Giugno 2012

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DIPARTIMENTO DI COMUNICAZIONE E RICERCA SOCIALE QUARTERLY ITALIAN EDITION - 12.06 IL VALORE DELL’ETICA SPECIALE ICS 2012 TWEET E-REPUTATION BIZ STONE FONDATORE DI TWITTER MICHAEL FERTIK PROFETA DELLA WEB REPUTATION

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ICSmag di Giugno

Transcript of Giugno 2012

DIPARTIMENTO DICOMUNICAZIONE ERICERCA SOCIALE

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IL VALORE DELL’ETICA

SPECIALE ICS 2012

TWEETE-REPUTATION

BIZ STONEFONDATORE DI TWITTER

MICHAEL FERTIKPROFETA DELLA WEB REPUTATION

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“COSA DEVO FARE IO?”

IL RUOLO DELLA MORALE

TRA ECONOMIA E SOCIETA’

Indice

Vincenzo Boccia, Dora Catano, Alessandro

Di Leonardo, Antonio Di Leonardo,

Simona Di Luzio, Nicola Garibaldi, Fausto

Lupetti, Antonia Magnacca, Transparency

International Italia, Università Guglielmo

Marconi, Giovanni Cellini, ISPO Ricerche

THANKS TO

Nils OleOermann

Franco Pomilio

Renato Mannheimer

DavideDel Monte

Patrizia Rutigliano

Lorenzo Segato

VincenzoBoccia

Marica Spalletta

FrancescoPira

Gianluigi Nuzzi

RobertoSpingardi

Michele Ainis

IL CORAGGIO DI METTERSI IN GIOCO

Franco Pomilio14

UNA NUOVA MORALITA’- LA FIDUCIA

DEGLI ITALIANI NELL’EPOCA DELLA CRISI

Renato Mannheimer

20

VERSO UN MODELLO

DI CORRESPONSABILITA’

Vincenzo Boccia

24

UGUALI IN PARTENZA LO SGUARDO

ETICO DELLA COSTITUZIONE

Michele Ainis

28

ETICA E GIORNALISMO,

IL CORAGGIO DELL’AUTOCRITICA

Gianluigi Nuzzi

32

QUESTIONE DI LOBBYING:

LA LEGGE CHE NON C’E’

Patrizia Rutigliano

36

I PILASTRI DELL’INTEGRITA’

NEL SISTEMA ITALIA

Davide Del Monte e Lorenzo Segato

44

TECNOLOGIE PER LA TRASPARENZA

NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Francesco Pira

50

PROFESSIONE COMUNICATORE: VALORI

CONDIVISI CERCASI

Marica Spalletta

55

ETICA CONVIENE LA LIBERTA’ DI

INFORMAZIONE: LIMITI E OPPORTUNITA’

Roberto Spingardi

60

UNA TESI

di Gabriella Squicciarini64

ICS 2012: la grammatica dei new media

Virginia Patriarca

42

IL CORAGGIO DI ESSERE RESPONSABILI

Nils Ole Oermann04

IL VALORE DELL’ETICA:

UNA GIORNATA PER RIFLETTERE11

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ICS MAGZINE N 03 GIUGNO 2012IL VALORE DELL ETICA

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ICS CHAIRMANPRESIDENTE POMILIOBLUMM

ICS Mag 04 – IL VaLORE DELL’ETICa(Editoriale di Franco Pomilio)

Da qualche tempo non si parla che di etica, in ogni campo e settore. Il tema della responsabilità, della morale condivisa, è tornato prepotentemente al centro della

riflessione pubblica e non solo. Una diffusione che colpisce in particolar modo chi si occupa

di comunicazione, inevitabilmente portato a chiedersi come decodificare e tradurre questa nuova sensibilità.

Il numero che avete tra le mani prova appunto

a individuare un possibile piano di lettura,

cercandolo nell’incrocio tra differenti punti di vista: economico, politico, giuridico,

culturale. Visioni diverse, ma tutte accomunate

dalla consapevolezza che l’etica, oggi, è molto

più di un ideale: è un’esigenza diffusa, che in

quanto tale va trasfusa in procedure e principi

d’azione concreti, in primo luogo il valore, strettamente comunicativo, della trasparenza.

Qui si inserisce il ruolo della comunicazione, che in questo incrocio di desideri e prospettive può

e deve ritagliarsi un ruolo specifico, che non si limiti a vedere la trasparenza come oggetto di

regole deontologiche specifiche, ma che riconosca in essa uno strumento di valutazione e regolazione trasversale, in grado di attivare e garantire una dimensione etica

in ogni campo di attività.

Cambia quindi la domanda da porre alla comunicazione, non più solo “Come deve

essere la comunicazione per essere corretta e trasparente?” bensì anche, e soprattutto: “Come la

comunicazione trasparente può aiutare a garantire una regolazione etica in qualsiasi campo dell’attività sociale e culturale?”.

Bisogna insomma passare dalla trasparenza come garanzia di una buona comunicazione alla

buona comunicazione come garanzia di trasparenza tout court. È da qui che

dobbiamo ripartire per dare una risposta reale alle domande ideali che ci vengono dalla società.

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“COSA DEVO FARE IO?”

IL RUOLO DELLA MORALE

TRA ECONOMIA E SOCIETA’

Nils Ole Oermann, esperto di Etica dell’economia, direttore del Programma su religione, politiche ed economia alla Humboldt University di Berlino, è attualmente consulente del Ministro dell’Interno Wolfgang Schäuble del Governo Merkel

Credits photo: www.luther-siftung.org

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“COSA DEVO FARE IO?”

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Nils Ole Oermann

Humboldt University

“Cosa devo fare io?” Parte da qui, dalla celebre “domanda

morale” di Immanuel Kant, la riflessione di Nils Ole Oermann sul

senso della responsabilità personale e collettiva che oggi con sempre più

forza viene richiesto dai cittadini europei. E che potrebbe rappresentare una svolta

epocale anche per il mondo dell’impresa

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L’Europa sta attraversando un momento particolarmente deli-cato. Un momento in cui il rigo-re diventa un’esigenza e l’etica

una necessità. Questo vento di moralizzazio-ne, a cui i diversi Paesi rispondono in modo differente, sembra scavare dei nuovi fossati tra gli Stati europei, aumentando la percezio-ne delle differenze, che paiono più spiccate che in passato. In realtà, al di là delle reazioni e delle soluzioni percorse di caso in caso, sem-bra esserci perlomeno un elemento comune e diffuso, ovvero un generale sentimento di sfiducia da parte dell’opinione pubblica nei confronti del potere, sia questo economico, politico o militare.In Italia, ad esempio, come mostra una recente ricerca del sociologo Renato Mannheimer (vedi all’interno di questo numero pagina 20), mostra che nella graduatoria delle professioni meritevoli di fiducia i politici occupano un posto molto basso. Un risultato che non sorprende, in effetti. Può invece sorprendere scoprire che, contrariamente a quanto si possa pensare da un punto di osservazione esterno, la stessa cosa succede in Germania: anche nell’area tedesca le statistiche assegnano poca fiducia ai politici; seguiti a stretto giro, esattamente come in Italia, da un’altra categoria controversa, quella dei giornalisti.Questa similitudine è un elemento interessante, forse più del dato in se stesso, e costringe a chiedersi perché in due Paesi così diversi come Germania e Italia – l’una tradizionalmente dotata di un forte senso dello Stato, l’altra tendenzialmente caratterizzata da un maggiore individualismo – si riscontri una tale mancanza di credibilità della politica.Sono domande che rimandano in modo diretto al tema che vorrei trattare, ovvero il ruolo dell’etica nella politica e nell’economia. E la risposta a queste domande credo sia in fondo più semplice di quanto crediamo. Innanzitutto, come ha ricordato Franco Pomilio introducendo il dibattito, “l’etica richiede coraggio”. Credo che abbia ragione. È così che si spiegano i risultati simili dei sondaggi: sia in Italia

È evidente che l’etica e

l’economia non sono in

contrasto tra loro. Se si

fanno affari poco etici,

si può avere successo a

breve termine e a volte

anche a lungo, ma prima o

poi tutto viene alla luce

che in Germania tendiamo infatti a dare un giudizio negativo alle persone che nelle loro professioni ci danno l’impressione di non avere coraggio e coerenza, ovvero di non far seguire i fatti alle parole. E questo, purtroppo, avviene spesso con la politica. Recentemente in Germania il Presidente federale Christian Wulff è sta-to costretto alle dimissioni proprio per questo motivo: ha mentito. Segno che aveva un rapporto quanto meno con-flittuale con la ve-rità. Certo, molti di noi, in determinate situazioni, preferi-scono non andare troppo per il sottile in termini di verità. Ma se a mentire è una figura istituzionale, per definizione de-gna di rispetto, come il Presidente di una Repubblica, quello che accade è che ci si sen-te legittimati tutti a farlo. Si incoraggia così una tendenza all’au-toassoluzione, che si estende in generale dalla menzogna a ogni atto discutibile. Ci si ritrova a pensare: “Se la massima carica dello Stato fa qualcosa che non va bene e non viene punito, perché non pos-so farlo anch’io?”.Ma è proprio per que-sto che l’etica richiede coraggio: perché in cer-te situazioni, nel fare determinate scelte, bi-sogna andare contro la maggioranza, prendere decisioni scomode. È sempre più facile dire “sì” che dire “no”. Ma la quantità dei “no” che sie-

non far seguire i fatti alle parole. E questo, purtroppo, avviene spesso con la politica. Recentemente in Germania il Presidente federale Christian Wulff è sta-to costretto alle dimissioni proprio per

gna di rispetto, come il Presidente di una Repubblica, quello che

-te legittimati tutti a farlo. Si incoraggia così una tendenza all’au-toassoluzione, che si estende in generale dalla menzogna a ogni atto discutibile. Ci si ritrova a pensare: “Se la massima carica dello Stato fa qualcosa che non va bene e non viene punito, perché non pos-

Ma è proprio per que-sto che l’etica richiede coraggio: perché in cer-te situazioni, nel fare determinate scelte, bi-sogna andare contro la maggioranza, prendere decisioni scomode. È sempre più facile dire “sì” che dire “no”. Ma la quantità dei “no” che sie-

* Trascrizione dell’intervento tenuto in occasione della prima edizione dell’Oscar Pomilio Forum, dedicato a “Il valore dell’etica. La riscoperta della morale come leva per un nuovo sviluppo”, tenutosi a Pescara l’8 marzo 2012

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particolare attenzione su quanto e come sia possibile conseguire risultati e fare buona politica e buona economia attraverso l’etica. Un rapporto, quello tra questi tre campi, che non è così immediato, anzi. Molte persone, infatti, considerano l’etica come una “materia rara”, qualcosa di fine a se stesso – “l’art pour l’art” – e non riescono a vederne la connessione con attività fortemente funzionali come la politica o, appunto, l’economia. Ma soprattutto molti si chie-dono: perché studiare l’etica dell’economia? Di primo acchito si è portati a considerarli ambiti separati. Ma se risaliamo alla domanda di Kant, “Che cosa devo fare?”, è evidente che l’etica e l’economia non sono in contrasto tra loro. Se si fanno affari poco etici, si può avere successo a breve termine e a volte anche a lungo, ma prima o poi tutto viene alla luce.Questa è la tesi fondamentale delle mie ricerche: etica e business non sono in contrasto. E se pensiamo che un evento come quello di oggi è stato organizzato proprio da un imprenditore, capiamo che siamo sulla strada giusta. Non è un dettaglio ad esempio il fatto che un’impresa decida di dotarsi di un codice etico, dichiarando senza mezzi termini l’impegno ad assumere nel proprio operato valori come trasparenza, fiducia e giustizia. Certo, si può sempre pensare che un codice etico sia solo una facciata, uno strumento, ma la verità è che chi è al di fuori è perfettamente in grado di riconoscere e apprezzare un’impresa che vive veramente l’etica, che la mette in pratica, rispetto a un’impresa che dell’etica si limita a prendere in prestito gli slogan. Ma cosa significa per un’azienda mettere in pratica i principi etici? Significa – per usare un’espressione oggi molto diffusa – portare avanti un’attività sostenibile. Questo permette di tracciare un parallelo tra impresa e politica: in entrambi i campi, negli ultimi anni, l’idea di sostenibilità è diventata di moda, sia in Germania, dove ho modo di verificarlo personalmente, sia in tutti i Paesi d’Europa. Ovunque si sente ripetere che “bisogna fare una politica sostenibile”. E io, in quanto studioso, non ho potuto fare a meno di chiedermi quale sia l’esatta definizione di questo termine oggi così usato e sono andato a controllare da dove deriva.Ho scoperto, con una certa sorpresa, che l’origine del termine “sostenibilità” rimanda al contesto boschivo e precisamente all’economia forestale. Nel XIX la Sassonia era una delle principali zone minerarie della Germania, ma l’attività di estrazione dell’argento stava portando a una distruzione sistematica dei boschi circostanti. Il responsabile delle estrazioni, il capitano Von Carlowitz, che era anche un government officer, si oppose a questo modo di procedere, spiegando che a lungo andare avrebbe portato grossi problemi non solo all’ambiente, ma alla stessa attività mineraria e al benessere della popolazione

C’è differenza tra l’essere onesti e onorabili. L’onestà è richiesta a tutti. Non è un’azione da eroi, qualcosa per cui

darsi la pacca sulla spalla. L’uomo onorabile invece è quello a cui “si deve onore”, colui che la mattina e guardarsi dritto allo

specchio perché sa di agire in coerenza con i propri principi

te in grado di dire definisce chi siete. E mi sem-bra che in Italia lo abbiate ben dimostrato nelle ultime elezioni, che sono state a tutti gli effetti un atto di coraggio. L’aspetto davvero interessante della questio-

ne etica, tuttavia, è che richiede, a conti fatti, una risposta molto semplice. Ed è la risposta alla domanda che 250 anni fa è stata formulata dal grande filosofo tede-sco Immanuel Kant, nella sua Critica della ragion pratica”, ovvero: “Cosa devo fare?”. Secondo Kant l’etica non è che la risposta

a questa domanda morale. E si badi bene: la domanda vale in ogni ambito della

nostra vita – dalle piccole scelte quo-tidiane a quelle riguardanti la nostra

impresa o il nostro operato politi-co – ma è evidente che quando si occupa una funzione dirigenzia-le di qualsiasi tipo saper rispon-dere diventa ancora più impor-

tante, perché le nostre azioni e le nostre scelte fungono da in-

dirizzo e da modello per quelle altrui.Apro una piccola paren-tesi personale. La mia professione si svolge essenzialmente su due fronti: da un lato l’inse-gnamento universitario per la cattedra di Etica dell’economia, dall’al-

tro l’attività di consulenza, che

attualmente svolgo

per il

mi-nistro delle

Finanze tedesco. Di conseguenza, nella mia attività di ricerca sono portato a riflettere con

te in grado di dire definisce chi siete. E mi sembra che in Italia lo abbiate ben dimostrato nelle ultime elezioni, che sono state a tutti gli effetti un atto di coraggio. L’aspetto davvero interessante della questio

ne etica, tuttavia, è che richiede, a conti fatti, una risposta molto semplice. Ed è la risposta alla domanda che 250 anni fa è stata formulata dal grande filosofo tedesco Immanuel Kant, nella sua Critica della ragion pratica”, ovvero: “Cosa devo fare?”. Secondo Kant l’etica non è che la risposta

a questa domanda morale. E si badi bene: la domanda vale in ogni ambito della

nostra vita – dalle piccole scelte quotidiane a quelle riguardanti la nostra

impresa o il nostro operato politico – ma è evidente che quando si occupa una funzione dirigenziale di qualsiasi tipo saper rispondere diventa ancora più impor

tante, perché le nostre azioni e le nostre scelte fungono da in

dirizzo e da modello per quelle altrui.Apro una piccola parentesi personale. La mia professione si svolge essenzialmente su due fronti: da un lato l’insegnamento universitario per la cattedra di Etica dell’economia, dall’al

tro l’attività di consulenza, che

attualmente svolgo

nistro delle

Finanze tedesco. Di conseguenza, nella mia attività di ricerca sono portato a riflettere con

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locale. Il disboscamento selvaggio era insomma un’azione dannosa prima di tutto per l’impresa. Ancora oggi in Sassonia è possibile apprezzare gli effetti di questa affermazione nel perfetto stato di conservazione dei boschi, che ha permesso anche di mantenere attiva l’economia forestale.Essere sostenibili significa quindi essere coraggiosi, rispondere dei rischi che si corrono. E significa imparare a percepirsi come parte di una catena di generazioni, un anello tra chi ci precede e chi ci seguirà. È stato questo a permettere all’economia forestale della Sassonia di proseguire e perseverare ed è per questo motivo che molte imprese familiari funzionano bene: perché hanno alle spalle un passato fatto di buone cose che vogliono mantenere e trasmettere a chi verrà.Non bisogna essere grandi esperti di finanza per capire che accumulare un debito come quello della Grecia, che ha raggiunto il 160% del PIL, o del Giappone, che ha toccato addirittura il 200%, significa aver speso più di quanto mai si riuscirà a restituire. Meglio ancora, significa trasferire tale debito ai propri figli: se noi non riusciremo ad estinguerlo, ci penseranno loro.Ma torniamo alla domanda di Kant e proviamo a considerarla secondo un altro approccio. Proviamo a riformularla in altri termini, chiedendoci: “Cosa rende una vita buona? Cosa rende l’esistenza bella?”. È qui che Kant incontra Aristotele e la domanda “Cosa devo fare?” si affianca a quella “Come posso vivere bene?”. Una vita senza boschi, una vita senza tradizioni famigliari, una vita senza

equilibrio tra guadagno e debito non è certamente una bella vita. La domanda di Kant ci porta a interrogarci su esempi reali, non su semplici slogan, su storie di convivenza e non solo su principi individuali.Forti di questa prospettiva e pensando in particolare all’economia, chiediamoci allora: cosa rende un’impresa etica? E perché le imprese familiari sembrano distinguersi dalle altre sotto questo punto di vista? Nella mia attività di consulente ho avuto modo di lavorare sia per società per azioni che per aziende familiari e devo dire che nel confronto è chiaramente percepibile una differenza di approccio, che deriva da un semplice fatto: l’impresa familiare risponde delle proprie azioni con i propri averi. Rischia sulla propria pelle, mette in gioco il patrimonio proprio e quella dei figli. Dunque ha anche maggior coraggio. Per questo spesso sono proprio le imprese familiari – molto numerose sia in Germania che in Italia – a far crescere davvero l’economia di un Paese.Pensiamoci: cosa distingue davvero queste imprese da banche di investimento come l’Unicredit e la Deutsche Bank? Principalmente questo: che le une rispondono con il proprio capitale, le altre si muovono invece secondo il cosiddetto modello OPM, Other’s People Money. Ma un modello di business che funziona mettendo in gioco il denaro degli altri non può essere un buon modello! Senza dubbio permette di fare ottimi affari, ma di certo non affari sostenibili.Trent’anni fa la situazione era diversa: la funzione principale delle banche era quella di prestare i soldi alle imprese affinché queste potessero portare avanti la propria attività. Se mi chiedessero oggi cosa fanno le banche internazionali direi invece che portano avanti un’attività commerciale con il denaro altrui. Il che sarebbe anche ammissibile se poi fossero in grado di restituirlo; invece quello che fanno è più simile a quanto avviene in un casinò: giochi d’azzardo. Il modello di investimento del sistema bancario, insomma, è cambiato radicalmente. E quello che si è perso è la responsabilità delle proprie scelte.Non è un caso se nel formulare la propria domanda Kant tiene a sottolineare la prima persona: “Cosa devo fare io?”. La capacità di rispondere per le proprie azioni è infatti una discriminante, fondamentale, che vorrei provare a spiegare attraverso la differenza tra onestà e onorabilità. L’onestà è richiesta a tutti è la legge stessa a richiederla e a imporla. Essere onesti non è un’azione da eroi, qualcosa per cui darsi la pacca sulla spalla. Se non si è onesti, si è costretti ad affrontare procedimenti, processi, sanzioni: si è obbligati, o quanto meno tenuti a esserlo. Il commerciante onorabile, invece, è colui a cui “si deve onore”. È quello che può alzarsi la mattina e guardarsi dritto allo specchio, perché sa di agire in coerenza con i propri principi. Ecco, spesso il rapporto tra persone oneste e persone onorabili non è correttamente percepito dalla società nel suo insieme. Non solo: mi si perdonerà per questa statistica approssimativa, ma a mio parere la maggior parte della società è onesta, direi almeno l’80%; il 15% è in una situazione borderline, tra onestà e disonestà, mentre credo che solo una minima percentuale, diciamo il 5%, compia

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Margaret Thatcher diceva che “la società non esiste”, che la società

è fatta solo di uomini, donne e famiglie. Una frase tanto vera

quanto pericolosa

effettivamente reati. Il punto è che questo 5% approssimativo rovina l’attività di tutti gli altri. È un effetto di amplificazione del tutto normale: si tende sempre a parlare più degli aspetti negativi che di quelli positivi di quello che ci accade. Se andate in un ambulatorio medico e venite curati bene è probabile che lo racconterete a non più di 3 o 4 persone. Se invece incontrate qualche problema ne parlerete a molti di più, almeno con una ventina di persone. Ma questo vale in ogni ambito: per esperienza noto che molti imprenditori ad esempio si lamentano di dover pagare gli errori fatti da altri, in particolare a livello comunitario, come conseguenza di alcune decisioni dell’Unione Europea. Il problema è che più si viene a conoscenza di comportamenti negativi altrui, più ci si sente legittimati a comportarsi male. Per questo è importante la domanda di Kant: chiedersi ogni volta “Che cosa devo fare?” significa ricordarsi di essere noi stessi al centro dell’azione. E tuttavia, anche se la responsabilità è personale, la risposta deve essere commisurata al bene comune: è qui che si innesta il passaggio dalla dimensione individuale a quella collettiva. La domanda diventa dunque “Cosa dobbiamo fare noi?”.Riflettiamo un attimo in più su questo punto. Il professor Mannheimer ha ricordato che tendenzialmente i tedeschi sono più orientati alla comunità, mentre gli italiani sono più individualisti. Anche se di certo c’è un fondo di verità in questo, io credo si tratti soprattutto di stereotipi. La verità è che generalizzare non serve a nulla: anche in Germania si stanno facendo

molti errori, sia in campo imprenditoriale che a livello governativo, nonostante l’immagine del nostro Paese sia oggi quella di un modello che funziona, un punto di riferimento per tutta l’Europa.D’altra parte, vi siete mai chiesti che cosa è in realtà la società? Cosa rende un luogo e un insieme di individui, a Pescara, a Roma, a Berlino una società? È chiaro che la società è qualcosa di più della somma di tutti gli individui. E tuttavia Margaret Thatcher – forse una delle figure politiche più odiate di tutti i tempi – diceva che “la società non esiste”, che la società è fatta solo di uomini, donne e famiglie. Per cui, secondo la Thatcher, non ci si deve fidare della società, che non può darci nulla: l’unica cosa che conta è quello che ciascuno fa sul proprio posto di lavoro.È una frase tanto vera quanto pericolosa. È infatti indubbiamente corretto afferma-re che la società è un insieme di respon-sabilità individuali. Non è vero però che la società non dia nulla agli individui, che sia composta solo da uomini, donne e famiglie e nulla più. La società introduce infatti un altro livello, anzi più livelli di appartenen-za: si è al tempo stesso italiani, europei, cittadini del mondo. Ma cosa ci rende italiani, europei, cittadini del mondo? Io credo che alla base di queste appartenenze, e dunque alla base della società, ci sia proprio la comunicazione.Un famoso sociologo ha affermato che la società non è altro che una società di comunicazione. E per quale disciplina è diventato celebre il vostro Umberto Eco? Per la semiotica, lo studio dei segni, degli strumenti e dei processi del comunicare. È grazie alla comunicazione che la società

Cosa ci rende italiani,

europei, cittadini

del mondo? Io credo

che alla base di

queste appartenenze

ci sia proprio la

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crea valore condiviso, diventando qualcosa di più della somma delle singole persone.Una volta compreso questo, possiamo tornare alla domanda kantiana con una diversa prospettiva: che cosa possiamo fare per migliorare la società? Come si può capire che cosa ciascuno di noi deve fare e che cosa dobbiamo fare assieme per rendere buona la nostra vita?Si inserisce qui il problema, anche questo sollevato da Mannheimer, delle élite e della rappresentanza. Vi siete mai chiesti come la società della comunicazione definisce l’élite? In Germania il termine ha una connotazione negativa, probabilmente perché sono state proprio le élite a trascinare il Paese in rovina per ben due volte negli ultimi secoli.Il fatto è che seppure io ho coscienza della mia responsabilità, non posso agire a nome di tutti gli altri. E quando vedo che chi dovrebbe rappresentarmi si comporta in modo non etico sono portato

a non preoccuparmi più neppure del mio comportamento. Ma è il comportamento che ci definisce come individui. In Germania abbiamo un detto: il modo in cui ti comporti mostra chi sei. Così il cittadino, se inizia a comportarsi solo come consumatore, dimentica la propria identità civica. Qualcosa di simile accade con i miei studenti, che sempre più spesso si comportano come clienti dell’università. Pagano le tasse e dunque pensano per questo di poter pretendere buoni voti. Ovviamente una pretesa che non ha ragione di esistere.Ecco: io credo che con questa logica si distruggano le società. È come se alle élite venisse dato un pacchetto di poteri e di responsabilità, dopodiché nessuno si cura più di cosa ne viene fatto. In Grecia, ad esempio, per troppo tempo tutti si sono curati ben poco di chi pagava le tasse: tutto era rimandato alle élite e la società non si sentiva coinvolta. Anche per questo

IMMANUEL KANT

probabilmente si è arrivati al punto in cui ci si trova ora. A questo proposito vorrei raccontare un episodio. Ho un buon amico che viene dalla Romania, da cui è fuggito nel 1990, quando aveva solo 19 anni. Fin da quando era molto giovane, dunque, ha saputo cosa significa vivere in una società dove le élite non lasciano libertà di scelta. Arrivato in Germania come profugo, ha studiato, si è laureato, ha iniziato a lavorare. Bene, questo amico ancora oggi, quando sente le persone che si lamentano dei propri rappresentanti, si stupisce e fa notare: “Ma li avete eletti voi!”.È la differenza tra una dittatura e una democrazia. In Germania, come in altri Paesi, dove fortunatamente le libertà esistono e sono tutelate, a volte rischiamo di dimenticarcene: chiunque può diventare un dittatore, mentre per essere Presidente del Consiglio bisogna essere eletti. Ma soprattutto in democrazia dopo un certo numero di anni, se la classe dirigente si rivela incapace, può essere mandata a casa, mentre i dittatori restano lì, non vengono mai spodestati.In conclusione, come l’etica dell’economia, anche l’etica politica dipende prima di tutto da noi, dalla responsabilità individuale nell’eleggere i rappresentanti giusti per tutti. Noi tutti, sia a livello europeo che a livello locale, dobbiamo assicurarci di scegliere le nostre élite in maniera ragionata e consapevole, a Roma come a Berlino, a Bruxelles come ad Atene, perché ormai i confini tra le nazioni sono stati abbattuti e non riusciremo mai da agire al meglio finché non capiremo che dobbiamo agire insieme, perché siamo tutti “nella stessa barca” e tutti insieme dobbiamo impegnarci a risollevarla. Ognuno col proprio contributo, grande o piccolo che sia. Il mio è stato oggi parlare a questo uditorio. Ed è stato un onore poterlo fare come europeo.

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Il ruolo di grande moralizzatore europeo della Germania, a sua volta investita da scandali etici recentissimi. Il giornalismo di inchiesta e di denuncia, che rivela, analizza e sancisce la fine culturale della Prima Re-pubblica. Un impianto costituzionale che riflette su una nuova domanda di evoluzio-ne sociale e politica. Il ruolo valorizzante della “buona” impresa e quello culturale del “buon gusto”, in un Paese che rischia di dimenticare entrambi. Sono i temi che sono stati trattati durante la prima edizione dell’Oscar Pomilio Fo-rum, che si è tenuta a Pescara, nello spazio Ex-Aurum, l’8 marzo 2012; un evento di cui questo numero di ICS Magzine ha voluto tenere traccia, raccogliendo e presentan-done gli interventi più significativi.

LA VOCE DELLE ISTITUZIONI

In apertura ai lavori, i saluti introduttivi di alcuni dei più illustri rappresentanti del quadro istituzionale, imprenditoriale e cul-turale abruzzese. «La riscoperta dell’etica nei vari aspetti della vita collettiva nazio-nale – ha sottolineato il sindaco di Pesca-ra Luigi Albore Mascia – rappresenta un tema particolarmente attuale nel dibattito politico ed economico. Una questione de-licata, soprattutto in un momento come questo, che a distanza di 20 anni dal pri-mo ciclone giudiziario di Mani Pulite vede nuovamente salire su una nuova, preoccu-pante ribalta la cosiddetta “questione mo-rale”. Sono convinto – ha aggiunto – che il passo in avanti decisivo avverrà solo quando la nostra società sarà permeata dal valore dell’etica, ovvero quando que-sto valore farà parte del comune sentire e sarà percepito non più come un obbligo imposto dall’alto, bensì come un principio pienamente condiviso e spontaneamente accettato, come accade soprattutto nelle realtà più evolute del Nord Europa».Ha preso poi la parola Enrico Marramiero, presidente Confindustria Pescara, che ha ricordato l’importanza del ruolo del-le piccole imprese nella diffusione di una

maggiore responsabilità sociale: «Spesso – ha spiegato – la vera eticità sta nella piccola e media impresa. Perché nelle piccole imprese la distanza tra imprenditore e lavoratori è minima, quasi assente, il piccolo imprenditore spesso è un ex lavoratore, il piccolo imprenditore investe nell’ambiente dove vive e dove vivranno i suoi figli, dunque presta maggiore attenzione agli interessi della comunità e in generale agli interventi nel sociale del paese in cui vive». La vocazione etica dell’associazionismo e il rapporto tra etica ed azione sono stati invece al centro dell’intervento di Francesco Ottaviano, governatore Rotary Club 2090 che ha ricordato: «Se viene a mancare il valore fondamentale dell’in-tegrità, tutti gli altri valori perdono significato e finiscono per svanire nel nulla. In un pa-norama di azione, l’integrità rappresenta l’applicazione concreta dell’etica. Senza azione, l’etica rimane un concetto astratto. Al contrario, nel momento in cui vogliamo o siamo chiamati a operare, l’etica ha la possibilità di prendere corpo nelle nostre scelte»,

LE DIMENSIONI DELL’ETICA

Il panel degli interventi principali (riportati integralmente su queste pagine), ha visto una ricca partecipazione di esperti provenienti da diversi settori, invitati a illustrare il proprio punto di vista sul tema dell’etica. A introdurre il dibattito, un focus sul rapporto tra gli italiani e l’etica, introdotto da Franco Pomilio, presidente di Pomilio Blumm, e incentrato sulla presentazione della ricerca effettuata da IP-SOS, illustrata in teleconferenza dal sociologo Renato Mannheimer.Alla lectio magistralis di Nils Ole Oermann, che con la sua analisi del nesso etica-economia ha dato il “la” alle riflessioni successive, sono seguiti gli speech del gior-nalista Gianluigi Nuzzi, che ha parlato del rapporto tra etica e media e del ruolo del giornalismo investigativo come stimolo per il recupero di una nuova moralità e dignità dell’informazione, e il presidente nazionale di Piccola industria Vincenzo Boccia, con una riflessione sul rapporto tra impresa e comunità, in direzione di un concetto di “corresponsabilità sociale”, simile a quello che l’Italia ha saputo realizzare nel dopoguerra, tra grandi difficoltà ma altrettanto grandi spe-ranze. Particolarmente dettagliata l’analisi dei rapporti tra etica e Costi-tuzione condotta da Michele Ainis, che ha affermato la necessità di non tradire la «promessa di eguaglianza sostanziale» insita nella carta, che invita a valorizzare il merito come condizione per garantire «l’eguale libertà di diventare diseguali».Il rapporto fondativo tra etica e sistema giurisdizionale è stato invece affrontato nel dettaglio da Pasqua-le Fimiani, sostituto procuratore generale presso la Corte di Cassazione. «Nell’attuale evoluzione storica – ha spiegato – la giurisdizione si trova in stretta connessione con i valori etico-morali«. Hanno infatti un contenuto etico, in senso più o meno stretto, molte norme di carattere generale, così come gran parte dei diritti fondamentali tutela-ti a livello sovranazionale. «E tuttavia – ha aggiunto – perché questo ruolo della giurisdizione sia svolto al meglio occorrono una serie di condizioni, tra cui evitare la confusione di ruoli tra azione giudiziaria e politica e garantire una maggiore efficienza al sistema giustizia».Umberto Zuballi, presidente del Tribunale Ammini-

IL VALORE DELL’ETICA: UNA

GIORNATA PER RIFLETTEREUn confronto a più voci su uno dei temi più dibattuti di questi anni: l’etica e la responsabilità, declinata su diversi campi e ambiti di pensiero e attività. Così nasce l’Oscar Pomilio Forum, che per la prima edizione ha fatto incontrare giornalisti, giuristi, economisti e sociologi in una location d’eccezione

di Daniela Panosetti

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strativo Regionale di Pescara, ha invece problematizzato la costitutiva presenza di un’istanza morale ed etica alla base del concetto stesso di Pubblica Ammini-strazione: «Quando si parla di etica della Pubblica Amministrazione, si parla neces-sariamente di un livello concatenato ad altri livelli e in qualche modo da questi influenzato. Ad esempio l’etica individua-le: la Pubblica Amministrazione infatti è composta di persone, individui che ope-rano per l’interesse pubblico e che, quindi, trasfondono nel loro operato i propri prin-cipi di etica individuale».Particolarmente originale e interessante, in-fine, il contributo di Niko Romito, chef stel-lato, che ha invece proposto una suggestiva riflessione su etica ed estetica del gusto, ri-cordando come «l’estetica non ha senso di esistere se non è accompagnata dall’etica.

La creatività non funziona se non è accom-pagnata dall’impegno. E solo unendo queste due dimensioni l’arte culinaria diventa una vera “cultura materiale”».

L’IMPORTANZA DEI MODELLI

In chiusura, un focus sugli ordini profes-sionali, con gli interventi di Patrizia Ru-tigliano, presidente FERPI, che ha riba-dito la necessità di una regolamentazione dell’attività di lobbying nel nostro Paese, e Massimo Pomilio, AD di Pomilio Blumm e rappresentante nazionale dell’Asso-ciazione TP, che ha concluso la giornata con un’ampia riflessione sull’impegno e l’importanza che da sempre l’Associazio-ne Tecnici Pubblicitari ripone nel dotarsi di tutti i mezzi per garantire i principi di cor-rettezza, onestà e verità nello svolgimento

L’Oscar Pomilio Forum nasce con l’obiettivo di riunire pensatori ed esponenti di diverse discipline e aree professionali, per rappresentare e interpretare gli scenari del cambiamento che attraversano le società globalizzate, rintracciandone le radi-ci etiche e morali come tessuto connettivo per un nuovo sviluppo consapevole ed umano. Oscar Livio Pomilio ha rappresentato fino alla sua scomparsa, nel 2006, un afflato imprenditoriale che ha contraddistinto un’intera dinastia, tra ambiziosi progetti in-dustriali e una costante attenzione allo sviluppo sociale e culturale del territorio. Rientrato in Abruzzo dopo esperienze internazionali, Oscar Pomilio fa suo il senso delle sfide lanciate dai suoi predecessori dalla prima fabbrica di aerei Pomilio agli inizi del secolo scorso, che ospitò anche il genio di Corradino d’Ascanio celebrato inventore della “Vespa”, fino all’avventura imprenditoriale e creativa dell’Aurum, che vide la collaborazione di alcune delle più brillanti menti dell’epoca: Gabriele D’Annunzio, Marcello Dudovich e Giovanni Michelucci, che ne progettò gli stabili-menti, oggi riconvertiti in spazi espositivi. Oscar Pomilio scommette sullo sviluppo terziario di una regione come l’Abruzzo innestando la cultura della comunicazione e del marketing in un tessuto ancora largamente agri-pastorale. Con spirito d’inizia-tiva ha dato vita a progetti ed esplorazioni imprenditoriali assai interessanti, dall’a-pertura della prima agenzia di pubblicità italo araba la Ameen Blumm in Arabia Saudita, all’adesione ad IFFA fra i principali network internazionali indipendenti del settore. Lo stesso lancio negli anni Settanta di “Blumm”, una delle prime free-press italiane, ha costituito un positivo esperimento a supporto e diffusione della cultura comunicativa nel territorio. Tutto questo ha fatto della figura di Oscar Pomilio un riferimento importante per la valorizzazione, a livello sia locale che nazionale, di quei concetti di professionalità, etica, deontologia nel settore della comunicazione che con l’appuntamento annuale del Forum si vogliono ricordare.

della loro professione.«Negli anni – ha spiegato – i comunicatori si sono dotati di un codice di autodisciplina sempre più stringente. Si tratta appunto di un sistema volontario che stabilisce linee di regolazione in tutta una serie di ambiti, dalla rappresentazione dei minori al trat-tamento di temi come l’alcol, il fumo o la promozione dei farmaci». Accanto alle regole tuttavia, ha aggiunto, «una grande importanza la hanno i modelli individua-li, ovvero quelle figure professionali che si sono incontrate nella propria storia crea-tiva, mostrando il significato più concreto della parola “deontologia”. Perché – ha concluso – è questa la grande forza dell’e-tica: la spinta a emulare le persone che si ammirano davvero».

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