rava positivamente di petrolio.

Provammo a fuggire e a riparare a Marlow. Lasciam-mo la barca accanto al ponte, e andammo a passeggioper la città, ma l’odore ci seguiva. Tutta la città era im-pregnata di petrolio. Passammo per il cimitero, e ci sem-brò che i cadaveri fossero sepolti nel petrolio. Il corsopuzzava di petrolio; e ci domandammo come la popola-zione potesse viverci. Camminammo miglia e migliasulla via di Birmingham: tutto inutile, la campagna erainzuppata di petrolio.

Alla fine di quella passeggiata ci riunimmo insieme amezzanotte in un campo solitario, sotto una quercia ma-ledetta e facemmo un terribile giuramento (avevamo im-precato tutta una settimana intorno alla cucinetta econo-mica in maniera ordinaria e familiare, ma era cosa abi-tuale) un terribile giuramento di non portar più petrolioin una barca mai più – tranne, naturalmente, in caso dimalattia.

Perciò, allora, ci limitammo allo spirito denaturato.Anche questo è abbastanza cattivo. Se ne hanno dei pa-sticci denaturati e delle torte denaturate. Ma lo spiritodenaturato è più sano del petrolio, se penetra nell’orga-

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nismo in grande quantità.Per gli altri oggetti della colazione, Giorgio consigliò

le uova e il lardo, facili a cucinare, carne fredda, tè,pane, burro e marmellata – ma niente cacio. Il cacio,come il petrolio, è troppo prepotente. Esige tutta la bar-ca per sè. Si effonde per la cesta, e dà il suo odore a tut-to ciò che vi trova. Non si saprebbe dire se si mangiauna torta di mele, una salsiccia tedesca o delle fragolealla panna: sembra tutto cacio. V’è troppa fragranza nelcacio.

Ricordo un amico che aveva comperato un paio diforme di cacio a Liverpool. Erano due forme di cacio te-nere e morbide, della giusta maturità, e con un odore dicento cavalli a vapore, che, si poteva garantire, avrebbeesercitato la forza di trazione per tre miglia e atterratoun uomo a duecento metri. Mi trovavo a Liverpool inquei giorni, e il mio amico mi pregò, se non mi fossed’incomodo, di portargliele a Londra, giacchè lui nonsarebbe ripartito prima di un paio di giorni, e voleva cheil cacio si trovasse bene al sicuro a casa.

— Oh, con piacere, caro amico — risposi — con pia-cere.

Andai a pigliare le due forme, e me le misi in carroz-za, un veicolo sconquassato, tirato da una specie di son-nambulo asmatico, con le ginocchia che si urtavano,come castagnette, e che il suo proprietario, durante laconversazione, si compiacque di designare col nome dicavallo. Misi le due forme sull’imperiale, e partimmo aun’andatura che avrebbe fatto orrore al più rapido com-

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nismo in grande quantità.Per gli altri oggetti della colazione, Giorgio consigliò

le uova e il lardo, facili a cucinare, carne fredda, tè,pane, burro e marmellata – ma niente cacio. Il cacio,come il petrolio, è troppo prepotente. Esige tutta la bar-ca per sè. Si effonde per la cesta, e dà il suo odore a tut-to ciò che vi trova. Non si saprebbe dire se si mangiauna torta di mele, una salsiccia tedesca o delle fragolealla panna: sembra tutto cacio. V’è troppa fragranza nelcacio.

Ricordo un amico che aveva comperato un paio diforme di cacio a Liverpool. Erano due forme di cacio te-nere e morbide, della giusta maturità, e con un odore dicento cavalli a vapore, che, si poteva garantire, avrebbeesercitato la forza di trazione per tre miglia e atterratoun uomo a duecento metri. Mi trovavo a Liverpool inquei giorni, e il mio amico mi pregò, se non mi fossed’incomodo, di portargliele a Londra, giacchè lui nonsarebbe ripartito prima di un paio di giorni, e voleva cheil cacio si trovasse bene al sicuro a casa.

— Oh, con piacere, caro amico — risposi — con pia-cere.

Andai a pigliare le due forme, e me le misi in carroz-za, un veicolo sconquassato, tirato da una specie di son-nambulo asmatico, con le ginocchia che si urtavano,come castagnette, e che il suo proprietario, durante laconversazione, si compiacque di designare col nome dicavallo. Misi le due forme sull’imperiale, e partimmo aun’andatura che avrebbe fatto orrore al più rapido com-

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pressore a vapore mai fabbricato, e tutto andò lietamen-te come una campana di funerale, finchè non voltammola cantonata. Là il vento portò una zaffata di cacio inpieno sul nostro puledro. La zaffata lo svegliò e, con unnitrito di terrore, esso si slanciò a tre miglia all’ora. Ilvento soffiava ancora nella sua direzione, e, prima cheraggiungessimo l’altro capo della strada, trottava giàalla velocità di quattro miglia, lasciando gli storpi e lesignore grasse a distanza incalcolabile.

Per tenerlo, alla stazione, ci vollero due facchini in-sieme col vetturino, e non credo che neppure ci sarebbe-ro riusciti, se uno dei tre non avesse avuto l’idea di tap-pargli il naso col fazzoletto, e di accendere un foglio dicarta.

Comprai il biglietto, e mi diressi orgogliosamente allapiattaforma, con le mie due forme di cacio, mentre lagente si tirava rispettosa indietro dall’uno e l’altro lato.Il treno era gremito, e io dovetti salire in una vettura sti-pata già di altre sette persone. Un burbero vecchio pro-testò; ma io, ciò nonostante, entrai, e deponendo il cacionella rete, mi feci largo fra i compagni di viaggio con unbel sorriso, dicendo che faceva caldo. Passarono pochimomenti, e poi il vecchio cominciò ad agitarsi.

— Si sta assai stretti, qui — disse.— Si sente una specie d’oppressione — disse il viag-

giatore accanto.E allora entrambi cominciarono ad annusare, e, alla

terza annusata, si levarono senza un’altra parola e se neandarono. E poi si levò una signora grassa, disse che era

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pressore a vapore mai fabbricato, e tutto andò lietamen-te come una campana di funerale, finchè non voltammola cantonata. Là il vento portò una zaffata di cacio inpieno sul nostro puledro. La zaffata lo svegliò e, con unnitrito di terrore, esso si slanciò a tre miglia all’ora. Ilvento soffiava ancora nella sua direzione, e, prima cheraggiungessimo l’altro capo della strada, trottava giàalla velocità di quattro miglia, lasciando gli storpi e lesignore grasse a distanza incalcolabile.

Per tenerlo, alla stazione, ci vollero due facchini in-sieme col vetturino, e non credo che neppure ci sarebbe-ro riusciti, se uno dei tre non avesse avuto l’idea di tap-pargli il naso col fazzoletto, e di accendere un foglio dicarta.

Comprai il biglietto, e mi diressi orgogliosamente allapiattaforma, con le mie due forme di cacio, mentre lagente si tirava rispettosa indietro dall’uno e l’altro lato.Il treno era gremito, e io dovetti salire in una vettura sti-pata già di altre sette persone. Un burbero vecchio pro-testò; ma io, ciò nonostante, entrai, e deponendo il cacionella rete, mi feci largo fra i compagni di viaggio con unbel sorriso, dicendo che faceva caldo. Passarono pochimomenti, e poi il vecchio cominciò ad agitarsi.

— Si sta assai stretti, qui — disse.— Si sente una specie d’oppressione — disse il viag-

giatore accanto.E allora entrambi cominciarono ad annusare, e, alla

terza annusata, si levarono senza un’altra parola e se neandarono. E poi si levò una signora grassa, disse che era

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una vergogna che una rispettabile madre di famiglia do-vesse essere perseguitata a quel modo, raccolse una va-ligia e otto pacchetti, e discese. Gli altri quattro viaggia-tori stettero un altro po’, ma poi, in un angolo, un taledall’aspetto solenne, che dal vestito e dall’apparenza ge-nerale sembrava appartenesse alla classe degl’intrapren-ditori di pompe funebri, disse che quell’odore gli ram-mentava i bambini morti; mentre gli altri tre passeggeri,urtandosi malamente, si slanciavano tutti e tre insiemeallo sportello, svignandosela.

Io sorrisi al signore nero, dicendogli che credevo cheavremmo avuto la vettura tutta a nostra disposizione; edegli rise piacevolmente e disse che certa gente facevatanto baccano per un’inezia. Ma, dopo che furono parti-ti, anche lui mi parve stranamente depresso, e così, allafermata di Crewe, lo invitai a venire a bere un bicchieri-no. Egli accettò, e ci aprimmo un varco al banco del ri-storante, dove gridammo, e battemmo i piedi, e pic-chiammo gli ombrelli per un quarto d’ora; e dove poi sipresentò una signorina, domandandoci se desiderassimonulla.

— Che pigliate? — dissi, volgendomi all’amico.— Per piacere, signorina, una mezza corona d’acqua-

vite… pura — egli rispose.E dopo che l’ebbe bevuta, se n’andò tranquillamente

e montò in un’altra vettura: una bassezza, pensai.Da Crewe ebbi il compartimento per me solo, benchè

tutto il treno fosse affollato. Come si giungeva alle di-verse stazioni, la gente, vedendo vuota la mia vettura, si

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una vergogna che una rispettabile madre di famiglia do-vesse essere perseguitata a quel modo, raccolse una va-ligia e otto pacchetti, e discese. Gli altri quattro viaggia-tori stettero un altro po’, ma poi, in un angolo, un taledall’aspetto solenne, che dal vestito e dall’apparenza ge-nerale sembrava appartenesse alla classe degl’intrapren-ditori di pompe funebri, disse che quell’odore gli ram-mentava i bambini morti; mentre gli altri tre passeggeri,urtandosi malamente, si slanciavano tutti e tre insiemeallo sportello, svignandosela.

Io sorrisi al signore nero, dicendogli che credevo cheavremmo avuto la vettura tutta a nostra disposizione; edegli rise piacevolmente e disse che certa gente facevatanto baccano per un’inezia. Ma, dopo che furono parti-ti, anche lui mi parve stranamente depresso, e così, allafermata di Crewe, lo invitai a venire a bere un bicchieri-no. Egli accettò, e ci aprimmo un varco al banco del ri-storante, dove gridammo, e battemmo i piedi, e pic-chiammo gli ombrelli per un quarto d’ora; e dove poi sipresentò una signorina, domandandoci se desiderassimonulla.

— Che pigliate? — dissi, volgendomi all’amico.— Per piacere, signorina, una mezza corona d’acqua-

vite… pura — egli rispose.E dopo che l’ebbe bevuta, se n’andò tranquillamente

e montò in un’altra vettura: una bassezza, pensai.Da Crewe ebbi il compartimento per me solo, benchè

tutto il treno fosse affollato. Come si giungeva alle di-verse stazioni, la gente, vedendo vuota la mia vettura, si

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precipitava per salire. «Ecco, qui, Maria; corri, c’è tantoposto». «Bene, Tommaso, saliamo qui», si gridava. Eaccorrevano con delle valige pesanti, e s’azzuffavanoinnanzi allo sportello per entrar prima. E uno aprì e salìsul montatoio, ma barcollò e ricadde nelle braccia di chigli stava di dietro; e tutti venivano ad annusare, per poifuggire e andarsi a comprimere nelle altre vetture, o pa-gare la differenza e viaggiare in prima.

A Euston trasportai il cacio in casa dell’amico. Quan-do si presentò la moglie nell’anticamera, odorò in giroper un istante, e poi disse:

— Che cosa c’è? Ditemi tutto.Risposi:— Due forme di cacio. Tommaso le ha comprate a

Liverpool, e m’ha pregato di portavele qui.E aggiunsi che m’auguravo ch’ella comprendesse che

io non ci entravo; ed ella mi disse che certo così era; mache Tommaso al suo ritorno l’avrebbe sentita.

Il mio amico fu trattenuto a Liverpool più a lungo diquanto credeva; e, tre giorni dopo, siccome non era an-cora tornato, la moglie venne a trovarmi. Mi domandò:

— Che ha detto Tommaso di quel formaggio?Risposi che aveva raccomandato che fosse tenuto in

un luogo fresco, e che nessuno dovesse toccarlo.Essa osservò:— Probabilmente nessuno lo toccherà. L’aveva odo-

rato?Risposi che credevo di sì, e aggiunsi che egli m’era

parso molto affezionato a quel formaggio.

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precipitava per salire. «Ecco, qui, Maria; corri, c’è tantoposto». «Bene, Tommaso, saliamo qui», si gridava. Eaccorrevano con delle valige pesanti, e s’azzuffavanoinnanzi allo sportello per entrar prima. E uno aprì e salìsul montatoio, ma barcollò e ricadde nelle braccia di chigli stava di dietro; e tutti venivano ad annusare, per poifuggire e andarsi a comprimere nelle altre vetture, o pa-gare la differenza e viaggiare in prima.

A Euston trasportai il cacio in casa dell’amico. Quan-do si presentò la moglie nell’anticamera, odorò in giroper un istante, e poi disse:

— Che cosa c’è? Ditemi tutto.Risposi:— Due forme di cacio. Tommaso le ha comprate a

Liverpool, e m’ha pregato di portavele qui.E aggiunsi che m’auguravo ch’ella comprendesse che

io non ci entravo; ed ella mi disse che certo così era; mache Tommaso al suo ritorno l’avrebbe sentita.

Il mio amico fu trattenuto a Liverpool più a lungo diquanto credeva; e, tre giorni dopo, siccome non era an-cora tornato, la moglie venne a trovarmi. Mi domandò:

— Che ha detto Tommaso di quel formaggio?Risposi che aveva raccomandato che fosse tenuto in

un luogo fresco, e che nessuno dovesse toccarlo.Essa osservò:— Probabilmente nessuno lo toccherà. L’aveva odo-

rato?Risposi che credevo di sì, e aggiunsi che egli m’era

parso molto affezionato a quel formaggio.

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— Se io dessi a qualcuno una sterlina per portarlo aseppellire, credete che potrebbe reggere?

Risposi che quel qualcuno non avrebbe sorriso maipiù.

Le lampeggiò un’idea. Disse:— Vi disturberebbe tenerlo voi? Lo manderò a casa

vostra.— Signora — risposi — per quel che riguarda me,

l’odore del formaggio mi piace, e il viaggio dell’altrogiorno con esso lo ricorderò sempre come il coronamen-to felice d’una bella vacanza. Ma in questo mondo noidobbiamo considerare gli altri. La signora, sotto il cuitetto io ho l’onore di risiedere, è vedova, e, per quel cheio so, probabilmente anche orfana. Essa ha una forte,un’eloquente avversione contro ciò che essa chiama im-posizione. La presenza del formaggio di vostro maritoin casa sua sarebbe da lei, lo sento istintivamente, rite-nuta come un’imposizione; e non sarà detto mai che iovoglia impormi a una vedova, e a un’orfana.

— Benissimo, allora — disse la moglie del mio ami-co, levandosi — tutto ciò che ho da dire è che piglieròcon me i bambini, e me ne andrò in un albergo, finchèquel formaggio non sarà finito. Rifiuto di continuare aviverci accanto.

Mantenne la parola, e lasciò la casa in mano dellafantesca a mezzo servizio, la quale quando le fu doman-dato se poteva resistere a quell’odore, rispose: «Cheodore?», e quando fu condotta da presso al formaggio ele fu detto di odorare forte, osservò che le pareva di sen-

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— Se io dessi a qualcuno una sterlina per portarlo aseppellire, credete che potrebbe reggere?

Risposi che quel qualcuno non avrebbe sorriso maipiù.

Le lampeggiò un’idea. Disse:— Vi disturberebbe tenerlo voi? Lo manderò a casa

vostra.— Signora — risposi — per quel che riguarda me,

l’odore del formaggio mi piace, e il viaggio dell’altrogiorno con esso lo ricorderò sempre come il coronamen-to felice d’una bella vacanza. Ma in questo mondo noidobbiamo considerare gli altri. La signora, sotto il cuitetto io ho l’onore di risiedere, è vedova, e, per quel cheio so, probabilmente anche orfana. Essa ha una forte,un’eloquente avversione contro ciò che essa chiama im-posizione. La presenza del formaggio di vostro maritoin casa sua sarebbe da lei, lo sento istintivamente, rite-nuta come un’imposizione; e non sarà detto mai che iovoglia impormi a una vedova, e a un’orfana.

— Benissimo, allora — disse la moglie del mio ami-co, levandosi — tutto ciò che ho da dire è che piglieròcon me i bambini, e me ne andrò in un albergo, finchèquel formaggio non sarà finito. Rifiuto di continuare aviverci accanto.

Mantenne la parola, e lasciò la casa in mano dellafantesca a mezzo servizio, la quale quando le fu doman-dato se poteva resistere a quell’odore, rispose: «Cheodore?», e quando fu condotta da presso al formaggio ele fu detto di odorare forte, osservò che le pareva di sen-

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tire come un odore di cocomeri. Da ciò fu desunto chepoco danno poteva derivare alla donna da quell’atmo-sfera, e vi fu lasciata.

Il conto dell’albergo ammontò a trecentosettantacin-que lire, e il mio amico, dopo aver tirato le somme ditutto, trovò che il formaggio gli era costato duecentodie-ci lire la libbra. Disse che il formaggio gli piaceva mol-to, ma che a quel prezzo era oltre i suoi mezzi. E così ri-solse di sbarazzarsene. Lo gettò nel canale; ma dovetteripescarlo, perchè i barcaiuoli si lagnarono. L’odore to-glieva loro tutte le forze. E, dopo di ciò, egli in una not-te buia prese le due forme e le portò nel cimitero dellaparrocchia. Ma il custode le scoperse, e sollevò un tre-mendo baccano.

Disse che era stato fatto un complotto per privarlo deimezzi di sussistenza svegliando i morti.

Il mio amico se ne liberò, finalmente, col trasportareil cacio in una città di mare, dove lo seppellì sulla spiag-gia, rendendo quel punto famoso. I visitatori dicevanoche non s’erano mai accorti che l’aria fosse così forte ecorroborante, e le persone deboli di petto e i tisici vi ac-corsero in folla per anni.

Perciò, per quanto io sia appassionato del formaggio,sostenni che Giorgio aveva ragione nel rifiutare di prov-vedercene.

— Non avremo il tè delle cinque — disse Giorgio (lafaccia di Harris a questo punto s’allungò); — ma faremoun eccellente, abbondante e magnifico pasto alle sette…desinare, tè e cena tutti insieme.

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tire come un odore di cocomeri. Da ciò fu desunto chepoco danno poteva derivare alla donna da quell’atmo-sfera, e vi fu lasciata.

Il conto dell’albergo ammontò a trecentosettantacin-que lire, e il mio amico, dopo aver tirato le somme ditutto, trovò che il formaggio gli era costato duecentodie-ci lire la libbra. Disse che il formaggio gli piaceva mol-to, ma che a quel prezzo era oltre i suoi mezzi. E così ri-solse di sbarazzarsene. Lo gettò nel canale; ma dovetteripescarlo, perchè i barcaiuoli si lagnarono. L’odore to-glieva loro tutte le forze. E, dopo di ciò, egli in una not-te buia prese le due forme e le portò nel cimitero dellaparrocchia. Ma il custode le scoperse, e sollevò un tre-mendo baccano.

Disse che era stato fatto un complotto per privarlo deimezzi di sussistenza svegliando i morti.

Il mio amico se ne liberò, finalmente, col trasportareil cacio in una città di mare, dove lo seppellì sulla spiag-gia, rendendo quel punto famoso. I visitatori dicevanoche non s’erano mai accorti che l’aria fosse così forte ecorroborante, e le persone deboli di petto e i tisici vi ac-corsero in folla per anni.

Perciò, per quanto io sia appassionato del formaggio,sostenni che Giorgio aveva ragione nel rifiutare di prov-vedercene.

— Non avremo il tè delle cinque — disse Giorgio (lafaccia di Harris a questo punto s’allungò); — ma faremoun eccellente, abbondante e magnifico pasto alle sette…desinare, tè e cena tutti insieme.

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Harris diventò più allegro. Giorgio consigliò carne etorte di mele, carne fredda, pomidori, frutta ed erbaggi.Per bevanda, delle meravigliose decozioni, appiccicose,di mano di Harris, che si mischiano con l’acqua e sichiamano limonate, molto tè, una bottiglia di whisky,nel caso, come disse Giorgio, dovessimo colare a picco.

A me parve che Giorgio insistesse troppo sull’ideadell’andare a picco, e che non si dovesse intraprendereun’escursione con una prospettiva simile.

Ma fui lieto che si prendesse lo whisky.Non si doveva portare nè birra, nè vino. Sul fiume

essi sono un errore. Vi fanno sentire torpidi e assonnati.Un bicchiere la sera quando fate un giretto per la cittàper guardare le ragazze è utile; ma non bisogna berequando il sole vi fiammeggia in testa e occorre lavorareseriamente.

Prima di separarci quella sera, redigemmo la lista de-gli oggetti indispensabili e fu piuttosto lunghetta. Ilgiorno dopo, che era venerdì, li mettemmo insieme, e ciriunimmo la sera per fare i bagagli. Comprammo unagrossa valigia per gli abiti, e due ceste per le vettovagliee gli utensili di cucina. Spostammo il tavolino contro lafinestra, facemmo di tutto un mucchio in mezzo al pavi-mento e ci sedemmo a guardare.

Dissi che avrei fatto il bagaglio io.Io ho un certo orgoglio del mio metodo di fare i baga-

gli. Fare i bagagli è una delle molte cose che io so a me-nadito, più di qualunque altra persona viva. (Mi sorpren-do, a volte, considerando quante cose so). Persuasi della

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Harris diventò più allegro. Giorgio consigliò carne etorte di mele, carne fredda, pomidori, frutta ed erbaggi.Per bevanda, delle meravigliose decozioni, appiccicose,di mano di Harris, che si mischiano con l’acqua e sichiamano limonate, molto tè, una bottiglia di whisky,nel caso, come disse Giorgio, dovessimo colare a picco.

A me parve che Giorgio insistesse troppo sull’ideadell’andare a picco, e che non si dovesse intraprendereun’escursione con una prospettiva simile.

Ma fui lieto che si prendesse lo whisky.Non si doveva portare nè birra, nè vino. Sul fiume

essi sono un errore. Vi fanno sentire torpidi e assonnati.Un bicchiere la sera quando fate un giretto per la cittàper guardare le ragazze è utile; ma non bisogna berequando il sole vi fiammeggia in testa e occorre lavorareseriamente.

Prima di separarci quella sera, redigemmo la lista de-gli oggetti indispensabili e fu piuttosto lunghetta. Ilgiorno dopo, che era venerdì, li mettemmo insieme, e ciriunimmo la sera per fare i bagagli. Comprammo unagrossa valigia per gli abiti, e due ceste per le vettovagliee gli utensili di cucina. Spostammo il tavolino contro lafinestra, facemmo di tutto un mucchio in mezzo al pavi-mento e ci sedemmo a guardare.

Dissi che avrei fatto il bagaglio io.Io ho un certo orgoglio del mio metodo di fare i baga-

gli. Fare i bagagli è una delle molte cose che io so a me-nadito, più di qualunque altra persona viva. (Mi sorpren-do, a volte, considerando quante cose so). Persuasi della

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mia abilità Giorgio e Harris, e dissi di lasciar fare intera-mente a me. Accettarono la proposta con una prontezzache mi parve alquanto strana. Giorgio si caricò la pipa, esi allungò nella poltrona; Harris allungò le gambe sul ta-volino, e si accese un sigaro.

Veramente io non la intendevo così. Infatti, ciò chevolevo era di sorvegliare il lavoro e di metter in motoGiorgio e Harris sotto la mia direzione, incitandoli avolta a volta: «Ehi, tu…!» «Dà qui». «Ecco fatto, abba-stanza semplice!» in realtà guidandoli, così per dire. Mail loro intenderla nella maniera che la intendevano mi ir-ritò. Non v’è nulla che m’irriti più come veder gli altristarsene con le mani in mano, mentre io lavoro.

Vissi una volta con un tale che a questo modo mi fa-ceva ammattire. Se ne stava sdraiato sul sofà e mi guar-dava lavorare per ore di seguito, seguendomi con gli oc-chi nella stanza, dovunque andassi. Diceva che la miaattività gli faceva bene. Gli faceva sentire che la vitanon era un pigro sogno da passar stirandosi e sbadi-gliando, ma un nobile còmpito, pieno di dovere e di au-stero esercizio. Si domandava spesso come avesse potu-to andare avanti, prima d’aver incontrato me, comeavesse potuto durare fino allora senza un esempio in-nanzi agli occhi di fervida attività.

Invece io sono diverso. Non posso rimanermene ozio-so e veder un altro affannarsi a sudare. Voglio levarmi esovraintendere, e aggirarmi con le mani in tasca, ordi-nando ciò che si deve fare. Obbedisco all’energia dellamia natura, e non posso resisterle.

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mia abilità Giorgio e Harris, e dissi di lasciar fare intera-mente a me. Accettarono la proposta con una prontezzache mi parve alquanto strana. Giorgio si caricò la pipa, esi allungò nella poltrona; Harris allungò le gambe sul ta-volino, e si accese un sigaro.

Veramente io non la intendevo così. Infatti, ciò chevolevo era di sorvegliare il lavoro e di metter in motoGiorgio e Harris sotto la mia direzione, incitandoli avolta a volta: «Ehi, tu…!» «Dà qui». «Ecco fatto, abba-stanza semplice!» in realtà guidandoli, così per dire. Mail loro intenderla nella maniera che la intendevano mi ir-ritò. Non v’è nulla che m’irriti più come veder gli altristarsene con le mani in mano, mentre io lavoro.

Vissi una volta con un tale che a questo modo mi fa-ceva ammattire. Se ne stava sdraiato sul sofà e mi guar-dava lavorare per ore di seguito, seguendomi con gli oc-chi nella stanza, dovunque andassi. Diceva che la miaattività gli faceva bene. Gli faceva sentire che la vitanon era un pigro sogno da passar stirandosi e sbadi-gliando, ma un nobile còmpito, pieno di dovere e di au-stero esercizio. Si domandava spesso come avesse potu-to andare avanti, prima d’aver incontrato me, comeavesse potuto durare fino allora senza un esempio in-nanzi agli occhi di fervida attività.

Invece io sono diverso. Non posso rimanermene ozio-so e veder un altro affannarsi a sudare. Voglio levarmi esovraintendere, e aggirarmi con le mani in tasca, ordi-nando ciò che si deve fare. Obbedisco all’energia dellamia natura, e non posso resisterle.

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Non dissi nulla, però, e cominciai a fare il bagaglio.La bisogna sembrava più lunga di quanto avessi imma-ginato; ma arrivai a finire la valigia, vi puntai il ginoc-chio e legai le cinghie.

— E gli stivali dove li lasci? — disse Harris.Guardai in giro, e vidi che li avevo dimenticati. Har-

ris è così. Naturalmente non avrebbe detto una parola,se non avessi chiuso prima la valigia. E Giorgio scoppiòin una risata… una di quelle stupide, idiote, dure e irri-tanti risate sue che mi fanno diventare furioso.

Apersi la valigia e vi ficcai le scarpe; e poi, proprionel momento che stavo per chiuderla, mi lampeggiò inmente un’orribile idea. Ci avevo messo lo spazzolino dadenti? Non so che mi accade, ma non mi rammento maise ho messo o no nella valigia lo spazzolino da denti.

Lo spazzolino da denti è una cosa che mi ossessionain viaggio, e mi rende la vita infelice. Mi sogno di nonaverlo chiuso nella valigia, e la fronte mi stilla di sudorfreddo e scendo dal letto in cerca dello spazzolino. E lamattina lo caccio nella valigia prima di averlo usato, edebbo aprirla un’altra volta, ed è sempre l’ultimo ogget-to che ne cavo fuori; e poi richiudo la valigia e dimenti-co lo spazzolino, e all’ultimo momento debbo correre disopra a prenderlo, e portarlo alla stazione avvolto nelfazzoletto.

Naturalmente, in quel momento, dovetti cavare a unoa uno dalla valigia tutti gli oggetti, e, naturalmente, nonmi riuscì di trovarlo. Li gettai fuori forse nello stessostato in cui dovevano esser prima della creazione del

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Non dissi nulla, però, e cominciai a fare il bagaglio.La bisogna sembrava più lunga di quanto avessi imma-ginato; ma arrivai a finire la valigia, vi puntai il ginoc-chio e legai le cinghie.

— E gli stivali dove li lasci? — disse Harris.Guardai in giro, e vidi che li avevo dimenticati. Har-

ris è così. Naturalmente non avrebbe detto una parola,se non avessi chiuso prima la valigia. E Giorgio scoppiòin una risata… una di quelle stupide, idiote, dure e irri-tanti risate sue che mi fanno diventare furioso.

Apersi la valigia e vi ficcai le scarpe; e poi, proprionel momento che stavo per chiuderla, mi lampeggiò inmente un’orribile idea. Ci avevo messo lo spazzolino dadenti? Non so che mi accade, ma non mi rammento maise ho messo o no nella valigia lo spazzolino da denti.

Lo spazzolino da denti è una cosa che mi ossessionain viaggio, e mi rende la vita infelice. Mi sogno di nonaverlo chiuso nella valigia, e la fronte mi stilla di sudorfreddo e scendo dal letto in cerca dello spazzolino. E lamattina lo caccio nella valigia prima di averlo usato, edebbo aprirla un’altra volta, ed è sempre l’ultimo ogget-to che ne cavo fuori; e poi richiudo la valigia e dimenti-co lo spazzolino, e all’ultimo momento debbo correre disopra a prenderlo, e portarlo alla stazione avvolto nelfazzoletto.

Naturalmente, in quel momento, dovetti cavare a unoa uno dalla valigia tutti gli oggetti, e, naturalmente, nonmi riuscì di trovarlo. Li gettai fuori forse nello stessostato in cui dovevano esser prima della creazione del

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mondo, quando regnava il caos. Naturalmente, trovai di-ciotto volte di seguito lo spazzolino di Giorgio e quellodi Harris, ma non potei trovare il mio. Ripresi la robacapo per capo, sollevando ogni oggetto e scotendolo.Trovai lo spazzolino in uno stivale. Poi rimisi tutto nellavaligia e la chiusi.

Finito che ebbi, Giorgio mi domandò se ci avessimesso il sapone. Gli risposi che non m’importava un belniente se ci fosse o non ci fosse il sapone; e strinsi la va-ligia, e legavo le cinghie, quando accorgendomi d’avercilasciato dentro la borsetta del tabacco, dovetti riaprirla.Fu chiusa finalmente alle dieci e cinque pomeridiane, eallora rimanevano da riempire le ceste. Harris osservòche avevamo innanzi a noi meno di dodici ore di tempo,e che credeva sarebbe stato meglio che lui e Giorgios’occupassero del resto. Io approvai e mi sedetti, e co-minciarono essi.

Cominciarono con molto slancio e leggerezza, permostrarmi come andavan fatte le cose. Io non pronun-ciai alcun commento; aspettai soltanto. Quando Giorgiosarà impiccato, Harris sarà il migliore imballatore diquesto mondo, e mi misi a guardare i mucchi di piatti edi tazze, il calderino, le bottiglie e i boccali, i pasticci, ifornelli, le torte, i pomidori, eccetera; e compresi che lafaccenda sarebbe diventata interessante.

Così fu. Cominciarono col rompere una tazza. Fuquesta la loro prima operazione. Per dimostrarmi,s’intende, che sapevano fare, e attrarre la mia attenzio-ne.

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mondo, quando regnava il caos. Naturalmente, trovai di-ciotto volte di seguito lo spazzolino di Giorgio e quellodi Harris, ma non potei trovare il mio. Ripresi la robacapo per capo, sollevando ogni oggetto e scotendolo.Trovai lo spazzolino in uno stivale. Poi rimisi tutto nellavaligia e la chiusi.

Finito che ebbi, Giorgio mi domandò se ci avessimesso il sapone. Gli risposi che non m’importava un belniente se ci fosse o non ci fosse il sapone; e strinsi la va-ligia, e legavo le cinghie, quando accorgendomi d’avercilasciato dentro la borsetta del tabacco, dovetti riaprirla.Fu chiusa finalmente alle dieci e cinque pomeridiane, eallora rimanevano da riempire le ceste. Harris osservòche avevamo innanzi a noi meno di dodici ore di tempo,e che credeva sarebbe stato meglio che lui e Giorgios’occupassero del resto. Io approvai e mi sedetti, e co-minciarono essi.

Cominciarono con molto slancio e leggerezza, permostrarmi come andavan fatte le cose. Io non pronun-ciai alcun commento; aspettai soltanto. Quando Giorgiosarà impiccato, Harris sarà il migliore imballatore diquesto mondo, e mi misi a guardare i mucchi di piatti edi tazze, il calderino, le bottiglie e i boccali, i pasticci, ifornelli, le torte, i pomidori, eccetera; e compresi che lafaccenda sarebbe diventata interessante.

Così fu. Cominciarono col rompere una tazza. Fuquesta la loro prima operazione. Per dimostrarmi,s’intende, che sapevano fare, e attrarre la mia attenzio-ne.

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Poi Harris mise la marmellata di fragole su un pomi-doro e lo spiaccicò, e lui e Giorgio dovettero raccogliereil pomidoro col cucchiaino.

E poi fu la volta di Giorgio, che mise i piedi sul bur-ro. Io non dissi nulla, ma andai a sedermi sull’orlo deltavolino, e li guardai lavorare. Questo li irritò più diqualunque cosa io avessi potuto dire. Io lo capii. Diven-tarono nervosi ed eccitati, e camminavano sulla roba, esi mettevano degli oggetti di dietro, e non potevano piùtrovarli quando ne avevano bisogno; e poi mettevano ipasticci nel fondo delle ceste per posarvi della roba pe-sante al di sopra, e sbriciolarli.

Rovesciarono il sale da per tutto, e, quanto al burro,non ho visto mai due persone fare, con un paio di lire diburro, più di quanto essi furono capaci di fare. Dopo cheGiorgio l’ebbe tratto da una pianella, tentarono di met-terlo in un calderino. Non ci entrava, e quel che era den-tro veniva di fuori. Lo trassero tutto, finalmente, ra-schiandolo, e lo misero su una sedia, e Harris, ci si sedèsopra, e il burro gli si appiccicò, e poi si misero a cer-carlo per tutta la stanza.

— Giurerei d’averlo messo su quella sedia — dicevaGiorgio, fissando il posto vuoto.

— L’ho visto anch’io, neppure un minuto fa — disseHarris.

Allora si misero di nuovo a girar per la stanza, cer-cando, e s’incontrarono nel centro, guardandosi.

— La cosa più straordinaria che mi sia mai capitata— disse Giorgio.

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Poi Harris mise la marmellata di fragole su un pomi-doro e lo spiaccicò, e lui e Giorgio dovettero raccogliereil pomidoro col cucchiaino.

E poi fu la volta di Giorgio, che mise i piedi sul bur-ro. Io non dissi nulla, ma andai a sedermi sull’orlo deltavolino, e li guardai lavorare. Questo li irritò più diqualunque cosa io avessi potuto dire. Io lo capii. Diven-tarono nervosi ed eccitati, e camminavano sulla roba, esi mettevano degli oggetti di dietro, e non potevano piùtrovarli quando ne avevano bisogno; e poi mettevano ipasticci nel fondo delle ceste per posarvi della roba pe-sante al di sopra, e sbriciolarli.

Rovesciarono il sale da per tutto, e, quanto al burro,non ho visto mai due persone fare, con un paio di lire diburro, più di quanto essi furono capaci di fare. Dopo cheGiorgio l’ebbe tratto da una pianella, tentarono di met-terlo in un calderino. Non ci entrava, e quel che era den-tro veniva di fuori. Lo trassero tutto, finalmente, ra-schiandolo, e lo misero su una sedia, e Harris, ci si sedèsopra, e il burro gli si appiccicò, e poi si misero a cer-carlo per tutta la stanza.

— Giurerei d’averlo messo su quella sedia — dicevaGiorgio, fissando il posto vuoto.

— L’ho visto anch’io, neppure un minuto fa — disseHarris.

Allora si misero di nuovo a girar per la stanza, cer-cando, e s’incontrarono nel centro, guardandosi.

— La cosa più straordinaria che mi sia mai capitata— disse Giorgio.

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— Veramente misteriosa! — disse Harris.Allora Giorgio girò intorno ad Harris, e vide il burro.— Ah, eccolo qui — esclamò indignato.— Dove? — esclamò Harris, girando come un fuso.— Stai un momento fermo! — ruggì Giorgio, corren-

dogli dietro.E raccolsero il burro e lo misero nella teiera.Montmorency prendeva parte a tutto, naturalmente.

L’ambizione di Montmorency nella vita è di cacciarsifra le gambe d’ogni persona ed essere mandato al diavo-lo. Se può insinuarsi in qualche punto dove non è affattodesiderato, disturbare, mandare in bestia le persone evedersi scagliare degli oggetti in testa, allora sa di nonaver sciupata la giornata.

Far inciampare qualcuno su di lui e sentirsi maledireper un’ora, è il suo ideale più alto; e quando gli riesce divederlo effettuato, la sua vanità diventa assolutamenteinsopportabile.

Esso andava a sedersi sugli oggetti, appunto quandobisognava riporli, e si affannava in giro con l’idea fissache tutte le volte che Harris e Giorgio stendevano lamano per pigliar qualcosa, avessero bisogno del suonaso umido e fresco. Mise una gamba nella marmellata,molestò i cucchiaini, immaginò che i limoni fosserotopi, e saltò nella cesta uccidendone tre, prima che Har-ris potesse assestargli un colpo di padella.

Harris disse che ero io che lo incoraggiavo. Niente af-fatto vero. A un cane come quello non occorrono inco-raggiamenti. È il peccato naturale e originale che gli fa

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— Veramente misteriosa! — disse Harris.Allora Giorgio girò intorno ad Harris, e vide il burro.— Ah, eccolo qui — esclamò indignato.— Dove? — esclamò Harris, girando come un fuso.— Stai un momento fermo! — ruggì Giorgio, corren-

dogli dietro.E raccolsero il burro e lo misero nella teiera.Montmorency prendeva parte a tutto, naturalmente.

L’ambizione di Montmorency nella vita è di cacciarsifra le gambe d’ogni persona ed essere mandato al diavo-lo. Se può insinuarsi in qualche punto dove non è affattodesiderato, disturbare, mandare in bestia le persone evedersi scagliare degli oggetti in testa, allora sa di nonaver sciupata la giornata.

Far inciampare qualcuno su di lui e sentirsi maledireper un’ora, è il suo ideale più alto; e quando gli riesce divederlo effettuato, la sua vanità diventa assolutamenteinsopportabile.

Esso andava a sedersi sugli oggetti, appunto quandobisognava riporli, e si affannava in giro con l’idea fissache tutte le volte che Harris e Giorgio stendevano lamano per pigliar qualcosa, avessero bisogno del suonaso umido e fresco. Mise una gamba nella marmellata,molestò i cucchiaini, immaginò che i limoni fosserotopi, e saltò nella cesta uccidendone tre, prima che Har-ris potesse assestargli un colpo di padella.

Harris disse che ero io che lo incoraggiavo. Niente af-fatto vero. A un cane come quello non occorrono inco-raggiamenti. È il peccato naturale e originale che gli fa

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commettere delle imprese simili.Il bagaglio fu finito alle dodici e mezzo; e Harris si

adagiò sulla cesta grossa, dicendo di sperare che non sisarebbe trovato nulla di rotto. Giorgio disse che se qual-che cosa era rotta, era rotta; e questa riflessione parve loconfortasse. Aggiunse che era pronto per andare a letto.Eravamo tutti pronti. Harris doveva dormire con noiquella notte, e ci avviammo di sopra.

Giocammo a sorte i letti, e Harris, cui toccò di doverdormire con me, disse:

— Preferisci l’interno o l’esterno, Gerolamo?Risposi che preferivo generalmente di dormire

nell’interno d’un letto.Harris osservò che era vecchia.Giorgio disse:— Amici, a che ora vi debbo svegliare?— Alle sette — rispose Harris.— No — io dissi — alle sei; — perchè volevo scrive-

re delle lettere.Harris e io ci bisticciammo un po’, ma infine spac-

cammo la differenza, e ci accordammo per le sei e mez-za.

— Svegliaci alle sei e mezza, Giorgio — dicemmo.Giorgio non rispose, e trovammo che s’era già addor-

mentato; e così mettemmo il bagno in modo che potesseprecipitarvi dentro, svegliandosi la mattina; e andammoa letto anche noi.

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commettere delle imprese simili.Il bagaglio fu finito alle dodici e mezzo; e Harris si

adagiò sulla cesta grossa, dicendo di sperare che non sisarebbe trovato nulla di rotto. Giorgio disse che se qual-che cosa era rotta, era rotta; e questa riflessione parve loconfortasse. Aggiunse che era pronto per andare a letto.Eravamo tutti pronti. Harris doveva dormire con noiquella notte, e ci avviammo di sopra.

Giocammo a sorte i letti, e Harris, cui toccò di doverdormire con me, disse:

— Preferisci l’interno o l’esterno, Gerolamo?Risposi che preferivo generalmente di dormire

nell’interno d’un letto.Harris osservò che era vecchia.Giorgio disse:— Amici, a che ora vi debbo svegliare?— Alle sette — rispose Harris.— No — io dissi — alle sei; — perchè volevo scrive-

re delle lettere.Harris e io ci bisticciammo un po’, ma infine spac-

cammo la differenza, e ci accordammo per le sei e mez-za.

— Svegliaci alle sei e mezza, Giorgio — dicemmo.Giorgio non rispose, e trovammo che s’era già addor-

mentato; e così mettemmo il bagno in modo che potesseprecipitarvi dentro, svegliandosi la mattina; e andammoa letto anche noi.

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CAPITOLO V.

La signora Poppets ci sveglia. – Giorgio il pigro. – La truffa dellaprevisione del tempo. – Il bagaglio. – La depravazione del ra-gazzino. – Il popolo si raccoglie intorno a lui. – Partiamo inpompa magna e arriviamo alla stazione di Waterloo. – Inno-cenza dei funzionari della strada ferrata rispetto a simili cosemondane come i treni. – Siamo a galla, a galla in una barcaaperta.

Fu la signora Poppets che mi svegliò la mattina dopo.Essa disse:— Sapete che son quasi le nove, signore?— Le nove? — gridai, balzando a sedere sul letto.— Le nove — essa rispose per il buco della toppa. —

Credo che abbiate fatto tardi.Svegliai Harris, e glielo dissi. Egli domandò:— Non ti volevi svegliare alle sei?— Già — risposi; — perchè non mi hai svegliato?— Se tu non hai svegliato me, come potevo io sve-

gliare te? — ribattè. — Così non saremo al fiume chedopo le dodici. Ora non serve neanche che ti dia il di-sturbo di alzarti.

— Uhm! — risposi — sei fortunato se mi alzo. Se ionon ti avessi svegliato, saresti rimasto a letto per tutta laquindicina.

Ci rimbeccammo a questa maniera per un po’ di mi-nuti, quando fummo interrotti da un suono di sfida di

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CAPITOLO V.

La signora Poppets ci sveglia. – Giorgio il pigro. – La truffa dellaprevisione del tempo. – Il bagaglio. – La depravazione del ra-gazzino. – Il popolo si raccoglie intorno a lui. – Partiamo inpompa magna e arriviamo alla stazione di Waterloo. – Inno-cenza dei funzionari della strada ferrata rispetto a simili cosemondane come i treni. – Siamo a galla, a galla in una barcaaperta.

Fu la signora Poppets che mi svegliò la mattina dopo.Essa disse:— Sapete che son quasi le nove, signore?— Le nove? — gridai, balzando a sedere sul letto.— Le nove — essa rispose per il buco della toppa. —

Credo che abbiate fatto tardi.Svegliai Harris, e glielo dissi. Egli domandò:— Non ti volevi svegliare alle sei?— Già — risposi; — perchè non mi hai svegliato?— Se tu non hai svegliato me, come potevo io sve-

gliare te? — ribattè. — Così non saremo al fiume chedopo le dodici. Ora non serve neanche che ti dia il di-sturbo di alzarti.

— Uhm! — risposi — sei fortunato se mi alzo. Se ionon ti avessi svegliato, saresti rimasto a letto per tutta laquindicina.

Ci rimbeccammo a questa maniera per un po’ di mi-nuti, quando fummo interrotti da un suono di sfida di

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Giorgio, che russava profondamente. Mi rammentai al-lora la prima volta, dopo il nostro risveglio, della suaesistenza. Eccolo là – l’uomo che voleva saper l’ora persvegliarci – eccolo là, supino, la bocca spalancata e leginocchia congiunte.

Certo, non ne so la ragione; ma la vista di chi dormein letto mentr’io sono in piedi, mi mette in furia. Mi ri-volta vedere le ore preziose della vita d’un uomo –gl’istanti impagabili che non ritorneranno mai più –sciupati così, in un semplice sonno da bruto.

Ecco Giorgio che sperpera in una tristissima accidial’inestimabile dono del tempo; ecco la sua preziosa vita,di cui deve un giorno render stretto conto, minuto perminuto, dileguarsi inutilmente. Egli avrebbe potuto in-gozzarsi di uova e prosciutto, stuzzicare il cane, o cor-teggiare la fantesca, invece di starsene lì, immerso inuna mortale oblivione.

Fu un tremendo pensiero, che parve lampeggiassenello stesso istante in me e Harris. Deliberammo di sal-vare Giorgio, e, con questo nobile proposito, dimenti-cammo la nostra disputa. Ci slanciammo a strappargli lecoperte: Harris gli diede un colpo di pantofola, e io losvegliai con un grido nell’orecchio.

— Alzati, dormiglione! — ruggì Harris. — Sono ledieci meno un quarto.

— Come! — gridò Giorgio, saltando dal letto nel ba-gno. — … Chi diavolo ha messo questa roba qui?

Gli dicemmo che era stato uno sciocco a non vedere ilbagno.

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Giorgio, che russava profondamente. Mi rammentai al-lora la prima volta, dopo il nostro risveglio, della suaesistenza. Eccolo là – l’uomo che voleva saper l’ora persvegliarci – eccolo là, supino, la bocca spalancata e leginocchia congiunte.

Certo, non ne so la ragione; ma la vista di chi dormein letto mentr’io sono in piedi, mi mette in furia. Mi ri-volta vedere le ore preziose della vita d’un uomo –gl’istanti impagabili che non ritorneranno mai più –sciupati così, in un semplice sonno da bruto.

Ecco Giorgio che sperpera in una tristissima accidial’inestimabile dono del tempo; ecco la sua preziosa vita,di cui deve un giorno render stretto conto, minuto perminuto, dileguarsi inutilmente. Egli avrebbe potuto in-gozzarsi di uova e prosciutto, stuzzicare il cane, o cor-teggiare la fantesca, invece di starsene lì, immerso inuna mortale oblivione.

Fu un tremendo pensiero, che parve lampeggiassenello stesso istante in me e Harris. Deliberammo di sal-vare Giorgio, e, con questo nobile proposito, dimenti-cammo la nostra disputa. Ci slanciammo a strappargli lecoperte: Harris gli diede un colpo di pantofola, e io losvegliai con un grido nell’orecchio.

— Alzati, dormiglione! — ruggì Harris. — Sono ledieci meno un quarto.

— Come! — gridò Giorgio, saltando dal letto nel ba-gno. — … Chi diavolo ha messo questa roba qui?

Gli dicemmo che era stato uno sciocco a non vedere ilbagno.

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Finimmo di vestirci, e, quando arrivammo agli acces-sori, ricordammo d’aver chiuso nella valigia gli spazzo-lini, la spazzola e il pettine (so bene che lo spazzolinosarà la mia morte), e dovemmo andar da basso a ripe-scarneli. E dopo che ce ne fummo serviti, Giorgio vole-va gli strumenti da radersi. Gli osservammo che quellamattina doveva farne senza, perchè non avremmo apertoun’altra volta la valigia, nè per lui, nè per un altro comelui.

Egli disse:— Non dite sciocchezze. Come posso uscire così per

Londra?Era certamente abbastanza duro per Londra, ma che

c’importava dell’umana sofferenza? E Harris disse, inmaniera molto volgare, che Londra s’andasse a far frig-gere.

Andammo da basso a far colazione. Montmorencyaveva invitato altri due cani ad assistere alla sua parten-za, e intanto passavano il tempo ad azzuffarsi sulla so-glia. Li calmammo con un ombrello, e ci sedemmo in-nanzi alle costolette e al manzo freddo.

Harris disse:— L’importante è di fare una buona colazione; — e

cominciò con un paio di costolette, osservando che leprendeva mentre erano calde, giacchè il manzo potevaattendere.

Giorgio s’impadronì del giornale, e ci lesse le disgra-zie fluviali e marittime, e la previsione del tempo, chevaticinava «pioggia, freddo, vento» (tutto ciò che ci può

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Finimmo di vestirci, e, quando arrivammo agli acces-sori, ricordammo d’aver chiuso nella valigia gli spazzo-lini, la spazzola e il pettine (so bene che lo spazzolinosarà la mia morte), e dovemmo andar da basso a ripe-scarneli. E dopo che ce ne fummo serviti, Giorgio vole-va gli strumenti da radersi. Gli osservammo che quellamattina doveva farne senza, perchè non avremmo apertoun’altra volta la valigia, nè per lui, nè per un altro comelui.

Egli disse:— Non dite sciocchezze. Come posso uscire così per

Londra?Era certamente abbastanza duro per Londra, ma che

c’importava dell’umana sofferenza? E Harris disse, inmaniera molto volgare, che Londra s’andasse a far frig-gere.

Andammo da basso a far colazione. Montmorencyaveva invitato altri due cani ad assistere alla sua parten-za, e intanto passavano il tempo ad azzuffarsi sulla so-glia. Li calmammo con un ombrello, e ci sedemmo in-nanzi alle costolette e al manzo freddo.

Harris disse:— L’importante è di fare una buona colazione; — e

cominciò con un paio di costolette, osservando che leprendeva mentre erano calde, giacchè il manzo potevaattendere.

Giorgio s’impadronì del giornale, e ci lesse le disgra-zie fluviali e marittime, e la previsione del tempo, chevaticinava «pioggia, freddo, vento» (tutto ciò che ci può

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esser di peggiore nel tempo), e qualche temporale loca-le, con depressione generale sulle contee centrali (Lon-dra e Canale). Barometro in discesa».

Io credo che fra tutte le sciocchezze e irritanti buffo-nerie, che ci tormentano, questa frode della previsionedel tempo sia la più grave. Essa «prevede» precisamenteciò che accadde ieri o l’altro ieri, e precisamente l’oppo-sto di ciò che deve accadere oggi.

Ricordo una vacanza d’un autunno passato che mi fucompletamente rovinata dalla relazione sul tempo delgiornale locale. «Oggi c’è probabilità di grossi acquaz-zoni con fulmini» stampò il giornale un lunedì; e noi ri-nunziammo alla scampagnata, e ci fermammo in casaaspettando la pioggia. E la gente passava sotto le fine-stre, riempiendo i calessi e le carrozze, più allegra chemai, con un sole fulgidissimo e neppure una nuvoletta.

— Ah! — dicevamo, guardando, di fuori — ritorne-ranno a casa fradici!

E gongolavamo di piacere pensando a come si sareb-bero bagnati, e tornavamo ad attizzare il fuoco; e pi-gliammo i libri, e poi ordinammo le nostre collezioni dialghe e di conchiglie. Alle dodici, col sole che inondavala stanza, il calore si fece opprimente, e ci domandam-mo quando sarebbero cominciati quei grossi acquazzo-ni.

— Ah! vedrete che si rovesceranno nel pomeriggio— ci dicevamo l’un l’altro. — La gente tornerà inzup-pata. Che allegria!

All’una, la padrona di casa venne a domandarci per-

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esser di peggiore nel tempo), e qualche temporale loca-le, con depressione generale sulle contee centrali (Lon-dra e Canale). Barometro in discesa».

Io credo che fra tutte le sciocchezze e irritanti buffo-nerie, che ci tormentano, questa frode della previsionedel tempo sia la più grave. Essa «prevede» precisamenteciò che accadde ieri o l’altro ieri, e precisamente l’oppo-sto di ciò che deve accadere oggi.

Ricordo una vacanza d’un autunno passato che mi fucompletamente rovinata dalla relazione sul tempo delgiornale locale. «Oggi c’è probabilità di grossi acquaz-zoni con fulmini» stampò il giornale un lunedì; e noi ri-nunziammo alla scampagnata, e ci fermammo in casaaspettando la pioggia. E la gente passava sotto le fine-stre, riempiendo i calessi e le carrozze, più allegra chemai, con un sole fulgidissimo e neppure una nuvoletta.

— Ah! — dicevamo, guardando, di fuori — ritorne-ranno a casa fradici!

E gongolavamo di piacere pensando a come si sareb-bero bagnati, e tornavamo ad attizzare il fuoco; e pi-gliammo i libri, e poi ordinammo le nostre collezioni dialghe e di conchiglie. Alle dodici, col sole che inondavala stanza, il calore si fece opprimente, e ci domandam-mo quando sarebbero cominciati quei grossi acquazzo-ni.

— Ah! vedrete che si rovesceranno nel pomeriggio— ci dicevamo l’un l’altro. — La gente tornerà inzup-pata. Che allegria!

All’una, la padrona di casa venne a domandarci per-

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chè non uscissimo con una così bella, giornata.— No, no — rispondemmo con la risata di chi la sa

lunga — noi no. Non abbiamo l’intenzione di fare unbagno… no, no.

E dopo che il pomeriggio se ne fu quasi andato, e nonsi avvertiva ancora nessun indizio di pioggia, provammoa rallegrarci con l’idea che un rovescio di pioggia si sa-rebbe scatenato tutto a un tratto, appunto quando la gen-te si sarebbe avviata per il ritorno, lontana da qualunqueriparo, in modo che sarebbe stata inaffiata più che mai.Ma non cadde neppure una goccia d’acqua, e così finìuna magnifica giornata e quindi una bellissima sera.

La mattina appresso leggemmo che sarebbe stata una«bella, calda, giornata». Ci vestimmo con gli abiti leg-geri, e uscimmo, e mezz’ora dopo che eravamo partiti,si scatenò una fortissima pioggia, e si mise a imperver-sare un vento terribilmente freddo che durò tutto il gior-no. Tornammo a casa col raffreddore e pieni di reumi, ece ne andammo a letto.

Il tempo è una cosa alla quale non arrivo: io non lacapisco mai. Il barometro è inutile: inganna come le pre-visioni dei giornali.

Ce n’era uno appeso in un albergo di Oxford, dovestavo la primavera scorsa, e, quando io vi arrivai, indi-cava «bello stabile». Semplicemente fuori pioveva cheDio la mandava, e l’aveva mandata tutto il giorno; e ionon potevo assolutamente capirne nulla. Picchiai il ba-rometro, ed esso diede un salto e indicò «molto secco».Il lustrascarpe dell’albergo, che passava, si fermò, e dis-

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chè non uscissimo con una così bella, giornata.— No, no — rispondemmo con la risata di chi la sa

lunga — noi no. Non abbiamo l’intenzione di fare unbagno… no, no.

E dopo che il pomeriggio se ne fu quasi andato, e nonsi avvertiva ancora nessun indizio di pioggia, provammoa rallegrarci con l’idea che un rovescio di pioggia si sa-rebbe scatenato tutto a un tratto, appunto quando la gen-te si sarebbe avviata per il ritorno, lontana da qualunqueriparo, in modo che sarebbe stata inaffiata più che mai.Ma non cadde neppure una goccia d’acqua, e così finìuna magnifica giornata e quindi una bellissima sera.

La mattina appresso leggemmo che sarebbe stata una«bella, calda, giornata». Ci vestimmo con gli abiti leg-geri, e uscimmo, e mezz’ora dopo che eravamo partiti,si scatenò una fortissima pioggia, e si mise a imperver-sare un vento terribilmente freddo che durò tutto il gior-no. Tornammo a casa col raffreddore e pieni di reumi, ece ne andammo a letto.

Il tempo è una cosa alla quale non arrivo: io non lacapisco mai. Il barometro è inutile: inganna come le pre-visioni dei giornali.

Ce n’era uno appeso in un albergo di Oxford, dovestavo la primavera scorsa, e, quando io vi arrivai, indi-cava «bello stabile». Semplicemente fuori pioveva cheDio la mandava, e l’aveva mandata tutto il giorno; e ionon potevo assolutamente capirne nulla. Picchiai il ba-rometro, ed esso diede un salto e indicò «molto secco».Il lustrascarpe dell’albergo, che passava, si fermò, e dis-

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se di credere che volesse intendere per il domani. Imma-ginai che forse il barometro pensava alla settimana pri-ma, ma il lustrascarpe disse di no, credeva di no.

La mattina seguente picchiai di nuovo il barometro, ela pioggia si rovesciò più forte che mai. Il mercoledì an-dai a picchiarlo di nuovo, e la lancetta girò verso «bellostabile», «molto secco» e «molto caldo», finchè non fuarrestata dal piolo, e non potè andar più oltre. L’istru-mento faceva tutto ciò che gli era possibile: era fabbri-cato in modo che non poteva profetare «bello stabile»con più energia senza rompersi. Evidentemente avrebbevoluto seguitare, e prognosticare siccità, carestiad’acqua, colpi di sole, monsoni e simile roba, ma il pio-lo glielo impediva, e si doveva rassegnare a indicare ilsemplice e volgare «molto secco».

Intanto, la pioggia veniva giù a torrenti, e la partebassa della città era sott’acqua, perchè il fiume avevatraboccato.

Il lustrascarpe disse che certo qualche volta si sarebbeavuto un lungo periodo di magnifico tempo, e lesse unapoesia stampata a capo sull’estremità dell’oracolo chediceva:

Lunga la previsione, è breve la durata;ma quando è a breve termine, è subito passata.Quell’estate il bel tempo non venne mai. Credo che lo

strumento alludesse alla primavera seguente.Poi vi sono quelle nuove fogge di barometri lunghi e

dritti. Io non ci ho mai capito nè capo nè coda. V’è unlato per le dieci antimeridiane di ieri, e un lato per le

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se di credere che volesse intendere per il domani. Imma-ginai che forse il barometro pensava alla settimana pri-ma, ma il lustrascarpe disse di no, credeva di no.

La mattina seguente picchiai di nuovo il barometro, ela pioggia si rovesciò più forte che mai. Il mercoledì an-dai a picchiarlo di nuovo, e la lancetta girò verso «bellostabile», «molto secco» e «molto caldo», finchè non fuarrestata dal piolo, e non potè andar più oltre. L’istru-mento faceva tutto ciò che gli era possibile: era fabbri-cato in modo che non poteva profetare «bello stabile»con più energia senza rompersi. Evidentemente avrebbevoluto seguitare, e prognosticare siccità, carestiad’acqua, colpi di sole, monsoni e simile roba, ma il pio-lo glielo impediva, e si doveva rassegnare a indicare ilsemplice e volgare «molto secco».

Intanto, la pioggia veniva giù a torrenti, e la partebassa della città era sott’acqua, perchè il fiume avevatraboccato.

Il lustrascarpe disse che certo qualche volta si sarebbeavuto un lungo periodo di magnifico tempo, e lesse unapoesia stampata a capo sull’estremità dell’oracolo chediceva:

Lunga la previsione, è breve la durata;ma quando è a breve termine, è subito passata.Quell’estate il bel tempo non venne mai. Credo che lo

strumento alludesse alla primavera seguente.Poi vi sono quelle nuove fogge di barometri lunghi e

dritti. Io non ci ho mai capito nè capo nè coda. V’è unlato per le dieci antimeridiane di ieri, e un lato per le

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dieci antimeridiane di oggi; ma sapete bene che uno nonpuò alzarsi sempre a quell’ora. Esso sale o discende perla pioggia e il bel tempo, per il vento forte o debole, e selo picchiate non vi dice nulla. E dovete correggerlo se-condo il livello del mare, e ridurlo al metodo Fahren-heit; ma anche allora io non ci capisco nulla.

Ma chi è che vuol sapere che tempo farà? È già abba-stanza cattivo quando viene, senza aver l’infelicità di sa-perlo in anticipo. Il profeta che piace a noi è quel vec-chio il quale, la mattina d’un giorno particolarmente fo-sco, che noi vogliamo sia bello, guarda in giro l’oriz-zonte con uno sguardo di speciale intelligenza, e dice:

— Ah, no, signore, io credo che si rischiarerà, e saràabbastanza bello.

— Ah, lui lo sa — diciamo noi, che desideriamo ilbel tempo, e partiamo; — strano come questi vecchisanno regolarsi!

E per quell’uomo sentiamo un’affezione, che non èdiminuita dal fatto che il tempo non si rischiara, macontinua a piovere tutto il giorno.

— Ah, bene, — diciamo — egli ha fatto quello cheha potuto.

Per l’uomo, che vaticina il brutto tempo, invece, ab-biamo dei sentimenti di rancore e di vendetta.

— Credete che si rischiarerà? — gridiamo allegra-mente, passando.

— Eh, no, signore; temo che durerà così tutto il gior-no — risponde scotendo il capo.

— Stupido vecchio! — mormoriamo. — Che ne sai

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dieci antimeridiane di oggi; ma sapete bene che uno nonpuò alzarsi sempre a quell’ora. Esso sale o discende perla pioggia e il bel tempo, per il vento forte o debole, e selo picchiate non vi dice nulla. E dovete correggerlo se-condo il livello del mare, e ridurlo al metodo Fahren-heit; ma anche allora io non ci capisco nulla.

Ma chi è che vuol sapere che tempo farà? È già abba-stanza cattivo quando viene, senza aver l’infelicità di sa-perlo in anticipo. Il profeta che piace a noi è quel vec-chio il quale, la mattina d’un giorno particolarmente fo-sco, che noi vogliamo sia bello, guarda in giro l’oriz-zonte con uno sguardo di speciale intelligenza, e dice:

— Ah, no, signore, io credo che si rischiarerà, e saràabbastanza bello.

— Ah, lui lo sa — diciamo noi, che desideriamo ilbel tempo, e partiamo; — strano come questi vecchisanno regolarsi!

E per quell’uomo sentiamo un’affezione, che non èdiminuita dal fatto che il tempo non si rischiara, macontinua a piovere tutto il giorno.

— Ah, bene, — diciamo — egli ha fatto quello cheha potuto.

Per l’uomo, che vaticina il brutto tempo, invece, ab-biamo dei sentimenti di rancore e di vendetta.

— Credete che si rischiarerà? — gridiamo allegra-mente, passando.

— Eh, no, signore; temo che durerà così tutto il gior-no — risponde scotendo il capo.

— Stupido vecchio! — mormoriamo. — Che ne sai

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poi? — E, se la sua predizione risulta esatta, ritorniamoa casa con una sorda ira contro di lui, o con una vagaidea che, in un modo o nell’altro, egli abbia avuto manonella faccenda.

Quella speciale mattina era troppo lucente e radiosa,perchè la triste lettura di Giorgio «il barometro in disce-sa», «disturbi atmosferici, che passano in linea obliquasull’Europa del sud», e «pressione in aumento», ci scon-volgessero molto; e così, trovando ch’egli non potevarattristarci e non faceva che sciupare il suo tempo, glistrappai la sigaretta che s’era arrotolata per sè, e me neandai.

Poi Harris e io, preparate le poche carabattole rimastesul tavolino, trasportammo tutto il bagaglio sulla sogliadi casa, e aspettammo una carrozza.

Il bagaglio ci sembrò molto, dopo che lo vedemmoraccolto tutto insieme. V’era la valigia monumentale ela valigetta, le due ceste, un grosso rotolo di coperte,quattro o cinque soprabiti e gl’impermeabili, un po’d’ombrelli, e poi un mellone da solo in un sacchetto,perchè era troppo voluminoso da trovar posto in qualcheparte, un paio di libbre d’uva in un altro sacchetto, unombrello di carta giapponese, e una padella, che essendotroppo lunga da esser cacciata in qualche parte, era stataavviluppata con carta grigia.

Tutto aveva l’apparenza d’un lotto da portare a ven-dere, e Harris e io ce ne vergognammo un po’, benchènon ne sapessimo dir la ragione. Nessuna vettura passa-va, ma passavano i monelli e, interessati, a quanto pare-

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poi? — E, se la sua predizione risulta esatta, ritorniamoa casa con una sorda ira contro di lui, o con una vagaidea che, in un modo o nell’altro, egli abbia avuto manonella faccenda.

Quella speciale mattina era troppo lucente e radiosa,perchè la triste lettura di Giorgio «il barometro in disce-sa», «disturbi atmosferici, che passano in linea obliquasull’Europa del sud», e «pressione in aumento», ci scon-volgessero molto; e così, trovando ch’egli non potevarattristarci e non faceva che sciupare il suo tempo, glistrappai la sigaretta che s’era arrotolata per sè, e me neandai.

Poi Harris e io, preparate le poche carabattole rimastesul tavolino, trasportammo tutto il bagaglio sulla sogliadi casa, e aspettammo una carrozza.

Il bagaglio ci sembrò molto, dopo che lo vedemmoraccolto tutto insieme. V’era la valigia monumentale ela valigetta, le due ceste, un grosso rotolo di coperte,quattro o cinque soprabiti e gl’impermeabili, un po’d’ombrelli, e poi un mellone da solo in un sacchetto,perchè era troppo voluminoso da trovar posto in qualcheparte, un paio di libbre d’uva in un altro sacchetto, unombrello di carta giapponese, e una padella, che essendotroppo lunga da esser cacciata in qualche parte, era stataavviluppata con carta grigia.

Tutto aveva l’apparenza d’un lotto da portare a ven-dere, e Harris e io ce ne vergognammo un po’, benchènon ne sapessimo dir la ragione. Nessuna vettura passa-va, ma passavano i monelli e, interessati, a quanto pare-

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va, alla mostra, si fermavano.Il garzoncello di Bigg fu il primo a comparire. Bigg è

il nostro fruttivendolo, e la sua più grande abilità consi-ste nell’assicurarsi i servizi dei marmocchi più maledu-cati e abbandonati che la civiltà abbia mai prodotti. Senel nostro vicinato avviene qualche cosa di più canaglie-sco del solito fra la ragazzaglia, sappiamo che è l’ultimadel garzone di Bigg. Si diceva che, al tempo dell’assas-sinio di Great Coran Street, si fosse rapidamente conclu-so che il garzone di Bigg (di quel periodo) non fossestato del tutto estraneo alla faccenda, e che se egli nonfosse stato capace, in risposta all’interrogatorio al qualelo aveva assoggettato il n. 19 (quando gli erano statedate delle ordinazioni, la mattina, dopo il delitto), assi-stito dal n. 21, che in quell’ora era per caso sulla sogliadella propria abitazione, di provare un completo alibi,avrebbe passato un brutto quarto d’ora. Io non conosce-vo allora il garzone di Bigg, ma da ciò che ho vedutonegli altri suoi successori dopo, neanch’io avrei dato aquell’alibi molta importanza.

Il garzone di Bigg, com’ho detto, sbucò primo dallacantonata. Era evidentemente in gran fretta, nel primoistante che gli albeggiò la visione, ma, come scòrse Har-ris, me, Montmorency e la roba, allentò il passo e simise a guardare. Harris e io lo fissammo con le cigliaaggrottate, atto che avrebbe ferito una natura più sensi-bile; ma i garzoni di Bigg non sono di regola suscettibi-li. Si fermò di proposito deliberato, a un passo dalla so-glia di casa nostra, e, raccattando una paglia da biascia-

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va, alla mostra, si fermavano.Il garzoncello di Bigg fu il primo a comparire. Bigg è

il nostro fruttivendolo, e la sua più grande abilità consi-ste nell’assicurarsi i servizi dei marmocchi più maledu-cati e abbandonati che la civiltà abbia mai prodotti. Senel nostro vicinato avviene qualche cosa di più canaglie-sco del solito fra la ragazzaglia, sappiamo che è l’ultimadel garzone di Bigg. Si diceva che, al tempo dell’assas-sinio di Great Coran Street, si fosse rapidamente conclu-so che il garzone di Bigg (di quel periodo) non fossestato del tutto estraneo alla faccenda, e che se egli nonfosse stato capace, in risposta all’interrogatorio al qualelo aveva assoggettato il n. 19 (quando gli erano statedate delle ordinazioni, la mattina, dopo il delitto), assi-stito dal n. 21, che in quell’ora era per caso sulla sogliadella propria abitazione, di provare un completo alibi,avrebbe passato un brutto quarto d’ora. Io non conosce-vo allora il garzone di Bigg, ma da ciò che ho vedutonegli altri suoi successori dopo, neanch’io avrei dato aquell’alibi molta importanza.

Il garzone di Bigg, com’ho detto, sbucò primo dallacantonata. Era evidentemente in gran fretta, nel primoistante che gli albeggiò la visione, ma, come scòrse Har-ris, me, Montmorency e la roba, allentò il passo e simise a guardare. Harris e io lo fissammo con le cigliaaggrottate, atto che avrebbe ferito una natura più sensi-bile; ma i garzoni di Bigg non sono di regola suscettibi-li. Si fermò di proposito deliberato, a un passo dalla so-glia di casa nostra, e, raccattando una paglia da biascia-

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re, ci fissò insolentemente. Evidentemente intendeva ve-der partire tutta la baracca.

Un momento dopo sbucò il garzone del droghiere dallato apposto. Il garzone di Bigg lo salutò.

— Ehi, se ne va il pianterreno del numero 42.Il garzone del droghiere traversò la via, e si piantò

sull’altro lato della soglia. Allora giunse il signorinodella bottega del calzolaio che si strinse al garzone diBigg; mentre un altro monello, sovraintendente ai reci-pienti vuoti della bettola della cantonata, prendeva unaposizione indipendente sul marciapiede.

— Accidenti alle provviste! Non hanno intenzione dimorir di fame — disse il signorino del calzolaio.

— Anche tu ti porteresti qualche cosa — ribattèl’ultimo monello — se dovessi fare la traversatadell’Atlantico in una barchetta.

— Non faranno la traversata dell’Atlantico — inter-ruppe il garzone di Bigg; — partono alla ricerca di Stan-ley.

Intanto s’era raccolta una piccola calca, e la gente sidomandava di che cosa si trattasse. Alcuni (la parte gio-vanile e fantasiosa della folla) sostenevano che si tratta-va d’un matrimonio e indicavano Harris come lo sposo;mentre i più attempati e sagaci della plebaglia eran trattia credere che si trattasse d’un funerale, dicendo che pro-babilmente ero io il fratello del morto.

Finalmente, spuntò una vettura vuota (è una via,dove, di regola, quando non ne occorrono, di vetturevuote ne passano in media tre al minuto, e sfarfalleggia-

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re, ci fissò insolentemente. Evidentemente intendeva ve-der partire tutta la baracca.

Un momento dopo sbucò il garzone del droghiere dallato apposto. Il garzone di Bigg lo salutò.

— Ehi, se ne va il pianterreno del numero 42.Il garzone del droghiere traversò la via, e si piantò

sull’altro lato della soglia. Allora giunse il signorinodella bottega del calzolaio che si strinse al garzone diBigg; mentre un altro monello, sovraintendente ai reci-pienti vuoti della bettola della cantonata, prendeva unaposizione indipendente sul marciapiede.

— Accidenti alle provviste! Non hanno intenzione dimorir di fame — disse il signorino del calzolaio.

— Anche tu ti porteresti qualche cosa — ribattèl’ultimo monello — se dovessi fare la traversatadell’Atlantico in una barchetta.

— Non faranno la traversata dell’Atlantico — inter-ruppe il garzone di Bigg; — partono alla ricerca di Stan-ley.

Intanto s’era raccolta una piccola calca, e la gente sidomandava di che cosa si trattasse. Alcuni (la parte gio-vanile e fantasiosa della folla) sostenevano che si tratta-va d’un matrimonio e indicavano Harris come lo sposo;mentre i più attempati e sagaci della plebaglia eran trattia credere che si trattasse d’un funerale, dicendo che pro-babilmente ero io il fratello del morto.

Finalmente, spuntò una vettura vuota (è una via,dove, di regola, quando non ne occorrono, di vetturevuote ne passano in media tre al minuto, e sfarfalleggia-

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no in giro e vi si caccian fra i piedi), e montatici noi e inostri beni mobili, e cacciando un paio di amici diMontmorency, che avevano evidentemente giurato dinon abbandonarlo, partimmo seguiti dalle grida e dagliapplausi della folla, e da una carota scagliataci dal gar-zone di Bigg per augurio.

Arrivammo alla stazione di Waterloo alle undici, edomandammo di dove partisse il treno delle undici ecinque. Naturalmente nessuno lo sapeva; nessuno allastazione di Waterloo sa mai di dove un treno deve parti-re, o dove va un treno quando parte, o qualche altra cosadi simile. Il facchino, che s’era assunto il nostro baga-glio, opinava che sarebbe partito dalla piattaforma nu-mero due, mentre un altro facchino, con cui egli discus-se la questione, aveva udito la voce che sarebbe partitoda quella numero uno. Il capostazione, d’altra parte, eraconvinto che sarebbe partito dalla piattaforma dei trenilocali.

Per sincerarsi della faccenda, ci recammo di sopra daldirettore del traffico, il quale ci disse d’aver incontratoappunto una persona, che aveva visto il treno sulla piat-taforma numero tre. Ci recammo alla piattaforma nume-ro tre, ma lì i capi ci dissero di credere che quel trenofosse piuttosto il diretto di Southampton, o forse quellodella coincidenza di Windsor. Erano certi, però, che nonera il treno di Kingston, benchè non sapessero la ragionedella loro certezza.

Allora il nostro facchino disse di credere che si do-vesse andare alla piattaforma ad alto livello; lo conosce-

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no in giro e vi si caccian fra i piedi), e montatici noi e inostri beni mobili, e cacciando un paio di amici diMontmorency, che avevano evidentemente giurato dinon abbandonarlo, partimmo seguiti dalle grida e dagliapplausi della folla, e da una carota scagliataci dal gar-zone di Bigg per augurio.

Arrivammo alla stazione di Waterloo alle undici, edomandammo di dove partisse il treno delle undici ecinque. Naturalmente nessuno lo sapeva; nessuno allastazione di Waterloo sa mai di dove un treno deve parti-re, o dove va un treno quando parte, o qualche altra cosadi simile. Il facchino, che s’era assunto il nostro baga-glio, opinava che sarebbe partito dalla piattaforma nu-mero due, mentre un altro facchino, con cui egli discus-se la questione, aveva udito la voce che sarebbe partitoda quella numero uno. Il capostazione, d’altra parte, eraconvinto che sarebbe partito dalla piattaforma dei trenilocali.

Per sincerarsi della faccenda, ci recammo di sopra daldirettore del traffico, il quale ci disse d’aver incontratoappunto una persona, che aveva visto il treno sulla piat-taforma numero tre. Ci recammo alla piattaforma nume-ro tre, ma lì i capi ci dissero di credere che quel trenofosse piuttosto il diretto di Southampton, o forse quellodella coincidenza di Windsor. Erano certi, però, che nonera il treno di Kingston, benchè non sapessero la ragionedella loro certezza.

Allora il nostro facchino disse di credere che si do-vesse andare alla piattaforma ad alto livello; lo conosce-

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va lui quel treno. Andammo quindi alla piattaforma adalto livello, e ci presentammo al macchinista, doman-dandogli se fosse diretto a Kingston. Rispose di non po-terlo dire sicuramente, ma inclinava piuttosto per il sì.Però, se non era l’undici e quindici per Kingston, spera-va che fosse quello delle nove e trentadue per VirginiaWater, o il diretto delle dieci antimeridiane dell’isola diWight, o di qualche luogo nella stessa direzione:l’avremmo saputo con precisione all’arrivo. Insinuam-mo mezza corona nella mano del macchinista, e lo pre-gammo di essere l’undici e cinque per Kingston.

— Nessuno mai saprà su questa linea che cosa siate edove andiate — perorammo. — Voi sapete la via, e che-to cheto ve ne andate a Kingston.

— Bene, io non so, signori miei — rispose quell’ani-ma nobile; — ma immagino che qualche treno debbaandare a Kingston. Ci andrò io.

E così andammo a Kingston.Apprendemmo dopo che il treno col quale eravamo

arrivati era veramente quello postale di Exeter, e che sierano perdute ore e ore a cercarlo, senza sapere che nefosse successo.

La nostra barca ci aspettava a Kingston sotto il ponte,e verso di essa c’indirizzammo, e intorno a essa ammuc-chiammo il bagaglio, e in essa discendemmo.

— Pronti, signori — disse l’uomo che la custodiva.— Pronti — rispondemmo; e Harris ai remi, io al ti-

mone, e Montmorency, infelice e profondamente sospet-toso a prua, ci slanciammo sulle acque che ci avrebbero

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va lui quel treno. Andammo quindi alla piattaforma adalto livello, e ci presentammo al macchinista, doman-dandogli se fosse diretto a Kingston. Rispose di non po-terlo dire sicuramente, ma inclinava piuttosto per il sì.Però, se non era l’undici e quindici per Kingston, spera-va che fosse quello delle nove e trentadue per VirginiaWater, o il diretto delle dieci antimeridiane dell’isola diWight, o di qualche luogo nella stessa direzione:l’avremmo saputo con precisione all’arrivo. Insinuam-mo mezza corona nella mano del macchinista, e lo pre-gammo di essere l’undici e cinque per Kingston.

— Nessuno mai saprà su questa linea che cosa siate edove andiate — perorammo. — Voi sapete la via, e che-to cheto ve ne andate a Kingston.

— Bene, io non so, signori miei — rispose quell’ani-ma nobile; — ma immagino che qualche treno debbaandare a Kingston. Ci andrò io.

E così andammo a Kingston.Apprendemmo dopo che il treno col quale eravamo

arrivati era veramente quello postale di Exeter, e che sierano perdute ore e ore a cercarlo, senza sapere che nefosse successo.

La nostra barca ci aspettava a Kingston sotto il ponte,e verso di essa c’indirizzammo, e intorno a essa ammuc-chiammo il bagaglio, e in essa discendemmo.

— Pronti, signori — disse l’uomo che la custodiva.— Pronti — rispondemmo; e Harris ai remi, io al ti-

mone, e Montmorency, infelice e profondamente sospet-toso a prua, ci slanciammo sulle acque che ci avrebbero

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fatto da casa per una quindicina.

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fatto da casa per una quindicina.

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CAPITOLO VI.

Kingston. – Osservazioni istruttive sulla storia inglese antica. –Note istruttive sulla quercia intagliata e la vita in generale. –Triste caso di Stivving, iuniore. – Meditazioni sull’antichità. –Dimentico di stare al timone. – Importante risultato. – Il labe-rinto di Hampton Court. – Harris guida.

Era una mattinata magnifica, della fine della primave-ra, o dell’inizio dell’estate, come meglio vi piace, e lasquisita lucentezza dell’erba e delle foglie si stava mu-tando in un verde più cupo: l’anno sembrava una bellavergine giovinetta che tremasse di segreti e strani palpitisull’orlo della femminilità.

Le bizzarre strade posteriori di Kingston apparivan,dove venivano ad affacciarsi sull’orlo del fiume, vera-mente pittoresche nella fulgida luce del sole, col fiumeche scintillava gremito di barche, con la strada dell’alza-ia boscosa, con le eleganti villette sull’uno e l’altro lato,con Harris, che aveva una giubba rossa e arancione ebrontolava sui remi, con la visione distante del vecchioe grigio palagio dei Tudor. Era un quadro radioso, cosìlucente, ma calmo, così pieno di vita e pure così tran-quillo, che, sebbene fosse di mattina presto, mi parevadi essere fantasticamente cullato come in un sogno pen-soso.

Pensavo a Kingston o «Kynigestun», come era chia-mato nei giorni che i re sassoni v’andavano a incoronar-

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CAPITOLO VI.

Kingston. – Osservazioni istruttive sulla storia inglese antica. –Note istruttive sulla quercia intagliata e la vita in generale. –Triste caso di Stivving, iuniore. – Meditazioni sull’antichità. –Dimentico di stare al timone. – Importante risultato. – Il labe-rinto di Hampton Court. – Harris guida.

Era una mattinata magnifica, della fine della primave-ra, o dell’inizio dell’estate, come meglio vi piace, e lasquisita lucentezza dell’erba e delle foglie si stava mu-tando in un verde più cupo: l’anno sembrava una bellavergine giovinetta che tremasse di segreti e strani palpitisull’orlo della femminilità.

Le bizzarre strade posteriori di Kingston apparivan,dove venivano ad affacciarsi sull’orlo del fiume, vera-mente pittoresche nella fulgida luce del sole, col fiumeche scintillava gremito di barche, con la strada dell’alza-ia boscosa, con le eleganti villette sull’uno e l’altro lato,con Harris, che aveva una giubba rossa e arancione ebrontolava sui remi, con la visione distante del vecchioe grigio palagio dei Tudor. Era un quadro radioso, cosìlucente, ma calmo, così pieno di vita e pure così tran-quillo, che, sebbene fosse di mattina presto, mi parevadi essere fantasticamente cullato come in un sogno pen-soso.

Pensavo a Kingston o «Kynigestun», come era chia-mato nei giorni che i re sassoni v’andavano a incoronar-

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si. Il gran Cesare traversò lì il fiume, e le legioni romanes’accamparono su quei declivî. Cesare, come più tardi laregina Elisabetta, sembra si fermasse da per tutto: sol-tanto, egli era più rispettabile della buona regina Betta:non discendeva a tutte le locande.

Era appassionata delle locande, la regina d’Inghilter-ra. Non v’era un albergo di qualche attrattiva, nel raggiodi dieci miglia da Londra, nel quale, a quel che si dice,non fosse una volta o l’altra entrata, o non si fosse fer-mata, o non avesse dormito. Mi domando ora, facendol’ipotesi che Harris cominciasse una vita nuova, divenis-se un grande e brav’uomo, e fosse nominato primo mi-nistro, e morisse, se non verrebbero messe delle lapidisulle liquorerie e i ristoranti da lui frequentati: «Harrisbevve un bicchiere in questa casa», «Harris prese quidue bicchierini di whisky nel 1888»; «Harris fu chiama-to da qui nel dicembre 1886».

No, ve ne sarebbero troppe. Sarebbero le liquorerie dalui omesse che diventerebbero famose: «Una liquoreriain Londra in cui Harris non bevve mai». La popolazioneaccorrerebbe in folla per saper la ragione di simile ab-bandono.

Come il povero re Edwy dovè odiare Kynigestun? Lafesta dell’incoronazione era stata una grave fatica perlui. Forse la testa di cinghiale ripiena di dolci non gli erapiaciuta (so che non sarebbe piaciuta neppure a me), edegli ne aveva abbastanza del vino di Xeres e d’idromele,e sparì quatto quatto dall’orgia strepitosa per avereun’ora di tranquilla luce lunare con la diletta Elgiva.

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si. Il gran Cesare traversò lì il fiume, e le legioni romanes’accamparono su quei declivî. Cesare, come più tardi laregina Elisabetta, sembra si fermasse da per tutto: sol-tanto, egli era più rispettabile della buona regina Betta:non discendeva a tutte le locande.

Era appassionata delle locande, la regina d’Inghilter-ra. Non v’era un albergo di qualche attrattiva, nel raggiodi dieci miglia da Londra, nel quale, a quel che si dice,non fosse una volta o l’altra entrata, o non si fosse fer-mata, o non avesse dormito. Mi domando ora, facendol’ipotesi che Harris cominciasse una vita nuova, divenis-se un grande e brav’uomo, e fosse nominato primo mi-nistro, e morisse, se non verrebbero messe delle lapidisulle liquorerie e i ristoranti da lui frequentati: «Harrisbevve un bicchiere in questa casa», «Harris prese quidue bicchierini di whisky nel 1888»; «Harris fu chiama-to da qui nel dicembre 1886».

No, ve ne sarebbero troppe. Sarebbero le liquorerie dalui omesse che diventerebbero famose: «Una liquoreriain Londra in cui Harris non bevve mai». La popolazioneaccorrerebbe in folla per saper la ragione di simile ab-bandono.

Come il povero re Edwy dovè odiare Kynigestun? Lafesta dell’incoronazione era stata una grave fatica perlui. Forse la testa di cinghiale ripiena di dolci non gli erapiaciuta (so che non sarebbe piaciuta neppure a me), edegli ne aveva abbastanza del vino di Xeres e d’idromele,e sparì quatto quatto dall’orgia strepitosa per avereun’ora di tranquilla luce lunare con la diletta Elgiva.

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Forse, dal vano della finestra, con le mani allacciate,essi guardavano la calma luce della luna sul fiume, men-tre dalle sale lontane l’orgia strepitosa fluttuava in echiinterrotti di cupo trambusto.

Le forze brutali di Odo e san Dustan si aprirono ilvarco nella cheta stanza, e scagliarono atroci insulti allaregina dal dolce viso, e trascinarono il povero Edwy frail tremendo clamore degli ubbriachi.

Anni dopo, al cozzo della musica della battaglia, i resassoni e l’orgia sassone erano sepolti a fianco a fianco,e per un po’ la grandezza di Kingston si dileguò per riaf-facciarsi ancora una volta, quanto Hampton diventò ilpalazzo dei Tudor e degli Stuardi, e le imbarcazioni realiandavano ad ormeggiarsi alla riva del fiume, e i vagheg-gini dai fulgidi mantelli si pavoneggiavano giù per gliscalini del fiume in attesa delle barche.

Molte delle vecchie case, intorno intorno, parlanomolto eloquentemente di quei giorni che Kingston eraun borgo reale, e la lunga strada verso le porte del palaz-zo s’allietava tutto il giorno di tintinnio d’acciai e di pa-lafreni caracollanti, di sete fruscianti, di velluti e di gra-ziosi visi. Gli edifici larghi e spaziosi, con le finestre asesto acuto, con gli enormi focolari e gli alti comignoli,respirano i tempi delle maglie e del giustacuore, dei bu-sti ricamati di perle, e dei giuramenti complicati. Furonoeretti nei giorni che gli uomini sapevano fabbricare. Iduri mattoni rossi non si son che consolidati col tempo,e le loro scale di quercia non scricchiolano e non bron-tolano quando si cerca di discenderne pian piano.

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Forse, dal vano della finestra, con le mani allacciate,essi guardavano la calma luce della luna sul fiume, men-tre dalle sale lontane l’orgia strepitosa fluttuava in echiinterrotti di cupo trambusto.

Le forze brutali di Odo e san Dustan si aprirono ilvarco nella cheta stanza, e scagliarono atroci insulti allaregina dal dolce viso, e trascinarono il povero Edwy frail tremendo clamore degli ubbriachi.

Anni dopo, al cozzo della musica della battaglia, i resassoni e l’orgia sassone erano sepolti a fianco a fianco,e per un po’ la grandezza di Kingston si dileguò per riaf-facciarsi ancora una volta, quanto Hampton diventò ilpalazzo dei Tudor e degli Stuardi, e le imbarcazioni realiandavano ad ormeggiarsi alla riva del fiume, e i vagheg-gini dai fulgidi mantelli si pavoneggiavano giù per gliscalini del fiume in attesa delle barche.

Molte delle vecchie case, intorno intorno, parlanomolto eloquentemente di quei giorni che Kingston eraun borgo reale, e la lunga strada verso le porte del palaz-zo s’allietava tutto il giorno di tintinnio d’acciai e di pa-lafreni caracollanti, di sete fruscianti, di velluti e di gra-ziosi visi. Gli edifici larghi e spaziosi, con le finestre asesto acuto, con gli enormi focolari e gli alti comignoli,respirano i tempi delle maglie e del giustacuore, dei bu-sti ricamati di perle, e dei giuramenti complicati. Furonoeretti nei giorni che gli uomini sapevano fabbricare. Iduri mattoni rossi non si son che consolidati col tempo,e le loro scale di quercia non scricchiolano e non bron-tolano quando si cerca di discenderne pian piano.

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A proposito di vecchie scale di quercia, ricordo cheve n’è una magnificamente intagliata in una delle casedi Kingston. È in una bottega ora, in piazza del mercato,ma una volta, certo, era nella magione di qualche granpersonaggio. Un amico mio, di Kingston, entrò in quellabottega un giorno a comprar un cappello, e, in un mo-mento d’oblio, si mise la mano in tasca e pagò immedia-tamente.

Il cappellaio, che conosce il mio amico, fu natural-mente un po’ sorpreso in principio; ma subito riavendo-si, comprendendo che qualcosa si doveva fare per inco-raggiare quella specie di commercio, chiese al nostroeroe se desiderava di vedere qualche bel lavoro di quer-cia intagliata. – Il mio amico disse di sì, e il bottegaio,quindi, lo condusse a traverso la bottega, fino alla scali-nata della sua abitazione. Le balaustrate erano un mo-dello di magnifica esecuzione, e la parete accanto allascala, era, da capo a fondo, tutta rivestita di quercia conintagli che avrebbero fatto onore al più sontuoso palaz-zo.

Dalla scala i due entrarono nel salotto, che eraun’ampia e splendida stanza, decorata di una, alquantostrana, benchè allegra, tappezzeria di carta su fondo az-zurro. Non v’era nulla di notevole, però, in giro e il mioamico domandò perchè mai fosse stato condotto colà. Ilproprietario si avvicinò alla tappezzeria, e la picchiò.Essa rispose con un rumor di legno.

— Quercia — egli spiegò. — Tutta quercia intagliata,fino al soffitto, appunto come avete visto sulla scalinata.

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A proposito di vecchie scale di quercia, ricordo cheve n’è una magnificamente intagliata in una delle casedi Kingston. È in una bottega ora, in piazza del mercato,ma una volta, certo, era nella magione di qualche granpersonaggio. Un amico mio, di Kingston, entrò in quellabottega un giorno a comprar un cappello, e, in un mo-mento d’oblio, si mise la mano in tasca e pagò immedia-tamente.

Il cappellaio, che conosce il mio amico, fu natural-mente un po’ sorpreso in principio; ma subito riavendo-si, comprendendo che qualcosa si doveva fare per inco-raggiare quella specie di commercio, chiese al nostroeroe se desiderava di vedere qualche bel lavoro di quer-cia intagliata. – Il mio amico disse di sì, e il bottegaio,quindi, lo condusse a traverso la bottega, fino alla scali-nata della sua abitazione. Le balaustrate erano un mo-dello di magnifica esecuzione, e la parete accanto allascala, era, da capo a fondo, tutta rivestita di quercia conintagli che avrebbero fatto onore al più sontuoso palaz-zo.

Dalla scala i due entrarono nel salotto, che eraun’ampia e splendida stanza, decorata di una, alquantostrana, benchè allegra, tappezzeria di carta su fondo az-zurro. Non v’era nulla di notevole, però, in giro e il mioamico domandò perchè mai fosse stato condotto colà. Ilproprietario si avvicinò alla tappezzeria, e la picchiò.Essa rispose con un rumor di legno.

— Quercia — egli spiegò. — Tutta quercia intagliata,fino al soffitto, appunto come avete visto sulla scalinata.

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— Ma, giusto cielo! amico — esclamò l’altro; — ma,non mi vorrete dire che avete coperto la quercia inta-gliata con la tappezzeria di carta azzurra.

— Sì, — rispose il cappellaio; — e m’è costata parec-chio. Naturalmente doveva essere pareggiata ben bene.Ma la stanza ora ha l’apparenza allegra. Prima era d’unatristezza mortale.

Non posso dire assolutamente che il cappellaio abbiatorto (cosa questa, che, senza dubbio, lo consolerà mol-to). Nei suoi panni, che sarebbero i panni del proprieta-rio di una casa in generale, il quale desidera di passar lavita con la maggiore leggerezza possibile e non nellamaniera del maniaco di anticaglie, egli ha ragione. Laquercia intagliata è molto piacevole a vedere, ad averneun poco, ma per quelli, la cui fantasia mira in altre dire-zioni, è molto opprimente sfregarla per ogni dove. Sa-rebbe come vivere in una chiesa.

No, triste nel suo caso era il fatto ch’egli, che non sicurava della quercia intagliata, doveva averne il salottotutto ricoperto, mentre della gente che ne va matta devespendere dei tesori per averla. Par che a questo mondola regola sia questa. Ogni persona ha ciò che non vuole,e ciò che vorrebbe l’hanno gli altri.

Gli ammogliati hanno le mogli, e par che non le vo-gliano; e gli scapoli si lamentano che non possono aver-le. Della gente che tira la vita coi denti ha otto robustifigliuoli. Delle vecchie coppie, ricche sfondate, con nes-suno a cui lasciare il loro denaro, muoiono senza figli.

Poi vi sono ragazze con i loro innamorati. Le ragazze

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— Ma, giusto cielo! amico — esclamò l’altro; — ma,non mi vorrete dire che avete coperto la quercia inta-gliata con la tappezzeria di carta azzurra.

— Sì, — rispose il cappellaio; — e m’è costata parec-chio. Naturalmente doveva essere pareggiata ben bene.Ma la stanza ora ha l’apparenza allegra. Prima era d’unatristezza mortale.

Non posso dire assolutamente che il cappellaio abbiatorto (cosa questa, che, senza dubbio, lo consolerà mol-to). Nei suoi panni, che sarebbero i panni del proprieta-rio di una casa in generale, il quale desidera di passar lavita con la maggiore leggerezza possibile e non nellamaniera del maniaco di anticaglie, egli ha ragione. Laquercia intagliata è molto piacevole a vedere, ad averneun poco, ma per quelli, la cui fantasia mira in altre dire-zioni, è molto opprimente sfregarla per ogni dove. Sa-rebbe come vivere in una chiesa.

No, triste nel suo caso era il fatto ch’egli, che non sicurava della quercia intagliata, doveva averne il salottotutto ricoperto, mentre della gente che ne va matta devespendere dei tesori per averla. Par che a questo mondola regola sia questa. Ogni persona ha ciò che non vuole,e ciò che vorrebbe l’hanno gli altri.

Gli ammogliati hanno le mogli, e par che non le vo-gliano; e gli scapoli si lamentano che non possono aver-le. Della gente che tira la vita coi denti ha otto robustifigliuoli. Delle vecchie coppie, ricche sfondate, con nes-suno a cui lasciare il loro denaro, muoiono senza figli.

Poi vi sono ragazze con i loro innamorati. Le ragazze

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che hanno gl’innamorati non ne hanno bisogno. Diconoche ne farebbero volentieri a meno, che essi le seccano.E perchè non vanno a far l’amore con la signorina tale etal’altra, che sono brutte e vecchie, e non sono fidanza-te? Ma queste non le vogliono, gl’innamorati; non inten-dono sposarsi.

Non giova indugiarsi su queste cose; si diventa tristi.V’era un ragazzo nella mia scuola che noi solevamo

chiamare Sandford e Merton. Il suo vero nome era Stiv-ving. Era il ragazzo più straordinario ch’io avessi maiincontrato. Credo che realmente gli piacesse lo studio.Soleva avere delle terribili liti per star levato sul letto aleggere il greco; e, quanto ai verbi irregolari francesi,era semplicemente impossibile nasconderglieli. Pieno distrane e non naturali idee intorno alla possibilità di faronore ai parenti e alla scuola, agognava di guadagnarsi iprimi premi, e di crescere un brav’uomo, come tutti queideboli di mente che hanno di queste idee. Io non avevomai visto una così strana creatura, ma innocua, badate,come un bambino appena nato.

Bene, quel ragazzo soleva ammalarsi circa due voltela settimana, di modo che non poteva andare a scuola.Non vi fu mai per ammalarsi un altro simile a Sandforde Merton. Se v’era qualche malattia nota che infuriava adieci miglia lontano, egli la pigliava, e in maniera grave.S’ammalava di bronchite nei giorni della canicola, e pi-gliava la febbre del fieno a Natale. Dopo un periodo disei settimane di siccità, veniva colpito dalla febbre reu-matica; e usciva nella nebbia di novembre, per tornare a

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che hanno gl’innamorati non ne hanno bisogno. Diconoche ne farebbero volentieri a meno, che essi le seccano.E perchè non vanno a far l’amore con la signorina tale etal’altra, che sono brutte e vecchie, e non sono fidanza-te? Ma queste non le vogliono, gl’innamorati; non inten-dono sposarsi.

Non giova indugiarsi su queste cose; si diventa tristi.V’era un ragazzo nella mia scuola che noi solevamo

chiamare Sandford e Merton. Il suo vero nome era Stiv-ving. Era il ragazzo più straordinario ch’io avessi maiincontrato. Credo che realmente gli piacesse lo studio.Soleva avere delle terribili liti per star levato sul letto aleggere il greco; e, quanto ai verbi irregolari francesi,era semplicemente impossibile nasconderglieli. Pieno distrane e non naturali idee intorno alla possibilità di faronore ai parenti e alla scuola, agognava di guadagnarsi iprimi premi, e di crescere un brav’uomo, come tutti queideboli di mente che hanno di queste idee. Io non avevomai visto una così strana creatura, ma innocua, badate,come un bambino appena nato.

Bene, quel ragazzo soleva ammalarsi circa due voltela settimana, di modo che non poteva andare a scuola.Non vi fu mai per ammalarsi un altro simile a Sandforde Merton. Se v’era qualche malattia nota che infuriava adieci miglia lontano, egli la pigliava, e in maniera grave.S’ammalava di bronchite nei giorni della canicola, e pi-gliava la febbre del fieno a Natale. Dopo un periodo disei settimane di siccità, veniva colpito dalla febbre reu-matica; e usciva nella nebbia di novembre, per tornare a

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casa con un colpo di sole.Lo misero un anno sotto il gas esilarante, povero ra-

gazzo, e gli estrassero i denti, e gli misero la dentierafinta, perchè soffriva in continuazione d’un terribile maldi denti che poi si trasformò in nevralgia e mal d’orec-chi. Egli non stette mai senza raffreddore, salvo una vol-ta per nove settimane in cui ebbe la scarlattina; ed ebbesempre i geloni alle mani e ai piedi. Durante la grandeepidemia di colera del 1871, il nostro vicinato ne rimasefortunatamente immune. Vi fu un unico caso accertatonell’intera parrocchia: e quel caso fu il giovane Stiv-ving.

Aveva da stare in letto quand’era malato e mangiavapollo in gelatina e crema, e dell’uva di serra; ed egli gia-ceva sospiroso, perchè non gli lasciavan fare gli esercizilatini e gli strappavan la grammatica tedesca.

E noi altri ragazzi, che avremmo sacrificato dieci tri-mestri di vita scolastica per esser malati una giornata, enon avevamo alcun desiderio di dar motivo ai nostri ge-nitori d’esser orgogliosi di noi, non potevamo avereneppure la piccola gioia d’un torcicollo. Ci trastullava-mo nelle correnti d’aria, e ci facevan bene, rinfrescando-ci; mangiavamo roba che ci doveva far ammalare e tuttoc’ingrassava invece finchè non venivano le vacanze. Al-lora all’alba pigliavamo il raffreddore, la tosse canina eogni sorta di malattia, e duravan finchè si riaprivan lescuole: quando nonostante tutto, si faceva il contrario diquel che si doveva fare, ci sentivamo di nuovo bene emeglio che mai.

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casa con un colpo di sole.Lo misero un anno sotto il gas esilarante, povero ra-

gazzo, e gli estrassero i denti, e gli misero la dentierafinta, perchè soffriva in continuazione d’un terribile maldi denti che poi si trasformò in nevralgia e mal d’orec-chi. Egli non stette mai senza raffreddore, salvo una vol-ta per nove settimane in cui ebbe la scarlattina; ed ebbesempre i geloni alle mani e ai piedi. Durante la grandeepidemia di colera del 1871, il nostro vicinato ne rimasefortunatamente immune. Vi fu un unico caso accertatonell’intera parrocchia: e quel caso fu il giovane Stiv-ving.

Aveva da stare in letto quand’era malato e mangiavapollo in gelatina e crema, e dell’uva di serra; ed egli gia-ceva sospiroso, perchè non gli lasciavan fare gli esercizilatini e gli strappavan la grammatica tedesca.

E noi altri ragazzi, che avremmo sacrificato dieci tri-mestri di vita scolastica per esser malati una giornata, enon avevamo alcun desiderio di dar motivo ai nostri ge-nitori d’esser orgogliosi di noi, non potevamo avereneppure la piccola gioia d’un torcicollo. Ci trastullava-mo nelle correnti d’aria, e ci facevan bene, rinfrescando-ci; mangiavamo roba che ci doveva far ammalare e tuttoc’ingrassava invece finchè non venivano le vacanze. Al-lora all’alba pigliavamo il raffreddore, la tosse canina eogni sorta di malattia, e duravan finchè si riaprivan lescuole: quando nonostante tutto, si faceva il contrario diquel che si doveva fare, ci sentivamo di nuovo bene emeglio che mai.

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Questa è la vita; e noi siamo come l’erba che è falcia-ta, messa nel forno e bruciata.

Per ritornare alla questione della quercia intagliata,dovevano avere delle magnifiche nozioni dell’artistico edel bello i nostri antenati. Giacchè tutti i tesori d’arteodierni non sono che oggetti comuni scavati dopo tre oquattrocento anni. Io mi domando se vi sia una reale, in-trinseca bellezza nelle scodelle, nei boccali da birra, ne-gli smoccolatoi che sono tenuti tanto in pregio ora, o senon sia soltanto l’aureola dell’età che li illumina e dàloro quel fascino che vi scoprono i nostri occhi. Le vec-chie terraglie azzurre che adornano le nostre pareti era-no i comuni oggetti familiari di pochi secoli fa; e i pa-storelli rosei e le pastorelle gialle che noi pigliamo inmano oggi, e mostriamo ai nostri amici perchè spasimi-no d’ammirazione, fingendo d’intenderli, erano gli orna-menti soliti della mensola del camino, che la mammadel secolo decimottavo dava al piccino da succhiarequando piangeva.

Sarà lo stesso nel futuro? Gl’impareggiabili tesoridell’oggi saranno sempre le comuni inezie del giornoprima? Saranno i piatti con cui noi desiniamo oggi,schierati sopra i caminetti dei grandi nell’anno duemilae tanti? Le candide tazze con l’orlo e il bel fiore d’orodentro (di specie sconosciuta), che le nostre persone diservizio ora rompono allegramente, saranno poi accura-tamente rappezzate, messe su una mensoletta e spolve-rate soltanto dalla padrona di casa?

Penso al cane di porcellana che adorna la camera da

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Questa è la vita; e noi siamo come l’erba che è falcia-ta, messa nel forno e bruciata.

Per ritornare alla questione della quercia intagliata,dovevano avere delle magnifiche nozioni dell’artistico edel bello i nostri antenati. Giacchè tutti i tesori d’arteodierni non sono che oggetti comuni scavati dopo tre oquattrocento anni. Io mi domando se vi sia una reale, in-trinseca bellezza nelle scodelle, nei boccali da birra, ne-gli smoccolatoi che sono tenuti tanto in pregio ora, o senon sia soltanto l’aureola dell’età che li illumina e dàloro quel fascino che vi scoprono i nostri occhi. Le vec-chie terraglie azzurre che adornano le nostre pareti era-no i comuni oggetti familiari di pochi secoli fa; e i pa-storelli rosei e le pastorelle gialle che noi pigliamo inmano oggi, e mostriamo ai nostri amici perchè spasimi-no d’ammirazione, fingendo d’intenderli, erano gli orna-menti soliti della mensola del camino, che la mammadel secolo decimottavo dava al piccino da succhiarequando piangeva.

Sarà lo stesso nel futuro? Gl’impareggiabili tesoridell’oggi saranno sempre le comuni inezie del giornoprima? Saranno i piatti con cui noi desiniamo oggi,schierati sopra i caminetti dei grandi nell’anno duemilae tanti? Le candide tazze con l’orlo e il bel fiore d’orodentro (di specie sconosciuta), che le nostre persone diservizio ora rompono allegramente, saranno poi accura-tamente rappezzate, messe su una mensoletta e spolve-rate soltanto dalla padrona di casa?

Penso al cane di porcellana che adorna la camera da

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letto del mio appartamentino ammobiliato. È un canebianco dagli occhi azzurri, dal naso d’un rosso delicatocon chiazze nere. Ha la testa dolorosamente ritta, conun’espressione di amorevolezza che arriva fino all’orlodell’imbecillità. Io non lo ammiro affatto. Consideran-dolo come un lavoro d’arte, posso dire che m’irrita. Imiei poco riguardosi amici ne sorridono, e la mia stessapadrona di casa non ha alcuna ammirazione per lui, e nescusa la presenza in casa col fatto che glielo ha regalatola zia.

Ma fra un paio di secoli è più che probabile che quelcane sarà dissepolto in questa o quella parte, senza legambe e con la coda tronca, e sarà venduto per porcella-na antica e messo in un armadietto a vetri. Si rimarràsorpresi dalla meravigliosa profondità del colore delnaso, e si faranno delle congetture sulla coda perduta,che doveva essere bellissima.

Noi, nell’età nostra, non vediamo la bellezza di quelcane, che ci è troppo familiare. Esso è come il tramontodel sole, come le stelle: la loro bellezza non ci fa rive-renti, perchè per i nostri occhi è comune. Così con quelcane di porcellana. Nel duemila duecento ottantotto lagente spalancherà gli occhi ammirati. La manifattura dicani simili sarà divenuta un’arte perduta. I nostri discen-denti si domanderanno meravigliati come mai noi riu-scissimo a modellarli, e celebreranno la nostra abilità. Sialluderà a noi amabilmente, come a «quei magnificivecchi artisti che fiorivano nel secolo decimonono eproducevano quei cani di porcellana».

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letto del mio appartamentino ammobiliato. È un canebianco dagli occhi azzurri, dal naso d’un rosso delicatocon chiazze nere. Ha la testa dolorosamente ritta, conun’espressione di amorevolezza che arriva fino all’orlodell’imbecillità. Io non lo ammiro affatto. Consideran-dolo come un lavoro d’arte, posso dire che m’irrita. Imiei poco riguardosi amici ne sorridono, e la mia stessapadrona di casa non ha alcuna ammirazione per lui, e nescusa la presenza in casa col fatto che glielo ha regalatola zia.

Ma fra un paio di secoli è più che probabile che quelcane sarà dissepolto in questa o quella parte, senza legambe e con la coda tronca, e sarà venduto per porcella-na antica e messo in un armadietto a vetri. Si rimarràsorpresi dalla meravigliosa profondità del colore delnaso, e si faranno delle congetture sulla coda perduta,che doveva essere bellissima.

Noi, nell’età nostra, non vediamo la bellezza di quelcane, che ci è troppo familiare. Esso è come il tramontodel sole, come le stelle: la loro bellezza non ci fa rive-renti, perchè per i nostri occhi è comune. Così con quelcane di porcellana. Nel duemila duecento ottantotto lagente spalancherà gli occhi ammirati. La manifattura dicani simili sarà divenuta un’arte perduta. I nostri discen-denti si domanderanno meravigliati come mai noi riu-scissimo a modellarli, e celebreranno la nostra abilità. Sialluderà a noi amabilmente, come a «quei magnificivecchi artisti che fiorivano nel secolo decimonono eproducevano quei cani di porcellana».

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Si parlerà del «modello» che la figliuola maggiore ri-camò a scuola come della «tappezzeria dell’êra vittoria-na» e non ci sarà denaro che lo comprerà. Si darà la cac-cia ai boccali bianchi e azzurri degli alberghi di campa-gna odierni, e saranno screpolati e slabbrati, venduti apeso d’oro, e i ricchi li useranno per i vini fini, e i viag-giatori giapponesi compreranno tutti i «Doni di Ram-sgate» e i «Ricordi di Ramsgate», che potranno esseresfuggiti alla distruzione, e se li porteranno a Jeddo comeantiche curiosità inglesi.

A questo punto Harris gettò via i remi, si levò, la-sciando il suo posto, si sedette sul dorso, e congiunse legambe in aria. Montmorency urlò, fece un salto mortale,e la cesta di sopra balzò e cadde, riversando tutto ciòche conteneva.

Io fui alquanto sorpreso, ma rimasi calmo. Dissi, pia-cevolmente:

— Ohi! Perchè mai?— Perchè mai? Perchè…No, ripensandoci, non ripeterò ciò che disse Harris. Io

posso aver avuto la mia parte di torto, lo ammetto; manulla scusa la violenza di linguaggio e la villania delleespressioni, specialmente in un uomo, che, come Harris,è stato attentamente educato. Io pensavo ad altro, e ave-vo dimenticato, come chiunque avrebbe potuto facil-mente comprendere, che reggevo il timone, e la conse-guenza fu che noi ci mischiammo un po’ troppo con lastrada dell’alzaia. Fu per quel momento difficile distin-guere fra noi e la riva di Middlesex; ma ci ritrovammo

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Si parlerà del «modello» che la figliuola maggiore ri-camò a scuola come della «tappezzeria dell’êra vittoria-na» e non ci sarà denaro che lo comprerà. Si darà la cac-cia ai boccali bianchi e azzurri degli alberghi di campa-gna odierni, e saranno screpolati e slabbrati, venduti apeso d’oro, e i ricchi li useranno per i vini fini, e i viag-giatori giapponesi compreranno tutti i «Doni di Ram-sgate» e i «Ricordi di Ramsgate», che potranno esseresfuggiti alla distruzione, e se li porteranno a Jeddo comeantiche curiosità inglesi.

A questo punto Harris gettò via i remi, si levò, la-sciando il suo posto, si sedette sul dorso, e congiunse legambe in aria. Montmorency urlò, fece un salto mortale,e la cesta di sopra balzò e cadde, riversando tutto ciòche conteneva.

Io fui alquanto sorpreso, ma rimasi calmo. Dissi, pia-cevolmente:

— Ohi! Perchè mai?— Perchè mai? Perchè…No, ripensandoci, non ripeterò ciò che disse Harris. Io

posso aver avuto la mia parte di torto, lo ammetto; manulla scusa la violenza di linguaggio e la villania delleespressioni, specialmente in un uomo, che, come Harris,è stato attentamente educato. Io pensavo ad altro, e ave-vo dimenticato, come chiunque avrebbe potuto facil-mente comprendere, che reggevo il timone, e la conse-guenza fu che noi ci mischiammo un po’ troppo con lastrada dell’alzaia. Fu per quel momento difficile distin-guere fra noi e la riva di Middlesex; ma ci ritrovammo

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dopo un po’, e potemmo separarci dalla riva.Harris, però, disse che aveva lavorato abbastanza per

un tratto, e mi invitò a lavorare a mia volta; così, sicco-me eravamo nella barca, io uscii e presi il cavo di rimor-chio, tirandolo fin oltre Hampton Court. Che bel vec-chio muro è quello che corre lungo il fiume in quel sen-so! Tutte le volte che ci passo mi sembra di sentirmi me-glio alla sua vista. Un vecchio muro, dolce, morbido elucente! Che bel quadro formerebbe col lichene ches’arrampica in un punto, il musco che s’arrampica in unaltro, con una timida, giovane vite che s’affaccia sullavetta da una parte, per veder che accade sulla correnteaffaccendata, e la mite, vecchia edera, che s’ammassaun poco più giù! Vi sono cinquanta ombre e tinte e sfu-mature in ogni dieci metri di quel vecchio muro. Se solosapessi disegnare, e come dipingere, certo potrei fare unbello schizzo di quel vecchio muro. Spesso ho pensatoche mi piacerebbe vivere ad Hampton Court. Sembracosì cheto e tranquillo, ed è un così caro recesso da va-garvi la mattina presto, prima che molta gente sia ingiro.

Ma, ecco, non credo che me ne curerei più che tanto,se si venisse ad attuare il mio desiderio. Sarebbe cosìspettrale e cupo e deprimente la sera quando la vostralampada gittasse delle ombre paurose sui muri rivestitidi legno, e l’eco di grida lontane sonasse a traverso icorridoi di marmo, e ora s’avvicinasse, ora s’allontanas-se, e tranne le pulsazioni del proprio cuore, non si sen-tisse che un mortale silenzio.

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dopo un po’, e potemmo separarci dalla riva.Harris, però, disse che aveva lavorato abbastanza per

un tratto, e mi invitò a lavorare a mia volta; così, sicco-me eravamo nella barca, io uscii e presi il cavo di rimor-chio, tirandolo fin oltre Hampton Court. Che bel vec-chio muro è quello che corre lungo il fiume in quel sen-so! Tutte le volte che ci passo mi sembra di sentirmi me-glio alla sua vista. Un vecchio muro, dolce, morbido elucente! Che bel quadro formerebbe col lichene ches’arrampica in un punto, il musco che s’arrampica in unaltro, con una timida, giovane vite che s’affaccia sullavetta da una parte, per veder che accade sulla correnteaffaccendata, e la mite, vecchia edera, che s’ammassaun poco più giù! Vi sono cinquanta ombre e tinte e sfu-mature in ogni dieci metri di quel vecchio muro. Se solosapessi disegnare, e come dipingere, certo potrei fare unbello schizzo di quel vecchio muro. Spesso ho pensatoche mi piacerebbe vivere ad Hampton Court. Sembracosì cheto e tranquillo, ed è un così caro recesso da va-garvi la mattina presto, prima che molta gente sia ingiro.

Ma, ecco, non credo che me ne curerei più che tanto,se si venisse ad attuare il mio desiderio. Sarebbe cosìspettrale e cupo e deprimente la sera quando la vostralampada gittasse delle ombre paurose sui muri rivestitidi legno, e l’eco di grida lontane sonasse a traverso icorridoi di marmo, e ora s’avvicinasse, ora s’allontanas-se, e tranne le pulsazioni del proprio cuore, non si sen-tisse che un mortale silenzio.

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Noi siamo creature del sole, noi uomini e donne.Amiamo la luce e la vita. Ecco perchè ci affolliamo neipaesi e nelle città, e la campagna diventa ogni annosempre più deserta. Alla luce del sole – nelle ore delgiorno, quando la natura è viva e tutta affaccendata in-torno a noi, amiamo abbastanza le apriche colline e i bo-schi profondi; ma la notte, che la nostra madre terra s’èaddormentata, lasciandoci svegli, ahi! il mondo ci sem-bra così desolato, e noi abbiamo paura, come bambini inuna casa silenziosa. Allora ci sediamo a singhiozzare, ebramiamo le vie illuminate dal gas, e il suono delle vociumane e la corrispondente pulsazione della vita umana.Ci sentiamo così soli e così piccini nella gran calma,quando gli alberi bui stormiscono al vento notturno. Visono tanti spettri in giro, e i loro taciti sospiri ci fannosentir così tristi. E ci raccogliamo nelle grandi città, eaccendiamo dei grandi falò d’un milione di becchi digas, e gridiamo e cantiamo insieme per darci coraggio!

Harris mi domandò se io avessi visto mai il laberintodi Hampton Court. Aggiunse d’esservi andato una voltaa mostrare a qualche altro la via. L’aveva studiato suuna carta, ed era così semplice che il laberinto gli sem-brava una sciocchezza – degno appena dei quattro soldiche si pagavano per l’ingresso. La carta doveva esserstata disegnata per abbindolare i gonzi, perchè non cor-rispondeva affatto affatto alla realtà, e traviava invece diguidare. Era un cugino di campagna, che Harris avevaaccompagnato.

— Noi ci andremo — aveva detto Harris al cugino —

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Noi siamo creature del sole, noi uomini e donne.Amiamo la luce e la vita. Ecco perchè ci affolliamo neipaesi e nelle città, e la campagna diventa ogni annosempre più deserta. Alla luce del sole – nelle ore delgiorno, quando la natura è viva e tutta affaccendata in-torno a noi, amiamo abbastanza le apriche colline e i bo-schi profondi; ma la notte, che la nostra madre terra s’èaddormentata, lasciandoci svegli, ahi! il mondo ci sem-bra così desolato, e noi abbiamo paura, come bambini inuna casa silenziosa. Allora ci sediamo a singhiozzare, ebramiamo le vie illuminate dal gas, e il suono delle vociumane e la corrispondente pulsazione della vita umana.Ci sentiamo così soli e così piccini nella gran calma,quando gli alberi bui stormiscono al vento notturno. Visono tanti spettri in giro, e i loro taciti sospiri ci fannosentir così tristi. E ci raccogliamo nelle grandi città, eaccendiamo dei grandi falò d’un milione di becchi digas, e gridiamo e cantiamo insieme per darci coraggio!

Harris mi domandò se io avessi visto mai il laberintodi Hampton Court. Aggiunse d’esservi andato una voltaa mostrare a qualche altro la via. L’aveva studiato suuna carta, ed era così semplice che il laberinto gli sem-brava una sciocchezza – degno appena dei quattro soldiche si pagavano per l’ingresso. La carta doveva esserstata disegnata per abbindolare i gonzi, perchè non cor-rispondeva affatto affatto alla realtà, e traviava invece diguidare. Era un cugino di campagna, che Harris avevaaccompagnato.

— Noi ci andremo — aveva detto Harris al cugino —

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e così tu potrai dir di esserci stato, ma è semplicissimo.È una sciocchezza chiamarlo laberinto. Tu continui a in-filare la prima voltata a destra, cammini per una diecinadi minuti, e poi vai a fare colazione.

Incontrarono della gente che era entrata, la quale dis-se che vi s’era aggirata per tre quarti d’ora e n’aveva ab-bastanza. Harris invitò tutti a seguir lui, se loro non di-spiaceva; egli entrava appunto allora, avrebbe fatto ilgiro, e sarebbe uscito. Lo ringraziarono per tanta corte-sia, gli si misero dietro e s’avviarono.

Raccolsero per via varie altre persone che volevanouscire, finchè non raggrupparono quanti erano presentinel laberinto. Persone che avevano rinunziato alla spe-ranza di vederne la fine e di uscirne mai più, o di rivede-re la casa e i parenti, ripresero coraggio alla vista diHarris e della sua compagnia, e si unirono alla proces-sione, benedicendolo. Harris raccontava che dovevanoessere almeno in venti a seguirlo; e una donna con unpiccino, la quale s’era aggirata lì tutta la mattina, gli siaggrappò al braccio, per paura di perderlo.

Harris continuava a voltare a destra, ma la via sem-brava lunga, e il cugino gli disse di immaginare che illaberinto fosse enorme.

— Ah, uno dei più grandi! — disse Harris.— Sì dev’esser così — rispose il cugino — perchè

abbiamo percorso almeno un paio di miglia.Harris cominciò a pensare che il laberinto fosse piut-

tosto bizzarro, ma continuò ad andare sinchè, infine,non inciamparono in un mezzo panino di due soldi che

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e così tu potrai dir di esserci stato, ma è semplicissimo.È una sciocchezza chiamarlo laberinto. Tu continui a in-filare la prima voltata a destra, cammini per una diecinadi minuti, e poi vai a fare colazione.

Incontrarono della gente che era entrata, la quale dis-se che vi s’era aggirata per tre quarti d’ora e n’aveva ab-bastanza. Harris invitò tutti a seguir lui, se loro non di-spiaceva; egli entrava appunto allora, avrebbe fatto ilgiro, e sarebbe uscito. Lo ringraziarono per tanta corte-sia, gli si misero dietro e s’avviarono.

Raccolsero per via varie altre persone che volevanouscire, finchè non raggrupparono quanti erano presentinel laberinto. Persone che avevano rinunziato alla spe-ranza di vederne la fine e di uscirne mai più, o di rivede-re la casa e i parenti, ripresero coraggio alla vista diHarris e della sua compagnia, e si unirono alla proces-sione, benedicendolo. Harris raccontava che dovevanoessere almeno in venti a seguirlo; e una donna con unpiccino, la quale s’era aggirata lì tutta la mattina, gli siaggrappò al braccio, per paura di perderlo.

Harris continuava a voltare a destra, ma la via sem-brava lunga, e il cugino gli disse di immaginare che illaberinto fosse enorme.

— Ah, uno dei più grandi! — disse Harris.— Sì dev’esser così — rispose il cugino — perchè

abbiamo percorso almeno un paio di miglia.Harris cominciò a pensare che il laberinto fosse piut-

tosto bizzarro, ma continuò ad andare sinchè, infine,non inciamparono in un mezzo panino di due soldi che

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il cugino di Harris giurò di aver veduto già in terra setteminuti prima. — Oh, impossibile! — ma la donna colpiccino disse: — Verissimo — perchè lei stessa l’avevastrappato prima dalle mani del bambino e gettato lì, pri-ma d’incontrare Harris. Aggiunse anche che avrebbe de-siderato di non incontrarlo mai, esprimendo l’opinionech’egli era un impostore. Questo mandò sulle furie Har-ris, che cavò la carta e spiegò la sua teoria.

— La carta può anche essere esatta — disse uno dellacompagnia — ma bisognerebbe sapere in che punto oraci troviamo.

Harris non lo sapeva, e dichiarò che la cosa miglioresarebbe stata di tornare indietro all’ingresso e comincia-re da capo. Per cominciare da capo non vi fu molto en-tusiasmo; ma riguardo all’opportunità di tornareall’ingresso vi fu unanimità assoluta, e così tornarono, arimorchio di Harris, nella direzione opposta. Passaronocirca altri dieci minuti, e poi si ritrovarono nel centro.

Harris pensò sulle prime di fingere che era quello ilpunto al quale aveva mirato; ma il branco aveva unaspetto pericoloso, ed egli decise di considerar la cosaun semplice caso.

A ogni modo, essi ora avevano un punto da cui parti-re. Sapevano dove si trovavano: la carta fu consultataancora una volta, la cosa parve più semplice che mai, esi misero in via per la terza volta.

E tre minuti dopo erano di nuovo nel centro.Dopo, non seppero arrivare più in nessun altro punto.

Qualunque via infilassero, essa li portava indietro nel

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il cugino di Harris giurò di aver veduto già in terra setteminuti prima. — Oh, impossibile! — ma la donna colpiccino disse: — Verissimo — perchè lei stessa l’avevastrappato prima dalle mani del bambino e gettato lì, pri-ma d’incontrare Harris. Aggiunse anche che avrebbe de-siderato di non incontrarlo mai, esprimendo l’opinionech’egli era un impostore. Questo mandò sulle furie Har-ris, che cavò la carta e spiegò la sua teoria.

— La carta può anche essere esatta — disse uno dellacompagnia — ma bisognerebbe sapere in che punto oraci troviamo.

Harris non lo sapeva, e dichiarò che la cosa miglioresarebbe stata di tornare indietro all’ingresso e comincia-re da capo. Per cominciare da capo non vi fu molto en-tusiasmo; ma riguardo all’opportunità di tornareall’ingresso vi fu unanimità assoluta, e così tornarono, arimorchio di Harris, nella direzione opposta. Passaronocirca altri dieci minuti, e poi si ritrovarono nel centro.

Harris pensò sulle prime di fingere che era quello ilpunto al quale aveva mirato; ma il branco aveva unaspetto pericoloso, ed egli decise di considerar la cosaun semplice caso.

A ogni modo, essi ora avevano un punto da cui parti-re. Sapevano dove si trovavano: la carta fu consultataancora una volta, la cosa parve più semplice che mai, esi misero in via per la terza volta.

E tre minuti dopo erano di nuovo nel centro.Dopo, non seppero arrivare più in nessun altro punto.

Qualunque via infilassero, essa li portava indietro nel

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mezzo. Divenne una cosa tanto normale, infine, che al-cuni si fermarono lì e aspettavano che gli altri facesseroun giro per vederli tornare. Harris cavò di nuovo la car-ta, dopo un poco, ma quella vista fece montare in bestiala folla, che gli gridò d’andare con la sua carta ad arric-ciarsi i capelli. Harris, come poi disse, non potè nonsentire che, in un certo modo, aveva perso la fiducia po-polare.

Divennero tutti furiosi, infine, e chiamarono gridandoil custode, il quale corse ad arrampicarsi sulla scala al difuori, e di lì gridò delle istruzioni. Ma i visitatori aveva-no, a quell’ora, una così turbinosa confusione in testache furono incapaci di afferrar nulla. Così il custode rac-comandò loro di fermarsi dove si trovavano, chè sareb-be andato lui. Si aggrupparono, e aspettarono; quegli di-scese e andò.

Disgrazia volle ch’egli fosse un custode giovane, enuovo del luogo. Quindi egli non potè trovarli, e vagò ingiro, tentando di raggiungerli, ma si smarrì. I visitatorilo vedevano di tanto in tanto correre contro l’altro latodella siepe; ed egli vedeva essi, e correva per raggiun-gerli; ma lo aspettavano per cinque minuti, e poi quegliriappariva di nuovo esattamente allo stesso punto, do-mandando dove si fossero cacciati.

Si dovè aspettare che tornasse da desinare il vecchiocustode, prima che potessero uscire.

Harris disse che, per quanto lui poteva giudicare, eraun bel laberinto; e noi ci accordammo che avremmo ten-tato di mandarvi Giorgio, al nostro ritorno.

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mezzo. Divenne una cosa tanto normale, infine, che al-cuni si fermarono lì e aspettavano che gli altri facesseroun giro per vederli tornare. Harris cavò di nuovo la car-ta, dopo un poco, ma quella vista fece montare in bestiala folla, che gli gridò d’andare con la sua carta ad arric-ciarsi i capelli. Harris, come poi disse, non potè nonsentire che, in un certo modo, aveva perso la fiducia po-polare.

Divennero tutti furiosi, infine, e chiamarono gridandoil custode, il quale corse ad arrampicarsi sulla scala al difuori, e di lì gridò delle istruzioni. Ma i visitatori aveva-no, a quell’ora, una così turbinosa confusione in testache furono incapaci di afferrar nulla. Così il custode rac-comandò loro di fermarsi dove si trovavano, chè sareb-be andato lui. Si aggrupparono, e aspettarono; quegli di-scese e andò.

Disgrazia volle ch’egli fosse un custode giovane, enuovo del luogo. Quindi egli non potè trovarli, e vagò ingiro, tentando di raggiungerli, ma si smarrì. I visitatorilo vedevano di tanto in tanto correre contro l’altro latodella siepe; ed egli vedeva essi, e correva per raggiun-gerli; ma lo aspettavano per cinque minuti, e poi quegliriappariva di nuovo esattamente allo stesso punto, do-mandando dove si fossero cacciati.

Si dovè aspettare che tornasse da desinare il vecchiocustode, prima che potessero uscire.

Harris disse che, per quanto lui poteva giudicare, eraun bel laberinto; e noi ci accordammo che avremmo ten-tato di mandarvi Giorgio, al nostro ritorno.

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CAPITOLO VII.

Il fiume nella sua veste domenicale. – Equipaggiamento sul fiu-me. – Un’occasione per gli uomini. – Assenza di gusto in Har-ris. – La giubba di Giorgio. – Una giornata con la donna vesti-ta secondo il figurino. – La tomba della signora Thomas. –L’uomo che non si diletta di tombe, di feretri e di scheletri. –Harris furioso. – Le sue opinioni su Giorgio, le rive e la limo-nata. – Acrobazia di Harris.

Fu mentre passavamo per Moulsey che Harris mi nar-rò la sua prova del laberinto. Ci volle qualche tempo perpassar la chiusa, perchè la nostra era l’unica barca, e lachiusa di Moulsey è grande. Non mi ricordavo d’averlamai vista prima con un’unica barca. Essa è, credo, nep-pure eccettuata quella di Boulter, la più affollata.

Io son stato a guardarla, talvolta, quando non vi si ve-deva affatto acqua, ma solo una splendida confusione dilucenti giubbe, di berretti gai, di cappellini civettuoli, diparasoli a vari colori, di coperte di seta, di mantelli, dinastri ondeggianti e di elegante biancheria; quando aguardar sulla chiusa dalla riva si poteva immaginar cheessa fosse un’enorme cassa in cui fiori d’ogni colore esfumatura fossero stati gettati confusamente e stesseroammucchiati in un fascio d’arcobaleni, per tutti gli an-goli.

Le belle domeniche essa presenta questo aspetto qua-si tutta la giornata, mentre su per la corrente e giù per la

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CAPITOLO VII.

Il fiume nella sua veste domenicale. – Equipaggiamento sul fiu-me. – Un’occasione per gli uomini. – Assenza di gusto in Har-ris. – La giubba di Giorgio. – Una giornata con la donna vesti-ta secondo il figurino. – La tomba della signora Thomas. –L’uomo che non si diletta di tombe, di feretri e di scheletri. –Harris furioso. – Le sue opinioni su Giorgio, le rive e la limo-nata. – Acrobazia di Harris.

Fu mentre passavamo per Moulsey che Harris mi nar-rò la sua prova del laberinto. Ci volle qualche tempo perpassar la chiusa, perchè la nostra era l’unica barca, e lachiusa di Moulsey è grande. Non mi ricordavo d’averlamai vista prima con un’unica barca. Essa è, credo, nep-pure eccettuata quella di Boulter, la più affollata.

Io son stato a guardarla, talvolta, quando non vi si ve-deva affatto acqua, ma solo una splendida confusione dilucenti giubbe, di berretti gai, di cappellini civettuoli, diparasoli a vari colori, di coperte di seta, di mantelli, dinastri ondeggianti e di elegante biancheria; quando aguardar sulla chiusa dalla riva si poteva immaginar cheessa fosse un’enorme cassa in cui fiori d’ogni colore esfumatura fossero stati gettati confusamente e stesseroammucchiati in un fascio d’arcobaleni, per tutti gli an-goli.

Le belle domeniche essa presenta questo aspetto qua-si tutta la giornata, mentre su per la corrente e giù per la

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corrente, stanno, aspettando il loro turno, fuori delleporte, lunghe schiere di altre imbarcazioni; e imbarca-zioni s’avvicinano e s’allontanano, così che il fiume ra-dioso, su dal Palazzo alla chiesa di Hampton, è punteg-giato e chiazzato di giallo, di azzurro, d’arancione, dibianco, di rosso e di roseo. Tutti gli abitanti di Hamptone di Moulsey si vestono in costume fluviale e vanno agironzare intorno al fiume con i loro cani, e corteggianole ragazze, fremono e guardano le barche; e fra i berrettie le giacche degli nomini, le belle acconciature coloratedelle donne, i latrati festosi dei cani, le barche che pas-sano, le vele bianche, il bel panorama e lo scintilliodell’acqua, si gode assolutamente uno dei più bei spetta-coli visibili nei pressi di questa vecchia e fosca città diLondra.

Il fiume dà una buona occasione per abbigliarsi. Poi-chè, una volta su questa via, noi uomini siamo in gradodi dimostrare il nostro gusto per i colori, e credo, se vo-lete saperlo, che facciamo, dopo tutto, una graziosa fi-gura. A me piace d’avere sui vestiti sempre un po’ dirosso. Sapete che la mia chioma è come se fosse d’unbel castagno dorato, piuttosto una bella sfumatura, mis’è detto, e il rosso scuro le si accompagna bellamente;e poi, credo che una cravatta di leggero azzurro le siadatti bene, per non dir del paio di scarpe di cuoio russoe un fazzoletto rosso di seta intorno alla vita – un fazzo-letto è più bello d’un cinturino.

Harris, invece, tiene alle sfumature e ai misti di aran-cione o di giallo, ma non credo ch’egli se ne intenda

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corrente, stanno, aspettando il loro turno, fuori delleporte, lunghe schiere di altre imbarcazioni; e imbarca-zioni s’avvicinano e s’allontanano, così che il fiume ra-dioso, su dal Palazzo alla chiesa di Hampton, è punteg-giato e chiazzato di giallo, di azzurro, d’arancione, dibianco, di rosso e di roseo. Tutti gli abitanti di Hamptone di Moulsey si vestono in costume fluviale e vanno agironzare intorno al fiume con i loro cani, e corteggianole ragazze, fremono e guardano le barche; e fra i berrettie le giacche degli nomini, le belle acconciature coloratedelle donne, i latrati festosi dei cani, le barche che pas-sano, le vele bianche, il bel panorama e lo scintilliodell’acqua, si gode assolutamente uno dei più bei spetta-coli visibili nei pressi di questa vecchia e fosca città diLondra.

Il fiume dà una buona occasione per abbigliarsi. Poi-chè, una volta su questa via, noi uomini siamo in gradodi dimostrare il nostro gusto per i colori, e credo, se vo-lete saperlo, che facciamo, dopo tutto, una graziosa fi-gura. A me piace d’avere sui vestiti sempre un po’ dirosso. Sapete che la mia chioma è come se fosse d’unbel castagno dorato, piuttosto una bella sfumatura, mis’è detto, e il rosso scuro le si accompagna bellamente;e poi, credo che una cravatta di leggero azzurro le siadatti bene, per non dir del paio di scarpe di cuoio russoe un fazzoletto rosso di seta intorno alla vita – un fazzo-letto è più bello d’un cinturino.

Harris, invece, tiene alle sfumature e ai misti di aran-cione o di giallo, ma non credo ch’egli se ne intenda

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troppo. La sua carnagione è troppo scura per i gialli. Igialli non gli si confanno: è indiscutibile. Io vorreich’egli prendesse l’azzurro come sfondo, rilevato dalbianco o dal crema; ma, vedete, meno una persona hagusto e più ostinata si mostra. È un gran peccato, perchèegli non farà mai bella figura, mentre vi sarebbe qualchecolore in cui egli veramente non parrebbe così brutto,come appare con quel suo cappello.

Giorgio ha comprato, per questa escursione, dellaroba nuova, ed io ne sono piuttosto irritato. La giubba èatroce. Non mi piacerebbe che Giorgio sapesse il miogiudizio, ma veramente non conosco altra parola per de-signarla. La portò a casa e ce la mostrò giovedì sera. Glidomandammo di che colore egli credeva che fosse, e cirispose che non sapeva. Il mercante gli aveva dettoch’era di disegno orientale. Giorgio se la mise e ci do-mandò come ci paresse. Harris disse che come un ogget-to da piantare in un’aiuola in primavera, per spaventaregli uccelli, egli l’avrebbe rispettata, ma che, consideratacome un capo di vestiario per qualunque essere umano,tranne che per un negro di Margate, gli stava male.Giorgio si stizzì; ma, come Harris gli disse, se non vole-va la sua opinione, perchè gliela domandava?

Ciò che turba Harris e me, sul conto di quella giubba,è che noi temiamo di attirare l’attenzione pubblica sullanostra barca.

Le ragazze, poi, non stanno male in una barca, se sonvestite graziosamente. Nulla è più attraente, secondome, di un indovinato abito da barca. Ma un «costume da

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troppo. La sua carnagione è troppo scura per i gialli. Igialli non gli si confanno: è indiscutibile. Io vorreich’egli prendesse l’azzurro come sfondo, rilevato dalbianco o dal crema; ma, vedete, meno una persona hagusto e più ostinata si mostra. È un gran peccato, perchèegli non farà mai bella figura, mentre vi sarebbe qualchecolore in cui egli veramente non parrebbe così brutto,come appare con quel suo cappello.

Giorgio ha comprato, per questa escursione, dellaroba nuova, ed io ne sono piuttosto irritato. La giubba èatroce. Non mi piacerebbe che Giorgio sapesse il miogiudizio, ma veramente non conosco altra parola per de-signarla. La portò a casa e ce la mostrò giovedì sera. Glidomandammo di che colore egli credeva che fosse, e cirispose che non sapeva. Il mercante gli aveva dettoch’era di disegno orientale. Giorgio se la mise e ci do-mandò come ci paresse. Harris disse che come un ogget-to da piantare in un’aiuola in primavera, per spaventaregli uccelli, egli l’avrebbe rispettata, ma che, consideratacome un capo di vestiario per qualunque essere umano,tranne che per un negro di Margate, gli stava male.Giorgio si stizzì; ma, come Harris gli disse, se non vole-va la sua opinione, perchè gliela domandava?

Ciò che turba Harris e me, sul conto di quella giubba,è che noi temiamo di attirare l’attenzione pubblica sullanostra barca.

Le ragazze, poi, non stanno male in una barca, se sonvestite graziosamente. Nulla è più attraente, secondome, di un indovinato abito da barca. Ma un «costume da

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barca» – che fortuna se tutte le signore lo capissero –deve essere un costume che può essere portato in unabarca e non semplicemente sotto una campana di vetro.La gita è addirittura rovinata se c’è nella barca gente chein tutto il tempo pensa più al vestito che alla passeggia-ta. Ebbi la disgrazia una volta di vogare con due signoredi questa specie. Che divertimento!

Erano entrambe elegantemente vestite – tutte merlettie stoffa di seta, e fiori, e nastri e scarpette squisite eguanti sottili. Ma erano abbigliate per un gabinetto difotografia, non per un’escursione in barca. Portavano ilcostume da barca d’un figurino francese. Era ridicolo,trattandosi di doverlo mettere in contatto con la terra,con l’aria e con l’acqua.

La prima cosa alla quale pensarono fu che la barcanon era pulita. Noi spolverammo tutti i sedili, perchè sisedessero, e poi le assicurammo che tutto era pulito; manon ci vollero credere. Una sfregò il cuscino con l’indi-ce del guanto, e mostrò il risultato all’altra, e sospiraro-no entrambe, e si sedettero con l’aria dei primi martiricristiani che si provavano ad accomodarsi contro il palodel supplizio. A noi càpita di tanto in tanto di spruzzareun po’ d’acqua remando, e parve che una gocciad’acqua avesse rovinato i due abiti. Il segno non si can-cellò mai, e la macchia, rimase in eterno.

Ero io che remavo a poppa, e facevo del mio meglio,mettendo di piatto il remo a sessanta centimetri di altez-za, fermandomi alla fine d’ogni colpo per lasciare stillarle pale prima di voltarle, scegliendo un tratto eguale

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barca» – che fortuna se tutte le signore lo capissero –deve essere un costume che può essere portato in unabarca e non semplicemente sotto una campana di vetro.La gita è addirittura rovinata se c’è nella barca gente chein tutto il tempo pensa più al vestito che alla passeggia-ta. Ebbi la disgrazia una volta di vogare con due signoredi questa specie. Che divertimento!

Erano entrambe elegantemente vestite – tutte merlettie stoffa di seta, e fiori, e nastri e scarpette squisite eguanti sottili. Ma erano abbigliate per un gabinetto difotografia, non per un’escursione in barca. Portavano ilcostume da barca d’un figurino francese. Era ridicolo,trattandosi di doverlo mettere in contatto con la terra,con l’aria e con l’acqua.

La prima cosa alla quale pensarono fu che la barcanon era pulita. Noi spolverammo tutti i sedili, perchè sisedessero, e poi le assicurammo che tutto era pulito; manon ci vollero credere. Una sfregò il cuscino con l’indi-ce del guanto, e mostrò il risultato all’altra, e sospiraro-no entrambe, e si sedettero con l’aria dei primi martiricristiani che si provavano ad accomodarsi contro il palodel supplizio. A noi càpita di tanto in tanto di spruzzareun po’ d’acqua remando, e parve che una gocciad’acqua avesse rovinato i due abiti. Il segno non si can-cellò mai, e la macchia, rimase in eterno.

Ero io che remavo a poppa, e facevo del mio meglio,mettendo di piatto il remo a sessanta centimetri di altez-za, fermandomi alla fine d’ogni colpo per lasciare stillarle pale prima di voltarle, scegliendo un tratto eguale

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d’acqua per tuffarle ogni volta. (Il prodiere disse, dopoun po’, ch’egli non si sentiva abile abbastanza da remarecon me, ma che si sarebbe riposato, se glielo avessi per-messo). Ma, nonostante ciò, e per quanto facessi, nonpotevo evitare che di tanto in tanto qualche spruzzod’acqua non arrivasse su quelle vesti.

Le signorine non si lamentavano, ma si rannicchiava-no insieme, e stringevano le labbra, e ogni volta che ar-rivava loro una goccia, si contraevano visibilmente erabbrividivano. Era un sublime spettacolo la loro tacitasofferenza, ma io mi sentivo assolutamente snervato:sono troppo sensibile. Divenni selvaggio e furioso coiremi, e feci spruzzar l’acqua che più forte non potevo.

Ci rinunziai finalmente, e dissi che avrei remato aprua. Il prodiere disse che forse sarebbe stato meglio, eci scambiammo il posto. Le donne cacciarono un sospi-ro involontario di sollievo quando mi videro andare, eper un momento s’irradiarono perfino. Povere ragazze!dalla padella nelle brace. Il rematore che avevano ades-so era una specie di ottuso giovialone spensierato, conmeno sensibilità d’un cucciolo di Terranova. Voi pote-vate lanciargli degli sguardi furiosi per un’ora, e lui nonli vedeva, e non se ne sarebbe dato per inteso, se li aves-se visti. Egli diede un forte, sollazzevole, vigoroso col-po che fece salir in alto gli spruzzi come zampilli di fon-tana, e cacciò tutti in piedi in un momento. Dopoch’ebbe sparso quattro litri d’acqua su uno di quei vesti-ti, fece un bel risolino, e disse:

— Vi chieggo scusa — e offerse alle donne un fazzo-

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d’acqua per tuffarle ogni volta. (Il prodiere disse, dopoun po’, ch’egli non si sentiva abile abbastanza da remarecon me, ma che si sarebbe riposato, se glielo avessi per-messo). Ma, nonostante ciò, e per quanto facessi, nonpotevo evitare che di tanto in tanto qualche spruzzod’acqua non arrivasse su quelle vesti.

Le signorine non si lamentavano, ma si rannicchiava-no insieme, e stringevano le labbra, e ogni volta che ar-rivava loro una goccia, si contraevano visibilmente erabbrividivano. Era un sublime spettacolo la loro tacitasofferenza, ma io mi sentivo assolutamente snervato:sono troppo sensibile. Divenni selvaggio e furioso coiremi, e feci spruzzar l’acqua che più forte non potevo.

Ci rinunziai finalmente, e dissi che avrei remato aprua. Il prodiere disse che forse sarebbe stato meglio, eci scambiammo il posto. Le donne cacciarono un sospi-ro involontario di sollievo quando mi videro andare, eper un momento s’irradiarono perfino. Povere ragazze!dalla padella nelle brace. Il rematore che avevano ades-so era una specie di ottuso giovialone spensierato, conmeno sensibilità d’un cucciolo di Terranova. Voi pote-vate lanciargli degli sguardi furiosi per un’ora, e lui nonli vedeva, e non se ne sarebbe dato per inteso, se li aves-se visti. Egli diede un forte, sollazzevole, vigoroso col-po che fece salir in alto gli spruzzi come zampilli di fon-tana, e cacciò tutti in piedi in un momento. Dopoch’ebbe sparso quattro litri d’acqua su uno di quei vesti-ti, fece un bel risolino, e disse:

— Vi chieggo scusa — e offerse alle donne un fazzo-

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letto per asciugarsi.— Oh, non importa — mormorarono in risposta le

poverine, e si tirarono di soppiatto addosso coperte e so-prabiti per tentar di proteggere sè stesse e i parasoli.

A colazione se la passarono molto male. Gli altri vol-lero sedersi sull’erba, e l’erba era impolverata, e i tron-chi degli alberi, contro i quali furono invitate ad appog-giarsi, pareva che non fossero stati spazzolati da setti-mane: così stesero i loro fazzoletti al suolo e si sedetterosui fazzoletti, come impalate. Qualcuno, girando con unpasticcio di carne, inciampò su una radice, e mandò interra il pasticcio. Fortunatamente non ne furono sfiorate,ma il caso le avvertì d’un nuovo pericolo e le agitò; etutte le volte che qualcuno si moveva, dopo, con qual-che cosa in mano che potesse cadere e toccarle, lo se-guivano con gli occhi con crescente ansietà, finchè nonlo vedevano seduto.

— Ora dunque, signorina — disse loro l’amico rema-tore, allegramente dopo che tutto fu finito; — avanti,dobbiamo far pulizia.

Sulle prime non compresero; ma quando afferraronol’idea, dissero di temere di non saper come fare.

— Oh, ve lo insegnerò io! — egli esclamò. — È undivertimento. Vi sedete giù sul vostro… voglio dire vichinate sulla riva, e così, sapete, lavate gli oggettinell’acqua.

La sorella maggiore temeva, disse, di non avere in-dosso degli abiti adatti.

— Oh, non fa, nulla — disse quegli spensieratamente

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letto per asciugarsi.— Oh, non importa — mormorarono in risposta le

poverine, e si tirarono di soppiatto addosso coperte e so-prabiti per tentar di proteggere sè stesse e i parasoli.

A colazione se la passarono molto male. Gli altri vol-lero sedersi sull’erba, e l’erba era impolverata, e i tron-chi degli alberi, contro i quali furono invitate ad appog-giarsi, pareva che non fossero stati spazzolati da setti-mane: così stesero i loro fazzoletti al suolo e si sedetterosui fazzoletti, come impalate. Qualcuno, girando con unpasticcio di carne, inciampò su una radice, e mandò interra il pasticcio. Fortunatamente non ne furono sfiorate,ma il caso le avvertì d’un nuovo pericolo e le agitò; etutte le volte che qualcuno si moveva, dopo, con qual-che cosa in mano che potesse cadere e toccarle, lo se-guivano con gli occhi con crescente ansietà, finchè nonlo vedevano seduto.

— Ora dunque, signorina — disse loro l’amico rema-tore, allegramente dopo che tutto fu finito; — avanti,dobbiamo far pulizia.

Sulle prime non compresero; ma quando afferraronol’idea, dissero di temere di non saper come fare.

— Oh, ve lo insegnerò io! — egli esclamò. — È undivertimento. Vi sedete giù sul vostro… voglio dire vichinate sulla riva, e così, sapete, lavate gli oggettinell’acqua.

La sorella maggiore temeva, disse, di non avere in-dosso degli abiti adatti.

— Oh, non fa, nulla — disse quegli spensieratamente

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— vi tirate un po’ più su le gonne.E ve le obbligò, dicendo che quel lavacro era la più

bella cosa dell’escursione; ed esse osservarono ch’erainteressante.

Ora che ci ripenso, era quel giovane ottuso come noicredevamo? oppure era… No, impossibile, v’era in luiun’espressione così infantile e semplice!…

Harris voleva andare nella chiesa di Hampton a ve-dervi la tomba della signora Thomas.

— Chi è la signora Thomas? — domandai.— Che vuoi che ne sappia io? — rispose Harris.— Una donna che s’è fatta fare una tomba curiosa, e

io vorrei vederla.Io mi opposi. Non so se son fatto male, ma sembra

che io non provi mai un vivo desiderio sepolcrale. Soche la prima cosa da fare, quando si arriva in un paese oin una città, si è di precipitarsi nel cimitero, a divertirsicon le tombe; ma è un divertimento del quale facciosempre a meno. Non m’interessa affatto vagare in chiesetristi e fredde dietro dei vecchi asmatici a leggere epitaf-fi. Neanche la vista d’un bronzo screpolato ficcato inuna pietra mi dà ciò che chiamo un reale piacere.

Io offendo dei rispettabili custodi con l’imperturbabi-lità che son capace di assumere innanzi eccitanti iscri-zioni; e con la mia mancanza di entusiasmo per la storiadelle famiglie del luogo, e la mia mal dissimulata ansie-tà di correre all’aperto, ferisco terribilmente i loro senti-menti.

Un’aurea mattina di un giorno radioso, addossato

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— vi tirate un po’ più su le gonne.E ve le obbligò, dicendo che quel lavacro era la più

bella cosa dell’escursione; ed esse osservarono ch’erainteressante.

Ora che ci ripenso, era quel giovane ottuso come noicredevamo? oppure era… No, impossibile, v’era in luiun’espressione così infantile e semplice!…

Harris voleva andare nella chiesa di Hampton a ve-dervi la tomba della signora Thomas.

— Chi è la signora Thomas? — domandai.— Che vuoi che ne sappia io? — rispose Harris.— Una donna che s’è fatta fare una tomba curiosa, e

io vorrei vederla.Io mi opposi. Non so se son fatto male, ma sembra

che io non provi mai un vivo desiderio sepolcrale. Soche la prima cosa da fare, quando si arriva in un paese oin una città, si è di precipitarsi nel cimitero, a divertirsicon le tombe; ma è un divertimento del quale facciosempre a meno. Non m’interessa affatto vagare in chiesetristi e fredde dietro dei vecchi asmatici a leggere epitaf-fi. Neanche la vista d’un bronzo screpolato ficcato inuna pietra mi dà ciò che chiamo un reale piacere.

Io offendo dei rispettabili custodi con l’imperturbabi-lità che son capace di assumere innanzi eccitanti iscri-zioni; e con la mia mancanza di entusiasmo per la storiadelle famiglie del luogo, e la mia mal dissimulata ansie-tà di correre all’aperto, ferisco terribilmente i loro senti-menti.

Un’aurea mattina di un giorno radioso, addossato

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contro il muretto basso che circonda la piccola chiesad’un villaggio, fumavo, beandomi della calma gioia del-la dolce, tranquilla scena – la grigia antica chiesa con lasua massa d’edera, il suo bizzarro portico di legno inta-gliato, il bianco sentiero che serpeggiava giù per la col-lina fra alte file di olmi, i tetti delle case che spiavanofra le siepi bene eguagliate, il fiume d’argento nella val-le e le colline boscose più oltre.

Era un bel panorama, idillico, poetico e ispiratore. Mifaceva sentir nobile e pio. Non volevo essere mai piùmalvagio e peccatore. Sarei andato a vivere lì, e non sa-rei mai più caduto nel male, e avrei condotto una vitaimmacolata, e avrei avuto i capelli d’argento, divenutovecchio, eccetera, eccetera.

In quel momento perdonai a tutti i miei amici e paren-ti la loro malignità e la loro malvagità, e li benedissi.Essi non sapevano che li benedicevo. Continuavano nel-la loro triste vita assolutamente inconsapevoli di ciò cheio, lontano in quel tranquillo villaggio, stavo facendoper loro; ma io li benedicevo, e avrei voluto far loro sa-pere il mio atto, perchè desideravo che si sentissero feli-ci. Stavo così meditabondo in questi sublimi e teneripensieri, quando la mia fantasticheria fu interrotta daun’acuta, stridula voce che gridava:

— Sì, signore, vengo, vengo. Sì, signore, senza fretta.Levai lo sguardo e vidi un vecchio calvo che, traverso

il cimitero, se ne veniva alla mia volta zoppicando, conun grosso mazzo di chiavi in mano, scotendolo e facen-dolo tintinnare a ogni passo.

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contro il muretto basso che circonda la piccola chiesad’un villaggio, fumavo, beandomi della calma gioia del-la dolce, tranquilla scena – la grigia antica chiesa con lasua massa d’edera, il suo bizzarro portico di legno inta-gliato, il bianco sentiero che serpeggiava giù per la col-lina fra alte file di olmi, i tetti delle case che spiavanofra le siepi bene eguagliate, il fiume d’argento nella val-le e le colline boscose più oltre.

Era un bel panorama, idillico, poetico e ispiratore. Mifaceva sentir nobile e pio. Non volevo essere mai piùmalvagio e peccatore. Sarei andato a vivere lì, e non sa-rei mai più caduto nel male, e avrei condotto una vitaimmacolata, e avrei avuto i capelli d’argento, divenutovecchio, eccetera, eccetera.

In quel momento perdonai a tutti i miei amici e paren-ti la loro malignità e la loro malvagità, e li benedissi.Essi non sapevano che li benedicevo. Continuavano nel-la loro triste vita assolutamente inconsapevoli di ciò cheio, lontano in quel tranquillo villaggio, stavo facendoper loro; ma io li benedicevo, e avrei voluto far loro sa-pere il mio atto, perchè desideravo che si sentissero feli-ci. Stavo così meditabondo in questi sublimi e teneripensieri, quando la mia fantasticheria fu interrotta daun’acuta, stridula voce che gridava:

— Sì, signore, vengo, vengo. Sì, signore, senza fretta.Levai lo sguardo e vidi un vecchio calvo che, traverso

il cimitero, se ne veniva alla mia volta zoppicando, conun grosso mazzo di chiavi in mano, scotendolo e facen-dolo tintinnare a ogni passo.

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Lo allontanai, solennemente dignitoso, con un cenno,ma egli continuava ad avanzare, stridendo intanto:

— Vengo, signore, vengo. Sono un po’ zoppo. Nonson più svelto come una. volta. Da questa parte, signore.

— Va via, miserabile vecchio — dissi.— Son venuto più presto che ho potuto, signore — ri-

spose. — Mia moglie fino questo momento non vi ave-va visto. Seguitemi, signore.

— Vai via — ripetei. — Lasciami prima che io saltioltre il muro, e ti ammazzi.

Egli parve sorpreso.— Non volete vedere le tombe? — disse.— No — risposi — non voglio vederle. Voglio star

qui appoggiato a questo muro. Va via, e non mi distur-bare. Io son pieno di nobili e puri pensieri, e voglio ri-maner così, perchè mi sento d’una squisita bontà. Nonvenir qui a infuriarmi, cacciando via tutti i miei buonisentimenti con le tue sciocche pietre tombali. Va via, aseppellire qualche cadavere a buon mercato, che io pa-gherò metà della spesa.

Per un momento egli si sentì sconcertato. Si stropic-ciò gli occhi e mi guardò fisso. Io sembravo abbastanzaumano dal di fuori, ed egli non poteva comprendere.Disse:

— Voi siete forastiero. Non abitate qui.— No — dissi — no. Tu non vorresti abitarci, se ci

abitassi io.— Bene allora — disse — voi volete veder le tom-

be… i monumenti… la gente sepolta, sapete bene… i

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Lo allontanai, solennemente dignitoso, con un cenno,ma egli continuava ad avanzare, stridendo intanto:

— Vengo, signore, vengo. Sono un po’ zoppo. Nonson più svelto come una. volta. Da questa parte, signore.

— Va via, miserabile vecchio — dissi.— Son venuto più presto che ho potuto, signore — ri-

spose. — Mia moglie fino questo momento non vi ave-va visto. Seguitemi, signore.

— Vai via — ripetei. — Lasciami prima che io saltioltre il muro, e ti ammazzi.

Egli parve sorpreso.— Non volete vedere le tombe? — disse.— No — risposi — non voglio vederle. Voglio star

qui appoggiato a questo muro. Va via, e non mi distur-bare. Io son pieno di nobili e puri pensieri, e voglio ri-maner così, perchè mi sento d’una squisita bontà. Nonvenir qui a infuriarmi, cacciando via tutti i miei buonisentimenti con le tue sciocche pietre tombali. Va via, aseppellire qualche cadavere a buon mercato, che io pa-gherò metà della spesa.

Per un momento egli si sentì sconcertato. Si stropic-ciò gli occhi e mi guardò fisso. Io sembravo abbastanzaumano dal di fuori, ed egli non poteva comprendere.Disse:

— Voi siete forastiero. Non abitate qui.— No — dissi — no. Tu non vorresti abitarci, se ci

abitassi io.— Bene allora — disse — voi volete veder le tom-

be… i monumenti… la gente sepolta, sapete bene… i

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feretri.— Tu dici una menzogna — risposi, levandomi sde-

gnato. — Io non voglio veder le tombe… le tue tombe.Perchè dovrei vederle? Noi abbiamo le nostre tombe, lamia famiglia le ha. Mio zio Podger ha una tomba, nel ci-mitero di Kensal Green, che è l’orgoglio di tutta quellacontrada e la cripta di mio nonno, a Bow, è capace di ri-cevere otto visitatori, mentre la mia prozia Susanna hauna tomba di mattoni nel cimitero di Finchley, con uncomignolo di marmo e una specie di caffettiera in basso-rilievo, e una lapide del più bel marmo che copre tutto ecosta Dio sa quanto. Quando io ho bisogno di tombe, èlì che vado a divertirmi. Io non ho bisogno di quelle de-gli altri. Quando sarai sepolto tu, verrò a veder la tua.Questo è tutto quello che posso fare per te.

Egli si mise a piangere. Disse che una tomba avevaun pezzo di pietra, al di sopra, che qualcuno aveva dettorappresentava probabilmente i resti della figura d’unuomo, e che un’altra portava delle parole incise che nes-suno era stato capace di decifrare.

Io rimanevo ancora ostinato, ed egli mi disse con ac-centi assai commossi:

— Bene, non volete vedere la finestra monumentale?Io non volevo vedere neanche quella, ed egli sparò al-

lora la sua ultima cartuccia. Mi s’avvicinò e mi bisbigliòraucamente:

— Ho un paio di teschi giù nella cripta, — disse —venite a veder quelli. Ah, venite a vedere i teschi! Voisiete un giovane in vacanza e dovete divertirvi. Venite a

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feretri.— Tu dici una menzogna — risposi, levandomi sde-

gnato. — Io non voglio veder le tombe… le tue tombe.Perchè dovrei vederle? Noi abbiamo le nostre tombe, lamia famiglia le ha. Mio zio Podger ha una tomba, nel ci-mitero di Kensal Green, che è l’orgoglio di tutta quellacontrada e la cripta di mio nonno, a Bow, è capace di ri-cevere otto visitatori, mentre la mia prozia Susanna hauna tomba di mattoni nel cimitero di Finchley, con uncomignolo di marmo e una specie di caffettiera in basso-rilievo, e una lapide del più bel marmo che copre tutto ecosta Dio sa quanto. Quando io ho bisogno di tombe, èlì che vado a divertirmi. Io non ho bisogno di quelle de-gli altri. Quando sarai sepolto tu, verrò a veder la tua.Questo è tutto quello che posso fare per te.

Egli si mise a piangere. Disse che una tomba avevaun pezzo di pietra, al di sopra, che qualcuno aveva dettorappresentava probabilmente i resti della figura d’unuomo, e che un’altra portava delle parole incise che nes-suno era stato capace di decifrare.

Io rimanevo ancora ostinato, ed egli mi disse con ac-centi assai commossi:

— Bene, non volete vedere la finestra monumentale?Io non volevo vedere neanche quella, ed egli sparò al-

lora la sua ultima cartuccia. Mi s’avvicinò e mi bisbigliòraucamente:

— Ho un paio di teschi giù nella cripta, — disse —venite a veder quelli. Ah, venite a vedere i teschi! Voisiete un giovane in vacanza e dovete divertirvi. Venite a

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vedere i teschi.Allora io mi voltai e fuggii, e, mentre me la davo a

gambe, lo udii gridare:— Ah, venite a vedere i teschi, ritornate, e venite a

vedere i teschi!Harris, però, gozzoviglia in tombe, monumenti sepol-

crali, epitaffi e iscrizioni; e il pensiero di dover rinunzia-re alla tomba della signora Thomas lo fece pensoso.Disse che aveva sperato di veder la tomba della vedovaThomas dal primo momento ch’era stato proposto ilviaggio – disse che non sarebbe venuto se non fosse sta-to per la speranza di veder la tomba della signora Tho-mas.

Gli rammentai Giorgio, e come noi dovevamo con-durre la barca a Shepperton per le cinque, dove doveva-mo incontrarlo. Allora egli si scagliò contro Giorgio.Perchè Giorgio si doveva divertire tutto il giorno, e la-sciar noi trascinare quella maledetta barca su e giù per ilfiume per andare incontro a lui? Perchè Giorgio non eravenuto anche lui a far qualche cosa? Perchè non avevafatto vacanza, e non era venuto con noi? Maledetta labanca! Che bene faceva egli alla banca?

— Quand’io ci sono andato alla banca — continuòHarris — io non l’ho mai visto lavorare. Sta seduto die-tro un vetro tutto il giorno, tentando di far credere chelavori a qualcosa. Che bene può far uno dietro un vetro?Io devo lavorare per vivere. Perchè egli non lavora? Ache serve egli lì, e a che servono mai le banche? Tiprendono il tuo denaro, e poi quando firmate un assegno

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vedere i teschi.Allora io mi voltai e fuggii, e, mentre me la davo a

gambe, lo udii gridare:— Ah, venite a vedere i teschi, ritornate, e venite a

vedere i teschi!Harris, però, gozzoviglia in tombe, monumenti sepol-

crali, epitaffi e iscrizioni; e il pensiero di dover rinunzia-re alla tomba della signora Thomas lo fece pensoso.Disse che aveva sperato di veder la tomba della vedovaThomas dal primo momento ch’era stato proposto ilviaggio – disse che non sarebbe venuto se non fosse sta-to per la speranza di veder la tomba della signora Tho-mas.

Gli rammentai Giorgio, e come noi dovevamo con-durre la barca a Shepperton per le cinque, dove doveva-mo incontrarlo. Allora egli si scagliò contro Giorgio.Perchè Giorgio si doveva divertire tutto il giorno, e la-sciar noi trascinare quella maledetta barca su e giù per ilfiume per andare incontro a lui? Perchè Giorgio non eravenuto anche lui a far qualche cosa? Perchè non avevafatto vacanza, e non era venuto con noi? Maledetta labanca! Che bene faceva egli alla banca?

— Quand’io ci sono andato alla banca — continuòHarris — io non l’ho mai visto lavorare. Sta seduto die-tro un vetro tutto il giorno, tentando di far credere chelavori a qualcosa. Che bene può far uno dietro un vetro?Io devo lavorare per vivere. Perchè egli non lavora? Ache serve egli lì, e a che servono mai le banche? Tiprendono il tuo denaro, e poi quando firmate un assegno

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te lo rimandano indietro insudiciato scrivendovi sopra:«Deposito esaurito». «Respinto al correntista». A cheserve dunque? È questo il tiro che m’hanno fatto duevolte la settimana scorsa. Io non ci resisterò più a lungo.Ritirerò i miei denari. Se egli fosse qui, andrei a vederequella tomba. E poi non credo ch’egli sia alla banca. Sistarà divertendo chi sa dove; fa sempre così per lasciarlavorare noi. Adesso vado fuori a bere qualcosa.

Gli feci osservare che eravamo delle miglia distantida qualunque spaccio di bevande; e allora egli si mise amormorare del fiume: e a che serviva il fiume, e dove-vano tutti venir sul fiume a morir di sete?

È meglio che Harris faccia a suo modo quando diven-ta così. Dopo che s’è sfogato, si calma.

Gli ricordai che nella cesta c’era della limonata con-centrata, e un boccale d’acqua a prua, e che non occor-reva che mischiarle per fare una fresca, deliziosa bibita.

Allora egli si scagliò contro la limonata e simili acquesporche, com’egli le chiamava, contro le orzate e gli sci-roppi di amarena, che producevano tutti la dispepsia, erovinavano l’anima e il corpo, ed erano la causa di metàdi tutta la delinquenza inglese.

Egli doveva fare qualcosa, però, e s’arrampicò sul se-dile, chinandosi per afferrar la bottiglia. Essa era proprionel fondo del paniere, e sembrava difficile trovarla, edegli dovè chinarsi sempre più, e, tentando di guidarenello stesso tempo, da sotto in sopra, tirò l’altra funicel-la del timone, e mandò la barca contro la sponda. L’urtolo rovesciò, ed egli affondò nel paniere, e vi si tuffò con

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te lo rimandano indietro insudiciato scrivendovi sopra:«Deposito esaurito». «Respinto al correntista». A cheserve dunque? È questo il tiro che m’hanno fatto duevolte la settimana scorsa. Io non ci resisterò più a lungo.Ritirerò i miei denari. Se egli fosse qui, andrei a vederequella tomba. E poi non credo ch’egli sia alla banca. Sistarà divertendo chi sa dove; fa sempre così per lasciarlavorare noi. Adesso vado fuori a bere qualcosa.

Gli feci osservare che eravamo delle miglia distantida qualunque spaccio di bevande; e allora egli si mise amormorare del fiume: e a che serviva il fiume, e dove-vano tutti venir sul fiume a morir di sete?

È meglio che Harris faccia a suo modo quando diven-ta così. Dopo che s’è sfogato, si calma.

Gli ricordai che nella cesta c’era della limonata con-centrata, e un boccale d’acqua a prua, e che non occor-reva che mischiarle per fare una fresca, deliziosa bibita.

Allora egli si scagliò contro la limonata e simili acquesporche, com’egli le chiamava, contro le orzate e gli sci-roppi di amarena, che producevano tutti la dispepsia, erovinavano l’anima e il corpo, ed erano la causa di metàdi tutta la delinquenza inglese.

Egli doveva fare qualcosa, però, e s’arrampicò sul se-dile, chinandosi per afferrar la bottiglia. Essa era proprionel fondo del paniere, e sembrava difficile trovarla, edegli dovè chinarsi sempre più, e, tentando di guidarenello stesso tempo, da sotto in sopra, tirò l’altra funicel-la del timone, e mandò la barca contro la sponda. L’urtolo rovesciò, ed egli affondò nel paniere, e vi si tuffò con

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la testa, tenendosi disperatamente ai fianchi del battello,con le gambe in aria. Non osava muoversi per paura dicadere, e dovè rimanere così finchè non lo afferrai per legambe e non lo tirai, facendolo più che mai infuriare.

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la testa, tenendosi disperatamente ai fianchi del battello,con le gambe in aria. Non osava muoversi per paura dicadere, e dovè rimanere così finchè non lo afferrai per legambe e non lo tirai, facendolo più che mai infuriare.

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CAPITOLO VIII.

Ricatto. – Il mezzo giusto da adottare. – L’egoismo del proprieta-rio rivierasco. – Cartelli di divieto. – Il poco cristiano senti-mento di Harris. – Come Harris canta una canzone comica. –Un ricevimento di prima classe. – Vergognosa condotta di dueesecrabili giovani. – Informazioni inutili. – Giorgio compra unbanjo.

Ci fermammo sotto i salici di Kempton Park, e fa-cemmo colazione. È un bel posticino quello: un’amenaspianata erbosa, che corre lungo la riva tutta ombreggia-ta di salici. Avevamo appunto iniziato il terzo piatto – ilpane col prosciutto – quando un tipo in maniche di ca-micia e una pipetta corta in bocca si fece innanzi, e cidomandò se sapessimo di stare in terreno privato. Noirisponderemo che non avevamo considerato abbastanzala faccenda, da essere in grado di arrivare a una conclu-sione esatta su quel punto, ma che se egli ci assicuravasulla sua parola di gentiluomo che noi eravamo in terre-no privato, lo avremmo, senza alcuna esitazione, credu-to.

Egli ci diede l’assicurazione richiesta, e noi lo ringra-ziammo; ma continuò a gironzarci intorno, e siccomepareva poco soddisfatto, gli domandammo se potessimofare qualche altra cosa per lui; e Harris, ch’è d’istintiospitali, gli offerse un pezzo di pane col prosciutto.

Immagino che quell’uomo dovesse appartenere a una

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CAPITOLO VIII.

Ricatto. – Il mezzo giusto da adottare. – L’egoismo del proprieta-rio rivierasco. – Cartelli di divieto. – Il poco cristiano senti-mento di Harris. – Come Harris canta una canzone comica. –Un ricevimento di prima classe. – Vergognosa condotta di dueesecrabili giovani. – Informazioni inutili. – Giorgio compra unbanjo.

Ci fermammo sotto i salici di Kempton Park, e fa-cemmo colazione. È un bel posticino quello: un’amenaspianata erbosa, che corre lungo la riva tutta ombreggia-ta di salici. Avevamo appunto iniziato il terzo piatto – ilpane col prosciutto – quando un tipo in maniche di ca-micia e una pipetta corta in bocca si fece innanzi, e cidomandò se sapessimo di stare in terreno privato. Noirisponderemo che non avevamo considerato abbastanzala faccenda, da essere in grado di arrivare a una conclu-sione esatta su quel punto, ma che se egli ci assicuravasulla sua parola di gentiluomo che noi eravamo in terre-no privato, lo avremmo, senza alcuna esitazione, credu-to.

Egli ci diede l’assicurazione richiesta, e noi lo ringra-ziammo; ma continuò a gironzarci intorno, e siccomepareva poco soddisfatto, gli domandammo se potessimofare qualche altra cosa per lui; e Harris, ch’è d’istintiospitali, gli offerse un pezzo di pane col prosciutto.

Immagino che quell’uomo dovesse appartenere a una

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società che aveva giurato di astenersi dal pane col pro-sciutto, perchè rifiutò burberamente l’offerta, come sisentisse irritato di essere così tentato, e ci disse che ilsuo dovere era di espellerci.

Harris disse che se era un dovere doveva esser com-piuto, e domandò all’uomo quale idea egli avesse ri-guardo al mezzo migliore per compierlo. Harris è ciòche si direbbe una persona ben costruita, della dimen-sione circa numero uno, e ha un aspetto vigoroso e mas-siccio; e l’uomo lo squadrò di su e di giù, dicendo chesarebbe andato a consultare il padrone, e che poi sareb-be tornato a buttarci tutti e due nel fiume.

Naturalmente, noi non lo vedemmo più, e, natural-mente, tutto ciò che gli occorreva erano un paio di lire.V’è un certo numero di gaglioffi rivieraschi che, durantel’estate, si fanno assolutamente una rendita con l’aggi-rarsi intorno al fiume e ricattare a questo modo i gonzi.Essi si presentano come mandati dal proprietario. Il mi-glior mezzo da adottare è di offrir loro il vostro nome el’indirizzo, e lasciare che il proprietario, se veramenteha qualcosa da fare nella faccenda, vi citi e provi il no-cumento arrecatogli per esservi seduti su un pezzettinodella sua proprietà. Ma la maggioranza della gente ècosì intensamente accidiosa e timida, che preferisce in-coraggiare quella tirannia col subirla, piuttosto che tron-carla con l’esercizio d’un po’ di fermezza.

Dove realmente i proprietari sono da biasimare, do-vrebbero essere biasimati. L’egoismo dei proprietari ri-vieraschi aumenta sempre più ogni anno. Se essi potes-

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società che aveva giurato di astenersi dal pane col pro-sciutto, perchè rifiutò burberamente l’offerta, come sisentisse irritato di essere così tentato, e ci disse che ilsuo dovere era di espellerci.

Harris disse che se era un dovere doveva esser com-piuto, e domandò all’uomo quale idea egli avesse ri-guardo al mezzo migliore per compierlo. Harris è ciòche si direbbe una persona ben costruita, della dimen-sione circa numero uno, e ha un aspetto vigoroso e mas-siccio; e l’uomo lo squadrò di su e di giù, dicendo chesarebbe andato a consultare il padrone, e che poi sareb-be tornato a buttarci tutti e due nel fiume.

Naturalmente, noi non lo vedemmo più, e, natural-mente, tutto ciò che gli occorreva erano un paio di lire.V’è un certo numero di gaglioffi rivieraschi che, durantel’estate, si fanno assolutamente una rendita con l’aggi-rarsi intorno al fiume e ricattare a questo modo i gonzi.Essi si presentano come mandati dal proprietario. Il mi-glior mezzo da adottare è di offrir loro il vostro nome el’indirizzo, e lasciare che il proprietario, se veramenteha qualcosa da fare nella faccenda, vi citi e provi il no-cumento arrecatogli per esservi seduti su un pezzettinodella sua proprietà. Ma la maggioranza della gente ècosì intensamente accidiosa e timida, che preferisce in-coraggiare quella tirannia col subirla, piuttosto che tron-carla con l’esercizio d’un po’ di fermezza.

Dove realmente i proprietari sono da biasimare, do-vrebbero essere biasimati. L’egoismo dei proprietari ri-vieraschi aumenta sempre più ogni anno. Se essi potes-

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sero fare a loro modo, chiuderebbero interamente il Ta-migi. Veramente fanno così lungo le minori correnti tri-butarie e nelle acque di rigurgito. Piantano dei pali nelletto della corrente, e tirano delle catene da una rivaall’altra e inchiodano cartelli su ogni albero. La vista diquei cartelli sveglia nella mia natura i più pravi istinti.Sento che strapperei tutti i cartelli, e li picchierei sullatesta dell’uomo che li ha messi, fino ad ucciderlo, e poilo seppellirei e gli metterei sulla fossa il cartello comeuna lapide.

Confessai questi miei sentimenti ad Harris, ed egli di-chiarò di averne di più feroci. Non solo avrebbe ammaz-zato l’uomo che faceva affiggere il cartello, ma gli sa-rebbe piaciuto uccidere tutta la sua famiglia, tutti i suoiamici e parenti, e poi bruciar le loro case. A me parveche questo fosse uno spingersi troppo lontano, e lo dissiad Harris; ma egli mi rispose:

— Ma che! Date a tutti una bella lezione e io mi met-terò a cantare delle canzoni allegre sulle macerie.

Mi dispiaceva di sentire Harris continuare in questasanguinaria disposizione. Noi non dobbiamo mai per-mettere che i nostri istinti di giustizia degenerino insemplice spirito di vendetta. Ci volle molto perchè iopotessi persuadere Harris a considerar l’argomento inuna luce più cristiana, ma ci riuscii finalmente, ed eglimi promise che a ogni modo avrebbe risparmiato la vitaagli amici e ai parenti, e non avrebbe cantato delle can-zoni allegre sulle macerie.

Voi non avete mai sentito Harris cantare delle canzoni

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sero fare a loro modo, chiuderebbero interamente il Ta-migi. Veramente fanno così lungo le minori correnti tri-butarie e nelle acque di rigurgito. Piantano dei pali nelletto della corrente, e tirano delle catene da una rivaall’altra e inchiodano cartelli su ogni albero. La vista diquei cartelli sveglia nella mia natura i più pravi istinti.Sento che strapperei tutti i cartelli, e li picchierei sullatesta dell’uomo che li ha messi, fino ad ucciderlo, e poilo seppellirei e gli metterei sulla fossa il cartello comeuna lapide.

Confessai questi miei sentimenti ad Harris, ed egli di-chiarò di averne di più feroci. Non solo avrebbe ammaz-zato l’uomo che faceva affiggere il cartello, ma gli sa-rebbe piaciuto uccidere tutta la sua famiglia, tutti i suoiamici e parenti, e poi bruciar le loro case. A me parveche questo fosse uno spingersi troppo lontano, e lo dissiad Harris; ma egli mi rispose:

— Ma che! Date a tutti una bella lezione e io mi met-terò a cantare delle canzoni allegre sulle macerie.

Mi dispiaceva di sentire Harris continuare in questasanguinaria disposizione. Noi non dobbiamo mai per-mettere che i nostri istinti di giustizia degenerino insemplice spirito di vendetta. Ci volle molto perchè iopotessi persuadere Harris a considerar l’argomento inuna luce più cristiana, ma ci riuscii finalmente, ed eglimi promise che a ogni modo avrebbe risparmiato la vitaagli amici e ai parenti, e non avrebbe cantato delle can-zoni allegre sulle macerie.

Voi non avete mai sentito Harris cantare delle canzoni

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allegre; altrimenti comprendereste il servizio da me resoall’umanità. Una delle idee fisse di Harris si è quellach’egli sa cantare le canzoni allegre; l’idea fissa, invece,fra quegli amici di Harris che lo hanno sentito, si è chenon sa farlo, che non ne sarà mai capace e che non gli sidovrebbe permettere di cantare.

Quando è in una brigata e gli vien chiesto di cantare,Harris risponde: — Bene, sapete, io non so cantare chedelle canzonette allegre — e lo dice in un tono che im-plica che il suo canto però è una cosa che voi doveteudire una volta, prima di morire.

— Ah, è una bellezza! — dice la padrona di casa. —Cantatene una, signor Harris; e Harris si leva, dirigendo-si al piano, con la radiosa allegria d’un uomo dal cuorgeneroso, che sta per donare chi sa che a qualcuno.

— Ora, silenzio, per piacere, tutti quanti — dice lapadrona di casa, con uno sguardo in giro. — Il signorHarris sta per cantarci una canzonetta allegra.

— Oh, che bellezza — mormorano tutti; e molti cor-rono dalla sala, dal piano di sopra, e s’affrettano a chia-mar gli altri dalle altre stanze, affollandosi nel salotto,sedendosi e sorridendo beatamente in anticipo.

Allora Harris comincia.Bene, voi non badate molto alla voce in una canzo-

netta allegra. Non vi aspettate dei fraseggi e dei vocaliz-zi corretti. Non vi curate se chi canta s’accorge, nel belmezzo d’una nota, d’averla presa troppo alta, e ne di-scende con una stecca. Non state a sottilizzare sul tem-po. Non badate se il cantore corra due battute avanti di

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allegre; altrimenti comprendereste il servizio da me resoall’umanità. Una delle idee fisse di Harris si è quellach’egli sa cantare le canzoni allegre; l’idea fissa, invece,fra quegli amici di Harris che lo hanno sentito, si è chenon sa farlo, che non ne sarà mai capace e che non gli sidovrebbe permettere di cantare.

Quando è in una brigata e gli vien chiesto di cantare,Harris risponde: — Bene, sapete, io non so cantare chedelle canzonette allegre — e lo dice in un tono che im-plica che il suo canto però è una cosa che voi doveteudire una volta, prima di morire.

— Ah, è una bellezza! — dice la padrona di casa. —Cantatene una, signor Harris; e Harris si leva, dirigendo-si al piano, con la radiosa allegria d’un uomo dal cuorgeneroso, che sta per donare chi sa che a qualcuno.

— Ora, silenzio, per piacere, tutti quanti — dice lapadrona di casa, con uno sguardo in giro. — Il signorHarris sta per cantarci una canzonetta allegra.

— Oh, che bellezza — mormorano tutti; e molti cor-rono dalla sala, dal piano di sopra, e s’affrettano a chia-mar gli altri dalle altre stanze, affollandosi nel salotto,sedendosi e sorridendo beatamente in anticipo.

Allora Harris comincia.Bene, voi non badate molto alla voce in una canzo-

netta allegra. Non vi aspettate dei fraseggi e dei vocaliz-zi corretti. Non vi curate se chi canta s’accorge, nel belmezzo d’una nota, d’averla presa troppo alta, e ne di-scende con una stecca. Non state a sottilizzare sul tem-po. Non badate se il cantore corra due battute avanti di

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chi l’accompagna, e si fermi in mezzo a un verso a di-scutere col pianista per cominciare la strofa da capo. Mavoi vi aspettate le parole.

Non v’aspettate che il cantore non ricordi altro che iprimi tre versi della prima strofa, e continui a ripeterlifinchè sia il momento di cominciare il coro. Nonv’aspettate che il cantore v’interrompa nel mezzo d’unverso, e sorrida, e dica che esso è assai buffo, ma che glipigli un accidente, se se ne rammenta più. Non v’aspet-tate che il cantore, quando è arrivato a una parte diversadella canzone, a un tratto si ricordi del verso dimentica-to, e s’interrompa senz’altro per tornare indietro e dirve-lo immediatamente. Non vi aspettate… Bene, vi daròappunto un’idea delle canzonette allegre di Harris, e po-trete giudicare da voi.

Harris (ritto di fronte al pianoforte e volgendosi agliuditori che aspettano): — Sapete, temo che sia moltovecchia. Credo che tutti la sappiate, sapete. Ma è l’unicache io so. È la canzone del Giudice del «Pinafore»…No, non volevo dire il «Pinafore»… volevo dire… giàsapete ciò che volevo dire… quell’altro, sapete. Dovetetutti unirvi al coro, sapete.

(Mormorio di piacere e ansia per unirsi al coro. Bril-lante esecuzione del preludio della canzone del Giudicenel «Trial by Jury» da parte d’un pianista nervoso. Arri-va il momento per Harris di slanciarsi. Harris non se neaccorge. Il pianista nervoso comincia da capo il prelu-dio, e Harris, cominciando a cantare nello stesso istante,emana i primi due versi della canzone dell’Ammiraglio

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chi l’accompagna, e si fermi in mezzo a un verso a di-scutere col pianista per cominciare la strofa da capo. Mavoi vi aspettate le parole.

Non v’aspettate che il cantore non ricordi altro che iprimi tre versi della prima strofa, e continui a ripeterlifinchè sia il momento di cominciare il coro. Nonv’aspettate che il cantore v’interrompa nel mezzo d’unverso, e sorrida, e dica che esso è assai buffo, ma che glipigli un accidente, se se ne rammenta più. Non v’aspet-tate che il cantore, quando è arrivato a una parte diversadella canzone, a un tratto si ricordi del verso dimentica-to, e s’interrompa senz’altro per tornare indietro e dirve-lo immediatamente. Non vi aspettate… Bene, vi daròappunto un’idea delle canzonette allegre di Harris, e po-trete giudicare da voi.

Harris (ritto di fronte al pianoforte e volgendosi agliuditori che aspettano): — Sapete, temo che sia moltovecchia. Credo che tutti la sappiate, sapete. Ma è l’unicache io so. È la canzone del Giudice del «Pinafore»…No, non volevo dire il «Pinafore»… volevo dire… giàsapete ciò che volevo dire… quell’altro, sapete. Dovetetutti unirvi al coro, sapete.

(Mormorio di piacere e ansia per unirsi al coro. Bril-lante esecuzione del preludio della canzone del Giudicenel «Trial by Jury» da parte d’un pianista nervoso. Arri-va il momento per Harris di slanciarsi. Harris non se neaccorge. Il pianista nervoso comincia da capo il prelu-dio, e Harris, cominciando a cantare nello stesso istante,emana i primi due versi della canzone dell’Ammiraglio

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del «Pinafore». Il pianista nervoso tenta di seguitare colpreludio, ma ci rinunzia, e provandosi a seguire Harriscon l’accompagnamento della canzone del Giudice del«Trial by Jury», trova che non va, tenta di ricordarsi ciòche sta facendo e dove si trova, si sente venir meno e siarresta bruscamente).

Harris (con gentile incoraggiamento): — Va bene. Ve-ramente accompagnate benissimo. Continuate.

Il pianista nervoso: — Temo sia accaduto un errore.Che cosa cantate?

Harris (pronto): — Ma la canzone del giudice del«Trial by Jury». Non la sapete?

Qualche amico di Harris (dal fondo della stanza): —No, bestia, tu invece canti la canzone dell’Ammiragliodel «Pinafore».

(Lunga discussione fra Harris e l’amico di Harris suciò che Harris realmente canti. L’amico finalmente di-chiara che non importa ciò che Harris canti finchè Har-ris continuerà a cantare; e Harris, sotto il morso intimod’un evidente senso d’ingiustizia, prega il pianista di co-minciar da capo. Il pianista, allora, dà inizio al preludiodella canzone dell’Ammiraglio, e Harris, approfittandodi ciò che considera un’apertura favorevole della musi-ca, comincia).

Harris:Quand’ero giovanotto e andavo in tribunale

(Generale scoppio di risa, scambiato da Harris per uncomplimento. Il pianista, pensando alla moglie e alla fa-

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del «Pinafore». Il pianista nervoso tenta di seguitare colpreludio, ma ci rinunzia, e provandosi a seguire Harriscon l’accompagnamento della canzone del Giudice del«Trial by Jury», trova che non va, tenta di ricordarsi ciòche sta facendo e dove si trova, si sente venir meno e siarresta bruscamente).

Harris (con gentile incoraggiamento): — Va bene. Ve-ramente accompagnate benissimo. Continuate.

Il pianista nervoso: — Temo sia accaduto un errore.Che cosa cantate?

Harris (pronto): — Ma la canzone del giudice del«Trial by Jury». Non la sapete?

Qualche amico di Harris (dal fondo della stanza): —No, bestia, tu invece canti la canzone dell’Ammiragliodel «Pinafore».

(Lunga discussione fra Harris e l’amico di Harris suciò che Harris realmente canti. L’amico finalmente di-chiara che non importa ciò che Harris canti finchè Har-ris continuerà a cantare; e Harris, sotto il morso intimod’un evidente senso d’ingiustizia, prega il pianista di co-minciar da capo. Il pianista, allora, dà inizio al preludiodella canzone dell’Ammiraglio, e Harris, approfittandodi ciò che considera un’apertura favorevole della musi-ca, comincia).

Harris:Quand’ero giovanotto e andavo in tribunale

(Generale scoppio di risa, scambiato da Harris per uncomplimento. Il pianista, pensando alla moglie e alla fa-

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miglia, rinunzia alla tenzone ineguale e si ritira: il suoposto è preso da un signore dai nervi più solidi).

Il nuovo pianista (allegramente): — Ora su, caro; voicominciate, e io vi seguirò. Non staremo a seccarci colpreludio.

Harris (sul quale ha albeggiato pian piano la spiega-zione delle cose… ridendo): — Per Giove! Vi domandoscusa. Capisco… ho mischiato insieme le due canzoni.Sapete bene, è stato Jenkins che m’ha confuso. Ora,avanti.

(Canta. La sua voce pare che salga dalla cantina e fapensare ai primi indizi d’un terremoto che s’avvicina).

Quand’ero giovanetto, con zelo e con amoreservii da fattorino un celebre dottore.

(Da parte al pianista): — È troppo basso, caro; rico-minceremo da capo se non vi dispiace.

(Ripete i due versi, questa volta in falsetto. Gran sor-presa da parte degli uditori. Una vecchia signora nervo-sa accanto al fuoco comincia a piangere, e dev’esserecondotta fuori).

Harris (continuando):Spazzavo le finestre, spazzavo il pavimento…

E poi… No… no…pulivo le finestre di tutto il casamento…

E pulivo il pavimento… no, acciderba… domandoscusa… Strano, non mi ricordo quel verso. E… E… Ahbene, intoniamo il coro, comunque (canta):

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miglia, rinunzia alla tenzone ineguale e si ritira: il suoposto è preso da un signore dai nervi più solidi).

Il nuovo pianista (allegramente): — Ora su, caro; voicominciate, e io vi seguirò. Non staremo a seccarci colpreludio.

Harris (sul quale ha albeggiato pian piano la spiega-zione delle cose… ridendo): — Per Giove! Vi domandoscusa. Capisco… ho mischiato insieme le due canzoni.Sapete bene, è stato Jenkins che m’ha confuso. Ora,avanti.

(Canta. La sua voce pare che salga dalla cantina e fapensare ai primi indizi d’un terremoto che s’avvicina).

Quand’ero giovanetto, con zelo e con amoreservii da fattorino un celebre dottore.

(Da parte al pianista): — È troppo basso, caro; rico-minceremo da capo se non vi dispiace.

(Ripete i due versi, questa volta in falsetto. Gran sor-presa da parte degli uditori. Una vecchia signora nervo-sa accanto al fuoco comincia a piangere, e dev’esserecondotta fuori).

Harris (continuando):Spazzavo le finestre, spazzavo il pavimento…

E poi… No… no…pulivo le finestre di tutto il casamento…

E pulivo il pavimento… no, acciderba… domandoscusa… Strano, non mi ricordo quel verso. E… E… Ahbene, intoniamo il coro, comunque (canta):

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E din din din dina, e din din dinaor sono comandante di tutta la marina.

Ora poi, sapete, il coro… sono gli ultimi due versi ri-petuti.

Coro generale:E din din din dina, e din din dinaor sono comandante di tutta la marina.

E Harris non s’accorge della figura che fa, e come an-noi un monte di persone che non gli han fatto mai male.Egli onestamente immagina che le ha divertite, e annun-zia che canterà un’altra canzonetta dopo cena.

A proposito di canzonette allegre e di brigate, mi ram-mento di un incidente piuttosto curioso, al quale assisteiuna volta; incidente, che proietta molta luce sull’intimocongegno della natura umana in generale e che, perciò,credo debba essere registrato in queste pagine.

Eravamo una compagnia di gente elegante e assai col-ta. Avevamo i nostri abiti migliori, parlavamo leggiadra-mente ed eravamo lieti – tutti, tranne due giovani stu-denti, reduci da poco dalla Germania, persone comunis-sime, che sembravano non goder molto del trattenimen-to, quasi lo trovassero troppo basso per loro. La veritàera che per loro eravamo noi troppo alti. La nostra bril-lante e polita conversazione, i nostri gusti fini non eranoda essi compresi. Fra noi si sentivano come due pescifuor d’acqua. Non dovevano mai essersi trovati in unasocietà così eletta. Tutti lo dissero, dopo.

Si sonarono pezzi dei vecchi maestri tedeschi. Si di-

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E din din din dina, e din din dinaor sono comandante di tutta la marina.

Ora poi, sapete, il coro… sono gli ultimi due versi ri-petuti.

Coro generale:E din din din dina, e din din dinaor sono comandante di tutta la marina.

E Harris non s’accorge della figura che fa, e come an-noi un monte di persone che non gli han fatto mai male.Egli onestamente immagina che le ha divertite, e annun-zia che canterà un’altra canzonetta dopo cena.

A proposito di canzonette allegre e di brigate, mi ram-mento di un incidente piuttosto curioso, al quale assisteiuna volta; incidente, che proietta molta luce sull’intimocongegno della natura umana in generale e che, perciò,credo debba essere registrato in queste pagine.

Eravamo una compagnia di gente elegante e assai col-ta. Avevamo i nostri abiti migliori, parlavamo leggiadra-mente ed eravamo lieti – tutti, tranne due giovani stu-denti, reduci da poco dalla Germania, persone comunis-sime, che sembravano non goder molto del trattenimen-to, quasi lo trovassero troppo basso per loro. La veritàera che per loro eravamo noi troppo alti. La nostra bril-lante e polita conversazione, i nostri gusti fini non eranoda essi compresi. Fra noi si sentivano come due pescifuor d’acqua. Non dovevano mai essersi trovati in unasocietà così eletta. Tutti lo dissero, dopo.

Si sonarono pezzi dei vecchi maestri tedeschi. Si di-

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scusse di filosofia e di etica. Si corteggiaron le signorecon dignità piena di grazia. Si faceva dell’umorismo inmodo singolarmente elegante.

Qualcuno, dopo cena, recitò una poesia francese, enoi dicemmo che era bella, e una signora, poi, cantò unaballata sentimentale in ispagnuolo, che fece piangerequalcuno di noi… Era così patetica!

E infine quei due giovani si levarono, per domandarcise avessimo mai sentito Herr Slossenn Boschen (arriva-to appunto allora, e che era giù nella sala da pranzo)cantare una sua magnifica canzonetta tedesca.

Per quanto ci rammentavamo, nessuno mai l’avevasentita.

I due giovani dissero che era la più allegra canzonettache fosse mai stata scritta, e che, se mai, l’avrebbero fat-ta cantare da Herr Slossenn Boschen in persona, che essiconoscevano assai bene. Era una canzonetta così irresi-stibile, che quando Herr Slossenn Boschen l’aveva can-tata una volta innanzi all’imperatore di Germania questiera stato trasportato via a letto. Nessuno poteva cantarlacome Herr Slossen Boschen: egli si manteneva così gra-vemente serio mentre la diceva, che si poteva credererecitasse una tragedia; e questo, naturalmente, accresce-va il divertimento. Neppure un momento il suo tono e lesue maniere dimostravano ch’egli cantasse qualche cosadi allegro… l’incanto sarebbe scomparso. Era la sua ariadi gravità, quasi di pathos, che la faceva così irresistibil-mente divertente.

Noi dicemmo che desideravamo di udirla, che ci vo-

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scusse di filosofia e di etica. Si corteggiaron le signorecon dignità piena di grazia. Si faceva dell’umorismo inmodo singolarmente elegante.

Qualcuno, dopo cena, recitò una poesia francese, enoi dicemmo che era bella, e una signora, poi, cantò unaballata sentimentale in ispagnuolo, che fece piangerequalcuno di noi… Era così patetica!

E infine quei due giovani si levarono, per domandarcise avessimo mai sentito Herr Slossenn Boschen (arriva-to appunto allora, e che era giù nella sala da pranzo)cantare una sua magnifica canzonetta tedesca.

Per quanto ci rammentavamo, nessuno mai l’avevasentita.

I due giovani dissero che era la più allegra canzonettache fosse mai stata scritta, e che, se mai, l’avrebbero fat-ta cantare da Herr Slossenn Boschen in persona, che essiconoscevano assai bene. Era una canzonetta così irresi-stibile, che quando Herr Slossenn Boschen l’aveva can-tata una volta innanzi all’imperatore di Germania questiera stato trasportato via a letto. Nessuno poteva cantarlacome Herr Slossen Boschen: egli si manteneva così gra-vemente serio mentre la diceva, che si poteva credererecitasse una tragedia; e questo, naturalmente, accresce-va il divertimento. Neppure un momento il suo tono e lesue maniere dimostravano ch’egli cantasse qualche cosadi allegro… l’incanto sarebbe scomparso. Era la sua ariadi gravità, quasi di pathos, che la faceva così irresistibil-mente divertente.

Noi dicemmo che desideravamo di udirla, che ci vo-

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levamo allietare con una buona risata; ed essi corsero dabasso, e ci condussero Herr Slossenn Boschen.

Questi parve ben disposto a cantare, perchè venne su-bito di sopra, e si accomodò innanzi al pianoforte senzadire una parola.

— Ah, vi divertirà. Riderete — bisbigliarono i duegiovani, traversando la sala, e mettendosi modestamentedietro il professore.

Herr Slossenn Boschen si accompagnava da sè. Ilpreludio non faceva veramente pensare a una canzonettaallegra. Era una strana, triste aria, che faceva arricciarela pelle; ma ci mormorammo l’un l’altro che era il meto-do tedesco, e ci preparammo a ridere.

Quanto a me, io non capivo il tedesco. L’avevo impa-rato a scuola, ma ne avevo dimenticato tutte le paroledue anni dopo, e da allora mi son sentito sempre moltomeglio. Pure, io non volevo che la gente indovinasse lamia ignoranza; così m’appigliai a ciò che io credetti unabuona idea. Fissai l’occhio sui due giovani studenti, e liimitai. Quando essi sorridevano, io sorridevo; quandoessi scoppiavano a, ridere, io scoppiavo a ridere; e an-che di tanto in tanto uscivo in una risatina da per me,come se avessi scoperto un tratto d’umorismo che aglialtri era sfuggito. E questo lo giudicai molto scaltro daparte mia.

M’accorsi, mentre la canzonetta continuava, che mol-ti altri fissavano i due giovani, seguendo il mio sguardo.Quegli altri sorridevano anch’essi quando i due giovanisorridevano, e scoppiavano a ridere quando i due giova-

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levamo allietare con una buona risata; ed essi corsero dabasso, e ci condussero Herr Slossenn Boschen.

Questi parve ben disposto a cantare, perchè venne su-bito di sopra, e si accomodò innanzi al pianoforte senzadire una parola.

— Ah, vi divertirà. Riderete — bisbigliarono i duegiovani, traversando la sala, e mettendosi modestamentedietro il professore.

Herr Slossenn Boschen si accompagnava da sè. Ilpreludio non faceva veramente pensare a una canzonettaallegra. Era una strana, triste aria, che faceva arricciarela pelle; ma ci mormorammo l’un l’altro che era il meto-do tedesco, e ci preparammo a ridere.

Quanto a me, io non capivo il tedesco. L’avevo impa-rato a scuola, ma ne avevo dimenticato tutte le paroledue anni dopo, e da allora mi son sentito sempre moltomeglio. Pure, io non volevo che la gente indovinasse lamia ignoranza; così m’appigliai a ciò che io credetti unabuona idea. Fissai l’occhio sui due giovani studenti, e liimitai. Quando essi sorridevano, io sorridevo; quandoessi scoppiavano a, ridere, io scoppiavo a ridere; e an-che di tanto in tanto uscivo in una risatina da per me,come se avessi scoperto un tratto d’umorismo che aglialtri era sfuggito. E questo lo giudicai molto scaltro daparte mia.

M’accorsi, mentre la canzonetta continuava, che mol-ti altri fissavano i due giovani, seguendo il mio sguardo.Quegli altri sorridevano anch’essi quando i due giovanisorridevano, e scoppiavano a ridere quando i due giova-

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ni scoppiavano a ridere; e siccome i due giovani sorride-vano e ridevano e schiattavano dalle risate quasi conti-nuamente per tutta la canzone, si andava ch’era una me-raviglia.

E pure il tedesco non sembrava soddisfatto. In princi-pio, quando noi cominciammo a ridere, l’espressionedel suo viso fu di intensa sorpresa, come se la risata fos-se l’ultima cosa con la quale sperava d’esser salutato.L’atto ci parve molto buffo, e quella sua maniera graveformava metà del divertimento. Il minimo cenno da par-te sua ch’egli sapeva d’esser comico avrebbe rovinatocompletamente tutto. Siccome noi continuavamo a ride-re, la sua sorpresa fu seguita da un’aria di molestia ed’indignazione, ed egli scagliò a tutti in giro uno sguar-do torvo (tranne ai due giovani, che gli stavano di dietroe che non poteva vedere). Questo ci fece sbellicare dallerisa. Ci dicemmo tutti l’un l’altro che era da morire. Leparole sole ci avrebbero fatto schiattar dal ridere; ma ag-giunte a quella simulata serietà… oh, era troppo.

Nell’ultima strofa, egli si superò. Sfolgorò su noi unosguardo di tanta concentrata ferocia che, se non fossimostati preavvertiti del metodo tedesco in fatto di canzo-nette allegre, ce ne saremmo impauriti; ed emise un ge-mito e una nota così straziante in quella sinistra musica,che se non avessimo saputo che era una canzonetta alle-gra, avremmo finito col piangere.

Finì fra un tremendo strepito di risate. Dichiarammoche quella era la cosa più allegra che a questo mondoavessimo mai udita. Che stranezza, di fronte a roba

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ni scoppiavano a ridere; e siccome i due giovani sorride-vano e ridevano e schiattavano dalle risate quasi conti-nuamente per tutta la canzone, si andava ch’era una me-raviglia.

E pure il tedesco non sembrava soddisfatto. In princi-pio, quando noi cominciammo a ridere, l’espressionedel suo viso fu di intensa sorpresa, come se la risata fos-se l’ultima cosa con la quale sperava d’esser salutato.L’atto ci parve molto buffo, e quella sua maniera graveformava metà del divertimento. Il minimo cenno da par-te sua ch’egli sapeva d’esser comico avrebbe rovinatocompletamente tutto. Siccome noi continuavamo a ride-re, la sua sorpresa fu seguita da un’aria di molestia ed’indignazione, ed egli scagliò a tutti in giro uno sguar-do torvo (tranne ai due giovani, che gli stavano di dietroe che non poteva vedere). Questo ci fece sbellicare dallerisa. Ci dicemmo tutti l’un l’altro che era da morire. Leparole sole ci avrebbero fatto schiattar dal ridere; ma ag-giunte a quella simulata serietà… oh, era troppo.

Nell’ultima strofa, egli si superò. Sfolgorò su noi unosguardo di tanta concentrata ferocia che, se non fossimostati preavvertiti del metodo tedesco in fatto di canzo-nette allegre, ce ne saremmo impauriti; ed emise un ge-mito e una nota così straziante in quella sinistra musica,che se non avessimo saputo che era una canzonetta alle-gra, avremmo finito col piangere.

Finì fra un tremendo strepito di risate. Dichiarammoche quella era la cosa più allegra che a questo mondoavessimo mai udita. Che stranezza, di fronte a roba

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come quella, che si fosse radicata l’idea che i tedeschinon avessero sentimento di umorismo! E noi doman-dammo al professore perchè non traducesse la canzonein inglese, perchè tutti potessero udirla e saper che cosavolesse dire una canzonetta allegra.

Allora Herr Slossenn Boschen si levò, e divenne terri-bile. Imprecò contro di noi in tedesco (che io credo sia aquesto scopo una lingua efficacissima) e si mise a salta-re, scotendo i pugni, e ci ingiuriò con tutto l’inglese chesapeva. Egli disse che in tutta la vita non era stato maioltraggiato a quel modo.

Si apprese che la canzonetta non era per nulla affattocomica. Parlava d’una fanciulla che abitava nelle mon-tagne dell’Hartz, e che aveva dato la vita per salvarequella dell’innamorato: questi, poi, aveva incontrato lospirito di lei in aria; quindi, nell’ultima strofa, egli re-spingeva lo spirito della fanciulla, e se ne andava con lospirito d’un’altra. Non son certo dei particolari, ma lacosa era molto triste, ed Herr Slossenn Boschen l’avevacantata una volta alla presenza dell’imperatore di Ger-mania, e questi aveva singhiozzato come un bambino.Herr Boschen diceva che era generalmente conosciutacome una delle più tragiche e patetiche composizionidella lingua e della musica tedesche.

La nostra situazione divenne imbarazzante… moltoimbarazzante. Non avevo visto mai prima una brigatasciogliersi così tranquillamente, e con così poco fracas-so. Nessuno disse neppure buona sera all’altro. Filammoper le scale uno alla volta, in punta di piedi, tenendoci

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come quella, che si fosse radicata l’idea che i tedeschinon avessero sentimento di umorismo! E noi doman-dammo al professore perchè non traducesse la canzonein inglese, perchè tutti potessero udirla e saper che cosavolesse dire una canzonetta allegra.

Allora Herr Slossenn Boschen si levò, e divenne terri-bile. Imprecò contro di noi in tedesco (che io credo sia aquesto scopo una lingua efficacissima) e si mise a salta-re, scotendo i pugni, e ci ingiuriò con tutto l’inglese chesapeva. Egli disse che in tutta la vita non era stato maioltraggiato a quel modo.

Si apprese che la canzonetta non era per nulla affattocomica. Parlava d’una fanciulla che abitava nelle mon-tagne dell’Hartz, e che aveva dato la vita per salvarequella dell’innamorato: questi, poi, aveva incontrato lospirito di lei in aria; quindi, nell’ultima strofa, egli re-spingeva lo spirito della fanciulla, e se ne andava con lospirito d’un’altra. Non son certo dei particolari, ma lacosa era molto triste, ed Herr Slossenn Boschen l’avevacantata una volta alla presenza dell’imperatore di Ger-mania, e questi aveva singhiozzato come un bambino.Herr Boschen diceva che era generalmente conosciutacome una delle più tragiche e patetiche composizionidella lingua e della musica tedesche.

La nostra situazione divenne imbarazzante… moltoimbarazzante. Non avevo visto mai prima una brigatasciogliersi così tranquillamente, e con così poco fracas-so. Nessuno disse neppure buona sera all’altro. Filammoper le scale uno alla volta, in punta di piedi, tenendoci

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dal lato dell’ombra. Chiedemmo al cameriere il cappelloe il soprabito con un bisbiglio, e ci aprimmo la porta danoi, infilandoci fuori, correndo fino alla cantonata, edevitando il più che fosse possibile tutti gli altri.

Da allora non mi sono mai più interessato alle canzo-nette tedesche.

Giungemmo alla chiusa di Sunbury alle tre e mezzo.Il fiume lì, prima di arrivare agli sbarramenti, è vera-mente bello, e la vista delle acque di rigurgito è incante-vole; ma non tentai di remarvi.

Una volta mi ci provai. Remavo e domandai agli ami-ci che stavano al timone se credevano che si potessefare; ed essi mi dissero di sì, che lo credevano… bastavaremare con vigore. Eravamo sotto la piccola passerellache sta sui due sbarramenti, e io m’incurvavo sui remi, epicchiavo giù con tutta la forza.

Remavo splendidamente, con un magnifico slancioritmico, sforzando nella fatica non soltanto le braccia,ma anche le gambe e la schiena. I colpi erano rapidi evigorosi, veramente di magnifico stile. I miei due amicidissero che era un piacere guardarmi. Alla fine di cinqueminuti, credevo di esser chi sa quanto vicino alle portedella chiusa, e levai gli occhi. Eravamo sotto la passe-rella, esattamente nel punto dove ci trovavamo quandoavevo cominciato, e quei due idioti si sganasciavanodalle risa. Io ero stato a lavorar come un matto per tenerla barca incollata sotto quel ponte. Ora lascio agli altriremare contro le forti correnti nelle acque di rigurgito.

Vogammo fino a Walton, che, quale città rivierasca, è

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dal lato dell’ombra. Chiedemmo al cameriere il cappelloe il soprabito con un bisbiglio, e ci aprimmo la porta danoi, infilandoci fuori, correndo fino alla cantonata, edevitando il più che fosse possibile tutti gli altri.

Da allora non mi sono mai più interessato alle canzo-nette tedesche.

Giungemmo alla chiusa di Sunbury alle tre e mezzo.Il fiume lì, prima di arrivare agli sbarramenti, è vera-mente bello, e la vista delle acque di rigurgito è incante-vole; ma non tentai di remarvi.

Una volta mi ci provai. Remavo e domandai agli ami-ci che stavano al timone se credevano che si potessefare; ed essi mi dissero di sì, che lo credevano… bastavaremare con vigore. Eravamo sotto la piccola passerellache sta sui due sbarramenti, e io m’incurvavo sui remi, epicchiavo giù con tutta la forza.

Remavo splendidamente, con un magnifico slancioritmico, sforzando nella fatica non soltanto le braccia,ma anche le gambe e la schiena. I colpi erano rapidi evigorosi, veramente di magnifico stile. I miei due amicidissero che era un piacere guardarmi. Alla fine di cinqueminuti, credevo di esser chi sa quanto vicino alle portedella chiusa, e levai gli occhi. Eravamo sotto la passe-rella, esattamente nel punto dove ci trovavamo quandoavevo cominciato, e quei due idioti si sganasciavanodalle risa. Io ero stato a lavorar come un matto per tenerla barca incollata sotto quel ponte. Ora lascio agli altriremare contro le forti correnti nelle acque di rigurgito.

Vogammo fino a Walton, che, quale città rivierasca, è

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piuttosto grande. Come tutti i paesi lungo il fiume, soloun angoletto si spinge fino sulla riva, così che dalla bar-ca si potrebbe immaginarla un villaggio d’una mezzadozzina di case in tutto. Windsor e Abingdon sono lesole città fra Londra e Oxford delle quali si può vederqualche cosa dal fiume. Tutte le altre si nascondono, e siaffacciano semplicemente alla riva con una casa: le rin-grazio tanto per la loro bontà, giacchè lasciano le spon-de del fiume ai boschi, ai campi e alle opere idrauliche.

Anche Reading, benchè si sforzi di guastare, d’insu-diciare e d’imbruttire quanto più può del fiume, è abba-stanza buona da nascondere la sua brutta faccia assailontano.

Cesare, naturalmente, ebbe un posticino a Walton –un accampamento, un trinceramento, o qualcosa di simi-le. Cesare risalì regolarmente il fiume, come anche laregina Elisabetta. Dovunque si vada, non è possibile li-berarsi da quella donna. Cromwell e Bradshaw (nonl’autore dell’orario ferroviario, ma il ministro di re Car-lo), parimenti soggiornarono qui. Dovevano formareproprio una bella compagnia.

V’è il bavaglio di ferro nella chiesa di Walton. Si usa-vano simili strumenti nei tempi antichi per mettere unfreno alla lingua delle donne. Ma ora, ci s’è rinunziato.Forse il ferro diventava scarso, e null’altro sarebbe statoabbastanza forte.

Vi sono anche delle belle tombe nella chiesa, e io te-mevo di non esser capace di farle omettere ad Harris;ma egli non ci pensò, e passammo. Al di sopra del ponte

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piuttosto grande. Come tutti i paesi lungo il fiume, soloun angoletto si spinge fino sulla riva, così che dalla bar-ca si potrebbe immaginarla un villaggio d’una mezzadozzina di case in tutto. Windsor e Abingdon sono lesole città fra Londra e Oxford delle quali si può vederqualche cosa dal fiume. Tutte le altre si nascondono, e siaffacciano semplicemente alla riva con una casa: le rin-grazio tanto per la loro bontà, giacchè lasciano le spon-de del fiume ai boschi, ai campi e alle opere idrauliche.

Anche Reading, benchè si sforzi di guastare, d’insu-diciare e d’imbruttire quanto più può del fiume, è abba-stanza buona da nascondere la sua brutta faccia assailontano.

Cesare, naturalmente, ebbe un posticino a Walton –un accampamento, un trinceramento, o qualcosa di simi-le. Cesare risalì regolarmente il fiume, come anche laregina Elisabetta. Dovunque si vada, non è possibile li-berarsi da quella donna. Cromwell e Bradshaw (nonl’autore dell’orario ferroviario, ma il ministro di re Car-lo), parimenti soggiornarono qui. Dovevano formareproprio una bella compagnia.

V’è il bavaglio di ferro nella chiesa di Walton. Si usa-vano simili strumenti nei tempi antichi per mettere unfreno alla lingua delle donne. Ma ora, ci s’è rinunziato.Forse il ferro diventava scarso, e null’altro sarebbe statoabbastanza forte.

Vi sono anche delle belle tombe nella chiesa, e io te-mevo di non esser capace di farle omettere ad Harris;ma egli non ci pensò, e passammo. Al di sopra del ponte

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il fiume si vede serpeggiare terribilmente, e questo lorende così pittoresco; ma irrita chi deve remare o trasci-nare la barca a rimorchio, e fa bisticciare il rematore coltimoniere.

Sulla destra qui c’è il parco di Oatlands. È un puntofamoso nella storia. Enrico VIII lo rubò non so più achi, e prese ad abitarlo. V’è una grotta nel parco che sipuò vedere a pagamento, e che si crede sia meraviglio-sa; ma io non ci scopro gran che. La defunta duchessa diYork, che visse a Oatlands, era appassionata di cani e neaveva un numero infinito. Essa fece fare un cimitero ap-posito nel quale seppellire quelli che le morivano: e vene son sepolti una cinquantina con una lapide ornatad’un epitaffio.

Bene, si può dire che i cani la meritino, quasi quanto icristiani in generale.

A Corway Stakes – la prima curva oltre il ponte diWalton – fu combattuta la battaglia fra Cesare e Cassio-velanno. Cassiovelanno aveva preparato il fiume perCesare, facendovi una piantagione di pali (ci aveva mes-so senza dubbio un cartello). Ma Cesare, nonostante ciò,lo attraversò. Non si poteva cacciar Cesare dal fiume. Èla specie di uomo che ci vorrebbe ora sulle acque di ri-gurgito.

Halliford e Shepperton sono veramente graziosi dovetoccano la riva; ma nè l’uno nè l’altro hanno nulla di no-tevole. V’è una tomba, però, nel cimitero di Shepperton,con un epitaffio in poesia, e io temevo forte che Harrisvolesse sbarcare e andare a trastullarvisi. Lo vidi fissare

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il fiume si vede serpeggiare terribilmente, e questo lorende così pittoresco; ma irrita chi deve remare o trasci-nare la barca a rimorchio, e fa bisticciare il rematore coltimoniere.

Sulla destra qui c’è il parco di Oatlands. È un puntofamoso nella storia. Enrico VIII lo rubò non so più achi, e prese ad abitarlo. V’è una grotta nel parco che sipuò vedere a pagamento, e che si crede sia meraviglio-sa; ma io non ci scopro gran che. La defunta duchessa diYork, che visse a Oatlands, era appassionata di cani e neaveva un numero infinito. Essa fece fare un cimitero ap-posito nel quale seppellire quelli che le morivano: e vene son sepolti una cinquantina con una lapide ornatad’un epitaffio.

Bene, si può dire che i cani la meritino, quasi quanto icristiani in generale.

A Corway Stakes – la prima curva oltre il ponte diWalton – fu combattuta la battaglia fra Cesare e Cassio-velanno. Cassiovelanno aveva preparato il fiume perCesare, facendovi una piantagione di pali (ci aveva mes-so senza dubbio un cartello). Ma Cesare, nonostante ciò,lo attraversò. Non si poteva cacciar Cesare dal fiume. Èla specie di uomo che ci vorrebbe ora sulle acque di ri-gurgito.

Halliford e Shepperton sono veramente graziosi dovetoccano la riva; ma nè l’uno nè l’altro hanno nulla di no-tevole. V’è una tomba, però, nel cimitero di Shepperton,con un epitaffio in poesia, e io temevo forte che Harrisvolesse sbarcare e andare a trastullarvisi. Lo vidi fissare

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uno sguardo di desiderio sul punto di sbarco, mentre siavvicinava; ma io mi destreggiai in modo, con un abilemovimento, da fargli cascare il berretto nell’acqua, e lui,nell’eccitazione per ricuperarlo e l’indignazione per lamia sbadataggine, dimenticò tutto della sua diletta tom-ba.

A Weybridge, la Wey (una piccola, graziosa correntenavigabile per le piccole barche fino a Guildford, che ioho avuto sempre in mente di esplorare senza decidermimai), il canale di Bourne e quello di Basingstoke, entra-no tutti completamente nel Tamigi. La chiusa è propriodi fronte alla città, e la prima cosa che vedemmo, neltratto innanzi alla chiusa, fu la giubba di Giorgio su unadelle porte. Guardando bene, ci parve che Giorgio fosseal di dentro.

Montmorency si mise ad abbaiare furiosamente, io mimisi a strillare, Harris a urlare: Giorgio si mise ad agita-re il cappello, e a urlare in risposta. Il custode dellachiusa si precipitò con una gaffa, credendo che qualcunofosse caduto nella chiusa, e poi parve seccato trovandoche non era caduto nessuno.

Giorgio aveva in una mano uno strano pacchetto co-perto di pelle lucida, rotondo e piatto a un’estremità, eun lungo manico ritto nell’altra.

— Che è? — disse Harris. — Una padella?— No — disse Giorgio, con uno strano, folle sguardo

scintillante; — fanno furore in questa stagione. Sul fiu-me tutti ne posseggono uno. È un banjo.

— Non sapevo che tu sonassi il banjo! — gridammo

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uno sguardo di desiderio sul punto di sbarco, mentre siavvicinava; ma io mi destreggiai in modo, con un abilemovimento, da fargli cascare il berretto nell’acqua, e lui,nell’eccitazione per ricuperarlo e l’indignazione per lamia sbadataggine, dimenticò tutto della sua diletta tom-ba.

A Weybridge, la Wey (una piccola, graziosa correntenavigabile per le piccole barche fino a Guildford, che ioho avuto sempre in mente di esplorare senza decidermimai), il canale di Bourne e quello di Basingstoke, entra-no tutti completamente nel Tamigi. La chiusa è propriodi fronte alla città, e la prima cosa che vedemmo, neltratto innanzi alla chiusa, fu la giubba di Giorgio su unadelle porte. Guardando bene, ci parve che Giorgio fosseal di dentro.

Montmorency si mise ad abbaiare furiosamente, io mimisi a strillare, Harris a urlare: Giorgio si mise ad agita-re il cappello, e a urlare in risposta. Il custode dellachiusa si precipitò con una gaffa, credendo che qualcunofosse caduto nella chiusa, e poi parve seccato trovandoche non era caduto nessuno.

Giorgio aveva in una mano uno strano pacchetto co-perto di pelle lucida, rotondo e piatto a un’estremità, eun lungo manico ritto nell’altra.

— Che è? — disse Harris. — Una padella?— No — disse Giorgio, con uno strano, folle sguardo

scintillante; — fanno furore in questa stagione. Sul fiu-me tutti ne posseggono uno. È un banjo.

— Non sapevo che tu sonassi il banjo! — gridammo

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io e Harris in un punto solo.— Sonare, non lo so sonare — rispose Giorgio; —

ma è molto facile, m’han detto; e io ho il libro conl’istruzione.

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io e Harris in un punto solo.— Sonare, non lo so sonare — rispose Giorgio; —

ma è molto facile, m’han detto; e io ho il libro conl’istruzione.

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CAPITOLO IX.

Giorgio vien presentato al lavoro. – I perversi istinti del cavo dirimorchio. – Ingrata condotta d’uno schifo a due remi. – Ri-morchiatori e rimorchiati. – Per gl’innamorati. – Strana spari-zione d’una donna. – Molta fretta e poca velocità. – L’esser ri-morchiati dalle ragazze: divertente esperimento. – La chiusamancante del fiume stregato. – Musica. – Salvi.

Ora che lo avevamo, mettemmo Giorgio al lavoro.Naturalmente, egli non voleva lavorare, non serve dirlo.Aveva lavorato tanto in città, ci disse. Harris, che èd’indole dura e poco disposto alla pietà, disse:

— Ah, e per cambiare ora devi lavorare molto sul fiu-me; un diversivo fa bene a tutti. Fuori dunque!

Giorgio non poteva in coscienza — neanche nella suacoscienza — obiettar nulla, benchè dicesse che, forse,sarebbe stato meglio che lui fosse rimasto nella barca apreparare il tè, mentre io e Harris avremmo atteso al ri-morchio, perchè preparare il tè era fastidioso, e io e Har-ris avevamo l’aria stanca. La sola nostra risposta, però,fu di consegnargli il cavo di rimorchio, ed egli lo prese epassò sulla sponda.

V’è qualche cosa di strano e di misterioso nel cavo dirimorchio. L’arrotolate con molta cura e con molta pa-zienza, come si piegherebbe un paio di calzoni nuovi, ecinque minuti dopo, ripigliandolo, è un pauroso terribileintrico.

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CAPITOLO IX.

Giorgio vien presentato al lavoro. – I perversi istinti del cavo dirimorchio. – Ingrata condotta d’uno schifo a due remi. – Ri-morchiatori e rimorchiati. – Per gl’innamorati. – Strana spari-zione d’una donna. – Molta fretta e poca velocità. – L’esser ri-morchiati dalle ragazze: divertente esperimento. – La chiusamancante del fiume stregato. – Musica. – Salvi.

Ora che lo avevamo, mettemmo Giorgio al lavoro.Naturalmente, egli non voleva lavorare, non serve dirlo.Aveva lavorato tanto in città, ci disse. Harris, che èd’indole dura e poco disposto alla pietà, disse:

— Ah, e per cambiare ora devi lavorare molto sul fiu-me; un diversivo fa bene a tutti. Fuori dunque!

Giorgio non poteva in coscienza — neanche nella suacoscienza — obiettar nulla, benchè dicesse che, forse,sarebbe stato meglio che lui fosse rimasto nella barca apreparare il tè, mentre io e Harris avremmo atteso al ri-morchio, perchè preparare il tè era fastidioso, e io e Har-ris avevamo l’aria stanca. La sola nostra risposta, però,fu di consegnargli il cavo di rimorchio, ed egli lo prese epassò sulla sponda.

V’è qualche cosa di strano e di misterioso nel cavo dirimorchio. L’arrotolate con molta cura e con molta pa-zienza, come si piegherebbe un paio di calzoni nuovi, ecinque minuti dopo, ripigliandolo, è un pauroso terribileintrico.

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Io non intendo calunniare nessuno, ma credo ferma-mente che se si prende un cavo di media grandezza, e sitira ben dritto a traverso un campo, e poi gli si voltanole spalle per trenta secondi, si troverà, a guardarlo dinuovo, tutto in un mucchio in mezzo al campo, tutto at-torto e legato in nodi, coi due capi perduti, e un’immen-sa confusione: ci vorrà una buona mezz’ora, e bisogneràsedersi sull’erba, per bestemmiare e distrigarlo.

Questa è la mia opinione sui cavi in generale. Natu-ralmente vi possono essere delle onorevoli eccezioni,non dico di no. Vi possono essere cavi di rimorchio chefanno onore alla loro professione – dei coscienziosi, ri-spettabili cavi di rimorchio – cavi di rimorchio che nonimmaginano d’essere lavori a uncinetto da comporsi acoprispalliera nel momento che sono abbandonati a sèstessi. Io dico che vi possono essere dei cavi così fatti;sinceramente m’auguro che ci siano; ma io non ne homai conosciuti.

Il cavo di rimorchio l’avevo preso io stesso poco pri-ma di arrivare alla chiusa. Ma l’avevo lasciato toccaread Harris, perchè Harris è uno sbadato. L’avevo arroto-lato attentamente e cautamente, legato nel mezzo, e pie-gato in due, e deposto pianamente nel fondo della barca.Harris l’aveva sollevato scientificamente, consegnando-lo nelle mani di Giorgio. Giorgio l’aveva preso salda-mente, tenendolo lontano da sè, e aveva cominciato de-licatamente a svolgerlo come se stesse togliendo la fa-sciatura a un neonato e, prima d’averne svolto una doz-zina di metri, il cavo aveva assunta, più che d’altro, la

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Io non intendo calunniare nessuno, ma credo ferma-mente che se si prende un cavo di media grandezza, e sitira ben dritto a traverso un campo, e poi gli si voltanole spalle per trenta secondi, si troverà, a guardarlo dinuovo, tutto in un mucchio in mezzo al campo, tutto at-torto e legato in nodi, coi due capi perduti, e un’immen-sa confusione: ci vorrà una buona mezz’ora, e bisogneràsedersi sull’erba, per bestemmiare e distrigarlo.

Questa è la mia opinione sui cavi in generale. Natu-ralmente vi possono essere delle onorevoli eccezioni,non dico di no. Vi possono essere cavi di rimorchio chefanno onore alla loro professione – dei coscienziosi, ri-spettabili cavi di rimorchio – cavi di rimorchio che nonimmaginano d’essere lavori a uncinetto da comporsi acoprispalliera nel momento che sono abbandonati a sèstessi. Io dico che vi possono essere dei cavi così fatti;sinceramente m’auguro che ci siano; ma io non ne homai conosciuti.

Il cavo di rimorchio l’avevo preso io stesso poco pri-ma di arrivare alla chiusa. Ma l’avevo lasciato toccaread Harris, perchè Harris è uno sbadato. L’avevo arroto-lato attentamente e cautamente, legato nel mezzo, e pie-gato in due, e deposto pianamente nel fondo della barca.Harris l’aveva sollevato scientificamente, consegnando-lo nelle mani di Giorgio. Giorgio l’aveva preso salda-mente, tenendolo lontano da sè, e aveva cominciato de-licatamente a svolgerlo come se stesse togliendo la fa-sciatura a un neonato e, prima d’averne svolto una doz-zina di metri, il cavo aveva assunta, più che d’altro, la

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forma d’uno stuoino mal fatto.È sempre lo stesso, accade sempre la stessa cosa in

relazione col cavo. Chi sta sulla riva a tentare di distri-garlo, pensa che la colpa sia di chi l’ha arrotolato, e chiha il cavo di rimorchio, quando pensa una cosa, la dice!

— Che ne volevi fare, una rete da pesca? Hai fatto unbel pasticcio! Non potevi arrotolarlo a modo, bestia chenon sei altro? — brontola di tanto in tanto, affaticandosi,e lo mette di piatto sulla strada d’alzaia, e gli gira intor-no per trovarne l’estremità.

D’altra parte, quello che l’ha arrotolato pensa che lacagione del danno sia tutta di chi ha tentato di svolgerlo.

— Stava benissimo, quando tu l’hai preso! — escla-ma indignato. — Perchè non pensi a quello che fai?Sempre le cose a casaccio. Saresti capace di annodareun palo.

E si sentono così adirati l’uno verso l’altro ches’impiccherebbero a vicenda col cavo. Passano dieci mi-nuti, e quello sulla riva emette un latrato e s’infuria, eballa sul cavo, e prova a stenderlo, impadronendosi delprimo pezzo che gli capita in mano e tirando. Natural-mente, l’intrico diventa più confuso che mai. Alloral’altro esce dalla barca e va ad aiutarlo, e l’uno impaccial’altro, l’uno impedisce l’altro. Entrambi afferrano lostesso pezzo del cavo, e lo tirano in direzione opposta, esi domandano meravigliati chi è che lo tiene. Alla finelo scoprono, e poi si voltano per veder che la barca sen’è andata da sè e corre dritta verso lo sbarramento.

Questo, per quanto io so, accadde veramente una vol-

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forma d’uno stuoino mal fatto.È sempre lo stesso, accade sempre la stessa cosa in

relazione col cavo. Chi sta sulla riva a tentare di distri-garlo, pensa che la colpa sia di chi l’ha arrotolato, e chiha il cavo di rimorchio, quando pensa una cosa, la dice!

— Che ne volevi fare, una rete da pesca? Hai fatto unbel pasticcio! Non potevi arrotolarlo a modo, bestia chenon sei altro? — brontola di tanto in tanto, affaticandosi,e lo mette di piatto sulla strada d’alzaia, e gli gira intor-no per trovarne l’estremità.

D’altra parte, quello che l’ha arrotolato pensa che lacagione del danno sia tutta di chi ha tentato di svolgerlo.

— Stava benissimo, quando tu l’hai preso! — escla-ma indignato. — Perchè non pensi a quello che fai?Sempre le cose a casaccio. Saresti capace di annodareun palo.

E si sentono così adirati l’uno verso l’altro ches’impiccherebbero a vicenda col cavo. Passano dieci mi-nuti, e quello sulla riva emette un latrato e s’infuria, eballa sul cavo, e prova a stenderlo, impadronendosi delprimo pezzo che gli capita in mano e tirando. Natural-mente, l’intrico diventa più confuso che mai. Alloral’altro esce dalla barca e va ad aiutarlo, e l’uno impaccial’altro, l’uno impedisce l’altro. Entrambi afferrano lostesso pezzo del cavo, e lo tirano in direzione opposta, esi domandano meravigliati chi è che lo tiene. Alla finelo scoprono, e poi si voltano per veder che la barca sen’è andata da sè e corre dritta verso lo sbarramento.

Questo, per quanto io so, accadde veramente una vol-

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ta. Si era lassù presso Boveney, una mattina piuttostoventosa. Si remava secondo corrente, e quando ci avvi-cinammo alla curva, scorgemmo due persone sulla riva.Si guardavano con un’espressione di tanto disperata in-felicità, che non ne avevo visto mai una simile, e tene-vano fra esse due un lungo cavo di rimorchio. Era chia-ro che qualche cosa era accaduto, e ci fermammo a chie-dere che c’era.

— Abbiamo perduto la barca! — risposero in tono in-dignato. — Stavamo distrigando il cavo, e quando cisiamo voltati, la barca non c’era più.

E sembravano feriti da ciò che evidentemente giudi-cavano un atto di bassezza e d’ingratitudine da partedella barca.

Trovammo la fuggitiva un mezzo miglio più giù, trat-tenuta da un po’ di giunchi, e la riportammo indietro aidue infelici. Scommetto che per una settimana almenonon diedero più alla barca altra occasione di svignarsela.

Io non dimenticherò mai il quadro di quelle due per-sone che passeggiavano su e giù per la riva col cavo inmano, cercando la barca.

Si assiste sul fiume a molti allegri incidenti relativi alrimorchio. Uno dei più comuni è lo spettacolo di due ri-morchiatori, che vanno innanzi allegramente, immersi inun’animata discussione, mentre quello che sta nella bar-ca, a centinaia di metri lontano, si spolmona a gridareinvano di fermare e a far dei gesti frenetici con un remo.È accaduto qualche guasto; si sarà schiodato il timone,la gaffa sarà scivolata nell’acqua, a lui sarà caduto il

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ta. Si era lassù presso Boveney, una mattina piuttostoventosa. Si remava secondo corrente, e quando ci avvi-cinammo alla curva, scorgemmo due persone sulla riva.Si guardavano con un’espressione di tanto disperata in-felicità, che non ne avevo visto mai una simile, e tene-vano fra esse due un lungo cavo di rimorchio. Era chia-ro che qualche cosa era accaduto, e ci fermammo a chie-dere che c’era.

— Abbiamo perduto la barca! — risposero in tono in-dignato. — Stavamo distrigando il cavo, e quando cisiamo voltati, la barca non c’era più.

E sembravano feriti da ciò che evidentemente giudi-cavano un atto di bassezza e d’ingratitudine da partedella barca.

Trovammo la fuggitiva un mezzo miglio più giù, trat-tenuta da un po’ di giunchi, e la riportammo indietro aidue infelici. Scommetto che per una settimana almenonon diedero più alla barca altra occasione di svignarsela.

Io non dimenticherò mai il quadro di quelle due per-sone che passeggiavano su e giù per la riva col cavo inmano, cercando la barca.

Si assiste sul fiume a molti allegri incidenti relativi alrimorchio. Uno dei più comuni è lo spettacolo di due ri-morchiatori, che vanno innanzi allegramente, immersi inun’animata discussione, mentre quello che sta nella bar-ca, a centinaia di metri lontano, si spolmona a gridareinvano di fermare e a far dei gesti frenetici con un remo.È accaduto qualche guasto; si sarà schiodato il timone,la gaffa sarà scivolata nell’acqua, a lui sarà caduto il

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cappello che se ne va rapidamente alla deriva. Egli gridache i due si fermino, in principio con molta cortesia.

— Ehi! fermate un istante, per piacere! — grida alle-gramente. — M’è caduto il cappello nell’acqua.

Poi: — Ehi! Tommaso… Riccardo! non sentite? —non più con la stessa affabilità.

Poi: — Ehi! Che il diavolo vi pigli, stupidi idioti!Ehi! fermate. Oh, voi…!

Dopo si mette a ballare, a saltare in giro, sgolandosida diventar scarlatto in viso, e maledicendo tutto ciò checonosce. E i monelli sulla sponda si fermano a derider-lo, e gli lanciano dei sassi, perchè egli corre lontano,alla velocità di quattro miglia all’ora, e non può balzaresulla sponda a rincorrerli.

Molti inconvenienti di questa specie si eviteranno sequelli che tirano il cavo, rammenteranno che stanno ri-morchiando, e, di tanto in tanto, daranno uno sguardo alcompagno che segue nella barca. È meglio che tiri ilcavo una persona sola. Quando sono in due, si mettonoa chiacchierare e si dimenticano di ciò che fanno, e lastessa barca, offrendo se non una lieve resistenza, nonserve molto a rammentar loro il proprio dovere.

Quale esempio di come un paio di rimorchiatori pos-sano dimenticare assolutamente il loro lavoro, Giorgioci raccontò, la sera che stavamo discutendo dell’argo-mento a cena, un fatto molto curioso.

Lui e tre altri amici, egli ci disse, una sera conduceva-no a forza di remi una barca assai carica da Maiden-head, e un po’ al di sopra della chiusa di Cookham vide-

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cappello che se ne va rapidamente alla deriva. Egli gridache i due si fermino, in principio con molta cortesia.

— Ehi! fermate un istante, per piacere! — grida alle-gramente. — M’è caduto il cappello nell’acqua.

Poi: — Ehi! Tommaso… Riccardo! non sentite? —non più con la stessa affabilità.

Poi: — Ehi! Che il diavolo vi pigli, stupidi idioti!Ehi! fermate. Oh, voi…!

Dopo si mette a ballare, a saltare in giro, sgolandosida diventar scarlatto in viso, e maledicendo tutto ciò checonosce. E i monelli sulla sponda si fermano a derider-lo, e gli lanciano dei sassi, perchè egli corre lontano,alla velocità di quattro miglia all’ora, e non può balzaresulla sponda a rincorrerli.

Molti inconvenienti di questa specie si eviteranno sequelli che tirano il cavo, rammenteranno che stanno ri-morchiando, e, di tanto in tanto, daranno uno sguardo alcompagno che segue nella barca. È meglio che tiri ilcavo una persona sola. Quando sono in due, si mettonoa chiacchierare e si dimenticano di ciò che fanno, e lastessa barca, offrendo se non una lieve resistenza, nonserve molto a rammentar loro il proprio dovere.

Quale esempio di come un paio di rimorchiatori pos-sano dimenticare assolutamente il loro lavoro, Giorgioci raccontò, la sera che stavamo discutendo dell’argo-mento a cena, un fatto molto curioso.

Lui e tre altri amici, egli ci disse, una sera conduceva-no a forza di remi una barca assai carica da Maiden-head, e un po’ al di sopra della chiusa di Cookham vide-

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ro un giovanotto e una ragazza, che camminavano lungol’alzaia, immersi in una conversazione certo molto ani-mata e importante. Avevano in mano tutti e due una gaf-fa, e attaccato alla gaffa v’era un cavo di rimorchio, cheli seguiva con l’estremità nell’acqua. Nessuna barca eravicina, nessuna barca era in vista. Ci doveva essere statain qualche momento una barca attaccata a quel cavo,questo era certo; ma che fosse successo della barca, qualtriste destino l’avesse raggiunta con quelli che erano sta-ti abbandonati dentro, era impossibile dire. Checchè fos-se accaduto, però, nulla turbava la signorina e il giova-notto, che tiravano il cavo. Avevano la gaffa, e avevanoil cavo, ed era tutto quello che credevano necessario alloro lavoro.

Giorgio stava per gridare e riscuoterli, quando glilampeggiò una magnifica idea, e tacque. Prese un unci-no invece e lo sporse, e v’infilò l’estremità del cavo; poicon gli amici fece un cappio nel cavo, e lo infilònell’albero. Allora mise con gli amici da parte i remi, es’andò a sedere a prua, con la pipa accesa.

E il giovanotto e la signorina rimorchiarono queiquattro idioti e una barca pesante fino a Marlow.

Giorgio disse che non aveva mai visto tanta pensosatristezza concentrata in un’occhiata, come quando, allachiusa, la giovane coppia capì che, per le ultime due mi-glia, aveva rimorchiato una barca non sua. Giorgio com-prese che se non fosse stato per riguardo alla dolce fan-ciulla al suo fianco, il giovanotto si sarebbe abbandona-to a delle violente escandescenze.

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ro un giovanotto e una ragazza, che camminavano lungol’alzaia, immersi in una conversazione certo molto ani-mata e importante. Avevano in mano tutti e due una gaf-fa, e attaccato alla gaffa v’era un cavo di rimorchio, cheli seguiva con l’estremità nell’acqua. Nessuna barca eravicina, nessuna barca era in vista. Ci doveva essere statain qualche momento una barca attaccata a quel cavo,questo era certo; ma che fosse successo della barca, qualtriste destino l’avesse raggiunta con quelli che erano sta-ti abbandonati dentro, era impossibile dire. Checchè fos-se accaduto, però, nulla turbava la signorina e il giova-notto, che tiravano il cavo. Avevano la gaffa, e avevanoil cavo, ed era tutto quello che credevano necessario alloro lavoro.

Giorgio stava per gridare e riscuoterli, quando glilampeggiò una magnifica idea, e tacque. Prese un unci-no invece e lo sporse, e v’infilò l’estremità del cavo; poicon gli amici fece un cappio nel cavo, e lo infilònell’albero. Allora mise con gli amici da parte i remi, es’andò a sedere a prua, con la pipa accesa.

E il giovanotto e la signorina rimorchiarono queiquattro idioti e una barca pesante fino a Marlow.

Giorgio disse che non aveva mai visto tanta pensosatristezza concentrata in un’occhiata, come quando, allachiusa, la giovane coppia capì che, per le ultime due mi-glia, aveva rimorchiato una barca non sua. Giorgio com-prese che se non fosse stato per riguardo alla dolce fan-ciulla al suo fianco, il giovanotto si sarebbe abbandona-to a delle violente escandescenze.

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La ragazza fu la prima a riaversi dalla sorpresa, e al-lora congiunse le mani e disse, follemente:

— Oh, Enrico, e la zia dov’è?— Ritrovarono mai la vecchia signora? — chiese

Harris.Giorgio rispose di non saperlo.Di un altro esempio della pericolosa mancanza di

simpatia fra rimorchiatore e rimorchiati fummo testimo-ni Giorgio e io, una volta, nei pressi di Walton. Fu dovela strada d’alzaia discende pianamente nell’acqua, e noistavamo accampati sulla riva opposta, osservando lecose in generale. Venne a poco a poco in vista una bar-chetta, rimorchiata a un terribile passo, da un enormecavallo montato da un ragazzotto. Sparse per la barca, inatteggiamento di riposo e di sogno, stavano cinque per-sone; ma quella al timone aveva un aspetto particolar-mente tranquillo.

— Mi piacerebbe che sbagliasse a tirare la funicelladel timone — mormorò Giorgio, mentre quelli passava-no. E in quel preciso istante il timoniere sbagliò, e labarca urtò contro la sponda con uno strepito che parvelo strappo di quarantamila pezze di tela. Due uomini,una cesta e tre remi, lasciando immediatamente il battel-lo da babordo, s’abbandonarono sulla sponda, e unistante e mezzo dopo altri tre uomini sbarcavano da tri-bordo, e si abbandonavano fra gaffe, vele, valige e botti-glie. L’ultimo uomo arrivò venti metri lontano, e poi ap-parve ritto sulla testa.

Questo parve alleggerire la barca, che andò innanzi

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La ragazza fu la prima a riaversi dalla sorpresa, e al-lora congiunse le mani e disse, follemente:

— Oh, Enrico, e la zia dov’è?— Ritrovarono mai la vecchia signora? — chiese

Harris.Giorgio rispose di non saperlo.Di un altro esempio della pericolosa mancanza di

simpatia fra rimorchiatore e rimorchiati fummo testimo-ni Giorgio e io, una volta, nei pressi di Walton. Fu dovela strada d’alzaia discende pianamente nell’acqua, e noistavamo accampati sulla riva opposta, osservando lecose in generale. Venne a poco a poco in vista una bar-chetta, rimorchiata a un terribile passo, da un enormecavallo montato da un ragazzotto. Sparse per la barca, inatteggiamento di riposo e di sogno, stavano cinque per-sone; ma quella al timone aveva un aspetto particolar-mente tranquillo.

— Mi piacerebbe che sbagliasse a tirare la funicelladel timone — mormorò Giorgio, mentre quelli passava-no. E in quel preciso istante il timoniere sbagliò, e labarca urtò contro la sponda con uno strepito che parvelo strappo di quarantamila pezze di tela. Due uomini,una cesta e tre remi, lasciando immediatamente il battel-lo da babordo, s’abbandonarono sulla sponda, e unistante e mezzo dopo altri tre uomini sbarcavano da tri-bordo, e si abbandonavano fra gaffe, vele, valige e botti-glie. L’ultimo uomo arrivò venti metri lontano, e poi ap-parve ritto sulla testa.

Questo parve alleggerire la barca, che andò innanzi

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molto più facilmente, giacchè il ragazzotto gridava asquarciagola, incitando il cavallo al galoppo. Le personesedute si guardavano a vicenda. Ci volle qualche secon-do prima che capissero ciò che era accaduto; ma, quan-do lo capirono, cominciarono a gridare rumorosamenteal ragazzo di fermarsi. Questo, però, troppo occupatocol cavallo, non li sentì, e noi vedemmo tutti correrglidietro, finchè la distanza non ce li nascose.

Io non posso dire che la loro disgrazia mi dolesse.M’augurerei anzi che tutti gli sciocchi che si fanno ri-morchiare a questo modo – come è costume di molti –incontrassero sempre lo stesso destino. Oltre al rischioche corrono essi personalmente, costituiscono una mole-stia e un pericolo per tutte le altre barche che passano.Andando alla velocità che vanno, è impossibile per lorodar via libera agli altri o per gli altri dar via libera a loro.Il loro cavo s’aggrappa al vostro albero e vi rovescia,oppure acchiappa qualcuno nella barca, e lo gettanell’acqua, o gli taglia la faccia. Il mezzo migliore è distar ritto al vostro posto, e di prepararvi a riceverli conl’estremità inferiore dell’albero.

Di tutti i casi in relazione col rimorchio, il più ecci-tante è l’essere rimorchiato dalle ragazze. È una sensa-zione che tutti si dovrebbero procurare.

Per rimorchiare ci vogliono sempre tre ragazze: duetengono il cavo, e l’altra corre intorno intorno, e ride.Esse generalmente incominciano con l’impigliarsi nelcavo. Vi s’impastoiano le gambe, e debbono sedersi sul-la strada d’alzaia a distrigarsene, e poi se l’attorcono in-

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molto più facilmente, giacchè il ragazzotto gridava asquarciagola, incitando il cavallo al galoppo. Le personesedute si guardavano a vicenda. Ci volle qualche secon-do prima che capissero ciò che era accaduto; ma, quan-do lo capirono, cominciarono a gridare rumorosamenteal ragazzo di fermarsi. Questo, però, troppo occupatocol cavallo, non li sentì, e noi vedemmo tutti correrglidietro, finchè la distanza non ce li nascose.

Io non posso dire che la loro disgrazia mi dolesse.M’augurerei anzi che tutti gli sciocchi che si fanno ri-morchiare a questo modo – come è costume di molti –incontrassero sempre lo stesso destino. Oltre al rischioche corrono essi personalmente, costituiscono una mole-stia e un pericolo per tutte le altre barche che passano.Andando alla velocità che vanno, è impossibile per lorodar via libera agli altri o per gli altri dar via libera a loro.Il loro cavo s’aggrappa al vostro albero e vi rovescia,oppure acchiappa qualcuno nella barca, e lo gettanell’acqua, o gli taglia la faccia. Il mezzo migliore è distar ritto al vostro posto, e di prepararvi a riceverli conl’estremità inferiore dell’albero.

Di tutti i casi in relazione col rimorchio, il più ecci-tante è l’essere rimorchiato dalle ragazze. È una sensa-zione che tutti si dovrebbero procurare.

Per rimorchiare ci vogliono sempre tre ragazze: duetengono il cavo, e l’altra corre intorno intorno, e ride.Esse generalmente incominciano con l’impigliarsi nelcavo. Vi s’impastoiano le gambe, e debbono sedersi sul-la strada d’alzaia a distrigarsene, e poi se l’attorcono in-

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torno al collo, e quasi si strangolano. Finalmente posso-no allungarlo e tenerlo disteso, e partono di corsa, tiran-do la barca a una velocità pericolosa. Dopo un centinaiodi passi, naturalmente non hanno più fiato, e a un trattosi fermano, e si seggono sull’erba ridendo, e la barca siferma in mezzo alla corrente e si mette a girare, primache sappiate che cosa sia accaduto, o che possiate dar dipiglio a un remo. Allora esse si levano in piedi, sorpre-se.

— Oh, guarda! — dicono. — È andata proprio nelmezzo.

Dopo tirano abbastanza bene per un pezzo, e poi a untratto viene in mente a una di appuntarsi la gonna, e sifermano perciò, e la barca corre alla sponda.

Voi saltate per scostare la barca, e gridate loro di nonfermarsi.

— Sì. Che c’è? — rispondono.— Non vi fermate — gridate.— Che cosa?— Non vi fermate… continuate… continuate!— Corri, Emilia, a vedere che vogliono — dice una;

ed Emilia corre e domanda che c’è.— Che volete? — ella dice. — C’è nulla di male?— No — rispondete — tutto bene; soltanto andate,

sapete… non vi fermate.— Perchè?— Perchè non possiamo guidare, se state ferme. Do-

vete dare un po’ di forza alla barca.— Dare che?

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torno al collo, e quasi si strangolano. Finalmente posso-no allungarlo e tenerlo disteso, e partono di corsa, tiran-do la barca a una velocità pericolosa. Dopo un centinaiodi passi, naturalmente non hanno più fiato, e a un trattosi fermano, e si seggono sull’erba ridendo, e la barca siferma in mezzo alla corrente e si mette a girare, primache sappiate che cosa sia accaduto, o che possiate dar dipiglio a un remo. Allora esse si levano in piedi, sorpre-se.

— Oh, guarda! — dicono. — È andata proprio nelmezzo.

Dopo tirano abbastanza bene per un pezzo, e poi a untratto viene in mente a una di appuntarsi la gonna, e sifermano perciò, e la barca corre alla sponda.

Voi saltate per scostare la barca, e gridate loro di nonfermarsi.

— Sì. Che c’è? — rispondono.— Non vi fermate — gridate.— Che cosa?— Non vi fermate… continuate… continuate!— Corri, Emilia, a vedere che vogliono — dice una;

ed Emilia corre e domanda che c’è.— Che volete? — ella dice. — C’è nulla di male?— No — rispondete — tutto bene; soltanto andate,

sapete… non vi fermate.— Perchè?— Perchè non possiamo guidare, se state ferme. Do-

vete dare un po’ di forza alla barca.— Dare che?

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— Un po’ di forza… dovete far muovere la barca.— Ah, bene, lo dirò alle mie compagne. Facciamo

bene?— Oh, sì, molto bene, davvero; soltanto non vi fer-

mate.— Non è affatto difficile. Credevo che fosse più diffi-

cile.— Oh, no, è abbastanza semplice. Soltanto dovete

continuare, ecco tutto.— Capisco. Datemi lo scialle rosso ch’è sotto il cu-

scino.Le trovate lo scialle e glielo date, e allora accorre

un’altra che vuole anche lei lo scialle, e prendono a casoanche quello; ma siccome Maria non ne ha bisogno, loriportano indietro per avere invece un pettine. Passanocinque minuti prima che esse s’incamminino di nuovo, ealla prima voltata, veggono una mucca, e voi doveteuscire dalla barca per cacciarla fuori del sentiero.

Non v’è mai un momento di noia nella barca quandole ragazze sono occupate al rimorchio.

Dopo un po’, prese il cavo Giorgio, che ci rimorchiòin continuazione fino a Penton Hook. Lì discutemmol’importante questione dell’accampamento. Avevamodeciso di dormire a bordo quella notte, e noi dovevamoo star lì o continuare ad andare fin oltre Staines. Ma ciparve presto pensare di chiuderci lì allora, col sole anco-ra in cielo, e stabilimmo di spingerci fino a Ramny-mead, tre miglia e mezzo più oltre, una tranquilla, bo-scosa parte del fiume, dove si resta ben riparati.

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— Un po’ di forza… dovete far muovere la barca.— Ah, bene, lo dirò alle mie compagne. Facciamo

bene?— Oh, sì, molto bene, davvero; soltanto non vi fer-

mate.— Non è affatto difficile. Credevo che fosse più diffi-

cile.— Oh, no, è abbastanza semplice. Soltanto dovete

continuare, ecco tutto.— Capisco. Datemi lo scialle rosso ch’è sotto il cu-

scino.Le trovate lo scialle e glielo date, e allora accorre

un’altra che vuole anche lei lo scialle, e prendono a casoanche quello; ma siccome Maria non ne ha bisogno, loriportano indietro per avere invece un pettine. Passanocinque minuti prima che esse s’incamminino di nuovo, ealla prima voltata, veggono una mucca, e voi doveteuscire dalla barca per cacciarla fuori del sentiero.

Non v’è mai un momento di noia nella barca quandole ragazze sono occupate al rimorchio.

Dopo un po’, prese il cavo Giorgio, che ci rimorchiòin continuazione fino a Penton Hook. Lì discutemmol’importante questione dell’accampamento. Avevamodeciso di dormire a bordo quella notte, e noi dovevamoo star lì o continuare ad andare fin oltre Staines. Ma ciparve presto pensare di chiuderci lì allora, col sole anco-ra in cielo, e stabilimmo di spingerci fino a Ramny-mead, tre miglia e mezzo più oltre, una tranquilla, bo-scosa parte del fiume, dove si resta ben riparati.

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Tutti rimpiangemmo, dopo, di non esserci fermati aPenton Hook. Tre o quattro miglia contro corrente èun’inezia la mattina presto, ma è una bella fatica allafine della giornata. Durante le ultime poche miglia nonv’è alcun interesse nel panorama. Non si ciarla e non siride. Ogni mezzo miglio che si percorre fa l’effetto didue. Si può appena credere che si sia arrivati soltantodove si è, e si crede che la carta sbagli; e quando uno hasudato per un tratto che si è giudicato d’una diecina dimiglia, e la chiusa non è ancora in vista, si comincia se-riamente a temere che qualcuno l’abbia rubata e se la siaportata via.

Ricordo una volta d’essermi sentito terribilmentesconvolto sul fiume (in senso figurato). Ero con una si-gnorina, mia cugina da parte di madre, e stavamo re-mando alla volta di Goring. Avevamo fatto tardi, ed era-vamo impazienti di rientrare – lei almeno era impazientedi rientrare. Erano le sei e mezza passate quando rag-giungemmo la chiusa di Benson, e il crepuscolo s’avvi-cinava, e l’ansia di lei cresceva. Ella disse che dovevatrovarsi a casa per l’ora di cena. Dissi che anch’io sareivoluto arrivare a casa per la stessa ora; e trassi la cartache avevo per vedere precisamente dove fossimo. Vidiche eravamo a un miglio e mezzo dalla prossima chiusa– Wallingford – e a cinque da Wallington a Cleeve.

— Oh, va benissimo — dissi. — Traverseremo laprossima chiusa alle sette, e dopo non ve n’è cheun’altra; — e, ripreso il mio posto, mi misi a vogare vi-gorosamente.

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Tutti rimpiangemmo, dopo, di non esserci fermati aPenton Hook. Tre o quattro miglia contro corrente èun’inezia la mattina presto, ma è una bella fatica allafine della giornata. Durante le ultime poche miglia nonv’è alcun interesse nel panorama. Non si ciarla e non siride. Ogni mezzo miglio che si percorre fa l’effetto didue. Si può appena credere che si sia arrivati soltantodove si è, e si crede che la carta sbagli; e quando uno hasudato per un tratto che si è giudicato d’una diecina dimiglia, e la chiusa non è ancora in vista, si comincia se-riamente a temere che qualcuno l’abbia rubata e se la siaportata via.

Ricordo una volta d’essermi sentito terribilmentesconvolto sul fiume (in senso figurato). Ero con una si-gnorina, mia cugina da parte di madre, e stavamo re-mando alla volta di Goring. Avevamo fatto tardi, ed era-vamo impazienti di rientrare – lei almeno era impazientedi rientrare. Erano le sei e mezza passate quando rag-giungemmo la chiusa di Benson, e il crepuscolo s’avvi-cinava, e l’ansia di lei cresceva. Ella disse che dovevatrovarsi a casa per l’ora di cena. Dissi che anch’io sareivoluto arrivare a casa per la stessa ora; e trassi la cartache avevo per vedere precisamente dove fossimo. Vidiche eravamo a un miglio e mezzo dalla prossima chiusa– Wallingford – e a cinque da Wallington a Cleeve.

— Oh, va benissimo — dissi. — Traverseremo laprossima chiusa alle sette, e dopo non ve n’è cheun’altra; — e, ripreso il mio posto, mi misi a vogare vi-gorosamente.

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Passammo il ponte, e subito dopo le chiesi se vedessela chiusa. Ella rispose di no, che non vedeva alcunachiusa. Io esclamai: — Ah! — e continuai a remare.Passarono altri cinque minuti, e poi le dissi di guardareancora.

— No — ella disse — non veggo alcun indizio dichiusa.

— Tu… tu sei certa di conoscere una chiusa quandola vedi? — chiesi con qualche esitazione, non volendooffenderla.

La domanda la offese, però; ed ella mi disse che erameglio che guardassi io; così deposi i remi, e diediun’occhiata. Il fiume si stendeva dritto innanzi a noi nelcrepuscolo, per circa un miglio: non si vedeva neppureuno spettro di chiusa.

— E se… se avessimo smarrita la via? — chiese lamia compagna.

Io non vidi come potesse esser possibile una cosa si-mile; osservai, però, che forse eravamo entrati chi sacome nella corrente dello sbarramento, e stavamo cor-rendo verso le cascate.

Questa idea non servì a confortar mia cugina, la qualecominciò a piangere, e previde che ci saremmo annega-ti. Sarebbe stata una giusta punizione per lei che era ve-nuta con me.

Pensai che la punizione sarebbe stata eccessiva, esperai che tutto presto sarebbe finito.

Tentai di rassicurarla, e di trattar tutta la faccenda conleggerezza. Dissi che evidentemente non remavo con

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Passammo il ponte, e subito dopo le chiesi se vedessela chiusa. Ella rispose di no, che non vedeva alcunachiusa. Io esclamai: — Ah! — e continuai a remare.Passarono altri cinque minuti, e poi le dissi di guardareancora.

— No — ella disse — non veggo alcun indizio dichiusa.

— Tu… tu sei certa di conoscere una chiusa quandola vedi? — chiesi con qualche esitazione, non volendooffenderla.

La domanda la offese, però; ed ella mi disse che erameglio che guardassi io; così deposi i remi, e diediun’occhiata. Il fiume si stendeva dritto innanzi a noi nelcrepuscolo, per circa un miglio: non si vedeva neppureuno spettro di chiusa.

— E se… se avessimo smarrita la via? — chiese lamia compagna.

Io non vidi come potesse esser possibile una cosa si-mile; osservai, però, che forse eravamo entrati chi sacome nella corrente dello sbarramento, e stavamo cor-rendo verso le cascate.

Questa idea non servì a confortar mia cugina, la qualecominciò a piangere, e previde che ci saremmo annega-ti. Sarebbe stata una giusta punizione per lei che era ve-nuta con me.

Pensai che la punizione sarebbe stata eccessiva, esperai che tutto presto sarebbe finito.

Tentai di rassicurarla, e di trattar tutta la faccenda conleggerezza. Dissi che evidentemente non remavo con

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quella rapidità che mi immaginavo; ma che ora avrem-mo presto raggiunta la chiusa; e continuai a remare perun altro miglio.

Allora cominciai a diventare nervoso anch’io. Guar-dai di nuovo la carta. Ecco la chiusa di Wallingford,chiaramente segnata, un miglio e mezzo sotto quella diBenson. Era una carta accurata, e poi, ricordavo io stes-so la chiusa per averla traversata due volte. Dove erava-mo? Che ci era accaduto? Cominciai a pensare che do-vesse essere tutto un sogno, e che io realmente giacessia letto addormentato, e che fra qualche minuto mi sareisvegliato, per sentirmi dire ch’erano le dieci passate.

Chiesi a mia cugina se non sognassimo, ed ella mi ri-spose che stava appunto per farmi la stessa domanda; eallora ci domandammo se dormissimo tutti e due, e semai, chi di noi sognasse realmente, e chi fosse semplice-mente un sogno: diventava una questione interessante.

Continuavo a remare, però, ma non si vedeva ancoranessuna chiusa, e il fiume diventava sempre più fosco emisterioso sotto le imminenti ombre notturne; e tuttosembrava pauroso e spettrale. Pensai agli spiriti, allefate, ai fuochi fatui, e a quelle malvage fanciulle cheseggono la notte sugli scogli e attirano i naviganti neivortici e nelle secche; e desiderai d’essere stato unuomo più timoroso e pio; e in mezzo a queste riflessionisentii sonare malamente da un organetto le benedettenote d’una canzone popolare allora in voga, e seppi cheeravamo salvi.

Io non ammiro la musica dell’organetto, di regola; ma

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quella rapidità che mi immaginavo; ma che ora avrem-mo presto raggiunta la chiusa; e continuai a remare perun altro miglio.

Allora cominciai a diventare nervoso anch’io. Guar-dai di nuovo la carta. Ecco la chiusa di Wallingford,chiaramente segnata, un miglio e mezzo sotto quella diBenson. Era una carta accurata, e poi, ricordavo io stes-so la chiusa per averla traversata due volte. Dove erava-mo? Che ci era accaduto? Cominciai a pensare che do-vesse essere tutto un sogno, e che io realmente giacessia letto addormentato, e che fra qualche minuto mi sareisvegliato, per sentirmi dire ch’erano le dieci passate.

Chiesi a mia cugina se non sognassimo, ed ella mi ri-spose che stava appunto per farmi la stessa domanda; eallora ci domandammo se dormissimo tutti e due, e semai, chi di noi sognasse realmente, e chi fosse semplice-mente un sogno: diventava una questione interessante.

Continuavo a remare, però, ma non si vedeva ancoranessuna chiusa, e il fiume diventava sempre più fosco emisterioso sotto le imminenti ombre notturne; e tuttosembrava pauroso e spettrale. Pensai agli spiriti, allefate, ai fuochi fatui, e a quelle malvage fanciulle cheseggono la notte sugli scogli e attirano i naviganti neivortici e nelle secche; e desiderai d’essere stato unuomo più timoroso e pio; e in mezzo a queste riflessionisentii sonare malamente da un organetto le benedettenote d’una canzone popolare allora in voga, e seppi cheeravamo salvi.

Io non ammiro la musica dell’organetto, di regola; ma

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come ci sembrò bella allora – molto, ma molto più belladella voce di Orfeo e del liuto d’Apollo, o d’altri dellastessa specie che potesse aver sonato. Una melodia cele-ste, nelle condizioni in cui ci trovavamo, ci avrebbemaggiormente rattristati. Un’armonia commovente, cor-rettamente eseguita, l’avremmo interpretata come unmonito spirituale, e avremmo rinunziato a ogni speran-za. Ma le note di quella canzone popolare, sonata spa-smodicamente, e con variazioni involontarie, da un or-ganetto asmatico, era qualche cosa di singolarmenteumano e rassicurante.

I dolci suoni continuavano ad avvicinarsi, e subito labarca da cui provenivano si fermò accanto alla nostra.

Conteneva una brigata di «Richi» e di «Richette» pro-vinciali, usciti per una passeggiata al chiaro di luna. (Laluna non c’era, ma non per colpa sua). Io non avevo vi-sto mai persone più care e simpatiche. Le salutai, e do-mandai se potessero indicarmi la via per la chiusa diWallingford; e spiegai che da due ore l’andavo cercandoinvano.

— La chiusa di Wallingford! — rispose uno. — Diovi benedica, signore, è da un anno che l’hanno abolita.Non v’è più la chiusa di Wallingford ora. La chiusa oraè a Cleeve. Guglielmo, hai sentito? Un signore che vacercando la chiusa di Wallingford.

Non avevo neppur pensato a una cosa simile. Avreivoluto abbracciarli tutti e benedirli; ma la corrente eratroppo forte appunto in quel momento, e così mi dovettilimitare semplicemente a sonore, ma fredde parole di

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come ci sembrò bella allora – molto, ma molto più belladella voce di Orfeo e del liuto d’Apollo, o d’altri dellastessa specie che potesse aver sonato. Una melodia cele-ste, nelle condizioni in cui ci trovavamo, ci avrebbemaggiormente rattristati. Un’armonia commovente, cor-rettamente eseguita, l’avremmo interpretata come unmonito spirituale, e avremmo rinunziato a ogni speran-za. Ma le note di quella canzone popolare, sonata spa-smodicamente, e con variazioni involontarie, da un or-ganetto asmatico, era qualche cosa di singolarmenteumano e rassicurante.

I dolci suoni continuavano ad avvicinarsi, e subito labarca da cui provenivano si fermò accanto alla nostra.

Conteneva una brigata di «Richi» e di «Richette» pro-vinciali, usciti per una passeggiata al chiaro di luna. (Laluna non c’era, ma non per colpa sua). Io non avevo vi-sto mai persone più care e simpatiche. Le salutai, e do-mandai se potessero indicarmi la via per la chiusa diWallingford; e spiegai che da due ore l’andavo cercandoinvano.

— La chiusa di Wallingford! — rispose uno. — Diovi benedica, signore, è da un anno che l’hanno abolita.Non v’è più la chiusa di Wallingford ora. La chiusa oraè a Cleeve. Guglielmo, hai sentito? Un signore che vacercando la chiusa di Wallingford.

Non avevo neppur pensato a una cosa simile. Avreivoluto abbracciarli tutti e benedirli; ma la corrente eratroppo forte appunto in quel momento, e così mi dovettilimitare semplicemente a sonore, ma fredde parole di

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gratitudine.Li ringraziammo cento e cento volte, e augurammo

loro una bella passeggiata; e credo d’averli invitati tuttia venire a passare una settimana con me. Mia cugina ag-giunse che sua madre li avrebbe visti tanto volentieri. Ecantammo il coro dei soldati del «Fausto», e dopo tuttoarrivammo a casa in tempo per la cena.

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gratitudine.Li ringraziammo cento e cento volte, e augurammo

loro una bella passeggiata; e credo d’averli invitati tuttia venire a passare una settimana con me. Mia cugina ag-giunse che sua madre li avrebbe visti tanto volentieri. Ecantammo il coro dei soldati del «Fausto», e dopo tuttoarrivammo a casa in tempo per la cena.

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CAPITOLO X.

La nostra prima notte. – Sotto la tela. – Si domanda aiuto. – Mali-gnità del calderino; come vincerla. – La cena. – Come sentirsivirtuosi. – Occorre una bella isola deserta, bene equipaggiata eprosciugata, preferibilmente in vicinanza dell’Oceano Meri-dionale. – Cose buffe accadute al padre di Giorgio. – Una notteirrequieta.

Harris e io cominciammo a pensare che alla chiusa diBell fosse successa la stessa cosa. Giorgio ci aveva tiratia rimorchio fino a Staines, e ci eravamo già allontanatidi lì, e sembrava che ci portassimo dietro cinquanta ton-nellate, dopo aver viaggiato per quaranta miglia. Eranole sette e mezzo quando ci fermammo, e tutti e tre entrola barca, remammo fino alla riva sinistra, cercando unpunto da ormeggiarci.

Avevamo prima l’intenzione d’arrivare all’Isola dellaMagna Carta, una graziosa parte del fiume, dove essoserpeggia per una bella vallata verde, e d’accamparci inuna delle molte pittoresche rade che si trovano su quellasponda. Ma, a ogni modo, non avevamo tanto desideriodel pittoresco come la mattina presto. Un tratto d’acquafra un trasporto di carbone e delle officine di gas quellasera ci avrebbe più che soddisfatti. Non avevamo biso-gno di paesaggio. Volevamo cenare e andare a letto.Però remammo fino a un punto che si chiama il «PicnicPoint» e ci fermammo in un grazioso angoletto sotto un

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CAPITOLO X.

La nostra prima notte. – Sotto la tela. – Si domanda aiuto. – Mali-gnità del calderino; come vincerla. – La cena. – Come sentirsivirtuosi. – Occorre una bella isola deserta, bene equipaggiata eprosciugata, preferibilmente in vicinanza dell’Oceano Meri-dionale. – Cose buffe accadute al padre di Giorgio. – Una notteirrequieta.

Harris e io cominciammo a pensare che alla chiusa diBell fosse successa la stessa cosa. Giorgio ci aveva tiratia rimorchio fino a Staines, e ci eravamo già allontanatidi lì, e sembrava che ci portassimo dietro cinquanta ton-nellate, dopo aver viaggiato per quaranta miglia. Eranole sette e mezzo quando ci fermammo, e tutti e tre entrola barca, remammo fino alla riva sinistra, cercando unpunto da ormeggiarci.

Avevamo prima l’intenzione d’arrivare all’Isola dellaMagna Carta, una graziosa parte del fiume, dove essoserpeggia per una bella vallata verde, e d’accamparci inuna delle molte pittoresche rade che si trovano su quellasponda. Ma, a ogni modo, non avevamo tanto desideriodel pittoresco come la mattina presto. Un tratto d’acquafra un trasporto di carbone e delle officine di gas quellasera ci avrebbe più che soddisfatti. Non avevamo biso-gno di paesaggio. Volevamo cenare e andare a letto.Però remammo fino a un punto che si chiama il «PicnicPoint» e ci fermammo in un grazioso angoletto sotto un

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olmo gigantesco, alle bene espanse radici del quale le-gammo la barca.

Allora pensammo di prepararci da cena (avevamo ri-nunziato al tè, per risparmiar tempo), ma Giorgio dissedi no: era meglio, prima che si facesse buio, mentre sipoteva vedere ciò che si faceva, stendere la tela. E allo-ra, fatto ciò che era necessario fare, potevamo sederci amangiare in pace.

Per mettere a posto quella tela ci volle molto più diquanto ciascuno di noi avesse mai immaginato. La cosasembrava così semplice in astratto. Si prendevano cin-que archi di ferro, come quelli, ma molto più grandi, delgiuoco del croquet, si piantavano in giro alla barca, e sudi essi si stendeva la tela, che poi si legava in basso: sipensava che non ci occorressero neanche una diecina diminuti. E si credeva di conceder troppo.

Prendemmo i ferri, e cominciammo per fissarlinegl’incastri pronti a riceverli. Voi non immaginate chequesta sia un’operazione pericolosa; ma, ora che ci ri-penso, mi meraviglio che ci sia ancora qualcuno vivo araccontarla. Non erano archi di ferro quelli, erano demo-ni. Prima di tutto non volevano entrare negl’incastri, enoi dovemmo saltare su di essi, prenderli a calci, martel-larli con la gaffa; e dopo che furono incastrati, ci accor-gemmo che avevamo scambiato gl’incastri, forzando iferri dove non sarebbero dovuti entrare, e dovemmo co-minciare da capo.

Ma essi non volevano più uscire, e quando in due cieravamo accaniti a lottare per cinque minuti, un tratto

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olmo gigantesco, alle bene espanse radici del quale le-gammo la barca.

Allora pensammo di prepararci da cena (avevamo ri-nunziato al tè, per risparmiar tempo), ma Giorgio dissedi no: era meglio, prima che si facesse buio, mentre sipoteva vedere ciò che si faceva, stendere la tela. E allo-ra, fatto ciò che era necessario fare, potevamo sederci amangiare in pace.

Per mettere a posto quella tela ci volle molto più diquanto ciascuno di noi avesse mai immaginato. La cosasembrava così semplice in astratto. Si prendevano cin-que archi di ferro, come quelli, ma molto più grandi, delgiuoco del croquet, si piantavano in giro alla barca, e sudi essi si stendeva la tela, che poi si legava in basso: sipensava che non ci occorressero neanche una diecina diminuti. E si credeva di conceder troppo.

Prendemmo i ferri, e cominciammo per fissarlinegl’incastri pronti a riceverli. Voi non immaginate chequesta sia un’operazione pericolosa; ma, ora che ci ri-penso, mi meraviglio che ci sia ancora qualcuno vivo araccontarla. Non erano archi di ferro quelli, erano demo-ni. Prima di tutto non volevano entrare negl’incastri, enoi dovemmo saltare su di essi, prenderli a calci, martel-larli con la gaffa; e dopo che furono incastrati, ci accor-gemmo che avevamo scambiato gl’incastri, forzando iferri dove non sarebbero dovuti entrare, e dovemmo co-minciare da capo.

Ma essi non volevano più uscire, e quando in due cieravamo accaniti a lottare per cinque minuti, un tratto

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balzavano improvvisamente, tentando di scagliarcinell’acqua e farci annegare. Avevano una specie di car-dini nel mezzo, e, quando non ci si badava, con essi ciaddentavano nelle parti delicate del corpo; e, mentre sta-vamo lottando con un lato dell’arco, e ci sforzavamo dipersuaderlo a fare il suo dovere, l’altro lato ci assaltavacodardamente, e ci colpiva in testa.

Finimmo poi con l’incastrarli; e quindi non c’era dafar altro che disporre la copertura. Giorgio la svolse e nelegò un capo alla prua della barca. Harris stava nel mez-zo per prenderla da Giorgio, e svolgerla fino a me, e io,per riceverla, mi tenevo presso la poppa. Ci volle parec-chio prima che giungesse a me. Giorgio fece la sua partebenissimo, ma era un’operazione nuova per Harris, e al-lora avvenne il guaio.

Io non so dire come facesse, e neppur lui potè spie-garmelo; ma per chi sa mai quale misterioso processo,egli riuscì, dopo dieci minuti di sforzo sovrumano, coltrovarsi completamente avvolto nella tela. Era così sal-damente stretto, imprigionato e fasciato, che non potevapiù uscirne. Naturalmente faceva dei frenetici sforzi perla conquista della libertà – il diritto di nascita di tuttigl’inglesi – e nei suoi sforzi (l’appresi dopo) stramazzòsu Giorgio; e allora Giorgio, imprecando ad Harris, co-minciò a divincolarsi, per finir poi col trovarsi impiglia-to e avviluppato anche lui.

In quel momento non m’ero accorto di nulla, ancheperchè neppure io m’intendevo della faccenda. M’ave-vano detto di stare dove mi trovavo, e d’aspettare che la

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balzavano improvvisamente, tentando di scagliarcinell’acqua e farci annegare. Avevano una specie di car-dini nel mezzo, e, quando non ci si badava, con essi ciaddentavano nelle parti delicate del corpo; e, mentre sta-vamo lottando con un lato dell’arco, e ci sforzavamo dipersuaderlo a fare il suo dovere, l’altro lato ci assaltavacodardamente, e ci colpiva in testa.

Finimmo poi con l’incastrarli; e quindi non c’era dafar altro che disporre la copertura. Giorgio la svolse e nelegò un capo alla prua della barca. Harris stava nel mez-zo per prenderla da Giorgio, e svolgerla fino a me, e io,per riceverla, mi tenevo presso la poppa. Ci volle parec-chio prima che giungesse a me. Giorgio fece la sua partebenissimo, ma era un’operazione nuova per Harris, e al-lora avvenne il guaio.

Io non so dire come facesse, e neppur lui potè spie-garmelo; ma per chi sa mai quale misterioso processo,egli riuscì, dopo dieci minuti di sforzo sovrumano, coltrovarsi completamente avvolto nella tela. Era così sal-damente stretto, imprigionato e fasciato, che non potevapiù uscirne. Naturalmente faceva dei frenetici sforzi perla conquista della libertà – il diritto di nascita di tuttigl’inglesi – e nei suoi sforzi (l’appresi dopo) stramazzòsu Giorgio; e allora Giorgio, imprecando ad Harris, co-minciò a divincolarsi, per finir poi col trovarsi impiglia-to e avviluppato anche lui.

In quel momento non m’ero accorto di nulla, ancheperchè neppure io m’intendevo della faccenda. M’ave-vano detto di stare dove mi trovavo, e d’aspettare che la

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tela arrivasse fino a me; e Montmorency e io eravamorimasti ad attendere, fedeli alla consegna. Potemmoscorgere la tela violentemente sbattuta e agitata, con ab-bastanza evidenza; ma credevamo che questo facesseparte dell’operazione, e non intervenimmo.

Udimmo anche delle espressioni molto soffocateuscir di sotto la tela, e indovinammo che gli amici trova-vano qualche difficoltà nel lavoro, ma concludemmoche dovevamo aspettare che le cose si semplificasseroun po’, prima di offrire la nostra cooperazione.

Attendemmo un poco, ma sembrava che la faccendasi complicasse sempre più, e finalmente la testa di Gior-gio apparve alla vista, contorcendosi sul fianco dellabarca e gridando.

Diceva:— Corri a dare una mano qui, brutto animale, e non

startene come una mummia imbalsamata, quando civedi tutti e due soffocati, bestia che non sei altro!

Io, che non ho mai resistito a un grido di soccorso, mislanciai a liberarli, non prima però che Harris apparissein faccia quasi paonazzo.

Ci volle mezz’ora di fatica intensa perchè la tela fossea posto, e poi sgombrammo il ponte, e ci disponemmo apreparar la cena. A prua mettemmo a bollire il calderinodel tè, e ci recammo a poppa, fingendo di non badargliaffatto, nell’atto che si preparava il resto.

È il solo mezzo sul fiume per far bollire il calderino.Se vede che aspettate che bolla e siete impaziente, nonsi mette neanche a borbottare. Dovete allontanarvi, e co-

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tela arrivasse fino a me; e Montmorency e io eravamorimasti ad attendere, fedeli alla consegna. Potemmoscorgere la tela violentemente sbattuta e agitata, con ab-bastanza evidenza; ma credevamo che questo facesseparte dell’operazione, e non intervenimmo.

Udimmo anche delle espressioni molto soffocateuscir di sotto la tela, e indovinammo che gli amici trova-vano qualche difficoltà nel lavoro, ma concludemmoche dovevamo aspettare che le cose si semplificasseroun po’, prima di offrire la nostra cooperazione.

Attendemmo un poco, ma sembrava che la faccendasi complicasse sempre più, e finalmente la testa di Gior-gio apparve alla vista, contorcendosi sul fianco dellabarca e gridando.

Diceva:— Corri a dare una mano qui, brutto animale, e non

startene come una mummia imbalsamata, quando civedi tutti e due soffocati, bestia che non sei altro!

Io, che non ho mai resistito a un grido di soccorso, mislanciai a liberarli, non prima però che Harris apparissein faccia quasi paonazzo.

Ci volle mezz’ora di fatica intensa perchè la tela fossea posto, e poi sgombrammo il ponte, e ci disponemmo apreparar la cena. A prua mettemmo a bollire il calderinodel tè, e ci recammo a poppa, fingendo di non badargliaffatto, nell’atto che si preparava il resto.

È il solo mezzo sul fiume per far bollire il calderino.Se vede che aspettate che bolla e siete impaziente, nonsi mette neanche a borbottare. Dovete allontanarvi, e co-

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minciare a mangiare, come se non speraste affatto il tè.Non dovete neppure voltarvi a guardare. Allora tosto losentirete fervere e schizzare ansioso di ricevere il tè.

È un ottimo mezzo, inoltre, se avete fretta, mettervi aconversare con gli amici, dicendo che del tè non avetebisogno, e che non lo volete. Vi avvicinate al calderino,in modo che possa udirvi, e dite: — Io il tè non lo vo-glio; e tu, Giorgio? — al che Giorgio risponde: — Ah,no, il tè non mi piace; piglieremo una limonata… il tènon si digerisce. — E a questo il calderino si mette abollire, e voi spegnete il fornello.

Adottammo questo tratto d’innocua malizia, e il risul-tato fu che, nel momento che tutto era pronto, il tèaspettava. Allora accendemmo la lanterna, e ci accovac-ciammo a cena.

Avevamo bisogno di quella cena.Per lo spazio di trentacinque minuti non si udì altro

suono per tutta la lunghezza e la larghezza della barca,che quello delle posate e dei piatti e il continuo maciniodi quattro serie di molari. Alla fine di trentacinque mi-nuti, Harris disse: — Ah! — e cambiò di posto allagamba destra, che accavalciò sulla sinistra.

Cinque minuti dopo, Giorgio disse: — Ah! — anchelui, e gettò il suo piatto sulla riva; e tre minuti dopoMontmorency diede il primo segno di soddisfazione daquando eravamo partiti, sdraiandosi a ciambella con legambe stese; e poi io dissi: — Ah! — e ripiegai indietrola testa, urtando contro uno degli archi; ma non ci badai.Non bestemmiai neppure.

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minciare a mangiare, come se non speraste affatto il tè.Non dovete neppure voltarvi a guardare. Allora tosto losentirete fervere e schizzare ansioso di ricevere il tè.

È un ottimo mezzo, inoltre, se avete fretta, mettervi aconversare con gli amici, dicendo che del tè non avetebisogno, e che non lo volete. Vi avvicinate al calderino,in modo che possa udirvi, e dite: — Io il tè non lo vo-glio; e tu, Giorgio? — al che Giorgio risponde: — Ah,no, il tè non mi piace; piglieremo una limonata… il tènon si digerisce. — E a questo il calderino si mette abollire, e voi spegnete il fornello.

Adottammo questo tratto d’innocua malizia, e il risul-tato fu che, nel momento che tutto era pronto, il tèaspettava. Allora accendemmo la lanterna, e ci accovac-ciammo a cena.

Avevamo bisogno di quella cena.Per lo spazio di trentacinque minuti non si udì altro

suono per tutta la lunghezza e la larghezza della barca,che quello delle posate e dei piatti e il continuo maciniodi quattro serie di molari. Alla fine di trentacinque mi-nuti, Harris disse: — Ah! — e cambiò di posto allagamba destra, che accavalciò sulla sinistra.

Cinque minuti dopo, Giorgio disse: — Ah! — anchelui, e gettò il suo piatto sulla riva; e tre minuti dopoMontmorency diede il primo segno di soddisfazione daquando eravamo partiti, sdraiandosi a ciambella con legambe stese; e poi io dissi: — Ah! — e ripiegai indietrola testa, urtando contro uno degli archi; ma non ci badai.Non bestemmiai neppure.

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Come uno si sente buono quando è sazio – come sod-disfatto di sè stesso e del mondo! Molti sanno di poteraffermare che la coscienza limpida forma la contentezzae la felicità dell’uomo; ma lo stomaco pieno ci riesceallo stesso modo, con più facilità e a più buon mercato.Uno si sente così disposto al perdono e così generosodopo un pasto sostanzioso e ben digerito – pieno di tantanobiltà e di tanto cuore!

È stranissimo questo dominio del nostro intelletto daparte degli organi della digestione. Noi non possiamo la-vorare, non possiamo pensare, se il nostro stomaco nonvuole. È lui che ci detta le passioni e le commozioni.Dopo le uova e il prosciutto, ci dice: — Lavorate! —Dopo la bistecca e la birra, ci dice: — Dormite! —Dopo una tazza di tè (due cucchiaini per ogni tazza, enon lasciarlo stare più di tre minuti), dice al cervello: —Ora lévati e mostra la tua forza. Sii eloquente, profondoe tenero; guarda, con occhio limpido, nella natura e nel-la vita; apri le candide ali del trepido pensiero, e librati,spirito divino, sul mondo turbinoso al disotto, su per ilunghi sentieri delle stelle fiammeggianti fino alle portedell’eternità.

Dopo le ciambelle calde, dice: — Sii ottuso e senzaanima, come una bestia dei campi… un animale senzacervello, con gli sguardi intontiti, senza un raggio difantasia, di speranza, di paura, di amore o di vita. Edopo l’acquavite, tracannata in sufficiente quantità,dice: — Ora su, matto, sogghigna e barcolla, in modoche i tuoi simili possano ridere… Farnetica e barbuglia

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Come uno si sente buono quando è sazio – come sod-disfatto di sè stesso e del mondo! Molti sanno di poteraffermare che la coscienza limpida forma la contentezzae la felicità dell’uomo; ma lo stomaco pieno ci riesceallo stesso modo, con più facilità e a più buon mercato.Uno si sente così disposto al perdono e così generosodopo un pasto sostanzioso e ben digerito – pieno di tantanobiltà e di tanto cuore!

È stranissimo questo dominio del nostro intelletto daparte degli organi della digestione. Noi non possiamo la-vorare, non possiamo pensare, se il nostro stomaco nonvuole. È lui che ci detta le passioni e le commozioni.Dopo le uova e il prosciutto, ci dice: — Lavorate! —Dopo la bistecca e la birra, ci dice: — Dormite! —Dopo una tazza di tè (due cucchiaini per ogni tazza, enon lasciarlo stare più di tre minuti), dice al cervello: —Ora lévati e mostra la tua forza. Sii eloquente, profondoe tenero; guarda, con occhio limpido, nella natura e nel-la vita; apri le candide ali del trepido pensiero, e librati,spirito divino, sul mondo turbinoso al disotto, su per ilunghi sentieri delle stelle fiammeggianti fino alle portedell’eternità.

Dopo le ciambelle calde, dice: — Sii ottuso e senzaanima, come una bestia dei campi… un animale senzacervello, con gli sguardi intontiti, senza un raggio difantasia, di speranza, di paura, di amore o di vita. Edopo l’acquavite, tracannata in sufficiente quantità,dice: — Ora su, matto, sogghigna e barcolla, in modoche i tuoi simili possano ridere… Farnetica e barbuglia

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in suoni insensati, e mostra che miserabile imbecille siaquel povero essere il cui spirito e la cui volontà sono an-negati, come micini l’uno accanto all’altro, in un paio dicentimetri d’alcool. —

Noi siamo gl’infelici schiavi del nostro stomaco. La-sciate andare la moralità e la giustizia, amici miei: vigi-late accuratamente il vostro stomaco, e alimentatelo congiudizio. Allora la virtù e la gioia vi regneranno in cuoresenza alcuno sforzo da parte vostra, e sarete buoni citta-dini, mariti affettuosi e teneri padri… degli uomini nobi-li e pii.

Prima di cena, Harris, Giorgio e io eravamo litigiosi,mordenti e mal disposti; dopo cena, sedevamo sorriden-doci radiosamente e sorridendo perfino al cane. Ci ama-vamo l’un l’altro e amavamo tutti. Harris, con un movi-mento brusco, pestò i calli di Giorgio. Prima di cena,Giorgio avrebbe espresso dei desideri e degli auguri sulfato di Giorgio in questo mondo e nell’altro che avreb-bero fatto rabbrividire un uomo timorato. Ma allora dis-se semplicemente: — Adagio, caro, il piede è padronale.

E Harris, invece di osservare, nel suo tono più irritato,come avrebbe fatto prima di cena, che non era possibilemuoversi, anche a dieci metri lontano da Giorgio, senzacamminargli sui piedi, implicando con ciò che Giorgionon doveva andare in una barca di dimensioni ordinariecon piedi di quella fatta, se non voleva appenderli al difuori, disse: — Oh, mi dispiace, caro; spero di non aver-ti fatto male. —

E Giorgio disse: — No, niente, non è colpa tua; — e

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in suoni insensati, e mostra che miserabile imbecille siaquel povero essere il cui spirito e la cui volontà sono an-negati, come micini l’uno accanto all’altro, in un paio dicentimetri d’alcool. —

Noi siamo gl’infelici schiavi del nostro stomaco. La-sciate andare la moralità e la giustizia, amici miei: vigi-late accuratamente il vostro stomaco, e alimentatelo congiudizio. Allora la virtù e la gioia vi regneranno in cuoresenza alcuno sforzo da parte vostra, e sarete buoni citta-dini, mariti affettuosi e teneri padri… degli uomini nobi-li e pii.

Prima di cena, Harris, Giorgio e io eravamo litigiosi,mordenti e mal disposti; dopo cena, sedevamo sorriden-doci radiosamente e sorridendo perfino al cane. Ci ama-vamo l’un l’altro e amavamo tutti. Harris, con un movi-mento brusco, pestò i calli di Giorgio. Prima di cena,Giorgio avrebbe espresso dei desideri e degli auguri sulfato di Giorgio in questo mondo e nell’altro che avreb-bero fatto rabbrividire un uomo timorato. Ma allora dis-se semplicemente: — Adagio, caro, il piede è padronale.

E Harris, invece di osservare, nel suo tono più irritato,come avrebbe fatto prima di cena, che non era possibilemuoversi, anche a dieci metri lontano da Giorgio, senzacamminargli sui piedi, implicando con ciò che Giorgionon doveva andare in una barca di dimensioni ordinariecon piedi di quella fatta, se non voleva appenderli al difuori, disse: — Oh, mi dispiace, caro; spero di non aver-ti fatto male. —

E Giorgio disse: — No, niente, non è colpa tua; — e

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Harris osservò che infatti, era sua.Una delizia a sentirli.Accendemmo tutti e tre la pipa, e seduti, guardando la

calma notte, conversammo.Giorgio domandò perchè non dovessimo trovarci

sempre così, lontani dal mondo e dai suoi peccati e dallesue tentazioni, conducendo una vita sobria e tranquilla,dedita tutta al bene. Io osservai che era proprio quelloche avevo sempre desiderato per me; e noi discutemmola possibilità di andarcene, noi quattro, in qualchebell’isola deserta, a vivere nei boschi.

Harris disse che, per quanto ne sapeva, le isole deser-te erano pericolose per la loro umidità; ma non quando,osservò Giorgio, erano prosciugate a modo e bonificate.

E allora parlammo di bonifiche e di drenaggi, e que-sto fece venire in mente a Giorgio un aneddoto molto al-legro che era accaduto una volta a suo padre. Suo padre,egli raccontò, viaggiava con un amico per il paese diGalles, e, una sera, essi sostarono in un alberghetto,dove trovarono dei viaggiatori ai quali si unirono, pas-sando allegramente la sera.

Si trattennero fino a tardi, e all’ora di andare a letto,essi (il padre di Giorgio a quel tempo era assai giovane)erano abbastanza brilli. Presero la candela e si diresserodi sopra. La candela urtò contro il muro quando entraro-no nella camera, e si spense, ed essi dovettero spogliarsie andare a letto a tentoni. Ma invece di entrare in dueletti separati, come credevano, s’arrampicarono senzasaperlo sullo stesso letto – il padre di Giorgio con la te-

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Harris osservò che infatti, era sua.Una delizia a sentirli.Accendemmo tutti e tre la pipa, e seduti, guardando la

calma notte, conversammo.Giorgio domandò perchè non dovessimo trovarci

sempre così, lontani dal mondo e dai suoi peccati e dallesue tentazioni, conducendo una vita sobria e tranquilla,dedita tutta al bene. Io osservai che era proprio quelloche avevo sempre desiderato per me; e noi discutemmola possibilità di andarcene, noi quattro, in qualchebell’isola deserta, a vivere nei boschi.

Harris disse che, per quanto ne sapeva, le isole deser-te erano pericolose per la loro umidità; ma non quando,osservò Giorgio, erano prosciugate a modo e bonificate.

E allora parlammo di bonifiche e di drenaggi, e que-sto fece venire in mente a Giorgio un aneddoto molto al-legro che era accaduto una volta a suo padre. Suo padre,egli raccontò, viaggiava con un amico per il paese diGalles, e, una sera, essi sostarono in un alberghetto,dove trovarono dei viaggiatori ai quali si unirono, pas-sando allegramente la sera.

Si trattennero fino a tardi, e all’ora di andare a letto,essi (il padre di Giorgio a quel tempo era assai giovane)erano abbastanza brilli. Presero la candela e si diresserodi sopra. La candela urtò contro il muro quando entraro-no nella camera, e si spense, ed essi dovettero spogliarsie andare a letto a tentoni. Ma invece di entrare in dueletti separati, come credevano, s’arrampicarono senzasaperlo sullo stesso letto – il padre di Giorgio con la te-

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sta a capo, e l’altro con la testa in fondo e coi piedi sulguanciale.

Vi fu silenzio per un momento, e poi il padre di Gior-gio disse

— Giovanni!— Che c’è, Tommaso? — rispose la voce di Giovanni

dal punto opposto del letto.— Sai, v’è un’altra persona nel mio letto — disse il

padre di Giorgio; — i piedi son qui sul mio guanciale.— È strano, Tommaso — rispose l’altro; — ma mi

pigli un accidente se anche nel mio letto non c’è un al-tro.

— E che decisione prendi? — chiese il padre di Gior-gio.

— Io gli dò una spinta, e lo caccio fuori — risposeGiovanni.

— Anch’io — disse il padre di Giorgio, coraggiosa-mente.

Vi fu una vera lotta; seguita da due sonori tonfi sulpavimento, e poi una voce dogliosa disse:

— Ehi, Tommaso!— Bene!— Com’è andata?Ecco, a dirti la verità, il mio compagno ha cacciato

me invece.— Ha fatto così anche il mio. Non credo che sia un

albergo raccomandabile questo. E tu che ne dici?— Qual era il nome di questo albergo? — disse Har-

ris.

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sta a capo, e l’altro con la testa in fondo e coi piedi sulguanciale.

Vi fu silenzio per un momento, e poi il padre di Gior-gio disse

— Giovanni!— Che c’è, Tommaso? — rispose la voce di Giovanni

dal punto opposto del letto.— Sai, v’è un’altra persona nel mio letto — disse il

padre di Giorgio; — i piedi son qui sul mio guanciale.— È strano, Tommaso — rispose l’altro; — ma mi

pigli un accidente se anche nel mio letto non c’è un al-tro.

— E che decisione prendi? — chiese il padre di Gior-gio.

— Io gli dò una spinta, e lo caccio fuori — risposeGiovanni.

— Anch’io — disse il padre di Giorgio, coraggiosa-mente.

Vi fu una vera lotta; seguita da due sonori tonfi sulpavimento, e poi una voce dogliosa disse:

— Ehi, Tommaso!— Bene!— Com’è andata?Ecco, a dirti la verità, il mio compagno ha cacciato

me invece.— Ha fatto così anche il mio. Non credo che sia un

albergo raccomandabile questo. E tu che ne dici?— Qual era il nome di questo albergo? — disse Har-

ris.

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— Il Cervo Bianco — disse Giorgio. — Perchè— Ah, no, non è lo stesso — rispose Harris.— Che intendi? — chiese Giorgio.— È curioso — mormorò Harris — ma precisamente

la stessa cosa capitò a mio padre una volta in un alber-ghetto di campagna. Spesso egli raccontava questo fatto.Credevo che potesse essere lo stesso albergo.

Noi ci mettemmo a letto alle dieci quella sera, e iopensavo di dover dormir bene, stanco com’ero; ma nonfu così. Di regola, mi spoglio, poso la testa sul guancia-le, e poi qualcuno picchia alla porta e grida che sono leotto e mezzo; ma quella sera ogni cosa era contro di me:la novità di tutto, la durezza della barca, l’atteggiamentorattratto (stavo coi piedi sotto un sedile e la testa su unaltro); il suono dell’acqua che si frangeva contro la bar-ca e il vento che stormiva fra i rami degli alberi, mi fa-cevano irrequieto e insonne.

Mi addormentai per qualche ora, e poi qualche partedella barca, che sembrava fosse cresciuta durante la not-te – perchè certo non c’era alla partenza e la mattinascomparve – continuava a forarmi la spina dorsale. Dor-mii un po’ su quella incognita parte sognando d’aver in-ghiottito una sterlina, e che mi stavano facendo un buconella schiena col trapano, per tentar di ricuperare la mo-neta. Mi parve una cosa poco gentile, e lo dissi a chi mifaceva l’operazione: piuttosto sarei rimasto debitore del-la sterlina e l’avrei restituita alla fine del mese. Ma que-sta promessa non fu trovata soddisfacente: era meglioaverla subito, perchè non si accumulassero gl’interessi.

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— Il Cervo Bianco — disse Giorgio. — Perchè— Ah, no, non è lo stesso — rispose Harris.— Che intendi? — chiese Giorgio.— È curioso — mormorò Harris — ma precisamente

la stessa cosa capitò a mio padre una volta in un alber-ghetto di campagna. Spesso egli raccontava questo fatto.Credevo che potesse essere lo stesso albergo.

Noi ci mettemmo a letto alle dieci quella sera, e iopensavo di dover dormir bene, stanco com’ero; ma nonfu così. Di regola, mi spoglio, poso la testa sul guancia-le, e poi qualcuno picchia alla porta e grida che sono leotto e mezzo; ma quella sera ogni cosa era contro di me:la novità di tutto, la durezza della barca, l’atteggiamentorattratto (stavo coi piedi sotto un sedile e la testa su unaltro); il suono dell’acqua che si frangeva contro la bar-ca e il vento che stormiva fra i rami degli alberi, mi fa-cevano irrequieto e insonne.

Mi addormentai per qualche ora, e poi qualche partedella barca, che sembrava fosse cresciuta durante la not-te – perchè certo non c’era alla partenza e la mattinascomparve – continuava a forarmi la spina dorsale. Dor-mii un po’ su quella incognita parte sognando d’aver in-ghiottito una sterlina, e che mi stavano facendo un buconella schiena col trapano, per tentar di ricuperare la mo-neta. Mi parve una cosa poco gentile, e lo dissi a chi mifaceva l’operazione: piuttosto sarei rimasto debitore del-la sterlina e l’avrei restituita alla fine del mese. Ma que-sta promessa non fu trovata soddisfacente: era meglioaverla subito, perchè non si accumulassero gl’interessi.

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Ma dopo un po’ m’impazientii, ed espressi tutta la miaindignazione; ma infine il trapano m’inflisse un talestraziante strappo che mi svegliai.

L’aria della barca era afosa, e la testa mi doleva; cosìpensai di uscir fuori alla fresca aria notturna. Presi que-gli abiti che potei trovare in giro – un po’ dei miei, e unpo’ di quelli di Harris – e strisciai di sotto la tela sullasponda.

Era una magnifica notte. La luna era tramontata, la-sciando la terra silenziosa sola con le stelle. Sembravacome se nel silenzio e nel sopore, mentre noi suoi fi-gliuoli dormivamo, esse conversassero con lei, loro so-rella — parlando di possenti misteri con voci troppo va-ste e profonde perchè le infantili orecchie umane potes-sero afferrarne il suono.

Esse c’impongono riverenza, queste strane stelle, cosìfredde e così limpide. Noi siamo come fanciulli, i cuipiccoli piedi si sono smarriti nella penombra del tempiod’un dio ch’essi sanno di dover adorare, ma non cono-scono; e, in piedi dove la cupola echeggiante stende laprospettiva della tenue luce, guardano in su, mezzo spe-ranzosi, mezzo timorosi di vedervi librata una terribilevisione.

E pure la notte sembra così piena di consolazione e diforza. Nella sua augusta presenza, i nostri piccoli dolorisi dileguano, vergognosi. Il giorno è stato così pieno diaffanni e di cure, i nostri cuori sono stati così pieni dimale e di cattivi pensieri, e il mondo ci è parso così cru-dele e falso. Allora, la notte, come una grande, amore-

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Ma dopo un po’ m’impazientii, ed espressi tutta la miaindignazione; ma infine il trapano m’inflisse un talestraziante strappo che mi svegliai.

L’aria della barca era afosa, e la testa mi doleva; cosìpensai di uscir fuori alla fresca aria notturna. Presi que-gli abiti che potei trovare in giro – un po’ dei miei, e unpo’ di quelli di Harris – e strisciai di sotto la tela sullasponda.

Era una magnifica notte. La luna era tramontata, la-sciando la terra silenziosa sola con le stelle. Sembravacome se nel silenzio e nel sopore, mentre noi suoi fi-gliuoli dormivamo, esse conversassero con lei, loro so-rella — parlando di possenti misteri con voci troppo va-ste e profonde perchè le infantili orecchie umane potes-sero afferrarne il suono.

Esse c’impongono riverenza, queste strane stelle, cosìfredde e così limpide. Noi siamo come fanciulli, i cuipiccoli piedi si sono smarriti nella penombra del tempiod’un dio ch’essi sanno di dover adorare, ma non cono-scono; e, in piedi dove la cupola echeggiante stende laprospettiva della tenue luce, guardano in su, mezzo spe-ranzosi, mezzo timorosi di vedervi librata una terribilevisione.

E pure la notte sembra così piena di consolazione e diforza. Nella sua augusta presenza, i nostri piccoli dolorisi dileguano, vergognosi. Il giorno è stato così pieno diaffanni e di cure, i nostri cuori sono stati così pieni dimale e di cattivi pensieri, e il mondo ci è parso così cru-dele e falso. Allora, la notte, come una grande, amore-

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vole madre, soavemente ci pone la mano alla fronte feb-brile, e attira a sè la nostra faccia lacrimosa, sorridendo-ci; e benchè essa non parli, sappiamo ciò che ci vuoldire, e mettiamo la nostra guancia accaldata contro ilsuo seno, e la sofferenza è passata.

Talvolta, la nostra sofferenza è molto profonda e rea-le, e noi stiamo dinanzi a lei silenziosi, perchè non ab-biamo parole per esprimerla, ma soltanto un gemito. Ilcuore della notte è pieno di pietà per noi; essa non puòlenire il nostro male; ci prende la mano nella sua, e ilpiccolo mondo diventa assai piccolo e remoto al di sottodi noi, e, portati sulle sue buie ali, passiamo per un mo-mento innanzi a una presenza più augusta; e nella mera-vigliosa luce della gran presenza, tutta la vita umana cista dinanzi come un libro, e noi sappiamo che la soffe-renza e il dolore non sono che gli angeli della divinità.

Solo quelli che hanno portato la corona della soffe-renza possono reggere a quella luce meravigliosa; maessi, quando ne ritornano, non possono parlarne o narra-re il mistero da loro penetrato.

Una volta, in uno strano paese, cavalcavano dei piicavalieri, e la loro strada s’addentrava in una foresta,dove i rovi s’intricavano fitti lacerando la carne di quan-ti vi passavano. E le foglie degli alberi che crescevanonella foresta erano oscurissime e folte tanto che non unraggio di luce filtrava a traverso i rami ad attenuare latenebra e la tristezza.

E, mentre essi andavano fra quell’oscura foresta, uncavaliere della schiera, perdendo di vista i compagni,

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vole madre, soavemente ci pone la mano alla fronte feb-brile, e attira a sè la nostra faccia lacrimosa, sorridendo-ci; e benchè essa non parli, sappiamo ciò che ci vuoldire, e mettiamo la nostra guancia accaldata contro ilsuo seno, e la sofferenza è passata.

Talvolta, la nostra sofferenza è molto profonda e rea-le, e noi stiamo dinanzi a lei silenziosi, perchè non ab-biamo parole per esprimerla, ma soltanto un gemito. Ilcuore della notte è pieno di pietà per noi; essa non puòlenire il nostro male; ci prende la mano nella sua, e ilpiccolo mondo diventa assai piccolo e remoto al di sottodi noi, e, portati sulle sue buie ali, passiamo per un mo-mento innanzi a una presenza più augusta; e nella mera-vigliosa luce della gran presenza, tutta la vita umana cista dinanzi come un libro, e noi sappiamo che la soffe-renza e il dolore non sono che gli angeli della divinità.

Solo quelli che hanno portato la corona della soffe-renza possono reggere a quella luce meravigliosa; maessi, quando ne ritornano, non possono parlarne o narra-re il mistero da loro penetrato.

Una volta, in uno strano paese, cavalcavano dei piicavalieri, e la loro strada s’addentrava in una foresta,dove i rovi s’intricavano fitti lacerando la carne di quan-ti vi passavano. E le foglie degli alberi che crescevanonella foresta erano oscurissime e folte tanto che non unraggio di luce filtrava a traverso i rami ad attenuare latenebra e la tristezza.

E, mentre essi andavano fra quell’oscura foresta, uncavaliere della schiera, perdendo di vista i compagni,

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vagò lontano e non li raggiunse più; e questi, gravemen-te ambasciati, se n’andarono senza di lui, piangendolomorto.

Ora, dopo ch’ebbero raggiunto il castello verso ilquale, erano diretti, vi rimasero molti giorni in allegria;e una notte, mentre sedevano lietamente intorno ai cep-pi, accesi nella gran sala, e bevevano una tazza fraterna,ecco il compagno smarrito presentarsi a salutarli. Avevagli abiti laceri, come un mendicante, e molte doloroseferite aveva aperte nella dolce carne, ma sulla faccia glisplendeva una gran luce di profonda letizia.

E lo interrogarono, domandandogli ciò che gli fosseaccaduto; ed egli narrò come avesse smarrito la via nellaforesta oscura, e avesse vagato molti giorni e molte not-ti, finchè, lacero e sanguinante, si era abbandonato interra a morire.

Poi, quando era quasi presso a morte, ecco, nella tri-sta oscurità, presentarglisi una solenne donzella chel’aveva preso per mano e l’aveva condotto per difficilisentieri, sconosciuti a tutti, finchè sul buio della forestaera albeggiata una luce di fronte alla quale la luce delgiorno non era che un lumicino a paragone del sole; e inquella stupenda luce, lo spossato cavaliere aveva avutocome in sogno una visione, e così mirabile, così bella gliera parsa, che non aveva pensato più alle sue ferite san-guinanti, ed era rimasto come un ammaliato la cui gioiaè profonda come il mare del quale nessuno può dire laprofondità.

E la visione era svanita, e il cavaliere, inginocchian-

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vagò lontano e non li raggiunse più; e questi, gravemen-te ambasciati, se n’andarono senza di lui, piangendolomorto.

Ora, dopo ch’ebbero raggiunto il castello verso ilquale, erano diretti, vi rimasero molti giorni in allegria;e una notte, mentre sedevano lietamente intorno ai cep-pi, accesi nella gran sala, e bevevano una tazza fraterna,ecco il compagno smarrito presentarsi a salutarli. Avevagli abiti laceri, come un mendicante, e molte doloroseferite aveva aperte nella dolce carne, ma sulla faccia glisplendeva una gran luce di profonda letizia.

E lo interrogarono, domandandogli ciò che gli fosseaccaduto; ed egli narrò come avesse smarrito la via nellaforesta oscura, e avesse vagato molti giorni e molte not-ti, finchè, lacero e sanguinante, si era abbandonato interra a morire.

Poi, quando era quasi presso a morte, ecco, nella tri-sta oscurità, presentarglisi una solenne donzella chel’aveva preso per mano e l’aveva condotto per difficilisentieri, sconosciuti a tutti, finchè sul buio della forestaera albeggiata una luce di fronte alla quale la luce delgiorno non era che un lumicino a paragone del sole; e inquella stupenda luce, lo spossato cavaliere aveva avutocome in sogno una visione, e così mirabile, così bella gliera parsa, che non aveva pensato più alle sue ferite san-guinanti, ed era rimasto come un ammaliato la cui gioiaè profonda come il mare del quale nessuno può dire laprofondità.

E la visione era svanita, e il cavaliere, inginocchian-

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dosi in terra, ringraziò il buon santo che gli aveva fattosmarrire la via nella profonda foresta, scoprendogli lavisione nascosta.

E il nome della buia foresta era Dolore; ma della vi-sione goduta dal buon cavaliere noi non possiamo nèparlare nè narrare.

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dosi in terra, ringraziò il buon santo che gli aveva fattosmarrire la via nella profonda foresta, scoprendogli lavisione nascosta.

E il nome della buia foresta era Dolore; ma della vi-sione goduta dal buon cavaliere noi non possiamo nèparlare nè narrare.

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CAPITOLO XI.

Come Giorgio, una volta, si alzò presto la mattina. – A Giorgio,Harris e Montmorency non piace lo sguardo dell’acqua fredda.– Eroismo e determinazione da parte di Gerolamo. – Giorgio ela camicia: storia con una morale. – Harris cuoco. – Retrospet-tiva storica, inserita specialmente per uso delle scuole.

La mattina appresso mi svegliai alle sei, e trovai cheanche Giorgio era sveglio. Ci voltammo entrambidall’altra parte, tentando di riaddormentarci, ma invano.Vi fosse stata qualche ragione particolare per non dover-ci addormentare di nuovo, ma per levarci e vestirci im-mediatamente, ci saremmo abbandonati al sonnonell’atto di guardare l’orologio, per dormire saporita-mente fino alle dieci. Siccome non v’era alcuna necessi-tà di levarci per altre due ore almeno, e il nostro alzarcia quell’ora sarebbe stato un’assoluta assurdità, fu soloper tenerci in accordo con la naturale malignità dellecose in generale, che noi sentimmo entrambi che rima-nere a letto per altri cinque minuti sarebbe stato addirit-tura un supplizio.

Giorgio disse che la stessa specie di cose, ma in peg-gio, gli era accaduta circa diciotto mesi prima, quandoalloggiava da solo in casa di certa signora Gippings.Una sera, il suo orologio andava male, e s’era fermatoalle otto e un quarto, senza che egli lo sapesse, perchè,in un modo o nell’altro, egli s’era dimenticato (un caso

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CAPITOLO XI.

Come Giorgio, una volta, si alzò presto la mattina. – A Giorgio,Harris e Montmorency non piace lo sguardo dell’acqua fredda.– Eroismo e determinazione da parte di Gerolamo. – Giorgio ela camicia: storia con una morale. – Harris cuoco. – Retrospet-tiva storica, inserita specialmente per uso delle scuole.

La mattina appresso mi svegliai alle sei, e trovai cheanche Giorgio era sveglio. Ci voltammo entrambidall’altra parte, tentando di riaddormentarci, ma invano.Vi fosse stata qualche ragione particolare per non dover-ci addormentare di nuovo, ma per levarci e vestirci im-mediatamente, ci saremmo abbandonati al sonnonell’atto di guardare l’orologio, per dormire saporita-mente fino alle dieci. Siccome non v’era alcuna necessi-tà di levarci per altre due ore almeno, e il nostro alzarcia quell’ora sarebbe stato un’assoluta assurdità, fu soloper tenerci in accordo con la naturale malignità dellecose in generale, che noi sentimmo entrambi che rima-nere a letto per altri cinque minuti sarebbe stato addirit-tura un supplizio.

Giorgio disse che la stessa specie di cose, ma in peg-gio, gli era accaduta circa diciotto mesi prima, quandoalloggiava da solo in casa di certa signora Gippings.Una sera, il suo orologio andava male, e s’era fermatoalle otto e un quarto, senza che egli lo sapesse, perchè,in un modo o nell’altro, egli s’era dimenticato (un caso

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strano per lui) di caricarlo andando a letto e, senza nep-pur guardarlo, l’aveva appeso accanto al guanciale.

Era d’inverno, nel periodo dei giorni più corti, e inuna settimana di nebbia per giunta; così il fatto che eramolto oscuro, quando Giorgio si svegliò la mattina, nonservì affatto a guidarlo sul conto dell’ora. Egli stese lamano, e prese l’orologio. Erano le otto e un quarto.

— Angeli e ministri della grazia, aiutateci! — escla-mò Giorgio. — E io che debbo essere alla banca allenove! Perchè nessuno m’ha chiamato? Vergogna! — Escagliò lontano l’orologio, saltò dal letto, fece un bagnofreddo, si lavò, si vestì, si fece la barba con l’acqua fred-da, perchè non vi era tempo d’aspettare la calda, e poi siprecipitò a dare un’altra occhiata all’orologio.

Se la scossa ricevuta nell’esser scagliato sul letto ochi sa che altro, avesse messo in moto l’orologio, Gior-gio non saprebbe dire; ma il fatto sta che dalle otto e unquarto l’orologio aveva cominciato ad andare e in quelmomento segnava le nove meno venti minuti.

Giorgio se lo cacciò nel taschino e si precipitò giù perle scale. Da basso, nel salotto, tutto era buio e silenzio-so: non v’era acceso il fuoco, non era pronta la colazio-ne. Giorgio disse che era una vergogna per la signoraGippings, e si propose di dirle il fatto suo quand’egli sa-rebbe tornato a casa la sera. Poi si avventò al soprabito eal cappello, e, impugnando l’ombrello, si diresse allaporta di strada. La porta era ancora perfettamente sbar-rata. Giorgio imprecò alla pigrizia della vecchia signoraGippings, e, pensando ch’era strano che ci fossero per-

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strano per lui) di caricarlo andando a letto e, senza nep-pur guardarlo, l’aveva appeso accanto al guanciale.

Era d’inverno, nel periodo dei giorni più corti, e inuna settimana di nebbia per giunta; così il fatto che eramolto oscuro, quando Giorgio si svegliò la mattina, nonservì affatto a guidarlo sul conto dell’ora. Egli stese lamano, e prese l’orologio. Erano le otto e un quarto.

— Angeli e ministri della grazia, aiutateci! — escla-mò Giorgio. — E io che debbo essere alla banca allenove! Perchè nessuno m’ha chiamato? Vergogna! — Escagliò lontano l’orologio, saltò dal letto, fece un bagnofreddo, si lavò, si vestì, si fece la barba con l’acqua fred-da, perchè non vi era tempo d’aspettare la calda, e poi siprecipitò a dare un’altra occhiata all’orologio.

Se la scossa ricevuta nell’esser scagliato sul letto ochi sa che altro, avesse messo in moto l’orologio, Gior-gio non saprebbe dire; ma il fatto sta che dalle otto e unquarto l’orologio aveva cominciato ad andare e in quelmomento segnava le nove meno venti minuti.

Giorgio se lo cacciò nel taschino e si precipitò giù perle scale. Da basso, nel salotto, tutto era buio e silenzio-so: non v’era acceso il fuoco, non era pronta la colazio-ne. Giorgio disse che era una vergogna per la signoraGippings, e si propose di dirle il fatto suo quand’egli sa-rebbe tornato a casa la sera. Poi si avventò al soprabito eal cappello, e, impugnando l’ombrello, si diresse allaporta di strada. La porta era ancora perfettamente sbar-rata. Giorgio imprecò alla pigrizia della vecchia signoraGippings, e, pensando ch’era strano che ci fossero per-

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sone che non si levavano a un’ora decente, tolse i cate-nacci, aperse la porta, e si mise a correre.

Corse per un quarto di miglio, e alla fine di quel trat-to, cominciò a pensare ch’era strano e curioso che vifosse tanta poca gente in giro, e che nessuna bottegafosse ancora aperta. Certo, era una mattina assai buia enebbiosa, ma non perciò era logico che tutto il trafficofosse a un tratto interrotto. Egli doveva andare a lavora-re, e gli altri se ne rimanevano a crogiolarsi nel calduc-cio del letto, perchè c’era buio e nebbia!

Finalmente egli giunse a Holborn. Non una persianaaperta! Non un omnibus in giro! Passavano tre persone,una delle quali era una guardia; un carro colmo di cavolie una vettura tutta sconquassata. Giorgio cavò l’orologioe lo guardò: mancavano cinque minuti alle nove! Egli sifermò e si contò le pulsazioni; si chinò e si tastò le gam-be. Poi con l’orologio in mano si diresse alla guardia, egli chiese se sapeva che ora fosse.

— L’ora? — disse la guardia, squadrando Giorgio disu e di giù con evidente sospetto; — se ascoltate, la sen-tirete sonare.

Giorgio si mise ad ascoltare, e un orologio del quar-tiere gli fece immediatamente la gentilezza di dirgliela.

— Ma se son soltanto le tre! — esclamò Giorgio intono d’offesa.

— Bene, e quante vorreste che fossero? — domandòla guardia.

— Le nove — disse Giorgio, mostrando l’orologio.— Sapete dove abitate? — disse severamente il guar-

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sone che non si levavano a un’ora decente, tolse i cate-nacci, aperse la porta, e si mise a correre.

Corse per un quarto di miglio, e alla fine di quel trat-to, cominciò a pensare ch’era strano e curioso che vifosse tanta poca gente in giro, e che nessuna bottegafosse ancora aperta. Certo, era una mattina assai buia enebbiosa, ma non perciò era logico che tutto il trafficofosse a un tratto interrotto. Egli doveva andare a lavora-re, e gli altri se ne rimanevano a crogiolarsi nel calduc-cio del letto, perchè c’era buio e nebbia!

Finalmente egli giunse a Holborn. Non una persianaaperta! Non un omnibus in giro! Passavano tre persone,una delle quali era una guardia; un carro colmo di cavolie una vettura tutta sconquassata. Giorgio cavò l’orologioe lo guardò: mancavano cinque minuti alle nove! Egli sifermò e si contò le pulsazioni; si chinò e si tastò le gam-be. Poi con l’orologio in mano si diresse alla guardia, egli chiese se sapeva che ora fosse.

— L’ora? — disse la guardia, squadrando Giorgio disu e di giù con evidente sospetto; — se ascoltate, la sen-tirete sonare.

Giorgio si mise ad ascoltare, e un orologio del quar-tiere gli fece immediatamente la gentilezza di dirgliela.

— Ma se son soltanto le tre! — esclamò Giorgio intono d’offesa.

— Bene, e quante vorreste che fossero? — domandòla guardia.

— Le nove — disse Giorgio, mostrando l’orologio.— Sapete dove abitate? — disse severamente il guar-

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diano dell’ordine pubblico.Giorgio pensò e diede il suo indirizzo.— Ah! sì, là? — rispose la guardia. — Bene, seguite

il mio consiglio e andatevene tranquillamente con tuttol’orologio; e non se ne parli più.

E Giorgio se ne andò a casa, meditando in cammino.Sulle prime, entrando in casa, risolse di spogliarsi e di

mettersi di nuovo a letto; ma quando pensò che dovevarivestirsi di nuovo, risolse di non farne nulla, ma di se-dersi e addormentarsi nella poltrona.

Ma non potè pigliar sonno; in vita sua, non s’era maisentito tanto sveglio. Così accese la lampada, trasse lascacchiera e si mise a giocare a scacchi. Ma nemmeno ilgiuoco gli giovò: gli parve a ogni modo noioso, e, rinun-ziando agli scacchi, si mise a leggere. Non riuscendoneppure la lettura a interessarlo, si prese il soprabito euscì a passeggio.

Che triste solitudine fuori! Tutte le guardie che incon-trava lo guardavano gravemente sospettose, e gli volge-vano le lanterne addosso, seguendolo in giro. Questo fi-nalmente ebbe tanto effetto su di lui, che egli cominciò asentirsi come se realmente avesse commesso qualcosa, ea infilare i vicoletti e a nascondersi negli androni, quan-do sentiva avvicinarsi dei passi cadenzati.

Questa sua condotta, naturalmente, svegliò maggior-mente i sospetti della polizia che cominciò a pedinarlo ea chiedergli che stesse facendo lì; e quand’egli risponde-va: — Nulla, — che faceva semplicemente una passeg-giata (eran le quattro antimeridiane) lo guardavano

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diano dell’ordine pubblico.Giorgio pensò e diede il suo indirizzo.— Ah! sì, là? — rispose la guardia. — Bene, seguite

il mio consiglio e andatevene tranquillamente con tuttol’orologio; e non se ne parli più.

E Giorgio se ne andò a casa, meditando in cammino.Sulle prime, entrando in casa, risolse di spogliarsi e di

mettersi di nuovo a letto; ma quando pensò che dovevarivestirsi di nuovo, risolse di non farne nulla, ma di se-dersi e addormentarsi nella poltrona.

Ma non potè pigliar sonno; in vita sua, non s’era maisentito tanto sveglio. Così accese la lampada, trasse lascacchiera e si mise a giocare a scacchi. Ma nemmeno ilgiuoco gli giovò: gli parve a ogni modo noioso, e, rinun-ziando agli scacchi, si mise a leggere. Non riuscendoneppure la lettura a interessarlo, si prese il soprabito euscì a passeggio.

Che triste solitudine fuori! Tutte le guardie che incon-trava lo guardavano gravemente sospettose, e gli volge-vano le lanterne addosso, seguendolo in giro. Questo fi-nalmente ebbe tanto effetto su di lui, che egli cominciò asentirsi come se realmente avesse commesso qualcosa, ea infilare i vicoletti e a nascondersi negli androni, quan-do sentiva avvicinarsi dei passi cadenzati.

Questa sua condotta, naturalmente, svegliò maggior-mente i sospetti della polizia che cominciò a pedinarlo ea chiedergli che stesse facendo lì; e quand’egli risponde-va: — Nulla, — che faceva semplicemente una passeg-giata (eran le quattro antimeridiane) lo guardavano

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come se non gli credessero, e due guardie travestite loaccompagnarono fino a casa per assicurarsi che abitasserealmente dove aveva dichiarato. Lo videro aprire con lasua chiave, e poi si andarono a piantar nel punto oppo-sto a vigilar la casa.

Egli risolse, una volta dentro, di accendere il fuoco edi farsi da colazione, se non altro per passare il tempo;ma pareva che non fosse capace di maneggiar nulla, dalsecchio del carbone a un cucchiaino, senza farsi scappardi mano l’oggetto o inciamparvi, e senza sollevare un talfracasso da fargli temere di svegliare la signora Gip-pings e farla correre, pensando che ci fossero i ladri, adaprire la finestra per chiamar aiuto; e allora le due guar-die travestite si sarebbero precipitate dentro ad amma-nettarlo per condurlo in prigione.

A quell’ora Giorgio si sentiva in una condizione stra-namente nervosa, e si immaginò il processo, nell’atto incui egli si sforzava di spiegare tutte le circostanze aigiurati; ma nessuno gli credeva, e lo condannavano aventi anni di lavori forzati, e la madre gli moriva di cre-pacuore. Così rinunziò a prepararsi da colazione, e siavviluppò nel soprabito, sedendosi nella poltrona adaspettare fino alle sette e mezzo che andasse da basso lasignora Gippings.

Egli aggiunse che da quella mattina non s’era mai le-vato troppo presto: la lezione gli era giovata.

Eravamo rimasti seduti, avviluppati nelle nostre co-perte, mentre Giorgio m’aveva raccontato questa veridi-ca istoria, e dopo che l’ebbe finita, io mi misi al lavoro

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come se non gli credessero, e due guardie travestite loaccompagnarono fino a casa per assicurarsi che abitasserealmente dove aveva dichiarato. Lo videro aprire con lasua chiave, e poi si andarono a piantar nel punto oppo-sto a vigilar la casa.

Egli risolse, una volta dentro, di accendere il fuoco edi farsi da colazione, se non altro per passare il tempo;ma pareva che non fosse capace di maneggiar nulla, dalsecchio del carbone a un cucchiaino, senza farsi scappardi mano l’oggetto o inciamparvi, e senza sollevare un talfracasso da fargli temere di svegliare la signora Gip-pings e farla correre, pensando che ci fossero i ladri, adaprire la finestra per chiamar aiuto; e allora le due guar-die travestite si sarebbero precipitate dentro ad amma-nettarlo per condurlo in prigione.

A quell’ora Giorgio si sentiva in una condizione stra-namente nervosa, e si immaginò il processo, nell’atto incui egli si sforzava di spiegare tutte le circostanze aigiurati; ma nessuno gli credeva, e lo condannavano aventi anni di lavori forzati, e la madre gli moriva di cre-pacuore. Così rinunziò a prepararsi da colazione, e siavviluppò nel soprabito, sedendosi nella poltrona adaspettare fino alle sette e mezzo che andasse da basso lasignora Gippings.

Egli aggiunse che da quella mattina non s’era mai le-vato troppo presto: la lezione gli era giovata.

Eravamo rimasti seduti, avviluppati nelle nostre co-perte, mentre Giorgio m’aveva raccontato questa veridi-ca istoria, e dopo che l’ebbe finita, io mi misi al lavoro

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con un remo per svegliare Harris. Il terzo colpo fece ef-fetto; ma Harris si voltò sull’altro lato, dicendo che sisarebbe levato in un minuto e che si sarebbe subito infi-lati gli stivaletti. Ma tosto gli facemmo sapere dov’era,con l’aiuto della gaffa, ed egli si levò immediatamente,mandando Montmorency, che aveva dormito sul suopetto il sonno del giusto, ad agitarsi convulsamente tra-verso la barca.

Poi levammo la tela, e tutti e quattro cacciammo la te-sta fuori della barca a guardar l’acqua rabbrividendo. Ilnostro proposito, la sera innanzi, era stato di levarci pre-sto la mattina, di gettar via le coperte e gli scialli, e,smontata la tela, di saltar nell’acqua con un grido gioio-so per fare un lungo e delizioso esercizio di nuoto. Maora che la mattina era venuta, il nostro proposito ci ap-parve meno attraente. L’acqua ci si mostrava squallida egelida, e il vento mattutino ci metteva dei brividi.

— Dunque, chi si tuffa prima? — disse finalmenteHarris.

Non vi fu alcuna ressa per la precedenza. Giorgio de-cise, in ciò che lo concerneva, di ritirarsi in un cantodella barca e d’infilarsi le calze. Montmorency diedesfogo a un involontario guaito, come se pensasse che lacosa gli faceva semplicemente orrore; e Harris disse chesarebbe stato difficile risalir poi nella barca, e si ritrasseper occuparsi della scelta dei calzoni.

Io non volevo rinunziare interamente a un tuffo, ben-chè non mi sorridesse. Pensavo che si potessero incon-trare delle buche, delle alghe. Intendevo d’aggiustar la

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con un remo per svegliare Harris. Il terzo colpo fece ef-fetto; ma Harris si voltò sull’altro lato, dicendo che sisarebbe levato in un minuto e che si sarebbe subito infi-lati gli stivaletti. Ma tosto gli facemmo sapere dov’era,con l’aiuto della gaffa, ed egli si levò immediatamente,mandando Montmorency, che aveva dormito sul suopetto il sonno del giusto, ad agitarsi convulsamente tra-verso la barca.

Poi levammo la tela, e tutti e quattro cacciammo la te-sta fuori della barca a guardar l’acqua rabbrividendo. Ilnostro proposito, la sera innanzi, era stato di levarci pre-sto la mattina, di gettar via le coperte e gli scialli, e,smontata la tela, di saltar nell’acqua con un grido gioio-so per fare un lungo e delizioso esercizio di nuoto. Maora che la mattina era venuta, il nostro proposito ci ap-parve meno attraente. L’acqua ci si mostrava squallida egelida, e il vento mattutino ci metteva dei brividi.

— Dunque, chi si tuffa prima? — disse finalmenteHarris.

Non vi fu alcuna ressa per la precedenza. Giorgio de-cise, in ciò che lo concerneva, di ritirarsi in un cantodella barca e d’infilarsi le calze. Montmorency diedesfogo a un involontario guaito, come se pensasse che lacosa gli faceva semplicemente orrore; e Harris disse chesarebbe stato difficile risalir poi nella barca, e si ritrasseper occuparsi della scelta dei calzoni.

Io non volevo rinunziare interamente a un tuffo, ben-chè non mi sorridesse. Pensavo che si potessero incon-trare delle buche, delle alghe. Intendevo d’aggiustar la

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faccenda con l’andare sulla proda e gettarmi dell’acquaaddosso, così mi presi un accappatoio e andai innanzistrisciando su un ramo d’albero che si tuffavanell’acqua.

Faceva un gran freddo, e il vento tagliava come uncoltello. Pensai, dopo tutto, di non gettarmi l’acqua ad-dosso. Sarei tornato nella barca a vestirmi; e, mentre mivoltavo, quello stupido ramo cedette e io e l’accappatoioinsieme cascammo giù con un terribile tonfo. Ero già ametà corrente con quattro litri di Tamigi nello stomaco,prima che mi fossi reso ragione di ciò che era accaduto.

— Per Giove! Gerolamo s’è tuffato — udii dire daHarris, come io risalivo sbuffando alla superficie. —Non credevo che avrebbe avuto il coraggio di farlo. Etu?

— Tutto bene? — mi cantò Giorgio.— Magnificamente — barbugliai. — Voi siete due

poltronacci. È un piacere che non avrei perduto per tuttol’oro del mondo. Perchè non provate anche voi? Nonoccorre che un po’ d’energia.

Ma non riuscii a persuaderli.Accadde una cosa, piuttosto divertente mentre mi ve-

stivo, quella mattina. Sentivo molto freddo ritornandonella barca, e, nella fretta di mettermi la camicia, la fecicadere nell’acqua. Diventai terribilmente furioso, ancheperchè Giorgio s’era messo a ridere. Io non ci vedevonulla da ridere, e glielo dissi; ma egli si mise a riderepiù forte. Non avevo visto mai nessuno ridere tanto.Persi la pazienza finalmente, e gli feci capire che sorta

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faccenda con l’andare sulla proda e gettarmi dell’acquaaddosso, così mi presi un accappatoio e andai innanzistrisciando su un ramo d’albero che si tuffavanell’acqua.

Faceva un gran freddo, e il vento tagliava come uncoltello. Pensai, dopo tutto, di non gettarmi l’acqua ad-dosso. Sarei tornato nella barca a vestirmi; e, mentre mivoltavo, quello stupido ramo cedette e io e l’accappatoioinsieme cascammo giù con un terribile tonfo. Ero già ametà corrente con quattro litri di Tamigi nello stomaco,prima che mi fossi reso ragione di ciò che era accaduto.

— Per Giove! Gerolamo s’è tuffato — udii dire daHarris, come io risalivo sbuffando alla superficie. —Non credevo che avrebbe avuto il coraggio di farlo. Etu?

— Tutto bene? — mi cantò Giorgio.— Magnificamente — barbugliai. — Voi siete due

poltronacci. È un piacere che non avrei perduto per tuttol’oro del mondo. Perchè non provate anche voi? Nonoccorre che un po’ d’energia.

Ma non riuscii a persuaderli.Accadde una cosa, piuttosto divertente mentre mi ve-

stivo, quella mattina. Sentivo molto freddo ritornandonella barca, e, nella fretta di mettermi la camicia, la fecicadere nell’acqua. Diventai terribilmente furioso, ancheperchè Giorgio s’era messo a ridere. Io non ci vedevonulla da ridere, e glielo dissi; ma egli si mise a riderepiù forte. Non avevo visto mai nessuno ridere tanto.Persi la pazienza finalmente, e gli feci capire che sorta

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d’irritante, stupido e miserabile idiota egli fosse; maquesto lo fece sbellicare. E poi, appunto nel momentoche io ripescavo la camicia, m’accorsi che non era nien-te affatto la mia, ma quella di Giorgio, che avevo scam-biata per la mia. Allora mi lampeggiò la prima voltal’umorismo dell’incidente, e cominciai io a ridere; equanto più guardavo dalla camicia inzuppata a Giorgio,sbellicandomi, tanto più ero divertito; e risi tanto e poitanto, che la camicia mi scappò di mano nell’acquaun’altra volta.

— E non corri a ripescarla? — disse Giorgio conti-nuando a sbellicarsi.

Ridevo tanto che non potei rispondergli subito, ma in-fine, fra i miei scoppî di risa, riuscii a balbettare:

— Non è la mia… è la tua!Non avevo visto mai nessuno cambiar così immedia-

tamente dal leggero al grave.— Come! — egli strillò, saltando. — Stupido asino!

Perchè non stai più attento a ciò che fai? Perchè diavolonon vai a vestirti sulla riva? Tu non sei fatto per viaggia-re in barca, no, proprio… Dammi subito la gaffa.

Tentai di fargli capire quanto la cosa fosse divertente,ma non ci arrivò. Giorgio mostra talvolta qualche ottusi-tà nel comprendere uno scherzo.

Harris propose di farci delle uova strapazzate per co-lazione: le avrebbe cucinate lui. Sembrava, da quel checi disse, che fosse abilissimo a cucinar le uova strapaz-zate. Le faceva nelle scampagnate e nei suoi viaggi sugliyachts. Anzi era diventato famoso. Quelli che avevano

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d’irritante, stupido e miserabile idiota egli fosse; maquesto lo fece sbellicare. E poi, appunto nel momentoche io ripescavo la camicia, m’accorsi che non era nien-te affatto la mia, ma quella di Giorgio, che avevo scam-biata per la mia. Allora mi lampeggiò la prima voltal’umorismo dell’incidente, e cominciai io a ridere; equanto più guardavo dalla camicia inzuppata a Giorgio,sbellicandomi, tanto più ero divertito; e risi tanto e poitanto, che la camicia mi scappò di mano nell’acquaun’altra volta.

— E non corri a ripescarla? — disse Giorgio conti-nuando a sbellicarsi.

Ridevo tanto che non potei rispondergli subito, ma in-fine, fra i miei scoppî di risa, riuscii a balbettare:

— Non è la mia… è la tua!Non avevo visto mai nessuno cambiar così immedia-

tamente dal leggero al grave.— Come! — egli strillò, saltando. — Stupido asino!

Perchè non stai più attento a ciò che fai? Perchè diavolonon vai a vestirti sulla riva? Tu non sei fatto per viaggia-re in barca, no, proprio… Dammi subito la gaffa.

Tentai di fargli capire quanto la cosa fosse divertente,ma non ci arrivò. Giorgio mostra talvolta qualche ottusi-tà nel comprendere uno scherzo.

Harris propose di farci delle uova strapazzate per co-lazione: le avrebbe cucinate lui. Sembrava, da quel checi disse, che fosse abilissimo a cucinar le uova strapaz-zate. Le faceva nelle scampagnate e nei suoi viaggi sugliyachts. Anzi era diventato famoso. Quelli che avevano

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assaggiato una volta le sue uova strapazzate non voleva-no, come raccogliemmo dalla sua conversazione, man-giar altro dopo; ma languivano e morivano se non pote-vano più averle.

Ci venne l’acquolina in bocca sentendolo parlar così,e gli affidammo la cucinetta, la padella e tutte le uovache non s’erano rotte insudiciando tutto nel paniere, e lopregammo di cominciare.

Egli incontrò qualche difficoltà nel rompere le uova— o meglio non tanta difficoltà nel romperle quantaesattamente nel farle entrare nella padella, dopo ch’era-no rotte, nel tenersele lontane dai calzoni e nel cercarche non gli si andassero a cacciare in una manica; ma fi-nalmente ne potè trasferire una mezza dozzina nella pa-della, e quindi s’accovacciò accanto alla cucinetta, e leagitò in giro con una forchetta.

Era un lavoro pericoloso, a quanto io e Giorgio po-temmo giudicare. Tutte le volte che s’avvicinava allapadella, egli si scottava; e allora lasciava cadere ciò cheaveva in mano e danzava intorno al fornello, schioccan-do le dita e bestemmiando. Anzi, tutte le volte che io eGiorgio ci voltavamo a guardare, si era certi di vederloballare, schioccare le dita e bestemmiare. Pensammo inprincipio che eseguisse una parte delle necessarie dispo-sizioni culinarie.

Non sapevamo che fossero le uova strapazzate, e im-maginammo che dovesse essere qualche specie di piattodelle Pellirosse o delle Isole Sandwich, che avesse biso-gno d’incantagioni e di danze, per la giusta cottura.

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assaggiato una volta le sue uova strapazzate non voleva-no, come raccogliemmo dalla sua conversazione, man-giar altro dopo; ma languivano e morivano se non pote-vano più averle.

Ci venne l’acquolina in bocca sentendolo parlar così,e gli affidammo la cucinetta, la padella e tutte le uovache non s’erano rotte insudiciando tutto nel paniere, e lopregammo di cominciare.

Egli incontrò qualche difficoltà nel rompere le uova— o meglio non tanta difficoltà nel romperle quantaesattamente nel farle entrare nella padella, dopo ch’era-no rotte, nel tenersele lontane dai calzoni e nel cercarche non gli si andassero a cacciare in una manica; ma fi-nalmente ne potè trasferire una mezza dozzina nella pa-della, e quindi s’accovacciò accanto alla cucinetta, e leagitò in giro con una forchetta.

Era un lavoro pericoloso, a quanto io e Giorgio po-temmo giudicare. Tutte le volte che s’avvicinava allapadella, egli si scottava; e allora lasciava cadere ciò cheaveva in mano e danzava intorno al fornello, schioccan-do le dita e bestemmiando. Anzi, tutte le volte che io eGiorgio ci voltavamo a guardare, si era certi di vederloballare, schioccare le dita e bestemmiare. Pensammo inprincipio che eseguisse una parte delle necessarie dispo-sizioni culinarie.

Non sapevamo che fossero le uova strapazzate, e im-maginammo che dovesse essere qualche specie di piattodelle Pellirosse o delle Isole Sandwich, che avesse biso-gno d’incantagioni e di danze, per la giusta cottura.

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Montmorency andò a curiosare un momento col naso, eil grasso schizzò e lo scottò, e anch’esso cominciò a bal-lare e a guaire. Era proprio una delle più interessanti edanimate operazioni alle quali avessi mai assistito; e aGiorgio e a me dolse molto che terminasse.

Il risultato non corrispose affatto al successo che Har-ris s’era ripromesso. C’era tanto poco ad ogni modo dafar vedere. Nella padella erano entrate sei uova, e nonne uscì che un cucchiaino di roba bruciata e poco appe-titosa.

Harris disse che la colpa era della padella, e che ilpiatto sarebbe riuscito molto migliore, se avessimo avu-to un tegame da pesce e una cucinetta a gas. Perciò deli-berammo di non tentare più quel piatto, senza aver sottomano quegli utensili.

Il sole riscaldava un po’ più nell’ora che avevamo fi-nito di far colazione, e il vento s’era calmato, ed era lapiù bella mattina desiderabile. Poco c’era in vista da ri-cordarci il secolo decimonono; e, guardando sulla rivanel sole mattutino, si poteva quasi immaginare che i se-coli fra noi e quella memorabile mattina di giugno del1215 fossero stati messi in disparte, e che noi, figli diproprietarî di terra inglese, vestiti di tela casalinga, colpugnale alla cintura, fossimo lì in attesa per assisterealla scrittura di quella magnifica pagina di storia, il cuisignificato doveva esser tradotto al popolo, circa quat-trocento anni dopo, da un Oliviero Cromwell che l’ave-va profondamente studiata.

È una bella mattina d’estate – radiosa, carezzevole e

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Montmorency andò a curiosare un momento col naso, eil grasso schizzò e lo scottò, e anch’esso cominciò a bal-lare e a guaire. Era proprio una delle più interessanti edanimate operazioni alle quali avessi mai assistito; e aGiorgio e a me dolse molto che terminasse.

Il risultato non corrispose affatto al successo che Har-ris s’era ripromesso. C’era tanto poco ad ogni modo dafar vedere. Nella padella erano entrate sei uova, e nonne uscì che un cucchiaino di roba bruciata e poco appe-titosa.

Harris disse che la colpa era della padella, e che ilpiatto sarebbe riuscito molto migliore, se avessimo avu-to un tegame da pesce e una cucinetta a gas. Perciò deli-berammo di non tentare più quel piatto, senza aver sottomano quegli utensili.

Il sole riscaldava un po’ più nell’ora che avevamo fi-nito di far colazione, e il vento s’era calmato, ed era lapiù bella mattina desiderabile. Poco c’era in vista da ri-cordarci il secolo decimonono; e, guardando sulla rivanel sole mattutino, si poteva quasi immaginare che i se-coli fra noi e quella memorabile mattina di giugno del1215 fossero stati messi in disparte, e che noi, figli diproprietarî di terra inglese, vestiti di tela casalinga, colpugnale alla cintura, fossimo lì in attesa per assisterealla scrittura di quella magnifica pagina di storia, il cuisignificato doveva esser tradotto al popolo, circa quat-trocento anni dopo, da un Oliviero Cromwell che l’ave-va profondamente studiata.

È una bella mattina d’estate – radiosa, carezzevole e

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calma. Ma per l’aria corre un sussulto d’imminentecommozione. Re Giovanni ha dormito a Duncroft Hall,e tutto il giorno prima la piccola città di Staines haecheggiato del tintinnio di uomini armati, del calpestiodi grandi cavalli sullo scabro selciato, delle grida deicondottieri, delle paurose bestemmie, e degli acri mot-teggi di barbuti arceri, alabardieri e lanceri che si espri-mono in istrane favelle.

Compagnie di cavalieri e di fanti gaiamente vestitisono arrivate, infangate e coperte di polvere. E tutta lasera le porte dei timidi cittadini hanno dovuto aprirsi ra-pidamente per lasciare entrare rozzi gruppi di soldate-sca, per i quali si deve trovare vitto e alloggio, il meglioche si possa trovare; o guai alla casa e a quanti la occu-pano! Perchè la spada è giudice e giurì, denunziatore edesecutore, in questi tempi tumultuosi, e paga ciò cheprende soltanto col risparmiar quelli da cui prende, secosì le piace.

Intorno al fuoco dell’accampamento, in piazza, si rac-colgono le altre truppe dei baroni, e mangiano e bevonoa più non posso, e muggono canzoni d’orgia, e giuocanoe litigano come la sera s’avanza e s’approfondisce nellanotte. Il chiarore del fuoco proietta strane ombre suimucchi delle armi e sulle rozze sagome delle persone.Gli abitanti della città s’avvicinano cauti a guardare; evigorose donzelle campagnuole, ridendo, passano in-nanzi alle bettole e scherzano e motteggiano con i piùarditi soldati, così dissimili dai bellimbusti del villaggio,i quali, ora, disprezzati se ne stanno in disparte, con un

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calma. Ma per l’aria corre un sussulto d’imminentecommozione. Re Giovanni ha dormito a Duncroft Hall,e tutto il giorno prima la piccola città di Staines haecheggiato del tintinnio di uomini armati, del calpestiodi grandi cavalli sullo scabro selciato, delle grida deicondottieri, delle paurose bestemmie, e degli acri mot-teggi di barbuti arceri, alabardieri e lanceri che si espri-mono in istrane favelle.

Compagnie di cavalieri e di fanti gaiamente vestitisono arrivate, infangate e coperte di polvere. E tutta lasera le porte dei timidi cittadini hanno dovuto aprirsi ra-pidamente per lasciare entrare rozzi gruppi di soldate-sca, per i quali si deve trovare vitto e alloggio, il meglioche si possa trovare; o guai alla casa e a quanti la occu-pano! Perchè la spada è giudice e giurì, denunziatore edesecutore, in questi tempi tumultuosi, e paga ciò cheprende soltanto col risparmiar quelli da cui prende, secosì le piace.

Intorno al fuoco dell’accampamento, in piazza, si rac-colgono le altre truppe dei baroni, e mangiano e bevonoa più non posso, e muggono canzoni d’orgia, e giuocanoe litigano come la sera s’avanza e s’approfondisce nellanotte. Il chiarore del fuoco proietta strane ombre suimucchi delle armi e sulle rozze sagome delle persone.Gli abitanti della città s’avvicinano cauti a guardare; evigorose donzelle campagnuole, ridendo, passano in-nanzi alle bettole e scherzano e motteggiano con i piùarditi soldati, così dissimili dai bellimbusti del villaggio,i quali, ora, disprezzati se ne stanno in disparte, con un

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fatuo sorriso sulla larga faccia intenta. E dalla campagnaintorno si scorgono i fiochi lumi di accampamenti piùlontani, giacchè qui giacciono passati in rassegna i se-guaci di qualche gran capitano, e là i mercenarî francesidel tristo Giovanni s’appiattano come lupi lontano dallacittà.

E così con le sentinelle in ogni strada e dei fuochiscintillanti su ogni altura all’ingiro, la notte è trascorsa,e su questa bella vallata del Tamigi è spuntata la mattinadel gran giorno che deve influir tanto sul destino dei se-coli ancora non nati.

Sempre da quell’alba grigia, nella parte più bassa del-le due isole, appunto al di sopra del punto dove noi oraci troviamo, v’è stato un gran trambusto e la rumorosaattività di molti operai. Il gran padiglione portato colàieri sera è stato costruito, e i falegnami sono affaccenda-ti a inchiodare file di sedili, mentre gli apprendisti dellacittà di Londra son lì pronti con stoffe di vari colori esete e tessuti d’oro e d’argento.

Ed ora, ecco! Giù per la strada che serpeggia lungo lasponda del fiume da Staines, s’avanza verso di noi, ri-dendo e conversando in profondo tono gutturale, unamezza dozzina di vecchi alabardieri – gente dei baroni,questi – e si fermano a un centinaio di passi a un dipresso da noi, sull’altra riva, e poggiati alla loro arma,aspettano.

E così, di ora in ora, s’avanzano sempre nuovi gruppie bande di armati, coi caschi e le corazze che riflettono ilunghi raggi del sole mattutino, finchè, quasi fin dove

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fatuo sorriso sulla larga faccia intenta. E dalla campagnaintorno si scorgono i fiochi lumi di accampamenti piùlontani, giacchè qui giacciono passati in rassegna i se-guaci di qualche gran capitano, e là i mercenarî francesidel tristo Giovanni s’appiattano come lupi lontano dallacittà.

E così con le sentinelle in ogni strada e dei fuochiscintillanti su ogni altura all’ingiro, la notte è trascorsa,e su questa bella vallata del Tamigi è spuntata la mattinadel gran giorno che deve influir tanto sul destino dei se-coli ancora non nati.

Sempre da quell’alba grigia, nella parte più bassa del-le due isole, appunto al di sopra del punto dove noi oraci troviamo, v’è stato un gran trambusto e la rumorosaattività di molti operai. Il gran padiglione portato colàieri sera è stato costruito, e i falegnami sono affaccenda-ti a inchiodare file di sedili, mentre gli apprendisti dellacittà di Londra son lì pronti con stoffe di vari colori esete e tessuti d’oro e d’argento.

Ed ora, ecco! Giù per la strada che serpeggia lungo lasponda del fiume da Staines, s’avanza verso di noi, ri-dendo e conversando in profondo tono gutturale, unamezza dozzina di vecchi alabardieri – gente dei baroni,questi – e si fermano a un centinaio di passi a un dipresso da noi, sull’altra riva, e poggiati alla loro arma,aspettano.

E così, di ora in ora, s’avanzano sempre nuovi gruppie bande di armati, coi caschi e le corazze che riflettono ilunghi raggi del sole mattutino, finchè, quasi fin dove

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l’occhio arriva, la strada sembra tempestata di scintillan-te acciaio e di corsieri caracollanti. E cavalieri vociantigaloppano di gruppo in gruppo, e bandierine sventolanodolcemente alla tepida brezza, e di tanto in tanto v’è unpiù largo movimento, giacchè le file si aprono dall’unoall’altro lato e qualche gran barone sul suo gran cavallodi guerra, circondato da una guardia di cavalieri, passaper andare ad occupare il suo posto alla testa dei suoiservi e vassalli.

E su per il declivio della collina di Cooper, precisa-mente di fronte, si son raccolti i villani stupiti e gli abi-tanti della città, incuriositi, accorsi da Staines. Nessunoè certo di che si tratti, e ciascuno ha una versione delgrande evento che si deve vedere; e alcuni dicono chemolto bene verrà al popolo dall’opera di quel giorno;ma i vecchi scuotono il capo, perchè da tempo hannosentito le stesse cose.

E tutto il fiume giù fino a Staines è disseminato dipiccole imbarcazioni, di barche, di leggeri battelli da pe-sca — ora fuori di moda e usati dalla gente più povera.Sulle rapide, dove poi starà la graziosa chiusa di BellWeir, essi sono stati condotti a forza di braccia o rimor-chiati dai loro vigorosi rematori, e ora si affollano piùch’è possibile da presso alle grandi barche coperte cheson lì pronte per portare Re Giovanni dove la Carta fata-le attende la sua firma.

È mezzogiorno, e noi e tutta la popolazione abbiamoaspettato pazientemente molte ore, ed è corsa la voceche lo sdrucciolevole Giovanni è di nuovo sfuggito alla

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l’occhio arriva, la strada sembra tempestata di scintillan-te acciaio e di corsieri caracollanti. E cavalieri vociantigaloppano di gruppo in gruppo, e bandierine sventolanodolcemente alla tepida brezza, e di tanto in tanto v’è unpiù largo movimento, giacchè le file si aprono dall’unoall’altro lato e qualche gran barone sul suo gran cavallodi guerra, circondato da una guardia di cavalieri, passaper andare ad occupare il suo posto alla testa dei suoiservi e vassalli.

E su per il declivio della collina di Cooper, precisa-mente di fronte, si son raccolti i villani stupiti e gli abi-tanti della città, incuriositi, accorsi da Staines. Nessunoè certo di che si tratti, e ciascuno ha una versione delgrande evento che si deve vedere; e alcuni dicono chemolto bene verrà al popolo dall’opera di quel giorno;ma i vecchi scuotono il capo, perchè da tempo hannosentito le stesse cose.

E tutto il fiume giù fino a Staines è disseminato dipiccole imbarcazioni, di barche, di leggeri battelli da pe-sca — ora fuori di moda e usati dalla gente più povera.Sulle rapide, dove poi starà la graziosa chiusa di BellWeir, essi sono stati condotti a forza di braccia o rimor-chiati dai loro vigorosi rematori, e ora si affollano piùch’è possibile da presso alle grandi barche coperte cheson lì pronte per portare Re Giovanni dove la Carta fata-le attende la sua firma.

È mezzogiorno, e noi e tutta la popolazione abbiamoaspettato pazientemente molte ore, ed è corsa la voceche lo sdrucciolevole Giovanni è di nuovo sfuggito alla

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stretta dei Baroni, ed è riparato lontano da DuncroftHall, seguito dai suoi mercenarî, dove si occuperàd’altro che di firmar carte per la libertà del suo popolo.

No! Questa volta è stretto in una morsa di ferro, einutilmente ha cercato di dibattersi e scivolare. Lontano,giù per la strada, s’è levata una nuvoletta di polvere, es’avvicina diventando sempre più grande, e il calpestiodi molti zoccoli si fa più rumoroso, e dentro e fuori deifolti gruppi degli uomini schierati, ecco apparire unasplendida cavalcata di signori e cavalieri di vari colori.E dinanzi e di dietro, e all’uno e all’altro fianco, eccocavalcare le guardie dei baroni e nel mezzo Re Giovan-ni.

Egli cavalca verso il luogo dove le barche sono in at-tesa, e i grandi baroni escono dalle loro file per andargliincontro. Egli li saluta con un sorriso e piacevoli parolemelate, come se fosse venuto a qualche festa in suo ono-re. Ma come si leva per smontare, getta un’occhiata fret-tolosa e sui proprî mercenarî francesi, schierati di dietro,e alle torve file degli uomini dei baroni che lo circonda-no.

È troppo tardi? Un fiero colpo al cavaliere che gli staa fianco senza sospetto, un grido alle sue truppe france-si, una carica disperata contro le linee impreparate di-nanzi a lui, e i baroni ribelli potrebbero pentirsi del gior-no in cui hanno osato traversare i suoi piani! Una manopiù ardita avrebbe anche a questo punto sconvolto ilgiuoco. Ci fosse stato ivi un Riccardo! La coppa della li-bertà sarebbe stata strappata dalle labbra dell’Inghilterra

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stretta dei Baroni, ed è riparato lontano da DuncroftHall, seguito dai suoi mercenarî, dove si occuperàd’altro che di firmar carte per la libertà del suo popolo.

No! Questa volta è stretto in una morsa di ferro, einutilmente ha cercato di dibattersi e scivolare. Lontano,giù per la strada, s’è levata una nuvoletta di polvere, es’avvicina diventando sempre più grande, e il calpestiodi molti zoccoli si fa più rumoroso, e dentro e fuori deifolti gruppi degli uomini schierati, ecco apparire unasplendida cavalcata di signori e cavalieri di vari colori.E dinanzi e di dietro, e all’uno e all’altro fianco, eccocavalcare le guardie dei baroni e nel mezzo Re Giovan-ni.

Egli cavalca verso il luogo dove le barche sono in at-tesa, e i grandi baroni escono dalle loro file per andargliincontro. Egli li saluta con un sorriso e piacevoli parolemelate, come se fosse venuto a qualche festa in suo ono-re. Ma come si leva per smontare, getta un’occhiata fret-tolosa e sui proprî mercenarî francesi, schierati di dietro,e alle torve file degli uomini dei baroni che lo circonda-no.

È troppo tardi? Un fiero colpo al cavaliere che gli staa fianco senza sospetto, un grido alle sue truppe france-si, una carica disperata contro le linee impreparate di-nanzi a lui, e i baroni ribelli potrebbero pentirsi del gior-no in cui hanno osato traversare i suoi piani! Una manopiù ardita avrebbe anche a questo punto sconvolto ilgiuoco. Ci fosse stato ivi un Riccardo! La coppa della li-bertà sarebbe stata strappata dalle labbra dell’Inghilterra

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e infranta, e il sapore della libertà rimasto ignoto ancoraper un centinaio d’anni.

Ma il cuore di Re Giovanni vacilla innanzi alle gravifacce dei guerrieri inglesi, e il braccio di Re Giovanniricade sulle redini, ed egli smonta e va a prendere il suoposto a prua della barca. E i baroni lo seguono, con lamano rivestita di ferro sull’elsa della spada, e si dà il se-gnale della partenza.

Certamente le pesanti scialuppe pavesate lasciano lasponda di Runningmede. Lentamente s’avanzano controla rapida corrente, finchè, con un suono basso, urtanocontro la sponda della piccola isola che da quel giornoporterà il nome d’Isola della Magna Carta. E Re Gio-vanni è salito sulla sponda, e noi aspettiamo in ansiososilenzio che un gran grido fenda l’aria, e che la gran pie-tra angolare, nel tempio della libertà d’Inghilterra, siastata, come ora sappiamo, solidamente piantata.

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e infranta, e il sapore della libertà rimasto ignoto ancoraper un centinaio d’anni.

Ma il cuore di Re Giovanni vacilla innanzi alle gravifacce dei guerrieri inglesi, e il braccio di Re Giovanniricade sulle redini, ed egli smonta e va a prendere il suoposto a prua della barca. E i baroni lo seguono, con lamano rivestita di ferro sull’elsa della spada, e si dà il se-gnale della partenza.

Certamente le pesanti scialuppe pavesate lasciano lasponda di Runningmede. Lentamente s’avanzano controla rapida corrente, finchè, con un suono basso, urtanocontro la sponda della piccola isola che da quel giornoporterà il nome d’Isola della Magna Carta. E Re Gio-vanni è salito sulla sponda, e noi aspettiamo in ansiososilenzio che un gran grido fenda l’aria, e che la gran pie-tra angolare, nel tempio della libertà d’Inghilterra, siastata, come ora sappiamo, solidamente piantata.

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CAPITOLO XII.

Enrico VIII e Anna Bolena. – Svantaggi di trovarsi nella stessacasa con una coppia d’innamorati. – Tempi difficili per la na-zione inglese. – Una notte di ricerche per il pittoresco. – Senzapatria e senza casa. – Harris si prepara a morire. – Si presentaun angelo. – Effetto su Harris della gioia improvvisa. – Unacenetta. – La colazione. – Il caro prezzo della mostarda. – Unaterribile battaglia. – Maidenheat. – La vela. – Tre pescatori. –Noi siamo maledetti.

Stavo seduto sulla riva, evocando fra me e me questascena, quando Giorgio osservò che, se mai avessi finitodi riposarmi, sarei potuto essere tanto gentile di andaread aiutarlo a far pulizia; e, così richiamato dai giorni delglorioso passato al prosaico presente, con tutte le suemiserie e i suoi errori, scivolai giù nella barca e mi misia sfregare la padella con un pezzo di legno e un ciuffod’erba, ripulendola infine con la camicia bagnata diGiorgio.

Andammo fino all’isola della Magna Carta, e demmoun’occhiata alla pietra che vi hanno eretta, e sulla qualesi dice che la gran carta sia stata firmata; ma se sia statarealmente firmata lì, o, come alcuni dicono a Running-mede, sull’altra riva, non potrei assicurare. Per quel cheriguarda la mia opinione personale, io son inclinato a fa-vorire la teoria popolare che designa l’isola. Certo, seallora io fossi stato uno dei baroni, avrei vigorosamente

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CAPITOLO XII.

Enrico VIII e Anna Bolena. – Svantaggi di trovarsi nella stessacasa con una coppia d’innamorati. – Tempi difficili per la na-zione inglese. – Una notte di ricerche per il pittoresco. – Senzapatria e senza casa. – Harris si prepara a morire. – Si presentaun angelo. – Effetto su Harris della gioia improvvisa. – Unacenetta. – La colazione. – Il caro prezzo della mostarda. – Unaterribile battaglia. – Maidenheat. – La vela. – Tre pescatori. –Noi siamo maledetti.

Stavo seduto sulla riva, evocando fra me e me questascena, quando Giorgio osservò che, se mai avessi finitodi riposarmi, sarei potuto essere tanto gentile di andaread aiutarlo a far pulizia; e, così richiamato dai giorni delglorioso passato al prosaico presente, con tutte le suemiserie e i suoi errori, scivolai giù nella barca e mi misia sfregare la padella con un pezzo di legno e un ciuffod’erba, ripulendola infine con la camicia bagnata diGiorgio.

Andammo fino all’isola della Magna Carta, e demmoun’occhiata alla pietra che vi hanno eretta, e sulla qualesi dice che la gran carta sia stata firmata; ma se sia statarealmente firmata lì, o, come alcuni dicono a Running-mede, sull’altra riva, non potrei assicurare. Per quel cheriguarda la mia opinione personale, io son inclinato a fa-vorire la teoria popolare che designa l’isola. Certo, seallora io fossi stato uno dei baroni, avrei vigorosamente

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sostenuto fra i miei compagni l’opportunità di condurreun tipo così sornione come Re Giovanni sull’isola, dovec’era minore probabilità di sorprese e d’inganni.

Vi sono le rovine d’un vecchio priorato nei terrenidella casa di Ankerwyke, che è presso il Picnic Point, efu, si dice, in giro per i terreni di questo vecchio prioratoche Enrico VIII aspettava e s’incontrava con Anna Bo-lena. Egli anche soleva incontrarsi con lei al castello diHever in Kent, e anche in qualche luogo nei pressi diSaint Albans. Doveva essere difficile per la popolazioned’Inghilterra in quei giorni trovare un punto in cui que-gli spensierati giovani non stessero tubando.

Vi siete mai trovati in una casa dove c’è una coppia inamore? È una cosa assai seccante. Vi proponete di ripo-sarvi un po’ nel salotto e vi andate. Mentre aprite la por-ta, udite un rumore come di qualcuno che si sia improv-visamente ricordato di qualche cosa, e nell’istante cheentrate, Emilia si sporge dalla finestra, tutta intenta allavisione del punto opposto della strada, e il vostro amico,Giovanni Edward, è all’altra estremità della stanza contutta l’anima estasiata nelle fotografie dei parenti dellacasa che lo ospita.

— Ah! — esclamate, fermandovi sulla soglia — cre-devo che qui non ci fosse nessuno.

— Ah! sì! — dice Emilia, freddamente, con un tonoche implica che ella non vi crede.

Viaggiate un po’ per la stanza, e poi dite:— È molto buio qui. Perchè non accendete il gas?Giovanni Edward risponde: — Ah! non ci avevo pen-

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sostenuto fra i miei compagni l’opportunità di condurreun tipo così sornione come Re Giovanni sull’isola, dovec’era minore probabilità di sorprese e d’inganni.

Vi sono le rovine d’un vecchio priorato nei terrenidella casa di Ankerwyke, che è presso il Picnic Point, efu, si dice, in giro per i terreni di questo vecchio prioratoche Enrico VIII aspettava e s’incontrava con Anna Bo-lena. Egli anche soleva incontrarsi con lei al castello diHever in Kent, e anche in qualche luogo nei pressi diSaint Albans. Doveva essere difficile per la popolazioned’Inghilterra in quei giorni trovare un punto in cui que-gli spensierati giovani non stessero tubando.

Vi siete mai trovati in una casa dove c’è una coppia inamore? È una cosa assai seccante. Vi proponete di ripo-sarvi un po’ nel salotto e vi andate. Mentre aprite la por-ta, udite un rumore come di qualcuno che si sia improv-visamente ricordato di qualche cosa, e nell’istante cheentrate, Emilia si sporge dalla finestra, tutta intenta allavisione del punto opposto della strada, e il vostro amico,Giovanni Edward, è all’altra estremità della stanza contutta l’anima estasiata nelle fotografie dei parenti dellacasa che lo ospita.

— Ah! — esclamate, fermandovi sulla soglia — cre-devo che qui non ci fosse nessuno.

— Ah! sì! — dice Emilia, freddamente, con un tonoche implica che ella non vi crede.

Viaggiate un po’ per la stanza, e poi dite:— È molto buio qui. Perchè non accendete il gas?Giovanni Edward risponde: — Ah! non ci avevo pen-

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sato; ed Emilia dice che al papà non piace che si accen-da il gas nel pomeriggio.

Voi partecipate ai due qualche notizia, esprimendo levostre opinioni e i vostri giudizi sulla questione irlande-se; ma questo pare che non li interessi. La sola osserva-zione che fanno su qualunque argomento è: — Ah! —Sì? — Già. — Possibile? — E dopo dieci minuti di si-mile conversazione, voi filate verso la porta e ve la svi-gnate, sorpreso di osservare che essa si muove immedia-tamente dietro di voi e si chiude, senza che neppurl’abbiate sfiorata.

Mezz’ora dopo pensate d’andare nella serra a farviuna pipata. L’unica sedia del luogo è occupata da Emi-lia, e Giovanni Edward, se il linguaggio degli abiti puòdare qualche affidamento, evidentemente s’è seduto perterra. Essi non parlano, ma vi dànno uno sguardo chedice tutto ciò che si può dire in una comunanza civile; evoi vi ritraete immediatamente, chiudendovi la portaalle spalle.

Ora temete di cacciare il naso in qualunque stanzadella casa; e così, dopo aver percorso su e giù le scaleper un po’, andate a sedervi nella camera da letto che viospita. Dopo un certo tempo, nella camera da letto nontrovate alcun interesse, e vi mettete il cappello per an-darvene in giardino. V’incamminate per il viale, e pas-sando innanzi al villino d’estate date un’occhiataall’interno, ed ecco apparirvi, rannicchiati in un angolo,quei due giovani idioti. Anch’essi vi veggono, e hannoevidentemente l’impressione che per un malvagio vostro

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sato; ed Emilia dice che al papà non piace che si accen-da il gas nel pomeriggio.

Voi partecipate ai due qualche notizia, esprimendo levostre opinioni e i vostri giudizi sulla questione irlande-se; ma questo pare che non li interessi. La sola osserva-zione che fanno su qualunque argomento è: — Ah! —Sì? — Già. — Possibile? — E dopo dieci minuti di si-mile conversazione, voi filate verso la porta e ve la svi-gnate, sorpreso di osservare che essa si muove immedia-tamente dietro di voi e si chiude, senza che neppurl’abbiate sfiorata.

Mezz’ora dopo pensate d’andare nella serra a farviuna pipata. L’unica sedia del luogo è occupata da Emi-lia, e Giovanni Edward, se il linguaggio degli abiti puòdare qualche affidamento, evidentemente s’è seduto perterra. Essi non parlano, ma vi dànno uno sguardo chedice tutto ciò che si può dire in una comunanza civile; evoi vi ritraete immediatamente, chiudendovi la portaalle spalle.

Ora temete di cacciare il naso in qualunque stanzadella casa; e così, dopo aver percorso su e giù le scaleper un po’, andate a sedervi nella camera da letto che viospita. Dopo un certo tempo, nella camera da letto nontrovate alcun interesse, e vi mettete il cappello per an-darvene in giardino. V’incamminate per il viale, e pas-sando innanzi al villino d’estate date un’occhiataall’interno, ed ecco apparirvi, rannicchiati in un angolo,quei due giovani idioti. Anch’essi vi veggono, e hannoevidentemente l’impressione che per un malvagio vostro

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proposito particolare voi li andiate passo passo pedinan-do.

— Perchè non si tiene una stanza particolare per que-sta specie di roba? — mormorate fra voi e voi; e vi pre-cipitate di corsa verso il vestibolo per pigliarvi l’ombrel-lo e svignarvela.

Dovè esser così quando quello sciocco ragazzo di En-rico VIII corteggiava la sua piccola Anna. Le personenel Buckinghamshire li sorprendevano involontariamen-te quando tubavano intorno a Windsor e Vraysbury, edesclamavano: — Ah, voi qui! — ed uno arrossiva e di-ceva: — Son venuto a vedere una persona — e Anna di-ceva: — Ah, son così lieta di rivedervi. Non è strano?Ho incontrato qui per via il signor Enrico VIII ed anchelui per la stessa strada, che facevo io.

Allora i cittadini se ne andavano, dicendosi: — È me-glio tenersi lontani da questi vezzeggiamenti e sbaciuc-chiamenti. Rechiamoci a Kent.

E si recavano a Kent, dove la loro prima visioneall’arrivo era quella di Enrico e di Anna che si balocca-vano intorno al castello di Hever.

— Maledizione! — dicevano. — Svigniamocela. An-diamo a Saint Albans… un leggiadro luogo Saint Al-bans.

E quando arrivavano a Saint Albans, ecco ancora lamaledetta coppia che si baciava sotto le muradell’Abbazia. Meglio sparire, in attesa della celebrazio-ne del matrimonio.

Dal Picnic Point alla chiusa di Old Windsor il tratto

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proposito particolare voi li andiate passo passo pedinan-do.

— Perchè non si tiene una stanza particolare per que-sta specie di roba? — mormorate fra voi e voi; e vi pre-cipitate di corsa verso il vestibolo per pigliarvi l’ombrel-lo e svignarvela.

Dovè esser così quando quello sciocco ragazzo di En-rico VIII corteggiava la sua piccola Anna. Le personenel Buckinghamshire li sorprendevano involontariamen-te quando tubavano intorno a Windsor e Vraysbury, edesclamavano: — Ah, voi qui! — ed uno arrossiva e di-ceva: — Son venuto a vedere una persona — e Anna di-ceva: — Ah, son così lieta di rivedervi. Non è strano?Ho incontrato qui per via il signor Enrico VIII ed anchelui per la stessa strada, che facevo io.

Allora i cittadini se ne andavano, dicendosi: — È me-glio tenersi lontani da questi vezzeggiamenti e sbaciuc-chiamenti. Rechiamoci a Kent.

E si recavano a Kent, dove la loro prima visioneall’arrivo era quella di Enrico e di Anna che si balocca-vano intorno al castello di Hever.

— Maledizione! — dicevano. — Svigniamocela. An-diamo a Saint Albans… un leggiadro luogo Saint Al-bans.

E quando arrivavano a Saint Albans, ecco ancora lamaledetta coppia che si baciava sotto le muradell’Abbazia. Meglio sparire, in attesa della celebrazio-ne del matrimonio.

Dal Picnic Point alla chiusa di Old Windsor il tratto

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del fiume è delizioso. Una strada ombrosa, punteggiataqua e là da graziosi villini, come sulla riva fino al «Bellsof Ouscley», un albergo pittoresco, come la maggiorparte degli alberghi di quel luogo, e un punto dove sipuò bere della birra, squisitissima – così dice Harris; ein faccende di questa specie si può credere alla parola diHarris. Old Windsor è un luogo famoso nel suo genere.Edoardo il Confessore vi aveva un palazzo, e ivi il granconte Godwin fu condannato dalla giustizia di quel tem-po per aver voluto la morte del fratello del re. Il conteGodwin ruppe un pezzo di pane e lo tenne in mano.

— Se io son colpevole — disse il conte — che questopane mi possa soffocare.

Si portò il pane in bocca, esso gli si fermò in gola e losoffocò.

Dopo che si è oltrepassato Old Windsor, il fiume èpoco interessante, e non si riprende che in vista di Bove-ney. Giorgio e io rimorchiammo la barca fin oltre HomePark, che si stende sulla riva destra da Albert a VictoriaBridge; e mentre passavamo Datchet, Giorgio mi do-mandò se mi rammentassi della nostra prima escursionefluviale e di quando sbarcammo a Datchet alle dieci disera, per trovarvi alloggio.

Risposi che me ne rammentavo. Ci vorrà del tempoprima che me ne dimentichi.

Fu il sabato prima delle vacanze di agosto. Eravamostanchi e affamati, tutti e tre, e quando arrivammo aDatchet prendemmo il paniere, le due valige, le coperte,i soprabiti e il resto, e c’incamminammo in cerca d’un

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del fiume è delizioso. Una strada ombrosa, punteggiataqua e là da graziosi villini, come sulla riva fino al «Bellsof Ouscley», un albergo pittoresco, come la maggiorparte degli alberghi di quel luogo, e un punto dove sipuò bere della birra, squisitissima – così dice Harris; ein faccende di questa specie si può credere alla parola diHarris. Old Windsor è un luogo famoso nel suo genere.Edoardo il Confessore vi aveva un palazzo, e ivi il granconte Godwin fu condannato dalla giustizia di quel tem-po per aver voluto la morte del fratello del re. Il conteGodwin ruppe un pezzo di pane e lo tenne in mano.

— Se io son colpevole — disse il conte — che questopane mi possa soffocare.

Si portò il pane in bocca, esso gli si fermò in gola e losoffocò.

Dopo che si è oltrepassato Old Windsor, il fiume èpoco interessante, e non si riprende che in vista di Bove-ney. Giorgio e io rimorchiammo la barca fin oltre HomePark, che si stende sulla riva destra da Albert a VictoriaBridge; e mentre passavamo Datchet, Giorgio mi do-mandò se mi rammentassi della nostra prima escursionefluviale e di quando sbarcammo a Datchet alle dieci disera, per trovarvi alloggio.

Risposi che me ne rammentavo. Ci vorrà del tempoprima che me ne dimentichi.

Fu il sabato prima delle vacanze di agosto. Eravamostanchi e affamati, tutti e tre, e quando arrivammo aDatchet prendemmo il paniere, le due valige, le coperte,i soprabiti e il resto, e c’incamminammo in cerca d’un

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covile. Arrivammo innanzi a un graziosissimo alber-ghetto, con climatidi e piante rampicanti sul portico; manon v’erano piante di caprifoglio, e per chi sa qual ra-gione, io m’ero messo in mente il caprifoglio, e dissi:

— Non entriamo qui! Andiamo più oltre a cercare unalbergo ornato di caprifoglio.

Così andammo finchè non arrivammo a un altro al-bergo. Il secondo era bellissimo e vantava anche il ca-prifoglio da un lato; ma ad Harris non piaceva l’aspettod’un tale che se ne stava appoggiato contro lo stipitedella porta. Egli disse che non gli pareva un brav’uomo,e aveva delle brutte scarpe. Così seguitammo ad andare.Percorremmo un buon tratto senza incontrare altri alber-ghi, e allora ci rivolgemmo a un passante pregandolo diindicarcene qualcuno.

Egli ci disse:— Ma voi ve ne allontanate. Dovete voltare a destra e

tornare indietro, e arriverete al Cervo.Rispondemmo:— Oh, l’abbiamo visto, ma non ci piace… è senza ca-

prifoglio.— Bene, allora c’è Manon House — ci disse — pro-

prio di fronte. Ci siete andati?Harris rispose che non ci saremmo andati – non gli

piaceva l’uomo che vi aveva visto: aveva dei brutti ca-pelli e delle brutte scarpe, anche.

— Certo, io non posso indicarvi altri alberghi — dis-se il nostro informatore; — perchè quei due sono gliunici di qui.

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covile. Arrivammo innanzi a un graziosissimo alber-ghetto, con climatidi e piante rampicanti sul portico; manon v’erano piante di caprifoglio, e per chi sa qual ra-gione, io m’ero messo in mente il caprifoglio, e dissi:

— Non entriamo qui! Andiamo più oltre a cercare unalbergo ornato di caprifoglio.

Così andammo finchè non arrivammo a un altro al-bergo. Il secondo era bellissimo e vantava anche il ca-prifoglio da un lato; ma ad Harris non piaceva l’aspettod’un tale che se ne stava appoggiato contro lo stipitedella porta. Egli disse che non gli pareva un brav’uomo,e aveva delle brutte scarpe. Così seguitammo ad andare.Percorremmo un buon tratto senza incontrare altri alber-ghi, e allora ci rivolgemmo a un passante pregandolo diindicarcene qualcuno.

Egli ci disse:— Ma voi ve ne allontanate. Dovete voltare a destra e

tornare indietro, e arriverete al Cervo.Rispondemmo:— Oh, l’abbiamo visto, ma non ci piace… è senza ca-

prifoglio.— Bene, allora c’è Manon House — ci disse — pro-

prio di fronte. Ci siete andati?Harris rispose che non ci saremmo andati – non gli

piaceva l’uomo che vi aveva visto: aveva dei brutti ca-pelli e delle brutte scarpe, anche.

— Certo, io non posso indicarvi altri alberghi — dis-se il nostro informatore; — perchè quei due sono gliunici di qui.

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— Gli unici! — esclamò Harris.— Gli unici — rispose l’altro.— Che diamine dobbiamo fare? — esclamò Harris.Allora prese a parlare Giorgio, dicendo che Harris e

io potevamo, se mai, farci fabbricare un albergo a bellaposta, e anche delle persone che ci fossero simpatiche.Per conto suo, egli ritornava al Cervo.

Le menti più eccelse non raggiungono mai i loroideali; e Harris e io sospirammo sulla vacuità di tutti idesideri terreni, e seguimmo Giorgio.

Portammo la nostra roba al Cervo, e la deponemmonel vestibolo.

Si presentò il proprietario dell’albergo e ci disse:— Buona sera, signori.— Ah, buona sera — disse Giorgio; — per piacere,

abbiamo bisogno di tre letti.— Mi dispiace, signore — disse il padrone; — ma

temo di non poterveli dare.— Ah, bene, non fa nulla — disse Giorgio; — baste-

ranno due. In un letto dormiremo in due, vero? — conti-nuò, volgendosi ad Harris e a me.

Harris disse: — Oh sì. Egli pensava che Giorgio e iopotessimo dormire comodamente in un letto solo.

— Mi dispiace molto, signore — ripetè di nuovo ilpadrone; — ma non abbiamo un solo letto vuoto in tuttol’albergo. Infatti stiamo mettendo due e anche tre perso-ne in un letto solo.

Questo ci sconcertò un poco.Ma Harris, che è un vecchio viaggiatore, fronteggiò il

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— Gli unici! — esclamò Harris.— Gli unici — rispose l’altro.— Che diamine dobbiamo fare? — esclamò Harris.Allora prese a parlare Giorgio, dicendo che Harris e

io potevamo, se mai, farci fabbricare un albergo a bellaposta, e anche delle persone che ci fossero simpatiche.Per conto suo, egli ritornava al Cervo.

Le menti più eccelse non raggiungono mai i loroideali; e Harris e io sospirammo sulla vacuità di tutti idesideri terreni, e seguimmo Giorgio.

Portammo la nostra roba al Cervo, e la deponemmonel vestibolo.

Si presentò il proprietario dell’albergo e ci disse:— Buona sera, signori.— Ah, buona sera — disse Giorgio; — per piacere,

abbiamo bisogno di tre letti.— Mi dispiace, signore — disse il padrone; — ma

temo di non poterveli dare.— Ah, bene, non fa nulla — disse Giorgio; — baste-

ranno due. In un letto dormiremo in due, vero? — conti-nuò, volgendosi ad Harris e a me.

Harris disse: — Oh sì. Egli pensava che Giorgio e iopotessimo dormire comodamente in un letto solo.

— Mi dispiace molto, signore — ripetè di nuovo ilpadrone; — ma non abbiamo un solo letto vuoto in tuttol’albergo. Infatti stiamo mettendo due e anche tre perso-ne in un letto solo.

Questo ci sconcertò un poco.Ma Harris, che è un vecchio viaggiatore, fronteggiò il

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caso, e, ridendo allegramente, disse:— Bene, non si può farne a meno, e bisogna adattarsi.

Ci metterete un pagliericcio nella sala da bigliardo.— Mi spiace molto, signore. Tre passeggeri dormono

già sul piano del bigliardo, e due nella sala del caffè.Non mi è possibile albergarvi, stasera.

Ripigliammo la nostra roba, e ci dirigemmo a ManonHouse. Era un bel posticino. Io dissi che mi piacevamolto di più dell’altro albergo, e Harris disse di sì, cheera bellissimo, che non era necessario guardare l’uomodai capelli rossi; e che, poi, lui, povero diavolo, non neaveva colpa.

Harris parlava di quel buon diavolo con molta genti-lezza e buon senso.

Il personale di Manon House non attese di sentirciparlare. La padrona dell’albergo ci venne incontro sullaporta dicendoci che eravamo la quattordicesima compa-gnia, che essa aveva dovuto rimandare nell’ultimamezz’ora. Quanto alle nostre discrete proposte riguardoalla stalla, alla sala da bigliardo o alla carbonaia, essa lerespinse ridendo: tutti questi cantucci erano stati già dalungo tempo occupati.

Ma poteva almeno indicarci qualche posto nel villag-gio dove si potesse trovare ricetto per la notte?

Bene, se noi ci fossimo adattati, vi sarebbe stata, unapiccola bettola – essa non ce la raccomandava, però –distante mezzo miglio, giù sulla strada di Eton…

Non aspettammo altro; demmo di bel nuovo di manoal paniere, alle valige, ai soprabiti, alle coperte,

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caso, e, ridendo allegramente, disse:— Bene, non si può farne a meno, e bisogna adattarsi.

Ci metterete un pagliericcio nella sala da bigliardo.— Mi spiace molto, signore. Tre passeggeri dormono

già sul piano del bigliardo, e due nella sala del caffè.Non mi è possibile albergarvi, stasera.

Ripigliammo la nostra roba, e ci dirigemmo a ManonHouse. Era un bel posticino. Io dissi che mi piacevamolto di più dell’altro albergo, e Harris disse di sì, cheera bellissimo, che non era necessario guardare l’uomodai capelli rossi; e che, poi, lui, povero diavolo, non neaveva colpa.

Harris parlava di quel buon diavolo con molta genti-lezza e buon senso.

Il personale di Manon House non attese di sentirciparlare. La padrona dell’albergo ci venne incontro sullaporta dicendoci che eravamo la quattordicesima compa-gnia, che essa aveva dovuto rimandare nell’ultimamezz’ora. Quanto alle nostre discrete proposte riguardoalla stalla, alla sala da bigliardo o alla carbonaia, essa lerespinse ridendo: tutti questi cantucci erano stati già dalungo tempo occupati.

Ma poteva almeno indicarci qualche posto nel villag-gio dove si potesse trovare ricetto per la notte?

Bene, se noi ci fossimo adattati, vi sarebbe stata, unapiccola bettola – essa non ce la raccomandava, però –distante mezzo miglio, giù sulla strada di Eton…

Non aspettammo altro; demmo di bel nuovo di manoal paniere, alle valige, ai soprabiti, alle coperte,

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agl’involti e ai pacchetti, e via di corsa. La distanza par-ve che fosse più un miglio che mezzo miglio; ma rag-giungemmo la bettola finalmente, e ci precipitammodentro trafelati.

Il personale della bettola si dimostrò villano. Si misesemplicemente a ridere. V’erano tre letti soltanto in tuttala casa, e ci dormivano già sette signori scapoli e duecoppie di sposi. Un gentile barcaiolo, però, occupatonella saletta a bere la birra, opinò che avremmo potutotentare dal droghiere, proprio vicino al Cervo; e noi tor-nammo indietro.

Dal droghiere era pieno. Una vecchia incontrata nellabottega ci condusse gentilmente con lei per un quarto dimiglio da una donnetta amica sua, che talvolta affittavadelle stanze a dei signori.

La vecchia camminava molto lentamente, e ci volleroventi minuti per arrivare dalla sua amica. Essa ci allietòil viaggio col descriverci, mentre si andava, i vari doloriche soffriva alla schiena.

Le camere della sua signora amica erano occupate. Dilà noi fummo mandati al numero 27. Il numero 27 erapieno e ci mandò al numero 32, e il 32 era pieno.

Allora ritornammo sulla strada maestra, e Harris sisedette sul paniere, dichiarando che non sarebbe andatopiù oltre. Il punto era tranquillo, e gli sarebbe piaciuto dimorir lì. Pregò Giorgio e me di baciar la madre per lui edi dire a tutti i suoi parenti che perdonava loro e morivafelice.

In quel momento passò un angelo in veste di ragazzi-

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agl’involti e ai pacchetti, e via di corsa. La distanza par-ve che fosse più un miglio che mezzo miglio; ma rag-giungemmo la bettola finalmente, e ci precipitammodentro trafelati.

Il personale della bettola si dimostrò villano. Si misesemplicemente a ridere. V’erano tre letti soltanto in tuttala casa, e ci dormivano già sette signori scapoli e duecoppie di sposi. Un gentile barcaiolo, però, occupatonella saletta a bere la birra, opinò che avremmo potutotentare dal droghiere, proprio vicino al Cervo; e noi tor-nammo indietro.

Dal droghiere era pieno. Una vecchia incontrata nellabottega ci condusse gentilmente con lei per un quarto dimiglio da una donnetta amica sua, che talvolta affittavadelle stanze a dei signori.

La vecchia camminava molto lentamente, e ci volleroventi minuti per arrivare dalla sua amica. Essa ci allietòil viaggio col descriverci, mentre si andava, i vari doloriche soffriva alla schiena.

Le camere della sua signora amica erano occupate. Dilà noi fummo mandati al numero 27. Il numero 27 erapieno e ci mandò al numero 32, e il 32 era pieno.

Allora ritornammo sulla strada maestra, e Harris sisedette sul paniere, dichiarando che non sarebbe andatopiù oltre. Il punto era tranquillo, e gli sarebbe piaciuto dimorir lì. Pregò Giorgio e me di baciar la madre per lui edi dire a tutti i suoi parenti che perdonava loro e morivafelice.

In quel momento passò un angelo in veste di ragazzi-

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no (non riesco a pensare a un più efficace travestimentoche un angelo potesse avere assunto) con un boccale dibirra in una mano, e nell’altra qualche cosa all’estremitàd’una cordicella, con cui batteva ogni lastra di pietra eche poi ritirava, producendo un suono che pareva un gri-do di sofferente.

Noi domandammo a quel celeste messaggero (comescoprimmo dopo che era) se sapesse di qualche casa so-litaria, con pochi e deboli inquilini (preferibilmente vec-chie o signori accidentati) che si potessero facilmenteimpaurire per cedere il loro letto quella notte a tre fore-stieri disperati; o, se al contrario, ci potesse condurre inqualche porcile vuoto, in un canile abbandonato, o tanadella stessa specie. Egli non conosceva nessun luogo si-mile – almeno, nessuno lì a mano; ma aggiunse che, sel’avessimo seguito, la mamma aveva una stanza in più,dove poteva albergarci per la notte.

Gli cademmo al collo sotto il chiarore lunare benedi-cendolo, e avremmo tutti formato un bellissimo quadro,se il ragazzo non fosse stato così soverchiato dalla no-stra commozione che non potè sostenerla e cadde in ter-ra; facendoci precipitare su di lui. Harris era tanto inon-dato di gioia che gli prese uno svenimento, e dovè ab-brancarsi al boccale del ragazzo e vuotarlo a metà, pri-ma di ripigliare conoscenza, e poi si slanciò di corsa, la-sciando che io e Giorgio trascinassimo il bagaglio.

Era una casetta di quattro stanze quella del ragazzo, equella santa donna di sua madre ci diede del prosciuttocaldo per cena e noi ce lo mangiammo tutto – cinque

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no (non riesco a pensare a un più efficace travestimentoche un angelo potesse avere assunto) con un boccale dibirra in una mano, e nell’altra qualche cosa all’estremitàd’una cordicella, con cui batteva ogni lastra di pietra eche poi ritirava, producendo un suono che pareva un gri-do di sofferente.

Noi domandammo a quel celeste messaggero (comescoprimmo dopo che era) se sapesse di qualche casa so-litaria, con pochi e deboli inquilini (preferibilmente vec-chie o signori accidentati) che si potessero facilmenteimpaurire per cedere il loro letto quella notte a tre fore-stieri disperati; o, se al contrario, ci potesse condurre inqualche porcile vuoto, in un canile abbandonato, o tanadella stessa specie. Egli non conosceva nessun luogo si-mile – almeno, nessuno lì a mano; ma aggiunse che, sel’avessimo seguito, la mamma aveva una stanza in più,dove poteva albergarci per la notte.

Gli cademmo al collo sotto il chiarore lunare benedi-cendolo, e avremmo tutti formato un bellissimo quadro,se il ragazzo non fosse stato così soverchiato dalla no-stra commozione che non potè sostenerla e cadde in ter-ra; facendoci precipitare su di lui. Harris era tanto inon-dato di gioia che gli prese uno svenimento, e dovè ab-brancarsi al boccale del ragazzo e vuotarlo a metà, pri-ma di ripigliare conoscenza, e poi si slanciò di corsa, la-sciando che io e Giorgio trascinassimo il bagaglio.

Era una casetta di quattro stanze quella del ragazzo, equella santa donna di sua madre ci diede del prosciuttocaldo per cena e noi ce lo mangiammo tutto – cinque

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libbre – e una torta di marmellata dopo, e due boccali dibirra; e poi andammo a coricarci. V’erano due letti inuna camera: l’uno di settanta centimetri di lunghezza,nel quale dormimmo io e Giorgio, legandoci insiemecon un lenzuolo; e l’altro, che era del ragazzino, e cheHarris tenne tutto per sè, vedemmo, la mattina, che gliscopriva in fondo sessanta centimetri di gambe nude.Giorgio e io le usammo per sospendervi l’asciugamanomentre ci lavavamo.

Non saremmo stati così schifiltosi intorno all’albergo,la prossima volta che saremmo arrivati a Datchet.

Per ritornare alla escursione odierna: non ci accaddenulla d’interessante, e noi trascinammo bravamente labarca un po’ al di sotto dell’isola di Monkey, dove cifermammo per la colazione. Attaccammo il manzo fred-do, e poi trovammo che ci eravamo dimenticati dellamostarda. Non credo che mai, prima o dopo, sentissitanto come allora la mancanza della mostarda. In gene-rale, non mi curo nè tanto nè poco della mostarda, e dirado ne uso qualche poco, ma in quel momento avreidato un mondo per averla.

Non so quanti mondi possano esservi nell’universo,ma chiunque mi avesse dato un cucchiaino di mostardain quel preciso istante, avrebbe potuto averli tutti. Aquesto modo io mi sento generoso quando voglio unacosa e non l’ho.

Anche Harris disse che avrebbe dato dei mondi per lamostarda. Chiunque ci si fosse presentato allora con unvaso di mostarda avrebbe fatto un ottimo affare: avrebbe

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libbre – e una torta di marmellata dopo, e due boccali dibirra; e poi andammo a coricarci. V’erano due letti inuna camera: l’uno di settanta centimetri di lunghezza,nel quale dormimmo io e Giorgio, legandoci insiemecon un lenzuolo; e l’altro, che era del ragazzino, e cheHarris tenne tutto per sè, vedemmo, la mattina, che gliscopriva in fondo sessanta centimetri di gambe nude.Giorgio e io le usammo per sospendervi l’asciugamanomentre ci lavavamo.

Non saremmo stati così schifiltosi intorno all’albergo,la prossima volta che saremmo arrivati a Datchet.

Per ritornare alla escursione odierna: non ci accaddenulla d’interessante, e noi trascinammo bravamente labarca un po’ al di sotto dell’isola di Monkey, dove cifermammo per la colazione. Attaccammo il manzo fred-do, e poi trovammo che ci eravamo dimenticati dellamostarda. Non credo che mai, prima o dopo, sentissitanto come allora la mancanza della mostarda. In gene-rale, non mi curo nè tanto nè poco della mostarda, e dirado ne uso qualche poco, ma in quel momento avreidato un mondo per averla.

Non so quanti mondi possano esservi nell’universo,ma chiunque mi avesse dato un cucchiaino di mostardain quel preciso istante, avrebbe potuto averli tutti. Aquesto modo io mi sento generoso quando voglio unacosa e non l’ho.

Anche Harris disse che avrebbe dato dei mondi per lamostarda. Chiunque ci si fosse presentato allora con unvaso di mostarda avrebbe fatto un ottimo affare: avrebbe

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avuto dei mondi a disposizione per tutto il resto dellavita.

Ma, ahimè! avessimo avuto la mostarda, tanto io cheHarris avremmo tentato di tirarci indietro. Si fanno que-ste offerte stravaganti in momenti di eccitazione, ma,naturalmente, riflettendoci, si comprende come siano as-surdamente sproporzionate al valore dell’oggetto richie-sto. Una volta sentii dire da un tale, il quale faceval’ascensione d’una montagna svizzera, che avrebbe datoun mondo per un bicchiere di birra; ma quando poi arri-vò a un bugigattolo dove c’era la birra, fece un terribilebaccano perchè gli chiesero cinque franchi per una bot-tiglia. Disse che era un furto scandaloso, e s’affrettò ascriverne al «Times».

Quella mancanza di mostarda gettò un’ombra sullabarca. Mangiammo il manzo in silenzio, e l’esistenza ciparve poco interessante, anzi vana. Pensammo ai felicigiorni dell’infanzia, e sospirammo. Ci rianimammo unpoco, però, con la torta di mele, e, quando Giorgio dalfondo del paniere trasse una scatola di ananassi, facen-dola rotolare in mezzo alla barca, sentimmo che la vita,dopo tutto, era degna d’esser vissuta.

Tutti e tre andiamo matti per gli ananassi. Noi ne con-templammo l’immagine sulla scatola; il pensiero delsucco ci fece venir l’acquolina in bocca. Ci sorridemmoa vicenda, e Harris impugnò subito il cucchiaio.

Allora cercammo il coltello con cui aprire la scatola,mettendo sossopra tutto il paniere. Frugammo nelle vali-ge, sollevammo le tavole del fondo della barca, ci met-

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avuto dei mondi a disposizione per tutto il resto dellavita.

Ma, ahimè! avessimo avuto la mostarda, tanto io cheHarris avremmo tentato di tirarci indietro. Si fanno que-ste offerte stravaganti in momenti di eccitazione, ma,naturalmente, riflettendoci, si comprende come siano as-surdamente sproporzionate al valore dell’oggetto richie-sto. Una volta sentii dire da un tale, il quale faceval’ascensione d’una montagna svizzera, che avrebbe datoun mondo per un bicchiere di birra; ma quando poi arri-vò a un bugigattolo dove c’era la birra, fece un terribilebaccano perchè gli chiesero cinque franchi per una bot-tiglia. Disse che era un furto scandaloso, e s’affrettò ascriverne al «Times».

Quella mancanza di mostarda gettò un’ombra sullabarca. Mangiammo il manzo in silenzio, e l’esistenza ciparve poco interessante, anzi vana. Pensammo ai felicigiorni dell’infanzia, e sospirammo. Ci rianimammo unpoco, però, con la torta di mele, e, quando Giorgio dalfondo del paniere trasse una scatola di ananassi, facen-dola rotolare in mezzo alla barca, sentimmo che la vita,dopo tutto, era degna d’esser vissuta.

Tutti e tre andiamo matti per gli ananassi. Noi ne con-templammo l’immagine sulla scatola; il pensiero delsucco ci fece venir l’acquolina in bocca. Ci sorridemmoa vicenda, e Harris impugnò subito il cucchiaio.

Allora cercammo il coltello con cui aprire la scatola,mettendo sossopra tutto il paniere. Frugammo nelle vali-ge, sollevammo le tavole del fondo della barca, ci met-

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temmo a scuotere tutti gli oggetti sulla sponda. Chi ti dàil coltello!

Allora, Harris tentò di aprire la scatola con un tempe-rino, e ne ruppe la lama e si tagliò una mano; e Giorgioprovò con un paio di forbici, e le forbici gli sfuggirono,e mancò poco non gli cavassero un occhio. Mentre essisi medicavano, tentai di aprire un buco nella latta conl’estremità aguzza della gaffa; ma la gaffa mi scivolò dimano e mi scagliò fra la barca e la sponda in sessantacentimetri d’acqua fangosa, mentre la scatola si mettevaa rotolare, illesa, rompendo una tazza.

Allora c’infuriammo tutti. Portammo la scatola sullariva, e Harris corse in un campo a pigliare un grossosasso aguzzo; e io ritornai nella barca, e ne riportai unalbero, e Giorgio teneva la scatola e Harris teneva lapunta del sasso sul coperchio, e io levavo l’albero e lolibravo in aria, raccogliendo tutte le mie forze per dare ilcolpo.

Fu il cappello di paglia che quel giorno salvò la vita aGiorgio. Egli conserva ancora quel cappello (ciò che n’èrimasto), e le sere d’inverno, quando sono accese le pipee gli amici raccontan delle fandonie intorno ai pericolisuperati, Giorgio lo spicca dalla parete e lo mostra ingiro, e l’eccitante racconto è di nuovo ripetuto, con nuo-ve esagerazioni tutte le volte.

Harris se la cavò semplicemente con una contusione.Allora, presi io la scatola, e la martellai con l’albero,

finchè non mi sentii stremato, e non se la prese in manoHarris.

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temmo a scuotere tutti gli oggetti sulla sponda. Chi ti dàil coltello!

Allora, Harris tentò di aprire la scatola con un tempe-rino, e ne ruppe la lama e si tagliò una mano; e Giorgioprovò con un paio di forbici, e le forbici gli sfuggirono,e mancò poco non gli cavassero un occhio. Mentre essisi medicavano, tentai di aprire un buco nella latta conl’estremità aguzza della gaffa; ma la gaffa mi scivolò dimano e mi scagliò fra la barca e la sponda in sessantacentimetri d’acqua fangosa, mentre la scatola si mettevaa rotolare, illesa, rompendo una tazza.

Allora c’infuriammo tutti. Portammo la scatola sullariva, e Harris corse in un campo a pigliare un grossosasso aguzzo; e io ritornai nella barca, e ne riportai unalbero, e Giorgio teneva la scatola e Harris teneva lapunta del sasso sul coperchio, e io levavo l’albero e lolibravo in aria, raccogliendo tutte le mie forze per dare ilcolpo.

Fu il cappello di paglia che quel giorno salvò la vita aGiorgio. Egli conserva ancora quel cappello (ciò che n’èrimasto), e le sere d’inverno, quando sono accese le pipee gli amici raccontan delle fandonie intorno ai pericolisuperati, Giorgio lo spicca dalla parete e lo mostra ingiro, e l’eccitante racconto è di nuovo ripetuto, con nuo-ve esagerazioni tutte le volte.

Harris se la cavò semplicemente con una contusione.Allora, presi io la scatola, e la martellai con l’albero,

finchè non mi sentii stremato, e non se la prese in manoHarris.

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La picchiammo da farla diventar piatta; la picchiam-mo da farla diventar quadrata; la picchiammo da farlaassumere tutte le forme note in geometria – ma non riu-scimmo ad aprirle un buco. Allora la prese Giorgio, e laridusse in una foggia così strana, così bizzarra, così so-prannaturale nella sua orribile laidezza, ch’egli se nespaventò, e gettò via l’albero. Allora ci sedemmosull’erba tutti e tre intorno a guardarla.

S’era formata al di sopra una specie di grossa intacca-tura che aveva l’aspetto d’un sorriso beffardo. Questo ciinferocì, e Harris si precipitò sulla scatola, la raccattò ela scagliò in mezzo al fiume, e mentre essa affondava, lescagliammo tutte le nostre maledizioni, e ritornammonella barca, per fuggir via da quel luogo e non fermarciche in vista di Maidenhead.

Maidenhead si dà troppe arie per esser simpatica. È ilconvegno degli eleganti che frequentano il Tamigi e del-le loro elegantissime compagne. È la città degli alberghisontuosi, frequentati specialmente dai giovani alla modae dalle cantanti dei caffè-concerti. È la cucina della stre-ga, dalla quale escono quei demoni fluviali – che son lelance a vapore. Il duca del «London Journal» ha sempreil suo «posticino» a Maidenhead; e l’eroina del romanzoin tre volumi vi va a pranzo, quando s’inebbria col mari-to di qualche altra.

Noi traversammo rapidamente Maidenhead, e poi co-modamente percorremmo quel magnifico tratto che vaoltre le chiuse di Boulter e Cooklam. I boschi di Clieve-den portavano ancora la loro squisita veste primaverile,

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La picchiammo da farla diventar piatta; la picchiam-mo da farla diventar quadrata; la picchiammo da farlaassumere tutte le forme note in geometria – ma non riu-scimmo ad aprirle un buco. Allora la prese Giorgio, e laridusse in una foggia così strana, così bizzarra, così so-prannaturale nella sua orribile laidezza, ch’egli se nespaventò, e gettò via l’albero. Allora ci sedemmosull’erba tutti e tre intorno a guardarla.

S’era formata al di sopra una specie di grossa intacca-tura che aveva l’aspetto d’un sorriso beffardo. Questo ciinferocì, e Harris si precipitò sulla scatola, la raccattò ela scagliò in mezzo al fiume, e mentre essa affondava, lescagliammo tutte le nostre maledizioni, e ritornammonella barca, per fuggir via da quel luogo e non fermarciche in vista di Maidenhead.

Maidenhead si dà troppe arie per esser simpatica. È ilconvegno degli eleganti che frequentano il Tamigi e del-le loro elegantissime compagne. È la città degli alberghisontuosi, frequentati specialmente dai giovani alla modae dalle cantanti dei caffè-concerti. È la cucina della stre-ga, dalla quale escono quei demoni fluviali – che son lelance a vapore. Il duca del «London Journal» ha sempreil suo «posticino» a Maidenhead; e l’eroina del romanzoin tre volumi vi va a pranzo, quando s’inebbria col mari-to di qualche altra.

Noi traversammo rapidamente Maidenhead, e poi co-modamente percorremmo quel magnifico tratto che vaoltre le chiuse di Boulter e Cooklam. I boschi di Clieve-den portavano ancora la loro squisita veste primaverile,

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e si levavano, dal margine dell’acqua, in una lunga ar-monia di varie sfumature di incantevole verde. Nella suaininterrotta leggiadria è questo, forse, il più dolce trattodi tutto il fiume, e mal volentieri spingemmo pian pianola barca fuori da quella profonda pace.

Ci fermammo sulle acque di rigurgito al di sotto diCookham, e prendemmo il tè; e all’ora che traversammola chiusa era già sera. S’era levata una forte brezza – fa-vorevole, fortunatamente; perchè in generale sul fiumeil vento spira sempre contrario. Vi soffia contro la matti-na, quando partite per il viaggio d’una giornata, e vimettete a remare per una lunga distanza, pensando che ilviaggio di ritorno con la vela vi sarà facilissimo. Poi,dopo il tè, il vento si volta, e dovete remare fino a casacon tutta la forza.

Se vi dimenticate di portarvi la vela, il vento spira,sempre favorevole in tutte e due le direzioni. Ma già!questo mondo è un mondo di sofferenze, e l’uomo ènato per soffrire come le scintille per volare in su.

Quella sera, però, era stato evidentemente commessoun errore, e il vento ci soffiava nella schiena invece chenel viso. Noi, zitti zitti, rapidamente, prima che l’erroresi scoprisse, issammo la vela, e ci spargemmo per labarca in atteggiamento pensoso, mentre essa cominciavaa gonfiarsi, a tendersi, a garrire intorno all’albero, con labarca che volava.

Ero io al timone.Non conosco più acuta sensazione del navigare a

vela. Par quasi di volare. Le ali del vento sembra che vi

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e si levavano, dal margine dell’acqua, in una lunga ar-monia di varie sfumature di incantevole verde. Nella suaininterrotta leggiadria è questo, forse, il più dolce trattodi tutto il fiume, e mal volentieri spingemmo pian pianola barca fuori da quella profonda pace.

Ci fermammo sulle acque di rigurgito al di sotto diCookham, e prendemmo il tè; e all’ora che traversammola chiusa era già sera. S’era levata una forte brezza – fa-vorevole, fortunatamente; perchè in generale sul fiumeil vento spira sempre contrario. Vi soffia contro la matti-na, quando partite per il viaggio d’una giornata, e vimettete a remare per una lunga distanza, pensando che ilviaggio di ritorno con la vela vi sarà facilissimo. Poi,dopo il tè, il vento si volta, e dovete remare fino a casacon tutta la forza.

Se vi dimenticate di portarvi la vela, il vento spira,sempre favorevole in tutte e due le direzioni. Ma già!questo mondo è un mondo di sofferenze, e l’uomo ènato per soffrire come le scintille per volare in su.

Quella sera, però, era stato evidentemente commessoun errore, e il vento ci soffiava nella schiena invece chenel viso. Noi, zitti zitti, rapidamente, prima che l’erroresi scoprisse, issammo la vela, e ci spargemmo per labarca in atteggiamento pensoso, mentre essa cominciavaa gonfiarsi, a tendersi, a garrire intorno all’albero, con labarca che volava.

Ero io al timone.Non conosco più acuta sensazione del navigare a

vela. Par quasi di volare. Le ali del vento sembra che vi

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portino in su, non si sa dove. Voi non siete più il lento,faticoso, misero essere d’argilla che striscia tortuosa-mente per terra; siete una parte della natura. Il vostrocuore pulsa contro il suo petto. Le sue gloriose bracciavi cingono, sollevandovi fino al suo cuore. Il vostro spi-rito forma un unico spirito col suo; le vostre membrason diventate leggerissime. Le voci dell’aria vi cantanonell’orecchio. La terra sembra remota e piccina; e le nu-vole, così vicine alla vostra testa, sono sorelle a cui voistendete le braccia.

Noi avevamo il fiume tutto per noi, salvo che, in di-stanza, potevamo vedere una zattera da pesca, ormeg-giata in mezzo alla corrente, e carica di tre pescatori; enoi sorvolavamo sull’acqua, e passavamo accanto allerive boscose, senza dire una parola.

Ero io al timone.Come ci avvicinavamo, potemmo vedere che i tre uo-

mini occupati a pescare avevano un aspetto di solennevecchiaia. Sedevano su tre sedie nella zattera, e vigila-vano intenti le lenze. E il tramonto rosso proiettava unamistica luce sull’acqua, tingeva di fuoco i boschi circo-stanti, e faceva una gloria d’oro alle masse di nuvole.Era un’ora di profondo incanto, d’estatica speranza e didesiderio. La piccola vela s’allargava contro il firma-mento di porpora, il crepuscolo ci stava intorno, avvol-gendo il mondo in ombre di arcobaleno; e dietro di noistrisciava la notte.

Noi sembravamo cavalieri di qualche vecchia leggen-da, veleggianti per qualche mistico lago nel regno ine-

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portino in su, non si sa dove. Voi non siete più il lento,faticoso, misero essere d’argilla che striscia tortuosa-mente per terra; siete una parte della natura. Il vostrocuore pulsa contro il suo petto. Le sue gloriose bracciavi cingono, sollevandovi fino al suo cuore. Il vostro spi-rito forma un unico spirito col suo; le vostre membrason diventate leggerissime. Le voci dell’aria vi cantanonell’orecchio. La terra sembra remota e piccina; e le nu-vole, così vicine alla vostra testa, sono sorelle a cui voistendete le braccia.

Noi avevamo il fiume tutto per noi, salvo che, in di-stanza, potevamo vedere una zattera da pesca, ormeg-giata in mezzo alla corrente, e carica di tre pescatori; enoi sorvolavamo sull’acqua, e passavamo accanto allerive boscose, senza dire una parola.

Ero io al timone.Come ci avvicinavamo, potemmo vedere che i tre uo-

mini occupati a pescare avevano un aspetto di solennevecchiaia. Sedevano su tre sedie nella zattera, e vigila-vano intenti le lenze. E il tramonto rosso proiettava unamistica luce sull’acqua, tingeva di fuoco i boschi circo-stanti, e faceva una gloria d’oro alle masse di nuvole.Era un’ora di profondo incanto, d’estatica speranza e didesiderio. La piccola vela s’allargava contro il firma-mento di porpora, il crepuscolo ci stava intorno, avvol-gendo il mondo in ombre di arcobaleno; e dietro di noistrisciava la notte.

Noi sembravamo cavalieri di qualche vecchia leggen-da, veleggianti per qualche mistico lago nel regno ine-

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splorato del crepuscolo, verso la gran terra del tramonto.Non andammo nel regno del crepuscolo: andammo a

sbattere contro la zattera, dove quei tre vecchi stavano apescare. In principio non ci accorgemmo di ciò ch’eraaccaduto; perchè la vela ce lo impedì, ma dal genere dilinguaggio che si levò nell’aria della sera, comprendem-mo che eravamo arrivati in vicinanza d’esseri umanimolto malcontenti e collerici.

Harris abbassò la vela, e allora scorgemmo ciò ch’erasuccesso. Avevamo fatto stramazzare quei tre vecchi si-gnori dalle sedie in un mucchio confuso nel fondo dellabarca, e ora cercavano di separarsi lentamente e stenta-tamente l’uno dall’altro, raccogliendo il pesce dalle loropersone; e mentre si sforzavano di sollevarsi, ci maledi-vano – non con una imprecazione comune e frettolosa,ma con maledizioni lunghe e comprensive, accurata-mente meditate, che abbracciavano tutta la nostra carrie-ra, e si spingevan fin nel lontano futuro, includendo tut-ta la nostra parentela, e coprendo tutto ciò che ci riguar-dava – maledizioni buone e sostanziali.

Harris disse loro che ci dovevano ringraziare per avergoduto un po’ d’eccitazione, dopo esser stati seduti lì apescare tutto il giorno; e aggiunse anche che egli erascandalizzato e addolorato di udire delle persone dellaloro età abbandonarsi a quel modo a un impeto di colle-ra.

Ma questo non giovò.Giorgio, dopo, disse che avrebbe tenuto lui il timone.

Non si poteva sperare che uno spirito come il mio sapes-

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splorato del crepuscolo, verso la gran terra del tramonto.Non andammo nel regno del crepuscolo: andammo a

sbattere contro la zattera, dove quei tre vecchi stavano apescare. In principio non ci accorgemmo di ciò ch’eraaccaduto; perchè la vela ce lo impedì, ma dal genere dilinguaggio che si levò nell’aria della sera, comprendem-mo che eravamo arrivati in vicinanza d’esseri umanimolto malcontenti e collerici.

Harris abbassò la vela, e allora scorgemmo ciò ch’erasuccesso. Avevamo fatto stramazzare quei tre vecchi si-gnori dalle sedie in un mucchio confuso nel fondo dellabarca, e ora cercavano di separarsi lentamente e stenta-tamente l’uno dall’altro, raccogliendo il pesce dalle loropersone; e mentre si sforzavano di sollevarsi, ci maledi-vano – non con una imprecazione comune e frettolosa,ma con maledizioni lunghe e comprensive, accurata-mente meditate, che abbracciavano tutta la nostra carrie-ra, e si spingevan fin nel lontano futuro, includendo tut-ta la nostra parentela, e coprendo tutto ciò che ci riguar-dava – maledizioni buone e sostanziali.

Harris disse loro che ci dovevano ringraziare per avergoduto un po’ d’eccitazione, dopo esser stati seduti lì apescare tutto il giorno; e aggiunse anche che egli erascandalizzato e addolorato di udire delle persone dellaloro età abbandonarsi a quel modo a un impeto di colle-ra.

Ma questo non giovò.Giorgio, dopo, disse che avrebbe tenuto lui il timone.

Non si poteva sperare che uno spirito come il mio sapes-

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se guidare le barche meglio che badasse alla barca unessere comune, prima che allegramente finissimo colcolare a picco; e prese lui il timone, e ci portò fino aMarlow.

E a Marlow lasciammo la barca presso il ponte, e cirecammo per la notte alla Corona.

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se guidare le barche meglio che badasse alla barca unessere comune, prima che allegramente finissimo colcolare a picco; e prese lui il timone, e ci portò fino aMarlow.

E a Marlow lasciammo la barca presso il ponte, e cirecammo per la notte alla Corona.

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CAPITOLO XIII.

Marlow. L’Abbazia di Bisham. – I monaci di Medmenham. –Montmorency si propone d’ammazzare un gatto. – Ma even-tualmente decide di lasciarlo vivere. – Vergognosa condottad’un foxterrier. – La nostra partenza da Marlow. – Una proces-sione solenne. – Le lance a vapore: utili prescrizioni per mole-starle e ostacolarle. – Rifiutiamo di bere il fiume. – Un canetranquillo. – Strana scomparsa di Harris e di un pasticcio.

Marlow è uno dei più bei centri fluviali che io mi co-nosca. È una cittadina attiva e vivace, non molto pittore-sca in complesso, ma con molti strani angoli e cantucci– con molti archi ancora in piedi nel diruto ponte deltempo, sul quale la nostra fantasia ritorna ai giorni che ilmaniero di Marlow aveva Saxon Algar per suo signore,prima che Guglielmo il Conquistatore se ne impadronis-se per darlo alla regina Matilde, prima che esso passasseai conti di Warwick o al saggio mondano lord Paget, ilconsigliere di quattro sovrani in fila.

V’è anche un’amena campagna nei dintorni, se, dopoaver vogato, vi piace fare una passeggiata a piedi, men-tre lo stesso fiume si presenta in quel punto nel suo mi-gliore aspetto. Giù fino a Cookham, oltre i boschi diQuarry e i prati, è un bellissimo tratto. I vecchi e bei bo-schi di Quarry con gli angusti sentieri tortuosi, le picco-le radure serpeggianti, come sembrano finora profumaticon le memorie dei radiosi giorni d’estate! Come le loro

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CAPITOLO XIII.

Marlow. L’Abbazia di Bisham. – I monaci di Medmenham. –Montmorency si propone d’ammazzare un gatto. – Ma even-tualmente decide di lasciarlo vivere. – Vergognosa condottad’un foxterrier. – La nostra partenza da Marlow. – Una proces-sione solenne. – Le lance a vapore: utili prescrizioni per mole-starle e ostacolarle. – Rifiutiamo di bere il fiume. – Un canetranquillo. – Strana scomparsa di Harris e di un pasticcio.

Marlow è uno dei più bei centri fluviali che io mi co-nosca. È una cittadina attiva e vivace, non molto pittore-sca in complesso, ma con molti strani angoli e cantucci– con molti archi ancora in piedi nel diruto ponte deltempo, sul quale la nostra fantasia ritorna ai giorni che ilmaniero di Marlow aveva Saxon Algar per suo signore,prima che Guglielmo il Conquistatore se ne impadronis-se per darlo alla regina Matilde, prima che esso passasseai conti di Warwick o al saggio mondano lord Paget, ilconsigliere di quattro sovrani in fila.

V’è anche un’amena campagna nei dintorni, se, dopoaver vogato, vi piace fare una passeggiata a piedi, men-tre lo stesso fiume si presenta in quel punto nel suo mi-gliore aspetto. Giù fino a Cookham, oltre i boschi diQuarry e i prati, è un bellissimo tratto. I vecchi e bei bo-schi di Quarry con gli angusti sentieri tortuosi, le picco-le radure serpeggianti, come sembrano finora profumaticon le memorie dei radiosi giorni d’estate! Come le loro

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ombrose visioni appaion colme di immagini sorridenti!Come dalle loro foglie bisbiglianti si levan le dolci vocidel tempo d’una volta!

Da Marlow fino a Sonning la vista è sempre più bella.La magnifica vecchia Abbazia di Bisham, le cui murahanno risonato delle grida del Templari e che una voltafu la casa di Anna di Cleaves e un’altra volta della regi-na Elisabetta, si osserva sulla riva destra precisamente amezzo miglio al di sopra del ponte di Marlow. L’Abba-zia di Bisham è ricca di qualità melodrammatiche. Essacontiene una camera da letto in tappezzeria e una stanzasegreta nascosta in alto nello spessore dei muri. Lo spi-rito di Lady Holy, che picchiò a morte il suo piccino, an-cora vi erra di notte, tentando di lavarsi le mani spettralinello spettrale catino.

Ivi ora riposa Warwick, creatore di re, incurante oradi simili cose volgari quali i re della terra e i reami dellaterra; e Salisbury, che rese dei buoni servizi in Poictiers.Prima che si arrivi all’Abbazia, e sulla riva destra delfiume, è la chiesa di Bisham, e se vi son tombe degned’esser visitate son forse le tombe e i monumenti dellachiesa di Bisham. Fu mentre vogava nella sua barca sot-to i faggi di Bisham, che Shelley, il quale allora abitavaa Marlow (potete vederne ancora la casa, in WestStreet), compose la «Rivolta dell’Islam».

Presso Harley Weir, un po’ più su, ho spesso pensatoche io avrei potuto stabilirmici per un mese senza avertempo sufficiente di abbeverarmi di tutta la bellezza delpanorama. Il villaggio di Harley, a cinque minuti di

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ombrose visioni appaion colme di immagini sorridenti!Come dalle loro foglie bisbiglianti si levan le dolci vocidel tempo d’una volta!

Da Marlow fino a Sonning la vista è sempre più bella.La magnifica vecchia Abbazia di Bisham, le cui murahanno risonato delle grida del Templari e che una voltafu la casa di Anna di Cleaves e un’altra volta della regi-na Elisabetta, si osserva sulla riva destra precisamente amezzo miglio al di sopra del ponte di Marlow. L’Abba-zia di Bisham è ricca di qualità melodrammatiche. Essacontiene una camera da letto in tappezzeria e una stanzasegreta nascosta in alto nello spessore dei muri. Lo spi-rito di Lady Holy, che picchiò a morte il suo piccino, an-cora vi erra di notte, tentando di lavarsi le mani spettralinello spettrale catino.

Ivi ora riposa Warwick, creatore di re, incurante oradi simili cose volgari quali i re della terra e i reami dellaterra; e Salisbury, che rese dei buoni servizi in Poictiers.Prima che si arrivi all’Abbazia, e sulla riva destra delfiume, è la chiesa di Bisham, e se vi son tombe degned’esser visitate son forse le tombe e i monumenti dellachiesa di Bisham. Fu mentre vogava nella sua barca sot-to i faggi di Bisham, che Shelley, il quale allora abitavaa Marlow (potete vederne ancora la casa, in WestStreet), compose la «Rivolta dell’Islam».

Presso Harley Weir, un po’ più su, ho spesso pensatoche io avrei potuto stabilirmici per un mese senza avertempo sufficiente di abbeverarmi di tutta la bellezza delpanorama. Il villaggio di Harley, a cinque minuti di

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cammino dalla chiesa, è uno dei punti più antichi delfiume, giacchè data, a citare la strana fraseologia di que-gli oscuri tempi, «dai giorni del re Sebert e del re Offa».Vicinissimo allo sbarramento (andando in su) è il campodei Danesi, dove una volta si accamparono gl’invasori,durante la loro marcia nella contea di Gloucester; e unpo’ più oltre, annidata in una dolce curva del fiume, sivede ciò che rimane dell’Abbazia di Medmenham.

I famosi monaci di Medmenham, o il «Circolo delfuoco dell’inferno» com’erano chiamati, contavano trale loro file il famoso Wilkes ed erano una confraternitail cui motto sanava: «Fate ciò che vi piace». L’esortazio-ne ancora rimane sul diruto ingresso dell’Abbazia. Moltianni prima di questa equivoca abbazia, con la sua con-gregazione d’irriverenti motteggiatori, c’era nello stessopunto un monastero di natura più severa, i cui monacierano d’un tipo alquanto diverso dai gozzovigliatori chedovevano abitarlo cinquecent’anni dopo.

I monaci cistercensi, la cui abbazia era eretta colà neltredicesimo secolo, non portavano panni, ma rozze tuni-che e cappucci, e non mangiavano carne, nè pesce, nèuova. Dormivano sulla paglia, e si levavano a mezzanot-te a dir messa. Passavano i giorni nel lavoro, nella lettu-ra e nella preghiera; e su tutta la loro vita piombava unsilenzio di morte, perchè nessuno parlava.

Una tetra confraternita, che passava una tetra vita inquel dolce luogo, che Dio ha creato così dolce. Stranoche le voci della natura d’intorno – il soave canto delleacque, il bisbiglio dell’erba fluviale, la musica del vento

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cammino dalla chiesa, è uno dei punti più antichi delfiume, giacchè data, a citare la strana fraseologia di que-gli oscuri tempi, «dai giorni del re Sebert e del re Offa».Vicinissimo allo sbarramento (andando in su) è il campodei Danesi, dove una volta si accamparono gl’invasori,durante la loro marcia nella contea di Gloucester; e unpo’ più oltre, annidata in una dolce curva del fiume, sivede ciò che rimane dell’Abbazia di Medmenham.

I famosi monaci di Medmenham, o il «Circolo delfuoco dell’inferno» com’erano chiamati, contavano trale loro file il famoso Wilkes ed erano una confraternitail cui motto sanava: «Fate ciò che vi piace». L’esortazio-ne ancora rimane sul diruto ingresso dell’Abbazia. Moltianni prima di questa equivoca abbazia, con la sua con-gregazione d’irriverenti motteggiatori, c’era nello stessopunto un monastero di natura più severa, i cui monacierano d’un tipo alquanto diverso dai gozzovigliatori chedovevano abitarlo cinquecent’anni dopo.

I monaci cistercensi, la cui abbazia era eretta colà neltredicesimo secolo, non portavano panni, ma rozze tuni-che e cappucci, e non mangiavano carne, nè pesce, nèuova. Dormivano sulla paglia, e si levavano a mezzanot-te a dir messa. Passavano i giorni nel lavoro, nella lettu-ra e nella preghiera; e su tutta la loro vita piombava unsilenzio di morte, perchè nessuno parlava.

Una tetra confraternita, che passava una tetra vita inquel dolce luogo, che Dio ha creato così dolce. Stranoche le voci della natura d’intorno – il soave canto delleacque, il bisbiglio dell’erba fluviale, la musica del vento

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sussurrante – non insegnassero loro un più esatto signi-ficato della vita. Essi origliavano, per lunghi giorni, insilenzio, aspettando una voce del cielo; e tutta la giorna-ta e tutta la notte augusta parlavano in miriadi di suoniche essi non intendevano.

Da Medmenham alla bella chiusa di Hambledon ilfiume è pieno di tranquilla bellezza, ma, dopo che essopassa per Greenlands, la poco interessante residenza flu-viale del mio libraio – un cheto modesto vecchietto, chesi può spesso incontrare per queste contrade, durante imesi d’estate, remando in agile e vigoroso stile, o chiac-chierando al passaggio lietamente con qualche attempa-to custode di chiusa – fino all’altro lato di Henley, ilpaesaggio è sterile e nudo.

Ci alzammo abbastanza presto a Marlow, il lunedìmattina, e ci bagnammo prima di colazione; e al ritorno,Montmorenecy fece la figura dello stupido. Il solo argo-mento sul quale io e Montmorency differiamo seriamen-te è dato dai gatti. A me piacciono i gatti; a Montmore-ney non piacciono.

Se io incontro un gatto, dico: — Micio, micio! — emi curvo a carezzargli il collo, e il gatto inalbera la codain modo da farla apparire una specie di bastoncino diferro fuso, inarca il dorso, e si sfrega e asciuga il nasocontro i miei calzoni; e tutto è gentilezza e pace. SeMontmorency incontra un gatto, tutta la strada lo sa; ein dieci secondi si profonde tanto brutto linguaggio, che,amministrato con cura, potrebbe durare a un galantuomoper tutta la vita.

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sussurrante – non insegnassero loro un più esatto signi-ficato della vita. Essi origliavano, per lunghi giorni, insilenzio, aspettando una voce del cielo; e tutta la giorna-ta e tutta la notte augusta parlavano in miriadi di suoniche essi non intendevano.

Da Medmenham alla bella chiusa di Hambledon ilfiume è pieno di tranquilla bellezza, ma, dopo che essopassa per Greenlands, la poco interessante residenza flu-viale del mio libraio – un cheto modesto vecchietto, chesi può spesso incontrare per queste contrade, durante imesi d’estate, remando in agile e vigoroso stile, o chiac-chierando al passaggio lietamente con qualche attempa-to custode di chiusa – fino all’altro lato di Henley, ilpaesaggio è sterile e nudo.

Ci alzammo abbastanza presto a Marlow, il lunedìmattina, e ci bagnammo prima di colazione; e al ritorno,Montmorenecy fece la figura dello stupido. Il solo argo-mento sul quale io e Montmorency differiamo seriamen-te è dato dai gatti. A me piacciono i gatti; a Montmore-ney non piacciono.

Se io incontro un gatto, dico: — Micio, micio! — emi curvo a carezzargli il collo, e il gatto inalbera la codain modo da farla apparire una specie di bastoncino diferro fuso, inarca il dorso, e si sfrega e asciuga il nasocontro i miei calzoni; e tutto è gentilezza e pace. SeMontmorency incontra un gatto, tutta la strada lo sa; ein dieci secondi si profonde tanto brutto linguaggio, che,amministrato con cura, potrebbe durare a un galantuomoper tutta la vita.

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Io non biasimo il cane (mi contento, in generale, discuotergli la testa o di gettargli dei sassi) perchè so che èla sua natura. I foxterriers hanno in sè quattro volte inpiù della dose di peccato originale degli altri cani, e civorranno anni e anni di paziente sforzo da parte di noicristiani per apportare qualche notevole riforma nellaturbolenza delle loro indole.

Ricordo ch’ero un giorno nella galleria dei Magazzinidi Haymarket, e che ero circondato da cani in attesa delritorno delle padrone, le quali facevano degli acquistinell’interno. Vi erano due cani da pastore, un mastino,un San Bernardo, un po’ di cani da riporto e di Terrano-va, un levriero, un volpino, con molti peli intorno allatesta ma rognoso sulla schiena, un bulldog, un po’ d’ani-mali della dimensione dei topi, e una coppia di cucciolidello Yorkshire.

Se ne stavano pazienti, buoni e pensosi. Sembravache una pace solenne regnasse nella galleria. Un’aria dicalma e di rassegnazione… di soave tristezza pervadevala sala.

Poi entrò una dolce signorina che conduceva un pic-colo foxterrier molto mite all’aspetto. Lo lasciò lì inca-tenato, fra il bulldog e il volpino. Esso se ne stette chetoe guardò in giro per un minuto. Poi levò gli occhi al sof-fitto e parve, giudicando dall’espressione, che pensassealla madre. Quindi sbadigliò. Poi si mise a guardare ingiro gli altri cani, tutti silenziosi, gravi e dignitosi.

Guardò alla sua destra il bulldog, che dormiva tran-quillo e senza sogni. Guardò il volpino, eretto e fiero, a

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Io non biasimo il cane (mi contento, in generale, discuotergli la testa o di gettargli dei sassi) perchè so che èla sua natura. I foxterriers hanno in sè quattro volte inpiù della dose di peccato originale degli altri cani, e civorranno anni e anni di paziente sforzo da parte di noicristiani per apportare qualche notevole riforma nellaturbolenza delle loro indole.

Ricordo ch’ero un giorno nella galleria dei Magazzinidi Haymarket, e che ero circondato da cani in attesa delritorno delle padrone, le quali facevano degli acquistinell’interno. Vi erano due cani da pastore, un mastino,un San Bernardo, un po’ di cani da riporto e di Terrano-va, un levriero, un volpino, con molti peli intorno allatesta ma rognoso sulla schiena, un bulldog, un po’ d’ani-mali della dimensione dei topi, e una coppia di cucciolidello Yorkshire.

Se ne stavano pazienti, buoni e pensosi. Sembravache una pace solenne regnasse nella galleria. Un’aria dicalma e di rassegnazione… di soave tristezza pervadevala sala.

Poi entrò una dolce signorina che conduceva un pic-colo foxterrier molto mite all’aspetto. Lo lasciò lì inca-tenato, fra il bulldog e il volpino. Esso se ne stette chetoe guardò in giro per un minuto. Poi levò gli occhi al sof-fitto e parve, giudicando dall’espressione, che pensassealla madre. Quindi sbadigliò. Poi si mise a guardare ingiro gli altri cani, tutti silenziosi, gravi e dignitosi.

Guardò alla sua destra il bulldog, che dormiva tran-quillo e senza sogni. Guardò il volpino, eretto e fiero, a

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sinistra. Poi, senza una parola di avvertimento, senzal’ombra d’una provocazione, morse il volpino alla gam-ba anteriore, e un latrato di dolore corse per la cheta pe-nombra della galleria.

Il risultato del suo primo esperimento gli sembrò mol-to soddisfacente, e risolse di continuare e animare tuttoquello che c’era in giro. Saltò sul volpino, e attaccò vi-gorosamente un cane da pastore, e il cane da pastore sisvegliò e immediatamente cominciò una feroce e strepi-tosa mischia col volpino. Poi il foxterrier ritornò al suoposto, e acchiappò il bulldog per un orecchio, tanto datrascinarlo con sè; ma il bulldog, una bestia stranamenteimparziale, si slanciò su tutto ciò che poteva raggiunge-re, compreso il portiere della sala; la qual cosa diede aquel caro piccolo foxterrier l’occasione di godersiun’ininterrotta pugna sua speciale con un cane delloYorkshire, egualmente ben disposto.

Chiunque conosce la natura canina non ha bisognod’essere avvertito che, a questo punto, gli altri cani pre-senti combattevano tutti come se il loro cuore e la lorovita dipendessero dalla mischia. I cani grossi combatte-vano l’un contro l’altro indifferentemente, e i piccolis’azzuffavano fra di loro, approfittando del tempo liberocon l’addentare le gambe dei grossi.

Tutta la galleria era un perfetto pandemonio, e il fra-casso sonava terribile. Una folla si era raccolta fuoridell’Haymarket, domandandosi se fosse l’assemblead’una congregazione; o, se no, chi fosse stato ammazza-to, e perchè. Corse gente con pali e funi, tentando di se-

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sinistra. Poi, senza una parola di avvertimento, senzal’ombra d’una provocazione, morse il volpino alla gam-ba anteriore, e un latrato di dolore corse per la cheta pe-nombra della galleria.

Il risultato del suo primo esperimento gli sembrò mol-to soddisfacente, e risolse di continuare e animare tuttoquello che c’era in giro. Saltò sul volpino, e attaccò vi-gorosamente un cane da pastore, e il cane da pastore sisvegliò e immediatamente cominciò una feroce e strepi-tosa mischia col volpino. Poi il foxterrier ritornò al suoposto, e acchiappò il bulldog per un orecchio, tanto datrascinarlo con sè; ma il bulldog, una bestia stranamenteimparziale, si slanciò su tutto ciò che poteva raggiunge-re, compreso il portiere della sala; la qual cosa diede aquel caro piccolo foxterrier l’occasione di godersiun’ininterrotta pugna sua speciale con un cane delloYorkshire, egualmente ben disposto.

Chiunque conosce la natura canina non ha bisognod’essere avvertito che, a questo punto, gli altri cani pre-senti combattevano tutti come se il loro cuore e la lorovita dipendessero dalla mischia. I cani grossi combatte-vano l’un contro l’altro indifferentemente, e i piccolis’azzuffavano fra di loro, approfittando del tempo liberocon l’addentare le gambe dei grossi.

Tutta la galleria era un perfetto pandemonio, e il fra-casso sonava terribile. Una folla si era raccolta fuoridell’Haymarket, domandandosi se fosse l’assemblead’una congregazione; o, se no, chi fosse stato ammazza-to, e perchè. Corse gente con pali e funi, tentando di se-

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parare i cani, e fu mandata a chiamare la polizia.E in mezzo a quella rivolta ritornò la dolce signorina,

che raccattò quell’angelo del suo cane (il quale avevaconciato un cucciolo dello Yorkshire per un mese, e ave-va in quel momento l’espressione d’un agnello neonato)e se lo strinse nelle braccia, baciandolo e domandando-gli se non fosse morto, e che avessero fatto quei brutticagnacci; ed esso si rannicchiò nel seno di lei, guardan-dola fisso in viso con uno sguardo che sembrava dire:«Quanto son lieto che sii venuta a togliermi da questoinferno».

Ella disse che il personale dei magazzini non avevadiritto di permettere che delle orribili bestie come queglialtri cani fossero messi insieme con cani di persone ri-spettabili, e ch’ella era fermamente decisa di far citarequalcuno.

Tale è la natura del foxterrier; e perciò io non biasimoMontmorency per la sua tendenza a litigare coi gatti; manon avrei voluto che quella mattina le avesse obbedito.

Eravamo, come ho detto, di ritorno da un bagno, e, amezza via per il corso, un gatto balzò fuori da una dellecase di fronte, e cominciò a trotterellare nella via. Mont-morency diede un latrato di gioia – il grido di un graveguerriero che vede il nemico caduto nelle sue mani – laspecie di grido che Cromwell avrebbe potuto cacciarequando gli Scozzesi scesero per la collina – e si scagliòdietro la preda.

La sua vittima era un grosso gatto nero. Non avevomai visto un gatto più grosso, nè un gatto dall’aspetto

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parare i cani, e fu mandata a chiamare la polizia.E in mezzo a quella rivolta ritornò la dolce signorina,

che raccattò quell’angelo del suo cane (il quale avevaconciato un cucciolo dello Yorkshire per un mese, e ave-va in quel momento l’espressione d’un agnello neonato)e se lo strinse nelle braccia, baciandolo e domandando-gli se non fosse morto, e che avessero fatto quei brutticagnacci; ed esso si rannicchiò nel seno di lei, guardan-dola fisso in viso con uno sguardo che sembrava dire:«Quanto son lieto che sii venuta a togliermi da questoinferno».

Ella disse che il personale dei magazzini non avevadiritto di permettere che delle orribili bestie come queglialtri cani fossero messi insieme con cani di persone ri-spettabili, e ch’ella era fermamente decisa di far citarequalcuno.

Tale è la natura del foxterrier; e perciò io non biasimoMontmorency per la sua tendenza a litigare coi gatti; manon avrei voluto che quella mattina le avesse obbedito.

Eravamo, come ho detto, di ritorno da un bagno, e, amezza via per il corso, un gatto balzò fuori da una dellecase di fronte, e cominciò a trotterellare nella via. Mont-morency diede un latrato di gioia – il grido di un graveguerriero che vede il nemico caduto nelle sue mani – laspecie di grido che Cromwell avrebbe potuto cacciarequando gli Scozzesi scesero per la collina – e si scagliòdietro la preda.

La sua vittima era un grosso gatto nero. Non avevomai visto un gatto più grosso, nè un gatto dall’aspetto

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meno rassicurante. Aveva perduto la coda, un orecchio,e una parte del naso. Era una bestia lunga e dall’appa-renza muscolosa; e aveva un’aria tranquilla e contenta.

Montmorency si scagliò dietro quel povero gatto allavelocità di venti miglia all’ora; ma il gatto non si mise acorrere – parve non gli fosse lampeggiata l’idea che lasua vita era in pericolo. Trotterellò tranquillamente fin-chè l’eventuale assassino non si trovò a un metro da lui;e poi si voltò e si sedette in mezzo alla strada, guardan-do Montmorency con una soave, interrogativa espres-sione, che diceva:

— Sì! Avete bisogno di me?Montmorency non si perse di coraggio; ma v’era

qualcosa nello sguardo del gatto che avrebbe potuto ag-ghiacciare il cuore del cane più avventuroso. Esso si fer-mò improvvisamente, e guardò a sua volta il gatto.

Nè l’uno nè l’altro parlò; ma la loro conversazione ri-sultò abbastanza chiara.

Il gatto: — Posso far qualcosa per te?Montmorency: — No… no, grazie.Il gatto: — Parla pure, francamente, sai, se hai biso-

gno di qualche cosa.Montmorency (ritraendosi): — Ah no… nulla… non

vorrei disturbarti. Te… temo d’essere incorso in unequivoco. Mi pareva di conoscerti. Mi duole d’averti di-sturbato.

Il gatto: — Buongiorno.Allora il gatto si levò, e continuò il suo trotterello, e

Montmorency, adattando la coda accuratamente nella

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meno rassicurante. Aveva perduto la coda, un orecchio,e una parte del naso. Era una bestia lunga e dall’appa-renza muscolosa; e aveva un’aria tranquilla e contenta.

Montmorency si scagliò dietro quel povero gatto allavelocità di venti miglia all’ora; ma il gatto non si mise acorrere – parve non gli fosse lampeggiata l’idea che lasua vita era in pericolo. Trotterellò tranquillamente fin-chè l’eventuale assassino non si trovò a un metro da lui;e poi si voltò e si sedette in mezzo alla strada, guardan-do Montmorency con una soave, interrogativa espres-sione, che diceva:

— Sì! Avete bisogno di me?Montmorency non si perse di coraggio; ma v’era

qualcosa nello sguardo del gatto che avrebbe potuto ag-ghiacciare il cuore del cane più avventuroso. Esso si fer-mò improvvisamente, e guardò a sua volta il gatto.

Nè l’uno nè l’altro parlò; ma la loro conversazione ri-sultò abbastanza chiara.

Il gatto: — Posso far qualcosa per te?Montmorency: — No… no, grazie.Il gatto: — Parla pure, francamente, sai, se hai biso-

gno di qualche cosa.Montmorency (ritraendosi): — Ah no… nulla… non

vorrei disturbarti. Te… temo d’essere incorso in unequivoco. Mi pareva di conoscerti. Mi duole d’averti di-sturbato.

Il gatto: — Buongiorno.Allora il gatto si levò, e continuò il suo trotterello, e

Montmorency, adattando la coda accuratamente nella

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sua scanalatura, ritornò da noi, e assunse una poco im-portante posizione nella retroguardia.

Ancor oggi, se si dice la parola «Gatti» a Montmoren-cy, egli visibilmente si contrae e vi dà uno sguardo avvi-lito, come per dire:

— Per piacere, non lo dite.Facemmo le nostre compere dopo colazione, e rifor-

nimmo la barca per tre giorni. Giorgio disse che doveva-mo comprare dei vegetali, e ch’era poco igienico nonmangiare dei vegetali. Erano abbastanza facili da cuci-nare, e ci avrebbe pensato lui; così comperammo diecilibbre di patate, uno staio di piselli e un po’ di cavoli. Cifacemmo dare nell’albergo un pasticcio di carne, unpaio di torte d’uvaspina e un cosciotto di castrato; e ciprovvedemmo di frutta, formaggio, pane, burro, pro-sciutto, uova, e di quant’altro potemmo approvvigionar-ci in giro per la città.

La nostra partenza da Marlow io la considero comeuno dei nostri più grandi trionfi. Fu dignitosa e solenne,senza avere in sè alcuna ostentazione. Avevamo insistitoin tutte le botteghe dove ci eravamo recati che la roba cidoveva essere mandata immediatamente. Non ci sarem-mo contentati dei loro: — Sì, signore, la manderò subi-to; il ragazzo arriverà laggiù prima di voi, signori — perpoi stare a baloccarci sull’approdo e ritornare nel nego-zio a litigare. Noi aspettammo che la roba fosse messanel paniere, e conducemmo il garzone con noi.

Ci rivolgemmo a molte botteghe, adottando per cia-scuna lo stesso principio; e la conseguenza fu che,

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sua scanalatura, ritornò da noi, e assunse una poco im-portante posizione nella retroguardia.

Ancor oggi, se si dice la parola «Gatti» a Montmoren-cy, egli visibilmente si contrae e vi dà uno sguardo avvi-lito, come per dire:

— Per piacere, non lo dite.Facemmo le nostre compere dopo colazione, e rifor-

nimmo la barca per tre giorni. Giorgio disse che doveva-mo comprare dei vegetali, e ch’era poco igienico nonmangiare dei vegetali. Erano abbastanza facili da cuci-nare, e ci avrebbe pensato lui; così comperammo diecilibbre di patate, uno staio di piselli e un po’ di cavoli. Cifacemmo dare nell’albergo un pasticcio di carne, unpaio di torte d’uvaspina e un cosciotto di castrato; e ciprovvedemmo di frutta, formaggio, pane, burro, pro-sciutto, uova, e di quant’altro potemmo approvvigionar-ci in giro per la città.

La nostra partenza da Marlow io la considero comeuno dei nostri più grandi trionfi. Fu dignitosa e solenne,senza avere in sè alcuna ostentazione. Avevamo insistitoin tutte le botteghe dove ci eravamo recati che la roba cidoveva essere mandata immediatamente. Non ci sarem-mo contentati dei loro: — Sì, signore, la manderò subi-to; il ragazzo arriverà laggiù prima di voi, signori — perpoi stare a baloccarci sull’approdo e ritornare nel nego-zio a litigare. Noi aspettammo che la roba fosse messanel paniere, e conducemmo il garzone con noi.

Ci rivolgemmo a molte botteghe, adottando per cia-scuna lo stesso principio; e la conseguenza fu che,

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nell’ora che avevamo finito, era a nostra disposizione lapiù bella collezione di ragazzi e di panieri che si potessedesiderare; e la nostra marcia finale in mezzo al corsofino al fiume dev’esser stata il più solenne spettacolo alquale Marlow avesse mai assistito da lungo tempo.

L’ordine della processione era il seguente:Montmorency, che portava un bastone.Due cani, dall’apparenza poco rassicurante, amici di

Montmorency.Giorgio, che portava i soprabiti e le coperte, e fumava

una pipetta corta.Harris, che tentava di camminare con grazia disinvol-

ta, mentre portava una grossa e gonfia valigia in unamano e una bottiglia di succo di limone in un’altra.

Il garzone del fruttivendolo e il garzone del fornaiocon panieri.

Il lustrascarpe dell’albergo, che portava una cesta.Il ragazzo del pasticcere, con paniere.Il ragazzo del droghiere, con paniere.Un cane dal pelo lungo.Il ragazzo del rivenditore di formaggio, con paniere.Uno strano individuo, che portava una valigia.Un amico del cuore dello strano individuo, con le

mani in tasca, e una pipa di creta in bocca.Il ragazzo dell’ortolano, con paniere.Io, che portavo tre cappelli e un paio di stivali, e che

tentavo d’aver l’aria di non saperlo.Sei ragazzini, e quattro cani vaganti.Quando arrivammo all’approdo, il barcaiuolo ci dis-

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nell’ora che avevamo finito, era a nostra disposizione lapiù bella collezione di ragazzi e di panieri che si potessedesiderare; e la nostra marcia finale in mezzo al corsofino al fiume dev’esser stata il più solenne spettacolo alquale Marlow avesse mai assistito da lungo tempo.

L’ordine della processione era il seguente:Montmorency, che portava un bastone.Due cani, dall’apparenza poco rassicurante, amici di

Montmorency.Giorgio, che portava i soprabiti e le coperte, e fumava

una pipetta corta.Harris, che tentava di camminare con grazia disinvol-

ta, mentre portava una grossa e gonfia valigia in unamano e una bottiglia di succo di limone in un’altra.

Il garzone del fruttivendolo e il garzone del fornaiocon panieri.

Il lustrascarpe dell’albergo, che portava una cesta.Il ragazzo del pasticcere, con paniere.Il ragazzo del droghiere, con paniere.Un cane dal pelo lungo.Il ragazzo del rivenditore di formaggio, con paniere.Uno strano individuo, che portava una valigia.Un amico del cuore dello strano individuo, con le

mani in tasca, e una pipa di creta in bocca.Il ragazzo dell’ortolano, con paniere.Io, che portavo tre cappelli e un paio di stivali, e che

tentavo d’aver l’aria di non saperlo.Sei ragazzini, e quattro cani vaganti.Quando arrivammo all’approdo, il barcaiuolo ci dis-

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se:— Ditemi un po’, signori; la vostra è una lancia a va-

pore o una barca coperta?Come apprese che la nostra era una barca a due cop-

pie di remi, parve sorpreso.Avemmo molto da fare con le lance a vapore. Stava

per cominciare la settimana di Henley, e ne passavano ingran numero, alcune sole, altre portando a rimorchiodelle barche. Io odio le lance a vapore, e credo che ognirematore le odii. Non vedo mai una lancia a vapore sen-za sentire il desiderio di attirarle in una parte solitariadel fiume e di strangolarle, nel silenzio e nella solitudi-ne.

Nella lancia a vapore v’è una spocchiosa ostentazioneche ha la virtù di destare ogni pravo istinto della mia na-tura, e io rimpiango il buon tempo antico quando si po-teva andare in giro con un’ascia, con un arco e dellefrecce senza tante cerimonie. L’espressione della facciadell’uomo, che, con le mani in tasca se ne sta accanto altimone fumando un sigaro, basta per sè sola a scusareun impeto di rivolta, e l’imperioso fischio che v’intimadi tirarvi da parte, son certo che assicurerebbe un ver-detto di «omicidio giustificato» da parte di qualsiasi giu-rì degli abitanti delle sponde.

I conduttori delle lance a vapore solevano incomodar-si a fischiare per farci scansare. Se io posso dirlo senzaapparire immodesto, credo di poter onestamente affer-mare che la nostra sola barchetta diede, durante quellasettimana, più noie, molestie e fastidi alle lance a vapore

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se:— Ditemi un po’, signori; la vostra è una lancia a va-

pore o una barca coperta?Come apprese che la nostra era una barca a due cop-

pie di remi, parve sorpreso.Avemmo molto da fare con le lance a vapore. Stava

per cominciare la settimana di Henley, e ne passavano ingran numero, alcune sole, altre portando a rimorchiodelle barche. Io odio le lance a vapore, e credo che ognirematore le odii. Non vedo mai una lancia a vapore sen-za sentire il desiderio di attirarle in una parte solitariadel fiume e di strangolarle, nel silenzio e nella solitudi-ne.

Nella lancia a vapore v’è una spocchiosa ostentazioneche ha la virtù di destare ogni pravo istinto della mia na-tura, e io rimpiango il buon tempo antico quando si po-teva andare in giro con un’ascia, con un arco e dellefrecce senza tante cerimonie. L’espressione della facciadell’uomo, che, con le mani in tasca se ne sta accanto altimone fumando un sigaro, basta per sè sola a scusareun impeto di rivolta, e l’imperioso fischio che v’intimadi tirarvi da parte, son certo che assicurerebbe un ver-detto di «omicidio giustificato» da parte di qualsiasi giu-rì degli abitanti delle sponde.

I conduttori delle lance a vapore solevano incomodar-si a fischiare per farci scansare. Se io posso dirlo senzaapparire immodesto, credo di poter onestamente affer-mare che la nostra sola barchetta diede, durante quellasettimana, più noie, molestie e fastidi alle lance a vapore

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che s’incontravano, che tutte le altre imbarcazioni messeinsieme.

— Viene una lancia a vapore! — gridava uno di noi,avvistando il nemico a distanza; e in un istante tutto erapronto a riceverla. Io mi mettevo al timone, e Harris eGiorgio si sedevano accanto a me, tutti e tre voltando lespalle alla lancia, e la barca fluttuava tranquillamente inmezzo alla corrente.

La lancia continuava ad avanzare fischiando, e noicontinuavamo come se nulla fosse. A circa un centinaiodi metri di distanza, essa cominciava a fischiar furiosa, ei passeggeri correvano a chinarsi di lato vociando controdi noi, ma noi non li sentivamo nemmeno! Harris ci rac-contava un aneddoto di sua madre, e Giorgio e io non neavremmo perduto sillaba per tutto l’oro del mondo.

Allora la lancia dava un urlo finale, con un sibilo chequasi faceva scoppiare la caldaia; e poi rovesciava lesue macchine, soffiava nuvole di vapore, oscillava ingiro e si avvicinava alla sponda: tutti a bordo si precipi-tavano a prua e urlavano contro di noi; e la gente sullasponda si fermava a gridarci contro; e tutte le altre bar-che di passaggio si fermavano a far coro, finchè tutto ilfiume, per miglia su e giù, era in uno stato di freneticaeccitazione. E allora Harris s’interrompeva nella partepiù interessante della sua narrazione, e levava lo sguar-do dolcemente sorpreso per dire a Giorgio:

— Ma, Giorgio, che Dio mi benedica, mi par ci siauna lancia a vapore.

E Giorgio rispondeva:

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che s’incontravano, che tutte le altre imbarcazioni messeinsieme.

— Viene una lancia a vapore! — gridava uno di noi,avvistando il nemico a distanza; e in un istante tutto erapronto a riceverla. Io mi mettevo al timone, e Harris eGiorgio si sedevano accanto a me, tutti e tre voltando lespalle alla lancia, e la barca fluttuava tranquillamente inmezzo alla corrente.

La lancia continuava ad avanzare fischiando, e noicontinuavamo come se nulla fosse. A circa un centinaiodi metri di distanza, essa cominciava a fischiar furiosa, ei passeggeri correvano a chinarsi di lato vociando controdi noi, ma noi non li sentivamo nemmeno! Harris ci rac-contava un aneddoto di sua madre, e Giorgio e io non neavremmo perduto sillaba per tutto l’oro del mondo.

Allora la lancia dava un urlo finale, con un sibilo chequasi faceva scoppiare la caldaia; e poi rovesciava lesue macchine, soffiava nuvole di vapore, oscillava ingiro e si avvicinava alla sponda: tutti a bordo si precipi-tavano a prua e urlavano contro di noi; e la gente sullasponda si fermava a gridarci contro; e tutte le altre bar-che di passaggio si fermavano a far coro, finchè tutto ilfiume, per miglia su e giù, era in uno stato di freneticaeccitazione. E allora Harris s’interrompeva nella partepiù interessante della sua narrazione, e levava lo sguar-do dolcemente sorpreso per dire a Giorgio:

— Ma, Giorgio, che Dio mi benedica, mi par ci siauna lancia a vapore.

E Giorgio rispondeva:

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— Già, mi sembrava d’aver udito qualcosa!E allora noi diventavamo nervosi e confusi, e non sa-

pevamo come scansarci, e la gente nella lancia s’affolla-va intorno a darci delle istruzioni.

— Remate a destra… idiota! Indietro a sinistra. No,non voi… quell’altro. Lasciate stare il timone… ora, tut-ti e due insieme. Non a quel modo… Dico a voi…

Allora calavano un canotto e ci venivano in aiuto, edopo lo sforzo d’un quarto d’ora, ci allontanavamo dallaloro via, in modo che potevano continuare la loro rotta;e noi li ringraziavamo tanto, domandando loro di rimor-chiarci, cosa che non ci fu concessa mai.

Un altro mezzo da noi scoperto per irritare il tipo ari-stocratico della lancia a vapore fu di credere che fossenoleggiata per una scampagnata d’impiegati; e doman-davamo se fosse del personale dei Fratelli Cubit o diquello della ditta Bermondey, e se ci potessero favorirein prestito una padella.

Le signore vecchie, non avvezze al traffico fluviale,hanno sempre una gran paura delle lance a vapore. Ri-cordo una volta che andavo da Staines a Windsor – untratto d’acqua specialmente ricco di queste mostruositàmeccaniche – con una compagnia della quale facevanoparte tre signore. Fu un’escursione eccitante. Alla primae lontana apparizione d’una lancia a vapore esse chiese-ro insistentemente di essere sbarcate, e si sedettero sullariva finchè quella non fu scomparsa. Dicevano ch’eranodolenti, ma per riguardo alle loro famiglie non potevanoesser temerarie.

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— Già, mi sembrava d’aver udito qualcosa!E allora noi diventavamo nervosi e confusi, e non sa-

pevamo come scansarci, e la gente nella lancia s’affolla-va intorno a darci delle istruzioni.

— Remate a destra… idiota! Indietro a sinistra. No,non voi… quell’altro. Lasciate stare il timone… ora, tut-ti e due insieme. Non a quel modo… Dico a voi…

Allora calavano un canotto e ci venivano in aiuto, edopo lo sforzo d’un quarto d’ora, ci allontanavamo dallaloro via, in modo che potevano continuare la loro rotta;e noi li ringraziavamo tanto, domandando loro di rimor-chiarci, cosa che non ci fu concessa mai.

Un altro mezzo da noi scoperto per irritare il tipo ari-stocratico della lancia a vapore fu di credere che fossenoleggiata per una scampagnata d’impiegati; e doman-davamo se fosse del personale dei Fratelli Cubit o diquello della ditta Bermondey, e se ci potessero favorirein prestito una padella.

Le signore vecchie, non avvezze al traffico fluviale,hanno sempre una gran paura delle lance a vapore. Ri-cordo una volta che andavo da Staines a Windsor – untratto d’acqua specialmente ricco di queste mostruositàmeccaniche – con una compagnia della quale facevanoparte tre signore. Fu un’escursione eccitante. Alla primae lontana apparizione d’una lancia a vapore esse chiese-ro insistentemente di essere sbarcate, e si sedettero sullariva finchè quella non fu scomparsa. Dicevano ch’eranodolenti, ma per riguardo alle loro famiglie non potevanoesser temerarie.

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Venimmo a mancare di acqua alla chiusa di Hamble-don; così prendemmo la brocca, e andammo a doman-darne un po’ al guardiano della chiusa.

Giorgio fu il nostro oratore. Assunse un sorriso sedu-cente e disse:

— Per piacere, ci potete dare un po’ di acqua?— Certo — rispose quel vecchio galantuomo —

Prendetevene quanta ne volete, e lasciate il resto.— Grazie tante — mormorò Giorgio, guardando in

giro. — Dove… dove la tenete?— Sempre nello stesso punto, ragazzo mio — rispose

l’altro gravemente; — dietro di voi.— Non la veggo — disse Giorgio, voltandosi.— Che Dio vi benedica, dove avete gli occhi? —

commentò l’altro, facendo voltare Giorgio e indicandola corrente su e giù. — Se ne vede abbastanza, no?

— Ah! — esclamò Giorgio, comprendendo finalmen-te; — ma sapete bene che non possiamo bere il fiume.

— Già, ma potete berne un po’ — rispose il vecchio.— È ciò che bevo io da quindici anni.

Giorgio gli disse che, a giudicar dal suo aspetto, lamarca non era abbastanza raccomandata, e che luil’acqua preferiva attingerla da una pompa.

Ne ottenemmo un po’ da una casetta più su. Anchequella, certo, era acqua di fiume; ma siccome non lo sa-pevamo, ci sembrò buonissima. Ciò che l’occhio nonvede, lo stomaco accetta senza rivolta.

Una volta, durante quel viaggio, provammo a usaredell’acqua di fiume, ma poco felicemente. Venivamo

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Venimmo a mancare di acqua alla chiusa di Hamble-don; così prendemmo la brocca, e andammo a doman-darne un po’ al guardiano della chiusa.

Giorgio fu il nostro oratore. Assunse un sorriso sedu-cente e disse:

— Per piacere, ci potete dare un po’ di acqua?— Certo — rispose quel vecchio galantuomo —

Prendetevene quanta ne volete, e lasciate il resto.— Grazie tante — mormorò Giorgio, guardando in

giro. — Dove… dove la tenete?— Sempre nello stesso punto, ragazzo mio — rispose

l’altro gravemente; — dietro di voi.— Non la veggo — disse Giorgio, voltandosi.— Che Dio vi benedica, dove avete gli occhi? —

commentò l’altro, facendo voltare Giorgio e indicandola corrente su e giù. — Se ne vede abbastanza, no?

— Ah! — esclamò Giorgio, comprendendo finalmen-te; — ma sapete bene che non possiamo bere il fiume.

— Già, ma potete berne un po’ — rispose il vecchio.— È ciò che bevo io da quindici anni.

Giorgio gli disse che, a giudicar dal suo aspetto, lamarca non era abbastanza raccomandata, e che luil’acqua preferiva attingerla da una pompa.

Ne ottenemmo un po’ da una casetta più su. Anchequella, certo, era acqua di fiume; ma siccome non lo sa-pevamo, ci sembrò buonissima. Ciò che l’occhio nonvede, lo stomaco accetta senza rivolta.

Una volta, durante quel viaggio, provammo a usaredell’acqua di fiume, ma poco felicemente. Venivamo

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giù per la corrente, e ci eravamo fermati per farci il tèsulle acque di rigurgito vicino a Windsor. La nostrabrocca era vuota, e si trattava o di far senza del tè o diattinger l’acqua del fiume. Harris fu d’opinioned’affrontare il rischio. Facendo bollir l’acqua, non c’erapericolo di sorta. I vari germi velenosi presentinell’acqua sarebbero stati uccisi dall’ebullizione. Cosìriempimmo il calderino con l’acqua di rigurgito del Ta-migi e lo mettemmo sul fuoco, badando accuratamenteche bollisse.

Avevamo fatto il tè, e ci stavamo appunto preparandoa sorbirlo comodamente, quando Giorgio, con la tazzainnanzi alle labbra, si fermò esclamando:

— Che cosa c’è?— Che cosa c’è? — domandammo Harris e io.— Guardate! — disse Giorgio, guardando a occiden-

te.Harris e io seguimmo il suo sguardo, e vedemmo ve-

nire all’ingiù, sulla pigra corrente, un cane. Era uno deipiù cheti e pacifici cani che avessi mai veduti. Non ave-vo mai incontrato un cane che sembrasse più rassegnatodi spirito… più tranquillo. Fluttuava languidamente vol-tato sulla schiena, con le quattro gambe puntate rigida-mente in aria. Era ciò che direi un cane col corpo assaigonfio, col petto ben sviluppato. Veniva innanzi sereno,dignitoso e calmo, finchè non arrivò di fronte alla barca,dove, fra i giunchi, si arrestò e si adagiò bellamente perla notte.

Giorgio disse che non voleva più il tè, e vuotò la sua

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giù per la corrente, e ci eravamo fermati per farci il tèsulle acque di rigurgito vicino a Windsor. La nostrabrocca era vuota, e si trattava o di far senza del tè o diattinger l’acqua del fiume. Harris fu d’opinioned’affrontare il rischio. Facendo bollir l’acqua, non c’erapericolo di sorta. I vari germi velenosi presentinell’acqua sarebbero stati uccisi dall’ebullizione. Cosìriempimmo il calderino con l’acqua di rigurgito del Ta-migi e lo mettemmo sul fuoco, badando accuratamenteche bollisse.

Avevamo fatto il tè, e ci stavamo appunto preparandoa sorbirlo comodamente, quando Giorgio, con la tazzainnanzi alle labbra, si fermò esclamando:

— Che cosa c’è?— Che cosa c’è? — domandammo Harris e io.— Guardate! — disse Giorgio, guardando a occiden-

te.Harris e io seguimmo il suo sguardo, e vedemmo ve-

nire all’ingiù, sulla pigra corrente, un cane. Era uno deipiù cheti e pacifici cani che avessi mai veduti. Non ave-vo mai incontrato un cane che sembrasse più rassegnatodi spirito… più tranquillo. Fluttuava languidamente vol-tato sulla schiena, con le quattro gambe puntate rigida-mente in aria. Era ciò che direi un cane col corpo assaigonfio, col petto ben sviluppato. Veniva innanzi sereno,dignitoso e calmo, finchè non arrivò di fronte alla barca,dove, fra i giunchi, si arrestò e si adagiò bellamente perla notte.

Giorgio disse che non voleva più il tè, e vuotò la sua

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tazza nell’acqua. Neanche Harris aveva più sete, e fecela stessa cosa. Io avevo bevuto metà della mia, ma avreivoluto non averla bevuta.

Domandai a Giorgio se pensasse che avrei potuto am-malarmi di tifo.

Rispose di no; che probabilmente non lo avrei preso:ma che, a ogni modo, fra una quindicina, si sarebbe po-tuto sapere se l’avessi preso o no.

Ci spingemmo fin sulle acque di rigurgito di Wargra-ve. È una breve scorciatoia, che conduce alla riva destraa circa mezzo miglio al di sopra della chiusa di Marsh,ed è degna d’esser percorsa, giacchè è un leggiadro trat-to di corrente ombrosa e fa risparmiare quasi mezzo mi-glio di viaggio.

Naturalmente il suo ingresso è tempestato di pilastri edi catene, e circondato di cartelli che minacciano ognispecie di tortura, di prigione e di morte a quanti osinoremare su quelle acque – mi stupisco che quei villani diproprietari rivieraschi non vantino dei titoli sull’aria delfiume e non minaccino con quaranta scellini di multachiunque la respiri – ma i pilastri e le catene con un po’d’abilità si evitano; e quanto ai cartelli, se ne possono,se si ha un po’ di tempo a disposizione e non v’è nessu-no in vista, prendere un paio o più e gettarli nel fiume.

A mezza via sull’acqua di rigurgito, noi approdammoper far colazione; e fu durante la colazione che Giorgioe io fummo invasi da un grande spavento.

Anche Harris provò un grande spavento; ma non cre-do che il suo potesse esser così grave.

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tazza nell’acqua. Neanche Harris aveva più sete, e fecela stessa cosa. Io avevo bevuto metà della mia, ma avreivoluto non averla bevuta.

Domandai a Giorgio se pensasse che avrei potuto am-malarmi di tifo.

Rispose di no; che probabilmente non lo avrei preso:ma che, a ogni modo, fra una quindicina, si sarebbe po-tuto sapere se l’avessi preso o no.

Ci spingemmo fin sulle acque di rigurgito di Wargra-ve. È una breve scorciatoia, che conduce alla riva destraa circa mezzo miglio al di sopra della chiusa di Marsh,ed è degna d’esser percorsa, giacchè è un leggiadro trat-to di corrente ombrosa e fa risparmiare quasi mezzo mi-glio di viaggio.

Naturalmente il suo ingresso è tempestato di pilastri edi catene, e circondato di cartelli che minacciano ognispecie di tortura, di prigione e di morte a quanti osinoremare su quelle acque – mi stupisco che quei villani diproprietari rivieraschi non vantino dei titoli sull’aria delfiume e non minaccino con quaranta scellini di multachiunque la respiri – ma i pilastri e le catene con un po’d’abilità si evitano; e quanto ai cartelli, se ne possono,se si ha un po’ di tempo a disposizione e non v’è nessu-no in vista, prendere un paio o più e gettarli nel fiume.

A mezza via sull’acqua di rigurgito, noi approdammoper far colazione; e fu durante la colazione che Giorgioe io fummo invasi da un grande spavento.

Anche Harris provò un grande spavento; ma non cre-do che il suo potesse esser così grave.

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Se volete sapere, fu così: stavamo seduti in un prato,a circa dieci metri dall’orlo della corrente, e ci eravamoappunto comodamente installati per mangiare. Harrisaveva il pasticcio di carne fra le ginocchia e lo stavascalcando, e Giorgio e io stavamo pronti coi piatti.

— Hai un cucchiaio lì? — disse Harris. — Ho biso-gno d’un cucchiaio per pigliare il sugo.

La cesta era dietro di noi, e Giorgio e io ci voltammoper pigliarne uno. Ci vollero meno di cinque secondi.Quando ci voltammo, Harris e il pasticcio erano spariti.

Era una vasta, aperta campagna. Non v’era un alberoo tratto di siepe per un centinaio di metri. Egli non pote-va esser precipitato nel fiume, perchè eravamo noi sulmargine del fiume, e avrebbe dovuto passare sul nostrocorpo per cadervi.

Giorgio e io guardammo in giro. Poi ci guardammo avicenda.

— È stato rapito in cielo? — domandai.— Non si sarebbe portato anche il pasticcio — disse

Giorgio.L’obiezione era abbastanza grave, e mettemmo da

parte la teoria celeste.— Immagino che la verità sarà questa — opinò Gior-

gio, discendendo al comune e al pratico: — che ci siastato un terremoto. — E poi aggiunse, con una punta ditristezza nella voce: — Se almeno non fosse stato occu-pato a tagliare quel pasticcio!

Con un sospiro volgemmo ancora gli occhi verso ilpunto dove Harris e il pasticcio erano stati l’ultima volta

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Se volete sapere, fu così: stavamo seduti in un prato,a circa dieci metri dall’orlo della corrente, e ci eravamoappunto comodamente installati per mangiare. Harrisaveva il pasticcio di carne fra le ginocchia e lo stavascalcando, e Giorgio e io stavamo pronti coi piatti.

— Hai un cucchiaio lì? — disse Harris. — Ho biso-gno d’un cucchiaio per pigliare il sugo.

La cesta era dietro di noi, e Giorgio e io ci voltammoper pigliarne uno. Ci vollero meno di cinque secondi.Quando ci voltammo, Harris e il pasticcio erano spariti.

Era una vasta, aperta campagna. Non v’era un alberoo tratto di siepe per un centinaio di metri. Egli non pote-va esser precipitato nel fiume, perchè eravamo noi sulmargine del fiume, e avrebbe dovuto passare sul nostrocorpo per cadervi.

Giorgio e io guardammo in giro. Poi ci guardammo avicenda.

— È stato rapito in cielo? — domandai.— Non si sarebbe portato anche il pasticcio — disse

Giorgio.L’obiezione era abbastanza grave, e mettemmo da

parte la teoria celeste.— Immagino che la verità sarà questa — opinò Gior-

gio, discendendo al comune e al pratico: — che ci siastato un terremoto. — E poi aggiunse, con una punta ditristezza nella voce: — Se almeno non fosse stato occu-pato a tagliare quel pasticcio!

Con un sospiro volgemmo ancora gli occhi verso ilpunto dove Harris e il pasticcio erano stati l’ultima volta

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veduti sulla terra, e colà, mentre il sangue ci si agghiac-ciava nelle vene e ci si rizzavano i capelli sul cranio, ve-demmo la testa di Harris – e null’altro che la testa – sbu-car dritta fra l’erba alta, con la faccia scarlatta e dipintadella più viva indignazione.

Giorgio fu il primo a riaversi.— Parla! — gridò — e dicci se sei vivo o morto… e

dove hai tutto il resto del corpo.— Non far lo stupido! — disse la testa di Harris. —

Voi certo l’avete fatto apposta.— Fatto che? — chiedemmo Giorgio e io.— M’avete fatto seder qui… è uno stupido scherzo.

Qua, pigliate il pasticcio.E fuor della terra, come ci sembrò, si levò il pasticcio

– assai sudicio e inzaccherato; e dietro di esso si arram-picò Harris bagnato, infangato e disfatto.

Egli s’era seduto, senza accorgersene, sul ciglio d’unfosso che la lunga erba nascondeva alla vista, e, nel ti-rarsi indietro, v’era precipitato col pasticcio e tutto.

Disse che non aveva mai avuto una simile sorpresa invita sua, sentendosi andar giù senza saper minimamenteciò che gli accadesse. Aveva pensato sulle prime chefosse arrivata la fine del mondo.

Harris crede ancor oggi che Giorgio e io avessimopreparato di lunga mano il tranello. Così l’ingiusto so-spetto segue anche i più irreprensibili; poichè, comedice il poeta: «Chi sfuggirà alla calunnia?».

Chi, veramente?

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veduti sulla terra, e colà, mentre il sangue ci si agghiac-ciava nelle vene e ci si rizzavano i capelli sul cranio, ve-demmo la testa di Harris – e null’altro che la testa – sbu-car dritta fra l’erba alta, con la faccia scarlatta e dipintadella più viva indignazione.

Giorgio fu il primo a riaversi.— Parla! — gridò — e dicci se sei vivo o morto… e

dove hai tutto il resto del corpo.— Non far lo stupido! — disse la testa di Harris. —

Voi certo l’avete fatto apposta.— Fatto che? — chiedemmo Giorgio e io.— M’avete fatto seder qui… è uno stupido scherzo.

Qua, pigliate il pasticcio.E fuor della terra, come ci sembrò, si levò il pasticcio

– assai sudicio e inzaccherato; e dietro di esso si arram-picò Harris bagnato, infangato e disfatto.

Egli s’era seduto, senza accorgersene, sul ciglio d’unfosso che la lunga erba nascondeva alla vista, e, nel ti-rarsi indietro, v’era precipitato col pasticcio e tutto.

Disse che non aveva mai avuto una simile sorpresa invita sua, sentendosi andar giù senza saper minimamenteciò che gli accadesse. Aveva pensato sulle prime chefosse arrivata la fine del mondo.

Harris crede ancor oggi che Giorgio e io avessimopreparato di lunga mano il tranello. Così l’ingiusto so-spetto segue anche i più irreprensibili; poichè, comedice il poeta: «Chi sfuggirà alla calunnia?».

Chi, veramente?

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CAPITOLO XIV.

Wargrave. – Figure di cera. – Sonning. – Il nostro stufato. –Montmorency è sarcastico. – Battaglia fra Montmorency e ilcalderino del tè. – Gli studî sul banjo di Giorgio. – Scoraggia-menti. – Difficoltà sulla via del dilettante di musica. La corna-musa. – Harris dopo cena si sente triste. – Giorgio e io andia-mo a passeggio. – Ritorniamo affamati e bagnati. – La stranez-za di Harris. – Harris e i cigni. – Harris ha una notte inquieta.

Si levò una brezza, dopo colazione, che ci portò gen-tilmente oltre Wargrave e Shiplake. Avvolta dalla graveluce d’un pomeriggio estivo, Wargrave, annidatanell’incurvatura del fiume, vi si presenta come un belquadro antico, e vi rimane a lungo sulla retina della me-moria.

L’albergo «Giorgio e il Drago» di Wargrave vantaun’insegna dipinta su un lato da Leslie e sull’altro daHodgson. Leslie ha figurato la battaglia; Hodgson haimmaginato la scena «Dopo la battaglia», cioè Giorgio,che, compiuta la fatica, si gode la sua pinta di birra.

Day, l’autore di «Sandford, and Merton», visse e –maggior onore per il luogo – fu ucciso a Wargrave. Nel-la chiesa v’è un monumento alla signora Sarah Hill chelasciò per testamento trenta lire annue da esser divise aPasqua fra due fanciulli e due fanciulle che «hanno ob-bedito sempre ai loro genitori, e che a conoscenza pub-blica non hanno mai bestemmiato o detto menzogna,

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CAPITOLO XIV.

Wargrave. – Figure di cera. – Sonning. – Il nostro stufato. –Montmorency è sarcastico. – Battaglia fra Montmorency e ilcalderino del tè. – Gli studî sul banjo di Giorgio. – Scoraggia-menti. – Difficoltà sulla via del dilettante di musica. La corna-musa. – Harris dopo cena si sente triste. – Giorgio e io andia-mo a passeggio. – Ritorniamo affamati e bagnati. – La stranez-za di Harris. – Harris e i cigni. – Harris ha una notte inquieta.

Si levò una brezza, dopo colazione, che ci portò gen-tilmente oltre Wargrave e Shiplake. Avvolta dalla graveluce d’un pomeriggio estivo, Wargrave, annidatanell’incurvatura del fiume, vi si presenta come un belquadro antico, e vi rimane a lungo sulla retina della me-moria.

L’albergo «Giorgio e il Drago» di Wargrave vantaun’insegna dipinta su un lato da Leslie e sull’altro daHodgson. Leslie ha figurato la battaglia; Hodgson haimmaginato la scena «Dopo la battaglia», cioè Giorgio,che, compiuta la fatica, si gode la sua pinta di birra.

Day, l’autore di «Sandford, and Merton», visse e –maggior onore per il luogo – fu ucciso a Wargrave. Nel-la chiesa v’è un monumento alla signora Sarah Hill chelasciò per testamento trenta lire annue da esser divise aPasqua fra due fanciulli e due fanciulle che «hanno ob-bedito sempre ai loro genitori, e che a conoscenza pub-blica non hanno mai bestemmiato o detto menzogna,

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non hanno mai rubato o rotto delle finestre». Immagina-te che si possa rinunziar a tutto questo per un po’ più disette lire all’anno! Proprio non mette conto.

Corre voce nella città che una volta, molti anni fa, ap-parve un ragazzo che non aveva commesso nessuna diqueste cose – o che, a ogni modo, non si sapeva le aves-se mai commesse, giacchè era questa la condizione ri-chiesta – e che conquistò la gloriosa palma. Egli fu mes-so in mostra per tre settimane nella gran sala del munici-pio, sotto una campana di vetro.

Nessuno sa da quel tempo che sia avvenuto del dena-ro. Si dice che, dopo, sia stato assegnato sempre all’ulti-mo museo di cera.

Shiplake è un piccolo villaggio, ma è sulla collina, enon si scorge dal fiume. Tennyson si sposò nella chiesadi Shiplake.

Il fiume fino a Sonning serpeggia fra molte isole, ed èmolto placido, raccolto e solitario. Poca gente e, nell’oradel crepuscolo, qualche coppia di rustici innamorati chepasseggiano lungo le rive. I bellimbusti e gli elegantisono stati lasciati indietro a Henley, e il lugubre, sudicioReading non è ancora, raggiunto. È una parte del fiumenella quale si sogna dei giorni passati, e le forme e lefacce svanite, e le cose che possono esser state e chenon sono li confondono.

Arrivammo a Sonning, e andammo a fare una passeg-giatina per il villaggio. È il più incantevole cantucciodel Tamigi. Sembra più un villaggio da palcoscenico cheuna costruzione di mattoni e di calce. Ogni cosa è soffo-

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non hanno mai rubato o rotto delle finestre». Immagina-te che si possa rinunziar a tutto questo per un po’ più disette lire all’anno! Proprio non mette conto.

Corre voce nella città che una volta, molti anni fa, ap-parve un ragazzo che non aveva commesso nessuna diqueste cose – o che, a ogni modo, non si sapeva le aves-se mai commesse, giacchè era questa la condizione ri-chiesta – e che conquistò la gloriosa palma. Egli fu mes-so in mostra per tre settimane nella gran sala del munici-pio, sotto una campana di vetro.

Nessuno sa da quel tempo che sia avvenuto del dena-ro. Si dice che, dopo, sia stato assegnato sempre all’ulti-mo museo di cera.

Shiplake è un piccolo villaggio, ma è sulla collina, enon si scorge dal fiume. Tennyson si sposò nella chiesadi Shiplake.

Il fiume fino a Sonning serpeggia fra molte isole, ed èmolto placido, raccolto e solitario. Poca gente e, nell’oradel crepuscolo, qualche coppia di rustici innamorati chepasseggiano lungo le rive. I bellimbusti e gli elegantisono stati lasciati indietro a Henley, e il lugubre, sudicioReading non è ancora, raggiunto. È una parte del fiumenella quale si sogna dei giorni passati, e le forme e lefacce svanite, e le cose che possono esser state e chenon sono li confondono.

Arrivammo a Sonning, e andammo a fare una passeg-giatina per il villaggio. È il più incantevole cantucciodel Tamigi. Sembra più un villaggio da palcoscenico cheuna costruzione di mattoni e di calce. Ogni cosa è soffo-

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cata dalle rose, e allora, nei primi giorni di giugno, esseerano fiorite in aiuole di squisito splendore. Se vi ferma-te a Sonning, sostate al «Bull» dietro la chiesa. È unvero quadro d’un vecchio albergo di campagna, con unverde cortile quadrato, dove, sui sedili sotto gli alberi, ivecchi si riuniscono la sera a bere la birra e a discuteredella politica paesana; con stanze, bizzarre camere e fi-nestre ingraticciate, e delle scale malcomode e dei corri-doi tortuosi.

Vogammo intorno al dolce Sonning per un’ora a un dipresso, e poi, essendosi fatto troppo tardi per spingercifin oltre Reading, decidemmo di ritornare a un’isola del-lo Shiplake, e di fermarci colà per la notte. Arrivammoche era ancora presto, e Giorgio disse che, siccome c’eragran tempo innanzi a noi, si aveva l’occasione di tentarela preparazione di una buona, magnifica cena. Lui ciavrebbe mostrato di che cosa fosse capace in fatto di cu-linaria, e dichiarò che con la verdura, i resti del manzofreddo e tutti i rimasugli c’era da improvvisare un mera-viglioso stufato irlandese.

L’idea era affascinante. Giorgio raccolse della legna eaccese il fuoco, e io e Harris ci mettemmo a mondare lepatate. Non avrei mai pensato che la mondatura dellepatate fosse un’impresa tale. Il lavoro risultò la più grancosa della sua specie, che avessimo mai affrontata. Co-minciammo allegramente, si potrebbe dire quasi legger-mente, ma la nostra incuranza s’era bella e dileguata nelmomento che la prima patata fu finita. Quanto più lasbucciavamo, tanto più buccia sembrava le rimanesse, e

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cata dalle rose, e allora, nei primi giorni di giugno, esseerano fiorite in aiuole di squisito splendore. Se vi ferma-te a Sonning, sostate al «Bull» dietro la chiesa. È unvero quadro d’un vecchio albergo di campagna, con unverde cortile quadrato, dove, sui sedili sotto gli alberi, ivecchi si riuniscono la sera a bere la birra e a discuteredella politica paesana; con stanze, bizzarre camere e fi-nestre ingraticciate, e delle scale malcomode e dei corri-doi tortuosi.

Vogammo intorno al dolce Sonning per un’ora a un dipresso, e poi, essendosi fatto troppo tardi per spingercifin oltre Reading, decidemmo di ritornare a un’isola del-lo Shiplake, e di fermarci colà per la notte. Arrivammoche era ancora presto, e Giorgio disse che, siccome c’eragran tempo innanzi a noi, si aveva l’occasione di tentarela preparazione di una buona, magnifica cena. Lui ciavrebbe mostrato di che cosa fosse capace in fatto di cu-linaria, e dichiarò che con la verdura, i resti del manzofreddo e tutti i rimasugli c’era da improvvisare un mera-viglioso stufato irlandese.

L’idea era affascinante. Giorgio raccolse della legna eaccese il fuoco, e io e Harris ci mettemmo a mondare lepatate. Non avrei mai pensato che la mondatura dellepatate fosse un’impresa tale. Il lavoro risultò la più grancosa della sua specie, che avessimo mai affrontata. Co-minciammo allegramente, si potrebbe dire quasi legger-mente, ma la nostra incuranza s’era bella e dileguata nelmomento che la prima patata fu finita. Quanto più lasbucciavamo, tanto più buccia sembrava le rimanesse, e

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quando le fu tolta tutta la buccia e le furon tolti tutti gliocchi, la patata non c’era più – almeno nulla che si po-tesse considerare quale una patata. Venne Giorgio e lediede un’occhiata: essa era a un di presso della dimen-sione d’una noce moscata. Egli disse:

— Così non va. Voi le sprecate. Dovete raschiarle.Così le raschiammo; ma era più difficile che sbucciar-

le. Sono d’una forma così bizzarra le patate – tutte boz-ze ed escrescenze e fossette. Lavorammo gaiamente perventicinque minuti, e avevamo raschiate quattro patate.Poi cessammo, dicendo che ci sarebbe voluta tutta lasera per raschiare noi stessi.

Non sapevo che una faccenda come la raschiaturadelle patate potesse confondere una persona. Sembravadifficile credere che dalla raschiatura in cui io e Harrisci eravamo tuffati, mezzo soffocati, potessero essereuscite quattro sole patate. Questo mostra che cosa sipossa ottenere con l’economia e l’attenzione.

Giorgio disse ch’era assurdo aver solo quattro patatein uno stufato irlandese; così ne lavammo un’altra mez-za dozzina e le mettemmo nello stufato senza sbucciar-le. Aggiungemmo anche un cavolo e un paio di chili dipiselli. Giorgio rimescolò il tutto, e poi, avendo osserva-to che vi rimaneva tant’altro spazio, frugammo nelledue ceste, e ne cavammo quante ne potemmo cavare,per aggiungerle allo stufato. V’era un mezzo pasticciodi maiale e un pezzo di prosciutto cotto avanzato, e met-temmo anche quelli. Poi Giorgio trovò una mezza scato-la di salmone, e la vuotò nel recipiente.

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quando le fu tolta tutta la buccia e le furon tolti tutti gliocchi, la patata non c’era più – almeno nulla che si po-tesse considerare quale una patata. Venne Giorgio e lediede un’occhiata: essa era a un di presso della dimen-sione d’una noce moscata. Egli disse:

— Così non va. Voi le sprecate. Dovete raschiarle.Così le raschiammo; ma era più difficile che sbucciar-

le. Sono d’una forma così bizzarra le patate – tutte boz-ze ed escrescenze e fossette. Lavorammo gaiamente perventicinque minuti, e avevamo raschiate quattro patate.Poi cessammo, dicendo che ci sarebbe voluta tutta lasera per raschiare noi stessi.

Non sapevo che una faccenda come la raschiaturadelle patate potesse confondere una persona. Sembravadifficile credere che dalla raschiatura in cui io e Harrisci eravamo tuffati, mezzo soffocati, potessero essereuscite quattro sole patate. Questo mostra che cosa sipossa ottenere con l’economia e l’attenzione.

Giorgio disse ch’era assurdo aver solo quattro patatein uno stufato irlandese; così ne lavammo un’altra mez-za dozzina e le mettemmo nello stufato senza sbucciar-le. Aggiungemmo anche un cavolo e un paio di chili dipiselli. Giorgio rimescolò il tutto, e poi, avendo osserva-to che vi rimaneva tant’altro spazio, frugammo nelledue ceste, e ne cavammo quante ne potemmo cavare,per aggiungerle allo stufato. V’era un mezzo pasticciodi maiale e un pezzo di prosciutto cotto avanzato, e met-temmo anche quelli. Poi Giorgio trovò una mezza scato-la di salmone, e la vuotò nel recipiente.

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Disse che quello era il vantaggio dello stufato irlande-se: v’era da sbarazzarsi d’un mucchio di roba. Io ripe-scai un paio d’uova che s’erano screpolate e le misi colresto. Giorgio osservò che avrebbero corroborato ilsugo.

Dimentico gli altri ingredienti, ma so che nulla andòsciupato. Ricordo che, verso la fine, Montmorency, ilquale aveva mostrato grande interesse a tutte le opera-zioni, filò via a un tratto, con un’aria grave e pensosa,riapparendo, pochi minuti dopo, con un topo morto inbocca, ch’egli evidentemente voleva presentare comeproprio contributo al pasto, se con spirito sarcastico, ocon desiderio genuino di fare anche lui la sua parte, nonsaprei dire.

Discutemmo un po’ se il topo dovesse o no entrarenello stufato. Harris disse che sarebbe andato ottima-mente, mischiato con tutto il resto, e che ogni poco face-va; ma Giorgio resistette, tenendo conto dei precedenti,giacchè non aveva mai saputo che i topi d’acqua entras-sero nello stufato irlandese, e, nel dubbio, era meglioappigliarsi al sicuro e non tentare esperimenti.

Harris disse:— Se non si tentano le cose nuove, come potete dirne

la qualità? Sono gli uomini come voi che ostacolano ilprogresso del mondo. Pensate all’uomo che per primotentò la salsiccia tedesca.

Fu un gran buon successo quello stufato irlandese.Non avevo mai tanto gustato un pasto. Si sentiva qual-cosa di così nuovo e piccante. Il palato si stanca delle

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Disse che quello era il vantaggio dello stufato irlande-se: v’era da sbarazzarsi d’un mucchio di roba. Io ripe-scai un paio d’uova che s’erano screpolate e le misi colresto. Giorgio osservò che avrebbero corroborato ilsugo.

Dimentico gli altri ingredienti, ma so che nulla andòsciupato. Ricordo che, verso la fine, Montmorency, ilquale aveva mostrato grande interesse a tutte le opera-zioni, filò via a un tratto, con un’aria grave e pensosa,riapparendo, pochi minuti dopo, con un topo morto inbocca, ch’egli evidentemente voleva presentare comeproprio contributo al pasto, se con spirito sarcastico, ocon desiderio genuino di fare anche lui la sua parte, nonsaprei dire.

Discutemmo un po’ se il topo dovesse o no entrarenello stufato. Harris disse che sarebbe andato ottima-mente, mischiato con tutto il resto, e che ogni poco face-va; ma Giorgio resistette, tenendo conto dei precedenti,giacchè non aveva mai saputo che i topi d’acqua entras-sero nello stufato irlandese, e, nel dubbio, era meglioappigliarsi al sicuro e non tentare esperimenti.

Harris disse:— Se non si tentano le cose nuove, come potete dirne

la qualità? Sono gli uomini come voi che ostacolano ilprogresso del mondo. Pensate all’uomo che per primotentò la salsiccia tedesca.

Fu un gran buon successo quello stufato irlandese.Non avevo mai tanto gustato un pasto. Si sentiva qual-cosa di così nuovo e piccante. Il palato si stanca delle

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vecchie cose comuni: e lì c’era un piatto con una fra-granza nuova, con un sapore come nient’altro su questaterra.

Ed era anche nutriente. Come Giorgio disse, v’eradella sostanza nelle vivande. I piselli e le patate sarebbe-ro potuti essere un poco più teneri; ma avevamo tutti etre dei buoni denti, e la cosa non aveva alcuna importan-za; e quanto al sugo, esso era un poema – un po’ troppograve, forse, per uno stomaco debole, ma sostanzioso.

Finimmo col tè e la torta di ciliege. Montmorency so-stenne una battaglia col calderino, durante il tempo deltè, e ne ebbe la peggio.

In tutta l’escursione, esso aveva mostrato una grandecuriosità riguardo al calderino. Si sedeva a guardarlo,mentre bolliva, con un’espressione perplessa, e provavaa eccitarlo di tanto in tanto digrignando i denti. Quandoil recipiente cominciava a schizzare e a fumare, Mont-morency riteneva quei segni come una sfida, e volevaassaltarlo. Soltanto che in quel momento stesso qualcu-no si slanciava a portargli via la preda prima ch’esso po-tesse raggiungerla.

Quella sera Montmorency risolse di anticipare. Alprimo suono emesso dal calderino, esso si levò, digri-gnando i denti e avanzando in atteggiamento minaccio-so. Il calderino era molto piccolo, ma era pieno di co-raggio, e a un tratto gli sputò sul muso.

— Ah! sì? — digrignò Montmorency, mostrandogli identi. — T’insegnerò io a trattare così un cane onesto erispettabile, o sudicio e miserabile briccone dal naso

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vecchie cose comuni: e lì c’era un piatto con una fra-granza nuova, con un sapore come nient’altro su questaterra.

Ed era anche nutriente. Come Giorgio disse, v’eradella sostanza nelle vivande. I piselli e le patate sarebbe-ro potuti essere un poco più teneri; ma avevamo tutti etre dei buoni denti, e la cosa non aveva alcuna importan-za; e quanto al sugo, esso era un poema – un po’ troppograve, forse, per uno stomaco debole, ma sostanzioso.

Finimmo col tè e la torta di ciliege. Montmorency so-stenne una battaglia col calderino, durante il tempo deltè, e ne ebbe la peggio.

In tutta l’escursione, esso aveva mostrato una grandecuriosità riguardo al calderino. Si sedeva a guardarlo,mentre bolliva, con un’espressione perplessa, e provavaa eccitarlo di tanto in tanto digrignando i denti. Quandoil recipiente cominciava a schizzare e a fumare, Mont-morency riteneva quei segni come una sfida, e volevaassaltarlo. Soltanto che in quel momento stesso qualcu-no si slanciava a portargli via la preda prima ch’esso po-tesse raggiungerla.

Quella sera Montmorency risolse di anticipare. Alprimo suono emesso dal calderino, esso si levò, digri-gnando i denti e avanzando in atteggiamento minaccio-so. Il calderino era molto piccolo, ma era pieno di co-raggio, e a un tratto gli sputò sul muso.

— Ah! sì? — digrignò Montmorency, mostrandogli identi. — T’insegnerò io a trattare così un cane onesto erispettabile, o sudicio e miserabile briccone dal naso

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lungo. Avanti!E si slanciò sul calderino, e lo prese per il becco.Allora, a traverso la calma della sera, eruppe uno stra-

ziante latrato, e Montmorency lasciò la barca e fece trevolte una passeggiata igienica intorno all’isola alla velo-cità di trentacinque miglia all’ora, fermandosi di tanto intanto a seppellire il naso in un po’ di fango freddo.

Da quel giorno Montmorency guardò il calderino conun misto di timore, di sospetto e di odio. Tutte le volteche lo vedeva, digrignava i denti e si ritraeva a passo ra-pido, con la coda abbassata; e nell’istante che lo guarda-va accovacciato sul fornello, subito filava fuori dellabarca, e se n’andava a sedersi sulla sponda, aspettandoche la faccenda del tè fosse finita.

Giorgio prese il banjo dopo cena, e voleva sonarlo,ma Harris protestò, dicendo che aveva il mal di testa enon si sentiva forte abbastanza da resistere allo strumen-to. Giorgio pensava invece che la musica potesse farglibene: la musica spesso gli aveva lenito i nervi e fugato ilmal di testa; e strimpellò due o tre note, appunto permostrare ad Harris la dolcezza del suono.

Harris osservò che si sarebbe tenuto piuttosto il maldi testa.

Fino a quel giorno Giorgio non aveva mai imparato asonare il banjo. Aveva incontrato troppo scoraggiamentoda per tutto. Aveva tentato due o tre sere sul fiume difare un po’ di pratica, ma senza incontrare mai un cennodi approvazione. Le espressioni usate da Harris eranotali da scoraggiare chiunque; e oltre a questo, Montmo-

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lungo. Avanti!E si slanciò sul calderino, e lo prese per il becco.Allora, a traverso la calma della sera, eruppe uno stra-

ziante latrato, e Montmorency lasciò la barca e fece trevolte una passeggiata igienica intorno all’isola alla velo-cità di trentacinque miglia all’ora, fermandosi di tanto intanto a seppellire il naso in un po’ di fango freddo.

Da quel giorno Montmorency guardò il calderino conun misto di timore, di sospetto e di odio. Tutte le volteche lo vedeva, digrignava i denti e si ritraeva a passo ra-pido, con la coda abbassata; e nell’istante che lo guarda-va accovacciato sul fornello, subito filava fuori dellabarca, e se n’andava a sedersi sulla sponda, aspettandoche la faccenda del tè fosse finita.

Giorgio prese il banjo dopo cena, e voleva sonarlo,ma Harris protestò, dicendo che aveva il mal di testa enon si sentiva forte abbastanza da resistere allo strumen-to. Giorgio pensava invece che la musica potesse farglibene: la musica spesso gli aveva lenito i nervi e fugato ilmal di testa; e strimpellò due o tre note, appunto permostrare ad Harris la dolcezza del suono.

Harris osservò che si sarebbe tenuto piuttosto il maldi testa.

Fino a quel giorno Giorgio non aveva mai imparato asonare il banjo. Aveva incontrato troppo scoraggiamentoda per tutto. Aveva tentato due o tre sere sul fiume difare un po’ di pratica, ma senza incontrare mai un cennodi approvazione. Le espressioni usate da Harris eranotali da scoraggiare chiunque; e oltre a questo, Montmo-

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rency si sedeva a guaire forte durante tutto l’esercizio.Non era dare a Giorgio l’occasione di formarsi.

— Perchè guaisce a quel modo quando io suono? —egli esclamava indignato, mentre con una scarpa pren-deva di mira Montmorency.

— Perchè suoni a quel modo quando lui guaisce? —ribatteva Harris, acchiappando la scarpa. — Lascialostare. Non può non guaire. Esso ha un orecchio musica-le, e la tua musica lo fa guaire.

Così Giorgio decise di rimandare lo studio del banjoal suo ritorno a casa. Ma neanche lì ebbe fortuna. La si-gnora Poppets soleva presentarsi a dire che le dispiacevamoltissimo – quanto a lei andava matta per la musica –ma la signora di sopra era in istato interessante, e il dot-tore temeva che quel suono potesse nuocere al bambino.

Poi Giorgio tentò di portar fuori il banjo di notte e diesercitarsi nella piazzetta. Ma gli abitanti in giro andaro-no a ricorrere alla polizia che una sera mandò una guar-dia ad arrestarlo. La prova contro di lui era indiscutibile,ed egli dovè promettere che non avrebbe ricominciatoper sei mesi.

Dopo di ciò, la cosa parve lo disarmasse. Trascorsi isei mesi, tentò debolmente un paio di volte di ripigliare isuoi esercizî, ma v’era sempre da combattere contro lastessa freddezza – contro la stessa mancanza di simpatiada parte del prossimo; e, dopo un po’ disperò completa-mente, e fece mettere un annuncio sui giornali per unavendita dello strumento con suo gran sacrificio «nonservendo più al proprietario» e cominciò a imparare in-

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rency si sedeva a guaire forte durante tutto l’esercizio.Non era dare a Giorgio l’occasione di formarsi.

— Perchè guaisce a quel modo quando io suono? —egli esclamava indignato, mentre con una scarpa pren-deva di mira Montmorency.

— Perchè suoni a quel modo quando lui guaisce? —ribatteva Harris, acchiappando la scarpa. — Lascialostare. Non può non guaire. Esso ha un orecchio musica-le, e la tua musica lo fa guaire.

Così Giorgio decise di rimandare lo studio del banjoal suo ritorno a casa. Ma neanche lì ebbe fortuna. La si-gnora Poppets soleva presentarsi a dire che le dispiacevamoltissimo – quanto a lei andava matta per la musica –ma la signora di sopra era in istato interessante, e il dot-tore temeva che quel suono potesse nuocere al bambino.

Poi Giorgio tentò di portar fuori il banjo di notte e diesercitarsi nella piazzetta. Ma gli abitanti in giro andaro-no a ricorrere alla polizia che una sera mandò una guar-dia ad arrestarlo. La prova contro di lui era indiscutibile,ed egli dovè promettere che non avrebbe ricominciatoper sei mesi.

Dopo di ciò, la cosa parve lo disarmasse. Trascorsi isei mesi, tentò debolmente un paio di volte di ripigliare isuoi esercizî, ma v’era sempre da combattere contro lastessa freddezza – contro la stessa mancanza di simpatiada parte del prossimo; e, dopo un po’ disperò completa-mente, e fece mettere un annuncio sui giornali per unavendita dello strumento con suo gran sacrificio «nonservendo più al proprietario» e cominciò a imparare in-

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vece dei solitarî con le carte.Dev’essere scoraggiante imparare uno strumento mu-

sicale. Si penserebbe che la società, per amor di sè stes-sa, dovesse fare il possibile per aiutare un uomo a con-quistare l’arte di suonare uno strumento musicale. Mainvece no.

Una volta conobbi un giovane, che studiava la corna-musa, e voi vi sorprenderete della quantità di opposizio-ne contro la quale dovette combattere. Ebbene, neppuredai membri della propria famiglia ricevè ciò che si chia-merebbe un attivo incoraggiamento. Suo padre si dichia-rò ostilissimo fin dal principio e parlò spietatamente del-la cosa.

Il mio amico soleva levarsi presto la mattina per eser-citarsi, ma dovè rinunziarvi per sua sorella, che avevadelle disposizioni religiose, e diceva che le sembravaterribile dover cominciare la giornata a quella maniera.

Così egli rimaneva in piedi la notte a sonare, dopoche la famiglia era andata a letto; ma nemmeno questogiovò, perchè dava una cattiva riputazione alla casa. Lagente, rincasando tardi, si fermava di fuori ad ascoltare,e poi la mattina appresso metteva in giro la voce per tut-ta la città che un orrendo omicidio era stato commessonella notte in casa di Jefferson, e narrava d’aver udito legrida della vittima, e le brutali bestemmie e le impreca-zioni dell’assassino, seguite dalle preghiere di pietà edall’ultimo rantolo del cadavere.

Così si permise ch’egli si esercitasse di giorno, nellaretrocucina, con tutte le porte chiuse; ma, nonostante

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vece dei solitarî con le carte.Dev’essere scoraggiante imparare uno strumento mu-

sicale. Si penserebbe che la società, per amor di sè stes-sa, dovesse fare il possibile per aiutare un uomo a con-quistare l’arte di suonare uno strumento musicale. Mainvece no.

Una volta conobbi un giovane, che studiava la corna-musa, e voi vi sorprenderete della quantità di opposizio-ne contro la quale dovette combattere. Ebbene, neppuredai membri della propria famiglia ricevè ciò che si chia-merebbe un attivo incoraggiamento. Suo padre si dichia-rò ostilissimo fin dal principio e parlò spietatamente del-la cosa.

Il mio amico soleva levarsi presto la mattina per eser-citarsi, ma dovè rinunziarvi per sua sorella, che avevadelle disposizioni religiose, e diceva che le sembravaterribile dover cominciare la giornata a quella maniera.

Così egli rimaneva in piedi la notte a sonare, dopoche la famiglia era andata a letto; ma nemmeno questogiovò, perchè dava una cattiva riputazione alla casa. Lagente, rincasando tardi, si fermava di fuori ad ascoltare,e poi la mattina appresso metteva in giro la voce per tut-ta la città che un orrendo omicidio era stato commessonella notte in casa di Jefferson, e narrava d’aver udito legrida della vittima, e le brutali bestemmie e le impreca-zioni dell’assassino, seguite dalle preghiere di pietà edall’ultimo rantolo del cadavere.

Così si permise ch’egli si esercitasse di giorno, nellaretrocucina, con tutte le porte chiuse; ma, nonostante

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tutte le precauzioni, i brani meglio riusciti arrivavanofin nel salotto, e solevan commuovere la madre quasifino alle lagrime.

Ella diceva che le facevan venire in mente il suo po-vero padre (era stato inghiottito da un pescecane, po-ver’uomo, mentre si bagnava sulla costa della NuovaGuinea… Donde le venisse quell’associazione d’ideeessa non si poteva spiegare).

Poi gli riservarono un posticino nel fondo del giardi-no, a circa un quarto di miglio dall’abitazione, e gli fa-cevan portar giù lo strumento, quando aveva bisogno difarlo lavorare; e a volte qualche visitatore ignaro dellafaccenda, che dimenticavano di avvertire e mettere inguardia, si trovava – facendo una passeggiatina, in giar-dino – improvvisamente a tiro della cornamusa, senzaesser preparato e senza sapere che fosse. Se era unuomo di nervi forti, se la cavava con le convulsioni; mase era una persona soltanto d’intelligenza media, ordina-riamente diventava matta.

V’è, bisogna confessarlo, qualche cosa di molto tristenei primi esercizî d’un dilettante di cornamusa. L’hosentito anch’io nell’atto che ascoltavo il mio giovaneamico. La cornamusa è uno strumento difficile. Bisognaaver raccolto il fiato che basti a tutta l’aria da sonareprima di cominciare… almeno così mi pareva, guardan-do Jefferson.

Egli cominciava magnificamente con una specie dinota selvaggia, piena e trionfale, che vi scoteva tutto.Ma si faceva sempre meno animoso, e l’ultima frase ge-

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tutte le precauzioni, i brani meglio riusciti arrivavanofin nel salotto, e solevan commuovere la madre quasifino alle lagrime.

Ella diceva che le facevan venire in mente il suo po-vero padre (era stato inghiottito da un pescecane, po-ver’uomo, mentre si bagnava sulla costa della NuovaGuinea… Donde le venisse quell’associazione d’ideeessa non si poteva spiegare).

Poi gli riservarono un posticino nel fondo del giardi-no, a circa un quarto di miglio dall’abitazione, e gli fa-cevan portar giù lo strumento, quando aveva bisogno difarlo lavorare; e a volte qualche visitatore ignaro dellafaccenda, che dimenticavano di avvertire e mettere inguardia, si trovava – facendo una passeggiatina, in giar-dino – improvvisamente a tiro della cornamusa, senzaesser preparato e senza sapere che fosse. Se era unuomo di nervi forti, se la cavava con le convulsioni; mase era una persona soltanto d’intelligenza media, ordina-riamente diventava matta.

V’è, bisogna confessarlo, qualche cosa di molto tristenei primi esercizî d’un dilettante di cornamusa. L’hosentito anch’io nell’atto che ascoltavo il mio giovaneamico. La cornamusa è uno strumento difficile. Bisognaaver raccolto il fiato che basti a tutta l’aria da sonareprima di cominciare… almeno così mi pareva, guardan-do Jefferson.

Egli cominciava magnificamente con una specie dinota selvaggia, piena e trionfale, che vi scoteva tutto.Ma si faceva sempre meno animoso, e l’ultima frase ge-

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neralmente sveniva con una sbavatura e un sibilo.Si dev’essere in buona salute per sonare la cornamu-

sa.Il giovane Jefferson imparò a sonar soltanto un’aria

sulla sua cornamusa; ma io non sentii mai nessuna la-gnanza sulla scarsezza del suo repertorio – nessuna mai.L’aria era «The Campbells are coming. Hooray… Hoo-ray». Così diceva lui: ma il padre sosteneva sempre cheera «The Blue Bells of Scotlands». Nessuno sapeva ciòche fosse esattamente, ma tutti s’accordavano nel crede-re che fosse un’aria scozzese.

Agli estranei erano permesse tre congetture, e molticongetturavano ogni volta un’aria diversa.

Harris si mostrò poco trattabile dopo la cena – credoche l’avesse sconvolto lo stufato; non era abituato aitrattamenti sontuosi – così Giorgio e io lo lasciammonella barca, e andammo a fare una passeggiata intorno aHenley. Egli disse che si sarebbe bevuto un sorso diwhisky e facendosi una pipata avrebbe preparato i giaci-gli per la notte. Noi, al ritorno, dovevamo gridare, edegli sarebbe accorso dall’isola a forza di remi a pigliar-ci.

— Non t’addormentare, caro — gli raccomandammo,andandocene.

— Niente paura, finchè ho sullo stomaco il nostrostufato — brontolò, mentre si ritirava nell’isola.

Henley si preparava per le regate ed era piena ditrambusto. Incontrammo per la città parecchie personedi nostra conoscenza, e, nella loro piacevole compagnia,

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neralmente sveniva con una sbavatura e un sibilo.Si dev’essere in buona salute per sonare la cornamu-

sa.Il giovane Jefferson imparò a sonar soltanto un’aria

sulla sua cornamusa; ma io non sentii mai nessuna la-gnanza sulla scarsezza del suo repertorio – nessuna mai.L’aria era «The Campbells are coming. Hooray… Hoo-ray». Così diceva lui: ma il padre sosteneva sempre cheera «The Blue Bells of Scotlands». Nessuno sapeva ciòche fosse esattamente, ma tutti s’accordavano nel crede-re che fosse un’aria scozzese.

Agli estranei erano permesse tre congetture, e molticongetturavano ogni volta un’aria diversa.

Harris si mostrò poco trattabile dopo la cena – credoche l’avesse sconvolto lo stufato; non era abituato aitrattamenti sontuosi – così Giorgio e io lo lasciammonella barca, e andammo a fare una passeggiata intorno aHenley. Egli disse che si sarebbe bevuto un sorso diwhisky e facendosi una pipata avrebbe preparato i giaci-gli per la notte. Noi, al ritorno, dovevamo gridare, edegli sarebbe accorso dall’isola a forza di remi a pigliar-ci.

— Non t’addormentare, caro — gli raccomandammo,andandocene.

— Niente paura, finchè ho sullo stomaco il nostrostufato — brontolò, mentre si ritirava nell’isola.

Henley si preparava per le regate ed era piena ditrambusto. Incontrammo per la città parecchie personedi nostra conoscenza, e, nella loro piacevole compagnia,

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il tempo passò con una certa rapidità, di modo che eranoquasi le undici quando noi ci avviammo per la nostrapasseggiata di quattro miglia fino a casa – come chia-mavamo in quei giorni la nostra piccola imbarcazione.

Era una brutta notte, abbastanza fredda, e cadeva unapioggia sottile. Come noi traversammo la campagnabuia e silenziosa, conversando sottovoce e domandan-doci se fossimo o no sulla strada buona, pensavamo allanostra comoda barca, con la sua viva luce che filtravaper la tela distesa, con Harris, con Montmorency e conlo whisky, e desiderammo di esservici.

Evocammo il quadro di noi stessi al di dentro, stanchie un po’ affamati, del fiume oscuro e degli alberi infor-mi, e, come una gigantesca lucciola al di sotto, la nostracara vecchia barca, così comoda, calda e allegra.

Ci vedevamo a cena, addentando un po’ di carne fred-da e passandoci delle fette di pane; udivamo il lieto tin-tinnio dei coltelli e delle forchette, le risate che riempi-vano tutto lo spazio e traboccavano per l’apertura nelletenebre. E affrettavamo il passo, perchè il quadro imma-ginario diventasse reale.

Infilammo la strada d’alzaia, e questo ci fece felici,perchè eravamo stati un po’ incerti se andassimo verso ilfiume o ce ne allontanassimo, e quando si è stanchi e sidesidera il letto, incertezze simili vi angosciano. Oltre-passammo Shiplake mentre l’orologio sonava le dodicie un quarto, e allora Giorgio disse pensoso:

— Tu ricordi per caso di quale isola si tratta?— No — risposi, facendomi anch’io pensoso. — No.

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il tempo passò con una certa rapidità, di modo che eranoquasi le undici quando noi ci avviammo per la nostrapasseggiata di quattro miglia fino a casa – come chia-mavamo in quei giorni la nostra piccola imbarcazione.

Era una brutta notte, abbastanza fredda, e cadeva unapioggia sottile. Come noi traversammo la campagnabuia e silenziosa, conversando sottovoce e domandan-doci se fossimo o no sulla strada buona, pensavamo allanostra comoda barca, con la sua viva luce che filtravaper la tela distesa, con Harris, con Montmorency e conlo whisky, e desiderammo di esservici.

Evocammo il quadro di noi stessi al di dentro, stanchie un po’ affamati, del fiume oscuro e degli alberi infor-mi, e, come una gigantesca lucciola al di sotto, la nostracara vecchia barca, così comoda, calda e allegra.

Ci vedevamo a cena, addentando un po’ di carne fred-da e passandoci delle fette di pane; udivamo il lieto tin-tinnio dei coltelli e delle forchette, le risate che riempi-vano tutto lo spazio e traboccavano per l’apertura nelletenebre. E affrettavamo il passo, perchè il quadro imma-ginario diventasse reale.

Infilammo la strada d’alzaia, e questo ci fece felici,perchè eravamo stati un po’ incerti se andassimo verso ilfiume o ce ne allontanassimo, e quando si è stanchi e sidesidera il letto, incertezze simili vi angosciano. Oltre-passammo Shiplake mentre l’orologio sonava le dodicie un quarto, e allora Giorgio disse pensoso:

— Tu ricordi per caso di quale isola si tratta?— No — risposi, facendomi anch’io pensoso. — No.

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Quante ve ne sono?— Quattro soltanto — rispose Giorgio. — Non vorrà

dire, se è sveglio.— E se non è sveglio? — io domandai; ma lasciam-

mo da parte quest’ordine di pensieri.Quando ci trovammo di rimpetto alla prima isola, ci

mettemmo a gridare; ma non s’udì alcuna risposta. Cene andammo verso la seconda, e gridammo anche lì, macon lo stesso risultato.

— Ah! adesso ricordo — disse Giorgio. — Era la ter-za.

E corremmo, speranzosi, verso la terza a gridare.Ma nessuno ci rispose.La cosa diventava grave. Era già passata la mezzanot-

te. Gli alberghi di Shiplake e di Henley dovevano essergremiti; e noi non potevamo ritornare per andare a pic-chiare a delle case private e a domandare se ci fosserodelle camere da affittare. Giorgio propose di tornare aHenley ad assaltare un poliziotto per procurarci l’allog-gio per la notte, in guardina. Ma poi si ragionò: — E sela guardia rifiuta di condurci in gattabuia e ci rispondecon solidi pugni?

Non potevamo passare tutta la notte ad assaltare guar-die. E poi non volevamo esagerare e beccarci sei mesi.

Disperatamente tentammo ciò che sembrava, nelbuio, la quarta, isola; ma la fortuna non ci fu più favore-vole. La pioggia s’era fatta grave, ed evidentementeaveva intenzione di durare. Cominciammo a domandar-ci se non vi fossero più di quattro isole o se ci fossimo

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Quante ve ne sono?— Quattro soltanto — rispose Giorgio. — Non vorrà

dire, se è sveglio.— E se non è sveglio? — io domandai; ma lasciam-

mo da parte quest’ordine di pensieri.Quando ci trovammo di rimpetto alla prima isola, ci

mettemmo a gridare; ma non s’udì alcuna risposta. Cene andammo verso la seconda, e gridammo anche lì, macon lo stesso risultato.

— Ah! adesso ricordo — disse Giorgio. — Era la ter-za.

E corremmo, speranzosi, verso la terza a gridare.Ma nessuno ci rispose.La cosa diventava grave. Era già passata la mezzanot-

te. Gli alberghi di Shiplake e di Henley dovevano essergremiti; e noi non potevamo ritornare per andare a pic-chiare a delle case private e a domandare se ci fosserodelle camere da affittare. Giorgio propose di tornare aHenley ad assaltare un poliziotto per procurarci l’allog-gio per la notte, in guardina. Ma poi si ragionò: — E sela guardia rifiuta di condurci in gattabuia e ci rispondecon solidi pugni?

Non potevamo passare tutta la notte ad assaltare guar-die. E poi non volevamo esagerare e beccarci sei mesi.

Disperatamente tentammo ciò che sembrava, nelbuio, la quarta, isola; ma la fortuna non ci fu più favore-vole. La pioggia s’era fatta grave, ed evidentementeaveva intenzione di durare. Cominciammo a domandar-ci se non vi fossero più di quattro isole o se ci fossimo

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poi avvicinati ad esse e non fossimo invece a un migliodi distanza dal punto dove bisognava che ci trovassimoe addirittura in un’ignota parte del fiume: tutto apparivacosì strano e diverso nel buio! E allora comprendemmole sofferenze dei bambini smarriti nel bosco.

Appunto quando avevamo rinunziato a ogni speran-za… sì, so che è sempre questo il tempo in cui accadequalche cosa nei romanzi e nei racconti; ma non so chefarci. Risolsi, quando mi misi a scrivere questo libro,che mi sarei mantenuto rigorosamente veritiero in tutto;e così farò, anche se dovessi servirmi a questo scopo difrasi comuni e assai trite.

Fu appunto quando avevamo rinunziato a ogni spe-ranza… debbo proprio dir così. Appunto quando aveva-mo rinunziato a ogni speranza, ebbi a un tratto la visio-ne, un po’ al di sotto di noi, d’una strana, bizzarra speciedi barlume che s’agitava fra gli alberi della sponda op-posta. Per un istante pensai agli spiriti: era un lume cosìfioco e misterioso! Il momento appresso mi lampeggiòl’idea che fosse la nostra barca, ed io emisi un tale gridoa traverso il fiume che parve la notte si scotesse nel suoletto.

Aspettammo senza fiato per un minuto, e poi – ah! lapiù divina musica delle tenebre! – udimmo in risposta illatrato di Montmorency. Gridammo allora con voce ab-bastanza forte da seppellire i sette Dormienti – non homai potuto capire perchè mai ci volesse a svegliarne set-te più baccano che per uno – e, dopo un tempo che ciparve un’ora, ma che in realtà credo fosse di cinque mi-

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poi avvicinati ad esse e non fossimo invece a un migliodi distanza dal punto dove bisognava che ci trovassimoe addirittura in un’ignota parte del fiume: tutto apparivacosì strano e diverso nel buio! E allora comprendemmole sofferenze dei bambini smarriti nel bosco.

Appunto quando avevamo rinunziato a ogni speran-za… sì, so che è sempre questo il tempo in cui accadequalche cosa nei romanzi e nei racconti; ma non so chefarci. Risolsi, quando mi misi a scrivere questo libro,che mi sarei mantenuto rigorosamente veritiero in tutto;e così farò, anche se dovessi servirmi a questo scopo difrasi comuni e assai trite.

Fu appunto quando avevamo rinunziato a ogni spe-ranza… debbo proprio dir così. Appunto quando aveva-mo rinunziato a ogni speranza, ebbi a un tratto la visio-ne, un po’ al di sotto di noi, d’una strana, bizzarra speciedi barlume che s’agitava fra gli alberi della sponda op-posta. Per un istante pensai agli spiriti: era un lume cosìfioco e misterioso! Il momento appresso mi lampeggiòl’idea che fosse la nostra barca, ed io emisi un tale gridoa traverso il fiume che parve la notte si scotesse nel suoletto.

Aspettammo senza fiato per un minuto, e poi – ah! lapiù divina musica delle tenebre! – udimmo in risposta illatrato di Montmorency. Gridammo allora con voce ab-bastanza forte da seppellire i sette Dormienti – non homai potuto capire perchè mai ci volesse a svegliarne set-te più baccano che per uno – e, dopo un tempo che ciparve un’ora, ma che in realtà credo fosse di cinque mi-

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nuti, vedemmo la barca illuminata strisciare lentamentesulla corrente nera e udimmo l’assonnata voce di Harrisdomandarci dove fossimo.

V’era un’ingiustificabile stranezza nell’aspetto diHarris, qualcosa più della semplice stanchezza ordina-ria. Egli avvicinò la barca contro una parte della spondadalla quale era assolutamente impossibile discendere, eimmediatamente se ne andò a dormire. Ci volleun’immensa quantità di strilli e di ruggiti per svegliarlodi nuovo e fargli capire qualcosa; ma ci riuscimmo fi-nalmente, e c’installammo sicuramente a bordo.

Come osservammo, Harris aveva in viso una tristeespressione. Ci fece l’impressione d’un uomo a cui fos-se successa una disgrazia. Gli domandammo se gli fosseaccaduto qualche cosa, ed egli ci rispose:

— I cigni!Sembrava che ci fossimo ormeggiati presso un nido

di cigni, e, tosto che io e Giorgio ce n’eravamo andati,fosse ritornata la femmina a farvi del baccano. Harrisl’aveva scacciata, ed essa era corsa a chiamare il ma-schio. Harris raccontava che aveva sostenuto una verabattaglia coi due cigni, ma che il suo coraggio e la suaabilità erano prevalsi, sbaragliandoli.

Mezz’ora dopo erano ritornati con altri diciotto cigni.Doveva essersi svolta una terribile lotta, a quel che sipoteva raccogliere dalla relazione di Harris. I cigni ave-vano tentato di trascinar lui e Montmorency fuori dallabarca e di annegarli, ed egli s’era difeso come un eroeper quattro ore, ammazzando il branco, che s’era tutto

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nuti, vedemmo la barca illuminata strisciare lentamentesulla corrente nera e udimmo l’assonnata voce di Harrisdomandarci dove fossimo.

V’era un’ingiustificabile stranezza nell’aspetto diHarris, qualcosa più della semplice stanchezza ordina-ria. Egli avvicinò la barca contro una parte della spondadalla quale era assolutamente impossibile discendere, eimmediatamente se ne andò a dormire. Ci volleun’immensa quantità di strilli e di ruggiti per svegliarlodi nuovo e fargli capire qualcosa; ma ci riuscimmo fi-nalmente, e c’installammo sicuramente a bordo.

Come osservammo, Harris aveva in viso una tristeespressione. Ci fece l’impressione d’un uomo a cui fos-se successa una disgrazia. Gli domandammo se gli fosseaccaduto qualche cosa, ed egli ci rispose:

— I cigni!Sembrava che ci fossimo ormeggiati presso un nido

di cigni, e, tosto che io e Giorgio ce n’eravamo andati,fosse ritornata la femmina a farvi del baccano. Harrisl’aveva scacciata, ed essa era corsa a chiamare il ma-schio. Harris raccontava che aveva sostenuto una verabattaglia coi due cigni, ma che il suo coraggio e la suaabilità erano prevalsi, sbaragliandoli.

Mezz’ora dopo erano ritornati con altri diciotto cigni.Doveva essersi svolta una terribile lotta, a quel che sipoteva raccogliere dalla relazione di Harris. I cigni ave-vano tentato di trascinar lui e Montmorency fuori dallabarca e di annegarli, ed egli s’era difeso come un eroeper quattro ore, ammazzando il branco, che s’era tutto

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disperso a nuoto per andar a spirar lontano.— Quanti cigni dici che fossero? — chiese Giorgio.— Trentadue — rispose Harris, assonnato.— Se in questo momento hai detto ch’erano diciotto!

— disse Giorgio.— No, non è vero — grugnì Harris. — Ho detto dodi-

ci. Credi che io non sappia contare?Non scoprimmo mai che cosa ci fosse di vero intorno

a quei cigni. Interrogammo Harris la mattina sull’argo-mento; ed egli ci disse: — Quali cigni? — e parve pen-sare che io e Giorgio ce li fossimo sognati.

Che delizia ci sembrò trovarci al sicuro nella barca,dopo tutte le nostre fatiche e i nostri timori! Cenammocon ottimo appetito, Giorgio e io, e ci sarebbe piaciutofarci un ponce dopo, se avessimo trovato lo whisky, manon ci fu verso. Domandammo ad Harris dove l’avessecacciato; ma parve non sapere che volesse dire «whi-sky» o di che cosa mai gli parlassimo. Montmorencyqualche cosa doveva sapere, ma non disse nulla.

Io dormii bene quella notte, e avrei dormito meglio,se non fosse stato per Harris. Ho un vago ricordod’essermi svegliato almeno una dozzina di volte durantela notte, per colpa di Harris che andava in giro nella bar-ca con la lanterna, cercando i suoi panni. Mi parve chesi tormentasse tutta la notte per i panni.

Due volte scosse Giorgio e me, per veder se per casonon giacessimo sui suoi calzoni. Giorgio la seconda vol-ta diventò furioso.

— Per che diavolo hai bisogno dei calzoni durante la

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disperso a nuoto per andar a spirar lontano.— Quanti cigni dici che fossero? — chiese Giorgio.— Trentadue — rispose Harris, assonnato.— Se in questo momento hai detto ch’erano diciotto!

— disse Giorgio.— No, non è vero — grugnì Harris. — Ho detto dodi-

ci. Credi che io non sappia contare?Non scoprimmo mai che cosa ci fosse di vero intorno

a quei cigni. Interrogammo Harris la mattina sull’argo-mento; ed egli ci disse: — Quali cigni? — e parve pen-sare che io e Giorgio ce li fossimo sognati.

Che delizia ci sembrò trovarci al sicuro nella barca,dopo tutte le nostre fatiche e i nostri timori! Cenammocon ottimo appetito, Giorgio e io, e ci sarebbe piaciutofarci un ponce dopo, se avessimo trovato lo whisky, manon ci fu verso. Domandammo ad Harris dove l’avessecacciato; ma parve non sapere che volesse dire «whi-sky» o di che cosa mai gli parlassimo. Montmorencyqualche cosa doveva sapere, ma non disse nulla.

Io dormii bene quella notte, e avrei dormito meglio,se non fosse stato per Harris. Ho un vago ricordod’essermi svegliato almeno una dozzina di volte durantela notte, per colpa di Harris che andava in giro nella bar-ca con la lanterna, cercando i suoi panni. Mi parve chesi tormentasse tutta la notte per i panni.

Due volte scosse Giorgio e me, per veder se per casonon giacessimo sui suoi calzoni. Giorgio la seconda vol-ta diventò furioso.

— Per che diavolo hai bisogno dei calzoni durante la

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notte? — chiese indignato. — Perchè non ti butti giù adormire?

La seconda volta che io mi svegliai, lo trovai in ansiaper le calze; e la mia ultima nebbiosa rimembranza è diesser stato rotolato su un fianco, e di aver udito Harrismormorare dove diamine mai avesse cacciato l’ombrel-lo.

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notte? — chiese indignato. — Perchè non ti butti giù adormire?

La seconda volta che io mi svegliai, lo trovai in ansiaper le calze; e la mia ultima nebbiosa rimembranza è diesser stato rotolato su un fianco, e di aver udito Harrismormorare dove diamine mai avesse cacciato l’ombrel-lo.

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CAPITOLO XV.

Doveri casalinghi. – L’amore del lavoro. – Il vecchio lavoratoredel fiume, ciò che fa e ciò che vi dice che ha fatto. – Scettici-smo della nuova generazione. – Ricordi delle prime vogate. –Con la zattera. – Giorgio fa la cosa a modo. – Il vecchio barca-iolo, il suo metodo. – Così calmo, così pieno di pace. – Il prin-cipiante. – Un triste caso. – Piaceri dell’amicizia. – La mia pri-ma esperienza della vela. – Possibile ragione della nostra sal-vezza.

Ci svegliammo tardi la mattina appresso, e, per desi-derio di Harris, partecipammo a una colazione molto so-bria, senza «squisitezze» di sorta. Poi facemmo pulizia,e mettemmo ogni cosa a posto (un lungo lavoro, che finìcol darmi un’idea piuttosto chiara della questione chespesso m’ero posta, come una donna, cioè, che nonavesse altro in mano che una casa, riuscisse a passare iltempo), e, verso le dieci, ci mettemmo in rotta per ciòche avevamo determinato dovesse essere il viaggiod’una attiva giornata.

Stabilimmo di remare, come un diversivo dalla faticadel rimorchio; e Harris propose, come la migliore dispo-sizione, che io e Giorgio ci mettessimo ai remi e lui altimone. La proposta non mi parve niente affatto saggia,e io dichiarai che Harris avrebbe mostrato una più lode-vole disposizione se avesse proposto di lavorare lui eGiorgio, e lasciar me riposare. A me sembrava di far più

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CAPITOLO XV.

Doveri casalinghi. – L’amore del lavoro. – Il vecchio lavoratoredel fiume, ciò che fa e ciò che vi dice che ha fatto. – Scettici-smo della nuova generazione. – Ricordi delle prime vogate. –Con la zattera. – Giorgio fa la cosa a modo. – Il vecchio barca-iolo, il suo metodo. – Così calmo, così pieno di pace. – Il prin-cipiante. – Un triste caso. – Piaceri dell’amicizia. – La mia pri-ma esperienza della vela. – Possibile ragione della nostra sal-vezza.

Ci svegliammo tardi la mattina appresso, e, per desi-derio di Harris, partecipammo a una colazione molto so-bria, senza «squisitezze» di sorta. Poi facemmo pulizia,e mettemmo ogni cosa a posto (un lungo lavoro, che finìcol darmi un’idea piuttosto chiara della questione chespesso m’ero posta, come una donna, cioè, che nonavesse altro in mano che una casa, riuscisse a passare iltempo), e, verso le dieci, ci mettemmo in rotta per ciòche avevamo determinato dovesse essere il viaggiod’una attiva giornata.

Stabilimmo di remare, come un diversivo dalla faticadel rimorchio; e Harris propose, come la migliore dispo-sizione, che io e Giorgio ci mettessimo ai remi e lui altimone. La proposta non mi parve niente affatto saggia,e io dichiarai che Harris avrebbe mostrato una più lode-vole disposizione se avesse proposto di lavorare lui eGiorgio, e lasciar me riposare. A me sembrava di far più

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di quanto avrei dovuto in ogni occorrenza, e cominciavoa risentirmene un po’.

A me par sempre di prodigarmi più di quanto dovrei.Non che io abbia da ridire nulla contro il lavoro, si badi:il lavoro mi piace e mi affascina, e me ne sto seduto aguardarlo per ore e ore. Godo nell’averlo da presso, el’idea di liberarmene mi fa male al cuore.

Il lavoro che si può darmi non sarà mai troppo; accu-mular lavoro è diventato in me quasi una passione: ilmio studio ne è pieno così, ora, che non v’è più un polli-ce di spazio per altro, e dovrò tosto abbandonarne unaparte.

E con quanto rispetto, anche, tratto il mio lavoro! Unpo’ del lavoro che io ho presso di me, l’ho da anni, enon si troverebbe su di esso neppure l’impronta d’undito. Del mio lavoro sono orgoglioso; di tanto in tanto loprendo per spolverarlo. Nessuno che, al pari di me, lotenga in uno stato migliore di conservazione.

Ma, benchè io sia assetato di lavoro, desidero che lecose sian giuste, e non chieggo più di quel che mi spet-ta.

Ma io me lo trovo senza volerlo – almeno, così sem-bra – e questo mi secca.

Giorgio crede che, in quanto a questo, non è necessa-rio che io mi angosci. La mia natura più che scrupolosa,egli dice, mi fa temere d’averne più di quanto me nespetterebbe; ma che in realtà non me ne tocchi nemme-no la metà. M’auguro, però, che lo dica soltanto perconfortarmi.

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di quanto avrei dovuto in ogni occorrenza, e cominciavoa risentirmene un po’.

A me par sempre di prodigarmi più di quanto dovrei.Non che io abbia da ridire nulla contro il lavoro, si badi:il lavoro mi piace e mi affascina, e me ne sto seduto aguardarlo per ore e ore. Godo nell’averlo da presso, el’idea di liberarmene mi fa male al cuore.

Il lavoro che si può darmi non sarà mai troppo; accu-mular lavoro è diventato in me quasi una passione: ilmio studio ne è pieno così, ora, che non v’è più un polli-ce di spazio per altro, e dovrò tosto abbandonarne unaparte.

E con quanto rispetto, anche, tratto il mio lavoro! Unpo’ del lavoro che io ho presso di me, l’ho da anni, enon si troverebbe su di esso neppure l’impronta d’undito. Del mio lavoro sono orgoglioso; di tanto in tanto loprendo per spolverarlo. Nessuno che, al pari di me, lotenga in uno stato migliore di conservazione.

Ma, benchè io sia assetato di lavoro, desidero che lecose sian giuste, e non chieggo più di quel che mi spet-ta.

Ma io me lo trovo senza volerlo – almeno, così sem-bra – e questo mi secca.

Giorgio crede che, in quanto a questo, non è necessa-rio che io mi angosci. La mia natura più che scrupolosa,egli dice, mi fa temere d’averne più di quanto me nespetterebbe; ma che in realtà non me ne tocchi nemme-no la metà. M’auguro, però, che lo dica soltanto perconfortarmi.

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Io ho sempre osservato che in una barca l’idea fissad’ogni membro dell’equipaggio è quella di far lui tutto.L’impressione di Harris era che lui solo avesse lavorato,ma Giorgio, d’altra parte, ne rideva, affermando cheHarris non aveva fatto nient’altro che mangiare e dormi-re, e che lui invece – e la sua persuasione era ferrea –aveva fatto tutto il lavoro di qualche importanza. Ag-giunse che non s’era mai trovato con un paio di poltroniquali Harris e io.

Questo divertì Harris.— È verosimile che il nostro Giorgio parli di lavoro?

— si mise a ridere. — Se mezz’ora sola di lavoro lo am-mazzerebbe! Si è visto mai Giorgio lavorare? — ag-giunse, volgendosi a me.

Convenni con Harris che non avevo mai veduto Gior-gio lavorare – certamente mai da quando eravamo parti-ti.

— Veramente, non so come tu possa dirlo, comunque— ribattè Giorgio — mi pigli un accidente se tu non haifatto altro che dormire! Hai mai veduto Harris piena-mente sveglio, tranne che all’ora dei pasti? — chieseGiorgio, volgendosi a me.

La verità mi spingeva a sostenere Giorgio. Harris, findal principio, s’era dimostrato poco utile nella barca,quando si trattava di dare una mano.

— Per Belzebù, a ogni modo ho fatto più di quanto hafatto Gerolamo — soggiunse Harris.

— Sì, veramente non avresti potuto far meno — ag-giunse Giorgio.

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Io ho sempre osservato che in una barca l’idea fissad’ogni membro dell’equipaggio è quella di far lui tutto.L’impressione di Harris era che lui solo avesse lavorato,ma Giorgio, d’altra parte, ne rideva, affermando cheHarris non aveva fatto nient’altro che mangiare e dormi-re, e che lui invece – e la sua persuasione era ferrea –aveva fatto tutto il lavoro di qualche importanza. Ag-giunse che non s’era mai trovato con un paio di poltroniquali Harris e io.

Questo divertì Harris.— È verosimile che il nostro Giorgio parli di lavoro?

— si mise a ridere. — Se mezz’ora sola di lavoro lo am-mazzerebbe! Si è visto mai Giorgio lavorare? — ag-giunse, volgendosi a me.

Convenni con Harris che non avevo mai veduto Gior-gio lavorare – certamente mai da quando eravamo parti-ti.

— Veramente, non so come tu possa dirlo, comunque— ribattè Giorgio — mi pigli un accidente se tu non haifatto altro che dormire! Hai mai veduto Harris piena-mente sveglio, tranne che all’ora dei pasti? — chieseGiorgio, volgendosi a me.

La verità mi spingeva a sostenere Giorgio. Harris, findal principio, s’era dimostrato poco utile nella barca,quando si trattava di dare una mano.

— Per Belzebù, a ogni modo ho fatto più di quanto hafatto Gerolamo — soggiunse Harris.

— Sì, veramente non avresti potuto far meno — ag-giunse Giorgio.

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— Credo che Gerolamo pensi d’essere il passeggero— continuò Harris.

E questa era la loro gratitudine per aver io portato essie la loro miserabile barca per tutto il tratto da Kingston,per aver io sorvegliato e cercato tutto ciò che loro occor-reva, e per averli vegliati e serviti. Il mondo è fatto così.

Superammo la difficoltà del momento disponendoche Harris e Giorgio dovessero remare fin oltre Readinge che io di lì avrei tratto a rimorchio la barca. Trarre unabarca pesante contro una forte corrente ha per me, ora,poche attrattive: a me piace far figurare i giovani.

Ho osservato che la maggior parte dei vecchi praticidel fiume si ritirano allo stesso modo, tutte le volte cheoccorre molta forza di braccia. Alla maniera come sistende sui cuscini in fondo alla barca e incoraggia gli al-tri rematori, raccontando aneddoti sulle meravigliosegesta da lui compiute durante l’ultima stagione, si puòriconoscere il vecchio pratico.

— Avete il coraggio di dire che vi sforzate molto! —egli dice parlando solennemente, fra lente boccate difumo, rivolgendosi ai due novizî, sudati, che si sono af-faticati a remare contro corrente nell’ultima ora e mez-zo; — ma se Gianni Biffles, Giacomo e io, la stagionescorsa, remammo da Marlow a Goring in un pomerig-gio… senza fermarci una sola volta. Te ne ricordi, Gia-como?

Giacomo, che s’è fatto un letto a prua con tutte le co-perte e i soprabiti che ha potuto raccogliere, e che nelledue ultime ore ha dormito profondamente, si sveglia in

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— Credo che Gerolamo pensi d’essere il passeggero— continuò Harris.

E questa era la loro gratitudine per aver io portato essie la loro miserabile barca per tutto il tratto da Kingston,per aver io sorvegliato e cercato tutto ciò che loro occor-reva, e per averli vegliati e serviti. Il mondo è fatto così.

Superammo la difficoltà del momento disponendoche Harris e Giorgio dovessero remare fin oltre Readinge che io di lì avrei tratto a rimorchio la barca. Trarre unabarca pesante contro una forte corrente ha per me, ora,poche attrattive: a me piace far figurare i giovani.

Ho osservato che la maggior parte dei vecchi praticidel fiume si ritirano allo stesso modo, tutte le volte cheoccorre molta forza di braccia. Alla maniera come sistende sui cuscini in fondo alla barca e incoraggia gli al-tri rematori, raccontando aneddoti sulle meravigliosegesta da lui compiute durante l’ultima stagione, si puòriconoscere il vecchio pratico.

— Avete il coraggio di dire che vi sforzate molto! —egli dice parlando solennemente, fra lente boccate difumo, rivolgendosi ai due novizî, sudati, che si sono af-faticati a remare contro corrente nell’ultima ora e mez-zo; — ma se Gianni Biffles, Giacomo e io, la stagionescorsa, remammo da Marlow a Goring in un pomerig-gio… senza fermarci una sola volta. Te ne ricordi, Gia-como?

Giacomo, che s’è fatto un letto a prua con tutte le co-perte e i soprabiti che ha potuto raccogliere, e che nelledue ultime ore ha dormito profondamente, si sveglia in

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parte nel sentirsi chiamato, e ricorda con precisione tut-to, e ricorda anche che v’era una corrente particolarmen-te forte quel giorno e un vento impetuoso.

— Credo che si trattasse di trentaquattro miglia —aggiunge il primo interlocutore, prendendo un altroguanciale da mettersi sotto la testa.

— No… no, non esagerare, Tommaso — mormoraGiacomo, disapprovandolo; — al massimo trentatrè.

E Giacomo e Tommaso, affatto esausti da questo sfor-zo oratorio, si abbandonano al sonno ancora una volta.E i due novellini ai remi si sentono assolutamente orgo-gliosi di portare a spasso a forza di braccia dei meravi-gliosi rematori quali Giacomo e Tommaso, e si affanna-no con più energia che mai.

Quando io ero giovane, solevo ascoltare i discorsi deimiei maggiori, e beverli, e trangugiarli e digerirli parolaper parola, e poi desiderarne altri; ma la nuova genera-zione par che non abbia la fede dei vecchi tempi. Gior-gio, Harris, e io, nella stagione scorsa, una volta pren-demmo con noi un novellino, e gli spacciammo le solitepanzane delle meraviglie da noi compiute vogando in sucontro corrente.

Gli snocciolammo tutte le fandonie normali – le fan-donie rispettabili che hanno fatto sul fiume il loro dove-re per anni con ogni barcaiolo e con ogni dilettante – ene aggiungemmo sette interamente originali inventateda noi, compresa una storia d’una certa verosimiglianza,basata, in qualche modo, su un episodio poco credibile,che era realmente accaduto alcuni anni prima, in un gra-

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parte nel sentirsi chiamato, e ricorda con precisione tut-to, e ricorda anche che v’era una corrente particolarmen-te forte quel giorno e un vento impetuoso.

— Credo che si trattasse di trentaquattro miglia —aggiunge il primo interlocutore, prendendo un altroguanciale da mettersi sotto la testa.

— No… no, non esagerare, Tommaso — mormoraGiacomo, disapprovandolo; — al massimo trentatrè.

E Giacomo e Tommaso, affatto esausti da questo sfor-zo oratorio, si abbandonano al sonno ancora una volta.E i due novellini ai remi si sentono assolutamente orgo-gliosi di portare a spasso a forza di braccia dei meravi-gliosi rematori quali Giacomo e Tommaso, e si affanna-no con più energia che mai.

Quando io ero giovane, solevo ascoltare i discorsi deimiei maggiori, e beverli, e trangugiarli e digerirli parolaper parola, e poi desiderarne altri; ma la nuova genera-zione par che non abbia la fede dei vecchi tempi. Gior-gio, Harris, e io, nella stagione scorsa, una volta pren-demmo con noi un novellino, e gli spacciammo le solitepanzane delle meraviglie da noi compiute vogando in sucontro corrente.

Gli snocciolammo tutte le fandonie normali – le fan-donie rispettabili che hanno fatto sul fiume il loro dove-re per anni con ogni barcaiolo e con ogni dilettante – ene aggiungemmo sette interamente originali inventateda noi, compresa una storia d’una certa verosimiglianza,basata, in qualche modo, su un episodio poco credibile,che era realmente accaduto alcuni anni prima, in un gra-

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do alquanto diverso, ad amici nostri – una storia insom-ma che sarebbe stata creduta anche da un bambino sen-za perciò farsi male.

E quel giovane le derise tutte, e ci domandò che ripe-tessimo immediatamente le nostre gesta, scommettendodieci contro uno che non ne saremmo stati capaci.

Ci mettemmo quella mattina a chiacchierare dei no-stri esercizî fluviali, e a raccontar i nostri primi sforzinell’arte del remo. La mia prima memoria acquatica è dicinque piccoli amici, dei quali ciascuno contribuì consei soldi per noleggiare, sul lago di Regent’s Park, unabarchetta bizzarramente costruita, e per asciugarci poinel casotto del custode del parco.

Dopo, avendo pigliato gusto all’acqua, mi diedi dafare con le zattere in varie mattonaie suburbane – unesercizio più interessante e animato di quanto si possaimmaginare, specialmente quando uno si trova in mezzoallo stagno, e il proprietario dei materiali coi quali lazattera è costruita appare all’improvviso sulla riva conun grosso bastone in mano.

La vostra prima impressione alla vista di quel galan-tuomo è di non sentirvi, comunque, disposto alla com-pagnia e alla conversazione, e se potete farlo senza ap-parir scortese, cercate tutti i modi di evitarlo; e il vostrooggetto, perciò, è di svignarvela dal lato opposto dellostagno, e di andarvene a casa tranquillamente e rapida-mente, fingendo di non vederlo. Egli, al contrario, bra-ma di prendervi per mano e di parlarvi.

Sembra ch’egli conosca vostro padre, e che conosca

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do alquanto diverso, ad amici nostri – una storia insom-ma che sarebbe stata creduta anche da un bambino sen-za perciò farsi male.

E quel giovane le derise tutte, e ci domandò che ripe-tessimo immediatamente le nostre gesta, scommettendodieci contro uno che non ne saremmo stati capaci.

Ci mettemmo quella mattina a chiacchierare dei no-stri esercizî fluviali, e a raccontar i nostri primi sforzinell’arte del remo. La mia prima memoria acquatica è dicinque piccoli amici, dei quali ciascuno contribuì consei soldi per noleggiare, sul lago di Regent’s Park, unabarchetta bizzarramente costruita, e per asciugarci poinel casotto del custode del parco.

Dopo, avendo pigliato gusto all’acqua, mi diedi dafare con le zattere in varie mattonaie suburbane – unesercizio più interessante e animato di quanto si possaimmaginare, specialmente quando uno si trova in mezzoallo stagno, e il proprietario dei materiali coi quali lazattera è costruita appare all’improvviso sulla riva conun grosso bastone in mano.

La vostra prima impressione alla vista di quel galan-tuomo è di non sentirvi, comunque, disposto alla com-pagnia e alla conversazione, e se potete farlo senza ap-parir scortese, cercate tutti i modi di evitarlo; e il vostrooggetto, perciò, è di svignarvela dal lato opposto dellostagno, e di andarvene a casa tranquillamente e rapida-mente, fingendo di non vederlo. Egli, al contrario, bra-ma di prendervi per mano e di parlarvi.

Sembra ch’egli conosca vostro padre, e che conosca

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bene anche voi; ma questo non v’attrae verso di lui. Eglidice che v’insegnerà lui a prender le sue tavole e a farneuna zattera; ma, giacchè sapete già abbastanza benecome si fa, l’offerta, benchè senza dubbio gentile, sem-bra superflua da parte sua, e voi non avete intenzione didisturbarlo, accettandola.

La sua ansia d’incontrarvi, però, è a prova controogni vostra freddezza, e l’energia con cui egli corre in-torno allo stagno per trovarsi sul punto preciso del vo-stro approdo, è veramente lusinghiera in sommo grado.

S’egli è d’una struttura atticciata e asmatica, potetefacilmente sfuggire ai suoi approcci; ma, se è del tipogiovanile dalle gambe lunghe, l’incontro è inevitabile. Ilcolloquio, però, è estremamente breve, e la maggior par-te della conversazione è sostenuta da lui, giacchè le vo-stre osservazioni sono d’ordine esclamativo e monosil-labico, e, appena, potete, ve la date a gambe.

Io dedicai circa tre mesi all’esercizio della zattera, e,avendo progredito quanto bastava in questo ramodell’arte, risolsi d’imparare a modo quella del remo, edentrai in una delle società di canottaggio del Lea.

A uscire sul fiume Lea, specialmente nel pomeriggiodel sabato, tosto si diventa abile a guidare la barca e ra-pido ad evitare gl’investimenti da parte dei rematori ga-glioffi o gli scontri da parte dei trasporti; e inoltres’impara il più svelto e grazioso metodo di appiattarsinel fondo della barca in modo da non esser lanciato nelfiume al passaggio dei cavi di rimorchio.

Ma non si acquista lo stile. Non fu che quando arrivai

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bene anche voi; ma questo non v’attrae verso di lui. Eglidice che v’insegnerà lui a prender le sue tavole e a farneuna zattera; ma, giacchè sapete già abbastanza benecome si fa, l’offerta, benchè senza dubbio gentile, sem-bra superflua da parte sua, e voi non avete intenzione didisturbarlo, accettandola.

La sua ansia d’incontrarvi, però, è a prova controogni vostra freddezza, e l’energia con cui egli corre in-torno allo stagno per trovarsi sul punto preciso del vo-stro approdo, è veramente lusinghiera in sommo grado.

S’egli è d’una struttura atticciata e asmatica, potetefacilmente sfuggire ai suoi approcci; ma, se è del tipogiovanile dalle gambe lunghe, l’incontro è inevitabile. Ilcolloquio, però, è estremamente breve, e la maggior par-te della conversazione è sostenuta da lui, giacchè le vo-stre osservazioni sono d’ordine esclamativo e monosil-labico, e, appena, potete, ve la date a gambe.

Io dedicai circa tre mesi all’esercizio della zattera, e,avendo progredito quanto bastava in questo ramodell’arte, risolsi d’imparare a modo quella del remo, edentrai in una delle società di canottaggio del Lea.

A uscire sul fiume Lea, specialmente nel pomeriggiodel sabato, tosto si diventa abile a guidare la barca e ra-pido ad evitare gl’investimenti da parte dei rematori ga-glioffi o gli scontri da parte dei trasporti; e inoltres’impara il più svelto e grazioso metodo di appiattarsinel fondo della barca in modo da non esser lanciato nelfiume al passaggio dei cavi di rimorchio.

Ma non si acquista lo stile. Non fu che quando arrivai

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sul Tamigi, che imparai lo stile. Il mio stile nel remare èora molto ammirato. La gente dice che è così bizzarro.

Giorgio non si avvicinò all’acqua che quando ebbesedici anni. Allora egli e altri otto signorini, a un dipresso della stessa età, si recarono in corpo a Kew, unsabato, con l’idea di noleggiarvi una barca, e di remarefino a Richmond e di ritornarne. Uno della brigata, ungiovane dai capelli folti, di nome Joskin, che aveva unpaio di volte condotto un canotto sulla Serpentine, ave-va detto a tutti ch’era un gran divertimento andare inbarca.

La marea saliva piuttosto rapida quand’essi raggiun-sero l’approdo, e una rigida brezza spirava sul fiume,ma questo non li turbò affatto, e si misero a scegliere labarca.

C’era un’imbarcazione da corsa a otto coppie di remi,tirata sull’approdo, e s’incapricciarono di quella. Perpiacere, dissero, volevano proprio quella.

Il barcaiuolo era assente e c’era il suo ragazzo. Il ra-gazzo cercò di smorzare il loro ardire per l’imbarcazio-ne a otto remi, e mostrò loro due o tre barche del tipo diescursione per famiglia, all’aspetto molto comode; manon vollero neppure sentirne parlare: era quella a ottocoppie di remi la barca in cui avrebbero figurato meglio.

Così il ragazzo la varò, ed essi si cavarono le giacchee si prepararono a prendere il loro posto. Il ragazzo con-sigliò a Giorgio, che anche in quei giorni era il più gras-so di tutti gli altri compagni, di occupare il sedile nume-ro quattro. Giorgio disse che sarebbe stato lietissimo

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sul Tamigi, che imparai lo stile. Il mio stile nel remare èora molto ammirato. La gente dice che è così bizzarro.

Giorgio non si avvicinò all’acqua che quando ebbesedici anni. Allora egli e altri otto signorini, a un dipresso della stessa età, si recarono in corpo a Kew, unsabato, con l’idea di noleggiarvi una barca, e di remarefino a Richmond e di ritornarne. Uno della brigata, ungiovane dai capelli folti, di nome Joskin, che aveva unpaio di volte condotto un canotto sulla Serpentine, ave-va detto a tutti ch’era un gran divertimento andare inbarca.

La marea saliva piuttosto rapida quand’essi raggiun-sero l’approdo, e una rigida brezza spirava sul fiume,ma questo non li turbò affatto, e si misero a scegliere labarca.

C’era un’imbarcazione da corsa a otto coppie di remi,tirata sull’approdo, e s’incapricciarono di quella. Perpiacere, dissero, volevano proprio quella.

Il barcaiuolo era assente e c’era il suo ragazzo. Il ra-gazzo cercò di smorzare il loro ardire per l’imbarcazio-ne a otto remi, e mostrò loro due o tre barche del tipo diescursione per famiglia, all’aspetto molto comode; manon vollero neppure sentirne parlare: era quella a ottocoppie di remi la barca in cui avrebbero figurato meglio.

Così il ragazzo la varò, ed essi si cavarono le giacchee si prepararono a prendere il loro posto. Il ragazzo con-sigliò a Giorgio, che anche in quei giorni era il più gras-so di tutti gli altri compagni, di occupare il sedile nume-ro quattro. Giorgio disse che sarebbe stato lietissimo

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d’essere il numero quattro e tosto andò a mettersi al po-sto di prima, sedendo con le spalle al timone. Finalmen-te poterono farlo sedere dove gli toccava; e quindi si di-sposero gli altri.

Un ragazzo particolarmente nervoso fu nominato ti-moniere, e Joskin gli spiegò i principî del timone. Joskinstesso faceva da prodiere e disse ai compagni ch’era unacosa abbastanza semplice; tutti gli altri non dovevanofare che imitarlo.

Si dichiararono tutti pronti, e il ragazzo sull’approdoprese una gaffa e li staccò dalla riva.

Giorgio non sa descrivere in particolare ciò che av-venne. Egli ha il ricordo confuso di avere, nell’istanteimmediato della partenza, ricevuto un violento colpo alfianco dalla pala del remo numero cinque, mentre nellostesso tempo gli sembrò che il sedile gli sparisse per in-cantesimo di sotto, e lo mandasse disteso sulle tavole.Osservò anche una curiosa circostanza: che il numerodue giaceva nello stesso momento sulla schiena nel fon-do della barca, con le gambe in aria, verosimilmente inun attacco di convulsioni.

Passarono sotto il ponte di Kew, di lato, alla velocitàdi otto miglia all’ora. Joskin era il solo che remasse.Giorgio, ristabilendosi sul sedile, tentò di aiutarlo; ma,tuffando nell’acqua il remo, questo, con sua indicibilesorpresa, scomparve sotto la barca, e mancò poco non lotrascinasse con sè.

E allora il timoniere gettò nel fiume entrambe le funi-celle del timone, e si mise a piangere.

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d’essere il numero quattro e tosto andò a mettersi al po-sto di prima, sedendo con le spalle al timone. Finalmen-te poterono farlo sedere dove gli toccava; e quindi si di-sposero gli altri.

Un ragazzo particolarmente nervoso fu nominato ti-moniere, e Joskin gli spiegò i principî del timone. Joskinstesso faceva da prodiere e disse ai compagni ch’era unacosa abbastanza semplice; tutti gli altri non dovevanofare che imitarlo.

Si dichiararono tutti pronti, e il ragazzo sull’approdoprese una gaffa e li staccò dalla riva.

Giorgio non sa descrivere in particolare ciò che av-venne. Egli ha il ricordo confuso di avere, nell’istanteimmediato della partenza, ricevuto un violento colpo alfianco dalla pala del remo numero cinque, mentre nellostesso tempo gli sembrò che il sedile gli sparisse per in-cantesimo di sotto, e lo mandasse disteso sulle tavole.Osservò anche una curiosa circostanza: che il numerodue giaceva nello stesso momento sulla schiena nel fon-do della barca, con le gambe in aria, verosimilmente inun attacco di convulsioni.

Passarono sotto il ponte di Kew, di lato, alla velocitàdi otto miglia all’ora. Joskin era il solo che remasse.Giorgio, ristabilendosi sul sedile, tentò di aiutarlo; ma,tuffando nell’acqua il remo, questo, con sua indicibilesorpresa, scomparve sotto la barca, e mancò poco non lotrascinasse con sè.

E allora il timoniere gettò nel fiume entrambe le funi-celle del timone, e si mise a piangere.

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Giorgio non seppe mai come essi tornassero a riva;ma occorsero quaranta minuti precisi. Una folla assistèal divertimento interessantissimo dal ponte di Kew, etutti gridavano agli otto ragazzi dei consigli diversi. Trevolte i ragazzi riuscirono a ritrarre la barca dall’arco etre volte la riportarono di nuovo sotto l’arco; e tutte levolte che il timoniere si vedeva sotto il ponte rompevain nuovi singhiozzi.

Giorgio disse che quel pomeriggio disperò assoluta-mente che un giorno avrebbe potuto condurre una barca.

Harris è più novizio a remare nel mare che nel fiume,e dice che, come esercizio, preferisce il mare. Io no. Ri-cordo l’estate scorsa di aver condotto un canotto al largod’Eastbourne: avevo negli anni passati remato molto inmare, e credevo sarei andato magnificamente; ma trovaiche avevo dimenticato interamente l’arte. Quando unremo arrivava profondo sott’acqua, l’altro s’agitava vio-lentemente in aria. Per toccar l’acqua con entrambi con-temporaneamente, dovevo stare in piedi. La passeggiataera affollata, di tutta l’inclita e di tutto il colto pubblico,e io dovetti passar loro davanti, remando in quel modoridicolo. Sbarcai a mezza via sulla spiaggia, e m’assicu-rai i servizî d’un vecchio barcaiolo per tornare indietro.

Mi piace guardare un vecchio barcaiolo che rema,specialmente se è stato noleggiato a ore. V’è nel suometodo qualcosa di così bellamente calmo e riposante.Nulla della fretta ansiosa, del veemente sforzo che di-venta sempre più il tormento della vita del secolo deci-monono. Egli non si sforza mai d’oltrepassare tutte le

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Giorgio non seppe mai come essi tornassero a riva;ma occorsero quaranta minuti precisi. Una folla assistèal divertimento interessantissimo dal ponte di Kew, etutti gridavano agli otto ragazzi dei consigli diversi. Trevolte i ragazzi riuscirono a ritrarre la barca dall’arco etre volte la riportarono di nuovo sotto l’arco; e tutte levolte che il timoniere si vedeva sotto il ponte rompevain nuovi singhiozzi.

Giorgio disse che quel pomeriggio disperò assoluta-mente che un giorno avrebbe potuto condurre una barca.

Harris è più novizio a remare nel mare che nel fiume,e dice che, come esercizio, preferisce il mare. Io no. Ri-cordo l’estate scorsa di aver condotto un canotto al largod’Eastbourne: avevo negli anni passati remato molto inmare, e credevo sarei andato magnificamente; ma trovaiche avevo dimenticato interamente l’arte. Quando unremo arrivava profondo sott’acqua, l’altro s’agitava vio-lentemente in aria. Per toccar l’acqua con entrambi con-temporaneamente, dovevo stare in piedi. La passeggiataera affollata, di tutta l’inclita e di tutto il colto pubblico,e io dovetti passar loro davanti, remando in quel modoridicolo. Sbarcai a mezza via sulla spiaggia, e m’assicu-rai i servizî d’un vecchio barcaiolo per tornare indietro.

Mi piace guardare un vecchio barcaiolo che rema,specialmente se è stato noleggiato a ore. V’è nel suometodo qualcosa di così bellamente calmo e riposante.Nulla della fretta ansiosa, del veemente sforzo che di-venta sempre più il tormento della vita del secolo deci-monono. Egli non si sforza mai d’oltrepassare tutte le

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altre barche. Se un’altra lo raggiunge e gli passa davan-ti, egli non se ne cura; e in realtà tutte lo raggiungono egli passano davanti – tutte quelle che seguono la stessarotta. Questo turberebbe e irriterebbe molti altri; la su-blime equanimità in simili cimenti del barcaiolo a noloci dà una magnifica lezione contro l’ambizione e l’alte-rigia.

L’arte di condurre innanzi la barca coi remi non èmolto difficile, ma ci vuole molta pratica, prima che unosi senta a suo agio nell’atto di remare sfilando innanzi adelle ragazze. È il «tempo» che impaccia un novellino.«È strano — egli dice, quando la ventesima volta in cin-que minuti distriga i suoi remi dai vostri; — quando sonsolo vado invece benissimo».

È divertentissimo veder dei novizî tentar di remare ri-spettivamente a tempo. Il prodiere trova impossibile an-dar di conserva col rematore di poppa, perchè il remato-re di poppa rema in un modo così strano. Ma di questo ilrematore di poppa s’irrita, e spiega che negli ultimi dieciminuti non ha fatto che cercare di adattare il proprio me-todo alla limitata capacità del prodiere. Il prodiere, a suavolta, si sente oltraggiato, e prega il rematore di poppadi non disturbarsi a guardar quello che fa lui, ma di cer-car di remare a modo.

— O debbo mettermi io a poppa — aggiunge, conl’impressione evidente che questo accomoderebbe subi-to ogni cosa.

Sguazzano per un altro centinaio di metri sempre conpoco successo, e poi tutto il segreto del loro sconcerto

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altre barche. Se un’altra lo raggiunge e gli passa davan-ti, egli non se ne cura; e in realtà tutte lo raggiungono egli passano davanti – tutte quelle che seguono la stessarotta. Questo turberebbe e irriterebbe molti altri; la su-blime equanimità in simili cimenti del barcaiolo a noloci dà una magnifica lezione contro l’ambizione e l’alte-rigia.

L’arte di condurre innanzi la barca coi remi non èmolto difficile, ma ci vuole molta pratica, prima che unosi senta a suo agio nell’atto di remare sfilando innanzi adelle ragazze. È il «tempo» che impaccia un novellino.«È strano — egli dice, quando la ventesima volta in cin-que minuti distriga i suoi remi dai vostri; — quando sonsolo vado invece benissimo».

È divertentissimo veder dei novizî tentar di remare ri-spettivamente a tempo. Il prodiere trova impossibile an-dar di conserva col rematore di poppa, perchè il remato-re di poppa rema in un modo così strano. Ma di questo ilrematore di poppa s’irrita, e spiega che negli ultimi dieciminuti non ha fatto che cercare di adattare il proprio me-todo alla limitata capacità del prodiere. Il prodiere, a suavolta, si sente oltraggiato, e prega il rematore di poppadi non disturbarsi a guardar quello che fa lui, ma di cer-car di remare a modo.

— O debbo mettermi io a poppa — aggiunge, conl’impressione evidente che questo accomoderebbe subi-to ogni cosa.

Sguazzano per un altro centinaio di metri sempre conpoco successo, e poi tutto il segreto del loro sconcerto

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balena al rematore di poppa con un lampo d’ispirazione:— Vuoi sapere perchè? Tu hai presi i miei remi —

esclama volgendosi al prodiere — dàlli qua.— Ah, ora capisco. Anch’io mi domandavo come mai

io non mi trovavo con questi — risponde il prodiere, ir-radiandosi, e facendo molto volentieri lo scambio. —Ora si andrà bene.

Ma neanche allora vanno bene. Il rematore di poppadeve quasi slogarsi le braccia per raggiungere i suoiremi; mentre i remi del prodiere, a ogni ripresa, gli dàn-no un violento colpo in petto. Allora si scambiano dinuovo gli strumenti, e vengono alla conclusione che ilpadrone della barca ha loro dato due paia di remi diun’altra imbarcazione, e, riversando il loro comune ri-sentimento sul padrone, corroborano la loro amicizia ela loro simpatia.

Giorgio disse che spesso desiderava, come un diversi-vo, di condurre una zattera. Condurre una zattera non ècosì facile come sembra. S’apprende subito come anda-re innanzi remando e come maneggiarla, ma ci vuoleuna lunga pratica prima di poterlo fare con dignità esenza buttarsi l’acqua in una manica.

Un giovane, che io conoscevo, ebbe una triste avven-tura la prima volta che andò a spasso con una zattera.Era andato innanzi così bene ch’era diventato perfino te-merario e camminava su e giù per la zattera, adoperandoil palo con una grazia disinvolta assolutamente affasci-nante a vedere. Si spingeva fin sulla punta della zattera,piantava il palo, e poi correva fino all’altra estremità,

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balena al rematore di poppa con un lampo d’ispirazione:— Vuoi sapere perchè? Tu hai presi i miei remi —

esclama volgendosi al prodiere — dàlli qua.— Ah, ora capisco. Anch’io mi domandavo come mai

io non mi trovavo con questi — risponde il prodiere, ir-radiandosi, e facendo molto volentieri lo scambio. —Ora si andrà bene.

Ma neanche allora vanno bene. Il rematore di poppadeve quasi slogarsi le braccia per raggiungere i suoiremi; mentre i remi del prodiere, a ogni ripresa, gli dàn-no un violento colpo in petto. Allora si scambiano dinuovo gli strumenti, e vengono alla conclusione che ilpadrone della barca ha loro dato due paia di remi diun’altra imbarcazione, e, riversando il loro comune ri-sentimento sul padrone, corroborano la loro amicizia ela loro simpatia.

Giorgio disse che spesso desiderava, come un diversi-vo, di condurre una zattera. Condurre una zattera non ècosì facile come sembra. S’apprende subito come anda-re innanzi remando e come maneggiarla, ma ci vuoleuna lunga pratica prima di poterlo fare con dignità esenza buttarsi l’acqua in una manica.

Un giovane, che io conoscevo, ebbe una triste avven-tura la prima volta che andò a spasso con una zattera.Era andato innanzi così bene ch’era diventato perfino te-merario e camminava su e giù per la zattera, adoperandoil palo con una grazia disinvolta assolutamente affasci-nante a vedere. Si spingeva fin sulla punta della zattera,piantava il palo, e poi correva fino all’altra estremità,

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proprio come un vecchio pratico di zattere. Ah, era unacosa magnifica!

E la cosa avrebbe continuato a essere magnifica seegli disgraziatamente, mentre guardava in giro a godersiil passaggio, non avesse fatto un passo più del necessa-rio, uscendo assolutamente fuori della zattera. Il palo erafissato saldamente nella mota, ed egli rimase aggrappatoal palo, mentre la zattera s’allontanava galleggiando. Unmonello ch’era sulla riva, immediatamente strillò a uncompagno, che lo seguiva, di «correre a vedere unascimmia aggrappata a un bastone».

Io non potei correre in suo aiuto, perchè disgraziavolle che non avessimo preso la precauzione di portarciun secondo palo. Non potei far altro che rimanermeneseduto a guardar l’amico. La sua espressione nell’attoche il palo affondava lentamente con lui non la dimenti-cherò mai più: era tanto pensosa.

Lo vidi andar giù pian piano nell’acqua, e lo vidi ve-nirne fuori triste e grondante. Non potei non ridere di-nanzi a una figura così ridicola. Continuai a gorgogliarefra me e me, per qualche tempo; ma poi a un tratto milampeggiò l’idea che, riflettendoci bene, io avevo pocaragion di ridere. Eccomi lì solo in una zattera, senza ilpalo, andar disperatamente alla deriva, forse verso unosbarramento.

Cominciai a sentire una viva indignazione control’amico, che se n’era uscito e andato in quella maniera.Avrebbe dovuto almeno lasciarmi il palo.

Mi trascinai così per circa un quarto di miglio, e poi

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proprio come un vecchio pratico di zattere. Ah, era unacosa magnifica!

E la cosa avrebbe continuato a essere magnifica seegli disgraziatamente, mentre guardava in giro a godersiil passaggio, non avesse fatto un passo più del necessa-rio, uscendo assolutamente fuori della zattera. Il palo erafissato saldamente nella mota, ed egli rimase aggrappatoal palo, mentre la zattera s’allontanava galleggiando. Unmonello ch’era sulla riva, immediatamente strillò a uncompagno, che lo seguiva, di «correre a vedere unascimmia aggrappata a un bastone».

Io non potei correre in suo aiuto, perchè disgraziavolle che non avessimo preso la precauzione di portarciun secondo palo. Non potei far altro che rimanermeneseduto a guardar l’amico. La sua espressione nell’attoche il palo affondava lentamente con lui non la dimenti-cherò mai più: era tanto pensosa.

Lo vidi andar giù pian piano nell’acqua, e lo vidi ve-nirne fuori triste e grondante. Non potei non ridere di-nanzi a una figura così ridicola. Continuai a gorgogliarefra me e me, per qualche tempo; ma poi a un tratto milampeggiò l’idea che, riflettendoci bene, io avevo pocaragion di ridere. Eccomi lì solo in una zattera, senza ilpalo, andar disperatamente alla deriva, forse verso unosbarramento.

Cominciai a sentire una viva indignazione control’amico, che se n’era uscito e andato in quella maniera.Avrebbe dovuto almeno lasciarmi il palo.

Mi trascinai così per circa un quarto di miglio, e poi

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arrivai in vista d’una zattera da pesca ormeggiata inmezzo alla corrente e nella quale stavano due vecchi pe-scatori. Mi videro diretto verso di loro e mi gridarono divirar di fianco.

— Non posso — risposi gridando.— Ma tu non lo tenti neppure — dissero di rimando.Spiegai loro la cosa quando mi avvicinai, e allora mi

acchiapparono e mi prestarono un palo. Lo sbarramentoera a cinquanta metri più giù. Son lieto che l’avesserocostruito lì.

La prima volta che andai con una zattera fu in compa-gnia di tre altri amici, che dovevano mostrarmi come sifacesse. Siccome non potevamo recarci tutti e quattroalla stessa ora, dissi che sarei andato io prima a pigliarela zattera, e vi avrei fatto un po’ di pratica, prima delloro arrivo.

Quel pomeriggio non mi fu possibile noleggiare unazattera; erano state tutte date, e allora, non avendo altroda fare, mi sedetti sulla riva, guardando il fiume e aspet-tando gli amici.

Non ero rimasto lì a lungo, quando la mia attenzionefu attratta da un giovane in una zattera, il quale comenotai con qualche sorpresa, portava una maglia e un ber-retto esattamente simili ai miei. Era evidentemente novi-zio nell’arte di guidare una zattera, e le sue esercitazionierano molto interessanti. Non si sapeva mai dire ciò chesarebbe accaduto quando tuffava il palo: certo non co-nosceva le proprie possibilità. Talvolta si slanciava con-tro corrente e talvolta secondo corrente, e in qualche al-

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arrivai in vista d’una zattera da pesca ormeggiata inmezzo alla corrente e nella quale stavano due vecchi pe-scatori. Mi videro diretto verso di loro e mi gridarono divirar di fianco.

— Non posso — risposi gridando.— Ma tu non lo tenti neppure — dissero di rimando.Spiegai loro la cosa quando mi avvicinai, e allora mi

acchiapparono e mi prestarono un palo. Lo sbarramentoera a cinquanta metri più giù. Son lieto che l’avesserocostruito lì.

La prima volta che andai con una zattera fu in compa-gnia di tre altri amici, che dovevano mostrarmi come sifacesse. Siccome non potevamo recarci tutti e quattroalla stessa ora, dissi che sarei andato io prima a pigliarela zattera, e vi avrei fatto un po’ di pratica, prima delloro arrivo.

Quel pomeriggio non mi fu possibile noleggiare unazattera; erano state tutte date, e allora, non avendo altroda fare, mi sedetti sulla riva, guardando il fiume e aspet-tando gli amici.

Non ero rimasto lì a lungo, quando la mia attenzionefu attratta da un giovane in una zattera, il quale comenotai con qualche sorpresa, portava una maglia e un ber-retto esattamente simili ai miei. Era evidentemente novi-zio nell’arte di guidare una zattera, e le sue esercitazionierano molto interessanti. Non si sapeva mai dire ciò chesarebbe accaduto quando tuffava il palo: certo non co-nosceva le proprie possibilità. Talvolta si slanciava con-tro corrente e talvolta secondo corrente, e in qualche al-

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tro momento faceva un giro e si presentava dall’altrolato. E, a ogni risultato delle sue manovre, egli parevaegualmente sorpreso a annoiato.

La gente intorno al fiume cominciò, dopo un po’, aconcentrare tutta la sua attenzione in lui, e a fare dellescommesse sul probabile risultato della prossima spinta.

Dopo qualche tempo, i miei amici arrivarono sullasponda opposta, e si fermarono a guardare anch’essi. Ilgiovane volgeva loro le spalle, ed essi vedevano soltan-to la maglia e il berretto. Da questo immediatamentesaltarono alla conclusione che fossi io, il loro dilettoamico, che facesse mostra della propria abilità, e la lorogioia non ebbe limiti. Essi cominciarono a beffeggiarlospietatamente.

Sulle prime non avevo compreso il loro equivoco, epensavo: «Come son scortesi a comportarsi a quelmodo, e con una persona, poi, assolutamente estranea!»Ma prima che potessi chiamarli e rimproverarli, mi ba-lenò la spiegazione della cosa, e mi ritrassi dietro un al-bero.

Oh, com’essi si divertivano, mettendo in ridicolo quelgiovane! Per cinque buoni minuti continuarono a gridar-gli ogni sorta d’insolenze, a deriderlo, schernirlo, a tor-mentarlo. Peparono delle vecchie facezie, ne crearonoanche delle nuove, e gliele scagliarono. Buttarono tutti ivecchi motteggi familiari del nostro circolo che doveva-no arrivare al bersagliato perfettamente indecifrabili. Epoi, incapace di resistere più oltre a quel brutale fuocodi fila, quegli si voltò, e poterono guardarlo in faccia.

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tro momento faceva un giro e si presentava dall’altrolato. E, a ogni risultato delle sue manovre, egli parevaegualmente sorpreso a annoiato.

La gente intorno al fiume cominciò, dopo un po’, aconcentrare tutta la sua attenzione in lui, e a fare dellescommesse sul probabile risultato della prossima spinta.

Dopo qualche tempo, i miei amici arrivarono sullasponda opposta, e si fermarono a guardare anch’essi. Ilgiovane volgeva loro le spalle, ed essi vedevano soltan-to la maglia e il berretto. Da questo immediatamentesaltarono alla conclusione che fossi io, il loro dilettoamico, che facesse mostra della propria abilità, e la lorogioia non ebbe limiti. Essi cominciarono a beffeggiarlospietatamente.

Sulle prime non avevo compreso il loro equivoco, epensavo: «Come son scortesi a comportarsi a quelmodo, e con una persona, poi, assolutamente estranea!»Ma prima che potessi chiamarli e rimproverarli, mi ba-lenò la spiegazione della cosa, e mi ritrassi dietro un al-bero.

Oh, com’essi si divertivano, mettendo in ridicolo quelgiovane! Per cinque buoni minuti continuarono a gridar-gli ogni sorta d’insolenze, a deriderlo, schernirlo, a tor-mentarlo. Peparono delle vecchie facezie, ne crearonoanche delle nuove, e gliele scagliarono. Buttarono tutti ivecchi motteggi familiari del nostro circolo che doveva-no arrivare al bersagliato perfettamente indecifrabili. Epoi, incapace di resistere più oltre a quel brutale fuocodi fila, quegli si voltò, e poterono guardarlo in faccia.

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Io fui lieto di osservare che ad essi era rimasto abba-stanza decoro da assumere un aspetto da scemi. Spiega-rono al giovane che lo avevano scambiato per uno diloro conoscenza, dicendo che speravano non li stimassecapaci d’insultare chiunque non fosse un loro amicopersonale.

Naturalmente l’averlo scambiato per un amico li scu-sò. Ricordo che Harris mi raccontò un’avventura marinacapitatagli a Boulogne. Stava nuotando nei pressi dellaspiaggia, quando si sentì preso di dietro improvvisamen-te per il collo, e a forza tuffato sott’acqua. Egli lottò vio-lentemente, ma chi l’aveva abbrancato doveva essere unperfetto Ercole, e tutti gli sforzi di Harris per sfuggirglifurono assolutamente vani. Aveva rinunziato a dar calcie aveva rivolto il pensiero ad augusti oggetti, quando ilsuo catturatore lasciò la presa.

Harris si rimise in piedi, e si volse per vedere l’assali-tore. L’assalitore gli stava accanto ridendo cordialmente,ma nell’istante che scòrse la faccia di Harris, emersadalle acque, diede un balzo indietro e apparve assoluta-mente sconcertato.

— Veramente vi domando scusa — balbettò confusa-mente — ma vi avevo scambiato per un mio amico.

Harris pensò d’esser stato fortunato a non esserescambiato per un parente; altrimenti sarebbe stato anne-gato in quattro e quattr’otto.

Anche ad usar la vela occorre conoscenza e pratica –benchè da ragazzo non lo immaginassi. Credevo chefosse una cosa naturale, come il giro giro tondo e gli al-

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Io fui lieto di osservare che ad essi era rimasto abba-stanza decoro da assumere un aspetto da scemi. Spiega-rono al giovane che lo avevano scambiato per uno diloro conoscenza, dicendo che speravano non li stimassecapaci d’insultare chiunque non fosse un loro amicopersonale.

Naturalmente l’averlo scambiato per un amico li scu-sò. Ricordo che Harris mi raccontò un’avventura marinacapitatagli a Boulogne. Stava nuotando nei pressi dellaspiaggia, quando si sentì preso di dietro improvvisamen-te per il collo, e a forza tuffato sott’acqua. Egli lottò vio-lentemente, ma chi l’aveva abbrancato doveva essere unperfetto Ercole, e tutti gli sforzi di Harris per sfuggirglifurono assolutamente vani. Aveva rinunziato a dar calcie aveva rivolto il pensiero ad augusti oggetti, quando ilsuo catturatore lasciò la presa.

Harris si rimise in piedi, e si volse per vedere l’assali-tore. L’assalitore gli stava accanto ridendo cordialmente,ma nell’istante che scòrse la faccia di Harris, emersadalle acque, diede un balzo indietro e apparve assoluta-mente sconcertato.

— Veramente vi domando scusa — balbettò confusa-mente — ma vi avevo scambiato per un mio amico.

Harris pensò d’esser stato fortunato a non esserescambiato per un parente; altrimenti sarebbe stato anne-gato in quattro e quattr’otto.

Anche ad usar la vela occorre conoscenza e pratica –benchè da ragazzo non lo immaginassi. Credevo chefosse una cosa naturale, come il giro giro tondo e gli al-

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tri giuochi infantili. Conoscevo un altro ragazzo cheaveva la mia stessa opinione, e così, un giorno di vento,ci venne in mente di darci a veleggiare. Stavamo a Yar-mouth, e decidemmo di arrivare fino a Yare. Noleg-giammo una barca a vela a un cantiere presso il ponte, esalpammo.

— È una giornata un po’ brusca — ci disse il padro-ne, mentre si partiva — meglio far terzuolo e mantenersiall’orza arrivando alla curva.

Rispondemmo che ce ne saremmo ricordati, e, la-sciandolo con un allegro «Arrivederci», ci domandam-mo come far terzuolo e dove arrivare all’orza, e che bi-sognasse farne quando l’avessimo.

Remammo finchè non perdemmo di vista la città, epoi con un vasto tratto d’acqua dinanzi e il vento impe-tuoso di perfetta burrasca, comprendemmo ch’era tempodi cominciare le operazioni.

Ettore – credo che si chiamasse così – continuò a re-mare, mentre io svolgevo la vela. Sembrava un lavorocomplicato, ma io lo compii tutto, e allora mi domandaiquale fosse il di sopra.

Per una specie d’istinto naturale, noi, s’intende, deci-demmo eventualmente che la parte inferiore fosse la su-periore, e ci applicammo a fissarla al rovescio. Ma civolle molto per issarla, storta o dritta che fosse.L’impressione sullo spirito della vela era che noi stessi-mo giocando ai funerali, e che io fossi il cadavere edessa il sudario.

Quando trovò che non era così, mi colpì la testa col

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tri giuochi infantili. Conoscevo un altro ragazzo cheaveva la mia stessa opinione, e così, un giorno di vento,ci venne in mente di darci a veleggiare. Stavamo a Yar-mouth, e decidemmo di arrivare fino a Yare. Noleg-giammo una barca a vela a un cantiere presso il ponte, esalpammo.

— È una giornata un po’ brusca — ci disse il padro-ne, mentre si partiva — meglio far terzuolo e mantenersiall’orza arrivando alla curva.

Rispondemmo che ce ne saremmo ricordati, e, la-sciandolo con un allegro «Arrivederci», ci domandam-mo come far terzuolo e dove arrivare all’orza, e che bi-sognasse farne quando l’avessimo.

Remammo finchè non perdemmo di vista la città, epoi con un vasto tratto d’acqua dinanzi e il vento impe-tuoso di perfetta burrasca, comprendemmo ch’era tempodi cominciare le operazioni.

Ettore – credo che si chiamasse così – continuò a re-mare, mentre io svolgevo la vela. Sembrava un lavorocomplicato, ma io lo compii tutto, e allora mi domandaiquale fosse il di sopra.

Per una specie d’istinto naturale, noi, s’intende, deci-demmo eventualmente che la parte inferiore fosse la su-periore, e ci applicammo a fissarla al rovescio. Ma civolle molto per issarla, storta o dritta che fosse.L’impressione sullo spirito della vela era che noi stessi-mo giocando ai funerali, e che io fossi il cadavere edessa il sudario.

Quando trovò che non era così, mi colpì la testa col

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palo, e rifiutò di far nient’altro.— Bagnala — disse Ettore — abbassala, e bagnala.Disse che si usava bagnare le vele prima di issarle.

Così io la bagnai; ma questo peggiorò lo stato dellecose. Una vela asciutta, che vi s’aggrappa alle gambe evi s’avvolge alla testa, non è piacevole; ma quando lavela s’è impregnata d’acqua diventa irritante.

Finalmente tutti e due insieme riuscimmo a fissarla,ma esattamente sottosopra – un po’ lateralmente – e lalegammo all’albero con la gomena tagliata per quelloscopo.

Io riferisco semplicemente come un fatto che la barcanon si rovesciò. Non so dare alcuna ragione del perchènon si rovesciasse. Spesso, dopo, ci ho ripensato, manon son mai riuscito a trovare una spiegazione sufficien-te del fenomeno.

Forse esso fu l’effetto della naturale contrarietà dellecose di questo mondo. Chi sa che la barca non fossegiunta alla conclusione, giudicando da un’idea superfi-ciale della nostra condotta, che noi quella mattina aves-simo l’intenzione di suicidarci e che quindi avesse deli-berato di deluderci. Questa è l’unica spiegazione che iopossa offrire.

Con l’abbrancarci disperatamente al capo di bandariuscimmo a tenerci al di dentro della barca, ma lo sfor-zo ci prostrò. Ettore disse che i pirati e gli altri marinailegavano il timone a non so che, e ammainavano la velaprincipale, durante le raffiche tempestose, e che anchenoi si poteva tentar qualcosa di simile; ma io fui

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palo, e rifiutò di far nient’altro.— Bagnala — disse Ettore — abbassala, e bagnala.Disse che si usava bagnare le vele prima di issarle.

Così io la bagnai; ma questo peggiorò lo stato dellecose. Una vela asciutta, che vi s’aggrappa alle gambe evi s’avvolge alla testa, non è piacevole; ma quando lavela s’è impregnata d’acqua diventa irritante.

Finalmente tutti e due insieme riuscimmo a fissarla,ma esattamente sottosopra – un po’ lateralmente – e lalegammo all’albero con la gomena tagliata per quelloscopo.

Io riferisco semplicemente come un fatto che la barcanon si rovesciò. Non so dare alcuna ragione del perchènon si rovesciasse. Spesso, dopo, ci ho ripensato, manon son mai riuscito a trovare una spiegazione sufficien-te del fenomeno.

Forse esso fu l’effetto della naturale contrarietà dellecose di questo mondo. Chi sa che la barca non fossegiunta alla conclusione, giudicando da un’idea superfi-ciale della nostra condotta, che noi quella mattina aves-simo l’intenzione di suicidarci e che quindi avesse deli-berato di deluderci. Questa è l’unica spiegazione che iopossa offrire.

Con l’abbrancarci disperatamente al capo di bandariuscimmo a tenerci al di dentro della barca, ma lo sfor-zo ci prostrò. Ettore disse che i pirati e gli altri marinailegavano il timone a non so che, e ammainavano la velaprincipale, durante le raffiche tempestose, e che anchenoi si poteva tentar qualcosa di simile; ma io fui

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dell’avviso di lasciare che l’imbarcazione seguisse ilvento.

Siccome il mio consiglio era il più facile da seguire,finimmo con l’adottarlo, sforzandoci di abbracciare ilcapo di banda e far andare a suo talento la barca.

La barca viaggiò contro corrente per circa un miglio auna velocità alla quale non sono mai andato più veleg-giando, e non vorrò mai andare una seconda volta. Poi,alla curva, sbandò fino ad aver la vela sott’acqua. Quin-di si raddrizzò per un miracolo e volò verso un lungo ebasso banco di soffice fango.

Il banco di fango ci salvò. La barca si scavò un varcofin nel mezzo e vi s’incuneò. Trovando che eravamo an-cora capaci di muoverci a nostra voglia, invece di esseresbattuti e agitati come due piselli in una vescica, stri-sciammo innanzi e tagliammo la vela.

Ne avevamo abbastanza. Non volevamo esagerare ildivertimento e averne più del necessario. S’era veleg-giato – e in complesso con grande interesse e animazio-ne – e pensammo che era tempo di metterci a remare,per un diversivo.

Prendemmo i remi e tentammo di disincagliare la bar-ca dal fango, e, nel tentativo, rompemmo un remo. Allo-ra procedemmo con molta cautela; ma era un maledettopaio di remi, e il secondo si spezzò con maggiore facili-tà del primo, e ci lasciò disperati.

Il fango si stendeva per circa un centinaio di metri di-nanzi a noi, e di dietro c’era l’acqua. L’unica cosa dafare era sederci e aspettare che qualcuno ci passasse ac-

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dell’avviso di lasciare che l’imbarcazione seguisse ilvento.

Siccome il mio consiglio era il più facile da seguire,finimmo con l’adottarlo, sforzandoci di abbracciare ilcapo di banda e far andare a suo talento la barca.

La barca viaggiò contro corrente per circa un miglio auna velocità alla quale non sono mai andato più veleg-giando, e non vorrò mai andare una seconda volta. Poi,alla curva, sbandò fino ad aver la vela sott’acqua. Quin-di si raddrizzò per un miracolo e volò verso un lungo ebasso banco di soffice fango.

Il banco di fango ci salvò. La barca si scavò un varcofin nel mezzo e vi s’incuneò. Trovando che eravamo an-cora capaci di muoverci a nostra voglia, invece di esseresbattuti e agitati come due piselli in una vescica, stri-sciammo innanzi e tagliammo la vela.

Ne avevamo abbastanza. Non volevamo esagerare ildivertimento e averne più del necessario. S’era veleg-giato – e in complesso con grande interesse e animazio-ne – e pensammo che era tempo di metterci a remare,per un diversivo.

Prendemmo i remi e tentammo di disincagliare la bar-ca dal fango, e, nel tentativo, rompemmo un remo. Allo-ra procedemmo con molta cautela; ma era un maledettopaio di remi, e il secondo si spezzò con maggiore facili-tà del primo, e ci lasciò disperati.

Il fango si stendeva per circa un centinaio di metri di-nanzi a noi, e di dietro c’era l’acqua. L’unica cosa dafare era sederci e aspettare che qualcuno ci passasse ac-

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canto.Non era quella una giornata che attirasse gente sul

fiume, e passarono tre ore prima che si vedesse un’ani-ma. Fu un vecchio pescatore che, con immensa difficol-tà, finalmente ci salvò, e noi fummo rimorchiati ignomi-niosamente fino al cantiere.

Fra il dar una mancia all’uomo che ci riportò sani esalvi, il pagare i remi rotti, e l’essere stati a divertirciquell’ora e mezza, quella vela ci costò una somma nonindifferente. Ma s’era fatta un po’ d’esperienza, e l’espe-rienza, si dice, è sempre a buon mercato, a qualunqueprezzo.

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canto.Non era quella una giornata che attirasse gente sul

fiume, e passarono tre ore prima che si vedesse un’ani-ma. Fu un vecchio pescatore che, con immensa difficol-tà, finalmente ci salvò, e noi fummo rimorchiati ignomi-niosamente fino al cantiere.

Fra il dar una mancia all’uomo che ci riportò sani esalvi, il pagare i remi rotti, e l’essere stati a divertirciquell’ora e mezza, quella vela ci costò una somma nonindifferente. Ma s’era fatta un po’ d’esperienza, e l’espe-rienza, si dice, è sempre a buon mercato, a qualunqueprezzo.

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CAPITOLO XVI.

Reading. – Siamo rimorchiati da una lancia a vapore. – Irritantecondotta dei canotti. – Come inceppano la rotta delle lance avapore. – Giorgio e Harris schivano di nuovo il lavoro. – Unastoria piuttosto comune. – Streatley e Goring.

Verso le undici arrivammo in vista di Reading, dove ilfiume è sudicio e lugubre. I dintorni di Reading non in-vitano a una sosta. La città è celebre e data dagli oscuritempi di re Ethelred, quando i Danesi ancoravano i lorovascelli nel Kennet, e partivano da Reading per devasta-re tutta la campagna di Wessex; e qui Ethelred e il fra-tello Alfredo combatterono sbaragliandoli, Ethelred pre-gando e Alfredo battagliando.

Sembra che, più tardi, Reading fosse considerata uncomodo rifugio, quando non si stava bene a Londra. Ingenerale il Parlamento si precipitava a Reading tutte levolte che una peste infieriva a Westminster; e nel 1625,il foro fece la stessa cosa e tutte le corti furono aperte aReading. Doveva esser comodo avere di tanto in tanto lapeste a Londra e sbarazzarsi degli avvocati e del Parla-mento.

Durante la lotta parlamentare, Reading fu assediatadal conte di Essex, e, un quarto di secolo più tardi, ilprincipe d’Orange vi sbaragliò le truppe del re Giaco-mo.

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CAPITOLO XVI.

Reading. – Siamo rimorchiati da una lancia a vapore. – Irritantecondotta dei canotti. – Come inceppano la rotta delle lance avapore. – Giorgio e Harris schivano di nuovo il lavoro. – Unastoria piuttosto comune. – Streatley e Goring.

Verso le undici arrivammo in vista di Reading, dove ilfiume è sudicio e lugubre. I dintorni di Reading non in-vitano a una sosta. La città è celebre e data dagli oscuritempi di re Ethelred, quando i Danesi ancoravano i lorovascelli nel Kennet, e partivano da Reading per devasta-re tutta la campagna di Wessex; e qui Ethelred e il fra-tello Alfredo combatterono sbaragliandoli, Ethelred pre-gando e Alfredo battagliando.

Sembra che, più tardi, Reading fosse considerata uncomodo rifugio, quando non si stava bene a Londra. Ingenerale il Parlamento si precipitava a Reading tutte levolte che una peste infieriva a Westminster; e nel 1625,il foro fece la stessa cosa e tutte le corti furono aperte aReading. Doveva esser comodo avere di tanto in tanto lapeste a Londra e sbarazzarsi degli avvocati e del Parla-mento.

Durante la lotta parlamentare, Reading fu assediatadal conte di Essex, e, un quarto di secolo più tardi, ilprincipe d’Orange vi sbaragliò le truppe del re Giaco-mo.

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Enrico I è sepolto a Reading, nell’abbazia dei bene-dettini, fondata da lui. Se ne veggono ancora le rovine,e, nella stessa abbazia, il gran Giovanni di Gaunt sposòLady Bianche.

Alla chiusa di Reading trovammo una lancia a vaporedi alcuni amici miei, che ci rimorchiarono fino a circaun miglio da Streatley. È delizioso essere rimorchiati dauna lancia a vapore. Lo preferisco al remare. La rotta sa-rebbe stata ancora più deliziosa, se non fosse stato perun branco di miserabili barche che inceppavano conti-nuamente il cammino della lancia. Per evitar d’investir-le, dovevamo ogni tanto star bene attenti e fermarci. Èveramente seccantissima la maniera come quelle barchea remi ostacolano la via d’una lancia sul fiume: si do-vrebbe pensare a far cessare questo sconcio.

E sono anche così maledettamente insolenti. Potete fi-schiare fino a far scoppiar la caldaia, prima che si sco-modino a tirarsi da parte. Se potessi fare a mio modo, neinvestirei un paio di tanto in tanto, se non altro per darloro una lezione.

Il fiume diventa molto ameno un po’ al di sopra diReading. La ferrovia lo guasta un po’ presso Tilehurst,ma da Mapledurkam fino a Streatley è bellissimo. Unpo’ al di sopra della chiusa di Mapledurkam si passa in-nanzi ad Hardwick House, dove Carlo I giocava a boc-ce. I dintorni di Pangbourne, dove sorge lo strano alber-go del Cigno, dev’essere così familiare ai frequentatoridelle mostre d’arte come ai suoi stessi abitanti.

La lancia dei miei amici ci lasciò precisamente al di

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Enrico I è sepolto a Reading, nell’abbazia dei bene-dettini, fondata da lui. Se ne veggono ancora le rovine,e, nella stessa abbazia, il gran Giovanni di Gaunt sposòLady Bianche.

Alla chiusa di Reading trovammo una lancia a vaporedi alcuni amici miei, che ci rimorchiarono fino a circaun miglio da Streatley. È delizioso essere rimorchiati dauna lancia a vapore. Lo preferisco al remare. La rotta sa-rebbe stata ancora più deliziosa, se non fosse stato perun branco di miserabili barche che inceppavano conti-nuamente il cammino della lancia. Per evitar d’investir-le, dovevamo ogni tanto star bene attenti e fermarci. Èveramente seccantissima la maniera come quelle barchea remi ostacolano la via d’una lancia sul fiume: si do-vrebbe pensare a far cessare questo sconcio.

E sono anche così maledettamente insolenti. Potete fi-schiare fino a far scoppiar la caldaia, prima che si sco-modino a tirarsi da parte. Se potessi fare a mio modo, neinvestirei un paio di tanto in tanto, se non altro per darloro una lezione.

Il fiume diventa molto ameno un po’ al di sopra diReading. La ferrovia lo guasta un po’ presso Tilehurst,ma da Mapledurkam fino a Streatley è bellissimo. Unpo’ al di sopra della chiusa di Mapledurkam si passa in-nanzi ad Hardwick House, dove Carlo I giocava a boc-ce. I dintorni di Pangbourne, dove sorge lo strano alber-go del Cigno, dev’essere così familiare ai frequentatoridelle mostre d’arte come ai suoi stessi abitanti.

La lancia dei miei amici ci lasciò precisamente al di

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sotto della grotta, e allora Harris volle sostenere che fos-se la mia volta di remare. Questo mi parve assai irragio-nevole. Era stato stabilito nella mattinata che io avreicondotto la barca fino a tre miglia al di sopra di Rea-ding. Bene, ci trovavamo dieci miglia al di sopra di Rea-ding. Certo, ora era il loro turno.

Però, non mi riuscì di far vedere nè a Giorgio nè adHarris la faccenda nella sua giusta luce; e, per non di-scutere più, presi io i remi. Non avevo ancora rematoper più d’un minuto a un di presso, che Giorgio scòrsequalche cosa di nero galleggiante sull’acqua, e noi vo-gammo verso quel punto. Giorgio si chinò, quando vifummo da presso, e stese la mano. Poi si ritrasse con ungrido, e con la faccia bianca come un cencio.

Era il cadavere d’una donna. Galleggiava molto leg-germente, e aveva dolce e calmo il viso. Non era un belviso: aveva l’aspetto di una precoce maturità, ed eratroppo sottile ed emaciato; ma pur tuttavia avevaun’impronta di gentilezza e di simpatia, anche nella suaaria d’angustia e di miseria. Vi aleggiava ancora quellosguardo di pace e di riposo che spunta sui visidegl’infermi, quando infine la sofferenza li ha abbando-nati.

Fortunatamente per noi – non avevamo alcun deside-rio d’aggirarci intorno agli uffici giudiziarî – anche al-cune persone sulla riva avevano veduto il corpo, e adesse lo affidammo.

Scoprimmo dopo la storia della donna. Naturalmenteera la vecchia, volgare tragedia. Ella aveva amato, ed

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sotto della grotta, e allora Harris volle sostenere che fos-se la mia volta di remare. Questo mi parve assai irragio-nevole. Era stato stabilito nella mattinata che io avreicondotto la barca fino a tre miglia al di sopra di Rea-ding. Bene, ci trovavamo dieci miglia al di sopra di Rea-ding. Certo, ora era il loro turno.

Però, non mi riuscì di far vedere nè a Giorgio nè adHarris la faccenda nella sua giusta luce; e, per non di-scutere più, presi io i remi. Non avevo ancora rematoper più d’un minuto a un di presso, che Giorgio scòrsequalche cosa di nero galleggiante sull’acqua, e noi vo-gammo verso quel punto. Giorgio si chinò, quando vifummo da presso, e stese la mano. Poi si ritrasse con ungrido, e con la faccia bianca come un cencio.

Era il cadavere d’una donna. Galleggiava molto leg-germente, e aveva dolce e calmo il viso. Non era un belviso: aveva l’aspetto di una precoce maturità, ed eratroppo sottile ed emaciato; ma pur tuttavia avevaun’impronta di gentilezza e di simpatia, anche nella suaaria d’angustia e di miseria. Vi aleggiava ancora quellosguardo di pace e di riposo che spunta sui visidegl’infermi, quando infine la sofferenza li ha abbando-nati.

Fortunatamente per noi – non avevamo alcun deside-rio d’aggirarci intorno agli uffici giudiziarî – anche al-cune persone sulla riva avevano veduto il corpo, e adesse lo affidammo.

Scoprimmo dopo la storia della donna. Naturalmenteera la vecchia, volgare tragedia. Ella aveva amato, ed

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era stata ingannata… o s’era ingannata da sè. A ogninodo, aveva peccato – alcuni di noi fanno di tanto intanto la stessa cosa – e la sua famiglia e i parenti, urtatie indignati naturalmente, le avevano chiuso la porta infaccia.

Lasciata lottare sola nel mondo, con la macina dellasua vergogna legata al collo, ella era precipitata semprepiù in basso. Per un po’ s’era sostenuta, lei e il bambino,con una quindicina di lire la settimana datele da un duroservizio giornaliero, pagandone sette per il bambino etenendo insieme l’anima e il corpo col resto.

Otto lire la settimana non tengono bene aderenti l’ani-ma e il corpo. Essi, quando fra loro v’è un legame cosìleggero, tendono a separarsi, e un giorno, immagino, lasofferenza e la triste monotonia d’ogni cosa le erano ap-parse più chiare innanzi agli occhi, e lo spettro del di-leggio l’aveva spaventata. Ella aveva fatto un ultimo ap-pello ai parenti; ma la voce della sventurata errabonda sispense contro il freddo muro della loro rispettabilità; epoi la donna era andata a visitare il bambino: se l’era te-nuto in braccio e, baciatolo, e come stanca e senza slan-cio, e senza rivelar nessuna particolare commozione,l’aveva lasciato mettendogli in mano una scatoletta dicioccolatini. Poi, con le ultime poche lire, aveva com-prato un biglietto per il tratto della ferrovia fino a Go-ring.

Sembrava che i più umani pensieri della sua vita sifossero concentrati intorno alle contrade boscose e aiverdi prati lucenti di Goring; ma le donne prediligono

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era stata ingannata… o s’era ingannata da sè. A ogninodo, aveva peccato – alcuni di noi fanno di tanto intanto la stessa cosa – e la sua famiglia e i parenti, urtatie indignati naturalmente, le avevano chiuso la porta infaccia.

Lasciata lottare sola nel mondo, con la macina dellasua vergogna legata al collo, ella era precipitata semprepiù in basso. Per un po’ s’era sostenuta, lei e il bambino,con una quindicina di lire la settimana datele da un duroservizio giornaliero, pagandone sette per il bambino etenendo insieme l’anima e il corpo col resto.

Otto lire la settimana non tengono bene aderenti l’ani-ma e il corpo. Essi, quando fra loro v’è un legame cosìleggero, tendono a separarsi, e un giorno, immagino, lasofferenza e la triste monotonia d’ogni cosa le erano ap-parse più chiare innanzi agli occhi, e lo spettro del di-leggio l’aveva spaventata. Ella aveva fatto un ultimo ap-pello ai parenti; ma la voce della sventurata errabonda sispense contro il freddo muro della loro rispettabilità; epoi la donna era andata a visitare il bambino: se l’era te-nuto in braccio e, baciatolo, e come stanca e senza slan-cio, e senza rivelar nessuna particolare commozione,l’aveva lasciato mettendogli in mano una scatoletta dicioccolatini. Poi, con le ultime poche lire, aveva com-prato un biglietto per il tratto della ferrovia fino a Go-ring.

Sembrava che i più umani pensieri della sua vita sifossero concentrati intorno alle contrade boscose e aiverdi prati lucenti di Goring; ma le donne prediligono

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stranamente il pugnale che le trafigge, e forse, nel fielesi dovevan mischiare le radiose memorie di ore dolcissi-me trascorse su quegli abissi profondi sui quali i grossialberi incurvano i loro rami.

Ella aveva vagato tutto il giorno per i boschi in riva alfiume, e poi, al calar della sera e al grigio crepuscolo,che spargeva la sua fosca veste sulle acque, ella stese lebraccia alla corrente silenziosa che aveva conosciuto lasua tristezza e la sua gioia. E il vecchio fiume l’avevaraccolta nelle sue morbide braccia, fugandole ogni sof-ferenza.

Così la donna aveva peccato in ogni cosa – peccatovivendo e morendo. Dio l’aiuti! lei e tutti gli altri pecca-tori, se ancora ce ne sono.

Goring, sulla riva sinistra, e Streatley, sulla destra,sono entrambi bei luoghi per indugiarvi pochi giorni. Itratti fino a Pangbourne allettano per un’escursione avela e sotto il sole o per una vogata al chiaro di luna, ela campagna tutta intorno è piena di bellezza. Avevamodeterminato di spingerci fino a Wallingford quel giorno;ma, la dolce sorridente faccia del fiume in quel punto cipersuase a sostare un po’; e così lasciammo la nostrabarca presso il ponte, ed entrammo in Streatley, e fa-cemmo colazione al «Toro» con gran soddisfazione diMontmorency.

Si dice che le colline dall’uno e l’altro lato della cor-rente una volta fossero congiunte e formassero una bar-riera a traverso ciò che è ora il Tamigi, e che quindi ilfiume finisse al di sopra di Goring in un vasto lago. Io

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stranamente il pugnale che le trafigge, e forse, nel fielesi dovevan mischiare le radiose memorie di ore dolcissi-me trascorse su quegli abissi profondi sui quali i grossialberi incurvano i loro rami.

Ella aveva vagato tutto il giorno per i boschi in riva alfiume, e poi, al calar della sera e al grigio crepuscolo,che spargeva la sua fosca veste sulle acque, ella stese lebraccia alla corrente silenziosa che aveva conosciuto lasua tristezza e la sua gioia. E il vecchio fiume l’avevaraccolta nelle sue morbide braccia, fugandole ogni sof-ferenza.

Così la donna aveva peccato in ogni cosa – peccatovivendo e morendo. Dio l’aiuti! lei e tutti gli altri pecca-tori, se ancora ce ne sono.

Goring, sulla riva sinistra, e Streatley, sulla destra,sono entrambi bei luoghi per indugiarvi pochi giorni. Itratti fino a Pangbourne allettano per un’escursione avela e sotto il sole o per una vogata al chiaro di luna, ela campagna tutta intorno è piena di bellezza. Avevamodeterminato di spingerci fino a Wallingford quel giorno;ma, la dolce sorridente faccia del fiume in quel punto cipersuase a sostare un po’; e così lasciammo la nostrabarca presso il ponte, ed entrammo in Streatley, e fa-cemmo colazione al «Toro» con gran soddisfazione diMontmorency.

Si dice che le colline dall’uno e l’altro lato della cor-rente una volta fossero congiunte e formassero una bar-riera a traverso ciò che è ora il Tamigi, e che quindi ilfiume finisse al di sopra di Goring in un vasto lago. Io

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non sono in condizione nè di contraddire nè di corrobo-rare questa affermazione. La riferisco semplicemente.

Streatley è molto antica, e risale, come molte città emolti villaggi sulla sponda del fiume, ai tempi dei Bri-tanni e dei Sassoni. Goring non è così leggiadro che visi possa sostare come a Streatley, quando si può sceglie-re; ma è abbastanza bello nel suo genere, e più vicinoalla ferrovia, nel caso vogliate svignarvela senza pagareil conto dell’albergo.

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non sono in condizione nè di contraddire nè di corrobo-rare questa affermazione. La riferisco semplicemente.

Streatley è molto antica, e risale, come molte città emolti villaggi sulla sponda del fiume, ai tempi dei Bri-tanni e dei Sassoni. Goring non è così leggiadro che visi possa sostare come a Streatley, quando si può sceglie-re; ma è abbastanza bello nel suo genere, e più vicinoalla ferrovia, nel caso vogliate svignarvela senza pagareil conto dell’albergo.

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CAPITOLO XVII.

Giorno di bucato. – Pesca e pescatori. – Dell’arte di pescare. – Uncoscienzioso pescatore alla mosca. – Una storia peschereccia.

Ci fermammo due giorni a Streatley, e ci facemmo la-vare gli abiti. Avevamo provato a lavarceli da noi, nelfiume, sotto la direzione di Giorgio, ed era stato un falli-mento. Anzi, più d’un fallimento, perchè stavamo, dopoaverci lavato gli abiti, peggio di prima. È vero che eranostati sudici, sudicissimi prima che li avessimo lavati; masi potevano portare. Dopo… bene, il fiume fra Readinged Henley era molto più pulito di quel che non fosse ap-parso prima. Tutto il sudicio contenuto nel fiume fraReading ed Henley lo raccogliemmo noi, durante l’ope-razione, compenetrandolo nei nostri panni.

La lavandaia di Streatley dichiarò che doveva farcipagare il triplo del prezzo abituale, perchè la sua faticanon era stata di lavare, ma piuttosto di fare una specied’escavazione.

Pagammo il conto senza mormorare.I dintorni di Streatley e Goring sono un gran centro di

pesca. Vi abbondano lucci, lasche, ghiozzi e anguille, enon c’è che da sedersi e da pescarli tutto il giorno.

Alcuni fanno così, ma non li acchiappano mai. Io nonho mai conosciuto nessuno che abbia mai acchiappatonulla, giù nel Tamigi, tranne che non si trattasse di ava-

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CAPITOLO XVII.

Giorno di bucato. – Pesca e pescatori. – Dell’arte di pescare. – Uncoscienzioso pescatore alla mosca. – Una storia peschereccia.

Ci fermammo due giorni a Streatley, e ci facemmo la-vare gli abiti. Avevamo provato a lavarceli da noi, nelfiume, sotto la direzione di Giorgio, ed era stato un falli-mento. Anzi, più d’un fallimento, perchè stavamo, dopoaverci lavato gli abiti, peggio di prima. È vero che eranostati sudici, sudicissimi prima che li avessimo lavati; masi potevano portare. Dopo… bene, il fiume fra Readinged Henley era molto più pulito di quel che non fosse ap-parso prima. Tutto il sudicio contenuto nel fiume fraReading ed Henley lo raccogliemmo noi, durante l’ope-razione, compenetrandolo nei nostri panni.

La lavandaia di Streatley dichiarò che doveva farcipagare il triplo del prezzo abituale, perchè la sua faticanon era stata di lavare, ma piuttosto di fare una specied’escavazione.

Pagammo il conto senza mormorare.I dintorni di Streatley e Goring sono un gran centro di

pesca. Vi abbondano lucci, lasche, ghiozzi e anguille, enon c’è che da sedersi e da pescarli tutto il giorno.

Alcuni fanno così, ma non li acchiappano mai. Io nonho mai conosciuto nessuno che abbia mai acchiappatonulla, giù nel Tamigi, tranne che non si trattasse di ava-

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notti e di gatti morti; ma questo, si capisce, non ha nullaa che fare con la pesca. La locale Guida del pescatorenon dice una parola intorno alla cattura di qualche cosa.Dice che il punto è «una buona stazione da pesca», e, daciò che ho veduto del luogo, io sono assolutamente di-sposto a corroborare questa affermazione.

Non v’è alcun punto al mondo dove si possa aver piùda pescare o dove si possa star a pescare per un più lun-go periodo. Alcuni pescatori ci vanno e pescano per ungiorno, e altri si fermano a pescare per un mese. Si puòfermarsi a pescare per un anno, se si vuole: sarà semprelo stesso.

La «Guida del pescatore nel Tamigi» dice che qui sipossono avere anche piccole lasche e perche, ma in que-sto la «Guida del pescatore» ha torto. Piccole lasche eperche forse ce ne sono. Anzi, so di certo che ce nesono. Potete vederle a mucchi quando fate una passeg-giatina lungo la riva: corrono a mettersi a mezzo fuoridell’acqua con le bocche aperte per acchiappare i biscot-ti sbriciolati. E, se fate un bagno, vi s’affollano intorno,e vi ostacolano e v’irritano. Ma non si possono «avere»per un pezzo di verme sulla punta d’un amo, nè per nul-la di simile — oh, no!

Io so di non essere un buon pescatore. Una volta de-dicai parecchia attenzione a questo argomento; e avevofatto, come credevo, qualche progresso; ma i vecchi pra-tici mi dissero che non ci sarei mai riuscito, e mi consi-gliarono a rinunziarvi. Avrei imparato benissimo a get-tar l’amo, e sembrava che in questo avessi molta acutez-

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notti e di gatti morti; ma questo, si capisce, non ha nullaa che fare con la pesca. La locale Guida del pescatorenon dice una parola intorno alla cattura di qualche cosa.Dice che il punto è «una buona stazione da pesca», e, daciò che ho veduto del luogo, io sono assolutamente di-sposto a corroborare questa affermazione.

Non v’è alcun punto al mondo dove si possa aver piùda pescare o dove si possa star a pescare per un più lun-go periodo. Alcuni pescatori ci vanno e pescano per ungiorno, e altri si fermano a pescare per un mese. Si puòfermarsi a pescare per un anno, se si vuole: sarà semprelo stesso.

La «Guida del pescatore nel Tamigi» dice che qui sipossono avere anche piccole lasche e perche, ma in que-sto la «Guida del pescatore» ha torto. Piccole lasche eperche forse ce ne sono. Anzi, so di certo che ce nesono. Potete vederle a mucchi quando fate una passeg-giatina lungo la riva: corrono a mettersi a mezzo fuoridell’acqua con le bocche aperte per acchiappare i biscot-ti sbriciolati. E, se fate un bagno, vi s’affollano intorno,e vi ostacolano e v’irritano. Ma non si possono «avere»per un pezzo di verme sulla punta d’un amo, nè per nul-la di simile — oh, no!

Io so di non essere un buon pescatore. Una volta de-dicai parecchia attenzione a questo argomento; e avevofatto, come credevo, qualche progresso; ma i vecchi pra-tici mi dissero che non ci sarei mai riuscito, e mi consi-gliarono a rinunziarvi. Avrei imparato benissimo a get-tar l’amo, e sembrava che in questo avessi molta acutez-

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za, e abbastanza pigrizia organica. Ma essi erano sicuriche non sarei mai stato pescatore: non avevo l’immagi-nazione sufficiente.

Dissero che come poeta, narratore di avventure fanta-stiche, cronista, o qualsiasi altra cosa di simile, sarei po-tuto arrivare a una posizione discreta, ma che a guada-gnarmi una certa considerazione come pescatore del Ta-migi mi ci sarebbe voluta più mobilità di fantasia e piùforza d’invenzione che non possedessi.

Certi han l’impressione che tutto ciò che occorra performare un buon pescatore sia l’abilità di dir bugie facil-mente e senza arrossire; ma è un errore. La semplice ar-dita costruzione non serve: anche i più novellini ne soncapaci. È nel particolare minuto, nel tocco ornamentaledella probabilità, nell’aria generale di scrupolosa – quasipedantesca – veracità, che si conosce il buon pescatore.

Chiunque può venire a dire: — Ah, io ho acchiappatoquindici dozzine di perche ieri sera; — o: — Lunedìscorso ho pescato un carpio che pesava diciotto libbre emisurava novanta centimetri dal muso alla coda.

Non v’è l’arte, l’abilità che ci vuole per questa sortadi cose. Questa è improntitudine, nient’altro.

No; il pescatore compito abborre dal dire una bugia, aquesto modo. Il suo metodo è per sè stesso uno studio.

Egli si presenta tranquillamente col cappello in testa,s’impadronisce della poltrona più comoda, accende lapipa, e comincia a emettere nuvole di fumo in silenzio.Lascia che i più giovani si millantino per un po’, e poi,durante una calma momentanea, si cava di bocca la

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za, e abbastanza pigrizia organica. Ma essi erano sicuriche non sarei mai stato pescatore: non avevo l’immagi-nazione sufficiente.

Dissero che come poeta, narratore di avventure fanta-stiche, cronista, o qualsiasi altra cosa di simile, sarei po-tuto arrivare a una posizione discreta, ma che a guada-gnarmi una certa considerazione come pescatore del Ta-migi mi ci sarebbe voluta più mobilità di fantasia e piùforza d’invenzione che non possedessi.

Certi han l’impressione che tutto ciò che occorra performare un buon pescatore sia l’abilità di dir bugie facil-mente e senza arrossire; ma è un errore. La semplice ar-dita costruzione non serve: anche i più novellini ne soncapaci. È nel particolare minuto, nel tocco ornamentaledella probabilità, nell’aria generale di scrupolosa – quasipedantesca – veracità, che si conosce il buon pescatore.

Chiunque può venire a dire: — Ah, io ho acchiappatoquindici dozzine di perche ieri sera; — o: — Lunedìscorso ho pescato un carpio che pesava diciotto libbre emisurava novanta centimetri dal muso alla coda.

Non v’è l’arte, l’abilità che ci vuole per questa sortadi cose. Questa è improntitudine, nient’altro.

No; il pescatore compito abborre dal dire una bugia, aquesto modo. Il suo metodo è per sè stesso uno studio.

Egli si presenta tranquillamente col cappello in testa,s’impadronisce della poltrona più comoda, accende lapipa, e comincia a emettere nuvole di fumo in silenzio.Lascia che i più giovani si millantino per un po’, e poi,durante una calma momentanea, si cava di bocca la

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pipa, e osserva, mentre ne scuote la cenere dal fornello:— Bene, martedì sera ho fatto una presa, che è bene

non dica a nessuno.— Oh! perchè? — si chiede.— Perchè penso che nessuno mi crederà, se lo dico

— risponde il brav’uomo, calmo; e senza neppure unasfumatura d’amarezza nel tono; si ricarica la pipa, echiede al padrone del locale di portargli uno di whisky,freddo.

V’è un po’ di silenzio, perchè nessuno si sente suffi-cientemente sicuro di sè da contraddire il vecchio galan-tuomo. E così questi ha da continuare da sè, senza alcu-no che ve lo incoraggi.

— No — egli continua, pensoso. — Neanche io locrederei, se qualcuno me lo raccontasse, ma tuttavia èun fatto. Ero stato seduto lì tutto il pomeriggio e nonavevo acchiappato letteralmente nulla – tranne pochedozzine di perche e una ventina di piccole lasche; e sta-vo appunto per andarmene scoraggiato, quando sentouna stretta piuttosto forte alla lenza. Credevo fosse unaltro pesciolino, e stavo per tirarla. Accidempoli, se po-tevo più muovere la canna! Ci volle mezz’ora –mezz’ora, signori – a tirar fuori quel pesce, e ogni mo-mento temevo che la lenza si dovesse rompere. L’ebbifinalmente, e che credete che fosse? Uno storione, unostorione di quaranta libbre! preso con una lenza, signori!Sì, potete sorprendervene – un altro di whisky, trattore,per piacere.

E poi continua col narrare la meraviglia dei presenti;

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pipa, e osserva, mentre ne scuote la cenere dal fornello:— Bene, martedì sera ho fatto una presa, che è bene

non dica a nessuno.— Oh! perchè? — si chiede.— Perchè penso che nessuno mi crederà, se lo dico

— risponde il brav’uomo, calmo; e senza neppure unasfumatura d’amarezza nel tono; si ricarica la pipa, echiede al padrone del locale di portargli uno di whisky,freddo.

V’è un po’ di silenzio, perchè nessuno si sente suffi-cientemente sicuro di sè da contraddire il vecchio galan-tuomo. E così questi ha da continuare da sè, senza alcu-no che ve lo incoraggi.

— No — egli continua, pensoso. — Neanche io locrederei, se qualcuno me lo raccontasse, ma tuttavia èun fatto. Ero stato seduto lì tutto il pomeriggio e nonavevo acchiappato letteralmente nulla – tranne pochedozzine di perche e una ventina di piccole lasche; e sta-vo appunto per andarmene scoraggiato, quando sentouna stretta piuttosto forte alla lenza. Credevo fosse unaltro pesciolino, e stavo per tirarla. Accidempoli, se po-tevo più muovere la canna! Ci volle mezz’ora –mezz’ora, signori – a tirar fuori quel pesce, e ogni mo-mento temevo che la lenza si dovesse rompere. L’ebbifinalmente, e che credete che fosse? Uno storione, unostorione di quaranta libbre! preso con una lenza, signori!Sì, potete sorprendervene – un altro di whisky, trattore,per piacere.

E poi continua col narrare la meraviglia dei presenti;

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e ciò che disse la moglie, quando egli ritornò a casa; eciò che ne aveva pensato Giovanni Buggles.

Una volta io chiesi al padrone d’un albergo sul fiume,se non gli facesse male, talvolta, l’ascoltare i raccontiche gli toccava sentire dai pescatori, ed egli mi disse:

— Ah, no; non più, signore. In principio mi acciacca-vano un po’; ma, Dio vi benedica! io e mia moglie ora liascoltiamo tutto il giorno. Abbiamo finito con l’abituar-ci. Abbiamo finito con l’abituarci.

Conobbi una volta un giovane, che era molto coscien-zioso e che quando prese a pescare, risolse di non esage-rare mai più del venticinque per cento.

— Quando avrò acchiappato quaranta pesci — egli sidisse — dirò alla gente che ne ho acchiappato cinquan-ta, e così via. Ma non dirò più bugie di così, perchè dirbugie è peccato.

Ma il piano del venticinque per cento non si dimostròaffatto pratico. Egli non fu mai capace di usarlo. Il mag-gior numero di pesci da lui acchiappato in un giorno nonfu mai più di tre, e non si può aggiungere il venticinqueper cento al tre – almeno trattandosi di pesce.

Così accrebbe la percentuale a trentatrè e un terzo;ma neppur così combinava quand’egli aveva acchiappa-to due o tre capi; e allora, per semplificare, si propose diraddoppiare la quantità.

Osservò questa disposizione per un paio di mesi, mapoi ne divenne malcontento. Nessuno gli credeva quan-do assicurava che raddoppiava soltanto, e lui perciò nonguadagnò alcun credito di sorta, mentre la sua modera-

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e ciò che disse la moglie, quando egli ritornò a casa; eciò che ne aveva pensato Giovanni Buggles.

Una volta io chiesi al padrone d’un albergo sul fiume,se non gli facesse male, talvolta, l’ascoltare i raccontiche gli toccava sentire dai pescatori, ed egli mi disse:

— Ah, no; non più, signore. In principio mi acciacca-vano un po’; ma, Dio vi benedica! io e mia moglie ora liascoltiamo tutto il giorno. Abbiamo finito con l’abituar-ci. Abbiamo finito con l’abituarci.

Conobbi una volta un giovane, che era molto coscien-zioso e che quando prese a pescare, risolse di non esage-rare mai più del venticinque per cento.

— Quando avrò acchiappato quaranta pesci — egli sidisse — dirò alla gente che ne ho acchiappato cinquan-ta, e così via. Ma non dirò più bugie di così, perchè dirbugie è peccato.

Ma il piano del venticinque per cento non si dimostròaffatto pratico. Egli non fu mai capace di usarlo. Il mag-gior numero di pesci da lui acchiappato in un giorno nonfu mai più di tre, e non si può aggiungere il venticinqueper cento al tre – almeno trattandosi di pesce.

Così accrebbe la percentuale a trentatrè e un terzo;ma neppur così combinava quand’egli aveva acchiappa-to due o tre capi; e allora, per semplificare, si propose diraddoppiare la quantità.

Osservò questa disposizione per un paio di mesi, mapoi ne divenne malcontento. Nessuno gli credeva quan-do assicurava che raddoppiava soltanto, e lui perciò nonguadagnò alcun credito di sorta, mentre la sua modera-

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zione gli dava un grande svantaggio fra gli altri pescato-ri. Quando aveva realmente acchiappato tre pesciolini, ediceva che ne aveva acchiappato sei, si sentiva geloso disentire un altro, che sapeva di certo ne aveva acchiappa-to soltanto uno, andare in giro spacciando d’averne pre-se due dozzine.

Così fu costretto a ricorrere a un’altra decisione, allaquale si tenne poi religiosamente sempre, e cioè di con-tare ciascun capo per dieci, e di fingerne dieci iniziali.Per esempio, se non ne acchiappava nessuno, dicevad’averne acchiappati dieci – secondo il suo sistema, nonsi poteva mai pescarne meno di dieci: questo era il prin-cipio al quale egli s’informava. Poi, se per caso real-mente ne acchiappava, uno, diceva, venti, mentre duepesci contavano per trenta, tre per quaranta, e così via.

È un metodo semplice e ben congegnato, e recente-mente s’è detto che sia adottato da tutta la confraternitapeschereccia in generale. Anzi, un paio d’anni fa, il co-mitato direttivo dell’associazione fra i pescatori del Ta-migi ne raccomandò l’adozione, ma alcuni dei membripiù anziani lo combatterono. L’avrebbero accettato, dis-sero, se il numero fosse stato raddoppiato, e si fossecontato ogni pesce per venti.

Se mai avete una sera d’avanzo, sul fiume, vi consi-glierei di entrare in una piccola trattoria di qualche vil-laggio, e di pigliar posto fra gli avventori. Sarete quasicerti d’incontrarvi un paio di pescatori alla lenza, occu-pati a centellinare il loro ponce, i quali vi racconterannoabbastanza aneddoti pescherecci da darvi una indige-

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zione gli dava un grande svantaggio fra gli altri pescato-ri. Quando aveva realmente acchiappato tre pesciolini, ediceva che ne aveva acchiappato sei, si sentiva geloso disentire un altro, che sapeva di certo ne aveva acchiappa-to soltanto uno, andare in giro spacciando d’averne pre-se due dozzine.

Così fu costretto a ricorrere a un’altra decisione, allaquale si tenne poi religiosamente sempre, e cioè di con-tare ciascun capo per dieci, e di fingerne dieci iniziali.Per esempio, se non ne acchiappava nessuno, dicevad’averne acchiappati dieci – secondo il suo sistema, nonsi poteva mai pescarne meno di dieci: questo era il prin-cipio al quale egli s’informava. Poi, se per caso real-mente ne acchiappava, uno, diceva, venti, mentre duepesci contavano per trenta, tre per quaranta, e così via.

È un metodo semplice e ben congegnato, e recente-mente s’è detto che sia adottato da tutta la confraternitapeschereccia in generale. Anzi, un paio d’anni fa, il co-mitato direttivo dell’associazione fra i pescatori del Ta-migi ne raccomandò l’adozione, ma alcuni dei membripiù anziani lo combatterono. L’avrebbero accettato, dis-sero, se il numero fosse stato raddoppiato, e si fossecontato ogni pesce per venti.

Se mai avete una sera d’avanzo, sul fiume, vi consi-glierei di entrare in una piccola trattoria di qualche vil-laggio, e di pigliar posto fra gli avventori. Sarete quasicerti d’incontrarvi un paio di pescatori alla lenza, occu-pati a centellinare il loro ponce, i quali vi racconterannoabbastanza aneddoti pescherecci da darvi una indige-

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stione per un mese.Giorgio e io – io non so che ne fosse in quel momento

di Harris: egli era uscito a farsi la barba, subito dopo co-lazione, era ritornato e aveva passato quaranta buoni mi-nuti a ingessarsi le scarpe, e quindi non lo avevamo piùveduto – Giorgio e io, perciò, e il cane, lasciati a noistessi, andammo la seconda sera a fare una passeggiatafino a Wellington, e, al ritorno, entrammo in un piccoloalberghetto sul fiume per riposarci, e per altro.

Andammo a sederci nella saletta. C’era un vecchioche fumava una lunga pipa di creta, e noi naturalmentecominciammo chiacchierare.

Egli ci disse ch’era stata una bella giornata quel gior-no, e noi ch’era stata una bella giornata il giorno prima,e poi ci dicemmo a vicenda che sarebbe stata una bellagiornata il giorno dopo, e Giorgio aggiunse che sembra-va che il raccolto promettesse di venir su magnificamen-te.

Dopo apparve, nell’uno o nell’altro modo, che noieravamo forastieri e che ce ne saremmo andati la matti-na seguente.

Poi la conversazione ebbe una pausa, durante la qualei nostri occhi si misero a vagare in giro per la stanza, perposarsi finalmente su una vecchia, polverosa campanadi vetro, fissata in alto sul caminetto e contenente unatrota. Quella trota quasi mi affascinò: era un pesce cosìmostruoso! Veramente, alla prima occhiata mi parve chefosse un merluzzo.

— Ah! — disse il vecchio, seguendo la direzione del

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stione per un mese.Giorgio e io – io non so che ne fosse in quel momento

di Harris: egli era uscito a farsi la barba, subito dopo co-lazione, era ritornato e aveva passato quaranta buoni mi-nuti a ingessarsi le scarpe, e quindi non lo avevamo piùveduto – Giorgio e io, perciò, e il cane, lasciati a noistessi, andammo la seconda sera a fare una passeggiatafino a Wellington, e, al ritorno, entrammo in un piccoloalberghetto sul fiume per riposarci, e per altro.

Andammo a sederci nella saletta. C’era un vecchioche fumava una lunga pipa di creta, e noi naturalmentecominciammo chiacchierare.

Egli ci disse ch’era stata una bella giornata quel gior-no, e noi ch’era stata una bella giornata il giorno prima,e poi ci dicemmo a vicenda che sarebbe stata una bellagiornata il giorno dopo, e Giorgio aggiunse che sembra-va che il raccolto promettesse di venir su magnificamen-te.

Dopo apparve, nell’uno o nell’altro modo, che noieravamo forastieri e che ce ne saremmo andati la matti-na seguente.

Poi la conversazione ebbe una pausa, durante la qualei nostri occhi si misero a vagare in giro per la stanza, perposarsi finalmente su una vecchia, polverosa campanadi vetro, fissata in alto sul caminetto e contenente unatrota. Quella trota quasi mi affascinò: era un pesce cosìmostruoso! Veramente, alla prima occhiata mi parve chefosse un merluzzo.

— Ah! — disse il vecchio, seguendo la direzione del

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mio sguardo — bel pesce quello, eh?— Veramente straordinario — mormorai; e Giorgio

chiese al vecchio quanto credeva che pesassequell’esemplare.

— Diciotto libbre e sei once — disse l’amico, levan-dosi e infilandosi il soprabito. — Sì — continuò — fan-no sedici anni il tre del mese prossimo, che io lo presi.L’acchiappai proprio sotto il ponte con un avanotto.M’avevano detto che c’era nel fiume, e io dissi chel’avrei presa, come infatti feci. Credo che ora non netroverete più da queste parti pesci della stessa dimensio-ne. Buona sera, signori, buona sera.

E uscì, lasciandoci soli.Da quel momento non potemmo staccar gli occhi dal

pesce. Era veramente molto bello. E lo stavamo ancoraguardando, quando il procaccia del luogo, che aveva ap-punto data una capatina nell’albergo, venne alla portadella stanza con un boccale di birra in mano, e anch’eglisi mise a guardare il pesce.

— Una bellissima trota, questa — disse Giorgio, vol-gendogli la parola.

— Lo potete ben dire — rispose il procaccia; e, ag-giunse, dopo un sorso di birra: — Forse voi non c’era-vate qui, signori, quando fu acchiappato quel pesce.

— No — gli rispondemmo. Siamo forastieri.— Ah! — disse il procaccia — allora si capisce. Son

quasi cinque anni che acchiappai quella trota.— Ah, allora foste voi ad acchiapparla? — io dissi.— Sì, signore — rispose il vecchio con genialità. —

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mio sguardo — bel pesce quello, eh?— Veramente straordinario — mormorai; e Giorgio

chiese al vecchio quanto credeva che pesassequell’esemplare.

— Diciotto libbre e sei once — disse l’amico, levan-dosi e infilandosi il soprabito. — Sì — continuò — fan-no sedici anni il tre del mese prossimo, che io lo presi.L’acchiappai proprio sotto il ponte con un avanotto.M’avevano detto che c’era nel fiume, e io dissi chel’avrei presa, come infatti feci. Credo che ora non netroverete più da queste parti pesci della stessa dimensio-ne. Buona sera, signori, buona sera.

E uscì, lasciandoci soli.Da quel momento non potemmo staccar gli occhi dal

pesce. Era veramente molto bello. E lo stavamo ancoraguardando, quando il procaccia del luogo, che aveva ap-punto data una capatina nell’albergo, venne alla portadella stanza con un boccale di birra in mano, e anch’eglisi mise a guardare il pesce.

— Una bellissima trota, questa — disse Giorgio, vol-gendogli la parola.

— Lo potete ben dire — rispose il procaccia; e, ag-giunse, dopo un sorso di birra: — Forse voi non c’era-vate qui, signori, quando fu acchiappato quel pesce.

— No — gli rispondemmo. Siamo forastieri.— Ah! — disse il procaccia — allora si capisce. Son

quasi cinque anni che acchiappai quella trota.— Ah, allora foste voi ad acchiapparla? — io dissi.— Sì, signore — rispose il vecchio con genialità. —

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L’acchiappai proprio sotto la chiusa, per lo meno ciò cheera la chiusa allora… un venerdì di pomeriggio; e la piùstrana cosa si è che che l’acchiappai con una mosca. Ioero andato, Iddio vi benedica, a pescar lucci, non pen-sando neppur per idea a una trota, e quando vidi quelcolosso all’estremità della lenza, mi pigli un accidentese non me ne sorpresi. Come vedete, pesava ventisei lib-bre. Buona sera, signori, buona sera.

Cinque minuti dopo, entrò una terza persona, che de-scrisse com’essa avesse acchiappato la trota una mattinadi buon’ora, con un pesciolino; e quindi se n’andò, edapparve un signore attempato, d’aspetto abbastanza so-lenne, che si sedette accanto alla finestra.

Per un poco nessuno di noi parlò, ma finalmenteGiorgio si volse al nuovo venuto e disse:

— Scusate, spero perdonerete la libertà che noi fora-stieri in questo paese, ci prendiamo: ma il mio amicoqui e io vi saremmo tanto obbligati se ci voleste direquando acchiappaste quella trota lì.

— Ma chi vi ha detto che acchiappai io quella trota?— domandò l’altro, sorpreso.

Rispondemmo che non ce l’aveva detto nessuno, ma,in un modo o nell’altro, sentivamo istintivamente chel’aveva acchiappata lui.

— Bene, è strano… molto strano — rispose l’altro ri-dendo — perchè in realtà voi avete ragione. L’acchiap-pai io. Ma andare a immaginare che voi l’avreste indo-vinato! Poveretto me, è una cosa straordinaria!

E poi continuò, dicendo che gli era occorsa mezz’ora

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L’acchiappai proprio sotto la chiusa, per lo meno ciò cheera la chiusa allora… un venerdì di pomeriggio; e la piùstrana cosa si è che che l’acchiappai con una mosca. Ioero andato, Iddio vi benedica, a pescar lucci, non pen-sando neppur per idea a una trota, e quando vidi quelcolosso all’estremità della lenza, mi pigli un accidentese non me ne sorpresi. Come vedete, pesava ventisei lib-bre. Buona sera, signori, buona sera.

Cinque minuti dopo, entrò una terza persona, che de-scrisse com’essa avesse acchiappato la trota una mattinadi buon’ora, con un pesciolino; e quindi se n’andò, edapparve un signore attempato, d’aspetto abbastanza so-lenne, che si sedette accanto alla finestra.

Per un poco nessuno di noi parlò, ma finalmenteGiorgio si volse al nuovo venuto e disse:

— Scusate, spero perdonerete la libertà che noi fora-stieri in questo paese, ci prendiamo: ma il mio amicoqui e io vi saremmo tanto obbligati se ci voleste direquando acchiappaste quella trota lì.

— Ma chi vi ha detto che acchiappai io quella trota?— domandò l’altro, sorpreso.

Rispondemmo che non ce l’aveva detto nessuno, ma,in un modo o nell’altro, sentivamo istintivamente chel’aveva acchiappata lui.

— Bene, è strano… molto strano — rispose l’altro ri-dendo — perchè in realtà voi avete ragione. L’acchiap-pai io. Ma andare a immaginare che voi l’avreste indo-vinato! Poveretto me, è una cosa straordinaria!

E poi continuò, dicendo che gli era occorsa mezz’ora

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per tirarla a riva, e che gli s’era rotta la canna. L’avevapesata accuratamente a casa, e la bilancia aveva segnatotrentaquattro libbre.

Se ne andò a sua volta, e, dopo che se ne fu andato, cisi presentò il padrone dell’albergo. Gli narrammo le va-rie storie della sua trota, ed egli si divertì immensamen-te, e rise assai cordialmente con noi.

— Va a pensare che Gerolamo Bates, Giovanni Mug-gles, il signor Jones e Guglielmino Maunders vi doves-sero raccontare che l’avevano acchiappata loro! Ah, ah,ah! Questa è buona! — disse il brav’uomo, ridendo dicuore. — Sì, son proprio le persone che me l’avrebberodata per esporla nella sala, se l’avessero acchiappataloro! Proprio! Ah, ah, ah!

E allora ci raccontò la vera storia del pesce. Sembravache l’avesse acchiappato lui, molti anni prima,quand’era ragazzo, non per qualsiasi sua abilità, ma perquell’ingiustificabile colpo di fortuna che pare accom-pagni sempre lo scolaro che marina la scuola, e va a pe-scare in un pomeriggio di sole, con un pezzo di corda le-gato all’estremità d’un ramo d’albero.

Egli disse che l’aver portato a casa quella trota gliaveva risparmiata una solenne bastonatura, e che ancheil maestro gli aveva detto che la trota valeva la regoladel tre e tutta la computisteria messe insieme.

L’albergatore a questo punto fu chiamato fuori dellastanza, e Giorgio e io volgemmo lo sguardo al pesce.

Era veramente una trota meravigliosa. Quanto più laguardavamo, tanto più ci appariva stupefacente.

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per tirarla a riva, e che gli s’era rotta la canna. L’avevapesata accuratamente a casa, e la bilancia aveva segnatotrentaquattro libbre.

Se ne andò a sua volta, e, dopo che se ne fu andato, cisi presentò il padrone dell’albergo. Gli narrammo le va-rie storie della sua trota, ed egli si divertì immensamen-te, e rise assai cordialmente con noi.

— Va a pensare che Gerolamo Bates, Giovanni Mug-gles, il signor Jones e Guglielmino Maunders vi doves-sero raccontare che l’avevano acchiappata loro! Ah, ah,ah! Questa è buona! — disse il brav’uomo, ridendo dicuore. — Sì, son proprio le persone che me l’avrebberodata per esporla nella sala, se l’avessero acchiappataloro! Proprio! Ah, ah, ah!

E allora ci raccontò la vera storia del pesce. Sembravache l’avesse acchiappato lui, molti anni prima,quand’era ragazzo, non per qualsiasi sua abilità, ma perquell’ingiustificabile colpo di fortuna che pare accom-pagni sempre lo scolaro che marina la scuola, e va a pe-scare in un pomeriggio di sole, con un pezzo di corda le-gato all’estremità d’un ramo d’albero.

Egli disse che l’aver portato a casa quella trota gliaveva risparmiata una solenne bastonatura, e che ancheil maestro gli aveva detto che la trota valeva la regoladel tre e tutta la computisteria messe insieme.

L’albergatore a questo punto fu chiamato fuori dellastanza, e Giorgio e io volgemmo lo sguardo al pesce.

Era veramente una trota meravigliosa. Quanto più laguardavamo, tanto più ci appariva stupefacente.

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Interessò tanto Giorgio ch’egli s’arrampicò sulla spal-liera d’una sedia per osservarla meglio.

E allora la sedia scivolò, e Giorgio s’abbrancò furio-samente alla campana di vetro della trota per non cade-re, ma la campana precipitò a terra con uno scroscio, eGiorgio con la sedia sulla campana.

— Non hai rovinata la trota? — gridai sgomento, ac-correndo.

— Spero di no — disse Giorgio, levandosi cauto, eguardando in giro.

Ma purtroppo sì. La trota giaceva in terra sparsa inmille frammenti… dico mille, ma forse erano soltantonovecento. Non li contai.

Pensammo ch’era strano che una trota imbalsamatadovesse rompersi in pezzettini così.

E sarebbe stato strano, se la trota fosse stata imbalsa-mata, ma non lo era.

La trota era di gesso.

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Interessò tanto Giorgio ch’egli s’arrampicò sulla spal-liera d’una sedia per osservarla meglio.

E allora la sedia scivolò, e Giorgio s’abbrancò furio-samente alla campana di vetro della trota per non cade-re, ma la campana precipitò a terra con uno scroscio, eGiorgio con la sedia sulla campana.

— Non hai rovinata la trota? — gridai sgomento, ac-correndo.

— Spero di no — disse Giorgio, levandosi cauto, eguardando in giro.

Ma purtroppo sì. La trota giaceva in terra sparsa inmille frammenti… dico mille, ma forse erano soltantonovecento. Non li contai.

Pensammo ch’era strano che una trota imbalsamatadovesse rompersi in pezzettini così.

E sarebbe stato strano, se la trota fosse stata imbalsa-mata, ma non lo era.

La trota era di gesso.

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CAPITOLO XVIII.

Le chiuse. – Giorgio e io siamo fotografati. – Wallingford. – Dor-chester. – Una persona di famiglia. – Un buon punto per anne-garsi. – Un difficile tratto d’acqua. – Effetto deleterio dell’ariadi fiume.

Lasciammo Streatley la mattina appresso di buon’ora,e remammo fino a Culham, e dormimmo nella barcasotto la tela, sulle acque di rigurgito.

Il fiume non offre molte attrattive fra Streatley e Wal-lingford. Da Cleve si ha una distanza di sei miglia emezzo senza una chiusa. Credo che sia il più lungo trat-to ininterrotto dopo Teddington, e l’Oxford Club lo usaper le sue gare.

Ma, per quanto possa piacere ai rematori, questa man-canza di chiuse è deplorata da chi cerca semplicementeil piacere.

Io, per esempio, ho una passione per le chiuse, cherompono piacevolmente la monotonia del ritmo delremo. A me piace star seduto nella barca e sollevarmipian piano dalle fresche profondità su in nuove contradee visioni; o sprofondare, così per dire, fuori del mondo,e poi attendere, mentre le oscure porte scricchiolano, el’angusta striscia di luce fra di esse s’allarga, che il belfiume sorridente vi giaccia in pieno davanti; e alloraspingete la vostra piccola barca fuor della sua breve pri-

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CAPITOLO XVIII.

Le chiuse. – Giorgio e io siamo fotografati. – Wallingford. – Dor-chester. – Una persona di famiglia. – Un buon punto per anne-garsi. – Un difficile tratto d’acqua. – Effetto deleterio dell’ariadi fiume.

Lasciammo Streatley la mattina appresso di buon’ora,e remammo fino a Culham, e dormimmo nella barcasotto la tela, sulle acque di rigurgito.

Il fiume non offre molte attrattive fra Streatley e Wal-lingford. Da Cleve si ha una distanza di sei miglia emezzo senza una chiusa. Credo che sia il più lungo trat-to ininterrotto dopo Teddington, e l’Oxford Club lo usaper le sue gare.

Ma, per quanto possa piacere ai rematori, questa man-canza di chiuse è deplorata da chi cerca semplicementeil piacere.

Io, per esempio, ho una passione per le chiuse, cherompono piacevolmente la monotonia del ritmo delremo. A me piace star seduto nella barca e sollevarmipian piano dalle fresche profondità su in nuove contradee visioni; o sprofondare, così per dire, fuori del mondo,e poi attendere, mentre le oscure porte scricchiolano, el’angusta striscia di luce fra di esse s’allarga, che il belfiume sorridente vi giaccia in pieno davanti; e alloraspingete la vostra piccola barca fuor della sua breve pri-

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gione un’altra volta sulle libere onde.E poi le chiuse son pittoresche. Il vecchio custode at-

ticciato e la moglie gioviale e la figliuola dagli occhi lu-centi son persone simpatiche con cui si scambia volen-tieri qualche parola1. Voi incontrate alle chiuse dellevecchie barche, e si fanno un po’ di ciarle. Il Tamigi nonsarebbe un paese incantato, se le sue chiuse non fosserodisseminate di fiori.

A proposito di chiuse, mi rammento d’un incidenteche quasi occorse a Giorgio e a me una mattina d’estatead Hampton Court.

Era una magnifica giornata, e la chiusa era affollata;e, come accade spesso sul fiume, un fotografo specula-tore faceva la fotografia di quanti stavamo sulle acqueche si sollevavano.

In principio non compresi ciò che accadeva, e fui,perciò, straordinariamente sorpreso nell’osservar cheGiorgio si stirava in fretta i calzoni, si ravviava i capelli,e si metteva il berretto sulle ventitrè, e poi, assumendouna espressione di affabilità mista a tristezza, pigliavaun atteggiamento grazioso, tentando di nascondere i pie-di.

La mia prima idea fu ch’egli avesse improvvisamentescòrta qualche signorina di sua conoscenza, e io guardai

1 O piuttosto erano. Sembra che ora le autorità fluviali si sianocostituite in società per l’impiego degl’idioti. Molti dei nuovi cu-stodi delle chiuse, specialmente nelle parti più frequentate del fiu-me, sono vecchi irritabili e nervosi, assolutamente non adatti alloro posto.

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gione un’altra volta sulle libere onde.E poi le chiuse son pittoresche. Il vecchio custode at-

ticciato e la moglie gioviale e la figliuola dagli occhi lu-centi son persone simpatiche con cui si scambia volen-tieri qualche parola1. Voi incontrate alle chiuse dellevecchie barche, e si fanno un po’ di ciarle. Il Tamigi nonsarebbe un paese incantato, se le sue chiuse non fosserodisseminate di fiori.

A proposito di chiuse, mi rammento d’un incidenteche quasi occorse a Giorgio e a me una mattina d’estatead Hampton Court.

Era una magnifica giornata, e la chiusa era affollata;e, come accade spesso sul fiume, un fotografo specula-tore faceva la fotografia di quanti stavamo sulle acqueche si sollevavano.

In principio non compresi ciò che accadeva, e fui,perciò, straordinariamente sorpreso nell’osservar cheGiorgio si stirava in fretta i calzoni, si ravviava i capelli,e si metteva il berretto sulle ventitrè, e poi, assumendouna espressione di affabilità mista a tristezza, pigliavaun atteggiamento grazioso, tentando di nascondere i pie-di.

La mia prima idea fu ch’egli avesse improvvisamentescòrta qualche signorina di sua conoscenza, e io guardai

1 O piuttosto erano. Sembra che ora le autorità fluviali si sianocostituite in società per l’impiego degl’idioti. Molti dei nuovi cu-stodi delle chiuse, specialmente nelle parti più frequentate del fiu-me, sono vecchi irritabili e nervosi, assolutamente non adatti alloro posto.

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in giro per veder chi fosse. Tutti nella chiusa parevanoessersi trasformati a un tratto in statue di legno. Stavanotutti in piedi o seduti negli atteggiamenti più strani e cu-riosi che io avessi mai veduti su un ventaglio giappone-se. Tutte le signorine sorridevano. Ah, sembravano cosìdolci! E tutti gli uomini erano accigliati, con uno sguar-do severo e nobile.

E poi, finalmente, mi lampeggiò la verità, e mi do-mandai se avrei fatto in tempo. La nostra era la primabarca, e pensai che sarebbe stata una scortesia da partemia guastare il gruppo.

Così volsi rapidamente il viso, e mi appoggiai a pruacon grazia disinvolta sulla gaffa, in un atteggiamento diagilità e di forza. Mi accomodai i capelli con un ricciosulla fronte e infusi un’aria di tenera sensibilità nellamia espressione, mista con una sfumatura di cinismo,che, m’han detto, mi sta molto bene.

Mentre stavamo in attesa del momento fatale, udiiqualcuno di dietro gridare:

— Ehi, guardate il vostro naso.Io non potevo voltarmi per veder chi fosse, e di chi

fosse il naso che bisognava guardare. Diedi uno sguardofurtivo al naso di Giorgio! Stava benissimo – a ognimodo, non v’era nulla che si potesse cambiare. Misguerciai a guardare il mio, e anche sul mio non c’eranulla da dire.

— Guardate il vostro naso, asino — gridò di nuovo lastessa voce, più forte.

E poi un’altra voce gridò:

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in giro per veder chi fosse. Tutti nella chiusa parevanoessersi trasformati a un tratto in statue di legno. Stavanotutti in piedi o seduti negli atteggiamenti più strani e cu-riosi che io avessi mai veduti su un ventaglio giappone-se. Tutte le signorine sorridevano. Ah, sembravano cosìdolci! E tutti gli uomini erano accigliati, con uno sguar-do severo e nobile.

E poi, finalmente, mi lampeggiò la verità, e mi do-mandai se avrei fatto in tempo. La nostra era la primabarca, e pensai che sarebbe stata una scortesia da partemia guastare il gruppo.

Così volsi rapidamente il viso, e mi appoggiai a pruacon grazia disinvolta sulla gaffa, in un atteggiamento diagilità e di forza. Mi accomodai i capelli con un ricciosulla fronte e infusi un’aria di tenera sensibilità nellamia espressione, mista con una sfumatura di cinismo,che, m’han detto, mi sta molto bene.

Mentre stavamo in attesa del momento fatale, udiiqualcuno di dietro gridare:

— Ehi, guardate il vostro naso.Io non potevo voltarmi per veder chi fosse, e di chi

fosse il naso che bisognava guardare. Diedi uno sguardofurtivo al naso di Giorgio! Stava benissimo – a ognimodo, non v’era nulla che si potesse cambiare. Misguerciai a guardare il mio, e anche sul mio non c’eranulla da dire.

— Guardate il vostro naso, asino — gridò di nuovo lastessa voce, più forte.

E poi un’altra voce gridò:

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— Spingete in fuori quel naso, avete capito… voi duecol cane?

Nè Giorgio nè io osammo voltarci. La mano del foto-grafo era sul coperchio dell’obbiettivo, e la fotografiapoteva esser presa in un istante. Dicevano a noi? Chec’entrava, il nostro naso? Perchè doveva esser spinto infuori?

Ma in quel momento tutta la chiusa cominciò a stril-lare, e una voce stentorea ci gridò di dietro:

— Guardate la vostra, barca, signori… voi col berret-to nero e col berretto rosso. Se non fate presto, la foto-grafia prenderà i vostri due cadaveri.

Noi allora guardammo, e vedemmo che il naso dellanostra barca (è chiamato naso la punta esternadell’imbarcazione) s’era insinuata sotto la struttura li-gnea della chiusa, mentre le acque affluenti crescevanosollevandola. Un altro istante e saremmo stati rovesciati.Rapidi come il lampo, prendemmo un remo ciascuno econ un vigoroso colpo contro il fianco della chiusa libe-rammo la barca e cademmo dimenandoci sul dorso.

In quella fotografia io e Giorgio non venimmo bene.Naturalmente, come c’era da aspettarsi, la nostra fortunaaveva voluto che il fotografo mettesse la sua macchinain moto nel preciso momento in cui noi due giacevamosul dorso con una selvaggia espressione di «Dove mitrovo? Che è successo?» sul viso, e coi nostri quattropiedi che si divincolavano follemente in aria.

Indubbiamente i nostri piedi erano in quella fotogra-fia l’oggetto principale. Anzi, c’era poco da vedere

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— Spingete in fuori quel naso, avete capito… voi duecol cane?

Nè Giorgio nè io osammo voltarci. La mano del foto-grafo era sul coperchio dell’obbiettivo, e la fotografiapoteva esser presa in un istante. Dicevano a noi? Chec’entrava, il nostro naso? Perchè doveva esser spinto infuori?

Ma in quel momento tutta la chiusa cominciò a stril-lare, e una voce stentorea ci gridò di dietro:

— Guardate la vostra, barca, signori… voi col berret-to nero e col berretto rosso. Se non fate presto, la foto-grafia prenderà i vostri due cadaveri.

Noi allora guardammo, e vedemmo che il naso dellanostra barca (è chiamato naso la punta esternadell’imbarcazione) s’era insinuata sotto la struttura li-gnea della chiusa, mentre le acque affluenti crescevanosollevandola. Un altro istante e saremmo stati rovesciati.Rapidi come il lampo, prendemmo un remo ciascuno econ un vigoroso colpo contro il fianco della chiusa libe-rammo la barca e cademmo dimenandoci sul dorso.

In quella fotografia io e Giorgio non venimmo bene.Naturalmente, come c’era da aspettarsi, la nostra fortunaaveva voluto che il fotografo mettesse la sua macchinain moto nel preciso momento in cui noi due giacevamosul dorso con una selvaggia espressione di «Dove mitrovo? Che è successo?» sul viso, e coi nostri quattropiedi che si divincolavano follemente in aria.

Indubbiamente i nostri piedi erano in quella fotogra-fia l’oggetto principale. Anzi, c’era poco da vedere

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d’altro. Essi occupavano completamente il primo piano.Dietro si afferrava qualche visione delle altre barche e diqualche tratto del panorama in giro; ma tutto l’altro etutti gli altri nella chiusa apparivano così assolutamenteinsignificanti e miseri in confronto dei nostri piedi, checiascuno dei presenti si sentì vergognoso di sè e si rifiu-tò di sottoscrivere per una copia della fotografia.

Il proprietario di una lancia a vapore, che aveva ordi-nato sei copie, rescisse l’ordine vedendo la negativa.Disse che le avrebbe prese, se qualcuno avesse potutoindicargli la sua lancia, ma nessuno ci riuscì. Essa era inqualche parte dietro il piede destro di Giorgio.

Vi fu un gran rammarico per quella faccenda. Il foto-grafo opinò che noi dovevamo acquistare una dozzina dicopie per ciascuno, visto che la fotografia era per novedecimi la nostra, ma noi rifiutammo. Rispondemmo chenon avevamo alcuna obiezione a farci ritrarre in pienalunghezza, ma che preferivamo essere presi in sensoverticale.

Wallingford, che è a sei miglia al di sopra di Strea-tley, è una città antichissima ed è stata un centro attivonella creazione della storia inglese. Era una rozza cittàfatta di fango al tempo dei Britanni che se ne stettero ivirannicchiati finchè non li snidarono i Romani, che sosti-tuirono le mura di terracotta con potenti fortificazioni, lacui traccia il tempo non è ancora riuscito a spazzare,così bene quei muratori del vecchio inondo sapevanofabbricare.

Ma il tempo, sebbene abbia mantenuto le mura roma-

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d’altro. Essi occupavano completamente il primo piano.Dietro si afferrava qualche visione delle altre barche e diqualche tratto del panorama in giro; ma tutto l’altro etutti gli altri nella chiusa apparivano così assolutamenteinsignificanti e miseri in confronto dei nostri piedi, checiascuno dei presenti si sentì vergognoso di sè e si rifiu-tò di sottoscrivere per una copia della fotografia.

Il proprietario di una lancia a vapore, che aveva ordi-nato sei copie, rescisse l’ordine vedendo la negativa.Disse che le avrebbe prese, se qualcuno avesse potutoindicargli la sua lancia, ma nessuno ci riuscì. Essa era inqualche parte dietro il piede destro di Giorgio.

Vi fu un gran rammarico per quella faccenda. Il foto-grafo opinò che noi dovevamo acquistare una dozzina dicopie per ciascuno, visto che la fotografia era per novedecimi la nostra, ma noi rifiutammo. Rispondemmo chenon avevamo alcuna obiezione a farci ritrarre in pienalunghezza, ma che preferivamo essere presi in sensoverticale.

Wallingford, che è a sei miglia al di sopra di Strea-tley, è una città antichissima ed è stata un centro attivonella creazione della storia inglese. Era una rozza cittàfatta di fango al tempo dei Britanni che se ne stettero ivirannicchiati finchè non li snidarono i Romani, che sosti-tuirono le mura di terracotta con potenti fortificazioni, lacui traccia il tempo non è ancora riuscito a spazzare,così bene quei muratori del vecchio inondo sapevanofabbricare.

Ma il tempo, sebbene abbia mantenuto le mura roma-

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ne, tosto ridusse in polvere i Romani, e nello stesso ter-reno, più tardi, combatterono i Sassoni selvaggi e i gros-si Danesi, sinchè non apparvero i Normanni.

La città fu recinta e fortificata fin al tempo della guer-ra parlamentare, in cui sostenne il lungo e duro assediodi Fairfax. Cadde finalmente, e quindi le mura furonorase al suolo.

Da Wallingford fin su a Dorchester i dintorni del fiu-me diventano più collinosi, varî e pittoreschi. Dorche-ster sorge a mezzo miglio dalle acque. Può esser rag-giunta, a forza di remi con un piccolo canotto, ma il mi-glior mezzo è di lasciare il fiume alla chiusa di Day, efare una passeggiatina a traverso i campi. Dorchester èun luogo deliziosamente tranquillo, annidato nella cal-ma, nel silenzio e nella sonnolenza.

Era, come Wallington, una città degli antichi Britanni;si chiamava allora Caer Doren, la città delle acque. Piùtardi i Romani vi formarono un gran campo, e le fortifi-cazioni che lo circondavano sembrano ora dei bassi,eguali poggetti. Nel giorni dei Sassoni fu la capitale delWessex. È città antichissima, e una volta era assai fortee grande. Ora si tien in disparte dal mondo ansioso, es’appisola e sogna.

Intorno a Clifton Hampden, un graziosissimo paesino,alla vecchia moda, tranquillo e splendente di fiori, il pa-norama del fiume è d’una ricca bellezza. Se vi fermatela notte a Clifton, non potete far di meglio che andare al«Barley Mow». Direi ch’esso è, senza eccezione,l’albergo più all’antica e bizzarro che si possa avere sul

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ne, tosto ridusse in polvere i Romani, e nello stesso ter-reno, più tardi, combatterono i Sassoni selvaggi e i gros-si Danesi, sinchè non apparvero i Normanni.

La città fu recinta e fortificata fin al tempo della guer-ra parlamentare, in cui sostenne il lungo e duro assediodi Fairfax. Cadde finalmente, e quindi le mura furonorase al suolo.

Da Wallingford fin su a Dorchester i dintorni del fiu-me diventano più collinosi, varî e pittoreschi. Dorche-ster sorge a mezzo miglio dalle acque. Può esser rag-giunta, a forza di remi con un piccolo canotto, ma il mi-glior mezzo è di lasciare il fiume alla chiusa di Day, efare una passeggiatina a traverso i campi. Dorchester èun luogo deliziosamente tranquillo, annidato nella cal-ma, nel silenzio e nella sonnolenza.

Era, come Wallington, una città degli antichi Britanni;si chiamava allora Caer Doren, la città delle acque. Piùtardi i Romani vi formarono un gran campo, e le fortifi-cazioni che lo circondavano sembrano ora dei bassi,eguali poggetti. Nel giorni dei Sassoni fu la capitale delWessex. È città antichissima, e una volta era assai fortee grande. Ora si tien in disparte dal mondo ansioso, es’appisola e sogna.

Intorno a Clifton Hampden, un graziosissimo paesino,alla vecchia moda, tranquillo e splendente di fiori, il pa-norama del fiume è d’una ricca bellezza. Se vi fermatela notte a Clifton, non potete far di meglio che andare al«Barley Mow». Direi ch’esso è, senza eccezione,l’albergo più all’antica e bizzarro che si possa avere sul

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fiume. I suoi bassi comignoli, il suo tetto di paglia e lesue finestre ingraticciate gli dànno un aspetto da libro difiaba, mentre all’interno è sempre più in accordo coitempi d’una volta.

Non sarebbe un ricetto adatto all’eroina di un roman-zo moderno. L’eroina d’un romanzo moderno è sempre«divinamente alta» e sempre «si erge in tutta la sua sta-tura». Al «Barley Mow» urterebbe con la testa contro ilsoffitto, tutte le volte che lo facesse.

Esso sarebbe un’abitazione non adatta ad un ubbria-co. Vi sono varie sorprese in fatto di gradini inattesi perandar da basso in quella stanza e di sopra in quell’altra;e quanto ad andar nella camera da letto e a trovare il let-to nella camera sarebbero due imprese disperate per unubbriaco.

Ci levammo la mattina presto, perchè volevamo esse-re a Oxford nel pomeriggio. È sorprendente come uno sipossa levar presto quando ha dormito all’aperto. Se unose ne sta avvolto in una coperta sulle tavole di una bar-ca, con una valigia per guanciale, non desidera di starvi«altri cinque minuti ancora» come accade in un letto dipiume. Finimmo la colazione, e ci trovammo nella chiu-sa di Clifton alle otto e mezza.

Da Clifton a Culham le sponde del fiume sono piatte,monotone e senza attrattive, ma dopo che si è sorpassatala chiusa di Culham – la più fredda e profonda chiusadel fiume – il paesaggio diventa bello.

Ad Abingdon il fiume passa a traverso le vie. Abing-don è un tipico paese di campagna d’ordine minore –

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fiume. I suoi bassi comignoli, il suo tetto di paglia e lesue finestre ingraticciate gli dànno un aspetto da libro difiaba, mentre all’interno è sempre più in accordo coitempi d’una volta.

Non sarebbe un ricetto adatto all’eroina di un roman-zo moderno. L’eroina d’un romanzo moderno è sempre«divinamente alta» e sempre «si erge in tutta la sua sta-tura». Al «Barley Mow» urterebbe con la testa contro ilsoffitto, tutte le volte che lo facesse.

Esso sarebbe un’abitazione non adatta ad un ubbria-co. Vi sono varie sorprese in fatto di gradini inattesi perandar da basso in quella stanza e di sopra in quell’altra;e quanto ad andar nella camera da letto e a trovare il let-to nella camera sarebbero due imprese disperate per unubbriaco.

Ci levammo la mattina presto, perchè volevamo esse-re a Oxford nel pomeriggio. È sorprendente come uno sipossa levar presto quando ha dormito all’aperto. Se unose ne sta avvolto in una coperta sulle tavole di una bar-ca, con una valigia per guanciale, non desidera di starvi«altri cinque minuti ancora» come accade in un letto dipiume. Finimmo la colazione, e ci trovammo nella chiu-sa di Clifton alle otto e mezza.

Da Clifton a Culham le sponde del fiume sono piatte,monotone e senza attrattive, ma dopo che si è sorpassatala chiusa di Culham – la più fredda e profonda chiusadel fiume – il paesaggio diventa bello.

Ad Abingdon il fiume passa a traverso le vie. Abing-don è un tipico paese di campagna d’ordine minore –

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quieto, eminentemente rispettabile, pulito e disperata-mente noioso. Esso s’inorgoglisce della sua antichità,ma è dubbio se possa paragonarsi per questo rispetto aWallingford e Dorchester. Vantava una volta una famosaabbazia, ma entro gli avanzi delle sue sante mura ora sifabbrica la birra.

Nella chiesa di San Nicola, ad Abingdon, v’è un mo-numento a Giovanni Blackwall e alla moglie Giovanna,i quali entrambi, dopo aver condotto una felice vita co-niugale, morirono lo stesso giorno, cioè il 21 agosto1265; e nella chiesa di Sant’Elena è ricordato che W.Lee, il quale morì nel 1639, «ebbe in vita sua discenden-za dai suoi lombi di duecento meno tre». Se fate il cal-colo, troverete che la famiglia del signor W. Lee contavacentonovantasette persone. Il signor W. Lee – cinquevolte sindaco di Abingdon – era un benefattore della suagenerazione, ma m’auguro che non vi siano molti chegli somiglino in questo popolatissimo secolo decimono-no.

Da Abingdon a Nuneham Courtvey è uno splendidotratto. Il parco di Nuneham è degno d’esser veduto. Sipuò visitare il martedì e il giovedì. La casa contiene unabella collezione di quadri e di curiosità, e le piantagionisono bellissime.

Lo stagno sotto Sandford, precisamente dietro la chie-sa, è un punto adattissimo per annegarsi. La corrente aldi sotto della superficie è terribilmente impetuosa, e unavolta che l’avete raggiunta, siete bell’e spacciato. Unobelisco segna il luogo dove due persone annegarono

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quieto, eminentemente rispettabile, pulito e disperata-mente noioso. Esso s’inorgoglisce della sua antichità,ma è dubbio se possa paragonarsi per questo rispetto aWallingford e Dorchester. Vantava una volta una famosaabbazia, ma entro gli avanzi delle sue sante mura ora sifabbrica la birra.

Nella chiesa di San Nicola, ad Abingdon, v’è un mo-numento a Giovanni Blackwall e alla moglie Giovanna,i quali entrambi, dopo aver condotto una felice vita co-niugale, morirono lo stesso giorno, cioè il 21 agosto1265; e nella chiesa di Sant’Elena è ricordato che W.Lee, il quale morì nel 1639, «ebbe in vita sua discenden-za dai suoi lombi di duecento meno tre». Se fate il cal-colo, troverete che la famiglia del signor W. Lee contavacentonovantasette persone. Il signor W. Lee – cinquevolte sindaco di Abingdon – era un benefattore della suagenerazione, ma m’auguro che non vi siano molti chegli somiglino in questo popolatissimo secolo decimono-no.

Da Abingdon a Nuneham Courtvey è uno splendidotratto. Il parco di Nuneham è degno d’esser veduto. Sipuò visitare il martedì e il giovedì. La casa contiene unabella collezione di quadri e di curiosità, e le piantagionisono bellissime.

Lo stagno sotto Sandford, precisamente dietro la chie-sa, è un punto adattissimo per annegarsi. La corrente aldi sotto della superficie è terribilmente impetuosa, e unavolta che l’avete raggiunta, siete bell’e spacciato. Unobelisco segna il luogo dove due persone annegarono

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mentre si bagnavano; e i gradini dell’obelisco general-mente fanno da trampolino ai giovani che ora desidera-no di vedere se il punto sia veramente pericoloso.

La chiusa di Iffley e di Mill, a un miglio prima di Ox-ford, è un soggetto favorito dei confratelli della tavoloz-za che amano il fiume. Ma a giudicar dai quadri, però, ilmodello al naturale procura qualche delusione. Ho os-servato che poche cose a questo mondo corrispondonoai quadri che se ne fanno.

Traversammo la chiusa di Iffley verso le dodici emezzo, e poi, dopo aver fatto un po’ di pulizia alla barcae allestito tutto per lo sbarco, ci mettemmo a lavorareper l’ultimo miglio.

Il più difficile tratto del fiume che io mi conosca èquello fra Iffley e Oxford. Dovete trovarvi su quel per-corso acqueo per comprenderlo. Io ci son stato un buonnumero di volte, ma ancora non mi ci sono abituato.L’uomo che potesse remare dritto da Oxford a Iffley, do-vrebbe poter vivere comodamente, sotto un unico tetto,con la moglie, la suocera, la sorella maggiore e la vec-chia domestica che si trova in famiglia da quando egliera piccino.

Prima le onde vi spingono alla riva destra e poi allasinistra; quindi vi portano nel mezzo, vi fanno girare trevolte, e vi portano di nuovo contro corrente, per finir coltentare di sfracellarvi contro una barca compagna.

Naturalmente, come conseguenza di tutto, durantequel miglio, traversammo la via a molte altre barche, edesse la nostra, e, naturalmente, come conseguenza di

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mentre si bagnavano; e i gradini dell’obelisco general-mente fanno da trampolino ai giovani che ora desidera-no di vedere se il punto sia veramente pericoloso.

La chiusa di Iffley e di Mill, a un miglio prima di Ox-ford, è un soggetto favorito dei confratelli della tavoloz-za che amano il fiume. Ma a giudicar dai quadri, però, ilmodello al naturale procura qualche delusione. Ho os-servato che poche cose a questo mondo corrispondonoai quadri che se ne fanno.

Traversammo la chiusa di Iffley verso le dodici emezzo, e poi, dopo aver fatto un po’ di pulizia alla barcae allestito tutto per lo sbarco, ci mettemmo a lavorareper l’ultimo miglio.

Il più difficile tratto del fiume che io mi conosca èquello fra Iffley e Oxford. Dovete trovarvi su quel per-corso acqueo per comprenderlo. Io ci son stato un buonnumero di volte, ma ancora non mi ci sono abituato.L’uomo che potesse remare dritto da Oxford a Iffley, do-vrebbe poter vivere comodamente, sotto un unico tetto,con la moglie, la suocera, la sorella maggiore e la vec-chia domestica che si trova in famiglia da quando egliera piccino.

Prima le onde vi spingono alla riva destra e poi allasinistra; quindi vi portano nel mezzo, vi fanno girare trevolte, e vi portano di nuovo contro corrente, per finir coltentare di sfracellarvi contro una barca compagna.

Naturalmente, come conseguenza di tutto, durantequel miglio, traversammo la via a molte altre barche, edesse la nostra, e, naturalmente, come conseguenza di

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tutto, si scambiarono molte ingiurie da una parte edall’altra.

Non so perchè accada, ma tutti sono straordinaria-mente irritabili sul fiume. Piccoli contrattempi, ai qualiappena badereste sulla terra asciutta, vi fanno freneticidi rabbia quando vi càpitano sul fiume. Quando Harris oGiorgio commettono un’asinità sulla terraferma, io sor-rido indulgente; ma quando si conducono da idioti sulfiume, io uso con loro delle espressioni terrifiche. Quan-do un’altra barca m’impedisce il passaggio, io sentol’impulso di pigliare un remo e di ammazzare tutta lagente che vi si trova.

Le persone di carattere più mite diventano assetate disangue quando sono in una barca. Una volta feci unapasseggiata in barca con una signorina. Ella naturalmen-te era della più dolce e più gentile indole immaginabile,ma sul fiume era terribile a udirsi.

— Maledizione a quell’uomo! — ella esclamava,quando qualche disgraziato rematore le si trovava di-nanzi. — Perchè non guarda dove va?

— Accidenti a questo stupido straccio! — diceva in-dignata, quando la vela non si issava a modo. Ed ellal’afferrava, e la scoteva con la massima brutalità.

Pure, come ho già detto, sulla riva era abbastanzagentile e amabile.

L’aria del fiume ha un effetto deleterio sul carattere, eperciò avviene, credo, che i conduttori delle barche tal-volta si mostrino rudi a vicenda e usino espressioni, che,senza dubbio, deplorano, in momenti più calmi.

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tutto, si scambiarono molte ingiurie da una parte edall’altra.

Non so perchè accada, ma tutti sono straordinaria-mente irritabili sul fiume. Piccoli contrattempi, ai qualiappena badereste sulla terra asciutta, vi fanno freneticidi rabbia quando vi càpitano sul fiume. Quando Harris oGiorgio commettono un’asinità sulla terraferma, io sor-rido indulgente; ma quando si conducono da idioti sulfiume, io uso con loro delle espressioni terrifiche. Quan-do un’altra barca m’impedisce il passaggio, io sentol’impulso di pigliare un remo e di ammazzare tutta lagente che vi si trova.

Le persone di carattere più mite diventano assetate disangue quando sono in una barca. Una volta feci unapasseggiata in barca con una signorina. Ella naturalmen-te era della più dolce e più gentile indole immaginabile,ma sul fiume era terribile a udirsi.

— Maledizione a quell’uomo! — ella esclamava,quando qualche disgraziato rematore le si trovava di-nanzi. — Perchè non guarda dove va?

— Accidenti a questo stupido straccio! — diceva in-dignata, quando la vela non si issava a modo. Ed ellal’afferrava, e la scoteva con la massima brutalità.

Pure, come ho già detto, sulla riva era abbastanzagentile e amabile.

L’aria del fiume ha un effetto deleterio sul carattere, eperciò avviene, credo, che i conduttori delle barche tal-volta si mostrino rudi a vicenda e usino espressioni, che,senza dubbio, deplorano, in momenti più calmi.

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CAPITOLO XIX.

Oxford. – L’idea del cielo di Montmorency. – La barca noleggia-ta; le sue bellezze e i suoi vantaggi. – L’«Orgoglio del Tami-gi». – Il tempo cambia. – Il fiume sotto diversi aspetti. – Unasera poco lieta. – Brame dell’irraggiungibile. – Si chiacchieraallegramente. – Giorgio suona il banjo. – Una lugubre melo-dia. – Un altro giorno di pioggia. – Fuga. – Una cenetta e unbrindisi.

Passammo due bellissimi giorni a Oxford. V’è abbon-danza di cani nella città di Oxford. Montmorency so-stenne undici battaglie il primo giorno, e quattordici ilsecondo, ed evidentemente pensava d’essere in paradi-so.

Fra la gente troppo organicamente debole, o troppoorganicamente pigra, comunque sia, da dilettarsi di la-vorare contro corrente, è uso comune di noleggiare unabarca a Oxford, e remare seguendo la corrente. Per glienergici, però, il viaggio contro corrente, certo, è da pre-ferirsi. Non è utile andar sempre secondo corrente. V’èpiù soddisfazione nell’affrontarla e combatterla, e anda-re innanzi a suo dispetto – almeno così sento io, quandoHarris e Giorgio s’affaticano a remare, e io me ne sto altimone.

A quelli che pensano di fare di Oxford il loro punto dipartenza, io direi: prendete la vostra barca – salvo,s’intende, se non potete prender quella di qualcun altro

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CAPITOLO XIX.

Oxford. – L’idea del cielo di Montmorency. – La barca noleggia-ta; le sue bellezze e i suoi vantaggi. – L’«Orgoglio del Tami-gi». – Il tempo cambia. – Il fiume sotto diversi aspetti. – Unasera poco lieta. – Brame dell’irraggiungibile. – Si chiacchieraallegramente. – Giorgio suona il banjo. – Una lugubre melo-dia. – Un altro giorno di pioggia. – Fuga. – Una cenetta e unbrindisi.

Passammo due bellissimi giorni a Oxford. V’è abbon-danza di cani nella città di Oxford. Montmorency so-stenne undici battaglie il primo giorno, e quattordici ilsecondo, ed evidentemente pensava d’essere in paradi-so.

Fra la gente troppo organicamente debole, o troppoorganicamente pigra, comunque sia, da dilettarsi di la-vorare contro corrente, è uso comune di noleggiare unabarca a Oxford, e remare seguendo la corrente. Per glienergici, però, il viaggio contro corrente, certo, è da pre-ferirsi. Non è utile andar sempre secondo corrente. V’èpiù soddisfazione nell’affrontarla e combatterla, e anda-re innanzi a suo dispetto – almeno così sento io, quandoHarris e Giorgio s’affaticano a remare, e io me ne sto altimone.

A quelli che pensano di fare di Oxford il loro punto dipartenza, io direi: prendete la vostra barca – salvo,s’intende, se non potete prender quella di qualcun altro

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senza pericolo d’esser scoperti. Le barche che, general-mente, son date a nolo sul Tamigi al di sopra di Marlow,sono buonissime. Bravamente impermeabili, finchè sonusate con cura, raramente si smembrano o colano a pic-co. Hanno dei posti da sedere, e hanno tutto ciò che oc-corre – o quasi tutto – da mettervi in grado di condurlecoi remi e guidarle.

Ma non sono ornamentali. La barca che si prende anolo sul fiume al di sopra di Marlow non è la specie dibarca nella quale potete fare lo spaccone e darvi dellearie. La barca presa a nolo spegne ogni velleità di talsorta in quelli che la occupano. Questo è il principale e– si può dire – suo unico pregio.

Il noleggiatore della barca è modesto e discreto. A luipiace tenersi dalla parte dell’ombra, sotto gli alberi, eviaggiar per lo più la mattina presto o la sera tardi,quando non c’è molta gente sulla riva a guardarlo.

Quando l’uomo nella barca a nolo vede qualche cono-scente, salta sulla sponda, e si nasconde dietro un albe-ro.

Io feci parte d’una compagnia che un’estate prese unabarca a nolo, per un viaggio di pochi giorni. Nessuno dinoi aveva mai veduta una barca a nolo, e nessuno cre-dette che fosse quella quando la vedemmo.

Avevamo scritto per una barca a quattro coppie diremi; e quando arrivammo con le valige al cantiere, edemmo i nostri nomi, il direttore ci disse:

— Ah sì; siete la compagnia che ha scritto per unabarca a quattro coppie di remi. Benissimo. Gianni, va a

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senza pericolo d’esser scoperti. Le barche che, general-mente, son date a nolo sul Tamigi al di sopra di Marlow,sono buonissime. Bravamente impermeabili, finchè sonusate con cura, raramente si smembrano o colano a pic-co. Hanno dei posti da sedere, e hanno tutto ciò che oc-corre – o quasi tutto – da mettervi in grado di condurlecoi remi e guidarle.

Ma non sono ornamentali. La barca che si prende anolo sul fiume al di sopra di Marlow non è la specie dibarca nella quale potete fare lo spaccone e darvi dellearie. La barca presa a nolo spegne ogni velleità di talsorta in quelli che la occupano. Questo è il principale e– si può dire – suo unico pregio.

Il noleggiatore della barca è modesto e discreto. A luipiace tenersi dalla parte dell’ombra, sotto gli alberi, eviaggiar per lo più la mattina presto o la sera tardi,quando non c’è molta gente sulla riva a guardarlo.

Quando l’uomo nella barca a nolo vede qualche cono-scente, salta sulla sponda, e si nasconde dietro un albe-ro.

Io feci parte d’una compagnia che un’estate prese unabarca a nolo, per un viaggio di pochi giorni. Nessuno dinoi aveva mai veduta una barca a nolo, e nessuno cre-dette che fosse quella quando la vedemmo.

Avevamo scritto per una barca a quattro coppie diremi; e quando arrivammo con le valige al cantiere, edemmo i nostri nomi, il direttore ci disse:

— Ah sì; siete la compagnia che ha scritto per unabarca a quattro coppie di remi. Benissimo. Gianni, va a

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prendere l’«Orgoglio del Tamigi».Il ragazzo corse, per riapparire cinque minuti dopo

con un’antidiluviana cassa di legno, che sembrava fossestata recentemente dissepolta in qualche parte e scavatasenza molta cura, perchè qua e là pareva senza necessitàdanneggiata.

La mia prima idea, nel veder l’oggetto, fu che fossequalche avanzo romano – avanzo di non sapevo di che,forse d’un feretro.

I dintorni del corso superiore del Tamigi son ricchi direliquie romane; e la mia ipotesi appariva molto proba-bile; ma il nostro compagno più serio, che era un geolo-go, rise della mia teoria sulla reliquia romana, e dissech’era chiaro al più rozzo intelletto (nella qual categoriasembrava d’essere dolente che coscienziosamente nonpotesse includere anche il mio) che l’oggetto trovato dalragazzo era il fossile d’una balena; e c’indicò vari segniche provavano ch’esso aveva dovuto appartenere al pe-riodo preglaciale.

A metter fine alla disputa, ci appellammo al ragazzo,avvertendolo di non aver paura, ma di dire la sempliceverità: — era il fossile d’una balena preadamitica, o unferetro di Roma primitiva?

Il ragazzo disse che era l’«Orgoglio del Tamigi».In principio credemmo che questa fosse una risposta

umoristica, da parte del ragazzo, e ci fu uno che gli die-de in premio quattro soldi per la sua prontezza di spirito;ma quando si ostinò nell’insistere troppo a lungo, comeci parve, sullo scherzo, ce ne seccammo.

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prendere l’«Orgoglio del Tamigi».Il ragazzo corse, per riapparire cinque minuti dopo

con un’antidiluviana cassa di legno, che sembrava fossestata recentemente dissepolta in qualche parte e scavatasenza molta cura, perchè qua e là pareva senza necessitàdanneggiata.

La mia prima idea, nel veder l’oggetto, fu che fossequalche avanzo romano – avanzo di non sapevo di che,forse d’un feretro.

I dintorni del corso superiore del Tamigi son ricchi direliquie romane; e la mia ipotesi appariva molto proba-bile; ma il nostro compagno più serio, che era un geolo-go, rise della mia teoria sulla reliquia romana, e dissech’era chiaro al più rozzo intelletto (nella qual categoriasembrava d’essere dolente che coscienziosamente nonpotesse includere anche il mio) che l’oggetto trovato dalragazzo era il fossile d’una balena; e c’indicò vari segniche provavano ch’esso aveva dovuto appartenere al pe-riodo preglaciale.

A metter fine alla disputa, ci appellammo al ragazzo,avvertendolo di non aver paura, ma di dire la sempliceverità: — era il fossile d’una balena preadamitica, o unferetro di Roma primitiva?

Il ragazzo disse che era l’«Orgoglio del Tamigi».In principio credemmo che questa fosse una risposta

umoristica, da parte del ragazzo, e ci fu uno che gli die-de in premio quattro soldi per la sua prontezza di spirito;ma quando si ostinò nell’insistere troppo a lungo, comeci parve, sullo scherzo, ce ne seccammo.

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— Su, su, ragazzo! — disse il nostro capitano viva-mente — non dirci delle sciocchezze. Riporta a casaquesta tina in cui fa il bucato tua madre, e portaci unabarca.

Allora venne lo stesso fabbricante, e ci assicurò sullasua parola, da uomo pratico, che l’oggetto era veramen-te una barca – era, anzi, la barca, lo schifo a quattro cop-pie di remi, scelto per condurci a spasso in giù per il fiu-me.

Noi brontolammo molto. Pensammo ch’egli avrebbedovuto farla dipingere o calatafare – metterle qualchecosa da distinguerla da un avanzo di naufragio; ma eglinon sapeva vedervi alcun difetto.

Parve anche offeso dalle nostre osservazioni. Disseche aveva scelto la barca migliore di quante ne aveva, ecredeva che ci saremmo mostrati più riconoscenti.L’«Orgoglio del Tamigi» era in esercizio, appunto comesi trovava in quel momento, e a quanto ne sapeva lui, dapiù di quarant’anni, e nessuno se n’era lagnato mai, enon capiva perchè dovessimo cominciar noi.

Non discutemmo più.Legammo insieme la così detta barca, con alcuni pez-

zi di corda, pigliammo un po’ di carta da tappezzeria ela incollammo sui punti più frusti, dicemmo le nostrepreghiere ed entrammo a bordo.

Pagammo quarantacinque lire per il noleggio di quel-la reliquia per sei giorni e l’avremmo potuta comprare aun di presso per cinque lire a qualunque vendita di ma-teriale galeggiante sulla costa.

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— Su, su, ragazzo! — disse il nostro capitano viva-mente — non dirci delle sciocchezze. Riporta a casaquesta tina in cui fa il bucato tua madre, e portaci unabarca.

Allora venne lo stesso fabbricante, e ci assicurò sullasua parola, da uomo pratico, che l’oggetto era veramen-te una barca – era, anzi, la barca, lo schifo a quattro cop-pie di remi, scelto per condurci a spasso in giù per il fiu-me.

Noi brontolammo molto. Pensammo ch’egli avrebbedovuto farla dipingere o calatafare – metterle qualchecosa da distinguerla da un avanzo di naufragio; ma eglinon sapeva vedervi alcun difetto.

Parve anche offeso dalle nostre osservazioni. Disseche aveva scelto la barca migliore di quante ne aveva, ecredeva che ci saremmo mostrati più riconoscenti.L’«Orgoglio del Tamigi» era in esercizio, appunto comesi trovava in quel momento, e a quanto ne sapeva lui, dapiù di quarant’anni, e nessuno se n’era lagnato mai, enon capiva perchè dovessimo cominciar noi.

Non discutemmo più.Legammo insieme la così detta barca, con alcuni pez-

zi di corda, pigliammo un po’ di carta da tappezzeria ela incollammo sui punti più frusti, dicemmo le nostrepreghiere ed entrammo a bordo.

Pagammo quarantacinque lire per il noleggio di quel-la reliquia per sei giorni e l’avremmo potuta comprare aun di presso per cinque lire a qualunque vendita di ma-teriale galeggiante sulla costa.

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Il tempo il terzo giorno cambiò… Ah! ma io parlo delviaggio di ora… e partimmo da Oxford per il ritorno acasa sotto una pioggia fitta fitta.

Il fiume – col lampeggio del sole nelle sue onde dan-zanti, con la luce che colora d’oro i tronchi dei faggi gri-gioverdi, e che, scintillando nei bui, freschi sentieri deiboschi, ammucchia le ombre nei fossi, scaglia diamantidalle ruote dei mulini, getta baci ai gigli, si trastulla conl’acqua spumosa degli sbarramenti, inargenta i muri e iponti coperti di musco, ravviva ogni minuscolo casola-re, fa dolce ogni viottolo e ogni prato, si impiglia neigiunchi, spia, ride da ogni rigagnolo, e irradia lieta dallemolte vele lontane, riempiendo l’aria di gloria – il fiumeè una favolosa corrente d’oro.

Ma il fiume – freddo e annoiato, con le gocce di piog-gia che cadono incessantemente sulle sue acque accidio-se e lente, con un singulto quale d’una donna che piangein silenzio in qualche stanza buia, mentre i boschi, tuttioscuri e silenziosi, avvolti nelle loro nebbie di vapori,stanno come spettri sulla riva: spettri silenziosi con oc-chi di rimprovero, come ombre di cattive azioni, comeombre di amici negletti – il fiume è un’acqua frequenta-ta dai fantasmi a traverso la terra, dei vani rimpianti.

La luce del sole è il sangue vitale della natura. La ma-dre terra ci guarda con occhi così tristi e spenti, quandos’è dileguata la luce del sole. Allora ci fa malinconial’essere con lei; par che non ci riconosca e non si curipiù di noi. È la vedova che ha perduto il marito cheamava, e i figliuoli le toccan la mano, e la guardan negli

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Il tempo il terzo giorno cambiò… Ah! ma io parlo delviaggio di ora… e partimmo da Oxford per il ritorno acasa sotto una pioggia fitta fitta.

Il fiume – col lampeggio del sole nelle sue onde dan-zanti, con la luce che colora d’oro i tronchi dei faggi gri-gioverdi, e che, scintillando nei bui, freschi sentieri deiboschi, ammucchia le ombre nei fossi, scaglia diamantidalle ruote dei mulini, getta baci ai gigli, si trastulla conl’acqua spumosa degli sbarramenti, inargenta i muri e iponti coperti di musco, ravviva ogni minuscolo casola-re, fa dolce ogni viottolo e ogni prato, si impiglia neigiunchi, spia, ride da ogni rigagnolo, e irradia lieta dallemolte vele lontane, riempiendo l’aria di gloria – il fiumeè una favolosa corrente d’oro.

Ma il fiume – freddo e annoiato, con le gocce di piog-gia che cadono incessantemente sulle sue acque accidio-se e lente, con un singulto quale d’una donna che piangein silenzio in qualche stanza buia, mentre i boschi, tuttioscuri e silenziosi, avvolti nelle loro nebbie di vapori,stanno come spettri sulla riva: spettri silenziosi con oc-chi di rimprovero, come ombre di cattive azioni, comeombre di amici negletti – il fiume è un’acqua frequenta-ta dai fantasmi a traverso la terra, dei vani rimpianti.

La luce del sole è il sangue vitale della natura. La ma-dre terra ci guarda con occhi così tristi e spenti, quandos’è dileguata la luce del sole. Allora ci fa malinconial’essere con lei; par che non ci riconosca e non si curipiù di noi. È la vedova che ha perduto il marito cheamava, e i figliuoli le toccan la mano, e la guardan negli

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occhi, ma non hanno in risposta neppure un sorriso.Remammo tutto quel giorno sotto la pioggia, e fu una

fatica melanconica. Facemmo le viste, in principio, didivertirci un mondo. Dicemmo ch’era un diversivo, eche ci piaceva vedere il fiume sotto tutti i suoi diversiaspetti. Non potevamo aspettarci d’aver sempre sole, nèl’avremmo voluto. E poi la natura era bella anche quan-do piangeva.

Veramente, io e Harris ci mostrammo entusiasti per leprime poche ore. E intonammo una canzone sulla vitadello zingaro e sulle sue delizie! – libero alla tempesta,al sole e ai venti! – e sulla gioia che gli procura la piog-gia e sul bene che gli arreca; e su come egli rida dellepersone che non sanno goderla.

Giorgio prese la cosa con maggiore sobrietà, e si ri-volse all’ombrello.

Issammo la copertura di tela prima della colazione, ela tenemmo tutto il pomeriggio, lasciando un po’ di spa-zio a prua per remare e dare uno sguardo fuori. A questomodo percorremmo nove miglia, e sostammo per la not-te un po’ sotto la chiusa di Day.

Non posso onestamente dire che passassimo una sera-ta allegra. La pioggia veniva giù con calma ostinazione.Ogni oggetto nella barca era umido e appiccicaticcio. Lacena non fu un successo. Il pasticcio di vitello freddo,quando non si ha fame, può nauseare. Mi sarebbe pia-ciuto un fritto di pesce e una costoletta; Harris parlò disogliole con salsa bianca, e passò i resti del pasticcio aMontmorency, che lo rifiutò e, offeso, a quanto parve,

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occhi, ma non hanno in risposta neppure un sorriso.Remammo tutto quel giorno sotto la pioggia, e fu una

fatica melanconica. Facemmo le viste, in principio, didivertirci un mondo. Dicemmo ch’era un diversivo, eche ci piaceva vedere il fiume sotto tutti i suoi diversiaspetti. Non potevamo aspettarci d’aver sempre sole, nèl’avremmo voluto. E poi la natura era bella anche quan-do piangeva.

Veramente, io e Harris ci mostrammo entusiasti per leprime poche ore. E intonammo una canzone sulla vitadello zingaro e sulle sue delizie! – libero alla tempesta,al sole e ai venti! – e sulla gioia che gli procura la piog-gia e sul bene che gli arreca; e su come egli rida dellepersone che non sanno goderla.

Giorgio prese la cosa con maggiore sobrietà, e si ri-volse all’ombrello.

Issammo la copertura di tela prima della colazione, ela tenemmo tutto il pomeriggio, lasciando un po’ di spa-zio a prua per remare e dare uno sguardo fuori. A questomodo percorremmo nove miglia, e sostammo per la not-te un po’ sotto la chiusa di Day.

Non posso onestamente dire che passassimo una sera-ta allegra. La pioggia veniva giù con calma ostinazione.Ogni oggetto nella barca era umido e appiccicaticcio. Lacena non fu un successo. Il pasticcio di vitello freddo,quando non si ha fame, può nauseare. Mi sarebbe pia-ciuto un fritto di pesce e una costoletta; Harris parlò disogliole con salsa bianca, e passò i resti del pasticcio aMontmorency, che lo rifiutò e, offeso, a quanto parve,

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da quell’offerta, andò a sedersi solo all’altra estremitàdella barca.

Giorgio ci pregò di non parlare di simili cose; a ognimodo s’era finito il manzo allesso senza la mostarda.

Giocammo a carte dopo cena, a un soldo la partita.Giocammo per circa un’ora e mezzo, e alla fine Giorgioaveva vinto otto soldi – egli è sempre fortunato alle car-te – e Harris e io avevamo perduto esattamente quattrosoldi per ciascuno.

Pensammo di rinunziare al giuoco. Come Harris dis-se, esso desta delle riprovevoli eccitazioni quando èspinto troppo lontano. Giorgio ci offrì di darci la rivinci-ta; ma Harris e io decidemmo di non lottar più oltre con-tro il fato.

Dopo ci preparammo un po’ di ponce, e ci sedemmoin giro a conversare. Giorgio ci narrò d’un suo cono-scente, ch’era venuto sul fiume due anni prima e che,per aver dormito in una barca umida, s’era beccato unafebbre reumatica. Nulla aveva potuto salvarlo, e diecigiorni appresso era morto dopo una straziante agonia.Era giovanissimo, e doveva sposarsi a giorni. Giorgioaggiunse ch’era una delle più tristi cose alle quali avessemai assistito.

E questo fece venire in mente ad Harris un amico suo,che era stato volontario e che aveva dormito sotto unatenda in una notte di pioggia ad Aldershot, «appunto inuna notte come questa», disse Harris; e s’era svegliato lamattina storpio por sempre. Harris aggiunse che ciavrebbe presentati tutti e due all’amico quando sarem-

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da quell’offerta, andò a sedersi solo all’altra estremitàdella barca.

Giorgio ci pregò di non parlare di simili cose; a ognimodo s’era finito il manzo allesso senza la mostarda.

Giocammo a carte dopo cena, a un soldo la partita.Giocammo per circa un’ora e mezzo, e alla fine Giorgioaveva vinto otto soldi – egli è sempre fortunato alle car-te – e Harris e io avevamo perduto esattamente quattrosoldi per ciascuno.

Pensammo di rinunziare al giuoco. Come Harris dis-se, esso desta delle riprovevoli eccitazioni quando èspinto troppo lontano. Giorgio ci offrì di darci la rivinci-ta; ma Harris e io decidemmo di non lottar più oltre con-tro il fato.

Dopo ci preparammo un po’ di ponce, e ci sedemmoin giro a conversare. Giorgio ci narrò d’un suo cono-scente, ch’era venuto sul fiume due anni prima e che,per aver dormito in una barca umida, s’era beccato unafebbre reumatica. Nulla aveva potuto salvarlo, e diecigiorni appresso era morto dopo una straziante agonia.Era giovanissimo, e doveva sposarsi a giorni. Giorgioaggiunse ch’era una delle più tristi cose alle quali avessemai assistito.

E questo fece venire in mente ad Harris un amico suo,che era stato volontario e che aveva dormito sotto unatenda in una notte di pioggia ad Aldershot, «appunto inuna notte come questa», disse Harris; e s’era svegliato lamattina storpio por sempre. Harris aggiunse che ciavrebbe presentati tutti e due all’amico quando sarem-

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mo ritornati in città: la sua vista ci avrebbe fatto sangui-nare il cuore.

Questo naturalmente ci condusse a qualche piacevolediscorso intorno alla sciatica, alle febbri, alla malaria,alle malattie polmonari e alle bronchiti, e Harris disseche sarebbe stato un bel divertimento se qualcuno di noisi fosse ammalato seriamente durante la notte: non c’erasottomano un dottore a cui ricorrere.

Sembrava aleggiasse un bisogno di qualche cosad’allegro dopo questa conversazione, e in un momentodi debolezza io consigliai Giorgio a pigliare il banjo e atentar di sonarci qualche cosa di divertente.

Dirò che a Giorgio non occorrevano sollecitazioni.Non servì ch’egli aveva lasciato la musica a casa, o altraragione della stessa specie. Subito pescò lo strumento, ecominciò a sonare «I due bellissimi occhioni neri».

Io avevo fino a quella sera considerato «I due bellissi-mi occhioni neri» come un’aria piuttosto volgaruccia.La ricca vena di malinconia che Giorgio ne estrasse ve-ramente mi sorprese.

Il desiderio che spuntava in Harris e in me, come silevavan le meste battute, era di cader l’uno al collodell’altro e piangere; ma con un grande sforzo tratte-nemmo le lagrime e ascoltammo la strana, dolente me-lodia in silenzio.

Quando giunse l’istante del coro, facemmo uno sfor-zo disperato per essere allegri. Ci riempimmo il bicchie-re e cantammo, Harris con una voce tremante di com-mozione, prima. Giorgio e io, poi, di poche parole indie-

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mo ritornati in città: la sua vista ci avrebbe fatto sangui-nare il cuore.

Questo naturalmente ci condusse a qualche piacevolediscorso intorno alla sciatica, alle febbri, alla malaria,alle malattie polmonari e alle bronchiti, e Harris disseche sarebbe stato un bel divertimento se qualcuno di noisi fosse ammalato seriamente durante la notte: non c’erasottomano un dottore a cui ricorrere.

Sembrava aleggiasse un bisogno di qualche cosad’allegro dopo questa conversazione, e in un momentodi debolezza io consigliai Giorgio a pigliare il banjo e atentar di sonarci qualche cosa di divertente.

Dirò che a Giorgio non occorrevano sollecitazioni.Non servì ch’egli aveva lasciato la musica a casa, o altraragione della stessa specie. Subito pescò lo strumento, ecominciò a sonare «I due bellissimi occhioni neri».

Io avevo fino a quella sera considerato «I due bellissi-mi occhioni neri» come un’aria piuttosto volgaruccia.La ricca vena di malinconia che Giorgio ne estrasse ve-ramente mi sorprese.

Il desiderio che spuntava in Harris e in me, come silevavan le meste battute, era di cader l’uno al collodell’altro e piangere; ma con un grande sforzo tratte-nemmo le lagrime e ascoltammo la strana, dolente me-lodia in silenzio.

Quando giunse l’istante del coro, facemmo uno sfor-zo disperato per essere allegri. Ci riempimmo il bicchie-re e cantammo, Harris con una voce tremante di com-mozione, prima. Giorgio e io, poi, di poche parole indie-

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tro.«I due bellissimi occhioni neriOh che sorpresa!Solo per dire che aveva torto.I due bellissimi…»

Lì c’interrompemmo. Fummo incapaci di sopportarenel nostro stato di depressione l’ineffabile pathosdell’accompagnamento di Giorgio a quell’«I due bellis-simi». Harris singhiozzò come un bambino, e il caneululò tanto che io credei che dovesse romperglisi sicura-mente il cuore o la mascella.

Giorgio voleva seguitare con l’altra strofa. Credevache quando fosse andato più innanzi nell’aria e avessepotuto darle un po’ più d’«abbandono» per così dire,nell’esecuzione, non sarebbe parsa così triste. Il senti-mento della maggioranza, però, si oppose all’esperimen-to.

Non essendovi quindi più altro da fare andammo aletto – ci spogliammo, cioè, e ci agitammo in fondo allabarca per tre o quattro ore. Dopo riuscimmo ad avere unpo’ di febbrile sopore fin verso le cinque, ora in cui cilevammo e ci mettemmo a colazione.

Il secondo giorno fu esattamente come il primo. Lapioggia continuava a cader fitta, e noi, avvoltinegl’impermeabili, sotto la copertura di tela, ci lasciava-mo trascinare giù per la corrente.

Uno di noi – non so più chi, ma son tratto a credered’essere stato io stesso – fece qualche debole tentativo,

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tro.«I due bellissimi occhioni neriOh che sorpresa!Solo per dire che aveva torto.I due bellissimi…»

Lì c’interrompemmo. Fummo incapaci di sopportarenel nostro stato di depressione l’ineffabile pathosdell’accompagnamento di Giorgio a quell’«I due bellis-simi». Harris singhiozzò come un bambino, e il caneululò tanto che io credei che dovesse romperglisi sicura-mente il cuore o la mascella.

Giorgio voleva seguitare con l’altra strofa. Credevache quando fosse andato più innanzi nell’aria e avessepotuto darle un po’ più d’«abbandono» per così dire,nell’esecuzione, non sarebbe parsa così triste. Il senti-mento della maggioranza, però, si oppose all’esperimen-to.

Non essendovi quindi più altro da fare andammo aletto – ci spogliammo, cioè, e ci agitammo in fondo allabarca per tre o quattro ore. Dopo riuscimmo ad avere unpo’ di febbrile sopore fin verso le cinque, ora in cui cilevammo e ci mettemmo a colazione.

Il secondo giorno fu esattamente come il primo. Lapioggia continuava a cader fitta, e noi, avvoltinegl’impermeabili, sotto la copertura di tela, ci lasciava-mo trascinare giù per la corrente.

Uno di noi – non so più chi, ma son tratto a credered’essere stato io stesso – fece qualche debole tentativo,

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durante la mattinata, di canticchiare la vecchia stupiditàzingaresca del sentirsi figli della natura e del godere irovesci d’acqua; ma non ebbe effetto.

«Non m’importa della pioggiache dal cielo si rovescia…»

era così penosamente evidente, e così espressivo deisentimenti di ciascuno di noi, che non sembrava neces-sario cantarlo.

Su un punto eravamo tutti d’accordo, e cioè, che, qua-lunque cosa avvenisse, avremmo fatto il nostro doverefino all’amara fine. Eravamo andati sul fiume per diver-tirci per una quindicina di giorni, e intendevamo diver-tirci per una quindicina di giorni. E se questo ci avesseammazzati? Bene, sarebbe stata una cosa dolorosissimaper i nostri amici e i nostri parenti, ma non c’era altro dafare. Sentivamo che cederla al tempo in un clima comeil nostro sarebbe stato un precedente disastroso.

— Soltanto altri due giorni — disse Harris — e noisiamo giovani e forti. Ce la potremo cavar bene, dopotutto.

Verso le quattro cominciammo a discutere le disposi-zioni per la sera. Ci trovavamo un po’ oltre Goring, edecidemmo di remare fino a Pangbourne, e di fermarcilì per la notte.

— Un’altra bella serata! — mormorò Giorgio.Ci sedemmo a meditar sulla prospettiva. Dovevamo

essere a Pangbourne per le cinque. Avremmo finito didesinare, mettiamo, alle sei e mezzo. Dopo avremmo

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durante la mattinata, di canticchiare la vecchia stupiditàzingaresca del sentirsi figli della natura e del godere irovesci d’acqua; ma non ebbe effetto.

«Non m’importa della pioggiache dal cielo si rovescia…»

era così penosamente evidente, e così espressivo deisentimenti di ciascuno di noi, che non sembrava neces-sario cantarlo.

Su un punto eravamo tutti d’accordo, e cioè, che, qua-lunque cosa avvenisse, avremmo fatto il nostro doverefino all’amara fine. Eravamo andati sul fiume per diver-tirci per una quindicina di giorni, e intendevamo diver-tirci per una quindicina di giorni. E se questo ci avesseammazzati? Bene, sarebbe stata una cosa dolorosissimaper i nostri amici e i nostri parenti, ma non c’era altro dafare. Sentivamo che cederla al tempo in un clima comeil nostro sarebbe stato un precedente disastroso.

— Soltanto altri due giorni — disse Harris — e noisiamo giovani e forti. Ce la potremo cavar bene, dopotutto.

Verso le quattro cominciammo a discutere le disposi-zioni per la sera. Ci trovavamo un po’ oltre Goring, edecidemmo di remare fino a Pangbourne, e di fermarcilì per la notte.

— Un’altra bella serata! — mormorò Giorgio.Ci sedemmo a meditar sulla prospettiva. Dovevamo

essere a Pangbourne per le cinque. Avremmo finito didesinare, mettiamo, alle sei e mezzo. Dopo avremmo

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potuto camminare per il villaggio nella piazza finoall’ora di andare a letto, o andarcene in un caffeucoloscarsamente illuminato a leggere l’almanacco.

— Ebbene, l’Alhambra sarebbe quasi più vivace —disse Harris, avventurando la testa per un momento fuo-ri della copertura ed esaminando il cielo.

— Con una cenetta poi al…2 — aggiunsi io, quasi in-consciamente.

— Sì, è quasi un peccato che ci siam messi in mentedi rimanercene nella barca — rispose Harris; e poi perun poco vi fu silenzio.

— Se non avessimo risoluto di procurarci la mortecerta in questa maledetta cassa da morto — osservòGiorgio, gettando un’occhiata d’immensa malevolenzaalla barca — metterebbe conto di ricordare che v’è untreno che parte da Pangbourne subito dopo le cinque, earriva a Londra proprio a tempo per mangiare una co-stoletta e poi andar nel luogo che hai menzionato.

Nessuno rispose. Ci guardammo l’un l’altro, e a cia-scuno sembrava di veder riflessi nel viso degli altri due itristi e colpevoli pensieri che l’occupavano. In silenzio,traemmo fuori e aprimmo la valigia. Guardammo su peril fiume e giù per il fiume: non c’era anima viva.

Venti minuti più tardi, tre ombre, seguite da un canedall’aspetto umiliato, si sarebbero potute veder strisciare

2 Una piccola trattoria fuori mano, nei dintorni di... che dà undesinaretto o una cenetta squisitissimi a molto buon mercato, conun’eccellente bottiglia di Beaune, a quattro lire; e che io non saròtanto idiota da stamburare.

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potuto camminare per il villaggio nella piazza finoall’ora di andare a letto, o andarcene in un caffeucoloscarsamente illuminato a leggere l’almanacco.

— Ebbene, l’Alhambra sarebbe quasi più vivace —disse Harris, avventurando la testa per un momento fuo-ri della copertura ed esaminando il cielo.

— Con una cenetta poi al…2 — aggiunsi io, quasi in-consciamente.

— Sì, è quasi un peccato che ci siam messi in mentedi rimanercene nella barca — rispose Harris; e poi perun poco vi fu silenzio.

— Se non avessimo risoluto di procurarci la mortecerta in questa maledetta cassa da morto — osservòGiorgio, gettando un’occhiata d’immensa malevolenzaalla barca — metterebbe conto di ricordare che v’è untreno che parte da Pangbourne subito dopo le cinque, earriva a Londra proprio a tempo per mangiare una co-stoletta e poi andar nel luogo che hai menzionato.

Nessuno rispose. Ci guardammo l’un l’altro, e a cia-scuno sembrava di veder riflessi nel viso degli altri due itristi e colpevoli pensieri che l’occupavano. In silenzio,traemmo fuori e aprimmo la valigia. Guardammo su peril fiume e giù per il fiume: non c’era anima viva.

Venti minuti più tardi, tre ombre, seguite da un canedall’aspetto umiliato, si sarebbero potute veder strisciare

2 Una piccola trattoria fuori mano, nei dintorni di... che dà undesinaretto o una cenetta squisitissimi a molto buon mercato, conun’eccellente bottiglia di Beaune, a quattro lire; e che io non saròtanto idiota da stamburare.

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furtivamente dal ricetto di barche all’insegna del «Ci-gno» verso la stazione della ferrovia, vestite nel seguen-te nè lindo nè brillante abbigliamento.

Scarpe di cuoio nero, sudice; costume di flanella dabarca, sudicissimo; cappello di feltro marrone, ammac-cato; impermeabile, inzuppatissimo; ombrello.

Noi avevamo ingannato il barcaiuolo di Pangbourne.Non avevamo avuto il coraggio di dirgli che si stava perfuggire dalla pioggia. Avevamo lasciato la barca, equanto conteneva, in sua custodia, con l’istruzione chedoveva esser pronta per le nove della mattina dopo. Se –gli dicemmo – se qualche circostanza imprevista avessedovuto impedire il nostro ritorno, gli avremmo scritto.

Raggiungemmo la stazione di Paddington alle sette, eci dirigemmo subito in carrozza alla trattoria che ho giàdescritta, dove godemmo, meno Montmorency, un leg-gero pasto, e ordinammo una cena da esser pronta per ledieci e mezzo, e poi proseguimmo per Leicester Square.

All’Alhambra ci attirammo l’attenzione di molti. Pre-sentandoci allo sgabuzzino dei biglietti, fummo burbera-mente invitati a voltare la cantonata e a passare perl’entrata di servizio, mentre ci s’informava che avevamofatto un ritardo di mezz’ora.

Convincemmo l’uomo, con qualche difficoltà, chenon eravamo «I contorsionisti delle Montagne dell’Ima-laia di fama mondiale»; ed egli prese il denaro, e ci la-sciò passare.

Dentro il teatro, il successo fu ancora maggiore. Lanostra bella fisionomia abbronzata e il nostro pittoresco

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furtivamente dal ricetto di barche all’insegna del «Ci-gno» verso la stazione della ferrovia, vestite nel seguen-te nè lindo nè brillante abbigliamento.

Scarpe di cuoio nero, sudice; costume di flanella dabarca, sudicissimo; cappello di feltro marrone, ammac-cato; impermeabile, inzuppatissimo; ombrello.

Noi avevamo ingannato il barcaiuolo di Pangbourne.Non avevamo avuto il coraggio di dirgli che si stava perfuggire dalla pioggia. Avevamo lasciato la barca, equanto conteneva, in sua custodia, con l’istruzione chedoveva esser pronta per le nove della mattina dopo. Se –gli dicemmo – se qualche circostanza imprevista avessedovuto impedire il nostro ritorno, gli avremmo scritto.

Raggiungemmo la stazione di Paddington alle sette, eci dirigemmo subito in carrozza alla trattoria che ho giàdescritta, dove godemmo, meno Montmorency, un leg-gero pasto, e ordinammo una cena da esser pronta per ledieci e mezzo, e poi proseguimmo per Leicester Square.

All’Alhambra ci attirammo l’attenzione di molti. Pre-sentandoci allo sgabuzzino dei biglietti, fummo burbera-mente invitati a voltare la cantonata e a passare perl’entrata di servizio, mentre ci s’informava che avevamofatto un ritardo di mezz’ora.

Convincemmo l’uomo, con qualche difficoltà, chenon eravamo «I contorsionisti delle Montagne dell’Ima-laia di fama mondiale»; ed egli prese il denaro, e ci la-sciò passare.

Dentro il teatro, il successo fu ancora maggiore. Lanostra bella fisionomia abbronzata e il nostro pittoresco

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abbigliamento furono seguiti in giro con uno sguardod’ammirazione. Eravamo la stella polare di tutti gli oc-chi.

Fu un momento d’orgoglio per noi tutti.Ce n’andammo subito dopo il primo balletto, e ci diri-

gemmo al ristorante dove già ci aspettava la cena.Debbo confessare che quella cena ce la godemmo.

Sembrava che per circa dieci giorni non fossimo vissuti,più o meno, di nient’altro che di carne fredda, torte,pane e marmellata. Era stata una dieta semplice e nu-triente; ma non v’era stato mai nulla di stuzzicante, el’odore del Borgogna, e l’odore delle salse francesi, e lavista dei tovaglioli puliti e dei panini lunghi, picchiaro-no come un graditissimo visitatore alla porta del nostrointimo io.

Noi continuammo per un po’ a inzepparci e a imbot-tarci in silenzio, finchè venne l’ora che invece di sederritti e impalati a maneggiar saldamente il coltello e laforchetta, ci abbandonammo sulla sedia e lavorammolenti e con comodo – l’ora che stendemmo le gambe sot-to la tavola, lasciammo incuranti cadere i tovagliuoli,sul pavimento, ed avemmo il tempo di esaminare conocchio critico il soffitto fumoso, cosa che prima nonavevamo fatta – l’ora che posammo il bicchiere sulla ta-vola a tiro della mano, e ci sentimmo buoni, pensierosi edisposti al perdono.

Allora Harris, ch’era seduto accanto alla finestra, tiròda parte la tenda e guardò al di fuori.

La via scintillava nella pioggia, i fiochi fanali vacilla-

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abbigliamento furono seguiti in giro con uno sguardod’ammirazione. Eravamo la stella polare di tutti gli oc-chi.

Fu un momento d’orgoglio per noi tutti.Ce n’andammo subito dopo il primo balletto, e ci diri-

gemmo al ristorante dove già ci aspettava la cena.Debbo confessare che quella cena ce la godemmo.

Sembrava che per circa dieci giorni non fossimo vissuti,più o meno, di nient’altro che di carne fredda, torte,pane e marmellata. Era stata una dieta semplice e nu-triente; ma non v’era stato mai nulla di stuzzicante, el’odore del Borgogna, e l’odore delle salse francesi, e lavista dei tovaglioli puliti e dei panini lunghi, picchiaro-no come un graditissimo visitatore alla porta del nostrointimo io.

Noi continuammo per un po’ a inzepparci e a imbot-tarci in silenzio, finchè venne l’ora che invece di sederritti e impalati a maneggiar saldamente il coltello e laforchetta, ci abbandonammo sulla sedia e lavorammolenti e con comodo – l’ora che stendemmo le gambe sot-to la tavola, lasciammo incuranti cadere i tovagliuoli,sul pavimento, ed avemmo il tempo di esaminare conocchio critico il soffitto fumoso, cosa che prima nonavevamo fatta – l’ora che posammo il bicchiere sulla ta-vola a tiro della mano, e ci sentimmo buoni, pensierosi edisposti al perdono.

Allora Harris, ch’era seduto accanto alla finestra, tiròda parte la tenda e guardò al di fuori.

La via scintillava nella pioggia, i fiochi fanali vacilla-

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vano a ogni raffica, l’acqua scrosciava forte nelle poz-zanghere e strepitava dalle grondaie nei torrentelli deirigagnoli. Pochi passanti inzuppati correvano, rannic-chiandosi sotto gli ombrelli gocciolanti, le donne solle-vavano il lembo delle gonne.

— Bene — disse Harris, sporgendo la mano al bic-chiere — abbiamo goduto delle belle gite, e i miei cor-diali ringraziamenti al vecchio padre Tamigi… ma credoche abbiamo fatto bene a dargli il benservito a tempo.Ecco tre uomini felici fuori della barca!

E Montmorency, ritto sulle gambe di dietro, innanzialla finestra, emise un breve latrato, certo per unirsi albrindisi.

FINE.

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vano a ogni raffica, l’acqua scrosciava forte nelle poz-zanghere e strepitava dalle grondaie nei torrentelli deirigagnoli. Pochi passanti inzuppati correvano, rannic-chiandosi sotto gli ombrelli gocciolanti, le donne solle-vavano il lembo delle gonne.

— Bene — disse Harris, sporgendo la mano al bic-chiere — abbiamo goduto delle belle gite, e i miei cor-diali ringraziamenti al vecchio padre Tamigi… ma credoche abbiamo fatto bene a dargli il benservito a tempo.Ecco tre uomini felici fuori della barca!

E Montmorency, ritto sulle gambe di dietro, innanzialla finestra, emise un breve latrato, certo per unirsi albrindisi.

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