Giorgio Falossi. Una stagione della chiesa fioretina (e non solo)

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GIORGIO FALOSSI UNA STAGIONE DELLA CHIESA FIORENTINA (E NON SOLO) LETTERE (1966-1987) a cura di Maria Livia Bendinelli Predelli Editrice Fiorentina Società

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Le Lettere di Giorgio Falossi rimandano il lettore alla Firenze degli anni ’60-’70, un periodo di grande interesse per il fervore che animò allora contemporaneamente comunità di base e gerarchie ecclesiastiche e per la stretta associazione che si venne a creare, in alcuni movimenti, tra esigenze di rinnovamento della Chiesa e ansia di riscatto delle classi socialmente ed economicamente subalterne. Non è un caso che le idee e la figura del “priore di Barbiana” occupino un posto così largo nelle lettere di Giorgio. E, insieme a don Milani, don Bruno Borghi e don Renzo Rossi sono fra i suoi amici più cari. Operaio di estrazione contadina, Giorgio era portato verso l’attività intellettuale da una vocazione naturale: i suoi giudizi, il suo fervore, la sua fede possono costituire ancora oggi messaggi fecondi a nutrire la riflessione sui tanti problemi che l’epoca contemporanea pone alle coscienze degli uomini d’oggi.

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GIORGIO FALOSSIUnA StAGIOne deLLA chIeSA

FIORentInA (e nOn SOLO)

LetteRe (1966-1987)

a cura diMaria Livia Bendinelli Predelli

Editrice FiorentinaSocietà

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Giorgio Falossi Una stagione della Chiesa fiorentina

(e non solo)

Lettere (1966-1987)

a cura diMaria Livia Bendinelli Predelli

con un saggio introduttivo diFranco Quercioli

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Giorgio Falossi Una stagione della Chiesa fiorentina

(e non solo)

Lettere (1966-1987)

a cura diMaria Livia Bendinelli Predelli

con un saggio introduttivo diFranco Quercioli

Editrice FiorentinaSocietà

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isbn 978-88-6032-249-4

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Le foto pubblicate nel presente volume provengono dall’archivio della famiglia Falossi (per gentile concessione)

Le opinioni espresse nel presente volume non rispecchiano necessariamente quelle dell’Editore

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siamo stati chiamati a grandi cose e molto ci sarà perdonato se avremo molto amato.

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IndIce

7 Presentazione Maria Livia Bendinelli Predelli

15 Dal fratello Luigi

17 «Meglio briachi che astemi» Franco Quercioli

lettere dI gIorgIo falossI (1966-1987)

37 Lettere alla Maria Livia

109 Lettere a don Renzo Rossi

209 Lettere ad altri destinatari

altrI scrIttI su don mIlanI

243 Per conoscere don Lorenzo Milani

245 La testimonianza di Giorgio Falossi

appendIce

259 Preghiera per un matrimonio

260 Tavola dei principali nomi

271 Criteri d’edizione

273 Indice dei nomi

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Ritratto di Giorgio Falossi fatto da Hans Joachim Staude (maestro di pittura di don Lorenzo Milani)

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PresentazioneMaria Livia BendineLLi PredeLLi*

Della fervida stagione che vide fiorire a Firenze tanti movimenti, esperimenti, lotte e ideali di rinnovamento della Chiesa in nome di una ritrovata solidarietà e comunione con le classi più umili della società, Giorgio Falossi fu partecipante attivo e appassionato, pur rifiutando sempre, per scelta, i ruoli di primo piano che posizione sociale e formazione universitaria potevano conferire agli esponenti del momento. Per sé scelse il ruolo di «ammiratore», amico, collabo-ratore, in gesti concreti e faticosi, di personaggi come Bruno Borghi e Lorenzo Milani, adoperandosi per far conoscere e apprezzare le loro idee e le loro scelte. Le molte lettere che scrisse agli amici rive-lano la sua personalità fortissima, le sue intuizioni, i suoi giudizi, le sue scelte.

Operaio d’estrazione contadina, Giorgio si identificò sempre coscientemente e tenacemente con la classe subalterna dalla quale proveniva, partecipò attivamente alle sue lotte e conservò sempre una diffidenza preconcetta per tutti gli «intellettuali»: professori, studenti universitari e clero, che egli riteneva privilegiati perché non conoscono la fatica del lavoro operaio, cercano la vita comoda e sono «ricchi» di sapere. E tuttavia questa sua posizione di principio era poi superata, nella pratica, nell’amicizia generosamente offerta a tanti “laureati”: perché la sua intelligenza vivissima lo portò, quasi

* Ringrazio Giuliana Soffici, moglie di Giorgio, Luigi Falossi, suo fratello, e don Renzo Rossi per la generosa collaborazione, prodiga di informazioni e documenti.

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inevitabilmente, a confrontarsi con libri e scrittura, approdando a un ideale di formazione che egli definiva di “uomini di cultura”, in opposizione a “intellettuali”.

Lettore assiduo e appassionato, privilegiava i testi originali piut-tosto che i commenti scolastici: filosofi greci, Bibbia, Padri della Chiesa, encicliche papali, storia contemporanea, trattati teologici; e l’amatissima Divina Commedia, di cui ebbe il privilegio di leggere lunghi passi a Léopold Sédar Senghor (il poeta presidente del Sene-gal invitato a Firenze dal sindaco La Pira), una notte, seduto sugli scalini davanti a Palazzo Vecchio. La sua sensibilità artistica non co-mune (fu uno dei pochi con cui don Lorenzo Milani accettò di par-lare di arte) gli faceva “leggere” le realizzazioni degli artisti medievali e rinascimentali con interpretazioni penetranti e personali; adorava la musica di Bach e Mozart.

La sua straordinaria libertà di atteggiamenti corrispondeva a una visione religiosa profondamente radicata nell’intimo. Al di là dei giudizi a volte anche aspri, il lettore sensibile saprà avvertire l’afflato poetico e lo spirito profetico che anima moltissime delle pagine di Giorgio, la sua visione grandiosa della realizzazione del regno di Dio nella storia affidata alla classe dei “poveri” («misurando col metro del Vangelo, ogni realizzazione è ben poca cosa, specialmente per uomini che, come i cristiani, hanno per programma il Magnificat»)1. E si spera che non scandalizzeranno certe espressioni pensate evi-dentemente per le orecchie di un amico, non per essere pubblicate.

In questo volume sono presentati principalmente due gruppi di lettere: quelle scritte ad una cara amica quando lei, laureata in let-tere, insegnò per un periodo di tre anni in Canada, e quelle scritte a don Renzo Rossi, partito missionario per il Brasile. A queste se ne aggiungono poche altre, significative, scritte in momenti diversi: all’arcivescovo Florit, all’onorevole Pietro Ingrao, a Neera Fallaci… e alcuni scritti su don Milani. Giorgio diceva di sé: «Nel mondo ci sono quelli che “fanno” (cioè che operano, che realizzano) e quelli che reggono la lampada e gli fanno luce. Io sono uno di quelli che fanno luce». È perché la sua luce raggiunga e riscaldi anche altri ani-

1 «Testimonianza-prefazione di Giorgio Falossi» in Mario Lancisi, …e allora don Milani fondò una scuola, Roma, Coines Edizioni, 1977, pp. 9-10.

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Presentazione

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mi, anche oltre a quelli degli amici più vicini, che questo libro viene pubblicato.

La faMigLia

Giorgio nasce in una famiglia contadina di provata fede religiosa; il padre Ferdinando, per amore di libertà, sua e degli altri, rifiutò sempre di prendere la tessera del Fascio, e ne subì le conseguenze: fu cacciato dalla banda musicale di Tavarnelle Val di Pesa, dove suo-nava il clarino, perché fu l’unico a non togliersi il cappello quando la banda passò davanti al Podestà; e, cosa ben più rilevante, perse il posto di bracciante alla Fattoria dell’Ugo, nel 1929, e fu costretto ad andare a fare il contadino in un podere della chiesa di San Lorenzo a Vigliano (frazione di Barberino Val d’Elsa). Qui nacquero i figli Giorgio (1933) e Luigi (1937). Nel marzo del 1938 tornarono tutti a San Gaudenzio a Campoli (comune di San Casciano Val di Pesa), sempre in un podere della Chiesa. Gli altri proprietari terrieri infatti non avrebbero dato un podere a un antifascista, e lavorare in poderi della Chiesa era l’unica alternativa possibile. Ai Falossi la scelta, in sé, non dispiaceva, per la viva fede religiosa della famiglia, e perché Ferdinando era molto vicino agli ideali della Democrazia Cristiana (partito nel quale avrebbe militato con impegno a partire dall’imme-diato dopoguerra). La sistemazione aveva però un costo non indif-ferente: le piccole chiese di campagna, con uno o due poderi, erano molto povere e così erano i contadini che li occupavano. I Falossi non fecero eccezione.

All’inizio degli anni ’50 le condizioni di vita erano diventate inso-stenibili, aggravate dalle pessime condizioni di salute della moglie. Era l’inizio dell’esodo di massa dalla campagna e, nel 1954, tutta la famiglia si trasferì a Firenze. Ferdinando per un po’ fece lo stradino e poi il manovale edile, fino alla pensione. Poi mise in piedi una bot-teghina di vino e olio in Via dei Serragli, più per occupare il tempo che per fare affari, ma durò poco. La mamma Dina, alleggerita delle eccessive fatiche, e con le debite cure, badava a sette o otto giovani dell’Istituto “Don Orione”, che stavano in una casa lì accanto.

Luigi, apprendista metalmeccanico (aveva iniziato nel settembre

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1951, facendo il pendolare da San Gaudenzio a Firenze), fu licenziato appena prima del passaggio a operaio qualificato (come si usava al-lora). Dopo il servizio militare e una serie di lavori trovati e persi per amor di libertà, atterra – nel marzo 1966 – alla Stice (poi Zanussi), come operaio; ben presto diventa sindacalista della FIOM (e poi della Federazione Lavoratori Metalmeccanici), con un’attività che lo trasforma in uno dei leader più efficaci e stimati del movimento sindacale di quegli anni (Giorgio diceva che suo fratello era tre volte più intelligente di lui). Nel marzo 2000 – già da tempo in pensione – fonda, con Riccardo Nencini, segretario generale della Camera del Lavoro di Firenze, l’Associazione Biondi-Bartolini per la ricerca e la storia del movimento operaio, e la presiede fino al 31 dicembre 2010, giorno della sua chiusura.

La vita

Nato il 1° febbraio 1933 a San Lorenzo a Vigliano, Giorgio iniziò la frequenza scolastica quando già abitava a San Gaudenzio, nel 1939. Frequentò le elementari in un’aula pluriclasse, in una scuola lontana oltre due chilometri da casa. La guerra non gli permise di andare oltre e così sostenne l’esame di terza media solo dopo la guerra, da privatista (la scuola media era a San Casciano, troppo lontana per frequentarla). All’esame prese nove in italiano, con un tema sui Promessi sposi («per-ché dieci non si può dare», gli disse un esaminatore). Trasferitosi con la famiglia a Firenze, fece il lattaio, l’argentiere fonditore e poi l’ope-raio motocarrista alla ditta Giovannetti (edilizia e appalti della Selt-Valdarno); il 18 aprile 1960 sposa Giuliana Soffici, figlia di contadini a Sant’Andrea in Percussina, e dal matrimonio nasceranno le due figlie Paola (1961) e Lucia (1964).

Quando, nelle more delle trame anti-nazionalizzazione dell’ener-gia elettrica, la Giovannetti pensa di licenziare quasi tutti gli operai2, Giorgio si iscrive alla CGIL e partecipa con determinazione alla lot-

2 Cfr. Archivio FIDAE-FNLE provinciale Firenze, 005.006 “Manifestazione Giovannet-ti” 1959-1962, Documenti vari, articoli di giornale sui licenziamenti della ditta Giovannetti di Firenze dal 1959 fino alla sentenza del 24.10.1962 1959.10.09-1963.01.04 cc. 120.

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ta sindacale, collaborando alle collette organizzate per venire in aiuto alle famiglie degli scioperanti. Alla fine della vertenza la maggior parte dei dipendenti della Giovannetti venne assunta dalla Selt-Valdarno (poi Enel). Giorgio invece passò alla Croce Rossa, nel 1963, come con-ducente di camion; poi, dal 1969, fu addetto a trasportare bambini spastici, sempre per conto della Croce Rossa, dalle loro case all’Istitu-to Anna Torrigiani (diretto dal prof. Adriano Milani), dove i piccoli ricevevano le loro terapie. Dopo pochi anni il direttore dell’Istituto lo costrinse a lasciare il lavoro di autista e ad accettare quello di portiere, prima presso il Torrigiani, poi alla sede della Croce Rossa, posto che conserverà fino alla pensione. La decisione era motivata dalle condi-zioni di salute di Giorgio: fin da quando aveva 16 anni, infatti, Giorgio soffriva del morbo di Pott, una malattia provocata dal bacillo di Koch, che distrugge le cartilagini e gli provocò deformazioni soprattutto allo sterno, alla schiena e a un’anca.

La biografia e la storia della sua famiglia aiutano a capire un at-teggiamento fondamentale nella personalità di Giorgio. Il suo sen-timento di appartenenza alla classe operaia non era per Giorgio una semplice componente della sua cultura ma il nucleo centrale dal quale si dipartiva e dipanava tutto il suo modo di vedere le cose. Era un dato non tacitabile, non confondibile né suscettibile di am-morbidimento; e questo rende conto di certi atteggiamenti bruschi, ricordati da chi lo ha conosciuto, nei confronti di esponenti della borghesia e di alcune affermazioni che anche nelle sue lettere posso-no urtare le orecchie dei “benpensanti”.

gLi aMici

Nella lettera a Renzo Rossi del 25 ottobre 1967, Giorgio afferma di conoscere don Bruno Borghi (il «primo prete operaio» della diocesi fiorentina), fin dal ’47. Per il Borghi professò sempre un’ammira-zione sconfinata. L’amicizia fra i due si consolidò non solo per la simile estrazione sociale ma soprattutto per un’eccezionale conver-genza di ideali: amare Gesù nei volti delle classi subalterne e, per amore, condividerne interamente l’umiltà e le sofferenze; sposarne

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la sete di giustizia, considerarli soggetti e protagonisti della storia. Giorgio aderiva dunque incondizionatamente agli sforzi che in quel periodo sindacati e partiti di sinistra conducevano per l’introduzione di rapporti più equi fra “padroni” e operai. Per questo ebbe un at-teggiamento critico nei confronti degli ambienti democristiani “pro-gressisti” del momento (Giorgio La Pira, Fioretta Mazzei), anche se li frequentava assiduamente e, nella prima metà degli anni ’60, colla-borò con l’amica carissima della Fioretta Mazzei, Marigù Pelleri, che organizzava colonie estive per le famiglie disagiate di San Frediano a Cascina Vecchia, presso Vallombrosa.

Di don Lorenzo Milani Giorgio sentì parlare per la prima volta dal pittore tedesco Hans Staude, che abitava vicino alla casa dei Fa-lossi e che fu tanto incuriosito da questo giovane che, tutte le sere, tornava a casa dal lavoro in bicicletta fischiettando l’aria Non più andrai farfallone amoroso di Mozart, che un giorno lo fermò… Hans Staude era stato maestro di pittura del giovane Lorenzo Milani e un giorno disse a Giorgio che conosceva un prete che aveva idee simili alle sue. Il primo incontro avvenne però tramite l’amico Giorgio Pelagatti, operaio che aveva frequentato la scuola serale di don Lo-renzo a San Donato (Calenzano), nel 1962. Giorgio aveva 29 anni. Fu l’inizio di un’amicizia fervida e appassionata: in don Lorenzo Giorgio trovava confermati ed esaltati atteggiamenti e convinzioni fondamentali che animavano lui stesso, e che venivano invece rego-larmente frustrati nell’incontro con la Chiesa “ufficiale”: fede assolu-ta in Dio e nella Chiesa, scelta radicale ed esclusiva dei poveri (degli “ultimi”), principali soggetti della realizzazione del Regno portato da Gesù Cristo. Dopo la morte di don Milani, collaborò a lungo con la Casa Famiglia Pilano che Renato Scarpelli aveva fondato a Reggello per accogliere e formare bambini in difficoltà.

La MeMoria di don MiLani

Dopo la morte di don Lorenzo, Giorgio fu scandalizzato dall’imme-diato proliferare di tanti interventi “intellettuali” che, secondo lui, non coglievano affatto il senso profondo del messaggio dell’amico carissimo. Per questo, dopo qualche tempo accettò di pubblicare al-

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cune sue testimonianze e di parlare con giornalisti che preparavano pubblicazioni su don Milani per contribuire, con la sua parola, ad evitare che il messaggio di don Lorenzo venisse travisato o strumen-talizzato. Quando Neera Fallaci intraprese le ricerche per la serie di articoli su don Milani da pubblicare sul settimanale «Oggi» (e che poi confluirono nel libro Dalla parte dell’ultimo), trovò in Giorgio Falossi un interlocutore fondamentale, come riconosce lei stessa nel-la dedica che si legge sulla sua copia (edizione del 1974): «A Gior-gio Falossi, che dette il via con intelligenza a questo lavoro su don Milani»3. Fu la Fallaci stessa a consigliare a Mario Lancisi, giovane laureando che voleva fare ricerche sulla sinistra cattolica, di contatta-re Giorgio Falossi. Sul libro di Mario Lancisi, …e allora don Milani fondò una scuola4, comparve allora la “Testimonianza-prefazione” di Giorgio. Altra testimonianza, orale questa volta, rese nel video-do-cumentario realizzato da Tomas Angeli nel 1991, Ritorno a Barbiana. E Maurizio Di Giacomo, nella sua prefazione alla raccolta di Marco Moraccini Scritti su Lorenzo Milani. Una antologia critica5, riporta alcune testimonianze di un non meglio identificato “testimone del quadro”:

Qui si ricorre all’aiuto di un testimone milaniano, incontrato a Firenze il 25 novembre del 2001, una domenica. Egli è andato a Sant’Andrea di Barbiana per la prima volta nel 1962. Nella stanza del colloquio spicca un ritratto a colori, opera di Hans Joaquim Staude, il pittore tedesco al quale Luigi Albano Milani si era rivolto per cercare un punto d’appoggio per il figlio secondogenito Lorenzo, ondivago e certo solo su un punto: non iscriversi all’università. Questo testimone abita a poca distanza da via delle Campore6, dove lo Staude aveva il suo studio. In questa prefazione d’ora in poi sarà citato come ‘il testimone del quadro’.

La menzione del quadro di Staude e l’indirizzo di Via delle Cam-pora rendono inequivocabile l’identificazione del testimone con

3 Neera Fallaci si servì poi di Giorgio Falossi anche per altri servizi pubblicati su «Oggi», cfr. per esempio le interviste Non aiutano i ragazzi a pensare, in «Oggi», xxxi, 15, 9 aprile 1975, pp. 92-99; Promossi ma preparati, in «Oggi», xxxi, 19, 7 maggio 1975, pp. 46-49; Padri padroni e padri alla pari, in «Oggi», xxxv, 45, 11 novembre 1978, pp. 94-103.

4 Mario Lancisi, …e allora don Milani fondò una scuola, cit.5 Milano, Jaca Book, 2002. Cfr. (http://www.moraccini.it/Milani/ANTOLOGIA/Intro-

duzione%20e%20note%20del%20curatore.htm, pagina consultata il 3 aprile 2012).6 Più esattamente “delle Campora”.

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Giorgio Falossi, a cui Staude aveva fatto e regalato un ritratto.

Già in pensione, Giorgio perse l’uso di un occhio in seguito a una caduta; e fu poi ripetutamente colpito da ictus paralizzanti, senza mai perdere il suo atteggiamento sereno. Muore il 12 marzo 2008.

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daL frateLLo Luigi

17 maggio 2012

Cara Maria Livia,comincio ringraziandoti per avermi riportato mio fratello. Tu sai

meglio di me che, a volte, si pensa alla morte come sparizione, come a qualcuno che non c’è più. Dopo però, arrivano delle cose scritte e vanno rifatti i conti. Già insieme ad ogni libro c’è l’autore (morto o vivo che sia) che sta nelle pagine o ritto in piedi accanto al lettore. Se poi si tratta di lettere la cosa cambia ancora, diventa maggiormente vera e credibile perché l’autore c’è nella sua pienezza: racconto, affetto, amicizia, amore, giudizi, evocazioni di quelli che l’autore vuol portare in omaggio al destinatario delle lettere, ecc. Di queste cose sono fatte le lettere, quando l’autore non è né un mondano, né un superficiale. Non ricorrendo questi ultimi due parametri, è ovvio che tu mi abbia riportato Giorgio in tutta la forza e compiutezza della sua presenza, del suo essere. Permettendo a me, che sono suo fratello, una nuova scoperta, un altro modo di conoscerlo e di misurare le uguaglianze e le differenze, il valore delle comuni origini ed i valori, diversi ma ricono-sciuti, della crescita e delle soggettive scelte di vita (o, per meglio dire, delle diverse vite, poco scelte e parecchio obbligate, come capita spesso a coloro ai quali sono negate opportunità plurali. Contadini e/o ope-rai: altro è negato, ma senza recriminazioni; anzi, con la convinzione e condivisione di stare dove volevamo e dove era giusto che fossimo).

Non sto a dire di quanto mi ha fatto piacere ritrovarmi in alcuni

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avvenimenti narrati da Giorgio a te e/o Rossi e dei quali avevo per-so memoria. Un po’ perché visti da oggi risaltano maggiormente o perché eravamo giovani o perché il mondo ci sembrava andasse dove noi volevamo e spingevamo con tutte le nostre forze.

Ma principalmente perché queste lettere, ed è l’unica osservazione che mi permetto di fare – sono universali, travalicano agevolmente i confini del destinatario, anzi, rompono questi confini portando la Ma-ria Livia, il Renzo Rossi e Beppe Socci in un altro e più ampio contesto.

Sono tante le cose che ci sono dentro da non poterle catalogare come semplici lettere ad amici. C’è il racconto della vita, il giudizio – a volte inappellabile, a volte intriso di misericordia e d’amore – su persone, isti-tuzioni e anche su sua “madre”, la Chiesa. C’è la profezia, non sbandie-rata ma presente nei giudizi, appunto affilati come sentenze, eccessivi, a volte, ma mai ingiustificati o gratuiti. E mai soli ma sempre accompa-gnati da amicizie, amori e misericordie. Insomma, sono lettere al mon-do che passano tramite gli intestatari o se ne vanno a giro dove vogliono, come fa lo Spirito, almeno secondo la religione professata.

E c’è tutta la sua sofferenza, non vissuta con cristiana rassegnazio-ne, come si usa dire, ma collocata nel posto giusto da uno che aveva la forza di imporsi anche su essa, cercando negli uomini di fede (e nella fede medesima) l’accondiscendenza per poter peccare ed essere giustificato (“…Solo che sto molto peggio di un anno fa. Figurati che il Bonanni mi aveva fatto il permesso di bestemmiare cinque minuti al giorno e me lo son dovuto far portare a dieci e quasi non mi bastano più”, dalla lettera a Renzo Rossi del 04/08/69).

E senza nessuna vergogna, queste lettere testimoniano la necessi-tà di ricevere amore anche chiedendolo. Naturalmente dopo averlo dato, anche in sovrappiù.

Cara Maria Livia, finora mi pare di aver parlato di virtù. Credo che, essendo il fratello, per diecimila ragioni o storiche, di uso comu-ne, di parentela e quant’altro, sia anche abilitato a parlare di difetti, che Giorgio aveva come del resto abbiamo tutti. Forse anche qualcu-no in più come capita spesso a coloro che hanno in più delle virtù. Ma, per le stesse medesime ragioni ed in virtù degli stessi diritti, il fratello può anche decidere di non parlarne. E non lo farà.

Luigi Falossi

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pietra di paragone

Si tratta di testi che ripropongono al vasto pubblico esperienze significative, memorie nasco-ste, testimonianze, biografie, documenti e approfondimenti sul pensiero e l’opera di uomini che nel loro impegno quotidiano (civile, politico, religioso) hanno avvertito come cruciale la domanda sul significato della loro esistenza.

Piero Bargellini, Il miracolo di Firenze. I giorni dell’alluvione e gli “angioli del fango”, con un testo di Lelia Cartei Bargellini, 2006

Edoardo Martinelli, Don Lorenzo Milani. Dal motivo occasionale al motivo profon-do, con il testo integrale della Lettera ai giudici, 2007

Giorgio La Pira. I miei pensieri, a cura di Riccardo Bigi, con una testimonianza di Giulio Andreotti, 2007

Silvano Piovanelli, Don Giulio Facibeni. «Il povero facchino della divina provviden-za», 2008

Don Divo Barsotti. Il cercatore di Dio. Dieci anni di interviste, a cura di Andrea Fagioli, presentazione di Camillo Ruini, 2008

Rolando Perri, Presenze femminili nella vita di don Lorenzo Milani. Tra misoginia e femminismo ante litteram, 2009

Alberto Migone, Testimoni nel quotidiano, a cura di «Toscana Oggi», introduzione di Andrea Fagioli e Romanello Cantini, 2010

Mario Bertini, Don Carlo Zaccaro: la fantasia dell’amore, Profilo biografico, interviste, testimonianze, presentazione di Mario Graev, 2011

Andrea Bellandi, Francesco Mininni, Roberto Benigni. Da «Berlinguer ti voglio bene» alla «Divina Commedia»: il percorso di un comico che si interroga su Dio, a cura di Riccardo Bigi, 2011

Antonio Miscio, I Salesiani di don Bosco a Firenze (1881-2011), 2011Silvano Nistri, Elia Dalla Costa, prefazione di Giuseppe Betori, 2011Pierfrancesco Amati, Don Mario Boretti, 2012Don Renzo Rossi, Lettere dal Brasile, a cura di Matteo del Perugia, 2012Andrea Cecconi, Giancarlo Rocchiccioli, Padre Ernesto Balducci. “Una fuga im-

mobile”, 2012Antonio Lovascio, Giovanni Benelli. Un pastore coraggioso e innovatore, prefazione di

Giuseppe Betori, 2012