GIORNALE DI AUGUSTA

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N. 20 - Anno VI - Novembre 2005 - € 1,00 Leonardi editore EDIZIONE SPECIALE dedicata interamente a VITTORIO RIBAUDO in regalo una litografia Buona fortuna, Vittorio

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N. 20 - NOVEMBRE 2005

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N. 20 - Anno VI - Novembre 2005 - € 1,00

Leonardi editore EDIZIONE SPECIALE

dedicata interamente a

VITTORIORIBAUDOin regalo

una litografia

Buona fortuna,Vittorio

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Novembre 2005 Speciale Ribaudo2 Novembre 2005 Speciale Ribaudo

Direttore responsabile: Giorgio prof. CàsoleRedazione, fotocomposizione e stampa: Stamperia d’arte “Il Torchio”

Via Garibaldi 16 - Tel. 0931 524010 96011 AUGUSTA (SR)Chiuso in tipografia il 13-11-2005

I pezzi non firmati s’intendono del direttoreLEONARDI EDITORE

Segretaria di redazione: Giulia Càsolee-mail: [email protected]

n. 20 - Anno VIPeriodico di interesse cittadino

Foto storica

Il presidente della Regione Siciliana Pier Santi Mattarella visita la mostra delle tavole di Vittorio Ri-baudo ispirate alla Divina Commedia

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3Speciale Ribaudo Novembre 2005

Vittorio Ribaudo lascia. Lascia Augusta e la Si-cilia per trasferirsi a Desenzano sul Garda,

in Lombardia. Ha stipulato un accordo per realizzare un vecchio progetto: quello di fondere in connubio la sua arte figurativa e la moda. Si tratta di un progetto che accarezzò oltre trentacinque anni fa, quando già si trovava nella regione più produttiva e ricca d’Ita-lia. In quella regione era andato per inseguire i suoi sogni di gloria come giocatore professionista di tennis.

E come maestro di tennis, quasi trentatré anni fa, scese ad Augusta, già circondato dall’alo-ne carismatico di artista della racchetta e del pennello. Carisma-tico, sicuramente pittoresco o, se volete, artistico anche nell’abbi-gliamento. Già erano delineati i contorni cromatici dell’accoppiata arte-moda che a Milano, comun-que in Lombardia, doveva trovare estrinsecazione. Ma Cupido fa capolino. Fra gli aspiranti ten-nisti istruiti da Ribaudo la bella diciottenne Adriana Di Venuta. Scocca il classico colpo di ful-mine tra maestro e allieva. Non è il primo, non sarà l’ultimo. Tutta la città ne parla. E parlerà ancora di Ribaudo, che in Augusta si radica, e come tennista e come pittore, soprattutto di lui come pittore, instancabile nel produrre opere, utilizzando i materiali più vari, e come creatore di eventi artistici, che si riverberano su di lui e sull’intera città. Ribaudo non è pittore della domenica. La sua arte non è quella da passatempo, né dello sperimentalismo fine a sé stesso, né del pittore ingenuo.

La sua è arte che si rifà ai moduli classici del figurativismo, del ritrattismo, del cromatismo. Ribaudo vuole vivere e vive come un pittore rinascimentale, ma, ahi-mè, senza i mecenati del tempo in cui l’Italia era il faro della civiltà in Europa. La fatica del vivere quotidiano è dura, soprattutto quando si è sposati e quando si devono mantenere i figli: prima Giuseppe, poi Stefano. Occorre bussare a tante porte, bisogna spostarsi da un luogo all’altro. Conscio della nostra civiltà dello spettacolo, Ribaudo provoca, in-nova, stupisce. Fa parlare di sé. Hora ruit, però, tempus fugit; gli anni si accumulano. Arriva anche il tempo della pensione. Quale pensione ci può essere per uno che ha vissuto libero e indipen-dente? C’è, però, una legge, che prende il nome dallo scrittore an-ziano e malato per cui fu varata: è la legge Bacchelli, che prevede un vitalizio per letterati e artisti non in grado di sostenersi eco-nomicamente. Ribaudo fra pochi mesi compirà 69 anni e si sente ancora vigoroso, ancora in gra-do di lanciarsi nelle sfide, come l’anziano mitico Ulisse dantesco che volle sfidare l’inconoscibile nel mare aperto, oltre le colonne d’Ercole. Non vuole suscitare pietà. Ha già lasciato tempora-neamente Augusta per recarsi a Mantova, dove un’industria del petrolio - inaspettato mecenate - lo ha chiamato per rendere meno lugubri le pareti esterne delle raf-finerie e dei distributori collocati nel territorio.

Le prove artistiche sono an-date bene, quelle di trasferimento pure. In Sicilia non ci sono più

risorse, in Lombardia il lavoro non è un miraggio. Ribaudo vuole continuare a lavorare ancora per molti anni, come il grande vec-chio catalano, quel Pablo Picasso morto mentre ancora sfruttava la sua vena creativa.

In occasione della partenza di Vittorio Ribaudo, fissata per il 18 novembre, abbiamo pensato di realizzare un’edizione specia-le tutta dedicata all’artista che ha saputo lasciare un’impronta duratura, ripercorrendo le tappe più significative del suo cursus honorum.

E’ un tributo che vogliamo dedicargli, a nome dei tantissimi cittadini che hanno le opere di Ribaudo a casa e che gli vogliono bene per il suo modo di essere e di dare.

A chi scrive sia consentito di dedicargli quest’acrostico, scritto di getto la sera del 10 novembre:

Vivi nei quadri e nei cuori intramontabile sorgente d’arte tenera la mano,dolce lo sguardo tendi verso il futuro eternoormai hai colto la cima innevatarivedi il tuo e nostro passatoincerto come l’ombra della seraora vivi l’alba d’una nuova era.

Buona fortuna, Vittorio!

Giorgio Càsole

Buona fortuna, Vittorio!

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Novembre 2005 Speciale Ribaudo4 Novembre 2005 Speciale Ribaudo

Passato dal tennis alla pittura ha scoperto nuove frontiere dell’arte figurativa

Vittorio Ribaudodà vita allamateria

Nei suoi oltre quarant’anni di attività tennistica e ar-tistica, Vittorio Ribaudo, palermitano d’origine, ma

augustano d’adozione (per amore egli cessò le sue peregrinazioni e si stabilì nella città fondata dal grande Federico Il di Svevia), ha ricevuto molteplici e lusinghieri riconoscimenti come pitto-re, soprattutto come pittore del legno Ribaudo opera, praticamente senza sosta, nel suo atelier, concepito e rea-lizzato come un’autentica opera d’arte, posto sulla provinciale per Brucoli (quasi subito dopo il penitenziario). In questo suo laboratorio vive anche una scuola, una vera bottega d’arte, quale solevano tenere i grandi pittori medievali e rinascimentali.

Nell’ottobre del 1985, l’associa-zione culturale augustana (presieduta da chi scrive) riconobbe i meriti artisti-

ci di Ribaudo, che, proprio operando in territorio augustano, faceva river-berare sulla città federiciana la fama ch’egli andava conquistando in Italia e all’estero.

Il premio nazionale di cultura “Castello svevo” (istituito da chi scrive e da altri volenterosi per il recupero della memoria storica cittadina e per consentire la fruibilità dell’antico ma-niero, ancora oggi chiuso, purtroppo) fu assegnato a Ribaudo e ad altri personaggi della sicilianità illustre e laboriosa, come Ignazio Buttitta, Rosa Balistreri, Giuseppe Giarrizzo, Pippo Pattavina, per ricordare i più noti. Il premio conobbe una seconda edizione l’anno successivo, poi l’oblio.

Augusta tornata a essere triste-mente famosa per il mancato decollo del nuovo piano regolatore (dopo quasi vent’anni e dopo circa un mi-

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liardo e mezzo di lire) e, quindi, per il disordine urbanistico, per le morti per tumore, per le nascite di bambini malformati.

In questa terra così pesante-mente condizionata dalla presenza di cattedrali nel deserto vive un artista autentico, non solo per la produzione e l’immagine esterna ma perché vive esclusivamente dei proventi della sua attività artistica: condizione questa non facile nel Nord, una vera sfida in terra di Sicilia. È Vittorio Ribaudo, nato sessantotto anni fa in un altra Sicilia (il grande scrittore siciliano di Comiso, Gesualdo Bufalino, parlava di Cento Sicilie), nella Sicilia occi-dentale, più nota per essere la patria degli “uomini d’onore”, piuttosto che per i templi greci ancora intatti, per i mosaici dorati di Monreale, per quella Palermo le cui testimonianze architettoniche ricordano un passato di tolleranza e convivenza pacifica fra religioni ed etnie diverse. al tempo dell’illuminato Federico Il, celebre per aver fondato la scuola poetica siciliana, che avrebbe potuto dare lezioni di stile a tanti governanti di oggi, vero maestro della realpolitik nei suoi rapporti con gli arabi.

Vittorio Ribaudo è nato a Pa-lermo, terzo di una numerosa figliolan-za oggi dispersa a causa dell’immigra-zione interna di oltre cinquant anni fa. I fratelli di Ribaudo, come molti siciliani che emigrano all’estero (e per

loro il resto d’Italia è estero), sono diventati imprenditori di successo nell’hinterland milanese.

Anche Ribaudo è stato emigran-te, seppure emigrante di lusso. Precoce campione di tennis a Palermo, compì giovanissimo il grande balzo verso il settentrione per gareggiare e diventare un grande sportivo.

A causa d’una malattia fu co-stretto all’immobilità e un giorno, come ispirato, avvertì l’urgenza di prendere in mano matita e colori per disegnare, per sconfiggere la noia dovuta alla costrizione a letto. Fu una rivelazione. Da allora Ribaudo non ha

un giorno, come ispirato avvertì

l’urgenza di prendere in mano

matita e colori per disegnare

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più abbandonato carboncino, matite e tele, anzi ha arricchito il suo bagaglio d’artista rivolgendosi ai pennelli, ai legni, ai materiali più disparati (dalle pelli alle pietre preziose).

Ribaudo aveva scoperto la sua seconda vocazione: essere pittore, ri-produrre i colori abbacinanti della sua Sicilia, strappandola agli stereotipi fissi dell’immaginario collettivo, persino degli stessi siciliani. Essere siciliano ed essere messaggero di una cultura di vita, non di morte, di tensione vitale e di aspirazione al bello, non di chiusura e di cupa introversione.

Ribaudo, che si professa profon-damente religioso e devoto di padre

Pio da Pietrelcina, pur non essendo praticante, ama dire: “Dio m’ha dato la mano destra per il tennis e la sinistra per la pittura”.

Per molti anni egli ha servito coscienziosamente le due vocazionì, peregrinando per l’Italia come mae-stro federale di tennis e come artista, allevando campioni sulla terra rossa, ma anche nel campo della sperimen-tazione pittorica. Il suo vagabondare ha trovato il suo limite circa trent’anni fa, quando, chiamato come tennista per insegnare a un vivaio di giovani, si fermò ad Augusta, città che, per il suo immenso porto, è diventata sim-bolo di quel polo petrolchimico che

riprodurre i colori abbacinanti della sua Sicilia, strappandola agli stereotipi fissi dell’immaginario collettivo

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ha attirato l’attenzione delle “Iene” di Italia 1. Ribaudo era reduce da un matrimonio sfortunato con una paler-mitana, che gli aveva dato una figlia. In un momento di grande sconforto egli scrisse a Padre Pio, a San Giovanni Rotondo.

E padre Pio rispose, benedicendo l’artista implorante. Ad Augusta il campione di tennis, che già si com-portava come il classico artista estro-verso, conobbe una bellezza locale, di diciotto anni più giovane di lui, e fu il classico colpo di fulmine. Ne sono conseguiti l’annullamento del primo matrimonio, il nuovo matrimonio e due figli maschi. Messe radici, Ribaudo non s’è più mosso da Augusta, con tutte le conseguenze (e i rischi) che la permanenza in un piccolo centro com-porta per uno che vive solo d’arte.

Ma, innamorato della sua Adria-na, della sua pittura e della sua vita, non sta fermo; gira tutta la Sicilia, va a Caracas, a New York, in Germania, a Montecarlo, applicando il motto ora-ziano del carpe diem. Come un signore rinascimentale, ama circondarsi d’una sua corte di allievi, amici, estimatori, che lo seguono un po’ dappertutto e assaporano “il midollo della vita”, sino in fondo, come se l’oggi fosse l’ultimo giorno da vivere.

Del resto, Ribaudo ha sperimen-tato praticamente tutto, anche come artista, diventando famoso per i suoi “legni”, che egli sceglie con cura cer-

tosina, per riprodurre i suoi sogni e le sue fantasie, sfruttando il legno in ogni sua impercettibile vena: il legno diventa così opera d’arte, specialmente quando egli illustra episodi celebri dell’Inferno dantesco, come le pietre preziose, degne delle riproduzioni dal Paradiso.

Delle nuove opere di Ribaudo è riduttivo parlare di semplici tele; in taluni casi ci troviamo di fronte a un ibrido, che appare una novità assoluta e potrebbe conquistare sempre più consensi. Ci riferiamo alle “pitto-sculture” (neologismo, questo, che potrebbe attestarsi in virtù proprio di questi esperimenti ribaudiani). L’ex

conobbe una bellezza locale, di diciotto anni più

giovane di lui, e fu il classico colpo di

fulmine

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tennista non sopportava più i limiti imposti dalla superficie del quadro; la sua anima è come schizzata dalla tele, prepotentemente.

Come il tennista ha voluto, un giorno, correre l’avventura artistica, dedicandosi alla pittura su legno, so-prattutto, e conquistando la notorietà proprio per queste sue opere (pochi tocchi di colore vivificano un inerte tronco di legno, dandogli dimensione e dignità d’opera d’arte), così, oggi, il pittore, che quel legno riduceva a icona da appendere e ammirare, ha vo-luto abbracciare e concretizzare l’idea della scultura, senza, tuttavia, tradire la

materia primigenia, quel legno che egli continua a dipingere, a trasformare in segno artistico, ma fornendo al qua-dro una tridimensionalità altrimenti impensabile.

La scultura lignea viene, infatti, applicata a una tela su cui l’artista dipinge lo sfondo o personaggi, che s’integrano visivamente e concet-tualmente con la scultura: ed ecco la pittoscultura. Opera, dunque, che non è solo quadro e non è solo scultura, ma tutt’e due le cose insieme, fuse in un unicum ardito e originale, che, sim-bolicamente, può rinviare all’eterno desiderio dell’uomo di uscire dai suoi confini, di soggiogare e modificare la materia ai fini della glorificazione dell’umanità stessa, in una sorta dì altrettanto eterna competizione con il divino.

Tra settembre e novembre 2001 a Ribaudo sono stati conferiti diversi premi, che al nome del pittore hanno dato nuova risonanza.

Quasi tutti gli organi di stampa isolani hanno scritto che Ribaudo è il “successore” o, meglio, “l’erede” di Guttuso.

Abbiamo chiesto all’artista augu-stano se si riconosce in quest’accosta-mento. «Certo, mi sento orgoglioso dì questo accostamento al grande maestro siciliano, famoso per stupendi quadri di stile realistico”.

— Il tuo stile è, però, diverso da quello di Guttuso.

può rinviare all’eterno desiderio dell’uomo di uscire dai suoi confini, di soggiogare e modificare la materia ai fini della glorificazione dell’umanità stessa

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“Infatti, in tanti anni ho elabora-to un mio personale stile, dando vita a un nuovo filone dell’arte figurativa, sfruttando a fini pittorici persino le più deboli nervature o i toni più insi-gnificanti del legno vivo”.

— Sei stato definito il maestro del legno, come in passato.

“E vero, in passato il legno era usato dai pittori, ma come una qual-siasi tela d’oggi. I pittori medievali tinteggiavano di bianco il legno e vi dipingevano sopra. Io, invece,. sfrutto la materia grezza, le do un’anima, in-serendo le curvature del legno in una scena figurativa, tanto da suscitare un vivo contrasto tra materia e immagi-nazione: ma la stessa cosa faccio con il marmo, le pietre preziose, il sughero e tanti altri materiali naturali: in questo campo, se non sbaglio, credo d’essere l’unico al mondo”.

—E, allora, il paragone con Gut-tuso?

“Penso che sia stato instaurato e poi ripreso da chi ha visto in me l’erede della fama di Guttuso, che era, non dimentichiamolo, palermitano come me. Oggi i quadri di Guttuso valgono una cifra e anche i miei, modestia a parte, hanno un’elevata quotazione, tanto che sto pensando di non venderne più come una volta e di lasciare la produzione ai miei familiari, che potranno arricchirsi dopo la mia

morte (come s’è arricchito l’erede di Guttuso).

Desidero, tutto sommato, morire povero e sentirmi appagato dall’affetto dei veri amici e dalla soddisfazione di vedere riconosciuti i miei meriti arti-stici, mentre sono ancora in vita Di solito, accade il contrario”.

— I premi ricevuti in questi mesi rappresentano per te un punto d’arrivo?

“Non si può dire. Certamente, rappresentano un ambìto traguardo e le notizie di questi premi scatenano un maggiore interesse, tanto che sono stato invitato a tenere una scuola di pittura in Brasile. In anni giovanili sono già stato in America Latina, a Caracas, ma solo per mostre perso-nali. Mi piacerebbe enormemente esportare lo stile ribaudiano associato ai colori della nostra terra, la grande Sicilia, che, per me, è fonte continua d’ispirazione”.

— Un giorno, perciò, si potrebbe par-lare dell’erede di Ribaudo.

“Sì, ma per quello c’è ancora tempo”.

Vittorio Ribaudo è, forse, l’unico pittore isolano che, vivendo in Sicilia, vive esclusivamente dei proventi che derivano dalla sua attività artistica: impresa non lieve e non facile.

Giorgio Càsole

“Io, invece, sfrutto la materia grezza, le do un’anima, inserendo le curvature del legno in una scena figurativa”

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E’ stato consacrato pittore degno di stare a fianco a quelli dell’olimpo artistico, come Renato Guttuso e al-

tri. L’ex tennista, nato, come Guttuso, a Palermo, non solo fa quasi incetta di premi, uno più prestigioso dell’al-tro, ma sta mietendo successi un po’ dovunque, come ai tempi d’oro della sua carriera tennistica.

Ora si tratta di successi in campo artistico. Il maestro siciliano non fa in tempo a esporre a Piazza Armerina, in uno splendido palazzo antico di quel centro storico, grazie alla collaborazio-

ne del giovane antiquario Vinido Rar-npulla. che l’indomani deve tornare ad Augusta per l’inaugurazione formale del suo rinnovato laboratorio nella provinciale per Brucoli, per poi prepa-rarsi a partire alla volta di Leonforte, di cui è diventato cittadino onorario, ricevendo nel contempo il “leone d’oro alla carriera” come un altro famoso personaggio, il Pippo Baudo nazionale. Da Leonforte a Siracusa, dove è stato insignito del riconoscimento dell’iscri-zione nell’Albo d’oro dell’Ordine dei Geometri della provincia aretusea, grazie a l la fervida segnalazione e alle

Per Vittorio Ribaudo un successo dopo l’altro

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17Speciale Ribaudo Novembre 2005cortesi pressioni del consigliere dello stesso Ordine, Rosario Belfiore, antico sodale di Ribaudo. Belfiore ci ha detto che l’artista augustano è il primo in assoluto che viene iscritto nell’Albo d’oro. “Anzi - ha precisato- non esi-steva nemmeno l’Albo d’oro prima d’ora; lo abbiamo istituito apposta in quest’occasione e dopo Ribaudo, sicu-ramente, questo riconoscimento andrà ad altri personaggi prestigiosi”.

Parole lusinghiere sono state pure rivolte dalla presidente Silvana Para-sole della Fidapa di Piazza Armerina, in occasione del vernissage della mostra, nella città dei mosaici. “Il maestro Vittorio Ribaudo predilige i paesaggi si-ciliani, eseguiti con un’agil i tà di tocco, che ricorda una dolce sinfonia dal fascino irresistibile; e nei paesaggi di Acitrezza o di Licodia di Passanitello ci sembra di udire le malinconiche parole del Verga, che rappresentava un mondo chiuso, rassegnato, su cui non era ancora spirato il vento forte del riscatto socia-le. Per queste magistrali interpretazioni del pensiero, dell’arte e della politica dell’Italia postunitaria - ha sottolineato Parasole - Vittorio Ribaudo. a buona ra-gione, è stato riconosciuto non solo dalla critica, ma da tutti gl’intenditori d’arte il vero erede del grande e indimenticabile Guttuso”. La presidente Parasole ha concluso con “un grazie riconoscente al grande maestro Vittorio Ribaudo per averci fatto sentire orgogliosi d’essere siciliani”. Un altro grazie, in forma poetica, è stato pronuncialo dal di-rettore di questo giornale, che insegna al liceo scientifico di Augusta. Càsole, che ha al suo attivo un ricco passato di attore-interprete di testi poetici e teatrali in giro specie per le scuole e due raccolte di versi, di cui una edita nel 1978, entrata nella rosa di finalisti per il prestigioso premio nazionale “Viareggio-opera prima”, ha scritto per l’amico Ribaudo una sorta di lettera in 77 versi endecasillabi in varia rima, compiendo un’operazione controcor-rente, richiamandosi ai grandi classici, a Foscolo, per esempio, riscuotendo il plauso convinto dei presenti. Com-mosso, naturalmente, il destinatario, Ribaudo, della poesia che pubblichia-mo in quarta di copertina.

L.S.

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Dovrei rallegrarmi che i miei quadri vadano a ruba in senso letterale, che i ladri ne facciano preda di furto.

E stato questo lo sfogo all’agrodolce di Vittorio Ribaudo, il noto pittore-tennista, che, originario di Palermo, ha recentemente subito un

furto ad Augusta, sua città d’adozione, e due nella sua città natale, appena qualche giorno fa. Ad Augusta il furto è stato compiuto, infrangen-do la pur spessa vetrina di una bacheca esterna dove faceva bella mostra di sé un pregevole dipinto, esposto con altri in occasione d’una personale dell’artista nella centralissima Piaz-za Duomo, in un locale oggi chiuso dove la vetrina non è stata ancora sostituita.

Gli altri due furti sono stati portati a segno nell’altrettanto centrale Piazza Verdi di Palermo, nottetempo e in pieno giorno. Di notte i ladri sono penetrati, sfondando an-che lì un vetro e scassinando una serratura, all’interno del ristorante “59”, di fronte al centralissimo Teatro Massimo, dove Ribaudo affrescò alcune pareti e dove aveva lasciato alcune

A ruba i quadri

di Vittorio Ribaudo

tele in esposizione permanente, accanto a dipinti di altri artisti.

I ladri, oltre ad arraffare un po’ di contante rimasto in cassa, hanno portato via cinque opere di Ribaudo. Il quale - singolare coincidenza - si era recato l’altro giorno a Palermo per porre rimedio ad alcuni guasti all’affresco causati dal-l’umidità e, al suo arrivo, ha trovato la squadra della polizia scientifica per i rilievi d’uso. Ma l’artista è precipitato nel più nero sconforto, quando, ritornato qualche ora dopo sul luogo (poco distante dal ristorante) dove aveva par-cheggiato la sua inconfondibile monovolume, ha provato la sgradita sorpresa di constatare che i “topi d”auto” scorrazzano ancora in piena Palermo: altre tele erano scomparse dal vano portabagagli. “Bottino ricco mi ci ficco”, avranno pensato i ladri.

Giorgio Càsole

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Verso l’alta vetta ascendi, Vittorio, fedele ardente della dolce Musa da quando giovinetto gareggiavi alla pallacorda, dove i tuoi avi videro Federico imperatore dove tu pure fosti trionfatore: nomen omen, dicevano i latini nel nome è un presagio dei destini.I colori oggi governi con artericonosciuta fuori dai confinie sei profeta anche nella tua parteperché sulle tue tele variegatedispieghi il poema quotidianodelle terre da tanti dominateprima e dopo il conquistator romano:non fichidindia coppole e luparema sudore coraggio e ciclo e mare.Più del Caravaggio è la tua lucesi parva licet compónere magnisa te basta solo un tratto di lapisper farci intuire ciò che non si dice.Anche nell’arte eccelsa hai sfidatoi grandi contendenti o celebratinon già dimenticandoti il passatoi materiali tutti hai rinnovati.Oggi che il buio sembra ripiombare

su questo pianeta mai stato in pace,atomo appena nel mondo stellare,dove c’è chi grida ma chi più tacedove c’è chi fa strage a tradimentoprovandone immediato godimentodove in nome d’una religionenon c’è legame, ma anzi divisionegelosia odio e combattimentoe ogni giorno quasi un’uccisione,rimani tu, Vittorio, ad avere fedenel disco d’oro non più inquinatonell’universo mondo che non ledela speranza al bambino appena nato.Rimani tu, nel tuo laboratorioper farci sognare come bambini,sei come Ulisse anche tu, Vittorio,ci guidi oltre i nostri chiusi confini.Con te l’anima nostra s’avventuraal di là dei veli, oltre la collinaper godere l’ebbrezza dell’alturaper sentire la musica divina.Con te la poesia si fa pitturae la tela si volge in poesiaper vincere quelle antiche muradella nostra dorata prigionia.Con te il sogno diventa verità

e il vero si tinge di fantasiaper non temere più la realtàper sognare sempre in armonia.Sublimi i versi di Dante Alighieriper te diventano icone leggeree palpitanti oggi più di ierianche i più duri fanno persuadere.La donna amata hai visto in forme arditetrasfigurata dea, figlia fecondadi quel paese senza cime ambitedove senti il mormorio dell’ondasempre uguale e sempre più diversoche in sé racchiude tutto l’universo.Il nome d’amicizia ho riletto in te e nella brigata d’allegria che a tutti fa sentire il diletto dell’antica e sana goliardia. Vivi questo come l’ultimo giorno applicando al dì il motto oraziano ogni tafàno cacciando dintorno perché la gioia regni a tutto spiano. Le prove hai vinto della tua vita sempre inseguendo la tua libertà vinta la sfida della famiglia unita resta la sfida dell’eternità.

Giorgio Càsole

Lettera in versi all’amico Vittorio Ribaudo,

pittore