Giovanni Giuseppe Pintore - Penne Matte · più basso e cupo, che evocava l’angoscia del buio e...

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Giovanni GiuseppePintore

Il gioco della paura

A tutti i gamer, perché sanno cosa si prova...

Le coperte lo avvolgevano dolcemente, stringendo-lo quasi fino a farlo rassomigliare ad una larva di lana,da cui venivano fuori sussurri a stento percettibili: erail suo respiro celato al di sotto della coperta, visibileappena alla luce della console portatile che stringevafra le mani, insieme alla condensa che appariva e sva-niva sul display. Le cuffie nelle sue orecchie lo tra-sportavano in un mondo parallelo, distante fisicamen-te e spiritualmente da quel caldo letto su cui comoda-mente giaceva rannicchiato, con gli occhi fissi sulloschermo. Quegli ambienti soffusi, intrisi di mistero eterrore, con quelle creature che si agitavano nelle te-nebre, mordendo e grugnendo, erano il suo modo diaffrontare ogni paura.

Spesso, da piccolo, gli capitava di svegliarsi nelcuore della notte, ritrovandosi a stringere a sé quel-l’orsacchiotto dal fiocco rosso che l’aveva accompa-gnato per tutta la sua infanzia, rintanandosi sotto lelenzuola per evitare di vedere i contorni nella penom-bra della stanza; quel rito era stato il suo modo di so-pravvivere alla notte, ai suoi rumori sinistri, alle manidai lunghi artigli che strisciavano all'esterno del lettoed agli innumerevoli uomini neri, che facevano la lorocomparsa fra le luci che filtravano attraverso le fine-

stre. Gli anni erano trascorsi, ma quel ricordo non era

ancora svanito. Lui, come chissà quanti altri da picco-li, accarezzava quell’orsacchiotto come fosse il suopiù fedele compagno d’avventura, consapevole chemai l’avrebbe abbandonato, e che l’avrebbe protettodalle creature delle tenebre. Ma ora, sotto quelle co-perte, l'avanzare degli anni aveva cambiato moltecose, ed una più di tutte: la paura era

divenuta un mezzo per esorcizzare i propri demoni.L’amava talmente tanto da portarla con sé

all’interno di quel castello di stoffe calde, dove tut-to, un tempo, appariva protetto e sicuro.

Ora lo accompagnava l’incessante battere delle ditasui tasti della console, mentre evitava, colpiva ed am-mazzava quei mostri che tentavano di uccidere il suopersonaggio virtuale. Anzi, provavano ad uccidereproprio lui: poiché in quel momento si sentiva eglistesso il vero personaggio, totalmente trasportato al-l’interno di quello schermo nei panni del suo eroe; tut-t’altro che un semplice orsacchiotto: un membro dellapolizia, abbandonato a sé stesso, munito di fucile apompa e machete. Le atmosfere create dalla colonnasonora lo seguivano in quelle vicende, con cantileneda brivido e sbalzi di trombe da cardiopalma.

Il rintoccare dei passi sul legno di quella stanza om-brosa, sulla quale una pallida luna si affacciava dallevetrate parzialmente sbarrate, echeggiava nella sua te-sta, quasi si trovasse realmente lì, mentre il respiro del

protagonista era ormai sincrono al suo. I piedi gelididel ragazzo si agitarono appena sotto le coperte, quasici fosse uno spiffero, cercando di tapparlo: non trovòniente. Si limitò a strofinarli per cercare di scaldarsi;pareva essere una di quelle notti in cui il freddo ti af-ferra i piedi proprio quando non hai le calze, ed a tratticredi che qualcosa di corporeo stia per tirarti fuori dalletto. Era una sensazione piacevole, dopotutto. Rab-brividì al pensiero, pronto a riportare la sua attenzionesullo schermo.

Ritornò al suo gioco sollevando il volume dellaconsole, immergendosi nella prossima stanza. Quellamelodia che tanto amava (ed odiava) si levò nuova-mente dal rintocco dei suoi passi, crescendo in ritmo etonalità: un violino struggente che ricordava il piantoe la malinconia, accompagnato presto da un secondopiù basso e cupo, che evocava l’angoscia del buio edell’ignoto; poi si levò un pianoforte lento e ridondan-te, tanto da poter entrare nella testa senza più lasciarla,accompagnato da un crescente coro di voci fanciulle-sche che tremavano, sussurrando qualcosa in latinoche lui non era mai riuscito a comprendere. Ciò di cuiera certo, però, era che quella melodia fosse dannata-mente terrificante, ed ogni volta rabbrividiva nell’u-dirla; ma non poteva farne a meno.

Amava ascoltarla anche al di fuori del gioco, men-tre camminava nelle zone buie, quasi volesse imitareil proprio eroe; per fortuna nulla era mai sbucato dallestrade deserte della città per tentare di mangiarlo.

Il gioco s’interruppe improvvisamente, lasciandospazio ad un video ben strutturato: dava l’impressionedi essere immersi all’interno della storia. Gli occhi delprotagonista ora si spacciavano per gli stessi del ra-gazzo, spostandosi lentamente fra i contorni di unastanza da letto impolverata e macchiata di sangue.Strane ombre si muovevano agli angoli delle pareti,simili a tentacoli pronti ad afferrarlo. L’unica fontecerta di luce, una torcia, illuminava i suoi passi, met-tendo in risalto insanguinate tracce informi di piedisul pavimento di legno; esse conducevano ad un lettocon delle coperte rigonfie. Con la mano

tremante scostò le lenzuola pregne di sangue incro-stato, sussultando per il consueto “tuono da cliché”consono alla maggior parte di quei giochi. Al di sottonon trovò niente. Tirò un sospiro di sollievo. Il prota-gonista scorse qualcosa ai piedi del letto. S’inchinòlentamente.

Raccolse una zampetta di pezza, ed i filamenti diquesta lo condussero ad altri pezzi sparsi al di sottodel giaciglio. Erano i resti di un orsacchiotto. Il ragaz-zo sorrise, dato che quel pupazzo gi riportò alla menteil suo, perso chissà dove tempo addietro.

-“Un altro Teddy Bear finito male in uno scontrodurante la notte?! Spero di non fare la sua stessa

fine. Riposa in pace.”, esclamò ironicamente il pro-tagonista, prima di gettarlo nuovamente a terra e

proseguire avanti.- “Un altro umano finito nell’abbraccio delle om-

bre”, rispose una tetra voce gutturale all’interno dellastanza.

Il protagonista si guardò intorno sbigottito, maniente o nessuno si palesò ai suoi occhi come interlo-cutore. Una macabra risata riempì il silenzio, mentrela porta da cui aveva effettuato l’accesso andava achiudersi prepotentemente alle sue spalle; inutile fu iltentativo di aprirla. Una serie di scure liane presero ademergere dall'ingresso, protendendosi verso l’uomo,privandolo in tal modo dell’unica fonte di luce cheaveva a sua disposizione. Arretrò impietrito, mettendomano al fucile che aveva con sé: doveva esserci asso-lutamente qualcosa nell’ombra, ma cosa?

Il video lasciò il ragazzo nuovamente al gioco,mentre un’incalzante sinfonia, capace di far crescerein lui l’ansia di star per morire, cominciò a tormentar-lo. Si guardò attorno freneticamente, sparando alcunicolpi verso qualcosa che pareva muoversi sul fondodella stanza; rispose l’ennesima risata.

«Dove sei maledetto?!», sbuffò il ragazzo stringen-do i denti, agitando la console..

-“ Avresti dovuto avere maggior cura di chi ti haprotetto a lungo. Ci deve essere un nesso fra due

amici: ci si protegge egualmente quando i tempimutano e le menti crescono”.

- “Amici? Sono solo in questo inferno. Fatti vederecreatura, ed il mio fucile ti dimostrerà felicemente inche modo so proteggermi: non ho bisogno di nessunoche lo faccia al posto mio!”, rispose il protagonista

con il consueto tono da eroe. “Vediamo quanto le te-nebre sapranno proteggerti dal mio fucile a pompa!”(il ragazzo rise di gusto).

-“Le tenebre hanno una grande forza: sottovalutar-le è tipico di coloro che stanno per divenire il loro pa-sto. La tua arma non può niente contro l’ombra. Tunon puoi niente contro di essa. TU hai a tua voltacommesso questo errore e, come tutti, sarai egual-mente preda del tuo stesso mancato giuramento!”.

Qualcosa si sollevò da sotto il letto, assumendomaggiore imponenza. Ma con tutta quell’ombra era

difficile riuscire a distinguere le sue fattezze. Il ra-gazzo fece spostare il protagonista in un ampio spiaz-zo della stanza, pronto ad evitare l’attacco del mostro.Era la sua tattica, evitare e poi colpire. Ogni nemico,presumibilmente un boss, aveva necessariamente bi-sogno di un tot di tempo prima di poter scagliare ilsuo assalto e, proprio in quel frangente, per quanto glifosse impossibile vedere il mostro, l’avrebbe ucciso.

Inaspettatamente partì l’ennesimo video. Il protago-nista sparò un colpo dal suo fucile, illuminando

parzialmente la stanza. Intravvide solo un fioccorosso, due grossi occhi vuoti ed alcuni punti bianchiluminosi, simili a denti. Sparò nuovamente, ma nien-t’altro si palesò. Pareva che il mostro fosse parecchioresistente.

Altri due colpi vennero esplosi sulla finestra, quindifece per lanciarsi verso di essa. Comparve un tastosullo schermo, ed il ragazzo pigiò quello sbagliato. Un

artiglio dilaniò la schiena del protagonista, schiantan-dolo a terra ed elargendo una considerevole quantitàdi sangue sullo schermo, rendendo la visuale ancorapiù precaria. Il personaggio strisciò a fatica contro ilmuro, mentre una sinfonia colma di tensione rintocca-va nelle orecchie del ragazzo, annunciando la sua im-minente morte.

Due immense fauci gli si schiusero dinanzi ed ad-dentarono il suo volto, sbranandolo. La console vibrònelle sue mani, rivelando sullo schermo una scenasplatter di puro orrore, ove una bestia inferocita, in-sanguinata e ricucita in più parti dilaniava le carni delprotagonista. La scritta “Sei morto” sbavò sull’offu-scato scenario ripreso nella raccapricciante immagine.

Il ragazzo sbuffò.Controllò l’ora: erano le 3:00 del mattino, e l’ulti-

mo checkpoint era ad un’eternità didistanza dal punto della sua morte, eppure non po-

teva rassegnarsi all’idea d’essere stato sconfitto. Ilsuo cuore batteva all’impazzata, quella scena e quel

dialogo l’avevano inquietato. Infine, propriomentre stava per riprendere, la console si spense.

Batteria scarica.Sbuffò nuovamente, poggiando la testa contro il cu-

scino. Sotto quelle coperte si poteva dire si fosse creato un

vero e proprio ecosistema a parte. Sembrava estate.Chiuse gli occhi, riportando alla mente quella scena

appena vissuta, e la curiosità iniziò a far crescere il luiil desiderio di attaccare il dispositivo al caricabatterie,ed iniziare nuovamente a giocare.

Un violino struggente, accompagnato presto da unaltro più basso e cupo, evocante l’angoscia del buio edell’ignoto, riempì il silenzio; poi si levò un pianofor-te lento e ridondante, seguito da un crescente coro divoci fanciullesche che tremavano, annunciando qual-cosa in latino. Al ragazzo occorsero alcuni secondi perrendersi conto che quella situazione non fosse fruttodella sua mente. Aprì gli occhi, ed osservò lo schermodella console: era spento.

Con un sorriso inquietato sulle labbra, notò quellaspia rossa accanto al tasto di accensione, e

ridacchiando, ma senza negare a se stesso di esser-sela appena fatta sotto dalla paura, premette il tasto dispegnimento del dispositivo. Eppure, la musica nonvenne meno. Il respiro si fece appena più affannato e,convito di aver compreso, tolse le cuffie. La musicanon si fermò. Rabbrividì sotto le coperte, ed istintiva-mente si mise a sedere sul letto, andando a cercarel’interruttore della lampada al suo fianco; lo premette,ma la lampadina non si accese.

La stanza si riempì del suono di pesanti passi sul le-gno, ed il ragazzo si accorse che una pallida luna

illuminava la sua camera, attraversando la tapparel-la usurata. Il cuore gli balzò in gola quando videun'ombra crescere nei pressi della sua porta, contra-

stando il pallore della luce.- “È solo il frutto della mia immaginazione…”, si

ripeté mentalmente, non riuscendo però a scacciarequella musica delle sue orecchie, che si fece anzi an-cora più assordante. “Non c’è niente in più nell’oscu-rità che non sia presente nella luce”, si disse ancora,ricordando le parole del nonno.

«Le tenebre sono già qualcosa in più rispetto allaluce. Esse vivono. Esse si nutrono della luce»,

esordì una voce gutturale nei pressi dell’ingressodella stanza. «E non solo…».

«Tu non esisti…sei solo una mia illusione. Mi ba-sterà chiudere gli occhi, e tu non esisterai più».

«Allora chiudili. Se sei convinto delle tue parole...chiudili», rispose la voce.

Il ragazzo si sforzò di chiudere gli occhi, ma quellavoce era fin troppo reale per sembrare un’illusione.Alla fine, però, con il cuore che batteva all’impazzata,riuscì a prendere coraggio ed a serrarli, autoconvin-cendosi che fosse solo la sua immaginazione.

Sentì i suoi piedi gelidi divenire ancora più freddi,ed avvertì come un alito glaciale sulla punta delle dita.Poi, percepì la coperta scivolare via, ed il gelo affer-rargli le gambe ed il busto. Udì il letto cigolare sottoun gravoso peso. I suoi denti cominciarono a battereimpetuosamente.

“Tutto ciò è frutto della mia immaginazione! I mo-stri non esistono!”, si ripeté nuovamente.

«Chi sei?», domandò tremante, ma senza aprire gli

occhi. Cominciò a lacrimare. Pur non volendo creder-ci, non riusciva a distogliere la sua mente dal pensieroche quella cosa fosse lì e sembrasse reale.

«Qualcuno che ti ha sempre protetto dalle tenebre,ma che hai scordato di aiutare», rispose tetra la voce.Poi emise un macabro verso gutturale, simile a quellodei cinghiali «E sì, ragazzino… I mostri esistono».

Il ragazzo schiuse gli occhi. Intravvide delle im-mense fauci e degli affilati denti. Due occhi vuoti edun fiocco rosso.

«Teddy Bear, sei tu?».

Fine?

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Ringrazio Marta Simula e Simone Muzzoni per lacorrezione delle bozze.

Grazie per aver dedicato il tuo tempo a questa lettura.

Sùilad!