Giordano Bruno e la tradizione ermetica

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a Giordano Bruno e la tradizione ermetica di Frances A. Yates Storia d’Italia Einaudi

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Giordano Bruno ela tradizioneermetica

di Frances A. Yates

Storia d’Italia Einaudi

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Edizione di riferimento:Giordano Bruno e la tradizione ermetica, traduzione diR. Pecchioli, Laterza, Roma-Bari 1969

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Sommario

Prefazione all’edizione italiana 1

Prefazione 2

Abbreviazioni 8

I. Ermete Trismegisto 11

Il. «Pimander» di Ficino e l’«Asclepius» 36

III. Ermete Trismegisto e la magia 70

IV. La magia naturale di Ficino 93

V. Pico della Mirandola e la magia cabalistica 123

VI. Lo Pseudo–Dionigi e la teologia di un magocristiano

170

VII. Cornelio Agrippa e la sua rassegna dellamagia rinascimentale

187

VIII. Magia e scienza nel Rinascimento 207

IX. Contro la magia 226

X. L’ermetismo religioso nel secolo XVI 243

XI. Giordano Bruno: il primo viaggio a Parigi 271

XII. Giordano Bruno in Inghilterra: la riformaermetica

293

XIII. Giordano Bruno in Inghilterra: la filosofiaermetica

333

XIV. Giordano Bruno e la cabala 363

XV. Giordano Bruno: dagli «Eroici furori» alculto di Elisabetta

388

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XVI. Giordano Bruno: il secondo viaggio aParigi

410

XVII. Giordano Bruno in Germania 430

XVIII. Giordano Bruno: l’ultima operapubblicata

457

XIX. Giordano Bruno: il ritorno in Italia 475

XX. Giordano Bruno e Tommaso Campanella 505

XXI. Dopo la datazione di Ermete Trismegisto 557

XXII. Ermete Trismegisto e le controversiefluddiane

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PREFAZIONE ALL’EDIZIONE ITALIANA

Questa traduzione segue esattamente la versione inglesedel libro (Giordano Bruno and the Hermetic Tradition,London e Chicago 1964), senza mutamenti sostanziali orevisione alcuna. Desidero ringraziare il traduttore perla sua interpretazione estremamente fedele e intelligentedel testo. Sono stati introdotti pochi piccoli cambiamentinelle note, dovuti all’omissione di richiami bibliograficia traduzioni inglesi di testi che sono stati qui citati,ovviamente, in italiano o in traduzione italiana, e qualchecorrezione. In alcuni casi sono stati aggiunti nelle notei titoli di libri su argomenti menzionati nel testo, uscitidopo la stesura dell’opera.

È con profonda gratitudine per i doni dell’Italia almondo che io dedico questo libro ai lettori italiani, spe-rando con ciò di ricambiare in piccola parte tutto quellodi cui sono debitrice.

F. A. Y.Londra, 1969.

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PREFAZIONE

Molti anni fa progettai di fare una traduzione inglese deLa cena de le ceneri di Giordano Bruno premettendoviun’introduzione in cui venisse posta in evidenza la spre-giudicatezza con la quale questo audace filosofo del Ri-nascimento aveva fatto sua la teoria copernicana. Ma viavia che seguivo Bruno lungo lo Strand fino alla casa inWhitehall in cui egli avrebbe esposto la teoria copernica-na a cavalieri e dottori mi sorgevano alcuni dubbi. Quelviaggio non poteva essere immaginario e la cena ebbeluogo davvero all’ambasciata francese? E inoltre la teo-ria copernicana costituì realmente il tema del dibattito oc’entrava di mezzo qualcos’altro? Il problema brunianorestò da allora in poi al centro di tutti i miei studi. Ac-cumulai una gran quantità di note e di manoscritti sen-za però riuscire ad afferrare completamente il problema.Mi mancava qualche spunto decisivo.

Nel corso degli ultimi venticinque anni alcuni studio-si sono venuti concentrando la loro attenzione sul signi-ficato dell’influenza esercitata dall’ermetismo sul Rina-scimento italiano. I fondamentali studi bibliografici diP. O. Kristeller hanno mostrato l’importanza e la diffu-sione della traduzione ficiniana del Corpus Hermeticum.E. Garin ha indicato con acume la presenza di corren-ti ermetiche nel pensiero rinascimentale, in particolarenel libro Medioevo e Rinascimento e nei saggi ora ripub-blicati in La cultura filosofica del Rinascimento italiano.Egli ha altresì stimolato un gruppo di studiosi a intra-prendere ricerche dettagliate intorno all’influenza erme-tica in singoli autori, pubblicate con il titolo di Testi uma-nistici su l’ermetismo. Vari studiosi francesi sono al cor-rente dell’ermetismo rinascimentale. In Inghilterra D. P.Walker ha preso in esame la prisca theologia in un im-

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portante articolo ed ha analizzato l’utilizzazione ficinia-na dell’Asclepius ermetico nel libro Spiritual and Demo-nic Magic from Ficino to Campanella. In quest’opera ven-gono colte per la prima volta le sfumature fra i vari atteg-giamenti rinascimentali verso la magia ed è indicata l’in-cidenza di questo motivo sulle questioni di carattere re-ligioso.

Nessuno aveva ancora posto Bruno in rapporto conl’ermetismo né d’altra parte, nonostante il mio interesseper questo tipo di studi, tale possibilità mi era sembrataplausibile per un certo periodo. Avevo ben presente damolto tempo che le opere di Bruno, e in particolare quel-le sulla memoria, sono piene di elementi magici (un fatto,questo, che non era sfuggito a Lynn Thorndike nella suaHistory of Magic and Experimental Science), ma non riu-scivo a rendermi conto che la sua magia rientra, insiemea tutta la sua filosofia, nell’ambito dell’ermetismo. Solopochi anni fa arrivai a comprendere, improvvisamente,che l’ermetismo rinascimentale costituiva quello spuntodecisivo per l’interpretazione di Bruno che avevo cerca-to tanto a lungo. La giusta prospettiva mi balzò agli oc-chi solo alla fine delle ricerche; i miei studi precedenti suBruno trovarono in essa la loro precisa collocazione e lastesura di questo libro è avvenuta quasi di getto.

Ovviamente esso non costituisce una monografia suBruno: il suo proposito non oltrepassa i termini fissa-ti dal titolo e si propone, quindi, di collocare il filosofonella tradizione ermetica. Per giungere a una definitivareinterpretazione di Bruno sono necessari altri studi e inparticolare occorre che si faccia luce sul ruolo da lui avu-to nella storia dell’arte mnemonica classica che egli ven-ne trasformando in una tecnica di tipo magico-religioso.Alcuni riferimenti alla mnemonica bruniana contenuti inquesto libro potranno sembrare piuttosto oscuri, ma spe-ro di poter trattare ulteriormente questo tema in un librosuccessivo. Nelle pagine che seguono c’è una grossa la-

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cuna per quanto concerne l’influenza di Raimondo Lullosu Bruno, sulla quale io mi sono appena soffermata; né,inoltre, ho preso in considerazione le numerose opere diBruno sul lullismo. Anche a questo proposito si presentala necessità di uno studio su Bruno e la tradizione lullia-na che è mia speranza di potere, un giorno, portare a ter-mine. Le tre correnti dell’ermetismo, della mnemonicae del lullismo si fondono reciprocamente nella comples-sa personalità di Bruno, nella sua mente, nella sua mis-sione. Tutt’e tre hanno una lunga storia che risale al Me-dioevo e che, attraverso il Rinascimento, giunge alla lineadi demarcazione segnata da Cartesio e dal XVII secolo.

Per la stesura di questo libro grande è il mio debi-to verso l’edizione e la traduzione francese del CorpusHermeticum dovute a Nock-Festugière e verso il libroLa Révélation d’Hermès Trismégiste di A. – J. Festugiè-re. Benché l’ermetismo rinascimentale non sia mai sta-to interpretato prima d’ora nei termini in cui io cercodi trattarne nei primi dieci capitoli, essi debbono moltoad altri autori: in particolare alcuni motivi del IV, VII,IX e X risalgono a Walker, mentre il tema dell’VIII èstato accennato da Garin. La mia conoscenza della ca-bala deriva pressoché interamente dalle opere di G. G.Scholem; il fatto che io continui a usare questa orto-grafia per la parola cabala rientra nel proposito gene-rale di interpretare la sapienza degli antichi dal puntodi vista rinascimentale: è in questo modo che la scri-vevano Pico e Bruno. I nove capitoli su Bruno lo pre-sentano come una variazione nell’ambito della tradizioneermetico-cabalistica. Questo punto di vista è a tal puntorivoluzionario da avermi precluso l’utilizzazione di granparte della vasta letteratura su Bruno, fatta eccezione peril materiale biografico-documentario e per qualche altraopera che viene di volta in volta indicata nelle note. Housato l’edizione Gentile dei dialoghi italiani di Bruno ri-veduta da G. Aquilecchia, e l’edizione, sempre di Aqui-

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lecchia, delle due opere latine recentemente scoperte. Lacollocazione di Campanella nella stessa linea di Bruno ènuova, anche se va debitrice all’analisi della magia cam-panelliana condotta da Walker ed alle ricerche di L. Fir-po. Negli ultimi due capitoli sono posti in luce il pro-gressivo venir meno dell’influenza ermetica in seguito al-la datazione degli Hermetica e la sua sopravvivenza pres-so scrittori e ambienti esoterici (due punti, questi, breve-mente indicati da Garin). La nascita del pensiero secen-tesco con Mersenne, Keplero e Cartesio viene vista sullosfondo della tradizione ermetica.

La trattazione di un tema di così immensa comples-sità ha inevitabilmente implicato eccessive semplificazio-ni; lo scopo di fare di Bruno il punto d’arrivo e di parten-za, contemporaneamente, della mia interpretazione può,d’altra parte, avere influenzato la scelta del materiale. Lastoria intera dell’ermetismo deve ancora essere scritta:essa dovrà comprendere il Medioevo e proseguire mol-to più avanti del punto fino a cui l’ho condotta io. So-no consapevole dei rischi che corro battendo strade co-sì sconosciute e oscure come quelle che caratterizzano ilmodo di pensare degli ermetici rinascimentali, né, d’altraparte, mi è lecito sperare di non aver commesso errori disorta. Questo libro avrà avuto una sua funzione positivase sarà riuscito a far convergere l’attenzione su un temadella massima importanza e a stimolare altri a proseguirele ricerche in questo campo.

La elaborazione di quest’opera è durata così a lungoda consentirmi, credo, di ringraziare in ordine cronolo-gico tutti coloro che mi hanno aiutato. Grazie al nostrocomune interesse per Bruno feci la conoscenza di Doro-thea Waley Singer alla cui gentilezza e al cui incoraggia-mento vado debitrice di una importante svolta nella miavita: essa mi presentò infatti a Edgar Wind, a Fritz Saxl ea Gertrud Bing e così cominciai a frequentare il WarburgInstitute, a quel tempo nella sua prima sede londinese di

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Millbank. In seguito, grazie alla generosità e previdenzadelle autorità competenti, il Warburg Institute venne as-sociato, con tutta la sua biblioteca, all’Università di Lon-dra. Verso la fine della guerra, Saxl mi invitò ad entrarea far parte del personale dell’Istituto e così ho avuto permolti anni il vantaggio di servirmi della biblioteca fonda-ta da Aby Warburg ed ora gestita dall’Università di Lon-dra. Questa eccezionale biblioteca condiziona tutti colo-ro che ne fanno uso per la speciale disposizione dei libriche riflette la mentalità del suo fondatore. Ho godutoaltresì dell’inestimabile privilegio dell’amicizia dei com-ponenti il personale dell’Istituto. G. Bing è stata al cor-rente per lunghi anni dei miei studi bruniani, senza maifarmi mancare l’appoggio della sua intelligenza e del suoincoraggiamento. L’attuale direttore dell’Istituto, ErnstGombrich, mi ha stimolata, consigliata ed aiutata con lasua grande pazienza e gentilezza nella preparazione dellibro. Molte sono state le conversazioni avute su argo-menti di reciproco interesse con Perkin Walker, ora fa-cente parte del personale dell’Istituto. Tutti costoro han-no letto il manoscritto del libro, suggerendo critiche per-tinenti; G. Bing ha letto le bozze. È difficile poter rico-noscere quanto si deve all’amicizia e alle conversazionicon amici, o esprimere adeguatamente la propria ricono-scenza. Altri amici di vecchia data, ora negli Stati Uniti,sono Charles Mitchell (discussioni appassionate, spessoin sale d’aspetto di stazioni o sui treni) e Rudolf Wittko-wer che mi ha fornito importanti consigli in un momentodecisivo. G. Aquilecchia, consumato filologo bruniano,mi ha gentilmente concesso di vedere una parte di mate-riale inedito. O. Kurz, J. Trapp e tutti i bibliotecari del-l’Istituto mi hanno messo a disposizione la loro compe-tenza; il personale della raccolta fotografica mi ha fornitoil suo aiuto inesauribile.

Mi sono continuamente servita della London Libraryal cui personale vanno i miei ringraziamenti. Il mio de-

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bito verso la biblioteca del British Museum e il suo per-sonale è, inutile dirlo, superiore ad ogni riconoscimento.

Mia sorella, K. W. Yates, ha letto più volte il mano-scritto e le bozze del libro, fornendomi il suo aiuto concorrezioni e suggerimenti e sopperendo alle mie necessi-tà in infiniti modi. Altri membri della mia famiglia eranoancora in vita quando avviai i miei studi su Bruno: a lororivolgo infine il mio pensiero.FRANCES A. YATESWarburg InstituteUniversity of London.

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ABBREVIAZIONI

BibliografiaV. Salvestrini, Bibliografia di Giordano Bruno (1582-1950), seconda edizione postuma a cura di Luigi Fir-po, Firenze 1958.C. H.Corpus Hermeticum, Paris 1945 et 1954. Vol. I, Cor-pus Hermeticum, I-XII, texte établi par A. D. Nock ettraduit par A. – J. Festugière. Vol. II, Corpus Her-meticum, XIII-XVIII, Asclepius, texte établi par A. D.Nock et traduit par A. – J. Festugière. Vol. III, Frag-ments extraits de Stobèe, I-XXII, texte établi et tra-duit par A. – J. Festugière. Vol. IV, Fragments ex-traits de Stobèe, XXIII-XXIX, texte établi et traduitpar A. – J. Festugière; Fragments divers, texte établipar A. D. Nock et traduit par A. – J. Festugière.Dial. ital.Giordano Bruno, Dialoghi italiani, con note di Gio-vanni Gentile, terza edizione a cura di Giovanni Aqui-lecchia, Firenze 1958 (un vol.).DocumentiDocumenti della vita di Giordano Bruno, a cura diVincenzo Spampanato, Firenze 1933.FestugièreA. – J. Festugière, La Révélation d’Hermès Trismégi-ste, Paris 1950-4 (quattro voll.).FicinoMarsilio Ficino, Opera omnia, Basilea 1576 (due volu-mi, con numerazione progressiva).Garin, Cultura

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Eugenio Garin, La cultura filosofica del Rinascimentoitaliano, Firenze 1961.J.W.C.I.Journal of the Warburg and Courtlaud Institutes.Kristeller, StudiesPaul Oskar Kristeller, Studies in Renaissance Thoughtand Letters, Roma 1956.Kristeller, Suppl. fic.Paul Oskar Kristeller, Supplementum ficinianum, Fi-renze 1937 (due voll.).Op. lat.Giordano Bruno, Opere latine, a cura di F. Fiorenti-no, V. Imbriani, C. M. Tallarigo, F. Tocco, G. Vitel-li, Napoli-Firenze 1879-91 (tre voll. in otto parti). Ri-stampa anastatica, 1962 (Friedrich Fromman VerlagGunther Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt).PicoGiovanni Pico della Mirandola, Opera omnia, Basilea1572 (un vol.).ScottHermetica, a cura di W. Scott, Oxford 1924-36 (quat-tro voll.).SommarioAngelo Mercati, Il sommario del processo di GiordanoBruno, Città del Vaticano 1942.Test. uman.Testi umanistici su l’ermetismo, testi di Ludovico Laz-zarelli, F. Giorgio Veneto, Cornelio Agrippa di Net-tesheim, a cura di E. Garin, M. Brini, C. Vasoli, P.Zambelli, Roma 1955.Thorndike

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Lynn Thorndike, A History of Magic and ExperimentalScience, Columbia University Press 1923-41 (sei voll.).WalkerD. P. Walker, Spiritual and Demonic Magic from Ficinoto Campanella, The Warburg Institute, University ofLondon 1958.

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I. ERMETE TRISMEGISTO

I maggiori e più avanzati movimenti del Rinascimentoderivano tutti il loro vigore, il loro impulso essenziale,guardando al passato. La concezione ciclica del tempointeso come un moto perpetuo avanzante da primitiveetà dell’oro, dominio della purezza e della verità, attra-verso successive età bronzee e ferree, era quella domi-nante e perciò la ricerca della verità veniva a identificar-si con la ricerca di quell’oro primitivo, antico e origina-rio, rispetto al quale i più vili metalli dell’età presente edi quella immediatamente trascorsa costituivano corrot-te degenerazioni. La storia dell’uomo non si presenta-va come una evoluzione da primitive origini animali ver-so forme sempre più complesse e progredite; il passatoera sempre meglio del presente e progresso significavaritorno, rinascita, rinascimento dell’antichità. L’umani-sta, mentre veniva recuperando la letteratura e i monu-menti dell’antichità classica, provava la sensazione di fa-re ritorno ad un’aurea e genuina civiltà di gran lunga su-periore alla propria. Il riformatore religioso tornava al-lo studio delle Scritture e degli antichi Padri provando lasensazione di un recupero del tesoro genuino del Vange-lo, rimasto sepolto sotto le successive degenerazioni.

Si tratta di cose ovvie, ed altrettanto ovvio è il fatto cheentrambi questi grandi movimenti di ritorno al passatonon s’ingannavano rispetto alla data dei periodi miglio-ri e più antichi a cui rispettivamente si rivolgevano. L’u-manista sapeva quand’era vissuto Cicerone e conoscevabene le date entro cui si collocava l’età d’oro della cultu-ra classica a cui si riferiva il suo interesse; il riformatore,dal canto suo, anche se non era in grado di stabilire conprecisione la cronologia dei Vangeli, non ignorava che ilsuo tentativo di ritorno era rivolto ai primi secoli del Cri-

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stianesimo. Al contrario, il movimento di ritorno del Ri-nascimento di cui si occupa questo libro, cioè quello ver-so l’età d’oro della magia, era basato su un errore crono-logico radicale. Le opere da cui traeva ispirazione il ma-go rinascimentale, e che egli considerava di grande anti-chità, in realtà erano state scritte fra il II e il III secolo d.C. Egli non si rifaceva, perciò, ad una fonte di sapienzaegiziana, non molto posteriore a quella dei patriarchi eprofeti ebraici e di gran lunga anteriore rispetto a Plato-ne ed agli altri filosofi dell’antichità greca che avrebberotutti attinto – secondo la ferma convinzione del mago ri-nascimentale – a quella sacra, sorgente. In realtà egli ri-saliva semplicemente all’ambiente pagano del Cristiane-simo primitivo, a quella religione del mondo, fortementeimbevuta di influenze magiche e orientali, che aveva, co-stituito la versione gnostica della filosofia greca e il rifu-gio per quei pagani stanchi che andavano in cerca di unarisposta ai problemi della vita, diversa da quella offertadai primi cristiani, loro contemporanei.

Il dio egiziano Thoth, scriba degli dei e depositariodella sapienza era stato identificato dai Greci col dio Er-mete e dotato, in alcuni casi, dell’epiteto di «tre voltegrande»1. I Latini fecero propria questa identificazionedi Ermete o Mercurio con Thoth e Cicerone spiega, nelDe natura deorum, che esisterono di fatto cinque Mercu-ri: l’ultimo di loro, dopo aver ucciso Argo, era stato co-stretto a recarsi esule in Egitto dove «dette agli Egizia-ni leggi e lettere» e assunse il nome di Theuth o Thoth2.Sotto il nome di Ermete Trismegisto si sviluppò una va-sta letteratura in lingua greca, in cui si trattava di astro-logia e di scienze occulte, delle virtù segrete delle pian-te e delle pietre nonché della relativa magia basata sullaloro conoscenza, della fabbricazione di talismani per at-

1 Festugière, I, pp. 67 sgg.2 Cicerone, De natura deorum, III, 22.

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tingere il potere delle stelle, e via dicendo. Oltre a questitrattati o raccolte di formule per praticare la magia astra-le, diffusi sotto il nome di Ermete, si sviluppò anche unaletteratura filosofica attribuita allo stesso nome venera-to. Non si conosce il periodo in cui questo complesso dimotivi ermetici venne impiegato per la prima volta a sco-pi filosofici, ma l’Asclepius e il Corpus Hermeticum, checostituiscono i più importanti Hermetica filosofici giun-ti fino a noi, vanno datati probabilmente fra il 100 e il300 d. C.3. Benché queste opere presentino una struttu-ra pseudo-egiziana, molti studiosi hanno pensato che es-se contengano pochissimi elementi genuinamente egizia-ni. Altri giungono invece ad ammettere in esse una cer-ta influenza di credenze egiziane originali4. In ogni caso,tuttavia, esse non furono certamente composte in età an-tichissima da un sacerdote egiziano di grande sapienza,come si credette durante il Rinascimento, bensì da variautori sconosciuti, probabilmente tutti greci5, e conten-gono elementi di filosofia popolare greca, un miscuglio

3 C. H., I, p. V (prefazione di Nock); Festugière, III, p. 1.4 Come dice Bloomfield, «gli studiosi hanno oscillato da un

estremo all’altro circa la questione degli elementi egiziani nel-l’ermetismo» (cfr. M. W. Bloomfield, The Seven Deadly Sins,Michigan 1952, p. 342 ed i richiami ivi contenuti). Festugiè-re non si occupa quasi affatto di tale questione e concentra lasua attenzione soprattutto sulle influenze greche reperibili negliHermetica. In un cauto riepilogo di Bloomfield (op. cit., p. 46)si legge: «Questi scritti sono principalmente il prodotto di neo-platonici egiziani profondamente influenzati da stoicismo, giu-daismo, teologia persiana e probabilmente da credenze egizia-ne indigene, oltre che, naturalmente, da Platone, e in partico-lare dal Timeo. Essi costituivano forse la bibbia di una religio-ne misterica egiziana che nel suo nucleo essenziale risaliva pro-babilmente al II secolo a. C.». La teoria del culto misterico ècontestata da Festugière, I, pp. 81 sgg.

5 Secondo l’opinione di Nock e Festugière; cfr. C. H., loc.cit.; Festugière, I, pp. 85 sgg.

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di platonismo e stoicismo, combinati con alcune influen-ze ebraiche e, probabilmente, persiane. Sono molto di-verse l’una dall’altra, ma esprimono tutte un’atmosferad’intensa pietà. L’Asclepius si propone di descrivere lareligione degli Egiziani insieme ai riti ai processi magiciper mezzo dei quali essi riuscirono a trasfondere le po-tenze del cosmo nelle statue dei loro dei. Questo trattatoci è pervenuto nella traduzione latina anticamente attri-buita ad Apuleio di Madaura6. Il Pimander (il primo deitrattati contenuti nel Corpus Hermeticum, comprenden-te complessivamente quindici dialoghi ermetici7) descri-ve la creazione del mondo in termini parzialmente similia quelli della Genesi. Gli altri trattati descrivono l’asce-sa dell’anima attraverso le sfere dei pianeti fino al supre-mo regno divino, oppure forniscono estatiche descrizio-ni del processo di rigenerazione per mezzo del quale l’a-nima viene spezzando le catene che la legano al mondomateriale riempiendosi di poteri e virtù divini.

Nel primo volume della sua opera, La Révélationd’Hermès Trismégiste8, Festugière ha analizzato la men-talità dell’epoca, approssimativamente il II secolo d. C.,nella quale vennero scritti l’Asclepius e i trattati ermeti-ci giunti fino a noi nella raccolta del Corpus Hermeticum.Da un punto di vista esteriore quel mondo si presentaestremamente ben organizzato e pacifico. La pax roma-na aveva raggiunto il culmine della sua diffusione e leeterogenee popolazioni dell’Impero erano governate dauna efficiente burocrazia. Eccellenti erano le comunica-

6 Tale attribuzione, errata, risale al IX secolo; cfr. C. H., II,p. 259; sulla versione copta cfr. in seguito.

7 Non è noto quando il Corpus Hermeticum sia stato per laprima volta riunito in una raccolta; tuttavia esso era già noto inquesta forma a Psello nell’XI secolo; cfr. C. H., I, pp. XLVII-L(prefazione di Nock).

8 Festugière, I, pp. 1 sgg.

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zioni lungo le grandi strade romane. Le classi colte ave-vano assorbito una cultura di tipo greco-romano, basatasulle sette arti liberali. La condizione mentale e spiritua-le di questo mondo era singolare. Il possente sforzo in-tellettuale della filosofia greca si era esaurito, giungendoa un punto morto, probabilmente a causa del fatto cheil pensiero greco non aveva mai compiuto l’importantepasso avanti verso la verifica sperimentale delle ipotesi:un passo, questo, che non sarebbe stato compiuto altroche quindici secoli più tardi con la nascita del pensieroscientifico moderno nel Seicento. Il mondo del II secoloera stanco della dialettica greca che si mostrava incapa-ce di raggiungere risultati sicuri. Platonici, stoici, epicu-rei non sapevano far di meglio che ripetere le teorie delleloro diverse scuole senza cercare di spingere più oltre leloro ricerche, mentre le dottrine delle scuole venivano ri-dotte in termini manualistici, in trattati che costituironoil fondamento dell’istruzione filosofica in tutto l’Impero.Nella misura in cui denuncia la sua origine greca, la filo-sofia degli scritti ermetici presenta questi tratti standar-dizzati, con un’infarinatura di platonismo, di neoplatoni-smo, di stoicismo e delle altre scuole filosofiche greche.

Tuttavia questo mondo del II secolo cercava intensa-mente una conoscenza della realtà, una risposta ai propriproblemi che l’educazione normale non era in grado difornire. Perciò esso si volgeva altrove per trovare tale ri-sposta, all’intuizione, al misticismo, alla magia. Poiché laragione sembrava esser venuta meno al proprio compito,esso si dette a coltivare il Nous, cioè la facoltà intuitivadell’uomo. La filosofia doveva essere usata non alla stre-gua di un esercizio dialettico, ma come una via per con-seguire una conoscenza intuitiva del divino e del signifi-cato del mondo, in breve, come una gnosi alla quale eranecessario prepararsi attraverso una disciplina ascetica eun comportamento religioso. I trattati ermetici, spessostrutturati come dialoghi fra maestro e discepolo, culmi-

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nano di solito in una specie di estasi nel corso della qua-le l’adepto si convince di aver ricevuto un’illuminazionee prorompe in inni di lode. Si ha l’impressione che egliottenga tale illuminazione attraverso la contemplazionedel mondo o del cosmo, o piuttosto attraverso la con-templazione del cosmo così come esso è riflesso nel suoNous o mens che ne evidenzia il divino significato e as-sicura all’adepto un dominio spirituale su di esso, comeavviene nella ben nota rivelazione o esperienza gnosticadell’ascesa dell’anima attraverso le sfere dei pianeti finoalla sua immersione nel divino. In tal modo quella reli-gione del mondo che costituisce una specie di filone na-scosto di gran parte del pensiero greco, e in particolaredel platonismo e dello stoicismo, nell’ermetismo diven-ta una religione vera e propria, un culto senza templi eliturgia, praticato nella solitudine della mente, una filo-sofia religiosa o una religione filosofica contenente unagnosi.

Gli uomini del II secolo avevano la ferma convinzione(passata in seguito ai loro eredi rinascimentali) che anti-chità fosse sinonimo di santità e di purezza e che i piùantichi filosofi avessero una conoscenza degli dei di granlunga superiore a quella degli irriducibili razionalisti, lo-ro successori. Da qui la vigorosa rinascita di motivi pi-tagorici in questo periodo. Essi avevano altresì l’impres-sione che tutto ciò che fosse remoto e distante possedes-se una maggiore santità9: da qui il loro culto per i «bar-bari», i gimnosofisti indiani, i Magi persiani, gli astro-logi caldei, la cui conoscenza veniva sentita improntatada una maggiore religiosità rispetto a quella dei Greci10.Nel crogiuolo dell’Impero, in cui tutte le religioni veni-vano tollerate, molte erano le occasioni di venire a co-noscenza dei culti orientali. Soprattutto gli Egiziani era-

9 Ibid., I, pp. 14 sgg.10 Ibid., I, pp. 19 sgg.

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no venerati in questa età. I templi egiziani erano anco-ra frequentati e i devoti del mondo greco-romano ane-lanti alla verità e alla rivelazione divine erano soliti com-piere pellegrinaggi a remoti templi egiziani e trascorrerela notte nei paraggi con la speranza di ricevere in sognoqualche visione dei misteri divini11. L’opinione che l’E-gitto fosse la fonte originaria di ogni scienza e che i mag-giori filosofi greci vi si fossero recati e avessero conver-sato coi sacerdoti del luogo, era diffusa da molto tempoe nell’atmosfera spirituale del II secolo l’antica e miste-riosa religione egiziana, la supposta profondità di cono-scenze dei suoi sacerdoti, la loro ascetica condotta di vi-ta, le pratiche di magia religiosa loro attribuite nei reces-si più nascosti dei templi, offrivano spunti di fortissimaattrazione. È questo stato d’animo filoegiziano del mon-do greco-romano che si riflette nell’Asclepius ermetico,con tutte le singolari descrizioni delle pratiche magicheper mezzo delle quali i sacerdoti egiziani animavano lestatue degli dei e con la conturbante profezia, secondola quale la religione egiziana era destinata a estinguersi.«In quel momento», così si sarebbe espresso Ermete Tri-smegisto, sacerdote egiziano, parlando al suo discepoloAsclepio, «in quel momento, stanchi della vita, gli uo-mini non considereranno più il mondo come degno og-getto della loro ammirazione e del loro rispetto. QuestoTutto, la miglior cosa che esista, l’ottima fra tutte le co-se del passato, del presente e del futuro, rischierà di pe-rire; gli uomini lo considereranno un fardello inutile e diconseguenza questa totalità dell’universo verrà disprez-zata e non più venerata, questa incomparabile creazionedivina, questa costruzione mirabile, questa ottima crea-zione costituita, da una infinita diversità di forme, stru-mento della volontà di Dio il quale, senza invidia, elar-gisce la sua grazia a tutta la creazione, in cui è riunito in

11 Ibid., I, pp. 46 sgg.

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un tutto unico, in una diversità armoniosa tutto ciò cheo degno di reverenza, lode e amore»12. In tal modo l’E-gitto e la sua religione magica vengono identificati con lareligione ermetica del mondo.

Possiamo così capire come il contenuto degli scritti er-metici ben si prestasse ad incoraggiare l’illusione del ma-go rinascimentale, convinto di disporre, grazie ad essi, diun documento misterioso e prezioso di antichissima sa-pienza, filosofia e magia egiziana. Ermete Trismegisto,un nome mitico associato ad una precisa categoria di ri-velazioni filosofiche gnostiche o a formule e trattati ma-gici, era, per il Rinascimento, una persona reale, un sa-cerdote egiziano vissuto in una remota antichità e auto-re diretto di queste opere. I frammenti di filosofia gre-ca che egli rinveniva in esse, derivanti dall’ormai deca-duto insegnamento filosofico diffuso nei primi secoli d.C., finivano per confermare il lettore rinascimentale nel-la convinzione di attingere in esse a quella fonte di anticasapienza da cui Platone e gli altri filosofi greci avevanoricavato il meglio delle loro conoscenze.

Questo enorme errore storico era destinato a produrrerisultati sorprendenti.

Era su una base di eccellente autorità che il Rinasci-mento considerava Ermete Trismegisto una persona real-mente vissuta in tempi antichissimi e autore degli scrit-ti ermetici, poiché tutto ciò era stato implicitamente cre-duto dai principali Padri della Chiesa, in particolare daLattanzio e Agostino. Naturalmente a nessuno sarebbevenuto in mente di dubitare della retta interpretazionedi questi due autorevolissimi scrittori e costituisce sen-za dubbio una testimonianza notevole, sia per l’autori-tà che per l’antichità degli autori, della preminente im-portanza degli scritti ermetici e del precoce e completosuccesso della leggenda di Ermete, il fatto che Lattanzio,

12 C. H., II, p. 328.

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scrivendo nel III secolo, e Agostino nel IV, accettasseroentrambi senza riserve questa leggenda.

Dopo aver citato Cicerone a proposito del quintoMercurio che avrebbe dato «leggi e lettere agli Egizia-ni», Lattanzio, nelle Institutiones, prosegue dicendo chequesto Ermete egiziano, «benché fosse solo un uomo,era tuttavia di grande antichità e perfettamente dotatodi ogni specie di sapere; cosicché la conoscenza di moltiargomenti e di molte arti gli procurò il nome di Trisme-gisto. Egli scrisse libri in gran numero, riguardanti la co-noscenza delle cose divine, in cui rivendica la maestà delsupremo ed unico Dio e Ne fa menzione sotto gli stessinomi che usiamo noi: Dio e Padre»13. Con l’espressione«libri in gran numero» Lattanzio certamente allude agliscritti ermetici giunti fino a noi, poiché egli fa diverse ci-tazioni da alcuni trattati del Corpus Hermeticum ed an-che dall’Asclepius14. Che Lattanzio facesse risalire Erme-te Trismegisto e i suoi libri ad una data molto antica, losi può ricavare da una sua osservazione contenuta nel Deira Dei, dove afferma che Trismegisto è molto più anticodi Platone e Pitagora15.

Nelle Institutiones di Lattanzio si trovano molte altrecitazioni e riferimenti relativi a Ermete Trismegisto. Loscrittore latino pensava evidentemente che Ermete pote-va essergli valido alleato nella sua campagna diretta adutilizzare la sapienza pagana a sostegno della verità delCristianesimo. Nella citazione più sopra riportata Lat-tanzio sottolinea il fatto che Ermete, come i cristiani, at-tribuisce a Dio l’appellativo di «Padre» e di fatto questaparola viene usata non infrequentemente negli scritti er-metici, a designare l’essere supremo. Ancor più indica-

13 Lattanzio, Div. inst., I, 6.14 Sulle citazioni lattanziane dagli Hermetica, cfr. C. H., I, p.

XXXVIII; II, pp. 259, 276-7.15 Lattanzio, De ira Dei, XI.

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tivo era, però, l’uso dell’espressione «Figlio di Dio» im-piegata da Ermete per indicare il demiurgo. Onde dimo-strare questa sorprendente conferma della verità del Cri-stianesimo da parte dell’antichissimo scrittore egiziano,Lattanzio cita, in greco, un passo dell’Asclepius (una ci-tazione, questa, che è servita a tramandarci alcuni fram-menti dell’originale greco, andato perduto):

Ermete, nel libro intitolato La parola perfetta, usò queste parole:«Il Signore e Creatore di tutte le cose, che abbiamo a buondiritto chiamato Dio, dopo che ebbe creato il secondo Dio,visibile e sensibile... Dopo averlo, dunque, creato per primo,solo, e unico, questi Gli apparve bello e ricolmo di ogni bene;allora Egli lo santificò e lo amò in tutto come Suo figlio»16.

La Parola perfetta, o Sermo perfectus, o una traduzio-ne corretta del titolo greco originale dell’Asclepius17 e ilpasso citato in greco da Lattanzio corrisponde, appros-simativamente a un passo della nostra traduzione latina.In tal modo l’Asclepius, quest’opera contenente la miste-riosa descrizione del modo usato dagli Egiziani per fab-bricare i loro idoli e il Lamento per la religione egiziana,viene santificato poiché sembra contenere una profeziasul Figlio di Dio.

Gli scrittori ermetici non usarono l’espressione «Figliodi Dio» soltanto nell’Asclepius. Infatti all’inizio del Pi-mander, contenente una descrizione ermetica della crea-zione, si dice che l’atto creatore avviene per mezzo diuna Parola luminosa, che è il Figlio di Dio18. Discuten-do del Figlio di Dio come Parola creatrice, con citazio-ni dalle Scritture, Lattanzio introduce anche una confer-ma pagana, sottolineando che i Greci parlarlo di Lui co-

16 Lattanzio, Div. inst., IV, 6; egli cita da Asclepius, 8 (C. H.,II, p. 304).

17 Cfr. C. H..18 Cfr. in seguito.

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me del Logos, e altrettanto fa Trismegisto. Senza dub-bio egli doveva avere in mente il passo del Pimander sul-la Parola creatrice considerata come Figlio di Dio, e ag-giunge che «Trismegisto, il quale in un modo o nell’altrogiunse a penetrare quasi tutta la verità, descrisse spessol’eccellenza e la maestà della Parola»19.

Di fatto, Lattanzio giudica Ermete Trismegisto comeuno dei più importanti veggenti e profeti pagani, uno cheaveva previsto l’avvento del Cristianesimo poiché avevaparlato del Figlio di Dio e della Parola. In tre passi del-le Institutiones egli cita Trismegisto insieme alle Sibille,quali testimoni dell’avvento di Cristo20. In nessuna occa-sione Lattanzio dice alcunché contro Ermete Trismegi-sto. Egli viene sempre presentato come lo scrittore piùantico e illuminato, autore di opere il cui tenore è com-patibile col Cristianesimo e che per la sua menzione delDio Figlio può essere annoverato, insieme alle Sibille, frai profeti pagani. In altri passi di carattere generale Lat-tanzio condanna il culto delle immagini ed esprime an-che la convinzione che i demoni usati dai maghi altronon siano che maligni angeli caduti21. Ma queste osser-vazioni non vengono da lui mai associate a Trismegistoche appare sempre nella veste di una venerata autoritàin fatto di verità divine. Non c’è quindi da meravigliar-

19 Lattanzio, Div. inst., IV, 11.20 Ibid., I, 6; IV, 6; VIII, 18. Gli stessi oracoli sibillini

non erano di fatto più antichi degli Hermetica. False profeziesibilline di origine ebraica cominciarono a circolare in dataimprecisata e vennero in seguito riadattate dai cristiani. Èdifficile poter distinguere negli Oracula sybillina gli elementidi origine ebraica da quelli di origine cristiana. Cfr. M. J.Lagrange, Le judaïsme avant Jésus-Christ, Paris 1931, pp. 505-11; A. Puech, Histoire de la littérature grecque chrétienne, Paris1928, II, pp. 603-15; e la nota di G. Bardy in Oeuvres de SaintAugustin, Desclée de Brouwer, vol. 36, 1960, pp. 755-9.

21 Lattanzio, Div. inst., II, 15.

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si che Lattanzio diventasse uno dei Padri prediletti dalmago rinascimentale che non volesse rinunciare a restarecristiano.

Invece Agostino presentava delle difficoltà per un let-tore di questo genere, poiché nel De civitate Dei egli pro-nuncia una severa condanna contro ciò che «Ermete l’E-giziano, detto Trismegisto» aveva scritto intorno agli ido-li, cioè contro il brano dell’Asclepius, citato per intero daAgostino, sul modo in cui gli Egiziani, nelle loro prati-che di magia religiosa, animavano magicamente le sta-tue degli dei, infondendovi lo spirito22. Agostino si servequi non di un testo greco dell’Asclepius, come aveva fat-to Lattanzio, ma di quella stessa traduzione latina che ègiunta fino a noi e che quindi deve esser fatta risalire al-meno al IV secolo23. Come si è già accennato, questa tra-duzione soleva essere attribuita ad Apuleio di Madaura.

Il contesto in cui Agostino muove il suo attacco con-tro il brano idolatrico dell’Asclepius è importante. Eglisi scaglia infatti contro la magia in generale e in partico-lare contro l’opinione di Apuleio di Madaura in fatto dispiriti o daemones24.

Apuleio di Madaura è un esempio singolare di quel-la categoria di uomini che, dopo aver ricevuto un’eleva-ta educazione nella cultura generale del mondo greco-romano, alla fine, stanchi degli stantii insegnamenti del-le scuole, cercarono la salvezza nella scienza occulta, inparticolare in quella di tipo egiziano. Nato verso il 123 d.C., Apuleio venne educato a Cartagine e ad Atene, dopo-diché si recò in Egitto dove venne coinvolto in un pro-cesso sotto l’accusa di magia. La sua fama è legata allameravigliosa novella popolarmente nota col titolo di Asi-

22 Agostino, De civitate Dei, VIII, 23-26; egli cita da Ascle-pius, 23, 24, 37; cfr. C. H., pp. 325 sgg.

23 C. H., II, p. 259.24 Agostino, De civitate Dei, VIII, 13-22.

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no d’oro25, il cui protagonista viene trasformato in asinodalle streghe e, dopo molte sofferenze subite sotto questespoglie animali, torna ad acquistare le sembianze umanein seguito ad una visione estatica della dea Iside, apparsa-gli su una spiaggia solitaria dove egli vagava in preda al-la disperazione. Alla fine egli diventa sacerdote di Isidein un tempio egiziano. Il tono complessivo della novel-la, con il suo tema etico (la forma animale costituisce in-fatti la punizione di una trasgressione), la sua iniziazioneestatica o illuminazione, la sua coloritura egiziana, è si-mile a quello degli scritti ermetici. Benché Apuleio nonsia stato di fatto il traduttore dell’Asclepius, quest’operadev’essergli indubbiamente apparsa del tutto congeniale.

Agostino definisce Apuleio un platonico e lo attaccaper le sue opinioni intorno agli spiriti aerei o daemones,da lui considerati intermediari fra gli dei e gli uomini nelsuo scritto sul «demone» di Socrate. Agostino lo giudicaempio, non perché non creda negli spiriti aerei o demo-ni, ma. in quanto li ritiene spiriti maligni o diavoli. Eglipassa poi ad attaccare Ermete Trismegisto per aver lo-dato le pratiche magiche con cui gli Egiziani infondeva-no tali spiriti o demoni nelle statue degli dei, rendendole,così, animate e trasformandole a loro volta in divinità. Aquesto punto egli cita testualmente il passo dell’Asclepiussulla creazione umana degli dei. Quindi si mette a di-scutere la profezia sulla fine della religione egiziana, eil lamento per tale decadenza, che egli interpreta comeuna profezia della fine dell’idolatria grazie all’avvento delCristianesimo. Dunque, anche in questo testo agostinia-no, Ermete Trismegisto appare come un profeta dell’av-vento del Cristianesimo, benché Agostino gli tolga ognimerito a questo proposito, affermando che la prescienzadel futuro gli derivava dai demoni da lui venerati.

25 Cfr. la traduzione italiana di Agnolo Firenzuola, Venezia1550.

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Ermete presagisce queste cose in quanto alleato del diavolo,e, pur dissimulando l’evidenza del nome cristiano, predice,con accento addolorato, che da esso proverrà la distruzione ditutte le loro idolatriche superstizioni. Ermete era infatti unodi coloro che (come dice l’Apostolo), «pur conoscendo Dio,né lo glorificavano come tale, né Gli si mostravano grati, manutrivano fallaci fantasie e avevano, come sciocchi, il cuorepieno di oscurità...»26.

Tuttavia, prosegue Agostino, «questo Ermete dice diDio molte cose secondo la verità», anche se era accecatodalla sua ammirazione per l’idolatria egiziana e gli vennesuggerita dal diavolo la profezia della futura distruzionedi essa. Quale esempio antitetico egli cita un vero profetacome Isaia, il quale disse: «Gli idoli dell’Egitto verrannorimossi alla Sua presenza e il cuore dell’Egitto si liquefaràin essa»27.

Agostino non fa alcun accenno al passo di Ermete sul«Figlio di Dio» e probabilmente tutta la sua versione diquesto tema vuole essere, almeno in parte, una rispostaalla glorificazione di Ermete come profeta pagano, fattada Lattanzio.

Le opinioni agostiniane su Ermete naturalmente met-tevano in difficoltà i molti devoti ammiratori rinascimen-tali degli scritti ermetici. Si offrivano loro varie inter-pretazioni possibili. Una consisteva nell’affermare che ilpasso idolatrico dell’Asclepius era un’interpolazione ope-rata dal mago Apuleio nella traduzione latina e che quin-di esso non compariva nell’originale greco di Ermete,andato perduto. Questa interpretazione venne adotta-ta, come si vedrà in seguito, da vari ermetici del XVIsecolo28. Tuttavia, per il mago rinascimentale, la ma-

26 Agostino, De civitate Dei, VIII, 23; la citazione è da Roma-ni, I, 21.

27 Isaia, XIX, 1.28 Cfr. in seguito.

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gia contenuta nell’Asclepius rappresentava il motivo dimassima attrazione degli scritti ermetici. Come poteva,dunque, un mago cristiano eludere il verdetto di Agosti-no? Marsilio Ficino lo fece citando dapprima la condan-na agostiniana e poi ignorandola, sia pure timidamente,attraverso la pratica della magia. Giordano Bruno, inve-ce, avrebbe scelto una soluzione più audace, sostenendoche la religione magica egiziana del mondo era non solola più antica ma anche l’unica vera religione, successiva-mente oscurata e corrotta dal Giudaismo e dal Cristiane-simo.

Nel De civitate Dei si trova un altro passo su Erme-te Trismegisto, staccato però nettamente da quello sull’i-dolatria egiziana e in un contesto del tutto diverso. Ago-stino sta trattando della grandissima antichità della lin-gua ebraica e di come i profeti e i patriarchi ebraici sia-no di gran lunga anteriori rispetto ai filosofi pagani e lasapienza dei patriarchi anteriore a quella egiziana.

E pensi tu in che cosa consisteva la loro [degli Egiziani] grandesapienza? In verità, in nient’altro che nell’astronomia e in altrescienze che sembravano servire di più ad esercitare l’ingegnoche ad elevare la conoscenza. Infatti, per quanto concernela morale, essa non prese vigore in Egitto che al tempo diTrismegisto, il quale visse molto prima dei saggi e dei filosofigreci ma dopo Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe ed ancheMosè; che nel tempo in cui nacque Mosè viveva Atlante, ungrande astronomo, fratello di Prometeo, ed egli era nonno, daparte di madre, di Mercurio il Vecchio che generò il padre diquesto Trismegisto29.

Agostino confermava così, col gran peso della sua au-torità, l’antichità remota di Ermete Trismegisto, dicen-do che egli era vissuto «molto prima dei saggi e dei fi-losofi, greci». Assegnandogli poi, questa curiosa genea-

29 Agostino, De civitate Dei, XVIII, 29.

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logia, che lo faceva risalire a tre generazioni dopo Mo-sè, Agostino sollevava la questione, in seguito assai di-battuta, delle date rispettive di Mosè e di Ermete. Eradunque Ermete di poco posteriore a Mosè, sebbene mol-to più antico dei Greci, come diceva Agostino? Oppu-re era contemporaneo di Mosè o addirittura anteriore alui? Queste discordanti opinioni furono di volta in voltasostenute dagli ermetici e dai maghi posteriori. La neces-sità di datare Ermete Trismegisto rispetto a Mosè era sti-molata in particolare dalle affinità con la Genesi che do-vevano indubbiamente saltare agli occhi di ogni lettoredel Pimander ermetico.

Ulteriori particolari su Ermete Trismegisto potevanoessere rinvenuti in altri antichi scrittori cristiani30, spe-cialmente in Clemente Alessandrino il quale, nella suasingolare descrizione della processione dei sacerdoti egi-ziani, dice che il cantore alla testa della processione por-tava due libri di musica e di inni composti da Ermete el’addetto agli oroscopi quattro altri suoi libri sulle stelle.Nel corso della sua descrizione Clemente precisa che ilibri di Ermete Trismegisto sono complessivamente qua-rantadue: trentasei comprendenti l’intera filosofia egizia-na e gli altri sei dedicati alla medicina31. È molto impro-babile che Clemente conoscesse qualcuno degli Hermeti-ca giunti fino a noi32; tuttavia il lettore rinascimentale cre-deva di possedere nel Corpus Hermeticume nell’Asclepiusi resti preziosi di quella grande biblioteca sacra di cuiparla Clemente.

30 Cfr. la raccolta di Testimonia, in Scott, vol. I.31 Clemente Alessandrino, Stromata, VI, 4, 35-38. Cfr. Fe-

stugière, I, pp. 75 sgg.32 Clemente non fa alcun accenno agli scritti ermetici, dal che

Scott conclude che egli o non li conosceva o sapeva che nonerano di data molto antica (I, pp. 87-90).

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Intorno al 1460 un manoscritto greco venne portato aFirenze dalla Macedonia: ne era latore un monaco, unodi quei molti agenti impiegati da Cosimo de’ Medici perraccogliergli manoscritti. Esso conteneva una copia delCorpus Hermeticum, non del tutto completa in quantocomprendeva solo quattordici dei quindici trattati dellaraccolta: l’ultimo era quello mancante33. Benché i mano-scritti platonici fossero già tutti riuniti e aspettassero so-lo di venire tradotti, Cosimo ordinò a Ficino di metterlida parte e di tradurre subito l’opera di Ermete Trisme-gisto prima di affrontare i filosofi greci. È lo stesso Fici-no a darci questa notizia, in quella dedica a Lorenzo de’Medici del commento a Plotino in cui descrive l’impul-so dato agli studi greci dall’arrivo a Firenze di GemistoPletone e di altri dotti bizantini in occasione del Conci-lio, e come Cosimo avesse commissionato a lui personal-mente la traduzione dei tesori della filosofia greca giun-ti allora in Occidente da Bisanzio. Cosimo, egli dice, gliaveva consegnato le opere di Platone per tradurle; ma nel1463 Cosimo fece sapere a Ficino che egli doveva tradur-re subito, per primo, Ermete e passare in seguito a Pla-tone: «mihi Mercurium primo Termaximum, mox Pla-tonem mandavit interpretandum»34. Ficino portò a ter-mine la traduzione in pochi mesi, mentre il vecchio Co-

33 Il manoscritto su cui Ficino condusse la sua traduzionetrovasi nella Biblioteca Laurenziana (Laurentianus, LXXI 33(A)). Cfr. Kristeller, Studies, p. 223; il cap. XI di questolibro è la ripubblicazione, in forma riveduta, di un articoloche Kristeller pubblicò nel 1938 e che inaugurò gli studi sullatraduzione ficiniana del Corpus Hermeticum. Tutti gli studiosidell’ermetismo rinascimentale debbono molto alle ricerche diKristeller.

34 Dedica di Ficino a Lorenzo de’ Medici dell’epitome e delcommento a Plotino; Ficino, p. 1537.

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simo, che morì nel 1464, era tuttora in vita. Quindi sidedicò a Platone35.

È una situazione straordinaria: ci sono, disponibili, leopere complete di Platone, ed esse debbono aspettareche Ficino abbia tradotto, sia pure velocemente, Erme-te, probabilmente perché Cosimo lo vuole leggere primadi morire. Quale testimonianza può essere più indicativadella misteriosa reputazione del «tre volte grande»? Co-simo e Ficino sapevano dai Padri che Ermete Trismegi-sto era molto più antico di Platone. Essi conoscevano an-che l’Asclepius latino che stimolava il desiderio di attin-gere altra antica sapienza egiziana dalla medesima fon-te remota36. L’Egitto veniva prima della Grecia, Ermeteprima di Platone. Il rispetto rinascimentale per tutto ciòche fosse antico, originario, remoto, e quindi più vicinoalla verità divina, portava come conseguenza che il Cor-pus Hermeticum venisse tradotto prima della Repubblicao del Simposio platonici, e così esso fu di fatto il primotesto a venir tradotto da Ficino.

Egli dette alla sua traduzione il titolo di Pimander: nelCorpus Hermeticum questo titolo si riferiva solo al pri-

35 «Mercurium paucis mensibus eo uiuente [riferito a Cosi-mo] peregi. Platonem tunc etiam sum aggressus»; Ficino, loc.cit. Cfr. Kristeller, Studies, p. 223; A. Marcel, Marsile Ficin,Paris 1958, pp. 255 sgg.

36 Per capire questo entusiasmo sarebbe necessaria una sto-ria dell’ermetismo nel Medioevo e nel Rinascimento prima diFicino. Per alcune indicazioni sull’influenza dell’Asclepius du-rante il Medioevo, cfr. C. H., II, pp. 267-75. L’interesseper l’ermetismo (basato principalmente sull’Asclepius e sullopseudo-ermetico Liber Hermetis Mercurii Triplicis de VI rerumprincipiis) è uno degli aspetti tipici del Rinascimento del XII se-colo. Per l’influenza di queste opere su Ugo di San Vittore, cfr.il Didascalicon, trad. di Jerome Taylor, Columbia 1961, intro-duzione, pp. 19 sgg. e note.

Molti degli scritti magici, alchimistici e astrologici attribuitiad Ermete erano ovviamente noti nel Medioevo: cfr. in seguito.

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mo trattato ma egli lo applicò a tutto il Corpus o, piutto-sto, ai quattordici trattati contenuti nel suo manoscritto.Ficino dedicò la traduzione a Cosimo e la dedica, o ar-gumentum, come egli lo chiama, rivela lo stato d’animo,l’atteggiamento di profondo timore reverenziale e di stu-pore con cui egli si era avvicinato a questa meravigliosarivelazione di antica sapienza egiziana.

Nel tempo in cui nacque Mosè fioriva l’astrologo Atlante, fra-tello del fisico Prometeo e zio materno di Mercurio il Vecchioil cui nipote fu Mercurio Trismegisto37.

Così inizia l’argumentum, con una versione legger-mente distorta della genealogia agostiniana di Ermeteche lo colloca subito in una remota antichità e quasi inun contesto mosaico.

Di Mercurio hanno scritto Agostino, così continuaFicino, e anche Cicerone e Lattanzio. Egli ripete quindila notizia ciceroniana secondo cui Mercurio dette «leggie lettere» agli Egiziani, aggiungendo che questi fondò lacittà chiamata Ermopoli. Egli era un sacerdote egiziano,il più saggio di tutti loro, eccelso come filosofo per la suavasta conoscenza, come sacerdote per la santità di vita eper la pratica dei culti divini, degno infine del rango realecome amministratore delle leggi, qualità, queste, per cuiviene giustamente chiamato «Termaximus», cioè il «trevolte grande»38.

Egli è detto il primo autore di teologia: gli successe Orfeo,secondo fra i teologi dell’antichità; Aglaofemo, che era statoiniziato all’insegnamento sacro di Orfeo, ebbe come successorein teologia Pitagora, di cui fu discepolo Filolao, il maestro del

37 Cfr. l’Argumentum preposto al Pimander ficiniano (Ficino,p. 1836).

38 Questa spiegazione del significato di «tre volte grande» sitrova nel Medioevo; cfr. in seguito.

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nostro divino Platone. C’è, quindi, una teologia antica (prisca,theologia)... che ha la sua origine in Mercurio e culmina neldivino Platone39.

In questa prefazione al Pimander Ficino espone per laprima volta la sua genealogia di sapienti, elaborata nontanto in base a Gemisto Pletone, che non fa menzionedi Trismegisto, quanto ai Padri, e in particolare Ago-stino, Lattanzio e Clemente. Egli doveva ripetere mol-te volte, in seguito, questa sua genealogia: Ermete Tri-smegisto vi compariva sempre o al primo posto, o secon-do solo a Zoroastro (a cui Pletone aveva dato la palmadi primo priscus theologus), oppure primo alla pari conquest’ultimo40. La genealogia della prisca theologia dimo-stra con grande evidenza l’estrema importanza che Fici-no assegnava a Ermete come fons et origo di una tradizio-ne di sapienza che durava ininterrottamente fino a Plato-ne. Dalle opere di Ficino si potrebbero citare molte altre

39 Ficino, loc. cit.40 Nella Theologia platonica Ficino elenca questa genealogia:

1. Zoroastro, 2. Mercurio Trismegisto, 3. Orfeo, 4. Aglaofe-mo, 5. Pitagora, 6. Platone (Ficino, p. 386). Nella prefazione alcommento plotiniano Ficino dice che la teologia divina comin-ciò simultaneamente con Zoroastro fra i Persiani e con Mercu-rio fra gli Egiziani; quindi passa a parlare di Orfeo, Aglaofemo,Pitagora e Platone (ibid., p. 1537).

L’equazione Zoroastro-Ermete avvicina la genealogia ficinia-na a quella di Gemisto Pletone per il quale la più antica fontedi sapienza è Zoroastro a cui fa seguire una serie di intermedia-ri diversa da quella descritta da Ficino ma ricordando anch’e-gli, alla fine, Pitagora e Platone. Cfr. i passi citati dal commen-to di Gemisto Pletone alle Leggi e dalla sua replica a Scholariosin F. Masai, Pléthon et le platonisme de Mistra, Paris 1956, pp.136, 138.

Per un notevole studio delle ficiniane genealogie di sapien-ti, cfr. D. P. Walker, «The “Prisca Theologia” in France»,J.W.C.I., XVII, 1954, pp. 204-59.

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testimonianze della sua opinione incrollabile del prima-to e dell’importanza di Ermete; questo suo atteggiamen-to colpì un antico biografo del filosofo fiorentino che co-sì si espresse: «Egli [Ficino] aveva l’opinione ferma e de-cisa che la filosofia di Platone traesse origine da quella diMercurio, i cui insegnamenti gli sembravano più vicinialla dottrina di Orfeo e, per certi versi, alla nostra Teolo-gia [cioè al Cristianesimo] che non quelli di Pitagora»41.

Mercurio scrisse molti libri riguardanti la conoscenzadelle cose divine, continua Ficino nella prefazione al Pi-mander, in cui rivela misteri arcani. Né egli parla solo co-me filosofo, anzi talvolta canta il futuro da profeta. Egliprevide la rovina dell’antica religione, la nascita di unafede nuova e l’avvento di Cristo. Agostino dubita che ta-le conoscenza gli provenisse dalle stelle o dalla rivelazio-ne dei demoni, ma Lattanzio non esita a collocarlo fra leSibille e i profeti42.

Queste osservazioni (che qui abbiamo parafrasatodall’argumentum senza tradurle completamente) mostra-no lo sforzo, da parte di Ficino, di evitare la condannaagostiniana del suo eroe per l’idolatria egiziana presen-te nell’Asclepius, attraverso l’accentuazione dell’opinio-ne favorevole di Lattanzio. Subito dopo passa a dire che,fra i molti libri scritti da Mercurio, due principalmentesono divini: quello chiamato Asclepius, che il platonicoApuleio aveva tradotto in latino, e quello chiamato Pi-mander (cioè il Corpus Hermeticum) che era stato porta-to dalla Macedonia in Italia e che lui stesso, per ordinedi Cosimo, aveva allora tradotto in latino. Egli esprimeil convincimento che esso fosse stato scritto originaria-

41 Vita di Ficino, pubblicata da un manoscritto del 1591 circain Marcel, op. cit., p. 716.

42 Nella sua opera sulla religione cristiana (De christiana re-ligione, XXV), Ficino colloca Ermete insieme alle Sibille comeprofeti dell’avvento di Cristo (Ficino, p. 29).

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mente in egiziano e quindi tradotto in greco per rivelareai Greci i misteri egiziani.

L’argumentum termina con una nota estatica, indica-tiva di quelle iniziazioni gnostiche di cui si occupano gliHermetica. In quest’opera, sostiene Ficino, splende unaluce di divina illuminazione. Essa ci insegna come, sol-levandosi al di sopra degli inganni dei sensi e delle nu-bi della fantasia, si debba rivolgere la nostra mente allaMente divina, come la luna si rivolge al sole, cosicché Pi-mandro, cioè la Mente divina, possa penetrare nella no-stra mente mettendoci in grado di contemplare l’ordinedi tutte le cose così come esse esistono in Dio.

Nell’introduzione alla sua edizione degli HermeticaScott ha delineato come segue l’atteggiamento di Ficinoverso queste opere:

La teoria ficiniana della relazione fra Ermete Trismegisto e i fi-losofi greci era basata in parte su dati forniti da antichi scrittoricristiani, specialmente Lattanzio e Agostino, e in parte sulle te-stimonianze interne del Corpus Hermeticum e dell’Asclepius la-tino dello Pseudo-Apuleio. Egli si rese conto... che la rassomi-glianza tra le dottrine ermetiche e quelle di Platone era tale daimplicare qualche connessione storica; ma, dando per scontatoche l’autore degli Hermetica fosse vissuto all’incirca al tempo diMosè, egli invertì la relazione reale e ritenne che Platone aves-se derivato la sua teologia, attraverso Pitagora, da Trismegisto.Questa sua opinione venne fatta propria, almeno nelle sue lineegenerali, da tutti coloro che si occuparono di questo tema, sinoalla fine del XVI secolo43.

Si tratta di un dato di fatto incontestabile che tuttigli studiosi del neoplatonismo rinascimentale, inaugura-to dalle traduzioni e dalle opere di Ficino, farebbero be-ne a tenere presente. Non è stato ancora sufficientemen-te indagato quale sia stato l’effetto prodotto su Ficino

43 Scott, I, p. 31. In realtà questa illusione si protrasse anchedopo la fine del XVI secolo; cfr. in seguito, cap. XXI.

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dal suo incontro, improntato da timore reverenziale, congli Hermetica considerati espressione della prisca theolo-gia, la fonte originaria di illuminazione proveniente dallaMens divina e che avrebbe in seguito spinto Ficino stes-so a studiare il nucleo originario del platonismo interpre-tandolo come una gnosi derivata dalla sapienza egiziana.

I contemporanei condivisero la valutazione ficinianadell’importanza estrema degli scritti ermetici poiché, co-me ha messo in evidenza O. P. Kristeller, il Pimander eb-be un’immensa diffusione44. Ne esiste un numero gran-dissimo di manoscritti, superiore a quello di qualsiasi al-tra opera di Ficino. Esso venne stampato per la primavolta nel 1471 e conobbe sedici edizioni successive sinoalla fine del XVI secolo, senza contare quelle in cui es-so appare insieme alle altre opere. Una traduzione italia-na, dovuta a Tommaso Benci, fu stampata a Firenze nel1548. Nel 1505 Lefèvre d’Etaples raccolse in un solo vo-lume il Pimander ficiniano e la traduzione dell’Asclepiusdello Pseudo-Apuleio. La bibliografia delle edizioni, tra-duzioni, raccolte e commenti di scritti ermetici nel XVIsecolo è lunga e complicata45 e testimonia il profondoed entusiastico interesse sollevato da Ermete Trismegi-sto nel corso di tutto il Rinascimento.

Dopo che la Chiesa medievale ebbe messo al bando lamagia, questa fu costretta ad una vita latomica e il mago apraticare in segreto la sua arte aborrita. Poteva darsi cheanche la gente rispettabile ricorresse a lui furtivamentee che egli fosse molto temuto; tuttavia non veniva certoammirato pubblicamente come filosofo religioso. Inve-ce la magia rinascimentale, riformata, dotta e che rifiu-tava in ogni occasione qualsiasi rapporto con la vecchiamagia ignorante, diabolica o nera, costituiva non di rado

44 Kristeller, Studies, pp. 223 sgg.; Suppl. fic., I, pp. LVII-LVIII, CXXIX-CXXXI.

45 Scott, I, pp. 31 sgg. e cfr. in seguito.

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un accessorio del reputato filosofo rinascimentale. Que-sta nuova posizione della magia fu indubbiamente dovu-ta soprattutto al grande afflusso di letteratura di prove-nienza bizantina, in prevalenza risalente ai primi secolidopo Cristo allorché le filosofie dominanti recavano tut-te tracce di occultismo. Il dotto e assiduo lettore di auto-ri come Giamblico, Porfirio o anche Plotino, non pote-va più considerare la magia una materia per gente igno-rante o inferiore. Anche la genealogia di antichi sapienti,che Ficino tanto fece per propagare, favoriva a sua voltauna rinascita della magia, in quanto molti dei prisci theo-logi furono prisci magi e la letteratura su cui essi fonda-vano le loro asserzioni risaliva realmente all’occultismodei primi secoli d. C. All’antichissimo Zoroastro, che tal-volta sostituisce Ermete al primo posto nella catena dellasapienza, venivano attribuiti gli Oracoli caldaici che nonerano, come si supponeva, documenti di una lontanissi-ma antichità ma del II secolo d. C.46. La magia incantato-ria, il cui insegnamento veniva fatto risalire a Orfeo, se-condo nella catena dei prisci theologi, si basava in realtàsugli inni orfici, la maggior parte dei quali risalgono al II

46 Pletone credeva fermamente nella grandissima antichità diquesti oracoli (cfr. Masai, op. cit., pp. 136, 137, 375, ecc.) cheper lui costituivano la fonte primitiva di sapienza zoroastria-na la cui influenza si trasmise fino a Platone. Questa convin-zione corrisponde esattamente all’atteggiamento ficiniano ver-so gli Hermetica. Non era difficile per Ficino mescolare insie-me le acque di questo due fonti antichissime poiché esse eranopress’a poco contemporanee e presentavano caratteristiche si-mili. Parlando degli Hermetica, Nock dice: «Comme les Ora-cles Chaldaïques, ouvrage du temps de Marc-Aurèle, ils nous ré-vèlent une manière de penser, ou plutôt une manière d’user dela pensée, analogue à une sorte de procédé magique...» (C. H.,I, p. VII).

Gli Oracoli caldaici vennero pubblicati da W. Kroll, Deoraculis chaldaicis, in «Breslauer Philolog. Abhandl.», VII,1894, pp. 1-76.

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o III secolo d. C.47. Perciò Ermete Trismegisto non era ilsolo teologo o mago dell’antichità la cui sacra letteraturavenisse erroneamente datata.

Ciò nonostante è probabile che Ermete Trismegistosia la più importante figura nel processo di rinascita del-la magia durante il Rinascimento. L’Egitto veniva tra-dizionalmente associato alle forme più oscure e forti dimagia: ora invece venivano alla luce gli scritti di un sa-cerdote egiziano di straordinaria pietà, a conferma del-l’alta opinione che il Padre della Chiesa Lattanzio ave-va espresso su quest’uomo che gli scrittori più autorevo-li consideravano la fonte di Platone. Quasi certamentefu la scoperta del Corpus Hermeticum, che dimostrava lapietà di Ermete e lo poneva in così stretto rapporto conla filosofia platonica dominante, a riabilitare il suo Ascle-pius, condannato da Agostino per i suoi elementi di ma-ligna magia demonica. La posizione straordinariamentealta assegnata a Ermete Trismegisto in questa nuova etàportò alla riabilitazione dell’Egitto e della sua sapienza, equindi della magia con cui quella sapienza era associata.

47 Sugli Orphica nel Rinascimento, cfr. D. P. Walker, «Or-pheus the Theologian and the Renaissance Plalonists», J.W.C.I.,XVI, 1953, pp. 100-20.

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II. IL «PIMANDER» DI FICINO E L’«ASCLEPIUS»

In questo capitolo riassumerò brevemente il contenu-to di quattro particolari trattati del Corpus Hermeticum,scelti fra i quattordici tradotti da Ficino, e ai quali egli at-tribuì, nel loro insieme, il titolo di Pimander. Indicheròanche i passi più importanti del commento di Ficino a ta-li trattati e cercherò di porre in evidenza la sua meravigliareverenziale davanti alla prefigurazione delle verità mo-saiche e perfino cristiane che, come gli sembrava, era-no state misteriosamente rivelate a questo antichissimoautore egiziano. Infine, sarà brevemente compendiato ilcontenuto dell’Asclepius. In tal modo si spera che il letto-re possa ricevere almeno un’impressione delle due opereche Ficino, nel suo argumentum preposto al Pimander,definisce, associandole insieme, come i due «libri divi-ni» di Ermete Trismegisto, e cioè il libro «Sulla potestà ela sapienza di Dio» (i quattordici trattati del suo Piman-der) e il libro «Sulla volontà divina» (l’Asclepius). Riten-go sia necessario, per la comprensione dell’atteggiamen-to rinascimentale nei confronti della magia, quale si rive-la nell’Asclepius, leggere quest’opera tenendo presente lastraordinaria pietà e la conoscenza delle cose divine cheil Pimander sembrava rivelare.

Il lettore che abbia interesse a conoscere la reale na-tura di queste due opere, quali documenti dello gnosti-cismo pagano dei primi secoli d. C., può consultare icorposi volumi del Festugière su La Révélation d’Her-mès Trismegiste, nei quali egli esamina a fondo il pro-blema delle loro fonti filosofiche e ricostruisce brillante-mente l’atmosfera sociale e religiosa della loro epoca48.

48 Inutile dire che le opere di Reitzenstein, in particolareil suo Poimandres (Leipzig 1904), sono tuttora, fondamentali

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È possibile che gli autori si siano avvalsi di alcune fon-ti ebraiche49, oltre che della corrente filosofica greco-romana; e, poiché è certo che essi sono vissuti dopo lanascita di Cristo, è possibile anche che abbiano avutoqualche notizia del Cristianesimo e del cristiano «Figliodi Dio»50. Ma, per gli scopi che ci proponiamo, i proble-mi critici e storici della letteratura ermetica sono irrile-vanti, perché essi erano completamente ignoti a Ficino eai suoi lettori, e noi intendiamo per l’appunto considera-re questi documenti con lo stesso atteggiamento con cuili considerò Ficino e, dopo di lui, tutto il Rinascimento,cioè come documenti rivelatori dell’antichissima sapien-za egiziana, dovuti a un autore vissuto molto tempo pri-ma di Platone, e dunque molto prima anche della nasci-ta di Cristo. Per realizzare questo nostro proposito, at-tribuirò ai cinque trattati che prenderemo in esame tito-li «egiziani», e chiamerò sempre «Ermete Trismegisto»il loro autore. Mi sembra infatti che, soltanto parteci-pando con un certo grado di simpatia all’enorme illusio-

sull’argomento. Ho tenuto presenti le prefazioni e l’apparatocritico di Scott alla sua edizione degli Hermetica, oltre alleprefazioni e alle note dell’edizione Nock-Festugière. Altreopere utili sono A. D. Nock, Conversion, Oxford 1933; C. H.Dodd, The Bible and the Greeks, London 1935; R. Mc. L.Wilson, The Gnostic Problem, London 1958.

49 In generale si è d’accordo nel riconoscere che il primo trat-tato del Corpus Hermeticum, il Pimander, contiene alcuni ele-menti ebraici, mentre si hanno opinioni discordi sulla misura incui l’autore sia debitore verso la tradizione giudaico-ellenistica.

50 La maggior parte degli studiosi sono del parere che ne-gli Hermetica si trovino ben scarsi clementi di influenza cri-stiana. Secondo Dodd, che pone in primo piano l’influenzaebraica, «i motivi degli Hermetica che potrebbero far sospet-tare una influenza cristiana, sono spiegabili con la presenza diidee ebraico-ellenistiche alla base sia degli Hermetica che delNuovo Testamento» (op. cit., p. XV, nota).

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ne della loro lontana antichità e del loro carattere egizia-no, si possa sperare di avvertire pienamente la grandis-sima influenza che queste opere esercitarono sul lettorerinascimentale.

Tuttavia, prima di sprofondarci in questa grande illu-sione egiziana, sono necessari alcuni rilievi critici.

Intanto, non c’è dubbio che queste opere debbano at-tribuirsi alla mano di diversi autori sconosciuti, vissutia distanza di considerevoli periodi di tempo l’uno dal-l’altro. Persino i singoli trattati sono spesso di caratterecomposito, e risultano costituiti da vari scritti riuniti in-sieme. Di conseguenza, anche il loro contenuto è quantomai vario, e talvolta di carattere contraddittorio. Non sipuò desumere da essi alcun sistema effettivamente coe-rente. Né, d’altra parte, erano preordinati a costituire unsistema filosofico razionalmente elaborato. Si tratta, in-vece, di annotazioni di anime individuali in cerca della ri-velazione, ansiose di raggiungere l’intuizione del divino,di poter conseguire la salvezza personale e la gnosi sen-za l’aiuto di un Dio personale, di un Salvatore, ma trami-te un’apertura religiosa all’universo. È questa aperturareligiosa, questo loro carattere di documenti di un’espe-rienza religiosa, a conferire agli Hermetica, un’unità del-la quale sono assolutamente privi, se considerati comeunico sistema di pensiero.

I presupposti cosmologici sui quali essi si basano sonosempre di ordine astrologico, anche laddove ciò non vie-ne espressamente dichiarato. Il mondo materiale è rego-lato dall’influenza delle stelle e dei sette pianeti, i «SetteGovernatori». Le leggi naturali nel cui ambito si muovelo gnostico religioso sono leggi astrologiche, che costitui-scono il fondamento della sua esperienza religiosa.

Esiste, tuttavia, una differenza sostanziale nell’atteg-giamento verso il mondo governato dalle stelle fra i variautori degli Hermetica. Festugière ha classificato questiscritti secondo la loro appartenenza a due tipi di gnosi, e

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cioè la gnosi a carattere ottimistico, e la gnosi a caratterepessimistico51. Per lo gnostico pessimista (o dualista) ilmondo della materia, profondamente penetrato dall’in-fluenza fatale delle stelle, è essenzialmente il male; se nedeve fuggire mediante una condotta di vita ascetica cheeviti, nei limiti del possibile, ogni contatto con la mate-ria, finché l’anima illuminata non possa innalzarsi, attra-verso le sfere dei pianeti, spogliandosi nell’ascesa del lo-ro influsso maligno, alla sua vera dimora, nel divino re-gno immateriale. Per lo gnostico ottimista, al contrario,la materia è impregnata di divino, la terra vive, si muove,per una vita divina, le stelle sono viventi animali divini, ilsole brucia di una forza divina, tutte le parti della naturasono buone, perché sono tutte parti di Dio.

L’esposizione seguente del contenuto dei cinque scrit-ti ermetici prescelti, in parte è un’analisi dei testi, in par-te una citazione diretta52 Ho compiuto diverse omissio-ni, e talvolta modificato leggermente l’ordine espositi-vo. Queste opere sono infatti caratterizzate da numero-se lungaggini e ripetizioni, ed io ho cercato di esprimereil contenuto essenziale nella maniera più concisa.

51 Festugière, I, p. 84; II, pp. X-XI (classificazione dei singoliHermetica in pessimistici od ottimistici nella nota di p. XI).

52 Essa è condotta sotto forma di précis, con qualche citazio-ne diretta; il lettore deve guardarsi dall’usarla alla stregua di unatraduzione completa. Nello stenderla ho tenuto presenti la tra-duzione francese di Festugière e quella latina di Marsilio Fici-no. Sfortunatamente non è possibile usare la traduzione inglesedello Scott a causa delle libertà che egli si è preso col testo.

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1. La Genesi egiziana. Pimander (Corpus Hermeticum,I53; gnosi in parte ottimistica e in parte pessimistica).

Pimandro, che è il Nous, o la mens divina, appare aTrismegisto mentre i suoi sensi sono paralizzati da ungrave torpore, come di sonno profondo. Trismegistoesprime l’ansioso desiderio di conoscere la natura dellecose, e Dio.

L’aspetto di Pimandro subisce una trasformazione, ea Trismegisto si apre una visione infinita, tutta pervasadi luce. Quindi appaiono tenebre e oscurità, dalle qua-li irrompe una specie di fuoco che emette un suono in-descrivibile, come un gemito ardente, mentre dalla luceproviene una Parola santa, e un fulgore purissimo guiz-za dalla regione acquosa fino alle vette del sublime, e l’a-ria, che è luce, irrompe dietro il soffio ardente. «Quellaluce», dice Pimandro, «sono io stesso, il Nous, il Dio tuo... e la Parola luminosa che sgorga dal Nous è il Figlio diDio».

Allora Trismegisto scorge in se stesso, nella propriamens o Nous, la luce, innumerevoli Potestà, un mondoinfinito, e il fuoco racchiuso in una forza onnipotente.Egli chiede a Pimandro: «Donde vengono dunque glielementi naturali?». E Pimandro risponde: «Dalla vo-lontà di Dio, che ha ricevuto in se stessa la Parola... E ilDio - Nous, che vive come vita e luce, ha generato un se-condo Demiurgo – Nous, il quale, dio del fuoco e del sof-fio, ha modellato i Governatori, che, in numero di sette,avvolgono con le loro sfere il mondo sensibile». La Paro-la si è unita al Demiurgo – Nous perché è della sua stes-sa sostanza e il Demiurgo – Nous, insieme con la Paro-la, muove i Sette Governatori, dai quali dipende tutto ilmondo elementare inferiore.

53 C. H., I, pp. 7-19; Ficino, pp. 1837-9.

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Dopo che il Demiurgo-Verbo-Nous, dio del fuocoe del soffio, ha modellato i Sette Governatori e li haposti in moto, viene svelata a Trismegisto la creazionedell’Uomo, che è opera diretta del Padre-Nous.

«Ora il Nous, Padre di tutte le cose, vita e luce ha ge-nerato un Uomo simile a sé, che amava come propriofiglio. Perché l’Uomo era bello, in quanto riproduceval’immagine del Padre: e fu propriamente del suo aspet-to che Dio si innamorò, e attribuì all’Uomo il dominiosu tutte le proprie opere. Ora, come scorse la creazioneche il Demiurgo aveva plasmato nel fuoco, anche l’Uo-mo ebbe il desiderio di creare, e il Padre acconsentì. En-trato così nella sfera demiurgica, nella quale aveva pienopotere, l’Uomo vide le opere del suo fratello, e i Gover-natori si innamorarono di lui, e ciascuno di essi gli donòparte dei propri poteri. Così, conosciuta la loro essenza,e ammesso a partecipare della loro natura, l’Uomo desi-derò di evadere dalla periferia delle sfere e di conoscereil potere di Colui che regna al di sopra del fuoco.

Allora l’Uomo, che aveva piena potestà nel regno de-gli esseri mortali e degli animali, si sporse dall’armaturadelle sfere, dopo averne infranto l’involucro, e mostrò al-la Natura sottostante la bella forma divina. Quando videin lui l’inesauribile bellezza, e tutta l’energia dei Gover-natori unita alla forma divina, la Natura sorrise di amore,poiché aveva visto i tratti della stupenda forma dell’Uo-mo riflessi nell’acqua, e l’impronta della sua ombra sullaterra. E l’Uomo, vista nella Natura una forma simile allasua – riflessa nell’acqua – l’amò, e volle vivere con essa.Nel momento stesso in cui concepì questo desiderio, lorealizzò, e assunse la forma irrazionale. Allora la Natura,avendo accolto in sé il suo amato, lo abbracciò, e furonouniti, perché bruciavano d’amore».

L’Uomo, che ha assunto un corpo mortale per potervivere con la Natura, è il solo, fra tutti gli esseri terrestri,ad essere dotato di una duplice natura, mortale, quanto

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al suo corpo, e immortale, quanto alla sua essenza uma-na. Sebbene sia di fatto immortale, e fornito della pie-na potestà su tutte le cose, egli porta in sé, per via del-la sua natura corporea, anche la condizione della morta-lità, essendo soggetto al Destino e schiavo dell’armaturadelle sfere. «Ora», dice Pimandro, «ti rivelerò un miste-ro che è sempre stato tenuto celato. La Natura, unita al-l’Uomo nel segno dell’amore, generò un mirabile prodi-gio. L’Uomo, come ho detto, aveva in sé la natura del-l’insieme dei Sette, composti di fuoco e di aria. La Na-tura, in seguito alla sua unione con l’Uomo, generò setteuomini corrispondenti ciascuno alla natura dei Sette Go-vernatori: erano tutti, nello stesso tempo, maschio e fem-mina, e si innalzavano fino al cielo». La generazione deiprimi sette uomini avvenne nel modo seguente. La ter-ra era la femmina, l’acqua l’elemento generatore; il fuo-co spinse le cose alla maturità, a dall’etere la Natura ri-cevette il soffio vitale, e generò i corpi a somiglianza diquello dell’Uomo. Quanto all’Uomo, da vita e luce cheera stato, si mutò in anima e intelletto, diventando la vitaanima, e la luce intelletto. E tutte le cose del mondo sen-sibile rimasero in questo stato fino al termine di un certoperiodo.

Al termine di questo periodo, continua Pimandro, illegame che teneva unite tutte le cose si infranse per vo-lere di Dio. L’Uomo e tutti gli animali, che fino ad allo-ra avevano avuto natura insieme maschile e femminile, siscissero nei due sessi, e Dio pronunciò il suo comando:crescete e moltiplicatevi. Allora la Provvidenza, tramiteil destino e l’armatura delle sfere, istituì le generazioni, etutte le cose viventi si moltiplicarono, ciascuna secondola propria specie.

Pimandro consiglia Trismegisto su come debba com-portarsi in considerazione del mistero del quale è statomesso a parte. Egli dovrà conoscere se stesso, perché«chi conosce se stesso procede verso se stesso», cioè ver-

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so la sua vera natura. «Tu sei luce e vita, come Dio Pa-dre, da cui nacque l’Uomo. Pertanto, se apprenderai aconoscerti in quanto costituito di vita e luce... ritorneraialla vita». Solo l’uomo dotato di intelletto (non tutti losono) può conoscere se stesso. E Trismegisto deve vivereuna vita pura e santa, propiziandosi il Padre con amorefiliale, innalzando a Lui benedizioni e inni.

Trismegisto ringrazia Pimandro per avergli rivelatotutte le cose, ma desidera anche essere edotto sull’ascen-sione». Pimandro gli spiega che, al momento della mor-te, il corpo umano si dissolve nei suoi elementi corporei,ma l’uomo spirituale ascende attraverso l’armatura dellesfere, lasciando, in ciascuna di queste, una parte della suanatura mortale e del male che ad esse inerisce. Quindi,purificatesi completamente di tutto ciò che le sfere ave-vano lasciato impresso su di lui, entra nella natura «og-doadica», percepisce le Potestà che cantano inni a Dio esi confonde con esse.

Trismegisto viene quindi lasciato da Pimandro, «dopoessere stato investito di poteri, istruito sulla natura delTutto e reso partecipe della visione suprema». Egli inco-mincia così a predicare, invitando gli uomini ad abban-donare i loro errori, e a rendersi partecipi dell’immorta-lità.

E Trismegisto «impresse nel profondo di se stesso ilbeneficio di Pimandro»54.

Ficino, nel suo commento a questo trattato, si mostrastraordinariamente colpito dalle notevoli rassomiglianzeche esso presenta col libro della Genesi. «Sembra cheMercurio parli qui dei misteri mosaici», incomincia coldire, e prosegue facendo alcuni ovvi confronti. Mosèaveva visto una oscurità diffusa sulla faccia dell’abisso,e lo spirito di Dio alitante sulle acque; Mercurio vede

54 «Ego autem Pimandri beneficium penetrabilibus animi...»(traduzione di Ficino p. 1839.)

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una tenebra e la parola di Dio che riscalda la natura ac-quosa. Mercurio dice che quella parola fulgida, che illu-mina tutte le cose, è il Figlio di Dio. E, se pure è possi-bile attribuire a un uomo nato prima della Incarnazioneuna simile conoscenza, egli vide il Figlio generato dal Pa-dre, e lo Spirito procedente dal Padre e dal Figlio. Eglivide la creazione prodotta dalla Parola divina, e l’Uomofatto a immagine di Dio, quindi la sua caduta dalla sferaintelligibile allo stato corporeo. Di fatto, egli fa uso del-le stesse parole di Mosè quando descrive il comando diDio alle specie, di crescere e moltiplicarsi. Egli ci insegnapoi come si possa ancora risollevarsi a quella natura in-telligibile e immortale dalla quale siamo degenerati. Co-me Mosè era il legislatore degli Ebrei, così Mercurio lo èdegli Egiziani, e impartisce al suo gregge santi consigli divita: lodino il Padre di tutti con inni e ringraziamenti, econtemplino la vita e la luce55.

Come dimostra chiaramente questo riassunto delcommento al Pimander, erano soprattutto quelle che egliconsiderava rassomiglianze con Mosè (non tanto conPlatone) contenute in quest’opera a impressionare cosìprofondamente Ficino. È per questa ragione, egli deveaver pensato, che i Padri si sono tanto affannati a collo-care Trismegisto – da un punto di vista cronologico – inrelazione a Mosè, in quanto, cioè, egli richiamava loro lafigura di un Mosè egiziano. Ficino continuò a rifletteresu queste circostanze meravigliose nei suoi ultimi anni;nella Theologia platonica egli arrivò a domandarsi se, do-po tutto, Ermete Trismegisto non fosse davvero Mosè.Dopo aver parlato, in quest’opera, della descrizione del-la creazione contenuta nel Timeo, egli aggiunge: «Mer-curio Trismegisto descrive con maggior chiarezza questomomento originario della creazione del mondo. Né cidobbiamo meravigliare che costui sapesse tanto, se Mer-

55 Ficino, loc. cit.

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curio non era altri che lo stesso Mosè, come dimostra,con molte congetture, lo storico Artapano»56.

E Trismegisto è una fonte migliore dello stesso Mo-sè, dal momento che egli sapeva, molto prima dell’Incar-nazione, che la Parola creatrice era il Figlio di Dio. «Il-le [Moses] potenti verbo domini cuncta creata nunciat,hic [Mercurius] verbum illud lucens, quod omnia illumi-net... filium Dei esse asseverat...». Probabilmente Fici-no pensa, a questo punto, a un confronto con l’inizio delVangelo di san Giovanni. Quando Ficino traduceva ingran fretta il Pimander per Cosimo, probabilmente do-veva essersi reso conto di quanto avesse ragione Lattan-zio allorché diceva che Trismegisto «in un modo o nel-l’altro cercò di penetrare quasi tutta la verità» e «spessodescrisse l’eccellenza e la maestà della Parola» chiaman-dola «Figlio di Dio» non solo nel Pimander, ma anchenell’Asclepius.

In tal modo un odore di santità circonda l’autore dellaGenesi egiziana, che sembra richiamare così da vicinoMosè, che profetizza il Cristianesimo e che insegna comesi debba vivere devotamente, lodando e amando DioPadre.

Nondimeno è assai evidente che esistono – e significa-tivamente Ficino evita di sottolinearle – diverse radicalidifferenze fra la Genesi mosaica e quella egiziana. In par-ticolare, esse differiscono insanabilmente quanto al con-cetto della natura dell’Uomo e del carattere della sua ca-duta.

È vero che la Genesi mosaica, come quella egiziana,afferma che l’Uomo fu fatto a immagine di Dio, e che glifu dato il potere su tutte le creature, ma nella Genesi mo-

56 Theologia platonica, VIII, 1 (Ficino, p. 400). Ficinoderivò probabilmente l’informazione su Artapano da Eusebio,De praeparatione evangelicae, IX, 27, 6. Artapano era un ebreoellenizzato; di Festugière, I, pp. 70, 384.

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saica non si dice mai che Adamo fosse per creazione unessere divino, fornito del divino potere creativo. Ciò nonviene detto di lui nemmeno quando lo si descrive insie-me con Dio nel giardino dell’Eden, prima della caduta.Quando Adamo, tentato da Eva e dal serpente, desideròmangiare dall’albero della conoscenza e divenire similea Dio, commise il peccato di disobbedienza, punito conl’esilio dal giardino dell’Eden. Invece, nella Genesi egi-ziana l’Uomo, appena creato, vedendo i Sette Governa-tori (i pianeti), dai quali dipendono tutte le cose, sente ildesiderio di creare, di fare qualcosa di simile; Né tale de-siderio viene considerato un peccato di disobbedienza57.Gli è, invece, consentito di accedere al mondo dei SetteGovernatori, che si innamorano di lui e gli partecipano iloro poteri. L’Adamo egiziano è più che umano: è divi-no e appartiene alla specie dei demoni delle stelle, i reg-gitori del mondo inferiore, di origine divina. Si dice an-che, di lui, che è fratello del Demiurgo-Parola-Figlio diDio, il «secondo dio» che muove le stelle.

È vero che egli cade, ma la sua caduta è, in fondo, unamanifestazione del suo potere. Egli può sporgersi in bas-so, attraverso l’armatura delle stelle, lacerare il loro in-volucro e mostrarsi alla Natura. E lo fa di sua sponta-nea volontà, mosso dall’amore per la bella Natura, cheegli stesso ha contribuito a creare e conservare, tramitela sua partecipazione alla natura dei Sette Governatori.

57 Festugière ritiene che, sebbene il desiderio dell’uomo dicreare non fosse una colpa, in quanto gliene era stato dato ilpermesso dal Padre, il suo ingresso, immediatamente dopo, nel-la sfera demiurgica dei Sette Governatori fosse già una punizio-ne, un inizio della sua caduta nella materia (Révélation, III, pp.87 sgg.). L’interpretazione di Dodd (op. cit., p. 153) è simile.Entrambi questi autori sottolineano la differenza fra l’uomo er-metico e quello mosaico, l’uno creato divino, l’altro creato dallapolvere della terra. La caduta dell’uomo ermetico rassomigliadi più alla caduta di Lucifero che a quella di Adamo.

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Lo spinge a ciò l’amore della propria immagine, che siriflette sul volto della Natura (proprio come Dio si è in-namorato dell’Uomo, scorgendo in lui la bella immagi-ne riflessa di se stesso). E la Natura riconosce il suo po-tere, il potere dei Sette Governatori racchiuso in lui e siunisce a lui in amore.

È vero che la sua caduta comporta una perdita, chel’Uomo, scendendo al livello della Natura e assumendoun corpo mortale, pone il suo corpo, questa sua partemortale, sotto il dominio delle stelle, e forse è una puni-zione la separazione nei due sessi (dopo il curioso perio-do dei sette uomini asessuati generati dall’Uomo e dal-la Natura). Ma la parte immortale dell’Uomo conserva ilsuo carattere divino e creativo. Egli è formato non già daun’anima e da un corpo umani, bensì da un’essenza divi-na, creativa, immortale, e da un corpo. E questa sua divi-nità, questo suo potere, egli li recupera nella visione del-la mens divina, che è simile alla propria mens divina, sve-latagli da Pimandro. Pimandro lascia Trismegisto dopoaverlo «investito di poteri» e averlo «istruito sulla naturadel Tutto e reso partecipe della visione suprema».

In breve, la Genesi egiziana narra della creazione edella caduta di un uomo divino, di un uomo intimamen-te vicino ai demoni astrali quanto a origine effettiva, diun Uomo-Mago. La Genesi egiziana concorda perfet-tamente con quel passo famoso dell’Asclepius sull’uomoconsiderato magnum miraculum (con il quale Pico dellaMirandola doveva aprire la sua «Orazione sulla dignitàdell’uomo»):

Che gran miracolo e l’Uomo, o Asclepio, un essere degno direverenza e di onore. Poiché egli perviene alla natura divinacome se fosse egli stesso un dio; ha familiarità con la razza deidemoni, sapendo che proviene dalla stessa origine; disprezza

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quella parte della sua natura che è soltanto umana, perché hariposto la sua speranza nella divinità dell’altra parte di sé58.

2. La rigenerazione egiziana. Il discorso segreto dellaMontagna di Ermete Trismegisto a suo figlio Tat (Corpus

Hermeticum, XIII59; gnosi dualistica).

Tat chiede al padre Trismegisto di insegnargli la dottri-na della rigenerazione, perché egli ha ormai fortificato ilproprio spirito contro le illusioni del mondo ed è prontoper la iniziazione finale. Trismegisto gli dice che l’uomorigenerato è frutto silenzioso di intelligente saggezza, eche il seme è il Bene verace, gettato in lui dalla volontà diDio. L’uomo che in tal modo nasce «sarà di nuovo dio,il figlio di Dio, in tutto e per tutto, dotato di tutte le Po-testà». Trismegisto è passato attraverso l’esperienza ri-generatrice. Con crescente eccitazione Tat lo implora ditrasmettergli questa facoltà. «Chi è l’artefice di quest’o-pera di rigenerazione?», gli domanda, e la risposta è: «IlFiglio di Dio, un uomo come gli altri uomini, per voleredi Dio». Tat gli domanda che cosa è la verità, e Trisme-gisto gli risponde che essa è «ciò che non è contamina-to, che non ha limiti, né colore né forma, ciò che è privodi moto, nudo, splendente, che può essere appreso soloda se stesso, il Bene inalterabile, l’Incorporeo». Non puòessere percepito dai sensi e viene conosciuto solo per glieffetti del suo potere e della sua energia, e a questo fi-ne occorre essere capaci di comprendere la natura del-la propria nascita da Dio. «E a me questo non riuscirà,Padre?», esclama Tat, e la risposta è che basta invoca-re tale esperienza per realizzarla; arresti l’attività dei suoisensi corporei, e la divinità si genererà in lui; si purifichi

58 Cfr. in seguito.59 C. H., II, pp. 200-9; Ficino, pp. 1854-6.

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delle «irrazionali punizioni della materia». Queste «pu-nizioni» sono terribili e numerose: fra esse le principa-li sono dodici e cioè: l’ignoranza, la tristezza, l’inconti-nenza, la concupiscenza, l’ingiustizia, la cupidigia, l’in-ganno, l’invidia, la frode, l’ira, l’avventatezza e la mali-zia. Queste sono le punizioni che, imprigionandolo nelcorpo, costringono l’uomo interiore a soffrire tramite isensi.

Ora, in un religioso silenzio, Tat sperimenta l’operadella rigenerazione, e in lui penetrano le Potestà divineche eliminano le punizioni. La conoscenza prende il po-sto dell’ignoranza; la gioia respinge la tristezza; la conti-nenza l’incontinenza; la temperanza la concupiscenza; lagiustizia l’ingiustizia; la generosità la cupidigia; la veritàl’inganno. Insieme con la verità giunge in lui il Bene, uni-to alla Luce e alla Vita, e tutte le altre punizioni vengo-no distrutte. Le dieci Potestà hanno cancellato le dodicipunizioni.

Quando l’esperienza rigeneratrice si è conclusa, Tri-smegisto conduce Tat fuori dalla «tenda» (tradotta contabernaculum da Ficino) sotto la quale era rimasto e cheera costituita dal cerchio dello zodiaco. Come spiega Fe-stugière, i dodici vizi, o «punizioni», derivano dai dodi-ci segni dello zodiaco, dai quali Tat era oppresso quandoaveva natura ancora materiale e soggetta all’influsso del-la materia. Festugière paragona tutto ciò all’ascesa attra-verso le sfere descritta nel Pimander, dove figurano i set-ti vizi, collegati ai pianeti, dei quali l’iniziato si purificanel suo cammino verso l’alto60. Le punizioni della mate-ria sono, in realtà, dunque, gli influssi delle stelle, ai qualisubentrano, nell’esperienza rigeneratrice, le Virtù, le Po-

60 Festugière, III, pp. 90, 154, 156, ecc. Cfr. anche l’impor-tante discussione di questo trattato, e in particolare dell’associa-zione dei vizi allo zodiaco ed ai pianeti, in M. W. Bloomfield,The Seven Deadly Sins, Michigan 1952, pp. 48 sgg.

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testà divine che liberano l’anima dal peso materiale delcielo e dei suoi influssi. Le Potestà sono Uno nella Paro-la, e l’anima così rigenerata diviene essa stessa la Parolae Figlio di Dio61.

Trismegisto ha trasmesso a Tat l’esperienza da luistesso vissuta, e le Potestà fanno risuonare in Tat l’innodella rigenerazione. «Tutta la Natura ascolti questo inno...Canterò il Signore della creazione, il Tutto, l’Uno.Apritevi, o cieli, venti trattenete il vostro soffio, lasciateche il cerchio immortale di Dio ascolti la mia parola...Le Potestà che sono in me cantano l’Uno, il Tutto... Tiringrazio, Padre, energia, delle Potestà; ti ringrazio, Dio,potestà delle mie energie... Questo gridano le Potestàche sono in me... E questo che l’uomo che ti appartienegrida attraverso il fuoco, attraverso l’aria, attraverso laterra, attraverso l’acqua, attraverso il soffio, e tutte lecreature»...

Commentando questo trattato62, Ficino confronta l’e-spulsione degli ultores e la loro sostituzione con le Po-testates Dei, con l’esperienza cristiana della rigenerazio-ne in Cristo, la Parola e il Figlio di Dio. In effetti, comemette in evidenza Festugière63, questa esperienza gnosti-ca sembra essere qualcosa di simile a un dono della gra-zia, che toglie vigore alla predestinazione delle stelle.

Riproduco, qui sotto, una tavola delle Punizioni e del-le Potestà, nella traduzione latina di Ficino. Egli ha tra-dotto «incontinenza» con «incostanza», e, nel testo dellatraduzione, ha omesso la «concupiscenza» che, comun-que, traduce con «luxuria» nell’elenco delle Punizioni,contenuto nel suo commento. Poiché egli non elencale Potestà, non abbiamo il termine opposto del suo «lu-xuria», che dovrebbe essere, naturalmente, «castitas» (o

61 Sulla Potestà, cfr. Festugière, III, pp. 153 sgg.62 Ficino, p. 1856.63 Festugière, IV, p. 253.

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«fortitudo» se fosse stata tradotta la temperanza del te-sto).Punizioni Potestà

ignorantia cognitio Dei

tristitia gaudium

inconstantia constantia

cupiditas continentia

luxuria castitas? fortitudo?

injustitia justitia

deceptio veritas

invidia bonum

fraus lumen

ira vita

temeritas

malitia

È probabile che questo Vangelo secondo Ermete Tri-smegisto abbia avuto un importante significato per Fici-no, che nutriva un disperato terrore degli influssi astra-li. Come la creazione della Parola nel Pimander, questopuò avergli ricordato da vicino san Giovanni: «In Luiera la vita; e la vita era la luce degli uomini», e, a quan-ti Lo ricevettero, «Egli dette la facoltà di divenire figli diDio»64.

3. Il riflesso egiziano dell’universo nella mente. Lamente ad Ermete (Corpus Hermeticum, XI65; gnosi

ottimistica).

(Si suppone che sia la mens a rivolgersi costantemente adErmete). L’Eternità è la Potestà di Dio, e opera dell’E-

64 Giovanni, I, 4, 12.65 C. H., pp. 147-57; Ficino, pp. 1850-2.

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ternità è il mondo, che non ha inizio, ma è un continuodivenire ad opera dell’Eternità. Pertanto, niente di quelche è nel mondo potrà perire o essere distrutto, perchél’Eternità non perisce.

E tutto questo gran corpo del mondo è un’anima,piena di intelletto e di Dio, che lo riempie dall’internoe dall’esterno, e vivifica il Tutto.

Contempla il mondo attraverso me (cioè la mens) econsiderane la bellezza. Guarda la gerarchia dei settecieli e il loro ordine. Vedi come tutte le cose sono pienedi luce. Guarda la Terra, collocata nel centro del Tutto,la grande nutrice di tutte le creature terrestri. Tutto èpieno di anima, e tutte le cose sono in movimento. Chiha creato queste cose? Il Dio-Uno, perché Dio è Uno.Tu vedi come il mondo è sempre uno; il sole, uno; laluna, una; la divina attività, una; anche Dio è Uno. Epoiché tutto vive, e anche la vita è una. Dio è certamenteUno. È per opera di Dio che tutte le cose vengono inessere. La morte non è la distruzione degli elementicollegati in un corpo, ma la rottura della loro unione. Ilmutamento si chiama morte perché il corpo si dissolve,ma io ti dichiaro, mio caro Ermete, che gli elementi checosì si dissolvono sono soltanto trasformati.

Tutti gli esseri sono in Dio, ma non come cose collo-cate in un posto determinato, perché non è così che essisono posti nella facoltà incorporea della rappresentazio-ne. Giudica questo in base alle tue esperienze. Coman-da alla tua anima che sia in India, che attraversi l’ocea-no: in un momento sarà fatto. Comandale di volare incielo: non avrà bisogno di ali, non troverà ostacoli. E setu vuoi forare la volta dell’universo, e contemplare quel-lo che c’è al di là – se pure c’è qualche cosa al di là delmondo – lo puoi fare.

Vedi dunque quale potere, quale velocità tu possiedi.È così che devi concepire Dio; tutto quello che è, Eglilo contiene in sé come pensiero: il mondo, se stesso, il

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Tutto. Pertanto, se non ti fai simile a Dio, non potraicapire Dio; perché il simile non è intelligibile se non alsimile. Innalzati a una grandezza al di là di ogni misura,con un balzo liberati dal tuo corpo; sollevati al di sopra diogni tempo, fatti Eternità: allora capirai Dio. Convincitiche niente ti è impossibile, pensati immortale e in gradodi comprendere tutto, tutte le arti, tutte le scienze, lanatura di ogni essere vivente. Sali più in alto dellapiù alta altezza; discendi più in basso della più abissaleprofondità. Richiama in te tutte le sensazioni di ciò cheè creato, del fuoco e dell’acqua, dell’umido e del secco,immaginando di essere dovunque, sulla terra, nel mare,in cielo; di non essere ancora nato, poi di trovarti nelgrembo materno, di essere quindi adolescente, vecchio,morto, al di là della morte. Se riesci ad abbracciare neltuo pensiero tutte le cose insieme, tempi, spazi, sostanze,qualità, quantità, potrai comprendere Dio.

Non dir più che Dio è invisibile. Non parlare così;perché che cosa c’è di più manifesto che Dio? Egliha creato tutto sol perché tu possa vederlo attraversole creature. Perché niente è invisibile, nemmeno fra lecose incorporee. L’intelletto si rende visibile nell’atto dipensare; Dio, nell’atto di creare.

Il commento di Ficino a questo trattato è soltanto unbreve riassunto.

Il lettore osserverà che la visione del mondo sulla qua-le si basa questa rivelazione egiziana (un tipo di gnosidavvero ottimistico) differisce profondamente dalla rive-lazione precedente (basata su un tipo di gnosi pessimi-stico). Nella rivelazione di Ermete a Tat la materia eramale e l’opera rigeneratrice consisteva in una fuga dallasua schiavitù tramite l’infusione nell’anima di potestà di-vine, o Virtù. Qui, invece, il mondo è buono perché èpieno di Dio. La gnosi consiste nel riflettere il mondonella mente, perché così si potrà conoscere Dio che lo hacreato.

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Eppure, anche nella gnosi pessimistica, descritta nellarigenerazione di Tat, il mondo veniva riflesso nella suamente. Dopo la propria rigenerazione egli eleva uncanto a Dio attraverso le creature, e diviene Eternità,l’Aion, proprio come in questo trattato. Il principio dellariflessione del mondo nella mente, dunque, è tipico dientrambi i tipi di gnosi, ma con un diverso accento. Inun caso l’adepto è liberato, per mezzo della sua visione,dai poteri maligni della materia, e prende rilievo un forteelemento etico. Nell’altro, la visione è visione di Dionella natura, una sorta di panteismo; il mondo materialeè pieno del divino, e la gnosi consiste nel riuscire adafferrarlo completamente, quale esso è, e nella ritenzionedi esso nella mente.

Per l’entusiasta lettore del Rinascimento, convinto chetutti questi scritti fossero opera di un sol uomo, l’anti-chissimo egiziano Ermete Trismegisto, queste distinzio-ni sarebbero passate inosservate.

4. La filosofia egiziana dell’uomo e della natura: ilmovimento della terra. Ermete Trismegisto a Tat,

sull’intelletto comune (Corpus Hermeticum, XII66; gnosiottimistica).

L’intelletto, o Tat, deriva dalla sostanza stessa di Dio.Negli uomini, questo intelletto è Dio; per questo, alcuniuomini sono dei, e la loro umanità è vicina al divino.Quando l’uomo non è guidato dall’intelletto, si degrada ecade in uno stato animale. Tutti gli uomini sono soggettial destino, ma coloro che possiedono la parola, nei qualicomanda l’intelletto, non vi sono soggetti allo stessomodo degli altri. I due doni di Dio all’uomo, l’intellettoe la parola, hanno lo stesso valore dell’immortalità. Se

66 C. H., I, pp. 174-83; Ficino, pp. 1852-4.

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l’uomo se ne avvale rettamente, non differisce in nulladagli immortali.

Anche il mondo è un dio, immagine di un dio piùgrande. Unito a questo, e osservante l’ordine e la volontàdel Padre, esso è la totalità della vita. Non c’è nientein esso, per tutta la durata del ritorno ciclico voluto dalPadre, che non sia vivo. Il Padre ha voluto che il mondoviva fin quando conservi la sua coesione: dunque, ilmondo è necessariamente dio. Come può essere, allora,che in ciò che è dio, che è l’immagine del Tutto, ci sianocose morte? Infatti la morte è corruzione, e la corruzioneè distruzione, ed è impossibile che alcunché di Dio possaessere distrutto.

Ma non muoiono nel mondo gli esseri viventi, o Padre,sebbene siano parte del mondo?

Taci, figlio mio, perché tu sei indotto in errore dal-la denominazione del fenomeno. Gli esseri viventi nonmuoiono, ma, essendo corpi composti, si dissolvono; equesta non è morte, ma la dissoluzione di un miscuglio.Se si dissolvono, non è per andare incontro alla distru-zione ma a un rinnovamento. Che cos’è infatti l’energiadella vita? Non è movimento? E che cosa c’è nel mondoche sia immobile? Niente.

Ma almeno la terra non sembra immobile?No. Al contrario, sola fra tutti gli esseri, essa è soggetta

a una moltitudine di movimenti, ed è insieme stabile.Sarebbe assurdo supporre che questa nutrice di tutti gliesseri sia immobile, essa che dà nascita a tutte le cose,perché senza movimento è impossibile generare. Tuttociò che è nel mondo, senza eccezione, si muove, e ciò chesi muove è anche vivo. Contempla dunque il bel sistemadel mondo, e vedi che è vivo, che tutta la materia è pienadi vita.

Nella materia c’è dunque Dio, Padre?E dove potrebbe essere posta la materia, se esistesse al

di fuori di Dio? Non sarebbe una massa confusa, se non

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fosse spinta ad operare? E, se è spinta ad operare, chi laspinge? Le energie che operano in essa sono parti di Dio.Sia che tu parli di materia, o di corpi, o di sostanza, sappiche queste sono energie di Dio, di Dio che è il Tutto.Nel Tutto non c’è niente che non sia Dio. Adora questaParola, figlio mio, e rendi ad essa culto.

Anche per quanto concerne questo trattato, il com-mento di Ficino è poco più che un riassunto.

Anche questo scritto ripropone la filosofia «egiziana»della gnosi ottimistica, riportando molti elementi conte-nuti in altri trattati. Il motivo fondamentale, che l’uomoè divino per il suo intelletto e che la gnosi consiste nel di-venire, o nel divenire di nuovo un dio al fine di vedereDio, emerge chiaramente.

Anche il risalto in cui la filosofia naturale «egiziana»(gnosi ottimistica) pone il motivo della divinità, dell’e-ternità, della vita del mondo e della materia, viene forte-mente ribadito. In questo mondo divino e vivente nientepuò morire e tutto si muove, compresa la terra.

Tale filosofia, per la quale l’uomo divino partecipa,tramite il suo divino intelletto, all’intelletto infuso ovun-que nel mondo vivente della natura divina, è la filosofiaideale dell’Uomo-Mago, come mostrerà l’Asclepius.

5. La religione egiziana. L’Asclepius67 o La Parolaperfetta (che il secondo sia il titolo corretto sarebbe

stato a conoscenza di Lattanzio, il quale chiama l’operaSermo perfectus; gnosi ottimistica).

Ermete Trismegisto, Asclepio, Tat e Ammone si trovanoinsieme in un tempio egiziano. Nessun altro viene am-messo alla riunione, perché sarebbe empio divulgare frale masse un insegnamento interamente rivestito di mae-

67 C. H., II, pp. 296-355.

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stà divina. Quando il fervore dei quattro uomini e la pre-senza di Dio hanno riempito il luogo santo, l’amore divi-no (divinus Cupido)68 incomincia a parlare per bocca diErmete.

Tutto discende dal cielo, dall’Uno che è il Tutto,intermediario il cielo. Fai bene attenzione a questo,applicando per intero il tuo intelletto divino, perché ladottrina della divinità è come una corrente torrenzialeche precipita dall’alto con violenta impetuosità. Daicorpi celesti vengono diffusi per tutto il mondo continuieffluvi, attraverso le anime di tutte le specie e di tuttigli individui, da un estremo all’altro della natura. Lamateria è stata predisposta da Dio come ricettacolo ditutte le forme; e la natura, imprimendo le forme permezzo dei quattro elementi, prolunga fino al cielo le seriedegli esseri.

Tutte le specie riproducono i propri individui, si trattidi demoni, uomini, uccelli, animali e così via. Gli indivi-dui della razza umana sono diversi; derivando dall’alto,dove avevano rapporti con la razza dei demoni, essi al-lacciano legami con tutte le altre specie. È vicino agli deiquell’uomo che, grazie allo spirito che lo pone in contat-to con gli dei, si è unito ad essi per mezzo di una religioneispirata dal cielo.

E così, o Asclepio, l’uomo è un magnum miraculum,un essere degno di reverenza e di onore. Poiché egliperviene alla natura divina come se fosse egli stesso undio; ha familiarità con la razza dei demoni, sapendodi condividere con essi l’origine; disprezza quella partedella sua natura che è soltanto umana, perché ha ripostola sua speranza nella divinità dell’altra parte di sé69.

L’uomo è unito agli dei per mezzo di quello che hain sé di divino, il suo intelletto; tutte le altre creature

68 Ibid., p. 297.69 Ibid., pp. 301-2.

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sono legate a lui per disegno celeste, ed egli le avvince asé con nodi di amore. Questa unione fra uomini e deinon si realizza per tutti gli uomini, ma soltanto per quelliche hanno la facoltà intellettiva. Così, unico fra tutte lecreature, l’uomo ha duplice natura, una parte simile aDio, e l’altra formata dagli elementi. La ragione per laquale l’uomo è stato condannato a questa duplice naturaè la seguente.

Quando Dio ebbe creato il secondo dio, gli sem-brò bello e lo amò come frutto della sua divinità70

("come Suo figlio», secondo Lattanzio, che consideraquesto passo uno di quelli in cui Ermete profetizza ilCristianesimo)71. Ma c’era bisogno di un altro essere, chepotesse contemplare ciò che Dio aveva fatto, e così eglicreò l’uomo. Visto che l’uomo non avrebbe potuto re-golare tutte le cose se non avesse avuto un involucro ma-teriale, egli gli dette un corpo. Così l’uomo fu formatoda una duplice origine, affinché potesse sia ammirare eadorare le cose celesti, sia occuparsi di quelle terrene, egovernarle.

Si dice che l’anima degli dei sia tutta intelletto, maquesto è vero solo per gli dei superiori, perché esisto-no molti dei, e alcuni hanno carattere intelligibile, altrisensibile.

Gli dei più importanti sono i seguenti (e a questopunto riunisco due brani sui principali dei).

Il reggitore del Cielo è Giove; e, tramite il cielo, eglidispensa la vita a tutti gli esseri. (Forse si riferisce a que-sta supremazia di Giove, dio dell’Aria, una precedenteaffermazione, per cui è il soffio, o lo spiritus, che tiene invita tutti gli esseri del mondo.) Giove occupa un luogointermedio fra la terra e il cielo.

70 Ibid., pp. 304-5.71 Ibid., cfr. supra.

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Quindi è la volta del Sole, o Luce, perché è per mezzodel cerchio solare che la luce si diffonde su tutte le cose.Il Sole illumina le altre stelle non tanto in virtù della sualuce, quanto della sua divinità e della sua santità. Eglideve essere considerato come il secondo dio. Il mondovive, e tutte le cose contenute in esso sono vive, ed è ilsole che governa tutte le cose viventi.

Di seguito, nella divina gerarchia, vengono i Trentasei,chiamati gli Oroscopi72, cioè stelle collocate nello stessoluogo, che hanno come capo un dio chiamato Pantomor-fo od Onniforme, il quale impone ai singoli individui diciascuna specie la loro forma particolare. Nessuna formaindividuale può mai nascere esattamente uguale a un’al-tra; queste forme mutano per tante volte, nello spazio diun’ora, quanti sono i momenti dentro il cerchio all’inter-no del quale risiede il gran dio Onniforme. (Questi tren-tasei dei sono i decani, o divisioni di dieci gradi in cui sisuddividono i 360 gradi del cerchio dello zodiaco73. Siosservi, nel sistema teologico egiziano che stiamo espo-nendo, la grande importanza attribuita al sole e allo zo-diaco con i suoi decani.)

Infine, nell’elenco degli dei, vengono le sette sfere, chehanno a loro guida la Fortuna, o Destino. L’aria è lostrumento, ovvero l’organo, di tutti questi dei.

Ora che ho parlato dei legami che uniscono uominie dei, devi conoscere, o Asclepio, il potere e la forzadell’uomo. Come il Signore e Padre è il creatore degli deidel cielo, così l’uomo è l’autore degli dei che risiedononei templi. Egli non si limita a ricevere la vita, ma la dàa sua volta. Egli non si limita a procedere verso Dio, macrea dei.

Intendi dire i simulacri divini, o Trismegisto?

72 C. H., II, p. 319.73 Sui decani, cfr. in seguito.

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Sì, i simulacri. Si tratta di statue animate, piene disensus e di spiritus, che possono compiere molti prodi-gi, predire il futuro, colpire gli uomini con malattie eguarirli74.

(Inserisco, a questo punto, un brano successivo suglidei costruiti dagli uomini.)

Ciò che abbiamo detto dell’uomo è già meraviglioso,ma la cosa più meravigliosa è che egli abbia la capacità discoprire la natura degli dei e di riprodurla. I nostri piùlontani antenati inventarono l’arte di costruire dei. Es-si univano una virtù, ricavata dalla natura materiale, al-la sostanza delle statue, e «poiché non potevano davve-ro creare anime, dopo avere evocato le anime di demo-ni o di angeli, le introducevano nei loro idoli per mezzodi riti sacri e divini, talché gli idoli avevano il potere difare il bene e il male». Questi dei terreni, fatti dall’uo-mo, risultano da una composizione di erbe, pietre e aro-mi, che contengono in sé un’occulta virtù di divina effi-cacia. E se si cerca di compiacerli con tanti sacrifici, in-ni, canti di lode, dolci concerti che richiamano l’armoniaceleste, è perché quell’elemento celeste introdotto nell’i-dolo dalla pratica ripetuta dei riti celesti possa gioiosa-mente sopportare la sua lunga, dimora fra gli uomini. Ècosì che gli uomini fanno gli dei75. Ermete cita in seguito,come esempi di tali divinità, il culto di Asclepio, del pro-prio antenato Ermete e di Iside (implicanti il culto del-le statue di queste divinità); e menziona anche il cultoegiziano degli animali.

(Ritorno, a questo punto, a una parte precedentedell’Asclepius.)

Eppure la religione dell’Egitto, con il suo culto saggioe verace del divino Tutto in Uno, è destinata a scompari-re.

74 C. H., II, pp. 325-6.75 Ibid., pp. 347-9.

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Il Lamento76 (o l’Apocalisse)

Verrà un tempo in cui si vedrà che gli Egiziani hannoonorato invano la divinità, con mente pia e praticheassidue. Ogni loro sacro culto diverrà sterile. Gli dei,lasciata la terra, torneranno in cielo; abbandonerannol’Egitto; questa terra, una volta patria della religione, saràprivata dei suoi dei e lasciata in stato di indigenza. Glistranieri si riverseranno in questo paese, e non soltantonon ci si preoccuperà più dell’osservanza dei riti religiosi,ma, cosa ancor più penosa, esso cadrà sotto il rigore difalse leggi, che, con la minaccia di punizioni, vieterannoa chiunque di compiere atti di pietà o di culto verso glidei. Allora questa terra santissima, patria di templi e disantuari, sarà ricoperta di tombe e di morti. O Egitto,Egitto, resteranno della tua religione soltanto favole, ei tuoi figli, col passare del tempo, non vi crederannopiù; niente sopravviverà a recar memoria delle tue operedi pietà, salvo le parole incise sulle pietre. Lo Scita ol’Indiano, o qualche altro barbaro vicino, si stabilirà inEgitto. Tu vedi infatti come la divinità risale in cielo; egli uomini, abbandonati, moriranno tutti. Allora, senzapiù un dio né un uomo, l’Egitto non sarà più altro cheun deserto...

Perché piangere, o Asclepio? L’Egitto dovrà passaretraversie peggiori di questa; sarà insozzato di crimini an-cor più nefandi. Questa terra, finora tanto sacra, che tan-to ha amato gli dei, unico paese al mondo nel quale glidei stabilirono la loro dimora a ricompensa della sua de-vozione, essa che ha insegnato agli uomini la santità e lapietà, darà esempio di atrocissima crudeltà. In quel mo-mento, stanchi della vita, gli uomini non considererannopiù il mondo come degno oggetto della loro ammirazio-

76 Ibid., pp. 326 sgg.

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ne e del loro rispetto. Questo Tutto, la miglior cosa cheesista, l’ottima fra tutte le cose del passato, del presen-te e del futuro, rischierà di perire; gli uomini lo conside-reranno un fardello inutile e di conseguenza questa to-talità dell’universo verrà disprezzata e non più venerata,questa incomparabile creazione divina, questa costruzio-ne mirabile, questa ottima creazione costituita da una in-finita diversità di forme, strumento della volontà di Dioil quale, senza invidia, elargisce la sua grazia a tutta lacreazione, in cui è riunito in un tutto unico, in una diver-sità armoniosa tutto ciò che è degno di reverenza, lode eamore. Perché la tenebra sarà preferita alla luce; si riter-rà cosa migliore morire che vivere; nessuno rivolgerà piùlo sguardo al cielo; l’uomo pio sarà ritenuto folle, l’em-pio saggio; il fanatico sarà ritenuto coraggioso, il peggiorcriminale buono. Per quanto riguarda l’anima e tutte lecredenze che la concernono, secondo cui l’anima è im-mortale per natura, o prevede di poter raggiungere l’im-mortalità – come ti ho insegnato – tutto ciò sarà ogget-to di derisione e verrà considerato una sciocchezza. E,credimi, sarà considerato per legge un crimine gravissi-mo votarsi alla religione della mente. Saranno create unanuova giustizia e nuove leggi. Niente di ciò che è san-to, pio, niente di ciò che è degno del cielo e degli dei chevi dimorano sarà più menzionato, né godrà più di alcuncredito nell’anima.

Gli dei si divideranno dagli uomini: deplorevole di-vorzio. Resteranno soltanto gli angeli del male che si me-scoleranno agli uomini, e li forzeranno con la violenza– creature miserevoli – a tutti gli eccessi di audacia cri-minale, impegnandoli in guerre, rapine, frodi e in tuttequelle attività che sono contrarie alla natura dell’anima.Allora la terra perderà il suo equilibrio, il mare non sa-rà più navigabile, il cielo non sarà più pieno di stelle, lestelle fermeranno il loro corso nel cielo. Ogni voce divi-na sarà fatta tacere, e tacerà. I frutti della terra si ridur-

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ranno in polvere, il suolo non sarà più fertile, l’aria stessadiventerà gravida di un lugubre torpore.

Tale sarà la vecchiaia del mondo: empietà, disordine,confusione di tutti i beni. Quando tutto ciò sarà acca-duto, o Asclepio, allora il Signore e Padre, il dio primofra tutti in potenza e il demiurgo del Dio-Uno, visti que-sti costumi e questi crimini volontari, cercando con il suovolere, che è il volere divino, di sbarrare la via ai vizi e allacorruzione universale, e di correggere gli errori, annichi-lirà ogni malizia, o cancellandola con un diluvio, o con-sumandola col fuoco, o distruggendola con malattie pe-stilenziali diffuse in molti luoghi della terra. Così ripor-terà il mondo alla sua primitiva bellezza, affinché possatornare ad essere di nuovo degno di reverenza e ammi-razione, e anche Dio, creatore e restauratore di una cosìgrande opera, possa venire glorificato dagli uomini cheallora vivranno, con continui inni di lode e di benedizio-ne. Questa sarà la rinascita del mondo; un rinnovamentodi tutte le cose buone, una santa e solennissima restaura-zione della stessa Natura, imposti forzatamente nel corsodel tempo ... dalla volontà di Dio.

Non abbiamo nessun commento di Ficino all’Asclepius,perché quello che gli veniva attribuito, stampato insie-me con l’Asclepius nella raccolta delle sue opere, è risul-tato dovuto non alla sua mano, ma a quella di Lefèvred’Etaples77. In tale commento questi esprime una for-

77 Nel 1505, Lefèvre d’Etaples pubblicò a Parigi il Piman-der ficiniano insieme all’Asclepius, entrambi accompagnati daun suo commento. Da allora in poi le due opere vennero spes-so pubblicate insieme e alla fine furono inserite unitamente nel-le edizioni complete delle opere di Ficino dove non si fa alcunaccenno al fatto che il commento all’Asclepius non è di Ficinoma di Lefèvre d’Etaples. Il commento di Lefèvre al Pimanderriproduce esattamente le idee e le opinioni espresse da Ficinonell’argumentum preposto a quest’opera. Il commento di Le-fèvre all’Asclepius formula, invece, giudizi che non si possono

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te disapprovazione per il brano relativo alla «costruzio-ne degli dei»78. Dunque, tale disapprovazione può veni-re ora interamente dissociata da Ficino, in quanto non èlui l’autore del commento.

La miglior guida al pensiero di Ficino intorno all’Ascle-pius resta così l’argumentum preposto alla sua traduzio-ne del Corpus Hermeticum, chiamata da lui Pimander,laddove dice che, delle molte opere di Ermete Trismegi-sto, due sono «divine», e si tratta dell’opera sulla volontàdivina, e di quella sulla potestà e la sapienza di Dio. Laprima è intitolata l’Asclepius, la seconda Pimander79.

Così, per Ficino, l’Asclepius è un’opera «divina» sullavolontà di Dio, intimamente connessa con l’altra opera«divina» di questo antichissimo e santo autore egiziano,il Pimander, sulla potestà e la sapienza di Dio.

Presentando insieme, in questo capitolo, i riassuntidelle quattro opere del Corpus Hermeticum unitamen-te a quello dell’Asclepius, mi sono proposta di suggeri-

identificare con quelli di Ficino. Nell’edizione delle opere fi-ciniane da cui sono state ricavate tutte le citazioni del mio li-bro, il Pimander di Ficino con il commento di Lefèvre basatosull’argumentum ficiniano (Ficino, pp. 1836-57) è immediata-mente seguito (pp. 1858-72) dall’Asclepius con un commentoin cui il lettore sprovveduto suppone naturalmente che siano dinuovo espresse le opinioni di Ficino. P. O. Kristeller è stato ilprimo a far luce su questo errore in Suppl. fic., I, pp. CXXXsgg.; cfr. anche Kristeller, Studies, pp. 223 sgg.

78 Cfr. Ficino, pp. 1866-7, 1870, per il commento all’As-clepius (in realtà opera di Lefèvre d’Etaples) in cui vengonocondannate l’idolatria e le pratiche magiche egiziane descrittenell’opera. Cfr. D. P. Walker, «The “Prisca Theologia” inFrance», J.W.C.I., XVII, 1954, p. 238.

79 «E multis denique Mercurii libris, duo sunt diuine prae-cipue, unus de Voluntate diuina, alter de Potestate, & sa-pientia Dei. Ille Asclepius, hic Pimander inscribitur». Cfr.l’argumentum ficiniano preposto al Pimander (Ficino, p. 1836).

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re come, per Ficino e per i suoi lettori, quelle che es-si ritenevano la pietà mosaica della Genesi egiziana e lepietà cristiana della rigenerazione egiziana, fossero de-stinate a riabilitare, ai loro occhi, la religione egizianadell’Asclepius. Essi osservarono probabilmente che buo-na parte delle concezioni filosofiche e delle idee genera-li dei quattro scritti del Corpus Hermeticum si trovano ri-petute nell’Asclepius. Di conseguenza quest’opera saràloro sembrata la rivelazione del culto religioso che si ac-compagnava alla «religione della mente», o alla religio-ne della mente in rapporto al mondo, che questo santoautore egiziano, sia in vari passi del Corpus Hermeticum,sia nell’Asclepius, associava profeticamente con il «Figliodi Dio». Alla luce del Corpus di recente scoperto, e dellasua traduzione nel Pimander ficiniano, avidamente letto,dovette sembrare che Agostino avesse sbagliato, quandoaveva interpretato il Lamento come una profezia verace,per quanto ispirata dal maligno, dell’avvento del Cristia-nesimo, destinato a sconfiggere l’idolatria egiziana. Alcontrario, l’opera che Lattanzio aveva chiamato Sermoperfectus, conteneva l’iniziazione definitiva al culto reli-gioso praticato dal santo Ermete.

E quel culto comportava la pratica della magia astra-le. Le statue dei templi, gli «dei terrestri», erano anima-te grazie alla conoscenza delle occulte proprietà delle so-stanze, alla loro combinazione secondo i princìpi dellamagia simpatica ed all’infusione, in esse, della vita deglidei celesti attraverso invocazioni rituali. Per un filosofodiveniva perciò una pratica legittima, e persino una pra-tica di devozione non incompatibile con la sua religione,«catturare la vita del cielo» per mezzo di simpatica ma-gia astrale, come Ficino consigliava nella sua opera sullamagia, il De vita coelitus comparanda.

La riabilitazione dell’Asclepius, attraverso la scoper-ta del Corpus Hermeticum, costituisce, secondo me, unodei fattori essenziali del risorgere della magia nel Rina-

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scimento. E ciò si può comprendere soltanto leggendol’Asclepius nel contesto del Pimander ficiniano e le pieinterpretazioni che egli fornisce nel suo commento.

Dovette mutare anche l’atteggiamento nei confrontidel famoso Lamento dell’Asclepius. Questo brano, belloe commovente, di retorica filoegiziana, è soffuso di unaindignazione morale che richiama le profezie ebraiche,dalle quali l’autore del Lamento può essere stato effetti-vamente influenzato. La scomparsa della religione egi-ziana viene fatta coincidere con una trasgressione dellalegge morale, e l’eventuale restaurazione della prima conil recupero della moralità. La decadenza della «religio-ne del mondo» portava con sé la decadenza dell’etica euna completa confusione morale. Perciò l’uomo buonoe pio doveva sperare nella promessa del suo ritorno, e ilLamento poteva cominciare ad apparire del tutto diver-so da come lo aveva visto Agostino; poteva cominciarea sembrare, cioè, un’ingiunzione a infondere, in un Cri-stianesimo in decadenza, qualcosa dello spirito egizianodi moralità e pietà.

La prima cosa che colpisce lo sguardo del devoto, odel turista, che entra nella cattedrale di Siena, è il ritrat-to di Ermete Trismegisto sul famoso pavimento a mosai-co (vedi il frontespizio). Ai lati di Ermete stanno due Si-bille, con le loro profezie dell’avvento del Cristianesimo,e dietro a queste sono disposte le altre, tutte con le ri-spettive profezie. Naturalmente, questo Ermete Trisme-gisto con le Sibille è quello stesso che già era stato de-scritto da Lattanzio: il grande profeta pagano del Cri-stianesimo. L’iscrizione sotto i suoi piedi fa risalire la ve-nerata figura ancor più addietro di quanto avessero fat-to Agostino o Lattanzio, perché essa lo definisce come«Hermes Mercurius Trimegistus contemporaneus Moy-se». Una figura dell’aspetto orientale, con turbante, pro-babilmente destinata a rappresentare il suo «contempo-raneo» Mosè è ritratta in atteggiamento deferente, quasi

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inchinata, alla destra di Ermete e dietro a questa figura èrappresentato un severo personaggio, forse qualche pioegiziano che prende parte ai dialoghi ermetici: Asclepio,per esempio, o Tat.

La mano sinistra di Ermete posa su una tavola sorrettada sfingi, sulla quale si legge:

DEUS OMNIUM CREATORSECUM DEUM FECITVISIBILEM ET HUNCFECIT PRIMUM ET SOLUMQUO OBLECTATUS EST ETVALDE AMAVIT PROPRIUMFILIUM QUI APPELLATURSANCTUM VERBUM.

Come ha messo in evidenza Scott80, questa iscrizione èuna traduzione latina abbreviata del brano dell’Asclepiusquale era stato citato, dal greco, da Lattanzio, e chetanto quel Padre aveva sottolineato per la menzione,in esso contenuta, del «Figlio di Dio». «Il Signore eCreatore di tutte le cose, che abbiamo a buon dirittochiamato Dio, dopo che ebbe creato il secondo Dio,visibile e sensibile... Dopo averlo, dunque, creato perprimo, solo, e unico, questi Gli apparve bello e ricolmodi ogni bene; allora Egli lo santificò, e lo amò in tuttocome Suo figlio»81. Tutti i punti essenziali dell’iscrizionesenese si ritrovano in questo brano, eccettuata la frase«qui appellatur Sanctum Verbum», che richiama l’altraprofezia di Ermete sulla Parola come Figlio di Dio – puresottolineata da Lattanzio – all’inizio del Pimander82.

80 Scott, I, p. 32.81 Lattanzio, Div. inst., IV, 6; C. H., II, pp. 304-5; cfr. supra.82 C. H., I, p. 8; Ficino, p. 1837; Lattanzio, Div. inst., IV, 8,

9.

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Il supplice Mosè (se pure questa figura rappresentadavvero Mosè) regge un libro su cui tiene la mano ancheErmete. Su questo libro è scritto:

SUSCIPITE O LICTERAS ET LEGES EGIPTII

«Dedicatevi alle lettere e alle leggi, o Egiziani». Lafrase deriva, ovviamente, dalla descrizione di Cicerone,citata da Lattanzio, di Ermete Trismegisto come coluiche ha dato agli Egiziani leggi e lettere (Aegyptiis leges etlitteras tradidisse)83. Ma la frase è assai significativamentemutata nell’iscrizione.

DEDICATEVI ALLE LETTERE E ALLE LEGGI, O EGI-ZIANI

sembra, infatti, un’esortazione del legislatore degliEbrei (se la figura del supplice è quella di Mosè) al le-gislatore degli Egiziani, a far rivivere la pietà e la morali-tà egiziane.

I mosaici di Ermete Trismegisto e delle Sibille furonocollocati nel duomo di Siena durante gli anni ’80 del XVsecolo84. La raffigurazione di Ermete Trismegisto nell’e-dificio cristiano, così accentuatamente vicina all’ingres-so, e che vale ad attribuirgli una così preminente posi-zione spirituale, non è un isolato fenomeno locale, ma

83 Cicerone, De nat. deor., III, 22; cit. da Lattanzio, Div.inst., I, 6. La citazione da Cicerone viene introdotta in un passoin cui Lattanzio associa Ermete alle Sibille: essa pertanto puòessere stata suggerita all’autore del mosaico non direttamenteda Cicerone ma da Lattanzio.

84 Cfr. R. H. Cust, The Pavement Masters of Siena, London1901, pp. 23, 31. Nel Medioevo Ermete era noto come profe-ta pagano; anche se questa non è la sua più antica rappresenta-zione insieme alle Sibille, è tuttavia la prima in cui egli appaiain tutto il suo splendore rinascimentale.

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un simbolo di come il Rinascimento italiano lo conside-rava e un preannuncio di quanto dovesse essere straordi-naria la sua fortuna nel XVI secolo, e anche nel XVII, intutta l’Europa.

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III. ERMETE TRISMEGISTO E LA MAGIA

La letteratura ermetica si suddivide in due rami. Da unaparte ci sono i trattati filosofici, come quelli compresi nelCorpus Hermeticum, e l’Asclepius, ai quali si possono ag-giungere altri esemplari di questa letteratura e in parti-colare i frammenti conservati nell’antologia di excerptacompilata da Stobeo85. Dall’altra troviamo la letteratu-ra astrologica, alchimistica e magica, buona parte dellaquale, anche, è stata tramandata sotto il nome di Erme-te Trismegisto. È impossibile tenere completamente di-stinti questi due rami86. Non soltanto l’Asclepius ci forni-sce una viva descrizione di pratiche magiche, nell’ammi-rato resoconto dei metodi con cui gli Egiziani «costrui-vano dei», ma persino i più alti e mistici fra i trattati filo-sofici ermetici presuppongono, come abbiamo visto, unastruttura cosmica di tipo astrologico. Gnosticismo e ma-gia vanno di pari passo. Lo gnostico pessimista ha bi-sogno di conoscere le parole e i segni magici con i qua-li possa liberarsi dal maligno potere materiale delle stellenella sua ascensione attraverso le sfere. Lo gnostico otti-mista, d’altra parte, non ha alcun timore di attirare, ser-vendosi di magia simpatica, invocazioni, talismani e simi-

85 Testo dei frammenti di Stobeo, con traduzione francese, inC. H., voll. III e IV.

86 Scott tentò di fare una tale distinzione, considerando gliHermetica filosofici assolutamente a parte e infinitamente su-periori rispetto alla «congerie di zavorra» spacciata sotto il no-me di Ermete (Scott, I, p. 1). D’altra parte Festugière dedicail primo volume della Révélation a «L’astrologie et les sciencesoccultes», occupandosi dei testi magici e astrologici come del-la necessaria introduzione allo studio degli Hermetica filosofici.Cfr. anche che Thorndike, I, pp. 287 sgg.

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li, quegli stessi poteri dell’universo, che egli ritiene fon-damentalmente buoni.

I metodi della magia simpatica87 presuppongono queicontinui effluvi di influenze, che dalle stelle si riversanosulla terra, di cui parla l’autore dell’Asclepius. Si ritene-va che tali effluvi ed influenze potessero essere incanala-ti, e conseguentemente sfruttati, da un operatore fornitodelle necessarie conoscenze. Tutti gli oggetti del mondomateriale si credevano colmi di occulte simpatie, riversa-te in essi dalla stella dalla quale ciascuno dipendeva. L’o-peratore che avesse voluto catturare, per esempio, il po-tere del pianeta Venere, doveva conoscere quali piante,quali pietre e metalli, quali animali appartenevano a quelpianeta, e servirsene mentre si rivolgeva a Venere. Dove-va essere a conoscenza delle immagini di Venere, e sape-re come riprodurle su talismani ricavati dagli adatti mate-riali venusiani, nel momento astrologicamente adatto. Siriteneva che queste immagini potessero catturare lo spi-rito, o il potere, della stella, e conservarlo per le necessi-tà dell’uso. Non soltanto a ciascun pianeta era collegatoun complicato sistema pseudoscientifico di simpatie oc-culte e di simboli, ma i dodici segni dello zodiaco aveva-no le loro piante, animali e immagini, e così via; e analo-gamente tutte le stelle e le costellazioni dei cieli. Perchéil Tutto era Uno, collegato in se stesso da un sistema direlazioni infinitamente complesso. Il mago era appuntocolui che sapeva penetrare all’interno di questo sistema,e servirsene, grazie alla sua conoscenza degli anelli del-le catene di influenze discendenti verticalmente dall’alto,e al fatto di saper costituire, per sé, una catena di anel-li ascendenti, mediante l’uso corretto degli occulti pote-ri simpatici contenuti nelle cose terrestri, delle immagi-ni celesti, di invocazioni e nomi, e così via. I metodi e il

87 Per una buona sintesi sull’argomento, cfr. Festugière, I,pp. 89 sgg.

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sistema cosmologico presupposti sono sempre gli stessi,sia che il mago intenda servirsi di queste forme per otte-nere, a proprio vantaggio, concreti benefici materiali, siache egli se ne avvalga religiosamente, come nella magiaieratica descritta nell’Asclepius, per affondare lo sguardonelle forze divine operanti nella natura, e per coadiuvareil suo culto di esse.

Nell’astrologia ellenistica, che costituisce lo sfondodegli Hermetica filosofici, era stato assorbito un elemen-to egiziano, e cioè i trentasei decani, o trentasei dei chegovernavano le divisioni decimali dei 360 gradi del cer-chio dello zodiaco88. Gli Egiziani, questo strano popolo,avevano divinizzato il tempo, non soltanto astrattamente,ma anche nel senso concreto che ciascun momento delgiorno e della notte aveva un proprio dio, il quale dove-va essere placato via via che i momenti passavano. I de-cani, come vennero chiamati in età ellenistica, erano, difatto, divinità sideree egiziane del tempo, che erano sta-te assorbite nell’astrologia caldea e collegate con lo zo-diaco. Tutti avevano proprie immagini, varianti a secon-da delle diverse liste in cui venivano elencati, e questeliste delle immagini miracolose dei decani provenivanotutte dagli archivi dei templi egiziani. I decani avevanovari aspetti. Essi avevano un preciso significato astrolo-gico, in quanto «Oroscopi» che presiedevano alle formedi vita nate nei periodi di tempo da essi controllati; era-no inoltre assimilati ai pianeti posti sotto il loro dominio,e ai segni dello zodiaco (tre decani erano collegati con

88 Sui decani, cfr. Festugière, I, pp. 115 sgg.; Bouché-Leclercq, L’astrologie grecque, Paris 1899, pp. 215 sgg.; F.Boll, Sphaera, Leipzig 1903, pp. 15 sgg., 176 sgg.; O. Neuge-bauer, The Exact Sciences in Antiquity (Princeton 1952), Har-per Torchbook Reprint, 1962, pp. 81 sgg. L’unico studio spe-cialistico sulle immagini dei decani è quello di W. Gundel, De-kane und Dekansternbilder, «Studien der Bibliothek Warburg»,XIX, 1936.

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ciascun segno, del quale costituivano le tre «facce»). Maerano anche dei, potenti dei egiziani, e questa loro natu-ra, mai dimenticata, attribuiva ad essi una misteriosa im-portanza. L’alta collocazione che l’autore dell’Asclepiusassegna ai «Trentasei Oroscopi» nel suo elenco delle di-vinità, è un tratto genuinamente egiziano dell’opera e inuno dei frammenti di Stobeo si legge, nella cornice fa-miliare di una conversazione fra Ermete e suo figlio Tat,della grande importanza dei Trentasei.

Abbiamo detto, figlio mio, che c’è un corpo, il quale involgel’intero complesso del mondo: tu devi immaginartelo come unafigura circolare, perché così è il Tutto.Mi immagino questa figura come dici tu, padre.Immagina ora che, al di sotto della forma circolare di questocorpo, siano disposti i trentasei decani, nella zona medianafra il cerchio universale e il cerchio dello zodiaco, quasi aseparare questi due cerchi; e, come se sostenessero il cerchiodel Tutto e circoscrivessero lo zodiaco, si muovano lungo lozodiaco con i pianeti, e abbiano la stessa forza del movimentodel Tutto, alternativamente con i Sette... Stai attento: poichéi decani comandano sui pianeti, e noi siamo sotto il dominiodei Sette, ti rendi dunque conto di come siamo soggetti a unacerta influenza dei decani, sia tramite i loro figli, sia tramite ipianeti?89

I decani sono qui considerati poderose forze demoni-che o divine vicine al cerchio del Tutto, al di sopra deicerchi dello zodiaco e dei pianeti, ed operanti sulle coseinferiori o in via diretta, tramite le loro creature, o figli,cioè i demoni, o indirettamente, tramite i pianeti.

89 C. H., III, pp. 34, 36 (VI frammento di Stobeo). Nellenote a questo passo (ibid., p. L), Festugière interpreta i figlidei decani come demoni. Cfr. anche Révélation, I, pp. 118-20; Scott, III, p. 374 (dove è presentato un diagramma perillustrare il fatto che, secondo la lettera di questo passo, i decanisi trovano esternamente e al di sopra, rispetto al circolo dellozodiaco).

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In tal modo gli Hermetica filosofici si inquadrano nel-la stessa cornice di pensiero degli Hermetica pratici, cioèdei trattati sull’astrologia e l’alchimia, degli elenchi dipiante, pietre e animali e simili, raggruppati a secondadelle loro occulte simpatie con le stelle, degli elenchi diimmagini di pianeti, segni, decani, con le relative istru-zioni sul modo in cui farne talismani magici. Accennia-mo soltanto a qualche esempio di questa vasta e com-plessa letteratura attribuita ad Ermete Trismegisto. C’èun trattato, che si ritiene di Ermete, sui nomi e sui poteridei dodici segni dello zodiaco90; altri illustrano i legamifra piante, segni e pianeti91; un libro di Ermete Trismegi-sto ad Asclepio sulle virtù occulte degli animali92; un trat-tato di medicina astrologica dedicato da Ermete all’egi-ziano Ammone, in cui vengono descritti i modi per cu-rare le malattie provocate da maligni influssi stellari (oc-corre allacciare anelli con il metodo della magia simpati-ca e costruire talismani per provocare o un aumento diinflussi buoni dalla stessa stella che ha causato la malat-tia, o l’acquisizione di influssi di altre stelle)93.

Il nome di Ermete Trismegisto sembra sia stato col-legato con particolare frequenza agli elenchi di immagi-ni dei decani. Il Liber Hermetis Trismegisti94, un tratta-

90 Cfr. Thorndike, I, p. 291; Festugière, I, pp. 111-2.91 Thorndike, loc. cit.; Festugière, ibid., pp. 143 sgg.92 Festugière, ibid., pp. 207 sgg., dove discute del Livre

court médical d’Hermès Trismégiste selon la science astrologi-que et l’influx naturel des aniamux, publié à l’adresse de son di-sciple Asklépios. Come si può vedere dalla traduzione france-se del titolo, questo tipo di trattato introduce spesso gli stes-si personaggi degli Hermetica filosofici. Questo trattato suglianimali è indirizzato da Ermete ad Asclepio, allo stesso mododell’Asclepius.

93 Cfr. Thorndike, I, p. 291; Festugière, I, pp. 130-1.94 Festugière, I, pp. 112 sgg. Il Liber Hermetis fu scoperto

da Gundel e da lui pubblicato nel 1936.

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to sull’astrologia e la magia astrologica, venuto alla lucein questi ultimi anni, inizia parlando dei decani. Il LiberSacer95, o libro sacro, di Ermete, è un elenco di immaginidi decani e delle pietre e delle piante con essi simpatica-mente collegate; inoltre insegna come si debbano incide-re tali immagini sulla pietra adatta, che deve essere inca-stonata in un anello insieme alla pianta relativa, e comeil portatore dell’anello debba astenersi da tutti quei cibiche siano col decano in relazione antipatetica.

In breve, quello di Ermete Trismegisto è un nomedi grande prestigio in tutto questo tipo di letteraturariguardante simpatie occulte e talismani. Anche nellaveste di Ermete-Thoth, inventore del linguaggio, delleparole che legano e che sciolgono, egli svolge un ruolomagico importante96, e alcune delle invocazioni e dellepreghiere magiche attribuite a lui sono simili a quellecontenute nel Corpus Hermeticum.

Il nome di Ermete Trismegisto era ben noto nel Me-dioevo, ed era collegato con l’alchimia e la magia, in par-ticolare con le immagini magiche, o talismani97. Il Me-dioevo considerava i decani pericolosi demoni, e alcu-ni testi attribuiti ad Ermete furono severamente censura-ti da Alberto Magno, sotto l’accusa di contenere magiadiabolica98. La censura agostiniana del culto demoniacodescritto nell’Asclepius (probabilmente Agostino inten-deva il culto dei decani) pesò gravemente su quest’ope-ra. Comunque, gli scrittori medievali interessati alla filo-sofia naturale parlano di Ermete Trismegisto con rispet-

95 Festugière, I, pp. 139 sgg.96 Ibid., pp. 283 sgg.97 Thorndike, II, pp. 214 sgg.; Festugière, I, pp. 105 sgg.98 Nello Speculum astronomiae; cfr. Alberto Magno, Opera,

ed. Borgnet, X, p. 641; cfr. inoltre Thorndike, II, p. 220.Alberto Magno è uno degli scrittori medievali che erano forse aconoscenza dell’Asclepius latino (cfr. C. H., II, pp. 268-9).

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to; per Ruggero Bacone egli era il «padre dei filosofi»99,e gli viene talvolta assegnata una genealogia che ne fa unpersonaggio ancora più antico di quanto ritenesse Ficinoo l’autore del mosaico di Siena. Nella prefazione a unatraduzione del XII secolo di un’opera alchimistica, si af-ferma che sono esistiti tre Ermeti, e cioè Enoch, Noè, e ilre, filosofo e profeta che regnò in Egitto dopo il diluvioe fu chiamato «Hermes Triplex». Un trattato di astrolo-gia del XIII secolo fornisce la stessa genealogia di «Her-mes Mercurius Triplex» ed anche la stessa spiegazionedella sua «triplicità»100. Si ricorderà che Ficino, nel suoargumentum preposto al Pimander, interpreta in manieraanaloga il termine «Trismegisto», riferendolo alla triplicenatura di Ermete, quale sacerdote, filosofo e re o legisla-tore. Tuttavia la genealogia medievale colloca «HermesTriplex» prima di Mosè, al tempo di Noè.

C’è un trattato estremamente ampio sulla magia sim-patica e astrale, con particolare riferimento ai talismani,che va sotto il nome di Picatrix. Per quanto la paternitàdel Picatrix non sia attribuita ad Ermete Trismegisto, l’o-pera frequentemente lo ricorda con grande rispetto, e ciòè importante perché può aver costituito una delle fonti diFicino in materia di talismani e di magia simpatica.

Come molte delle opere magiche attribuite ad Ermete,e conosciute in Occidente nel corso del Medioevo e delRinascimento, il Picatrix era stato scritto originariamen-te in arabo101, probabilmente nel XII secolo. La lette-

99 Thorndike, II, p. 219.100 Ibid., pp. 215, 222. Si tratta forse di riecheggiamenti

dello pseudoermetico Liber Hermetis Mercurii Triplicis de VIrerum principiis del XII sec., pubblicato da Th. Silverstein in«Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age», 22,1955, pp. 217-302. Sull’influenza di quest’opera, cfr. supra.

101 Il testo arabo del Picatrix è stato pubblicato, a cura diH. Ritter, in «Studien der Bibliothek Warburg», XII, 1933.

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ratura e le idee gnostiche ed ermetiche esercitarono unagrande influenza sul mondo arabo, e in particolare sugliArabi di Harra’n. Questi praticavano la magia talisma-nica dopo esserne stati influenzati per il tramite dei Sa-bei, a loro volta profondamente intrisi di ermetismo, sianei suoi aspetti filosofici e religiosi, che in quelli magi-ci. Il Picatrix è opera di un autore arabo che risente for-temente dell’influenza sabea, cioè ermetica. Egli forni-sce i propri elenchi di immagini magiche, e consigli pra-tici sulle procedure magiche, in una elaborata veste filo-sofica (e la filosofia delineata è, per molti aspetti, simile ache si ritrova in alcuni trattati del Corpus Hermeticum enell’Asclepius). Ficino e i suoi amici dovevano certo esse-re in grado di riconoscere, nel Picatrix, molte delle ideee dei sentimenti filosofico-religiosi espressi dallo straor-dinario autore del Pimander, il Mosè egiziano e profetadel Cristianesimo; tuttavia, in quest’opera, la filosofia èimmersa in un contesto di magia pratica – come costrui-re talismani, come attirare gli influssi delle stelle instau-rando catene di legami e di corrispondenze con il mondosuperiore.

Una traduzione tedesca del testo arabo, a cura di H. Rittere M. Plessner, è stata pubblicata in «Studies of the WarburgInstitute», University of London, vol. 27, 1962.

Oltre a queste edizioni, cfr. sul Picatrix, H. Ritter, Picatrix,ein arabisches Handbuch hellenistischer Magie, in «Vorträgeder Bibliothek Warburg», 1922; Thorndike, II, pp. 813 sgg.;Festugière, I, pp. 389, 397 (nell’appendice sulla letteraturaermetica araba, curata da Louis Massignon); Garin, Cultura,pp. 159 sgg.

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La traduzione latina del Picatrix102 è più breve del te-sto arabo; nel proemio si afferma che l’opera è stata tra-dotta dall’arabo in spagnolo per ordine di Alfonso il Sag-gio, ma questa traduzione spagnola non è sopravvissuta.Il Picatrix latino ebbe certamente una lunga circolazio-ne nel Rinascimento italiano103. Nella biblioteca di Picodella Mirandola c’era una copia del Picatrix104. Ne era aconoscenza Ludovico Lazzarelli105, fervente seguace del-l’ermetismo e contemporaneo di Pico. Giovanni France-sco Pico, nipote del grande Pico, ne rivela una certa co-noscenza in un’opera scritta dopo la morte dello zio106.Symphorien Champier, che curò una nuova edizione de-gli Hermetica, ma che insisteva nel voler distinguere l’er-metismo cristiano dalla magia dell’Asclepius, parla del Pi-catrix (nel 1514) disapprovandolo e accusa Pietro d’A-bano di avervi attinto107. La popolarità di questo ma-

102 Non si dispone attualmente di alcuna edizione di questatraduzione latina: eppure era quella usata nel Rinascimento,invece dell’originale arabo da cui differisce alquanto. Ad essaè quindi necessario che ricorrano gli studiosi degli scrittoririnascimentali.

Il manoscritto del Picatrix latino da me usato è lo Sloane1305. Benché del Seicento, esso presenta una stretta corrispon-denza coi precedenti manoscritti (cfr. Thorndike, II, p. 822) edha il vantaggio di essere scritto in una calligrafia chiara e leggi-bile.

103 E. Garin, Medioevo e Rinascimento, Bari 1954, pp. 175sgg.; Cultura, pp. 159 sgg.

104 P. Kibre, The Library of Pico della Mirandola, New York1936, p. 263; cfr. Garin, Cultura, p. 159.

105 Cfr. Ludovico Lazzarelli, Testi scelti, a cura di M. Brini,in Test. uman., p. 75.

106 G. F. Pico, Opera, Basilea 1572-3, II, p. 482; cfr. Thorn-dike, VI, p. 468.

107 Nella sua critica degli errori di Pietro d’Abano; cfr.Thorndike, II, p. 814; V, pp. 119, 122.

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nuale di magia è attestata dal fatto che Rabelais dirigeuno dei suoi strali contro di esso, quando parla di «lereuerend pere en Diable Picatris, recteur de la facultédiabologique»108. Il carattere esoterico della diffusionedel libro è messo in luce da Agrippa d’Aubigné, in unalettera scritta fra il 1572 e il 1575, nella quale egli diceche re Enrico III di Francia aveva importato alcuni libridi magia dalla Spagna. che egli aveva potuto vedere, conmolte difficoltà, e previo giuramento solenne di non co-piarli; fra essi c’erano «les commantaires de Dom JouanPicatrix de Tollede»109.

È dunque piuttosto evidente che il Picatrix, per quan-to non sia mai stato stampato, ebbe una notevole diffu-sione manoscritta durante il XV e il XVI secolo. Poichénon ne esiste alcuna copia manoscritta anteriore al XVsecolo110, è possibile che esso incominciasse a circolarenello stesso secolo che vide l’apoteosi di Ermete Trisme-gisto.

Il Picatrix si apre con pie preghiere, e con la promessadi rivelare profondi segreti. La conoscenza è infatti il mi-glior dono di Dio agli uomini: sapere qual o il principio eil fondamento di tutte le cose. La verità originaria non èun corpo, ma è l’Uno, la Verità Una, l’Unità Una. Tuttele cose provengono dall’Uno, e tramite esso ricevono ve-rità e unità nel perpetuo moto di generazione e corruzio-ne. Le cose sono ordinate gerarchicamente: le cose infe-riori si sollevano alle superiori, e le superiori discendonoverso le inferiori. L’uomo è un piccolo mondo che riflet-te il gran mondo del cosmo, ma, grazie al suo intelletto,il saggio può innalzarsi al di sopra dei sette cieli.

108 Pantagruel, III, 23; cit. da Thorndike, II, p. 814.109 Agrippa d’Aubigné, Oeuvres complètes, a cura di E. Réau-

me e F. de Caussade, Paris 1873, I, p. 435.110 Sui manoscritti cfr. Thorndike, II, pp. 822-4.

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Da questo breve saggio della filosofia del Picatrix,si comprende che il mago ha sempre come punto dipartenza una gnosi, una comprensione della natura delTutto.

In due altri brani viene ulteriormente precisato l’ordi-ne naturale111. Dio, o prima materia, è senza forma. Dal-l’incorporeo e aformale Uno derivano:

l’Intellectus o mens,lo Spiritus,la Materia, o natura materiale, gli elementi e gli ele-

mentata. Lo Spiritus discende dall’alto al basso, e si sta-bilisce nel luogo in cui è afferrato (ubi captus est). O, co-me si dice in un altro capitolo112, «le virtù dei corpi supe-riori sono la forma e il potere degli inferiori, e la formadegli inferiori è fatta di un materiale collegato con le vir-tù dei superiori; ed è come se fossero uniti insieme, per-ché il loro materiale corporeo (delle cose terrestri) e il lo-ro materiale spirituale (delle stelle) sono un solo mate-riale». L’arte magica consiste dunque, nel suo comples-so, nell’impadronirsi dell’influsso dello spiritus e nell’in-canalarlo nella materia.

Il mezzo più valido per conseguire questo scopo sonoi talismani, cioè le immagini astrali impresse sui materia-li adatti, nel momento adatto, secondo una giusta dispo-sizione mentale, e così via. I due primi, lunghi e compli-cati libri del Picatrix sono complessivamente dedicati aquesta difficilissima arte, che richiede una profonda co-noscenza dell’astronomia, della matematica, della musi-ca, della metafisica, e in pratica di tutto, poiché l’intro-duzione dello spiritus nei talismani è compito da far tre-mare le vene, e non può riuscire se non al filosofo consu-mato.

111 Picatrix, lib. I, cap. 7, e lib. IV, cap. I (Sloane 1305, ff. 21verso sgg.; ff. 95 recto sgg.).

112 Picatrix, lib. II, cap. 12 (Sloane 1305, ff. 52 recto sgg.).

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Vengono poi forniti elenchi di immagini da riprodurresui talismani. Diamo, qui di seguito, qualche esempiotratto dagli elenchi delle immagini planetarie113.

Due immagini di Saturno:«La figura di un uomo dalla faccia e dalle zampe di corvo, assisoin trono, con una lancia nella destra, e un giavellotto o un dardonella sinistra».«La figura di un uomo vestito di nero, ritto su un drago, chetiene nella destra una falce e nella sinistra una lancia».Due immagini di Giove:«La figura di un uomo seduto sopra un’aquila, vestito, conaquile sotto i suoi piedi».«La figura di un uomo con faccia di leone e zampe di uccellopoggiate sopra un dragone con sette teste, e con una freccianella destra».Un’immagine di Marte:«La figura di un uomo incoronato che tiene impugnata nelladestra una spada».Un’immagine del Sole:«La figura di un re assiso in trono, incoronato, e con la figura(carattere magico) del sole sotto i piedi».Un’immagine di Venere:«La figura di una donna dai capelli sciolti, che cavalca un cervo,tiene nella destra una mela, nella sinistra dei fiori, ed è vestitadi bianco».Un’immagine di Mercurio:«La figura di un uomo con un gallo sulla testa, assiso in trono,dalle zampe d’aquila, con del fuoco sul palmo della manosinistra, e con questo segno (carattere magico) sotto i piedi».Un’immagine della Luna:«La figura di una donna dal bel volto, su un drago, con cornasulla testa e due serpenti avvolti attorno al corpo... Un serpenteè avviluppato attorno a ciascun braccio, sulla sua testa c’è undrago, un altro sotto i piedi, e ciascun drago ha sette teste».

113 Le immagini planetarie sono elencate nel lib. II, cap. 10(Sloane 1305, ff. 43 recto sgg.).

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Come si può vedere da questi esempi, le immaginimagiche dei pianeti richiamano di solito, e in manierariconoscibile, le figure classiche di queste divinità, macon modifiche e aggiunte stravaganti e barbariche.

Nel Picatrix c’è un elenco completo delle immagini deitrentasei decani114, collegate con i segni zodiacali di loropertinenza.

Le immagini dei decani dell’Ariete:Primo decano: «Un enorme uomo scuro dagli occhi rossi, conuna spada in mano, vestito di bianco».Secondo decano: «Una donna verdevestita, priva di una gam-ba».Terzo decano: «Un uomo vestito di rosso, che tiene in manouna sfera d’oro».

E l’elenco prosegue su questo tono, per tutti i trentaseidecani appartenenti ai dodici segni, tutti descritti conuna simbologia bizzarra e barbarica.

Dopo avere esaurito l’argomento dei talismani e del-la loro fattura nei primi due libri, l’autore del Picatrixdiscute, nel terzo libro115, delle corrispondenze di pie-tre, piante e animali, e così via, con i vari pianeti, segni,ecc., fornendo, a questo riguardo, elenchi esaurienti; del-la corrispondenza fra i segni e le varie parti del corpo; deicolori dei pianeti; del modo in cui invocare gli spiriti deipianeti, pronunziando i loro nomi ed enumerando i lo-ro poteri; e così via. Il quarto libro116 tratta di argomentisimili e dei suffumigi, e termina con preghiere ai pianeti.

L’opera si presenta così come un compiuto manuale dimagia, in quanto espone le linee di filosofia naturale sullequali si basa la magia talismanica e simpatica, e fornisce,

114 Gli elenchi di immagini di decani si trovano noi lib. II,cap. 11 (Sloane 1305, ff. 48 verso sgg,).

115 Sloane 1305, ff. 37 recto sgg.116 Sloane 1305, ff. 95 recto sgg.

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al contempo, esaurienti istruzioni sulla pratica di essa.Il suo oggetto è, peraltro, strettamente pratico; i diversitalismani e procedimenti sono esaminati in vista di scopiben precisi: guarire malattie, prolungare la durata dellavita, ottenere il successo in imprese di vario genere,evadere dal carcere, vincere i propri nemici, attirarsil’amore di un’altra persona, e via dicendo.

Ermete Trismegisto viene spesso ricordato come lafonte di talune immagini talismaniche, o in riferimentoad altre circostanze, ma nel quarto libro del Picatrix c’èun brano estremamente suggestivo, nel quale si affermache Ermete fu il primo ad usare immagini magiche e gliviene attribuita la fondazione di una città meravigliosa inEgitto.

Ci sono, fra i Caldei, maestri perfettissimi in quest’arte edessi affermano che Ermete fu il primo a costruire immagini,delle quali si serviva per regolare il Nilo in corrispondenza aimovimenti lunari. Egli eresse anche un tempio al Sole, e sapevacome rendersi celato a tutti, cosicché nessuno potesse vederlo,per quanto presente. Fu lui, inoltre, che costruì nell’Egittoorientale una città lunga dodici miglia (miliaria), dentro laquale innalzò un castello con quattro porte su ciascun lato.Sulla porta orientale collocò la figura di un’Aquila; su quellaoccidentale la figura di un Toro; sulla porta a sud la figura diun Leone; e su quella a nord la figura di un Cane. Entro questeimmagini introdusse spiriti parlanti, e nessuno poteva passareattraverso le porte della città senza il loro permesso. Piantò inessa degli alberi, in mezzo ai quali ne cresceva uno di grandiproporzioni che produceva il frutto di tutta la generazione.Sulla sommità del castello fece innalzare una torre alta trentacubiti, sopra la quale fu collocato un faro (rotunda) il cuicolore cambiava giorno per giorno, per sette giorni, dopo diche ritornava al primo colore e la città veniva così illuminatacon questi colori. Presso la città c’era abbondanza di acquericche di molte specie di pesci. Intorno al perimetro dellacittà egli collocò immagini intagliate, e le dispose in modo taleche, per virtù loro, gli abitanti fossero resi virtuosi e tenuti

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lontani da qualsiasi male e scelleratezza. Il nome della città eraAdocentyn117.

Ci sembra di individuare, in questo brano, qual-cosa che richiama la ieratica magia religiosa descrittanell’Asclepius, filtrata attraverso la vivida immaginazio-ne dell’Arabo di Harra’n. Vi troviamo infatti gli dei co-struiti dall’uomo, statue di divinità egiziane dalla formaanimale che Ermete Trismegisto aveva animato introdu-cendo in esse spiriti, talché potevano parlare e custodirele porte di questa magica Utopia. I colori dei pianeti ven-gono proiettati dalla torre centrale. Quanto poi alle im-magini collocate intorno al perimetro della città, si trat-ta forse di immagini dei segni zodiacali e dei decani, cheErmete ha saputo disporre in modo tale che nella città siriversino solo influssi celesti favorevoli? Il legislatore de-gli Egiziani statuisce leggi che vengono necessariamenteosservate, poiché egli costringe gli abitanti della città adessere virtuosi, e li conserva sani e saggi grazie a questasua straordinaria operazione di magia astrale. L’alberodella generazione può anche significare che egli control-la i poteri generativi, cosicché possano nascere soltantouomini buoni, saggi, virtuosi e sani.

In questo brano suggestivo sulla città di Adocentynl’autore del Picatrix si solleva al di sopra del livello del-le sue utilitaristiche ricette e prescrizioni di talismani co-me cura del mal di denti, come portafortuna negli affa-ri, come strumenti per vincere i rivali, e simili, fino adabbracciare una visione più ampia delle possibilità dellamagia. Si potrebbe dire che questa città ci mostra «Her-mes Mercurius Triplex» nel suo triplice ruolo di sacer-

117 Picatrix, lib. IV, cap. 3 (Sloane 1305, f. III recto).Nell’originale arabo il nome della città è «al-Ašmunain»; cfr.la traduzione tedesca del testo arabo (cit. supra, p. 64, nota 17),p. 323.

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dote egiziano e creatore di dei, di filosofo-mago, di re elegislatore. Purtroppo la fondazione di Adocentyn non èprecisata cronologicamente, e quindi non abbiamo alcu-na possibilità di sapere se essa avvenne al tempo di Noè,subito dopo il diluvio, o ai tempi di Mosè, o poco più tar-di. Ma il pio ammiratore dei due libri «divini» dell’anti-chissimo Ermete – il Pimander e l’Asclepius – sicuramen-te sarà rimasto molto colpito da questa vivida descrizio-ne di una città nella quale, come nell’ideale Repubblicadi Platone, il governo è nelle mani del saggio filosofo lecui disposizioni hanno il carattere della inevitabilità, gra-zie all’impiego della magia sacerdotale egiziana, quale èdescritta nell’Asclepius. La città di Adocentyn, i cui abi-tanti sono forzatamente virtuosi per opera di magia, ser-ve anche a spiegare perché, quando la religione magicadegli Egiziani decadde, vennero a totale rovina anche ibuoni costumi e le norme etiche, come con tanta com-mozione viene descritto nel Lamento. E nella profeziadell’Asclepius, dopo il Lamento, circa l’eventuale restau-razione della religione egiziana, si afferma:

Un giorno, gli dei che esercitano il loro dominio sulla terrasaranno restaurati e installati in una città all’estremo confinedell’Egitto, una città che sarà fondata in direzione del sole chetramonta e nella quale accorrerà, per mare e per terra, l’interarazza dei mortali118.

In tal modo, nel contesto dell’Asclepius, la città diAdocentyn potrebbe essere considerata sia come l’idea-le società egiziana, prima della decadenza, sia come loschema ideale del suo futuro e universale rinnovamento.

L’autore del Picatrix afferma inoltre, all’inizio del bra-no sopra citato, che Ermete Trismegisto eresse un tem-pio al Sole, entro il quale egli presiedeva invisibilmen-

118 Asclepius (C. H., II, p. 332).

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te, per quanto questo tempio del Sole non sia esplicita-mente connesso con la sua città. In tal modo Ermete co-struttore di un tempio dedicato al Sole poteva forse ri-chiamare, nella mente del pio lettore del Pimander (conquesto intendo riferirmi, ovviamente, ai quattordici trat-tati del Corpus Hermeticum che Ficino raggruppò sottoquesto titolo) e dell’Asclepius, i numerosi passi di que-ste due opere in cui si tratta del sole. Per esempio, nelCorpus Hermeticum V si afferma che il sole è il supremofra tutti gli dei celesti119; nel Corpus Hermeticum X l’au-tore, servendosi di una terminologia platonica, paragonail sole al Bene, e i suoi raggi all’influsso dello splendoreintelligibile120. E nell’elenco degli dei egiziani contenutonell’Asclepius il Sole occupa una posizione di gran lungapreminente rispetto a quella di qualsiasi pianeta121. Nel-la gerarchia divina esso viene prima dei trentasei orosco-pi e questi, a loro volta, precedono le sfere dei pianeti.Il fatto che nel Picatrix Ermete Trismegisto sia indicatocome il costruttore di un tempio del Sole si accordereb-be, dunque, perfettamente con l’insegnamento del santopriscus theologus, così come esso ci viene presentato nelPimander e nell’Asclepius.

Quando Marsilio Ficino incominciò a dilettarsi di ma-gia, fino al punto di tentare anche l’uso di talismani, esi-stevano numerosi autori medievali, dei quali egli potreb-be essersi avvalso, che avevano compilato liste di imma-gini talismaniche, e fra questi Pietro di Abano, che elenca

119 C. H., p. 61; Ficino, p. 1843.120 C. H., p. 114; Ficino, p. 1847121 Asclepius (C. H., II, pp. 318 sgg.). Giove, il cielo, e il

Sole sono elencati come le più alte divinità, seguite dai trentaseidecani; ultimi vengono i pianeti fra cui ricompaiono Giove e ilSole ma, in quanto pianeti, sono qui dotati di minore potenza.Cfr. supra.

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le immagini dei decani, e che Ficino cita per nome122 nelsuo trattato De vita coelitus comparanda, traducibile co-me «Del modo di acquisire la vita delle stelle». Egli avràanche trovato notevoli incoraggiamenti alla pratica dellamagia in alcuni degli autori neoplatonici da lui studiati etradotti, in particolare Proclo, o il Giamblico dei Miste-ri egiziani. Nondimeno, come ha mostrato D. P. Walker,la descrizione della magia nell’Asclepius costituì senz’al-tro il suo maggior stimolo e, insieme, il suo modello123.Walker ritiene che, fra le possibili fonti della magia pra-tica di Ficino, ci sia anche il Picatrix124, e, come ha po-sto in luce l’analisi precedente di quest’opera, il pio am-miratore del «divino» Pimander e del «divino» Asclepiusdovette trovare, in questo trattato pratico di magia tali-smanica, molti richiami alle affermazioni dell’antichissi-mo Ermete Trismegisto, contenute nei suoi due libri di-vini. Potrebbe essere stato proprio il Picatrix, letto nelcontesto dei suoi studi ermetici, a consentire al devoto fi-losofo cristiano-neoplatonico di passare alla pratica dellamagia.

La magia non era mai completamente sparita nel cor-so del Medioevo, nonostante gli sforzi delle autorità ec-clesiastiche, tesi a porre qualche freno alla sua pratica e aproibirla nelle sue forme più estreme. Né fu certamentesolo a Firenze, né solo sotto la veste del neoplatonismoficiniano, che rinacque in Italia l’interesse per le imma-gini magiche delle stelle. Dall’altra parte degli Appenni-ni, a Ferrara, il duca Borso d’Este aveva fatto affrescarele pareti di una grande sala del suo palazzo con un ciclodi pitture rappresentanti i mesi dell’anno, e recanti, nellafascia centrale, i segni dello zodiaco con le immagini deitrentasei decani, suggestivamente dipinte. In questa sala,

122 Cfr. più avanti.123 Cfr. più avanti.124 Walker, p. 36; Garin, Cultura, pp. 159 sgg.

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la decorazione della quale fu portata a termine prima del1470125, si può scorgere, nella fascia inferiore degli affre-schi, la rappresentazione della multiforme vita di corte aFerrara e, al di sopra, le immagini dei trentasei decani di-sposte in connessione con lo zodiaco. La serie inizia coni tre decani dell’Ariete e il loro segno; per quanto la lorofigura differisca leggermente dalle immagini che abbia-mo citato dall’elenco del Picatrix, la corrispondenza ge-nerale è, nel complesso, facilmente riconoscibile: si ve-da l’uomo scuro vestito di bianco, la donna che nascon-de sotto le sottane la sua deformità (ha solo una gamba),l’uomo che porta una sfera, o un cerchio. Benché indos-sino eleganti costumi modernizzati, essi sono sempre glidei egiziani del tempo, i demoni condannati da Agostino.

Qui, tuttavia, non ci interessa seguire il rinascere diimmagini astrali in centri diversi da Firenze e al di fuoridella corrente principale del neoplatonismo fiorentino.Ci interessa piuttosto stabilire per quale ragione Mar-silio Ficino, che si preoccupò così scrupolosamente dipresentare la rinascita platonica e neoplatonica come unmovimento conciliabile con il Cristianesimo, permettes-se che una sfumatura di magia penetrasse in quel movi-mento, dando così inizio a tutte quelle filosofie rinasci-mentali nelle quali non mancano mai venature magiche.La teoria della prisca theologia, della pietà e dell’antichi-tà di Ermete Trismegisto, priscus theologus e mago, offri-va la scusa e la giustificazione della moderna magia filo-

125 P. D’Ancona, Les mois de Schifanoia à Ferrara, Milano1954, p. 9. Il primo a identificare come immagini dei decanile strane immagini raggruppate insieme ai segni dello zodiacofu A. Warburg, Italienische Kunst und Internationale Astrologieim Palazzo Schifanoja zu Ferrara, Gesammelte Schriften, Leipzig1932, II, pp. 459 sgg.

Si veda anche l’edizione italiana dei saggi di Warburg a curadi Gertrud Bing, La rinascita del paganesimo antico, Firenze1966, pp. 247-72.

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sofica di Ficino. Il fascino dell’Asclepius aveva già eserci-tato la sua attrazione nel primo Rinascimento126 e quan-do Ficino – accantonando Platone per tradurre prima ilCorpus Hermeticum – trovò in questi scritti una nuovarivelazione della santità di Ermete e una conferma del-l’alta opinione che di lui aveva avuto Lattanzio, conside-randolo il profeta del «Figlio di Dio», si sentì autorizzatoad abbracciare l’opinione lattanziana, e cercò di sottrar-si all’ammonimento di Agostino. La presenza di Erme-te Trismegisto all’interno del duomo di Siena, nelle vestidi profeta pagano assegnategli da Lattanzio, è un segnoindicativo del successo di questa riabilitazione.

Non dobbiamo dimenticare che anche gli altri priscitheologi, quali Orfeo o Zoroastro, erano maghi, e che laloro antichità incoraggiò la rinascita di alcune forme dimagia. Tuttavia Ermete Trismegisto è il più importan-te dei prisci magi dal punto di vista della fusione di ma-gia e filosofia, perché, nel suo caso, c’era un intero cor-pus di scritti filosofici, attribuiti ad età antichissima, dastudiare, ed essi, oltre agli echi mosaici e alla profeticacomprensione ante litteram del Cristianesimo, delinea-vano profeticamente anche le teorie del divino Platone.

Lattanzio scrisse le sue Divinae institutiones nell’am-biente dell’impero costantiniano, cristianizzato piuttostosuperficialmente; e la sua apologetica, in quest’opera, èvolta a convincere i pagani a farsi cristiani, tramite l’ac-centuazione di tutti quegli elementi che, nel paganesimo,si avvicinano al Cristianesimo o lo preannunciano. FraLattanzio e Agostino aveva avuto luogo la reazione pa-gana sotto l’imperatore Giuliano l’Apostata, con il ten-tativo di scacciare la nuova religione mediante un ritor-no alla filosofica «religione del mondo» e ai culti misteri-

126 E. Garin, Medioevo e Rinascimento, p. 155, fa men-zione del Salutati e del Manetti come di scrittori influenzatidall’Asclepius prima della rinascita ficiniana dell’ermetismo.

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ci. Nel suo «Inno ad Elios» Giuliano venera il Sole comedio supremo, immagine del Bene intelligibile; e affermache vive in cielo una moltitudine di altri dei.

Perché come egli [il Sole] divide le tre sfere per quattro tramitelo zodiaco... così divide anche lo zodiaco in dodici potestàdivine; e ciascuna di queste dodici per tre, in modo da fare intutto trentasei dei127.

Dalla risposta di Origene a Celso risulta evidente qua-le larga parte avesse avuto la tendenza «egiziana» nellareligione di tipo neoplatonico che riaffiorò al tempo del-la reazione pagana, Celso discute su quanto «si possa im-parare dagli Egiziani», e Origene cita il seguente branodi quest’opera andata perduta:

Essi [gli Egiziani] dicono che il corpo umano è stato posto sot-to il controllo di trentasei demoni, o specie particolare di divi-nità eteree... A ciascun demone compete una parte diversa. Es-si conoscono i nomi di questi demoni nel loro dialetto locale:Chnoumen, Chnachoumen, Knat, Sikat, Biou, Erou, Erebiou,Rhamanoor e Rheianoor, e tutti gli altri nomi che usano nellaloro lingua. Invocandoli, essi guariscono le sofferenze delle va-rie parti del corpo. Che cosa può impedire a chiunque di ren-dere onore a queste divinità, e ad altre ancora se egli lo voglia,per essere sano invece che malato, aver buona fortuna piuttostoche disgrazia, ed essere liberato da torture e punizioni?

Ed ecco la replica di Origene:

Con queste osservazioni Celso cerca di trascinare la nostraanima al livello dei demoni, come se davvero essi avessero avutoil compito di presiedere al nostro corpo. Egli tiene in così bassaconsiderazione l’opportunità di tributare un onore indiviso eindivisibile al Dio dell’universo, da non poter credere che il soloDio, il quale è venerato e tanto splendidamente onorato, possabastare ad accordare all’uomo che l’onora, in conseguenza della

127 Giuliano, Works, ed. Loeb, I, pp. 405, 407.

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sua devozione verso di lui, un potere capace di neutralizzare gliattacchi dei demoni contro la persona retta. Perché egli non hamai visto come, quando veri credenti pronunciano la formula«in nome di Gesù», tanta gente venga guarita da malattie, dallapossessione demonica, e da altre angustie... Secondo Celso,potremmo praticare la magia e la stregoneria piuttosto che ilCristianesimo, e credere in un numero illimitato di demonipiuttosto che nel Dio supremo, manifesto ed evidente di persé...128

Scrivendo dopo la reazione pagana. Agostino non puòaccettare l’ottimistica opinione che Lattanzio si era fattodi Ermete Trismegisto, da lui considerato il santo profetadel Cristianesimo, e lancia il suo anatema contro il cultodemonico dell’Asclepius.

Tuttavia, persino Agostino contribuì al colossale equi-voco della collocazione cronologica di quest’opera, per laquale Ermete risulta un profeta del Cristianesimo, ben-ché ricevesse questa sua conoscenza direttamente dai de-moni.

Convinto della immensa antichità del Corpus Herme-ticum e dell’Asclepius, e seguendo l’opinione di Lattan-zio circa il loro carattere divino e sacro, il pio cristianoFicino risale, studiandoli, non, come ritiene, all’antichitàdi un priscus theologus che, profeticamente, aveva potutoantivedere la verità cristiana (e autorizzare la pratica ma-gica), ma a quel tipo di gnosi filosofica pagana, ricca ditendenze «egiziane» e magiche, che aveva caratterizzatola reazione anticristiana al tempo di Giuliano l’Apostata.

Il tipo di magia del quale dobbiamo occuparci differi-sce profondamente dall’astrologia, che non è per nientemagia, ma una scienza matematica basata sulla creden-za che il destino umano sia irrevocabilmente governatodalle stelle, e che pertanto, in base allo studio dell’oro-scopo di una persona e della posizione delle stelle al mo-

128 Origene, Contra Celsum, VIII, 58-9.

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mento della sua nascita, se ne possa prevedere il futu-ro irrevocabilmente preordinato. Questa magia è astro-logica soltanto nel senso che anch’essa si basa sulle stel-le, sulle loro immagini e sui loro influssi, ma costituisce,in sé, un modo per sfuggire al determinismo astrologicoacquistando un potere sulle stelle e guidando i loro in-flussi nella direzione desiderata dall’operatore. Ovvero,in senso religioso, è un modo per salvarsi, per sfuggireal destino e alla fortuna materiali, o per poter affondarelo sguardo nel divino. Pertanto, quando si dice «magiaastrologica» non se ne dà una corretta definizione e allo-ra, in mancanza di un termine più adeguato, la chiamerò«magia astrale».

È in maniera estremamente timida, cauta ed esitanteche Ficino si dedica a una forma moderata di magiaastrale e cerca di modificare, di evitare il suo oroscoposaturniano imprigionando e orientando verso di sé piùpropizi influssi astrali. Tuttavia questo avvicinamentorelativamente innocuo alla terapia medica astrale dovevaaprire una falla attraverso la quale la corrente di unastupefacente rinascita della magia avrebbe invaso tuttal’Europa.

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IV. LA MAGIA NATURALE DI FICINO129

Ficino, il cui padre era medico, fu anch’egli medico, oltreche sacerdote, e i suoi Libri de vita130, tre in tutto e pub-blicati per la prima volta nel 1489, sono un trattato dimedicina. Era del tutto inevitabile che un trattato di me-dicina scritto nel Medioevo o nel Rinascimento si avva-lesse di presupposti astrologici, universalmente dati perscontati. Le prescrizioni mediche si basavano normal-mente su assiomi del tipo di quelli che attribuivano ai va-ri segni un’influenza diretta sulle diverse parti del corpo,o connettevano i vari temperamenti fisici ai diversi pia-neti. Buona parte dell’opera di Ficino rientrava dunque,come egli sosteneva, nell’ambito della normale medicina.Nondimeno egli introdusse in essa anche una forma sot-tile e immaginativa di magia, implicante l’uso di talisma-ni. Egli era acutamente consapevole dei pericoli connessia tale impostazione, e nelle pagine introduttive avverte il

129 Una mirabile discussione della magia ficiniana è stata fattada D. P. Walker in Spiritual and Demonic Magic from Ficino toCampanella, a cui molto debbo per quanto riguarda la stesuradi questo capitolo. Sono inoltre debitrice al saggio di E. Garin,Le «Elezioni» e il problema dell’astrologia, in Umanesimo eesoterismo, a cura di E. Castelli, Archivio di Filosofia, Padova1960, pp. 7 sgg.

130 Quello di Libri de vita è il titolo collettivo di un’operadivisa in tre libri, l’ultimo dei quali reca il titolo De vita coelituscomparanda. Sulle molte edizioni dei Libri de vita, che furonoevidentemente una delle opere più popolari di Ficino, cfr.Kristeller, Suppl. fic., I, pp. LXIV-LXVI. L’opera è compresain Ficino, Opera, pp. 530-73.

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lettore che se «non approva le immagini astronomiche»può tranquillamente saltarle131.

L’opera è essenzialmente rivolta agli studiosi che,a causa di una eccessiva applicazione ai loro studi,sono soggetti ad ammalarsi, o a cader preda dellamalinconia132. Ciò accade perché la natura delle lorooccupazioni li colloca tutti sotto l’influsso di Saturno, ilquale, come presiede agli studi astratti, e alla contem-plazione, è anche il pianeta dei temperamenti malinco-nici, la stella ostile alle forze attive della vita e della gio-vinezza. I malinconici studiosi che hanno esaurito le lo-ro energie vitali nello studio, e i vecchi, nei quali questeforze declinano in ogni caso, vengono perciò avvertiti dievitare, nei limiti del possibile, piante, erbe, animali, pie-tre e simili, di pertinenza di Saturno, e di circondarsi in-vece di oggetti che siano di pertinenza di pianeti più for-tunati, sereni e vivificanti, primi fra tutti il Sole, Giove eVenere. Si trovano, in Ficino, brani entusiastici sui pre-ziosi «doni», indispensabili a una buona salute e a unatranquilla disposizione spirituale, che possono ottenersida tali pianeti che egli poeticamente definisce, più di unavolta, le «Tre Grazie»133. La correlazione fra benefici in-flussi astrali e le Tre Grazie deriva probabilmente da unbrano dell’Inno al Sole dell’imperatore Giuliano134. L’o-ro è un metallo ricco di virtù solari e rasserenanti, e per-tanto benefico per combattere la malinconia. Il verde èun colore salutare e vivificante; e il lettore è consigliato

131 Ficino, p. 530 (indirizzo al lettore preposto al lib. III, Devita coelitus comparanda.

132 Su Ficino e la malinconia cfr. R. Klibansky, E. Panofsky,F. Saxl.,Saturn and Melancholy, London 1964, pp. 255 sgg.; L.Babb, The Elizabethan Malady, East Lansing 1951.

133 Libri de vita, II, III, 5, ecc. (Ficino, pp. 536-7).134 Giuliano, Works, ed. Loeb, I, p. 407.

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di tornare all’«Alma Venus»135, di passeggiare con lei neiverdi prati e di cogliere i suoi fiori, come le rose, o il cro-co, l’aureo fiore di Giove. Ficino insegna anche come sipossa seguire una dieta non saturniana, e pensa che pos-sa rivelarsi benefico l’uso di piacevoli profumi ed aro-mi. Si ha l’impressione di trovarsi nel gabinetto di unopsichiatra di lusso, consapevole del fatto che i suoi pa-zienti possono agevolmente procurarsi oro in quantità, evacanze in campagna, e fiori fuori di stagione.

Dei talismani non si fa menzione fino al terzo li-bro, che porta il titolo De vita coelitus comparanda. Ilsuo primo capitolo si apre con oscure considerazionifilosofiche136. Queste si basano manifestamente sulla bennota tripartizione di intelletto, anima e corpo; ma, tran-ne questo richiamo, sono molto confuse. Si afferma l’esi-stenza di un intelletto del mondo e di un corpo del mon-do; in mezzo ad essi si trova l’anima del mondo. L’in-telletto, o mens divina, contiene le Idee; nell’anima delmondo si trovano «ragioni seminali», in numero equiva-lente alle idee della mens, a cui corrispondono o che es-se riflettono; a tali ragioni seminali contenute nell’ani-ma corrispondono le specie nella materia, cioè nel cor-po del mondo; e le specie corrispondono alle ragioni odipendono da esse, o sono da esse formate. Queste for-me materiali, se degenerano, possono essere ricostituitenel «luogo mediano», presumibilmente tramite una ma-nipolazione delle forme immediatamente superiori, dallequali esse dipendono. Esistono determinate conformitàfra le «ragioni» dell’anima del mondo e le forme inferio-ri: quelle che Zoroastro chiamava legami divini, e Sinesioattrazioni magiche. Questi legami dipendono non tantodalle stelle e dai demoni, quanto dall’anima del mondo

135 Libri de vita, II, 14 (Ficino, pp. 520-1).136 Libri de vita, III (De vita coelitus comparanda), I (Ficino,

pp. 532-3).

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che è ovunque presente. È per questo che i «platonicipiù antichi» popolarono i cieli di immagini, riferendosialle immagini delle quarantotto costellazioni, dodici nel-lo zodiaco e trentasei al di fuori di esso, e anche alle im-magini delle trentasei «facce» dello zodiaco. Da questeforme ordinate derivano le forme delle cose inferiori.

Ficino dichiara, nel sottotitolo del Liber de vita coeli-tus comparanda, che si tratta di un commento a un librodi Plotino sullo stesso argomento. Egli non specifica aquale passo delle Enneadi intenda riferirsi, ma P. O. Kri-steller ha osservato che, in un manoscritto, il De vita coe-litus comparanda, è indicato fra i commenti a Plotino conriferimento a Enneade, IV, 3, XI137.

In questo brano Plotino dice:

Penso... che quegli antichi saggi, i quali cercavano di assicurar-si la presenza di esseri divini erigendo santuari e statue, rive-lassero una profonda comprensione della natura del Tutto; es-si sentivano che, per quanto quest’anima [del mondo] sia re-peribile in ogni luogo, la sua presenza può essere più adegua-tamente assicurata quando venga costruito un ricettacolo adat-to, un luogo, cioè, che sia in grado di accoglierne qualche parteo momento, qualcosa che valga a riprodurla, e operi come unospecchio che ne rifletta l’immagine.Appartiene alla natura del Tutto far sì che il suo intero con-tenuto riproduca, con perfetta aderenza, le ragioni-principi acui esso partecipa; ogni cosa particolare è l’immagine, nella ma-teria, di una ragione-principio che, in sé, è l’immagine di unaragione-principio premateriale: in tal modo, ogni entità par-ticolare è collegata a quell’Essere divino, a cui somiglianza èfatta...138

137 Kristeller, Suppl. fic., I, p. LXXXIV; cfr. E. Garin, art.cit., pp. 18 sgg. Walker (p. 3, nota 2) sottolinea la possibileimportanza anche di Enn. IV, 4, pp. 30-42.

138 Plotino, Enn., IV, 3, XI.

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Ci sembra che siano qui esposti i due punti essenzia-li del ragionamento di Ficino, ma in un ordine diverso,che ne rende un po’ più chiara la successione logica. 1)Come gli antichi saggi, consapevoli della natura del Tut-to, richiamassero esseri divini nei loro santuari, attraen-do o assicurandosi la presenza di una parte dell’animadel mondo. Ciò corrisponde alla menzione ficiniana dilegami o attrazioni magici, descritti da Zoroastro o da Si-nesio, che rappresentano elementi di congruenza fra leragioni dell’anima del mondo e le forme inferiori. Ficinosegue questa concezione quando parla di immagini del-le stelle, come se queste facessero parte di un compren-sivo sistema magico di corrispondenze; ed afferma chele forme delle cose inferiori dipendono dall’ordinamen-to di queste immagini celesti. 2) Il compendio di teo-ria neoplatonica, che Ficino premette, e Plotino pospo-ne agli accenni sulla magia, per cui le Idee dell’intellettodivino si riflettono nelle rispettive immagini o forme nel-l’anima del mondo, donde esse vengono di nuovo riflesse(tramite gli elementi intermediari dell’anima del mondo)nelle forme materiali.

Il riferimento di Ficino alle immagini celesti, introdot-to nel suo commento al brano di Plotino, ha un sensopreciso se egli pensa che tali immagini siano in qualchemodo organicamente collegate con quelle «ragioni semi-nali», o «ragioni-princìpi» dell’anima del mondo, che so-no il riflesso, in quel «luogo mediano», delle Idee conte-nute nella mente divina. In tal modo, queste immagi-ni diverrebbero forme delle Idee, o mezzi per intercetta-re le Idee a un livello intermedio fra la loro forma pura-mente intellettuale, che esse posseggono nella mens divi-na, e il loro riflesso più opaco nel mondo sensibile o cor-po del mondo. Era dunque servendosi di tali immaginiin questo «luogo mediano» che gli antichi saggi riusciva-no ad addurre una parte dell’anima del mondo nei lorosantuari.

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C’è, inoltre, nelle parole di Ficino, l’idea che le formemateriali del mondo sensibile possano essere, per così di-re, riplasmate, quando abbiano subito un processo dege-nerativo, mediante un intervento sulle immagini superio-ri dalle quali esse dipendono. Nella sua analisi di questobrano E. Garin ha definito tale processo come imitazioneo ricostruzione delle immagini superiori, cosicché gli in-flussi divini sono di nuovo catturati e ricondotti nelle for-me sensibili deteriorate139. Così il mago-sacerdote svolgeun ruolo semidivino, in quanto riesce a mantenere, gra-zie alla sua conoscenza dell’uso delle immagini, il circui-to che collega il superiore mondo divino con l’anima delmondo e con il mondo sensibile.

Nel suo articolo sulle Icones symbolicae, E. H. Gom-brich ha analizzato il modo di pensare, tanto difficile dacomprendere ai nostri giorni, del neoplatonico rinasci-mentale, per il quale un’immagine «antica», pervenuta-gli come retaggio di una tradizione a suo giudizio lon-tanissima nel tempo, conteneva realmente in sé il rifles-so di un’Idea140. Un’antica immagine della Giustizia nonera soltanto una raffigurazione pittorica o plastica, maconteneva qualche eco, qualche sapore o sostanza dell’I-dea di Giustizia. In questa prospettiva si può compren-dere la concezione ficiniana delle immagini stellari chederiverebbero, secondo lui, dai «platonici più antichi»,per quanto, in questo caso la relazione fra immagine eIdea sia ancor più stretta, grazie alla cosmologia imper-niata sulla mens, sull’anima mundi, e sul corpus mundi,nell’ambito della quale le immagini hanno una loro col-locazione precisa.

Il commento di Ficino al passo plotiniano diviene per-ciò, indirettamente, una giustificazione dell’uso dei tali-

139 Garin, art. cit., pp. 21 sgg.140 E. H. Gombrich, «“Icones Symholicae”: the Visual Imago

in Neoplatonic Thought», in J.W.C.I., XI, 1948, pp. 163-92.

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smani e della magia dell’Asclepius su basi neoplatonichesulla base cioè della convinzione che gli antichi saggi, alpari di coloro che ai tempi di Ficino ricorrevano ai tali-smani, non invocassero demoni, ma possedessero piut-tosto una conoscenza profonda della natura del Tutto,e dei gradi attraverso i quali il riflesso delle Idee divineraggiunge il nostro mondo terreno.

Come ha messo in evidenza D. P. Walker141, al terminedel De vita coelitus comparanda Ficino riprende il com-mento al passo plotiniano, con il quale aveva dato inizioal libro, affermando, però, che in quel brano Plotino nonaveva fatto altro che imitare, o ripetere, quanto ErmeteTrismegisto aveva detto nel suo Asclepius. Ciò significache il De vita coelitus comparanda, È, piuttosto che uncommento a Plotino, un commento a Trismegisto, o me-glio, al brano dell’Asclepius nel quale egli descrisse il cul-to magico egiziano.

Qualsiasi oggetto materiale, quando venga posto in contattocon le cose superiori..., è colpito immediatamente da un influs-so celeste tramite quel potentissimo agente, di meravigliosa for-za vitale, che è ovunque presente... come uno specchio rifletteun volto, o Eco il suono di una voce. Di ciò fornisce nn esem-pio Plotino quando, imitando Mercurio, afferma che gli antichisacerdoti, o Magi, solevano introdurre qualcosa di divino e dimirabile nelle loro statue e nei loro sacrifici. Egli [Plotino] so-stiene, concordando con. Trismegisto, che essi non vi introdu-cevano spiriti separati dalla materia [e cioè demoni], ma mun-dana numina, come ho già detto all’inizio, conformemente al-l’opinione di Sinesio... Lo stesso Mercurio – seguito da Plotino– afferma di aver composto, per mezzo di demoni aerei, e nondi demoni celesti o superiori, e servendosi di erbe, alberi, pie-tre e sostanze aromatiche, certe statue che avevano in sé (eglidice) un naturale potere divino ... Ci furono abili sacerdoti egi-ziani che, non riuscendo a persuadere razionalmente gli uomi-ni dell’esistenza degli dei, e cioè di spiriti al di sopra di essi, in-

141 Walker, pp. 40-1.

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ventarono quella illecita arte magica per mezzo della quale, at-tirando i demoni nelle statue, facevano sì che queste sembras-sero dei... In un primo momento ho ritenuto, seguendo l’opi-nione di san Tommaso d’Aquino, che, se essi costruivano statueparlanti, ciò non poteva avvenire soltanto grazie a influssi stel-lari, ma anche grazie all’aiuto di demoni ... Ma ora ritorniamo aMercurio e a Plotino. Mercurio dice che i sacerdoti estraevanoopportune virtù dalla natura del mondo, e che le mischiavanofra loro. Plotino lo segue, e ritiene che tutto possa essere age-volmente conciliato nell’anima del mondo, perché questa gene-ra e muove le forme delle cose naturali per mezzo di certe ra-gioni seminali intrinseche alla sua divinità. Queste ragioni eglile chiama dei, perché non sono separate dalle Idee della mentesuprema142.

Si può interpretare questo brano nel senso che Fici-no in un primo momento avesse seguito Tommaso d’A-quino, il quale condanna esplicitamente come demonicala magia dell’Asclepius143, ma che, dopo aver letto il com-mento di Plotino, abbia compreso come, per quanto pos-sano essere esistiti perversi sacerdoti egiziani che faceva-no uso di arti magiche demoniche, Ermete Trismegistonon era uno di essi. Il suo potere gli proveniva soltantodal mondo, dalla sua comprensione della natura del Tut-to come un ordinamento gerarchico nel quale l’influssodelle Idee discende dall’Intelletto del Mondo, attraversole «ragioni seminali» e dell’Anima del Mondo, alle for-me materiali del Corpo del Mondo144. Pertanto le imma-gini celesti avrebbero derivato il loro potere dal «mon-do», e non dai demoni, poiché erano come ombre delle

142 De vita coelitus comparanda, 26 (Ficino, pp. 571-2). Un’al-tra importante descrizione della magia ieratica ben nota a Fici-no ora l’opera De sacrificiis et magia di Proclo, da lui tradotta(Ficino, pp. 1928-9), e sulla quale cfr. Festugière, I, pp. 134-6;cfr. anche Walker, pp. 36-7; Garin, art. cit., pp. 19-20.

143 Contra gentiles, III, pp. CIV-CVI.144 Cfr. Walker, p. 43.

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Idee, intermediari, nel «luogo mediano», fra Intelletto eCorpo, anelli delle catene grazie alle quali il mago neo-platonico esercita le sue arti magiche, sposando le cosesuperiori e quelle inferiori.

Così la magia dell’Asclepius, reinterpretata attraversoPlotino, fa il suo ingresso, con il De vita coelitus compa-randa di Ficino, nella filosofia neoplatonica del Rinasci-mento, e, inoltre, nel neoplatonismo cristiano di Ficino.Quest’ultima circostanza rese necessari, come abbiamovisto, molti ingegnosi espedienti per sfuggire al rigore dicondanne perentorie della Chiesa. Quando Ficino scris-se il De vita coelitus comparanda, egli doveva aver lettoda poco lo scritto di Origene contro Celso, da lui citatonel capitolo XXI145, ed essere rimasto colpito dalla cita-zione del brano di Celso contenente le accuse del paganocontro i Cristiani imputati di prendersi gioco degli Egi-ziani, «per quanto essi pratichino molti profondi misteri,e, insegnino che tale culto [della religione magica egizia-na] si basa sulla venerazione di idee invisibili, e non, co-me i più ritengono, di effimeri animali»146. Pronto a co-gliere al volo qualsiasi accenno favorevole al suo eroe, ilsanto Ermete Trismegisto, Ficino deve essersi sentito in-coraggiato dalla risposta di Origene: «Mio caro, tu lo-di con ragione gli Egiziani per il fatto di praticare moltimisteri non diabolici, e di dare oscure spiegazioni dei lo-ro animali». Ciò nonostante, il contesto nel quale è con-tenuta questa osservazione è meno incoraggiante, e tut-ti gli sforzi di Origene erano proprio diretti a confutarela concezione celsiana della storia religiosa, per la qualeun’antica e sana tradizione religiosa, della quale gli Egi-ziani costituivano un esempio, sarebbe stata dapprimacorrotta dagli Ebrei, e infine ancor più compromessa daiCristiani.

145 Ficino, p. 562.146 Origene, Contra Celsum.

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La magia di Ficino si basa su una teoria dello spiritusche è stata mirabilmente esposta da D. P. Walker, al cuilibro il lettore è rimandato per una discussione esaurien-te ed erudita dell’argomento147. Ficino basa la sua teo-ria del modo in cui si può «attirare la vita celeste», sul-lo spiritus, inteso come il canale attraverso cui promanal’influsso delle stelle. Fra l’anima del mondo e il suo cor-po esiste uno spiritus mundi, che compenetra tutto l’u-niverso e tramite il quale gli influssi delle stelle perven-gono all’uomo, che vi attinge per mezzo del proprio spi-rito, e all’intero corpus mundi. Lo spiritus è una sostan-za estremamente sottile e impalpabile, ed è di esso cheparla Virgilio quando dice:

Spiritus intus alit, totamque infusa per artusmens agitat molem et magno se corpore miscet148.

È proprio per attirare lo spiritus di un particolarepianeta che si deve ricorrere ad animali, piante, cibi,profumi e colori collegati con quel pianeta. Lo spiritusè portato dall’aria e dal vento, ed è esso stesso una speciedi aria finissima, di sottilissimo calore. È in particolare,attraverso i raggi del Sole e di Giove che il nostro spirito«beve» lo spirito del mondo.

Ora, non c’è alcun accenno alla teoria dello spiritus nelbrano delle Enneadi che sembra costituire la base fonda-mentale del commento di Ficino, e se anche non si puòescludere che Plotino vi faccia oscuramente riferimen-to in qualche altro passo, io non sono riuscita a trovarein lui una definizione precisa dello spiritus mundi, inte-

147 Walker, pp. 1-24 e passim. Le principali esposizionificiniane della teoria dello spiritus nei Libri de vita si trovanonel lib. III (De vita coelitus comparanda), I, 3, 4, 11, 20, ma taleteoria è presupposta e ad essa l’autore fa ricorso in tutta l’opera.

148 Virgilio, Aen., VI, 726-7: cit. da Ficino nel De vita coelituscomparanda, 3 (Ficino, p. 535).

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so come il veicolo degli influssi stellari e come il fonda-mento di operazioni magiche, su cui si baserebbe Fici-no. Lo scritto nel quale egli avrebbe potuto trovare net-tamente delineato questo tipo di teoria, e proprio in rela-zione alla magia pratica e ai talismani, era il Picatrix. Co-me abbiamo visto nel capitolo precedente, la teoria dellamagia, in quest’opera, si basa sulla serie intellectus, spi-ritus, materia; e la sostanza delle cose inferiori è intima-mente collegata alla sostanza dello spiritus nelle stelle149.La magia consiste nella capacità di guidare o controlla-re l’influsso dello spiritus sulla materia, e uno dei mez-zi più importanti per conseguire questo scopo è costitui-to dai talismani, perché il talismano è un oggetto mate-riale nel quale è stato introdotto e viene custodito lo spi-rito di una stella. Questa teoria della magia pneumati-ca Ficino potrebbe averla studiata nel Picatrix, insiemecon gli elenchi degli oggetti che hanno la virtù di attirarelo spiritus, con le istruzioni per la fabbricazione di tali-smani e con l’enumerazione delle immagini da riprodur-re su di essi. La possibilità che Ficino si sia servito delPicatrix è resa ancor più attendibile dalla somiglianza dialcune immagini da lui descritte con altre contenute nelPicatrix.

Le immagini di Ficino si trovano soprattutto nel capi-tolo XVIII del De vita coelitus comparanda. Dopo aver ri-cordato le immagini dei segni dello zodiaco, egli affermache esistono anche immagini delle facce dei segni stes-si, ricavate dagli Indiani, dagli Egiziani e dai Caldei (glielenchi delle immagini di decani provengono proprio daqueste fonti), come, per esempio:

Nella prima faccia della Vergine una bella fanciulla, assisa, conin mano alcune spighe di grano, mentre allatta un bambino150.

149 Cfr. supra.150 De vita coelitus comparanda, 18 Ficino, p. 556.

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Questa immagine di decano, in questa forma, con ilbambino, non è tratta dal Picatrix, ma da Albumasar,che Ficino cita come fonte. Si tratta dell’unica immaginedi decano che egli descrive (tutte le altre sono immaginiplanetarie), e inoltre egli non è nemmeno certo che siabene farne uso. Quindi dice che se si vuole ottenere donida Mercurio, se ne deve fare l’immagine in stagno o inargento, aggiungendo il segno della Vergine, e caratteridella Vergine e di Mercurio; si può inoltre aggiungerel’immagine del decano per la prima faccia della Vergine«se se ne deve fare uso». Questo talismano sarebbeperciò costituito dall’immagine di Mercurio, da alcunisegni e caratteri, e, in alcuni casi, dall’immagine dellaVergine con il bambino. Si noti che il talismano nonrisponde a finalità mediche, ma serve ad ottenere «doni»intellettuali da Mercurio.

Per ottenere lunga vita si può incidere l’immaginedi Saturno su uno zaffiro, seguendo queste indicazioni:«Un vecchio assiso su un alto trono o su un drago, conun cappuccio scuro di lino sulla testa, nell’atto di solle-vare la mano al di sopra del capo, impugnando una falceo un pesce, ed è vestito di scuro» (Homo senex in altio-re cathedra sedens uel dracone, caput tectus panno quon-dam lineo fusco, manus supra caput erigens, falcem manu-tenens aut pisces, fusca indutus ueste)151. Questa immagi-ne è assai simile ad una del Picatrix e contiene elementidesunti da altre due. (Immagini di Saturno nel Picatrix:Forma hominis super altam cathedram elevatus et in eiuscapite, pannum lineum lutosum, et in eius manu falcem te-nentis: Forma hominis senex erecti, suas manus super ca-put ipsius erigentes, et in eis piscem tenentis ...: Forma ho-minis super draconem erecti, in dextra manu falcem tenen-tis, in sinistra hastam habentis et nigris pannis induti)152.

151 Ficino, pp. 556-7.152 Picatrix, lib. II, cap. 10; Sloane 1305, f. 43 verso.

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Per avere una vita lunga e felice, dice Ficino, si può inci-dere, su una pietra bianca e liscia, un’immagine di Gio-ve, raffigurandolo così: «Un uomo incoronato, sedutosopra un’aquila o un drago, con una veste gialla» (Homosedens super aquilam uel draconem coronatus... croceaminduto uestem)153. Nel Picatrix c’è un’immagine di Gio-ve molto simile a questa (Forma hominis super aquilam...omnia suis vestimenta, sunt crocea)154.

Per guarire delle malattie Ficino consiglia di ricorrerea questa immagine: «Un re in trono, con una vestegialla, un corvo e la forma del Sole» (Rex in throno,crocea ueste, et coruum Solisque formam)155. Colpisce larassomiglianza di questa immagine con una del Picatrix:Forma regis supra cathedram sedentis, et in sui capitecoronam habentis, et coruum ante se, et infra eius pedesistas figuras (caratteri magici)156. Questo, nel Picatrix,non è un talismano medico, come in Ficino, ma servea un re che voglia avere la meglio su tutti gli altri re.

Per ottenere felicità e forza fisica, Ficino consiglial’immagine di una giovane Venere, che tiene in mano fio-ri e mele, ed è vestita di bianco e giallo (Veneris imaginempuellarem, poma floresque manu tenentem, croceis et albisindutam)157. Ed ecco l’immagine corrispondente del Pi-catrix: Forma, mulieris capillis expansis et super ceruumequitantes in eius manu dextra malum habentis in sinistravero flores et eius vestes ex coloribus albis158.

Un’immagine di Mercurio descritta da Ficino è laseguente: «Un uomo con elmo, assiso in trono, con piedi

153 Ficino, p. 557.154 Picatrix, loc. cit.; Sloane 1305, loc. cit.155 Ficino, loc. cit.156 Picatrix, loc. cit.; Sloane 1305, f. 45 recto.157 Ficino, loc. cit.158 Picatrix, loc. cit.; Sloane 1305, f. 44 verso.

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di aquila, che tiene nella mano sinistra un gallo o delfuoco... (Homo sedens in throno galeratus cristatusque,pedibus aquilinis, sinistra gallum tenens aut ignem...)159.Ed ecco un’immagine di Mercurio simile a questa, nelPicatrix: Forma hominis in eius capite gallum habentis,et supra cathedram erecti et pedes similes pedibus aquilaeet in palma sinistra manus ignem habentis160. Ficinodice che questa immagine di Mercurio è buona per lamemoria e l’ingegno, o, se scolpita in marmo, ottimacontro le febbri.

Le rassomiglianze fra i talismani di Ficino e quelli delPicatrix non offrono di per sé una prova decisiva che eglisi sia avvalso di quest’opera. Egli conosceva – e le cita– altre fonti ove attingere immagini161; inoltre gli dèi deisuoi talismani hanno in gran parte i loro segni distinti-vi normali (Giove sull’aquila, Venere con fiori e mele inmano). Nondimeno si ha l’impressione che egli abbia te-nuto presente il capitolo sulle immagini planetarie del Pi-catrix. È interessante che egli, in complesso, sembri evi-tare le immagini dei decani per concentrarsi quasi esclu-sivamente sulle immagini planetarie. Ciò è stato osserva-to da W. Gundel, grande autorità in materia di immagi-ni di decani, il quale ritiene che la preferenza di Ficinoper le immagini planetarie rifletta una tradizionale rivali-tà fra le immagini dei decani e quelle planetarie, che Fi-cino risolve in favore di queste ultime. «Bei Ficinus istdie alte Rivalilität der grossen Systeme der dekan – undder planetengläubigen Astrologie zugunsten der Plane-

159 Ficino, loc. cit.160 Picatrix, loc. cit.; Sloane 1305, loc. cit.161 In particolare Pietro d’Abano. Egli non cita mai espres-

samente il Picatrix; forse pensava che Pietro d’Abano fosse unafonte più sicura da menzionare. La successiva controversia incui si accusò Pietro di aver attinto al Picatrix (cfr. supra.) po-trebbe avere avuto di mira indirettamente Ficino.

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ten entschieden»162. Viene da domandarsi se questa scel-ta fosse connessa al ripudio della magia demonica. Evi-tando le immagini dei demoni decani e facendo ricorso aimmagini planetarie – non per evocare i demoni dei pia-neti, ma solo perché servissero come immagini di «deimondani», ombre delle Idee nell’Anima del mondo – ilpio neoplatonico poteva forse credere di attuare solo unamagia «mondana», una magia naturale con forze natura-li, e non una magia demonica. Se si tien conto delle an-sie e delle esitazioni di Ficino, non si può fare a meno distupirsi per l’audacia di coloro che, al di là degli Appen-nini, a Ferrara o a Padova163, non ebbero alcun timore didecorare le pareti dei loro appartamenti con le immaginidei terribili Trentasei.

Rende assai perplessi seguire le sinuosità e le contor-sioni del pensiero di Ficino in questo XVIII capitolo.Prima di esporre i suoi elenchi dei talismani planetari,egli fa alcune curiose osservazioni sulla croce, intesa co-me una specie di talismano164. La forza del cielo è mag-

162 Gundel, Dekane und Dekansternbilder, p. 280.163 Le immagini dei decani sono raffigurate secondo lo sche-

ma astrologico sulle pareti del Salone di Padova; questo schemaè stato per la prima volta compiutamente interpretato da F. Sa-xl ("Sitzungsberichte der Heidelberger Akademic der Wissen-schaft», 1925-6, pp. 49-68) attraverso lo studio dell’astrologiadi Guido Bonatti e dell’Astrolabium planum di Pietro d’Abano,le cui figure sono derivate da Albumasar. Cfr. J. Seznec, TheSurvival of the Pagan Gods, trad. ingl. di B. F. Sessions, NewYork 1953, pp. 73-4.

164 «Tunc enim stellae magnopere siint potentes, quandoquatuor coeli tenent angulos imo cardines, orientis uidilicet oc-cidentisque, & medii utrinque. Sic uero dispositae, radios itaconjiciunt in se inuicem, ut crucem inde constituant. Crucemergo ueteres figuram esse dicebant, tum stellarum fortitudinefactam, tum earundem fortitudinis susceptaculum, ideoque ha-bere summam in imaginibus potestatem, ac uires & spiritus su-scipere Planetarum. Haec autem opinio ab Aegyptijs uel induc-

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giore quando i raggi celesti discendono perpendicolar-mente e ad angolo retto, cioè formando una croce checongiunge i quattro punti cardinali. È per questo chegli Egiziani usavano la forma della croce, che anche perloro significava la vita futura, e scolpivano questa figu-ra sul petto di Serapide. Tuttavia Ficino ritiene che l’u-so della croce presso gli Egiziani fosse non tanto dovutoal suo potere di attirare i doni delle stelle, quanto piutto-sto al suo carattere di inconsapevole profezia dell’avven-to di Cristo. In tal modo, la santità del popolo egiziano,ritenuto profeta del Cristianesimo a causa dell’uso dellacroce come talismano, costituisce un modo adeguato perintrodurre l’elenco delle immagini talismaniche.

Dopo questo elenco Ficino indugia ostentatamentesulle raccomandazioni dei dottori, in particolare Pietrod’Abano, circa l’uso dei talismani in medicina. Quindi,dopo alcuni accenni a Porfirio e Plotino, giunge a parlaredi Alberto Magno, definito da lui professore di astrologiae teologia, il quale, nel suo Speculum astronomiae, ha di-stinto tra uso falso e uso secondo verità dei talismani165.Successivamente passa ad interpretare quanto afferma-to da Tommaso d’Aquino nel suo Contra Gentiles, assu-mendo alla fine una posizione che egli immagina vicina aquella di Tommaso, nel senso di credere, cioè, che i tali-smani traggano i loro poteri non dalle immagini, ma es-senzialmente dal materiale di cui sono fatti166. E tuttavia,

ta est, uel maxime confirmata. Inter quorum characteres cruxuna erat insignis uitam eorum more futuram significans, eam-que figuram pectori Serapidis insculpebant. Ego uero quodde crucis excellentia fuit apud Aegyptios ante Christum, nontam muneris stellarum testimonium fuisse arbitror, quam uirtu-tis praesagium, quam a Christo esset acceptura ...», Ficino, p.556.

165 Ficino, p. 558.166 Ibid., loc. cit.; cfr. Walker.

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se essi sono costruiti sotto l’influenza di un’armonia simi-le a quella celeste, ciò servirà ad accrescerne le rispettivevirtù.

In breve, seguendo tortuosi ragionamenti, Ficino èriuscito a sottrarre da ogni possibile riprovazione l’usoche egli fa dei talismani. Io credo che egli pensi soprat-tutto ai talismani planetari, usati non in modo «demo-nico», ma, come dice Walker, nell’ambito di una magia«spirituale», di una magia la quale si avvale dello spiri-tus mundi, che si può «captare» essenzialmente attraver-so associazioni di piante, metalli e così via, ma anche me-diante l’uso di talismani planetari, che si indirizzano al-le stelle come forze del mondo, o forze naturali, e noncome demoni167.

«Perché, allora, non dovremmo poter plasmare un’im-magine universale, cioè un’immagine dello stesso univer-so? Con essa si potrebbe sperare di ottenere molti bene-fici dall’universo». Questa esclamazione si trova all’ini-zio del capitolo XIX, dopo la lunga difesa delle immaginiplanetarie, usate in modo «naturale», contenuta nel ca-pitolo precedente. Questa immagine universale, o «figu-ra del mondo» (mundi figura) può essere fatta in ottonecombinato ad oro e argento. (Si tratta dei metalli di Gio-ve, del Sole e di Venere.) Il lavoro dovrà essere avvia-to in un momento di buon auspicio, quando il Sole en-tra nel primo grado dell’Ariete. Non dovrà essere svoltodurante il sabato, giorno di Saturno. Dovrà inoltre esse-re compiuto in Venere, «a significare la sua assoluta bel-lezza». Occorre che l’opera comprenda colori e linee, otratti particolari. «Esistono tre colori universali e singo-lari del mondo, il verde, l’oro e il blu, consacrati alle TreGrazie del Cielo», che sono Venere, il Sole e Giove. «Siritiene, dunque, che per attirare i doni delle grazie cele-

167 Ma cfr. la discussione di Walker a proposito di «Ficinoand the demons» (pp. 44-53).

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sti occorra fare uso frequente di questi tre colori, e nellaforma del mondo che voi plasmate dovrà essere inclusoil colore blu della sfera del mondo. Si ritiene altresì chebisogni aggiungere l’oro all’opera preziosa fatta a somi-glianza del cielo stesso, e le stelle, e Vesta, o Cerere, cioèla terra, vestita di verde»168.

In questa descrizione molti sono i particolari che misono riusciti oscuri. La raffigurazione sembra fare riferi-mento ad un Nuovo Anno, inteso come un nuovo giornonatale del mondo, o addirittura come il primo giorno delmondo, la creazione (si fa menzione dell’Heptaplus di Pi-co della Mirandola). Ma, in generale, si può dire che lacostruzione di questo oggetto magico, di questo talisma-no, rientri nel contesto complessivo dei Libri de vita, vi-sti come summa delle varie tecniche per attirare e assor-bire le influenze del Sole, di Venere e di Giove, che so-no poteri salutiferi, vivificanti, antisaturniani. L’oggettodescritto, o meglio semplicemente tratteggiato (perché ladescrizione è molto vaga), sembrerebbe un modello delcielo, costruito in maniera tale da concentrare l’attrazio-ne degli influssi favorevoli del Sole, di Venere e di Giove.Certamente in esso predominano i colori di questi piane-ti e si può probabilmente presumere che ne porti dipin-te le immagini. Si può capire anche l’inclusione di Cere-re, vestita di verde, a rappresentare la terra; ma quella diVesta è veramente strana.

Un tale oggetto, sembra voler dire Ficino, può essereportato addosso, o collocato in qualche luogo in modoche lo si possa vedere169, facendo capire che si tratta forsedi una medaglia, o di un elaborato gioiello.

Egli afferma poi che la figura del mondo può venirecostruita in modo tale da riprodurre il movimento dellesfere, come fece Archimede, e, di recente, un fiorentino

168 Ficino, p. 559.169 «Uel gestabit, uel oppositam intuebitur» (ibid., loc. cit.).

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di nome Lorenzo. Ficino allude all’orologio astronomi-co costruito da Lorenzo della Volpaia170 per Lorenzo de’Medici, e contenente rappresentazioni dei pianeti. Que-sta figura del mondo, dice Ficino, non è fatta solo per es-sere ammirata, ma per divenire oggetto di meditazionenell’anima. Si tratta, ovviamente, di un oggetto diversoda quello accennato prima. Si tratta di un meccanismocosmico.

Alla fine Ficino dice che qualcuno potrà costruire

sul soffitto a cupola del più riposto cubicolo di casa sua, là dovesoprattutto vive e dove dorme, una simile figura colorata. Equando uscirà di casa, percepirà non tanto lo spettacolo di coseindividuali, ma la figura, dell’universo, e i suoi colori171.

Interpreto questo brano nel senso che Ficino alluda aun affresco sul soffitto di una camera da letto, un affre-sco che è sempre una figura del mondo, probabilmen-te con la raffigurazione delle Tre Grazie, i tre pianeti di-spensatori di fortuna, il Sole, Giove e Venere, in posizio-ne preminente, e con i loro colori – blu, oro e verde –predominanti sugli altri.

Queste varie versioni della «figura del mondo» sonodunque oggetti artistici da usare magicamente, per la lo-ro virtù talismanica. Con esse si cerca di influenzareil «mondo», mediante accostamenti di immagini celesti,

170 Cfr. A. Chastel, Marsile Ficin et l’Art, Genève-Lille 1954,p. 95. All’orologio di Lorenzo della Volpaia fanno riferimentoil Poliziano, il Vasari ed altri (cfr. Chastel, op. cit., pp. 96-7,nota 16). Chastel è del parere che l’intero passo sul mododi costruire una immagine del mondo contenuto nel De vitacoelitus comparanda sia una descrizione dell’orologio del DellaVolpaia. Io non sono della stessa opinione. Ficino descrivetre tipi differenti di oggetti adatti a rappresentare la figura delmondo; e solo uno di questi è il meccanismo cosmico di cuil’orologio del Della Volpaia è un esempio.

171 Ficino loc. cit.

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così da attirare gli influssi favorevoli e tener lontani quel-li contrari. In breve, queste opere, purtroppo così va-gamente accennate, hanno un carattere funzionale; so-no preordinate a uno scopo, all’uso magico. Mettendoinsieme con cognizione e perizia la figura del mondo ele relative immagini celesti, il mago controlla gli influssidelle stelle. Come Ermete Trismegisto aveva disposto leimmagini nella città di Adocentyn, progettata per essereun’immagine del mondo, in modo da regolare l’inciden-za degli influssi astrali sugli abitanti per poterli conser-vare sani e virtuosi, così le ficiniane «figure del mondo»sono preordinate allo scopo di regolare gli influssi nelladirezione indicata nei Libri de vita, cioè nel senso di unasupremazia degli influssi del Sole, di Giove e di Venere,e dell’allontanamento di quelli di Saturno e Marte.

C’è un punto, nella descrizione delle «figure del mon-do», sul quale voglio richiamare particolarmente l’atten-zione del lettore, in vista degli sviluppi successivi di que-sto libro: queste figure non sono fatte soltanto per esse-re ammirate, ma per essere meditate, per divenire ogget-to di riflessione interiore. L’uomo che guarda la figuradel mondo affrescata sul soffitto della sua camera da let-to, imprimendola nella memoria insieme con i colori do-minanti dei pianeti, quando esce di casa e scorge lo spet-tacolo di innumerevoli cose individuali, è in grado di ri-condurle ad unità grazie alle immagini di una superiorerealtà, che porta dentro di sé. Questa è la strana visione,o la straordinaria illusione che doveva, in seguito, ispira-re gli sforzi di Giordano Bruno, volti a fondare la memo-ria sulle immagini celesti, su quelle immagini che sonoombre di idee nell’anima del mondo, per unificare e or-ganizzare le innumerevoli individualità del mondo e tuttii contenuti della memoria.

Nel suo articolo dal titolo «Botticelli’s Mythologies»,E. H. Gombrich cita una lettera di Ficino a Lorenzo di

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Pierfrancesco de’ Medici, nella quale Ficino dice al gio-vane Lorenzo che gli sta facendo un «dono immenso»:

Per chiunque contempli il cielo, niente sembra immenso, ditutto ciò su cui posa gli occhi, tranne il cielo stesso. Se io,dunque, ti faccio dono del cielo, quale può essere il prezzo delmio dono?172

Ficino prosegue dicendo che il giovane dovrebbe di-sporre la sua «Luna», cioè la sua anima e il suo corpo, inmodo tale da evitare eccessivi influssi da parte di Martee Saturno, e captare quelli favorevoli del Sole, di Giovee di Venere. «Se dunque così disporrai i segni del cielo ele tue doti, sfuggirai alle minacce della fortuna e, colmodi divino favore, vivrai felice e libero da affanni».

Gombrich discute la «Primavera» in relazione a que-sta disposizione delle stelle, e suggerisce che il Mercu-rio all’estrema sinistra sia un’immagine planetaria; consi-dera, respingendola, la possibilità che le Tre Grazie sia-no il Sole, Giove e Venere, e sostiene che la figura cen-trale è certamente una Venere. Le linee generali di que-sta interpretazione non contrastano con quanto sto perproporre.

È certo che il «dono immenso», il dono, cioè, del «cie-lo stesso», indirizzato da Ficino a Pierfrancesco, era unprodotto di natura analoga a quello descritto nel capitoloXIX del De vita coelitus comparanda, che tratta appuntodella «costruzione di una figura dell’universo». Si tratta-va di un’immagine del mondo elaborata in modo da at-tirare l’influsso dei pianeti favorevoli ed evitare quello diSaturno. Probabilmente il «dono» non era un oggettoconcreto, ma piuttosto una serie di istruzioni per forma-re, nell’intimità dell’anima o dell’immaginazione, una si-

172 Ficino, p. 805; cfr. E. H. Gombrich, «Botticelli’s Mytho-logies: a study in the Neoplatonic Symbolism of his Circle», inJ.W.C.I., VIII, 1945, p. 16.

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mile «figura del mondo», e per concentrare l’attenzionedello spirito sulle immagini di essa, o forse anche per co-struire un oggetto reale o un talismano da usare per in-durne il riflesso nella mente. Per quanto dipinta primadella stesura, o almeno della pubblicazione, del De vitacoelitus comparanda, la «Primavera» di Botticelli è sen-z’altro un prodotto del genere, preordinato a questo sco-po.

Non ho la minima intenzione di tentare ancora un’al-tra interpretazione dettagliata delle figure della «Prima-vera». Voglio solo suggerire come, nel contesto dello stu-dio della magia ficiniana, il dipinto cominci a rivelarsiuna pratica attuazione di quella magia, un complesso ta-lismano, un’«immagine del mondo» elaborata in mododa trasmettere, a chi la osservi, solo influssi salutari, vi-vificanti e antisaturniani. È la traduzione, in forma visi-va, della magia naturale di Ficino, caratterizzata dal ri-corso a determinati raggruppamenti di piante e di fiori,a immagini soltanto planetarie e in funzione solo «mon-dana», non per evocare demoni; ovvero intese come om-bre di Idee secondo la gerarchia neoplatonica. E, qua-lunque cosa rappresentino, da un punto di vista mitolo-gico, le figure sulla destra, non è forse lo spiritus mun-di che le investe, soffiato dalle guance gonfie dello spiri-to aereo e reso visibile dalle increspature nei drappeggidella figura che corre? Lo spiritus, che è il canale attra-verso il quale si diffondono gli influssi delle stelle, è statocatturato e viene conservato nel talismano magico.

Com’è diversa, in Botticelli, l’«Alma Venus», con laquale, come consiglia Ficino, si passeggia in verdi pratifioriti, respirando l’aria profumata ripiena di spiritus –come è diversa dal piccolo cesellato talismano di Venere,con una mela in una mano e fiori nell’altra! Tuttavia lasua funzione è la stessa: attirare dalla stella lo spirito diVenere, e trasmetterlo a chi porti con sé o contempli lasua leggiadra immagine.

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La magia orfica di Ficino173 costituiva un ritorno a unantico priscus theologus, come la sua magia talismanicacon il suo ritorno dissimulato, o diversamente motivato,ad Ermete Trismegisto. Orfeo è secondo, dopo Ermete,negli elenchi ficiniani di prisci theologi. La raccolta di in-ni conosciuta sotto il nome di Orphica, che costituiva lafonte principale, se non esclusiva, degli inni orfici noti alRinascimento, risale probabilmente al II o al III secolo d.C., cioè, all’incirca, allo stesso periodo al quale risalgonogli Hermetica. Si trattava, con ogni probabilità, di inniusati da qualche setta religiosa del tempo. In genere essisi rivolgono a un dio, particolarmente il Sole, chiaman-dolo con i suoi vari nomi, e ne invocano i singoli pote-ri: c’è, in essi, qualcosa di più che una semplice sfumatu-ra di incantesimo magico. Ficino e i suoi contemporaneicredevano che gli inni orfici fossero stati scritti dallo stes-so Orfeo, quindi in una remota antichità, e che riflettes-sero il cantare religioso di un priscus magus vissuto moltoprima di Platone. La ripresa, da parte di Ficino, dei can-ti orfici riveste per lui una profonda importanza, perchéegli è convinto di avere a che fare con l’esperienza di unantichissimo teologo, di un uomo che aveva profetizzatola Trinità174. Alla base di questa opinione sta, dunque, unerrore di prospettiva storica analogo a quello che avevadeterminato il suo profondo rispetto per gli Hermetica.

Ficino era solito cantare inni orfici, accompagnando-si probabilmente con una lira da braccio175. Questi innierano collegati a qualche specie di semplice musica mo-nodica che Ficino riteneva echeggiasse le note musicaliemesse dalle sfere planetarie, formando così quella mu-sica delle sfere di cui aveva parlato Pitagora. Si poteva-

173 Sulla magia orfica di Ficino, cfr. Walker, pp. 12-24.174 Cfr. Walker, «Orpheus the Theologian and the Renais-

sance Platonists», in J.W.C.I., XVI, 1953, pp. 100-20.175 Walker, Spiritual and Demonic Magic, pp. 19, 22.

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no perciò cantare inni al Sole, a Giove, o a Venere, conmelodie adatte a questi pianeti; e si credeva che così, in-vocandone anche i nomi e i poteri, se ne potessero atti-rare gli influssi. Anche questa magia vocale o auricola-re, come quella talismanica e simpatica, presuppone lateoria dello spiritus. La magia orfica è, così, esattamen-te parallela alla magia talismanica; è usata allo stesso sco-po, per attirare determinati influssi astrali; e lo spiritusne è ugualmente il veicolo o il canale. La sola differen-za fra le due forme di magia – e si tratta, naturalmente,di una differenza fondamentale – è che una ha caratte-re visivo, in quanto opera tramite immagini visive (i tali-smani), mentre l’altra ha carattere auricolare e vocale, inquanto si esplica tramite la musica e la voce.

Walker ritiene che la magia incantatoria e auricolaredescritta nel De vita coelitus comparanda, sia esattamentela stessa dei canti orfici, per quanto ciò non sia espressa-mente affermato176. Le due branche della magia ficinia-na – la magia simpatica, basata sulla combinazione di og-getti naturali e sui talismani, e la magia incantatoria degliinni e delle invocazioni – sono, di certo, entrambe rap-presentate in quell’opera.

La magia incantatoria solleva lo stesso problema dellamagia talismanica: si tratta di una magia naturale, rivoltaagli dei concepiti come potenze del mondo, o di unamagia demonica, volta ad evocare i demoni delle stelle?La risposta, probabilmente, è la stessa che nel caso dellamagia talismanica: Ficino considerava, cioè, l’attuazionedi questi incantesimi come pura magia naturale. Quantomeno, sappiamo che per Pico della Mirandola i cantiorfici erano magia naturale, perché egli così si esprimein una delle sue Conclusiones orphicae:

176 Ibid., p. 23.

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Nell’ambito della magia naturale non c’è niente di più efficacedegli Inni di Orfeo, se si eseguono con il concorso di musicaadatta, di un’opportuna disposizione dell’animo, e delle altrecircostanze ben note al saggio177.

E in un’altra delle sue conclusioni orfiche Pico chiara-mente afferma che i nomi degli dei cantati da Orfeo nonsono nomi di demoni ingannatori, ma «nomi delle virtùnaturali e divine»178 diffuse per tutto il mondo.

Per completare il nostro quadro della magia naturaledi Ficino, dobbiamo perciò immaginare che egli credessedi poter attirare gli influssi delle stelle non solo per mez-zo di combinazioni simpatiche di oggetti naturali, o di ta-lismani, o esponendosi all’aria, e così via, ma anche tra-mite incantesimi musicali, perché lo spiritus viene capta-to sia con canti planetari, sia nelle altre maniere descrit-te. Può sussistere una relazione anche più stretta fra tali-smani e incantesimi in Ficino, perché nel capitolo XVIII,dopo la lunga e complicata difesa dei suoi talismani, eglisembra dire che questi vengono costruiti «sotto l’influs-so di un’armonia simile all’armonia celeste»179, e che que-sto fatto ne vivifica le virtù. Non so se si possa intende-re questo brano nel senso che un talismano ficiniano ouna pittura ficiniana di tipo talismanico venissero ese-guiti con l’accompagnamento di opportuni incantesimiorfici, che agevolassero l’infusione dello spiritus in essi.

Nonostante tutte le sue precauzioni, Ficino non riuscìa evitare affanni e seccature per i Libri de vita, così co-me apprendiamo dalla sua Apologia180 riferita a quest’o-pera. Evidentemente la gente si poneva interrogativi co-

177 Pico, p. 106; cit. da Walker, p. 22.178 Pico, p. 106. Cfr. più avanti.179 Ficino, p. 558.180 Ibid., pp. 572-4; sull’Apologia, cfr. Walker, pp. 42 sgg.,

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me questi: «Ma Marsilio non è un sacerdote? Che co-sa ha che vedere un sacerdote con la medicina e l’astro-logia? Che cosa ha da spartire un cristiano con la magiae le immagini?». Ficino controbatte mettendo in eviden-za che, nell’antichità, i sacerdoti esercitarono sempre lamedicina, e cita sacerdoti caldei, persiani ed egiziani; chela medicina è impossibile senza l’astrologia; che lo stes-so Cristo era un guaritore. Ma, soprattutto, egli sottoli-nea il fatto che esistono due specie di magia, una magiademonica che è illecita e perversa, e una naturale, che èutile e necessaria. La sola specie di magia che egli abbiapraticato o consigliato è quella buona e utile: la magianaturalis181.

Com’è elegante, artistica e raffinata questa modernamagia naturale!182 Se si pensa al filosofo neoplatonico checanta inni orfici accompagnandosi con la lira da bracciodecorata con la raffigurazione di Orfeo che ammansiscegli animali, e si paragona questa visione rinascimentalecon i barbari farfugliamenti di alcune invocazioni delPicatrix, il contrasto fra la nuova e la vecchia magia risaltain tutta la sua stridente evidenza.

Beydelus, Demeymes, Adulex, Metucgayn, Atine, Ffex, Uqui-zuz, Gadix, Sol, Veni cito cum tuis spiritibus183.

Quanto è lontano questo tipo di inintelligibile invoca-zione demonica al Sole del Picatrix da Ficino e dai suoi«naturali» canti planetari! O, se si pensa ai fiori, ai gio-ielli, ai profumi dei quali i pazienti di Ficino sono consi-gliati di circondarsi, alla vita deliziosamente sana e ricca

181 Ficino, p. 573; Walker, p. 52.182 E. Garin (Medioevo e Rinascimento, p. 172) delinea un

contrasto fra «bassa magia» medievale e «magia rinascimenta-le».

183 Sloane, 1305, f. 152 verso.

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che essi potranno seguire, e si paragona questo quadrocon le sostanze sporche e oscene, le misture ripugnanti edisgustose raccomandate nel Picatrix, si manifesta, anco-ra una volta, un vivissimo contrasto fra la nuova elegantemagia, prescritta dal medico alla moda, e la vecchia laidamagia. Anche a questo proposito si ha l’impressione chele primitive immagini talismaniche siano state converti-te, dagli artisti del Rinascimento, in figure di immorta-le bellezza, figure nelle quali la forma classica è stata, alcontempo, recuperata e trasfigurata in qualche cosa dinuovo.

E tuttavia c’è una continuità assoluta fra la vecchia e lanuova magia. L’una e l’altra si basano sugli stessi presup-posti astrologici; entrambe annoverano, fra i loro meto-di, la selezione di alcune sostanze naturali; entrambe ri-corrono a talismani e invocazioni; entrambe sono magiepneumatiche, che considerano lo spiritus il canale attra-verso il quale si diffonde l’influsso delle cose superioriverso le inferiori. Infine, entrambe si inseriscono in unelaborato contesto filosofico. La magia del Picatrix vienepresentata in una cornice filosofica; e la magia naturaledi Ficino si collega, fondamentalmente, al suo neoplato-nismo.

In breve, dobbiamo pensare alla magia rinascimenta-le sia come a una continuazione della magia medievale,sia come a una trasformazione della magia tradizionale inqualcosa di nuovo. Il fenomeno è esattamente paralleloa quello scoperto e studiato da Warburg e Saxl, e cioè almodo in cui le immagini degli dei furono conservate lun-go il Medioevo in manoscritti astrologici, raggiunsero ilRinascimento in questa forma barbarica, e furono quindirestaurate nella loro forma classica, grazie alla riscoper-ta e all’imitazione delle opere dell’arte classica184. Ana-

184 Cfr. Warburg, Gesammelte Schriften; i cataloghi di ma-noscritti astrologici illustrati ed altri scritti di F. Saxl (per la bi-

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logamente la magia astrale sopravvive attraverso la tradi-zione medievale e recupera nel Rinascimento la sua for-ma classica, grazie alla riscoperta della teurgia neoplato-nica. La magia di Ficino, con i suoi inni al Sole, le TreGrazie inserite in un contesto astrologico, il suo neopla-tonismo, è più vicina, quanto alla sua concezione gene-rale, alla sua pratica e alla sua forma classica, all’impera-tore Giuliano che al Picatrix. E tuttavia, l’essenza di que-sta magia giunse a lui tramite il Picatrix, o qualche ana-logo manuale, e fu da lui restituita alla sua forma classi-ca grazie ai suoi studi greci. Si può dire che, forse, per lacomprensione del significato e dell’uso di un’opera d’ar-te rinascimentale è tanto necessario tener presente la sto-ria della magia, quanto, ai fini della comprensione del-la sua forma, lo è la storia della riscoperta delle formeclassiche. Le Tre Grazie (per riprendere ancora una vol-ta questo esempio sempre valido) hanno riacquistato laloro forma classica attraverso la riscoperta e l’imitazionedella genuina forma classica del gruppo. Ma hanno for-se recuperato anche la loro virtù talismanica grazie allarinascita della magia.

Tuttavia, come un’opera d’arte pagana del Rinasci-mento non è esclusivamente pagana, ma è ricca di sfu-mature cristiane (l’esempio classico è costituito dalla Ve-nere del Botticelli, che assomiglia a una Vergine), così av-viene anche per la magia di Ficino. Questa non può esse-re considerata soltanto una esclusiva pratica medica cheegli tenesse ben distinta dalla sua religione, poiché, comeha messo in evidenza D. P. Walker, essa era, in se stes-sa, una specie di religione. Walker ha citato un brano diFrancesco da Diacceto, uno stretto discepolo e imitatore

bliografia, cfr. F. Saxl, Lectures, Warburg Institute, Universi-ty of London 1957, I, pp. 359-62); cfr. inoltre J. Seznec, TheSurvival of the Pagan Gods, pp. 37 sgg.

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di Ficino, in cui ciò risulta estremamente chiaro185. Egliscrive come, chi desideri acquisire «doni solari», debbarivestirsi di un mantello di colore solare, per esempio co-lor d’oro, ed eseguire un rito, bruciando incenso ricava-to da piante solari, davanti a un altare sul quale sia po-sta un’immagine del sole, per esempio «un’immagine delsole in trono, incoronato, avvolto in un manto color zaf-ferano, oltre a un corvo e la figura del sole». Si tratta deltalismano solare del De vita coelitus comparanda, che ab-biamo pensato possa derivare dal Picatrix186. Quindi, co-sparso di unguenti ottenuti con materiali solari, l’inizia-to deve cantare un inno orfico al Sole, invocandolo co-me l’Enade divina, come la Mente e l’Anima. Questa è latriade neoplatonica sotto il cui segno l’imperatore Giu-liano venerava il sole. Come dice Walker, tale triade nonviene di fatto menzionata nel De vita coelitus comparan-da; ma vi allude Plotino, in quel brano delle Enneadi delquale il lavoro di Ficino è un commento, come all’esem-pio della gerarchia delle Idee187. I riti solari di France-sco da Diacceto, perciò, pongono in evidenza qualcosache nel De vita coelitus comparanda è soltanto implicito eprobabilmente riflettono le pratiche dello stesso Ficino.Se è così, la magia di Ficino era una magia religiosa, unritorno alla religione mondo.

Come poteva un pio cristiano conciliare una similepratica con il suo Cristianesimo? Indubbiamente il sin-cretismo religioso del Rinascimento, attraverso il quale latriade neoplatonica veniva connessa con la Trinità, può

185 Francesco da Diacceto, Opera omnia, Basilea, 1563, pp.45-6; cfr. Walker, pp. 32-3. Sul Diacceto, cfr. Kristeller,Studies, pp. 287 sgg.

186 Cfr. supra. In questo passo l’immagine talismanica delsole torna ad essere quasi una «statua» venerata ritualmente,come nell’Asclepius.

187 Plotino, Enneadi, IV, 3, XI.

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spiegare come il culto del Sole venisse considerato, da unpunto di vista teoretico e storico, una religione dotata diaffinità con il Cristianesimo; ma non è sufficiente a giu-stificare il ritorno ad esso come culto religioso. Stimo-lo a questo ritorno fu probabilmente, come ha suggeri-to Walker, il profondo interesse di Ficino per la religio-ne magica egiziana, quale è descritta nell’Asclepius. Eraproprio questo scritto, e Plotino soltanto in via seconda-ria, che il De vita coelitus comparanda intendeva, com-mentare, cercando di giustificarlo fornendogli una base«naturale» e neoplatonica.

Nel periodo in cui vennero pubblicati i Libri de vita(1489) la figura di Ermete Trismegisto poteva starseneormai al sicuro all’interno del duomo di Siena, facendobella mostra della citazione dall’Asclepius in cui venivaprofetizzato il Figlio di Dio, e dell’esortazione a ridarenuova vita alle leggi e alle lettere degli Egiziani. Lattanzioha una notevole responsabilità in tutto ciò, poiché fula sua interpretazione di Trismegisto, presentato comeun santo profeta pagano, a venire adottata da Ficinoche ritenne inoltre di trovarla mirabilmente confermatanel Pimander. Può essere stato, questo, un incentivo afargli intraprendere la pratica della religione magica acui, del resto, si risolse, come abbiamo visto, non senzatimori, esitazioni e un’ansiosa preoccupazione di evitarei demoni.

Allorché Ermete Trismegisto fece il suo ingresso nellaChiesa, la storia della magia entrò a far parte della storiareligiosa del Rinascimento.

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V. PICO DELLA MIRANDOLA E LA MAGIACABALISTICA

Pico della Mirandola, contemporaneo di Ficino, perquanto di lui più giovane, iniziò la sua carriera filosoficasotto l’influenza di Ficino e derivando da lui il suo entu-siasmo per la magia naturalis, che egli accettò e propu-gnò molto più vigorosamente e apertamente dello stessoFicino. Ma, nella storia della magia rinascimentale, Picoè importante soprattutto perché, alla magia naturalis, ag-giunse un altro tipo di magia, complementare alla prima.Questa nuova magia, della quale Pico arricchì il bagagliodel Mago rinascimentale, fu la cabala pratica, o magia ca-balistica. Si trattava di una magia spirituale, non nel sen-so che essa si basasse solamente sullo spiritus mundi, co-me la magia naturale, ma nel senso che cercava di attin-gere ai poteri spirituali superiori, al di là dei poteri na-turali del cosmo. La cabala pratica invoca gli angeli, gliarcangeli, le dieci sefirot che sono nomi, o poteri di Dio,infine Dio stesso, servendosi di mezzi alcuni dei quali so-no simili ad altri procedimenti magici, ma più particolar-mente avvalendosi del potere della sacra lingua ebraica.Si tratta, dunque, di un tipo di magia molto più ambi-zioso della magia naturale di Ficino, e tale da non poteressere tenuto distinto dalla religione.

Per la mentalità rinascimentale, che amava le costru-zioni simmetriche, esisteva un certo parallelismo fra gliscritti di Ermete Trismegisto, il Mosè egiziano, e la ca-bala, la quale era una tradizione mistica ebraica, che sisupponeva fosse stata tramandata oralmente dallo stes-so Mosè. In comune con tutti i cabalisti, Pico credevafermamente a questa estrema antichità dell’insegnamen-to cabalistico, pensando che risalisse direttamente a Mo-sè, e lo considerava una dottrina esoterica, della quale

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Mosè aveva messo a parte solo pochi iniziati che l’ave-vano tramandata, e che svelava misteri non pienamentechiariti dal patriarca nella Genesi. La cabala non vienemai definita prisca theologia perché, così almeno ritengo,questo termine si riferiva alle fonti pagane della sapienzaantica, mentre in questo caso si trattava di una sapienzadi carattere più sacro, essendo sapienza ebraica. E poi-ché, per Pico, la cabala confermava la verità del Cristia-nesimo, la cabala cristiana si configurava come una fon-te ebraico-cristiana di antica sapienza, che egli ritenevaassai utile e istruttivo confrontare con le antiche formedi sapienza pagana, e soprattutto con quella di ErmeteTrismegisto, il quale si prestava particolarmente bene aisaggi pichiani di religione comparata, in quanto era cosìstrettamente parallelo a Mosè, in quanto legislatore egi-ziano e autore dell’ispirata Genesi egiziana, il Pimander.

Se si considerano gli scritti ermetici e la cabala con gliocchi di Pico, incominciano a rivelarsi al nostro sguardoaffascinanti simmetrie. Il legislatore egiziano aveva im-partito meravigliosi insegnamenti mistici, fornendo unadescrizione della creazione dalla quale si poteva dedur-re che egli sapesse qualcosa di quello che sapeva Mosè.Collegata a questo complesso di dottrine mistiche, ve-niva tramandata anche una tradizione magica, la magiadell’Asclepius. Anche la cabala conteneva un complessomeraviglioso di dottrine mistiche, derivate dal legislato-re ebraico, e gettava nuova luce sui misteri mosaici del-la creazione. Pico si perdeva in queste meraviglie, nel-le quali scorgeva la conferma della divinità di Cristo. E,collegata sempre alla cabala, c’era un tipo di magia, lacabala pratica.

Per di più, ermetismo e cabalismo si corroboravanomutuamente in relazione ad un tema che era fondamen-tale per entrambe le dottrine, e cioè il tema della creazio-ne operata dalla Parola. I misteri degli Hermetica eranomisteri della Parola, o Logos, e nel Pimander era grazie

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alla luminosa Parola, il Figlio di Dio sgorgante dal Nous,che si compiva l’atto creativo. Nella Genesi, per forma-re il mondo creato, «Dio parlò», e, poiché parlò in ebrai-co, ecco che, per i cabalisti, le parole e le lettere dellalingua ebraica divengono oggetto di infinite meditazionemistiche e, per i cabalisti pratici, contengono anche po-teri magici. Può darsi che Lattanzio abbia contribuito acementare, su questo punto, l’unione fra ermetismo e ca-balismo cristiano, perché, dopo aver citato dal salmo «Icieli furono fatti dalla parola di Dio», e da san Giovan-ni, «In principio era la Parola», aggiunge che queste af-fermazioni sono convalidate anche dai Gentili. «PerchéTrismegisto, il quale in un modo o nell’altro giunse a pe-netrare quasi tutta la verità, descrisse spesso l’eccellenzae la maestà della Parola», e riconobbe «che c’è una lin-gua ineffabile e sacra, il cui significato oltrepassa la mi-sura della capacità umana»188.

L’unione fra ermetismo e cabalismo, della quale Picofu il propugnatore e il fondatore, era destinata ad avereimportanti risultati, e la successiva tradizione ermetico-cabalistica, che in definitiva origina da lui, ebbe conse-guenze di vastissima portata. Essa poteva avere un carat-tere puramente mistico, nella misura in cui veniva svilup-pando le meditazioni ermetiche e cabalistiche sulla crea-zione e sull’uomo in complicatissimi labirinti di specula-zione religiosa, ricchi di aspetti armonici e numerologici,e in cui veniva assorbita anche la tradizione pitagorica.Ma essa ebbe anche il suo lato magico, e, anche a que-sto riguardo, fu Pico che per primo unificò i due tipi dimagia, quello ermetico e quello cabalistico.

Fu nel 1486 che il giovane Pico della Mirandola si re-cò a Roma con le sue novecento tesi, o sentenze estrat-te da tutte le filosofie, offrendosi di provare, in un pub-blico dibattito, come fossero tutte reciprocamente con-

188 Lattanzio, Div. inst., IV, 9.

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ciliabili. Secondo Thorndike, queste tesi mostrano che ilpensiero di Pico «era largamente influenzato dall’astro-logia, che egli era favorevole alla magia naturale, e cheaveva un debole per la letteratura di tipo occulto ed eso-terico, come gli inni orfici, gli oracoli caldaici, la cabalaebraica»189, ed anche gli scritti di Ermete Trismegisto. Ilgrande dibattito non ebbe mai luogo, e, su alcune delletesi, si riversò l’indignazione dei teologi, tanto che si re-se necessaria un’Apologia, o difesa, pubblicata nel 1487con la maggior parte dell’Orazione sulla dignità dell’uo-mo, che avrebbe dovuto costituire l’introduzione al di-battito. L’eco di questa orazione era destinata a riper-cuotersi per tutto il Rinascimento, e si tratta, in effetti,di una sorta di Magna Charta della magia rinascimenta-le, cioè del nuovo tipo di magia introdotto da Ficino eperfezionato da Pico.

Nelle pagine che seguono mi servirò delle tesi, oConclusiones, di Pico, della sua Apologia, e anchedell’Orazione190. I fini che mi propongo sono ben cir-coscritti. Prima di tutto, intendo enucleare tutto quel-lo che Pico dice a proposito della magia, o magia natu-ralis, cercando di chiarire il suo pensiero al riguardo. Insecondo luogo, dimostrare che Pico distingue fra caba-la teoretica e cabala pratica, e che quest’ultima è magia

189 Thorndike, IV, p. 494.190 Le Conclusiones pichiane, benché d’importanza assoluta-

mente fondamentale per l’intero Rinascimento, non sono di-sponibili in alcuna moderna edizione. I richiami ad esse edall’Apologia contenuti nel presente capitolo sono basati sull’edi-zione del 1572 delle opere di Pico (abbreviata come «Pico», cfr.le Abbreviazioni). I richiami all’«Orazione» sono basati sull’e-dizione, con traduzione italiana a fronte, pubblicata da E. Ga-rin (G. Pico della Mirandola, De hominis dignitate, Heptaplus,De ente et uno, e scritti varii, a cura di E. Garin, Firenze 1942).Sulla prima versione dell’«Orazione», cfr. Garin, Cultura, pp.231 sgg.

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cabalistica. Infine, provare come Pico pensi che occor-ra integrare la magia naturalis con la cabala pratica, sen-za la quale essa sarebbe priva di qualsiasi vigore. Questetre finalità coincidono fra loro, e non sarà sempre pos-sibile tener distinti gli argomenti. Devo aggiungere che,per quanto sia certa che, quando parla di «cabala prati-ca», Pico intende la magia cabalistica, non sarò in gradodi illustrare le procedure da lui seguite, poiché questa èmateria riservata alle ricerche degli specialisti di linguaebraica.

Fra le novecento tesi di Pico ci sono ventisei Conclu-siones magicae. Queste vertono, in parte, sulla magia na-turale, e in parte sulla magia cabalistica. Ne ho sceltealcune sulla magia naturale.

Ecco la prima delle conclusioni magiche:

Tota Magia, quae in usu est apud Modernos, & quam meri-to exterminat Ecclesia, nullam habet firmitatem, nullum fun-damentum, nullam ueritatem, quia pendet ex manu hostiumprimae ueritatis, potestatum harum tenebrarum, quae tenebrasfalsitatis, male dispostis intellectibus obfundunt191.

Tutta la «magia moderna», dice Pico nella sua primaconclusione, è cattiva, priva di fondamenti, opera deldemonio, e giustamente condannata dalla Chiesa. Sitratta di una presa di posizione netta e recisa contro lamagia praticata ai tempi di Pico, la «magia moderna».Ma tutti i maghi premettono sempre che, per quantoesistano forme di magia malvagie e diaboliche, quella cheessi praticano è di diversa natura. E io penso che Pico,quando parla di «magia moderna», non intenda la nuovamagia naturale, ma le forme medievali non rinnovate.Infatti la sua seconda conclusione inizia così:

191 Pico, p. 104.

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Magia naturalis licita est, & non prohibita...192

C’è dunque una magia buona, una magia lecita chenon è proibita ed è la magia naturalis.

Che cosa intende Pico per magia naturalis? Nella terzaconclusione egli afferma che:

Magia est pars practica scientiae naturalis;

nella quinta che:

Nulla est uirtus in coelo aut in terra seminaliter & separataquam & actuare & unire magus non possit;

e nella tredicesima che:

Magicam operari non est aliud quam maritare mundum193.

Risulta chiaro da queste tre conclusioni, almeno misembra, che per magia naturale lecita Pico intende l’isti-tuzione di «legami» fra terra e cielo mediante l’uso cor-retto di sostanze naturali secondo i princìpi della magiasimpatica; e poiché tali legami sarebbero privi di effica-cia senza il superiore legame del talismano o dell’imma-gine astrale, resi efficaci dallo spiritus naturale, ecco chel’uso dei talismani dev’essere compreso (così mi sembra)fra i metodi con i quali il mago naturale di Pico «unisce»le virtù del cielo e quelle della terra, o «sposa il mondo»,il che è un modo diverso di esprimere lo stesso concetto.

Che la magia naturale di Pico non si basasse esclusiva-mente sulla manipolazione di sostanze naturali è, inoltre,provato dalla ventiquattresima conclusione:

192 Ibid., loc. cit.193 Ibid., pp. 104, 105.

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Ex secretioris philosophiae principiis, necesse est confiteri, plusposse characteres & figuras in opere Magico, quam possit quae-cunque qualitas materialis194.

Si tratta di una netta affermazione che non sono le so-stanze materiali a racchiudere il maggior potere, né lamateria di cui son fatti gli oggetti usati in magia; al con-trario la maggior efficacia è posseduta proprio dalle «fi-gure» e dai «caratteri» magici. Egli non usa, in questobrano, il termine imagines, che è la definizione correttadelle immagini talismaniche, ma i characteres sono queicaratteri magici (del tipo di quelli illustrati nel Picatrix),che vengono usati, al pari delle immagini talismaniche,in certi talismani ricordati da Ficino. Non so se le «figu-re» abbiano il significato di «immagini», o se siano piut-tosto anch’esse della stessa natura dei caratteri. Tuttaviaè certo che secondo le parole di Pico sono i segni magi-ci ad avere efficacia operativa. Pertanto la sua magia na-turale è qualcosa di più che una mera manipolazione disostanze naturali, e implica l’uso di questi segni magici.

Nell’Apologia Pico ripeté le sue conclusioni sul carat-tere malvagio della cattiva magia e sulla bontà della suamagia naturale, con la quale si uniscono o si sposano lecose del cielo con quelle della terra, aggiungendo chequeste due definizioni (relative al carattere della sua ma-gia, che «unisce» e «sposa») sono sottintese, o implici-te, in tutte le altre sue conclusioni magiche, particolar-mente in quella che concerne i caratteri e le figure. Eglisottolineò il fatto che la buona magia naturale, che spo-sa la terra al cielo, si attua naturalmente, grazie a virtu-tes naturales, e che anche l’efficacia delle figure e dei ca-ratteri magici impiegati è un’efficacia «naturale». In bre-ve egli cerca di dimostrare nel modo più chiaro, così mi

194 Ibid., p. 105.

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sembra, che la magia da lui propugnata non è una magiademonica, ma una magia naturale195.

La magia naturale di Pico, dunque, è probabilmentela stessa di quella di Ficino: essa si avvale di simpatie na-turali ma anche di segni e immagini magici, benché colpresupposto che ciò serva ad attrarre poteri naturali, enon poteri demonici. Non è affatto improbabile che sia-no presenti echi dell’apologia pichiana della magia natu-rale nell’apologia di Ficino per i Libri de vita, pubblicatadue anni più tardi.

Un altro legame fra la magia di Ficino e quella diPico è costituito dalla raccomandazione, da parte diquest’ultimo, degli incantesimi orfici, considerati magianaturale. Nella seconda conclusione orfica Pico affermache:

Nell’ambito della magia naturale non c’è niente di più efficacedegli inni di Orfeo, se si eseguono con il concorso di musicaadatta, di un’opportuna disposizione dell’animo, e delle altrecircostanze ben note al saggio196.

195 Il passo è il seguente: «... Sicut dixi in prima conclusione,refellam omnem Magiam prohibitam ab Ecclesia, illam dam-nans et detestans, protestans me solum loqui de Magia naturali,et expressius per specialem conclusionem declarans: quod peristam Magicam nihil operamur, nisi solum actuando uel unien-do uirtutes naturales. Sic enim dicit conclusio undecima con-clusionum Magicarum. Mirabilia artis Magicae, non sunt nisiper unionem & actuationem corum, quae seminaliter & separa-te sunt in natura, quod dixi in XIII conclusione. Quod Magiamoperari non est aliud quam maritare mundum. Praedictam au-tem specificationem, & restrictionem intentionis meae, in con-clusionibus Magicis, ad Magiam naturalem intendo esse appli-candam, cuilibet conclusioni particulari, & ita cum dico, de ac-tiuitate characterum & figurarum, in opere Magico loquor devera actiuitate sua & naturali. Patet enim, quod talem habentsecundum omnes philosophos tam in agendo, quam in modoagendi & patiendi». Pico, pp. 171-2 (Apologia).

196 Ibid., p. 106. Cfr. supra.

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E nella terza conclusione orfica, egli garantisce il caratte-re non demonico della magia, orfica:

I nomi degli dei cantati da Orfeo non sono nomi di demoniingannatori, dai quali proviene male e non bene, ma sono nomidi virtù naturali e divine, distribuite per tutto il mondo dal veroDio a gran vantaggio dell’uomo, se questi sa servirsene197.

Sembra dunque che il mago naturale, così come loconcepiva Pico, usasse gli stessi metodi della magia na-turale di Ficino, e cioè le simpatie naturali, i naturali in-cantesimi orfici, le immagini e i segni magici interpretatinaturalmente. Fra queste procedure doveva quasi certa-mente essere compreso l’uso dei talismani, secondo l’in-terpretazione datane da Ficino. Pico si muoveva nellostesso mondo d’immagini di Ficino, come dimostra il suocommento alla Canzona de amore, di Benivieni, e le TreGrazie incise sulla sua medaglia potrebbero venire forseintese, in fondo, come un’immagine talismanica di tiponeoplatonico contro gli influssi di Saturno198.

Nell’Orazione sulla dignità, dell’uomo, che avrebbedovuto aprire il dibattito sulle Conclusiones, Pico ripe-te tutti i suoi temi principali sulla magia: che la magia èdi due specie, in quanto una è opera di demoni, e l’altra èuna filosofia naturale199; che la buona magia opera trami-te la simpatia, e si basa sulla conoscenza delle mutue re-lazioni che innervano tutta la natura, delle seduzioni se-grete per cui una cosa può venire attirata da un’altra, tal-

197 Ibid., loc. cit.198 Nel commento alla Canzona del Benivieni (Pico, p. 742;

De hominis dignitate, ecc., a cura di E. Garin, pp. 508-9),Pico in realtà non pone le Tre Grazie come equivalenti deitre «buoni» pianeti, ma, da discepolo ficiniano, certamente eglidoveva essere a conoscenza di questa interpretazione.

199 Pico, De hominis dignitate, ecc., a cura di E. Garin, p.148.

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ché, come il villano sposa le viti all’olmo, «così il magosposa la terra al cielo, cioè le forze delle cose inferiori aidoni e alle proprietà di quelle superiori»200. E questa me-ditazione sui meravigliosi poteri dell’uomo-mago si aprecon le stesse parole di Ermete Trismegisto ad Asclepio:«Magnum, o Asclepi, miraculum est homo»201. Si trat-ta del tono fondamentale dell’intera orazione, di un tonoche colloca la magia naturale di Pico nel contesto dellamagia dell’Asclepius.

Ma, invece di nascondere, come Ficino, questa con-nessione con l’Asclepius nelle pieghe di un commentoa Plotino o di citazioni piuttosto ambigue da Tommasod’Aquino, Pico, in quelle parole introduttive, getta co-raggiosamente il guanto di sfida, quasi a voler dire: «èdella magia dell’Asclepius che sto in realtà parlando, eprovo orgoglio per l’uomo-mago così come è stato de-scritto da Ermete Trismegisto».

Tuttavia, la magia naturale, per Pico, è povera cosa, enon può consentire risultati davvero efficaci, se non conil complemento della magia cabalistica.

Nulla potest esse operatio Magica alicuius efficaciae, nisi anne-xum habeat opus Cabalae explicitum uel implicitum202.

Così afferma la quindicesima delle Conclusiones magi-che, un giudizio severo e deciso che bolla la magia di Fi-cino come inefficace, perché non faceva ricorso alle forzesuperiori.

200 Ibid., p. 152.201 Ibid., p. 102.202 Pico, Opera, p. 105.

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Nulla nomina ut significatiua, & in quantum nomina sunt,singula & per se sumpta, in Magico opere uirtutem haberepossunt, nisi sint Hebraica, uel inde proxima deriuata203.

Questa ventiduesima conclusione magica è dura neiconfronti di un povero mago inesperto di ebraico, qualeera Ficino, che sapeva solo poche parole di quella lingua.

Opus praecedentium hymnorum [cioè gli Inni orfici] nullumest sine opere Cabalae, cuius est proprium practicare omnemquantitatem formalem, continuam & discretam204.

Persino i canti orfici, gioia e orgoglio di Ficino, sonoinefficaci in qualsiasi operazione magica senza la cabala,secondo questa ventunesima conclusione orfica.

Questi duri giudizi espressi dal più preparato giovanemago costituiscono almeno, secondo me, una garanzia,assoluta che la magia naturale di Ficino non aveva carat-tere demonico, come egli sosteneva. Troppo pio e cautoper cercare di servirsi di demoni planetari o zodiacali, etroppo ignorante della cabala per comprendere la magiaangelica, egli si accontentava di una magia naturale, cheera inoffensiva, ma anche inefficace. Il mago che com-bini la magia naturale con la cabala si troverà in una di-versa posizione perché, come spiega Pico nell’Apologia,ci sono due specie di cabala, e una di esse è «la partesuprema della magia naturale».

La cabala205, quale si sviluppò in Spagna durante ilMedioevo, si basava sulla dottrina delle dieci sefirot edelle ventidue lettere dell’alfabeto ebraico. La dottrinadelle sefirot e esposta nel libro della creazione, o Sefer

203 Ibid., loc. cit.204 Ibid., p. 107.205 Sulla Cabala, cfr. G. Scholem, Major Trends in Jewish

Mysticism, Jerusalem 1941.

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yesirah e ad essa si fa costante riferimento in tutto lo Zo-har, opera mistica scritta in Spaglia nel XIII secolo, cheriflette le tradizioni del cabalismo spagnolo del tempo.Le sefirot sono «i dieci nomi più comuni di Dio, e, nelloro complesso, formano il Suo unico grande nome»206.Sono i «nomi creativi che Dio chiamò al mondo»207, e l’u-niverso creato è lo sviluppo esterno di queste forze viven-ti in Dio. Questo aspetto creativo delle sefirot le inseri-sce in un contesto cosmologico ed in effetti esiste un rap-porto fra esse e le dieci sfere del cosmo, che è compostodalle sfere dei sette pianeti, dalla sfera delle stelle fisse, edalle sfere superiori, situate al di là di queste. Un trattosingolare del cabalismo è costituito dall’importanza at-tribuita agli angeli, o spiriti divini, quali elementi inter-mediari sparsi in tutto questo sistema, e disposti secon-do gerarchie corrispondenti alle altre gerarchie. Esisto-no anche angeli cattivi, o demoni, le cui gerarchie corri-spondono a quelle dei loro antagonisti nel campo del be-ne. Il sistema teosofico dell’universo, sul quale si fonda-no le infinite sottigliezze del misticismo cabalistico, si ri-collega alle Scritture mediante elaborate interpretazionimistiche delle parole e delle lettere del testo ebraico, inparticolare della Genesi (di cui buona parte dello Zoharè un commento).

L’alfabeto ebraico, per il cabalista, contiene il nome, oi nomi, di Dio; esso riflette la fondamentale natura spiri-tuale del mondo e il linguaggio creativo di Dio. La crea-zione, dal punto di vista di Dio, è l’espressione del Suorecondito Sé, che Si attribuisce un nome, il santo nomedi Dio208, l’atto perpetuo della creazione. Contemplandole lettere dell’alfabeto ebraico e le loro combinazioni, in

206 Scholem, op. cit., p. 210.207 Ibid., p. 212.208 Ibid., p. 18.

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quanto costituenti il nome di Dio, il cabalista contemplainsieme Dio e le sue opere, attraverso il potere del nome.

Le due branche del cabalismo spagnolo si basano, intal modo, sul nome, o sui nomi; hanno carattere recipro-camente complementare e parzialmente si sovrappon-gono. Una branca va sotto la denominazione di «Sen-tiero delle sefirot»209; l’altra, di «Sentiero dei nomi»210.Un esperto del «Sentiero dei nomi» fu Abraham Abul-’Afiya, un ebreo spagnolo del XIII secolo, che elabo-rò una tecnica di meditazione estremamente complessa,fondata su un sistema di associazione delle lettere dell’al-fabeto ebraico in infinite combinazioni e variazioni.

Per quanto la cabala sia essenzialmente una dottrinamistica, un metodo per tentare di conoscere Dio, è colle-gata ad essa anche un’attività magica, che può esercitar-si misticamente, o soggettivamente, su se stessi: una spe-cie di autoipnosi per agevolare la contemplazione, e G.Scholem pensa che Abul-’Afiya la praticasse appunto inquesto senso211. Essa può svilupparsi anche in una formadi magia operativa212, che si avvale del potere della lin-gua ebraica, o dei poteri degli angeli invocati, per esegui-re operazioni di magia. (è ovvio che parlo mettendominella posizione di uno che creda misticamente nella ma-gia, come Pico della Mirandola). I cabalisti elaboraro-no molti nomi angelici ignoti alle Scritture (in cui è fattamenzione soltanto di Gabriele, Raffaele e Michele), ag-giungendo alla radice, da cui è definita la specifica fun-zione di un determinato angelo, un suffisso, come «el»o «iah», rappresentante il nome di Dio. A questi nomi

209 Ibid., p. 202 sgg.210 Ibid., pp. 122 sgg.211 Ibid., pp. 141-2.212 Per una esposizione rudimentale della «cabala pratica», o

magia cabalistica, cfr. K. Seligmann, The History of Magic, NewYork 1948, pp. 346 sgg.

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angelici, invocati o incisi su talismani, veniva attribuitagrande efficacia. Un notevole potere magico veniva an-che attribuito ad abbreviazioni di parole ebraiche, otte-nute col metodo notarikon, o a trasposizioni e anagram-mi di parole, formati col metodo della temurah. Uno deimetodi più complicati usati nella cabala pratica, o nel-la magia cabalistica, era la gematria, basata sui valori nu-merici assegnati a ciascuna lettera dell’alfabeto ebraicoe che implicava un sistema matematico di estrema com-plessità. Grazie ad essa, una volta che le parole fosserostate convertite in numeri, e i numeri in parole, si potevaleggere la complessiva organizzazione del mondo in ter-mini di parole-numeri, o si poteva calcolare esattamen-te il numero degli ospiti celesti, che veniva fatto ascende-re a 301.655.172. L’equazione parola-numero, come tut-ti questi metodi, non ha necessariamente carattere ma-gico, può essere semplicemente mistica; ma è un aspet-to importante della cabala pratica, grazie al collegamen-to con i nomi degli angeli. Ci sono, per esempio, set-tantadue angeli tramite i quali si può giungere alle stes-se sefirot, o invocarle, quando si conoscano i loro nomi enumeri rispettivi. Le invocazioni devono essere sempreformulate in ebraico, ma esistono anche invocazioni ta-cite, che si possono compiere semplicemente manipolan-do o disponendo in un certo ordine parole, lettere, segnio segnacoli della lingua ebraica.

Fra le appassionate attività intraprese da Pico in vi-sta della sintesi totale di tutto il sapere – da lui compiu-ta all’età di ventiquattro anni – fu anche l’apprendimen-to dell’ebraico che, a quanto sembra, egli imparò moltobene, o, almeno, molto meglio di qualsiasi non ebreo suocontemporaneo213. Ebbe numerosi dotti amici ebrei, di

213 Inizialmente lo studio principale su Pico e la Cabala è sta-to quello di J. L. Blau, The Christian Interpretation of the Caba-la in the Renaissance, Columbia University Press 1944. Ma ora

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alcuni dei quali conosciamo il nome – Elia del Medigo,per esempio, e Flavio Mitridate. Questi, e altri, gli pro-curarono i libri e i manoscritti necessari, e probabilmen-te egli lesse le Scritture ebraiche nella lingua originale, in-sieme a molti commenti, compresi i commenti e gli scrit-ti cabalistici. Sembra che conoscesse lo Zohar, e il com-mento mistico al Canto di Salomone. G. Scholem ha po-sto in luce quello che sembra costituire, in Pico, un col-legamento con le tecniche di combinazione di lettere diAbraham Abul-’Afiya214. Il giovane pio ed entusiasta at-tribuiva una particolare importanza ai suoi studi ebraicie cabalistici, perché credeva che essi gli avrebbero con-sentito una comprensione più profonda del Cristianesi-mo nonché certificato la verità della divinità di Cristo e

si veda l’importantissimo saggio di G. Scholem, Zur Geschichteder Anfänge der christlichen Kabbala, in Essays presented to L.Baeck, London 1954; e F. Secret, Pico della Mirandola e gli inizidella cabala cristiana, in «Convivium», I, 1957. Dei molti librisu Pico, quello che tratta prevalentemente il tema del rapportoPico-cabala è il Giovanni Pico della Mirandola di E. Anagnine,Bari 1937.

Agli studi ricordati precedentemente o necessario ora ag-giungere i seguenti, pubblicati dopo che era stata ultimata lastesura originale del presente libro: Flavio Mitridate, Sermo depassione Domini, edito con una introduzione e un commento acura di Chaim Wirszubski, Jerusalem 1963; F. Secret, Les kab-balistes chrétiens de la Renaissance, Paris 1964; P. Zambelli, Il«De auditu kabbalistico» e la tradizione lulliana nel Rinascimen-to, in «Atti dell’Accademia toscana di scienze e lettere ‘La Co-lombaria’», XXX, 1965.

L’interpretazione di Pico proposta in questo capitolo è statada me formulata per la prima volta in un articolo su «Giovan-ni Pico della Mirandola and Magic», preparato in occasione delConvegno internazionale su Pico (Mirandola 1963) e pubblica-to in L’opera e il pensiero di Giovanni Pico della Mirandola nellastoria dell’umanesimo, Firenze 1965, vol. I, pp. 159 sgg.

214 Essays presented to L. Baeck, p. 164, nota.

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la dottrina della Trinità. Le sue settantadue Conclusio-nes cabalistiche vengono presentate come atte a «confer-mare la religione cristiana in base ai fondamenti della sa-pienza ebraica»215. La sesta conclusione afferma che i tregrandi nomi di Dio nei segreti cabalistici, contenuti nelnome quaternario (il Tetragrammaton), si riferiscono al-le tre persone della Trinità216. E nella settima conclusio-ne viene sostenuto che «nessun cabalista ebreo può ne-gare che il nome di Gesù, se lo si interpreta secondo iprincìpi e i metodi cabalistici, significhi Dio, il figlio diDio, e la sapienza del Padre attraverso la divinità dellaterza Persona»217.

Pico, così nelle conclusioni cabalistiche come nellasua Apologia, distingue fra due diverse specie di cabala.Nella prima conclusione dice:

Quicquid dicant caeteri Cabaliste, ego prima diuisione scien-tiam Cabalae in scientiam Sephirot & Semot, tanquam in prac-ticam & speculatiuam distinguerem218.

Nella conclusione successiva suddivide la «cabala spe-culativa» in quattro parti:

Quicquid dicant alii Cabalistae, ego partem speculatiuam Caba-lae quadruplicem diuiderem, correspondentes quadruplici par-titioni philosophiae, quam ego solitus sum afferre. Prima estscientia quam ego uoco Alphabetariae reuolutionis, correspon-dentem parti philosophiae, quam ego philosophiam catholicam

215 Pico, p. 107. Ci sono due serie di conclusioni cabalistiche:1) una serie di 48 che si dice ricavata direttamente dalla cabala(ibid., pp. 80-3); 2) una serie di 72, basata sull’«opinionepersonale» di Pico (ibid., pp. 107-11). Qui mi servo dellaseconda.

216 Ibid., p. 108.217 Ibid., loc. cit.218 Ibid., pp. 107-8. Cfr. G. Scholem, saggio cit., loc. cit.

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uoco. Secunda, tertia et quarta pars est triplex Merchiana, cor-respondentes triplici philosophiae particularis, de divinis, demediis & sensibilibus naturis219.

Secondo Scholem, la prima di queste partizioni dellacabala speculativa, definita filosofia «cattolica», costitui-ta da alfabeti rotanti, si riferisce alle tecniche delle com-binazioni di lettere di Abraham Abul-’Afiya e della suascuola, il «Sentiero dei nomi». La seconda, con le sueallusioni ai tre mondi – quello sovraceleste delle sefirote degli angeli, quello celeste delle stelle e quello sensibi-le o terrestre – corrisponde, probabilmente, al «Sentierodelle sefirot».

Nella terza conclusione cabalistica, Pico dà una defi-nizione della cabala pratica:

Scientia quae est pars practica Cabalae, practicat totam meta-physicam formalem & theologiam inferiorem220.

Per fortuna, nell’Apologia egli si spiega un po’ piùchiaramente circa le diverse specie di cabala. Qui egliabbandona le suddivisioni della cabala speculativa e deli-nea soltanto due classificazioni, nelle quali individua duescienze che vanno entrambe onorate con il nome di ca-bala. Una è l’ars combinandi, che corrisponderebbe allafilosofia cattolica costituita da alfabeti rotanti di cui par-la nella conclusione sulla cabala speculativa. Egli ora di-ce che quest’arte è simile a «quella che tra noi viene defi-nita ars Raymundi» (cioè l’arte di Raimondo Lullo), perquanto i procedimenti non siano del tutto gli stessi. Laseconda delle scienze da onorare con il nome di caba-la riguarda i poteri di quelle cose superiori che sono aldi sopra della luna, e costituisce «la parte suprema del-

219 Pico, p. 108.220 Ibid., loc. cit.

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la magia naturale». Quindi ripete le due definizioni: «Laprima di queste due scienze è l’ars combinandi, che, nel-le mie conclusioni, ho definito alfabeto rotante; la secon-da concerne un modo di captare i poteri delle cose supe-riori, un altro modo essendo mediante magia naturale».E aggiunge che il termine cabala, nel suo significato ori-ginario, non si applica forse altrettanto bene a entram-be le scienze, ma che esse possono venire così chiamate«transumptiue»221.

Per quanto mi par di capire, Pico divide dunque la ca-bala in due branche fondamentali. Una è l’ars combinan-di, che probabilmente derivava dai mistici procedimenticombinatori elaborati da Abraham Abul-’Afiya e che Pi-co ritiene sia in qualche modo simile all’arte di Raimon-do Lullo. Ma, da ora in avanti, trascurerò del tutto que-sto aspetto del cabalismo di Pico, in quanto esso rientrapiuttosto nella storia dell’«arte» di Raimondo Lullo. Ilnostro esclusivo interesse si concentra, invece, sul secon-do tipo di cabala pichiana, quello che concerne un «mo-

221 Il passo è il seguente: «In universali autem duas scientias,hoc etiam nomine honorificarunt, unam quae dicitur ars com-binandi, & est modus quidam procedendi in scientiis, & est si-mile quid, sicut apud nostros dicitur ars Raymundi, licet for-te diuerso modo procedant. Aliam quae est de uirtutibus re-rum superiorum, quae sunt supra lunam, & est pars Magiae na-turalis suprema. Utraque istarum apud Hebraeos etiam diciturCabala,... et de utraque istarum etiam aliquando fecimus men-tionem in conclusionibus nostris: illa enim ars combinandi, estquam ego in conclusionibus meis uoco, Alphabetariam reuo-lutionem, est ista quae de uirtutibus rerum superiorum, quaeuno modo potest capi, ut pars Magiae naturalis, alio modo, utres distincta ab ea: est illa de qua loquor in praesenti conclu-sione, dicens: Quod adiuuat nos in cognitione diuinitatis Chri-sti ad modum iam declaratum, & licet istis duabus scientiis no-men Cabalae, ex primaria & propria impositione non conue-niat, transumptiue tamen potui eis applicari». Pico, pp. 180-1(Apologia).

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do di captare i poteri delle cose superiori, un altro modoessendo mediante magia naturale», e che costituisce «laparte suprema della magia naturale». È evidente il ca-rattere magico di questo secondo tipo di cabala, connes-so con la magia naturale, ma a un livello superiore. Essodeve mirare più in alto delle stelle, che sono l’obiettivosupremo della magia naturale, verso le sfere sovracelesti;ovvero, il metodo che esso propone per captare il poteredelle stelle è più efficace di quello della magia naturale,in quanto è legato a forze superiori.

Che questo tipo di cabala abbia natura magica è ab-bondantemente provato da successive osservazioni suquesto punto contenute nell’Apologia pichiana222. Pro-prio come ha prosperato fra noi, dice Pico, una formaperversa di magia, la necromanzia, tanto diversa dallamagia naturale di cui egli è fautore, così fra gli Ebrei si èmanifestata una forma perversa, una degradazione, del-la cabala. Sono esistiti perversi maghi cabalisti, che fal-samente sostenevano di derivare i loro poteri da Mosè,Salomone, Adamo o Enoch, affermando di conoscere inomi segreti di Dio, di sapere come incatenare i demoni,e dichiarando che i loro poteri erano gli stessi di quelliper mezzo dei quali Cristo aveva operato i suoi miraco-li. Ma ovviamente, come chiunque può capire, non eraquesta specie perversa di falsa magia cabalistica che Pi-co difendeva, poiché egli aveva espressamente detto, inuna delle sue conclusioni, che i miracoli di Cristo nonavrebbero mai potuto esser compiuti per mezzo della ca-bala. (La settima conclusione magica afferma che i mi-racoli di Cristo non sono stati compiuti né per magia néper cabala.)223

Queste difese e queste giustificazioni indicano piutto-sto chiaramente che i metodi dei buoni cabalisti prati-

222 Ibid., p. 181.223 Ibid., p. 105.

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ci erano analoghi a quelli dei cattivi cabalisti con l’unicadifferenza di venire usati a buon fine. Anche i primi siservivano dei nomi segreti di Dio e dei nomi degli ange-li, invocandoli nella potente lingua ebraica, o avvalendo-si di magiche combinazioni di lettere del sacro alfabetoebraico. Con questo stesso metodo i cattivi cabalisti in-vocavano i demoni, o gli angeli perversi, mentre i pii in-vocavano soltanto angeli buoni. Si trattava di una magiache superava di gran lunga la magia naturale, poiché ten-deva ad acquisire i poteri del mondo sovraceleste, al di làdelle stelle.

Un esame di alcune Conclusiones di Pico dimostreràche la sua magia cabalistica rientrava quasi certamente inquesta seconda specie.

Ai fini di questo studio rivestono particolare impor-tanza due serie di Conclusiones, e precisamente le Con-clusiones magicae e le Conclusiones cabalistae. Le con-clusioni magiche concernono, in parte, la magia natura-le, e, in parte, la magia cabalistica; alcune entrambi i ti-pi di magia. Ho già citato alcune di quelle sulla magianaturale; riporterò, ora, qualcuna delle altre.

Quodcunque fiat opus mirabile, siue sit magicum, siue Cabali-sticum, siue cuiuscunque alterius generis, principalissime refe-rendum est in Deum...224

Questa, la sesta conclusione magica, è interessante so-prattutto per la sua definizione dell’oggetto della magia:il compimento di un’«opera mirabile», cioè di un’opera-zione magica. E precisa, inoltre, che tali opere si posso-no compiere grazie a diverse specie di magia: median-te la magia (magia naturale) o la cabala, oppure con altrimetodi. L’ultimo inciso consentirebbe l’inclusione, peresempio, della magia orfica e di quella caldea o di en-

224 Ibid., p. 104.

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trambe, sulle quali Pico si intrattiene in altre conclusio-ni. Infine, raccomanda solennemente un atteggiamentodi pietà verso Dio, con il quale devono essere intrapresetutte le buone operazioni magiche.

Ho già citato la quindicesima conclusione magica, laquale afferma che nessuna operazione magica ha effica-cia senza l’apporto della cabala, e la ventiduesima, percui nessun nome è valido ai fini magici se non appartie-ne alla lingua ebraica, o non ne deriva immediatamen-te. Possiamo dunque passare alla venticinquesima con-clusione:

Sicut characteres sunt proprii operi Magico, ita numeri suntproprii operi Cabalae, medio existente inter utrosque & appro-priali per declinationem ad extrema usu literarum225.

La magia naturale si serve di caratteri, quella cabalisti-ca di numeri, tramite l’uso di lettere. Si tratta di un evi-dente riferimento ai valori numerici delle lettere ebrai-che, essenziali alla messa in opera della magia cabalisti-ca. C’è anche un riferimento, oscurissimo, al rapportofra i caratteri della magia e i numeri-lettere della cabala.

Sicut per primi agentis influxum si sit specialis & immediatus,fit aliquid quod non attingitur per mediationem causarum, itaper opus Cabale si sit pura Cabala & immediata fit aliquid, adquod nulla Magia attingit226.

Questa – la ventiseiesima e ultima conclusione magica– è molto importante per i rapporti fra magia e cabala. Lamagia naturale si avvale soltanto di cause intermediarie,le stelle. La cabala pura procede immediatamente versola prima causa. Dio stesso. Essa può, in tal modo,conseguire risultati inattingibili alla magia naturale.

225 Ibid., pp. 105-6.226 Ibid., p. 106.

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Delle conclusioni cabalistiche ho già citato le primetre, che definiscono le diverse specie di cabala; ora ne ci-teremo alcune altre. Se si pensa alle conclusioni cabali-stiche, non si arriva bene a capire se esse (come certa-mente le conclusioni magiche) abbiano finalità magiche,o se invece almeno alcune, se non la maggior parte di es-se, abbiano carattere puramente mistico. Pico parla for-se di un’ascesa mistica dell’anima attraverso le sfere ver-so le sefirot e verso il mistico Nulla al di là di queste? Ov-vero intende usare mezzi magici per tale ascesa, o acqui-sire poteri magici dalle operazioni che ne conseguono?In una personalità come la sua è difficile, se non impos-sibile, tracciare una linea divisoria netta fra misticismo emagia.

Modus quo rationales animae per archangelum Deo sacrifican-tur, qui a Cabalistis non exprimitur, non est nisi per separa-tionem animae a corpore, non corporis ab anima nisi per acci-dens, ut contingit in morte osculi, de quo scribitur praeciosa inconspectu domini mors eius227.

Questa, che è l’undicesima conclusione, ha certamen-te un profondo carattere mistico. In uno stato di supre-mo estraneamento, in cui l’anima si separa dal corpo, ilcabalista è in grado di comunicare con Dio attraversogli arcangeli, immerso in un’estasi tanto intensa da po-ter risultare, talvolta, nella morte corporale (morte, que-sta, che viene chiamata la «morte di bacio»). Pico si inte-ressò moltissimo di quest’esperienza, e parla della morsosculi nel suo commento alla canzone di Benivieni228.

227 Ibid., pp. 108-9.228 Commento alla Canzone de amore del Benivieni, lib. III,

cap. 8. (Pico, p. 753; De hominis dignitate, ecc., a cura di E.Garin, p. 558).

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Non potest operari per puram Cabalam, qui non est rationaliterintellectualis229.

Le operazioni della cabala pura si compiono nella par-te intellettuale dell’anima. Ciò vale a distinguerle imme-diatamente dalle operazioni della magia naturale, che sicompiono esclusivamente tramite lo spiritus naturale.

Qui operatur in Cabala... si errabit in opere aut non purificatusaccesserit, deuorabitur ab Azazale...230

Può darsi che questa frase si riferisca soltanto ad ope-razioni mistiche, a tentativi di giungere agli arcangeli eche falliscono scontrandosi invece in angeli cattivi. Opotrebbe anche trattarsi di uno dei soliti ammonimentiai maghi, sui preparativi e le purificazioni necessarie pri-ma di intraprendere un’operazione, e sui terribili perico-li che attendono il mago che sbagli nella sua attività, o siazzardi ad operare senza un’adeguata preparazione.

La magia naturale, che tanto accuratamente cercava dievitare di entrare in rapporto con i demoni astrali, avevapreso adeguate precauzioni contro simili rischi. Poichéalcuni fra i demoni astrali erano buoni, ma altri perversi,era meglio non fare alcun tentativo al di fuori della magiaspirituale. Per quanto la sua magia, di carattere piùelevato, abbia natura angelica e divina, Pico non è maial sicuro da questi pericoli, perché esistono angeli buonie angeli perversi. Se è vero che sarebbe indubbiamentespiacevole imbattersi a faccia a faccia nell’alto uomo nerodagli occhi rossi, il demone-decano egiziano della primafaccia dell’Ariete, sarebbe ancor peggio esser divorati daquesto terribile angelo ebraico del male, Âzazel!

229 Pico, p. 109.230 Ibid., loc. cit.

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Nella quarantottesima conclusione cabalistica Picomostra di comprendere appieno che esiste un rapportofra le dieci sfere del cosmo – le sette sfere dei pianeti,l’ottava sfera, o firmamento delle stelle fisse, l’empireo, eil primo mobile – e le dieci sefirot o numerationes dellacabala.

Quicquid dicant caeteri Cabalistae, ego decem sphaeras, sic de-cem numerationibus correspondere, dico, ut ab edificio inci-piendo, Jupiter sit quartae, Mars quintae, Sol sextae, Saturnusseptimae, Venus octauae, Mercurius nonae, Luna decimae, tumsupra aedificium firmamentum tertiae, primum mobile secun-dae, coelum empyreum primae231.

Sebbene il suo modo di calcolare sia piuttosto confusio-nario232, Pico ha in mente le corrispondenze fra le diecisfere e le dieci sefirot, le quali, talvolta, vengono stabilitein questa maniera:

Sefirot Sfere

(1) Kether Primo mobile

(2) Kokhmah Ottava sfera

(3) Binah Saturno

(4) Hesod Giove

(5) Gevurah Marte

(6) Rahimin Sole

(7) Netsch Venere

(8) Hod Mercurio

(9) Yesod Luna

(10) Maikuth Elementi

231 Ibid., p. 111.232 Prendendo le mosse dall’empireo, invece che dal primo

mobile, e collocando erroneamente Saturno, Pico dà l’impres-sione di fare una certa confusione rispetto allo schema norma-le.

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È proprio questo rapporto fra sefirot e sfere del cosmoche fa della cabala una teosofia dell’universo. Ed èquesto rapporto che rende possibile parlare della magiacabalistica come del coronamento della magia naturale, odi una forma superiore di magia naturale, che raggiungele forze spirituali superiori organicamente collegate allestelle.

Nella sessantaseiesima conclusione cabalistica, Picoindica come si possa «adattare la nostra anima» alle diecisefirot, definendo quest’ultime in base al loro significato:

Ego animam nostram sic decem Sephirot adapto, ut per unita-tem suam fit cum prima, per intellectum cum secunda, per ra-tionem cum tertia, per superiorem concupiscibilem cum quar-ta, per superiorem irascibilem cum quinta, per liberum arbi-trium cum sexta, & per hoc totum ut ad superiora se conuer-titur cum septima, ut ad inferiora cum octaua, & mixtum exutroque potius per indifferentiam uel alternariam adhaesionemquam simultaneam continentiam cum nona, & per potentiamqua inhabitat primum habitaculum cum decima233.

C’è una precisa corrispondenza con i significati attri-buiti alle sefirot da Scholem234:

Pico

Kether: il Supremo Unità

Hokhmah: Sapienza Intelletto

Binah: Intelligenza Ragione

Hesod: Amore o Misericordia Concupiscenza superiore

Gevurah: Potere e Ira Irascibilità superiore

Rahimin: Compassione Libero arbitrio

Netsch: Eternità Ciò per cui tutto si converte alle cosesuperiori

Hod: Maestà Ciò per cui tutto si converte alle coseinferiori

233 Pico, p. 113.234 Scholem, Major Trends, p. 209.

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Yesod: Base Commistioni, ecc.

Malkuth: Regno, o Gloria Il potere del primo

Come si può vedere, i significati sono pressoché iden-tici; ed è interessante constatare come Pico riveli unachiara consapevolezza della disposizione, o del movi-mento, circolare delle sefirot, per cui l’ultima si ricon-giunge alla prima.

Non a caso le conclusioni cabalistiche di Pico sonosettantadue, perché, come risulta dalla cinquantaseiesi-ma conclusione, egli aveva qualche nozione del misterodel nome di Dio, composto di settantadue lettere:

Qui sciuerit explicare quaternarium in denarium, habebit mo-dum si sit peritus Cabalae deducendi ex nomine ineffabili no-men 72 literarum235.

Tutto quello che ci interessa sottolineare dei miste-ri delle conclusioni cabalistiche, è che Pico conobbe inqualche modo, nelle sue linee generali, il «Sentiero dellesefirot» con le sue connessioni cosmologiche e che, perquesta ragione, la cabala si collegò alla magia naturalecome «parte suprema» di essa. Dalle conclusioni magi-che sappiamo che egli intendeva esercitare la cabala pra-tica, o magia cabalistica, ma soltanto l’iniziato sarebbe ingrado di far luce sui dettagli concreti di tale sua attività.Senza dubbio qualche cosa di più si potrebbe apprende-re dal De arte cabalistica di Reuchlin (1517)236, nel qualevengono citate e commentate diverse conclusioni cabali-stiche di Pico237, e dal quale il praticante cabalista avreb-be potuto apprendere molte cose che Pico aveva trala-

235 Pico, p. 112.236 Johannes Reuchlin, De arte cabalistica, Haguenau 1517.237 Per esempio vengono citate la diciannovesima conclusio-

ne magica (ed. cit., p. 58 recto) e la prima conclusione cabalisti-ca (p. 64 recto).

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sciato di spiegare, per esempio il fatto che con gli an-geli, i quali sono privi di voce, si comunica meglio me-diante i signacula memorativa (segni mnemonici ebraici),che pronunciando i loro nomi238. Reuchlin si diffonde suicalcoli imperniati sull’equazione numeri-lettere, forniscemolti nomi di angeli, compresi quelli dei settantadue cheformano il nome di Dio (Vehuiah, Ieliel, Sitael, Elemiah,e via dicendo)239 e da istruzioni su come invocare i piùfamiliari Raffaele, Gabriele e Michele240. Tramite Reu-chlin la magia cabalistica di Pico si collega direttamen-te alla magia angelica di Tritemio o di Cornelio Agrippa,per quanto questi maghi abbiano operato con intenti piùstrettamente pratici che non il pio e contemplativo Pico.

Nell’orazione di Pico sulla dignità dell’uomo ricorro-no di continuo le parole magia e cabala, che costituisco-no il tema fondamentale di tutta la composizione. Do-po la citazione iniziale da Trismegisto, sull’uomo comegrande miracolo, viene formulato il solenne elogio dellamagia naturale241; successivamente l’oratore passa ai mi-steri degli Ebrei, e alla tradizione esoterica derivata daMosè242. L’orazione abbonda di misteri non rivelati ap-pieno. Gli Egiziani scolpivano sui loro templi una sfingeper significare che i misteri della loro religione doveva-no essere salvaguardati da un velo di silenzio243. La caba-la ebraica è ricca di misteri trasmessi sotto il vincolo delsilenzio244. Talvolta egli è prossimo a svelare un segreto:

238 Ibid., p. 56 verso.239 Ibid., p. 58 verso.240 Ibid., p. 57 recto.241 Pico, De hominis dignitate, ecc., a cura di E. Garin, pp.

102 sgg. 152 sgg., ecc.242 Ibid., pp. 155 sgg., ecc.243 Ibid., p. 157.244 Ibid., loc. cit.

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E se è lecito, sotto il velo dell’enigma, menzionare in pubblicoqualcosa dei più arcani misteri... si invoca Raffaele, il dottoreceleste, perché ci liberi con l’etica e la dialettica, come unmedico apportatore di salute. In noi, così restituiti alla salute,verrà a dimorare Gabriele, la forza del Signore, che, guidandociattraverso i miracoli della natura, e mostrandoci dove risiedonola virtù e la potestà di Dio, ci presenterà a Michele, il gransacerdote che, dopo la nostra applicazione alla filosofia, ciincoronerà, come con una corona di pietre preziose, con ilsacerdozio della teologia245.

In che modo dobbiamo invocare Raffaele, Gabrielee Michele affinché essi penetrino in noi con tutti i loropoteri e la loro sapienza? Ne conosciamo forse i nomi ei numeri segreti? Questa elevata aspirazione mistica celaforse al suo interno un segreto di cabala pratica?

Nell’orazione la lode della magia e dell’uomo-mago èespressa genericamente in termini retorici, e non si fa chequalche vago accenno ai segreti dei procedimenti magici.Ma è certo che l’orazione è un’esaltazione così dellamagia come della cabala, e sembrerebbe pertanto cheil mago rinascimentale «completo», quale per la primavolta si affacciò al mondo con tutto il suo potere, intutta la sua dignità, nell’opera pichiana. esercitasse siala magia naturale, sia la «parte suprema» di questa, lacabala pratica.

Nel suo studio sulla magia di Ficino, D. P. Walker haavanzato l’idea che essa avesse carattere eminentementesoggettivo, cioè che Ficino la esercitasse su se stesso246.Essa operava tramite l’immaginazione in quanto la con-dizionava attraverso varie forme di vita e diversi rituali,e la predisponeva a ricevere nell’intimità le forme divi-ne degli dei naturali. Si trattava di una magia dal carat-tere squisitamente artistico, che potenziava la sensibili-

245 Ibid., pp. 129, 131.246 Walker, pp. 82-3.

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tà artistica con procedimenti magici. È probabile che lostesso possa dirsi anche della cabala pratica esercitata daPico: che si trattasse, cioè, di un uso essenzialmente sog-gettivo della magia cabalistica da parte di un uomo di na-tura profondamente religiosa e artistica. In quale forma– forse più sublime, nella sua immaginazione, dei sem-bianti angelici dipinti da un Botticelli o da un Raffaello– si offrirono a Pico della Mirandola Raffaele, Gabriele eMichele?

Forse è soprattutto in questo senso immaginativo eartistico che dobbiamo intendere l’influenza della magiarinascimentale, del tipo di quella inaugurata da Ficinoe da Pico. I maghi effettivi del Rinascimento furonogli artisti, e furono senza dubbio un Donatello o unMichelangelo a sapere infondere, grazie alla loro arte, lavita divina nelle statue.

La duplice magia di Pico introdusse inevitabilmentela magia nella sfera della religione. Se il moderato cul-to degli dei naturali, inteso come terapia medica, avevaprocurato a Ficino difficoltà con i teologi, le difficoltàdi Pico, in questo campo, furono più gravi e profonde,perché, unificando magia naturale e cabala, egli sollevòdirettamente la magia, al livello del mondo sovracelestedei poteri divini e angelici. Il culto che si accompagnòalla magia religiosa (per un parallelo si pensi ai riti solaridella magia naturale), fu proprio lo stesso culto religio-so. Nell’Heptaplus viene detto che, per unirci alle natu-re superiori, dobbiamo seguire il culto religioso con pre-ghiere, inni e supplicazioni247; e nelle conclusioni orfichesi parla degli «inni di David», cioè dei Salmi, come diincantesimi tanto efficaci, ai fini della cabala, quanto losono ai fini della magia naturale gli inni di Orfeo.

247 Pico, De hominis dignitate, ecc., a cura di E. Garin, pp.319, 321.

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Sicut hymni Dauid operi Cabalae mirabiliter deseruiunt, itahymni Orphei operi veri licitate, & naturalis Magiae248.

In tal modo, il cabalista pratico che canta un salmosvolge un rito analogo a quello attuato dal mago natura-le che intona un inno orfico – analogo, ma più efficaceperché, come viene detto in un’altra conclusione orficache ho già citato, gli inni orfici non hanno alcun poterese ad essi non si aggiunga la pratica della cabala. È diffi-cile comprendere come si potessero compiere operazio-ni cabalistiche e al contempo cantare inni orfici. ForsePico intende semplicemente dire che il canto dei Salmiva alternato al canto degli inni orfici; oppure che esso siesegue con una intentio animae rivolta al vero Dio, chevive al di sopra della natura, mentre il canto degli inni sirivolge agli dei naturali. Oppure ciò poteva avvenire at-traverso l’influenza esercitata dal canto religioso sugli in-ni alle divinità naturali, il che avrebbe così servito anchenell’altra accezione, come ricordo degli inni agli dei na-turali inserito in quelli cantati nelle chiese in onore delDio di David? Il problema è probabilmente insolubile,ma, se lo si affronta, ci si rende conto di trovarci davan-ti a una questione che doveva suscitare, in seguito, con-troversie vivaci sui rapporti fra magia e religione: la que-stione, cioè, se una riforma religiosa dovesse accentua-re l’importanza della magia nella pratica religiosa, o eli-minarla del tutto da tale ambito. Se si pone il proble-ma, non soltanto in questi termini, ma anche in relazionealle immagini magiche e miracolose delle chiese cristia-ne, ci sembra che incominci a spuntare la questione del-la possibile rilevanza, per la Riforma con la sua iconocla-stia, della fortissima accentuazione rinascimentale dellamagia religiosa.

248 Pico, Opera, p. 106.

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Il rapporto fra magia e cristianesimo nelle formulazio-ni di Pico è reso ancor più stretto e singolare dalla suastraordinaria asserzione che la magia e la cabala possanovalere a provare la divinità di Cristo. La settima conclu-sione magica afferma:

Nulla est scientia, que nos magis certificet de diuinitate Christi,quam Magia & Cabala249.

Pico non spiega mai a fondo ciò che intendesse esatta-mente con questa stupefacente affermazione; ma fu que-sta la conclusione che sollevò le eccezioni più numerose,che provocò una tempesta di proteste, e sulla quale Pi-co concentrò la sua difesa nell’Apologia250. Alcune delleconclusioni cabalistiche accennano all’utilità della cabalaper ottenere una conferma della divinità di Cristo.

Nullus Hebraeus Cabalista potest negare, quod nomen Iesu,si eum secundum modum & principia Cabalae interpretemur,hoc totum praecise & nihil aliud significat, id est Deum Deifilium patrisque sapientiam per tertiam diuinitatis personam,quae est ardentissimus amoris ignis, naturae humanae in unitatesuppositi unitum.Per nomen Iod, he uau, he, quod est nomen ineffabile, quoddicunt Cabalistae futurum esse nomen Messiae, euidenter co-gnoscitur futurum eum Deum Dei filium per spiritum sanctumhominem factum, & post eum ad perfectionem humani generissuper homines paracletum descensurum251.

Era in questo modo, attraverso il metodo cabalisticodelle manipolazioni di lettere, che il giovane estatico

249 Ibid., p. 105.250 Ibid., pp. 166 sgg.251 Ibid., pp. 108, 109. Cfr. anche le conclusioni cabalistiche

14 e 16 (ibid., p. 109).

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avvertiva con rapimento che IESU era il nome del Messia,il figlio di Dio.

Ma come poteva la magia provare la divinità di Cri-sto? Confesso di non avere una spiegazione da propor-re, a meno che non si supponga che Pico pensasse al-l’eucarestia come a una specie di magia. Il lettore inte-ressato a questo problema può leggere il trattato di Picosull’eucarestia252, nel quale, peraltro, io non sono riuscitaa individuare alcun uso preciso della parola magia.

Così, con la massima sicurezza e audacia, il devotissi-mo mistico cristiano Pico della Mirandola procedeva adifendere magia e cabala. Lungi dall’essere attività ma-giche delle quali il cristiano non debba interessarsi, es-se confermano al contrario la verità della sua religione egli consentono una più profonda comprensione spiritua-le dei misteri di essa. E tuttavia, questa difesa della suareligione costituiva per Pico un’arma a doppio taglio, edegli era ben consapevole dei pericoli in essa impliciti, aiquali cercava di sottrarsi nella settima conclusione magi-ca, ripetuta con grande enfasi nell’Apologia:

Non potuerant opera Christi, uel per uiam Magiae, uel per uiamCabalae fieri253.

Se magia e cabala hanno tanta efficacia, era per mezzodi esse che Cristo compiva le sue opere meravigliose?No, risponde Pico con la massima decisione. Ma i maghisuccessivi avrebbero ripreso questa idea pericolosa.

Mi preme ora mettere in luce un altro aspetto dellaposizione di Pico, così importante nella storia del nostroargomento. La magia dell’orazione può farsi in definitivaderivare dalla magia dell’Asclepius, e Pico stesso sottoli-nea impavidamente tale paternità allorché inizia il suo di-

252 Ibid., pp. 181 sgg.253 Ibid., p. 105; nell’Apologia, ibid., pp. 166 sgg., 181, ecc.

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scorso con le parole di Ermete Trismegisto sul gran mira-colo dell’uomo. Così, congiungendo insieme magia e ca-bala, Pico sposava veramente l’ermetismo al cabalismo,in una unione – come abbiamo già detto in questo capi-tolo, realizzata per la prima volta da Pico – dalla qualedoveva nascere una progenie di ermetico-cabalisti, auto-ri di opere di grande complessità e infinitamente oscure,tanto numerose quanto sconcertanti.

Nel precedente capitolo abbiamo espresso l’opinioneche la magia medievale venisse modificata e sostituita,nel corso del Rinascimento, dalla magia filosofica di tiponuovo. C’era anche una magia medievale che usava nomidi angeli, i nomi ebraici di Dio, invocazioni in un ebrai-co degenerato, e curiose manipolazioni magiche di lette-re e diagrammi. I maghi attribuivano la paternità di simi-li forme di magia a Mosè, più particolarmente a Salomo-ne, e uno dei più caratteristici manuali di questo tipo ful’opera nota come Clavis Salomonis254, che ebbe una no-tevole diffusione clandestina in varie forme. È probabil-mente ad opere del genere che pensa Pico quando diceche la sua cabala pratica non ha niente a che vedere conla perversa magia diffusa sotto il nome di Salomone, Mo-sè, Enoch o Adamo, e con la quale i cattivi maghi evoca-vano demoni255. Se considerate nel contesto dell’elevatomisticismo filosofico della cabala, e dal punto di vista diun’effettiva conoscenza dell’ebraico e della mistica del-l’alfabeto ebraico, queste antiquate forme di magia do-vevano sembrare non soltanto perverse ma anche rozzee barbariche. Esse vennero soppiantate dalla cabala pra-tica, la dotta magia ebraica che si colloca accanto all’al-trettanto dotta magia neoplatonica, come una delle duediscipline che, nel loro insieme, costituiscono il bagagliotecnico del mago rinascimentale.

254 Thorndike, II, pp. 280-1.255 Pico, p. 181 (Apologia).

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Si incomincia così a scorgere uno straordinario muta-mento nella posizione del mago. Il necromante, con isuoi filtri e le sue misture, e l’esorcista, con le sue terrifi-canti invocazioni, erano entrambi considerati rifiuti del-la società, un pericolo per la religione, ed erano costret-ti a svolgere segretamente le loro pratiche. È pressochéimpossibile riconoscere queste figure antiquate nei ma-ghi rinascimentali, esperti di filosofia e colmi di pietà re-ligiosa. È un mutamento simile a quello verificatosi nel-la posizione dell’artista che si trasforma, dal rozzo arti-giano medievale, nel raffinato e colto frequentatore del-le corti rinascimentali. Anche le varie forme di magia so-no mutate, in modo spesso irriconoscibile. Chi potreb-be riconoscere il necromante che studia segretamente ilsuo Picatrix nell’elegante Ficino, con il suo raffinatissimosistema di corrispondenze simpatiche, i suoi incantesimiclassici, i suoi elaborati talismani neoplatonici? Chi po-trebbe riconoscere l’esorcista, che si avvale delle tecni-che barbariche di una qualche Clavis Salomonis, nel mi-stico Pico, sprofondato nelle estasi religiose della cabala,che evoca e chiama accanto a sé gli arcangeli? E tuttaviasussiste una certa continuità, perché in fondo, i proce-dimenti tecnici si basano sugli stessi princìpi. La magiadi Ficino è una versione estremamente raffinata e modi-ficata della necromanzia pneumatica. La cabala praticadi Pico è una versione intensamente religiosa e misticadell’esorcismo.

Come la vecchia necromanzia poteva farsi derivare daantichissime forme di magia fiorite nel contesto dell’er-metismo, o dello gnosticismo pagano dei primi secoli d.C., così il vecchio esorcismo risaliva allo stesso periodo ederivava da fonti dello stesso tipo. Nomi di angeli, nomidi Dio in ebraico, lettere e segni ebraici, sono tutti aspettidi una magia gnostica in cui le fonti ebraiche e quelle pa-gane sono inestricabilmente commiste. E la commistio-ne continua anche nella tradizione successiva. Per esem-

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pio, nel Picatrix ci sono nomi di angeli ebraici, e a «Pi-catrix» viene attribuita la paternità di alcune «Chiavi diSalomone»256. In tal modo, così la magia come la caba-la del Rinascimento potevano essere considerate revivi-scenze, sia pure in forma «riveduta e corretta», di attivi-tà magiche derivabili in ultima analisi dallo gnosticismopagano ed ebraico.

Inoltre, i due contesti teoretici nei quali rivivono nelRinascimento le due forme di magia – e cioè gli Herme-tica e la cabala – sono entrambi di origine gnostica. GliHermetica sono raccolte di documenti dello gnosticismopagano dei primi secoli d. C. in alcuni dei quali (e in par-ticolare nella narrazione della creazione fatta nel Piman-der) è evidente l’influenza ebraica. E, come hanno recen-temente posto in luce le ricerche di G. Scholem, c’è unaforte influenza gnostica nella primitiva cabala ebraica257

e nel neoplatonismo, mescolata al quale essa dette vita alcabalismo spagnolo del Medioevo. In particolare, egli haposto la sua attenzione su un caso specifico di estremo in-teresse. Nella teoria gnostica pagana dell’ascesa dell’ani-ma attraverso le sfere, nel corso della quale essa si liberadegli influssi materiali, la rigenerazione finale si verificanell’ottava sfera, dove penetrano nell’anima purificata leVirtù e le Potestà di Dio. Ho riassunto nel secondo capi-tolo un esempio di questa dottrina, quando ho tratteggia-to i lineamenti della «Rigenerazione egiziana» tratta dalCorpus Hermeticum XIII, con la descrizione dell’ingressodelle Potestà nell’anima rigenerata, che avviene nell’otta-va sfera, la sfera «ogdoadica», e con le Potestà che canta-

256 Thorndike, II, p. 281, nota 1.257 Scholem, Jewish Gnosticism, Merkabah Mysticism, and the

Talmudic Tradition, New York 1960; cfr. anche, a propositodell’influenza gnostica sulla cabala, l’opera Major Trends, sem-pre dello Scholem.

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no «inni ogdoadici» di rigenerazione258. Scholem ha mo-strato che nella letteratura Hekhaloth (una delle «ante-nate» della cabala) esiste esattamente la stessa concezio-ne, con la collocazione della Gloria e della Potestà divi-ne nell’ottava sfera, e dove persino il termine «ogdoas» ètradotto in ebraico259.

Ora, curiosamente, Pico della Mirandola aveva intra-visto un rapporto fra ermetismo e cabala, e probabilmen-te esso era lo stesso di quello posto di recente in luce, conmetodi scientifici, da Scholem. Pico ha tratto da ErmeteTrismegisto la materia di dieci conclusioni, che precedo-no immediatamente le conclusioni cabalistiche. Ecco lanona di queste conclusioni ermetiche:

Decem intra unumquemque sunt ultores, ignorantia, tristitia,inconstantia, cupiditas, iniustitia, luxuries, inuidia, fraus, ira,malitia260.

Pico cita dal Corpus Hermeticum XIII nella traduzio-ne di Ficino, dove le dodici «punizioni» materiali vengo-no tradotte con «ultores», e i loro nomi tradotti261 esat-tamente nella forma riprodotta da Pico, salvo il fatto cheegli ne ha tralasciato due, riducendo a dieci le dodici«punizioni» o forze diaboliche della materia. Si ricor-derà come nel Corpus Hermeticum XIII le dodici «puni-zioni», che derivano dallo zodiaco e rappresentano l’uo-mo sottomesso al potere delle stelle, siano eliminate dadieci forze buone, cioè da dieci Virtù o Potestà divine,e come dopo questa vittoria l’anima sia redenta e cantil’inno «ogdoadico». Pico aveva una ragione per ridurrea dieci gli «ultores», poiché voleva istituire un confron-

258 Cfr. supra.259 Scholem, Jewish Gnosticism, pp. 65 sgg.260 Pico, p. 80.261 Cfr. supra.

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to con la cabala nella seguente conclusione ermetica, ladecima:

Decem ultores, de quibus dixit secundum Mercurium praece-dens conclusio, uidebit profundus contemplator corresponde-re malae coordinationi denariae in Cabala, & praefectis illius,de quibus ego in Cabalisticis conclusionibus nihil posui, quiaest secretum262.

Secondo me ciò significa che, per Pico, le «punizioni»ermetiche corrispondono alle dieci essenze diaboliche263

della cabala che sono scacciate e vinte dai loro oppostinel campo del bene – e cioè dalle dieci sefirot – nel corsodi un’esperienza della quale egli non parla nelle conclu-sioni cabalistiche, perché troppo sacra e segreta per di-vulgarla. Insomma (o così almeno mi sembra) Pico ritie-ne che l’esperienza fondamentale del cabalista, allorchéle dieci sefirot o Potestà e Nomi di Dio pongono la lo-ro dimora nell’anima, dopo averne cacciato tutte le for-ze del male, sia la stessa esperienza vissuta dall’ermetico,quando le Potestà, dopo aver cacciato le Punizioni, si in-sediano in lui e cantano con lui l’inno «ogdoadico» dellarigenerazione.

Se la mia interpretazione di queste conclusioni erme-tiche è esatta, non fu soltanto al livello delle loro compo-nenti magiche che Pico sposò cabalismo ed ermetismo,ma anche al livello più profondo della reale struttura del-la loro esperienza religiosa, in quanto aveva intuito un’a-nalogia fondamentale fra il sistema ermetico basato sul-le Potestà e i loro opposti in una cornice cosmologica, eil sistema cabalistico delle sefirot e dei loro opposti, an-ch’esso collocato in un contesto cosmologico.

262 Pico, loc. cit.263 Secondo S. L. MacGregor Matthews, The Kabbalah Un-

veiled, London 1951, gli opposti diabolici delle sefirot sarebbe-ro i dieci arcidiavoli: Satana, Belzebù, e via dicendo.

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In Pico questo notevole saggio di storia religiosa com-parata non doveva assumere la forma critica di un rico-noscimento degli elementi gnostici della cabala parago-nabili allo gnosticismo ermetico. Per lui il confronto sidoveva esaurire in un’affascinata constatazione del fattoche ciò che il Mosè egiziano, Trismegisto, aveva insegna-to in relazione alle Potestà e alle Punizioni, corrisponde-va perfettamente a quanto Mosè, letto secondo la tradi-zione cabalistica, insegna sulle sefirot e i loro opposti.

La ragione più profonda della rivalutazione rinasci-mentale della magia come forza spirituale alleata alla re-ligione risiede nell’interesse del Rinascimento per lo gno-sticismo e per gli Hermetica, ai quali, come abbiamo vi-sto, Pico poté collegare il proprio interesse per la caba-la. Negli ultimi anni sono stati portati a termine numero-si studi sull’ermetismo nel Rinascimento e siamo perciòin grado di riconoscere chiaramente che sia il neoplato-nismo di Ficino, sia il tentativo pichiano di una sintesi ditutte le filosofie su una base mistica costituiscono, piut-tosto l’aspirazione a una nuova gnosi che a una nuova fi-losofia. In ogni modo, fu la loro immersione in un’atmo-sfera gnostica, dovuta alla venerazione per Ermete Tri-smegisto, che determinò in Ficino e in Pico il loro atteg-giamento religioso nei confronti della magia, e la collo-cazione, da essi compiuta, del mago su un altissimo pin-nacolo speculativo: una posizione assai diversa da quel-la dei volgari necromanti ed esorcisti vissuti nelle epocheprecedenti meno «illuminate».

Infine, si può mettere in evidenza come la dignitàdell’uomo-mago, nella famosa orazione di Pico, si basi suun testo gnostico, e non su un testo patristico. Pico noncita per intero il brano dell’Asclepius sull’uomo, il grandemiracolo, con il quale si apre la sua orazione e che, nelsuo contesto, sostiene l’originaria divinità di quest’uomomiracoloso:

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E così, o Asclepio, l’uomo è un miraculum magnum, un esseredegno di reverenza e onore. Poiché egli perviene alla naturadivina come se fosse egli stesso un dio; ha familiarità con larazza dei demoni, poiché sa di condividere con essi l’origine;disprezza quella parte della sua natura che è soltanto umana,perché ha riposto la sua speranza nella divinità dell’altra partedi sé264.

I Padri della Chiesa avevano posto l’uomo in una posi-zione di grande dignità, al culmine della gerarchia terre-na, facendo di lui uno spettatore dell’universo, il micro-cosmo che porta in sé il riflesso del macrocosmo. Tuttiquesti concetti ortodossi si ritrovano nell’orazione sulladignità dell’uomo265, ma si tratta della dignità dell’uomoin quanto mago, in quanto, cioè, operatore dotato del di-vino potere creativo, e il potere magico di sposare la ter-ra al cielo si basa sull’eresia gnostica che l’uomo sia sta-to, e possa tornare ad essere grazie al suo intelletto, il ri-flesso della mens divina, un essere divino. La rivaluta-zione finale del mago nel Rinascimento consiste nel fat-to che egli diviene un essere divino. Ancora una volta civiene in mente un parallelo con gli artisti creatori, per-ché questo era l’epiteto che i contemporanei assegnava-no ai grandi, da essi chiamati spesso, per esempio, il di-vino Raffaello, il divino Leonardo, o il divino Michelan-gelo.

Ficino, come si deduce dalla sua Apologia, incontrònumerose difficoltà con i teologi a causa della sua magia.Poiché l’audacia di Pico si spinse ben più oltre di quel-la di Ficino, le sue difficoltà furono molto più serie, e ilcaso Pico divenne una cause célèbre in materia teologicae fu ricordata a lungo. Riassumiamo brevemente i punti

264 C. H., II, pp. 301-2 (Asclepius); cfr. supra.265 Cfr. lo studio di E. Garin dal titolo: «La “Dignitas

hominis” e la letteratura patristica», in La Rinascita, IV, 1938,pp. 102-46.

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essenziali della questione266. In seguito alle preoccupantidicerie dei teologi romani in relazione al carattere ereticodi alcune fra le tesi di Pico, papa Innocenzo VIII fu co-stretto a istituire una commissione che si occupasse del-la controversia. Pico si presentò diverse volte davanti aquesta commissione per giustificare le proprie idee. Allafine, molte delle sue tesi vennero categoricamente con-dannate, e fra queste la conclusione magica nella qua-le Pico afferma: Nulla est scientia que nos magis certifi-cet de diuinitate Christi quam magia et cabala. Nonostan-te la condanna, Pico pubblicò la sua Apologia, insiemea una parte dell’orazione sulla dignità dell’uomo. L’edi-zione porta la data maggio 1487, ma essa è stata posta indubbio. Nell’Apologia egli prese la difesa delle conclu-sioni condannate. La pubblicazione, naturalmente, gliprocurò nuove difficoltà, e alcuni vescovi forniti di pote-ri inquisitoriali furono incaricati di trattare il caso. Nelluglio 1487 Pico fece atto di formale sottomissione e ri-trattazione davanti alla commissione, e in agosto il papaemise una bolla che condannava tutte le tesi e ne proi-biva la pubblicazione, ma assolveva Pico a ragione del-la sua sottomissione. Nondimeno, quando Pico fuggì inFrancia, gli furono mandati dietro alcuni messi pontifi-ci per tentare di ottenere il suo arresto, ed egli venne ef-fettivamente imprigionato per un certo periodo di tem-po a Vincennes, sebbene il suo caso fosse considerato, inFrancia, con molta simpatia, sia nei circoli della corte siain quelli universitari, dove era apprezzato l’uso che egliaveva fatto, in molte delle sue tesi, degli insegnamenti deiprofessori parigini. Gli fu infine permesso di ritornare inItalia, con la scorta di lettere di raccomandazione del re

266 Cfr. L. Dorez et L. Thuasne, Pic de la Mirandole en Fran-ce, Paris 1897. Di particolare rilievo per quanto concerne laportata del «caso Pico» sul problema della magia è la discussio-ne di Thorndike (VI, pp. 484-511), a cui mi sono in gran parteattenuta.

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di Francia, e godette costantemente dell’appoggio di Lo-renzo de’ Medici che intercedette, per lui presso il papa.Poté così vivere a Firenze, anche se in una posizione tut-t’altro che tranquilla, e condusse una vita ispirata a crite-ri di estrema pietà e ascetismo, sotto l’influenza di Savo-narola. Morì nel 1494, il giorno in cui l’esercito del re diFrancia fece il suo ingresso in Firenze.

Nel 1489 venne pubblicata una lunga replica all’Apolo-gia di Pico, scritta da Pedro Garcia, un vescovo spagno-lo che aveva fatto parte della commissione incaricata diesaminare il caso Pico. L’opera di Garcia è stata analiz-zata da Thorndike267, che ne ha posto in luce la grandeimportanza per la storia degli atteggiamenti verso la ma-gia. Larga parte dello scritto del vescovo spagnolo è de-dicata al tentativo di confutare la tesi di Pico secondocui «non esiste alcuna scienza che possa attestare megliola divinità di Cristo che la magia e la cabala». Garcia èostile a qualsiasi tipo di magia, che è sempre opera per-versa e diabolica e contraria alla fede cattolica. Non ne-ga le teorie astrologiche, e quindi l’esistenza di occultecorrispondenze simpatiche, ma afferma che l’uomo nonpuò averne conoscenza e farne uso se non con l’assisten-za del demonio. Condanna recisamente il ricorso a im-magini astrologiche, cioè ai talismani, e confuta un teolo-go spagnolo il quale cercava di insinuare che Tommasod’Aquino ne avrebbe considerato lecito l’uso. Quest’ar-gomentazione potrebbe senza dubbio essere utilmenteconfrontata con i tortuosi tentativi di Ficino di tirar dal-la sua Tommaso d’Aquino, nella sua difesa dei talismani.Il De vita coelitus comparanda fu pubblicato nello stessoanno del libro di Garcia.

In relazione alla sua condanna delle immagini astro-logiche, Garcia affronta anche l’opinione di coloro percui la magia astrologica poteva essere libera da influssi

267 Thorndike, IV, pp. 497-507.

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demonici almeno quanto la «magia ecclesiastica», qualesi estrinsecava nell’uso di agnellini di cera benedetti dalpapa, o nella benedizione delle campane. Garcia con-futa nettamente tale opinione, sostenendo con forza chegli atti di devozione e di culto dei cristiani non derivanola loro efficacia dalle influenze astrali, ma solo dall’onni-potenza del creatore. Infine Garcia nega l’antichità dellacabala.

L’opera di Garcia, in tal modo, non soltanto condannala magia in sé, ma respinge anche l’idea che la «magiaecclesiastica» possa avere qualsiasi rapporto con essa.

Nel secolo successivo, Arcangelo da Borgonovo scris-se una difesa di Pico contro Garcia (stampata a Venezianel 1569)268. Si può dire che queste due opere – quelladi Garcia e quella di Arcangelo – costituiscano una epi-tome degli argomenti contrari e di quelli favorevoli allaconnessione fra magia e pratiche religiose. La questio-ne divampò nel XVI secolo, e D. P. Walker ne ha fat-to oggetto di studio nel suo libro269. Il caso Pico costituìil nucleo centrale della controversia, e così gli argomentiportati dai suoi difensori e dai suoi accusatori.

Negli ultimi anni della sua vita la posizione di Picofu notevolmente agevolata dall’ascesa al soglio pontifi-cio, nel 1492, di un nuovo papa. In quell’anno successea Innocenzo VIII, alla guida della Cristianità, AlessandroVI, il papa Borgia, una delle figure più pittoresche e no-te del Rinascimento. A differenza del suo predecessore,il papa Borgia non era per niente contrario alla magia eall’astrologia, anzi ne era profondamente interessato e siorientò con estrema decisione alla difesa dell’ortodossiadi Pico. Le bolle per l’assoluzione di Pico, che Loren-

268 Ibid., p. 507. Arcangelo scrisse anche un’esposizione del-le conclusioni cabalistiche pichiane (Cabalistarum delectiora...dogmata, a Ioanne Pico excerpta, Venezia 1569).

269 Walker, pp. 151, 153 sgg., 178-85, ecc.

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zo de’ Medici non era riuscito ad ottenere da Innocen-zo VIII, nonostante ripetuti appelli, furono promulgateda Alessandro VI il 18 giugno 1493, a meno di un annodalla sua elevazione al sacro soglio270. Oltre a ciò, il papascrisse una lettera personale allo stesso Pico, che iniziava:«Dilecte fili Salute & apostolicam beneditionem». Nel-la sua lettera Alessandro ripercorre l’intera vicenda delcaso Pico, menzionando le novecento tesi, l’Apologia, lacommissione che aveva accusato Pico di eresia, la sua fu-ga in Francia, e termina assolvendo completamente siaPico che la sua opera da ogni sospetto di eresia. Picoviene descritto come illuminato da una «divina largitas»,e come un figlio fedele della Chiesa. Questa lettera ven-ne stampata in tutte le edizioni delle opere di Pico271, in-coraggiando così i lettori ad accettare, sulla base dell’al-tissima autorità pontificia, l’irreprensibile ortodossia del-le opinioni dell’autore: compresa naturalmente, fra que-ste, la tesi, che fu il principale bersaglio dei teologi e del-la commissione invalidata da papa Alessandro, per cui lamagia e la cabala costituiscono un valido contributo alladottrina cristiana.

Fu in questa diversa atmosfera che Pico scrisse, nel1493-94, le sue Disputaziones adversus astrologiam divi-natricem. Si è voluto considerare quest’opera come pro-va del fatto che Pico fosse libero da qualsiasi supersti-zione astrologica. Ma già il titolo dimostra che l’astro-logia contro la quale Pico si scaglia è l’astrologia divina-

270 Thorndike, IV, pp. 493, 560; Dorez et Thuasne, Pic de laMirandole en France, p. 103; P. De Roo, Material for a Historyof Pope Alexander VI, Bruges 1924, III, pp. 26-7. La letterascritta da Pico ad Alessandro VI nel 1492 per chiedergli diprendere in considerazione il suo caso è pubblicata in L. Dorez,«Lettres inédites de Jean Pic de la Mirandole», Giornale storicodella letteratura italiana, XXV, 1895, pp. 360-1.

271 Nell’edizione basileese del 1572 essa è riprodotta sul retrodel frontespizio.

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trice, l’astrologia volgare basata sulla credenza che il de-stino dell’uomo sia predeterminato dalle stelle, e che sipossa prevederlo grazie a certi calcoli fondati sull’oro-scopo. È stato di recente messo in evidenza272 che Picoripete sostanzialmente, nel suo libro, la teoria ficinianadelle influenze astrali connesse a uno «spirito celeste».Inoltre, Pico cita «il nostro Marsilio» come uno di co-loro che hanno scritto contro gli astrologi «seguendo leorme di Plotino, nella cui interpretazione ed esposizio-ne ha molto giovato alla cultura platonica ampliandolae illuminandola»273. Questa potrebbe essere un’allusio-ne al commento a Plotino, il De vita coelitus comparanda,con la sua magia naturalis (ivi compresi i talismani di ti-po plotiniano), che verrebbe così indirettamente difeso,in quanto compreso fra gli scritti contro l’astrologia274.Insomma, Pico difende davvero la «magia astrale» di Fi-cino (anche se egli non usa questa espressione) che, co-me abbiamo sottolineato nel precedente capitolo, è com-pletamente diversa dall’astrologia propriamente detta, inquanto è piuttosto una concezione che, insegnando co-me controllare e sfruttare gli influssi delle stelle, rifuggedal determinismo astrologico. Scritto verso il 1493-94,cioè nel periodo in cui il papa assolveva Pico da qualsia-si colpa, il libro contro l’astrologia è veramente una ria-bilitazione della magia naturalis.

272 Walker, pp. 54-5.273 Pico della Mirandola, Disputationes adversus astrologiam

divinatricem, a cura di E. Garin, Firenze 1946, p. 61.274 Potrebbe tuttavia trattarsi anche di un riferimento alla cri-

tica della «cattiva» astrologia contenuta nei commenti ficiniania Plotino; cfr. Walker, p. 54. In ogni caso, il punto è che se Pi-co considera Ficino uno scrittore contrario all’astrologia, il ti-po di astrologia cui Pico si oppone non può essere la versioneficiniana, della magia astrale di derivazione neoplatonica.

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È nel contesto della controversia pichiana, nell’ambi-to della quale Alessandro VI prese tanto decisamente po-sizione a favore del mago, che si debbono collocare lestraordinarie venature «egiziane» degli affreschi eseguitidal Pinturicchio per Alessandro nell’appartamento Bor-gia in Vaticano. Questi affreschi sono stati studiati da F.Saxl275, il quale ha posto in luce come, nella complessivaortodossia dell’impianto, non manchino strane allusioni.Nella prima stanza ci sono dodici Sibille, che pronuncia-no le loro profezie sull’avvento di Cristo, e dodici pro-feti ebraici. Ritengo che Lattanzio e il pavimento di Sie-na ci debbano indurre, a cercare nella sala delle Sibille lapresenza del più grande profeta pagano, Ermete Trisme-gisto: per me, egli va individuato nella figura di profetacon lo zodiaco che conclude la serie dei pianeti, al di so-pra delle Sibille. Nella sala seguente sono ritratti dodiciprofeti con i dodici apostoli; il Cristianesimo preannun-ciato dai profeti ebraici e pagani è sorto, ed è qui rappre-sentato dagli apostoli. Nelle sale successive è la volta del-le sette arti liberali, con l’astrologia in posizione premi-nente; vengono inoltre raffigurati sette santi, e sette sce-ne della vita della Vergine. Si tratta, dunque, fin qui, diun impianto programmatico perfettamente ortodosso.

Ma stranissime sono le scene egiziane nella sala deisanti. L’emblema della famiglia Borgia era il toro, e, inquesta serie di affreschi, il toro dei Borgia viene identi-ficato con Api, il toro venerato dagli Egiziani quale im-magine di Osiride, il dio-sole. Con la progressione del-la storia narrata dagli affreschi, attraverso una serie di al-lusivi slittamenti di significato, il toro egiziano Api, o ilsole, viene identificandosi con il toro dei Borgia, o conlo stesso papa in quanto sole. La serie egiziana cominciacon la storia di Io, trasformata in giovenca da Giunone e

275 F. Saxl, The Appartamento Borgia, in Lectures, WarburgInstitute, University of London, I, pp. 174-88; II.

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affidata alla custodia di Argo. Questi viene quindi ucci-so da Mercurio e la scena è raffigurata nel dipinto in cuiMercurio, con la spada sguainata, dà il colpo di grazia adArgo. Liberata da Mercurio, Io si rifugia in Egitto dovediventa la dea Iside. Dopo la scena dell’uccisione di Ar-go segue, negli affreschi, quella in cui Io-Iside appare se-duta in trono, avendo alla sinistra una figura che Saxl haidentificato con Mosè. La figura alla sua destra è ovvia-mente la stessa persona raffigurata con lo zodiaco nellasala delle Sibille. Secondo me si tratta ancora di ErmeteTrismegisto, questa volta in compagnia di Mosè.

Il Mercurio uccisore di Argo era, secondo Cicerone, lostesso Ermete Trismegisto che in seguito si recò in Egittoe dette «leggi e lettere» agli Egiziani. Ciò viene ricordatoda Ficino nell’argumentum preposto al Pimander:

Hunc [cioè Trismegisto] asserunt occidisse Argum, Aegyptiispraefuisse, eisque leges, ac litteras tradidisse276.

Perciò il Mercurio che in quest’affresco uccide Argosarebbe Ermete Trismegisto, e nella scena successiva egliverrebbe raffigurato in Egitto nella veste di legislatoredegli Egiziani, con al suo fianco Mosè, il legislatore degliEbrei. Ci troveremmo così di fronte al solito confrontoErmete-Mosè con cui ci siamo ormai familiarizzati nelnostro studio della magia e della cabala.

Per quale ragione il papa fece eseguire una simile rap-presentazione nei primi tempi del suo pontificato, unarappresentazione che glorifica la religione egiziana, mo-stra i tori egiziani in atto di adorazione della Croce, eassocia Ermete Trismegisto a Mosè? A questa doman-da credo si possa rispondere pensando che il papa de-siderasse proclamare apertamente il rovesciamento dellapolitica del suo predecessore, facendo sua la concezione

276 Cfr. supra.

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pichiana basata sull’uso della magia e della cabala comecomplementi della religione.

Difficilmente si può esagerare il profondo significatodi Pico della Mirandola nella storia dell’umanità. Fu in-fatti lui il primo a proporre una nuova formulazione dellaposizione storica dell’uomo europeo, di un uomo-magoche usa la magia e la cabala per agire sul mondo, per con-trollare attraverso la scienza il proprio destino. Nel casodi Pico il nesso organico fra religione e nascita del magopuò essere studiato nella sua espressione originaria.

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VI. LO PSEUDO-DIONIGI E LA TEOLOGIA DIUN MAGO CRISTIANO

Dionigi l’Areopagita era per Ideino sia il culmen delplatonismo277 sia colui che san Paolo aveva incontrato adAtene e la cui visione delle nove gerarchie angeliche, in-condizionatamente accettata da Tommaso d’Aquino e datutti i dottori della Chiesa, era diventata parte integran-te della teologia cristiana ortodossa278. A san Dionigi vie-ne fatto continuo riferimento nella Theologia platonica enel De christiana religione di Ficino, le due opere in cuiegli aveva, esposto la sua sintesi di platonismo e cristia-nesimo e, di fatto, non solo per Ficino ma anche per tut-ti i successivi neoplatonici cristiani, Dionigi era uno deiprincipali alleati cristiani.

L’autore delle Gerarchie celesti non era, come sappia-mo, realmente l’Areopagita con cui parlò san Paolo mauno scrittore sconosciuto che compose sotto una forteinfluenza neoplatonica la sua opera sui nove ordini di an-geli da lui raggruppati in triadi, ciascuna delle quali rap-presentava una persona della Trinità. Questi nove ordi-ni angelici dimorano molto in alto, o al di là delle sferedell’universo, in quanto ordini di natura puramente spi-rituale o divina. Ciò nonostante, benché gli ordini dioni-siani non siano, strettamente parlando, una religione co-smologica, nell’idea complessiva di questi ordini espostain tali termini c’è qualcosa che ricorda la religione gno-stica del mondo. R. Roques ha rivolto la sua attenzio-

277 R. Klibansky, The Continuity of the Platonic Tradition,London, Warburg Institute 1939, pp. 42 sgg.

278 Perciò egli era, per Ficino, non solo il culmen del platoni-smo ma il columen della teologia cristiana (commento al Liberde Trinitate di Dionigi; Ficino, p. 1013).

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ne ai paralleli fra il misticismo dionisiano e lo gnostici-smo, particolarmente di tipo ermetico, ed ha suggeritol’ipotesi di una possibile influenza dell’ermetismo sullegerarchie279.

In tal modo, il fenomeno di una datazione errata entradi nuovo in gioco nella sintesi rinascimentale: il grandeapologista cristiano creduto contemporaneo di san Paoloin realtà era appartenuto press’a poco allo stesso periododei prisci theologi280, anch’essi erroneamente datati, edera entrato a far parte della tradizione filosofica gnostica.

Nel XIV capitolo del De christiana religione Ficinoespone nei termini seguenti l’ordine cosmico completatodai nove ordini spirituali:

I quattro elementi, che sono mutevoli in sostanza e qualità.I sette pianeti, che non sono mutevoli nella sostanza, bensì nellaqualità e disposizione.L’ottava sfera, il cui movimento è opposto a quello dei pianetie che è caratterizzata da candor e splendor.La sfera cristallina, che ha solo movimento e la qualità delcandor.L’empireo, ove tutto è stabile e il cui lumen è una qualità di lucesuperiore al candor.

Nell’empireo stabile e lucens trova posto la Trinitàespressa nei nove ordini angelici di Dionigi. Nei singoliordini si trovano legioni di angeli e il loro numero superaogni capacità umana di calcolo. I nove ordini sono:

Serafini, Cherubini, Troni: la gerarchia del Padre.Dominazioni, Virtù, Potestà: la gerarchia del Sole.

279 R. Roques, L’univers dionysien, Paris 1954, pp. 240 sgg.280 In studi recenti si tende a collocare gli scritti dello Pseudo-

Dionigi in un’epoca sensibilmente anteriore rispetto a quellaprecedentemente congetturata (VI sec. d. C.); cfr. EleuterioElorduy, Ammonio Sakkas. I. La doctrina de la creación y delmal en Proclo y el Ps. Areopagita, Burgos 1959, pp. 23 sgg.

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Principati, Arcangeli, Angeli: la gerarchia dello Spirito281.

Secondo l’interpretazione ficiniana Dionigi avrebbedetto che il primo ordine attinge il suo liquor direttamen-te dalla Trinità (liquorem suum a sola haurit Trinitate), ilsecondo lo riceve attraverso il primo e il terzo attraver-so il secondo e il primo. Tra le gerarchie si ha altresì unadivisione di attività, e cioè:

I Serafini speculano sull’ordine e la provvidenza di Dio.I Cherubini speculano sull’essenza e la forma di Dio.I Troni speculano anch’essi, benché alcuni si dedichino adopere.Le Dominazioni, a guisa di architetti, progettano ciò che il restoesegue.Le Virtù eseguono, muovono i cieli e concorrono all’attuazionedei miracoli come strumenti divini.Le Potestà sorvegliano che l’ordine del governo divino nonvenga interrotto e alcune di esse discendono nella realtà umana.I Principati si prendono cura di affari pubblici, nazioni, prìnci-pi, magistrati.Gli Arcangeli dirigono il culto divino e presiedono allo cosesacre.Gli Angeli presiedono agli affari minori e si prendono cura degliindividui come loro angeli custodi282.

Le nozioni ficiniane sulle gerarchie celesti sono statemodificate da due intermediari, cioè Tommaso d’Aquinoe Dante, e anche Ficino vi ha introdotto a sua voltamodifiche nuove. Da Tommaso d’Aquino egli derivòla differenziazione di attività per le singole gerarchieche non si trova specificamente definita nello Pseudo-Dionigi283. Da Dante egli prese il concetto del legame

281 De christiana religione, cap. XIV (Ficino, p. 19).282 Ibid., loc. cit.283 Summa theologiae, pars I, quaest. 108, artt. 5, 6. Cfr.

M. De Gandillac, Astres, anges et génies chez Marsile Ficin, in

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delle gerarchie con le sfere del cosmo: il poeta, infatti,nel Convivio mette in correlazione le gerarchie con lesfere284 e, soprattutto, nel Paradiso dispone le anime deibeati sulle sfere dei sette pianeti, colloca gli apostoli ela Chiesa trionfante nell’ottava sfera, dispone le novegerarchie angeliche nella nona sfera e corona il tutto conla Trinità nell’empireo.

Ficino fu un grande studioso di Dante e sicuramen-te aveva in mente il Paradiso nel passo sulle gerarchieanalizzato prima poiché in esso fa riferimento al poemadantesco285. L’analisi della mutevole qualità della luce,espressa da parole di volta in volta diverse, nell’esposi-zione di Ficino può essere probabilmente attribuibile al-l’influenza dantesca. Il concetto che la luce divina si ri-fletta in basso sulle gerarchie angeliche, risplendendo co-me in specchi nel passaggio dall’una all’altra, è una con-cezione tipicamente dionisiana a cui Dante aveva datouna formulazione piuttosto nuova descrivendo come, amano a mano che egli e Beatrice salgono attraverso le sfe-re dei pianeti, la luce cambi di qualità ad ogni tappa del-la loro ascesa, raggiungendo gradi sempre più abbaglian-ti d’intensità nell’ottava sfera, nella nona e nell’empireo.Ficino, nel passo sopra analizzato, sembra voler usare de-liberatamente una gradazione terminologica parlando displendor di luce nell’ottava sfera, di candor di più intensa

Umanesimo e esoterismo, a cura di E. Castelli, Padova 1960, p.107. Per l’Aquinate la fonte indicativa delle varie attività dellegerarchie era Gregorio, Homil. 34 in Evang. (Migne, Patr. lat.,76, coll. 1250-1), a cui può aver ricorso anche Ficino.

284 Dante, Convivio, lib. II, cap. 6.285 Dante non viene espressamente menzionato, ma le ultime

parole del capitolo sui gradi delle punizioni inflitte ai peccatori,contrapposti agli ordini dei beati in cielo, richiamano l’Infernoe il Paradiso. L’apertura del capitolo sulle anime che fannoritorno alle rispettive stelle riecheggia il Paradiso, IV, 49-54.

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luminosità nella sfera cristallina e di lumen della luce su-prema nell’empireo (oltre il quale esiste forse una lux dimassimo splendore nella mente divina). Egli ricorre adaltrettanti termini differenziati per definire la luce nel Desole286 e nel De lumine287, benché non si possa dire consicurezza che essi vengano sempre usati coerentementesecondo le rispettive sfumature di significato.

Ficino ha intensificato la continuità fra gerarchie e sfe-re introducendo una caratterizzazione di tipo astrologi-co a proposito dei rapporti fra le gerarchie, che secondoFicino «attingono» gli influssi promananti dalla Trinità:una parola, questa, che richiama l’espressione usata nelDe vita coelitus comparanda, dove si immagina che lo spi-ritus del mondo sgorghi attraverso le stelle e venga «at-tinto» dagli esseri destinati ad accoglierlo sulla terra. Sepoi aggiungiamo un altro termine alla serie delle paroledesignanti i vari gradi di luce, cioè il termine «sole» per ilpianeta relativo, la ricezione dello spiritus che si effondedal sole si collega con la serie superiore, con il «liquor»di più alta qualità attinto dalle gerarchie e con le formesuperiori di luce che rispecchiano dalla luce suprema288.

La magia naturale o spirituale di Ficino, che limita ilsuo ambito operativo ai pianeti e in particolare al sole,avrebbe quindi una continuazione angelica superiore esovrastante rispetto a tale ambito, benché Ficino, secon-do me, non abbia mai fatto alcun tentativo di coinvol-gere gli angeli nelle sue «operazioni», al di là delle con-suete preghiere e suppliche della tradizione cristiana, né

286 Ficino, pp. 965-75.287 Ibid., pp. 976-86.288 Questo passaggio si compie con chiarezza nel De sole in

cui dapprima si discute del pianeta sole e della sua importanzacentrale e quindi, nell’ultimo capitolo, si paragona il sole allaTrinità ed ai nove ordini angelici (De sole, cap. XII; Ficino, p.973).

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di raggiungere le Virtù che muovono i cieli allo scopo difarsi operatore di miracoli.

D’altra parte la continuazione angelica al di là dellestelle era del tutto normale per il pensiero cristiano ed è,per esempio, espressa in forma squisita in termini musi-cali da Lorenzo nel Mercante di Venezia di Shakespeare:

Siediti, Gessica. Guarda come il pavimento del cieloÈ fittamente intarsiato di patène d’oro splendente.Non c’è la più piccola stella che tu contempli,la quale non canti nel suo moto come un angeloe non s’intoni coi cherubini dagli occhi sempre giovani289

Lorenzo, mentre fissa lo sguardo nel cielo notturno,contempla il fatto meraviglioso che l’armonia delle sferesi connetta con i cori celesti delle gerarchie angeliche.

Come lo Pseudo-Dionigi fu estremamente importanteper Ficino consentendogli di trovare una sintesi fra neo-platonismo e cristianesimo, così egli aiutò anche Pico agettare un ponte fra la cabala ebraica e il cristianesimo.L’Heptaplus pichiano, che costituisce un commento distile cabalistico alla Genesi, e pieno di richiami a Dioni-gi.

In quest’opera Pico ha frequentemente occasione dimenzionare i «tre mondi» alla maniera dei cabalisti chedividevano l’universo in mondo elementare o terrestre,in mondo celeste o mondo delle stelle, e in mondo sovra-celeste. Fra tutti questi mondi sussisteva una continui-tà di influssi. Pico non ebbe alcuna difficoltà a collega-re questo concetto sia col neoplatonismo che col mistici-smo cristiano o pseudodionisiano.

Egli stabilisce un rapporto col neoplatonismo identifi-cando (come aveva fatto anche Ficino) il mondo angelicocon quello che i filosofi chiamano mondo intelligibile. Il

289 Il mercante di Venezia, V, 1 (trad. it. di Carlo Linati in W.Shakespeare, Tutte le opere, Sansoni, Firenze 1964, p. 443).

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più elevato dei tre mondi è chiamato «dai teologi angeli-co, e dai filosofi intelligibile»; subito dopo viene il mon-do celeste e quindi il mondo sublunare da noi abitato290.Egli passa poi a delineare un parallelo con i tre mondidei cabalisti, simbolicamente rappresentati da Mosè al-lorché divise il tabernacolo in tre parti291. In particola-re nel terzo libro dell’Heptaplus Pico si dedica ad assi-milare le dottrine degli «antichi Ebrei» a quelle di Dio-nigi. In questa sede egli ripete le definizioni tomistichedelle funzioni delle gerarchie e mette in relazione i lorotre raggruppamenti triadici coi tre mondi:

Leggiamo i nel commento cabalistico alla Genesi che il firma-mento è stato posto in mezzo allo acque; e qui ci vengono indi-cate tre gerarchie di angeli... La prima e l’ultima di queste si in-dicano con le acque; l’una con le acque che sono sopra il cielo,l’altra con le acque che sono sotto il cielo; la schiera intermediache le divide è detta firmamento. E se ponderiamo tutte questecose troviamo che non potrebbero accordarsi di più con la dot-trina di Dionigi: la gerarchia suprema, attendendo, come egliscrive, alla contemplazione sola, a ragione è raffigurata nelle ac-que che sul cielo sono poste al di sopra di ogni azione monda-na, celeste e terrestre, e lodano Dio indefinitamente, con per-petuo suono. La schiera intermedia, delegata alle funzioni cele-sti, non poteva essere indicata in modo più appropriato che colfirmamento, cioè col cielo. L’ultima gerarchia, anche se per suanatura è al di sopra d’ogni corpo e al disopra del cielo, tuttaviaha cura delle cose che stanno sotto il cielo e, poiché si divide inPrincipati, Arcangeli ed Angeli, ogni attività di questi si riferi-sce soltanto alle cose che sono sotto la luna: l’attività dei Prin-cipati, come apprendiamo da Daniele, agli stati, ai re, ai prin-cipi; quella degli Arcangeli, ai misteri e ai riti sacri. Gli Ange-li attendono alle cure private e vengono assegnati ciascuno a unsingolo uomo. A ragione dunque questa schiera è raffigurata

290 Pico, De hominis dignitate, Heptaplus, ecc., a cura di E.Garin, p. 185.

291 Ibid., p. 187.

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con le acque che stanno sotto il cielo, poiché presiede alle cosemutevoli e passeggere...292

In tal modo, assegnando la prima gerarchia al mondosovraceleste (le acque al di sopra del firmamento), la se-conda gerarchia al mondo celeste (firmamento), la ter-za gerarchia al mondo elementare o sublunare (le acqueal di sotto del firmamento), Pico «astrologizza» le gerar-chie celesti ancor più rigorosamente di Ficino, ricono-scendo loro questi influssi speciali nelle tre zone. Nel-lo Pseudo-Dionigi non troviamo invece alcuna traccia diuna simile tendenza astrologizzante: per lui infatti le no-ve gerarchie rappresentano la Trinità e sono unicamentecostituite, nei loro diversi gradi, a lode di essa.

La presentazione in gradi gerarchici delle varie inten-sità di calore fatta da Pico può essere comparata alla «ge-rarchizzazione» ficiniana delle differenti qualità di luce.«Presso di noi il calor è una qualità elementare; nei cieli(cioè nelle stelle) è una virtù calorifica; nella mente ange-lica è l’idea di calori»293.

Non è affatto da escludere, come o stato sugge-rito da E. Garin294, che nel proemio al terzo librodell’Heptaplus295, dove egli allude misteriosamente aqualche connessione forse più profonda fra gli insegna-menti di Dionigi e quelli degli «antichi Ebrei», Pico in-tenda suggerire un paragone fra le gerarchie dionisiane ele sefirot. Anche nelle sefirot si osserva una certa grada-zione: infatti le più elevate fra esse sono rivolte alla me-ra contemplazione di misteri ineffabili mentre quelle in-

292 Ibid., pp. 255, 257.293 Ibid., p. 189.294 E. Garin, Giovanni Pico della Mirandola, Firenze 1937,

pp. 194 sgg.295 Pico, De hominis dignitate, Heptaplus, ecc., a cura di E.

Garin, p. 247.

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feriori sembrano avere maggiore attinenza alle vicendeumane. Sempre nelle sefirot si nota un movimento circo-lare (che Pico mostra, di aver ricavato dalla LXVI con-clusione cabalistica) grazie al quale la prima può con-nettersi con l’ultima; un tale movimento si intuisce al-tresì nell’apparente fissità bizantina delle gerarchie an-geliche poiché queste rappresentano complessivamentela Trinità. Per quanto mi è stato possibile accertare, Pi-co non stabilisce mai una precisa correlazione tra sefi-rot e gerarchie angeliche, benché ciò sia stato sicuramen-te fatto nella successiva tradizione ermetico-cabalistica,per esempio da Robert Fludd, come si può constatarenel diagramma contenuto in una delle sue opere, in cuidieci nomi cabalistici di Dio, le dieci sefirot (i cui nomisono scritti verticalmente) e le dieci sfere sono presenta-ti insieme alle nove gerarchie celesti, qui necessariamen-te portate al numero di dieci con l’aggiunta dell’animamundi. Non è da escludere che Pico abbia avvaloratoqualche correlazione di questo tipo, anche se non si puòdire con sicurezza che egli lo abbia fatto esattamente inquesta forma. In un altro diagramma Fludd pone in cor-relazione gerarchie e sfere con le ventidue lettere dell’al-fabeto ebraico.

La differenza fra Ficino e Pico nell’elaborazione deiloro rispettivi quadri angelico-cosmologici è che Pico,grazie alla cabala pratica, è in possesso di mezzi ade-guati per entrare in contatto e operare con il mondoangelico negato invece a Ficino. Gli angeli cabalisticiequivalgono in sostanza per Pico alle miriadi di angelipseudo-dionisiani296, con la differenza che nella cabala si

296 Nella seconda conclusione cabalistica (della serie di 48),Pico dice: «Nouem sunt angelorum hierarchiae, quarum nomi-na Cherubim, Seraphim, Hasmalim, Hagot, Aralim, Tarsisim,Ophanim, Thephrasim, Isim» (Pico, p. 81). Questi sono i no-mi degli ordini angelici cabalistici (tramite i quali vengono rag-

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trovano maggiori informazioni su di essi e sul modo dientrare in contatto con loro.

Se osserviamo il frontespizio di un’opera pubblicatanel 1646 dal gesuita Athanasius Kircher, un discendentedi tutto rilievo della tradizione ermetico-cabalistica fon-data da Pico, vediamo in esso raffigurato il Nome inebraico circondato da raggi e nuvole sovrastate da schie-re di angeli. Al di sotto si scorge il mondo celeste, con lozodiaco; nella parte inferiore è infine raffigurato il mon-do sublunare su cui governa l’arciduca Ferdinando III.Le concezioni fondamentali delineate in questo capitolonon hanno subito alcuna modificazione e l’illustrazioneè un ottimo esempio dell’adeguatezza dello stile baroccoa dare espressione, con la sua simbologia solare e i suoisciami di angeli, a questo tipo di concezioni.

Lo Pseudo-Dionigi esercitò inoltre una fortissima in-fluenza sui sistemi filosofici rinascimentali con la sua teo-logia negativa. Oltre ad adombrare positivamente alcuniaspetti della divinità, nelle nove gerarchie angeliche cor-relate alla Trinità, Dionigi propone anche una «via ne-gativa». Non ci sono parole capaci di definire Dio nellasua essenza attuale; non ci sono nomi adeguati a definir-lo per ciò che realmente è; egli è quindi, tutto sommato,meglio definibile tramite attributi negativi, con una spe-cie di oscurità terminologica, limitandosi a dire che eglinon è bontà, non è bellezza, non è verità, intendendo conciò che egli sfugge ad ogni comprensione umana poggia-ta su questi termini. Il misticismo della teologia nega-tiva dello Pseudo-Dionigi produsse non pochi splendi-

giunte le sefirot, così come attraverso le gerarchie dionisiane siperviene alla Trinità), ma Pico ne elenca soltanto nove (invecedi dieci) cominciando dai Cherubini e Serafini che invece nonfigurano tra i primi nell’ordine cabalistico. Il suo scopo deveessere stato sicuramente quello di avvicinare il più possibile gliordini cabalistici alle nove gerarchie dello Pseudo-Dionigi.

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di frutti spirituali nel corso dei secoli, per esempio l’ope-ra Cloud of Unknowing di un ignoto autore inglese delXIV secolo, che, seguendo il concetto dionisiano di di-vinità nascosta297, si circonda di una nube di ignoranzadalla quale, seguendo un cieco impulso d’amore298, vie-ne in contatto col Deus absconditus. Anche il dotto filo-sofo Niccolò da Cusa trovò nella docta ignorantia delloPseudo-Dionigi l’unica soluzione finale, o modo di acco-starsi al divino, come si legge nella sua opera famosa inti-tolata appunto De docta ignorantia. La teologia negativao l’idea della via negativa per comprendere Dio perven-ne a Ficino non solo attraverso Dionigi ma anche attra-verso Cusano di cui egli fu un grande ammiratore e cheegli considerò un importante anello nella grande catenadi platonici da lui delineata299.

Ficino fece una nuova traduzione dei Nomi divinidello Pseudo-Dionigi in cui sono contenuti diversi passidi teologia negativa basati sul concetto che Dio è al dilà di ogni possibile conoscenza. Dio, afferma Dionigi,o al di sopra della bonitas, dell’essentia, della vita, dellaveritas, al di sopra di tutti gli altri suoi attributi e perciò,in un certo senso, egli non ha nome. In un altro senso,viceversa, egli ha nomi innumerevoli poiché comprendein sé bonitas, essentia, vita, veritas e ogni altra specie diattributi300. Ecco il commento di Ficino a questo passo:

Questo misteriose affermazioni di Dionigi sono confermateda Ermete Trismegisto il quale dice che Dio è nulla e che

297 Deonise Hid Divinitie (a cura di P. Hodgson, Early Engli-sh Text Society 1955) è il titolo di un trattato mistico collegatoalla Cloud of Unknowing.

298 Cloud of Unknowing, a cura di Justin McCann, London1925, p. 19.

299 Klibansky, op. cit., pp. 42, 47.300 Pseudo-Dionigi, nomi divini, I.

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nello stesso tempo egli è tutto, che Dio non ha alcun nome epurtuttavia ha ogni nome possibile301.

Egli ha in mente il passo dell’Asclepius dove Trismegi-sto si esprime in questi termini:

È impossibile che il creatore della maestà del Tutto, il padre esignore di tutte le creature, possa venire designato da un solonome o persino da una molteplicità di nomi. Dio non ha alcunnome, o piuttosto egli ha tutti i nomi poiché è insieme Unoe Tutto, per cui è necessario designare tutte le cose col suonome o attribuirgli il nome di tutte le cose... La sua volontàe assolutamente buona e la bonitas presente in tutte le coseproviene dalla divinità302.

Nel brano sopra riportato lo scrittore ermetico è cer-tamente molto vicino sul piano spirituale al monaco si-riano e non c’è quindi da stupirsi che Ficino restasse im-pressionato dal modo in cui Ermete Trismegisto confer-mava san Dionigi sul binomio nessun nome-tutti i nomi.

Anche nel misticismo cabalistico ebraico è presenteun motivo di teologia negativa poiché l’Ensoph, da cuiscaturiscono le dieci sefirot, è il nulla, l’innominabile,l’ignoto Deus absconditus, e la più alta e più remotadelle sefirot, Keter o la corona, scompare nel nulla303.Anche qui, dunque, benché nelle sefirot siano per cosìdire compresi dieci nomi, il più elevato di essi è il nulla.

Non ho mai trovato che Pico connetta l’Ensoph al-la teologia negativa dionisiana, benché la quindicesimaconclusione orfica sia significativa:

301 Ficino, p. 1034.302 C. H., p. 321 (Asclepius, 30).303 Cfr. Scholem, Major Trends in Jewish Mysticism, pp. 12

sgg.

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Idem est nox apud Orpheum, & Ensoph in Cabala304.

Non c’era che un breve passo, nel ragionamento pi-chiano, per passare dalla nox orfica alle tenebre dionisia-ne. Si trova una concezione mistica simile a questa nelleconclusioni platoniche:

Ideo amor ab Orpheo sine oculis dicitur, quia est supraintellectum305.

Attraverso l’immagine di Cupido cieco è qui descrittala medesima esperienza «negativa» di cui parla Dionigi.

L’unica possibile interpretazione della sintesi di Pico èche egli la compia a un livello mistico e che i molti nomida lui raccolti in ogni sorta di filosofia e religioni si ridu-cano in fondo all’impossibilità di dare alcuna definizionepositiva di Dio. E la grande autorità cristiana in fatto divia negativa era lo Pseudo-Dionigi.

Lo scopo di questo capitolo non è specificamentequello di analizzare le due specie di magia bensì un ten-tativo di ricostruire il contesto religioso e cosmologiconel cui ambito esse si collocano. È possibile avvicinarsia una comprensione delle tenui e fragili relazioni fra re-ligione e magia nel Rinascimento solo dopo esserci resiconto che ci troviamo di fronte a una tendenza verso unmisticismo astrologicizzante e, viceversa, verso un’astro-logia misticheggiante. E questo un modo estremamen-te approssimativo per individuare quel tipo di esperien-za rinascimentale in cui è difficile distinguere il momen-to in cui il sovraceleste finisce per fondersi con il celestee per discendere da quest’ultimo ordine fino a quello ter-restre. In altre parole, a che punto la luce divina di cui siimbevono le gerarchie ricevendola dalla Trinità diviene

304 Pico, p. 107.305 Ibid., p. 96 (sesta conclusione platonica).

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la luca del sole, da cui è illuminato tutto il cielo e che vie-ne recepita attraverso lo spiritus in magia? Ovvero, a chepunto le tecniche di cabala pratica si trasformano in con-templazione estatica delle gerarchie sovracelesti ebraichee cristiane?

Il problema può essere posto anche in termini di Eros.Nella descrizione ermetica della creazione dell’uomo-mago contenuta nel Pimander, questo essere semidivi-no discende al livello inferiore poiché egli ama la bel-lezza della natura e si unisce ad essa in un amplessoappassionato306. Il rapporto erotico con la natura è fon-damentale per la magia simpatica: il mago penetra gra-zie a un atteggiamento di amore simpatico nel flusso disimpatie che legano il cielo alla terra e questo rappor-to psicologico è una delle fonti principali dei suoi pote-ri. «Perché l’amore è chiamato mago?» si domanda Fi-cino nel commento al Simposio. «Perché tutta la forzadella magia risiede nell’amore. L’operare magico consi-ste nell’attirare in un certo senso una cosa verso un’al-tra tramite una similitudine naturale. Le parti di que-sto mondo, come membri di un solo animale, dipendonotutte da un unico amore e sono reciprocamente connesseper comunione naturale ... Da questa comunanza di rap-porti nasce l’amore comune dal quale a sua volta nasceil convergere insieme fra le cose e in ciò consiste la veramagia»307. Nelle gerarchie celesti dello Pseudo-Dionigic’è un continuo movimento reciproco che tutte le coin-volge e che egli chiama Eros, paragonandolo a un mo-to circolare perpetuo che scaturisce dal Bene e ritorna alBene308. M. de Gandillac ha posto in evidenza come, in

306 C. H., I, p. 11 (Pimander); cfr. supra.307 Commentarium in Convivium Platonis de amore, oratio

VI, cap. 10 (Ficino, p. 1348).308 Pseudo-Dionigi, Nomi divini, IV, 14, 15; Gerarchie celesti,

I, 2.

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un altro passo del commento al Simposio309, Ficino ab-bia deformato questa corrente erotica attribuendole unsignificato totalmente assente nello Pseudo-Dionigi oveessa è un dono di pura grazia, e scorge in questa defor-mazione «il tema magico della simpatia universale»310.

In tal modo, sia tramite la luce che mediante l’amo-re, sussiste una specie di continuità fra l’amore operati-vo del mago e l’amore divino circolante in seno alle ge-rarchie celesti. Ancora una volta non è facile distingue-re il momento esatto in cui la magia erotica può trasfor-marsi in partecipazione all’amore divino, o in cui il ma-go finisce per apparire trasfigurato e rapito nella luce enell’amore sovracelesti. Questo concetto è immediata-mente trasferibile in termini neoplatonici poiché la mensneoplatonica viene identificata da Ficino e da Pico conla «mente angelica». Tutte queste sfumature di signi-ficato contribuiscono ad attribuire molteplici comples-si significati ad un’opera come il commento pichiano al-la Canzona de amore del Benivieni. In che cosa consistela componente magica in questo tipo di commento a unapoesia d’amore? Dove si può individuare il misticismocristiano-cabalistico? E dove quello neoplatonico? Ladirettrice da seguire in questa specie di labirinto è datadagli elementi astrologici poeticamente elaborati di cui èpieno il commento e che segnano il passaggio dalla magiamistica al misticismo magico.

Leggendo le strane e solo apparentemente sempliciconversazioni fra Ermete e il figlio Tat o con Asclepioed altri seguaci descritte nei trattati ermetici, non è pos-sibile sottrarsi all’impressione che gli interlocutori sia-no permeati da una profonda esperienza religiosa. Ta-le esperienza religiosa si colloca in una cornice mondanae si consuma nell’ottava sfera allorché le Potestà prendo-

309 In Convivium, oratio III, cap. 2 (Ficino, p. 1329).310 M. de Gandillac, art. cit., p. 99.

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no possesso dell’anima. La religione a cui essa è legataè la religione «egiziana» basata sulla magia astrale. Fer-mamente convinto che i dialoghi ermetici profetizzasse-ro in guise misteriose le verità cristiane, Ficino si sentìincoraggiato a collocare l’esperienza cristiana nell’ambi-to della religione del mondo. Sulla base di reali e perspi-caci tentativi di storia religiosa comparata, sia pure infir-mati da una errata interpretazione cronologica, Ficino ePico furono portati a scorgere rassomiglianze fra lo sche-ma religioso ermetico e il cristianesimo neoplatonizzan-te dello Pseudo-Dionigi, a cui Pico aggiunse inoltre al-cuni richiami alla teosofia cabalistica. In un certo sensoessi colsero entrambi nel segno poiché questi tre schemiteosofici sono tutti collegati alla religione del mondo opossono essere connessi con le sfere dell’universo.

I trattati ermetici sono stati suddivisi da Festugière indue specie: una basata su una gnosi di tipo ottimisticoin cui il cosmo che è sede dell’esperienza religiosa appa-re buono e ripieno di divinità, e una di tipo pessimisti-co e dualistico in cui la salvezza consiste necessariamen-te nello sfuggire al peso della materia permeata da influs-si intrinsecamente diabolici. Può darsi, come ho prece-dentemente indicato311, che queste distinzioni sfuggisse-ro all’attenzione del lettore rinascimentale. Quanto po-co Ficino fosse consapevole di questo dualismo è sug-gerito dal fatto che egli vide in Ormuzd, Mitra e Ahri-man l’espressione, presso i Magi persiani, di una veri-tà intrinseca in tutte le religioni: quella cioè che Dio èuna Trinità312. Invece Ahriman altro non è che il prin-cipio del male nel sistema zoroastriano, inequivocabil-mente dualistico. Con questa sua risolutezza nel rinveni-

311 Cfr. supra.312 Theologia platonica, IV, 1 (Ficino, p. 130); In Convivium,

II, 4 (ibid., p. 1325). Questa straordinaria affermazione venneripetuta, dopo Ficino, nel tardo Rinascimento; cfr. più avanti.

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re ovunque precorrimenti delle verità cristiane, egli do-veva altresì fatalmente ignorare, o quanto meno frainten-dere come versione «egiziana» dell’ascetismo cristiano,gli aspetti dualistici degli Hermetica. Inoltre, molti deipiù influenti trattati ermetici, ivi compreso l’Asclepius,sono ben lungi da una impostazione dualistica e tendo-no piuttosto in una direzione panteistica. Nella misurain cui può essere definita una gnosi, la cabala è altret-tanto ottimistica e lo stesso Pseudo-Dionigi rappresentaindubbiamente il tipo più alto di filosofo neoplatonicoilluminato da ottimismo cristiano.

Il termine gnosi è applicabile al tipo di esperienza vis-suta da Ficino e da Pico poiché essa consisteva in unaricerca di conoscenza tramite metodi religiosi. Occorretuttavia aver ben chiaro che quando usiamo il termine«gnosticismo» per descrivere l’esperienza Rinascimenta-le, esso viene usato in questo libro senza quelle implica-zioni inequivocabilmente dualistiche o manichee a cui èstato in seguito collegato.

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VII. CORNELIO AGRIPPA E LA SUA RASSEGNADELLA MAGIA RINASCIMENTALE

Cornelio Agrippa di Nettesheim313 non è certamente ilpiù importante fra i maghi del Rinascimento né il suo Deocculta philosophia costituisce di fatto un manuale di ma-gia, come è stato qualche volta definito. Esso non for-nisce esaurienti descrizioni di procedimenti tecnici né èuna profonda opera filosofica, come lascerebbe suppor-re il titolo, e Cardano, un mago davvero competente, ladisprezzò come del tutto trascurabile314. Ciò nonostan-te il De occulta philosophia ha fornito per la prima voltauna utile e, per quanto lo consente l’astrusità della mate-ria trattata, chiara rassegna dell’intero campo della ma-gia rinascimentale. Poiché questo mio libro non è scrittoda un vero e proprio mago esperto di ogni procedimen-to, ma è solo l’umile tentativo di uno storico volto a de-lineare gli elementi nella storia del pensiero magico su-scettibili di agevolare la comprensione di Giordano Bru-no (che, detto per inciso, si servì moltissimo di quest’o-pera di poco conto), e il suo posto nella storia del pen-

313 Su Agrippa, cfr. Thorndike, V, pp. 127 sgg.; Walker, pp.90 sgg.; Charles G. Nauert, Agrippa and the Crisis of Renaissan-ce Thought, University of Illinois 1965. Una scelta di brani diAgrippa, ivi compreso un capitolo del De occulta philosophia, èstata pubblicata da Paola Zambelli, con un’utile introduzione,e note, in Test. uman., pp. 79 sgg. Cfr. anche, della stessa, l’ar-ticolo «Umanesimo magico-astrologico» (in Umanesimo e eso-terismo, a cura di E. Castelli, Padova 1960, pp. 141 sgg.), in cuisono fornite ulteriori indicazioni bibliografiche. Il De occultaphilosophia venne pubblicato per la prima volta nel 1533. Io misono servita dell’edizione compresa in H. C. Agrippa, Opera,«Per Beringos fratres, Lugduni», s.d., vol. I.

314 Thorndike, V, p. 138.

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siero magico, ho pensato di dedicare un intero capitoloall’opera divulgativa di Agrippa sulla filosofia occulta.

Egli aveva terminato il suo lavoro fin dal 1510, ma lopubblicò soltanto nel 1533, vale a dire alcuni anni do-po la pubblicazione del De vanitate scientiarum (1530) incui egli aveva proclamato la vanità di tutte le scienze, ivicomprese quelle occulte. Poiché l’interesse, principaledi Agrippa fu sino alla fine dei suoi giorni indubbiamen-te rivolto alle scienze occulte, la pubblicazione del librosulla vanità di tali scienze prima dell’uscita della sua ras-segna di queste ultime contenuta nel De occulta philoso-phia può essere considerata verosimilmente una scappa-toia del tipo frequentemente impiegato da maghi e astro-logi per i quali, era utile, in caso di condanna teologica,essere in grado di chiamare in causa affermazioni da lorostessi fatte «contro» i temi condannati: con il che, tutta-via, essi intendevano di solito dichiararsi contrari agli usiperversi di tale conoscenza, e non a quelli buoni da essipraticati.

L’universo va diviso, dice Agrippa nei primi due ca-pitoli del primo libro, in tre mondi, quello elementare,quello celeste e quello intellettuale. Ciascuno di essi ri-ceve influssi dal mondo che gli è direttamente superio-re, cosicché la virtù del Creatore discende attraverso gliangeli nel mondo intellettuale, alle stelle del mondo ce-leste e di qui agli elementi e a tutte le cose che ne sonocomposte nel mondo elementare: animali, piante, metal-li, pietre e così via. I maghi sono del parere che sia possi-bile ripercorrere all’inverso questo stesso processo e atti-rare le virtù del mondo superiore su di noi manipolandoquelle inferiori. Essi tentano di scoprire le virtù del mon-do elementare attraverso la medicina e la filosofia natu-rale; le virtù del mondo celeste per mezzo dell’astrologiae della matematica; quanto poi al mondo intellettuale es-si studiano le cerimonie sacre delle varie religioni. L’o-pera di Agrippa è suddivisa in tre libri: il primo dedi-

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cato alla magia naturale, o magia del mondo elementa-re; il secondo alla magia celeste; il terzo infine alla magiacerimoniale. Queste tre divisioni corrispondono alla ri-partizione della filosofia in fisica, matematica e teologia.La magia soltanto le comprende tutt’e tre. Eminenti ma-ghi del passato sono stati Mercurio Trismegisto, Zoroa-stro, Orfeo, Pitagora, Porfirio, Giamblico, Plotino, Pro-clo, Platone315.

Libro I o della magia naturale.

Dopo alcuni capitoli sulla teoria dei quattro elementi,egli viene a trattare delle virtù occulte delle cose e di co-me esse siano infuse «dalle idee attraverso l’anima delmondo e i raggi delle stelle»316. Tutto ciò si basa sul pri-mo capitolo del De vita coelitus comparanda, di Ficino dacui Agrippa cita letteralmente: egli ha capito che Ficinoparla qui delle immagini delle stelle come del mezzo at-traverso il quale discendono le idee. «Perciò tutte le virtùdelle cose inferiori dipendono dalle stelle e dalle loro im-magini... e ciascuna specie ha un’immagine celeste che lecorrisponde»317. In un successivo capitolo su «Lo spiritodel mondo come legame fra le virtù occulte»318, egli citadi nuovo Ficino e ne riprende la teoria dello spiritus319.Seguono poi capitoli sulle piante, gli animali, le pietre,ecc., appartenenti a ogni singolo pianeta ed ai segni del-lo zodiaco, e sul modo in cui il «carattere» della stella è

315 Agrippa, De occult. phil., I, 1 e 2; ed. cit., pp. 1-4.316 Ibid., I, 11; ed. cit., p. 18.317 Ibid., loc. cit.; ed. cit., p. 19.318 Ibid., I, 14; ed. cit., p. 23.319 Egli cita dal De vita coelitus comparanda, 3 (Ficino, p.

534). Questo, ed altri «prestiti» ficiniani, sono messi in evi-denza da Walker, pp. 89-90.

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impresso nell’oggetto di sua pertinenza: sezionando, peresempio, l’osso di un animale solare o la radice e il tron-co di una pianta solare vi si troverà impresso il caratte-re del sole. Di seguito troviamo istruzioni sul modo dieseguire magia naturale tramite manipolazioni delle sim-patie naturali delle cose e quindi mediante accostamen-ti e usi corretti delle cose inferiori per attirare i poteri diquelle superiori320.

In tutto ciò Agrippa non ha fatto altro che riprende-re i temi della magia naturale ficiniana vista nella sua ap-plicazione nell’ambito del mondo elementare, cioè attra-verso occulte virtù stellari riposte negli oggetti naturali.Ma come ha posto in evidenza D. P. Walker321, Agrippanon segue Ficino nella misura in cui non si preoccupa,come lui, di evitare l’aspetto demonico di questa magia,limitandosi, cioè, ad attirare gli influssi stellari e trascu-rando quelli delle forze spirituali al di là delle stelle. Ri-correndo a questi ultimi, dice infatti Agrippa, otterremonon solo benefici celesti e vitali (cioè benefici derivan-ti dal mondo intermedio o celeste) ma anche doni intel-lettuali e divini (cioè benefici derivanti dal mondo intel-lettuale). «Mercurio Trismegisto scrive che un demoneanima immediatamente una figura o una statua adegua-tamente composta di certe cose adatte appunto a queldemone particolare; anche Agostino fa menzione di ciònell’ottavo libro del De civitate Dei322. Agrippa non ag-giunge però che Agostino fa menzione di ciò con un ac-cento di energica disapprovazione. «Tale è infatti la con-cordanza del mondo che le cose celesti attraggono quellesovracelesti e le cose naturali quelle sovrannaturali gra-zie alla virtù che circola in tutte le cose e alla partecipa-

320 Agrippa, De occult. phil., I, 15-37; ed. cit., pp. 24-53.321 Walker, p. 92.322 De occult. phil., I, 38; ed. cit., p. 53.

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zione ad essa di tutte le specie»323. Grazie a ciò i sacer-doti antichi erano riusciti a costruire statue e immaginiin grado di predire il futuro. Agrippa mira a praticare laradicale magia demonica dell’Asclepius, spingendosi benpiù oltre della moderata magia neoplatonica di Ficino dalui descritta nei primi capitoli. Egli è al corrente dell’esi-stenza di una specie diabolica di magia, praticata da «ma-ghi gnostici» e probabilmente dai Templari, ma aggiun-ge che a nessuno sfugge come uno spirito puro median-te preghiere mistiche e pie mortificazioni possa attrarregli angeli del cielo e che perciò non è lecito dubitare chedeterminate sostanze terrestri usate in modo appropriatopossano attrarre le divinità324.

Seguono capitoli sugli incantesimi, i veleni, i suffumi-gi (profumi in rapporto simpatico coi pianeti e modalitàper la loro fabbricazione), gli unguenti e filtri, gli anelli325

e un interessante capitolo sulla luce326. La luce discendedal Padre al Figlio e allo Spirito Santo e da qui agii ange-li, ai corpi celesti, al fuoco, all’uomo illuminato dalla ra-gione e dalla conoscenza delle cose divine, infine alla fan-tasia, trasmettendosi poi ai corpi luminosi sotto forma dicolore. Segue la lista dei colori dei pianeti. Agrippa cifornisce quindi indicazioni sui gesti riferiti ai singoli pia-neti, sulle divinazioni, la geomanzia, l’idromanzia, l’aero-manzia, la piromanzia, il furor e il potere dell’umore me-lanconico. Troviamo quindi un paragrafo sulla psicolo-gia seguito da una discussione delle passioni, della lorocapacità di trasformare il corpo e del modo in cui, colti-vando le passioni o le emozioni appartenenti ad una stel-la (per esempio l’amore connesso a Venere), sia possibi-le attirare l’influsso di quella determinata stella e di co-

323 Ibid., loc. cit.324 Ibid., I, 39; ed. cit., pp. 54-5.325 Ibid., I, 40-8; ed. cit., pp. 55-68.326 Ibid., I, 49; ed. cit., pp. 68-71.

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me tali operazioni richiedano al mago una grande forzaemotiva327.

I poteri delle parole e dei nomi vengono discussi incapitoli successivi328: la virtù dei nomi propri, comemettere insieme un incantesimo usando tutti i nomi e levirtù di una stella o di una divinità. L’ultimo capitoloconcerne la relazione delle lettere dell’alfabeto ebraicocon i segni dello zodiaco, i pianeti e gli elementi checonferiscono a questa lingua forti poteri magici. Anchealtri alfabeti posseggono questi significati ma in misurameno intensa di quello ebraico.

Libro II o della magia celeste.

La matematica è estremamente necessaria alla magia poi-ché tutto ciò che viene prodotto mediante virtù naturaliè regolato da numero, peso e misura. Attraverso la ma-tematica si è in grado di eseguire, senza il concorso dialcuna virtù naturale, operazioni che sembrano naturali,e di dar forma a statue e figure capaci di muoversi e diparlare. (Cioè la magia matematica è in grado di crearele statue viventi riempiendole degli stessi poteri di quel-le costruite tramite occulte virtù naturali, secondo la de-scrizione dell’Asclepius che Agrippa cita nei brani su talistatue.) Se un mago segue la filosofia naturale e la mate-matica e conosce inoltre le scienze intermedie che da es-se traggono origine – aritmetica, musica, geometria, otti-ca, astronomia, meccanica – egli può compiere cose me-ravigliose. Osserviamo ai nostri giorni i resti di costru-zioni antiche: colonne, piramidi, enormi argini artificia-li. Tutte queste cose furono prodotte grazie alla magiamatematica. Come si acquista virtù naturale dalle cose

327 Ibid., I, 50-69; ed. cit., pp. 71-109.328 Ibid., I, 69-74; ed. cit., pp. 109-17.

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naturali, così da quelle astratte – cioè matematiche e ce-lesti – si consegue virtù celeste e si diventa capaci di co-struire immagini che predicono il futuro, come una testadi ottone, plasmata al sorgere di Saturno329.

Pitagora diceva che i numeri hanno più realtà delle co-se naturali, donde la superiorità della magia matematicarispetto a quella naturale330.

Seguono capitoli sulle virtù dei numeri e di determi-nati raggruppamenti numerici, a partire dall’Uno che èil principio e la fine di tutte le cose e appartiene al su-premo Iddio. Il sole è unico, l’umanità è scaturita daun Adamo ed è stata redenta in un Cristo331. Vengo-no poi capitoli sui numeri dal due al dodici332, con i lo-ro rispettivi significati e raggruppamenti particolari, co-me il tre per la Trinità333, tre virtù teologiche, tre Grazie,tre decani in ciascun segno, tre poteri dell’anima, la tria-de numero-misura-peso. Le lettere dell’alfabeto ebraicohanno valori numerici dotati di estrema efficacia ai finidella magia, basata sui numeri. Segue quindi una espo-sizione sui quadrati magici, vale a dire sui numeri dispo-sti in quadrato (numeri veri e propri o loro equivalentiin lettere dell’alfabeto ebraico) che sono in accordo connumeri planetari ed hanno il potere di attirare l’influssodel pianeta a cui sono rispettivamente collegati334.

Troviamo poi una parte dedicata all’armonia e al suorapporto con le stelle, sull’armonia nell’anima dell’uomoe sugli effetti della musica, opportunamente composta

329 Ibid., II, 1; ed. cit., pp. 121-3.330 Ibid., loc. cit.; ed. cit., p. 123.331 Ibid., II, 4; ed. cit., 125-7.332 Ibid., II, 5-14; ed. cit., pp. 127-62.333 Ibid., II, 6; ed. cit., pp. 129-31.334 Ibid., II, 22; ed. cit., pp. 174 sgg.

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in accordo con l’armonia universale, nell’armonizzarel’anima335.

Dopo la lunga discussione sul numero nella ma-gia celeste, ne troviamo una ancora più estesa sulleimmagini336, accompagnata da lunghi elenchi di imma-gini relative sia ai pianeti che ai segni; né Agrippa esi-ta a riprodurre persino le immagini dei trentasei demonidecani.

All’inizio egli spiega i princìpi generali che debbonopresiedere alla costruzione di talismani recanti immagi-ni celesti. Non occorre rientrare ancora una volta in ar-gomento e ci limiteremo perciò a citare pochi esempi daisuoi elenchi di immagini. Un’immagine di Saturno è «unuomo con la testa di cervo, i piedi di cammello, su untrono o un drago, con una falce nella mano destra e undardo nella sinistra»337. Un’immagine del sole raffigura«un re incoronato su un trono, un corvo sul petto, unglobo sotto i piedi, vestito di giallo»338. In un’immagi-ne di Venere è rappresentata «una fanciulla con i capellisciolti, vestita di bianco, che tiene nella destra un ramo-scello di alloro o una mela o un mazzolino di fiori, e nellasinistra un pettine»339. L’immagine di Saturno corretta-mente impressa su un talismano serve a prolungare la vi-ta; quella del sole garantisce il successo in tutte le impre-se ed è utile contro le febbri; quella di Venere conferisceforza e bellezza. Le immagini dei trentasei decani del-lo zodiaco cominciano340 con il terrificante primo deca-no dell’Ariete: «un uomo nero, eretto e vestito di bianco,

335 Ibid., II, 24; ed. cit., pp. 184 sgg.336 Ibid., II, 35-47; ed. cit., pp. 212-25.337 Ibid., II, 38; ed. cit., p. 217.338 Ibid., II, 41; ed. cit., p. 219.339 Ibid., II, 42; ed. cit., p. 220.340 Ibid., II, 37; ed. cit., pp. 214-7.

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enorme e possente, con occhi rossi e dall’aria corruccia-ta». Agrippa descrive anche le immagini per le varie po-sizioni della luna e per le stelle fisse non appartenenti allozodiaco341. Il suo è quindi un intero repertorio di imma-gini per talismani da impiegare nella magia celeste. Offreinoltre ragguagli sul modo di costruire le immagini, sul-la necessità di non raffigurare alcuna immagine celestema di rappresentare la volontà e l’intenzione dell’opera-tore: per esempio, per procurare amore si può ricorrereall’immagine di persone che si abbracciano342. Ciò apreampie prospettive e possibilità di invenzioni originali nelcampo delle immagini talismaniche.

... & haec de imaginibus dicta sufficiant», conclude Agrippa,«nam plura ejusmodi nunc per te ipsum investigare poteris. Il-lud autem scias, nihil operari imagines ejusmodi, nisi vivificen-tur ita, quod ipsi, aut naturalis, aut coelestis, aut heroica, autanimastica, aut daemonica, vel angelica virtus insit, aut adsistat.At quis modo animam dabit imagini, aut vivificabit lapidem,aut metallum, aut lignum, aut ceram? atque ex lapidibus susci-tabit filios Abrahae? Certe non penetrat hoc arcanum ad artifi-cem durae cervicis, nec dare poterit illa, qui non habet: habetautem nemo, nisi qui jam cohibitis elementis, victa natura, su-peratis coelis, progressus angelos, ad ipsum archetypum usquetranscendit, cujus tunc cooperatur effectus potest omnia...»343

Ciò mostra chiaramente quale distanza separi ormaiAgrippa dal timoroso e pio Ficino che aspirava soloa operazioni di magia naturale nell’ambito del mondoelementare, servendosi semmai al massimo di un toccodi magia celeste di qualche talismano planetario usatonaturalmente. Il mago di Agrippa, invece, mira a risalireper tutt’e tre i mondi, quello elementare, quello celeste,

341 Ibid., II, 46, 47; ed. cit., pp. 221-5.342 Ibid., II, 49; ed. cit., pp. 227-8.343 Ibid., II, 50; ed. cit., pp. 230-1.

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quello intellettuale o angelico o demonico, e a spingersipersino più oltre fino allo stesso creatore della cui divinapotenza creatrice finirà per impossessarsi. La porta versoil proibito che Ficino aveva semplicemente socchiusoviene ora tutta spalancata da Agrippa.

Gli incantesimi di Agrippa mirano altresì a risultatiche vanno al di là anche del canto orfico ficiniano. Agrip-pa tratta della magia orfica e di come le divinità da lui no-minate nei suoi inni non siano demoni diabolici ma vir-tù divine e naturali istituite da Dio per utilità degli uo-mini ed evocate mediante questi inni344. Agrippa forni-sce elenchi di nomi, attributi e poteri planetari da usarenelle invocazioni ai singoli pianeti: soprattutto il sole de-ve essere invocato da «chiunque desideri compiere ope-re mirabili in questo mondo inferiore». L’ambizioso ma-go deve attirare l’influenza del sole in ogni modo possi-bile, pregandolo non solo a parole ma anche con appro-priati atteggiamenti religiosi345. Si tratta, in un certo sen-so, del culto solare di Ficino e degli incantesimi solari or-fici ma usati ora allo scopo di conseguire poteri adatti acompiere opere meravigliose.

La filosofia magica contenuta in questo libro è impor-tante. Una parte di essa ripete le tradizionali concezio-ni sull’anima del mondo, con la solita citazione virgilia-na mens agitat molem346, ma Agrippa utilizza in più mate-riale tratto dal Corpus Hermeticum che viene da lui con-tinuamente citato (ovviamente sotto forma di opinioni odetti di Ermete Trismegisto). In riferimento all’animadel mondo, egli cita dal «De communi di Mercurio»347,

344 Ibid., II, 58; ed. cit., pp. 242-3.345 Ibid., II, 59; ed. cit., pp. 244-5.346 Ibid., II, 55; ed. cit., p. 239.347 «Et Mercurius in tractatu quem ‘de Communi’ inscripsit,

inquit, “Totum quod est in mundo, aut crescendo, aut decre-scendo movetur. Quod autem movetur, id propterea vivit: &

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uno dei trattati ermetici da noi analizzati nel secondocapitolo348, con la sua gnosi ottimistica della divinità delmondo e la sua animazione, esemplificata dal continuomovimento della terra nel processo di crescita e diminu-zione delle cose, movimento che dimostra come la ter-ra sia un essere vivente. Agrippa, perciò, usava non so-lo la magia dell’Asclepius, ma anche altri trattati del Cor-pus Hermeticum la cui filosofia egli venne incorporandonella sua concezione magica349. La sua efficace descrizio-ne dell’ascesa di una figura di mago onnipotente attra-verso i tre mondi fa venire alla mente l’ascesa e la discesadell’uomo-mago descritte nel Pimander350.

Libro III. Della magia cerimoniale o religiosa.

In questo libro Agrippa spicca un volo ancora più al-to poiché è sua intenzione trattare «di quella parte del-la magia che ci insegna a ricercare e conoscere le leggidelle religioni» e come, seguendo i cerimoniali religiosi,si possa predisporre il nostro spirito e il nostro pensie-ro alla conoscenza della verità. È opinione di tutti i ma-

cum omnia moveantur, etiam terra, maxime motu generativo &alterativo, ipsa quoque vivit”». Ibid., II, 56; ed. cit. p. 240. Cfr.il brano seguente tratto dalla traduzione ficiniana del De com-muni (Corpus Hermeticum, XII): «Nunquid immobilis tibi terrauidetur? Minime, sed multis motibus agitata... Totum... quodest in mundo, aut crescendo aut decrescendo mouetur. Quodvero mouetur, id praeterea uiuit...», Ficino, p. 1854.

348 Cfr. supra.349 P. Zambelli ha attirato l’attenzione sulle numerose citazio-

ni dagli Hermetica contenuti nel De occulta philosophia, e sullaelaborazione in senso magico delle dottrine ermetiche compiu-ta da Agrippa (Test. uman. p. 108).

350 Cfr. supra.

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ghi che se lo spirito e il pensiero non sono adeguatamen-te preparati, anche il corpo ne soffrirà e secondo Erme-te Trismegisto non è dato possedere fermezza di spiritosenza purezza di vita, pietà e pratica della religione di-vina, poiché la santità, della religione purifica il pensie-ro e lo rende divino351. Al lettore viene mossa preghie-ra di mantenere il più stretto silenzio sui misteri del libroin quanto, dice Ermete, è offensivo per la religione pro-pagare alla moltitudine un «discorso così pieno di mae-stà divina»352. (Si tratta di un motivo ripreso dalla par-te iniziale dell’Asclepius). Anche Platone, Pitagora, Por-firio, Orfeo e i cabalisti mantengono il segreto sulle ma-terie religiose e Cristo stesso celò il vero ricorrendo a pa-rabole. C’è inoltre un altro requisito indispensabile e se-gretissimo di cui deve disporre il mago e che è la chia-ve per tutte le sue operazioni, vale a dire «la dignificazio-ne dell’uomo per questi suoi alti poteri e virtù»353. È at-traverso l’intelletto, la più elevata facoltà dell’anima, chevengono compiute opere miracolose ed è con una con-dotta di vita ascetica, pura e religiosa che occorre conse-guire la dignificazione necessaria al mago religioso. Al-cune cerimonie, come quella dell’imposizione delle ma-ni, conferiscono questa dignità. Chiunque presuma dipoter compiere operazioni magiche senza avere l’autori-tà del rango, il merito della santità e della dottrina o ladignità della natura e dell’educazione, non otterrà alcunrisultato.

351 Agrippa, De occulta phil., III, 1; ed. cit., p. 253.352 Ibid., III, 2; ed. cit., p. 254.353 Ibid., III, 3; ed. cit., pp. 256-8. Con questo capitolo va

confrontato il III, 36, «Sull’uomo creato a immagine di Dio»,che P. Zambelli ha ripubblicato con un apparato di note sullefonti relative, molte delle quali ermetiche (Test. uman., pp.137-46).

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Agrippa sta evidentemente forzando la magia di tipoficiniano oltre le intenzioni stesse del suo creatore e si av-vicina a quella di tipo pichiano. Le misteriose allusioni aisegreti ermetici e cabalistici, la dignificazione che il ma-go consegue a questo livello, riflettono sensibilmente iltono dell’orazione pichiana sulla dignità dell’uomo. MaAgrippa si spinge ancora più in là di Pico poiché è evi-dente che la magia del terzo mondo, quello intellettua-le, di cui egli ora discute, è di fatto una magia sacerdo-tale, religiosa, implicante il compimento di veri e proprimiracoli.

Egli passa quindi a delineare una religione magico-divina vera e propria, basata sulla, fede, distinguendo-la da una religione superstiziosa, basata sulla credulità354.Questi due tipi di religione sono fra loro collegati stret-tamente, benché il secondo sia di gran lunga inferiore alprimo. Si possono compiere miracoli anche col secon-do tipo di religione, oltre che, naturalmente, con il pri-mo, a patto però che la credulità del secondo tipo di re-ligione sia sufficientemente forte. Infatti le opere, sianoesse prodotte da magia divina o semplicemente credula,richiedono soprattutto fede. Egli si preoccupa quindi dimettere accuratamente in evidenza come le religioni de-gli antichi Magi (caldei, egiziani, assiri, persiani) fosserofalse rispetto alla religione cattolica e ammonisce che tut-to ciò che egli dice sul loro conto è desunto da libri e nondeve essere perciò preso troppo sul serio. Aggiunge tut-tavia che c’era molto di buono anche in quelle religioni eche chiunque sia in grado di discernere il vero dal falsopuò imparare molto da esse.

Le tre guide in fatto di religione sono Amore, Speran-za e Fede, benché per il cabalista il numero sacro sia ilquattro. Con l’ausilio di queste guide siamo talvolta ca-paci di dominare la natura, di comandare agli elementi,

354 Agrippa, De occulta. phil., III, 4; ed. cit., pp. 258-60.

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di scatenare venti, di curare gli ammalati, di resuscitarei morti. Opere di questo tipo possono essere compiuteper mezzo esclusivo della religione senza bisogno di farericorso a forze naturali e celesti. Ma chiunque operi peril tramite della religione soltanto non può vivere a lun-go e viene assorbito dalla divinità. Il mago deve cono-scere il vero Dio ma anche le divinità secondarie e il mo-do di attirarsene la benevolenza con culti appropriati, inparticolare Giove descritto da Orfeo come l’universo355.

Gli inni di Orfeo e le dottrine degli antichi Magi nonsono diversi dagli arcani cabalistici e dalla tradizione or-todossa. Quelli che Orfeo considera dèi, Dionigi (cioèlo Pseudo-Dionigi) li chiama Potestà e i cabalisti nume-rationes (cioè le sefirot). Nella cabala l’Ensoph è la stessacosa che la nox di Orfeo (si tratta di una citazione direttadi una delle conclusioni pichiane). Le dieci numerazio-ni o sefirot, hanno nomi che agiscono su tutte le creatu-re dalla più alta alla più bassa: dapprima sui nove ordi-ni angelici, poi sulle nove sfere celesti, infine sugli uomi-ni e il mondo terrestre. Agrippa dà quindi una lista deidieci nomi divini ebraici, dei nomi delle sefirot e dei lo-ro significati, con gli ordini angelici e le sfere a cui sonorispettivamente collegati356. Troviamo quindi altri parti-colari sui nomi divini ebraici, una combinazione magicadi abracadabra e raffigurazioni di talismani recanti inci-si nomi in ebraico357. L’influsso di virtù promanante dainomi divini si diffonde con la mediazione degli angeli.Dopo la venuta di Cristo il nome JESU ha compreso in

355 Ibid., III, 5-7; ed. cit., pp. 260-5. Il carattere vagamentetrinitario della religione del mago deriva dai raggruppamentinumerologici triadici. Nel cap. 8 (ed. cit., pp. 265-7), sidice che la Trinità, era stata predetta da antichi filosofi e inparticolare da Ermete Trismegisto.

356 Ibid., III, 10; ed. cit., pp. 268-72.357 Ibid., III, 11; ed. cit., pp. 272-89.

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sé tutti i poteri e perciò i cabalisti non possono operarecon altri nomi358.

Ci sono tre ordini di intelligenze o demoni359: quellisovracelesti i quali hanno rapporti solo con la divinità;quelli celesti, cioè i demoni appartenenti ai segni, aidecani, ai pianeti e ad altre stelle, tutti dotati di nomi ecaratteri, i primi usati negli incantesimi, i secondi incisi;infine quelli appartenenti al mondo inferiore, come idemoni del fuoco, dell’aria, della terra e dell’acqua.

Gli angeli, secondo i teologi, seguono gli stessi tre rag-gruppamenti: Serafini, Cherubini e Troni per il mondosovraceleste; Dominazioni, Virtù e Potestà per il mondoceleste; Principati, Arcangeli e Angeli per il mondo ter-restre. Gli ordini angelici ebraici corrispondono a que-sti; seguono poi i nomi degli ordini ebraici e degli ange-li ebraici corrispondenti alle sfere. I dottori ebraici rica-vano molti altri nomi di angeli dalle Scritture come, adesempio, quelli dei settantadue angeli recanti il nome diDio360.

Non occorre continuare in questo tipo di citazioni. Sitratta palesemente di motivi cabalistici che Agrippa de-riva in parte da Reuchlin e da Tritemio361 ma che si fon-dano in ultima analisi su Pico. Il pensiero di Agrippasi svolge secondo le linee da noi studiate nel precedentecapitolo; la cabala pratica, o magia cabalistica, che mettel’operatore in contatto con angeli o sefirot o con il poteredei nomi divini, lo mette in contatto altresì con le gerar-chie angeliche pseudo-dionisiane, configurandosi in talmodo come una magia cristiana organicamente connes-

358 Ibid., III, 12; ed. cit., pp. 279-81.359 Ibid., III, 16; ed. cit., pp. 287-90.360 Ibid., III, 17-25; ed. cit., pp. 291-309.361 Agrippa era in contatto sia con Reuchlin che con Trite-

mio, entrambi specializzati in cabala pratica.

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sa con la magia celeste o elementare sul piano della con-tinuità che collega fra di loro i tre mondi.

In Agrippa questa magia è esplicitamente connessaa pratiche religiose. Nei capitoli finali della sua operaegli si indugia a lungo sulle cerimonie e i riti religiosi362,su solenni rituali a base di musica, candele, lampade,campane e altari. In un capitolo sulle statue magiche363,gli esempi riportati sono per la maggior parte antichi maè evidente il richiamo a immagini miracolose custoditenelle chiese. Come egli afferma nella conclusione364, nontutto è stato detto. L’opera è congegnata in modo daconsentire a chi ne sia degno di raggiungere da solo ciòche vi manca e da impedire a chi non ne sia degno diconoscere più del dovuto. In ogni caso il lettore piosi sentirà penetrato dalla magica disciplina e cominceràad avvertire probabilmente in sé poteri già posseduti untempo Ermete, Zoroastro, Apollonio e da altri autori diopere mirabili.

Il tema del De occulta philosophia è, come del resto inPico, essenzialmente magico-cabalistico. La magia fici-niana si è qui sviluppata in una magia demonica di mag-giore efficacia, salvaguardata tuttavia, come è sperabile,dalla coincidenza fra ordini demonici e ordini angelici.La cabala pichiana appare a sua volta sviluppata in unapotente magia religiosa che si colloca in organica conti-nuità con la magia celeste ed elementare, si connette al-le gerarchie angeliche e mira ad informare di magia i riti,le immagini e il cerimoniale religiosi, lasciando intende-re che i sacerdoti diverranno capaci di operare miracoligrazie ad essa.

362 Ibid., III, 58-64; ed. cit., pp. 384-403. Walker (pp. 94-6)ha discusso questi capitoli.

363 Ibid., III, 64; ed. cit., pp. 399-403.364 Ed. cit., pp. 403-4.

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Agrippa porta al limite estremo, o forse soltanto allaloro logica conclusione, le questioni che furono all’ordi-ne del giorno nella controversia pichiana. La contesta-zione di Garcia che non vi fosse alcuna connessione framagia, cabala e Cristianesimo, andò in fumo quando ilsacro toro egiziano, papa Alessandro VI, dette la sua be-nedizione a Pico.

La magia ficiniana, così raffinata, artistica, personalee «psichiatrica», alla pari di quella cabalistica, profonda-mente pia e contemplativa, di Pico è del tutto priva del-le terribili implicazioni operative della magia di Agrip-pa. Ma l’una e l’altra costituirono tuttavia il fondamen-to di questo edificio che è il diretto risultato della priscatheologia, vista sempre come una prisca magia, e in par-ticolare dell’alleanza tra il Mosè egiziano e il Mosè dellacabala.

Nella loro forma e impostazione, oltre che nell’accen-to da essi posto sui risultati pratici conseguibili attraver-so le varie specie di magia, i primi due libri del De occultaphilosophia riecheggiano il Picatrix365. Quando ci si trovadi fronte alla magia, o, come avviene nel terzo libro, al-la cabala presentata sotto forma di un ricettario tecnico,è difficile sottrarsi all’impressione che la magia, colloca-ta da Ficino e da Pico in un elevato contesto di filosofianeoplatonica o di misticismo ebraico, si orienti di nuovoverso forme di antica necromanzia o esorcismo. È signi-ficativo che un corrispondente scriva ad Agrippa chie-dendogli di venire istruito sui misteri, non della magia edella cabala, ma del «Picatrix e della cabala»366.

La questione non sta però in termini così semplici,poiché gli elementi necromantici ed esorcistici della ma-

365 E. Garin suggerisce (Medioevo e Rinascimento, p. 172)che il De occulta philosophia si basi in gran parte sul Picatrix.

366 Cit. da una lettera indirizzata ad Agrippa (Thorndike, V,p. 132).

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gia di Agrippa non sono di tipo medievale né riflettonoun’attività clandestina come quella del perseguitato ma-go medievale. Essi sono rivestiti delle nobili forme dellamagia rinascimentale e associati alla dignità di un magorinascimentale. La neoplatonizzazione ficiniana dei tali-smani è citata; i molti richiami alla filosofia del CorpusHermeticum collocano la magia dell’Asclepius nel conte-sto della filosofia e del misticismo ermetici, giusta l’inter-pretazione ficiniana; soprattutto, i vantaggi offerti dallacabala pratica nel senso di porre l’operatore in direttocontatto con il mondo angelico o intellettuale assumonochiaramente l’aspetto di una magia sacerdotale e la piùalta dignità del mago è fatta consistere nella sua funzio-ne di sacerdote, deputato a riti religiosi e al compimen-to di miracoli religiosi. La capacità di «sposare la terraal cielo» per mezzo di magia, di evocare gli angeli tra-mite la cabala, implica la sua apoteosi come mago reli-gioso; i suoi poteri magici nei mondi inferiori sono orga-nicamente connessi con i suoi più elevati poteri religiosinel mondo intellettuale.

In breve ci troviamo qui di fronte, conclusivamente,ad una società di fatto assai vicina a quella ideale di ti-po egiziano o pseudo-egiziano configurata nell’Asclepiusermetico, a una teocrazia retta da sacerdoti partecipi deisegreti di una religione magica grazie ai quali riescono atenere unita l’intera società, benché essi siano personal-mente consapevoli del significato riposto di quei riti ma-gici, espressione, al di là delle statue magicamente attiva-te, di una vera e propria religione della mente, del cultodell’Uno al di là del Tutto, un culto sentito dall’iniziatoin tutta la sua forza di elevazione, al di là delle strane for-me dei suoi dèi mossi grazie a manipolazioni elementarie celesti, fino al mondo intellettuale o alle idee contenutenella mens divina.

Il problema della magia rinascimentale in rapporto aiproblemi religiosi del XVI secolo è assai complesso e non

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può essere certo affrontato qui367, o sulla base del colle-gamento fra magia e cerimonie religiose operato da unmago irresponsabile come Cornelio Agrippa. Uno stu-dio approfondito di questo problema richiederebbe lun-ghe ricerche, a partire dalla controversia pichiana finoa conseguenze difficilmente prevedibili. Ciò nonostantesi presentano spontanee alcune domande. La furia ico-noclastica dei riformatori non può essere stata in qualchemisura accresciuta dalla penetrazione, non molto lontananel tempo, di ulteriori elementi magici nella religione? IlMedioevo aveva in complesso fedelmente seguito Agosti-no nel condannare l’idolatria dell’Asclepius. Furono Lat-tanzio, Ficino e Pico (quest’ultimo appoggiato dall’auto-revole approvazione di papa Alessandro VI) a introdur-re Ermete Trismegisto in seno alla Chiesa, facendo sì chela linea di divisione fra magia e religione non fosse piùcosì facilmente tracciabile come nel Medioevo e nasces-sero in tal modo questioni del tipo: «Qual è la base del-la magia ecclesiastica?», oppure: «Si debbono accettarela magia e la cabala come ausili alla religione o bisognarespingerle?». Quest’ultima domanda poteva esser postaanche in questa forma: «Un potenziamento della magiapuò contribuire a una riforma religiosa?». A ciò si sareb-be potuto rispondere in una forma risolutamente negati-va come la seguente: «Facciamo piazza pulita di tutta lamagia e spezziamo le immagini».

La questione non è però posta in questi termini nel-l’opera di Cornelio Agrippa, di così larga influenza. Se-condo Agrippa ci sono due specie di magia religiosa: unabuona che porta all’acquisizione dei più elevati poteri econoscenze religiose; l’altra cattiva e superstiziosa, percosì dire una brutta copia della precedente. Fu così cheGiordano Bruno, come mago religioso, impostò il pro-

367 Il primo a impostare questo problema è stato D. P. Wal-ker in Spiritual and Demonic Magic.

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blema e attinse molto – meglio sarebbe dire la maggiorparte – del suo materiale da Cornelio Agrippa, per giun-gere a una soluzione.

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VIII. MAGIA E SCIENZA NEL RINASCIMENTO

Il cosmo, o quadro cosmico, nell’ambito del quale ope-ra un mago come Agrippa, non è diverso, nelle sue lineeessenziali, da quello tipico del Medioevo. La terra ne èancora il nucleo centrale e fondamentale: le fanno co-rona le sfere degli altri tre elementi – acqua, aria e fuo-co – quindi le sfere dei pianeti secondo l’ordine caldeoo tolemaico, con il sole nel mezzo; vengono poi la sferadelle stelle fisse e la sfera divina con gli angeli: alla som-mità Dio. Tutto questo non presenta niente di strano:al contrario rientra in un ormai consolidato ordinamen-to cosmologico. Ciò che è cambiato è l’uomo, che oranon è più il pio spettatore delle meraviglie della creazio-ne divina, colui che venera Dio al di sopra della creazio-ne, ma l’uomo che opera, che cerca di far proprio il po-tere dell’ordine divino e di quello naturale. Può essereutile, a questo proposito, osservare un’illustrazione trat-ta da un’opera di Fludd, che, per quanto di molto poste-riore ad Agrippa, si inserisce nella stessa tradizione. Sul-la terra – situata in posizione centrale – sta seduta unascimmia; intorno ad essa si estende il mondo elementa-re; e la scimmia è legata, con una catena, a una donnache rappresenta il sole, la luna, le stelle, il mondo celeste,le sfere dei pianeti e dello zodiaco, che le ruotano attor-no. Oltre la sfera dello zodiaco – o sfera delle stelle fisse– sono raffigurate tre sfere, popolate di minuscole formeangeliche; e una catena, che esce dalla mano destra delladonna, raggiunge la stessa divinità, rappresentata, in unospazio al di là delle sfere angeliche, dal Nome in ebraico,circondato da nuvole trionfali. La scimmia è l’uomo, opiuttosto l’arte per mezzo della quale egli imita la natu-

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ra, con tecnica scimmiesca368. L’uomo, se in questa sim-bologia ha perso qualcosa della sua dignità, ha però con-seguito un maggior potere. Egli è divenuto l’abile «scim-mia» della natura, che, dopo avere individuato le guise incui si dispiega l’azione di questa, la imita ottenendo co-sì a propria volta i suoi poteri. Per ricorrere a una termi-nologia a questo punto ormai familiare, si può dire che,attraverso la magia, l’uomo ha imparato a servirsi dellacatena che lega la terra al cielo, e per mezzo della caba-la, ha imparato a servirsi di quella che collega il mondoceleste, tramite gli angeli, al Nome divino.

Un interessante esempio di magia applicata, od ope-rativa, è costituito dalla Steganographia di Giovanni Tri-temio, abate di Sponheim, stampata nel 1606, ma cono-sciuta anche prima in forma manoscritta. Tritemio eraamico e maestro di Agrippa, e conosceva l’opera di Reu-chlin. La Steganographia si propone di essere – e in cer-ta misura lo è davvero – una criptografia, un metodo discrittura cifrata369. È, tuttavia, anche un’opera di magiaangelica di tipo cabalistico. Il primo libro tratta del mo-do di evocare gli angeli dei vari distretti, cioè gli angeliche esercitano il loro controllo su singole parti della ter-ra; il secondo tratta degli angeli del tempo, che regola-no le ore del giorno e della notte; il terzo, dei sette ange-li, superiori a tutti questi, che regolano i sette pianeti370.

368 Cfr. H. W. Janson, Apes and Ape Lore in the MiddleAges and Renaissance, Warburg Institute, University of London1952, pp. 304 sgg.

369 Cfr. Walker, pp. 86 sgg.370 I loro nomi sono: Orifiel (Saturno); Zachariel (Giove); Sa-

mael (Marte); Michael (Sole); Anael (Venere); Raphael (Mer-curio); Gabriel (Luna). (Giovanni Tritemio, Steganographia,Francoforte 1606, p. 162). Un modo per evocare questi an-geli è quello di ricorrere a talismani con sopra riprodotta la lo-ro immagine. Per esempio: «Fac imaginem ex cera vel pinge inchartam novam figuram Orifielis in modum viri barbati & nu-

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Tritemio intende avvalersi di questo apparato angelico alfine, del tutto pratico, di trasmettere messaggi a sogget-ti distanti, per mezzo di telepatia; e sembra che si ripro-metta di trarre, da simili procedimenti, la conoscenza «ditutto ciò che accade nel mondo»371. L’aspetto tecnico diquesta scienza è estremamente complesso e viene trattatoin pagine e pagine di calcoli astrusi, sia di carattere astro-logico, sia in rapporto al valore numerico dei nomi degliangeli; per esempio, Samael, angelo dell’ora prima, equi-vale a 4440, che è la somma dei numeri degli otto angelia lui inferiori372.

Come siamo lontani, qui, dall’atteggiamento di piacontemplazione di Pico nei confronti della cabala! Trite-mio ebbe la sfortuna di vivere troppo presto, poiché sa-rebbe stato indubbiamente felicissimo di poter chiamareal telefono un amico lontano, o di osservare sullo scher-mo televisivo tutti gli avvenimenti del mondo. Ma forsequesta osservazione è un po’ ingiusta, perché dietro allamagia di Tritemio si può individuare una considerevoletradizione esoterica.

L’attività posta in essere con i talismani della magia, ocon i nomi angelici della cabala, non portò in sé a risul-tati pratici paragonabili a quelli raggiunti dalla modernascienza applicata. E tuttavia, nell’elenco ficiniano di pri-sci theologi, o prisci magi, figura il nome di un uomo ilquale insegnava come il numero costituisse la radice diogni verità: Pitagora. Fra le novecento tesi di Pico si tro-vano quattordici conclusioni «secondo la matematica di

di, stantis super taurum varii coloris, habentis in dextra librum& in sinistra calamum...» (Steganographia, ed. cit., p. 177; cit.da Walker, p. 87, nota 3).

371 Ed. cit., p. 179; cit. da Walker, pp. 87-8.372 Ed. cit., pp. 96-7.

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Pitagora»373, nella prima delle quali si afferma che l’Unoè la causa di tutti gli altri numeri. Le altre si colleganoalle restanti tesi tramite il simbolismo numerico pitagori-co. Nella sua Apologia, Pico collega la magia e la cabalaalla matematica di Pitagora374. La combinazione di calco-lo cabalistico e dottrina pitagorica è spinta molto più ol-tre da Reuchlin nel De arte cabalistica, e l’interesse per inumeri, caratteristico della magia di tipo nuovo, si riflet-te nei lunghi brani numerologici della guida di Agrippa,alcuni dei quali sono stati riassunti nel precedente capi-tolo. Se dovessimo tradurre il tono della magia di Agrip-pa in termini di «doni» planetari che essa cerca soprat-tutto di attirare, diremmo che, mentre la magia di Ficinoevita Saturno, quella di Agrippa cerca di acquisire i donisaturniani della superiore contemplazione astratta e del-la matematica pura. (Allo stesso modo, come il talisma-no essenzialmente venusiano di Botticelli, la «primave-ra», riflette la magia di tipo ficiniano, la magia di Agrip-pa è riflessa dal talismano a carattere prevalentementesaturniano di Dürer, l’incisione della «Melencholia»375.)

La magia rinascimentale si rivolgeva perciò al nume-ro quale possibile chiave operativa, e la storia successi-va delle conquiste umane nel campo della scienza appli-cata ha dimostrato che effettivamente il numero è dav-vero una chiave essenziale, o almeno una delle chiavi es-senziali, per le operazioni con le quali le forze cosmichevengono ridotte al servizio dell’uomo.

373 Pico, p. 79. La numerologia pitagorica era anch’essa im-plicita negli Hermetica, particolarmente nel passo sulla monadedel Corpus Hermeticum, IV (C. H., I, p. 53).

374 Pico, pp. 172 sgg.375 Agrippa è, di fatto, una delle fonti dirette di Dürer; cfr.

R. Klibansky, F. Saxl, E. Panofsky, Saturn and Melancholy,London 1964, pp. 278, 326.

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Comunque, anche in questo caso, né il numero pita-gorico, organicamente collegato al simbolismo e al misti-cismo, né le operazioni cabalistiche eseguite coi numerie basate sui poteri mistici dell’alfabeto ebraico, erano ta-li, in se stessi, da condurre a quel tipo di matematica checostituisce la base effettiva della scienza applicata. E tut-tavia è importante constatare che, nello schema della ma-gia e della cabala così come venne formulato da Agrip-pa, un posto importante era riservato effettivamente allescienze matematiche e alle loro applicazioni operative.

All’inizio del suo secondo libro, come abbiamo visto,Agrippa sottolinea la necessità che il mago sia esperto dimatematica, perché, grazie alla matematica, si possonoattuare «senza alcuna virtù naturale», e cioè con mez-zi puramente meccanici, operazioni meravigliose, co-me la colomba volante di legno costruita da Archita,le statue semoventi costruite da Dedalo, le statue par-lanti di Mercurio (ecco che le fantastiche statue parlan-ti dell’Asclepius vengono qui considerate meraviglie discienza applicata), e così via. Il mago che conosca la filo-sofia naturale e la matematica, e s’intenda anche di mec-canica, può compiere operazioni prodigiose. Perciò, di-ce Agrippa, il mago deve includere fra gli elementi fon-damentali della sua preparazione la conoscenza delle di-scipline che possono produrre simili meraviglie376.

Che non ci si dimenticasse di comprendere, nel ba-gaglio tecnico del mago, quella che appare essere genui-na scienza applicata – fondata sulla conoscenza della ve-ra matematica – risulta anche da un brano di Campanel-la che, scrivendo quasi cent’anni più tardi, richiama al-la mente questo passo di Agrippa. Nel suo Magia e gra-zia, un’opera dedicata essenzialmente alla magia religio-

376 Agrippa, De occult. phil., II, 1. La fonte di Agrippa perquanto riguarda l’uso delle scienze matematiche nella magia èprobabilmente il Picatrix.

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sa. Campanella classifica diverse specie di magia, com-presa quella che egli definisce «magia artificiale reale».

La magia artificiale reale produce effetti reali. Così Archita fab-bricò una colomba volante di legno, e recentemente a Norim-berga, secondo il Botero, furon fabbricate un’aquila e una mo-sca. Archimede, col giuoco degli specchi, incendiò la flotta lon-tana. Dedalo fabbricò statue che si muovevano per l’azione dipesi o del mercurio. Tuttavia non ritengo vero quel che scriveGuglielmo Parisiense, che cioè si possa fabbricare una testa ca-pace di rispondere con voci umane a chi interroga, come dico-no aver fabbricato Alberto Magno. Mi par possibile soltanto ot-tenere una certa imitazione della voce con un congegno di can-ne che conducan l’aria, come doveva avvenire nel toro bronzeodi Falaride, il quale muggiva. L’arte infatti non può produrreeffetti stupefacenti, se non per mezzo di moti meccanici, pesi,e trazioni, o impiegando il vuoto, come si fa negli apparecchipneumatici ed idraulici, o applicando le forze alle materie. Pe-rò queste materie e queste forze non possono mai essere di taltempra da poter captare l’anima umana377.

Da questo passo si può desumere che l’interesse per lestatue miracolose aveva pure un suo aspetto scientifico,e che la generale rinascita della magia nel Rinascimentovalse in definitiva a incoraggiare la meccanica, o altreforme di «magia, artificiale reale».

È solo collocando la «magia artificiale reale» nel con-testo della magia e della cabala che le attività apparente-mente contraddittorie di un uomo come John Dee pos-sono venir ricondotte agevolmente, nel loro complesso,all’ambito concettuale entro cui operava il mago rinasci-mentale. John Dee378 (1527-1608) fu un vero matemati-co di considerevole importanza, vivamente interessato a

377 Tommaso Campanella, Magia e grazia, a cura di R. Ame-rio, Roma 1957, p. 181.

378 Sul Dee, cfr. Charlotte Fell Smith, John Dee, London1909, e la pregevole tesi – inedita – per il dottorato in filosofia,

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studi matematici di ogni genere e all’utilizzazione dellamatematica nel campo delle scienze applicate. Egli stes-so fu uno scienziato pratico, un inventore. E fra le sueattività in questo campo, molteplici e varie, si ricorda lacostruzione di un granchio volante per una rappresenta-zione teatrale studentesca. Nella sua prefazione alla tra-duzione inglese di H. Billingsley degli Elementi di geo-metria di Euclide, Dee fa il punto sullo stato delle scien-ze matematiche nel suo tempo, ne sollecita fervidamen-te lo sviluppo e il progresso, e rivela un chiaro interesseper la matematica genuina e per la sua utilizzazione co-me vera e propria scienza applicata. Egli invoca, a soste-gno di questa sua impostazione, il precedente del «nobleEarl of Mirandula» che a Roma elaborò novecento tesi,fra cui l’undicesima conclusione matematica così formu-lata: «By numbers, a way is had, to the searching out, andunderstanding of euery thying, hable to be knowen»379.Si tratta davvero, come dice Dee, della traduzione let-terale di una delle ottantacinque conclusioni matemati-che di Pico, che nel testo originale suona così: «Per nu-meros habetur uia ad omnis scibilis investigationem &intellectionem»380.

Sebbene, da un lato, Dee si interessasse dei numeriin quanto costituivano la base della «magia artificialereale» (senza, tuttavia, usare questa espressione nellasua prefazione alla trattazione di Billingsley)381, egli era

di I. R. F. Calder, John Dee, studied as an English Neoplatonist,London University 1952.

379 «Mediante i numeri si è trovato un modo per investigaree capire tutto ciò che è suscettibile di essere conosciuto». H.Billingsley, The Elements of... Euclid, London 1570, prefazionedi Dee, seg. *i, verso.

380 Pico, p. 101.381 Tuttavia egli indica come prodotti di «Thaumaturgy»,

intesa alla stregua di un’«Art Mathematicall», la testa di bronzo

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ancor più interessato all’impiego dei numeri in rapportoai nomi ebraici degli angeli e degli spiriti nella cabalapratica, che egli esercitò con il suo aiutante EdwardKelley. Dee e Kelley studiarono a fondo la filosofiaocculta di Agrippa382 nel terzo libro di Agrippa sonocontenute elaborate tavole numeriche e alfabetiche perl’invocazione degli angeli, sul tipo di quelle di cui siservirono Dee e Kelley per le loro operazioni383 nel corsodelle quali apparivano Michele, Gabriele, Raffaele e altriangeli e spiriti i quali parlavano a Dee tramite Kelley,per quanto lo stesso Dee non li abbia mai visti384. Kelleyera un impostore, che ingannava il suo pio maestro:

fabbricata da Alberto Magno, la lignea colomba di Architae la mosca meccanica di Norimberga (prefazione allEuclid diBillingsley, seg. A I verso), il che mostra come egli compilasseun elenco di meraviglie meccaniche simile a quelli forniti daAgrippa e Campanella.

La mente di Dee trascorre rapidamente dalla pneumatica diErone di Alessandria alle statue dell’Asclepius, o «Images ofMercurie», com’egli le chiama (ibid., seg. A I recto e verso. Sonoincline a pensare che qualche sorta di associazione mentale dellemiracolose statue egiziane coi congegni meccanici e automaticidi Erone possa avere stimolato l’interesse per la meccanica.

382 In un’occasione Dee parla del libro di Agrippa comedi un testo da lui sempre consultato nei suoi studi e perciòcontinuamente utilizzato operativamente.

383 Esse sono visibili nel manoscritto di Dee dal titolo Bookof Enoch, British Museum, Sloane 3189. Cfr. le «Tavole di Zi-ruph» nel De occulta philosophia di Agrippa (III, 24). Agrip-pa non fu la sola fonte di Dee e Kelley per quanto concerne lacabala pratica, ma su questo tema essi si mossero pur semprenell’ambito della suggestione di Agrippa.

384 La singolare storia di queste sedute è narrata nel diariospirituale di Dee, parte del quale venne pubblicata nel 1659da Meric Casaubon col titolo A True and Faithful Relation ofwhat passed for many years between Dr. John Dee... and somespirits..., London 1659.

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ma è proprio la natura dell’inganno che rivela quantoentrambi fossero esperti di magia rinascimentale. Quelloche Dee bramava soprattutto sapere dagli angeli erano isegreti della natura385; si trattava, insomma, di un mododi sviluppare la ricerca scientifica a un livello superiore.Come Pico della Mirandola, Dee era un devotissimocristiano e il suo atteggiamento verso i visitatori angeliciera analogo a quello di Pico nell’orazione sulla dignitàdell’uomo: pieno di meraviglia e di timore reverenziale.

I profani contemporanei di Dee non riuscivano a di-stinguere fra cabala pratica ed esorcismo, e forse nonavevano tutti i torti. Ma essi non riuscivano nemmeno acomprendere – e Dee amaramente se ne rammarica nel-la prefazione alla traduzione di Billingsley – che «Actesand Feates, Naturally, Mathematically and Machanicallywrought»386, non vengono compiuti tramite una perver-sa magia demonica, ma solo grazie all’impiego naturaledei numeri.

John Dee possiede in pieno la dignità e il senso di po-tere operativo del mago rinascimentale. E il suo caso di-mostra con estrema chiarezza come la volontà operati-va, stimolata dalla magia rinascimentale, riuscisse a tra-sfondersi, stimolandola a sua volta, nella volontà di ope-rare nell’ambito della genuina scienza applicata. O co-me l’attività esercitata con l’impiego di numeri nella sfe-ra superiore della magia religiosa, riuscisse compatibilecon la stessa attività esercitata a un livello inferiore, al li-vello, cioè, della «magia artificiale reale», ed operasse dastimolo nei confronti di questa.

La scienza ermetica par excellence è l’alchimia; lafamosa Tavola smaragdina, bibbia degli alchimisti, o

385 Cfr. A True and Faithful Relation, p. 49, dove è introdottoun «Principal» che si accinge a rivelare i segreti della natura.

386 «... atti e operazioni eseguiti per via naturale, matematicae meccanica...». Billingsley, Euclid, prefazione, seg. ai verso.

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attribuita ad Ermete Trismegisto, ed espone, in for-ma arcanamente compendiosa, la filosofia del Tutto edell’Uno387. Nel Rinascimento si cominciano a stabilirerapporti fra un’alchimia di tipo nuovo e le nuove versio-ni della cabala e della magia. Dee è un esempio di que-sta tendenza, in quanto l’alchimia era una delle discipli-ne che più lo interessavano. Ma il principale esponentedella nuova alchimia è Paracelso.

Le ricerche di W. Pagel hanno mostrato come l’im-postazione di fondo, la base del pensiero alchimistico diParacelso, siano connesse alla concezione del Logos, oParola, quale si ritrova nel Corpus Hermeticum, e anchealle interpretazioni cabalistiche della Parola388. La nuo-va alchimia di Paracelso derivava perciò direttamente ilsuo stimolo dalla tradizione ermetico-cabalistica del Ri-nascimento. Si può affermare con certezza che Paracel-so fu molto influenzato da Ficino e dalla magia ficinia-na, in quanto il suo De vita longa gli fu ispirato dal Devita coelitus comparanda389. Quanto all’uso della magia ascopi terapeutici, egli seguiva le orme mediche di Ficino.Si può dunque suggerire che l’opera di Paracelso si inse-risca nella tendenza «ermetico-cabalistica», sebbene egli

387 «Ciò che sta sopra è simile a ciò che sta sotto... E cometutte le cose sono derivate da una sola... così tutte le cosesono nate da essa...» (dalla Tavola o Tavoletta Smaragdina, cfr.K. Seligmann, History of Magic, pp. 128-9). Nella formamonas generat monadem, questo pensiero viene continuamenteripetuto dagli ermetici. Sull’origine e la storia della Tavolasmaragdina, cfr. J. Ruska, Tabula Smaragdina, Heidelberg 1926.

388 Cfr. W. Pagel, «The Prime Matter of Paracelsus», inAmbix, IX, 1961, pp. 119 sgg.; cfr. anche, sempre dellostesso autore, l’articolo «Paracelsus and the Neoplatonic andGnostic Tradition», ibid., VIII, 1960, pp. 125 sgg., e il libroParacelsus: An Introduction to Philosophical Medicine in the Eraof the Renaissance, Bâle-New York 1958.

389 Cfr. Pagel, Paracelsus, pp. 218 sgg.

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ne alteri, con estrema originalità, i lineamenti tradizio-nali. Egli è il mago-medico che agisce non solo sul cor-po, ma anche sull’immaginazione del paziente, grazie al-le facoltà immaginative, alle quali attribuisce enorme im-portanza: e anche questa è una chiara derivazione dallamagia di Ficino.

Il De harmonia mundi (1525) di Francesco Giorgio,o Zorzi, un frate francescano di Venezia, sviluppa com-piutamente un tema che era implicito in tutte le singo-le varianti della tradizione ermetico-cabalistica, e cioè iltema dell’armonia universale, dei rapporti armoniosi fral’uomo – il microcosmo – e il gran mondo dell’universo– il macrocosmo. Naturalmente non era un tema nuo-vo; si trattava, infatti, di una questione dibattuta duran-te tutto il Medioevo. Ma ermetismo e cabalismo arric-chiscono l’originaria tradizione pitagorica del Medioevodi un’immensa complessità di motivi, sviluppando il te-ma delle armonie universali in una nuova grandiosa sin-fonia. Francesco Giorgio, che aveva studiato la cabala edera in contatto con i circoli ficiniani di Firenze, fu il pri-mo a intraprendere questo tipo di operazione. La pro-fonda influenza esercitata su di lui da «Ermete Trismegi-sto» nella traduzione ficiniana è stata studiata da C. Va-soli che adduce, a prova del suo assunto, numerose cita-zioni dal De harmonia mundi e da altre opere di France-sco Giorgio390.

L’intenso interesse per le complesse articolazioni del-l’armonia universale, che è uno degli aspetti più caratte-ristici del pensiero rinascimentale da Francesco Giorgioin poi, si fondava sul numero secondo un’accezione pita-gorica o qualitativa, e non matematica vera e propria, matuttavia orientava con tanta forza l’attenzione su di es-so come chiave per la comprensione di tutta la natura da

390 C. Vasoli, Francesco Giorgio Veneto, in Test. uman., pp.79 sgg.

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poter essere considerato l’atteggiamento che ha prepara-to la via al sorgere di una effettiva riflessione matema-tica sull’universo. Come è noto Keplero vedeva tuttorala sua nuova astronomia inserita in un sistema di armo-nie, ed era ben consapevole che la teoria pitagorica eraanche implicita negli scritti ermetici, da lui attentamentestudiati391.

La teoria della centralità del Sole

Nel culto della prisca theologia il sole veniva assumendoun’importanza sempre più grande; inoltre, due dei priscitheologi degli elenchi di Ficino392 avevano insegnato chela terra si muove. Questi erano Pitagora e Filolao; l’ulti-mo aveva divulgato le idee astronomiche della scuola pi-tagorica, secondo le quali la terra, il sole, e altri corpi ce-lesti ruotano attorno a un fuoco centrale. Anche il cultodi Ermete Trismegisto tendeva a corroborare la conce-zione di una posizione del sole diversa da quella descrit-ta nel sistema caldeo-tolemaico, universalmente accetta-to durante il Medioevo. L’ordine egiziano dei pianeti eradiverso da quello caldeo, perché gli Egiziani collocava-no il sole appena al di sopra della luna e sotto gli altricinque pianeti, non nel mezzo delle sette sfere planeta-rie. La differenza fra i due sistemi fu accentuata da Ma-crobio – un platonico molto studiato nel Medioevo e nelRinascimento – il quale pose in luce come l’ordine egi-ziano, che colloca il sole molto più vicino alla terra, fossequello accettato da Platone393. Ficino, nel De sole, ricor-

391 Cfr. più sotto.392 Cfr. supra.393 «Platone seguì gli Egiziani, iniziatori di ogni branca filo-

sofica, che propendevano per la collocazione del sole fra la lu-na e Mercurio...» (Macrobio, In somnium Scipionis, XIX). Cfr.

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da l’ordine egiziano394 ed osserva subito dopo che il so-le è stato collocato dalla Provvidenza più vicino alla ter-ra che al firmamento per riscaldarla con spiritus ed ignis.La posizione del sole secondo gli Egiziani – proprio al disopra della luna, che è il canale di tutti gli influssi astra-li – si adattava meglio dell’ordine caldeo alla magia spi-rituale ficiniana incentrata sul sole. Tuttavia, non c’è al-cuna prova che Ficino rifiutasse l’ordine caldeo; sia nelbrano citato, sia in altri passi, infatti, egli lo accetta.

Nondimeno, la salda credenza nella posizione tolemai-ca del sole venne scossa dai prisci theologi; ma il fatto chepiù di ogni altro contribuì a richiamare l’attenzione ge-nerale sul sole fu l’immenso significato religioso attribui-to ad esso dal più antico (così almeno pensava Ficino)dei prisci theologi, Ermete Trismegisto il Mosè egiziano.Il sole, certamente, è stato sempre un simbolo religiosopresente anche nell’ambito del Cristianesimo; ma, in al-cuni passi degli scritti ermetici, il sole viene chiamato de-miurgo, «secondo dio». Nell’Asclepius Ermete dice:

Il sole illumina le altre stelle non tanto in forza della sua lucequanto della sua divinità e santità, e devi credere, Asclepio, cheegli è il secondo dio, che governa tutte le cose e diffonde lasua luce su tutte le creature viventi nel mondo, sia su quelleche hanno un’anima, sia su quelle che non l’hanno. (Ipse enimsol non tam magnitudine luminis quam diuinitate et sanctitateceteras stellas inluminat, secundum etenim deum hunc crede, oAsclepi, omnia gubernantem omniaque mundana inlustrantemanimalia, siue animantia, siue inanimantia)395.

Platone, Timeo, 38 d 1-3; A. E. Taylor, Commentary on Plato’sTimaeus, Oxford 1928, pp. 192-3.

394 De sole, cap. 6 (Ficino, pp. 968-9).395 C. H., II, pp. 336-7 (Asclepius, 29).

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Brani sulla divinità del sole si trovano anche nei trattatiV396, X397 e soprattutto XVI398 del Corpus Hermeticum(sebbene l’ultimo non influenzasse certamente Ficino,dal momento che non è compreso nel suo manoscritto;esso fu pubblicato, nella traduzione di Lazzarelli, daSymphorien Champier nel 1507399). La tanto ammiratareligione egiziana comprendeva il culto del sole, e il soleviene incluso nell’elenco delle divinità egiziane fornitonell’Asclepius400.

Queste dottrine solari di tradizione ermetico-egizianainfluirono certamente sulla magia solare di Ficino, e siconnettevano, dal punto di vista filosofico, alla conce-zione platonica del sole, visto come splendore intelligibi-le o immagine principale delle idee, e, dal punto di vistareligioso, al simbolismo della luce dello Pseudo-Dionigi.Tracce di tutte queste influenze sono visibili nel De so-le nel De lumine di Ficino. Come abbiamo cercato diindicare nei capitoli precedenti, il vivo interessamentodella magia per il sole conduceva, attraverso il neoplato-nismo cristiano dello Pseudo-Dionigi, alla suprema LuxDei, e in tal modo il sole divenne per Ficino, a un di-presso, quello che era stato per Ermete o per l’imperato-re Giuliano: il «secondo dio» o il dio visibile della serieneoplatonica.

Il De revolutionibus orbium caelestium di Nicola Co-pernico fu scritto fra il 1507 e il 1530, e pubblicato nel1543. Non fu attraverso la magia che Copernico arrivòa formulare la sua storica ipotesi della rivoluzione dellaterra attorno al sole, ma grazie a una grande conquista

396 C. H., I, p. 61.397 Ibid., I, pp. 114-5.398 Ibid., II, pp. 233 sgg.399 Cfr. più avanti.400 C. H., II, pp. 336-7 (Asclepius, 29).

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nel campo del puro calcolo matematico. Egli presenta lasua scoperta al lettore come una sorta di atto di contem-plazione del mondo inteso come rivelazione di Dio, o co-me ciò che molti filosofi hanno chiamato il dio visibile.In breve, è nel quadro della religione del mondo che sipresenta la rivoluzione copernicana. Né Copernico si di-mentica di richiamarsi all’autorità dei prisci theologi (seb-bene egli non adoperi di fatto questa espressione) e, traquesti, a Pitagora e Filolao401, per corroborare l’ipotesidel movimento terrestre. E nel momento cruciale, pro-prio dopo il diagramma in cui viene raffigurato il nuovosistema eliocentrico, troviamo un esplicito riferimento aErmete Trismegisto:

In medio vero omnium residet sol. Quis enim in hoc pulcher-rimo templo lampadem hanc in alio vel meliori loco poneret,quam unde totum simul possit illuminare? Siquidem non inep-te quidam lucernam mundi, alii mentem, alii rectorem vocant.Trimegistus [sic] visibilem deum402.

In questo brano c’è forse anche un’eco delle parole sulsole403 dette da Cicerone nel famoso Somnium, poi com-mentato da Macrobio, ma l’eco più chiara è senza dubbioquella delle parole di Ermete Trismegisto nell’Asclepius,che abbiamo più sopra riportato.

Si è ormai da tempo individuato il contesto teleologiconel quale Copernico presenta la sua scoperta404, ma non

401 N. Copernico, De revolutionibus orbium caelestium,Thorn 1873, pp. 16-17.

402 Ibid., p. 30.403 «Mediam fere regionem Sol obtinet, dux et princeps, et

moderator luminum reliquorum, mens mundi, et temperatio,tanta magnitudine, ut cuncta sua luce illustret et compleat ...».Cicerone, Somnium Scipionis, cap. IV.

404 Cfr. A. Koyré, La révolution astronomique, Paris 1961,pp. 61 sgg. Koyré sottolinea l’importanza che per Copernico

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ci si è tuttora ben resi conto, in generale, che si tratta diun contesto perfettamente legato al suo tempo. Coperni-co non si muove nell’ambito della concezione del mondodi Tommaso d’Aquino, ma in quella del nuovo neoplato-nismo, dei prisci theologi con Ermete Trismegisto alla te-sta, elaborata da Ficino. Si potrebbe dire che quel vivis-simo interessamento per il sole costituì, da un punto divista psicologico, lo stimolo principale che indusse Co-pernico a intraprendere i calcoli matematici relativi all’i-potesi della posizione centrale del sole nel sistema plane-tario; oppure che egli cercò di rendere accettabile la suascoperta presentandola nell’ambito di questo nuovo at-teggiamento. È probabile che, se non entrambe, l’una ol’altra di queste ipotesi corrisponda alla verità.

In ogni modo, la scoperta di Copernico vide la luce,per così dire, sotto la benedizione di Ermete Trismegisto,fregiandosi di una citazione di quell’opera famosa nellaquale Ermete descrive il culto solare degli Egiziani nelquadro della loro religione magica.

Un testo recentemente scoperto405 ci rivela come Gior-dano Bruno, allorché propugnava ad Oxford il coper-nicanesimo, lo facesse nel contesto di una serie di ci-tazioni tratte dal De vita coelitus comparanda, di Fici-no. Questo celebre filosofo del Rinascimento conside-rava, dunque, in qualche modo, il sole di Copernico instretto rapporto con la magia solare di Ficino. Le anali-si che farò nei successivi capitoli mostreranno che Brunoera un fervente seguace dell’ermetismo religioso, un cre-

aveva il sole in senso religioso e mistico, e parla dell’influenzaesercitata su di lui dalle correnti neoplatonica e neopitagoricadel Rinascimento, facendo menzione, a questo proposito, diFicino (p. 69). Cfr. anche E. Garin, «Recenti interpretazionidi Marsilio Ficino», in Giornale critico della filosofia italiana,1940, pp. 308 sgg.

405 Cfr. più avanti.

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dente nella religione magica egiziana, quale viene descrit-ta nell’Asclepius, della quale egli profetizzò in Inghilter-ra l’imminente rinascita, scorgendo nel sole copernica-no un segno portentoso del suo prossimo avvento. Eglitratta Copernico con una certa sufficienza, rimproveran-dogli di avere interpretato la sua teoria solo dal puntodi vista matematico, mentre egli, Bruno, ne ha compre-so i più profondi significati religiosi e magici. Il lettoredovrà avere la pazienza di attendere i capitoli successi-vi per avere le prove di queste affermazioni che antici-po qui in via provvisoria, perché l’utilizzazione brunia-na del copernicanesimo mostra nel modo più significa-tivo quanto fossero labili e sfuggenti i confini fra scien-za pura ed ermetismo nel Rinascimento. Copernico, perquanto non sia restato insensibile all’influenza del misti-cismo solare dell’ermetismo, se ne libera del tutto nellasua speculazione matematica. Bruno fa invece retrocede-re l’opera scientifica di Copernico verso uno stadio pre-scientifico, verso l’ermetismo, e interpreta il diagrammacopernicano come un geroglifico di misteri divini.

Questo capitolo si è limitato ad accennare, in manieraparziale e frammentaria, e ricorrendo solo a pochi esem-pi, a un tema che io ritengo possa essere di importanzaassolutamente fondamentale per la storia del pensiero: larilevanza, cioè, della magia rinascimentale quale fattoreresponsabile di mutamenti decisivi nelle concezioni degliuomini.

I Greci, con la loro eccezionale mentalità matematicae scientifica, giunsero a importanti scoperte nel campodella meccanica e di altre scienze applicate, ma non fe-cero mai con risolutezza, sfruttando in pieno tutte le lo-ro capacità, il passo fatto dall’uomo occidentale all’ini-zio dell’età moderna, quello, cioè, dalla teoria alla prati-ca, tentando l’impossibile per applicare la conoscenza afini operativi. Quali sono le ragioni di questo fenome-no? Si tratta, essenzialmente, di un problema di volon-

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tà. I Greci, in sostanza, non volevano discendere sul pia-no operativo. Essi consideravano l’attività pratica comevile e meccanica, come una degenerazione dell’unica oc-cupazione degna della dignità dell’uomo, la pura specu-lazione razionale e filosofica. Il Medioevo portò avantiquesta tendenza nel senso che la teologia costituiva il co-ronamento della filosofia, e la contemplazione il vero fi-ne dell’esistenza umana; qualsiasi impulso operativo nonpoteva che essere ispirato dal demonio. Indipendente-mente dal problema se la magia rinascimentale abbia de-terminato, o meno, l’avvento di autentici metodi scienti-fici, ritengo che la reale funzione del mago rinascimenta-le, in rapporto all’età moderna, sia stata quella di muta-re la volontà umana. Con lui l’attività pratica dell’uomoacquistò importanza e dignità prima sconosciute; ed eraconforme alla religione, e non contrario alla volontà diDio, che l’uomo, questo magnum miraculum, esercitassepraticamente i propri poteri. Il fatto davvero rivoluzio-nario fu questo orientamento psicologico sostanzialmen-te nuovo verso un uso della volontà umana, che più nullaaveva ormai di affine all’atteggiamento greco o a quellomedievale.

Quali stimoli produssero questo nuovo atteggiamen-to? Io suggerirei di pensare, ad esempio, all’entusia-smo religioso provocato dalla riscoperta degli Hermeti-ca e della magia ad essi associata; oppure alle straordi-narie emozioni suscitate dalla cabala e dalle sue tecni-che magico-religiose. È la magia, vista nella sua funzio-ne complementare alla gnosi, che comincia a orientare lavolontà nella nuova direzione.

Persino l’impulso all’abbattimento della vecchia co-smologia, operato dalla teoria della centralità del sole,può aver trovato spunto nell’atteggiamento ermetico ver-so il mondo, interpretato dapprima come magia da Fici-no, elevatesi al livello di scienza con Copernico e ritor-nato ad un contesto di religiosità gnostica in Giordano

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Bruno. Come vedremo più oltre, l’atteggiamento con cuiBruno si libera dal suo copernicanesimo per giungere al-la visione di un universo infinito popolato di mondi in-numerevoli, presuppone certamente, come impulso psi-cologicamente decisivo, la tradizione ermetica.

In tal modo «Ermete Trismegisto», congiuntamente alneoplatonismo e alla cabala, può aver svolto, nel periododella sua vittoriosa influenza sul pensiero occidentale, unruolo singolarmente importante nel plasmare il destinodell’uomo.

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IX. CONTRO LA MAGIA

Obiezioni teologiche.

Per quanto Pico ottenesse l’approvazione di papa Ales-sandro VI, la nuova magia, negli anni successivi, nonandò certamente esente da scontri con le idee del cat-tolicesimo o del protestantesimo. Al contrario, ci sonocrescenti grida d’allarme, che aumentano d’intensità nelcorso del XVI secolo, contro l’intensificarsi delle prati-che magiche. I maghi, da parte loro, protestano sem-pre di essere buoni e pii, così negli atti come nelle in-tenzioni: esercitano soltanto magia naturale, non diabo-lica; oppure, se mirano ad evocare forze spirituali supe-riori, si tratta di angeli, non di demoni. Persino Agrippa,l’arcimago, che sembra evocare indifferentemente ange-li e demoni, corona la sua opera con la magia religiosa, econ pretese religiose. Ma molti si domandavano quand’èche un angelo non è un angelo, ma un demone, e richie-devano che fosse messo un freno all’intero movimento icui aspetti religiosi servivano soltanto a renderlo più pe-ricoloso. Un’analisi notevole delle obiezioni teologichecontro la magia rinascimentale è stata compiuta da D. P.Walker, e molto materiale importante si trova anche nel-la History of Magic and Experimental Science del Thorn-dike. Il mio scopo, qui, è di mettere sommariamente alcorrente il lettore delle opinioni contrarie alla magia, ba-sandomi su queste opere.

Il nipote di Pico, Giovanni Francesco Pico, disappro-vava recisamente i talismani di Ficino, e anche la magiadi suo zio, per quanto egli pensasse, o fingesse di pen-sare, che il suo celebre parente avesse abiurato ogni for-

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ma di magia con il suo Adversus astrologiam406. L’attaccoche G. F. Pico sferra contro la magia e l’astrologia mostraquanto fortemente l’una e l’altra fossero collegate con laprisca theologia, da lui considerata idolatria pagana. Eglimenziona anche il Picatrix come un «libro vanissimo»407.Non attacca mai espressamente Ficino, ma disapprovacon forza gli incantesimi orfici che erano stati usati daFicino (e che Pico aveva raccomandato come magia na-turale), e le osservazioni contro «un tale» che ha scrittoin materia di immagini astronomiche devono intendersirivolte contro Ficino408.

Gli argomenti del nipote di Pico avevano un certo pe-so, e molti di essi furono ripresi nel 1583 da JohannesWier, un protestante che considera a sua volta la priscatheologia come perversa superstizione pagana e la fontedella magia409. «I viaggi dei saggi greci in Egitto fecero sìche essi apprendessero non la tradizione della vera teo-logia, ma la diabolica magia egiziana»410. Da buon prote-stante, Wier vuole che la religione sia interamente liberadalla magia, e gran parte della sua opera è diretta controle pratiche cattoliche, che egli considera superstiziose411.

406 Le principali opere di G. F. Pico contro la magia sonol’Examen vanitatis doctrinae gentium e il De rerum praenotione;entrambe sono comprese in G. F. Pico, Opera omnia, Basilea1573.

407 Walker, pp. 146-7; cfr. anche Thorndike, VI, pp. 466sgg.

408 G. F. Pico, Opera, ed. cit., p. 662; cit. da Walker, p. 147.409 Walker, pp. 147-9. L’attacco di G. F. Pico contro Pietro

d’Abano, da lui accusato di essersi servito del Picatrix, potrebbeessere indirettamente rivolto a Ficino che ricorda Pietro comeuna delle sue fonti, per dissimulare, forse, un debito reale versoil Picatrix. Cfr. supra.

410 Cit. dal riassunto del De praestigiis daemonum di Wier(prima ed. 1566) fatto da Walker (p. 152).

411 Walker, pp. 153-6.

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Erasto è un altro scrittore protestante nettamente osti-le alla magia, e in particolare a quella di Ficino, che egliidentifica con le aberrazioni egiziane e con le idee deiplatonici. «Riterreste quest’uomo un sacerdote di Dio»,esclama, «quale egli voleva apparire, o non piuttosto ilpatrono e il gran sacerdote dei misteri egiziani?»412 Inol-tre accusa Ficino di essersi reso schiavo di «favole di-sgustose e chiaramente diaboliche»413, probabilmente al-ludendo alla magia dell’Asclepius. Anche per Erasto lareligione dev’essere completamente sgombra di qualsiasiresiduo magico414.

Le opinioni cattoliche sulla magia vennero autorevol-mente formulate dal gesuita Martin del Rio in un ponde-roso libro pubblicato nel 1599-1600415. Il Del Rio è di-sposto a consentire alcune forme di magia e, quanto aFicino, non è del tutto ostile alla sua posizione, ma con-danna fermamente il suo uso dei talismani. Nega inoltreche la lingua ebraica abbia qualsiasi potere speciale. Intal modo vennero ripudiate sia la magia di Ficino, sia lacabala pratica di Pico; le opinioni di papa Alessandro VInon furono approvate dalla Controriforma. Per quantoriguarda Agrippa, il Del Rio lo considera senz’altro unpraticante della magia nera e il peggiore della sua specie.Lo scrittore cattolico difende le pratiche della sua religio-ne dall’accusa di magia, proprio come aveva fatto Garciamolto tempo prima, quando aveva attaccato Pico.

Ci furono, dunque, sempre forti correnti di pensieroteologico, sia cattoliche che protestanti, contrarie alla

412 Erasto, Disputationem de medicina nova Philippi Paracelsi,Basilea s. d., p. 118; cit. da Walker, p. 163.

413 Ibid., loc. cit.414 Walker, pp. 156-66.415 Martin Del Rio, Disquisitionum magicarum, libri sex, pri-

ma ed., Lovanio 1599-1600. Cfr. Walker, pp. 178-85.

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magia rinascimentale nel corso dello stesso periodo incui questa fiorì.

La tradizione, umanistica.

Devo, prima di tutto, precisare che cosa intendo per«tradizione umanistica». Con ciò intendo il ritrovamen-to dei testi latini, la riscoperta della letteratura della ci-viltà romana nel Rinascimento e l’atteggiamento verso lavita e le lettere che da essi scaturì. Per quanto non man-chino molti precedenti medievali, l’iniziatore principa-le di questo movimento, per quanto concerne il Rinasci-mento italiano, fu il Petrarca. Il ritrovamento dei testilatini, con il relativo entusiasmo per la nuova rivelazio-ne dell’antichità classica da essi prodotto, appartiene alXIV secolo e continua nel XV. Esso era già a un buonpunto e aveva raggiunto un livello di estrema raffinatez-za prima della successiva grande esperienza rinascimen-tale – il ritrovamento dei testi greci, con la relativa nuo-va rivelazione filosofica seguita nel corso del XV secolo.Ritengo che non si insisterà mai abbastanza sulla naturacompletamente diversa di queste due esperienze rinasci-mentali, che si avvalgono, in modo diverso, di fonti dif-ferenti e fanno appello ad interessi intellettuali diversi.Sarà bene fare qualche confronto.

C’è, per esempio, il confronto con il quale abbiamoiniziato il primo capitolo di questo libro. La cronolo-gia dell’umanista latino è corretta. Egli conosce con pre-cisione la cronologia della civiltà alla quale vuol torna-re, l’età aurea della retorica latina rappresentata da Ci-cerone, l’alta preparazione storica e letteraria presuppo-sta da un’orazione ciceroniana, il suo squisito stile latino,la condotta di vita all’insegna della dignitas in una socie-tà bene organizzata che ne costituisce lo sfondo. Que-sto mondo è realmente esistito, e proprio nel periodo nel

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quale lo colloca l’umanista latino. Egli non ne traspone lacronologia in una confusa antichità, poco prima o pocodopo il diluvio, con una collocazione cronologica errata,sul tipo di quella per cui alla prisca teleologia, viene at-tribuita una falsa importanza nell’ambito dell’altra tradi-zione, distorcendo così la prospettiva entro cui interpre-tare la filosofia greca. Il realismo storico dell’umanistalatino dà un’impronta realistica anche alla sua filologiatestuale. Il Petrarca ha già una sensibilità per la cronolo-gia e la genuinità dei testi416, che i suoi successori svilup-parono rapidamente raggiungendo alti livelli di efficien-za filologica. Lorenzo Valla riuscì a provare che l’Ad He-rennium, usato per tutto il Medioevo come un testo reto-rico di «Tullio», non era realmente dovuto a Cicerone417.Si confronti tutto ciò con la imperturbata credulità di Fi-cino il quale prende per prisca theologia testi che appar-tengono di fatto al periodo ellenistico.

Perciò, le due tradizioni fanno appello a interessi com-pletamente diversi. L’inclinazione dell’umanista è in di-rezione della letteratura418 e della storia; egli attribuisce

416 Sul Petrarca come studioso di testi, cfr. G. Billanovich,«Petrarch and the Textual Tradition of Livy», in J.W.C.I., XIV,1951, pp. 137 sgg.

417 Valla rilevò (nell’invettiva contro Bartolomeo Facio) chel’Ad Herennium non era scritto nello stile di Cicerone e cheperciò non poteva essergli attribuito. Al Valla si debbonoaltre audaci imprese di critica testuale, quali la dimostrazionedel falso della Donazione di Costantino e l’accertamento cheDionigi l’Areopagita non era l’autore degli scritti, a lui attribuititradizionalmente.

418 O piuttosto, egli sceglie il soggetto che meglio si addice al-la sua inclinazione. Due studi fondamentali hanno chiarito il si-gnificato del termine «umanista» nel Rinascimento. A. Campa-na ha mostrato che esso aveva originariamente, nel gorgo uni-versitario, il significato di professore di letteratura classica (A.Campana, «The Origin of the Word Humanist», in J.W.C.I.,IX, 1946, pp. 60-73). Kristeller ha sostenuto, in termini convin-

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un immenso valore alla retorica e al buon stile letterario.L’altra tradizione si muove, invece, nel senso della filo-sofia, della teologia e anche della scienza (al livello dellamagia). La differenza riflette il contrasto fra la mentalitàromana e quella greca. Inoltre, nell’ambito della tradizio-ne umanistica latina, la dignità dell’uomo ha un significa-to del tutto diverso che nell’altra tradizione. Per PoggioBracciolini, il recupero della dignità consiste nel respin-gere il corrotto latino medievale e il modo di vita tetroe monastico del Medioevo, sforzandosi di emulare nel-la propria persona e nel proprio ambiente la preminenzasociale e la raffinata magnificenza di un nobile romano419.Per Pico, la dignità dell’uomo si incentra nel rapporto

centi, che gli studi umanistici fossero una dilatazione della di-sciplina grammatico-retorica del trivio medievale, del tutto di-stinta dall’orientamento filosofico del quadrivio (cfr. Kristeller,Studies, pp. 553-83); il capitolo in questione è la ristampa del-l’articolo «Humanism and Scholasticism in the Italian Renais-sance», pubblicato nel 1944). Da questo punto di vista, la tradi-zione che trae origine dalla prisca theologia è umanistica solo nelsenso che prese le mosse da una riscoperta di antichi testi. Daogni altro punto di vista essa non è umanistica, nel senso strettodella parola, in quanto concerne materie non umanistiche comela filosofia, la scienza o la magia, e la religione.

419 Il De nobilitate di Poggio (1440) è un testo in cui l’idealeumanistico (nel senso in cui viene da me usata questa parola)della dignità o nobiltà dell’uomo emerge con chiarezza. PerPoggio, «nobile» è colui che ha acquistato la «virtus» attraversol’imitazione delle virtù degli antichi e che ha conseguito famae prestigio sociale grazie alla propria cultura classica. Questotipo di ideale è interamente diverso da quello pichiano, percui la dignità dell’uomo consiste nella sua elevata relazione conDio e, ove si tratti di un mago, nel potere che riesce a cavaredall’universo.

Se si vuole usare la parola «umanesimo» nel senso vago del-l’atteggiamento rinascimentale verso l’uomo e non nel sensopreciso di umanesimo come complesso di studi letterari, occor-

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dell’uomo con Dio e, soprattutto, nell’uomo-mago con isuoi divini poteri creativi.

Inoltre, le due tradizioni tengono un atteggiamentodifferente nei confronti del Medioevo. Per l’umanista la-tino il Medioevo è «barbaro», perché ha usato un cattivolatino e ha perduto il vero senso della romanitas. Missio-ne dell’umanista è quella di ritrovare la purezza della lin-gua latina che egli pensa possa valere, di per sé, a restau-rare una romanitas universale e a far uscire il mondo dal-l’età di barbarie guidandolo verso una nuova età dell’o-ro di cultura classica420. Per il seguace dell’altra tradizio-ne, l’aurea catena della pia philosophia, snodandosi dal-la prisca theologia, fino al presente, corre lungo tutto ilMedioevo, ed egli trova alcuni dei suoi più venerati pla-tonici anche nell’età della barbarie. La filosofia scolasti-ca (che per l’altra scuola rappresenta l’acme della barba-rie) è per lui una fonte importante di pia philosophia, daporsi sullo stesso piano delle sue fonti neoplatoniche, edi altre. Ficino si serve abbondantemente di Tommasod’Aquino nella presentazione della sua sintesi cristiana; euna larga porzione delle novecento tesi di Pico sono de-dicate alla filosofia medievale. Nella sua famosa letteraad Ermolao Barbaro, tanto spesso citata, Pico si difende-va da coloro che lo accusavano di aver sprecato, con au-tori barbari, tanto tempo che avrebbe potuto impiegarein eleganti studi eruditi:

Siamo vissuti celebri, o Ermolao, e tali vivremo in futuro, nonnelle scuole dei grammatici, non là dove si insegna ai ragazzi,ma nelle accolte dei filosofi e nei circoli dei sapienti, dove nonsi tratta né si discute sulla madre di Andromaca, sui figli di

re specificare quale tipo di atteggiamento rinascimentale versol’uomo si ha in mente.

420 Cfr. W. K. Ferguson, The Renaissance in HistoricalThought, Cambridge, Mass. 1948.

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Niobe e su fatuità del genere, ma sui principi delle cose umanee divine421.

Pico rimprovera l’amico umanista di essere rimasto allivello infantile del trivio, con i suoi studi grammaticalie linguistici e con il suo culto esclusivo dell’ornato lette-rario, mentre egli si è invece votato agli studi più nobi-li del quadrivio. La lettera di Pico esprime con estremachiarezza la fondamentale differenza di prospettiva frale due tradizioni; e Giordano Bruno ribadirà il concettocon maggior violenza, quando inveirà contro coloro chechiamerà «pedanti grammatici», incapaci di comprende-re le superiori attività del mago. Qui ci potremmo con-cedere una riflessione curiosa: se i maghi avessero dedi-cato più tempo ai «puerili» studi di grammatica, e aves-sero acquistato una buona capacità filologica, avrebbe-ro potuto capire nel loro vero significato le dottrine deiprisci theologi, e non sarebbero mai diventati maghi.

Soprattutto nei rapporti con la religione la differenzafra le due tradizioni si fa inconciliabile. L’umanista, se èun pio cristiano come il Petrarca, si avvale dei suoi studiumanistici per il progresso morale, e studia i grandi uo-mini dell’antichità come esempi di virtù, dai quali il cri-stiano può trar profitto. Se invece non è molto cristia-no o pio, come Poggio, il Valla e altri successivi uma-nisti italiani, tende a subire così a fondo il fascino dellavita pagana, che finisce per disprezzare il Cristianesimo.Gli esempi più autorevoli di paganesimo rinascimentalesi trovano fra i tardi umanisti latini. In ogni caso, il pro-blema religioso non è assolutamente vitale: che l’uomodi lettere si serva o meno dei suoi studi con un’intenzio-ne morale cristiana, è un fatto esclusivamente persona-

421 Pico, p. 352. La traduzione italiana del brano riportatoè tratta da E. Garin, Storia della filosofia italiana, Torino 1966,vol. I, p. 465.

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le, e non una fondamentale questione religiosa di carat-tere generale. Le cose sono del tutto diverse per quantoconcerne il neoplatonismo il quale sosteneva di consen-tire una interpretazione e una comprensione nuove delCristianesimo. E soprattutto sono diverse per quanto ri-guarda il mago, che pretendeva di comprendere le gui-se dell’attività divina nell’universo, e di riprodurle con lasua magia. La magia, così come fu sviluppata da Ficino eda Pico, costituiva un fondamentale problema religioso,come dimostrano le obiezioni contro di essa da noi citateall’inizio di questo capitolo.

Tuttavia, il nostro tema attuale è l’umanesimo nellasua rilevanza negativa nei confronti della magia, e ioritengo che tale rilevanza sia considerevole. Per la suaimpostazione critica e per il suo modo storico e socialedi considerare l’uomo e i suoi problemi, un clima digenuino umanesimo non è congeniale al mago e alle suepretese. Ma un siffatto clima si produsse assai di rado intutta la sua purezza ed è per questo che ciascuna delledue tradizioni presenta infiltrazioni di clementi tipicidell’altra.

Forse il caso più evidente di una simile contaminazio-ne è quello dei geroglifici. La storia dei supposti gero-glifici egiziani di Orapollo, del clamore che essi suscita-rono nel Rinascimento, della loro assunzione a simbo-lo – uno dei più caratteristici fenomeni rinascimentali –e, fra i vari aspetti dell’egittologia rinascimentale, quelloche è stato studiato e indagato più a fondo422. Gli Hiero-

422 Cfr. Karl Giehlow, «Die Hieroglyphenkunde des Huma-nismus in der Allegorie der Renaissance», in Jarbuch der kun-sthistorischen Sammlungen des allerhöchsten Kaiserhauses, XX-XII, parte I, 1915; E. Iversen, The Myth of Egypt and its Hiero-glyphs, Copenhagen 1961.

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glyphica di Orapollo423 sono un altro di quei testi ai qua-li si attribuivano antichissime origini, mentre risalivano,in realtà, all’età ellenistica; esso spiega il geroglifico egi-ziano considerandolo un simbolo dotato di reconditi si-gnificati morali e religiosi: il che è, ovviamente, un frain-tendimento della sua vera natura. La moda dei gerogli-fici fu un prodotto della prisca theologia, poiché il suosuccesso dipese in gran parte dal profondo rispetto checircondava la sapienza egiziana, così come era esempli-ficata in Ermete Trismegisto. Nell’argumentum prepo-sto al Pimander Ficino attribuisce ad Ermete l’invenzio-ne del geroglifico424. Rispetto al talismano, il geroglificonon ha carattere magico: è soltanto un metodo profondoper esprimere recondite verità nella scrittura sacrale egi-ziana. Esso conobbe un’immensa popolarità fra gli uma-nisti, costituendo, in tal modo, un esempio di infiltrazio-ne «egiziana» nel campo umanistico.

L’umanesimo puro, tuttavia, era suscettibile di muo-versi in una direzione religiosa, verso atteggiamenti re-ligiosi e teologici, e l’esempio più chiaro di questa ten-denza è quello di Erasmo. Erasmo è un vero e proprioumanista in ogni aspetto della sua concezione. Egli credenel valore dell’erudizione, della letteratura, del correttostile latino, e ritiene che l’età dell’oro ritornerà quandosia istituita una società internazionale di dotti che possa-

423 Cfr. The Hieroglyphics of Orapollo, a cura di George Boas,Bollingen Series 23, New York 1950.

424 «Hunc [Ermete] asserunt occidisse Argum, Aegyptiispraefuisse, eisque leges, ac literas tradidisse. Literarum uerocharacteres in animalium, arborumque figuris instituisse» (Fi-cino, p. 1836). In uno dei suoi commenti a Plotino egli col-lega queste figure usate dai sacerdoti egiziani a quelle descritteda «Horus», cioè con i geroglifici di Orapollo (Ficino, p. 1768;cfr. Hieroglyphics of Horapollo, a cura di G. Boas, p. 28).

Sui geroglifici intesi come un mezzo di trasmissione di filo-sofia ermetica cfr. più avanti.

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no agevolmente comunicare l’un l’altro in un buon latinointernazionale. È anche, come il Petrarca, un pio cristia-no e la sua società doveva avere un carattere cristiano, inquanto avrebbe radunato tutti i dotti che avessero trattodalle letture classiche un insegnamento morale, e consi-derato i grandi uomini dell’antichità come esempi di vir-tù. Egli non ha assolutamente alcun interesse per la dia-lettica, la metafisica, la filosofia naturale, e, nell’Elogiodella pazzia, riversa il suo ironico disprezzo sui profes-sori e sul loro barbaro latino. La sua ripugnanza per lacultura medievale, al di là delle sue motivazioni di ordi-ne estetico, e di quelle ispirate dall’ignoranza medievalenel campo dell’erudizione letteraria, è davvero una ripu-gnanza naturale, un’incomprensione totale del soggettotrattato.

Il rimedio che egli suggerisce contro la generale deca-denza provocata dalla «barbarie» medievale è il tipico ri-medio dell’umanista, dell’uomo di lettere che sia anchebuon cristiano. La proposta di Erasmo era di utilizzarela nuova invenzione della stampa per diffondere la lette-ratura cristiana. Donde tutta la fatica della sua vita, dedi-cata alla pubblicazione e al commento del Nuovo Testa-mento, e dei Padri greci e latini della Chiesa. Così Era-smo vedeva il ritorno alla prisca theologia: un ritorno al-le fonti cristiane mediante la pubblicazione del NuovoTestamento e dei Padri.

Che egli possa persino aver preso deliberatamentequesta posizione in netto contrasto con la specie di priscatheologia alla quale si rifacevano i maghi, può essere for-se indicato dall’estremo fastidio che lo colse quando unsuo ammiratore si indirizzò a lui chiamandolo «Termaxi-mus». George Clutton ha avanzato l’idea che la rabbia diErasmo, altrimenti incomprensibile, a sentirsi chiamatocon un epiteto che aveva solo uno scopo adulatorio, po-tesse derivare dalla circostanza che «Termaximus» arieg-gia e ricorda «Ermete Trismegisto», ed egli non intende-

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va che la sua opera fosse posta sullo stesso piano di queltipo di teologia primitiva425. In ogni modo, D. P. Walkerha chiarito che Erasmo non si servì mai della prisca theo-logia; anzi, in un brano, sembra addirittura avanzare ri-serve sull’autenticità degli oracoli caldaici e degli Herme-tica:

Ma se ci perviene alcunché dai Caldei o dagli Egiziani, già perquesto solo fatto desideriamo intensamente di averne conoscen-za... e veniamo spesso gravemente turbati dai sogni di qualchepiccolo uomo, per non dire di qualche impostore, non solo sen-za alcun profitto, ma anche con gran perdita di tempo, se nonaddirittura con risultati peggiori, sebbene i primi siano già, diper sé, abbastanza cattivi426.

Quando parla di «risultati peggiori», Erasmo alludealla possibilità di essere introdotti nel mondo della ma-gia? Non occorrerà sottolineare il fatto che, nelle paro-le di Erasmo, il grande Ermete si è abbassato al livello diun piccolo sognatore, se non addirittura un impostore!

Nel clima erasmiano la magia non avrebbe potutofar conto sulla fiducia, o sulla credulità, che sono tantonecessarie al suo successo. Ed anche Erasmo, nelle suelettere, scrive spesso di non dare alcun peso alla cabala427,

425 George Clutton, «Termaximus: A Humanist Jest», inJournal of the Warburg Institute, II, 1938-9, pp. 266-8. In unalettera a Erasmo, Uldaricus Zasius si indirizzò a lui chiaman-dolo «ter maxime Erasme» (P. S. Allen, Opus Epistolarum DesErasmi, II, ep. 317). Clutton rileva (art. cit., p. 268) che «termaximus» richiama «Trismegistus».

426 Erasmo, Paraclesis (1519), in Opera omnia, Leida 1703-6,col. 139; cit. da D. P. Walker, «The “Prisca Theologia” inFrance», in J.W.C.I., XVII, 1954, p. 254.

427 «Mihi sane neque Cabala neque Talmud nunquam arrisit»(Opus Ep., ed. cit.. III, p. 589). Egli adopera quasi esattamentela medesima frase in un’altra lettera (ibid., IV, p. 100). Cfr.anche ibid.. III, p. 253; IV, p. 379; IX, p. 300.

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per quanto fosse amico di Reuchlin. Inoltre, persinola base cristiana della sintesi del mago cristiano vienescossa quando Erasmo, nelle sue parafrasi del NuovoTestamento, pone in dubbio che Dionigi l’Areopagitasia l’autore delle Gerarchie428. Questa critica impietosa,nella quale Erasmo seguiva le orme del grande Valla,scosse gravemente i certosini inglesi429, e deve ancheavere allarmato, con ogni verosimiglianza John Colet,suo amico e ardente seguace di Dionigi.

Pertanto, davanti alla mentalità critica (e del tuttonon scientifica) di Erasmo, l’intera costruzione del magorinascimentale, così suggestivamente elaborata da Ficinoe da Pico, scade al livello di un vano sogno, basato su unadubbia erudizione. E, in quanto cristiano, l’erasmianoripudia la prisca theologia perché non si identifica conla vera, primitiva fonte evangelica, alla quale il cristianodeve ritornare430.

428 Cfr. Opus Ep., ed. cit., III, p. 482; IX, p. 111, e la notadi quest’ultima pagina dove si indica come Erasmo mettesse indubbio, sulla scia di Valla, l’attribuzione degli scritti dionisianiall’Areopagita nelle parafrasi ad Atti, 17 (Erasmo, N. T., 1516,p. 394).

429 Opus Ep., ed. cit., XI, p. 111.430 La terminologia vaga e imprecisa che domina nelle discus-

sioni sull’umanesimo rinascimentale crea un imbarazzo ancorpiù grave quando si affronti il tema dell’«umanesimo cristia-no». Forse Erasmo può essere descritto con qualche ragionecome un umanista cristiano, ma non Ficino o Pico, secondo ilmio parere. Il tentativo pichiano di dimostrare la divinità diCristo per mezzo della magia e della cabala può essere cristianoma non umanistico. Questo tentativo assomiglia molto di piùad una forma di filosofia occulta cristiana (se vogliamo adottarel’espressione di Agrippa). Ficino non è un umanista cristianoma un ermetico cristiano ed un pensatore che, al contrario dialtri ermetici cristiani di cui tratteremo nel prossimo capitolo,non esclude il lato magico.

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Lo Huizinga ha citato le seguenti parole, contenutein un indirizzo di Erasmo ad Anna van Borselen, co-me esempio di come Erasmo sapesse adulare la «pietàformale» dei suoi patroni per trarne un vantaggio eco-nomico: «Ti mando alcune preghiere colle quali, co-me con una formula magica, potrai per così dire chia-mare dal cielo in terra, anche se non vuole, non la lu-na, ma Colei che ha generato il Sole della Giustizia»431.Se, come probabilmente a ragione ritiene lo Huizinga,in questo passo Erasmo è ironico, la sua ironia non è ri-volta contro la pietà formale, ma contro le nuove modeastrologico-religiose.

Così se l’umanesimo secolare non è favorevole al ma-go, non lo è certamente nemmeno l’umanesimo religio-so di tipo erasmiano. E tuttavia c’è un prodotto egizianoal quale anche Erasmo attribuisce qualche valore: i gero-glifici. Egli se ne serve negli Adagia e pensa che essi pos-sano essere utili per promuovere l’unità universale e labuona volontà, come un linguaggio visivo che tutti era-no in grado di comprendere432. È su questo piano, dun-que, che le «lettere egiziane» si ricollegano al latino uma-nistico, in quanto, come questo, possono operare in fa-vore della tolleranza universale e della comprensione re-ciproca, il più caro sogno di Erasmo. Ma questo è un usoperfettamente razionale della tradizione egiziana.

Su piano della distruzione dell’arte e della cultura, siebbero terribili risultati in Inghilterra, quando il semegettato da Erasmo fu portato a frutto dalla Riforma. L’e-liminazione delle immagini «idolatriche» nelle chiese eb-be un parallelo nella distruzione dei libri e dei manoscrit-ti delle biblioteche monastiche e universitarie. Quandonel 1550, sotto il regno di Edoardo VI, i commissari go-

431 J. Huizinga, Erasmo, trad. it. di A. Vita, Milano 1958, p.52.

432 Erasmo, Chiliades adagiorum (1508), II, n. 1.

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vernativi visitarono Oxford, si fecero falò di quanto eraconservato nelle biblioteche e, secondo Wood, ci si ac-canì in modo particolare contro i libri che contenevanodiagrammi matematici.

Io sono sicuro che, quanto ai libri che contenevano angoli odiagrammi matematici, si riteneva che questa fosse una ragionesufficiente per distruggerli, perché si consideravano papisti, odiabolici, o l’una e l’altra cosa insieme433.

La ripugnanza umanistica per gli studi metafisici ematematici si è così trasformata nell’odio della Riforma,per il passato, nella paura della sua magia. Dove questistudi non vengono compresi, nasce anche il superstiziosotimore che essi siano nient’altro che opere magiche.

Questo è, a quanto mi consta, un problema che nonè mai stato posto: fino a che punto la reviviscenza del-la magia nel Rinascimento abbia contribuito a coinvolge-re la filosofia in generale in quel sospetto di magia cheispirò l’attività distruttiva dei riformatori edoardiani, ri-sultante dalla trasformazione dell’umanesimo critico era-smiano contro la Chiesa in cieco fanatismo. È un pro-blema parallelo a quello che abbiamo sollevato in prece-denza: fino a che punto l’iconoclastia della Riforma fos-se provocata dalla credenza nelle virtù magiche delle im-magini, alcune delle quali erano relativamente nuove.

Dopo il breve intervallo della reazione mariana, l’In-ghilterra di Elisabetta si affermò ufficialmente come unpaese riformato: la riforma era di tipo erasmiano, e inogni chiesa furono esposte le parafrasi erasmiane delNuovo Testamento. Per quanto concerne la cultura ac-cademica oxoniense, la conseguenza di tale fenomeno fuche l’antica preminenza di Oxford nel campo degli stu-

433 Anthony A. Wood, The History and Antiquities of theUniversity of Oxford, a cura di J. Gutch, vol. II, parte I(Annals), p. 107.

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di matematici e filosofici non venne restaurata, e fu rim-piazzata da un diverso tipo di cultura.

Il momento centrale della visita di Giordano Bruno inInghilterra fu il dibattito ad Oxford, quando egli espo-se la sua «nuova filosofia»; e dell’accoglienza che ne fe-cero i «pedanti» di Oxford egli si lamenta amaramentenella Cena de le ceneri, per quanto facesse poi una spe-cie di apologia nel De la causa, principio e uno. In un ar-ticolo pubblicato nel 1938-39434, ho analizzato la collo-cazione storica di questo episodio, ponendo in luce chel’obiezione di Bruno ai dottori di Oxford è che essi so-no umanisti, o «pedanti grammatici», come egli li defi-nisce con poca cortesia, che non capiscono la filosofia, edimostrano la loro frivolezza letteraria citando un adagioerasmiano sulla pazzia contro il suo tentativo di insiste-re nella tesi che il sole è al centro dell’universo e la ter-ra si muove. Ho dimostrato che la ritrattazione, che eglifa, dell’offesa contro Oxford, nel De la causa, assume laforma di un peana di ammirazione per la filosofia e lascienza di Oxford nel periodo preriformistico, e ho con-frontato i rapporti fra Bruno e l’Oxford riformata, era-smiana, con quelli fra Pico ed Ermolao Barbaro, laddo-ve Pico difende la sua devozione per gli autori medieva-li e «barbarici» dal disprezzo dell’amico umanista. Sonoancora dell’opinione che quelle osservazioni conservinola loro validità, e non ritengo di riportare a questo puntogli elementi di prova che addussi, a convalida di esse, inquell’articolo435.

Tuttavia ora sappiamo, grazie all’importantissima sco-perta recentemente resa pubblica da Robert McNulty,che Bruno a Oxford citava lunghi brani a memoria dal

434 «Giordano Bruno’s Conflict with Oxford», in Journal ofthe Warburg Institute, II, 1938-9, pp. 227-42.

435 Tuttavia, sulla maggior parte delle questioni sollevate inquesto paragrafo torneremo in seguito.

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De vita coelitus comparanda di Ficino, ai quali egli ricol-legava, in qualche modo, le opinioni di Copernico436. Inbreve, fu nelle vesti di mago ficiniano che Bruno si pre-sentò ad Oxford. Questa importante scoperta e il rap-porto di essa con quello che sarà il tema dei successivicapitoli di questo libro – e cioè che la filosofia di Bru-no è fondamentalmente ermetica, e che egli era un ma-go ermetico del tipo più radicale, con una sorta di mis-sione magico-religiosa della quale il copernicanesimo eraun simbolo – verranno esaminati più approfonditamentein seguito.

Ho qui anticipato l’argomento, perché il chiarimentodella situazione storica nella quale deve essere colloca-to Bruno al fine di comprenderlo è tanto complesso, cheho pensato fosse meglio preparare il lettore agli svilup-pi futuri. Alla fine del capitolo VIII abbiamo visto comelo stesso Copernico associasse alla sua scoperta ErmeteTrismegisto, suggerendo, in tal modo, la possibilità chela sua dottrina venisse interpretata nel senso in cui Bru-no effettivamente la interpretò. E ora, al termine dellanostra analisi dei rapporti fra magia e umanesimo, pos-siamo comprendere come la visita di un mago radicalead Oxford, nel 1583, non potesse mancare di sollevareviolente reazioni.

Assolutamente insostenibile in un paese protestanteche era passato attraverso la riforma erasmiana, la filo-sofia di Bruno lo condusse infine al rogo nella Roma del-la Controriforma.

436 R. McNulty, «Bruno at Oxford», in Renaissance News,XIII, 1960, pp. 300-5. Cfr. più sotto.

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X. L’ERMETISMO RELIGIOSO NEL SECOLO XVI

Ci si poteva accostare agli Hermetica da un punto di vi-sta esclusivamente religioso e filosofico, senza accettar-ne gli elementi magici, dei quali ci si liberava sia appro-vando, di Ermete Trismegisto, la sua qualità di scrittoreprofondamente religioso, ma disapprovandone il ricorsoa forme deteriori di magia, come nel brano sulla costru-zione degli idoli nell’Asclepius, sia interpretando critica-mente questo brano, nel senso che esso non fosse statoscritto da Ermete, ma fosse il frutto di una interpolazio-ne dovuta al mago Apuleio di Madaura, che aveva tra-dotto l’opera in latino. Si poteva, così ammirare senza ri-serve Ermete per la sua singolare penetrazione delle veri-tà del Nuovo e Vecchio Testamento. L’antichissimo Egi-ziano scrive una Genesi che è vicina alla Genesi ebraica;parla del Figlio di Dio chiamandolo la «Parola»; descrivein un «Discorso della montagna» (Discorso della monta-gna di Ermete Trismegisto a suo figlio Tat, Corpus Her-meticum, XIII) un’esperienza analoga alla rigenerazionecristiana; sembra, in un passo, echeggiare addirittura l’i-nizio del Vangelo di san Giovanni. Tutti questi punti dicontatto con il Cristianesimo, che tanto avevano colpitoFicino, divennero facilmente oggetto di estatiche rifles-sioni ed elucubrazioni per coloro che, una volta sgom-brato il campo dalla magia dell’Asclepius, non erano di-sposti, a differenza di Ficino, ad accettare alcuna formadi magia.

Gli studiosi moderni, esaminando gli Hermetica co-me un documento dello gnosticismo ellenistico, non vihanno trovato che poche, o punte, tracce di influenzacristiana437. Per gli entusiasti religiosi del XVI secolo, il

437 Cfr. supra.

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sacerdote egiziano sembrava scrivere quasi da cristiano,come se avesse antiveduto il Cristianesimo dalla sua re-mota posizione cronologica. Quando, nel 1614, per laprima volta dopo dodici secoli (quanti ne corrono all’in-circa fra Lattanzio e Isaac Casaubon), questi rilevò che,per quanto potesse essere esistito, in una lontana anti-chità, un uomo chiamato Ermete Trismegisto, gli Her-metica, non potevano essere stati scritti da lui, significa-tivamente avanzò la supposizione che tutte le opere a luiattribuite, o almeno buona parte, fossero state falsifica-te dai cristiani438. Tanto profondamente l’interpretazionecristiana aveva compenetrato di sé gli Hermetica, che essiapparivano in questa veste a chi per primo si accostassead essi da un punto di vista critico.

Comunque, nel XVI secolo non si era ancora fattaquesta scoperta; e del resto, anche dopo di essa, l’erme-tismo non venne certo immediatamente sbaragliato, maincominciò soltanto parzialmente e settorialmente a per-dere la sua incredibile influenza sul pensiero religioso.Verso la fine del XVI secolo questa influenza conobbeun crescendo che valse a protrarla nel XVII, nel qualesi attardò a lungo. Come ha detto J. Dagens, «la fin duXVIe siècle et le début du XVIIe siècle ont été l’âge d’orde l’hermétisme religieux»439.

L’ermetismo religioso privato di ogni implicazionemagica ebbe considerevoli sviluppi in Francia dove, co-me ha chiarito D. P. Walker, il movimento neoplatonicoimportato dall’Italia veniva seguito con qualche cautela,ed erano apertamente riconosciuti i pericoli della priscatheologia nella misura in cui essa incoraggiava l’eresia e

438 Cfr. più sotto.439 J. Dagens, «Hermétisme et cabale en France de Lefèvre

d’Etaples à Bossuet», in Revue de littérature comparée, Janvier-Mars 1961, p. 6.

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la magia440. Lefèvre d’Etaples fu il primo a introdurre inFrancia l’ermetismo, e a porre in guardia contro la magiadell’Asclepius. Egli era stato in Italia ed aveva conosciu-to Pico e Ficino. Di quest’ultimo si dichiarava discepo-lo e caldo ammiratore e un’edizione da lui curata del Pi-mander fu pubblicata in Francia, dall’università di Pari-gi, nel 1494. Pochi anni più tardi, nel 1505, Lefèvre riu-nì insieme, per la prima volta in un solo volume, il Pi-mander di Ficino e l’Asclepius; e vi aggiunse un suo com-mento all’Asclepius nel quale condannava, come magiaperversa, il brano sulla costruzione degli idoli441. Il vo-lume era dedicato a un famoso vescovo francese, Guil-laume Briçonnet, e inaugurò, in tal modo, la tradizioneecclesiastica dell’ermetismo senza magia in Francia. Poi-ché Lefèvre d’Etaples aveva scritto, lui stesso, un librodi magia che non pubblicò mai442, è possibile che la cu-ra con la quale evitava questo pericoloso argomento fos-se dovuta al pentimento dei propri errori, o al tentativodi tenerli nascosti. Nello stesso volume, insieme con ilPimander e con l’Asclepius, egli incluse anche un’operasingolarissima, scritta, prima del 1494, da Ludovico Laz-zarelli, un ermetico entusiasta ed estremista. Si tratta delCrater Hermetis, modellato su uno dei trattati di rigene-razione degli Hermetica (Corpus Hermeticum, IV), e chedescrive, in uno stile estremamente esaltato, la trasmis-sione dell’esperienza rigeneratrice dal maestro al disce-polo. In un notevole studio su questo scritto, P. O. Kri-steller ha suggerito la possibilità che esso alluda all’infu-sione dello spirito di Cristo nei suoi discepoli, interpre-

440 D. P. Walker, «The “Prisca Theologia” in France», inJ.W.C.I., XVII, 1954, pp. 204-59.

441 Si tratta del commento che è stampato insiemeall’Asclepius nelle raccolte di opere di Ficino e che inizialmentegli era stato attribuito (cfr. supra).

442 Ne esiste il manoscritto: cfr. Thorndike, IV, p. 513.

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tata come un’esperienza ermetica che può essere ripetutanei tempi moderni da un ermetico ispirato443. Così, perquanto desse il bando alla magia dell’Asclepius, Lefèvreincluse nello stesso volume un’opera che è, in un certosenso, un’interpretazione magica della psicologia dell’e-sperienza religiosa444. Una versione francese del Crater

443 Kristeller è stato un pioniere nel portare alla luce do-cumenti sulla straordinaria figura del Lazzarelli e sulla ancorpiù straordinaria figura del suo mentore Giovanni Mercurio daCorreggio, che sembra si considerasse una specie di Cristo er-metico. Nel 1484 camminava per le vie di Roma portando incapo una corona di spine con la scritta: «Hic est puer meus Pi-mander quem ego eligi». Sul Lazzarelli e «Giovanni Mercurio»,cfr. Kristeller, Marsilio Ficino e Ludovico Lazzarelli, pubblicatodapprima sotto forma di articolo nel 1938 e successivamente, inversione ampliata e riveduta, in Studies, pp. 221-47; Ancora perGiovanni Mercurio da Correggio, in Studies, pp. 249-57; «Lo-dovico Lazzarelli e Giovanni da Correggio», in Biblioteca degliArdenti della città di Viterbo, 1961.

Estratti del Crater Hermetis e dell’Epistola Enoch (quest’ulti-ma su Giovanni Mercurio e la sua missione ermetica) del Lazza-relli, sono stati pubblicati con introduzione e note da M. Briniin Test. uman., pp. 23-77.

Nel Crater Hermetis, come pure nei documenti ad esso col-legati, troviamo elementi sia cabalistici che ermetici. Non è daescludere che il fenomeno Lazzarelli «Giovanni Mercurio» siaancora da collocare nel suo appropriato contesto storico. Essopotrebbe, ad esempio, venir collegato alla controversia su Picoin cui fu agitato il problema se magia e cabala fossero in gra-do di confermare la divinità di Cristo, problema al quale det-te una risposta così sorprendentemente affermativa papa Ales-sandro VI. In un sonetto di «Hermes Junior», quasi certamen-te «Giovanni Mercurio», c’è un punto in cui il commentatoreha ritenuto di scorgere un riferimento ad Alessandro VI (cfr.Kristeller, Studies, pp. 252, 255).

444 Walker suggerisce (pp. 70-1) che l’esperienza descrittanel Crater Hermetis sia in qualche modo simile ad un’operazio-ne magica mediante la quale il maestro forniva al proprio di-scepolo l’assistenza di un dèmone buono, ed analoga all’intro-

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Hermetis fu compresa in una traduzione degli Hermeti-ca dedicata al cardinale Charles de Lorraine nel 1549, equesto fatto lascia arguire che l’entusiasmo religioso dinatura ermetica facesse progressi nei circoli ecclesiasticifrancesi.

Symphorien Champier di Lione fu un eminente apo-stolo del neoplatonismo in Francia e un fervido ammira-tore di Ficino. Nel suo De quadruplici vita (Lione 1507)egli imita i Libri de vita di Ficino, ma senza ricorrere aitalismani del De vita coelitus comparanda rispetto ai qua-li esprime la sua disapprovazione. Fu lo stesso Cham-pier ad avanzare per primo la rassicurante opinione cheil brano magico dell’Asclepius non fosse dovuto al santoErmete, ma fosse stato interpolato nella traduzione latinadal perverso mago Apuleio di Madaura445, Quest’idea fuin seguito ripresa dagli autori francesi che scrissero sul-l’ermetismo, e contribuì alla generale approvazione del-l’ermetismo religioso. Champier pubblicò, nel De qua-druplici vita, una traduzione latina di Ludovico Lazza-relli delle Definitiones, cioè dell’ultimo trattato del Cor-pus Hermeticum446, che Ficino non aveva tradotto perchémancava nel suo manoscritto. La caratteristica più note-

duzione di dèmoni negli idoli descritta nell’Asclepius. Lefèvreriferisce che Lazzarelli interpretava il passo dell’Asclepius sullafabbricazione degli idoli «come se gli idoli fossero gli Aposto-li e il loro costruttore fosse Cristo» (cit. da Walker, «The “Pri-sca Theologia” in France», p. 241, dal commento di Lefèvreall’Asclepius).

445 Walker, «The “Prisca Theologia” in France», pp. 234-9.446 Corpus Hermeticum, XVI (diviso in tre parti dagli editori

moderni); C. H., II, pp. 231-55. La traduzione latina delLazzarelli è stata ripubblicata sulla base dell’edizione del 1507da C. Vasoli, Temi e fonti della tradizione ermetica in uno scrittodi Symphorien Champier, in Umanesimo e esoterismo, a curadi E. Castelli, Padova, 1960, pp. 251-9. Sul codice viterbesecontenente il manoscritto della traduzione lazzarelliana, cfr.

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vole di questo trattato ermetico, pubblicato allora per laprima volta in traduzione latina, è il formidabile branosul sole e sui «cori di demoni» che lo circondano.

Nel 1554 Adrien Turnèbe pubblicò a Parigi la primaedizione del testo greco del Corpus Hermeticum, insiemecon la traduzione latina di Ficino e la traduzione lazza-relliana del trattato mancante in Ficino. Una prefazionedel Vergerio sottolinea le analogie fra ermetismo e Cri-stianesimo; in essa si sostiene che l’egiziano Ermete vis-se prima di Faraone, e dunque prima di Mosè447. Sembraquasi che vi sia una tendenza per cui, quanto più santoe cristiano viene considerato Ermete Trismegisto, tantopiù indietro si fa risalire la sua esistenza. Col Vergeriosiamo addirittura arrivati a prima di Mosè.

François de Foix de Candale, vescovo di Aire, rag-giunge inusitate altezze di estasi religiosa ermetica. Nel1574 egli pubblicò un’altra edizione del testo greco de-gli Hermetica, basata su quella del Turnèbe con emenda-menti proposti dallo Scaligero e da altri. Egli ritiene cheErmete abbia conseguito una conoscenza delle cose di-vine superiore a quella dei profeti ebraici e pari a quel-la degli apostoli e degli evangelisti. Ermete è vissuto pri-ma di Mosè, ed è stato ispirato da Dio. I brani perversidell’Asclepius sono stati interpolati da Apuleio. Nel 1579egli pubblicò una traduzione francese degli Hermetica, laprefazione ripete questi concetti e sembra quasi innalza-re l’opera di Ermete Trismegisto al livello delle scritturecanoniche448.

Kristeller, Studies, pp. 227 sgg., e l’articolo sopra citato, inBiblioteca degli Ardenti della città di Viterbo.

447 Kristeller, Studies, p. 223; Walker, «The “Prisca Theolo-gia” in France», p. 209; citazioni dalla prefazione del Vergerioin Scott, I, pp. 33-4.

448 Walker, «The “Prisca Theologia” in France», p. 209;Scott, I, pp. 34-6.

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Nonostante questo coro crescente di approvazioni perun Ermete purgato degli elementi magici, e quindi anchedei talismani ficiniani, la corrente magica ebbe un certoseguito anche in Francia. Secondo Jacques Gohorry,o «Leo Suavius», come egli stesso si chiamava, Ficinoera stato un moderato e occorreva instaurare una magiaermetica ben più radicale. Il Gohorry visse a Parigi finoalla sua morte, nel 1576, e sembra che gestisse una speciedi accademia magico-medica, non lungi dall’Accademiadi musica e poesia di Jean-Antoine de Baïf449.

Viene anche fatto di pensare che il biasimo per la ma-gia dell’Asclepius, riversato dai pii ermetici su Apuleio diMadaura, possa aver richiamato l’attenzione dei maghi«professionisti» su questo autore, il cui romanzo l’Asinod’oro era stato tanto popolare nel Rinascimento italiano.Il romanzo dipinge, con mirabile efficacia, la vita del-la tarda antichità, pervasa da manifestazioni magiche diogni specie. Le esperienze dell’eroe che, mutato in asinoda perfide streghe, soffre tutti i colpi e gli oltraggi del-la fortuna nelle sue spoglie asinine, viene poi liberato daquesto ingombro nel corso di una visione estatica di Isi-de nascente dal mare – in prossimità della spiaggia de-serta dove è giunto in preda alla disperazione – ed è in-fine iniziato ai misteri di Iside, assurgendo alla carica disacerdote del suo culto, raffigurano l’odissea di un ma-go vittima di circostanze avverse. Il romanzo è scritto inuno stile freddo e splendido, faceto e osceno, e, al di sot-to della ridicola vicenda asinina, presenta in forma arca-namente simbolica i misteri egiziani. Un simile stile po-trebbe avere affascinato un mago moderno, imponendo-glisi come modello. Ed è chiaro che penso a GiordanoBruno.

Ficino e Pico avevano fatto della prisca theologia e delneoplatonismo la base di una sintesi, religiosa cristiana,

449 Walker, Spiritual and Demonic Magic, pp. 96-106.

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nella quale tutti i filosofi pagani apparivano come pre-cursori e profeti del Cristianesimo. Questa accezioneteologica o sincretistica della prisca theologia è del tut-to indipendente dalla magia, e conosce considerevoli svi-luppi presso molti scrittori teologici francesi del XVI se-colo. Pontus de Thiard, vescovo di Chalon-sur-Saône, èun esempio tipico di questa tendenza:

Dalla sacra scuola egiziana... ci è pervenuta la segreta dottri-na e la conoscenza salutifera del numero ternario, tanto venera-to che l’essenza del mondo è attribuita interamente alle sue ca-ratteristiche di numero, peso e misura. È un segreto che i Ma-gi connettevano ai tre dèi che avete nominato. Perché con Or-muzd essi intesero Dio, con Mitra l’intelletto, o ciò che i Latinichiamano mens, e con Ahriman l’anima450.

La maggior parte di questi argomenti, e altri similiusati da Pontus de Thiard, derivano direttamente dallaTheologia platonica di Ficino451. Nel brano citato, il ma-teriale egiziano o zoroastriano non viene usato in sensomagico, ma piuttosto in quanto indizio, nella prisca theo-logia, di una profetica antiveggenza della Trinità, o, co-me dice poco più tardi Pontus de Thiard nello stesso bra-no, quale testimonianza che «la sostanza divina, diffon-dendo i suoi poteri su tutte le nazioni, non ha lasciatonessun popolo al mondo senza qualche odore di divini-tà».

L’estrema pietà cristiana di Ermete Trismegisto, unavolta purificato degli elementi deteriori dell’Asclepius,fece di costui un priscus theologus sul quale era utilissimoinsistere in argomentazioni del genere. Pontus de Thiardconsidera la teologia di Ermete la più antica fra tutte e,

450 Pontus de Thiard, Deux discours de la nature du Monde etde ses parties, Paris 1578, p. 98 recto, ristampati sotto il titoloThe Universe, a cura di J. C. Lapp, Columbia 1950, pp. 148-9.

451 Lib. IV, cap. I (Ficino, p. 130).

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dopo aver citato una preghiera del Pimander, si doman-da retoricamente se si possa trovare qualcosa – compre-si i salmi di David – di più pio e religioso452. Nativo del-la regione di Lione, senza dubbio egli fu influenzato dal-la purificata versione dell’ermetismo fornita da Sympho-rien Champier.

Nella sua prefazione all’opera di Pontus de Thiard,Jacques Davy Du Perron, in seguito vescovo di Evreuxe infine cardinale, ne accentua il carattere sincretistico, eafferma che in essa l’autore mostra una piena padronanzadella dottrina cabalistica dei tre mondi, l’intelligibile,il celeste e il visibile453. Anche qui, il cabalismo nonviene visto come cabala pratica, ma piuttosto come unavaga conferma del prevalente sincretismo, tratta dallatradizione ebraica.

Ho esaminato a lungo, nel mio libro su The FrenchAcademies of the Sixteenth Century, gli influssi eserci-tati dalla sintesi teologica di scrittori come Pontus deThiard e Du Perron sulla poesia della Pleiade francesee in particolare sull’Accademia di poesia e musica fonda-ta da uno dei suoi membri, il Baïf. L’Accademia si pre-figgeva, soprattutto, di «misurare» insieme poesia e mu-sica, alla maniera di quello che si riteneva il metodo usa-to dai musicisti dell’antichità per produrre «effetti» sugliascoltatori. Dall’Accademia uscirono sia canzoni profa-ne, ricche di allusioni mitologiche, sia salmi, gli uni e lealtre posti in musica secondo identici criteri. Il proble-ma se tali composizioni possano considerarsi «incantato-

452 Pontus de Thiard, Deux discours, ecc., 1578, pp. 112verso-113 recto (ed. Lapp, p. 169); cfr. Walker, «The “PriscaTheologia” in France», p. 210.

453 Pontus de Thiard, Deux discours, ecc., 1578, prefazionedel Du Perron, seg. a IIII verso; cfr. il mio libro The Fren-ch Academies of the Sixteenth Century, Warburg Institute, Uni-versity of London 1947 (ristampato nel 1968 da Kraus ReprintLtd.), pp. 88-9.

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rie», nel senso magico, è estremamente difficile, perchéin questo periodo è davvero arduo tracciare un confinepreciso fra magia e arte, come del resto fra magia e reli-gione. È possibile che l’intenzione incantatoria o magi-ca variasse da persona a persona. Un vescovo come Pon-tus de Thiard poteva fare caute riserve, in armonia conla prudenza gallicana, nei riguardi della prisca theologia.Ma dobbiamo anche ricordare che, al centro della cor-te francese, spirito animatore delle feste durante le qua-li venivano impiegate le nuove tecniche, c’era «l’italia-na», la regina madre, Caterina de’ Medici, appartenen-te alla grande famiglia fiorentina che aveva aiutato Fici-no e Pico, e non ne aveva certo scoraggiato la magia. Eranoto l’interesse di Caterina per i talismani, l’incoraggia-mento che dava a maghi e astrologi, ed è difficile crede-re che, dietro alle sue feste, non si celasse qualche inten-zione magica. Quando, nel Ballet comique de la reine del1581, tipico prodotto di quella tradizione che essa avevainaugurato, la regina vedeva discendere dal cielo Giove eMercurio, sollecitati dalle musiche e dalle canzoni incan-tatorie, è dubbio che essa, grande artista qual era, consi-derasse la manifestazione come una pura rappresentazio-ne artistica. Più probabilmente, per lei, una rappresenta-zione del genere aveva il significato di un vasto e compli-cato talismano, di una disposizione, secondo un ordinefavorevole, degli dèi planetari, che si risolveva non soloin una meravigliosa opera d’arte, ma anche in un’opera-zione magica, grazie alla quale si attirava realmente il fa-vore celeste sulla monarchia francese, e sulla causa dellapacificazione delle guerre di religione454.

454 Sul Ballet comique, cfr. i miei libri The French Academiesof the Sixteenth Century, pp. 236 sgg., e The Valois Tapestries,Warburg Institute, University of London 1959, pp. 82 sgg. Nel-l’articolo «Poésie et Musique au Mariage du Duc de Joyeuse»,(in Musique et Poésie au XVIe siècle, Centre National de la Re-

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Tutti gli scrittori che abbiamo finora ricordato nel cor-so di questo capitolo erano cattolici, ma con PhilippeDuplessis Mornay siamo in presenza di un autore pro-testante, che ricorse largamente all’ermetismo455 nel Dela vérité de la religion chrétienne, pubblicato da Plantinad Anversa nel 1581, con una dedica al re di Navarra.Nella dedica Mornay afferma che «in questi tempi infe-lici» egli intraprende una grande iniziativa religiosa, cer-cando di studiare il mondo «come ombra dello splendo-re divino», e l’uomo come fatto a immagine di Dio. Sul-lo scorcio finale del secolo, in un’Europa devastata dalleterribili guerre e persecuzioni generate dal conflitto fraRiforma e reazione cattolica, Mornay esemplifica la ten-denza di coloro che si volgevano alla religione ermeticadel mondo per porsi al di sopra di quei conflitti, cercan-do così di sfuggire alle angosce provocate dall’uso fana-tico della forza ad opera di entrambe le parti in lotta. Isaggi di ogni epoca hanno insegnato che Dio è unico, di-ce Mornay:

Mercure Trismegiste, qui est (si vrayement ces liures sont deluy, &, pour le moins sont-ils bien anciens) la source de tous,enseigne par tout: Que Dieu est un; Que l’unité est la racinede toutes choses... Qu’a luy seul appartient le nom de Pere, &de Bon... Il l’appelle le Pere du monde... l’Action de toutespuissances, la Puissance de toutes actions... Seul & luy-mesmesTout; sans Nom, & meilleur que tout Nom456.

cherche Scientifique, Paris 1954, pp. 241 sgg.) ho cercato di in-dicare gli aspetti magici di tale spettacolo, mettendo in rappor-to (p. 255) la discesa di Giove nel balletto con un talismano diGiove che si dice fosse posseduto da Caterina.

455 Walker, «The “Prisca Theologia” in France», pp. 209,211-2, e Dagens, art. cit., p. 8, hanno richiamato l’attenzionesull’uso dell’ermetismo in Mornay.

456 Mornay, De la vérité de la religion chrétienne, Anversa1581, p. 38.

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Il Mornay indica a margine, come fonte di questipensieri, il Pimander, II, III, IV, V, VI, IX, XI, XIII(cioè i corrispondenti trattati del Corpus Hermeticum) el’Asclepius.

In altri brani discute la concezione ermetica del «Fi-glio di Dio» come Parola, e riporta la versione ermeticadella creazione confrontandola con la Genesi457. Inoltrederiva da Pico della Mirandola meditazioni mistiche sulNulla in tutte le dottrine religiose:

... les Egyptiens inuoquans le premier principe, qu’ils appe-loyent Tenebres au dessus de toute cognoissance comme l’En-soph des Hebrieux, ou la nuit d’Orphée458.

Alla conclusione di Pico, per cui la nox orfica corri-sponde all’Ensoph della cabala, Mornay aggiunge, comedottrina identica, l’insegnamento egiziano (cioè ermeti-co) relativo alle tenebre al di sopra della ragione, al nes-sun Nome al di sopra dei Nomi. Egli tratta molto piùampiamente della cabala e menziona lo Zohar del qualedeve evidentemente avere una certa conoscenza459.

Il Mornay compie la consueta sintesi di ermetismo ecabala, ma non è della magia e della cabala pratica cheegli si occupa. La sua sintesi ha natura esclusivamenteteologica e mistica. Egli afferma in seguito, con estremadecisione, che la cabala non è magia, che Mosè non eraun mago, e che ogni forma di magia è vana e corrotta460.

L’opera del Mornay riflette la situazione che si deter-minò, nel 1581, ad Anversa dove Guglielmo d’Orange

457 Ibid., pp. 80, 98-100.458 Ibid., pp. 101-2.459 Ibid., pp. 106 sgg., 740 sgg. Dagens, nell’art. cit., pp. 9,

11, ha posto in evidenza che Mornay connette gli insegnamentiermetici e cabalistici con il misticismo pseudo-dionisiano.

460 Ibid., pp. 633 sgg.

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cercava di fare dei Paesi Bassi meridionali, provvisoria-mente liberati dalla dominazione di Filippo II di Spa-gna, uno stato ispirato ai princìpi della tolleranza reli-giosa. Nell’anno successivo, il principe francese Fran-cesco d’Anjou fu posto, dall’Orange, a capo del nuovostato, che ebbe peraltro breve vita e dovette soccombe-re sotto la pressione di numerosi disastri461. La cosa in-teressante è che i promotori di questa iniziativa, quan-do cercavano di praticare i princìpi della tolleranza reli-giosa, si rifacevano alla tradizione erasmiana. C’è dun-que un momento, nell’ansia del XVI secolo di sfuggirealle discordie religiose, in cui la tradizione erasmiana sicollega con quella, interamente diversa, del movimentoermetico-cabalistico.

Questo stato di cose ebbe una conseguenza sui pro-blemi che Giordano Bruno dovette affrontare in Inghil-terra, dove, secondo quanto egli stesso dice, fu meglioaccolto da sir Philip Sidney e dal suo circolo, che nondai «pedanti» di Oxford. Infatti il Sidney aveva una vi-va simpatia per la causa dei Paesi Bassi meridionali, perla quale, nel 1586, non molto dopo la partenza di Bru-no dall’Inghilterra, doveva offrire la vita. E il DuplessisMornay era per Sidney un amico, oltre che il suo teolo-go preferito, come è provato dal fatto che Sidney inco-minciò a tradurre in inglese proprio l’opera dalla qualeabbiamo tratto più sopra alcuni brani. La morte gli im-pedì di portare a termine la traduzione, che fu comple-tata da Arthur Golding. Questi la pubblicò nel 1587 co-me A Woorke concerning the trewnesse of the Christian

461 Nel mio libro The Valois Tapestries, Warburg Institute,University of London 1959, ho analizzato il fallito tentativodell’Orange volto a dar vita a uno stato tollerante sotto lacorona d’Anjou, dimostrando che questi arazzi riflettono lesperanze di quella storica occasione perduta.

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Religion, con una dedica al conte di Leicester, il qualecombatteva allora contro la Spagna nei Paesi Bassi.

Possiamo dunque citare di nuovo, in quello che è forsel’inglese di Sidney, il brano riportato più sopra, che sitrova poco dopo l’inizio dell’opera:

Mercurio Trismegistus, who (if the bookes which are fathereduppon him bee his in deede, as in trueth they bee very auncient)is the founder of them all, teacheth euerywhere, That thereis but one God: That one is the roote of all things, and thatwithout that one, nothing hath bene of all things that are: Thatthe same one is called the onely good and the goodnesse it selfe,which hath uniuersall power of creating all things... That untohim alone belongeth the name of Father, and of Good... Hecalleth him the father of the world, the Creator, the Beginning...the worker of all powers, and the power of all works462.

Perciò il Sidney conosceva le dottrine ermetiche nellaforma libera da ogni elemento magico nella quale leaveva presentate Mornay.

Che cosa dunque pensò sir Philip Sidney di GiordanoBruno e della sua panacea per la situazione religiosa inEuropa, che costituiva un ritorno all’ermetismo magico,alla tradizione magica egiziana? Il messaggio del magoderivava certo dalla tradizione ermetica, ma era di tono

462 A Woorke concerning the trewnesse of the Christian Reli-gion, by Philip of Mornay... begun by Sir P. Sidney, finishedat his request by Arthur Golding, London 1587, p. 27. Poichéquesto passo si trova nel cap. III, e Golding dice nella prefazio-ne che Sidney aveva già tradotto alcuni capitoli prima di recarsialla guerra, è possibile che il passo citato fosse stato tradotto daSidney, anche se non possiamo esserne sicuri. Per una discus-sione di questo problema, e per un’analisi dell’uso della priscatheologia nell’opera del Duplessis Mornay come precedente diun brano dell’Arcadia di Sidney, cfr. D. P. Walker, «Ways ofDealing with Atheists: a Background to Pamela’s Refutation ofCecropia», in Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance, XVII,1955, pp. 252 sgg.

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e contenuto del tutto diversi dall’ermetismo protestantee non magico di Mornay.

Un altro notevole esempio di ermetismo religioso delXVI secolo è il commento al Pymander Hermetis Mer-curii Trismegistus, in sei enormi volumi, del cappucci-no italiano Annibale Rosseli, pubblicato a Cracovia nel1585-90463. Il Rosseli si serve del testo degli Hermeticacurato da François de Foix de Candale, e ciò lo inquadranella tradizione francese di ermetismo religioso. Rosseliè cauto rispetto alla magia, contro la quale pone in guar-da il lettore464. Egli dedica molte pagine alle gerarchiedello Pseudo-Dionigi465 prima di passare ai «sette gover-natori» menzionati nel Pimander, che identifica con al-trettanti angeli466. Egli è, si potrebbe dire, estaticamen-te consapevole della continuità fra mondo celeste e mon-do sovraceleste, ma, poiché non fa menzione della caba-la, è probabile che non tenti di esercitare la magia ange-lica. Egli si accosta all’ermetismo da un punto di vistaprofondamente religioso e cristiano e i suoi sforzi dav-vero prodigiosi sono una testimonianza del crescente en-tusiasmo religioso suscitato dall’ermetismo sul finire delsecolo. Poiché il Rosseli era un cappuccino, si può de-durre che l’ermetismo religioso si fece sentire anche nel-l’ambito di quest’ordine della Controriforma.

È stato detto da J. Dagens che «cette influence del’hermétisme religieux a touché les protestants et les ca-tholiques, favorisant, chez les uns et les autres, les ten-dances les plus iréniques»467. Forse non è senza significa-

463 Ne venne stampata un’altra edizione a Colonia nel 1630.Cfr. Scott, I, p. 36; Dagens, art. cit., p. 7.

464 Annibale Rosseli, Pimander Hermetis Mercurii Trismegi-stus, cum commentariis, Colonia 1630, I, pp. 322 sgg.

465 Ibid., pp. 241 sgg.466 Ibid., pp. 248 sgg.467 Dagens, art. cit., p. 8.

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to che, come il trattato protestante del Mornay fu pub-blicato ad Anversa dove Guglielmo d’Orange cercava, diattuare i princìpi della tolleranza religiosa, così anche ilgrande sistema di ermetismo cattolico del Rosseli vedes-se la luce in Polonia, cioè in un paese dove la tolleran-za religiosa era una realtà. Tentativi come quelli di Ros-seli e Mornay non avevano specificamente di mira l’ire-nismo, o la riunificazione religiosa, ma soltanto la tolle-ranza, il ripudio della forza per risolvere i problemi reli-giosi; e proprio a questo fine essi cercavano di instaurareun clima di tolleranza cristiana, mediante il ritorno allareligione ermetica del mondo, intesa in senso cristiano.

Alla corte francese, negli armi fra il 1580 e il 1590, il reEnrico III era al centro di un intenso movimento religio-so, vivamente influenzato dai cappuccini, un ordine cheil re incoraggiò molto e al quale erano affiliate le nume-rose confraternite di penitenti che a lui facevano capo468.Egli cercava di affrontare da un punto di vista religiosola situazione nella quale era venuto a trovarsi. Incorag-giati da Filippo di Spagna, gli estremisti cattolici france-si propendevano per soluzioni violente e pericolose; gliestremisti protestanti erano altrettanto intransigenti. Ilre desiderava una soluzione di compromesso e tentava dipromuovere una «politique» cattolica, o un movimentoreligioso tollerante che dipendesse direttamente da lui esi ispirasse al principio della piena lealtà verso la monar-

468 Una serie di disegni del Cabinet des Estampes rappresen-ta una lunga processione religiosa che si snoda per le vie di Pa-rigi ed esce nella campagna in pellegrinaggio. Vi prendono par-te Enrico ed i suoi confrères penitenti, e la processione è gui-data da frati cappuccini. Nel mio articolo «Dramatic ReligiousProcessions in Paris in the Late Sixteenth Century» (in AnnalesMusicologiques, II, Paris 1954, pp. 215-70) ho pubblicato que-sti disegni, analizzandone il significato e mettendo in evidenza(pp. 223 sgg.) l’importanza della presenza dei cappuccini inessi e nel movimento religioso di Enrico in generale.

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chia francese. Ho studiato in altri libri469 il clima che sivenne formando attorno ad Enrico III, e in un articolo su«The Religious Policy of Giordano Bruno»470 pubblicatonel 1939-40 ho dimostrato come, quando nel 1582 Bru-no si recò in Inghilterra da Parigi, dove aveva ottenutoun certo appoggio dal re, egli intraprendesse una speciedi missione politica, facendosi portavoce delle intenzionipacifiche e religiose di Enrico in contrasto con le ambi-zioni bellicose della Spagna, dalle quali anche l’Inghilter-ra era minacciata. Enrico, dice Bruno nello Spaccio dellabestia trionfante.

... ama la pace, conserva quanto si può in tranquillitade edevozione il suo popolo diletto; non gli piacene gli rumori,strepiti e fragori d’instrumenti marziali che administrano alcieco acquisto d’instabili tirannie e prencipati de la terra; matutte le giustizie e santitadi che mostrano il diritto camino alregno eterno471.

Ho avanzato anche l’ipotesi che la filosofia di Brunoavesse uno sfondo religioso e sottintendesse una missio-ne di riconciliazione religiosa nei confronti dell’Inghil-terra protestante.

L’ermetismo religioso francese, e l’ermetismo religio-so cattolico di un cappuccino come il Rosseli furono cer-tamente conosciuti da Bruno nell’ambiente parigino dalquale proveniva. Tuttavia, il suo ermetismo, la sua «nuo-va filosofia», che egli propone come panacea per la si-

469 The French Academies of the Sixteenth Century e TheValois Tapestries.

470 Journal of the Warburg Institute, III, 1939-40, pp. 181-207. Cfr. anche The French Academies, pp. 225-9.

471 Giordano Bruno, Spaccio della bestia trionfante, dial. 3(Dial. ital., p. 826). Cfr. «The Religious Policy of GiordanoBruno», p. 224; The French Academies, pp. 227-8; e più avanti,pp. 251-2.

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tuazione religiosa, non coincidono con l’ermetismo cri-stiano, pseudo-dionisiano e angelico del tipo che trovia-mo nel Rosseli, per quanto quest’autore dovrebbe essereattentamente studiato in rapporto a Bruno.

In questo rapido excursus sull’imponente tema del-l’ermetismo cinquecentesco sono ricorsa a pochi esempi,scelti con l’intento di agevolare la valutazione – che saràoggetto dei prossimi capitoli – della posizione di Brunocome filosofo ermetico. È giunto ora il momento di par-lare di Francesco Patrizi che, in rapporto a questo no-stro intento, rappresenta, sotto molti aspetti, il caso piùinteressante.

Come ha detto Scott, «sembra che il Patrizi sia statospinto da un entusiasmo genuino ad assumersi il compitodi operare una restaurazione della vera religione; ed egliconsiderava gli Hermetica uno dei più validi strumentisu cui poter contare nell’esecuzione del suo disegno»472.Egli abbozzò lo schema del suo progetto nella Nova deuniversis philosophia, pubblicato per la prima volta a Fer-rara nel 1591 (II edizione, Venezia 1593), con una dedi-ca a papa Gregorio XIV. Insieme con la sua «Nuova filo-sofia universale», il Patrizi pubblicò anche il Corpus Her-meticum nel testo greco di Turnèbe e Foix de Candale,corredandolo di una nuova traduzione latina, e inoltrel’Asclepius e alcuni degli Hermetica conservati da Stobeocon la relativa versione latina. Il Patrizi, in tal modo, re-se agevolmente disponibile, con questo volume – e comebase della sua nuova filosofia – una raccolta di Hermeticapiù ampia di tutte quelle fino ad allora messe insieme. Lasua fu un’impresa di devozione entusiastica; egli crede-va che Ermete Trismegisto fosse vissuto un po’ prima di

472 Scott, I, p. 37.

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Mosè473; che la versione mosaica della creazione doves-se essere integrata con quella del Pimander; che Ermeteparlasse molto più chiaramente di Mosè in relazione almistero della Trinità474.

Nella dedica a Gregorio XIV della Nova de universisphilosophia il Patrizi afferma che, ai suoi tempi, si vedenel filosofo uno che non crede in Dio. La ragione di ta-le opinione è questa: che l’unica filosofia studiata è quel-la di Aristotele, il quale nega l’onnipotenza e la provvi-denza di Dio. Tuttavia Ermete ha detto che senza filoso-fia è impossibile essere pii, ed è per questo che il Patri-zi ha cercato di scoprire una filosofia più vera, grazie al-la quale si possa ritornare a Dio. Egli spera che il papae i suoi successori adotteranno questa filosofia religiosa,e disporranno che essa divenga oggetto di insegnamen-to ovunque. Poi si domanda perché vengano studiatequelle parti della filosofia aristotelica che sono contrariea Dio, quando un trattato ermetico contiene più filoso-fia di tutte le opere di Aristotele messe insieme. Anchemolti dei dialoghi di Platone dovrebbero essere pubbli-camente insegnati; e così Plotino, Proclo, e gli antichi Pa-dri. Invece gli scolastici sono pericolosi, perché troppoaristotelici.

Vorrei che Voi, Santo Padre, e tutti i Papi futuri, disponesteche alcuni dei libri che ho menzionato [soprattutto gli Hermeti-ca] fossero costantemente insegnati ovunque, come io li ho in-segnati negli ultimi quattordici anni a Ferrara. Rendereste, co-sì, amici della Chiesa tutti gli uomini capaci d’Italia, Francia e

473 «Videtur Hermes hic Trismegistus coetaneus quidemfuisse Mosy, sed paulo senior...» Introduzione agli Hermeticanel Nova de universis philosophia del Patrizi; cfr. Scott, I, p. 40.

474 «Poemander creationem mundi et hominis, cum Mosaicafere eandem complectitur. Et Trinitatis mysterium longe aper-tius quam Moses ipse enarrat.» Dedica a Gregorio XIV del No-va de universis philosophia del Patrizi. Cfr. Scott, I, p. 39.

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Spagna; e forse persino i protestanti tedeschi seguirebbero l’e-sempio di questi, e tornerebbero alla fede cattolica. È moltopiù facile recuperarli così, che con la costrizione delle censureecclesiastiche o con armi secolari. Dovreste fare insegnare que-sta dottrina nelle scuole dei gesuiti, che stanno facendo un co-sì buon lavoro. Se farete questo, Vi attende una grande gloriapresso gli uomini dei tempi avvenire. E Vi prego di accettarmicome Vostro collaboratore in questa impresa475.

Siamo qui in presenza della pia filosofia, basata sull’er-metismo, in un chiaro contesto controriformistico. Ai ge-suiti viene consigliato di usarla ed essa, d’altra parte, con-sentirà di recuperare pacificamente i protestanti, senzaricorrere a persecuzioni, né all’impiego delle armi.

La «nuova filosofia» del Patrizi, così come viene espo-sta nel Nova de universis philosophia, si inserisce moltopiù nella tradizione dell’ermetismo italiano, risalente aFicino e a Pico, che in quella francese, così attenta nel-l’evitare la magia. Il Patrizi cita Platone, il quale ave-va detto che la magia è il culto degli dèi476, e «Giovan-ni Pico», secondo il quale il mago, fra i Persiani, ha lastessa posizione del filosofo fra i Greci477. Altrove ripeteche il vero significato della parola mago è «uno che col-tiva Dio», e che la parte più antica della magia, o priscamagia, è vera religione478. Nel primo libro479 egli tracciaun sistema della luce, partendo dalla luce sovraceleste egiungendo, attraverso le stelle, a quella del sole in questomondo: e, in questo contesto, si richiama ad Ermete e a

475 Patrizi, dedica del Nova de universis philosophia; cit. daScott, loc. cit.

476 Zoroaster, opera con numerazione separata in Patrizi, No-va de universis philosophia, p. 4 verso.

477 Ibid., loc. cit.478 Ibid., p. 5, e in altri passi.479 Patrizi, De luce, opera con numerazione separata con cui

ha inizio il Nova de universis philosophia.

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Dionigi480. Anche nel Rosseli si trova uno schema analo-go, ma il Patrizi è più vicino all’originale esposizione fici-niana, e sottintende certamente qualche significato magi-co. Il Patrizi dedica molto spazio a questioni di filosofianaturale, come quella circa la posizione del sole, ricor-dando a questo proposito che Ermete lo pone al di sopradella luna481; ma non menziona Copernico, né adotta l’e-liocentrismo. Egli esamina lungamente il problema del-l’animazione universale482, nella quale crede (per quantonon creda al movimento della terra), e nel capitolo «sul-l’Uno» spazia sul tema dell’Uno e del Tutto483.

Nel Patrizi abbiamo il portavoce di una «nuova filoso-fia» fortemente influenzata dall’ermetismo e che si rial-laccia, al di là dei più recenti tentativi di purificare l’er-metismo dalla magia, all’atmosfera ficiniana con la suafede nella prisca magia. Questa filosofia antiaristotelica,nel senso che essa pretende di essere più religiosa di Ari-stotele. E il Patrizi spera che il papa se ne voglia avva-lere nello sforzo controriformistico, come mezzo per farrivivere la religione e convertire i protestanti.

Nel 1592 il Patrizi fu chiamato a Roma da papa Cle-mente VIII per insegnare la filosofia platonica in quellauniversità. Egli deve essere andato a Roma con la spe-ranza che l’invito implicasse la piena libertà di insegna-re e predicare la Controriforma ermetica da lui delinea-ta nella «Nuova filosofia universale». Ma voci critichesi levarono contro le sue idee; il Patrizi ebbe delle no-

480 Ibid., p. 11, ecc.481 Patrizi, De spacio physico (opera con numerazione separa-

ta nel Nova de universis philosophia), p. 109.482 Patrizi, Pampsychia (opera con numerazione separata nel

Nova de universis philosophia), pp. 54 sgg. (an mundus sitanimatus).

483 Patrizi, Panarchios (opera con numerazione separata nelNova de universis philosophia), pp. 9 sgg.

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ie con l’Inquisizione484 e acconsentì a rivedere e a ritrat-tare tutto quello che, nel suo libro, potesse essere con-siderato eretico. Ma il libro fu alla fine condannato e,per quanto il Patrizi non subisse altre punizioni (sembrache egli abbia conservato la cattedra fino alla morte, av-venuta nel 1597), fu, in realtà, fatto tacere, e il suo tenta-tivo di riportare nella Chiesa «Ermete Trismegisto con-temporaneo di Mosè», come a Siena, non ricevette alcunincoraggiamento ufficiale. La sua vicenda testimonia laconfusione mentale diffusa verso la fine del XVI secolo,e quanto fosse difficile, persino per un pio platonico cat-tolico come il Patrizi, percepire i limiti della propria po-sizione teologica (la posizione della Chiesa nei confrontidella magia veniva formulata dal Del Rio485 mentre il Pa-trizi era a Roma, ma non era stata ancora resa pubblica).

Giordano Bruno si fece anche predicatore di una«nuova filosofia» che egli espose nell’Inghilterra prote-stante e che era – come dimostreremo nei successivi capi-toli – fondamentalmente ermetica. Nel 1591 Bruno tor-nò in Italia sperando di interessare papa Clemente VIIIalla sua filosofia. Ma Bruno aveva compiuto il terribilepasso di abbandonare l’interpretazione cristiana dell’er-metismo, che era il fondamento per ogni pio ermetismoreligioso, sia cattolico che protestante. Fu per questo cheil suo destino di filosofo ermetico, investito di un’univer-sale missione riformatrice, fu molto peggiore di quello diPatrizi.

Se confrontata con l’intenso interesse suscitato dall’er-metismo religioso sul continente nel corso del XVI seco-lo, la posizione dell’Inghilterra presenta un curioso carat-tere di isolamento, dovuto alle agitazioni religiose attra-

484 Sulle vicende inquisitoriali del Patrizi, cfr. Luigi Firpo,«Filosofia italiana e Controriforma», in Rivista di Filosofia,XLI, pp. 150-73; XLII, pp. 30-47.

485 Cfr. supra.

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verso le quali stava passando. L’adattamento della teolo-gia e della filosofia cattoliche al neoplatonismo e alla pri-sca theologia fu avviato in Inghilterra da Tommaso Mo-ro, John Colet, e dal loro circolo. Colet fu certamentesensibile all’influenza ficiniana, e il suo trattato sulle ge-rarchie angeliche dello Pseudo-Dionigi è un adattamentodel misticismo dionisiano inglese anteriore alla Riformaai nuovi sviluppi della fortuna dello Pseudo-Dionigi486.Moro ammirava molto Pico della Mirandola, la biografiadel quale, scritta da G. F. Pico, fu da lui tradotta in in-glese per l’edificazione di una monaca487. Questa bio-grafia contiene espliciti riferimenti agli interessi di Pi-co, che Moro traduce indicandoli come i «secrete mi-steryes of the hebrewes, caldyes and arabies» e «ye ol-de obscure philosophye of Pythagoras, trismegistus, andorpheus»488. Così, proprio agli albori del XVI secolo (laLife of Picus di Moro fu stampata nel 1510 e si ritieneche la sua traduzione fosse stata compiuta cinque anni

486 In particolare, il trattato di Colet sulle gerarchie celesti ri-vela una dipendenza dallo schema ficiniano delle nove gerar-chie angeliche: per Ficino, infatti, esse «attingono» gli influssidivini che quindi si trasmettono all’ordine novenario del mon-do, vale a dire al primum mobile, allo zodiaco ed ai sette piane-ti. «Nam quod novem hauriunt angelorum ordines, id novena-rio progressu in universa diffunditur...» (John Colet, Two Trea-tises on the Hierarchies of Dionysius, edito con trad. ingl. daJ. H. Lupton, London 1869, p. 180). Il misticismo dionisianodi Colet sente qui l’influenza dell’«astrologizzazione» ficinianadel misticismo (cfr. supra). Colet era anche a conoscenza del-le lodi formulate da Pico nei riguardi della cabala, e ne riportacitazioni nel suo trattato.

487 R. W. Chambers, Thomas More, London 1935, pp. 93-4.488 «I segreti misteri degli Ebrei, Caldei e Arabi... e l’antica,

oscura filosofia di Pitagora, Trismegisto e Orfeo». The Lifeof John Picus, Earl of Mirandula, in The English Works of SirThomas More, a cura di W. E. Campbell, A. W. Reed, R. W.Chambers, ecc., 1931, I, p. 351.

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prima), i nomi dei prisci theologi furono pronunziati daun Inglese.

Nell’Utopia di Moro, pubblicata per la prima voltain latino nel 1516, la religione degli Utopiani viene cosìdescritta:

... Alcuni venerano come dio il sole, altri la luna, altri un’altradelle stelle erranti. C’è chi riverisce non come dio soltanto, maanche come sommo dio, qualche uomo, la cui virtù o gloria ri-splendette una volta. Ma una parte, che è la maggiore di granlunga e insieme molto più saggia, nulla di questo ammette, mache vi sia una divinità non conoscibile, eterna, immensa, inspie-gabile, che supera la capacità dell’intelligenza umana, diffusa intutto questo universo pel suo influsso, non già corporalmente:è questa che chiamano padre. A lui attribuiscono l’origine, lacrescita, i progressi, le vicende, come le vediamo, e la fine ditutte le cose, e non porgono ad altri onori divini489.

Secondo me, c’è una influenza ermetica in questa de-scrizione della religione praticata dai più saggi abitanti diUtopia, che li predisponeva ad accogliere il Cristianesi-mo:

Ma quando appresero da noi il nome di Cristo... non si puòcredere con quanta inclinazione, con quanta affezione anch’es-si vi aderirono, sia che a ciò li ispirasse più intimamente Dio,sia che paresse il Cristianesimo molto vicino alle dottrine pre-valenti presso di loro490.

Gli Utopiani convertiti sono perciò, probabilmente,nient’altro che ermetici cristiani. In ogni modo, essi ri-velano subito il segno distintivo dell’ermetismo religio-so del XVI secolo: la disapprovazione del ricorso allaforza nelle controversie religiose. Quando un Utopiano,

489 Moro, L’Utopia o la miglior forma di repubblica, a cura diT. Fiore, Laterza, Bari 1942, p. 136.

490 Ibid., p. 137.

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convertito al Cristianesimo, diventa bigotto e comincia acondannare tutte le altre religioni, viene biasimato e ban-dito.

... Fra le più antiche disposizioni di Utopia si trova che a nessu-no sia di pregiudizio la propria religione. Utopo infatti... san-cì anzitutto che ognuno potesse seguire la religione che più glipiacesse: chi poi vuol trarre gli altri dalla sua, può adoperarsia rinsaldar la propria senza passione, con serene dimostrazio-ni, non già a distruggere crudelmente le altre, qualora non con-vinca con la persuasione, e non può adoprar la violenza e deveguardarsi dagl’insulti; chi suscita controversie religiose, senzatolleranze è punito di esilio o di schiavitù491.

Così Tommaso Moro enunciava i princìpi della tolle-ranza religiosa prima che avessero inizio le catastrofi delXVI secolo – prima della sua esecuzione, prima che ve-nissero appiccati gli incendi di Smithfield sotto la reginaMaria, prima che fossero torturati sotto Elisabetta mis-sionari cattolici, prima delle guerre di religione in Fran-cia e del massacro di san Bartolomeo, prima delle spa-ventose crudeltà degli Spagnoli in Olanda, prima dell’uc-cisione sul rogo di Serveto ad opera di Calvino, e di Gior-dano Bruno ad opera dell’Inquisizione. E se è giusta lamia idea, che gli Utopiani fossero prisci theologi che tra-sfondevano nel Cristianesimo parte della loro antica sag-gezza, si può dedurre che Moro con ciò indica, primadella catastrofe, il rimedio al quale finì per volgersi il se-colo XVI al suo tramonto, cioè l’ermetismo religioso.

Questo incipiente sviluppo del cattolicesimo inglesepreriformistico verso nuove direzioni, sotto la nuova in-fluenza italiana, venne troncato dalla sinistra serie dieventi che caratterizzò l’ultimo periodo del regno di En-rico VIII. Con la morte di Moro sul patibolo, fu pre-maturamente chiuso un capitolo nella storia del pensie-

491 Ibid., p. 139.

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ro che era appena iniziato. La violenta e intollerante rot-tura col passato voluta dai protestanti sotto il regno diEdoardo VI, con la conseguente distruzione di libri e bi-blioteche, fu seguita dall’altrettanto violenta intolleran-za, ispano-cattolica del regno di Maria. Sotto il regno diElisabetta, la Riforma mise salde radici con l’affermazio-ne di un partito estremista, quello puritano. L’anglicane-simo puritano aveva completamente abbandonato la tol-leranza erasmiana. Profondamente esasperati dalle per-secuzioni subite sotto la regina Maria, e temendo che es-se si sarebbero rinnovate se Filippo II avesse preso il so-pravvento in Europa e riottenuto il controllo dell’Inghil-terra, i puritani presero un atteggiamento teologicamen-te angusto e assai ottuso sul piano storico – ottuso nelsenso che, con essi, la storia si riduceva, a una lunga enu-merazione delle perversità del passato papista e alla giu-stificazione della rottura fra la corona e la chiesa ingle-si e Roma. Il Book of Martyrs di Foxe, con la sua orren-da raffigurazione dei martiri mariani in questo contestostorico, è caratteristico di tale atteggiamento. Non c’ètraccia di filosofia di alcun genere nel libro di Foxe. Inquest’atmosfera non v’era più posto per la prisca theolo-gia né, fra gli ecclesiastici inglesi, spuntò mai una figu-ra paragonabile a quella di un vescovo come il francesePontus de Thiard, seguace del neoplatonismo e in con-tatto con poeti e musicisti, o a quella di un frate entusia-sta come Annibale Rosseli, convinto sostenitore dell’er-metismo. Se in Inghilterra ci fu un interesse per questio-ni del genere, non fu certo nei circoli ufficiali della chie-sa o dell’università, ma in circoli privati, come nel grup-po di cortigiani raccolti intorno a sir Philip Sidney chestudiavano il numero nei tre mondi con John Dee, o insuperstiti della tradizione Moro-Colet.

Come mago rinascimentale, Dee aveva bisogno di fon-darsi sulle tradizioni medievali e queste, in Inghilterra,erano state infrante e disperse. La distruzione delle bi-

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blioteche monastiche provocò in Dee una profonda an-goscia, ed egli cercò di salvare il più possibile del lorocontenuto (fatto, questo, che lo rese sospetto non solo di«pratiche diaboliche», ma anche di simpatie verso il pas-sato papista). Figura isolata e solitaria, il mago modernoraccoglie i tesori spirituali e scientifici da quelle grandirovine che dominarono, con squallida maestà, sulla sce-na elisabettiana. Egli godette il favore della regina Elisa-betta, della quale fu primo astrologo – sebbene essa maigli concedesse la sinecura da lui invocata per la continua-zione dei suoi studi – e una schiera di cortigiani intellet-tuali, capeggiata da Philip Sidney, lo scelse come maestrodi filosofia.

Dee fu assente dall’Inghilterra durante la maggior par-te del soggiorno di Bruno; egli partì per i suoi viaggisul continente nella seconda metà dell’anno (1583) in cuiBruno arrivò in Inghilterra. Nel 1585, quando Bruno erain Inghilterra, Dee si trovava a Cracovia, dove incontròl’ermetico Annibale Rosseli. «Mi sono rivolto per con-siglio spirituale al dottor Annibale, il grande teologo ilquale ha or ora pubblicato alcuni dei suoi commenti alPymander Hermetis Trismegisti», scrive Dee nel suo dia-rio spirituale, e, il giorno seguente, «Ho ricevuto la co-munione ai Bernardini, dove il Dottore insegna»492. Deesi stava preparando, con queste pratiche religiose, ad unconfronto con Kelley sul terreno della cabala pratica e glioccorreva, per sentirsi al sicuro, quella continuità angeli-ca cristiana nelle gerarchie celesti che era il tema costantedelle entusiastiche meditazioni ermetico-dionisiane del«dottor Annibale», come mostra il suo libro.

Sidney era perciò al corrente di almeno due tipi di er-metismo: quello di carattere non magico esposto dal Du-plessis Mornay e quello facente capo a Dee, che era un

492 A True and Faithfull Relation of what passed... betweenDr. John Dee and some Spirits, p. 379.

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mago, ma di tipo cristiano, ed anche un autentico scien-ziato dotato di una reale conoscenza matematica dellateoria copernicana493. Bruno lo avrebbe familiarizzatocon un’altra varietà di ermetismo.

Siamo ormai pronti all’ingresso di Giordano Brunonel nostro libro. Siamo venuti preparandoci a questomomento nella parte precedente poiché è solo collocan-dolo nel contesto della storia dell’ermetismo rinascimen-tale che si può cominciare a capire quest’uomo straordi-nario.

493 Cfr. F. R. Johnson, Astronomical Thought in RenaissanceEngland, Baltimore 1937, pp. 134-5.

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XI. GIORDANO BRUNO: IL PRIMO VIAGGIO APARIGI

Giordano Bruno494 nacque a Nola, una cittadina dellecolline ai piedi del Vesuvio, nel 1548. Non perse mail’impronta di questa sua origine napoletana e vulcani-ca ed era orgoglioso di chiamarsi «Nolano», nato sot-to un cielo «benigno». Entrò nell’ordine domenicanonel 1563, e fu accolto nel grande convento domenicanodi Napoli nel quale è sepolto Tommaso d’Aquino. Nel1576 ebbe delle noie per accuse di eresia, e fuggì, ab-bandonando l’abito domenicano: da allora ebbero inizioi suoi pellegrinaggi attraverso l’Europa. Dopo aver ten-tato un soggiorno nella Ginevra di Calvino (che non glipiacque, come, del resto, egli non piacque ai calvinisti),e dopo circa due anni di insegnamento a Tolosa, dedica-ti alla Sfera di Giovanni di Sacrobosco, Bruno raggiunseParigi verso la fine del 1581. Qui tenne pubbliche lezio-ni (fra cui trenta letture su altrettanti attributi divini495),e attirò l’attenzione del re, Enrico III. Sempre a Parigipubblicò due libri sull’arte della memoria, che lo rivela-no come mago.

Come è stato spiegato nella prefazione, questo libromira a collocare Bruno nell’ambito della storia dell’erme-tismo e della magia rinascimentali. Spero di poter scrive-re, in seguito, un altro libro, simile per impianto al pre-

494 La letteratura su Giordano Bruno è vasta (cfr. la Biblio-grafia). La migliore biografia è quella di V. Spampanato, Vitadi Giordano Bruno, Messina 1921.

Per quanto riguarda le abbreviazioni da me usate per leedizioni delle opere bruniane e per le fonti documentario, cfr.l’elenco delle Abbreviazioni.

495 Documenti, p. 84.

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sente, onde accertare la posizione di Bruno nell’ambi-to della storia dell’arte classica della memoria496. Questedue direttive programmatiche convergono perché l’artebruniana della memoria è in realtà un’arte magica, un’ar-te ermetica. Ed è precisamente sotto tale aspetto cheprenderò in esame, in questo libro, le opere mnemo-niche di Bruno, riservando al successivo una discussio-ne più completa delle vicende che portarono all’assorbi-mento della magia nella tradizione mnemonica. È tutta-via necessario dire qualcosa, come introduzione a questocapitolo, sull’arte classica della memoria.

Gli oratori romani si avvalevano di un metodo mne-monico che è descritto nell’Ad Herennium, e al qualefanno riferimento Cicerone e Quintiliano. Esso consi-steva nel memorizzare una serie di luoghi di un edificio,e nel collegare a ciascuno di essi certe immagini, che ser-vissero a richiamare alla mente dell’oratore i vari puntidel discorso. Mentre parlava, l’oratore seguiva mental-mente l’ordine di successione dei vari luoghi memoriz-zati, estraendo da ciascuno di essi le immagini che do-vevano ricordargli determinati concetti del suo discorso.Ma il riferimento mnemonico agli ambienti di un edificionon era l’unico metodo usato: si dice che Metrodoro diScepsi si sia servito dello zodiaco come fondamento delsuo sistema mnemonico.

Quest’arte classica, considerata di solito come pura-mente mnemotecnica, ebbe una lunga storia nel corso

496 Questo libro su Giordano Bruno e l’arte della memoria è,nel frattempo, già stato pubblicato: cfr. Frances A. Yates, TheArt of Memory, London e Chicago 1966. I primi capitoli di essoripercorrono la storia dell’arte della memoria dall’età classica alRinascimento. Cinque capitoli sono dedicati all’uso brunianodi tale arte e i rimanenti proseguono la storia di questo temanel periodo successivo. I capitoli su Bruno hanno lo scopo dimostrare come, in lui, l’arte della memoria fosse organicamentecollegata alla sua filosofia ermetica e alla sua missione.

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del Medioevo e fu raccomandata da Alberto Magno e daTommaso d’Aquino. Nel Rinascimento venne di modafra neoplatonici ed ermetici ed era intesa come un meto-do per imprimere nella memoria immagini fondamenta-li e archetipe, che presupponeva, come sistema di loca-lizzazione mnemonica, lo stesso ordine cosmico, e con-sentiva così una conoscenza profonda dell’universo. Ta-le concezione è già evidente nel brano del De vita coeli-tus comparanda, in cui Ficino scrive che le immagini o icolori planetari, memorizzati nel modo in cui erano ri-prodotti sul soffitto di una stanza, servivano, per chi intal modo li avesse appresi, da principio organizzatore ditutti i fenomeni nei quali costui si fosse imbattuto unavolta uscito di casa497. A mio parere, l’esperienza ermeti-ca della riflessione dell’universo nella mente498 si trova al-la base della memoria magica rinascimentale, nell’ambi-to della quale la mnemonica classica fondata su luoghi eimmagini viene intesa, o applicata, come un metodo perconseguire quell’esperienza, imprimendo nella memoriaimmagini archetipe, o magicamente attivate. Servendo-si di immagini magiche o talismaniche come di immagi-ni mnemoniche, il mago sperava di acquisire conoscen-za e poteri universali conseguendo, tramite l’organizza-zione magica dell’immaginazione, una personalità dotatadi magici poteri, in sintonia, per così dire, con quelli delcosmo.

Questa singolare trasformazione, o adattamento, del-l’arte classica della memoria nel corso del Rinascimento,ha una sua storia prima di Bruno, ma è con questi cheraggiunge il suo punto culminante. Il De umbris idea-rum, e il Cantus Circaeus, che analizzeremo in questo ca-pitolo, sono i suoi primi scritti sulla memoria magica. Da

497 Cfr. supra.498 Cfr. supra.

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essi si desume che Bruno era già un mago prima del suoarrivo in Inghilterra.

Il De umbris idearum, pubblicato a Parigi nel 1582, èdedicato ad Enrico III. La dedica è preceduta e seguitada poesie che avvertono i lettori della difficoltà dell’ope-ra che si apprestano a studiare: i primi passi sono i piùardui, ma la fatica avrà alla fine una grande ricompen-sa. L’opera può paragonarsi alla statua di Diana a Chio,che mostrava un volto piangente a coloro che entrava-no nel tempio ma un volto sorridente a coloro che neuscivano499; oppure all’enigma pitagorico sul bicornis, unlato del quale era aspro e repellente, mentre l’altro con-sentiva prospettive migliori. Quel volto e quell’enigmasembrano, all’inizio, ardui e scostanti, ma coloro che siimmergono nelle profondità di quelle ombre non man-cheranno di riceverne un beneficio. Un componimentopoetico attribuito alla saggezza di Merlino descrive co-me certi animali non siano adatti a compiere determina-te azioni: per esempio, un porco, per natura, non è adat-to a volare. Il lettore è pertanto ammonito a non acco-starsi nemmeno all’opera, se non si senta pari ad essa500.La combinazione di enfasi e mistero di queste premes-se poetiche determina un tono che resterà costante pertutto il libro.

Esso si apre con un dialogo fra Ermete, Filotimo eLogifero501. Ermete paragona a un sole la scienza, o arte,che sta per essere rivelata. Al suo sorgere, gli esseri delletenebre si ritirano nei loro rifugi, mentre l’uomo e lecreature della luce escono alle proprie opere. Le creaturedelle tenebre, sacre alla notte e a Plutone sono streghe,basilischi, civette e rospi: e vengono scacciate. Creaturedella luce sono il gallo, la fenice, il cigno, l’oca, l’aquila,

499 Bruno, Op. lat., II (I), pp. 1 sgg.500 Ibid., p. 6.501 Ibid., p. 7 sgg.

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la linee, l’ariete e il Icone; e queste sono deste e operose.Le erbe e i fiori della luce – come l’eliotropio e il lupino– scacciano le escrescenze della notte.

Ermete descrive l’illuminazione che proviene da quel-l’arte, non solo riferendosi ad animali e piante astrologi-camente collegati al pianeta solare, ma anche nei terminidi una filosofia che si basa piuttosto sull’«intelletto chenon erra», che non sui «sensi fallaci». Parla, poi, di «cir-cuiti» e di «emicicli»; del «movimento dei mondi», chemolti ritengono siano «animali» o «dèi»; del potere delsole in questa filosofia502.

Filotimo domanda ad Ermete quale sia il libro che eglitiene in mano, e gli viene risposto che si tratta del libroDe umbris idearum503, l’autore del quale è incerto se deb-ba renderne noto il contenuto. Filotimo osserva che nes-suna grande opera potrebbe compiersi, se si consentissea simili esitazioni di prendere il sopravvento. La provvi-denza degli dèi non viene meno, come solevano dire i sa-cerdoti egiziani, in seguito agli statuti promulgati in de-terminati momenti da Mercuri tirannici. La funzione il-luminante dell’intelletto non viene meno, e il sole visibi-le non cessa di illuminare solo perché non sempre ci sivolge tutti ad esso.

A questo punto interviene nella conversazione ancheLogifero, il quale ricorda numerosi sapienti dottori, co-me Magister Adhoc, Magister Scoppet, e così via, chenon danno alcun peso all’arte della memoria. Egli cital’opinione di Magister Psicoteus, secondo la quale nonsi può apprendere niente di utile dalla mnemonica diun Tullio, di un Tommaso (l’Aquinate) o di un Alber-to (Magno)504. Logifero è perfettamente al corrente delleprescrizioni mediche per migliorare la memoria, sa quale

502 Ibid., pp. 8-9.503 Ibid., p. 9.504 Ibid., p. 14.

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dieta, quale regime di vita siano più adatti a questo sco-po. Ritiene che simili indicazioni siano molto più utilidella vana e ingannevole arte della memoria, che si avva-le di immagini e di figure. Reagendo al discorso di Lo-gifero, Filotimo osserva che egli ha parlato come i corvigracchiano, i lupi ululano e i cavalli nitriscono. È chia-ro che Logifero è uno di quelli che dovrebbero osservarel’ammonimento di Merlino, e non cercare di occuparsidi cose che trascendono le loro capacità.

In queste sette od otto pagine dialogiche introduttivedel De umbris idearum, scritto a Parigi prima del viaggioin Inghilterra, è già tracciato lo schema dei dialoghi cheverranno scritti in Inghilterra, sia per quanto attiene alledramatis personae, sia per ciò che riguarda il tipo di im-magini. Il saggio che espone la nuova filosofia coperni-cana nei dialoghi pubblicati in Inghilterra si chiama Fi-loteo o Teofilo, e simboleggia lo stesso Nolano; accantoa lui si dispongono discepoli ammirati e oppositori criti-ci, pedanti che contrastano le sue opinioni. La profon-da vena immaginativa dei dialoghi inglesi si annuncia finda ora: il sole nascente di una misteriosa rivelazione al-la quale è associata una filosofia naturale «copernicana»,le creature della luce e quelle delle tenebre schierate proe contro la rivelazione, allo stesso modo in cui qui i pe-danti, con le loro caratteristiche non solari, si schieranocontro i saggi.

Dal dialogo del De umbris idearum appare evidenteche il maestro di Filotimo – e dunque di Filoteo o Teofi-lo, cioè di Giordano Bruno nolano – è Ermete Trismegi-sto. È questi che consegna a Filotimo il libro con i prin-cìpi della nuova filosofia e della nuova arte; e questo li-bro è quello sulle ombre delle idee di Giordano Bruno,scritto in effetti da Ermete – in altri termini è un librodi magia, di una magia spiccatamente solare. L’allusioneal Lamento dell’Asclepius, nel quale si dice come la reli-gione magica degli Egiziani finisse, in tempi tardi e oscu-

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ri, per essere proibita da disposizioni legislative505, colle-ga questa nuova rivelazione ermetica, concessa a Gior-dano Bruno, con la religione egiziana, la religione del-l’intelletto, o della mente, conseguita superando il cultodel sole visibile. Coloro che proibirono per legge quel-la religione furono, secondo l’interpretazione agostinia-na del Lamento, i cristiani, la religione dei quali, più pu-ra, soppiantò quella egiziana. Ma, secondo Bruno, i falsi«Mercuri» cristiani hanno solo soppresso una religionemigliore – secondo un’interpretazione anticristiana del-l’ermetismo della quale si forniranno in seguito molti al-tri esempi tratti dalle opere di Bruno.

Per quanto memori dell’ammonimento di Merlino econvinti di non poterci trasformare in uccelli o animali

505 Ecco il testo bruniano: «Non cessat prouidentia deorum(dixerunt Aegyptii Sacerdotes) statutis quibusquam tempori-bus mittere hominibus Mercurios quosdam... Nec cessat intel-lectus, atque sol iste sensibilis semper illuminare, ob eam cau-sam quia nec semper, nec omnes animaduertimus» (ibid., p. 9).Egli ha in mente il passo del Lamento (C. H., II, p. 327, cfr. su-pra.) in cui si profetizza che la religione egiziana verrà proibitamediante disposizioni legislative. Agostino (cfr. supra.) inter-pretò il Lamento come una profezia dell’abbattimento della fal-sa religione egiziana ad opera del Cristianesimo. Bruno si servedi questa interpretazione, ma nel senso che i distruttori cristia-ni («Mercurios quosdam») legiferarono contro la vera religio-ne solare, egiziana che, al di là del sole sensibile, si spingeva fi-no a penetrare la mens divina. Nonostante l’opera di distruzio-ne subita, quella vera religione non cessò di esistere e Bruno lafa rivivere.

Benché il testo letterale del brano sopra riportato non siamolto chiaro, credo che questa interpretazione del suo signifi-cato sia corretta. E necessario confrontarlo con altri passi doveBruno parla di falsi «Mercuri» che pretendono di essere maestridi vera religione mentre in realtà non fanno altro che distrug-gere la verità e introdurre confusione e discordia (Dial. ital., p.32; Op. lat., I [III], p. 4; cfr. più avanti.).

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solari, ci permetteremo di addentrarci un po’ più a fondonelle misteriose ombre delle idee.

Il libro è organizzato in base a suddivisioni trigesima-li. In primo luogo ci sono trenta brevi paragrafi o capi-toli sulle intentiones, cioè sul modo di ricercare la lucedella divinità grazie a un’intenzione della volontà rivoltaverso le ombre o i riflessi di essa506. Qua e là si trovanoalcuni richiami ai cabalisti e alla simbologia del Canticodi Salomone. Il testo è illustrato da una ruota suddivisain trenta settori marcati da altrettante lettere, con il soleal centro507. Tutte le «intenzioni» convergono verso il so-le, non soltanto il sole visibile, ma il divino intelletto, delquale il primo è immagine. La ruota con le lettere è cer-tamente un elemento lulliano, e riflette il principio lullia-no di fondare un’arte su attributi divini, rappresentati dalettere. E probabilmente si ricollega, anche, a quelle let-ture su «trenta attributi divini» che Bruno tenne a Parigi,e delle quali non ci è rimasto il testo508.

Seguono trenta brevi capitoli su «concetti di idee»509;questi hanno un carattere vagamente neoplatonico e ri-chiamano spesso Plotino. Senza citarla direttamente, l’o-pera che Bruno tiene più presente è il De vita coelituscomparanda di Ficino. Egli allude di fatto, per quantoin maniera confusa, alla «plotinizzazione» ficiniana del-le immagini celesti, e pone le premesse per gli elenchi ditali immagini sui quali si basa il sistema magico della me-moria.

Gli elenchi di queste immagini occupano una consi-derevole parte del libro510. Sono suddivisi in trenta grup-

506 Op. lat., II (I), pp. 20 sgg.507 Ibid., p. 54.508 Cfr. supra.509 Op. lat., II (I), pp. 41 sgg.510 Ibid., pp. 135-57.

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pi, ciascuno di cinque, per complessive centocinquantaimmagini.

Vengono, per prime, le immagini dei trentasei decani;e l’elenco, naturalmente, comincia così:

Ascende nella prima faccia di Ariete un uomo scuro, di im-mensa statura, dagli occhi ardenti, dal volto irato, e vestito dibianco511.

Bruno non esita a imprimere intrepidamente nella suamemoria le immagini dei demoni decani egiziani. Comeha messo in evidenza E. Garin512, Bruno ha tratto l’elencodelle immagini dei trentasei decani, attribuito a TeucroBabilonese, quasi interamente dal De occulta philosophiadi Cornelio Agrippa513.

Seguono quarantanove immagini planetarie, sette perogni pianeta. Per esempio:

Prima immagine di Saturno. Un uomo col capo di cervo, su undrago, con una civetta che divora un serpente nella sua manodestra514.

511 Ibid., p. 135. Le immagini dei decani vengono elencate dap. 135 a p. 141. Esse sono raggruppate con i dodici segni dellozodiaco di cui sono «facce»; i segni sono illustrati con incisioni.

512 Garin, Medioevo e Rinascimento, p. 160, nota.513 Agrippa, De occult. phil., II, 37. Un’analisi dettagliata

delle immagini bruniane dei decani ha mostrato che 17 di essesono le stesse che in Agrippa; 17 sono simili a quelle di Agrippama con leggere varianti; una (Pesci, 2) è più simile all’immaginedata da Pietro d’Abano (nell’Astrolabium planum) che a quelladi Agrippa; infine, una (Capricorno, 3) è del tutto diversa siadall’immagine data da Agrippa che da quella di Pietro d’Abano.

514 Op. lat., II (I), p. 144. Le immagini planetarie si trovanoalle pp. 144-51 e sono illustrate con incisioni dei pianeti.

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Le immagini planetarie di Bruno richiamano da vici-no, se pur con qualche variazione, quelle di Agrippa515.Seguono ventotto immagini per le posizioni lunari, e unadel Draco lunae516; e tutte corrispondono strettamente aquelle di Agrippa517. Infine, Bruno fornisce trentasei im-magini, che egli collega alle dodici parti nelle quali si sud-divide un oroscopo518. Queste immagini sono del tut-to peculiari, e non è stato finora possibile assimilarle adalcun tipo noto. Probabilmente le ha inventate Bruno(Agrippa, la sua fonte principale, afferma che si posso-no creare immagini astrologiche per fini speciali)519. Egliera un esperto nell’invenzione e nella composizione diimmagini magiche, perché l’ultimo libro da lui pubblica-to (1591) tratta proprio della composizione di immagini,intendendo con ciò quelle magiche o talismaniche520.

Bruno attinge abbondantemente ai talismani ficiniani,e senza alcuna delle inibizioni cristiane di Ficino, poi-ché egli crede che la tradizione ermetica egiziana sia mi-gliore del Cristianesimo. Ai lettori che avessero familia-rità con la letteratura magica, già il solo titolo del suolibro doveva suggerire l’idea della magia, perché Ceccod’Ascoli, un famoso mago del XIV secolo che finì arsosul rogo, cita, nel suo commento neoromantico alla Sfe-ra di Giovanni di Sacrobosco, un libro intitolato Liber

515 Agrippa, De occult, phil., II, 37-44.516 Op. lat., II (I), 151-3.517 Agrippa, De occult. phil., II, 46.518 Op. lat., Il (I), pp. 154-7.519 Cfr. supra. Sono propensa a ritenere che queste 36 imma-

gini inventate possano essere intese a far da complemento al-le immagini dei decani mediante immagini composte allo scopodi ottenere influenze universalmente favorevoli. In breve, chela serie di 150 immagini possa essere qualcosa corrispondente aun favorevole modello dei cieli.

520 Cfr. più avanti.

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de umbris idearum, da lui attribuito a Salomone521. Ripu-diando il Cristianesimo, e adottando entusiasticamentela tradizione ermetica egiziana, Bruno ritorna a una for-ma più oscura e medievale di necromanzia, utilizzando,al contempo, l’elaborata «plotinizzazione» ficiniana deitalismani. Per quanto possa sembrare straordinario, ri-tengo che le «ombre delle idee» bruniane siano le imma-gini magiche, le immagini archetipe celesti, che sono piùvicine alle idee della mente divina di quanto non lo sia-no le cose inferiori. Non è neppure da escludere che Fi-cino, nel suo uso frequente della parola «ombre», abbiavoluto anch’egli intenderla in questa accezione.

Le immagini magiche erano collocate sulla ruota delsistema mnemonico, al quale corrispondevano altre ruo-te su cui erano indicati tutti i contenuti fisici del mondoterrestre – elementi, pietre, metalli, erbe e piante, anima-li, uccelli, e così via e il complesso della conoscenza uma-

521 Il commento di Cecco d’Ascoli è stato pubblicato da LynnThorndike in The Sphere of Sacrobosco and its Commentators,Chicago 1949, pp. 344 sgg.; le citazioni da Salomone in libro deumbris idearum si trovano alle pp. 397 e 398 di questa edizione.Cfr. anche Thorndike, History of Magic and ExperimentalScience, II, pp. 964-5.

Bruno conosceva l’opera di Cecco d’Ascoli, poiché ne famenzione in uno dei commenti del De immenso et innumera-bilibus: «Nec mentitus est Cicco Aesculano Floron spiritus, quide umbra lunae interrogatus quid esset, respondit: ut terra ter-ra est...» (Op. lat., I [I], p. 377). Cecco di fatto ricorda lo spiri-to Floron «che è della gerarchia dei Cherubini» esattamente inuna delle sue citazioni dal Liber de umbris idearum di Salomone(The Sphere, ecc., a cura di L. Thorndike, p. 398).

Dal momento che Bruno menziona la sua opera perduta sullaSfera nel contesto di queste citazioni da Cecco d’Ascoli (cfr. piùavanti) non sembra impossibile che egli possa essersi servito delcommento neoromantico di Cecco nel corso delle sue letturesulla sfera tenute a Tolosa, e che in esso abbia trovato lo spuntoper il titolo del suo libro sulla memoria magica.

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na accumulata attraverso i secoli, simboleggiato dalle im-magini di centocinquanta grandi uomini e inventori522.Chi era in possesso di un simile sistema si innalzava aldi sopra del tempo e rifletteva nella propria mente l’in-tero universo della natura e dell’uomo. Ritengo, comeho già detto, che la ragione per cui un sistema mnemoni-co come questo costituisse un segreto ermetico vada ri-cercata nelle allusioni del Corpus Hermeticum al rifles-so gnostico dell’universo nella mente, come alla fine delPimander allorché l’iniziato imprime in sé il beneficio diPimandro523, o come nel Corpus Hermeticum XI, riassun-to nel II capitolo di questo libro col titolo Riflesso egizia-no dell’universo nella mente. Citerò, ancora una volta,dal paragrafo finale del mio riassunto:

Se non ti fai simile a Dio, non potrai capire Dio; perché il similenon è intelligibile se non al simile. Innalzati a una grandezzaal di là di ogni misura, con un balzo liberati dal tuo corpo;sollevati al di sopra di ogni tempo, fatti Eternità: allora capiraiDio. Convinciti che niente ti è impossibile, pensati immortalee in grado di comprendere tutto, tutte le arti, tutte le scienze,la natura di ogni essere vivente. Sali più in alto della più alta

522 I grandi uomini e inventori (Op. lat., II [I], pp. 124-8)sono distribuiti in gruppi di trenta con cinque suddivisionidesignate ciascuna con una delle cinque vocali. Le altre liste(ibid., pp. 132-4) sono raggruppate e designate allo stessomodo. Le immagini magiche (ibid., pp. 135-7) sono anche esseraggruppate e designate come sopra. Una volta distribuite tuttele liste su ruote concentriche, si ottiene il sistema al completo,basato sulle 150 immagini magiche suddivise in gruppi di 30,a cui corrispondono i raggruppamenti dei grandi uomini einventori e dei contenuti dell’universo.

Del sistema è stato trattato con maggior completezza nel miolibro sull’arte della memoria (The Art of Memory, pp. 199-230)e le implicazioni magiche di questo folle metodo risultano piùcomprensibili, una volta collocate nel contesto degli altri sistemimnemonici.

523 Cfr. supra.

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altezza; discendi più in basso della più abissale profondità.Richiama in te tutte le sensazioni di ciò che è creato, del fuocoe dell’acqua, dell’umido e del secco, immaginando di esseredovunque, sulla terra, nel mare, in cielo; di non essere ancoranato, poi di trovarti nel grembo materno, di essere quindiadolescente, vecchio, morto, al di là della morte. Se riesci adabbracciare nel tuo pensiero tutte le cose insieme, tempi, spazi,sostanze, qualità, quantità, potrai comprendere Dio524.

Imprimendo nella memoria le immagini celesti, le im-magini archetipe del cielo che sono ombre vicine alleidee della mens divina dalla quale dipendono tutte le co-se inferiori, Bruno spera, così almeno mi sembra, di con-seguire quest’esperienza «egiziana», di divenire, in sensoveramente gnostico, l’Aion, che racchiude in sé i poteridivini. Imprimendo nella fantasia le figure zodiacali, «sipuò ottenere il possesso di un’arte figurativa che assisteràmeravigliosamente, non solo la memoria, ma tutti i pote-ri dell’anima525». Quando ci si conforma alle forme cele-sti, «si arriva, dalla confusa pluralità delle cose, all’unitàche esse sottintendono». Poiché, se le parti delle specieuniversali non vengono considerate separatamente, main rapporto all’ordine implicito che le collega, quali co-se mai non riusciremo a comprendere, a memorizzare ea fare526?

Il sistema magico bruniano della memoria è perciòrappresentativo della memoria di un mago, di uno checonosce la realtà oltre la molteplicità delle apparenze,avendo conformato la propria immaginazione alle imma-gini archetipe, e che, grazie alla sua penetrazione dellarealtà, ha conseguito anche poteri operativi. Si tratta, diuna derivazione diretta dalla neoplatonica interpretazio-

524 Cfr. supra.525 Op. lat., II (I), pp. 78-9.526 Ibid., p. 47.

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ne ficiniana delle immagini celesti527, ma spinta a un limi-te ben più audace.

Il carattere «egiziano» dell’arte descritta nel De um-bris idearum venne fortemente accentuato dal discepo-lo scozzese di Bruno, Alexander Dicson che ne pubbli-cò a Londra, nel 1583528, una imitazione, introdotta daun dialogo in cui compaiono come interlocutori «Mer-curio» e «Theut», appellativi entrambi dell’egiziano Er-mete Trismegisto.

L’altro libro pubblicato a Parigi sulla memoria magicaha per eroina la gran maga Circe, figlia del sole. Reca iltitolo Cantus Circaeus529, ed è dedicato da Jean Regnaultad Henri d’Angoulême, Gran Prieur di Francia, perso-naggio importante della corte francese perché di sanguequasi reale, essendo il figlio illegittimo di Enrico II. Re-gnault dice che il manoscritto gli è stato consegnato daBruno, che lo ha pregato di curarne la pubblicazione.Benché edito nello stesso anno del De umbris idearum(1582), è successivo a quest’opera, alla quale si fa riferi-

527 Ciò è stato visto da E. Garin che, nell’articolo in cui di-scute il De vita coelitus comparanda, fa la seguente osservazio-ne: «Che Bruno... si serva nella sua arte della memoria delle fa-cies astrologiche di Teucro babilonese non è né un caso né uncapriccio: è la continuazione di un discorso molto preciso in-torno agli esemplari della realtà» (Le «Elezioni» e il problemadell’astrologia, in Umanesimo e esoterismo, a cura di E. Castelli,Padova 1960, p. 36).

528 Alexander Dicson, De umbra rationis et iudicii, siue de me-moriae virtute Prosopopaeia, London 1583, dedicata a «Robert,Earl of Leicester». Che Dicson, o Dickson, fosse scozzese, èaffermato da Hugh Platt, The Jewell House of Art and Nature,London 1594, p. 81. Egli appare come «Dicsono», un discepo-lo, in alcuni dialoghi italiani di Bruno; cfr. il mio libro The Artof Memory, p. 266-86.

529 Op. lat., II (I), pp. 179 sgg.

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mento nella prefazione, ricordando la dedica di essa al reCristianissimo530.

Esso si apre con un grandioso incantesimo solare diCirce531, nel quale sono ricordati tutti i nomi e gli attri-buti, gli animali, gli uccelli, i metalli, e così via, di perti-nenza del sole. Di tanto in tanto l’assistente della magadeve dare uno sguardo all’esterno, per accertare la dire-zione dei raggi del sole e per constatare se l’incantesimofunziona. In questo incantesimo c’è un richiamo diretto,se pur leggermente confuso, al De vita coelitus comparan-da di Ficino, per quanto concerne il sole come veicolo dipoteri imperscrutabili che ci raggiungono, provenendodalle «idee», tramite le «ragioni» dell’anima del mondo,e per quanto concerne il potere di attrarre lo spiritus, ti-pico di erbe, piante, pietre e così via532. Circe eseguepoi incantesimi altrettanto grandiosi, se pur non così lun-ghi, alla Luna, Saturno, Giove, Marte, Venere e Mercu-rio, e infine implora tutt’e sette i governatori di prestarleascolto533. Per la sua magia ella si avvale contemporanea-mente di combinazioni di piante, pietre, ecc., e di «scrit-ture dei sacri dèi», che innalza su un vassoio, tracciandocaratteri nell’aria, mentre l’assistente deve sfogliare unapergamena, sulla quale sono scritte potentissime notae, ilmistero delle quali è inaccessibile a tutti i mortali534.

530 Ibid., p. 182.531 Ibid., pp. 185-8.532 «Sol qui illustras omnia solus... Cuius ministerio viget

istius compago uniuersi, inscrutabiles rerum vires ab ideis peranimae mundi rationes ad nos usque deducens & infra, undevariae atque multiplices herbarum, plantarum caeterarum, la-pidumque virtutes, quae per stellarum radios mundanum ad setrahere spiritum sunt potentes» (ibid., p. 185).

533 Ibid., pp. 188-92.534 Ibid., p. 193.

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La fonte principale di Bruno per gli incantesimi de-scritti in quest’opera, come per le immagini celesti del Deumbris, è il De occulta philosophia di Cornelio Agrippa535.Per un confronto citerò, così da Bruno come da Agrippa,alcune parti dell’incantesimo per Venere:

Bruno:

Venus alma, formosa, pulcherrima, amica, beneuola, gratiosa,dulcis, amena, candida, siderea, dionea, olens, iocosa, aphroge-nia, foecunda, gratiosa, larga, benefica, placida, deliciosa, inge-niosa, ignita, conciliatrix maxima, amorum domina...536

A grippa:

Venus, vocatur domina, alma, formosa, siderea, candida, pul-chra, placida, multipotens, foecunda, domina amoris et pul-chritudinis, seculorum progenies, hominumque parens initia-lis, quae primis rerum exordiis sexuum diversitatem geminatoamore sociavit, et aetera sobole hominum, animaliumque ge-nera, quotidie propagat, regina omnium gaudiorum, dominalaetitiae...537

Questi e altri incantesimi planetari di Bruno e diAgrippa non sono identici fra di loro ma Bruno si è basa-to sulla versione di Agrippa, aggiungendo o modificandoliberamente, così come si era basato, con alcune varianti,sulle immagini astrali di Agrippa.

Viene detto che il testo sugli incantesimi di Circe, omeglio il Cantus, è ad memoriae praxim ordinatus538 ed

535 Cfr. Agrippa, De occult. phil., II, 59, sui vari nomi edepiteti con cui invocare i «sette governatori del mondo, comevengono chiamati da Ermete».

536 Op. lat., II (I), p. 191.537 Agrippa, De occult. phil., loc. cit.538 Op. lat., II (I), p. 185.

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è seguito da un’arte della memoria539. Se si ripensa, perun attimo, ai riti solari descritti dal discepolo di Ficino,Francesco da Diacceto, nei quali il talismano solare veni-va venerato con rituali ed inni orfici, fino a quando l’im-maginazione non fosse disposta a ricevere una «specie diimpronta»540, si può dedurre che gli incantesimi planeta-ri di Circe disponessero l’immaginazione a ricevere im-pronte di immagini planetarie. L’adepto avrebbe, suc-cessivamente, affrontato l’arte della memoria con un’im-maginazione già impregnata di immagini celesti, preli-minare necessario alla memoria magica. Non sono cer-ta che questa sia l’interpretazione esatta della inesplicataconnessione fra gli incantesimi e l’arte della memoria; sitratta, comunque, di una interpretazione possibile.

Il confronto con la genuina magia ficiniana, con la suaeleganza e i suoi incantesimi colti e preziosi sotto formadi inni orfici, fa risaltare il carattere barbarico e reaziona-rio della rozza magia bruniana del Cantus Circaeus. Puòdarsi che ciò fosse intenzionale, per conseguire una for-ma più forte di magia. Rivolgendosi al sole, Circe dice:

Adesto sacris filiae tuae Circes votis. Si intento, castoque tibiadsum animo, si dignis pro facultate ritibus me praesento. Entibi faciles aras struximus. Adsunt tua tibi redolentia thura,sandalorumque rubentium fumus. En tertio susurraui barbara& arcana carmina541.

Anche qui si trovano, come nel rito solare di Ficino,altare e suffumigi, ma le invocazioni incantatorie, inveceche inni orfici al sole, sono «barbara et arcana carmina».

La magia di Circe implica una sorta di riforma mo-rale. Essa domanda dove sia Astrea, la giustizia dell’età

539 Ibid., pp. 211 sgg.540 Cfr. supra, p. 98, e Walker, p. 33.541 Op. lat., II (I), p. 186.

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dell’oro542, minaccia i malfattori, sollecita gli dèi a restau-rare la virtù543. La sua magia fa si che gli uomini venganomutati in bestie544, e questo è bene (contrariamente allaconsueta interpretazione della leggenda di Circe) perchéi malvagi sono meno pericolosi se rivestiti della loro ve-ra forma animale545. Ci sono, tuttavia, animali ed uccel-li belli e virtuosi che fuggono dalla notte del male. Il gal-lo è una creatura bellissima, melodiosa, nobile, genero-sa, magnanima, solare, imperiale, quasi divina, e quandoha sconfitto i galli del male esso rivela la propria supre-mazia nel canto546. Il gallo, com’è ovvio, simboleggia lamonarchia francese. Il movimento riformistico di Circepresenta anche, come ha posto in luce F. Tocco547, curio-se anticipazioni dello Spaccio della bestia trionfante (seb-bene, come tutti gli ammiratori liberali di Giordano Bru-no del XIX secolo, Tocco trascurasse completamente lamagia).

Bruno era un mago sensibilissimo alle influenze del-l’ambiente nel quale si trovava. Come si mostrerà in se-guito, durante il suo soggiorno inglese egli fece propri al-cuni degli aspetti più astrusi del culto cortigiano della re-gina Elisabetta I. Nel 1581 egli potrebbe essere arrivatoa Parigi in tempo per assistere alla grande festa di corte,il Ballet comique de la reine, o almeno per sentirne par-lare. Il testo del Ballet fu stampato nel 1582, lo stessoanno del Cantus Circaeus. Nel Ballet, Circe rappresentail maligno incantesimo delle guerre di religione france-

542 Ibid., loc. cit.543 Ibid., pp. 186-7, ecc.544 Ibid., pp. 193 sgg.545 Ibid., p. 194.546 Ibid., pp. 209-10.547 F. Tocco, Le opere latine di Giordano Bruno, Firenze

1889, p. 56.

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si, che stanno trasformando gli uomini in bestie. La ma-ga viene vinta grazie alla buona magia dello spettacolo ealla fine, a celebrazione della vittoria, essa viene addot-ta in trionfo ai piedi di re Enrico III, al quale presenta lasua bacchetta magica (e si ha, così, la trasformazione del-la cattiva magia di Circe nella buona magia della monar-chia francese). È dunque possibile che Bruno abbia pre-so l’idea di una magica riforma solare, collegata alla mo-narchia francese, da tesi che circolavano presso la cortedi Francia.

Torniamo, per un momento, all’ultimo capitolo, e ri-cordiamoci della cura con la quale gli ermetici religio-si francesi dissociavano l’ermetismo cristiano dalla ma-gia dell’Asclepius e dalla magia talismanica di Ficino. Edecco che, in un mondo come questo in cui l’ermetismocristiano cattolico fiorisce nei circoli ecclesiastici france-si, e forse nell’ambito del movimento cappuccino attor-no ad Enrico III, irrompe Giordano Bruno predicandoun ermetismo profondamente magico, tutto intriso del-la magia dell’Asclepius, in cui la magia ficiniana è porta-ta a conseguenze che Ficino non aveva mai nemmeno so-gnato. Ciò nonostante, Bruno e la sua magia finirono an-ch’essi con l’essere assorbiti nel contesto più ampio del-l’ermetismo religioso.

I rapporti fra Bruno ed Enrico III sono documentatisoltanto da ciò che lo stesso Bruno riferì agli inquisitoriveneziani. Egli disse che il re, sentendo parlare delle sueletture, lo mandò a chiamare e gli domandò se l’arte del-la memoria che egli insegnava fosse naturale, o basata suartifici magici. Bruno afferma che egli provò al re che lasua arte non era magica. Questo, naturalmente, non è ve-ro. Afferma, inoltre, di aver dedicato un libro intitolatoDe umbris idearum al re che, di conseguenza, lo nominò

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«lettore»548. Se Enrico avesse dato un’occhiata al De um-bris idearum, ne avrebbe certamente riconosciuto le im-magini magiche, perché sappiamo, da un precedente ca-pitolo, che questo re mandò una volta a comprare libri dimagia in Spagna, che permise al D’Aubigné di consultar-li quando arrivarono e che, fra questi, c’era il Picatrix549.Non è altresì verosimile, se si considerano gli stretti rap-porti di sua madre con maghi e astrologi, che Enrico nonavesse una buona conoscenza della magia. La versionepiù probabile della vicenda potrebbe essere che Enricovenisse al corrente del rumore che si faceva sulla magia inrapporto a Bruno, e che per questa, ragione lo mandassea chiamare.

Inoltre Bruno riferì agli inquisitori che quando andòin Inghilterra aveva con sé lettere di presentazione del redi Francia all’ambasciatore francese in Inghilterra, Mi-chel de Castelnau de Mauvissière, presso il quale egli ri-mase per tutto il periodo della sua permanenza sul suo-lo inglese550. Non abbiamo altro che la testimonianza diBruno circa queste lettere di presentazione, ma io riten-go che la circostanza possa essere vera. Sappiamo cheegli soggiornò presso l’ambasciatore per tutta la durata

548 «... il re Enrico terzo mi fece chiamare un giorno, ricer-candomi se la memoria che avevo e che professava, era natu-rale o pur per arte magica; al qual diedi soddisfazione; e conquello che gli dissi e feci provare a lui medesimo, conobbe chenon era per arte magica ma per scienzia. E dopo questo fecistampar un libro de memoria, sotto il titolo De umbris idearum,il qual dedicai a Sua Maestà; e con questa occasione me fecelettor straordinario provisionato...» (Documenti, pp. 84-5).

549 Cfr. supra.550 «... con littere dell’istesso Re andai in Inghilterra a star

con l’Ambasciator di Sua Maestà, che si chiamava il Sr. Del-la Malviciera, per nome Michel de Castelnovo; in casa del qualnon faceva altro, se non che stava per suo gentilomo» (Docu-menti, p. 85).

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della sua permanenza e sappiamo anche, da uno dei libridi Bruno, che l’ambasciatore lo protesse in occasione deitumulti suscitati dai suoi scritti e dal suo comportamen-to. In alcuni di questi libri pubblicati in Inghilterra Bru-no disse cose che a nessun Inglese, in un periodo di co-sì stretta censura e sorveglianza, sarebbe stato permessodire. Il fatto che egli pubblicasse quelle opere e non ve-nisse imprigionato o punito in qualche modo, indica de-cisamente, mi sembra, come egli godesse di una speciedi immunità diplomatica, quale appunto avrebbe potu-to garantire una lettera di presentazione all’ambasciatorefrancese da parte dello stesso re di Francia.

È dunque possibile che fosse proprio Enrico III, in-viando Bruno in Inghilterra in missione, sebbene sub ro-sa, a mutare il corso della sua vita, trasformandolo daun mago errante in un singolarissimo tipo di missiona-rio. L’ambasciatore inglese a Parigi, Henry Cobham, av-vertì il sempre vigile Francis Walsingham, in un dispac-cio datato marzo 1583, dell’imminente arrivo di Bruno:«Intende venire in Inghilterra il dottor Giordano Bruno,Nolano, professore di filosofia, la cui religione non possoapprovare»551. Si noti bene: è la religione, e non la filoso-fia di Bruno, quella che l’ambasciatore non si sentiva diapprovare – ma probabilmente si tratta di un’espressionerestrittiva.

Se il lettore si sente in qualche modo sconvolto dal-la mentalità di un celebre filosofo del Rinascimento co-sì com’è stata delineata in questo capitolo, e si sente in-cline a concordare decisamente con l’opinione dell’am-basciatore, non posso certo biasimarlo. Ma se nella sto-ria del pensiero si cerca la verità, non si deve omettereniente. Dunque Giordano Bruno, mago ermetico del ti-

551 Calendar of State Papers, Foreign, January-June 1583, p.214.

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po più estremo, è ora in procinto di passare in Inghilterraper esporvi la sua «nuova filosofia».

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XII. GIORDANO BRUNO IN INGHILTERRA: LARIFORMA ERMETICA

Bruno avviò la sua azione in Inghilterra con un volu-me dedicato all’ambasciatore francese, contenente un’ar-te della memoria che è una ristampa di quella del CantusCircaeus, e con altre due opere intitolate Explicatio tri-ginta sigillorum e Sigillus sigillorum552. Il raggruppamen-to dei «sigilli» nel numero di «trenta» indica che Brunosi muove tuttora sul piano mistico-magico del De umbrisidearum; effettivamente, l’intero volume non è altro cheun approfondimento dell’indagine sulla memoria, qualemezzo essenziale alla formazione del mago, che egli ave-va intrapreso con i due libri pubblicati a Parigi. Quivi,grazie a tali opere, aveva ottenuto un insegnamento e ri-chiamato su di sé l’attenzione del re; ora sperava di ot-tenere risultati analoghi in Inghilterra, perché, dopo ladedica all’ambasciatore, c’è un indirizzo «all’eccellentis-simo Vice Cancelliere dell’università di Oxford, e a tut-ti i suoi illustri dottori e maestri», che si apre con questeparole:

552 Ars reminiscendi et in phantastico campo exarandi, Ad plu-rimas in triginta sigillis inquirendi, disponendi, atque retinendiimplicitas nouas rationes & artes introductoria; Explicatio trigin-ta sigillorum...; Sigillus sigillorum... Senza data o luogo di stam-pa. Questo volume è quasi certamente la prima delle operepubblicate da Bruno in Inghilterra, e non posteriore al 1583;cfr. Bibliografia, p. 68. È ormai accertato che l’editore sia diquest’opera che dei dialoghi italiani di Bruno usciti in Inghil-terra fu John Charlewood; cfr. G. Aquilecchia, Lo stampato-re londinese di Giordano Bruno, in «Studi di filologia italiana»,XVIII, 1960, pp. 101 sgg.

Per un’analisi dettagliata di quest’opera dal punto di vistamnemonico, cfr. il mio libro The Art of Memory, pp. 243-65.

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Philotheus Jordanus Brunus Nolanus, dottore di una più astru-sa teologia, professore di una sapienza più pura e innocua,noto nelle migliori accademie europee, filosofo di gran segui-to, ricevuto onorevolmente dovunque, straniero in nessun luo-go, se non fra i barbari e gli ignobili, risvegliatore delle animedormienti, domatore dell’ignoranza presuntuosa e recalcitran-te, proclamatone di una filantropia universale, che non preferi-sce gli Italiani ai Britanni, i maschi alle femmine, le teste mitra-te a quelle incoronate, gli uomini di toga a quelli d’arme, coloroche portano il saio a coloro che non lo portano; ma colui che èpiù temperante, più civile, più leale, più capace; che non pren-de in considerazione la testa unta, la fronte segnata, le mani la-vate, il pene circonciso, ma (e ciò permette di conoscer l’uomodal viso) la cultura della mente e dell’anima. Che è odiato daipropagatori di idiozie e dagli ipocriti, ma ricercato dagli onestie dagli studiosi, e il cui genio è applaudito dai più nobili...553.

Il brano, certamente, ferma l’attenzione, e se qualcunodei dottori apostrofati in maniera così vivace da unoscrittore che esibiva una tolleranza tanto minacciosa,avesse dato un’occhiata al libro, si sarebbe subito accortoche ne è oggetto una specie estremamente oscura dimagia. In realtà, per rendersi conto di ciò, sarebbebastato osservare il frontespizio, nel quale il lettore vieneinformato che, nel libro, troverà tutto quanto si puòricercare in fatto di «logica, metafisica, cabala, magianaturale, arti maggiori e minori»554.

Nel giugno del 1583 il principe polacco Alberto Ala-sco, a Laski, si recò in visita a Oxford e, per ordine dellaregina, vi fu sontuosamente intrattenuto con banchetti,

553 Op. lat., II (I), pp. 76-7.554 «Hic enim facile invenies quidquid per logicam, metaphy-

sicam, cabalam, naturalem magiam, artes magnas atque brevestheorice inquiritur» (ibid., p. 73). L’espressione «artes magnasatque breves» si riferisce alle arti di Raimondo Lullo.

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spettacoli e dispute pubbliche555. Dal diario di John Deesembra che sir Philip Sidney accompagnasse il principe aOxford, perché il Dee dice che Sidney portò il principe afargli visita a Mortlake, sulla via del ritorno da Oxford556.Nella Cena de le ceneri Bruno afferma di aver preso partealle dispute organizzate ad Oxford in onore di Alasco:

...andate in Oxonia, e fatevi raccontar le cose intravenute al No-lano, quando, pubblicamente disputò con que’ dottori in teolo-gia in presenza del prencipe Alasco polacco ed altri della nobil-tà inglesa. Fatevi dire come si sapea rispondere a gli argomen-ti; come restò per quindeci sillogismi quindeci volte qual pulci-no entro la stoppa quel povero dottor, che, come il corifeo del-l’Academia, ne puosero avanti in questa grave occasione. Fa-tevi dire con quanta incivilità e discortesia procedea quel por-co, e con quanta pazienza ed umanità quell’altro, che in fattomostrava essere napolitano nato ed allevato sotto più benignocielo. Informatevi come gli han fatte finire le sue publiche let-ture, e quelle de immortalitate animae, e quelle de quintuplicisphaera557.

A parte alcuni vaghi accenni di Gabriel Harvey, di Gio-vanni Florio, e dell’amico di Samuel Daniel, «N.W.»558,finora disponevamo, sulle esperienze bruniane ad Ox-ford, soltanto del resoconto dello stesso Bruno, dal qua-le risulta, come mostra il brano sopra citato, che il magonon era rimasto soddisfatto delle accoglienze ricevute.

555 Anthony À Wood, History and Antiquities of the Univer-sity of Oxford, a cura di J. Gutch, 1796, II (I), pp. 215-8.

556 Private Diary of Dr. John Dee, a cura di J. O. Halliwell,Camden Society 1842, p. 20.

557 La cena de le ceneri (1584), dial. 4 (Dial. ital., pp. 133-4).558 Gabriel Harvey, Marginalia, a cura di G. C. Moore Smith,

1913, p. 156; indirizzo di Florio al lettore preposto alla suatraduzione dei saggi di Montaigne; prefazione di «N. W.» alThe Worthy Tract of Paulus Iouius (1585) di Samuel Daniel.

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In un articolo di Robert McNulty, pubblicato nel 1960su «Renaissance News»559, sono stati prodotti documenticompletamente nuovi intorno alle reazioni dell’ambien-te oxoniense verso le letture tenute da Bruno. Nel 1604George Abbot, che doveva divenire in seguito arcivesco-vo di Canterbury, e che risiedeva a Balliol al tempo del-la visita di Bruno ad Oxford nel 1583, pubblicò un’ope-ra dottrinaria che era una replica protestante alle argo-mentazioni di uno scrittore cattolico il cui libro era sta-to clandestinamente stampato e distribuito in Inghilter-ra. Questi era il benedettino Thomas Hill, e il libro, AQuartron of Reasons of Catholike Religion, stampato nel1600, stava ottenendo un certo successo. Il libro delloHill riproduceva in gran parte gli argomenti di una pre-cedente opera di propaganda cattolica, A Briefe Treati-se of Diuerse Plaine and Sure Ways to Finde Out Tru-ths in This...Time of Heresie di Richard Bristow, edi-to per la prima volta nel 1574 e ristampato in seguitoripetutamente560. I due scrittori cattolici sostengono, conuna serie di ragioni, che la loro fede è quella vera rispettoalla protestante. Per esempio, essi hanno dalla loro l’au-torità della tradizione e dei Padri; l’eresia non è una co-sa nuova, e le eresie moderne non sono altro che una ri-petizione di eresie antiche; i seguaci della loro fede com-piono miracoli, e i protestanti no; i cattolici hanno visio-ni, e i protestanti no; i cattolici sono concordi come unsol uomo, per quanto concerne la loro fede, mentre glieretici sono divisi fra di loro.

559 Robert McNulty, Bruno at Oxford, in «RenaissanceNews», XIII, 1960, pp. 300-5.

560 Sui libri di Hill e di Bristow cfr. A. F. Allison e D.M. Rogers, A Catalogue of Catholic Books in English PrintedAbroad or Secretly in England, Bognor Regis 1956, nn. 146-9,400-1; e McNulty, art. cit., p. 302.

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George Abbot, che era di tendenze nettamente calvi-niste e puritane, si assunse il compito di rispondere alloHill (e al Bristow, sul quale si basava lo Hill) con un’o-pera pubblicata nel 1604 da Joseph Barnes, stampatoredell’università, e intitolata The Reasons Which DoctourHill Hath Brought, for the Upholding of Papistry, Whi-ch is Falselie Termed the Catholike Religion; Unmasked,and Shewed to Be Very Weake, and Upon ExaminationMost Insufficient for That Purpose. Chi avrebbe mai po-tuto pensare di trovare in un’opera con un simile titolonuovi lumi su Giordano Bruno? E tuttavia è proprio inquesto libro che R. McNulty ha compiuto la sua impor-tante scoperta. Ecco il brano:

Quando quell’omiciattolo italiano, che si autodefiniva Philo-theus Iordanus Brunus Nolanus, magis elaborata Theologia Doc-tor, etc. (a margine: Praefat., in explicatio triginta sigillorum)con un nome certamente più lungo del suo corpo, visitò nel1583 la nostra università al seguito del duca polacco Alasco,non stava nei panni per il desiderio di compiere qualche memo-rabile impresa, di divenire famoso in quel celebre ateneo. Ri-tornandovi non molto tempo dopo, quando, con molta più au-dacia che saggezza, ebbe occupato il posto più alto della nostramigliore e più famosa scuola, rimboccandosi le maniche comeun giocoliere e facendoci un gran parlare di chentrum & chircu-lus & circumferenchia (tale è infatti la pronuncia del suo paesenatio), egli intraprese il tentativo, fra moltissime altre cose, difar stare in piedi l’opinione di Copernico, per cui la terra gira,e i cieli stanno fermi; mentre, in verità, era piuttosto la sua testache girava; e il suo cervello che non stava fermo. Quando egliebbe finito la sua prima lettura, un uomo grave, che occupa-va allora, come tuttora occupa, una posizione eminente in quel-la università, ebbe l’impressione di aver letto da qualche par-te quelle stesse cose che il dottore stava esponendoci: ma, te-nuto per sé il suo sospetto, quando ascoltò la seconda lezionedi Bruno gli sovvenne di che cosa si trattava e, recatosi nel suostudio, trovò che sia la prima sia la seconda lettura erano sta-te tratte, quasi parola per parola, dalle opere di Marsilius Fici-nus (a margine: De vita coelitus comparanda). Dopo che egliebbe messo al corrente della cosa quel raro ed eccellente orna-

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mento della nostra terra, colui che ora è vescovo di Durham,ma allora era diacono della Chiesa di Cristo, si pensò, dappri-ma, di render noto all’illustre lettore quanto avevano scoperto.Ma colui che per primo aveva contribuito ad accertare la verità,più saggiamente propose di metterlo alla prova ancora una vol-ta; e se egli avesse continuato a prendersi gioco di lui, e di tuttol’uditorio, per la terza volta, allora avrebbero agito a loro piaci-mento. E poiché Iordanus continuava ad essere idem Iordanus,essi gli fecero sapere attraverso una certa persona che avevanogià avuto troppa pazienza nei suoi riguardi e che egli li avevagià abbastanza infastiditi; e così, con grande onestà da parte diquell’ometto, la questione ebbe termine561.

Che scena meravigliosa! C’è il mago, che espone lateoria copernicana nel contesto della magia astrale e delculto solare del De vita coelitus comparanda. E c’è ilsolenne dottore al quale sembra di aver letto da qualcheparte qualcosa di simile, e si precipita nel suo studioper andarsi a cercare Ficino. Ma i dottori comprendonodavvero di che cosa si tratta? Probabilmente no, anchese la parola «giocoliere» è significativa, poiché suggeriscel’idea di mago.

L’Abbot introduce Bruno nel suo libro fieramenteanticattolico nel punto in cui replica all’argomento diBristow-Hill, secondo il quale i cattolici sono «uniti ed’accordo» mentre gli eretici sono divisi. L’Abbot vuolmettere in evidenza che lo Hill non è originale, in quan-to si limita a riprodurre il materiale del Bristow, e Bru-no viene citato come un altro plagiario, scoperto ad Ox-ford con le mani nel sacco mentre teneva lezioni su ar-gomenti ripresi di sana pianta dal Ficino. Si tratta di unpretesto tanto debole per introdurre l’episodio brunianoche deve sussistere qualche ragione più profonda. L’Ab-bot, evidentemente, aveva una certa conoscenza di un’o-

561 Abbot, The Reasons, ecc., pp. 88-9; cit. da McNulty, art.cit., pp. 302-3.

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pera di Bruno, mostrando di aver letto l’indirizzo ai dot-tori di Oxford nella Explicatio triginta sigillorum. Se ave-va esaminato un po’ più a fondo quel libro, doveva esser-si imbattuto in una difesa della «buona» religione magi-ca, basata sul De occulta philosophia di Cornelio Agrip-pa. Soltanto questo motivo potrebbe spiegare l’inclusio-ne di un attacco contro il «giocoliere» italiano nel conte-sto della sua polemica contro i cattolici che avevano van-tato la supremazia della loro religione per il suo presun-to potere di compiere miracoli. Inoltre, nella Cena de leceneri, dichiaratamente connessa alla teoria copernicana,Bruno si era riferito alle sue esperienze oxoniensi, offen-dendo violentemente i «pedanti» che avevano colà inter-rotto le sue lezioni; nel brano più sopra citato abbiamofornito un esempio del suo linguaggio. Nel De la causa,principio e uno Bruno si scusa, in un certo senso, dell’at-tacco sferrato contro Oxford, ma sotto forma di un con-fronto fra l’Oxford di prima della Riforma e l’universitàdel suo tempo, confronto che si risolve a tutto vantaggiodella prima:

Né meno è persa la memoria di quel, che, prima che le letterespeculative si ritrovassero nell’altre parti de l’Europa, fiorirnoin questo loco [Oxford]; e da que’ suoi principi de la metafisica,quantunque barbari di lingua e cucullati di professione, è statoil splendor d’una nobilissima e rara parte di filosofia (la quale a’tempi nostri è quasi estinta) diffuso a tutte l’altre academie de lenon barbare provinze. Ma quello che mi ha molestato e mi donainsieme insieme fastidio e riso, è, che con questo io non trovopiù romani e più attici di lingua che in questo loco [Oxford],del resto (parlo del più generale) si vantano di essere al tuttodissimili e contrarii a quei che furon prima; li quali, pocosolleciti de l’eloquenza e rigor grammaticale, erano tutti intentialle speculazioni, che da costoro son chiamate Sofismi. Ma iopiù stimo la metafisica di quelli, nella quale hanno avanzato illor prencipe Aristotele (quantunque impura e insporcata concerte vane conclusioni e teoremi, che non sono filosofici néteologali, ma da ociosi e mal impiegati ingegni), che quanto

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possono apportar questi de la presente etade con tutta la lorciceroniana eloquenza e arte declamatoria562.

Questa ritrattazione, in verità, non ritratta niente, perchéBruno, mentre esprime profonda ammirazione per i fratidella vecchia Oxford, torna di fatto a rammaricarsi che iloro successori siano «pedanti gramatici», secondo l’epi-teto ingiurioso da lui rivolto ai dottori oxoniensi nella Ce-na. Bruno avrebbe preferito incontrare ad Oxford qual-cuno dei barbari frati dei tempi andati, piuttosto che i ci-ceroniani dei suoi giorni. Forse neppure il principe Ala-sco fu del tutto soddisfatto, dal momento che il Sidney loportò a far visita all’«evocatore di spiriti» John Dee dopoil suo viaggio ad Oxford563.

Per quanto si debba tener conto della naturale animo-sità di Abbot contro il mago che aveva attaccato Oxford,non vedo alcun motivo per porre in dubbio l’attendibili-tà della sua narrazione, laddove afferma che Bruno, nellesue lezioni, associava la teoria copernicana sul sole al Devita coelitus comparanda del Ficino: e si tratta di un’in-formazione eccezionalmente preziosa. Essa conferma l’i-

562 De la causa, principio e uno (1584), dial. I (Dial. ital., pp.209-10).

563 Può darsi senz’altro che Robert Greene avesse in mentequesti eventi allorché scrisse (intorno al 1587 o più tardi) l’ope-ra teatrale Friar Bacon and Friar Bungay, ambientata nella Ox-ford medievale dove si recano eminenti forestieri, l’Imperato-re ed altri, accompagnati da un dottore straniero che aveva ot-tenuto grandi trionfi in tutte le università d’Europa disputandosulla magia, ma che viene sconfitto a Oxford in una gara evoca-toria nel corso della quale la magia di «Friar Bacon» si dimostrapiù forte. Come è stato notato anni fa da A. W. Ward, alcuneosservazioni del mago forestiero su Oxford, contenute nell’o-pera di Greene, riecheggiano frasi della Cena de le ceneri (Mar-lowe, Tragical History of Dr. Faustus e Greene, Honourable Hi-story of Friar Bacon and Friar Bungay, a cura di A. W. Ward,Oxford 1887, pp. 254-5).

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potesi del nostro studio sugli scritti magici pubblicati aParigi. E il fatto che l’Abbot abbia introdotto il suo at-tacco contro Bruno nella sua opera controversistica anti-cattolica lascia intuire come egli avesse rinvenuto ancheun significato religioso nel copernicanesimo ficiniano diBruno.

Le opere in forma dialogica, scritte in italiano e pub-blicate da Bruno in Inghilterra, vengono di solito classi-ficate in morali e filosofiche. Nelle pagine seguenti sperodi mostrare come sia la riforma morale, che Bruno si pro-poneva di compiere, sia la sua filosofia, si connettano allasua missione religiosa ermetica, nell’ambito della quale lamagia ficiniana si sviluppa in un programma di totale re-staurazione della religione magica degli pseudo-Egizianidell’Asclepius. Poiché il carattere egiziano del messaggiodi Bruno risalta, in tutta evidenza, in uno dei cosiddet-ti dialoghi morali, lo Spaccio della bestia trionfante, esa-mineremo per primo questo scritto, riservando al prossi-mo capitolo la Cena de le ceneri, uno dei cosiddetti dia-loghi filosofici, nel quale il suo messaggio viene tradottonei termini della filosofia copernicana.

Un tema fondamentale dello Spaccio della bestia trion-fante (1584) è la glorificazione della religione magica de-gli Egiziani. Il loro culto era davvero il culto di «Dio nel-le cose»:

Però...diverse cose vive rapresentano diversi numi e diverse po-testadi; che oltre l’essere absoluto che hanno, ottegnono l’esse-re comunicato a tutte le cose secondo la sua capacità e misura.Onde Idio tutto (benché non totalmente ma in altre più e me-no eccellentemente) è in tutte le cose. Però Marte si trova piùefficacemente in natural vestigio e modo di sustanza non soloin una vipera e scorpione, ma ed in una cipolla ed aglio, che inqualsivoglia maniera di pittura o statua inanimata. Cossì pen-sa del Sole nel croco, nel narciso, nell’elitropio, nel gallo, nelleone; cossì pensar devi di ciascuno de gli dei per ciascuna dele specie sotto diversi geni de lo ente, perché sicome la divini-tà descende in certo modo per quanto che si comunica alla, na-

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tura, cossì alla divinità s’ascende per la natura, cossì per la vi-ta rilucente nelle cose naturali si monta alla vita che soprasiedea quelle...Perché in fatto vedo, come que’ sapienti con questimezzi erano potenti a farsi familiari, affabili e domestici gli deiche per voci, che mandavano da le statue, gli donavano conse-gli, dottrine, divinazioni ed instituzioni sopraumane; onde conmagici e divini riti per la medesima scala di natura salevano al’alto della divinità, per la quale la divinità descende sino allecose minime per la comunicazione di se stessa. Ma quel che mipar da deplorare, è che veggio alcuni insensati e stolti idolatri, liquali, non più che l’ombra s’avicina alla nobilità del corpo, imi-tano l’eccellenza del culto de l’Egitto; e che cercano la divini-tà, di cui non hanno raggione alcuna, ne gli escrementi di cosemorte ed inanimate; che con tutto ciò si beffano non solamentedi quei divini ed oculati cultori, ma anco di noi, come color chesiamo riputati bestie; e quel che è peggio, con questo trionfa-no, vedendo gli lor pazzi riti in tanta riputazione, e quelli de glialtri a fatto svaniti e cassi. – Non ti dia fastidio questo, o Mo-mo, disse Iside, perché il fato ha ordinata la vicissitudine delletenebre e la luce. – Ma il male è, rispose Momo, che essi tegno-no per certo di essere nella luce. – Ed Iside soggionse, che letenebre non gli sarebbono tenebre, se da essi fussero conosciu-te. Quelli dunque, per impetrar certi beneficii e doni da gli dei,con raggione di profonda magia passavano per mezzo di certecose naturali, nelle quali in cotal modo era latente la divinita-de, e per le quali essa potea e volea a tali effetti comunicarsi. Làonde que’ ceremoni non erano vane fantasie, ma vive voci chetoccavano le proprie orecchie de gli Dei...564.

Non c’è bisogno di dire che questo brano si basa su quel-lo della «costruzione degli dei» nell’Asclepius565, qui spie-gata come fenomeno profondamente magico e tipico del-la religione magica degli Egiziani che Bruno dichiara dipreferire a qualsiasi altra religione. Poco oltre, egli svi-luppa ulteriormente le sue idee sulla religione egiziana:

564 Spaccio della bestia trionfante, dial. 3 (Dial. ital., pp.777-8).

565 Cfr. supra.

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Ecco dunque come mai furono adorati crocodilli, galli, cipollee rape; ma gli Dei e la divinità in crocodilli, galli ed altri; la qua-le in certi tempi e tempi, luoghi e luoghi, successivamente edinsieme insieme, si trovò, si trova e si trovarà in diversi sugget-ti quantunque siano mortali: avendo riguardo alla divinità, se-condo che ne è prossima e familiare, non secondo è altissima,absoluta in se stessa, e senza abitudine alle cose prodotte. Vedidunque come una semplice divinità che si trova in tutte le co-se, una feconda natura, madre conservatrice de l’universo, se-condo che diversamente si comunica, riluce in diversi sogget-ti, e prende diversi nomi. Vedi come a quell’una diversamen-te bisogna ascendere per la participazione de diversi doni; altri-mente in vano si tenta comprendere l’acqua con le reti e pescari pesci con la pala. Indi ne gli doi corpi che vicino a questo glo-bo e nume nostro materno son più principali, cioè nel sole e lu-na, intendeano la vita che informa la cose secondo due raggio-ni più principali. Appresso apprendeano quella secondo settealtre raggioni, distribuendola a sette lumi chiamati erranti; a gliquali, come ad original principio e feconda causa, riduceano ledifferenze delle specie in qualsivoglia geno: dicendo de le pian-te, de li animali, de le pietre, de gl’influssi, e di altre ed altre co-se, queste di Saturno, queste di Giove, queste di Marte, questee quelle di questo e di quell’altro. Cossì de le parti, de’ mem-bri, de’ colori, de’ sigilli, de’ caratteri, di segni, de imagini de-stribuite in sette specie. Ma non manca per questo, che quel-li non intendessero una essere la divinità che si trova in tutte lecose, la quale, come in modi innumerabili si diffonde e commu-nica, cossì ave nomi innumerabili, e per vie innumerabili, conraggioni proprie ed appropriate a ciascuno, si ricerca, mentrecon riti innumerabili si onora e cole, perché innumerabili ge-ni di grazia cercamo impetrar da quella. Però in questo biso-gna, quella sapienza e giudizio, quella arte, industria ed uso dilume intellettuale, che dal sole intelligibile a certi tempi più eda certi tempi meno, quando massima – e quando minimamen-te viene revelato al mondo. Il quale abito si chiama Magia: equesta, per quanto versa in principii sopranaturali, è divina; equanto che versa circa la contemplazion della natura e perscru-tazion di suoi secreti, è naturale; ed è detta mezzana e mate-matica, in quanto che consiste circa le raggioni ed atti de l’ani-ma, che è nell’orizonte del corporale e spirituale, spirituale edintellettuale.

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Or, per tornare al proposito donde siamo dipartiti, disse Iside aMomo, che gli stupidi ed insensati idolatri non aveano raggionedi ridersi del magico e divino culto degli Egizii; li quali in tuttele cose ed in tutti gli effetti, secondo le proprie raggioni diciascuno, contemplavano la divinità; e sapeano per mezzo dellespecie che sono nel grembo della natura, ricevere que’ beneficiiche desideravano da quella; la quale come dal mare e fiumidona i pesci, da gli deserti gli salvatici animali, da le minieregli metalli, da gli arbori le poma; cossì da certe parti, da certianimali, da certe bestie, da certe piante porgono certe sorti,virtudi, fortune ed impressioni. Però la divinitade nel marefu chiamata Nettuno, nel sole Apolline, nella terra Cerere, negli deserti Diana; e diversamente in ciascuna de le altre specie,le quali, come diverse idee, erano diversi numi nella natura, liquali tutti si referivano ad un nume de’ numi e fonte de le ideesopra la natura566.

Qual è l’operazione di Bruno? È molto semplice. Egliriconduce la magia rinascimentale alle sue fonti pagane,abbandonando i deboli tentativi di Ficino di elaborareuna magia innocua dissimulandone la fonte principale,l’Asclepius, violentemente schernendo gli ermetici reli-giosi che hanno creduto di fondare un ermetismo cristia-no facendo a meno dell’Asclepius, e proclamandosi unEgiziano convinto, che, come Celso nelle sue argomen-tazioni anticristiane citate da Origene567, deplora la di-struzione, operata dai cristiani, del culto degli dèi natu-rali della Grecia e della religione attraverso cui gli Egi-ziani avevano raggiunto le idee divine, il sole intelligibi-le, l’Uno del neoplatonismo.

Così egli può citare integralmente il lamento dell’Ascle-pius, traducendone in italiano le commosse cadenze:

Non sai, o Asclepio, come l’Egitto sia la imagine del cielo...lanostra terra è tempio del mondo. Ma, oimé, tempo verrà che

566 Spaccio, dial. 3 (Dial. ital., pp. 780-2).567 Cfr. dell’supra.

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apparirà l’Egitto in vano essere stato religioso cultore della di-vinitade...O Egitto, Egitto, delle religioni tue solamente rimar-ranno le favole...Le tenebre si preponeranno alla luce, la mor-te sarà giudicata più utile che la vita, nessuno alzarà gli occhial cielo, il religioso sarà stimato insano, l’empio sarà giudicatoprudente, il furioso forte, il pessimo buono. E credetemi cheancora sarà definita pena capitale a colui che s’applicarà alla re-ligion della mente; perché si trovaranno nove giustizie, nuoveleggi, nulla si trovarà di santo, nulla di relligioso non si udiràcosa degna di cielo o di celesti. Soli angeli perniciosi rimarran-no, li quali meschiati con gli uomini forzaranno gli miseri al-l’audacia di ogni male, come fosse giustizia; donando materiaa guerre, rapine, frodi e tutte altre cose contrarie alla anima egiustizia naturale: e questa sarà la vecchiaia ed il disordine e lairreligione del mondo. Ma non dubitare, Asclepio, perché, do-po che saranno accadute queste cose, allora il signore e padreDio, governator del mondo, l’omnipotente provveditore...senzadubbio donarà fine a cotal macchia, richiamando il mondo al-l’antico volto568.

Ritornerà la meravigliosa religione magica degli Egiziani,le loro leggi morali sostituiranno il caos presente, la pro-fezia del Lamento si avvererà; e il segno celeste che pro-clama il ritorno della luce egiziana a cacciare le tenebreattuali era (come vedremo nel prossimo capitolo) il solecopernicano.

La neoplatonizzazione ficiniana della magia dell’Ascle-pius è chiarissima in taluni dei brani prima citati, e in par-ticolare nell’uso del termine «ragioni», nel senso di in-flussi astrali, che richiama alla mente l’inizio del De vi-

568 Spaccio, dial. 3 (Dial. ital., pp. 784-6). Cfr. l’Asclepius inC.H., II, pp. 326-30. e supra. È stato rilevato che questo pas-so deriva dall’Asclepius, ma non ci si è accorti che anche i pas-si precedenti, citati sopra, si basano tutti sulla descrizione dellareligione egiziana contenuta nell’Asclepius, e che Bruno la rie-labora in chiave neoplatonica, secondo la consuetudine inau-gurata da Ficino.

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ta coelitus comparanda569. È visibile anche l’influenza diCornelio Agrippa nella classificazione della magia in di-vina o soprannaturale, media o matematica, e naturale570.Per sapere qualche cosa di più, per esempio, dei colori,sigilli, caratteri, segni e immagini propri dei sette piane-ti, il lettore doveva, naturalmente, ricorrere all’utile librodi Agrippa. L’egizianismo di Bruno è perciò quello diun compiuto mago moderno che in definitiva discendeda Ficino, ma passando attraverso l’esperieriza di Agrip-pa. E Bruno proclama apertamente che il suo egiziani-smo è una religione; è la buona religione che fu relega-ta nelle tenebre quando il Cristianesimo la distrusse, laproibì con le sue leggi e sostituì con il culto di cose mor-te, riti assurdi, cattiva condotta morale e guerre conti-nue, la religione naturale egiziana con il suo fondamentoneoplatonico, e le buone leggi morali egiziane. «Mercu-rio Egizio sapientissimo» è per Bruno il nome della stes-sa sapienza divina571, e lo Spaccio della bestia trionfantedelinea una incipiente riforma morale e religiosa.

La peculiarità della riforma dello Spaccio è che essa hail suo inizio in cielo; sono le immagini delle costellazio-ni dello zodiaco e quelle delle costellazioni boreali e au-strali ad essere riformate, o restaurate nella loro purez-za, da un concilio degli dèi planetari convocato a que-sto scopo da Giove. Fra gli oratori del consesso celesteinvestito di tale compito figurano la divina Sofia, Isidee Momo. L’idea di una riforma che incominci in cielo– mediante il riordinamento o la purificazione delle im-magini celesti (donde deriva anche una riforma del mon-do inferiore, conseguente alla riforma degli influssi cele-sti che agiscono su di esso) – potrebbe essere stata sug-gerita a Bruno da un trattato ermetico, non di quelli noti

569 Cfr. supra.570 Cfr. supra.571 Spaccio, dial. 3 (Dial. ital., p. 780).

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del Corpus Hermaeticum, ma di quelli conservati da Sto-beo nella sua antologia. Intendo dire il trattato noto co-me Koré Kosmou572, ovvero «Figlia (o Vergine) del mon-do», o, nella traduzione latina del Patrizi, Minerva mun-di. Il trattato ha la forma di un dialogo fra Iside e suo fi-glio Oro, nel quale interviene anche Momo. Iside inco-mincia col descrivere la creazione, una prima fase dellaquale fu costituita dall’ordinamento delle immagini ce-lesti da cui dipendono tutte le cose inferiori573. Furonocreate in seguito le cose del mondo inferiore, ma la natu-ra inferiore non risultò soddisfacente. Perciò Dio decisedi creare l’uomo: convocò un concilio degli dèi che si of-frirono di dare il loro aiuto e ciascun dio planetario attri-buì all’uomo i suoi doni caratteristici574. Ma le cose an-davano di male in peggio, e Dio convocò di nuovo un’as-semblea plenaria degli dèi575 (proprio come Giove radu-na gli dèi nello Spaccio bruniano per realizzare una rifor-ma). L’ignoranza, che fino allora aveva regnato indistur-bata, venne cacciata; gli elementi furono liberati della lo-ro corruzione e ricevettero una seconda effusione dellanatura divina576. Il trattato termina con le lodi di Iside eOsiride che han posto fine agli eccidi e hanno restaura-to la giustizia, e che, avendo saputo da Ermete come do-vesse essere mantenuta una correlazione simpatica fra lecose inferiori e quelle superiori, hanno istituito sulla ter-ra le funzioni sacre, collegate verticalmente con i mistericelesti577.

572 C.H., IV, pp. 1-22 (Stobeo, Excerp. XXIII).573 Ibid., p. 7.574 Ibid., pp. 8-9.575 Ibid., p.17.576 Ibid., pp. 18-20.577 Ibid., pp. 21-2. Mi sono limitata a ricordare solo poche

frasi della litania.

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Il trattato è assai oscuro578 e ne ho riassunto soltantoalcuni punti per rendere possibile un confronto con loSpaccio bruniano, dove, fra gli interlocutori, compaionoSofia, Iside e Momo (ma non Oro) e gli dèi sono con-vocati in concilio per procedere a riformare se stessi e leimmagini celesti. Da ciò deve derivare una riforma gene-rale dell’umanità, caratterizzata da un ritorno all’etica ealla religione egiziane. Inoltre, c’è una curiosa vena di fa-miliarità lucianesca nel modo in cui vengono trattati glidèi nello scritto ermetico (Momo è un personaggio moltousato da Luciano)579, che è tipica anche dello Spaccio.

Il Koré Kosmou fu pubblicato per la prima volta nel1591 insieme con gli altri scritti ermetici, e con una tra-duzione latina del Patrizi580. Se Bruno ne ebbe conoscen-za prima del 1584 – data di pubblicazione dello Spaccio –deve averlo letto perciò o in una delle traduzioni mano-scritte che circolavano fra gli ermetici, o nel testo grecooriginale di Stobeo581.

578 Per una discussione di esso, cfr. Festugière, III, pp. 37-41,83 sgg.

579 Esso è ricordato nella Vera historia di Luciano, che Brunoconosceva bene e a cui si richiama nella Cena de le ceneri, dial.3 (Dial. ital., p.111). Bruno certamente aveva una conoscenzadiretta delle opere di Luciano, ma il punto è che nel KoréKosmou troviamo un Momo collocato in un contesto ermetico.«Ermete si compiacque di udire le parole di Momo poiché essegli furono rivolte in un tono familiare» (C.H., IV, p. 16).

580 Nel Nova de universis philosophia, Ferrara 1591, e Venezia1593. Cfr. supra. Sulla pubblicazione dei frammenti di Stobeoda parte del Patrizi, cfr. Scott, I, p. 40.

581 L’Anthologium di Stobeo, compilato intorno al 500 d.C., è una raccolta di estratti da scrittori greci, fra cui figuranodiversi Hermetica. Alcuni di questi figurano anche nel CorpusHermeticum; altri sono conservati solo qui ed uno di questi èil Koré Kosmou. L’editio princeps dell’antologia (libri I e II) fustampata ad Anversa nel 1575. Cfr. Scott, I, pp. 82 sgg.

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Su, su, o dei, tolgansi dal cielo queste larve, statue, figure, ima-gini, ritratti, processi ed istorie de nostre avarizie, libidini, fur-ti, sdegni, dispetti ed onte. Che passe, che passe questa notteatra e fosca di nostri errori, perché la vaga aurora del novo gior-no de la giustizia ne invita; e disponiamoci di maniera tale al so-le, ch’è per uscire, che non ne discuopra cossì come siamo im-mondi. Bisogna mondare e renderci belli...Disponiamoci, dico,prima nel cielo che intellettualmente è dentro di noi, e poi inquesto sensibile che corporalmente si presenta a gli occhi. To-gliemo via dal cielo de l’animo nostro l’Orsa della difformità,la Saetta de la detrazione, l’Equicolo de la leggerezza, il Canede la murmurazione, la Canicola de l’adulazione. Bandiscasi danoi l’Ercole de la violenza, la Lira de la congiurazione, il Trian-golo de l’impietà, il Boote de l’inconstanza, il Cefeo de la du-rezza. Lungi da noi il Drago de l’invidia, il Cigno de l’impru-denza, la Cassiopea de la vanità, l’Andromeda de la desidia, ilPerseo della vana sollecitudine. Scacciamo l’Ofiulco de la mal-dizione, l’Aquila de l’arroganza, il Delfino de la libidine, il Ca-vallo de l’impacienza, l’Idra de la concupiscenza. Togliemo danoi il Ceto de l’ingordiggia, l’Orione de la fierezza, il Fiume dele superfluitadi, la Gorgone de l’ignoranza, la Lepre del vano ti-more. Non ne sia oltre dentro il petto l’Argo-nave de l’avarizia,la Tazza de l’insobrietà, la Libra de l’iniquità, il Cancro del malregresso, il Capricorno de la decepzione. Non fia che ne s’avi-cine il Scorpio de la frode, il Centauro de la animale affezione,l’Altare de la superstizione, la Corona de la superbia, il Pescede l’indegno silenzio. Con questi caggiano gli Gemini de la ma-la familiaritade, il Toro de la cura di cose basse, l’Ariete de l’in-considerazione, il Leone de la Tirannia, l’Aquario de la disso-luzione, la Vergine de l’infruttuosa conversazione, il Sagittariode la detrazione. Se cossì, o dei, purgaremo la nostra abitazio-ne, se cossì renderemo novo il nostro cielo, nove saranno le co-stellazioni ed influssi; nove l’impressioni, nove fortune; perchéda questo mondo superiore pende il tutto...582.

Queste parole sono tratte da un’orazione che Giovepronunzia, nello Spaccio, davanti all’assemblea, o conci-lio generale, degli dèi celesti. L’onnipotente signore del

582 Spaccio, dial. I (Dial. ital., pp. 611-2).

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tuono sente che sta invecchiando ed assume una dispo-sizione d’animo penitenziale. Volgendo lo sguardo peicieli, egli si accorge che le immagini delle quarantottocostellazioni o raffigurano brutte forme animali, come ilgrande orso deformato dell’Orsa maggiore, o come l’A-riete e il Toro, e altre figure animali dello zodiaco, o ri-cordano azioni turpi degli stessi dèi, come la Lira, chesimboleggia i furti di Mercurio, o le costellazioni di Er-cole e di Perseo, che sono i bastardi di Giove. Gli dèiriuniti in conclave devono, dunque, considerare una peruna le immagini delle costellazioni, iniziando dall’Orsa edalle altre costellazioni boreali, continuando con i dodicisegni dello zodiaco, e concludendo con l’esame delle co-stellazioni australi583. Giove avrà forse fornito a ciascunmembro del consiglio celeste una di quelle edizioni illu-strate di Igino contenenti incisioni delle immagini del-le costellazioni, accanto al testo che ne descrive le asso-ciazioni mitologiche. (Una delle ultime opere mnemoni-che di Bruno è illustrata con incisioni che raffigurano glidèi planetari, identiche a quelle di un’edizione di Iginopubblicata a Parigi nel 1578.)584 In ogni modo, sarà be-ne che lo studioso dello Spaccio si tenga accanto un Igi-no illustrato, perché Bruno ha mutuato da quest’operabuona parte della sua mitologia, ed è alle immagini del-le costellazioni, passate in rassegna secondo il loro ordi-ne, che egli collega il tema del suo mirabile dialogo: unauniversale riforma morale e religiosa.

Via via che vengono discusse le immagini delle variecostellazioni, sono deplorati i vizi e lodate le virtù col-legati a ciascuna di esse. Inoltre, c’è un continuo mo-vimento attivo di ascesa e discesa: i vizi vengono estro-messi, espulsi dal cielo dagli dèi, e al posto di ciascunodi essi ascende la virtù opposta. Così, alla fine, la Bestia

583 Ibid. (Dial. ital., pp. 595 sgg.).584 Igino, Fabularum liber, Parigi 1578; cfr. più avanti.

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trionfante è completamente spacciata. E la Bestia trion-fante non è il papa, come talvolta si è ritenuto. È inve-ce il complesso di tutti i vizi opposti alle virtù. E ciò èchiarito da Bruno nella dedica dell’opera a Philip Sid-ney: «Allora si dà spaccio a la bestia trionfante, cioè agli vizii che predominano e sogliono conculcar la partedivina [dell’anima]»585.

Bruno dà due volte l’elenco delle costellazioni e dellevirtù e dei vizi che egli collega a ciascuna di esse: una pri-ma volta nella dedica a Sidney e una seconda nei dialo-ghi dove il movimento riformatore viene dettagliatamen-te descritto, via via che gli dèi operano nei cieli. Nel se-condo dialogo, nel quale sono astrattamente consideratele virtù trionfanti, Bruno continua a seguire l’ordine adesse attribuito nel sistema delle costellazioni. Si deve te-ner presente che egli ha impresso nella sua mente, conassoluta chiarezza, mediante un magico sistema mnemo-nico, l’ordine delle immagini delle costellazioni, sul qua-le si fonda tutta la discussione.

Ecco qui alcuni esempi dei movimenti dei vizi e del-le virtù, dell’ascesa delle virtù e della discesa dei vizi, chesi realizzano nel corso dell’opera di riforma celeste intra-presa dagli dèi.

Nella costellazione dell’Orsa maggiore e dell’Orsa mi-nore ascendono la Verità, l’Entità e la Bontà, che scac-ciano la Deformità, la Falsità e il Difetto586. In quella diCefeo, Sofia sostituisce l’Ignoranza e la Stolta Fede587. LaLegge naturale e umana sale nella costellazione di Boo-te (Arctofilace) in luogo del Delitto588. Nella Corona bo-

585 Spaccio, dedica (Dial. ital., p. 561).586 Spaccio, dedica e dial. I (Dial. ital., pp. 562 sgg., 617 sgg.).587 Ibid. (Dial. ital., pp. 562, 611).588 Ibid. (Dial. ital., pp. 562, 621).

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reale, la Giustizia sostituisce l’Iniquità589. Nel Triango-lo, Fede, Amore e Sincerità scacciano la Frode590. Nel-le Pleiadi (che Bruno include fra i segni zodiacali, comein alcune edizioni di Igino), Unione, Civiltà e Concordiaprendono il posto di Setta, Fazione e Partito591. NelloScorpione, la Sincerità e la Verità sloggiano la Frode e ilTradimento592. Il Capricorno – in rapporto al quale vie-ne narrata, in Igino, la storia degli dèi greci trasformati-si in Egitto in animali – segna il punto della rassegna ce-leste in cui vengono fatte le lodi della religione egizianasopra citate, e viene inserito il Lamento dell’Asclepius593.Rapina e Falsità lasciano Orione, e al loro posto ascen-dono Magnanimità e Amore pubblico594. Nel Corvo, laMagia divina sostituisce l’Impostura595.

A questo punto possiamo già cominciare a capire,almeno in parte, che cosa significhi la riforma celestedi Bruno. La profezia posta alla fine del Lamento sista avverando; la vecchiaia del mondo, sopraggiunta conil crollo della religione e delle leggi morali egiziane, èfinita; la religione magica riprende il suo posto nei cieli econ essa rivivono le virtù della società egiziana. Alcunidei vizi sopraffatti corrispondono a quelli menzionatinel Lamento, per esempio la Frode596. E al LamentoBruno associa un’altra opera «egiziana», cioè il CorpusHermeticum XIII, con la sua descrizione del modo in cui,nell’anima rigenerata, la decade delle Potestà rimpiazzi la

589 Ibid. (Dial. ital., pp. 563, 622).590 Spaccio, dedica e dial. 3 (Dial. ital., pp. 565, 755).591 Ibid. (Dial. ital., pp. 566, 765-6).592 Ibid. (Dial. ital., pp. 567, 774).593 Ibid. (Dial. ital., pp. 567, 775 sgg.).594 Ibid. (Dial. ital., pp. 568, 803 sgg.).595 Ibid. (Dial. ital., pp. 569, 817 sgg.).596 Cfr. supra.

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dodecade dei vizi connessi ai cattivi influssi delle stelle597.Bruno non segue questo rapporto numerico, ma non c’èdubbio che si possa, a questo punto, riconoscere conchiarezza l’origine ermetica dell’idea della rigenerazionemorale che si attua nel contesto cosmologico.

I nomi degli dèi che partecipano al concilio riforma-tore e, sovrintendono alla riforma celeste non sono maielencati, ma riusciamo a identificarli attraverso i nomidegli oratori che intervengono nelle deliberazioni. Alconcilio convocato da Giove prendono parte Apollo,Mercurio, Saturno, Marte, Venere e Diana. Si tratta, co-me è ovvio, degli dèi planetari, fra i quali il Sole e la Lu-na indicati con la loro denominazione greca. Presenti so-no anche Giunone, Minerva, Nettuno e Iside, la qualeultima ha una funzione di primo piano nelle discussioni.

Nella dedica al Sidney, Bruno spiega che gli dèi rap-presentano «le virtudi e potenze de l’anima»598 e che, sic-come «in ciascuno individuo si contempla un mondo, ununiverso»599, la riforma del cielo è anche la riforma, ola creazione, di una personalità. Giove dice, nel discor-so già citato, che la riforma incomincia nella mente de-gli stessi dèi, i quali debbono disporsi nel cielo intellet-tuale che è dentro di loro, togliere «dal cielo dell’animo»loro600 le qualità negative, e sostituirle con qualità posi-tive. È proprio questa riforma interiore degli stessi dèia riflettersi tutt’intorno, sulla volta dei cieli, quando levirtù ascendono ad occupare il posto dei vizi nelle qua-rantotto costellazioni. È dunque una personalità quellache si viene formando nello Spaccio, una personalità i cuipoteri si plasmano in un felice complesso unitario.

597 Cfr. supra.598 Spaccio, dedica (Dial. ital., pp. 561-2).599 Ibid. (Dial. ital., p. 560).600 Cfr. supra.

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Ma che specie di personalità? Possiamo comprender-lo guardando la volta del cielo e riproducendo in noi levittoriose buone qualità delle costellazioni. Si tratta diuna personalità prevalentemente solare; perché Apollo èil patrono della magia e della divinazione, e una similepersonalità preannuncia e promuove una rinascita di re-ligione magica. Il trionfo di buone caratteristiche solari ètestimoniato, per esempio, nella costellazione del Drago,dove Apollo ammalia il Drago con i suoi incantesimi601,e in quella del Corvo, in cui la Magia divina trionfa sul-le forme perverse di magia602. Un altro importantissimoinflusso viene esercitato su questa personalità da Giove.Le caratteristiche tipiche di Giove, di legislatore benevo-lo e tollerante, prevalgono nelle costellazioni di Boote603,Aquila604, Ariete605, Libra606 e in altre. C’è anche un for-te influsso di Venere, che opera nella direzione dell’ami-cizia e dell’amore, del superamento delle discordie, del-la mitigazione di Marte, cioè delle forze bellicose. Vene-re trionfa nelle Pleiadi607 e nei Gemelli608, e nel Delfino609

supera Marte. Vengono conservate, per esempio nellacostellazione di Perseo610, buone qualità saturniane, co-me lo studio profondo e la contemplazione, ma la carat-teristica saturniana della scontrosità e altre qualità nega-tive sono temperate dagli influssi di Giove o di Venere in

601 Spaccio, dedica (Dial. ital., pp. 619-20).602 Ibid., dedica e dial. 3 (Dial. ital., pp. 569, 817-8).603 Ibid., dedica e dial. 1 (Dial. ital., pp. 562, 621).604 Ibid., dedica e dial. 3 (Dial. ital., pp. 565, 751).605 Ibid. (Dial. ital., pp. 565, 761-3).606 Ibid. (Dial. ital., pp. 567, 771).607 Ibid. (Dial. ital., pp. 566, 765-6).608 Ibid. (Dial. ital., pp. 566, 766-7).609 Ibid. (Dial. ital., pp. 565, 753-4).610 Ibid. (Dial. ital., pp. 564, 711).

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altre costellazioni. Marte viene dovunque mitigato, ed èparticolarmente rabbuffato da Giove nella costellazioneCassiopea611.

Questa, almeno, è la spiegazione che darei dei curiosielenchi di qualità positive e negative che si trovano nelloSpaccio, che sono qualche cosa di più di semplici elenchidi virtù e vizi. Penso che essi rappresentino gli influssibuoni e quelli cattivi delle stelle. La personalità control-la l’azione delle stelle, sia scegliendo, di esse, solo le qua-lità positive e gli influssi favorevoli (in Venere, per esem-pio, scegliendo l’amore e la benevolenza, e non la lasci-via; analogamente per quanto concerne gli influssi deglialtri pianeti), sia temperando gli influssi dei pianeti pre-valentemente negativi come Marte e Saturno con quel-li del Sole, di Giove e di Venere. Riparleremo di questoaspetto dello Spaccio in uno dei prossimi capitoli, quandoesamineremo uno scritto tardo di Bruno, nel quale sonocontenuti elenchi di qualità positive e negative della stes-sa specie di quelle descritte nello Spaccio, in un contestoin cui esse sono esplicitamente connesse alla psicologiaastrale612.

Se la mia interpretazione dell’etica dello Spaccio è cor-retta, ciò significa che Bruno ha sviluppato la magia fi-ciniana, rivolta alla formazione di una personalità nellaquale prevalgano gli influssi del Sole, di Giove e di Ve-nere e vengano controllati gli influssi negativi delle stel-le, nella direzione di una religione o di un’etica integral-mente «egiziana» o ermetica, nell’ambito della quale lariforma, e cioè la salvezza, è conseguita nell’ordine co-smologico: la «bestia trionfante», e cioè il complesso deivizi (gli influssi cattivi delle stelle), è vinta dal comples-so delle virtù e nella personalità riformata prevalgono levirtù o poteri divini.

611 Spaccio, dedica e dial. 2 (Dial. ital., pp. 563, 705-6).612 Cfr. più avanti.

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Della forma animale, della «bestia», si fa uso, nelloSpaccio, in modo curiosamente ambivalente. Talvoltasembra che le forme animali del cielo, e cioè le immaginidelle costellazioni di forma animale, rappresentino i viziche sono espulsi dalla personalità riformata. Ma gli dèi,quando prendono in esame il Capricorno, lasciano chequesto animale rimanga in cielo a indicare la verità dellareligione della magia naturale, che venera «il divino nellecose»613. Altrove si dice che, sebbene possa sembrareche le immagini celesti in forma animale significhino ivizi, tuttavia esse non sono del tutto prive di una divinavirtù; ragione per cui gli Egiziani, dalle forme naturalidelle bestie, ascesero alla penetrazione della divinità614.Così, per quanto la forma animale di talune immaginidelle costellazioni simboleggi i vizi contrari alle virtùpropugnate dalla riforma, tuttavia la forma animale in sé,in quanto rappresentativa del Deus in rebus, è riscattatadalle forme animali celesti, e in particolare da quelladel Capricorno. La riforma etica scaccia le immaginibestiali dal cielo nella misura in cui siano intese comeallegorie dei vizi. Ma la riforma religiosa le conserva incielo in quanto rappresentative dell’Egitto e del suo cultoanimale. Lo «spaccio della bestia trionfante» ha così unduplice significato: la bestia viene spacciata a un livello,mentre trionfa ad un altro. Viene fatto di domandarsi sepapa Alessandro VI pensasse ad Api secondo le linee diquesta distinzione estremamente ardua615.

Per le sue meditazioni sulle forme divine, greche edegiziane, è possibile che Bruno avesse studiato il De gliimmagini degli dei del Cartari, nel quale le illustrazionimostrano spesso, insieme, forme greche ed egiziane. Egli dèi dello Spaccio quasi esitano, per così dire, fra le

613 Spaccio, dial. 1 (Dial. ital., p. 602).614 Ibid., dial. 3 (Dial. ital., pp. 795-6).615 Cfr. supra.

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due forme via via che cresce la suggestione egiziana. Gliaffreschi dell’appartamento Borgia, nei quali Io, la gio-venca greca, prende in Egitto le forme di Iside, si collo-cano forse in un contesto simile, sebbene si mantenga-no nell’ambito dell’ortodossia, in quanto mostrano i to-ri egiziani nell’atto di venerare la Vergine e i santi, comeveri e propri prisci theologi.

Le opinioni di Bruno sulla storia della prisca theologia,o prisca magia, sono espresse molto chiaramente:

Ma non inferisca che la sufficienza della magia caldaica siauscita e derive da la cabala giudaica; perché gli Ebrei sonconvitti per escremento de l’Egitto, e mai è chi abbia possutofingere con qualche verisimilitudine, che gli Egizii abbianopreso qualche degno o indegno principio da quelli. Onde noiGreci conoscemo per parenti de le nostre favole, metafore edottrine la gran monarchia de le lettere e nobilitade, Egitto...616.

È così che Bruno risolve la imponente controversia circail rapporto cronologico fra Mosè ed Ermete l’egiziano.Gli Egiziani sono vissuti prima dei Greci e degli Ebrei, eovviamente prima dei cristiani, ed hanno avuto, rispettoad essi, religione, magia e leggi migliori. Egli si avvaledegli elementi tradizionali, ma li colloca in una diversaprospettiva, fino a raggiungere posizioni singolarmentelontane dall’ortodossia.

Oltre all’influenza fondamentale esercitata sullo Spac-cio dai trattati ermetici, letti da Bruno come documen-ti della religione e dell’etica degli antichi Egiziani, risal-ta anche un’altra sicura influenza, cioè quella dello Zodia-cus vitae (pubblicato per la prima volta nel 1534)617 di Pa-

616 Spaccio, dial. 3 (Dial. ital., pp. 799-800).617 Era un’opera assai popolare, particolarmente nei paesi

protestanti, a motivo della sua satira sui monaci. In Inghilterraessa veniva usata come testo nelle scuole; cfr. Foster Watson,The Zodiacus Vitae, London 1908, p. 5. Ne circolava una tradu-

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lingenio. In questo poema didascalico in latino Palinge-nio passa successivamente in rassegna i dodici segni del-lo zodiaco, connettendo ad essi la propria dottrina mora-le, la vittoria delle virtù sui vizi. Dal momento che l’ope-ra è cosparsa di esplosioni di entusiamo o furor, duran-te le quali la o mens si innalza fino al cielo, ritengo chel’autore sia stato influenzato dalla dottrina ermetica618, eche questa sia riflessa anche nel modo in cui Palingeniopresenta la propria etica, inquadrandola, cioè, nel con-testo cosmologico dello zodiaco. L’etica di Palingenio, il

zione inglese dovuta a Barnabe Googe (ristampata con una in-troduzione da R. Tuve, Scholars’ Facsimiles and Reprints, NewYork 1947).

618 Vi si trova un solo accenno esplicito a Ermete, il seguente:Hei mihi! quam vere dixit ter maximus Hermes,Congeries mundus cunctorum est iste malorum,Nimirum quoniam daemon, qui praesidet orbiTerrarum, malus est, saevaque tyrannide gaudet.

(Zodiacus vitae, ed. di Rotterdam 1722, p. 251). Non sonoriuscita a rintracciare questa citazione che sembra attribuire aErmete una posizione di estremo pessimismo. Nel passo suc-cessivo, l’autore seguita a deplorare che il mondo sia abbando-nato in balìa di un demone diabolico, di nome Sarcoteo. Ciòsembra implicare una posizione dualistica che spiegherebbe ilpessimismo del poema e la sua preoccupazione per il maligno.(R. Tuve nella sua introduzione alla traduzione di Googe par-la di una concezione quasi manichea.) Si tratta di una posi-zione difficile da far rientrare nell’ambito dell’interpretazionepitagorico-platonica dell’epicureismo. Di fatto a me sembra im-possibile spiegare la concezione di Palingenio su normali basi fi-losofiche. Una spiegazione possibile potrebbe essere che Palin-genio fraintendesse totalmente Lucrezio, interpretando il suopessimismo e il suo profondo interesse per «il mondo» comeuna specie di gnosi dualistica (ciò spiegherebbe il posto dell’e-tica epicurea nello zodiaco, e gli elementi magici) che egli quin-di finiva per associare alla propria impostazione pitagorica eneoplatonica.

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tipo di virtù morale che egli propugna, è presumibilmen-te epicurea. Epicuro è da lui presentato come il supre-mo maestro di morale, e la dottrina epicurea del piacereviene esposta, senza alcuna deformazione o concessionealla lascivia, nella versione rigorosa e severa del vero epi-cureismo. Palingenio doveva la sua conoscenza di Epi-curo al poema di Lucrezio, del quale subì l’influsso an-che in rapporto a certi motivi cosmologici. Eppure l’e-picureismo di Palingenio è singolarmente venato di sug-gestioni neoplatoniche ed ermetiche e non mancano, nelpoema, numerosi accenni alla magia. Non c’è bisogno didire che un simile epicureismo rinascimentale è cosa bendiversa dall’epicureismo di Lucrezio.

Come ha osservato E. Garin619, il poema di Lucrezio,allora da poco riscoperto, influenzò Ficino; e in alcuniscrittori rinascimentali la dottrina epicurea che conside-ra un bene il piacere si fuse con il significato cosmicodell’amor, inteso come intrinseca forza vitale della natu-ra universale. Come esempio di questa tendenza Garincita620 i versi su Venere dello Zodiacus vitae di Palinge-nio, versi che risentono dell’invocazione lucreziana a Ve-nere all’inizio del De natura rerum, ma nei quali la Vene-re «naturale» è posta neoplatonicamente in rapporto conl’anima del mondo.

La dottrina morale che Bruno associa alla sua riforma«egiziana» ha carattere non ascetico e parzialmente epi-cureo. La chiave per intendere una simile dottrina è forsefornita dalla straordinaria combinazione di epicureismoed ermetismo attuata da Palingenio. Inoltre lo stesso Pa-lingenio si serve della propria etica naturalistica epicu-rea come base per la sua satira della innaturale condot-ta di vita e della depravazione morale di monaci e pre-

619 Garin, Ricerche sull’epicureismo del Quattrocento, in Cul-tura, pp. 72-86.

620 Ibid., pp. 83-4.

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ti (donde la popolarità del poema nei paesi protestanti),aprendo così la via allo Spaccio e alla sua satira religiosa.

Nondimeno, non c’è niente, in Palingenio, che asso-migli alla elaborata riforma celeste di Bruno, o alla suaesaltazione della sacra religione egiziana; e la satira re-ligiosa bruniana dello Spaccio, per quanto abbia di mi-ra alcuni aspetti del cattolicesimo, è soprattutto antipro-testante. Come rivelano certe osservazioni contenute inun’opera più tarda, Bruno non concordava interamentecon Palingenio621. E tuttavia, per la sua etica, per il tipodi ampia riforma morale che egli collega al suo «egizia-nismo», l’epicureismo di Palingenio con il suo contestozodiacale è suggestivo.

Bruno considerava la sua riforma ermetica o «egizia-na» strettamente legata al tempo in cui viveva. Lo Spac-cio contiene un messaggio politico-religioso che viene an-nunciato in cielo, e cioè nel corso delle discussioni sulleimmagini delle quarantotto costellazioni, e sulla riformadi esse.

Nella riformata costellazione di Boote nasce la legge.Questa si basa su ciò che è utile alla società umana. Es-sa è rivolta a proteggere i poveri e i deboli, a controlla-re i tiranni, a incoraggiare le arti, la cultura e le scienze, ea promuoverne le applicazioni pratiche a vantaggio del-la comunità. Giove, nella sua riforma, attacca violente-mente i «pedanti» per i quali le buone opere non hannoalcun valore:

621 Nel libro VIII del De immenso, Bruno cita Palingeniocome un autore col quale in parte concorda e in parte si trovain disaccordo (Op. lat., I [II], pp. 292 sgg.). Al brano chemenziona esplicitamente Palingenio ne segue un altro contro la«gnostica secta» che postula due principi, uno del bene e unodel male, assegnando al secondo il controllo del mondo (ibid.pp. 302 sgg.). È possibile che qui Bruno intenda dissociarsi daldualismo di Palingenio.

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Mentre nessuno opera per essi, ed essi operano per nessuno(perché non fanno altra opra che dir male de l’opre), tra tantovivono de l’opre di quelli ch’hanno operato per altri che per es-si, e che per altri hanno instituiti tempii, capelle, xeni, ospitali,collegii ed universitadi; onde sono aperti ladroni ed occupato-ri di beni ereditarii d’altri; li quali, se non son perfetti, né cos-sì buoni, come denno, non saranno però (come sono essi) per-versi e perniciosi al mondo; ma più tosto necessari alla repu-blica, periti ne le scienze speculative, studiosi de la moralitade,solleciti circa l’aumentar il zelo e la cura di giovar l’un l’altro,e mantener il convitto (a cui sono ordinate tutte leggi), propo-nendo certi premii a’ benefattori, e minacciando certi castighia’ delinquenti622.

E, in un brano successivo, Giove ordina al Giudizio diesaminare il comportamento di questi «gramatici, che intempi nostri grassano per l’Europa»:

Veda qual riuscita facciano essi, e quai costumi suscitano e pro-vocano ne gli altri, per quanto appartiene a gli atti de la giusti-zia e misericordia, e la conservazione ed aumento di beni publi-ci; se per lor dottrina e magistero sono drizzate academie, uni-versitadi, tempii, ospitali, collegii, scuole e luoghi de disciplineed arti; o pure, dove queste cose si trovano, son quelle medesi-me e fatte de medesime facultadi che erano prima che loro ve-nissero e comparissero tra le genti. Appresso, se per loro curaqueste cose sono aumentate, o pure per loro negligenza dismi-nuite, poste in ruina, dissoluzione e dispersione. Oltre, se sonooccupatori di beni altrui, o pure elargitori di beni proprii; e fi-nalmente, se quelli, che prendono la lor parte, aumentano e sta-biliscono gli beni publici, come faceano gli lor contrarii prede-cessori, o pure insieme con questi le dissipano, squartano e di-vorano; e mentre deprimeno l’opre, estingueno ogni zelo di farle nuove e conservar le antiche623.

In questi e in altri brani contro i «pedanti» che disprez-zano le buone opere (ovviamente c’è un riferimento al-

622 Spaccio, dial. 1 (Dial. ital., pp. 623-4).623 Ibid., dial. 2 (Dial. ital., p. 662).

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la dottrina della giustificazione per mezzo della fede) emandano in rovina quelle compiute dai loro predecesso-ri, affiora attraverso una specie singolare di doppia pro-spettiva, una visione della società inglese anteriore allaRiforma come più vicina di quella attuale all’ideale «egi-ziano» della legge, mentre le rovine presenti dei templi,degli ospedali, delle scuole sono oggetto di una depreca-zione che richiama il tono del Lamento dell’Asclepius. Lapolemica di Bruno contro i «pedanti di Oxford», da luiritenuti meno capaci dei rozzi frati del passato, assume,in questo contesto, un nuovo significato, e si comincianoa capire bene i motivi, per cui George Abbot si occupòanche di Bruno nella sua propaganda anticattolica.

Il discorso sulla legge continua anche in occasione del-l’esame delle due costellazioni successive, quella dellaCorona boreale e quella di Ercole. La Corona sarà ap-pannaggio del principe capace di schiacciare i perniciosipedanti che denigrano le buone opere624, ed Ercole, perquanto la sua immagine sia bandita dai cieli perché ricor-da un peccato di Giove, scenderà sulla terra a compierenuove opere buone625.

Quando giunge la volta della costellazione di Cassio-pea, prima che gli altri dèi possano esprimere, riguardoad essa, qualsiasi proposta, salta su Marte, il quale pre-tende violentemente che l’immagine della costellazionesia conservata nel cielo, perché il suo carattere ricordada vicino quello spagnolo. (Cassiopea era stata punita daNettuno perché si vantava di esser più bella delle Nerei-di.) Ma le sue prerogative, Alterezza, Iattanza e Dissi-mulazione, vengono cacciate dal cielo nonostante la pe-rorazione filospagnola di Marte in suo favore e, in luo-go di quelle, ascende in cielo la Semplicità626. È chiaro,

624 Ibid., dial. 1 (Dial. ital., p. 622).625 Ibid. (Dial. ital., pp. 627 sgg.).626 Ibid. dial. 2 (Dial. ital., pp. 705 sgg.).

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implicitamente, che la cattolica Spagna rappresenta unaltro esempio di pedanteria, che favorisce la guerra e ladisgregazione sociale.

Al contrario, quando la discussione investe la costella-zione dei Gemelli, Cupido, Apollo, Mercurio, Saturno eVenere parlano in favore di Amore, Amicizia e Pace, chedevono sostituire la Parzialità627. E, quando giunge il tur-no della Libra, apprendiamo che la Bilancia deve scen-dere sulla terra a ricercare le ingiustizie, e, fra l’altro, ariparare alla violenza contro la legge di natura compiutanegli «edificii Vestali»628.

L’etica propugnata da Bruno si compendia in un re-gime nel quale legge e ordine promuovono lo sviluppodelle attività pacifiche e utili, e dal quale è bandita ognilotta di parte. Dal punto di vista privato, tale etica inco-raggia le qualità positive di Giove, di Venere e del Sole,ed ha un carattere non ascetico (come risulta anche dal-la protesta contro gli «edificii Vestali», che abbiamo so-pra citato). Tutti gli orrori delle sètte cristiane sarannoriparati dal ritorno alla religione egiziana e al tipo di leg-ge morale che Bruno ricollega a questa. E tuttavia, eglireputa che la sua riforma non esca del tutto dall’ambi-to della Chiesa, perché l’Altare (di cui si discute insiemealla costellazione omonima) deve restare in cielo, accan-to al Centauro, mezzo bestia (nel senso egiziano di dio)e mezzo uomo629. Il Centauro è oggetto di ammirazioneperché ha sanato i malati e ha mostrato una via per salirealle stelle. Esso resta in cielo perché, dove c’è un altare,occorre un sacerdote che vi accudisca.

627 Ibid., dial. 3 (Dial. ital., pp. 766 sgg.).628 Ibid. (Dial. ital., p. 771).629 Ibid., dial. 3 (Dial. ital., p. 825). Cfr. anche quel che si

dice sotto la costellazione del Centauro (ibid., pp. 823 sgg.). IlCentauro è Cristo, inteso in una accezione ermetica o come unmago benevolo.

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Venuto il turno della Corona australe, Apollo doman-da che cosa se ne debba fare:

Questa, questa, rispose Giove, è quella corona, la quale, nonsenza alta disposizion del fato, non senza instinto de divino spi-rito e non senza merito grandissimo, aspetta l’invittissimo Enri-co terzo, Re della magnanima, potente e bellicosa Francia; chedopo questa e quella di Polonia, si promette, come nel princi-pio del suo regno ha testificato, ordinando quella sua tanto ce-lebrata impresa, a cui, facendo corpo le due basse corone conun’altra più eminente e bella, s’aggiongesse per anima il mot-to: Tertia coelo manet. Questo Re cristianissimo, santo, religio-so e puro può securamente dire: Tertia coelo manet, perché samolto bene che è scritto: Beati li pacifici, beati li quieti, beati limondi di cuore, perché de loro è il regno de’ cieli. Ama la pace,conserva quanto si può in tranquillitade e devozione il suo po-polo diletto; non gli piaceno gli rumori, strepiti e fragori d’in-strumenti marziali che administrano al cieco acquisto d’instabi-li tirannie e prencipati de la terra; ma tutte le giustizie e santi-tadi che mostrano il diritto camino al regno eterno. Non spe-rino gli arditi, tempestosi e turbulenti spiriti di quei che sono alui suggetti, che, mentre egli vivrà (a cui la tranquillità de l’ani-mo non administra bellico furore), voglia porgerli aggiuto percui non vanamente vadano a perturbar la pace de l’altrui paesi,con pretesto d’aggionger gli altri scettri ed altre corone; perchéTertia coelo manet. In vano contra sua voglia andaranno le ru-belle Franche copie a sollecitar gli fini e lidi altrui; perché nonsarà proposta d’instabili consegli, non sarà speranza de volubi-li fortune, comodità di esterne administrazioni e suffragii chevagliano con specie d’investirlo de manti ed ornarlo di corone,toglierli (altrimenti che per forza di necessità) la benedetta cu-ra della tranquillità di spirito, più tosto leberal del proprio cheavido de l’altrui. Tentino, dunque, altri sopra il vacante regnoLusitano; sieno altri solleciti sopra il Belgico dominio. Perchévi beccarete la testa e vi lambiccarete il cervello, altri ed altriprencipati? perché suspettarete e temerete voi altri prencipi eregi che non vegna a domar le vostre forze, ed involarvi le pro-prie corone? Tertia coelo manet. Rimagna dunque (conchiu-

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se Giove) la Corona, aspettando colui che sarà degno del suomagnifico possesso...630

Tutti gli dèi approvano in coro la proposta che la coro-na sia assegnata a Enrico III, e concludono le loro fati-che recandosi a banchettare nella costellazione del Pesceaustrale.

In tal modo Bruno propone agli Inglesi, e in partico-lare – si suppone – a Philip Sidney, al quale il libro è de-dicato, l’amicizia di un re cattolico che non approva leambizioni della Spagna e della Lega cattolica, che rinun-cia a ogni piano aggressivo contro gli altri stati, sia al li-vello della guerra aperta che a quello dell’intrigo e dellacongiura. I sudditi turbolenti che parteggiano per la fa-zione filospagnola dei Guisa sono altrettanto nemici delre di Francia che della regina inglese. Superiamo que-sti contrasti, dice Bruno in nome di Enrico, e ritorniamoall’antica unità spirituale dell’Europa.

Scritto da un ospite dell’ambasciatore francese, al qua-le aveva già dedicato altre opere, dovette sembrare ai let-tori inglesi che lo Spaccio avesse, dietro di sé, un qual-che appoggio dell’autorità francese. Il signore di Mau-vissière, per quanto ne sappiamo, non disapprovò in al-cun modo la pubblicazione di questo libro, che sembraportatore di un messaggio del re di Francia. E il magi-co ermetismo religioso, che è il tema dello Spaccio, nonè certo in contrasto con le opere magiche pubblicate daBruno in Francia.

Per quanto percorso apparentemente da una vena leg-gera di lucianesca ironia, lo Spaccio si inserisce nel conte-

630 Ibid. (Dial. ital., pp. 826-7). «Tertia coelo manet» siriferisce allo stemma con le tre corone di Enrico III, cui fa damotto; cfr. il mio French Academies of the Sixteenth Century,pp. 227-8.

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sto dell’ermetismo religioso del secolo XVI, predicando-ne una forma estremamente singolare e aberrante.

Come abbiamo visto nel capitolo X, le guise assun-te dall’ermetismo religioso sono quanto mai varie e que-st’ultimo scorcio del XVI secolo segnò il culmine del-la sua molteplice influenza. Quando Bruno scriveva loSpaccio, il Duplessis Mornay aveva già terminato la suaopera teologica – che Sidney veniva traducendo – con ilsuo appello a un ermetismo cristiano di tipo protestan-te, libero da ogni scoria magica, quale rimedio per le dif-ferenze religiose. Il cappuccino Rosseli aveva probabil-mente già posto mano alla sua enorme opera ermetica.Di lì a pochi anni, il Patrizi avrebbe indirizzato al papaun’opera in cui propugnava una filosofia basata sull’er-metismo come mezzo per avere la meglio sui protestan-ti tedeschi, e raccomandava ai gesuiti di intraprendere lostudio dell’ermetismo. La posizione del Patrizi è più vi-cina delle altre due a quella di Giordano Bruno, in quan-to presenta venature di magia ficiniana; tuttavia ne dif-ferisce lo stesso profondamente. Il Patrizi non abban-dona, come Bruno, l’interpretazione cristiana dell’erme-tismo. Bruno assume una posizione radicale, che lo po-ne fuori dai confini del normale ermetismo cristiano, siain quanto abbandona l’interpretazione cristiana dell’er-metismo, sia, soprattutto, in quanto individua entusiasti-camente nella magia l’essenza e il nucleo fondamentaledell’ermetismo. Lungi dall’evitare il brano sulla magiadell’Asclepius, o da mitigarne la portata, egli ne fa la basedella riforma religiosa e della riforma morale che propu-gna. Perciò Bruno non può essere definito un ermeticocristiano (nella sua religione magica egli conserva un po-sto a Cristo solo in quanto lo considera un mago bene-fico), sebbene egli considerasse la sua riforma magica, ola sua profezia sull’imminente ritorno della religione egi-ziana, come elementi che si dovessero sviluppare in uncontesto cattolico.

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Al suo ritorno a Parigi dopo il determinante soggiornoinglese, Bruno soleva frequentare la biblioteca dell’abba-zia di Saint-Victor, il bibliotecario della quale teneva undiario, in cui sono annotate alcune delle sue conversazio-ni con Bruno. Egli riferisce che Bruno gli confessò di am-mirare molto Tommaso d’Aquino, ma che condannava lesottigliezze degli scolastici sui Sacramenti e sull’Eucari-stia, affermando che san Pietro e san Paolo le ignoravanoe si limitavano a sapere che hoc est corpus meum. «Il ditque facilement les troubles en la religion seront ostées,quand on ostera ces questions, et dit espérer que bientost en sera la fin. Mais souverainement il déteste les hé-rétiques de France et d’Angleterre, en ce qu’il[s] mespri-sent les bonnes oeuvres et preschent la certitude de leurfoy et justification; car toute la chrestienté tend à bienvivre»631. Ciò corrisponde perfettamente ai principi del-lo Spaccio, alla sua condanna dei «pedanti» che disprez-zano le buone opere; senza dire che, sotto le costellazio-ni del fiume Eridano e dell’Altare, sono in esso conte-nute oscure osservazioni che evidentemente concernonol’Eucaristia, o qualche interpretazione magica di essa632.

Il Mocenigo, in una delle sue deposizioni fatte nel1592 agli inquisitori veneziani, riferisce queste parole diBruno: «che il proceder ch’usa adesso la chiesa, non èquello ch’usavano gli Apostoli: perché quelli con le pre-dicazioni e con gli esempi di buona vita convertivano lagente, ma che ora chi non vuol esser Catolico, bisognache provi il castigo e la pena, perché si usa la forza e nonl’amore; che questo mondo non poteva durar così, per-ché non v’era se non ignoranza, e niuna religione che fos-se buona; che la Cattolica gli piaceva ben più de l’altre;ma che questa ancora avea bisogno di gran regole; e chenon stava bene così, ma che presto il mondo averebbe ve-

631 Documenti, p. 40.632 Spaccio, dial. 3 (Dial. ital., pp. 808, 825).

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duto una riforma generale di se stesso, perché era impos-sibile che durassero tante corruttele; e che sperava grancose su ’l Re di Navarra»633. Anche queste affermazioniconcordano perfettamente con la dottrina esposta nelloSpaccio.

Perciò Giordano Bruno, come mago, aveva una suamissione religiosa ermetica. Egli è un enfant terriblefra gli ermetici religiosi, ma è pur sempre un ermeticoreligioso. Se lo si colloca in questo contesto, Bruno vienefinalmente inserito nei movimenti del suo secolo.

Sebbene sia stata trascurata l’importantissima circo-stanza del rapporto di Bruno con l’ermetismo, alcuni stu-diosi italiani hanno da tempo riconosciuto che la magiaoccupa un ruolo considerevole nel pensiero di Bruno. IlCorsano fissò la sua attenzione su questo tema in un li-bro pubblicato nel 1940 ed in seguito osservò che die-tro il pensiero magico di Bruno si possono rintracciarealcuni elementi di un disegno di riforma religiosa634. Svi-luppando le idee del Corsano sulla magia e sulla riformabruniane, il Firpo ha ipotizzato una connessione fra l’unae l’altra, nel senso che Bruno ritenesse di poter realizzarela sua riforma grazie alla magia635.

E forse proprio un’intenzione del genere può costitui-re la molla segreta dello Spaccio della bestia trionfante: ilmago opererebbe cioè sulle immagini celesti dalle qua-li dipendono tutte le cose inferiori, per far sì che la sua

633 Documenti, p. 66.634 A. Corsano, Il pensiero di Giordano Bruno nel suo svolgi-

mento storico, Firenze 1940, pp. 281 sgg.635 L. Firpo, Il processo di Giordano Bruno, «Quaderni della

Rivista storica italiana», Napoli 1949, pp. 10 sgg. Sia Corsanoche Firpo si occupano dell’ultimo periodo di Bruno e del suoritorno in Italia nelle vesti di magico riformatore. A Corsano èsfuggito che tutte le opere di Bruno sono piene fin dall’iniziodi elementi magici. Della magia dello Spaccio non si è maioccupato nessuno.

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riforma possa attuarsi. «Se cossì», dice Giove, «rende-remo novo il nostro cielo, nove saranno le costellazio-ni ed influssi, nove l’impressioni, nove fortune; perchéda questo mondo superiore pende il tutto»636. Analoga-mente, nel Koré Kosmou, quando gli dèi si riuniscono inassemblea plenaria per riformare un mondo degenerato,gli elementi della natura inferiore ricevono «una secondaeffusione della natura divina»637. È in un simile contestodi pensiero che si deve leggere lo Spaccio. Le immaginidelle costellazioni non sono soltanto un espediente lette-rario, il pretesto per una divertente satira delle condizio-ni religiose e sociali verso la fine del XVI secolo. Nellamente del mago riformatore la riforma incomincia in cie-lo, con la nuova disposizione o con la purificazione del-le immagini celesti, delle figure degli dèi celesti che rifor-mano lo zodiaco e le costellazioni boreali e australi.

E tutto questo che cosa ci ricorda? Indubbiamentela città magica di Adocentyn del Picatrix, costruita daErmete Trismegisto, il quale collocò intorno al suo pe-rimetro «immagini intagliate, e le dispose in modo taleche, per virtù loro, gli abitanti fossero resi virtuosi e te-nuti lontani da qualsiasi male e scelleratezza»638. Que-sto, come abbiamo indicato nel capitolo IV, è il puntodi connessione fra l’Ermete Trismegisto mago e l’Erme-te Trismegisto legislatore degli Egiziani, ai quali dette, eai quali fece osservare, le loro buone leggi morali. E que-sto, così ritengo, può anche essere, nello Spaccio, il puntodi connessione fra la nuova sistemazione o riforma delleimmagini celesti e la universale riforma morale e religio-sa.

Come si ricorderà, nel Picatrix si dice anche che Er-mete Trismegisto costruì un tempio al Sole e noi abbia-

636 Cfr. supra.637 Cfr. supra.638 Cfr. supra.

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mo pensato che i lettori di quel manuale di magia avreb-bero potuto connettere questo accenno, e quello relati-vo alla città di Adocentyn, con la misteriosa osservazioneche si trova nell’Asclepius, nella profezia posposta al La-mento, circa la definitiva restaurazione delle leggi e del-la religione egiziane: «Un giorno, gli dèi che esercitanoil loro dominio sulla terra, saranno restaurati e installatiin una città all’estremo confine dell’Egitto, una città chesarà fondata in direzione del sole che tramonta e nellaquale accorrerà, per mare e per terra, l’intera razza deimortali»639. Che Bruno fosse affascinato da queste ma-giche città del sole è indicato da un’annotazione conte-nuta nel prezioso diario del bibliotecario dell’abbazia diSaint-Victor, il quale riferisce che «Jordanus m’a dit qu’ilne sçavoit rien de la ville bastie par le duc de Florence,où on parleroit latin, mais que il a ouy dire que ledictduc vouloit bastir une Civitas solis, a sçavoir où le soleilluiroit tous les jours de l’an, comme sont plusieurs citezainsy renommées, entre autres, Rome et Rhodes»640.

È altresì in questi strani reami magici che dev’esserecollocata la repubblica ideale, o Città del Sole, di Cam-panella, con la sua religione astrale e il suo culto del so-le. In uno dei prossimi capitoli tenteremo un confron-to fra la Città del Sole campanelliana e lo Spaccio, con ilquale la prima ha molte cose in comune, in particolarequella morale di utilità sociale e di vantaggio pubblico, equell’applicazione delle conoscenze e delle invenzioni afini di benessere generale, che sia Bruno, sia Campanel-la prescrivono come requisiti necessari delle loro societàriformate.

E a questo punto nasce l’esigenza di un altro confron-to, davvero imprevedibile, fra lo Spaccio e l’Utopia di Mo-ro. La repubblica ideale di Moro é stata oggetto di am-

639 Cfr. supra.640 Documenti, p. 44.

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mirazione universale per la sua morale di utilità sociale.Ma in che cosa consisteva la religione degli abitanti diUtopia? Essi avevano enormi chiese buie, debolmenteilluminate dalla luce di ceri, nelle quali i sacerdoti face-vano un’entrata spettacolare, indossando «camici... va-riopinti... lavorati con... penne e piume di volatili [nel-la cui] disposizione prestabilita... dicono esser contenutidei simboli misteriosi, la cui spiegazione, tramandata conogni diligenza per mezzo dei sacrificanti, conoscendosi,richiama alla mente i benefizi di Dio all’uomo, la divo-zione che in cambio si deve a Dio e i doveri anche fra uo-mini e uomini»641. L’abbigliamento dei sacerdoti di Uto-pia fece venire in mente a un critico del passato «le ve-sti che si indossano per pratiche di scongiuri»642 e indub-biamente la religione degli Utopiani si muove in un’at-mosfera piuttosto strana. Può darsi che l’Utopia riflettaidee di riforma sostenute da Moro prima della rottura fraEnrico VIII e Roma.

Non è improbabile che al lettore inglese dello Spacciotornasse in mente il libro famoso di quest’uomo chepreferì morire sulla forca piuttosto di accettare che lebuone opere di coloro che avevano dedicato tutto il lorolavoro agli altri finissero in mani private.

In ogni caso, l’ermetismo magico bruniano offriva acattolici dissenzienti, a intellettuali scontenti e ad altrielementi segretamente insoddisfatti della società elisa-bettiana, una nuova possibilità di sfogo, del tutto indi-pendente dall’odiato cattolicesimo spagnolo, per i loropersonali risentimenti. Scritto in uno stile vigoroso edrammatico, pieno di immagini potenti e percorso dauna vena estremamente originale di humour lucianesco

641 Tommaso Moro, L’Utopia o la miglior forma di repubblica,a cura di T. Fiore, Laterza, Bari 1942, p. 151.

642 Cit. in Strype, Life of Parker, 1821, I, p. 301; cfr. R. W.Chambers, Thomas More, p. 264.

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o celeste, lo Spaccio della bestia trionfante fu con ogniprobabilità un’opera di grande efficacia nella formazio-ne del Rinascimento elisabettiano. Esso racchiudeva in-fatti, allo stato puro e distruttivo, tutta la carica esplo-siva del genuino neoplatonismo rinascimentale, la magiadell’Asclepius.

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XIII. GIORDANO BRUNO IN INGHILTERRA: LAFILOSOFIA ERMETICA

«Prima che fusse questa filosofia conforme al vostro cer-vello», controbatte Bruno al pedante dottore nella Ce-na de le ceneri (pubblicata nel 1584, cioè nello stesso an-no dello Spaccio, ma probabilmente prima di esso), «fuquella degli caldei, egizii, maghi, orfici, pitagorici ed altridi prima memoria, conforme al nostro capo»643. La satirasui pedanti contenuta nella Cena riflette la polemica bru-niana coi dottori di Oxford e queste parole proclamanoad essi e a tutti i lettori dell’opera che la filosofia di Bru-no è una prisca magia. Quattordici anni dopo, in un indi-rizzo ai dottori dell’università di Wittenberg, egli avreb-be esposto una genealogia simile della prisca magia, o del«tempio della sapienza» che venne eretto dapprima da-gli Egiziani e dai Caldei, seguiti poi dai Magi, dai gimno-sofisti, dagli orfici e così via, e in tempi più recenti da Al-berto Magno, Niccolò da Cusa e Copernico «i quali tutticapirono più di Aristotele e di tutti i peripatetici», nella

643 Cena de le ceneri, dial. 1 (Dial. ital., p. 41). L’operaè dedicata al Signore di Mauvissière, ambasciatore di Francia.La Cena nel corso della quale Bruno disputò coi pedanti sullateoria copernicana sarebbe avvenuta, secondo quanto afferma-to nel dialogo, nella casa di Fulke Greville, ma in seguito Brunoriferì agli inquisitori che essa si era svolta in realtà presso l’am-basciata di Francia (Documenti, p. 121). Ho discusso alcuniaspetti dell’opera in un mio articolo dal titolo The Religious Po-licy of Giordano Bruno, «J.W.C.I.», III, 1939-40, pp. 181-207.La migliore edizione della Cena de le ceneri è quella curata daG. Aquilecchia, Torino 1955.

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contemplazione dell’universo644. Similmente, nella Cenade le ceneri, Bruno tesse alte lodi di Copernico:

Al che [Copernico] è dovenuto per essersi liberato da alcunipresuppositi falsi de la comone e volgar filosofia, non vogliodir cecità. Ma però non se n’è molto allontanato; perché lui,più studioso de la matematica che de la matura, non ha possutoprofondar e penetrar sin tanto che potesse a fatto toglier viale radici de inconvenienti e vani principii, onde perfettamentesciogliesse tutte le contrarie difficoltà e venesse a liberar e sé edaltri da tante vane inquisizioni e fermar la contemplazione ne lecose costante e certe645.

Ciò equivale a dire che Copernico ha posto le basi ma, es-sendo solo un matematico, non è arrivato a comprende-re il significato profondo della sua scoperta. Egli ha pre-corso l’avvento della verità e del profeta di essa, il Nola-no, ma gli è dovuta tuttavia gratitudine per la sua operaanticipatrice:

Chi dunque sarà sì villano e discortese verso il studio di que-st’uomo, [Copernico], che, avendo posto in oblio quel tantoche ha fatto, con esser ordinato dagli dei come una aurora, chedovea precedere l’uscita di questo sole de l’antiqua vera filo-sofia, per tanti secoli sepolta nelle tenebrose caverne de la cie-ca, maligna, proterva ed invida ignoranza; vogli, notandolo perquel che non ha possuto fare, metterlo nel medesmo numerodella gregaria moltitudine, che discorre, si guida e si precipitapiù per il senso de l’orecchio d’una brutale e ignobil fede; chevogli computarlo tra quei, che col felice ingegno s’han possu-to drizzare ed inalzarsi per la fidissima scorta de l’occhio delladivina intelligenza?Or che dirrò io del Nolano? Forse, per essermi tanto prossimo,quanto io medesmo a me stesso, non mi converrà lodarlo? Cer-tamente, uomo raggionevole non sarà, che mi riprenda in ciò,

644 Oratio valedictoria, Wittenberg 1588 (Op. lat., I [I], pp.16-7).

645 Cena, dial. 1 (Dial. ital., p. 28).

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atteso che questo talvolta non solamente conviene, ma è anconecessario...Che, se vien lodato lo antico Tifi per avere ritrovatala prima nave, e cogli Argonauti trapassato il mare...se a’ nostritempi vien magnificato il Colombo...che de’ farsi di questo, cheha ritrovato il modo di montare al cielo...? Il Nolano...ha di-sciolto l’animo umano e la cognizione, che era rinchiusa ne l’ar-tissimo carcere de l’aria turbolento; onde a pena, come per certibuchi, avea facoltà de remirar le lontanissime stelle, e gli eranomozze l’ali, a fin che non volasse ad aprir il velame di queste nu-vole e veder quello che veramente là su si ritrovasse, e liberar-se da le chimere di quei, che, essendo usciti dal fango e cavernede la terra, quasi Mercuri ed Apollini discesi dal cielo, con mol-tiforme impostura han ripieno il mondo tutto d’infinite pazzie,bestialità e vizii, come di tante vertù, divinità e discipline, smor-zando quel lume, che rendea divini ed eroici gli animi di nostriantichi padri, approvando e confirmando le tenebre caliginosede’ sofisti ed asini. Per il che già tanto tempo l’umana raggio-ne oppressa, tal volta nel suo lucido intervallo piangendo la suasì bassa condizione, alla divina e provida mente, che sempre nel’interno orecchio li susurra, si rivolge con simili accenti:

Chi salirà per me, madonna, in cielo,A riportarne il mio perduto ingegno?646

Or ecco quello, ch’ha varcato l’aria, penetrato il cielo, discorsele stelle, trapassati gli margini del mondo, fatte svanir le fanta-stiche muraglia de le prime, ottave, none, decime ed altre, chevi s’avesser potuto aggiongere, sfere, per relazione de vani ma-tematici e cieco veder di filosofi volgari; cossì al cospetto d’ognisenso e raggione, co’ la chiave di solertissima inquisizione aper-ti que’ chiostri de la verità, che da noi aprir si posseano, nudatala ricoperta e velata natura, ha donati gli occhi a le talpe, illumi-nati i ciechi che non possean fissar gli occhi e mirar l’imagin suain tanti specchi che da ogni lato gli s’opponeno, sciolta la lin-gua a’ muti che non sapeano e non ardivano esplicar gl’intrica-ti sentimenti, risaldati i zoppi che non valean far quel progressocol spirto che non può far l’ignobile e dissolubile composto...647

646 Ariosto, Orlando furioso, XXXV, 1.647 Cena, dial. 1 (Dial. ital., pp. 29-33).

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Questi sono i passi che solevano mandare in estasi iliberali del secolo scorso quali vi scorgevano il grido diliberazione di un pensatore scientifico d’avanguardia daiceppi della cultura medievale. In realtà si tratta di paroleestremamente efficaci e conturbanti; ma qual è il lorosignificato?

Alcune forme di eliocentrismo furono già note nell’an-tichità e lo stesso Copernico aveva citato certi suoi anti-chi predecessori648. Ma questa verità del passato che oravien fatta rivivere e di cui il Nolano è il profeta non è l’e-liocentrismo inteso in senso astronomico o come ipotesimatematica. Lo stesso Bruno spiega che la sua penetra-zione dell’universo si spinge molto più a fondo di quel-la dei semplici matematici. Eppure neanche Copernicoera stato soltanto un matematico poiché aveva citato, vi-cino al suo diagramma del nuovo sistema, le parole diErmete Trismegisto sul sole come dio visibile contenu-te nell’Asclepius. Qui sta la chiave per intendere la po-sizione di Bruno; la visione che viene elaborata dal No-lano è una nuova interpretazione ermetica della divinitàdell’universo, una gnosi sviluppata.

Il sole copernicano annuncia il risorgere vittorioso del-l’antica verace filosofia dopo il lungo periodo in cui erarimasta sepolta nelle tenebre. Bruno ha qui in mentequell’immagine della veritas filia temporis, del tempo chefa emergere alla luce la verità, che era stata usata in In-ghilterra a proposito del ritorno della fede cattolica sottoMaria fuori dalle tenebre protestanti e, viceversa, a pro-posito del ritorno della verità protestante sotto Elisabet-ta fuori dalle tenebre cattoliche649. La verità di cui parlaBruno era stata imprigionata in buie caverne da «Mercu-

648 Cfr. supra.649 Cfr. F. Saxl., Veritas Filia Temporis, in Philosophy and

History, raccolta di saggi in onore di E. Cassirer, edita a cura diR. Klibansky e H. J. Paton, Oxford 1936, pp. 197-222.

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ri e Apollini» che si fingevano discesi dal cielo. Il signifi-cato di questa immagine risulta chiaro quando venga po-sto a confronto con il passo analogo del De umbris idea-rum sulla provvidenza divina che non viene meno, comeerano soliti dire i sacerdoti egiziani, in seguito agli statu-ti promulgati a varie riprese da Mercuri tirannici. L’in-telletto non cessa di illuminare e il sole visibile non ces-sa di diffondere la sua luce per il semplice fatto che nonvolgiamo sempre i nostri occhi verso di esso650. La veri-tà che sta per venire alla luce è quella che era stata soffo-cata da falsi Mercuri (cioè dai cristiani), la verità magica,la verità egiziana, il sole come Dio visibile (nell’accezio-ne di Ermete Trismegisto), la verità oggetto del Lamen-to dell’Asclepius. Un altro passo della Cena de le ceneridescrive nei termini seguenti il sole nascente della verità:

Quello dunque, al che doviamo fissar l’occhio de la considera-zione, è si noi siamo nel giorno, e la luce de la verità è soprail nostro orizonte, overo in quello degli aversarii nostri antipo-di; si siamo noi in tenebre, over essi: ed in conclusione, si noi,che damo principio a rinovar l’antica filosofia, siamo ne la mat-tina per dar fine a la notte, o pur ne la sera per donar fine algiorno. E questo certamente non è difficile a determinarsi, an-co giudicando a la grossa da’ frutti de l’una e l’altra specie dicontemplazione.Or veggiamo la differenza tra quelli e questi. Quelli nel vivertemperati, ne la medicina esperti, ne la contemplazione giudi-ziosi, ne la divinazione singolari, ne la magia miracolosi, ne lesuperstizioni providi, ne le leggi osservanti, ne la moralità ir-reprensibili, ne la teologia divini, in tutti effetti eroici; comene mostrano lor prolongate vite, i meno infermi corpi, l’inven-zioni altissime, le adempite pronosticazioni, le sostanze per loropra transformate, il convitto pacifico de que’ popoli, gli lor sa-cramenti inviolabili, l’essecuzione giustissime, la familiarità debuone e protettrici intelligenze ed i vestigii, ch’ancora durano,

650 Cfr. supra.

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de lor maravigliose prodezze. Questi altri contrarii lascio essa-minargli al giudizio de chi n’ha651.

La verità bruniana non è né quella cattolica ortodossa néquella protestante ortodossa: è la verità egiziana, quellamagica. Tuttavia, poiché la Cena de le ceneri, con le duefigure di pedanti grammatici Mamfurio e Prudenzio, ri-flette complessivamente la polemica di Bruno con i dot-tori protestanti di Oxford, la verità egiziana, per una spe-cie di duplice prospettiva analoga a quella già osservatanello Spaccio, potrebbe riferirsi anche ai loro predeces-sori, quegli «altri» con cui la grande riforma magica edermetica aveva qualcosa in comune.

Bruno afferma il suo diritto di venire riconosciuto co-me profeta e guida del nuovo movimento poiché egli hacompiuto un’ascensione attraverso le sfere. Sotto l’im-pressione della scoperta copernicana dalla quale eranostate abolite le sfere in cui si era precedentemente pen-sato che fossero incastonate le stelle, egli interpreta ciòcome una rottura di quegli involucri attraverso i quali glignostici ermetici operavano la loro ascesa e discesa attra-verso le sfere, secondo la descrizione del Pimander do-ve il mago «penetrava attraverso l’armatura delle sferedopo averne infranto l’involucro»652. Bruno ha compiu-to l’ascensione gnostica, ha vissuto l’esperienza ermeticaed è pertanto divenuto un essere divino imbevuto dellePotestà.

Ancor più significativa a paragone della descrizioneche Bruno fa di se stesso in tale passo come «quello ch’havarcato l’aria, penetrato il cielo, discorse le stelle, trapas-sati gli margini del mondo»653, è la descrizione del De oc-culta philosophia di Cornelio Agrippa circa l’esperienza

651 Cena, dial. 1 (Dial. ital., pp. 43-4).652 Cfr. supra.653 Cena, dial. 1 (Dial. ital., p. 33).

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attraverso cui deve necessariamente passare il mago pri-ma di poter infondere poteri nelle immagini celesti. Do-po i capitoli in cui Agrippa ha descritto la magia talisma-nica, fornito le liste di immagini astrologiche e indicatocome tali immagini possano venire inventate per scopispeciali, troviamo il passo da noi già citato in precedenzasull’esperienza necessaria per conseguire poteri magici.Vi è descritta una specie di ascesa:

Certe non penetrat hoc arcanum ad artificem durae cervicis,nec dare poterit illa, qui non habet: habet autem nemo, nisiqui jam cohibitis elementis, victa natura, superatis coelis, pro-gressus angelos, ad ipsum archetypum usque transcendit, cujustunc cooperatur effectus potest omnia654.

Sono quasi esattamente le stesse parole con cui Brunodescrive la sua ascesa, tranne il fatto che Bruno lascia daparte gli angeli.

È caratteristico dello straordinario stile bruniano, conla sua mescolanza di magia, filosofia e poesia, che egliesprima lo stato di trance gnostica in cui l’anima ab-bandona il corpo avvolto nella prigione dei sensi (se-condo la descrizione del Pimander) ricorrendo ai versidell’Orlando furioso in cui l’Ariosto esprime l’esperienzadi amore estatico:

Chi salirà per me, madonna, in cielo,A riportarne il mio perduto ingegno?

Che cosa avranno pensato di quest’uomo i dottorioxoniensi e che cosa se ne può dire in generale? La me-galomania del mago si combina in lui con un entusiasmopoetico di sconcertante intensità. Il folle, l’amante e ilpoeta, presi insieme, non ebbero mai un’immaginazionecosì pregnante come quella di Giordano Bruno.

654 Agrippa, De occult. phil., II, 30. Cfr. supra.

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Dalla preziosa testimonianza di George Abbot ap-prendiamo che uno dei dottori oxoniensi andò a cercareil De vita coelitus comparanda di Ficino per confrontarlocon le parole di Bruno655. La Cena riflette le linee del di-battito oxoniense nel tema di una discussione sul coper-nicanesimo svoltasi fra Bruno e due «pedanti» del luogo,discussione che si suppone si sia svolta in questo caso aLondra alla presenza di Fulke Greville e di altri genti-luomini. Anche l’episodio di mandare a cercare un libroappare sullo sfondo della storia bruniana. Bruno ave-va argomentato contro i «pedanti» – mentre sia da unaparte che dall’altra si tracciavano diagrammi a sostegnodelle rispettive vedute – che secondo Copernico la lunanon ruota intorno alla terra ma entrambe ruotano insie-me nello stesso epiciclo656. Per stabilire chi avesse ragio-ne, «ferno tanta diligenza i gentilomini che v’eran pre-senti, che fu portato il libro del Copernico»657. A Brunovenne mostrato il diagramma ma egli continuò a sostene-re di aver ragione e che il punto in cui il pedante Torqua-to (correttamente) individuava la terra, «non significavaaltro, che la pedata del compasso, quando si delineò l’e-piciclo della terra e della luna, il quale è tutto uno ed ilmedesmo»658. Può darsi che l’episodio di mandare allaricerca di un libro sia stato deliberatamente alterato daBruno nella versione del dibattito oxoniense da lui forni-ta nella Cena. In questo caso il libro mandato a cercarenon era un Ficino ma un Copernico.

655 Cfr. supra.656 Cena, dial. 4 (Dial. ital., pp. 139 sgg.).657 Ibid. (Dial. ital., pp. 140-1).658 Ibid., loc. cit. Ho messo in evidenza l’errore di Bruno nel

mio articolo The Religious Policy of Giordano Bruno e nel libroThe French Academies of the Sixteenth Century, pp. 102-3, nota3.

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La verità è che per Bruno il diagramma copernicanoè un geroglifico, una sigla ermetica entro la quale si ce-lano potenti misteri divini di cui egli ha penetrato il se-greto. Per capire la reale portata della discussione dellaCena intorno al diagramma occorre leggere quelle pagi-ne magistrali in cui, nel 1621, Keplero analizzò la diffe-renza nell’uso di diagrammi fatto da lui stesso e da Fluddnelle loro rispettive opere sull’armonia. I suoi diagram-mi, dice Keplero, sono genuinamente matematici mentrequelli di Fludd sono ermetici. «Tu tractas mathematicamore hermetico», egli esclama rivolto a Fludd659. Altret-tanto fa Bruno leggendo il diagramma copernicano «mo-re hermetico», incoraggiato a ciò dal richiamo a ErmeteTrismegisto introdotto dallo stesso Copernico vicino aldiagramma del suo libro.

In base all’ipotesi eliocentrica la terra si muove, poi-ché Copernico, secondo Bruno, «con quel suo più mate-matico che natural discorso», ha ridato nuovo vigore allateoria del movimento della terra, fino ad allora ricoper-ta di ridicolo e di scherno660. Bruno saluta entusiastica-mente il movimento terrestre non al livello inferiore delragionamento matematico, ma nei termini seguenti:

La caggione di cotal moto è la rinovazione e rinascenza di que-sto corpo [la terra]; il quale, secondo la medesma disposizio-ne, non può esser perpetuo; come le cose che non possono es-sere perpetue secondo il numero... si fanno perpetue secondola spezie, le sustanze che non possono perpetuarsi sotto il me-desmo volto, si vanno tutta via cangiando di faccia. Perché, es-sendo la materia e sustanza delle cose incorrottibile, e dovendoquella secondo tutte le parti esser soggetto di tutte forme... pe-rò a questa massa intiera, della qual consta questo globo, que-sto astro, non essendo conveniente la morte e la dissoluzione,

659 J. Kepler, Harmonices mundi (Gesammelte Werke), a curadi Caspar, München 1940, Band VI, p. 432. Cfr. più avanti.

660 Cena, dial. 1 (Dial. ital., p. 29).

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ed essendo a tutta natura impossibile l’annichilazione, a tempia tempi, con certo ordine, viene a rinovarsi, alterando, cangian-do, le sue parti tutte... E noi medesmi e le cose nostre andiamoe vegnamo, passiamo e ritorniamo, e non è cosa nostra che nonsi faccia aliena e non è cosa aliena che non si faccia nostra... Enon è cosa alla quale naturalmente convegna esser eterna, ec-cetto che alla sustanza, che è la materia, a cui non meno convie-ne essere in continua mutazione. Della sustanza suprasustan-ziale non parlo al presente, ma ritorno a raggionar particular-mente di questo grande individuo, ch’è la nostra perpetua nu-trice e madre, di cui dimandaste per qual caggione fusse il mo-to locale. E dico, che la causa del moto locale, tanto del tuttointiero quanto di ciascuna delle parti, è il fine della vicissitudi-ne, non solo perché tutto si ritrove in tutti luoghi, ma ancoraperché con tal mezzo tutto abbia tutte disposizioni e forme...661

Accanto al precedente collocherei questo passo del Cor-pus Hermeticum XII, «Ermete Trismegisto a Tat, sull’in-telletto comune»:

Ma non muoiono nel mondo gli esseri viventi, o padre, sebbenesiano parte del mondo?Taci, figlio mio, perché tu sei indotto in errore dalla denomi-nazione del fenomeno. Infatti gli esseri viventi non muoiono,figlio mio, ma, essendo corpi composti, si dissolvono: e que-sta dissoluzione non è morte ma la dissoluzione di una commi-stione. E se si dissolvono, non si distruggono, ma si rinnovano.Che cos’è infatti l’energia della vita? Non è forse movimento?O che cosa c’è nel mondo che sia immobile? Niente, figlio mio.Ma almeno la terra, padre, non sembra immobile?No, figlio: al contrario, sola fra tutti gli esseri, essa è soggettaa una moltitudine di movimenti, ed è insieme stabile. Non sa-rebbe forse ridicolo supporre che questa nutrice di tutti gli es-seri fosse immobile, essa che dà nascita a tutte le cose? Senzamovimento, in realtà, è impossibile generare. È del tutto assur-do chiedere, come tu fai, se la quarta parte del mondo non siaper caso inerte: essere immobile, per un corpo, non può infattiaver altro significato che quello di essere inerte. Sappi dunque,

661 Ibid., dial. 5 (Dial. ital., pp. 154-6).

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figlio, che tutto ciò che è al mondo, senza eccezione, si muove,o per diminuire o per accrescersi; e che ciò che si muove è nellostesso tempo vivo, senza però alcuna necessità che ogni esserevivente debba conservare la propria identità. Infatti, se consi-derato nella sua totalità, il mondo è senza dubbio immobile, fi-glio mio, ma le parti di questo mondo sono tutte in movimento;eppure niente perisce o viene distrutto662.

Bruno non doveva far altro che modificare il ragiona-mento ermetico, secondo cui la terra è contemporanea-mente ferma e soggetta a una moltitudine di movimenti,col concetto della mobilità della terra nel suo insieme ol-tre che nelle sue singole componenti, e quindi riprodur-re il sentimento e in alcuni punti le parole stesse del pas-so ermetico, come di fatto egli fece, per arrivare al branosul movimento della terra della Cena de le ceneri, citatoprecedentemente.

Inoltre Cornelio Agrippa aveva citato il passo erme-tico nei capitoli sull’anima del mondo e sull’animazioneuniversale. È irragionevole, dice Agrippa, supporre chele stelle le quali danno vita e animazione a tutte le co-se debbano essere prive di vita e di animazione; anche laterra è viva:

Et Mercurius in tractatu quem ’de Communi’ inscripsit, inquit,Totum quod est in mundo, aut crescendo, aut decrescendo mo-vetur. Quod autem movetur, id propterea vivit: & cum omniamoveantur, etiam terra, maxime motu generativo & alterativo,ipsa quoque vivit663.

662 C.H., I, pp. 180-1; Ficino, p. 1854. Per un résumédell’intero trattato in cui si trova questo passo, cfr. supra.

663 Agrippa, De occulta philosophia, II, 56. Per il confrontocon la traduzione ficiniana, cfr. supra. La quinta e la sesta con-clusione ermetica di Pico della Mirandola («Nihil est in mun-do expers uitae. Nihil est in uniuerso passibile mortis uel cor-ruptionis») sono tratte dall’ermetico De communi. Cfr. Pico, p.

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Il passo in corsivo è una citazione diretta dalla traduzionelatina ficiniana del De communi; Agrippa vi ha aggiuntoil concetto che anche la terra vive. In Bruno ciò diventa:

Tutto avviene dal sufficiente principio interiore per il qualenaturalmente viene ad esagitarse...Muovensi dunque la terra egli altri astri secondo le proprie differenze locali dal principiointrinseco, che è l’anima propria...664

Spingendosi ben più oltre dei ragionamenti «pura-mente matematici» attraverso i quali Copernico avevaformulato l’ipotesi del movimento terrestre, Bruno si èreso conto che tale visione convalida le concezioni di Er-mete Trismegisto e di Cornelio Agrippa o, in altre paro-le, la filosofia magica dell’animazione universale.

Nella storia del pensiero e della scienza Bruno è parti-colarmente esaltato non solo per la sua accettazione del-la teoria copernicana ma soprattutto per la mirabile ope-razione della sua fantasia creativa attraverso cui venneconnettendo l’idea dell’infinità dell’universo al propriocopernicanesimo, con un’arditezza speculativa a cui nonera giunto neppure lo stesso Copernico. E questo uni-verso infinito Bruno lo popolò di mondi innumerevo-li in movimento per lo spazio infinito, infrangendo co-sì definitivamente il chiuso universo tolemaico medieva-le e inaugurando concezioni più moderne. Il lettore abi-tuato a un genere d’interpretazione più comune del pen-siero bruniano di quella elaborata in questo libro sa chenel Cusano si trovano antecedenti dell’idea bruniana diinfinito; che verosimilmente egli si imbatté in Inghilter-ra nell’opera di Thomas Digges in cui il copernicanesi-

80.

664 Cena, dial. 3 (Dial. ital., p. 109).

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mo viene associato al concetto di universo infinito665; cheè stato dimostrato in termini convincenti come la fedebruniana nell’infinito e nei mondi innumerevoli sia basa-ta sul principio della pienezza per cui una causa infinita,cioè Dio, deve avere un effetto infinito senza alcun limitealla sua potenza creatrice666.

Tuttavia è stato anche osservato che la «concezionebruniana del mondo è vitalistica e magica: i suoi piane-ti sono esseri animati in libero movimento attraverso lospazio secondo una reciproca intesa come quelli di Pla-tone o del Patrizi. Bruno non è assolutamente un pen-satore moderno»667. A ciò si può aggiungere, come ab-biamo appena visto, che l’accettazione bruniana del mo-vimento terrestre di Copernico era basata su un fonda-mento magico e vitalistico e che, non solo i pianeti maanche i mondi innumerevoli del suo universo infinito simuovono attraverso lo spazio come grandi animali, mos-si dalla vita divina.

... Confirmava, che l’universo è infinito; e che quello costa d’u-na nmensa etere a reggione; è veramente un cielo, il quale è det-to spacio e seno, in cui sono tanti astri... e cossì la luna, il soleed altri corpi innumerabili sono in questa eterea reggione, co-me veggiamo essere la terra; e che non è da credere altro fir-mamento, altra base, altro fundamento, ove s’appoggino que-sti grandi animali che concorreno alla constituzion del mondo,

665 Thomas Digges, A Perfit Description of the CaelestiallOrbes, prima ed. 1576. Su Digges e Bruno, cfr. F. R. Johnson,Astronomical Thought in Renaissance England, Baltimore 1937,pp. 168 sgg.

666 Cfr. A. O. Lovejoy, The Great Chain of Being, HarvardUniversity Press 1942 (seconda ed.), pp. 116 sgg.

667 A. Koyrè, From the Closed World to the Infinite Universe,New York 1958 (seconda ed.), p. 54.

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vero soggetto ed infinita materia della infinita divina potenzaattuale668.

Questo è un passo caratteristico sull’infinità dell’univer-so e gli innumerevoli mondi animati che lo popolano,tratto dalla Cena de le ceneri. Nel De l’infinito universoe mondi669 lo stesso messaggio viene ripetuto molte vol-te con variazioni, il che mostra come Bruno senta il biso-gno di tradurre in una simile immagine del mondo la suaconcezione del divino:

Però, bisogna che di un inaccesso volto divino sia un infinitosimulacro, nel quale, come infiniti membri, poi si trovino mondiinnumerabili...670

Ora, benché Bruno non abbia rinvenuto negli scrittiermetici la concezione di un universo infinito e di mondiinnumerevoli entro di esso, lo spirito con cui egli formulauna concezione di questo genere va ritrovato in essi. Peresempio:

La grandezza del Bene equivale in estensione alla realtà ditutti gli esseri, sia corporei che incorporei, sia sensibili cheintelligibili. Essa si identifica con il Bene; essa si identifica conDio...671.

Nell’Asclepius, poi, si trovano queste parole:

Poiché, come lo spazio esterno al mondo, se esiste (il chenon mi sembra possibile), deve essere a mio parere pieno di

668 Cena, dial. 4 (Dial. ital., pp. 130-1).669 Pubblicato in Inghilterra nel 1584, con una dedica all’am-

basciatore francese.670 De l’infinito, dial. 1 (Dial. ital., p. 377).671 C.H., I, p. 38 (Corpus Hermeticum II).

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esseri intelligibili, cioè affini alla divinità di quello spazio, cosìil mondo sensibile è interamente ripieno di esseri viventi...672

Per potenziare il suo senso del divino, Bruno non dovevafar altro che aggiungere, a un’affermazione come la pre-cedente, che esiste uno spazio infinito esterno al mondoe che esso è pieno di esseri divini, per giungere alla suagnosi ermetica ampliata dell’infinito e dei mondi innu-merevoli. In particolare è da un passo notevole del Deimmenso, innumerabilibus et infigurabilibus che si puòdirettamente constatare come sia la spinta ermetica ver-so l’alto, il moto ascensionale dell’ermetismo, a far, percosì dire, approdare Bruno nell’infinito. Il capitolo ini-ziale del poema suddetto tratta dell’ascesa della mens inseguito alla quale si otterrà la rivelazione di una nuovavisione del mondo. Nel commento a tale capitolo si leg-gono le seguenti parole:

Miraculum magnum a Trismegisto appellabitur homo, qui indeum transeat quasi ipse sit deus, qui conatur omnia fieri, sicutdeus est omnia; ad objectum sine fine...contendit, sicut infinitusest deus, immensus, ubique totus673.

Bruno ha leggermente alterato il passo famoso sui pote-ri miracolosi e divini che consentono all’uomo di cono-scere il mondo, trasformando questi ultimi nella capaci-tà di prender conoscenza di un Dio e di un universo infi-niti. È quindi nelle vesti di un uomo che si sa miraculummagnum e di origine divina che Bruno si immerge nel-l’infinito per afferrare e infondere dentro di sé il rifles-so testé rivelato della divinità infinita in un universo diproporzioni prima sconosciute.

672 C.H., II, p. 343 (Asclepius).673 De immenso, lib. I, cap. 1 (Op. lat., I [I], p. 206).

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Per quanto concerne la fonte immediata di questanuova concezione non vi sono dubbi. Bruno, cioè, rin-venne la nozione di spazio infinito e di mondi innume-revoli, abitati alla pari del nostro, nel De natura rerum diLucrezio da cui egli trae frequenti citazioni su questo te-ma nel De l’infinito universo e mondi674 e altrove. Occor-re tuttavia aggiungere che egli trasforma completamentele nozioni lucreziane (derivate naturalmente, a loro vol-ta, dalla filosofia epicurea), conferendo a questi mondiinnumerevoli un’animazione magica, totalmente assentedal gelido universo lucreziano, e all’infinito e agli esseriin essi contenuti la funzione di immagini della divinità in-finita – concetto, questo, anch’esso completamente estra-neo all’agnosticismo di Lucrezio. In tal modo l’universosenza dèi raffigurato nel poema lucreziano, entro il qua-le il poeta dominato dal pessimismo trovava rifugio dalleinquietudini religiose, viene trasformato da Bruno in unagnosi ermetica profondamente allargata, in una nuova ri-velazione di Dio come mago che infonde una magica ani-mazione nei mondi innumerevoli, in una visione, infine,per ricevere la quale, l’uomo-mago; miraculum magnum,deve dilatarsi a proporzioni infinite per poterla rifletteredentro di sé.

All’inizio di questo capitolo ho citato una genealogiadi sapienti delineata da Bruno in un discorso tenuto aWittenberg, onde mostrare la tradizione di prisca ma-gia, o di occultismo, entro cui egli collocò Copernico. Èestremamente significativo che anche Lucrezio compa-ia in questa genealogia, benché io lo abbia omesso nellasuddetta citazione che ora invece riporto più ampiamen-te. Il tempio della sapienza, afferma Bruno, fu edificato

674 Particolarmente nell’ultimo dialogo. Sull’importanza diLucrezio per Bruno, cfr. D. W. Singer, Giordano Bruno, HisLife and Thought, London 1950; A. Koyrè, op. cit.: egli pensache Bruno sia stato il primo a prendere sul serio la cosmologialucreziana.

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dapprima dagli Egiziani e dai Caldei, in seguito dai Ma-gi persiani, con alla testa Zoroastro; poi dai gimnosofi-sti indiani; quindi in Tracia da Orfeo e successivamente,a varie riprese, dai greci con Talete e altri sapienti, dagliItalici fra cui Lucrezio, dai Germani con Alberto Magno,Cusano, Copernico e Palingenio675. Secondo la mia inter-pretazione, questa genealogia mostra che, come egli in-terpretò il copernicanesimo quale preannuncio del ritor-no della tradizione «egiziana», così l’universo di Lucre-zio gli sembrò una specie di sapienza egiziana di più va-ste proporzioni ed egli finì quindi per adottare l’univer-so infinito e i mondi innumerevoli lucreziani nell’ambi-to del suo copernicanesimo come parti integranti di unapiù comprensiva visione ermetica.

Fra i vari personaggi della sua genealogia, Alberto Ma-gno veniva da lui sicuramente ritenuto un mago. Il Cu-sano, da Bruno assai ammirato, aveva fatto uso nel suoinsegnamento di un tipo di simbolismo geometrico a cuiBruno attribuiva probabilmente un significato ermetico.Il detto famoso secondo cui Dio è «una sfera che ha ilcentro ovunque e la circonferenza in nessun luogo» si ri-trova, di fatto, per la prima volta in un trattato ermetico

675 Oratio valedictoria, Wittenberg 1588 (Op. lat., I [I], pp.16-17).

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del XII secolo676 e fu trasferito dal Cusano all’universo677,inteso come riflesso della divinità secondo un’accezionedi spirito tipicamente ermetico. Tale concetto fa fonda-mentale per Bruno ai cui occhi i mondi innumerevoli al-tro non erano che centri divini dell’universo senza limiti.

Leggendo Palingenio, anch’egli presente nella genea-logia sopra citata, Bruno aveva avuto modo di imbattersiin un’etica di tipo epicureo, derivata da Lucrezio, e in al-cuni aspetti della cosmologia lucreziana associati a moti-vi ermetici678 e magici secondo quella caratteristica fusio-ne a cui si è fatto cenno nel precedente capitolo. BenchéBruno non approvasse completamente le vedute di Pa-

676 Il Liber XXIV philosophorum, pubblicato da ClemensBaeumker, Das pseudo-hermetische Buch der XXIV Meister,«Beiträge zur Geschichte der Philosophie und Theologie desMittelalters», fasc. XXV, Münster 1928. La seconda proposi-zione di quest’opera descrive Dio come una «sphaera infinitacuius centrum est ubique, circumferentia nusquam». Cfr. Koy-rè, op. cit., pp. 18, 279 (nota 19).

Ficino attribuisce questo detto a Ermete: «Disse Mercurio:Iddio è spera intelligibile, il cui centro è in ogni loco, la cir-cumferentia in nessuno» (Ficino, De Deo et anima, in Kristel-ler, Suppl. fic., II, p. 134). Lo stesso fa, anche Robert Fludd(cfr. Garin, Cultura p. 145, nota).

677 Niccoló Da Cusa, De dotta ignorantia, II, cap. 2; Cfr.Koyrè, Op. cit., pp. 10 sgg.

678 Occorre studiare ulteriormente questo fenomeno. Nonpuò darsi che negli scritti ermetici (i quali riflettono, come siè detto nel cap. I, un misto delle varie filosofie in circolazio-ne nella tarda antichità) siano presenti alcune influenze epicu-ree e che i seguaci entusiasti di quell’antico Egiziano, ErmeteTrismegisto, riuscissero a riconoscere qualcuna delle sue dot-trine in Lucrezio? Allo stesso modo i platonici potevano a lo-ro volta trovare in Ermete la fonte del platonismo. Insomma ènecessaria una qualche spiegazione storica dell’apparentemen-te impossibile combinazione di motivi ermetici e lucreziani inPalingenio e in Bruno.

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lingenio, non si può escludere che quest’ultimo lo abbiacondizionato nell’interpretare erroneamente Lucrezio.

Fu in questo senso che quella mirabile dimensionefantastica entro cui Bruno dilatò il suo copernicanesimofino a tradurlo in un universo infinito popolato di mon-di innumerevoli, tutti in movimento e animati dalla vitadivina, fu da lui vista, attraverso i suoi fraintendimentidi Copernico e di Lucrezio, come una estrema amplifica-zione della gnosi ermetica e della comprensione magicadella vita divina diffusa nella natura.

Questo Tutto infinitamente espanso era pur sempreUno e ciò costituiva, come abbiamo visto, un motivo fon-damentale dell’ermetismo. L’unità del Tutto nell’Uno èun tema costante di Bruno; alcuni passi tra i più indica-tivi a questo proposito sono contenuti nel De la causa,principio e uno che finisce per assumere talvolta la formadi un inno ermetico:

Il sommo bene, il sommo appetibile, la somma perfezione,la somma beatitudine consiste nell’unità che complica il tut-to...Lodati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infi-nita, semplicissima, unissima, altissima e absolutissima causa,principio e uno679.

L’unità del Tutto nell’Uno è, come esclama Bruno in unpasso precedente dello stesso dialogo,

fondamento solidissimo de le veritadi e secreti di natura. Prima,dunque, voglio che notiate essere una e medesima scala per laquale la natura descende alla produzion de le cose, e l’intellettoascende alla cognizion di quelle; e che l’uno e l’altra da l’unitàprocede all’unità, passando per la moltitudine di mezzi680.

679 De la causa, principio e uno, dial. 5 (Dial. ital., pp. 341-2).680 De la causa, dial. 5 (Dial. ital., p. 329).

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È questo un genere di filosofia che conduce direttamentealla magia: il Tutto è Uno e il mago può fare affidamen-to sulle scale di occulte simpatie che innervano l’interanatura. E quando questa visione filosofica non si esauri-sce nella magia ma assume anche un’accezione religiosa,essa diventa la religione degli pseudo-Egiziani ermetici iquali, come Bruno dice nello Spaccio,

con magici e divini riti per la medesima scala di natura salevanoa l’alto della divinità, per la quale la divinità descende sino allecose minime per la comunicazione di se stessa681.

La filosofia e la religione sono in Bruno una stessa co-sa ed entrambe di tipo ermetico. Occorre intendere ilsuo messaggio complessivamente onde poterne coglierele interne connessioni. Il dilatato universo bruniano cor-risponde alla più comprensiva etica epicurea di caratte-re non ascetico. L’enorme estensione della gnosi erme-tica si collega alla insofferenza di Bruno verso le religio-ni organizzate. L’avversione di Lucrezio per le forme direligione in uso ai suoi tempi, il suo far convergere l’at-tenzione verso «il mondo» come via di scampo dai terro-ri superstiziosi, erano senza dubbio congeniali a Bruno.Eppure egli non fu certamente un ateo come Lucrezio.L’universo infinito e i mondi innumerevoli sono per luinuove rivelazioni, intense accentuazioni del suo ardentesenso del divino. Ovvero si tratta di guise capaci di dareespressione all’ineffabile, di afferrare e far propria l’infi-nita realtà divina. Bruno usa infatti il pensiero in modoermetico e semimagico, come strumento per conseguireuna conoscenza intuitiva del divino.

Questa particolare impostazione di Bruno servì ad af-francarlo dagli scrupoli propri degli ermetici cristianinell’accostarsi alla letteratura ermetica e gli consentì di

681 Cfr. supra.

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scegliere a fondamento della sua filosofia i trattati delCorpus Hermeticum a carattere più spiccatamente pan-teista, quali il Corpus Hermeticum XII, De communi, o ilCorpus Hermeticum V, Quod Deus latens simul et Patensest (secondo i titoli loro attribuiti da Ficino).

Essa gli permise altresì di far proprie dottrine non cri-stiane che erano state accuratamente evitate dagli erme-tici cristiani, quale, per esempio, la metempsicosi (si ve-da in particolare l’Asclepius e il Corpus Hermeticum X682)che Bruno accetta apertamente nella Cabala del cavallopegaseo683 e a cui fa implicito riferimento in alcuni pas-si della Cena e altrove684. Anche il motivo gnostico del-l’ascesa attraverso le sfere era stato lasciato in disparte,benché Ficino vi dovesse segretamente aspirare a causadel suo interesse per la dottrina del corpo astrale685 e nefosse stato influenzato, come si è visto, lo stesso magoAgrippa.

Un altro risultato è che tutte le complesse argomen-tazioni usate in altri tipi di ermetismo per dimostrare lapreveggenza della Trinità in Ermete e renderlo così ac-cettabile, come avviene nei commenti cristianeggianti diFicino al Corpus Hermeticum, sono completamente igno-rate da Bruno. Tale atteggiamento non può essere statofortuito poiché egli faceva sicuramente uso della tradu-zione ficiniana latina del Corpus e deve aver avuto sot-t’occhio anche i relativi commenti. Quelle caratteristi-che serie ternarie ricavate da antiche teologie e filoso-fie come preannunci della Trinità che si ritrovano nella

682 C.H., p. 116; II, p. 311.683 Cabala del cavallo pegaseo, dial. 2 (Dial, ital., pp. 892

sgg.).684 Cfr. in particolare Eroici furori, parte I, dial. 4 (Dial. ital.

pp. 1026 sgg.).685 Cfr. D. P. Walker, The Astral Body in Renaissance Medi-

cine, in «J.W.C.I.», XXI, 1958, p. 123.

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Theologia platonica di Ficino, nei dialoghi di Pontus deThiard e di fatto in quasi tutti gli scritti dei neoplatonicicristiani, brillano per la loro assenza nelle opere di Bru-no. Ciò differenzia il suo ermetismo religioso da quel-lo, per esempio, del Patrizi che, sebbene scarsamente in-fluenzato dalla magia ficiniana, è tutto pervaso di mo-tivi trinitari. Ciò lo distingue persino da quello scrittodi Agrippa che egli tanto amava, il De occulta philoso-phia, in cui la magia finisce per essere inserita in un con-testo pseudo-dionisiano e trinitario686. Del resto allo stes-so Bruno non sfuggiva tale assenza di ogni motivo teolo-gico nei suoi scritti ed egli la spiega dicendo di non volerfare alcun tentativo per innalzarsi al di sopra della natu-ra e di parlae nient’altro che in veste di filosofo naturale.Egli non vuole confutare la teologia ma cerca tuttavia lasua divinità nei mondi infiniti687.

Grazie a questa impostazione l’ermetismo brunianoarriva probabilmente a cogliere il senso più genuino de-gli scritti ermetici, considerati espressione della gnosti-ca «religione del mondo», da Bruno dilatata fino a com-prendere mondi infiniti, e, nel caso dell’Asclepius, qua-le documento dei culti misterici egiziani della tarda anti-chità venati di influenze neoplatoniche. Ciò nonostanteBruno non faceva eccezione alla regola generale del suotempo: anch’egli infatti non aveva alcuna idea della rea-le cronologia degli Hermetica ed era convinto di aver difronte un corpus filosofico e religioso egiziano anteriorea Mosè.

Il problema della concezione filosofica di Bruno è re-so estremamente complesso dal fatto che anch’egli, allapari di Ficino e di Pico, era un sincretista e sintetizzavanella sua posizione, basata su larghissime letture, moti-vi di altre filosofie e letterature concresciute nell’ambito

686 Cfr. supra.687 De la causa, dial. 4 (Dial. ital., pp. 300 sgg.).

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della tradizione ermetica. Egli conosceva le opere di Pla-tone e dei neoplatonici nelle traduzioni di Ficino. La fi-losofia averroista (a cui fece ricorso anche Pico nella suasintesi filosofica) agì indubbiamente su di lui nella misu-ra in cui l’intellectus agens costituiva una conferma ed unallargamento del De communi ermetico. La Fons vitae diAvicebron fu un’altra opera che influenzò Bruno. Inol-tre egli, da buon ex domenicano orgoglioso del proprioordine, aveva una profonda conoscenza di un autore co-sì difficile come Alberto Magno; né si astenne mai dall’e-sprimere grande ammirazione verso la figura prestigiosadi Tommaso d’Aquino, benché non fosse probabilmentesecondo la mentalità di un moderno filosofo tomista cheBruno manifestava la sua devozione verso di lui, consi-derandolo un grande mago nobilmente pervaso da eroicifurori688.

A prescindere dalla sua continua e profonda venera-zione per la filosofia occulta di Cornelio Agrippa, altriautori moderni ebbero su di lui un peso notevole e fraquesti, oltre Telesio, soprattutto Paracelso che comparenella genealogia dei sapienti dopo Palingenio.

L’antiaristotelismo di Bruno non corrisponde affattoall’immagine che se ne sono fatti tutti coloro che lo han-no ammirato come pensatore d’avanguardia per il suotempo e come l’illuminato difensore della teoria coper-nicana contro l’ottuso aristotelismo medievale. Per Bru-no Aristotele è l’incarnazione del pedante, della perso-na di mente povera che non riesce o non vuole scorgereverità occulte e che non arriva a comprendere la teoriacopernicana nella sua accezione ermetica, come i dotto-ri della Cena de le ceneri presentati alla stregua di «gram-matici» e di pedanti «aristotelici». In un’altra opera, il«povero Aristotele» viene commiserato per la sua inca-

688 Cfr. più avanti.

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pacità di afferrare la «profonda magia»689. Talvolta que-sto suo atteggiamento porta Bruno a risultati di singolarepenetrazione, come quando accantona l’ordine aristote-lico degli elementi tacciandolo di essere una concezione«logica» e non «naturale»690.

A un altro livello, tuttavia, Aristotele appare, diversa-mente dagli sciocchi aristotelici suoi seguaci, come un fi-losofo che arrivò a penetrare verità profonde ma le occul-tò in un linguaggio esoterico. In un momento di illumi-nazione divinatrice, Aristotele sarebbe addirittura giun-to a presagire il movimento della terra allorché usò neiMeteorologica l’espressione «propter solem et circulatio-nem». Qui Aristotele parlava non da filosofo, bensì «daun divinatore, o pur da uno che intendeva e non ardi-va de dire, forse come colui che vede e non crede a quelche vede, e se pur il crede, dubita d’affirmarlo, temendoche alcuno non venghi a costringerlo di apportar quellaraggione, la qual non ha»691.

Per Bruno anche la matematica può essere una speciedi pedantesca applicazione, una chiusura che impedisceil raggiungimento della verità più profonda. La matema-tica copernicana deve pertanto essere superata attraversole più penetranti intuizioni del Nolano.

Tuttavia il nemico maggiore di Bruno, il suo incuboossessivo, è il «pedante grammatico». Questo tipo dipedante può talvolta assimilarsi a quello di discenden-za aristotelica, ma la sua pedanteria consiste non tantoin una filosofia angusta, quanto in un disprezzo vero eproprio per gli studi filosofici in sé da lui abbandona-ti per dedicarsi a minute osservazioni di stilistica latina,a elenchi di parole e di frasi, da cui si lascia assorbirefino al punto di perdere completamente il senso dell’u-

689 De la causa, dial. 5 (Dial. ital., p. 340).690 De l’infinito universo, dial. 5 (Dial. ital., pp. 524-5).691 Cena, dial. 5 (Dial. ital., p. 160).

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so corrente della lingua nella sua pertinente destinazio-ne semantica. L’odio per il pedante grammatico espri-me la repulsione bruniana per gli studi umanistici e perla loro usurpazione del primato appartenente in passa-to agli studi filosofici. Questo suo pedante grammaticoha il suo antecedente letterario nella figura classica delpedante della commedia. Bruno aveva scritto una com-media con un personaggio di questo tipo, il Candelaio(pubblicata a Parigi prima del suo viaggio in Inghilter-ra), che fa mostra della sua pedanteria citando sfilze diadagi erasmiani692. Il dottore pedante della Cena sbottanell’adagio erasmiano «Anticyram navigat», rivolgendo-si a Bruno693 come per dirgli, nella sua maniera caratteri-stica, «sei matto». Anche se non occorre supporre che idottori di Oxford scagliassero contro Bruno il loro «An-ticyram navigat» quando esponeva le sue concezioni ma-giche copernicano-ficiniane, sappiamo da George Abbotcome essi realmente pensassero di avere che fare con unmatto: «In verità, era piuttosto la sua testa che girava, eil suo cervello che non stava fermo»694.

Bruno espresse il suo odio per l’umanesimo e per illatino umanistico usando un latino che è decisamentefratesco e tutto «bruniano» nel suo lessico sconcertante.Solo chi, come la sottoscritta, non sia un filologo classicodi professione può trovare la forza per leggerlo.

Le satire bruniane sulla pedanteria dei grammatici so-no, in un certo senso, un rovesciamento delle satire era-smiane sulla pedanteria scolastica. Bruno, infatti, adot-tando un’impostazione completamente diversa da quel-

692 G. Bruno, Candelaio, a cura di V. Spampanato, Bari 1923,pp. 130 sgg.

693 Cena, diall. 1 e 4 (Dial. ital., pp. 37, 132). Cfr. Erasmo,Adagia, chiliade I, centuria VIII, n. 51. Anticyra era famosa perl’elleboro, un’erba ritenuta capace di guarire la pazzia.

694 Cfr. supra.

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la di Erasmo, considera l’umanesimo non il nuovo sape-re che ha soppiantato la barbara cultura medievale, mal’eversore della tradizione filosofica. Sappiamo come l’o-biezione bruniana sul nuovo clima culturale imperante aOxford fosse che i dottori di quell’università «si vanta-no di essere al tutto dissimili e contrarii a quei che furonprima»695, cioè i barbari frati del passato. È assai proba-bile che l’ex domenicano prendesse atto con fastidio dicome i grandi Magi del suo ordine non venissero affattostudiati nell’Oxford dei suoi tempi.

Ciò, tuttavia, non esaurisce il significato delle obiezio-ni bruniane contro i pedanti grammatici. Per il Nolano,infatti, il pedante è altresì una persona di mente infantileche non ha saputo elevarsi al di sopra delle nozioni piùelementari fino a raggiungere verità profonde. Ciò signi-fica quindi che l’uso che questi fa della lingua è trivialee superficiale, privo assolutamente di poteri magici e in-cantatori. Questa accezione più sottile della concezionebruniana verrà meglio alla luce nei capitoli successivi.

Come la filosofia naturale ermetica o «egiziana» diBruno non può esser distinta dalla sua religione natu-rale ermetica o «egiziana», così i pedanti del dialogo fi-losofico La cena de le ceneri non possono non venire as-sociati ai pedanti dell’altro dialogo affine, lo Spaccio del-la bestia trionfante, ove la pedanteria assume ovviamenteuna implicazione religiosa, attribuita com’è a coloro chedisprezzano le buone opere e che hanno distrutto quelledei loro predecessori, vale a dire all’intolleranza religiosadei protestanti o puritani. Come abbiamo visto, l’ermeti-smo bruniano, per quanto singolare, rientra tuttavia nel-l’ambito dei movimenti cinquecenteschi di ermetismo re-ligioso, tendenti alla tolleranza religiosa o a qualche tipodi soluzione irenica dei contrasti religiosi.

695 Cfr. supra.

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Vedo bene, che tutti nascemo ignoranti, credemo facilmented’essere ignoranti; crescemo, e siamo allevati co’ la disciplina econsuetudine di nostra casa, e non meno noi udiamo biasimarele leggi, gli riti, le fede e gli costumi de’ nostri adversari edalieni da noi, che quelli de noi e di cose nostre. Non menoin noi si piantano per forza di certa naturale nutritura le radicidel zelo di cose nostre, che in quelli altri molti e diverse dele sue. Quindi facilmente ha possuto porsi in consuetudine,che i nostri stimino far un sacrificio a gli dei, quando arrannooppressi, uccisi, debellati e sassinati gli nemici de la fé nostra;non meno che quelli altri tutti, quando arran fatto il simile anoi. E non con minor fervore e persuasione di certezza quelliringraziano Idio d’aver quel lume, per il quale si promettevoeterna vita, che noi rendiamo grazie di non essere in quellacecità e tenebre, ch’essi sono696.

In questi termini uno degli interlocutori della Cenadescrive la situazione religiosa del secolo e le sue parolesi applicano bene a quanto è stato detto poco sopraintorno al sole nascente della filosofia bruniana con cui siannunzia l’alba di un giorno migliore, malgrado il parereopposto degli avversari del Nolano. Come è possibilecorreggere la loro fallace opinione?

Con toglierli via in qualche modo d’argomentazione quella esi-stimazion di sapere, e con argute persuasioni spogliarle, quantosi può, di quella stolta opinione...697

L’irritabile mago si considerava dunque un missionariodestinato a un’opera di riconciliazione.

Ho suggerito altrove698 come il curioso titolo di Cenade le ceneri, dato da Bruno all’opera in cui viene descrit-ta la cena (avvenuta, com’egli riferì agli inquisitori vene-

696 Cena, dial. 1 (Dial. ital., pp. 46-7).697 Ibid., p. 44.698 The Religious Policy of Giordano Bruno, in «J.W.C.I.», III,

1939-40, p. 189.

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ziani, non nella casa di Fulke Greville secondo quantoindicato nel testo, ma presso l’ambasciata francese)699 nelcorso della quale egli espose a cavalieri e pedanti la suafilosofia, possa avere un sottinteso religioso, forse addi-rittura riferito al Sacramento, sul tipo di quello a cui sem-bra alludere nello Spaccio e di cui parlò con il biblioteca-rio di Saint-Victor700. Ma questa cena è piena a tal pun-to di elementi confusi, sia per quanto riguarda l’ambien-te, sia per il percorso di andata e di ritorno compiutoper le strade di Londra (un itinerario del tutto immagi-nario se la cena in questione ebbe luogo davvero pressol’ambasciata dove viveva Bruno), che è meglio conside-rarla alla stregua di una descrizione magica e allusiva, co-me lo stesso Bruno propone di interpretarla nella dedicaall’ambasciatore francese.

I misteri della Cena de le ceneri, qualunque essi pos-sano essere, dovevano essere associati al re di Francia,descritto nella dedica all’ambasciatore come un benefi-co leone solare «che, quando irato freme, come leon dal’alta spelonca, dona spaventi ed onor mortali a gli altripredatori potenti di queste selve, e quando si riposa esi quieta, manda tal vampo di liberale e di cortese amo-re, ch’infiamma il tropico vicino, scalda l’Orsa gelata, edissolve il rigor de l’artico deserto, che sotto l’eterna cu-stodia del fiero Boote si raggira»701. Questa descrizionecollega la Cena de le ceneri con l’apparizione altrettan-to celeste di Enrico III nello Spaccio della bestia trionfan-te. Essa può avere altresì rapporto con il «regio palag-gio» presentato nella singolare descrizione con cui, nella

699 A questo proposito occorre ricordare che nell’Inghilterraelisabettiana la messa poteva essere celebrata apertamente solonelle ambasciate straniere.

700 Documenti, p. 40; cfr. supra.701 Cena, dedica (Dial. ital., pp. 17-8).

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dedica della Cena all’ambasciatore, Bruno compendia ilcontenuto di questa stranissima opera:

Vedrete nel secondo dialogo: prima la causa originale de la ce-na; secondo, una descrizion di passi e di passaggi, che più poeti-ca e tropologica, forse, che istoriale sarà da tutti giudicata; ter-zo, come confusamente si precipita in una topografia morale,dove par che, con gli occhi di Linceo quinci e quindi guardan-do (non troppo fermandosi) cosa per cosa, mentre fa il suo ca-mino, oltre che contempla le gran machine, mi par che non siaminuzzaria, né petruccia, né sassetto, che non vi vada ad intop-pare. Ed ciò fa giusta com’un pittore; al qual non basta far ilsemplice ritratto de l’istoria; ma anco, per empir il quadro, econformarsi con l’arte a la natura, vi depinge de le pietre, dimonti, de gli arbori, di fonti, di fiumi, di colline; e vi fa vederqua un regio palaggio, ivi una selva, là un straccio di cielo, inquel canto un mezo sol che nasce, e da passo in passo un ucello,un porco, un cervio, un asino, un cavallo: mentre basta di que-sto far veder una testa, di quello un corno, de l’altro un quartodi dietro, di costui l’orecchie, di colui l’intiera descrizione; que-sto con un gesto ed una mina, che non tiene quello e quell’al-tro, di sorte che con maggior satisfazione di chi remira e giudi-ca viene ad istoriar, come dicono, la figura. Cossì, al proposito,leggete e vedrete quel che voglio dire702.

Il lettore elisabettiano, a meno che non avesse fatto qual-che viaggio all’estero, difficilmente poteva essersi imbat-tuto in una descrizione di questo stile, anche se indub-biamente era in grado di capire molto meglio di noi leallusioni in essa contenute.

Bruno tentò una parziale apologia delle sue critichecontro i pedanti, formulate nella Cena, nel primo dialogodel De la causa, principio e uno, in cui un’altra notevoledescrizione si aggiunge alla galleria bruniana:

La impresa che hai tolta, o Filoteo, è difficile, rara e singola-re, mentre dal cieco abisso vuoi cacciarne e amenarne al disco-

702 Cena, dedica (Dial. ital., pp. 10-1).

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perto, tranquillo e sereno aspetto de le stelle, che con sì bel-la varietade veggiamo disseminate per il ceruleo manto del cie-lo. Benché agli uomini soli l’aitatrice mano di tuo piatoso zelosoccorra, non saran però meno varii gli effetti de ingrati versodi te, che varii son gli animali che la benigna terra genera e no-drisce nel suo materno e capace seno; se gli è vero che la spe-cie umana, particolarmente negl’individui suoi, mostra de tut-te l’altre la varietade per esser in ciascuno più espressamenteil tutto, che in quelli d’altre specie. Onde vedransi questi che,qual’appannata talpa, non sì tosto sentiranno l’aria discorperto,che di bel nuovo, risfossiccando la terra, tentaranno agli nativioscuri penetrali; quelli, qual notturni ucelli, non sì tosto arranveduta spuntar dal lucido oriente la vermiglia ambasciatrice delsole, che dalla imbecillità degli occhi suoi verranno invitati al-la caliginosa ritretta. Gli animanti tutti, banditi dall’aspetto dele lampadi celesti e destinati all’eterne gabbie, bolge ed antri diPlutone, dal spaventoso ed erinnico corno d’Alecto richiama-ti, apriran l’ali e drizzaranno il veloce corso alle lor stanze. Magli animanti nati per vedere il sole, giunti al termine dell’odio-sa notte, ringraziando la benignità del cielo e disponendosi a ri-cevere nel centro del globoso cristallo degli occhi suoi gli tantobramosi e aspettati rai, con disusato applauso di cuore, di vocee di mano adoraranno l’oriente...703

Si tratta di una descrizione analoga a quella sui pedantie sulla teoria copernicana della dedica della Cena. Cherazza di pittore sarebbe stato il mago! Era propria dellasua filosofia (per estensione della teoria ut pictura poesis)la concezione che poesia, pittura e filosofia fossero unacosa sola.

Donde i filosofi sono in qualche modo pittori e poeti; i poetisono pittori e filosofi; i pittori sono filosofi e poeti. Donde iveri poeti, i veri pittori e i veri filosofi si prediligono l’un l’altroe si ammirano vicendevolmente704.

703 De la causa, dial. 1 (Dial. ital., pp. 192-3).704 Explicatio triginta sigillorum (Op. lat., II [II], p. 133).

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XIV. GIORDANO BRUNO E LA CABALA

Il mago rinascimentale, nella pienezza della sua digni-tà, quale descritto da Pico della Mirandola, combinavamagia e cabala, aggiungendo alla magia naturale di ti-po ficiniano, con la sua base ermetica, la cabala prati-ca, che lo poneva in contatto con il mondo spirituale eangelico superiore, e che il mago cristiano collegava conle gerarchie angeliche dello Pseudo-Dionigi. Abbiamogià visto che, come mago rinascimentale, Bruno occupaun posto a sé nel campo dell’ermetismo, grazie al suo ri-pudio dell’interpretazione cristiana degli scritti ermeti-ci ed alla sua totale adesione alla tradizione «egiziana».Ci aspetteremmo, dunque, di riscontrare una deviazio-ne dalla norma anche nel suo atteggiamento nei confron-ti della cabala; e così, effettivamente, è, sebbene, nono-stante le sue allarmanti deroghe alla normalità, si possadire che Bruno rientra pur sempre nell’ambito della tra-dizione ermetico-cabalistica. Nella Cabala del cavallo pe-gaseo egli manifestamente respinge in blocco la cabalain favore delle sue posizioni essenzialmente egiziane, edè questo un atteggiamento che concorda perfettamentecon la sua concezione – quanto mai non ortodossa – del-la storia della prisca theologia, o prisca magia, un camponel quale, secondo lui, gli Egiziani sono stati non soltan-to cronologicamente i primi, ma anche i migliori, mentreEbrei e cristiani vi sono arrivati dopo, e con risultati peg-giori. Nondimeno, egli non sempre si attenne rigorosa-mente a questa posizione, o piuttosto, proprio come pen-sava che il suo «egizianismo», per quanto non cristiano,potesse costituire la base di una riforma all’interno dellaChiesa, così ritenne nella sua concezione anche qualcheelemento della cabala, dell’inferiore magia e rivelazioneebraiche.

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È probabile che Bruno conoscesse ben poco l’ebrai-co705. Ne conosceva certamente l’alfabeto, del quale siserve in taluni dei suoi diagrammi. Ma quando parla del-la struttura del cabalismo, dei Nomi, delle sefirot, degliordini angelici, e così via, trae il proprio materiale diret-tamente dalla sua bibbia, e cioè dalla filosofia occulta diCornelio Agrippa. Conosceva anche la Steganographia diTritemio, e forse anche il De arte cabalistica di Reuchlin;né si può escludere che avesse qualche conoscenza delloZohar706. Conosceva senza alcun dubbio le opere di Picodella Mirandola; ma il bibliotecario di Saint-Victor anno-tò nel suo prezioso diario che Bruno (il quale deve aver-gli fatto un gran numero di confidenze) gli aveva confes-sato di disprezzare «Picus Mirandulanus, et toute la phi-losophie des Jésuites»707 (accostamento questo piuttostosingolare).

Le fonti della magia di Bruno non devono essere sta-te abbondanti, perché è curioso vedere quale profondafiducia egli riponesse nella compilazione di seconda ma-no di Agrippa. Il manoscritto Noroff708 contiene estrattidi testi magici copiati per Bruno dal suo amanuense, Be-sler. In quel periodo Bruno tentava, energicamente e con

705 Secondo il McIntyre è improbabile che Bruno sapesseleggere l’ebraico: egli deve pertanto aver derivato la maggiorparte della sua conoscenza della cabala da Agrippa e, forse, daReuchlin. Cfr. J. L. McIntyre, Giordano Bruno, London 1903,p. 131, nota.

706 Probabilmente solo in via indiretta.707 Documenti, p. 40.708 Il manoscritto Noroff di Mosca contiene opere magiche di

Bruno insieme a note e trascrizioni da testi magici. La maggiorparte del manoscritto Noroff venne pubblicata nel 1891 comeIII volume delle opere latine di Bruno; le note da Agrippa eTritemio (op. lat., III, pp. 493-506) sono soltanto indicazionidei passi copiati, non la trascrizione completa della loro stesuranel manoscritto.

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ogni mezzo di rafforzare l’aspetto magico della sua per-sonalità, prima di fare ritorno in Italia nel 1591, recandocon sé il manoscritto di un libro da dedicare al papa cheegli sperava di interessare al suo movimento di riforma709.Ora che cosa copiava Besler con tanta diligenza? Soprat-tutto lunghi estratti dal De occulta philosophia. Questolibro deve aver fatto a Bruno un’immensa impressione.Egli non lo seguì pedissequamente, ma certo l’opera diAgrippa costituì il punto di partenza per la maggior par-te delle sue idee sulla magia; d’altra parte, come abbia-mo visto, Agrippa aveva recepito nel suo manuale alcu-ni dei punti fondamentali della filosofia ermetica, e Bru-no potrebbe esserne rimasto colpito leggendoli tanto inquesto contesto, quanto nelle traduzioni ficiniane.

Nella Cabala del cavallo Pegaseo, uscita in Inghilter-ra nel 1585 con il falso luogo di stampa «Parigi»710, Bru-no svela il suo atteggiamento nei confronti della caba-la, della deformazione cristiana di essa, spinta fino alpunto di farvi rientrare le gerarchie pseudo-dionisiane, edi quel sincretismo religioso, fondato sulla teologia ne-gativa dello Pseudo-Dionigi, le cui fonti principali so-no costituite da Ficino e da Pico. Egli riassume il siste-ma cabalistico-pseudodionisiano, indicando i nomi del-le dieci sefirot, il significato di esse, gli ordini ebraici de-

709 Cfr. più avanti.710 Tutte le opere di Bruno stampate in Inghilterra da John

Charlewood (cfr. supra.) recano false indicazioni del luogo distampa (Venezia o Parigi), tranne quella sui Triginta sigilli chenon reca alcuna indicazione. Queste pubblicazioni clandesti-ne di un ospite dell’anbasciata francese dovettero senz’altro av-venire con la connivenza dell’ambasciatore, a cui varie di essefurono dedicate.

La Cabala del cavallo pegaseo è scritta in forma di dialogo,come le altre opere italiane composte da Bruno in Inghilterra,ed è seguita da un dialogo più breve intitolato L’asino cillenicodel Nolano.

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gli angeli che con esse sono collegati e le nove gerarchiecelesti alle quali esse corrispondono. Infine completa laserie delle gerarchie (che porta al numero necessario didieci), ponendo accanto a Malchuth, la decima sefcrot, eal corrispondente ordine angelico ebraico, l’Issim, un or-dine di «anime separate o Eroi»711. Tutti questi elementili ha tratti direttamente dal De occulta philosophia712.

Egli simboleggia con l’ Asino il Nulla che è al di là del-le sefirot cabalistiche, e questo simbolo di teologia nega-tiva, di non conoscenza, è lo stravagante eroe dell’opera.Nonostante le apparenze, non credo che Bruno avesseintenzioni blasfeme. L’asino che porta i sacramenti, Cri-sto che entra in Gerusalemme su un asino, erano già sta-ti allegorizzati, in questo senso, come umili simboli nega-tivi. Bruno è al corrente di queste allegorie, e si riallac-cia ad esse713. Bruno era sincero, non voleva certo essereimpertinente. Soltanto, seguiva una stranissima religio-ne, che egli esponeva servendosi di allegorie altrettantostrane.

711 Cabala, dial. 1 (Dial. ital., pp. 865-6).712 Agrippa, De occult. phil., III, 10.713 Cfr. l’indirizzo al «divoto e pio lettore» preposto alla

Cabala (Dial. ital., pp. 851 sgg.) e riguardante il tema dellascelta dell’asino per l’ingresso in Gerusalemme. Un emblemadell’Alciati (n. 7) mostra – mediante un adattamento egizianodel ruolo sacro attribuito all’asino – un asino recante sul dorsouna statua di Iside. L’asino viene venerato dagli ignoranti chescambiano i portatori di cose sacre per cose sacre essi stessi.L’emblema è stato interpretato da Mignault e da Whitney comeuna satira della presunzione del clero. Benché possa esservi undouble entendre, non è in questo senso che Bruno fa ricorsoall’immagine dell’asino. Sul simbolo dell’asino e sull’uso diesso in Bruno e Agrippa, cfr. John M. Steadman, Una and theClergy: the Ass Symbol in «The Faerie Queene», «J.W.C.I.»,XXI, 1958, pp. 134-6.

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Gli Ebrei, continua Bruno dopo l’esposizione del si-stema cabalistico, derivarono dagli Egiziani la loro sa-pienza, e riferisce una storia, tratta dal De Iside et Osiri-de di Plutarco, indicativa di quanto gli Ebrei corrompes-sero la sapienza egiziana. Secondo questa storia, agli Egi-ziani fu fatto mutare «il lor bove Opin o Apin» – il to-ro Api – in un Asino, che divenne quindi per essi simbo-lo di sapienza714. L’Asino, in breve, è il simbolo di ognispecie di teologia negativa, sia essa cabalistica o pseudodionisiana e cristiana715; ma Bruno abbraccia un nuovotipo di cabala (o piuttosto un tipo di antica cabala egizia-na) che costituisce la sua religione, e che egli espone neldialogo L’asino cillenico del Nolano.

Uno degli interlocutori del dialogo è un vero e pro-prio asino parlante, che si definisce un «naturalissimoasino»716. Esso «si volta alla considerazion de l’opredel mondo e principii della natura» e la sua natura è«fisica»717. L’asino diviene membro di un’accademia pi-tagorica votata al «fisico», perché

delle cose sopranaturali non si possono aver raggioni, eccettoin quanto riluceno nelle cose naturali; percioché non accadead altro intelletto che al purgato e superiore di considerarle insé718.

714 Cabala, dial. 1 (Dial. ital., pp. 867-8).715 Cabala, dial. 1 (Dial. ital., pp. 875-6). Esso simboleggia

anche (ibid., p. 876) lo scetticismo totale dei «pirroniani» ed«efettici».

716 L’asino cillenico (Dial. ital., p. 915). L’epiteto «cillenico»collega l’asino a Mercurio, che era nato in una grotta del monteCillene. Esso viene altresì assimilato al cavallo Pegaso, donde iltitolo Cabala del cavallo pegaseo.

717 L’asino cillenico (Dial. ital., p. 917).718 Ibid., loc. cit.

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In questa accademia non si fa metafisica, perché«quello che gli altri vantano per metafisica, non è altroche parte di logica»719.

Bruno spaccia, accusandolo di essere metafisico, il si-stema cabalistico delle sefirot, le gerarchie dello Pseudo-Dionigi, tutta la sovrastruttura che il mago cristiano ave-va costruito sulla sua magia naturale per salvaguardarladagli influssi demonici, e ritorna alla «religione naturale»degli Egiziani, alla filosofia naturale o alla religione natu-rale del mondo che egli aveva, mutuato dall’ermetismo.Viene esplicitamente detto che questo «asino naturale» èla stessa cosa che la bestia trionfante dello Spaccio720.

L’origine dell’asino egiziano di Bruno è estremamen-te chiara. Basta ricordarsi dell’Asino d’oro, il romanzo diApuleio di Madaura in cui sono narrate le vicende del-l’uomo trasformato in asino, al quale, su una spiaggia de-solata, compare la dea Iside, e che diviene sacerdote deimisteri egiziani. Ad Apuleio di Madaura, si ricorderà, ve-niva attribuita la traduzione latina dell’Asclepius, ed a luigli ermetici cristiani facevano carico di aver fraudolente-mente inserito in quell’opera il famoso brano di magiadiabolica721. Giordano Bruno, da buon ermetico non cri-stiano e mago iconoclasta, proclama la sua ammirazio-ne incondizionata per Apuleio come mago e per la ma-gia dell’Asclepius, assumendo a proprio eroe l’asino diApuleio.

719 Ibid., loc. cit.720 L’asino cillenico (Dial. ital., pp. 842, 862). Poiché viene

anche detto (p. 867) che gli Egiziani furono costretti «adadorar l’imagine de l’asino» al posto del «bove [Api] già tantoadorato da essi», si potrebbe dedurre che la «Bestia trionfante»fosse in realtà Api, inteso a rappresentare non, come per papaAlessandro VI, un precursore del Cristianesimo, ma la verareligione soffocata e pervertita da ebrei e cristiani.

721 Cfr. supra.

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Inoltre, l’idea dell’asino di Apuleio come simbolo delfilosofo naturale fu quasi certamente suggerita a Brunodal suo grande maestro, il mago Cornelio Agrippa diNettesheim. Come ha posto in luce F. Tocco, alcuni pas-si bruniani sull’asino sono tratti dal De vanitate scientia-rum di Agrippa, opera nella quale costui aveva trattatodelle scienze occulte, ripudiandole alla fine come vane,e servendosi dell’asino quale simbolo dell’ignoranza722.Nella dedica di quest’opera Agrippa si definisce uno cheè stato mutato in «asino filosofico», sul tipo di quelli de-scritti da Luciano e da Apuleio.

Occorre inquadrare Bruno nel contesto della Cabaladel cavallo pegaseo e dell’Asino cillenico per rendersi con-to della totale anormalità della sua posizione nell’ambitodella tradizione dei maghi rinascimentali. Nel declinareil sistema delle sefirot, e l’ordine delle connesse gerarchiecelesti cristiane, Bruno consapevolmente si riallaccia al-la posizione del mago rinascimentale e altrettanto consa-pevolmente se ne discosta. Non solo la magia di Brunoera del tutto priva di quelle cautele con le quali Ficinoaveva attenuato la sua magia naturale ma era anche spo-gliata di quelle sovrastrutture angeliche tramite le qualì(come si sperava) i demoni sarebbero stati controllati daforze spirituali superiori.

E tuttavia questo non esaurisce il quadro della situa-zione, perché la rivalutazione rinascimentale della magiaagisce profondamente su Bruno. Essa, da un lato, avevapromosso la magia al rango di strumento complementa-re di importanti posizioni filosofiche, e questa tradizio-ne trovò in Bruno un notevolissimo continuatore. Dal-l’altro, l’intenso sentimento religioso che aveva ispirato

722 Cornelio Agrippa, De vanitate scientiarum, cap. 102, Adencomium asini digressio. Cfr. V. Spampanato, Giordano Brunoe la letteratura dell’asino, Portici 1904; Steadman, art. cit., pp.136-7.

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Pico, spingendolo ad esaltare magia e cabala come stru-menti utili alla conoscenza religiosa, persiste vivamentein Bruno, il quale persegue la sua religione filosofica, o lasua filosofia religiosa, o la sua magia filosofico-religiosa,con la più profonda serietà e ritiene che essa possa dive-nire lo strumento di un riforma religiosa universale. Bru-no stesso definisce la propria cabala come «una cabaladi teologica filosofia, una filosofia di teologia cabalistica,una teologia di cabala filosofica»723.

Egli, quindi, continua a far uso della parola «caba-la» per descrivere la propria posizione, ed effettivamen-te, come vedremo fra poco, il suo atteggiamento nei con-fronti sia del misticismo cabalistico, sia di quello pseudo-dionisiano non è, in pratica, tanto radicalmente ostilequanto si potrebbe supporre in base alla lettura della Ca-bala del cavallo pegaseo. Egli si avvale, in altre opere, dielementi di entrambe le correnti, e, così facendo, si qua-lifica, ancora una volta, come mago rinascimentale, perquanto di una specie decisamente fuori del comune.

Numerose opere di Bruno sono espressamente dedi-cate alla magia, della quale, peraltro, sono piene anche lesue opere mnemoniche e filosofiche. Le due opere piùimportanti, fra quelle che direttamente concernono lamagia, sono il De magia e il De vinculis in genere, entram-be scritte, con ogni probabilità, fra il 1590 e il 1591, perquanto non siano state pubblicate che alla fine del seco-lo scorso, nell’edizione delle opere latine di Bruno724. Fuproprio lo studio del De magia e del De vinculis che fececapire ad A. Corsano l’interesse di Bruno per la magia725,

723 Cabala, dedica (Dial. ital., p. 837).724 Op. lat., III, pp. 395 sgg. e 653 sgg. Entrambe queste

opere figurano nel manoscritto Noroff. Torneremo a parlarnea proposito dell’attività di Bruno durante il suo soggiorno inGermania (cfr. più avanti).

725 A. Corsano, Il pensiero di Giordano Bruno, pp. 281 sgg.

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sebbene il Corsano ritenesse che Bruno non avesse pre-so sul serio la magia fino all’ultimo periodo della sua at-tività, mentre essa di fatto è presente nel suo pensiero findall’inizio.

Come c’è da aspettarsi, il De magia di Bruno si basasul De occulta philosophia di Agrippa e segue, sostanzial-mente, le principali classificazioni e linee interpretativetracciate sull’argomento da Agrippa. Non mancano tut-tavia alcune differenze molto significative. Si ricorderàche il libro di Agrippa è diviso in tre parti, sulla magiaelementare, sulla magia celeste, e sulla magia sovracele-ste o religiosa, in corrispondenza ai tre mondi dei caba-listi. Queste stesse divisioni si possono rintracciare an-che nel De magia di Bruno; ma quando giunge a tratta-re della magia religiosa, significativamente egli omette difar menzione dell’antichità, della santità e dell’efficaciadella lingua ebraica, delle sefirot e degli ordini angeliciebraici e pseudo-dionisiani726. È vero che i cabalisti ven-gono inseriti nell’elenco di prisci magi con il quale si apreil De magia, dove si afferma che il mago è il saggio, co-sì come lo furono Ermete Trismegisto fra gli Egiziani, idruidi fra i Galli, i gimnosofisti fra gli Indiani, i cabalistifra gli Ebrei, i magi fra i Persiani, i sofi fra i Greci, i sa-pientes fra i Latini727. Tuttavia a un mago che avesse fa-miliarità con la tradizione ortodossa, suonerebbe stranoil fatto che Bruno non faccia mai menzione del superiorepotere magico della lingua ebraica. Al contrario, egli de-dica un brano significativo alle lodi della lingua egizianae dei suoi sacri caratteri

726 Vengono menzionati una volta gli angeli (De magia, Op.lat., III, p. 423) ma si tratta solo di un’allusione passeggera.Nel complesso, la sovrastruttura angelica della normale magiarinascimentale è interamente assente.

727 De magia (Op. lat., III, p. 397).

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... le lettere sacre in uso fra gli Egiziani venivano dette gero-glifici... ed erano immagini... tratte dalle cose della natura, oda parti di esse. Servendosi di tali scritture e voci (voces), gliEgiziani erano soliti impadronirsi, con meravigliosa abilità, del-la lingua degli dèi. In seguito, quando Theut o qualcun altroebbe inventato le lettere del tipo di cui ci serviamo attualmen-te con ben altri effetti, si determinò una grave frattura sia nellamemoria, sia nelle scienze divine e magiche728.

Questo brano ci fa venire in mente una delle lodi del-la lingua egiziana contenute in Corpus Hermeticum XVI(il cosiddetto trattato delle «Definizioni»), dove Asclepiodice al re Ammone che il trattato dovrà essere conserva-to nell’originale egiziano, e non tradotto in greco, perchéla lingua greca è prolissa e vuota, e nella traduzione gre-ca andrebbe persa l’«efficace virtù» del testo originale729.Se Bruno era a conoscenza di questo brano, l’aveva let-to con ogni probabilità nella traduzione latina di Ludo-vico Lazzarelli (si ricorderà che questo trattato non erastato tradotto da Ficino)730, nella quale è detto con moltachiarezza che il potere magico della lingua egiziana an-drebbe perduto se si traducesse il trattato in una linguapriva di questo potere731. Questo passo deve aver certa-

728 De magia (Op. lat., III, pp. 411-2).729 C.H., II, p. 232.730 Cfr. supra.731 «Etenim ipsa vocis qualitas et egyptiorum nominum lin-

gua in seipsa habet actum dictorum. Quantum igitur possibileest, o rex, omnem (ut potes) sermonem serva inconversum, nead grecos perveniant talia misteria, neve grecorum superba lo-cutio atque dissoluta ac veluti calamistrata debilem faciat gra-vitatem, validitatem atque activam nominum locutionem. Gre-ci enim, o rex, verba habent tantum nova demonstrationum ac-tiva. Et hec est grecorum philosophia verborum sonus. Nosautem non verbis utimur, sed vocibus maximis operum.» Dal-la traduzione latina di Ludovico Lazzarelli delle Definitionesermetiche, pubblicata nel De quadruplici vita di Symphorien

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mente attirato l’attenzione di Bruno, perché esso metterealmente a nudo la sostanza delle sue obiezioni ai «pe-danti». I Greci, proprio come i pedanti, si servono del-la lingua come di parole vuote con cui ragionare; laddo-ve l’uso egiziano, o magico, della lingua e dei segni ser-ve per comunicare direttamente con la realtà divina, per«impadronirsi della lingua degli dèi», come dice Bruno,e per scopi operativi. Mettendo l’invenzione dell’alfabe-to normale, che ha determinato l’uso della lingua secon-do una diversa finalità, al posto dei «Greci», rappresen-tativi nel passo ermetico dell’uso non magico della lin-gua, Bruno ha trasferito l’intera questione su un pianogenerale, distinguendo fra «Egiziani», che fanno uso ma-gico e intuitivo della lingua e dei segni, e «pedanti» (co-me Bruno si sarebbe probabilmente espresso) che se neservono altrimenti732.

Per la magia è assiomatico, dice Bruno, aver davantiagli occhi, in ogni operazione, la sequenza degli influs-si promananti da Dio agli dèi, dagli dèi alle stelle, dallestelle ai demoni, che sono preposti alle stelle e nel cui no-vero rientra la terra, dai demoni agli elementi, dagli ele-menti al senso e all’«animale nella sua totalità»: e questaè la scala discendente. La scala ascendente va dal sen-so agli elementi, ai demoni, alle stelle, agli dèi, quindi al-

Champier (Lione 1507) e ristampata in C. Vasoli, Temi e fontidella tradizione ermetica, in Umanesimo e esoterismo, a cura diE. Castelli, Padova 1960, pp. 251-2.

732 Comunque Bruno può avere avuto in mente anche il pas-so del Fedro platonico (274 C-275 B) in cui il sovrano egizianoTamo obietta sull’invenzione della scrittura da parte di Teut so-stenendo che essa finirà per distruggere la memoria. Entrambii passi platonico ed ermetico sono riflessi nel dialogo fra Tamo,Mercurio e Teutates che il discepolo di Bruno, Alexander Dic-son, prepose alla sua imitazione dell’arte mnemonica bruniana(A. Dicson, De umbra rationis, ecc., London 1583; cfr. supra).

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l’anima del mondo o spirito dell’universo e, da qui, al-la «contemplazione dell’unico Ottimo Massimo, incor-poreo, assoluto, sufficiente in sè»733. Naturalmente, unafase essenziale di questa ascesa è costituita dalla presa dicontatto con i demoni, e la magia di Bruno è chiaramentedemonica. Egli conosce il fondamento della magia natu-rale dello spiritus734, ma abbandona interamente le riser-ve di Ficino. Bruno vuole raggiungere i demoni; si trat-ta di un momento essenziale della sua magia; né il suoschema magico prevede angeli cristiani da invocare pertenerli sotto controllo. Bruno, naturalmente, come tut-ti i maghi, considera la sua magia una magia buona735;per il mago, soltanto la magia degli altri è sempre catti-va. E, dal suo punto di vista, e poiché considera la re-ligione egiziana come l’unica valida, non c’è dubbio chela sua fosse l’unica magia valida, dal momento che, comesappiamo, erano proprio i demoni ad essere manipolatie imprigionati nei simulacri dai sacerdoti egiziani.

733 De magia (Op. lat., III, pp. 401-2).734 Cfr. De magia (Op. lat., III, pp. 414 sgg., 434 sgg.):

nel secondo passo viene citato l’inevitabile brano virgiliano«Spiritus intus alit...»; e De rerum principiis, elementis et causis(Op. lat., III, pp. 521 sgg.). Ma il convincimento bruniano cheLucrezio fosse un mago naturale e l’introduzione degli atomilucreziani nel contesto della sua magia naturale (cfr., per es.,Op. lat., III, p. 415) danno alla magia di Bruno un’inclinazionediversa.

735 Esiste, egli dice, una specie perversa di magia demoni-ca, che è chiamata «magia desperatorum», e ad essa appartienel’Ars notoria (una corrente magica medievale, attribuita a Salo-mone e che ricorreva all’invocazione di demoni, cfr. Thorndi-kee, II, pp. 279-89). Ma c’è un altro tipo di questa magia chemira a governare attraverso i demoni inferiori con l’autorità delcapo dei demoni superiori, e si tratta della magia trasnaturaleo metafisica, o teurgia. La magia demonica di Bruno rientra inquesto tipo superiore (De magia, Op. lat., III, p. 398).

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Dunque, la magia pratica di Bruno consiste nell’atti-rare demoni o spiriti per mezzo di «legami» o collega-menti. Il metodo di stabilire collegamenti coi demoniera stato menzionato da Ficino all’inizio del De vita coe-litus comparanda, con citazioni sull’argomento da scritto-ri neoplatonici736, sebbene egli proclamasse apertamentedi non avvalersi affatto di un simile tipo di magia. InAgrippa c’è un capitolo sui «legami», ed esso costitui-sce il punto di partenza di Bruno737, per quanto egli svi-luppi considerevolmente la materia. Un modo di stabi-lire «legami» è quello che si attua «per mezzo di paro-le e canti»738, e cioè di inçantazioni, che ora non sonopiù considerate alla stregua di magia puramente natura-le, come in Ficino, ma come mezzo per evocare demo-ni. Si possono evocare demoni anche mediante imma-gini, sigilli, figure e così via739. Un altro metodo è quel-lo che si basa sull’immaginazione740, e questo era il me-todo fondamentale di Bruno: condizionare l’immagina-zione (o la memoria) a ricevere influssi demonici graziea immagini o altri segni magici impressi nella memoria.Nel De magia Bruno collega la sua psicologia magica del-l’immaginazione alla terminologia della normale psicolo-

736 Cfr. supra.737 Agrippa, De occult. Phil., III, 33, «De vinculis spiritum».

Bruno talvolta usa anche Tritemio. (Per esempio, nella Stega-nographia, I, 15, Tritemio dà i nomi degli spiriti che presiedo-no ai quattro punti cardinali e i loro numeri. Cfr. il terzo «le-game» bruniano che si stabilisce attraverso gli spiriti dei quat-tro punti cardinali, De magia, Op. lat., III, p. 436.) I passi diAgrippa e di Tritemio che Besler copiò per Bruno (cfr. supra)erano quelli di cui egli aveva bisogno per le sue evocazioni.

738 De magia, Op. lat., III, pp. 443-6.739 Il legame IX si stabilisce mediante «characteres et sigilla»

(De magia, Op. lat., III, p. 437)740 De magia, Op. lat., III, pp. 449 sgg.

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gia delle facoltà che, tuttavia, egli modifica, facendo del-l’immaginazione, e più precisamente dell’immaginazioneanimata o eccitata magicamente, e unita al potere cogita-tivo, la scaturigine dell’energia psichica. Questa imma-ginazione magicamente animata è «la sola porta d’acces-so a tutti gli affetti intimi, e il legame dei legami»741. Lalingua di Bruno si fa mossa e oscura quando egli parladi questo mistero, per lui centrale, del condizionamentodell’immaginazione in modo che possano venire attratteentro la personalità forze spirituali o demoniche che neliberino i poteri innati. Questo era il risultato che eglisempre si era proposto di raggiungere con i suoi magi-ci sistemi mnemonici742, lo scopo dei quali, come risultachiaramente dalle pagine finali del De magia, era il con-seguimento della personalità e dei poteri di un grandemago o capo religioso.

Siamo ormai davvero molto lontani dal sistema magico-cabalistico del mago cristiano, con le sue caute limi-tazioni sul piano della magia naturale e con gli ange-li ebraico-cristiani chiamati a garanzia nell’ambito del-la magia religiosa. Nondimeno, Giordano Bruno è il ri-sultato logico e diretto della glorificazione rinascimenta-le dell’uomo come grande miracolo, dell’uomo che è di-vino alla sua origine e può riacquistare la natura divina,dell’uomo dotato di poteri divini. È in breve, il puntodi sbocco dell’ermetismo rinascimentale. Se l’uomo puòottenere poteri di questo tipo per mezzo dì esperienzeermetiche, perché Cristo non potrebbe avere ottenuto i

741 De magia, Op. lat. III, p. 453.742 In un’altra opera sui «legami» contenuta nel manoscrit-

to Noroff, il De vinculis in genere, i metodi per stabilire legamimediante i demoni sono esposti in trenta categorie, indicanti ilrapporto con i «trenta» sistemi presentati nelle opere mnemo-niche De umbris e Triginta sigilli (cfr. De vinculis in genere, Op.lat., III, pp. 669-70).

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suoi con metodi analoghi? Pico della Mirandola ritene-va di poter provare la divinità di Cristo servendosi dellamagia e della cabala. Bruno interpretava diversamente lepossibilità offerte dalla magia rinascimentale.

Per quanto «egizianismo» ed ermetismo abbiano nellaconcezione di Bruno un rilievo predominante, i rappor-ti fra ermetismo e cabala presenti nella precedente tra-dizione persistono anche nel suo schema, sebbene conuna diversa accentuazione dei due elementi. Un esem-pio di questa sopravvivenza è costituito dall’accettazio-ne dell’equazione Genesi-Pimander, cioè dell’equazionefra concezione mosaica della creazione e sapienza erme-tica. Nel De immenso et innumerabilibus, pubblicato inGermania nel 1591, egli discute il senso del termine «ac-que» usato da Mosè nella Genesi, che, secondo lui, Mo-sè deriva dalla sapienza egiziana, e cita Ermete Trisme-gisto (cioè il Pimander) laddove parla della «natura umi-da» che fu attivata dalla luce. Mosè si presenta anchequi, come è normale in Bruno, in posizione di inferioritàe seriorità rispetto agli Egiziani, in quanto deriva da es-si il meglio della sua sapienza; ma Bruno si serve sia del-la Genesi mosaica che di quella egizia, e, nella frase suc-cessiva, parla degli «Egiziani e dei cabalisti» (si noti l’or-dine) che concordano nel non comprendere l’ignis frale sostanze primarie743. Il totale accordo fra Mercurio eMosè circa la materia fondamentale della creazione, chesarebbe costituita da acqua-luce, e non da fuoco, risultaanche da questo brano, che riporto da un’altra parte delDe immenso:

Quare et nonnullis humens substantia dicta est,Mercurio nempe et Mosi, qui corpora primaInter non numerant ignem, quem compositorum

743 De immenso et innumerabilibus, Op. lat., I (I), p. 376.

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In genere esse volunt, quod constat lumine et unda744.

Similmente, nel De triplici minimo et mensura (pubbli-cato anch’esso in Germania nel 1591) Mosè, Trismegi-sto, e «altri Caldei ed Egiziani» concordano tutti riguar-do alla creazione745, e molti altri collegamenti fra Mosèed Ermete potrebbero desumersi dalle opere latine, ilche può forse significare che Bruno conosceva alcuni deicommenti cabalistici alla Genesi.

La persistenza di idee cabalistiche nella mente di Bru-no, per quanto d’importanza secondaria rispetto al suofondamentale ermetismo ed «egizianismo», si può ri-scontrare anche nello Spaccio. Dopo aver parlato dellareligione egiziana e del suo potere di conseguire l’unitàal di là della molteplicità delle cose, egli espone uno sche-ma cabalistico di unità nella molteplicità. Per mostrarela discendenza di quest’ultimo dall’«egizianismo» citerò,ancora una volta, il brano «egiziano» (già citato nel capi-tolo II). Né credo di dovermi scusare per questa ripeti-zione, perché esso esprime perfettamente la concezionefondamentale di Bruno, ed è essenziale ritornarci sopracontinuamente, e afferrarne sempre più a fondo il sen-so. Bruno parla del modo in cui il culto egiziano ascen-deva, attraverso la molteplicità delle cose, distribuite nelcontesto delle relazioni astrologiche, all’Uno che è al dilà delle cose:

...ne gli doi corpi che vicino a questo globo e nume nostromaterno son più principali, cioè nel sole e luna, intendeano[gli Egiziani] la vita che informa le cose secondo due raggionipiù principali. Appresso apprendeano quella secondo settealtri raggioni, distribuendola a sette lumi chiamati erranti; a gliquali, come ad original principio e feconda causa, riduceanole differenze delle specie in qualsivoglia geno: dicendo de le

744 Ibid., Op. lat., I (II), p. 33.745 De triplici minimo et mensura, Op. lat., (III), p. 171.

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piante, de li animali, de le pietre, de gl’influssi, e di altreed altre cose, queste di Saturno, queste di Giove, queste diMarte, queste e quelle di questo e di quell’altro. Cossi dele parti, de’ membri, de’ colori, de’ sigilli, de’ caratteri, disegni, de imagini destribuite in sette specie. Ma non manca perquesto, che quelli non intendessero una essere la divinità chesi trova in tutte le cose, la quale, come in modi innumerabili sidiffonde e communica, cossì ave nomi innumerabili, e per vieinnumerabili, con raggioni proprie ed appropriate a ciascuno,si ricerca, mentre con riti innumerabili si onora e cole, perchéinnumerabili geni di grazia cercamo impetrar da quella. Però inquesto bisogna quella sapienza e giudizio, quella arte, industriaed uso di lume intellettuale, che dal sole intelligibile a certitempi più ed a certi tempi meno, quando massima e quandominimamente viene revelato al mondo. Il quale abito si chiamaMagia......gli stupidi ed insensati idolatri non aveano raggione di ridersidel magico e divino culto degli Egizii; li quali in tutte le coseed in tutti gli effetti, secondo le proprie raggioni di ciascuno,contemplavano la divinità; e sapeano per mezzo delle specieche sono nel grembo della natura, ricevere que’ beneficii chedesideravano da quella; la quale come dal mare e fiumi dona ipesci, da gli deserti gli salvatici animali, da le miniere gli metalli,da gli arbori le poma; cossì da certe parti, da certi animali,da certe bestie, da certe piante porgono certe sorti, virtudi,fortune ed impressioni. Però la divinitade nel mare fu chiamataNettuno, nel sole Apolline, nella terra Cerere, ne gli desertiDiana; e diversamente in ciascuna de le altre specie, le quali,come diverse idee, erano diversi numi nella natura, li quali tuttisi referivano ad un nume de’ numi e fonte de le idee sopra lanatura.Da questo parmi che derive quella Cabala de gli Ebrei, la cuisapienza (qualunque la sia in suo geno) è proceduta da gli Egi-zii appresso de quali fu instrutto Mosè. Quella primieramen-te al primo principio attribuisce un nome ineffabile, da cui se-condariamente procedono quattro, che appresso si risolveno indodici; i quali migrano per retto in settantadoi, e per obliquo eretto in cento quarantaquattro; e cossì oltre, per quaternarii eduodenarii esplicati, in innumerabili, secondo che innumerabi-li sono le specie. E talmente, secondo ciascun nome (per quan-to vien commodo al proprio idioma), nominano un dio, un an-gelo, una intelligenza, una potestà, la quale è presidente ad una

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specie; onde al fine si trova che tutta la deità si riduce ad unfonte, come tutta la luce al primo e per sé lucido, e le imaginiche sono in diversi e numerosi specchi, come in tanti suggettiparticulari, ad un principio formale ed ideale, fonte di quelle.Cossì è. Talmente dunque quel dio, come absoluto, non ha chefar con noi; ma per quanto si comunica alli effetti della natura,ed è più intimo a quelli che la natura istessa; di maniera che selui non è la natura istessa, certo è la natura de la natura; ed èl’anima de l’anima del mondo, se non è l’anima istessa...746

In questo brano egli parla del Tetragrammaton, il sa-cro nome di Dio composto di quattro lettere, e dei set-tantadue «Semammeforassi», o angeli luciferi, che sonoportatori del sacro nome. Tutti questi angeli avevano no-mi tratti dalle Scritture dai dottori ebraici747, e, con unaprogressione aritmetica celeste, i numeri degli angeli de-rivavano dal numero quattro nel modo descritto da Bru-no. Bruno potrebbe aver tratto tali nozioni da una fon-te facilmente accessibile come il De occulta philosophia diAgrippa748, per quanto possa anche aver letto, sull’argo-mento, Reuchlin749. Ma nel misticismo cabalistico que-sti angeli, che progressivamente si moltiplicano dal sacronome, fanno parte del mondo sovraceleste, e il misticoche apprende, attraverso un approfondito studio dell’al-fabeto ebraico, ad entrare in contatto con essi e, per lo-ro mezzo, con il Nome stesso, si muove su un piano diassoluto che trascende totalmente il mondo della natura,e penetra i misteri della vita di Dio dentro di sé. Brunospazza via questa «metafisica», e si serve del sistema «na-turalmente», riducendo la metafisica alla fisica, pur se-guitando ad avvalersi del metodo unificatore in vista del

746 Spaccio, dial. 3 (Dial. ital., pp. 781-3).747 Cfr. supra.748 Agrippa, De occult. phil., III, 25.749 Reuuchlin, De arte cabalistica, Hagenau 1517, pp. LVII

sgg.

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suo proposito costante di unificare il molteplice, di rap-portare il Tutto all’Uno. Per quanto concerne la magiapratica, penso che egli abbia interpretato le evocazionidegli angeli della magia cabalistica come vere e proprieevocazioni demoniche. Questa trasformazione è agevol-mente suggerita dallo studio di Agrippa, il cui capitolosui demoni750 (alcuni dei quali si moltiplicano in progres-sione aritmetica: 12 per i segni, 36 per i decani, 72 peri quinari) precede immediatamente i capitoli sugli ange-li. Di fatto, l’applicazione fisica o demonica della ma-gia angelica è probabilmente implicita nella magia ange-lica di Tritemio, che Bruno certamente conobbe e del-la quale si servì (Besler copiò per lui alcune parti dellaSteganographia)751.

Così, nella religione e nella magia di Bruno, il metodomigliore resta quello egiziano, descritto nella prima partedel brano citato dello Spaccio. Ma ci si può servire,purché lo si intenda «naturalmente», anche del metododegli Ebrei e dei cabalisti (che essi hanno derivato daquello egiziano, ma depauperandolo, in quanto lo hannoreso «metafisico»). Ritengo che questo sia ciò che Brunointende quando, nell’opera che abbiamo preso in esameall’inizio di questo capitolo, definisce la sua cabala comequella dell’«asino naturalissimo». Secondo il suo solito,egli si serve di concetti tradizionali, ma li organizza e limodifica fino a ottenere uno schema di pensiero del tuttonuovo.

La cosa più importante, nella concezione di Bruno, eratrovare immagini, segni, «voci», sigilli viventi che potes-sero risanare la frattura prodotta dai pedanti nei mezzi dicomunicazione con la natura divina, e, una volta trovatiquesti mezzi viventi di comunicazione (o dopo averli im-

750 Agrippa, De occult. phil., III, 16.751 Cfr. Op. lat., III, p. 496 (brani copiati da Besler dal testo

della Steganographia contenuto nel manoscritto Noroff).

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pressi nella coscienza durante esperienze estatiche), uni-ficare, tramite essi, l’universo quale si riflette nella psi-che, acquisire conseguentemente i poteri magici e vive-re la vita di un sacerdote egiziano in comunione magi-ca con la natura. Nel contesto di questa concezione in-credibilmente strana, un procedimento come quello de-scritto nel De umbris idearum – la fissazione nella memo-ria dei demoni decani – risulta, se non proprio chiara-mente intelligibile, quanto meno coerente con la logicadel sistema.

Per Bruno, ben più importante di questo residuo ca-balistico, ai fini della sua prospettiva unificatrice, fu l’im-piego del lullismo; ma noi, deliberatamente, non prende-remo in esame gli aspetti lulliani di Bruno, per non com-plicare eccessivamente l’esposizione storica.

Se il cabalismo è subordinato all’«egizianismo» nellaconcezione bruniana del mago rinascimentale, che cosasopravvive del misticismo pseudo-dionisiano e dei rap-porti con le gerarchie angeliche cristiane che servivanoa mantenere in un ambito cristiano la magia e la cabaladel mago cristiano? Anche a questo riguardo sono pre-senti tracce della tradizione precedente – come quandoBruno parla con ammirazione dell’Areopagita nel De glieroici furori752 – ma il significato che esse assumono nellasintesi bruniana è profondamente diverso. Ancora unavolta, Bruno parte dal De occulta philosophia di Agrippa,per giungere a nuove conclusioni sulla magia religiosa.

Una delle opere più strane e interessanti di Bruno èquella sui Trenta sigilli753, il primo libro da lui pubbli-cato in Inghilterra – nel 1583 – e in cui compare l’indi-rizzo polemico ai dottori oxoniensi754 che si collega al-

752 Cfr. più avanti.753 Indico complessivamente con questo titolo le tre parti dei

libro; cfr. supra.754 Cfr. supra.

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la tanto controversa visita di Bruno ad Oxford. I «tren-ta sigilli» sono trenta misteriose disquisizioni accompa-gnate da diagrammi, nelle quali Bruno espone i princìpidella sua mnemotecnica magica. In quest’opera trovia-mo anche un’altra versione della sua importante teoriadell’immaginazione755, alla quale abbiamo già accenna-to parlando del De magia e del suo proposito di unifica-zione interiore. Scopo finale della mnemotecnica magi-ca era la formazione della personalità religiosa, cioè del-la personalità del buon mago. Perciò, dopo i misteri deitrenta «sigilli» mnemonici756, Bruno intraprende una di-scussione in materia di religione, trattando delle diverse«contrazioni»757, intendendo con questo termine speciedifferenti di esperienza religiosa, alcune delle quali buo-ne, e altre cattive. In quasi tutta la sua discussione Bru-no segue, sviluppa e deforma ai propri fini la trattazio-ne di analoghi temi compiuta da Agrippa. Questi avevaper esempio sostenuto che la solitudine e la tranquillitàdi vita sono necessarie all’esperienza religiosa, citando lavisione che Mosè ebbe in stato di isolamento, e le paro-le di Proclo sul conseguimento della visione dell’essenzaintelligibile, anch’essa raggiunta in solitudine758. Questotema diviene la base della prima «contrazione» di Bru-no, a proposito della quale vengono ricordati, fra colo-ro che in solitudine hanno avuto la visione e consegui-to meravigliosi poteri, Mosè, Gesù di Nazareth, Raimon-do Lullo e gli indisturbati contemplatori egiziani e ba-bilonesi; e vengono attaccati coloro che hanno distrut-to queste condizioni di tranquillità e pace, necessarie al-

755 Ne tratto più ampiamente nel libro sull’arte della memo-ria; The Art of Memory, pp. 243-65.

756 Questi sono una combinazione di sistemi di localizzazionemnemonica con figure magiche.

757 Sigillus sigillorum, Op. lat., II (II), pp. 180 sgg.758 Agrippa, De occult. phil., III, 55.

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la vita contemplativa759. Altre «contrazioni» consegui-te in base a forme di magia e di esperienza religiosa ne-gative e superstiziose, insieme alle «contrazioni» di spe-cie positiva760, sono desunte da un passo in cui Agrip-pa distingue fra una religione magica genuinamente di-vina, basata sulla verità, ed una religione superstiziosa efallace761. Bruno esprime grande ammirazione per Tom-maso d’Aquino, da lui visto come esempio di una «con-trazione» di tipo positivo, come campione di vita con-templativa e come colui che ascese in cielo in un raptusdi immaginazione, rivivendo l’esperienza attraverso cuierano già passati Zoroastro e Paolo762.

Agrippa aveva cercato di conservare almeno un’appa-renza trinitaria nelle sue esposizioni di magia religiosa,affermando, per esempio, che in religione le tre guidesono Amore, Speranza e Fede, vale a dire le tre virtù teo-logiche ortodosse763. Bruno invece, servendosi arbitra-riamente del terzo libro del De occulta philosophia, sce-glie, altera e modifica il materiale per adattarlo ai suoi fi-ni. In particolare egli evita sempre lo schema triadico,per cui le guide nella sua religione divengono quattro ecioè Amore, Arte, Mathesis e Magia764. È appunto se-guendo queste quattro guide che il mago religioso rag-giunge le cime più alte di perfezione e di potere. Ciascu-na di esse è collegata con una combinazione di magia edi furor platonico. Amore è la virtù vivente diffusa in tut-te le cose, che il mago intercetta e che lo guida dalle cose

759 Op. lat., II (II), pp. 180-2.760 Ibid., pp. 189-93.761 Agrippa, De occult. phil., III, 4.762 Op. lat., II (II), pp. 190-1.763 Agrippa, De occult. phil., III, 5.764 «De quatuor rectoribus», Op. lat., II (II), pp. 195 sgg.

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inferiori al regno sovraceleste, grazie a un furor divino765.L’arte insegna come si possa congiungersi all’anima delmondo766. Con la «mathesis» si apprende a fare astrazio-ne dalla materia, dal moto e dal tempo e a conseguire,così, la contemplazione intellettuale delle specie intelli-gibili. La magia è di due tipi, uno cattivo, l’altro ottimo.La buona magia, mediante una fede regolata ed altre lo-devoli specie di «contrazioni», corregge chi erra, rinvigo-risce il debole e, tramite il maggiore dei demoni, l’amo-re, unisce l’anima con il potere divino767. L’amore ma-gico viene poi collegato con la teoria ficiniana delle dueVeneri768 (per quanto Bruno non faccia il nome di Fici-no), e in tal modo il mago religioso riesce a trasformar-si (come fa lo stesso Bruno negli Eroici furori) nel poetaamoroso neoplatonizzante.

Dunque, tenendo presenti tutti questi elementi, qualerisposta possiamo dare alla nostra domanda circa la sortetoccata, in Bruno, alla componente cristiana del mago ri-nascimentale? La risposta è che questa componente vie-ne meno, insieme con l’interpretazione cristiana e trini-taria degli Hermetica che Bruno aveva abbandonato. Ciònondimeno, Cristo è un mago buono e benefico e Brunonutre un forte sentimento di solidarietà per il Medioe-vo cattolico, che ha favorito il sorgere di grandi filosofie contemplatori ed ha concesso loro agio e opportunità

765 Ibid., p. 195.766 Ibid., p. 196.767 Ibid., pp. 197-9. Il potere della buona religione magica

(tale che «... errantem corrigat, imbecillem et obtusum roboratet acuat», ibid., p. 198) può essere paragonato con i poteri cheil Nolano rivendica per sé nella Cena de le ceneri (cfr. supra).

768 A quanto pare, il mago usa entrambe le Veneri, sia quellavolgare riferita alle cose del senso che quella celeste (ibid., pp.198-9). Ciò non contrasta con la dottrina ficiniana ma in Brunoassume una sfumatura più «naturalistica».

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di conseguire le cime più eccelse di furor eroico, cioè le«contrazioni» supreme con la penetrazione magica dellecose e i poteri magici ad esse associati.

Così, tutto il tentativo ficiniano di costruire una theo-logia platonica cristiana, con i suoi prisci theologi e ma-gi e con il suo platonismo cristiano, furtivamente per-meato di alcuni elementi magici, era meno che nienteagli occhi di Giordano Bruno, il quale, accettando inpieno e spregiudicatamente la religione magica egizianadell’Asclepius (e trascurando i presunti preannunci delCristianesimo contenuti nel Corpus Hermeticum), con-siderò la religione magica egiziana come un’esperienzateurgica ed estatica genuinamente neoplatonica, comeun’ascesa verso l’Uno. E tale essa era di fatto, poichél’egizianismo ermetico non era altro che l’egizianismo in-terpretato da neoplatonici della tarda antichità. Tuttavia,non si risolve il problema dell’interpretazione di Bruno,riducendolo a un pedissequo continuatore di questo tipodi neoplatonismo e considerandolo un semplice seguacedi un culto misteriosofico egiziano, perché egli era sta-to certamente influenzato dal grande apparato messo inmoto da Ficino e da Pico, con tutta la sua forza psicolo-gica, le sue associazioni cabalistiche e cristiane, il suo sin-cretismo di diverse posizioni filosofiche e religiose, anti-che o medievali, e con la sua magia.

Occorre inoltre rammentare – e questo, secondo meè uno degli aspetti più significativi di Giordano Bruno –che egli venne alla ribalta verso la fine del XVI secolo,di quel secolo che vide terribili manifestazioni di intolle-ranza religiosa, e nel quale si cercò nell’ermetismo reli-gioso un rifugio di tolleranza, una via che portasse all’u-nione delle varie sette in lotta fra loro. Abbiamo visto,nel capitolo X, che c’erano diverse varietà di ermetismocristiano, cattolico e protestante, e che la maggior par-te di esse rifuggiva dalla magia. A questo punto soprag-giunge Giordano Bruno, il quale prende incondiziona-

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tamente come base l’ermetismo magico egiziano, predi-ca una specie di controriforma egiziana, profetizza un ri-torno alla tradizione egiziana grazie al quale le difficoltàreligiose si comporranno in una soluzione nuova; propu-gna, infine, anche una riforma morale, accentuando l’im-portanza di buone opere sociali, di un’etica rispondentea criteri di utilità sociale. Nella Oxford ormai passata at-traverso la Riforma, l’ex domenicano si presenta comeuno che ha alle spalle le grandi rovine del passato medie-vale e deplora la distruzione delle buone opere compiutedai predecessori, e la condanna della loro filosofia, dellaloro filantropia, della loro magia.

Dove mai si ritrova una simile sintesi di tolleranza re-ligiosa, di solidarietà psicologica col passato medievale,di esaltazione delle buone opere, di adesione entusiasti-ca alla religione e al simbolismo degli Egiziani? L’unicarisposta a questa domanda che mi venga in mente è: nel-la massoneria, con il suo mitico collegamento con i mu-ratori medievali, con la sua tolleranza, la sua filantropiae il suo simbolismo egiziano. La massoneria, come isti-tuzione ben caratterizzata, non appare in Inghilterra cheagli inizi del XVII secolo, ma certamente essa ebbe pre-cedenti e tradizioni che risalgono molto indietro nel tem-po, sebbene sia questa una materia estremamente oscu-ra. A questo proposito brancoliamo nel buio, fra stra-ni misteri, ma non possiamo fare a meno di domandarcise non sia stato proprio fra gli Inglesi spiritualmente in-soddisfatti, i quali forse trovarono nel messaggio «egizia-no» di Bruno qualche motivo di sollievo, che i temi delFlauto magico risuonarono per la prima volta nell’aria.

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XV. GIORDANO BRUNO: DAGLI «EROICIFURORI» AL CULTO DI ELISABETTA

Il De gli eroici furori di Giordano Bruno769, pubblicatonel 1585 in Inghilterra con una dedica a Philip Sidney,consiste di una serie di poesie d’amore, piene di manie-rismi petrarcheschi e accompagnate da commenti in cuiesse vengono di volta in volta interpretate nei loro rife-rimenti all’amore nella sua accezione filosofica o misti-ca. Nella dedica a Sidney770, Bruno spiega che il suo pe-trarchismo non appartiene al filone comune, rivolto al-l’amore di una donna, ma è di specie superiore ed espri-me la parte intellettuale dell’anima. Egli non è contra-rio agli «amori volgari» (e anzi li raccomanda nell’ambi-to loro adatto) ma è verso gli «eroici amori» che si volgela sua attenzione. È chiaro che egli ha in mente il com-mento ficiniano al Simposio di Platone, con la sua teo-ria delle due Veneri, o dei due Cupidi, l’uno superiore el’altro inferiore.

Per mettere ancor più chiaramente in evidenza la fi-nalità mistica delle sue poesie d’amore, Bruno le para-gona nella dedica al Cantico dei cantici771. La luce divi-na che è sempre presente nelle cose e che batte alle por-te dei nostri sensi venne così descritta da Salomone: «Enipse stat post parietem nostrum, respiciens per cancellos, etprospiciens per fenestras»772.

769 Ne esistono una traduzione inglese di L. Williams, TheHeroic Enthusiasts, London 1887-9 e una traduzione francesedi Paul-Henri Michel, Des fureurs héroiques, Paris 1954.

770 Eroici furori, dedica (Dial. ital., pp. 927-48).771 Ibid. (Dial. ital., p. 932).772 Ibid.; la citazione è da Cantico dei cantici II, (Dial. ital., p.

937).

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L’uso della poesia d’amore per esprimere intenti filo-sofici o mistici ha una vasta tradizione precedente. Es-so può essersi sviluppato fin dall’inizio in seno al filonedell’amour courtois, benché si tratti di una questione as-sai dibattuta; due casi in cui, a quanto risulta dai com-menti riferiti alle poesie, lo scopo era deliberatamentemistico, sono il Convivio dantesco e il commento di Picoalla Canzona del Benivieni, entrambi usati probabilmen-te da Bruno773. Il Cantico attribuito a Salomone venivacosì interpretato sia secondo la tradizione mistica cristia-na che secondo il misticismo cabalistico774.

Il De gli eroici furori è diviso in tante parti ciascu-na delle quali reca normalmente all’inizio un emblemao un’insegna spiegata di volta in volta attraverso una de-scrizione che prende il posto riservato di solito nei libri diaraldica alle tavole illustrate775; segue poi una poesia, ge-neralmente in forma di sonetto, in cui ricorrono le imma-gini pertinenti visivamente alla descrizione dell’emblemarelativo; infine è posto un commento volto a spiegare i si-gnificati nascosti dell’emblema e della poesia corrispon-denti.

Diamo qui di seguito un esempio di questo procedi-mento bruniano776. L’emblema è formato da due stellein forma di due occhi radianti, accompagnato dal motto:

773 Cfr. J. C. Nelson, Reinassance Theory of Love: The Con-text of Giordano Bruno’s «Eroici furori», Columbia UniversityPress 1958, pp. 15 sgg.

774 Bruno si riferisce a questo tipo di interpretazioni date da«gli mistici e cabalisti dottori» (Dial. ital., p. 932).

775 Ho confrontato alcuni emblemi di Bruno con illustrazio-ni tratte da libri di emblemi nell’articolo The Emblematic Con-ceit in Giordano Bruno’s «De gli eroici furori» and in tize Eli-zabethan sonnet sequences, «J.W.C.I.», VI (1943), pp. 101-21(ripubblicato in England and the Mediterranean Tradition, Ox-ford University Press 1945, pp. 81-101).

776 Eroici furori, parte II, dial. 1 (Dial. ital., pp. 1092 sgg.).

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Mors et vita. Il sonetto di accompagnamento è costrui-to secondo i canoni più comuni della poesia petrarche-sca: gli occhi della donna sono infatti descritti come stel-le che l’innamorato invoca su di sé benché sappia che illoro sguardo ha il potere di ucciderlo. A questo motivocentrale del tutto convenzionale fanno contorno idee al-trettanto consuete. Vi troviamo infatti il motivo del voltodell’innamorato recante la traccia delle sue sofferenze:

Per man d’amor scritto veder potresteNel volto mio l’istoria de mie pene...

C’è inoltre l’orgoglio e la crudeltà della donna che sem-bra voler tormentare l’innamorato:

Ma tu (perché il tuo orgoglio non si affrene,Ed io infelice eternamente reste)...

Si trova quindi l’immagine che costituisce il fondamentodi tutta la poesia, quella secondo cui gli occhi delladonna assomigliano a luci o stelle:

A le palpebre belle a me molesteAsconder fai le luci tant’amene,Ond’il turbato ciel non s’asserene,Né caggian le nemiche ombre funeste...

C’è infine la preghiera rivolta alla donna, vista come unadivinità, a lasciarsi commuovere e a volgere i suoi occhisull’innamorato sofferente anche se il suo sguardo puòucciderlo:

Rendite a la pietà, diva, per Dio...Del grazioso sguardo apri le porte;Mirami, o bella, se vuoi darmi morte.777

777 Ibid. (Dial. ital., p. 1093).

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L’immagine dominante in tutto il sonetto, di diretta de-rivazione petrarchesca, è quella degli occhi-stelle che eragià stata presentata nell’emblema iniziale.

Nel commento si spiegano i vari significati della poe-sia. Il volto su cui è scritta la storia delle pene dell’in-namorato è l’anima alla ricerca di Dio. A questo pro-posito Bruno cita metafore dai Salmi: «Anima mea sicutterra sine aqua tibi» e «Os meum aperui et attraxi spiri-tum, quia mandata tua desiderabam»778. L’orgoglio delladonna è una metafora, poiché si dice talvolta di Dio cheegli è geloso, irato o addormentato, intendendo con ciòla difficoltà con cui egli si lascia conoscere. «Cossì coprele luci con le palpebre, non asserena il turbato cielo dela mente umana, per toglier via l’ombra de gli enigmi esimilitudini»779. Con la preghiera che gli occhi della don-na amata si aprano su di lui, l’innamorato invoca l’illumi-nazione della luce divina. E la morte che può esser arre-cata dagli occhi significa la morte mistica dell’anima «laqual medesima è vita eterna, che l’uomo può aver in di-sposizione in questo tempo ed in effetto nell’eternità»780.

Presa in sé, senza il commento, la poesia centrata sulmotivo degli occhi-stelle potrebbe sembrare un sonettodi una normale raccolta poetica. Leggendo il commentocomprendiamo invece che questa poesia d’amore altronon è che una preghiera di Bruno alla divinità.

In che cosa consiste questa divinità a cui aspira contanta intensa passione il filosofo in preda ai suoi eroici fu-rori? Essa consiste, come Bruno dice a Sidney nella dedi-ca, in una religione di «naturale contemplazione» attra-verso cui la luce divina, che risplende nelle cose, «pren-de il possesso nell’anima...perché la inalze e la converta

778 Salmo 143, v. 6 e Salmo 119, v. 131.779 Eroici furori, parte II, dial. 1 (Dial. ital., pp. 1093-4).780 Eroici furori, ibid. (Dial. ital., p. 1094).

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in Dio»781. Gli strali che feriscono il cuore dell’innamora-to sono «gl’innumerabili individui e specie de cose, nellequali riluce il splendor della divina beltade»782. Ci sonoteologi che hanno imparato a cercare

la verità della natura in tutte le forme naturali specifiche, nellequali considerano l’essenza eterna e specifico sustantifico per-petuator della sempiterna generazione e vicissitudine de le co-se, che son chiamate dei conditori e fabricatori, sopra gli qualisoprasiede la forma de le forme, il fonte de la luce, verità de leveritadi, dio de gli dei, per cui tutto è pieno de divinità, verità,entità, bontà.783

Il sole, l’Apollo universale, la luce assoluta, si riflette nel-la sua ombra, nella sua luna, nella sua Diana che è il mon-do della natura universale in cui l’uomo in preda a eroi-ci furori ricerca le tracce del divino, i riflessi della lucedivina nella natura, e il cacciatore viene convertito nellapreda cacciata, diventando, cioè, egli stesso divino. Eccoquindi la mirabile immagine di Attenne e dei suoi cania caccia dei «vestigli», che ricorre continuamente nel Degli eroici furori, fino a che, mediante una «intelligenza»sempre più approfondita, i cani, pensieri di cose divine,divorano Attenne ed egli diventa selvatico come un cer-vo che viva nei boschi, e ottiene il potere di contemplareDiana ignuda, cioè la bella disposizione del corpo dellanatura. Egli contempla il Tutto come Uno. «Vede l’An-fitrite, il fonte de tutti numeri», la monade, «e se non lavede in sua essenza, in absoluta luce, la vede nella sua ge-nitura che gli è simile, che è la sua imagine: perché dalla

781 Eroici furori, dedica (Dial. ital., p. 937).782 Ibid., parte II, dial. 1 (Dial. ital., p. 1107).783 Ibid., parte II, dial. 2 (Dial. ital., p. 1123).

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monade che è la divinitade, procede questa monade cheè la natura, l’universo, il mondo»784.

La religione il cui culto è al centro della stupenda ecomplessa architettura di immagini del De gli eroici furo-ri, corrisponde alla religione egiziana dello Spaccio dellabestia trionfante la quale contemplava il divino in tutte lecose e sapeva elevarsi attraverso le specie innumerevoli,nei loro raggruppamenti astrali, fino all’unità del divinoe alla sorgente delle idee sovrastante la natura.

Nel De gli eroici furori ci imbattiamo inoltre, ancorauna volta, nella profezia dell’imminente ritorno dellareligione egiziana attraverso la rivoluzione dell’«annogrande del mondo».

La revoluzion dunque, ed anno grande del mondo, è quel spa-cio di tempo in cui da abiti ed effetti diversissimi per gli oppo-siti mezzi e contrarii si ritorna al medesimo...Però ora che sia-mo stati nella feccia delle scienze, che hanno parturita la fecciadelle opinioni, le quali son causa della feccia de gli costumi edopre, possiamo certo aspettare de ritornare a meglior stati785.

Poiché, dunque, gli stati del mondo procedono per con-trari, quando si è in uno stato pessimo ci si può aspettaredi ritornare a condizioni migliori e quando si è in ottimostato, come un tempo in Egitto, la caduta nelle tenebre èinevitabile.

Come avvenne a Mercurio Trimigisto che per veder l’Egitto intanto splendor de scienze e divinazioni, per le quali egli stimava[gli uomini] consorti de gli demoni e dei, e per conseguenzareligiosissimi, fece quel profetico lamento ad Asclepio, dicendoche doveano succedere le tenebre de nove religioni e culti, e decose presenti non dover rimaner altro che favole e materia dicondannazione...Oggi che non è male né vituperio a cui [gli

784 Ibid. (Dial. ital., pp. 1123-6). Sul monas generatmonadem, cfr. supra.

785 Ibid., parte II, dial. 1 (Dial. ital., pp. 1074-5).

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Ebrei] non siano suggetti, non è bene né onore che non sipromettano786.

Ciò implica che siccome il mondo si trova attualmenteal livello più basso di «opinioni» ed «opere», al fondodi quell’abisso di tenebre profetizzato nel Lamento, ci sipuò attendere di far ritorno in quell’atmosfera luminosae splendida di cui godeva l’Egitto al tempo di ErmeteTrismegisto allorché gli uomini erano «consorti de glidemoni e dei, e per conseguenza religiosissimi».

Questo passo va messo a confronto con quello dellaCena de le ceneri787 in cui il Nolano si annuncia come por-tatore di un’esperienza di cui si è persa ora la traccia (eattraverso il confronto con un passo simile del De umbrisidearum abbiamo visto che egli si riferisce alla repressio-ne legalizzata della religione egiziana come viene descrit-ta nel Lamento), sebbene in questo caso si tratti di «quellume, che rendea divini ed eroici gli animali di nostri an-tichi padri» e che va paragonato all’estasi dell’innamora-to «furioso» del poema ariostesco il cui «ingegno» si èseparato dal corpo durante la pazzia:

Chi salirà per me, madonna, in cieloA riportarne il mio perduto ingegno?

In questo passo troviamo entrambi gli elementi del titolo,De gli eroici furori, di quest’opera di mistica poesia amo-rosa; un’esperienza che rende l’anima «divina e eroica»e può esser paragonata al rapimento furioso dell’amoreappassionato.

Durante la più elevata esperienza ermetica, descrittanel Pimander, in cui l’anima viene trasformata nella lu-ce della mens divina, a somiglianza della quale è stata

786 Ibid. (Dial. ital., pp. 1074-5).787 Cfr. supra.

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creata, il corpo «dorme» per l’intera durata della visio-ne, essendo i sensi legati mentre l’anima ha abbandonatoil corpo per farsi divina788. Lo stato di rapimento erme-tico è descritto da Milton ne Il Penseroso, la sua poesiasulla melanconia:

Or let my lamp at midnight hourBe seen in some high lonely tower,Where I may oft outwatch the Bear,With thrice great Hermes, or unsphereThe spirit of Plato, to unfoldWhat worlds or what vast regions holdThe immortal mind that hath forsookHer naansion in this fleshly nook;And of those daemons that are foundIn fire, air, flood, or under ground,Whose power hath a true consentWith planet, or with element.

Questi versi (in cui a mio parere si rivela un’influenzabruniana nell’immagine dell’Orsa da cui prende le mossela riforma celeste dello Spaccio) esprimono efficacemen-te l’atmosfera del rapimento ermetico, allorché la menteimmortale abbandona il corpo e si congiunge religiosa-mente ai demoni, cioè acquista l’esperienza che le confe-risce poteri miracolosi o magici.

Nel De gli eroici furori si trovano varie descrizioni oallusioni a questo tipo di rapimento, come ad esempionel commento relativo all’insegna e al sonetto su una na-ve senza nocchiero, dove si trova un richiamo a Giam-blico sulla virtù della contemplazione che talvolta è co-sì forte da far sì che l’anima lasci il corpo. Bruno rinviaqui il lettore a quanto egli ha spiegato sulle «contrazioni»nel libro «De’ trenta sigilli, dove son prodotti tanti mo-di di contrazione; de quali alcune vituperosa, altre eroi-

788 Cfr. supra.

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camente fanno che non s’apprenda tema di morte, nonsi soffrisca dolor di corpo, non si sentano impedimen-ti di piaceri»789. In un altro passo egli classifica in duespecie i buoni furori o contrazioni. Alcuni, «per esser-no fatti stanza de dei o spiriti divini, dicono ed opera-no cose mirabile senza che di quelle essi o altri intenda-no la raggione...Altri, per essere avezzi o abili alla con-templazione, e per aver innato un spirito lucido ed intel-lettuale...vegnono, al fine, a parlar ed operar [non] comevasi ed instrumenti, ma come principali artefici ed effi-cienti». Di questi due tipi «gli primi son degni come l’a-sino che porta li sacramenti; gli secondi come una cosasacra», cioè sono divini790.

In breve, penso che ciò a cui mirano realmente leesperienze religiose descritte nel De gli eroici furori siala gnosi ermetica, vale a dire la mistica poesia amorosadell’uomo-mago, che è stato creato divino, con poteri di-vini, e si avvia a riacquistare questo attributo di divinità,con i poteri relativi.

Tuttavia questo motivo centrale ermetico è dissimu-lato dall’apparato neoplatonico del dialogo. Dove sipuò trovare l’ermetismo associato ai furores neoplatoni-ci? Riuscendo a individuare in termini espliciti un’asso-ciazione di questo tipo, saremmo in grado di spiegare glieroici furores bruniani come deliri d’amore neoplatonicivolti a una gnosi ermetica. Ebbene, un brano siffatto sitrova proprio nell’autore in cui è più naturale aspettarse-lo, cioè in Cornelio Agrippa, a cui, come sappiamo, il no-stro mago faceva continuamente ricorso come a un’auto-rità.

I quattro gradi di furor attraverso cui l’anima ascendenuovamente all’Uno erano stati delineati da Ficino, sullabase di fonti platoniche, nel suo commento al Simposio

789 Eroici furori, parte II, dial. 1 (Dial. ital., p. 1091).790 Ibid., parte I, dial. 3 (Dial. ital., pp. 986-7).

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di Platone e altrove. Nell’ordine, essi erano: primo ilfuror dell’ispirazione poetica, sotto le Muse, secondo ilfuror religioso, sotto Dionisio, terzo il furor profetico,sotto Apollo, quarto il furor amoroso, sotto Venere. Inquest’ultimo e più elevato grado di ispirazione, l’anima sifa Uno e si rifugia in esso. Nel De occulta philosophia791,Agrippa passa in rassegna in quest’ordine i singoli furorese quando perviene al quarto e supremo, si esprime così:

Quanto al quarto furor, proveniente da Venere, esso volgee trasforma lo spirito dell’uomo in divinità mediante l’ardoredell’amore, e lo rende interamente simile a Dio, come immagineverace di Dio. Per questo Ermete dice: «O Asclepio, l’uomo èun grande miracolo, un animale da ammirare e adorare, poichéperviene alla natura divina come se fosse egli stesso un dio. Egliha familiarità con la razza dei demoni sapendosi della loro stessaorigine. Disprezza quella parte della sua natura che è soltantoumana, perché ha riposto la sua speranza nella divinità dell’altraparte di sé». L’anima così mutata in Dio riceve da lui unaperfezione sì grande che è in grado di conoscere tutte le cose,grazie a un contatto essenziale con la divinità... Cambiata inDio dall’amore... essa può talvolta compiere opere più grandi emirabili della stessa natura e tali opere vengon dette miracoli...Ché l’uomo è l’immagine di Dio, almeno colui che, grazie alfuror di Venere, si è reso simile a Dio e vive solo nella mens...Gli Ebrei e i dottori cabalisti dicono che l’anima dell’uomo èla luce di Dio, creata a immagine del Verbo, modello primodella causa delle cause, sostanza divina, segnata dall’improntadel Verbo eterno. Avendo compreso ciò, Ermete Trismegistodisse che l’uomo è tale da superare gli stessi abitatori del cieloo da condividere almeno con essi un fato eguale792.

Ciò indica a mio parere il reale significato degli eroi-ci furores amorosi del dialogo bruniano: si tratta, cioè,del furor di Venere interpretato come il mezzo attra-verso cui l’uomo si trasforma nel magnum miraculum

791 Agrippa, De occult. phil. III, 46-9.792 Ibid., III, 49.

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dell’Asclepius, dotato di miracolosi poteri e in intima as-sociazione con la razza dei demoni a cui egli stesso ap-partiene originariamente. Nel passo di Agrippa trovia-mo altresì la consueta equazione Pimander-Genesi sullacreazione dell’uomo, e ciò spiega in che modo il misti-cismo cabalistico, alla pari di quello neoplatonico, pos-sa venir usato per descrivere l’amore mistico del De glieroici furori, la cui natura è sostanzialmente «egiziana»,trattandosi dell’amore di quel magnum miraculum che èl’uomo ermetico, o il mago.

Uno dei passi più sconcertanti e misteriosi del De glieroici furori è quello in cui Atteone, il cacciatore deldivino, scorge un volto di bellezza divina rispecchiatonelle acque della natura:

Ecco tra l’acqui, cioè nel specchio de le similitudini, nell’opredove riluce l’efficacia della bontade e splendor divino: le qualiopre vegnon significate per il suggetto de l’acqui superiori edinferiori, che son sotto e sopra il firmamento; vede il più belbusto e faccia...che vedersi possa793.

Una possibile spiegazione di questa immagine è che es-sa rifletta la mirabile descrizione del Pimander in cuil’uomo-mago, dopo essersi spinto oltre l’armatura del-le sfere, scende nella natura da lui amata e scorge ilsuo sembiante, immagine del divino creatore della na-tura stessa, rispecchiato nelle sue acque794.

Agrippa avrebbe potuto citare le parole che seguonoimmediatamente dopo il passo dell’Asclepius sull’uomocome magnum miraculum, dove si dice che l’uomo av-vince a sé con il nodo d’amore tutti gli esseri viventi acui sa di essere legato per disegno celeste795. L’amore

793 Eroici furori, parte I, dial. 4 (Dial. ital., p. 1007).794 Cfr. supra.795 Asclepius, in C.H., II, p. 302. Cfr. supra.

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dell’uomo-mago è di carattere operativo e costituisce lapremessa fondamentale della sua magia, come viene spie-gato nell’Explicatio triginta sigillorum dove Bruno classi-fica l’amore e la magia fra i motivi animatori più impor-tanti della religione magica.

Di conseguenza, benché sia dato rintracciare esplicita-mente scarsi elementi magici nel De gli eroici furori, que-st’opera è, per così dire, il diario spirituale di un uomoche aspirò ad essere un mago religioso. In particolare,gli elementi in cui è possibile a mio parere rintraccia-re l’influenza della segreta motivazione magica di Bru-no, sono le immagini amorose di tipo petrarchesco spar-se nel dialogo, cioè quelle descrizioni precise e chiara-mente configurate di strali, occhi, fuochi, lacrime e viadicendo del comune repertorio petrarchesco, che sonodistribuite per tutta l’opera, come una corona di grani dirosario, e a cui si riferiscono le poesie e i relativi com-menti. I lettori che abbiano una qualche familiarità con isistemi di mnemonica entro cui Bruno tenta di unificare icontenuti universali della memoria sulla base di immagi-ni magiche o talismaniche, non avranno difficoltà a rico-noscere questo suo consueto motivo nell’espediente de-gli emblemi visivi su cui è fondato il dialogo De gli eroicifurori. Non si può escludere che le immagini petrarche-sce presentate sotto forma di emblemi siano qui usate, incontrasto con il vuoto linguaggio dei pedanti, come ge-roglifici (in un tentativo di ritorno all’origine del segnoemblematico), o come immagini, segni, sigilli, caratteri,voci in contatto vivente e magico con la realtà.

Come la riforma descritta nello Spaccio si verificò real-mente nell’ambito della vicenda personale dell’autore,così anche le esperienze del De gli eroici furori si rife-riscono a una realtà interiore. Quando Attenne ebbe«contratta in sé...la divinità», non fu più necessario perlui cercarla al di fuori di sé. Infatti «la divinitade [abita]

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in noi per forza del riformato intelletto e voluntade»796.Per Bruno la dignità dell’uomo come mago risiede den-tro di lui ed è perciò sul piano interiore che egli applicaall’immaginazione le tecniche magiche che producono lagnosi.

Abbiamo visto che Bruno antepone sempre a tutto larivelazione ermetica o egiziana, ma ciò non significa chel’altro ingrediente della personalità del mago rinascimen-tale, la cabala, non intervenga anch’esso. Anche nel Degli eroici furori non manca la componente mistica ebrai-ca. Nella dedica Bruno afferma, come si è visto, che gliamori debbono essere paragonati al misticismo del Can-tico dei cantici e nel testo egli allude due volte alla mistica«morte di bacio» dei cabalisti come a un’esperienza affi-ne a quelle da lui descritte797. Perciò, in un certo senso,il De gli eroici furori resta tuttora nell’ambito della sinte-si pichiana, benché l’equilibrio ne sia stato radicalmentemodificato.

Nell’opera bruniana non manca neppure la compo-nente cristiana, o almeno pseudo-dionisiana, del magorinascimentale. Si rivela infatti una chiara influenza cri-stiana nel suo misticismo allorché egli parla, come spessoavviene, delle influenze divine intese come manifestazio-ni di «amore divino». Tale motivo, insieme alle frequenticitazioni dai Salmi, conferisce al misticismo bruniano unaccento che non è dato reperire nella gnosi pagana de-gli Hermetica. Egli paragona le sue ineffabili esperienzealla teologia negativa, non solo di Pitagora, ma anche diDionigi (l’Areopagita):

...gli più profondi e divini teologi dicono che più si onora edama Dio per silenzio che per parola, come si vede più per

796 Eroici furori, parte I, dial. 4 (Dial. ital., p. 1008).797 Ibid., parte I, dial. 4, e parte II, dial. 1 (Dial. ital., pp.

1010, 1094).

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chiuder gli occhi alle specie representate che per aprirli: onde ètanto celebre la teologia negativa de Pitagora e Dionisio sopraquella demostrativa de Aristotele e scolastici dottori798.

Perciò la teologia negativa dello Pseudo-Dionigi, chetanta parte ebbe nei tentativi di Ficino e di Pico voltia raggiungere una sintesi cristiana delle rispettive conce-zioni filosofiche, non è assente nel misticismo del De glieroici furori, benché qui essa venga utilizzata in una di-versa accezione (cioè come un atteggiamento «negativo»verso la rivelazione divina nelle specie o nella natura).Dell’Areopagita si fa inoltre menzione nel curioso episo-dio dei «nove ciechi» che segna la conclusione e il culmi-ne dell’intero dialogo799. Questi nove ciechi lamentano laloro condizione in altrettante poesie; dopo di che, in se-guito all’apertura di un’urna sacra da parte di ninfe, riac-quistano la vista e, così restituiti alla luce, cantano no-ve canzoni accompagnandosi con altrettanti diversi stru-menti musicali. A parte l’evidente allusione alle nove sfe-re, questi nove illuminati sono un chiaro riferimento, co-me Bruno spiega nella dedica a Sidney800, ai «nove ordi-ni di intelligenze» dei teologi cristiani, vale a dire alle ge-rarchie celesti dello Pseudo-Dionigi. L’opera brunianamira quindi a una fusione con le armonie angeliche co-me coronamento dell’intera costruzione, riflettendo co-sì lo schema del mago cristiano nella cui personalità ma-gia e cabala fanno un tutto unico con le gerarchie ange-liche pseudo-dionisiane. Ciò nonostante, come sempre

798 Ibid., parte II, dial. 4 (Dial. ital., p. 1164).799 Ibid., parte II, diall. 4 e 5 (Dial. ital., pp. 1140 sgg.).800 Ibid., dedica (Dial. ital., pp. 943-4). I «nove ciechi»,

egli dice, alludono alle «nove sfere» che da cabalisti, Caldei,maghi, platonici e teologi cristiani sono distinte in nove ordini.In seguito (p. 944) egli dice che i teologi cristiani ne parlanocome di «nove ordini de spiriti».

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avviene in Bruno, egli non usa questo schema in modotradizionale. I nove ciechi che riacquistano il dono del-la vista assomigliano non a un sistema di esteriore «me-tafisica», come quello delle gerarchie angeliche, ma han-no piuttosto il carattere di ingredienti di un’unica per-sonalità che riceve la luce grazie alla loro illuminazione.Tuttavia Bruno fa una concessione allo schema concet-tuale consueto esprimendo in questa forma la massima edefinitiva illuminazione del filosofo in preda agli eroicifurori.

L’esperienza che porta all’illuminazione dei nove (iquali simboleggiano il Nolano che ha abbandonato conessi la nativa Campania felix) sopraggiunge allorché visi-tano «gli antri e fani» di Circe, ov’essi pregano in questitermini: «Oh se piacesse al cielo che a questi tempi ne sifesse presente, come fu in altri secoli più felici, qualchesaga Circe che con le piante, minerali, veneficii ed incantiera potente di mettere come il freno alla natura»801. In ri-sposta alla loro preghiera, Circe, figlia del Sole, apparvee con la sua presenza essi «veddero sparire le imagini demolti altri numi che gli administravano»802. L’illumina-zione suprema era perciò di tipo magico, il che ci ripor-ta all’interpretazione del De gli eroici furori inteso comedescrizione delle esperienze di un mago che era in fondosoprattutto uno gnostico ottimista ermetico, benché in-fluenzato da una quantità estremamente varia e comples-sa di motivi neoplatonici, cabalistici, pseudo-dionisiani edella tradizione filosofica cattolica con cui egli si era fa-miliarizzato nel suo noviziato domenicano.

Bruno appare dunque di nuovo nelle vesti di unmago rinascimentale che prende le mosse dalla sintesi

801 Ibid., parte II, dial. 5 (Dial. ital., pp. 1166-7.802 Ibid. (Dial. ital., p. 1168). Come sempre, la Circe bru-

niana ha completamente perduto il suo tradizionale carattereperverso e rappresenta la buona magia.

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flciniano-pichiana (attraverso il De occulta philosophia diAgrippa) ma finisce per spostare l’equilibrio delle suecomponenti intellettuali facendo sì che gli elementi er-metici acquistino il sopravvento mentre quelli cabalisticie pseudo-dionisiani restano subordinati al prevalente na-turalismo egiziano. Eppure, come abbiamo visto nel ca-so del duomo di Siena, l’assimilazione di Ermete Trisme-gisto da parte della Chiesa aveva un importante significa-to. L’ermetismo era stato profondamente cristianizzatomediante l’interpretazione che vi scorgeva presunte allu-sioni profetiche al Cristianesimo. L’ermetismo religiosoera stato e veniva tuttora usato con fervore da cristiani siacattolici che protestanti del XVI secolo che, stanchi del-le guerre e dei misfatti perpetrati all’insegna della religio-ne, andavano alla ricerca di una via che portasse alla tol-leranza e all’unione. Benché la religione bruniana sia es-senzialmente «egiziana», questi forti sentimenti religio-si penetrano nel De gli eroici furori conferendo a questiaccesi trasporti d’amore toni e accenti non di rado assaivicini all’atteggiamento cristiano e sempre ispirati da unprofondo sentimento religioso. Gli ermetici religiosi cri-stiani avevano cercato di evitare la magia. Bruno, inve-ce, spinto dal suo radicale ermetismo egiziano, esalta ilruolo della magia e nel suo messaggio è l’amore del ma-go a possedere la facoltà unificante. Gli «eroici furori»si identificano con le esperienze religiose del riformatoredello Spaccio della bestia trionfante dove, nelle Pleiadi onei Gemelli, tutti gli dèi, tutte le «potenze» della perso-nalità parlano in lode dell’amore803; gli intolleranti «pe-danti», cattolici o protestanti, vengono cacciati dal cie-lo con la guerra e le persecuzioni da essi promosse e unanuova età di illuminanti conoscenze magiche si apre perl’individuo e per il mondo. Tale era la riforma propugna-

803 Cfr. supra.

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ta da Giordano Bruno con l’immagine del ritorno dellareligione egiziana.

L’uso bruniano di emblemi amorosi con significatomistico nel De gli eroici furori assomiglia singolarmen-te nel suo metodo alla trasposizione di simboli d’amo-re «profano» in simboli d’amore «sacro» che si riscon-tra nei libri di emblemi religiosi composti da gesuiti nelprimo Seicento. Ho posto altrove l’accento su questomotivo studiando, in rapporto con la simbologia brunia-na, emblemi d’amore profano della collezione Vaenius,in cui figurano innamorati feriti dagli strali scoccati da-gli occhi della donna o dall’arco di Cupido, insieme aemblemi di amore sacro in cui compaiono dardi di amo-re divino infissi nel cuore o raggi di amore divino pene-tranti nell’anima804. È esattamente allo stesso modo cheBruno si serve delle immagini petrarchesche nel De glieroici furori, tranne che, nel suo caso, gli strali d’amo-re divino, i raggi di luce divina che penetrano l’uomoin preda agli eroici furori, gli provengono dal Dio insi-to nella natura. Considerando le sue forti critiche dei ri-sultati conseguiti dalla riforma protestante in Inghilterra,non doveva esser difficile, nella confusa atmosfera elisa-bettiana, scorgere nel messaggio di Bruno l’espressionedella Controriforma ortodossa, come fece probabilmen-te George Abbot, successivamente arcivescovo di Can-terbury, allorché introdusse la sua sfavorevole presenta-zione del piccolo «giocoliere» italiano a Oxford nel librointitolato The Reasons Which Doctour Hill Hath Brought,for the Upholding of Papistry, Which is Falselie Termedthe Catholike Religion; Unmasked, and Shewed to Be Ve-ry Weake, and Upon Examination Most Insufficient forThat Purpose, in cui contestava punto per punto la pre-

804 Nel mio articolo citato a p. 302, n. 7.

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tesa di superiorità avanzata dal cattolicesimo per la suaasserita maggiore efficacia nell’operare «miracoli»805.

Il messaggio bruniano, in realtà, si differenziava so-stanzialmente dalla dottrina della Controriforma orto-dossa e implicava una precisa concezione politica. Ilmessaggio politico dello Spaccio parla apertamente in fa-vore di una amicizia franco-inglese da contrappore al-la minaccia della reazione cattolica rappresentata dallaSpagna e che incombeva sia sul re di Francia, accerchia-to dalle forze della Lega cattolica controllata dalla Spa-gna, sia sulla regina d’Inghilterra, continuamente espo-sta al pericolo di «complotti papisti» ispirati dalla Spa-gna. Non sappiamo se Bruno avesse di fatto ricevutoun mandato dallo stesso Enrico III per propugnare que-sto messaggio, ma è tuttavia certo che egli visse pressol’ambasciata francese per tutto il tempo del suo soggior-no inglese; e furono anni rischiosi, pieni di paure, con lagrande crisi dell’armada spagnola non molto lontana neltempo. Politicamente, Bruno esprime un atteggiamentoenergicamente antispagnolo (ciò risulta evidente in par-ticolare dai passi dello Spaccio contro il governo spagno-lo di Napoli)806 e non fa mistero di una illimitata ammi-razione per la regina Elisabetta e i suoi saggi consiglie-ri che perseguono una ferma linea politica pur attraver-so tanti pericoli. Di fatto, Giordano Bruno è coinvoltonel singolare e multiforme fenomeno del culto elisabet-tiano e non è improbabile che abbia persino contribuitoa generarne certi aspetti (donde la ragione del titolo delpresente capitolo).

805 Cfr. supra.806 Nel «Regno Partenopeo», vale a dire nel Regno di Napo-

li, domina l’«avarizia...sotto pretesto di voler mantener la Reli-gione» (Spaccio, dial. 2; Dial. ital., pp. 719-20).

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[Dove potresti trovare] un maschio megliore o simile a questaDiva Elizabetta, che regna in Inghilterra; la quale, per essertanto dotata, esaltata, faurita, difesa e mantenuta da’ cieli, invano si forzaranno di desmetterla l’altrui paroli o forze? Aquesta dama, dico, di cui non è chi sia più degno in tutto ilregno, non è chi sia più eroico tra’ nobili, non è chi sia piùdotto tra’ togati, non è chi sia più saggio tra’ consulari?807

In anni successivi Bruno ritrattò queste sue lodi di un«principe eretico» davanti agli inquisitori veneziani:

Interrogatus – Se abbi mai lodato alcuno eretico o principieretici, poiché tanto tempo ha conversato con essi loro; di cheli abbi lodati, e qual sia stata la sua intenzione in ciò;Respondit – Io ho lodato molti eretici ed anco principi eretici;ma non li ho lodati come eretici, ma solamente per le virtùmorali che loro avevano; né li ho mai lodati come religiosi epii, né usato simil sorte di voce di religione. Ed in particularenel mio libro Della causa, principio ed uno io lodo la Reginade Inghilterra e la nomino diva, non per attributo di religione,ma per un certo epiteto che li antichi ancora solevano darea principi, ed in Inghilterra, dove allora io mi ritrovava ecomposi quel libro, se suole dar questo titolo de diva allaRegina; e tanto più me indussi a nominarla cusì, perché ellame conosceva, andando io continuamente con l’Ambasciator incorte. E conosco di aver errato in lodare questa donna, essendoeretica, e massime attribuendoli la voce de diva808.

Ancora più significativo del passo del De la causa ètuttavia l’elogio di Elisabetta contenuto ne La cena dele ceneri (di cui Bruno non fece cenno agli inquisitori),dove alla regina d’Inghilterra viene promesso un imperouniversale tanto vasto e mistico quanto indefinito. Brunofa propri qui i motivi di mistico imperialismo del cultodella regina vergine che erano simboleggiati dal nome adessa attribuito di «Astraea», la vergine dell’età dell’oro:

807 De la causa, diat. 1 (Dial. ital., pp. 222-3).808 Documenti, pp. 121-2.

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Elizabetta dico, che per titolo e dignità regia non è inferiore aqualsivoglia re, che sii nel mondo; per il giodicio, saggezza, con-seglio e governo, non è facilmente seconda ad altro, che portiscettro in terra... Certo, se l’imperio de la fortuna corrispondes-se e fusse agguagliato a l’imperio del generosissimo spirto ed in-gegno, bisognerebbe che questa grande Amfitrite aprisse le suefimbrie, ed allargasse tanto la sua circonferenza, che sì comegli comprende una Britannia ed Ibernia, gli desse un altro glo-bo intiero, che venesse ad uguagliarsi a la mole universale, on-de con più piena significazione la sua potente mano sustente ilglobo d’una generale ed intiera monarchia809.

L’uso dell’appellativo «Amfitrite» per designare Elisa-betta come l’Uno, nel senso di una sovrana imperiale ouniversale, era probabilmente volto a connettere il suoimpero mistico con l’Anfitrite vista sotto forma di divi-nità «naturale» nel De gli eroici furori: come l’oceano dacui sgorgano le idee, come Tutto-Uno.

Il De gli eroici furori è indubbiamente collegato al cul-to elisabettiano in modi estremamente singolari e sfug-genti. Nella dedica a Sidney, la regina viene presentatacome «quell’unica Diana» e la visione dei nove ciechi ècollocata in un paese «penitus toto divisim ab orbe», cioèle Isole britanniche, situato «nel seno dell’Oceano, del-l’Anfitrite, della divinità»810. Nella descrizione dell’epi-sodio della visione da cui vengono illuminati i nove cie-chi, il rapporto con l’Inghilterra e con Elisabetta vieneaccentuato ancor più fortemente. Quando i nove, dopotanto peregrinare, giungono «sotto quel temperato cie-lo de l’isola Britannica», si imbattono nelle «belle e gra-ziose ninfe del padre Tamesi», fra cui Uno che è il loro

809 Cena, dial. 2 (Dial. ital., pp. 67-8). Ho discussoquesto passo in relazione al clima di imperialismo mistico checircondava Elisabetta nell’articolo Queen Elizabeth as Astraea,«J.W.C.I.», X (1947), pp. 80-1.

810 Eroici furori, dedica (Dial. ital., p. 946).

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«principale», alla cui presenza viene aperta l’urna e haluogo la visione che trasforma i nove ciechi in altrettantiilluminati811. L’Uno alla cui presenza la verità mistica sipalesa è chiaramente l’unica Diana, l’Anfitrite, in brevela «diva Elisabetta» (i sospetti degli inquisitori a questoproposito erano fondati), che diviene così la sovrana ter-restre da cui Bruno si attende l’introduzione del nuovo estraordinario ordine universale da lui concepito.

A mio parere il De gli eroici furori riflette altresì il cul-to della regina in quel clima di grande risveglio cavalle-resco durante il suo regno di cui gli Accession Day Tilts,in cui i cavalieri presentavano ad Elisabetta i loro scudiornati di insegne, costituivano una manifestazione. NelDe gli eroici furori, tutta una serie di emblemi o imprese èraffigurata sotto forma di scudi che gli eroici furori reca-no con sé sfilando in rassegna812. Come ho indicato altro-ve, se si intende studiare gli astrusi significati deducibilidalle singole imprese dipinte sugli scudi presentati negliAccession Day Tilts, «la miglior cosa da fare è leggere ilcommento di Bruno su uno scudo recante, ad esempio,l’immagine di una fenice volante con il motto Fata ob-stant, o una quercia con le parole Ut robori robur; oppu-re la sua spiegazione, ancor più profonda, di uno scudoin cui non compaiono altro che un sole e due cerchi conla parola Circuit»813. Il complesso di immagini e decora-zioni degli Accession Day Tilts fu elaborato in occasionedel Woodstock Entertainment del 1575: uno dei temi fula storia del cieco «Hermit Hemetes» che riacquistò lavista quando giunse nel paese migliore del mondo e allapresenza del miglior sovrano814. Il Woodstock Entertaini-

811 Ibid., parte II, dial. 5 (Dial. ital., pp. 1168-9, 1173).812 Ibid., parte I, dial. 5 (Dial. ital., pp. 1030 sgg.).813 Cfr. il mio articolo Elizabethan Chivalry: The Romance of

the Accession Day Tilts, «J.W.C.I.», XX (1957), p. 24.814 Elizabethan Chivalry, p. 11.

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nent fu pubblicato nel 1585815, lo stesso anno del De glieroici furori. Come ho detto, «Bruno, il quale si mostraaltrove influenzato dal culto di Elisabetta, può aver col-legato intenzionalmente i suoi dialoghi filosofici all’epi-ca cavalleresca elaborata intorno alla figura della reginavergine»816.

L’atteggiamento di Bruno verso cavalieri e cortigianiinglesi, nonché verso la stessa regina, sembra esser sta-to assai diverso da quello da lui manifestato verso i «pe-danti» di Oxford, colpevoli di aver tradito l’eredità deiloro predecessori: ciò indica che egli scorgeva una frat-tura nella società elisabettiana e che si sentiva a suo agioe compreso nei più riposti recessi del culto della reginae totalmente contrario, invece, ad altri aspetti della so-cietà elisabettiana. Che la sua appartenenza ai più intro-dotti circoli di corte non fosse soltanto un’invenzione diBruno è indicato dal fatto che alcune delle più esotericheespressioni della poesia elisabettiana fanno uso di imma-gini bruniane.

L’intera questione dell’influenza di Bruno in Inghil-terra dev’essere studiata ex novo e da punti di vista com-pletamente inediti.

815 The Queen’s Majesty’s Entertainment at Woodstock,(1575), London 1585 (edito a cura di A. W. Pollard, Oxford1910).

816 Elizabethan Chivalry, p. 24.

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XVI. GIORDANO BRUNO: IL SECONDOVIAGGIO A PARIGI

Bruno non avrebbe mai più scritto come in Inghilterra.Per prima cosa non usò mai più, nelle sue opere, l’ita-liano che gli si confaceva meglio del latino. G. Aquilec-chia ha suggerito che possa essere stata l’influenza dellanuova scuola di letteratura filosofica e scientifica inglese,fondata sul volgare, a spingere Bruno a scrivere in italia-no durante il suo soggiorno in Inghilterra817. Inoltre lastruttura dialogica da lui adottata nelle opere del perio-do inglese (tranne quella sui Trenta sigilli che è l’unicadi questo gruppo scritta in latino) ben si confaceva allesue notevoli qualità drammatiche. Egli era consapevoledi questa sua forte inclinazione e nel De gli eroici furori sidescrive esitante nell’abbracciare la musa tragica ovveroquella comica818. Sebbene egli non scrivesse commediein Inghilterra, alcune scene dei dialoghi – per esempioquella della Cena avente per protagonisti i pedanti e il fi-losofo – sono inimitabili, per quanto scurrili. In Inghil-terra il genio di Bruno si sviluppa verso forme espressi-ve poetiche e letterarie, forse incoraggiato da condizionisingolarmente felici che non avrebbe mai più incontratoin vita sua. Durante il suo soggiorno inglese egli provòun senso di protezione e di appoggio, se non da parte delre di Francia direttamente, certamente però presso l’am-basciatore francese che sembra essere stato molto gentilenei suoi riguardi e insieme al quale egli visse in un deco-roso ambiente familiare, probabilmente per l’unica volta

817 Cfr. G. Aquilecchia, L’adozione del volgare nei dialoghilondinesi di Giordano Bruno, «Cultura neolatina», XIII (1953),fascc. 2-3.

818 Eroici furori, parte I, dial. 1 (Dial. ital., p. 956).

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in tutta la sua vita. Non dovette poi mancare di trovareun’eco appassionata al suo messaggio. Inoltre, malgradotutti gli inconvenienti offerti nelle strade di Londra dallapresenza di «popolo villano»819, il clima era più pacificoin Inghilterra che altrove in Europa, e questa fu un’altraragione della sua ammirazione verso la «diva Elizabetta»:

Testimoni mi sono gli effetti e il fortunato successo, che nonsenza nobil maraviglia rimira il secolo presente; quando nel dor-so de l’Europa, correndo irato il Tevere, minaccioso il Po, vio-lento il Rodano, sanguinosa la Senna, turbida la Garonna, rab-bioso l’Ebro, furibondo il Tago, travagliata la Mosa, inquieto ilDanubio; ella col splendor degli occhi suoi, per cinque lustri epiù s’ha fatto tranquilla il grande Oceano, che col continuo re-flusso e flusso lieto e quieto accoglie nell’ampio seno il suo di-letto Tamesi; il quale, fuor d’ogni tema e noia, sicuro e gaio sispasseggia, mentre serpe e riserpe per l’erbose sponde820.

Nell’ottobre del 1585 l’ambasciatore francese Mauvis-sière, richiamato in patria, lasciò l’Inghilterra e Bruno siunì al suo seguito. La traversata della Manica fu periglio-sa poiché la nave venne attaccata e depredata da pirati821.Quando, poi, i viaggiatori giunsero a Parigi, tutto lascia-va intendere che ben presto la Senna si sarebbe di nuo-vo insanguinata. La situazione era estremamente preca-ria. Il Guisa aveva già mobilitato le sue forze e aveva al-le sue spalle la Spagna; in luglio Enrico III era stato co-stretto a concludere il trattato di Nemours che annullava

819 Si veda nella Cena la divertente descrizione del viaggioimmaginario lungo lo Strand, dall’ambasciata francese alla casadi Fulke Greville.

820 De la causa, dial. 1 (Dial. ital., p. 223). L’espressione«sanguinosa» Senna si riferisce al massacro di San Bartolomeo.

821 Cfr. le lettere del Mauvissière a Florio citate nel mioJohn Florio, The Life of an Italian in Shakespeare’s England,Cambridge 1934 (ristampato da Octagon Books, New York1968), pp. 71-2.

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le libertà precedentemente godute dagli Ugonotti e rive-lava come egli avesse praticamente ceduto al Guisa e allareazione estremistica della Lega cattolica fomentata dallaSpagna. In settembre il papa filospagnolo Sisto V avevascagliato la sua bolla contro Enrico di Navarra e il prin-cipe di Condé, proclamando che, in quanto eretici, que-sti principi non avrebbero mai potuto succedere al tro-no di Francia: questa mossa rese inevitabile la guerra. Ipredicatori della Lega sommergevano Parigi coi loro mi-nacciosi sermoni e lo sventurato re si era ritirato sem-pre più in devozioni private, facendo la sua comparsa inpubblico solo in occasione di quelle singolari processio-ni penitenziali di cui abbiamo parlato. Questa situazio-ne; enormemente mutata in peggio da quando Bruno erastato l’ultima volta a Parigi, significava che egli non po-teva più fare affidamento sull’appoggio del re e spiegabene le ragioni del richiamo del Mauvissière e la sua so-stituzione nella carica di ambasciatore in Inghilterra conlo Châteauneuf, partigiano dei Guisa822. Non ci sareb-bero più state cene all’ambasciata francese, né misteriosepoesie d’amore composte dai suoi frequentatori, e PhilipSidney, a cui queste poesie erano state dedicate, lasciòl’Inghilterra un mese dopo Bruno per andare a combat-tere gli spagnoli nei Paesi Bassi, dove venne ucciso l’annoseguente.

Bruno raccontò agli inquisitori veneziani che duran-te questo suo secondo soggiorno parigino era vissuto perla maggior parte a sue spese trattenendosi «con quelli si-gnori ch’io conoscevo»823. Questa scarna notizia ha po-tuto essere integrata grazie alla scoperta dei riferimentia Bruno nelle lettere scritte da Jacopo Corbinelli a Gian

822 Ibid.. p. 84.823 Documenti, p. 85.

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Vincenzo Pinelli824. Il Corbinelli, uomo di grande e raffi-nata cultura, venne impiegato da Enrico III in varie man-sioni e fra gli italiani fu forse quello che ebbe più intimicontatti con il sovrano francese825. Il Pinelli lo incaricò ditenerlo aggiornato da Parigi sulle novità politiche e let-terarie e di procurargli libri e manoscritti destinati allamagnifica biblioteca che stava raccogliendo a Padova. IlCorbinelli fu uno dei fedeli che circondavano Enrico IIIe nutriva forti sentimenti avversi ai Guisa e alla Lega. Lasua corrispondenza col Pinelli non solo è ricca di argo-menti letterari ed eruditi ma è altresì espressione di unacerta corrente di sentimento politico e religioso instaura-tasi fra alcuni circoli nel Veneto ed altri in Francia. Que-sti circoli, benché cattolici, guardavano ad Enrico di Na-varra per una soluzione dell’impasse in cui era prigionie-ra l’Europa. In stretto contatto col Corbinelli, e conti-nuamente ricordato nelle sue lettere, troviamo Piero DelBene, abate di Belleville, che operava come agente delNavarra826. Ebbene, due dei libri pubblicati da Bruno aParigi nel 1586 sono dedicati a questo Del Bene827 e ta-le particolare, insieme ai cordiali accenni a Bruno conte-nuti nelle lettere del Corbinelli, lascia chiaramente capi-re che «quelli signori ch’io conoscevo» con cui Bruno fu

824 Cfr. il mio articolo Giordano Bruno: Some New Docu-ments, «Revue internationale de philosophie», XVI (1951), fa-sc. 2, pp. 174-99. In esso ho pubblicato i finora sconosciu-ti passi su Bruno della corrispondenza Corbinelli-Pinelli, sfor-zandomi di collocarli nel relativo contesto storico.

825 Cfr. il mio French Academies of the Sixteenth Century, p.175.

826 Cfr. E. Picot, Les Italiens en France au XVIe siècle,Bordeaux 1901-18, p. 91 sgg. e il mio articolo Giordano Bruno:Some New Documents, loc. cit.

827 La Figuratio aristotelici physici auditus, Paris 1586 (Op.lat., I [IV], pp. 129 sgg.), e i dialoghi su Fabrizio Mordente direcente pubblicati da G. Aquilecchia (cfr, la nota seguente).

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in rapporti d’amicizia durante il suo secondo soggiornoa Parigi furono con ogni probabilità il Corbinelli, il DelBene e il loro circolo – vale a dire un gruppo di italianifedeli a Enrico III, legati alle sorti di Enrico di Navarra ein contatto col Pinelli a Padova. Come vedremo in segui-to, sembra che Bruno avesse riposto le sue speranze nelNavarra come possibile promotore di quel nuovo ordinereligioso largo e tollerante da lui auspicato.

Un episodio singolare del secondo soggiorno parigi-no di Bruno – non troppo singolare, tuttavia, se sonoriuscita a mostrare al lettore come Giordano Bruno nonfosse un uomo come tutti gli altri – fu quello di Fabri-zio Mordente e del suo compasso828. Quest’ultimo avevainventato un nuovo tipo di compasso che, con l’adatta-mento di uno speciale dispositivo sulle due aste, potevaprodurre «mirabili effetti, al tutto necessarj all’Arte, imi-tatrice della Natura», come lo stesso Mordente dichiaranella breve descrizione, accompagnata da un disegno delcompasso e da un diagramma, da lui pubblicata a Pari-

828 Due dialoghi bruniani sul compasso di Fabrizio Morden-te sono noti da lungo tempo (In Mordentium e De Mordentiicircino, pubblicati sotto il titolo Dialogi duo de Fabricii Mor-dentis, Paris 1586) e vennero compresi nell’edizione delle ope-re latine (Op. lat., I [IV], pp. 223 sgg.). Altri due (Idiota trium-phans e De somnii interpretatione) sono stati individuati in un’e-dizione del 1586, dedicata a Piero Del Bene, di cui esiste unasola copia. (Cfr. John Hayward, The Location of First Edi-tions of Giordano Bruno, «The Book Collector», V (1956), p.154.) Questi quattro dialoghi sono stati ora pubblicati insiemeda G. Aquilecchia (Giordano Bruno, Due dialoghi sconosciutie due dialoghi noti, Roma 1957). Nell’introduzione, Aquilec-chia collega i dialoghi recentemente scoperti alle notizie sulladisputa Bruno-Mordente da me rinvenute nella corrisponden-za Corbinelli-Pinelli. Il volume di Aquilecchia raccoglie quin-di tutto il materiale relativo allo straordinario episodio del com-passo.

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gi nel 1585829. Il compasso di Fabrizio Mordente è statoindicato come una possibile anticipazione dell’invenzio-ne galileiana del compasso proporzionale830. Bruno co-nosceva Fabrizio Mordente, a quel tempo a Parigi, e fuprofondamente colpito dal compasso. Ne fece menzioneal suo paziente ascoltatore, il bibliotecario dell’Abbaziadi Saint-Victor, a cui descrisse il Mordente come «dieude géométriens», aggiungendo che, siccome questi nonconosceva il latino, egli avrebbe fatto «en latin imprimerses inventions»831. Ma Bruno fece ben di più di quantoaveva annunciato poiché scrisse quattro dialoghi intor-no al compasso del Mordente in cui trattava l’invento-re con superiore condiscendenza, dichiarando che que-sti non si era reso conto di tutto il significato della suadivina invenzione e che lui soltanto l’aveva capito. Dal-le lettere del Corbinelli sappiamo che il Mordente, nonsenza ragione, fu preso da «una collera bestiale»832; checomprò in blocco l’intera edizione dei dialoghi e la fecedistruggere833 (tranne le due copie, una completa e l’al-tra incompleta, che son giunte fino a noi); e che infine

829 Il Compasso, & Figura di Fabritio Mordente di Salerno: conli quali duoi mezzi si possono fare un gran numero di mirabilieffetti, al tutto necessarij all’Arte, imitatrice della Natura..., Paris1585. Cfr. G. Aquilecchia, Due dialoghi, introduzione, p.XVII.

830 A. Favaro, Galileo Galilei e lo studio di Padova, Firenze1883, I, p. 226.

831 Documenti, p. 43.832 «Contro al Nolano e in una collera bestiale il nostro

Fabritio», Corbinelli a Pinelli, 16 febbraio 1586 (Ambrosiana,T. 167 sup., f. 180).

833 «A Fabritio costa parecchi scudi per comparar et farabbruciar il Dialogo del Nolano», Corbinelli a Pinelli, 14 aprile1586 (Ambrosiana, T. 167 sup, f. 187).

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«andò al Guisa» per trovare protezione contro Bruno834.Quest’ultimo particolare era piuttosto allarmante, in unacittà come Parigi piena di seguaci del Guisa armati finoai denti.

Per capire questo episodio occorre rammentarci diBruno e Copernico ne La cena de le ceneri; come quelbuon uomo di Copernico, secondo Bruno, avesse fattoveramente una grande scoperta ma non ne avesse còltointeramente la portata, essendo solo un matematico; co-me infine il Nolano dicesse di capire lui solo il senso ge-nuino del diagramma copernicano, di vederlo risplende-re di significato divino, e lo considerasse un geroglifico diverità divina, un segno del ritorno della tradizione egizia-na: tutti misteri, questi, che sfuggivano ai poveri, ciechipedanti di Oxford. Penso che qualcosa di simile sia ac-caduto quando il Nolano vide il compasso del Mordentee il suo diagramma.

In uno dei dialoghi bruniani sul compasso, FabrizioMordente viene portato alle stelle per aver trovato qual-cosa che neppure «il curioso Egitto, la magniloquenteGrecia, la Persia industriosa e l’Arabia sottile»835 cono-scevano: questa elencazione di antiche sapienze mostrain che modo proceda la mente di Bruno e nello stra-no Insomnium aggiunto a questi dialoghi appare chia-ro sin dalle prime parole come, secondo lui, l’invenzio-ne del Mordente abbia che fare con le «stelle vaganti» esia una «mathesis divina»836. Questa stessa parola «ma-thesis» ricorre anche nel dialogo recante il titolo singola-re di Idiota triumphans ed è altamente significativa. In-

834 «Il Mordente andò al Guisa et vuole ch’ei pigli il mondoco suoi ingegni», Corbinelli a Pinelli, 4 agosto 1586 (Ambrosia-na, T. 167 sup., f. 187).

835 Op. lat., I (IV), p. 255; Due dialoghi, ecc., a cura diAquilecchia, p. 55.

836 Op. lat., vol. cit., p. 256.; Due dialoghi, ed. cit., p. 57.

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fatti la «mathesis», come sappiamo dall’opera sui Tren-ta sigilli, non è la matematica, ma una delle quattro «gui-de della religione», insieme ad Amore, Arte e Magia837.Il tema dell’Idiota triumphans è che il Mordente ha par-lato per «ignoranza ispirata»; è lui l’«idiota trionfante»,e Bruno arriva a questa conclusione dopo avere analizza-to il tipo di ispirazione posseduto da certe persone sem-plici che parlano in maniera ispirata senza cogliere ap-pieno il significato di ciò che dicono e averlo messo aconfronto con l’ispirazione superiore di coloro che in-vece hanno una perfetta consapevolezza del loro ispira-to messaggio838. Abbiamo già incontrato questo generedi ragionamento in un passo del De gli eroici furori doveil primo tipo di persona ispirata veniva paragonato all’a-sino recante i sacramenti839. Qui il confronto vien fattocon l’asina di Balaam ed è chiaro che Bruno si riferisce alMordente. Egli passa quindi direttamente a trattare il te-ma del sacro culto egiziano, di come esso fosse un culto

837 I significati della parola mathesis risultano piuttosto varia-bili. Il greco µ´αθησις significa istruzione o educazione in ge-nerale. Il latinomathesis può voler dire, secondo il Lewis andShort: 1) matematica 2) astrologia. È in questo secondo sen-so che il tardo astrologo latino Giulio Firmico Materno la usa.Secondo John of Salisbury (Policraticus, I, 9; II, 18, ed. Webb,pp. 49, 101-2) molto dipende da come la parola viene accen-tata: máthesis, pronunciata con la penultima sillaba breve, è ilfondamento dell’astrologia; mathésis, con la penultima lunga, èla magia.

Poiché Bruno non accenta la parola, la regola suggerita daJohn of Salisbury per l’identificazione del suo significato nonpuò essere applicata. È comunque del tutto chiaro che nelpasso sopra citato, dove Bruno prende la mathesis come unadelle sue quattro guide, egli intende la parola nell’accezione dimagia.

838 Idiota triumphans in Due dialoghi, ecc., a cura di G. Aqui-lecchia, pp. 6-7.

839 Cfr. supra.

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di Dio nelle cose e di come gli egiziani lo oltrepassasserogiungendo direttamente alla divinità840.

È del tutto comprensibile che Fabrizio Mordente si ri-sentisse di esser chiamato idiota trionfante o asina di Ba-laam, ma probabilmente Bruno intendeva dire che eglisi era fatto portatore di una verità divina da lui stessonon perfettamente compresa e che invece altri – comeil Nolano –, dotati di una penetrazione maggiore, era-no in grado di salutare come una meravigliosa rivelazio-ne. Più oltre viene detto con tutta chiarezza che median-te la «mathesis» la figura del Mordente deve essere in-terpretata misticamente, alla maniera dei pitagorici e deicabalisti841. In breve, il compasso di Fabrizio Mordenteè diventato per Bruno ciò che Keplero chiama «hermeti-ca», ovvero figure matematiche usate non secondo criterimatematici ma con «intenzioni pitagoriche».

L’interpretazione pitagorica e numerologica del dia-gramma era tradizionale nel Medioevo e l’occultismo ri-nascimentale non solo la sanzionò ma la estese e la ela-borò con l’apporto di elementi ermetici e cabalistici. So-lo nel XVII secolo si cominciò a reagire a questo tipo diinterpretazione che invece al tempo di Giordano Brunoconosceva ancora una fortuna rigogliosa, come è mostra-to dalla descrizione che George Peele fa degli studi delconte-mago di Northumberland:

Renowmed [sic] lord, Northumberland’s fair flower,The Muses’ love, patron, and favourite,That artisans and scholars dost embrace,

840 Idiota triumphans, ed. cit., pp. 6-7. Come viene messo inevidenza da Aquilecchia (Due dialoghi, introduzione, p. XXI),l’Idiota triumphans si collega allo Spaccio e alla Cabala mediantela comparsa in tutt’ e tre queste opere del personaggio di «Sau-lino» o «Savolinus», che si suppone si riferisca a un parente inlinea materna di Bruno.

841 Idiota triumphans, ed. cit., p. 12.

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And clothest Mathesis in rich ornaments;That admirable mathematic skill,Familiar with the stars and zodiac,To whom the heaven lies open as her book;By whose directions undeceivable,Leaving our schoolman’s vulgar trodden paths,And following in the ancient reverend stepsOf Trismegistus and Pythagoras,Through uncouth ways and unaccessible,Dost pass into the spacious pleasant fieldsOf divine science and philosophy842.

Ciò che stupisce è l’incredibile audacia con cui Bru-no non esita a far circolare opere così sconsideratamen-te provocatorie come La cena de le ceneri contro i dotto-ri oxoniensi (Copernico, se fosse stato vivo, avrebbe sen-z’altro acquistato e distrutto in blocco tutte le copie dellaCena) e questi dialoghi su Fabrizio Mordente. Oppure sideve pensare che per Bruno, come nel caso del diagram-ma copernicano della Cena843, la «mathesis» del compas-so di Fabrizio profetizzasse la prossima fine del periododella pedanteria e la dissoluzione imminente della Legacattolica in seguito al ritorno della tradizione egiziana?Ad ogni modo Fabrizio Mordente «andò al Guisa», untemibilissimo «pedante».

Non pretendo certo di avere qui completamente ri-solto i misteri della controversia Bruno-Mordente. Co-me ho indicato nel mio articolo, le notizie sulla dispu-ta trasmesse al Pinelli dal Corbinelli compaiono in mez-zo ai suoi resoconti della situazione politico-religiosa e

842 George Peele, The Honour of the Garter, in Peele, Works,a cura di A. H. Bullen, 1888, II, pp. 316-20.

843 Fa un curioso effetto rammentare qui che l’interpretazio-ne del diagramma data da Bruno dipende dalla sua errata opi-nione che il punto rappresentante la terra sia in realtà un segnolasciato dal piede del compasso nel descrivere il cerchio in cuiruotano sia la terra che la luna (cfr. supra).

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in particolare delle reazioni alla bolla pontificia contro ilNavarra844. Quando l’intera corrispondenza Corbinelli-Pinelli sarà stata pubblicata845, avremo forse un quadropiù chiaro delle attività di Bruno a Parigi durante questoperiodo.

L’altro grande episodio sbalorditivo del secondo sog-giorno parigino di Bruno fu il dibattito pubblico pressoil Collège de Cambrai ove egli convocò i dottori di Pari-gi per sentirlo enunciare «centoventi articoli sulla naturae il mondo contro i peripatetici». Questi articoli venne-ro pubblicati dall’autore a Parigi nel 1586 sotto il nomedel suo discepolo Jean Hennequin, insieme a una dedi-ca a Enrico III e ad una lettera al rettore dell’universitàdi Parigi, Jean Filesac846. Si tratta, conoscendo il tempe-ramento di Bruno, di una lettera piuttosto gentile e sen-z’altro pacata se confrontata, ad esempio, con il suo in-dirizzo al vicecancelliere e ai dottori di Oxford. Egli rin-grazia Filesac per la gentilezza usata in passato nei suoiriguardi dall’università di Parigi, riferendosi presumibil-mente al lettorato assegnatogli durante il primo soggior-no parigino, e gli comunica di essere in procinto di lascia-

844 Giordano Bruno: Some New Documents, pp. 188 sgg. G.Aquilecchia aggiunge alcune nuove e interessanti indicazionisull’episodio della disputa, per esempio come si ricavi da unalettera del Corbinelli che il Mordente era un fautore della Lega(Due dialoghi, ecc.; introduzione, p. XXII nota).

845 Ne sono stati pubblicati solo frammenti, soprattutto da R.Calderini-De Marchi, Jacopo Corbinelli et les érudites français,Milano 1914.

846 Centum et viginti articuli de natura et mundo...per Ioh.Hennequinum...sub clipeo & moderamine Iordani Bruni NolaniParis 1586. In Op. lat., II (II), p. 221 viene riportato solo iltitolo poiché quest’opera fu ristampata a Wittenberg nel 1588con un altro titolo, quello di Camoeracensis acrotismus. Questaedizione è riprodotta in Op. lat., I (I), pp. 53sgg.

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re la città847. Verosimilmente i Centum et viginti articulifurono pubblicati prima del dibattito, come una sorta diprogramma degli argomenti che il Nolano aveva inten-zione di trattarvi. Due anni dopo l’opera venne di nuo-vo pubblicata, sostanzialmente nella medesima forma, aWittenberg, presente Bruno, con il titolo Camoeracensisacrotismus848.

Il reverendo Cotin (tale era il nome del bibliotecariodell’abbazia di Saint-Victor) era molto interessato a que-sta apparizione pubblica dello sconcertante frequentato-re abituale della sua biblioteca e dal suo diario appren-diamo che i giorni in cui Bruno convocò «les lecteursroyaux et tous à l’ouïr dedans Cambray» furono il 28 eil 29 maggio (1586), cioè «les mercredy et jeudy de la se-pmaine de Pentecoste»849. Le tesi vennero sostenute daHennequin, il discepolo di Bruno, che si trovava «en lagrande chaire», mentre il Nolano «estoit en une petitechaire, près l’huis du jardin»850. Si trattava probabilmen-te di una misura precauzionale, nel caso che si fosse pre-sentata la necessità di scappare, come di fatto avvenne.

L’orazione di apertura, letta da Hennequin, a parte ilfatto di essere in latino, contiene passi identici quasi pa-rola per parola ad altri corrispondenti de La cena de leceneri. Siamo stati imprigionati in un buio carcere sot-terraneo da cui possiamo vedere solo a distanza le stelle,lontanissime851. Ma ora usciamo dai ceppi: sappiamo cheesiste un unico cielo, una vasta regione eterea entro cuisi muovono quei corpi di fuoco che ci annunziano la glo-

847 Op. lat., I (I), pp. 56-8.848 «Camoeracensis» si riferisce a Cambrai, vale a dire al

Collège de Cambrai in cui fu tenuto il dibattito.849 Documenti, p. 44.850 Ibid., p. 45.851 Op. lat., I (I), pp. 66-7.

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ria e la maestà divine852. Questo ci spinge a contemplarela causa infinita dell’effetto infinito e vediamo che la di-vinità non è lontana ma dentro di noi, poiché essa ha ilcentro in ogni luogo ed è non meno vicina a noi che agliabitatori di altri mondi. Perciò non dobbiamo seguire leautorità sciocche e inconsistenti ma i sensi disciplinati eil lume dell’intelletto. La concezione di un universo in-finito è più degna della maestà divina che non quella diun universo finito853. I più celebrati professori di scienzesono tenuti a giudicare di queste affermazioni in presen-za della maestà del vero, comportandosi non in malafe-de e dogmaticamente ma secondo uno spirito equanimee tollerante854.

Stando al racconto di Cotin, quando il discorso fu ter-minato, Bruno si alzò incitando chiunque lo volesse a di-fendere Aristotele e ad attaccare lui. Nessuno aprì boc-ca ed allora egli si mise a gridare ancora più forte, co-me se avesse già la vittoria in pugno. Ma in quel men-tre si alzò un giovane avvocato di nome «Rodolphus Ca-lerius», che in un lungo discorso difese Aristotele con-tro le calunnie di Bruno, dopo aver premesso che i «lec-teurs» non avevano preso prima la parola stimando Bru-no indegno di qualunque replica. Egli invitò quindi Bru-no a rispondere e a difendersi, ma questi rimase in silen-zio e fece per andarsene. Allora «les escoliers tenoyentaux mains Brunus», dicendogli che non lo avrebbero la-sciato andare fino a che non avesse ritrattato le sue calun-nie contro Aristotele. Alla fine egli riuscì a liberarsi dallaloro presa, impegnandosi però a tornare il giorno succes-sivo per rispondere all’avvocato. Quest’ultimo fece affig-ger dei cartelli in cui annunciava che si sarebbe ripresen-tato l’indomani. In tale occasione «Rodolphus Calerius»,

852 Ibid., pp. 68-9.853 Ibid., p. 70.854 Ibid., p. 71.

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in qualità di principale oratore, parlò con molta elegan-za in difesa di Aristotele contro le imposture e la vanitàdi Bruno, invitando poi di nuovo quest’ultimo a replica-re. «Mais Brunus n’y comparut pas, et dès lors n’est plusveu demeurant en ceste ville»855.

Direttamente non ho insegnato cosa contro la religione catolicacristiana benché indirettamente [dichiarò Bruno agli inquisito-ri veneziani], come è stato giudicato in Parisi; dove pur me fupermesso trattare certe disputazioni sotto il titolo de Centovintiarticoli contra li Peripatetici ed altri volgari filosofi, stampati conpermissione de superiori, come fusse lecito trattarne secondo lavia de principii naturali, non preiudicando alla verità secondo illume della fede. Nel qual modo si possono legger ed insegnareli libri d’Aristotile e di Platone, che nel medesimo modo indi-rettamente sono contrarii alla fede, anci molto più contrarii cheli articuli da me filosoficamente proposti e diffesi856.

Uno dei particolari più significativi dell’episodio delCollège de Cambrai è la parte avuta in esso da questo tal«Rodolphus Calerius» che sembra quasi esser stato «ispi-rato» (ma non nel senso del furor eroico) a ridurre Brunoal silenzio. Cotin aggiunge una nota in cui ci informa chequesto «Calerius» si è al presente «retiré avec MonsieurDu Perron, qui est orateur du Roy, et chroniqueur»857.Jacques Davy Du Perron era un frequentatore assiduodel circolo reale e teneva discorsi spirituali molto ammi-rati, pieni di prisca theologia e di ermetismo religioso, al-l’accademia di Vincennes, cioè presso uno di quei grup-pi religiosi nel cui seno Enrico III si veniva sempre piùisolando in questi anni tormentati858. Il «Rodolphus Ca-

855 Documenti, pp. 45-6.856 Ibid., p. 92.857 Ibid., p. 46.858 Cfr. il mio libro French Academies of the Sixteenth Centu-

ry, pp. 162 sgg.

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lerius» ritiratosi col Du Perron deve essere stato RaoulCailler, anch’egli esponente del gruppo di Vincennes eautore del seguente sonetto laudativo su un discorso spi-rituale tenuto a Vincennes dal Du Perron e ivi da luiascoltato:

Quand je t’oy discourir de la Diuinité,I’admire en ton esprit une grandeur Diuine,Qui tout le monde embrasse, & qui ne se termineQue par les larges fins de son infinité.

I’admire tes discours remplis de verité,Qui font qu’à l’immortel le mortel s’achemine,Par les diuers degrez de ceste grand’ machine,Où tu nous vas guidant à l’immortalité.

Comme l’Ame du monde en ce grand tout encloseFait viure, fait sentir, fait mouuoir toute chose:Tout de mesme ton Ame infuse en ce grand corps,

Void tout ce qui se fait en la terre & en l’onde,Void les effects des cieux & leurs diuers accords:Puis fait en nos esprits ce que Dieu fait au monde859.

In questo sonetto il Du Perron è presentato quasi comeun mago religioso che sia diventato tutt’uno con l’animadel mondo. Il fatto che fosse l’autore di questo sonettoe l’amico del Du Perron a intervenire contro Brunonel dibattito di Cambrai, mostra come quell’interventovenisse ispirato non dal Guisa o dai sostenitori dellaLega, ma dal gruppo che faceva capo allo stesso re.Dopo che Enrico III ha abbandonato, per così dire, ilsuo trono nella Corona australe come capo della riformaceleste, onde sottrarsi a una posizione troppo rischiosa,occorre mostrare chiaramente ai suoi nemici che Bruno

859 Poesia di Raoul Cailler in Jacques Davy Du Perron, Di-scours spirituel, Leida 1600. Il Discours spirituel era stato pro-nunciato al cospetto di Enrico III a Vincennes. Cfr. The FrenchAcademies, pp. 170, 230.

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non gode più della protezione del re. Come ho suggeritonel mio libro su The French Academies of the SixteenthCentury, le attività svolte da Bruno in Inghilterra con la«copertura» dell’ambasciata francese resero certamenteun pessimo servizio a Enrico se ne trapelò notizia inFrancia presso gli irriducibili avversari del re, sempreall’erta per raccogliere informazioni con cui screditarloagli occhi dei sudditi cattolici860.

Dall’intervento di Cailler Bruno deve aver capito chel’appoggio del re di Francia da lui avuto in passato, o cheegli aveva immaginato di avere, era ormai venuto meno.

La decisione di provocare il dibattito di Cambrai nonpuò essere dipesa, in Bruno, dal tentativo di riconquista-re la precedente posizione di favore da parte dell’univer-sità o del re, poiché egli aveva già progettato di lasciareParigi, essendosi ormai reso ben conto che una città co-me quella, in procinto di cadere sotto il predominio dellaLega, non faceva più al caso suo. D’altra parte egli dove-va essere a conoscenza, attraverso il Corbinelli, sempremolto bene informato sulla situazione, che la posizionedi Enrico era disperata e che quindi il re non poteva farnulla per lui. E allora perché Bruno provocò un dibattitocosì rischioso per lui? In parte, forse, per una innata in-capacità di starsene zitto e buono in disparte. Il caratteredi Bruno è assai difficile da definire; da un lato vi trovia-mo una continua ricerca di pubblicità e un atteggiamen-to millantatorio, dall’altro, invece, un senso di missionecertamente genuino. Voler mostrare, come io credo fos-se nelle sue intenzioni, in un momento e in un luogo sif-fatti, che la «religione del mondo» poteva essere miglio-re del Cristianesimo così come veniva interpretato dallaLega cattolica, era un gesto di grande audacia – anche sedurante il dibattito di Cambrai egli si sedette vicino allaporta che dava sul giardino e l’indomani evitò di ripre-

860 French Academies, pp. 231 sgg.

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sentarsi. Può darsi che la ragione di questa sua assenzasia dipesa dal non aver previsto un’opposizione proprioda parte di chi egli avrebbe voluto aspettarsi il contrario.

Sempre nel 1586 quest’uomo infaticabile pubblicò aParigi una grossa opera dal titolo Figuratio aristoteliciphysici auditus861, dedicata a Piero Del Bene, lo stessoa cui dedicò anche i dialoghi sul compasso di FabrizioMordente. Questa Figuratio aristotelica è una delle ope-re più oscure di Bruno – ed è già dir molto. È una speciedi mnemonica in cui quindici princìpi di fisica aristote-lica vengono ridotti a immagini quali «Arbor olympica»,Minerva, Teti, Natura o il Pan superiore, ecc., e quindicomposti in un diagramma di tipo certamente non ma-tematico ma connesso all’idea di «mathesis». È qualco-sa che assomiglia al quadrato in cui vengono tracciate lecase di un oroscopo, ma estremamente scomposto e co-sparso di ogni sorta di figure geometriche irregolari862.Abbiamo qui una specie di combinazione della mnemo-nica classica, basata sulla collocazione di immagini invarie parti di un edificio, con la «mathesis» e con Diosa quali altre complessità inventate con una ingegnosi-tà sfrenata. Ho il sospetto che quest’opera contenga inqualche forma il «messaggio».

Come si può vedere, la conclusione del soggiorno pa-rigino di Bruno corrisponde grosso modo a quella delsuo soggiorno in Inghilterra. Questa strana opera mne-monica di cui abbiamo fatto cenno corrisponde a quellasui Trenta sigilli. I dialoghi su Fabrizio Mordente, in par-ticolare l’Idiota triumphans, riprendono temi della Caba-la del cavallo Pegaseo e dello Spaccio. Il dibattito al Col-lège de Cambrai coi dottori parigini corrisponde alla rot-tura coi dottori di Oxford e ripete i temi de La cena dele ceneri. Ma la conclusione del periodo parigino di Bru-

861 Op. lat., I (IV), pp. 129 sgg.862 Ibid., p. 139.

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no presenta aspetti molto più oscuri e involuti: non vi èniente che corrisponda alla meravigliosa vena fantasticache Bruno trasmise alla poesia elisabettiana attraverso ilDe gli eroici furori, nè al brillante intreccio drammatico,ripieno di accenti lirici, con cui nella Cena viene presen-tata la disputa con i pedanti inglesi (cioè contro l’intolle-ranza protestante). Forse l’atmosfera di cattolica pedan-teria diffusa in tutta Parigi era così soffocante da inaridi-re il genio di Bruno, almeno temporaneamente.

Il fatto che tutte le opere da lui pubblicate a Parigiin questo periodo fossero dedicate all’agente del Navar-ra, Piero Del Bene (eccezion fatta per la dedica del pro-gramma del dibattito di Cambrai a Enrico III, che andòa vuoto), indica forse che Bruno guardava al Navarra, al-la pari del suo amico Corbinelli e del corrispondente pa-dovano di quest’ultimo, come al principe da appoggiarein quel frangente. Enrico III e sua madre, guardavanoanch’essi al Navarra ed emissari segreti venivano speditinel Sud nel tentativo di persuaderlo a districare la situa-zione facendosi cattolico. Più tardi, quando Enrico eraormai morto è il Navarra uscì vittorioso da quelle terri-bili guerre della Lega che distrussero in Francia la civil-tà rinascimentale, fu proprio Jacques Davy Du Perron,vescovo di Evreux e in seguito cardinale, a svolgere unruolo decisivo nella conversione del Navarra e nei nego-ziati per farlo accogliere nella Chiesa come Enrico IV, recristianissimo di Francia863. Questo evento ebbe un pesonon indifferente sul destino di Giordano Bruno in quan-to, come ha messo in evidenza il Corsano, fu quasi certa-mente per le speranze suscitate in tutta l’Europa dall’av-vento al trono di Enrico IV che Bruno prese la decisionefatale di fare ritorno in Italia864.

863 Cfr. The French Academies, pp. 193 sgg.864 Cfr. A. Corsano, Il pensiero di Giordano Bruno, pp. 290

sgg.

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Per concludere occorre rammentare un altro avveni-mento del periodo parigino, poiché esso è un aspettoimportante del complesso problema bruniano. In que-sto lasso di tempo egli fece un tentativo per essere riam-messo in seno alla Chiesa cattolica. A questo scopo pre-se contatti col Mendoza, da lui conosciuto in Inghilterrae attualmente a Parigi, ed anche col nunzio pontificio, ilvescovo di Bergamo, ma senza alcun risultato. Egli vole-va ritornare nella Chiesa e venire assolto, in modo da po-ter partecipare al sacramento della messa; non aveva pe-rò alcuna intenzione di rientrare nell’ordine865. Si tratta-va forse, per Bruno, semplicemente di un calcolo politi-co, dal momento che si trovava ancora una volta in unpaese cattolico? A me sembra che Bruno non abbia maifatto simili calcoli; non erano nella sua natura, come di-mostrano tutte le azioni della sua vita, ugualmente im-mediate e spontanee. Perciò anche questo suo desideriodi tornare alla Chiesa era probabilmente del tutto spon-taneo e sincero, in perfetto accordo con le sue convinzio-ni. Egli nutriva avversione per gli eretici e per il loro di-sprezzo verso le «opere»; in particolare aveva avuto unaformazione integralmente cattolica a cui il protestantesi-mo doveva per forza apparire incompatibile. Inoltre lagrande riforma da lui auspicata doveva in qualche mo-do rientrare in una cornice cattolica, una volta supera-te le difficoltà circa il sacramento: il che poteva «otte-nersi facilmente», come egli stesso spiegò al biblioteca-rio di Saint-Victor. Per tutti questi motivi sono portataa credere che questo tentativo di Bruno di rientrare nel-la Chiesa durante il suo secondo soggiorno parigino fos-se del tutto coerente e sincero. La nuova religione dove-va accogliere in sé gli elementi vitali della tradizione egi-

865 Documenti, p. 104; cfr. Spampanato, Vita di GiordanoBruno, p. 329.

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ziana ed essere di tipo cattolico-tollerante ed universale,riformata nella sua magia come nella sua etica.

Bruno era tuttora a Parigi il 4 agosto 1586, alla data,cioè, in cui il Corbinelli scrisse al Pinelli una lettera incui diceva che Giordano temeva «qualche affronto, tan-to haveva lavato il capo al povero Aristotele»866, aggiun-gendo che Fabrizio Mordente «andò al Guisa». Subitodopo Bruno deve aver lasciato Parigi. Egli riferì in segui-to agli inquisitori veneziani di esserne partito per causadi tumulti»867, il che era una ragione più che sufficiente.E passò in Germania.

866 Corbinelli a Pinelli 4 agosto 1586 (Ambrosiana, T. 167sup., f. 187). Cfr. il mio articolo Giordano Bruno: Some NewDocuments, p. 185. In una precedente lettera del 6 giugno,Corbinelli dice, dopo aver menzionato il dibattito di Cambrai,«Penso che [il Nolano] sara lapidato da questa Universita.Ma presto se n’andra in Alemagna. Basta che in Inghilterraha lasciato scismi grandissimi in quelle scuole, et e piacevolcompagnietto, epicuro per la vita» (Ambrosiana, T. 167 sup.,f. 190; cfr. Giordano Bruno: Some New Documents, p. 181). Aparte la notazione sulla personalità di Bruno, è degna di rilievola notizia che, secondo l’impressione di Corbinelli, la missionedi Bruno in Inghilterra aveva avuto un certo successo.

Corbinelli era un raccoglitore di opere bruniane, copie del-le quali, provenienti originariamente dalla sua biblioteca, si tro-vano nella Biblioteca Trivulziana di Milano. Fra di esse figurauna copia della Cena recante, in calligrafia tardocinquecente-sca, l’iscrizione «Al Sr. Corbinello». Cfr. R. Tissoni, Lo scono-sciuto fondo bruniano della Trivulziana, «Atti della Accademiadelle Scienze di Torino», vol. 93 (1958-9).

867 Documenti, p. 85.

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XVII. GIORDANO BRUNO IN GERMANIA

Ciascun periodo della carriera di Bruno richiede uno stu-dio particolare, che istituisca un rapporto fra le opere dalui pubblicate nei vari luoghi e le condizioni ivi esistentidi volta in volta. Nei capitoli precedenti ho cercato di fa-re qualche cosa di simile, pur non scendendo sufficiente-mente nei particolari, per il primo periodo parigino, peril periodo inglese e per il secondo periodo parigino. Perquel che riguarda il periodo tedesco, dovrò trattarlo an-cor meno adeguatamente, accontentandomi di porne inluce quelli che mi sembrano i momenti essenziali.

A Wittenberg, dove Bruno si trattenne per due anni(1586-88), lo troviamo investito del ruolo di insegnan-te o professore universitario, perché i dottori di Witten-berg, con suo massimo compiacimento e gratitudine, loaccettarono fra loro e gli permisero di insegnare nelle lo-ro scuole. In una dedica al senato di Wittenberg egli af-ferma che, pur essendo «uomo di nessun nome e autori-tà fra voi, sfuggito ai tumulti di Francia, non appoggia-to da alcuna raccomandazione principesca,...mi avete ri-tenuto meritevole di cordialissima accoglienza, mi aveteincluso nell’albo della vostra accademia, mi avete accol-to in un consesso di uomini tanto nobili e dotti, da sem-brare ai miei occhi non una scuola privata o una conven-ticola esoterica, bensì, come si conviene all’Atene tede-sca, una vera università»868. L’università di Lutero supe-rò quindi onorevolmente l’arduo esame della visita del

868 Dedica del De lampade combinatoria, Op. lat., II (II), pp.230-1. Tuttavia, Bruno aveva un amico a Wittenberg, e precisa-mente Alberico Gentili, il grande giurista, da lui conosciuto inInghilterra e che lo raccomandò all’università (Documenti, pp.85-6).

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Nolano, il quale non ha che del bene da dirne. Eviden-temente, i luterani gli andavamo molto più a genio de-gli eretici calvinisti di Francia, o degli anglicani purita-ni. Sfortunatamente, durante il suo soggiorno, una fazio-ne calvinista prese il sopravvento su quella che lo pro-teggeva e per questa ragione egli dovette partire (alme-no così Bruno disse agli inquisitori veneziani)869. Graziealle felici condizioni consentite dalla protezione luteranadurante il suo soggiorno, la sua missione ebbe una bat-tuta d’arresto e non parlò mai di pedanti. Al contrario,nella dedica citata, Bruno menziona per nome i membridel corpo universitario, ricordandone con ammirazionegli studi870.

L’enorme produzione di Bruno durante la permanen-za a Wittenberg con ogni probabilità fu costituita soprat-tutto dalle lezioni che egli vi tenne. Fra le opere effettiva-mente pubblicate a Wittenberg sono il De lampade com-binatoria lulliana871, e il De progressu et lampade venatorialogicorum872. A queste vanno aggiunte, in quanto inerentiall’insegnamento del periodo di Wittenberg, l’Artificiumperorandi873, pubblicato da J. H. Alsted nel 1612, dopo lamorte di Bruno; e il Liber physicorum Aristotelis874, pub-blicato per la prima volta nell’edizione delle opere lati-ne. Queste opere sono tutte importanti per gli studio-si di Bruno, soprattutto per quanto concerne il suo lulli-smo. Ma sono veramente piatte, se paragonate a quei me-

869 Documenti, p. 86.870 Op. lat., II (II), pp. 239-40.871 Op. lat., II (II), pp. 225 sgg.872 Op. lat., II (II). pp. 1 sgg.873 Ibid., pp. 336 sgg.; cfr. Bibliografia, p. 160.874 Op. lat., II, pp. 259 sgg.; cfr. Bibliografia, p. 165.

Esiste un’altra copia manoscritta dell’opera con cui i curatoricollazionarono quella del ms. Noroff.

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ravigliosi dialoghi che egli scrisse in Inghilterra, a causadella fine forzata delle sue lezioni ad Oxford.

Durante il periodo di Wittenberg, la straordinaria vitainteriore del mago conobbe momenti di intenso entusia-smo, come è rivelato dalla Lampas triginta statuarum875,pubblicata per la prima volta dal manoscritto Noroff nel-l’edizione delle opere latine, ma probabilmente scritta aWittenberg. Come indica il titolo, quest’opera appar-tiene al gruppo di quella sulle Trenta ombre876, pubbli-cata nel corso del primo soggiorno parigino, di quellasui Trenta sigilli877, pubblicata in Inghilterra, e di quellasui Trenta legami del manoscritto Noroff. In essa Bru-no continua il suo tentativo di formare una memoria, ouna psiche, che derivi la sua unità dall’uso di immaginio segni che la pongono in contatto diretto con la real-tà. Le immagini astrologiche sulle quali si fondava la me-moria nel De umbris idearum vengono qui sostituite da«statue», o immagini interiori costruite secondo princìpitalismanici. «Noi non abbiamo scoperto per primi que-sto tipo di dottrina, ma lo facciamo rivivere; come nellanatura osserviamo vicissitudini di luce e di tenebre, co-sì sussistono anche vicissitudini di specie diverse di filo-sofie. Dal momento che non c’è niente di nuovo, comedice Aristotele nel libro De coelo, è necessario tornare aquelle opinioni a distanza di molti secoli»878.

Ora, poiché è sempre nel contesto di alternanze di lu-ce e tenebre che egli parla in altre opere del ritorno immi-nente della religione egiziana, credo che queste «statue»interiori altro non siano che una trasposizione, nell’ambi-

875 Op. lat., III, pp. 1 sgg.; cfr. Bibliografia, p. 164.876 Cioè il De umbris idearum in cui le immagini sono distri-

buite in trenta raggruppamenti; cfr. supra.877 Cioè il De vinculis in genere in cui i «legami» sono classi-

ficati in trenta categorie; cfr. supra.878 Op. lat., III, pp. 8-9.

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to dell’immaginazione interiore di quelle statue che era-no parte così essenziale della religione degli Egiziani, eche essi, come risulta dall’Asclepius, sapevano animareintroducendovi demoni. Come sappiamo dal De magia,Bruno riteneva che il più importante ed efficace metododi «legarsi» ai demoni fosse quello basato sulle facoltàdell’immaginazione. Perciò, a mio parere, le trenta sta-tue sono trenta legami immaginativi per collegarsi ai de-moni, attraverso cui il mago viene formando la sua per-sonalità. La stessa idea, come già abbiamo osservato, èsottintesa nell’uso dei demoni decani egiziani nella me-moria descritta nell’opera sulle Trenta ombre, e l’operache tratta dei legami con i demoni (il De vinculis in ge-nere) che, come quella sulle Trenta statue, proviene dalmanoscritto Noroff, viene inclusa sotto i Trenta sigilli.

Quella sulle Trenta statue è un’opera fondamentaleper la comprensione di Bruno. Essa non può essere affer-rata nella sua struttura unitaria finché le opere mnemo-niche di Bruno non vengano collocate nel contesto dellastoria dell’arte della memoria879, e il suo lullismo nel con-testo della storia dell’arte di Raimondo Lullo880. Ne par-leremo qui solo limitatamente, in relazione alla posizione

879 L’adattamento ermetico dell’uso di immagini mentalirientra nella storia dell’uso di immagini nell’ambito dell’artedella memoria classica.

880 Il metodo di raggruppamento su base trigesimale è colle-gato al lullismo, come si può vedere nel De umbris idearum,dove il primo «trenta» è un raggruppamento di concetti suuna ruota, ricavato direttamente dal lullismo, o piuttosto, dal-lo pseudo-lullismo (abbiamo omesso di discuterne, prima, a p.217). Le Arti lulliane erano basate sugli attributi divini in quan-to cause creative, e questi concetti di fondo variavano di nume-ro nelle diverse arti (cfr. il mio articolo Ramon Lull and JohnScotus Eriugena, «J.W.C.I.», XXIII (1960), pp. 1 sgg.). È inuna di queste opere lulliane che Bruno espone le ragioni dellasua scelta del «trenta» (De compendiosa architectura artis Lulli,Op. lat., II [II], p. 42). Bruno adatta il lullismo ai propri sco-

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che tale opera occupa nell’ambito dell’ermetismo, che èil tema del presente studio.

Prima di parlare delle «statue» con una forma preci-sa, Bruno prende in esame tre «non raffigurabili», deiquali non si può formare alcuna immagine. Si tratta delCaos, dell’Orco, della Notte. Il caos non è raffigurabilené con statue, né con figure, e non può essere immagi-nato; è spazio, che può venire conosciuto solo tramite lecose che contiene: e contiene l’universo infinito. L’Or-co segue al Caos, come il figlio al padre; è chiamato Or-co, o Abisso, perché la sua ampiezza corrisponde all’am-piezza del padre, il Caos; è attrazione infinita, un abis-so illimitato di bisogno che va alla ricerca della infinitàdel padre. La Notte è la figlia di Orco, e dunque uno deitre non raffigurabili; ma, tramite la ragione, essa divieneuna dea, la più antica fra gli dèi, e sotto questo aspettodiventa raffigurabile. Essa rappresenta la materia primae, come dea, può avere una statua che la raffigura, quel-la di una vecchia vestita di nero con ali nere d’immensaapertura881.

A questa triade inferiore di Caos, Orco e Notte vieneopposta una «triade superiore», composta dal Padre, omente, o pienezza; dal Figlio, o intelletto primario; edalla Luce, che è lo spirito di tutte le cose, o l’animamundi. Il Padre non è raffigurato da alcuna statua, ma ilsuo simbolo è la luce infinita; o una sfera infinita, il cuicentro è dovunque; o l’unità assoluta. Da intelligenzefinite come le nostre, la natura del Padre può esserecompresa solo come riflessa in uno specchio, così comenella caverna platonica si guardano ombre, e non la lucein sé; non le specie e le idee, ma le ombre di specie e di

pi. Cfr. il mio libro The Art of Memory, pp. 173 sgg., 208 sgg.e passim.

881 Op. lat., III, pp. 9-37.

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idee. Possiamo contemplare il suo aspetto solo nei suoieffetti e nelle sue vestigia882.

«Gli antichi teologi», continua Bruno, intendono perPadre la mente o mens, che genera l’intelletto, o il Figlio;e fra di essi è il fulgor, cioè la luce ovvero l’amore. Per-tanto si può contemplare, nel Padre, l’essenza delle es-senze; nel Figlio, la bellezza e l’amore della generazione;nel fulgor, o luce, lo spirito che tutto pervade e vivifica883.Si può così immaginare una triade: «pater, mens; fi-lium, verbum; et per verbum, universa sunt producta»884.Dalla mens procede l’intellectus; dall’intellectus procedel’affectus o amore. La mens è situata al di sopra di tutto;l’intellectus vede e dà ordine a tutte le cose; l’amore le fae le dispone. Quest’ultimo è luce, o fulgor, che riempiele cose ed è diffuso dappertutto. Perciò è chiamato ani-ma mundi e spiritus universorum, ed è di esso che parlaVirgilio, quando dice che «spiritus intus alit»885.

Penso che le cose siano andate così: la triade brunianaderiva dal Corpus Hermeticum, dove si parla di frequentedella mens come Padre; dove si definisce il «Filius Dei»come la Parola che procede da quello, e si menzionala luce, o spirito, o anima mundi886. Questi concetti,interpretati da Ficino, sull’autorità di Lattanzio, comeprefigurazioni o profezie della Trinità cristiana, sono ilnucleo centrale del neoplatonismo cristiano di Ficino,la cui terminologia viene qui ripresa in gran parte daBruno. Ma questi, in quanto seguace della tradizioneegiziana, ne respinge l’interpretazione cristiana e ritornaallo gnosticismo ermetico.

882 Ibid., pp. 37-43.883 Ibid., p. 44.884 Ibid., pp. 51-2.885 Ibid., pp. 53-4, 60.886 Cfr. supra.

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Dopo i «non raffigurabili» vengono i «raffigurabili»,le statue magiche interiori.

Prima è la statua di Apollo, o la monade. Egli sta inpiedi sul suo carro, a significare l’uno assoluto; è nudo,a significare la semplicità dell’uno; la stabilità e la con-sistenza dei suoi raggi significano la pura verità dell’u-no. Un corvo che vola davanti al suo viso significa l’uni-tà mediante la negazione del molteplice. Egli denota unsol genere, perché illumina tutte le stelle; una sola specie,perché illumina i dodici segni; un sol numero, medianteil leone, che è il suo segno; una sola congregazione, me-diante il coro delle Muse alle quali egli presiede; una so-la armonia o consonanza, un’unica sinfonia di molte vo-ci, simboleggiata dalla lira di Apollo, la quale viene dettalo spirito dell’universo887.

Questa può sembrare la descrizione del tutto normaledi una statua di Apollo, ma la sua natura magica otalismanica è indicata da taluni degli elementi usati, peresempio dal corvo, che vola davanti al suo viso e chericorda il talismano col corvo, già impiegato da Ficino888.

La statua di Saturno, o del principio, è costruita inbase a criteri simili; essa raffigura il solito vecchio con lafalce, su un carro trainato da cervi, come nell’immaginemagica di Saturno usata da Bruno nel De umbris889.

Fra le altre statue ci sono quelle di Prometeo, Vulca-no, Teti, del Sagittario, del monte Olimpo, di Celio, del-la Demogorgone, di Minerva (statua importante, questa,poiché rappresenta l’«estasi» o una «specie di continua-zione della ragione umana attraverso l’intelligenza demo-nica o divina»890), di Venere, del dardo di Cupido (que-

887 Op. lat., III, pp. 63-8.888 Cfr. supra.889 Op. lat., III. pp. 68-73; cfr. supra.890 Ibid., p. 142. Può darsi che Bruno si serva della Mytholo-

gia di Natalis Comes (da lui certamente conosciuta, cfr. Biblio-

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sta statua richiama la simbologia del De gli eroici furori),e di Eone. L’ordine della serie non ha carattere astrolo-gico, ma concettuale.

In quest’opera straordinaria si può scorgere, forse piùchiaramente che in qualsiasi altra, come il culto brunianodella religione egiziana, con le sue statue magiche, fossestato da lui trasferito nell’interiorità, nella vita immagi-nativa. Il suo era un culto interiore, non un culto esterio-re basato su riti e templi. Questo carattere interiore o in-dividuale dell’ermetismo permea gli stessi scritti ermeti-ci, che indicano sempre nel riflesso interiore – nella men-te umana fatta a immagine del creatore, dell’universo di-vino – il nucleo dell’esperienza religiosa. Inoltre, l’ope-ra sulle Trenta statue rivela come la filosofia di un uni-verso infinito e di mondi innumerevoli, che abbiamo so-pra definita un’estensione della gnosi, sia in realtà tratta-ta da Bruno da un punto di vista ermetico. E una filoso-fia che dev’essere proiettata nell’interiorità, come accadenella riflessione ermetica del mondo nella mente, talchépossa trasformarsi in una più ampia esperienza spiritua-le interiore che soddisfi l’infinito bisogno che l’anima hadell’infinità.

Così, sebbene non scrivesse uno Spaccio, o un De glieroici furori, il professore universitario di Wittenbergcoltivava intensamente la propria vita interiore e la pro-pria intima immaginazione, il che conferisce alle sue ope-re di questo periodo tutta la loro potenza.

Bruno prese affettuosamente commiato dall’universi-tà di Wittenberg con una Oratio valedictoria891. Egli dis-se ai dottori riuniti in consesso che, a differenza di Pari-de, egli aveva scelto Minerva fra le tre dee. Vedere Mi-

grafia, p.167), ma le analisi e interpretazioni bruniane delle sue«statue» sono impressionanti per complessità e profondità.

891 Op. lat., I (I), pp. 1 sgg.

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nerva significa diventare ciechi, esser saggi per suo mez-zo vuol dire diventar folli, poiché essa è Sofia, la Sapien-za stessa, bella come la luna, grande come il sole, terribi-le come gli eserciti schierati, pura perché nessuna lordu-ra può toccarla, degna di onore perché è l’immagine del-la stessa bontà, potente perché, essendo una, può far tut-to, gentile perché visita i popoli che le si sono consacratie rende gli uomini amici di Dio e profeti.

Lei ho amato e ricercato fin dalla prima giovinezza, ho deside-rato farla mia sposa, e sono diventato amante della sua bellez-za... e ho pregato... che venisse a vivere con me, a lavorare conme, perché potessi sapere quel che mi mancava, e che cosa fossebene accetto a Dio: perché essa aveva conoscenza e compren-sione, e mi avrebbe guidato assennatamente nel mio lavoro e miavrebbe tenuto sotto la sua tutela892.

In questa orazione si trova la genealogia di sapienti cheabbiamo citato più sopra; e l’elenco degli edificatori ger-manici del tempio della sapienza termina con un ampol-loso panegirico di Martin Lutero, cosa del resto inevita-bile in un indirizzo di omaggio rivolto a quella che erastata la sua università893.

Fu un discorso meraviglioso, nel corso del quale Bru-no trattò del Deus pater, la mens, isolato in una luce inac-cessibile, ma visibile all’intelletto umano nelle sue om-bre e nelle sue vestigia, nell’universo infinito e nei mon-di innumerevoli; e, nella chiusa, suggerì l’idea che lì, aWittenberg, dove tutte le nazioni del mondo venivano incerca di verità, la verità sarebbe stata trovata894. Le stesse

892 Ibid., p. 12.893 Op. lat., I (i), pp. 20 sgg. Su questa genealogia di sapienti

e sull’inclusione in essa di Lucrezio e Palingenio, cfr. supra.894 Ibid., pp. 21 sgg. Questa, almeno, è la mia interpretazione

del confuso e commosso simbolismo con cui Bruno esprime lasua gratitudine per Wittenberg e invoca benedizioni su di lei.

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cose egli aveva detto a proposito dell’Inghilterra, quan-do parlò del vaso che «s’aperse da se stesso» fra le Ninfedel Tamigi895.

Nella sua delazione contro Bruno fatta all’Inquisizio-ne, il Mocenigo riferisce che questi aveva detto di averavuto l’intenzione di «farsi autor di nuova setta sotto no-me di nuova filosofia»896. Altri informatori fecero la stes-sa insinuazione, aggiungendo che Bruno avrebbe volu-to chiamarla setta dei «Giordanisti», e che essa attiravaparticolarmente i luterani tedeschi897.

Ho già avuto occasione di pormi il problema se questi«Giordanisti» possano avere qualche rapporto con l’irri-solto mistero dell’origine dei Rosacroce, dei quali si sen-te parlare per la prima volta in Germania all’inizio delXVII secolo, presso circoli luterani898.

All’inizio del 1588 Bruno lasciò Wittenberg per Praga,dove si trattenne per circa sei mesi899. A Praga aveva lasua corte l’imperatore Rodolfo II, il quale dava protezio-ne ad astrologi e alchimisti di tutta Europa perché lo as-sistessero nella sua malinconica ricerca della pietra filo-sofale. Bruno era un ermetico che non praticava l’alchi-mia, ma cercò di interessare l’imperatore alla sua «ma-thesis», dedicandogli un libro che fu pubblicato a Pra-

895 Cfr. supra. Alla fine del discorso di Wittenberg ricorronoimmagini fluviali e di ninfe.

896 Documenti, p. 60.897 «E molte volte [Bruno] dicea che in Germania li anni

passati erano tenute in prezzo l’opere di Lutero ma che adessonon erano più stimate, perché doppo che hanno gustate l’operesue non vanno cercando altro, e che havea cominciata unanuova setta in Germania, e che se fosse liberato di prigionevoleva tornare a formarla et instituirla meglio, e che volea sichiamassero Giordanisti...» (Sommario, p. 61; cfr. anche ibid.,pp. 57, 59).

898 Cfr. più ampiamente in seguito, pp. 439-46.899 Documenti, p. 86.

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ga e che recava il titolo polemico di Articuli adversusmathematicos900. È certo una curiosa coincidenza che aquel tempo si trovasse a Praga anche Fabrizio Morden-te, nella posizione di astronomo imperiale!901

Il libro «contro i matematici» è illustrato da un’inte-ressante serie di diagrammi, alcuni dei quali sono quiriprodotti902. Essi hanno in apparenza uno stravagantecarattere geometrico, con occasionali inclusioni di ogget-ti singolari, come serpenti o liuti. Uno di essi, che por-ta il titolo egiziano di «Theuti radius», è decorato da unaserie di linee a serpentina e di punti che assomigliano avariazioni di qualche tema basato sui caratteri dei piane-ti. Un altro, altrettanto decorativo, ha il nome di «Theu-ti circulus». Persino i diagrammi che apparentementehanno carattere più geometrico sono ravvivati da stranidisegni floreali e di altro tipo, omessi nelle riproduzionidell’edizione del 1889903, dove essi assumono un aspettocalligrafico e sobrio di stile ottocentesco, del tutto estra-neo al carattere vivace degli originali904. Ritengo proba-bile che lo stesso Bruno abbia inciso le matrici di questidiagrammi, perché essi richiamano lo stile di quelli con-tenuti nel De triplici minimo, intagliati di propria manoda Bruno come afferma lo stampatore del libro905.

900 Op. lat., I (III), pp. 1 sgg. A Praga Bruno pubblicò, opiuttosto ripubblicò, anche un’opera lulliana.

901 Spampanato, Vita di Giordano Bruno, p. 429.902 Essi sono fotografati da una copia della Bibliothèque Na-

tionale (Rés. D2 5278) che è l’unica fra quelle conosciute a con-tenere tutti i diagrammi (cfr. Bibliografia, p. 138).

903 In Op. lat., I (III), a cura di Tocco e Vitelli.904 La stessa riproduzione modernizzata e ritoccata venne

fatta da Tocco e Vitelli nel caso dei diagrammi del De tripliciminimo, un’opera pubblicata nel medesimo volume delle Op.lat.; cfr. più avanti.

905 Cfr. più avanti.

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Ho trovato difficile mettere in rapporto la «mathesis»del testo con questi diagrammi, eccetto che per i primitre906, che sono variazioni sul tema dei cerchi intersecan-tisi. Il testo afferma chiaramente che il primo di essi èuna figura che rappresenta la mens universale; il secon-do rappresenta l’intellectus, e il terzo è la «figura del-l’amore», che concilia i contrari, e unifica il molteplicenell’uno907. Queste tre figure sono definite assai «fecon-de», non solo per la geometria ma per tutte le scienze, lacontemplazione e l’attività operativa908. Esse rappresen-tano quindi la trinità ermetica, quale è definita da Brunonell’opera sulle Trenta statue. La terza, l’amoris figura,reca scritta la parola Magia sul diagramma. Viene inoltredetto che queste tre figure sono richiamate nel testo conle seguenti abbreviazioni:

Figurae Mentis nota �Figurae Intellectus CFigurae Amoris ?

I primi due segni indicano il sole e la luna, il terzo è unastella a cinque punte. Ed effettivamente queste figurericorrono nel testo, disseminate qua e là, in mezzo adiscorsi su linee e cerchi, sfere e angeli, e così via. Non èdunque improbabile che questo libro sia stato scritto inqualche specie di linguaggio cifrato.

Non sappiamo se l’imperatore Rodolfo fosse in gradodi leggere il messaggio celato nella «mathesis»; certo,però, il senso della prefazione con la quale l’opera gliviene dedicata è chiaro. Ci sono alternanze di luce edi tenebre: l’età presente, sommersa nelle tenebre, ètormentata da lotte settarie. Infrangendo lo jus gentium

906 Op. lat., I (III), pp. 78-80.907 Ibid., pp. 20-1.908 Ibid., p. 21.

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e di conseguenza l’ordine istituito dal vero Dio, le sèttedissolvono i vincoli della società, mosse come sono daspiriti misantropici, ministri delle furie infernali, chefrappongono fra i popoli la spada della discordia, comese fossero dei Mercuri discesi dal cielo a compiere ognisorta di imposture. Esse pongono l’uomo contro l’uomoe infrangono la legge dell’amore che non è prerogativadi nessuna specie di setta cacodemonica, ma provieneda Dio, dal Padre di tutto, che riversa i suoi doni sulgiusto e sull’iniquo e decreta una filantropia generale.La vera religione deve essere immune da controversiee dispute, è una direzione dell’anima. Nessuno ha ildiritto di criticare o controllare le opinioni altrui, comeoggi avviene, quasi che tutto il mondo fosse ciecamentedominato dall’autorità di Aristotele o di qualche altraguida del genere. Ma noi solleviamo la testa verso ilmirabile splendore della luce, ascoltando la natura chegrida per essere ascoltata e perseguendo la sapienza insemplicità di spirito e con una onesta disposizione delcuore909.

Il messaggio del Nolano riferito ai tempi in cui egli vis-se non trovò mai una formulazione più chiara di questa,contenuta nella dedica a Rodolfo II. In essa sono presen-ti tutti i suoi temi abituali, le alternanze di luce e tene-bre, i «Mercuri discesi dal cielo» che, come sappiamo daaltri contesti nei quali si ritrova questa familiare espres-sione, distrussero la religione degli Egiziani, la religionenaturale che lo stesso Bruno segue e che non infrange lojus gentium e la legge universale dell’amore, come fan-no i settari fanatici, gli «aristotelici» che vogliono impor-re agli altri i loro pregiudizi. Pensava forse egli, soprat-tutto, alle condizioni attuali di Parigi sotto la Lega, cheavrebbero potuto essergli ricordate dalla presenza a Pra-ga di Fabrizio Mordente? In Inghilterra egli aveva avu-

909 Ibid., pp. 3-7.

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to essenzialmente di mira gli intolleranti protestanti in-glesi. Qualsiasi persecuzione religiosa, qualsiasi guerracondotta in nome della religione infrange la legge del-l’amore. Per quanto strana fosse la religione magica diBruno, per quanto straordinario e davvero sconcertanteil suo «egizianismo», essi non infrangevano però la leg-ge dell’amore come facevano invece i settari. Questo èl’aspetto nobile del filosofo degli «eroici furori».

L’imperatore donò a Bruno «trecento talari» per la sua«mathesis» adversus mathematicos910, ma non gli dette unimpiego o una sistemazione. E Bruno partì per Helm-städt.

«Iordanus Brunus Nolanus Italus» si immatricolòall’«Accademia Iulia» di Brunswick, ad Helmstädt, il 13gennaio 1589911. Questa università era stata fondata sol-tanto dodici anni prima, sulla base di princìpi liberali,dal duca Giulio di Brunswick-Wolfenbüttel. Giulio mo-rì poco dopo l’arrivo di Bruno, e a lui successe il figlioEnrico Giulio. La situazione religiosa ad Helmstädt eraestremamente fluida; il vecchio duca era stato protestan-te; il figlio, che gli successe, era nominalmente cattoli-co. Bruno ebbe delle noie con un pastore protestante diHelmstädt che lo scomunicò912, ma sembra che il giova-ne duca Enrico Giulio sia stato piuttosto cortese con lui,in quanto gli consentì di tenere all’università un’orazio-ne sulla morte del padre, il duca Giulio, fondatore del-

910 Documenti, p. 86. Il collega di John Dee, Edward Kelley,si trovava a Praga al tempo del soggiorno di Bruno e godeva delmassimo favore presso l’imperatore (cfr. C. Fell Smith, JohnDee, 1909, pp. 179 sgg.).

911 Documenti, p. 51. Sull’ambiente di Helmstädt al tempodel soggiorno di Bruno, cfr. Spampanato, Vita di GiordanoBruno, pp. 431 sgg.; W. Boulting, Giordano Bruno, London1914, pp. 214 sgg.

912 Documenti, p. 52.

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la medesima. Ancora una volta, così, il Nolano si trovanel suo elemento, in procinto di rivolgere uno dei suoioriginalissimi indirizzi ai dottori di una università.

L’Oratio consolatoria913 di Helmstädt non è così bril-lante come l’Oratio valedictoria di Wittenberg, ma è in-teressante in quanto rivela che Bruno si era attestato suuna posizione più radicalmente anticattolica ed antipa-pista di quella che aveva sostenuto in Inghilterra. Egliparla, ora, di una tirannide per mezzo della quale un cle-ro abietto sovverte l’ordine naturale, lo jus gentium, e lalegge civile in Italia e in Spagna, mentre Gallia e Belgiosono devastati da guerre di religione e alcune regioni te-desche sono in condizioni angosciose914. Nello Spaccioegli aveva sottolineato l’importanza di una restaurazionedella legge nella riforma celeste, ma il suo forte interes-se, che si manifesta sia in questa orazione sia nella dedi-ca praghese all’imperatore, per lo ius gentium, lascia for-se intravvedere l’influenza del suo amico Alberico Gen-tili, il fondatore del diritto internazionale915, che egli ave-va conosciuto in Inghilterra e trovato di nuovo a Witten-berg, dove grazie alla sua presentazione aveva ottenutol’insegnamento all’università.

Le lodi retoriche del defunto duca assumono un tonoparticolarmente bruniano quando il discorso si addentrafra le costellazioni australi e boreali, nelle quali ascendo-no le virtù di Giulio, mentre ne discendono i vizi916. C’è,qui, un preciso antipapismo, come quando l’anguicrini-to capo della Gorgone viene posto a simboleggiare il mo-stro della perfida tirannide papale che ha più lingue chenon capelli sulla testa, tutte blasfeme contro Dio, la na-

913 Op. lat., I (I), pp. 27 sgg.914 Ibid., p. 33.915 Con la sua opera famosa, il De legationibus.916 Op. lat., I (I), pp. 47 sgg.

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tura e l’uomo, e tali che infettano il mondo con il repel-lente veleno del vizio e dell’ignoranza917. Il discorso deli-nea così una riforma delle costellazioni che è stata com-piuta grazie alle virtù del defunto duca luterano, e che haun preciso carattere antipapista e anticattolico.

Per valutare appieno questa diversa impostazione del-la riforma celeste, rispetto a quella dello Spaccio, si de-ve confrontare la situazione europea del 1589 con quel-la del 1585. La Lega cattolica, con la sua violenta pro-paganda e con le sue violente azioni, si era assicurata ilcontrollo di Parigi fino dal 1586 (subito dopo la parten-za di Bruno); Enrico III venne assassinato nel 1589; inquel terribile anno l’assedio di Parigi, condotto dal Na-varra, era alle ultime fasi; l’anno precedente (1588) l’In-ghilterra aveva sconfitto l’Armada. Il tono tuttora cat-tolico dello Spaccio della bestia trionfante presupponevache alla riforma presiedesse un monarca cattolico libera-le e tollerante, Enrico III. Ma ora ciò non è più possibi-le, e la riforma assume un’ispirazione sempre più prote-stante e antipapista. Se l’oratore avesse avuto un caratte-re più normale, si dovrebbe tener nel debito conto il fat-to che egli era pagato per esaltare il defunto duca prote-stante; ma Bruno non aveva certo un carattere comune,e parlava sempre in base a ferme convinzioni.

Il duca Giulio di Brunswick-Wolfenbüttel viene cosìposto sullo stesso piano della «diva Elisabetta», comeuno, di quei principi eretici che Bruno aveva esaltato esul conto dei quali l’Inquisizione nutrì sospetti.

Al figlio del duca, Enrico Giulio, nominalmente cat-tolico, Bruno dedicò i poemi latini, che da anni venivacomponendo. Sebbene questi poemi non fossero pub-blicati a Helmstädt, come avvenne per l’Oratio consola-toria, ma a Francoforte, le dediche918 richiamano l’atmo-

917 Ibid., p. 49; Cfr. McIntyre, Giordano Bruno, pp. 60-1.918 Op. lat. I (I), pp. 193-9 e Op. lat., I (III), pp. 123-4.

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sfera del periodo di Helmstädt. In una di queste Brunoricorda a Enrico Giulio, che era insieme duca e vescovo,che al tempo di Ermete Trismegisto i sacerdoti erano, re,e i re sacerdoti919.

Fu probabilmente durante la permanenza ad Helm-städt che Bruno scrisse diverse opere sulla magia fraquelle conservate nel manoscritto Noroff, ivi compresiil De magia, dove si prendono in esame i vari metodi perottenere un «legame» con i demoni e dove si delinea unapsicologia magica dell’immaginazione, e il De vinculis ingenere, anch’esso dedicato ai «legami». Sempre a Helm-städt, inoltre, può darsi che siano stati trascritti dal Be-sler, per Bruno, i brani di Agrippa, Tritemio, e di altreopere magiche920.

Con il denaro ricevuto da Enrico Giulio per l’orazionesulla morte del padre, Bruno si recò a Francoforte «a farstampar doi libri»921. Egli prese contatti con lo stampato-re Giovanni Wechel922, e lo impegnò nella pubblicazionedei lunghi poemi latini, la cui composizione aveva pro-babilmente iniziato in Inghilterra e alla quale aveva atte-so durante tutte le sue peregrinazioni. Gli appassiona-ti ammiratori della filosofia bruniana si sono spesso limi-tati ai dialoghi italiani scritti in Inghilterra923, che, se let-ti astraendoli dal loro contesto inglese e senza una pienacomprensione dell’appartenenza di Bruno alla tradizio-ne dei Magi rinascimentali, possono essere stranamentefraintesi. I poemi latini ripropongono l’intero messaggiobruniano ma in una forma molto meno attraente dei dia-loghi italiani. Questo è forse un altro drammatico motivo

919 Op. lat., I (I), p. 193.920 Cfr. Op. lat., III, introduzione, pp. XXVII-XXIX.921 Documenti, p. 86.922 Spampanato, Vita di Giordano Bruno, pp. 446 sgg.923 Alcuni ammiratori di Bruno, d’altra parte, hanno consi-

derato il De immenso il suo capolavoro.

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dell’incomprensione di Bruno, perché egli era un poeta,se pure non un buon poeta latino, e il simbolismo ma-gico è alla base del suo messaggio. La magia di questosuo simbolismo suggestiona il lettore dei dialoghi italia-ni, e lo stesso fuoco e lo stesso entusiasmo percorrono ilunghi poemi latini. Ma ci vuole davvero un entusiasmoeroico per leggere da cima a fondo il De immenso, innu-merabilibus et infigurabilibus924, il De triplici minimo etmensura925, e il De monade numero et figura926.

I poemi sono scritti a imitazione di Lucrezio. Il Deimmenso riespone nella sua forma più matura la filoso-fia dell’universo infinito e dei mondi innumerevoli cheBruno aveva derivato da Lucrezio, ravvivandola con ilmotivo dell’animazione universale della filosofia magi-ca e utilizzandola, secondo il metodo ermetico, per ri-flettere nella mens l’universo nella sua forma immensa-mente estesa e assorbire in tal modo la divinità infinita.Ho citato più sopra927 le parole del commento all’iniziodel poema, in cui il brano dell’Asclepius «magnum mira-culum est homo» viene dilatato fino a includere l’infini-tà che l’uomo, il gran miracolo, deve aprirsi a ricevere.L’immenso e l’innumerabile sono quei «non raffigurabi-li» che nell’opera sulle Trenta statue vengono riflessi in-teriormente per soddisfare l’infinito bisogno che l’animaha dell’infinito928.

924 Op. lat., I (I), pp. 191 sgg. e Op. lat., I (II), pp. 1 sgg.925 Op. lat., I (III), pp. 119 sgg.926 Op. lat., I (II), pp. 319 sgg. Sono stati di recente scoperti

a Jena i manoscritti di due brevi opere bruniane che sonostrettamente collegate al De triplici minimo e al De monade. Essisono stati pubblicati da G. Aquilecchia in «Atti dell’Accademiadei Lincei», vol. XVII, 1962.

927 Cfr. supra.928 Cfr. supra.

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Nel De minimo Bruno riflette sull’infinitamente picco-lo, i minima, dei quali il mondo è composto. Questi ele-menti minimi o monadi si connettono agli atomi demo-critei, la cui nozione Bruno riprende, ancora una volta,dal poema di Lucrezio. Nel De magia929 Bruno introdu-ce gli atomi quando viene a parlare dello spiritus, e cosìnel De rerum principiis elementis et causis930.

Ma c’è qualche cosa d’altro nei due poemi latini sul-l’immenso e sul minimo, qualche cosa che non si può fa-re a meno di pensare che sia stata quasi deliberatamen-te nascosta in periferici passi filosofici. Nel De immensovengono aspramente attaccati coloro che hanno distruttola religione egiziana, per cui «sepulta est lux», e crudel-tà, scismi, costumi perversi e disprezzo della legge si so-no diffusi per il mondo931. Nel misterioso titolo del bra-no viene menzionata la profezia di Mercurio contenutanel Pimander, e ciò non lascia dubbio che siamo, anco-ra una volta, davanti alla ben nota interpretazione bru-niana del Lamento, nel senso dell’attribuzione ai cristia-ni della distruzione della buona religione. Al lettore delDe minimo, verso la fine, si ridesta l’attenzione, quan-do si trova davanti tre figure chiamate «Atrium Apolli-nis», «Atrium Minervae» e «Atrium Veneris», che ven-gono descritte come figure estremamente feconde, e «si-gilli» degli archetipi delle cose932. Se il lettore è un de-voto discepolo di Giordano, si ricorderà di aver trova-to già prima queste stesse figure, o almeno figure esatta-mente simili, e precisamente negli Articuli adversus ma-thematicos, dove esse avevano la funzione di sigilli della

929 Op. lat., III, p. 416.930 Ibid., p. 535. D. W. Singer (Giordano Bruno, cit., p.

71) parla di «metabolismo cosmico» bruniano in connessioneal moto eterno dei minima.

931 Op. lat., I (II), pp. 171-2.932 Op. lat., I (III), pp. 277-83.

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trinità costituita da mens, intellectus e amor, sigilli «con-tro i matematici» che, nella prefazione rivolta all’impe-ratore Rodolfo, sembra vengano identificati con le sèt-te cristiane in lotta fra loro che debbono cedere il postoa una religione dell’amore e a un culto della natura. Sepoi il discepolo è tanto devoto giordanista da essere sta-to con Bruno a Parigi, si domanderà, esaminando i duediagrammi intitolati «Plectrum Mordentii», e «QuadraMordentii»933, se essi non abbiano qualcosa che vederecon la controversia intorno a un compasso tenuta a Pari-gi sotto il dominio della Lega. L’intero libro De mensura,posto in appendice al De triplici minimo, mi sembra deltutto peculiare. Anche se Bruno sembra passare in rasse-gna i vari tipi di figure geometriche, perché mai simili fi-gure dovrebbero «aprire una via per le Charites (Grazie)di Ermete»?934 O perché si dovrebbe trovare una «Cha-ritis domus» in un triangolo formato da Bacco, Diana edErmete?935

Quando si esaminano nelle edizioni originali i dia-grammi dei tre poemi latini pubblicati da Wechel a Fran-coforte, si scopre che i diagrammi del De triplici minimoet mensura differiscono sensibilmente da quelli delle al-tre due opere, in quanto sono pieni di stelle, fiori, fogliee altri elementi fantastici. I curatori delle opere latine diBruno, pubblicando questi diagrammi, ne hanno ripro-dotto solo la elementare forma geometrica936, omettendo

933 Op. lat., I (III), pp. 253, 256.934 Ibid., p. 323.935 Ibid., p. 333.936 Il De triplici minimo et mensura è in Op. lat., I (III), a

cura di Tocco e Vitelli, Firenze 1899. Poiché molti diagram-mi riprodotti nel De triplici minimo compaiono in altre operesenza le stelle e altre aggiunte, Tocco e Vitelli presumibilmen-te ritennero giustificato considerarle abbellimenti superflui dapoter omettere.

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le stelle e gli altri particolari, che essi devono avere consi-derato pure decorazioni prive di senso (così come hannosfrondato i diagrammi degli Articuli adversus mathema-ticos). E tuttavia lo stampatore Wechel, nella dedica delDe triplici minimo ad Enrico Giulio afferma che Brunoincise con le sue mani tali diagrammi937. Lo stesso Brunodeve aver dunque attribuito qualche significato alle mol-te stelle e alle loro molteplici caratteristiche. Una spie-gazione del mistero potrebbe essere questa: che Brunofondasse in Germania qualche setta ermetica (i «Giorda-nisti» ai quali si accenna nel Sommario) e che simili figu-re fossero simboli di quella setta. Vien fatto di chieder-si se le lettere che figurano su alcuni diagrammi possanonascondere qualche messaggio cifrato. Certo, la pletoradi stelle che li caratterizza non può fare a meno di me-ravigliare. Nella sua opera «contro i matematici», Brunousava la stella con il significato di «amor»938.

Il terzo poema latino pubblicato a Francoforte, il Demonade numero et figura939, è uno studio sui numeri e sulloro significato; inizia con la monade, quindi prende inesame il due, il tre, e così via. Esso si fonda sui capito-

937 «Non schemata solum ipse [cioè Bruno] sua manu sculp-sit, sed etiam operarum se in eodem correctorem praebuit»(Op. lat., I [III], p. 123). Non è impossibile che Wechel possaessere stato uno stampatore seguace di una società segreta. Unostampatore del medesimo nome, Andreas Wechel, aveva fattonel passato della sua casa di Francoforte un luogo d’incontroper viaggiatori di tutte le parti dell’Europa (cfr. J. A. Van Dor-sten, Poets, Patrons and Professors, Leiden 1962, p. 30). Co-me è ben noto, Philip Sidney si trattenne presso Andreas We-chel in occasione del suo primo viaggio continentale. Il JohnWechel che stampa i libri di Bruno non è tuttavia la medesimapersona.

938 Cfr. supra.939 Op. lat., I (II), pp. 319 sgg.

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li che, su questi numeri, ha scritto Cornelio Agrippa940,come già da tempo è stato posto in luce941. Ma Bru-no altera gli schemi di Agrippa. Quest’ultimo, tuttorafermo su una posizione di palese derivazione ortodos-sa dai Magi cristiani, attribuisce ai numeri un significatocristiano-trinitario, pseudo-dionisiano e cabalistico. Bru-no prescinde da tali aspetti e i suoi numeri assumono uncarattere puramente «egiziano» ovvero ermetico, o pi-tagorico. Si tratta dello stesso sviluppo della numero-logia che abbiamo studiato nello Spaccio o negli Eroi-ci furori, un mutamento di dosaggio per cui l’elementoermetico-egiziano diventa prevalente.

Per ciascun numero Agrippa elabora una scala, conla quale egli esprime i significati del numero a diversi li-velli. Per esempio, nella scala del numero tre942, il si-gnificato più alto, o archetipo, è costituito dal nome diDio, composto da tre lettere (in ebraico), che significa-no il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, cioè la Trinitàcristiana. Nel mondo intellettuale questo numero signi-fica le tre gerarchie angeliche, e cioè le nove gerarchiepseudo-dionisiane riunite in tre gruppi che rappresenta-no la Trinità. Nel mondo celeste, il tre si riferisce alletre suddivisioni quaternarie dei segni (dello zodiaco), aquelle delle case (di un oroscopo), e alle tre triplicità; nelmondo elementare esso si riferisce ai tre gradi di elemen-ti; nel mondo minore, cioè nel microcosmo o uomo, es-so si riferisce alle tre principali parti del corpo umano, latesta, il petto e l’addome. Nel mondo infernale, infine,indica, tre furie infernali, tre giudici infernali, e tre livellidei dannati.

940 Agrippa, De occult. phil., II, 4-13.941 F. Tocco, Le fonti più recenti della filosofia del Bruno,

Roma 1892, p. 71.942 Agrippa, De occult. phil., II, 5.

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Nel capitolo sul tre del poema di Bruno non si par-la mai della Trinità: la triade è costituita da Mens, In-tellectus, Amor, oppure da altri analoghi raggruppamen-ti ternari come, per esempio Veritas, Pulchritudo, Boni-tas, cioè le tre Grazie. Bruno presenta anche un gruppoternario composto da Unitas, Veritas, Bonitas. E, per il-lustrare il tre, egli si serve di tre soli, che corrispondonoa Vita, Intellectus (che può essere equiparato alla Paro-la) e Generatio, dei quali si dice che si trovano entro unarcobaleno di tre colori943. Ho molto compendiato tuttoquello che Bruno dice a proposito del tre, ma quanto ri-portato mi sembra sufficiente a chiarire che la sua posi-zione, se confrontata con quella di Agrippa, non è trini-taria in senso cristiano, ma solo in senso neoplatonico oermetico.

Un buon metodo per prepararsi allo studio della nu-merologia bruniana sarebbe quello di imparare a cono-scere, prima di tutto, i principali capitoli di Agrippa;poi di confrontarli scrupolosamente con il De monadedi Bruno; infine, di proseguire con i «Numeri divini» diRobert Fludd944. Fludd si muove sullo stesso piano, esa-mina i numeri e i loro significati nello stesso contesto delbinomio macrocosmo-microcosmo, ma rifacendosi allainterpretazione cristiana di mens, intellectus-Parola, ani-ma mundi, come elementi rappresentativi della Trinitàcristiana. Fludd ricorda il venerato Ermete Trismegistoquasi ad ogni passo, ma la Trinità, gli angeli, il cabalismo,sono, ancora una volta, correttamente inseriti nel conte-

943 Op. lat., I (II), pp. 358-69. Una raffigurazione moltosimile a questa, con tre soli entro un arcobaleno, appare sottoforma di «portento» in una incisione di una delle profeziedi William Lilly (W. Lilly, An Astrological Prediction of theOccurences in England, Part of the years 1648, 1649, 1650,stampato da T. B., 1648).

944 R. Fludd, Utriusnue cosmi historia, parte II («Microcosmiistoria»), Oppenheim 1619, pp. 19 sgg.

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sto nel quale si muoveva, per operare o pensare, un ma-go cristiano. Studiata in questa prospettiva, a confron-to con le posizioni di Agrippa e di Fludd, l’eccentricitàdella numerologia bruniana risalta con tutta chiarezza, esembra anch’essa dovuta – come la sua complessiva po-sizione di mago rinascimentale – al suo rifiuto dell’inter-pretazione cristiana degli Hermetica e all’esasperazionedel suo «egizianismo», implicito in quel rifiuto.

Un aspetto considerevole del De monade è l’uso bru-niano del commento necromantico di Cecco d’Ascoli al-la Sfera del Sacrobosco. Come ho già suggerito945, è pro-babile che Bruno abbia derivato il titolo del suo librosulla memoria magica pubblicato durante il suo primosoggiorno parigino, il De umbris idearum, da Cecco chemenziona un libro magico di Salomone con questo stes-so titolo. Nel De monade si trovano lunghe citazioni daCecco, ricordato come «Ciccus Asculanus (tempus lucisnactus)»946, dal che si deduce quale alta opinione Brunoavesse del negromante, arso dall’Inquisizione nel 1327.La più lunga citazione da Cecco compare quando Brunogiunge a parlare del dieci, il numero sacro alle dieci sefi-rot. Egli parla delle sefirot ma, successivamente, descriveordini di demoni o spiriti, le gerarchie dei quali si pos-sono contemplare nell’intersezione dei cerchi. «Questi[gli ordini dei demoni] si contemplano nell’intersezionedei cerchi, come dice Astofonte nel liber mineralium con-

945 Cfr. supra.946 Op. lat., I (II), p. 467. Le pp. 466-8 sono tutte

strettamente basate sul commento di Cecco, come risulta da unloro confronto con Lynn Thorndike, The Sphere of Sacroboscoand its Commentators, Chicago 1948, Commento di Ceccod’Ascoli, pp. 396-9. È perciò significativo che Bruno menzioniin questo contesto il suo libro perduto sulla sfera («Et ego,in libro de sphaera», p. 466). Si può quindi supporre chequesto libro, andato perduto, fosse con ogni probabilità basatosu Cecco.

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stellatorum. Oh che grande potere – egli dice – si trovanell’intersezione dei cerchi!»947. Si tratta di una citazio-ne della citazione di Cecco da questo Astofonte, il qua-le non viene mai ricordato altrove, ed è probabilmenteuna invenzione di Cecco948. Il brano lascia comprende-re perché l’intersezione dei cerchi sia un aspetto tanto ri-corrente nei diagrammi con i quali Bruno rappresenta lasua trinità ermetica, e, in generale, in molti dei suoi dìa-grammi. Bruno nutre anche un forte interesse per il de-mone Floron, menzionato, secondo Cecco, nel Liber deumbris di Salomone, come signore del settentrione. Flo-ron viene evocato con specchi magici e sembra che origi-nariamente appartenesse all’ordine dei cherubini. Tuttiquesti motivi Bruno li riprende da Cecco949.

Questo è proprio il tipo di magia che era stato con tan-ta cura eliminato e soppiantato da Pico quando aveva in-trodotto, con la cabala pratica, un metodo nuovo, coltoe sicuro per collegarsi con gli angeli. Il ritorno di Brunoa un totale «egizianismo» significa che egli ritorna a unmetodo evocatorio vecchio stile, di carattere francamen-te demonico. La figura finale del De monade bruniano950

è un triangolo inclinato di traverso, con tre curiosi og-getti arricciolati, simili a vermi, al di fuori di esso. Sono

947 Op. lat., I (II), p. 466.948 Thorndike, Sphere, p. 405; cfr. l’introduzione di Thorn-

dike, p. 54, su Astofonte come invenzione di Cecco.949 Op. lat., I (II), pp. 467-8; Thorndike, Sphere, pp. 398-

9, 407-8, e History of Magic and Experimental Science, II, p.965. Secondo Cecco, il demone Floron veniva imprigionatoin uno specchio di acciaio mediante una potente invocazione econosceva molti segreti della natura. A ciò allude Bruno nelloSpaccio (dial. 1) sotto la costellazione settentrionale dell’Orsa:«là dove gli maghi del specchio calibeo cercano gli oracoli deFloron, uno de’ grandi principi de gli arctici spiriti» (Dial. ital.,p. 617).

950 Bruno, Op. lat., I (II), p. 473.

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propensa a credere che essi intendano rappresentare «le-gami» con i demoni. C’è un altro elemento arricciolatoin una delle figure che si trovano negli Articuli adversusmathematicos951.

Si confronti tutto ciò con il metodo evocatorio di JohnDee e Kelley, così angustiati dalla possibilità di imbatter-si in demoni e così attenti a limitare i loro contatti conangeli buoni e santi. Si confronti questo atteggiamentocon la profonda pietà di Pico della Mirandola. AncheAgrippa, vien fatto di pensare, ne sarebbe rimasto scos-so.

Ritengo che questi strambi diagrammi, che si trovanonelle opere di Bruno, siano ciò che egli chiamava «ma-thesis». Si ricorderà che, nell’opera sui Trenta sigilli,egli dice che le quattro guide della religione sono Amo-re, Magia, Arte e Mathesis. Per Arte credo che egli in-tendesse la sua interpretazione, così poco ortodossa, del-l’arte di Raimondo Lullo. Per definire la «mathesis», eglidice che Pitagora e Platone sapevano come indagare ar-gomenti profondi e difficili grazie a metodi matematici.E questa è una normale posizione pitagorica o simboli-ca rispetto al numero. Ma subito egli aggiunge che fra i«mathemata» e il mondo fisico resta uno spazio nel qua-le possono essere indotte le forze naturali delle cose, co-me è stato fatto dai Magi. E ciò, confermato da Eraclito,Epicuro, Sinesio e Proclo, è servito in misura notevole ainecromanti per le loro pratiche952. (Si osservi, en passant,in che curiosa compagnia Bruno releghi Epicuro.)

Né il numero simbolico dei pitagorici né l’uso secondola «mathesis» del numero hanno nulla che fare con la«magia artificiale reale» capace di produrre granchi ecolombe meccanici. Bruno non si trova affatto sullalinea del progresso della scienza matematica e di quella

951 Op. lat., I (III), p. 87.952 Sigillus sigillorum, Op. lat., II (II), pp. 196-7.

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meccanica. Egli è piuttosto un reazionario che vuolericacciare il diagramma copernicano o l’invenzione delcompasso nell’ambito della «mathesis».

Ma è certo che a Giordano Bruno non ci si può acco-stare soltanto da un punto di vista strettamente scientifi-co o filosofico. Se lo si segue nei suoi pellegrinaggi, si ac-quista l’impressione sempre più fondata che la nuova fi-losofia fosse un messaggio religioso e che alcuni fra i dia-grammi che si trovano nelle sue opere possano alludereai simboli di una setta.

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XVIII. GIORDANO BRUNO: L’ULTIMA OPERAPUBBLICATA

Il soggiorno di Bruno a Francoforte, dove furono stam-pati i tre poemi latini, avvenne in due riprese: egli visi recò infatti verso la metà del 1590 e, dopo aver fat-to un viaggio in Svizzera nel corso del 1591, vi ritornònuovamente953.

Un curioso personaggio di nome Hainzell (JohannesHenricius Haincelius), nativo di Augusta, aveva da pocoacquistato una proprietà ad Elgg, vicino a Zurigo. Costuisi interessava di alchimia e di varie specie di occultismoe di magia e offriva liberale ospitalità a tutti coloro cheavevano fama di competenza in simili arti954. Brunosi trattenne presso di lui per diversi mesi, e fu per lostravagante signore di Helgg che egli scrisse un’opera dalui stesso considerata molto importante. Si tratta del Deimaginum, signorum et idearum compositione955, dedicataad Hainzell e pubblicata a Francoforte da Wechel nel1591. Bruno la scrisse probabilmente ad Helgg o aZurigo dove si fermò per un certo tempo e portò con séil manoscritto facendo ritorno a Francoforte. Fu questol’ultimo libro da lui pubblicato.

È un sistema mnemonico magico che ha punti in co-mune con il De umbris idearum, pubblicato durante ilprimo viaggio a Parigi e dedicato a Enrico III. Come siricorderà956, tale sistema si basava su centocinquanta im-

953 Spampanato, Vita di Giordano Bruno, pp. 446 sgg.; McIn-tyre, Giordano Bruno, pp. 62 sgg.

954 Spampanato, op. cit., pp. 449-50; McIntyre, op. cit., p.64.

955 Op. lat., II (III), pp. 85 sgg.956 Cfr. supra.

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magini magiche o talismaniche: immagini dei demoni de-cani egiziani, di pianeti e di altro tipo. Intorno ad esse,su cerchi concentrici, erano disposte immagini di anima-li, piante, pietre, ecc., l’intero mondo della creazione fi-sica, e sul cerchio più esterno tutte le arti e le scienzeraffigurate con le immagini di centocinquanta inventorie grandi uomini. Le immagini magiche centrali forma-vano, per così dire, il nucleo di irradiazione dell’energiache investiva l’intero sistema. Quest’ultimo era attribui-to a «Ermete» e si è pensato che ciò sia connesso all’espe-rienza, descritta in uno dei trattati ermetici, dell’iniziatoche riflette nella propria mente l’intero universo in un at-teggiamento estatico grazie al quale egli diventa tutt’unocon le Potestà.

Nel De imaginum, signorum et idearum connpositio-ne troviamo un’idea simile ma in una forma più elabo-rata. Il nucleo magico centrale da cui si irradia l’energiache investe l’intero sistema è ora rappresentato da dodici«princìpi». Si tratta dei poteri o delle forze di una perso-nalità. I contenuti dell’universo, arti, scienze e via dicen-do, sono disposti o, per meglio dire, collocati alla rinfu-sa in una singolarissima ed elaborata serie di stanze, atri,e divisioni. Tale disposizione si richiama alle mnemoni-che classiche in cui si cercava di ricordare determinatenozioni ricorrendo a immagini collocate ordinatamentein singoli luoghi memorizzati di edifici. Ma anche questaarchitettura mnemonica viene trasfigurata magicamentenel rozzo schema bruniano, poiché alcuni dei vari setto-ri di localizzazione mnemonica del libro risultano pale-semente connessi al «sigillo» ermetico, come si può con-statare confrontando questi supposti schemi mnemonicicon i «sigilli» di altre opere. Non voglio certo disorien-tare il lettore facendogli percorrere queste magiche stan-ze mnemoniche, ma i dodici princìpi o poteri centrali sucui si basa l’intero schema sono interessanti in quanto

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ci richiamano alla mente gli dèi dello Spaccio della bestiatrionfante.

I dodici «princìpi» del De imaginum compositione, al-cuni dei quali sono associati ad altri o dividono con essiil medesimo «campo», sono i seguenti: Giove con Giu-none; Saturno; Marte; Mercurio; Minerva; Apollo; Escu-lapio accompagnato da Circe, Arione e Orfeo; il Sole; laLuna; Venere; Cupido; la Terra insieme a Oceano, Net-tuno e Plutone957.

Se disponiamo questi dodici princìpi su una colonnae a fianco di essa riportiamo gli dèi protagonisti delloSpaccio, quelli cioè che tengono il concilio per la riformadel cielo, otteniamo questo risultato:

Come si può facilmente vedere dal confronto delle duecolonne, c’è una notevole somiglianza fra gli dèi del-lo Spaccio e i «princìpi» del De imaginum compositione.Molti di essi, meglio sarebbe dire la maggior parte, so-no gli stessi. Si osserva, inoltre, una somiglianza genera-

957 Op. lat., II (III), pp. 200-77.

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le nel fatto che entrambe le liste contengono i sette dèiplanetari insieme ad altri princìpi non planetari. Persi-no questi ultimi sono fra di loro alquanto simili; Miner-va compare in entrambe le liste; se introduciamo insie-me ad Apollo nella colonna dello Spaccio Circe, Medeaed Esculapio che stanno dalla parte di Apollo nel con-sesso celeste, abbiamo qualcosa di corrispondente al cu-rioso gruppo capeggiato da Esculapio del De imaginumcompositione; infine, se ricordiamo che Iside ha tra i suoisignificati quello di terra o di natura, troviamo anche quiuna certa corrispondenza all’Iside dello Spaccio nel grup-po capeggiato dalla Terra dell’altra opera bruniana.

Vien fatto subito di pensare, in connessione con que-sti «principi», alle dodici divinità dell’Olimpo che Mani-lio associa ai vari segni dello zodiaco, e cioè Minerva, Ve-nere, Apollo, Mercurio, Giove, Cerere, Vulcano, Marte,Diana, Vesta, Giunone e Nettuno. Non è da escludereche Bruno avesse presente questa serie di divinità ma, co-me suo solito, egli adatta e modifica uno schema conven-zionale per conformarlo ai suoi scopi. Indubbiamente i«princìpi» bruniani hanno uno spiccato aspetto astrolo-gico poiché i sette corrispondenti ai sette pianeti (Gio-ve, Saturno, Marte, Mercurio, Apollo-Sole, Luna, Vene-re) sono raffigurati da incisioni in cui gli dèi planetari ap-paiono sui rispettivi carri secondo l’iconografia ricavatada un’edizione di Igino958.

Non solo i princìpi del De imaginum compositionehanno un carattere piuttosto simile agli dèi dello Spaccio,ma nella prima di queste opere troviamo complessi elen-chi di epiteti riferiti a ciascun principio e questi epiteti ri-cordano molto da vicino quelle virtù e vizi, quelle quali-tà buone e cattive che ascendono nelle costellazioni e nediscendono allorché, nello Spaccio, il cielo viene riforma-to dal gruppo centrale di dèi. Per esempio, il primo prin-

958 Igino, Fabularum liber, Parigi 1578.

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cipio, Giove, nel De imaginiim compositione è precedutoda Causa, Principio, Inizio; intorno ad esso sono dispostiPaternità, Potere, Dominio: lo coronano Consiglio, Ve-rità, Pietà, Rettitudine, Semplicità, Servizio amorevole,Tranquillità, Libertà, Asilo; alla destra del suo carro tro-viamo Vita, Innocenza incorrotta, Integrità inflessibile,Clemenza, Ilarità, Moderazione, Tolleranza; alla sua sini-stra Orgoglio, Ostentazione, Ambizione, Demenza, Va-nità, Disprezzo verso gli altri, Usurpazione959. Con stu-pefacente esuberanza Bruno dissemina epiteti come que-sti in riferimento a tutti i princìpi e l’esempio sopra citatoè soltanto una piccola parte di quelli attribuiti a Giove. Ilettori dello Spaccio riconosceranno subito che questi so-no del medesimo tipo di quelli introdotti in tale operaper descrivere la riforma dei cieli. Se dovessimo usare iprecedenti epiteti riferiti a Giove alla maniera dello Spac-cio, diremmo che nella tale costellazione ascendono, peresempio, «Semplicità», «amorevole Servitude», «Tran-quillità» e via dicendo, spodestando i loro rispettivi op-posti «Iattanzia», «Furia», «Dispreggio d’altri», «Usur-pazione», ecc., che sono pertanto costretti a scendere inbasso. Nel De imaginum compositione Bruno non descri-ve le costellazioni né fa ricorso al concetto di ascesa ediscesa da esse di tutti questi vizi e qualità efficacemen-te caratterizzati, ma è chiaro che il suo pensiero si muo-ve lungo le stesse linee dello Spaccio e che gli epiteti ri-feriti ai princìpi costituiscono nient’altro che il materia-le grezzo di una riforma sul tipo di quella descritta nelloSpaccio.

Di fatto il De imaginum compositione offre la chiaveper intendere l’accezione in cui gli epiteti vengono usatinello Spaccio. Nell’esempio sopra citato di Giove possia-mo vedere come gli epiteti buoni appartengano a Giovevisto sia sotto forma di principio filosofico (Causa, Prin-

959 Op. lat., II (III), pp. 202-5.

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cipio, Inizio), sia in veste di divinità planetaria le cui ca-ratteristiche sono la «giovialità» e la benevolenza. Es-so è il pianeta speciale dei reggitori. Gli epiteti positividi Giove configurano un tipo di governo buono, giovia-le e benevolo, associato a Clemenza, Ilarità, Moderazio-ne, Tolleranza. Gli epiteti negativi di Giove appartengo-no all’aspetto negativo del pianeta e al cattivo reggitore:Orgoglio, Ambizione, Disprezzo verso gli altri, Usurpa-zione.

È stato in base al mio studio degli epiteti contenuti nelDe imaginum compositione e di come essi si riferiscanoad aspetti di volta in volta positivi e negativi di infiussiplanetari che, nel capitolo sullo Spaccio, ho definito la ri-forma come rappresentativa di una effettiva vittoria degliaspetti positivi degli influssi astrali su quelli negativi960. Ilmodo più appropriato per studiare lo Spaccio è di corre-lare gli epiteti in esso contenuti con quelli del De imagi-num compositione da cui si ricavano i pianeti ai quali gliepiteti singolarmente si riferiscono.

Inoltre, nel De imaginum compositione gli epiteti diSaturno sono pressoché tutti negativi in quanto rappre-sentano caratteristiche come lo Squallore, la Tetraggine,la Severità, la Rigidezza; altrettanto dicasi per gli epite-ti di Marte: Ferocia, Intransigenza rabbiosa, Truculen-za implacabile961. Esaminando le varie costellazioni delloSpaccio e osservando le qualità negative che ne vengonocacciate, risulta evidente, da un paragone con gli epite-ti attribuiti a Saturno e a Marte nel De imaginum compo-sitione, come nella riforma celeste Saturno e Marte sia-no sopraffatti dall’influsso dei pianeti buoni quali Giove,Venere e Sole. Davvero leggiadri sono alcuni epiteti diVenere e Cupido formulati nel De imaginum compositio-ne: dolce Unanimità, placido Consenso, santa Amicizia,

960 Cfr. supra.961 Op. lat., II (III), pp. 207 sgg.; pp. 221 sgg.

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innocua Gaiezza, Armonia delle cose, Unione962; concet-ti simili, insieme ad altri analoghi riferiti a Giove, si ri-trovano nella riforma celeste dello Spaccio in sostituzionedelle pessime qualità di Marte e di Saturno.

Come nello Spaccio, il Sole ha un’importanza centra-le nel De imaginum compositione. Il nucleo centrale del-la lista di princìpi è ricavato da un gruppo composto in-teramente da attributi di carattere solare. Dapprima tro-viamo Apollo963, insieme a Ricchezza, Abbondanza, Fer-tilità, Munificenza. Seguono poi Esculapio964, figlio diApollo, con Circe, figlia del Sole, e Orfeo e Arione965.Questo gruppo è complessivamente di carattere magicoe rappresenta la magia benefica. Esculapio è Guarigionepiacevole, e vigorosa Salubrità, fra le altre cose. Circe èla magia, potentissima, e la sua potenza può essere usatasia a scopi benefici che malefici. Orfeo e Arione rappre-sentano, a mio parere, incantesimi solari. Infine, semprein questo gruppo, troviamo lo stesso Sole966 inteso comeTempo, Durata, Eternità, Giorno e Notte.

Come nello Spaccio, i princìpi centrali del De imagi-num compositione hanno carattere solare e magico. Sia-mo qui in presenza di quella stessa riforma magica a cuiBruno continua ripetutamente a volgere la mente così co-me vi aveva all’incirca pensato qualche anno prima in In-ghilterra.

Inoltre, l’applicazione della riforma magica alla situa-zione attuale traspare con perfetta evidenza dal modo incui gli epiteti vengono usati nel De imaginum compositio-ne, così come avviene nello Spaccio dove i «pedanti» del-

962 Ibid., pp. 261 sgg.963 Ibid., pp. 243 sgg.964 Ibid., pp. 247-8.965 Ibid., pp. 248-50.966 Ibid., pp. 250 sgg.

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l’intolleranza sono sconfitti dalla riforma attuata all’inse-gna di Giove, del Sole e di Venere. Nel De imaginumcompositione gli incantesimi di Orfeo e Arione hanno ilsopravvento sulle sventure di Saturno che qui si connet-tono espressamente a cattive pratiche religiose quali la la-mentazione e i gemiti, lo strapparsi i capelli, lo sparger-si cenere e polvere sulla testa, il terrificante squallore, lafolle intransigenza967. Il diabolico Marte968 si riferisce alleguerre e alle persecuzioni religiose. I «pedanti gramma-tici» sono rappresentati dall’aspetto negativo di Mercu-rio, i cui requisiti positivi sono invece Eloquenza e raffi-nata Cultura che la pedanteria dei grammatici (esplicita-mente menzionata) convertono in Verbosità, Scurrilità,Chiacchiere disoneste, aspre Invettive969.

Fra i princìpi non planetari dell’elenco contenuto nelDe imaginum compositione, Minerva rappresenta la Veri-tà, il Candore, la Sincerità970, mentre l’ultimo gruppo conin testa la Terra rappresenta la filosofia della natura. (LaTerra è Natura, Maternità, Fecondità, Generazione971 ecorrisponde all’Iside della religione naturale fra gli dèidello Spaccio.)

Benché nel De imaginum compositione tutti questiconcetti interessanti restino sepolti sotto le sconcertan-ti complessità di un’opera estremamente arida, difficile escoraggiante, apparentemente dedicata alla mnemonica,essi sono, di fatto identici a quelli elaborati con grandeabilità letteraria e con sorprendente vena fantastica nello

967 Ibid., p. 250.968 Ibid., pp. 221-2.969 Ibid., pp. 227-9.970 Ibid., p. 241.971 Ibid., p. 270.

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Spaccio della bestia trionfante972. Giordano Bruno, infatti,offre allo stravagante signore del castello di Elgg la me-desima panacea per i mali del tempo presente e la stessariforma magica che egli aveva offerto a Londra a PhilipSidney sei anni prima.

Per quanto tutto questo sia interessante e importan-te, tuttavia non costituisce l’aspetto piú attraente e sug-gestivo del De imaginum, signorum et idearum composi-tione. Infatti il libro tratta realmente, come indicato daltitolo, della «composizione di immagini, segni e idee»,intendendo con ciò la composizione di immagini, segnie idee talismanici (qui «idea» equivale a immagine tali-smanica). Ad ogni singolo principio sono riferite nume-rose immagini talismaniche o magiche che sono state co-struite, o composte, per uno scopo speciale. Esso consi-ste, a mio parere, nell’attirare all’interno della persona-lità, attraverso la concentrazione dell’immaginazione suqueste immagini, i dodici princìpi o poteri (o meglio gliaspetti positivi di essi) e diventare così un mago pienodi requisiti dipendenti dal Sole, da Giove e da Venere,e il capo della riforma magica. Il numero delle immagi-ni collegate a ciascun principio varia moltissimo di voltain volta. Nell’elenco sopradescritto il numero delle im-magini connesso a ciascun principio è esattamente defi-nito, di modo che si può subito vedere che mentre Giove(insieme a Giunone) ha, per esempio, diciotto immagini,Apollo (calcolando insieme ad esso il gruppo di Escula-pio e il Sole) ne ha venti, Venere e Cupido dodici, men-tre Saturno e Marte ne hanno soltanto quattro ciascuno.La personalità che abbia saputo in tal modo impadronir-si, attraverso queste immagini, dei rispettivi poteri, di-

972 Ci sono anche connessioni, nel De imaginum compositio-ne, con altre opere di Bruno pubblicate in Inghilterra: conl’Asino cillenico (cfr. ibid., pp. 237 sgg.) e con l’Explicatiotriginta sigillorum (cfr. ibid., pp. 93, 163 sgg. ecc.).

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venterà di volta in volta prevalentemente solare, giovialee venusiana con pochissime qualità marziali o saturniane.

Per quanto questa descrizione possa sembrare strava-gante e fuori del comune, essa non è in realtà più strava-gante dei metodi insegnati da Ficino nel De vita coelituscomparanda. Lo scopo di Ficino era di tenere lontani lamelanconia e i cattivi influssi di Saturno e di Marte col-tivando i buoni pianeti Sole, Giove e Venere. Egli cercòdi raggiungere tale obiettivo attraverso l’esercizio di mo-derati culti astrali implicanti l’uso di talismani e conside-rava questo suo procedimento alla stregua di una terapiamedica volta a curare la melanconia degli studiosi. Tut-tavia il suo significato non si esauriva in ciò; essa era, per-sino in Ficino, una specie di religione connessa a un cul-to da lui adattato in vari modi per renderlo compatibilecon la propria coscienza di cristiano. Egli non aspirava adiventare un mago o un operatore di miracoli per mezzodi essa: il suo scopo era quello di trasformare la persona-lità scacciandone le melanconiche componenti saturnia-ne e infondendovi qualità più felici e fortunate legate aGiove, al Sole e a Venere.

Giordano Bruno, come sappiamo da George Abbot,sapeva a mente il De vita coelitus comparanda e trasfor-mò il culto tendenzialmente cristiano e presumibilmen-te rivolto a finalità mediche di Ficino in una tecnica inte-riore per la formazione di un mago religioso. Indubbia-mente si tratta di uno sviluppo logico dei princìpi ficinia-ni: una volta che si sia dato vita a una religione non si puòsapere quali ne saranno gli esiti futuri. D’altra parte nondobbiamo mai dimenticarci di collocare Bruno nel con-testo di quell’ermetismo cristiano che costituì una forzadi prim’ordine nel XVI secolo e attraverso il quale mol-ti cattolici e protestanti tentarono di sanare gli antagoni-smi religiosi. Bruno si spinge sempre molto più in là de-gli ermetici cristiani poiché egli accetta la religione magi-ca dell’Asclepius come la migliore di tutte. Trasferita sul

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piano della vita interiore, questa religione diventa la ma-gia talismanica ficiniana usata interiormente per formareun mago che aspiri a diventare il capo di un movimentomagico-religioso.

Nel comporre le sue immagini, Bruno ha subìto l’in-fluenza dei talismani astrologici, ma se ne discosta ricor-rendo a normali personaggi mitologici o combinando lefigure talismaniche con immagini classiche ovvero inven-tandone di nuove. Darò qui solo pochi esempi. Ecco al-cune immagini del Sole:

Apollo con un arco e senza la faretra, col volto ridente.Un uomo con un arco, mentre uccide un lupo, e sopra di lui uncorvo che vola.Un uomo giovane e bello con un liuto...Una strana immagine...un uomo barbuto e con un elmo intesta, in groppa a un leone, e sopra il suo elmo una coronad’oro...Sull’elmo un gran gallo con una cresta imponente evariopinto973.

Come si può rilevare da questo esempio, normali imma-gini classiche sono associate ad altre di carattere più spe-cificamente magico attraverso una mescolanza che si rin-viene in tutti gli elenchi di immagini. Bruno introducespesso la descrizione di immagini di tipo marcatamentemagico con l’annotazione che si tratta di immagini «stra-ne». Si ricava l’impressione, estremamente curiosa, diuna mescolanza di elementi classici e barbarici allorchési trovano, nelle immagini bruniane, forme stravaganti,oscure e violente, direttamente affiancate ad altre di de-rivazione classica. Un esempio suggestivo di questo pro-cedimento è costituito da Orfeo, rappresentato dappri-ma come un bel giovane col liuto nell’atto di amman-sire gli animali e descritto poi come un re negro su untrono nero e al cui cospetto si svolge una violenta scena

973 Ibid., p. 243.

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sessuale974 (in ciò è probabilmente implicito un significa-to alchimistico).

Nel comporre queste immagini, Bruno esprime unostile profondamente originale e inventivo, oppure è pos-sibile intravedere in esse qualche elemento comune agran parte del simbolismo rinascimentale? Quando unuomo del Rinascimento «compone» un’immagine da uti-lizzare su una medaglia, la compone effettivamente conquesto tipo di procedimento talismanico? Ciò che appa-re strano in queste immagini descritteci da Bruno è cheegli sembra invertire il processo caratteristico del primoRinascimento, per cui le immagini di tipo più arcaico ve-nivano rielaborate in forme classiche. Egli sembra vo-ler deliberatamente degradare le immagini classiche at-traverso un’iconografia di tipo marcatamente barbarico.Per quale motivo? Può darsi che ciò rientri nella sua pre-occupazione generale di tornare alla tradizione egiziana.In altre parole egli vuole conseguire un più intenso pote-re magico dalle immagini o restituire loro il potere magi-co primitivo.

Questa curiosa mescolanza di forme classiche e formebarbariche o talismaniche appare con singolare evidenzanella seguente serie di esempi ricavati dalle immagini diVenere:

Una fanciulla sorgente dalla schiuma del mare che, raggiungen-do, la spiaggia, deterge l’umore marino con il palmo delle ma-ni.Le Ore rivestono questa fanciulla nuda e le incoronano la testadi fiori.Un’immagine meno familiare: un uomo incoronato, di augustapresenza e di aspetto assai gentile, in groppa a un cammello,vestito di un abito del colore di tutti i fiori, che conduce conla mano destra una fanciulla nuda, incedente in maniera grave

974 Ibid., p. 249.

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e venerabile...Dall’occidente con uno zeffiro benigno provieneun’assemblea (? curia) di onniforme bellezza975.

Le prime due immagini possono richiamare alla men-te qualcosa di simile alla «nascita di Venere» del Botti-celli; la terza, con quell’uomo incoronato in groppa a uncammello, è di tipo talismanico ma addolcita da concet-ti e forme (ad esempio la veste colore di tutti i fiori, lozeffiro benigno proveniente da occidente) che non po-trebbero mai trovare espressione nella fissa rigidità di untalismano ordinario.

Vien fatto di domandarsi se lo stesso Ficino non com-ponesse con criteri simili le sue immagini, il cui fonda-mentale potere magico o talismanico si addolciva tradu-cendosi informe classico-rinascimentali. In uno dei capi-toli precedenti ho accennato alla possibilità che la «Pri-mavera» del Botticelli sia sostanzialmente una Veneretalismanica, arricchita dalla sua traduzione iconograficain forme classiche, e che l’intero dipinto rifletta il cultoastrale di Ficino. Nelle immagini di Venere composte daGiordano Bruno con una precisa intenzione magica c’èforse una qualche conferma di questa mia ipotesi.

Nel De vita coelitus comparanda di Ficino si trova an-che un precedente della pratica bruniana di riflessioneinteriore – nell’immaginazione e nella memoria magica –delle immagini magiche. Abbiamo visto che nel curio-so capitolo dal titolo «Come costruire una figura dell’u-niverso» la figura e le sue immagini debbono «riflettersinell’anima» e ci è sembrato di scorgervi anche un accen-no che tali immagini memorizzate unifichino la moltepli-cità delle cose individuali, di modo che l’uomo il qualeesca di casa con tali immagini nella mente vede non tan-to lo spettacolo di cose singole quanto la figura comples-

975 Ibid., pp. 259-61.

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siva dell’universo e i suoi colori976. Bruno si proponevaesattamente lo stesso scopo, sforzandosi incessantemen-te di rinvenire quei segni, caratteri e immagini a contattovivente con la realtà che, una volta fissati nella memoria,avrebbero unificato l’intero contenuto dell’universo.

Non è quindi da escludere che – sebbene composto inepoca così tarda – il De imaginum, signorum et idearumcompositione possa essere un testo importante per capireil modo in cui nel Rinascimento si componevano – e siusavano – le immagini.

Il metodo di Bruno era tuttora conosciuto e impiega-to da Robert Fludd che, nella seconda parte della suaUtriusque cosmi...historia del 1619, espone le linee di unsistema della memoria su basi celesti a cui viene colle-gata una serie di punti di riferimento mnemonici in unteatro977, secondo un tipo di localizzazione simile a quel-lo delle due parti del De imaginum compositione che ri-tengo fosse noto a Fludd. È interessante che anche Fluddusi il termine «idee» non nella consueta accezione plato-nica ma nel senso di cose spirituali, angeli, demoni, «ef-figi di stelle» o di «immagini di dèi e dee attribuite allecose celesti»978.

Nella dedica ad Hainzell del De imaginum compositio-ne Bruno afferma che i dodici princìpi sono «gli effetto-ri, i significatori, gli amplificatori (?) di tutte le cose cherientrano sotto il potere dell’ineffabile e non raffigurabi-

976 Cfr. supra.977 R. Fludd, Utriusque cosmi...historia, parte II («Microco-

smus»), Oppenheim 1619, pp. 48 sgg. Su Fludd e Bruno cfr.più ampiamente in seguito, pp. 438-9.

978 «Nec enim vocabulo ideae hic utimur tali modo quoPlato...sed...pro Angelis, Daemonibus, stellarum effigiebus, &Deorum vel Dearum imaginibus, quibus coelestia attribuun-tur...», Fludd, op. cit., p. 50. Il titolo del libro di Bruno, «Sullacomposizione di immagini, segni e idee» si riferisce alle «idee»in questo senso.

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le optimus maximus»979. Si tratta perciò di Potestà divi-ne e lo scopo a cui mira l’intero sistema è (secondo me)quello di identificarsi a tali Potestà. Si ritorna quindi an-cora una volta a una nozione ermetica, allo sforzo dell’i-niziato di identificarsi con le Potestà e di farsi così divi-no.

Nella prima parte del De imaginum compositione Bru-no torna a esporre la sua teoria dell’immaginazione inte-sa come il principale strumento da impiegare nei proces-si magici e religiosi. Egli aveva già formulato questa teo-ria nell’Explicatio triginta sigillorum, scritta in Inghilter-ra; poi la rielaborò nella sua forma più matura nel De ma-gia, scritto intorno al 1590 o 1591 (vale a dire press’a po-co nello stesso periodo del De imaginum compositione) edi cui abbiamo già discusso in un precedente capitolo. Èinteressante studiare tale teoria nel De imaginum compo-sitione dove traspare una curiosa confusione nella men-te di Bruno. Egli cita Aristotele a proposito della fra-se: «pensare significa speculare mediante immagini»980.L’affermazione di Aristotele viene usata da Bruno peravallare la sua convinzione del primato dell’immagina-zione come strumento per raggiungere la verità. In se-guito egli cita la difesa dell’immaginazione fatta da Sine-sio nella sua opera sui sogni (avvalendosi della traduzio-ne ficiniana)981. Sinesio difende l’immaginazione riferen-dosi all’uso fattone dalle divinità per comunicare con gliuomini nei sogni. Sembra che Bruno non si renda contodi quanto opposte tra loro siano le due difese dell’imma-

979 Op. lat., II (III), p. 92.980 Aristotele, De anima, 431 a, 17. Bruno cita la traduzione

latina in Op. lat., II (III), p. 103 e anche nella dedica a Hainzell,Ibid., p. 91.

981 Op. lat., II (III), pp. 120-1. Qui Bruno condensa e adattail De somniis di Sinesio, servendosi della traduzione di Ficino(Ficino, pp. 1970-1).

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ginazione – quella di Aristotele e quella di Sinesio. Il pri-mo pensa alle immagini derivanti dalle impressioni deisensi come all’unico fondamento del pensiero; il secon-do, invece, ha in mente le immagini divine e miracolo-se che si imprimono nell’immaginazione durante i sogni.Dopo aver citato l’affermazione di Aristotele sulle im-magini derivanti dalle impressioni dei sensi come fonda-mento del pensiero, Bruno si sposta direttamente all’al-tro estremo della tradizione classica e utilizza gli argo-menti di un neoplatonico tardoellenistico in favore del-l’immaginazione in un senso completamente diverso daquello aristotelico, considerandola il più potente dei sen-si interiori perché grazie ad essa il divino comunica conl’uomo.

Questa confusione dipende dalla trasformazione bru-niana dell’arte della memoria da una tecnica totalmenterazionale basata sull’uso di immagini (i cui teorici, e pri-mo fra tutti san Tommaso, si erano rifatti alla definizionearistotelica), in una tecnica magica e religiosa per eserci-tare l’immaginazione. E quest’ultima era vista da Brunocome lo strumento per raggiungere il divino e conseguirepoteri divini982.

In un passo di singolare interesse del De imaginumcompositione Bruno menziona il vitello d’oro e l’imma-gine di ottone descritti nella Genesi (da lui interpreta-ti come immagini magiche usate da Mosè, chiamandoa sostegno di questa sua stupefacente affermazione «ladottrina dei cabalisti»), e le figure di argilla costruite daPrometeo, come altrettanti esempi del potere dei simula-cri di attirare il favore degli dèi attraverso occulte analo-gie fra le cose inferiori a quelle superiori, «per cui, qua-si legati a immagini e similitudini, essi discendono e si

982 Ho studiato il cambiamento della teoria dell’immagina-zione in rapporto allo sviluppo rinascimentale dell’uso di im-magini nel mio libro sull’arte della memoria.

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comunicano»983. Con quest’ultima frase ci ritroviamo sulterreno familiare delle statue egiziane associate a demo-ni che Bruno ha qui posto in rapporto con la magia mo-saica e prometeica per produrre una sconcertante giusti-ficazione ermetico-cabalistica della magia intrinseca allesue arti mnemoniche.

La luce, dice Bruno, è il veicolo tramite il quale le im-magini e i segni divini vengono impressi nel mondo in-teriore: questa luce non è quella per cui le normali im-pressioni dei sensi colpiscono la vista, bensì una luce in-teriore unita a una profondissima contemplazione, di cuiparla Mosè, definendola «primogenita», e di cui trattaanche Mercurio nel Pimander984. In questo brano l’e-quazione Genesi-Pimander, così caratteristica della tradi-zione ermetico-cabalistica, viene applicata da Bruno allacreazione nel mondo interiore.

Nel De imaginum compositione troviamo parole e bra-ni sul furor in preda al quale l’uomo va in caccia delle ve-stigia del divino che assomigliano moltissimo ad alcunipassi del De gli eroici furori. Egli dà inoltre un’altra de-finizione del suo concetto per cui poesia, pittura e filo-sofia sono tutt’uno, aggiungendovi in questa sede la mu-sica. «La vera filosofia è musica, poesia o pittura; la ve-ra pittura è poesia, musica e filosofia; la vera poesia omusica è sapienza divina e pittura»985.

È in contesti simili, scarsamente studiati dai filosofiammiratori di Giordano Bruno, che dobbiamo ricerca-re la filosofia bruniana dell’universo infinito e dei mon-di innumerevoli. Tali concetti non hanno nel Nolano unvalore filosofico o scientifico ma piuttosto quello di ge-roglifici del divino, di tentativi per esprimere l’ineffabi-le, da imprimere nella memoria mediante uno sforzo im-

983 Op. lat., II (III), p. 102.984 Op. lat., II (III), p. 117.985 Ibid., p. 198.

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maginativo per farsi una cosa sola con l’universo: scopo,questo, schiettamente ermetico che Giordano Bruno, damago profondamente religioso, perseguì durante tutta lasua vita.

Perché, dico io, così pochi comprendono e apprendono ilpotere interiore?...Colui che vede in se stesso tutte le cose, è,al tempo stesso, tutte le cose986.

986 Ibid., p. 90 (dedica a Hainzell del De imaginum composi-tione).

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XIX. GIORDANO BRUNO: IL RITORNO INITALIA

Giovanni Battista Ciotto era un libraio con bottega a Ve-nezia. Fra i suoi clienti aveva Giovanni Mocenigo, di-scendente da una antica e nobile famiglia veneziana, cheacquistò presso di lui un libro, o più libri, di Giorda-no Bruno e gli chiese se sapeva dove si trovasse l’auto-re, avendo intenzione di imparare da lui «li secreti dellamemoria» e altre cose. Ciotto conosceva Bruno, avendo-lo incontrato a Francoforte dove si recava per le fiere deilibri, e gli trasmise l’invito del Mocenigo di venire a Ve-nezia. Bruno accettò e nell’agosto del 1591 comparve inquesta città987. Perché egli prese la decisione fatale di ri-tornare in Italia, apparentemente dimentico dei pericolicui sarebbe andato incontro?

Per anni egli non aveva fatto altro che varcare fron-tiere, non tenendo in alcun conto le barriere ideologi-che, passando dall’Inghilterra protestante alla Parigi sot-to il dominio della Lega, e da qui alla Wittenberg lutera-na fino alla cattolica Praga, sempre intento ad avvicinarein ogni paese i centri culturali e a diffondervi il propriomessaggio. Probabilmente egli pensava di poter conti-nuare impunemente in questo suo tipo di attività anchein Italia, poiché a Venezia entrò in contatto con un do-menicano da lui conosciuto molto tempo prima a Na-poli: a costui disse che stava scrivendo un libro da pre-sentare al papa e accennò che gli sarebbe piaciuto ave-re l’opportunità di prender parte a qualche esercitazioneletteraria a Roma, per mostrare le sue capacità e ottene-

987 Documenti, pp. 69 sgg.; Spampanato, Vita di GiordanoBruno, pp. 456 sgg.; McIntyre, Giordano Bruno, pp. 66 sgg.

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re, forse, un insegnamento988. La follia stessa di questoprogetto indica, secondo me, che Bruno non si era maiconsiderato anticattolico. La religione cattolica «gli pia-ceva ben più de l’altre» ma «ancora avea bisogno di granregole»989. Essa abbisognava di una riforma ed era mis-sione del Nolano assisterla in ciò. Il centro migliore peravviarla era Roma stessa, dove egli si sarebbe messo incontatto col papa.

Gli uomini come Giordano Bruno sono immunizzaticontro ogni percezione del pericolo dal senso di missio-ne che li pervade, o dalla loro megalomania, per non di-re dallo stato di euforia ai limiti della pazzia in cui essicontinuamente vivono. «Benché a pieno non vegga l’ani-mo vostro», egli si fa dire da un ammiratore inglese, «dalraggio che diffonde scorgo che dentro si rinchiude o unsole oppure un luminar maggiore»990. Quando era bam-bino a Nola, un enorme serpente di vetusta apparenzauscì da un pertugio del muro della casa991. I serpenti nel-la culla di un bambino preannunciano un destino eroico,come sappiamo dalla storia di Ercole. Indubitabilmente,Bruno si riteneva un messia, secondo un’illusione moltodiffusa nel Rinascimento. Un esempio notevole è forni-to, a questo proposito, da colui che si chiamava «Mercu-rio» e che si considerava una specie di Cristo992. La di-vinizzante esperienza ermetica, fondata sulla trasmissio-ne miracolosa del pensiero, così come Cristo aveva tra-smesso la propria esperienza agli Apostoli, viene descrit-ta nel Crater Hermetis da Ludovico Lazzarelli, discepo-lo del «Mercurio-Cristo». Quest’opera fu pubblicata da

988 Documenti, pp. 88-9.989 Cfr. in seguito.990 De l’infinito universo e mondi, dial. 1 (Dial. ital., p. 392).991 Sigillus sigillorum (Op. lat., II (II), pp. I84-5).992 Cfr. supra, per quanto concerne la bibliografia su Giovan-

ni Mercurio e il Lazzarelli.

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Symphorien Champier in uno stesso volume insieme al-la traduzione latina del Lazzarelli del sedicesimo trattatodel Corpus Hermeticum. Sappiamo già che Bruno cono-sceva il sedicesimo trattato nella traduzione lazzarellianae non è perciò improbabile che egli abbia veduto in talmodo anche il Crater Hermetis. L’ermetismo, con la suacredenza in un’esperienza «divinizzante», è suscettibiledi indurre una mania religiosa di questo tipo.

Come è stato messo in evidenza da A. Corsano e da L.Firpo993, nei suoi ultimi anni di libertà Bruno dà l’impres-sione di essersi avviato sempre più risolutamente alla tra-duzione in pratica delle sue idee. Dalle ultime opere con-tenute nel manoscritto Noroff traspare tutta la febbrileproduttività, l’intensa concentrazione su tecniche magi-che di questo periodo. Si approssimava il tempo per unanuova missione, simile a quella per cui era stato inviatoin Inghilterra da Enrico III. Si è visto come, nel De ima-ginum, signorum et idearum compositione, i concetti im-pliciti nello Spaccio della bestia trionfante riaffiorino connuova forza, trasferiti nell’ambito della vita interiore. Ilpriore del convento carmelitano dove Bruno alloggiò du-rante il suo soggiorno a Francoforte disse al Ciotto cheegli «se occupava per il più in scriver ed andar chimeri-zando e strolegando cose nove»994 e che andava dicendodi saper «più che non sapevano li Apostoli, e che gli ba-stava l’animo de far, se avesse voluto, che tutto il mondosarebbe stato d’una religione»995.

Ciò che più di ogni altra cosa influenzò la decisione diBruno di tornare in Italia fu la nuova piega presa daglieventi in Europa verso la metà del 1591. Enrico di Na-

993 A. Corsano, Il pensiero di Giordano Bruno, Firenze 1940,pp. 267 sgg.; L. Firpo, Il processo di Giordano Bruno, Napoli1949, pp. 10 sgg.

994 Documenti, p. 74.995 Ibid., p. 75.

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varra era l’eroe del giorno: vittorioso sulla Lega cattoli-ca e sul suo alleato spagnolo, egli era riuscito a far vale-re il suo diritto sulla corona di Francia e già circolava lavoce che intendesse farsi cattolico. Per Bruno ciò signi-ficava una rinnovata possibilità di realizzare la riformauniversale entro un contesto cattolico.

Il proceder ch’usa adesso la chiesa, non è quello ch’usavanogli Apostoli: perché quelli con le predicazioni e con gli esempidi buona vita convertivano la gente, ma...ora chi non vuolesser Catolico, bisogna che provi il castigo e la pena, perché siusa la forza e non l’amore;...questo mondo non poteva durarcosì, perché non v’era se non ignoranza, e niuna religioneche fosse buona;...la Cattolica gli piaceva ben più de l’altre,ma...questa ancora avea bisogno di gran regole; e...non stavabene così, ma...presto il mondo averebbe veduto una riformagenerale di se stesso, perché era impossibile che durassero tantecorruttele; e...sperava gran cose su’l Re di Navarra, e...peròvoleva afrettarsi a metter in luce le sue opere e farsi creditoper questa via, perché quando fosse stato tempo voleva essercapitano; e...non sarebbe stato sempre povero, perché averiagoduto i tesori degli altri996.

In questi termini il Mocenigo riferiva, in una delle suedelazioni all’Inquisizione veneziana (maggio 1592), ciòche aveva sentito dire da Bruno. In questo brano possia-mo riconoscere il tema familiare secondo cui il mondo sitrova al suo livello massimo di corruzione, il che signifi-ca che esso è prossimo a ritornare ad un migliore stato«egiziano». Non è affatto improbabile che i vari motividi insoddisfazione espressi dal profeta del ritorno, che siattende di diventare «capitano» nella nuova riforma ba-sata sull’amore e la magia, siano stati correttamente ri-feriti dal Mocenigo; anche l’ansia febbrile di pubblicaree di «farsi credito» si addice molto bene al personaggio.Semmai lascia perplessi l’affermazione che il Nolano fos-

996 Documenti, p. 66; Sommario, p. 55.

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se avido di ricchezze, come insinua il Mocenigo, ma cer-tamente egli ambiva al riconoscimento dei suoi meriti eall’accettazione del suo ruolo profetico.

Il nuovo libro che occorreva pubblicare così rapida-mente era sulle «Sette arti liberali» e sarebbe stato dedi-cato al papa, Clemente VIII. Bruno si accingeva a torna-re a Francoforte per farlo stampare quando, grazie aglisforzi del Mocenigo, venne rinchiuso nelle prigioni del-l’Inquisizione veneziana. Egli spiegò tutto ciò agli in-quisitori: come avesse avuto l’intenzione di far stampa-re questo libro a Francoforte e di recarlo con sé insiemead altre opere «che io approbo» presentandosi ai piedidi Sua Beatitudine che, com’egli aveva inteso dire, «amali virtuosi», e di spiegargli il suo caso, chiedendo quin-di l’assoluzione e il permesso di vivere «in abito cleri-cale fuori della Religione» (vale a dire, senza rientrarenell’Ordine)997.

Gli inquisitori si misero a interrogarlo sul re di Navar-ra. Lo conosceva? Si attendeva aiuti o favore da lui?

Io non conosco né il Re di Navarra né li suoi ministri, né mail’ho veduto; e di lui occorrendomene a parlar, ho detto chenon lo tenevo per calvinista ed eretico se non per necessitàdi regnare, ché se non professasse l’eresia, non averia chi loseguitasse; dicendo di più, che speravo che, ottenendo luipacifico il regno di Francia, averia confirmati li ordini del Repassato, ed io averia avuto da lui quelli favori che io avevo avutidal Re passato circa le lezioni publiche998.

In questo modo egli tentava di eludere l’insinuazione delMocenigo secondo la quale egli aveva riposto grandi spe-ranze nel re di Navarra. Ma gli inquisitori non restaro-no soddisfatti di questa spiegazione e gli chiesero se, par-lando del re di Navarra, egli avesse detto di sperare gran-

997 Documenti, pp. 86-7, 131.998 Ibid., p. 122.

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di cose da lui «e che il mondo aveva bisogno di molte ri-forme, inferendo che la religion cristiana li piaceva bensìpiù delle altre, ma che aveva bisogno di gran riforma».

Io non ho detto tal cosa; e quando ho lodato il Re di Navarra,io non l’ho lodato perché fosse aderente alli eretici, ma per lecause che ho dette di sopra, tenendo che egli non sia altramenteeretico, ma che viva ereticalmente per desiderio di regnar999.

Egli negò altresì di aver detto di voler essere «capita-no»1000. Chiaramente, questa faccenda dell’attesa «gran-de riforma» e il rapporto di essa con il Navarra eranooggetto di particolare interesse per gli inquisitori.

Bruno sapeva più di quanto raccontò loro, intorno aEnrico di Navarra ed ai suoi intimi confidenti, poiché aParigi aveva conosciuto il Corbinelli e Piero Del Bene ea quest’ultimo aveva dedicato i dialoghi di Fabrizio Mor-dente e un altro libro1001. Il Del Bene era al corrente dimoltissimi particolari su Enrico di Navarra ed i suoi se-greti disegni. In una lettera scritta dal Corbinelli al Pinel-li nell’agosto del 1585, il secondo viene informato dellarecente visita compiuta dal Del Bene alla corte del Na-varra in Guascogna: in essa si fa vagamente accenno aisuoi sforzi, descritti in termini mitologici come superio-ri a quelli di Nesso, e si lascia cadere un’allusione allapossibile conversione del Navarra1002. Nel circolo parigi-no frequentato da Bruno nel 1586 tali questioni doveva-no pertanto essere discusse sulla base di ottime informa-

999 Ibid., pp. 122-3.1000 Ibid., p. 123.1001 Cfr. supra.1002 Ambrosiana T. 167 sup., ff. 170 v. - 171; cit. in R.

Calderini De Marchi, Jacopo Corbinelli et les érudits français,Milano 1914, pp. 237-8; cfr. il mio articolo Giordano Bruno:Some New Documents, «Revue internationale de philosophie»,1951, pp. 195-6.

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zioni. Non è forse meno interessante che fosse Alessan-dro Del Bene, fratello di Piero, a portare di fatto il docu-mento dell’assoluzione da Roma a Enrico IV nel 15951003.L’intera questione dei rapporti fra la famiglia Del Beneed Enrico di Navarra, in seguito Enrico IV, è molto im-portante e molta luce verrebbe fatta su di essa (e forse,indirettamente, sulla posizione politico-religiosa di Bru-no) da una pubblicazione integrale della corrispondenzaPinelli-Corbinelli.

Se, nella impossibile eventualità che il progetto bru-niano di una riforma generale si fosse realizzato, dovessi-mo immaginare l’altrettanto impossibile celebrazione ditale avvenimento sotto forma di un vasto dipinto manie-rista basato sui temi dello Spaccio della bestia trionfante –che ben si presterebbe ad una rappresentazione pittorica– la figura e la faccia di Enrico IV, con il suo eterno lar-go sorriso, si intonerebbero piuttosto bene – meglio del-la melanconica espressione del povero Enrico III – a talequadro, con il re sul trono circondato dalle divinità chehanno compiuto la riforma gioviale, solare e venusiana.

Grandi e vaghe speranze di una pacificazione dei con-trasti religiosi a seguito della vittoria e della conversionedel Navarra furono suscitate in tutta l’Europa e partico-larmente a Venezia, come ironicamente riferisce Agrippad’Aubigné:

Gli indovini...basandosi sulle figure geomantiche, su oracoli esul nome fatale di Borbone, ricavavano che questo principe eradestinato a convertire le gerarchie all’impero, il pulpito in untrono, le chiavi in spade, e che egli sarebbe morto imperatoredei Cristiani. I veneziani adoravano questo sole nascente contale devozione che quando un gentiluomo francese passava nel-la loro città essi si precipitavano a salutarlo. Alla corte impe-

1003 H. C. Davila, Historia delle guerre civili di Francia, Lione1641; p. 972; cfr. il mio articolo citato nella nota precedente,loc. cit.

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riale e in Polonia si sono udite pubbliche preghiere auspicantiche l’impero potesse venire affidato alle sue mani fortunate, in-sieme a dispute concernenti la riunione delle religioni, o la lorouniversale tolleranza, ed a molti discorsi per indurre l’Italia adaccettare questo punto di vista1004.

Giordano Bruno non era dunque il solo ad aspettarsigrandi cose dal re di Navarra.

Le speranze di riunione e di riforma della cristianitàche si agitavano in Europa a quel tempo, e che eranotutte appuntate sul Navarra, non sono state finora esau-rientemente studiate nel loro complesso, benché studio-si recenti abbiano prestato attenzione a singoli individuioperanti in questa direzione1005. Il più importante di essi,dal punto di vista del confronto con Bruno, è FrancescoPucci1006. Come Bruno, il Pucci aveva molto viaggiato in

1004 Agrippa d’Aubigné, Confession Catholique du Sieur deSancy, in Œuvres complètes, a cura di Réaume et de Caussade,II, p. 327; cfr. il mio libro French Academies of the SixteenthCentury, p. 224.

1005 Cfr., per esempio, lo studio di Delio Cantimori sull’ugo-notto e navarrista italiano Jacopo Brocardo, Visioni e speranzedi un ugonotto italiano, «Rivista storica italiana», 1950, pp. 199sgg. O lo studio di Luigi Firpo su Francesco Maria Vialardi, unagente politico navarrista che era nelle prigioni dell’Inquisizio-ne nello stesso periodo di Bruno, In margine al processo di Gior-dano Bruno, Francesco Maria Vialardi, «Rivista storica italiana»,1956, pp. 325 sgg. Bruno negò ogni connessione col Vialardi ocon le «parole orrende contro Dio, la religione e la Chiesa» chegli aveva sentito pronunciare (Sommario, p. 84).

Per uno studio più recente delle speranze liberali e irenichecentrate su Enrico di Navarra, cfr. Corrado Vivanti, Lottapolitica e pace religiosa in Francia fra Cinque e Seicento, Torino1963.

1006 Delio Cantimori attirò l’attenzione sull’importanza di F.Pucci negli Eretici italiani del Cinquecento, Firenze 1939, pp.370 sgg. e pubblicò alcuni suoi scritti in Per la storia degli ereticiitaliani del secolo XVI in Europa, Roma 1937. Luigi Firpo ha

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terre eretiche straniere (era stato in Inghilterra e vi ave-va amici influenti). A Praga, nel 1585, egli rientrò nellachiesa cattolica ed ebbe anche contatti con Dee e Kelley,assistendo a qualcuna delle loro sedute spiritiche1007. Egliera un navarrista, e nel 1592 fece ritorno in Italia, soltan-to pochi mesi dopo Bruno, dopo aver scritto numeroselettere a importanti personaggi, fra cui il Navarra, Eli-sabetta d’Inghilterra e papa Clemente VIII1008. L’acco-glienza che gli venne riservata in Italia non fu probabil-mente quella che si era aspettato, poiché venne messonelle prigioni dell’Inquisizione romana e nel 1597 subìla pena di morte (egli non fu bruciato vivo, come Bru-no, ma decapitato in prigione e il suo cadavere venne ar-so in Campo de’ Fiori) per essersi rifiutato di abiurare isuoi errori. Quasi certamente nel pensiero del Pucci erapresente qualche sorta di ermetismo. È in effetti possibi-le, sebbene occorrano ricerche minuziose prima di poter

studiato la vita e il processo del Pucci in Processo e morte diFrancesco Pucci, «Rivista di Filosofia», 1949 (XL) ed ha raccoltouna bibliografia dei suoi scritti, Gli scritti di Francesco Pucci,Torino 1957.

1007 L’angelo Uriel appariva durante le sedute (veduto natu-ralmente soltanto da Kelley) e indirizzava discorsi suggestivi alPucci. Sembra che il Pucci tentasse di indurre il Dee a recar-si a Roma per riferire al papa le sue esperienze con gli angeli.Cfr. A True and Faithfull Relation of what passed for many yearsbetween Dr. John Dee...and some spiyits a cura di Meric Casau-bon, London 1659, pp. 409 sgg. La sorte successiva del Puc-ci sembrerebbe dimostrare che egli era in buona fede quandoesortava il Dee ad andare a Roma, e che non agiva da agent pro-vocateur, benché il Dee avesse allora su di lui sospetti in questosenso.

1008 Cfr. Firpo, Gli scritti di Francesco Pucci, pp. 114, 124,134. Al segretario del Navarra, Louis Revol, il Pucci scrisseche «io presi partito, di consenso di Sua Maestà, di provare sein Italia io potessi con questo pontifice Clemente fare alcunobuono uffizio a benefizio pubblico» (ibid., p. 126).

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fare affermazioni precise, che l’intero movimento navar-rista derivasse in gran parte le sue speranze ireniche dadifferenti correnti ermetiche diffuse fra i suoi aderenti.In ogni caso, esso coincide cronologicamente con quellafine del XVI secolo che J. Dagens ha definito «l’âge d’orde l’hermétisme religieux»1009.

Prima del ritorno di Bruno in Italia, l’ermetico en-tusiasta Annibale Rosseli, che John Dee teneva persuo consigliere religioso1010, aveva pubblicato a Cracovia(1585-90) il suo voluminoso commento al Pimander diErmete Trismegisto1011. E nel 1591, l’anno del ritorno diBruno, Francesco Patrizi pubblicò la Nova de universisphilosophia, contenente la nuova edizione degli Herme-tica da lui curata e la sua «nuova filosofia», con una de-dica in cui esortava Gregorio XIV a far insegnare questafilosofia religiosa ermetica ovunque e in particolare nellescuole dei gesuiti, come mezzo più efficace per ricondur-re la gente alla Chiesa che non «le censure ecclesiasticheo la forza delle armi»1012. Quale fu il risultato di questadedica a un papa del libro del Patrizi? L’anno dopo lapubblicazione (1592), il Patrizi fu chiamato a Roma dalsuccessore di Gregorio, Clemente VIII, che gli assegnòuna cattedra all’università1013.

1009 Cfr. supra.1010 Cfr. supra.1011 Cfr. supra.1012 Cfr. supra.1013 Questo successo iniziale non era tuttavia destinato a du-

rare poiché in seguito il Patrizi ebbe delle noie con l’Inquisi-zione per le sue opinioni e fu quasi sospeso dall’insegnamento.Cfr. Luigi Firpo, Filosofia italiana e Controriforma, «Rivista diFilosofia», XLII (1951), pp. 12 sgg. (dell’estratto); cfr. inoltresupra.

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Lo splendido successo iniziale ottenuto dal Patrizi conClemente VIII fu accolto con speranza da Bruno, comeriferì il Mocenigo:

Quando il Patritio andò a Roma da Nostro Signore disse Gior-dano questo Papa è un galant’huomo perché favorisce i filosofie posso ancora io sperare d’essere favorito, e so che il Patritio èfilosofo, e che non crede niente, et io [Mocenigo] rispuosi cheil Patritio era buono Catholico...1014

Lo stesso Mocenigo aggiunge:

Non gli ho sentito dire [a Bruno] che volesse instituire nuovasetta da Giordanisti in Germania, ma bene affirmava che co-me havea finiti certi suoi studij s’havria fatto conoscere per ungrand huomo, e che sperava che le cose di Navarra succedesse-ro bene in Francia, e che saria venuto in Italia, e in quel tem-po havria potuto vivere e ragionare liberamente, e quando ilPatritio andò a Roma, disse che sperava che il Papa lo riceves-se in sua gratia perché con credere a modo suo non offendevaalcuno1015.

Anche se si dovrà tener conto di qualche inesattezzanelle delazioni del Mocenigo, credo che esse siano so-stanzialmente corrette per quanto si riferisce alle speran-ze venute a Bruno dal Navarra e dal successo del Patrizi.La vera ragione del ritorno di Bruno in Italia fu, a mio pa-rere, la sua speranza, condivisa da molti contemporanei,che l’ascendente europeo del Navarra significasse un at-teggiamento più liberale in materia di religione e che ta-

1014 Sommario, pp. 56-7. Bruno aveva violentemente attac-cato il Patrizi in una delle sue opere pubblicate in Inghilterra(De la causa, principio e uno, dial. 3; Dial. ital., pp. 260 sgg.).Ma il brano si riferisce ad una delle opere aristoteliche del Pa-trizi, non alla Nova philosophia che allora non era stata ancorapubblicata.

1015 Sommario, pp. 57-8.

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le atteggiamento si diffondesse in Italia. L’invito del Mo-cenigo può essergli sembrato qualcosa come un’indica-zione divina sulla via da prendere, ma non fu essenzial-mente per insegnare l’arte della memoria al nobile vene-ziano che Bruno si diresse verso quella che sarebbe ri-sultata una trappola mortale1016. Ciò avvenne perché eglipensava che stesse finalmente per sorgere un giorno mi-gliore e che la sua luce avrebbe rischiarato l’Italia. Il suc-cesso del Patrizi col papa deve essergli di fatto apparsoun segno incoraggiante che aveva fatto bene a tornare inItalia: non era infatti il Patrizi un ermetico religioso? Eanche Bruno lo era, a modo suo.

Un’altra indicazione che il Mocenigo non era il suoprincipale obiettivo è data dal fatto che Bruno andò a vi-vere in casa sua solo dopo parecchi mesi che era in Ita-lia. Dapprima visse per conto suo a Venezia1017, recando-si a conversare nella libreria del Ciotto1018 e frequentan-do – in questo periodo o successivamente – un’accade-mia in casa di Andrea Morosini dove prese la parola nelcorso delle riunioni1019.

1016 Il caso di Francesco Pucci è quasi esattamente parallelo.Anch’egli pensava di essere illuminato e di avere una missione eche era maturo il tempo di fare ritorno in Italia e di appellarsi alpapa in relazione a qualche nuovo ordine futuro che si sarebbeinstaurato col Navarra; e anch’egli incappò in una trappolamortale. Sebbene il Pucci sia molto meno turbolento di Bruno,la somiglianza dei loro casi è impressionante, in particolareperché erano stati entrambi in Inghilterra.

È chiaro che John Dee fu assai saggio a non andare a Roma,come il Pucci gli aveva suggerito, per esporre lì i suoi messaggiangelici.

1017 In una «camera locanda»; Documenti, p. 70.1018 «Ho raggionato in alcune librarie», ibid., p. 135.1019 Documenti, pp. 61, 129, 135.

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Egli soggiornò anche per circa tre mesi a Padova1020.Qui viveva il Pinelli, che aveva fatto della sua casa e del-la sua biblioteca un centro di raccolta per ogni sorta diconoscenti, qui erano le lettere che il Corbinelli gli ave-va scritto da Parigi, alcune delle quali contenenti una de-scrizione delle avventure di Bruno con Fabrizio Morden-te e una alcune «scritture» di Bruno1021. Il Pinelli, comemostra il tenore della sua corrispondenza, appartenevaalle file dei liberali veneziani e in questo periodo dovevacon ogni probabilità nutrire speranze nel Navarra. Nonc’è, tuttavia, alcuna prova che Bruno entrasse in contattocol Pinelli a Padova e sappiamo poco del suo soggiornolà, tranne che era molto indaffarato a dettare ed a far farecopie di varie opere al suo segretario Besler. Fu a Padovache egli dettò al Besler il De vinculis in genere1022, in cuiè contenuto il suo pensiero più maturo sui «legami» ma-gici, specialmente quelli derivanti dall’amore e dall’attra-zione sessuale. Sempre a Padova il Besler fece una copiadell’opera sulle «Trenta statue», scritta a Wittenberg1023

e venne trascritta, da una copia in possesso del Besler,un’opera intitolata De sigillis Hermetis et Ptolomaei chefu trovata fra i «libri di coniurazioni» di Bruno quandovenne arrestato e che sembra abbia suscitato molto in-teresse ed allarme1024. Bruno dichiarò che essa non erastata scritta da lui ma copiata per suo conto a Padova, eaggiunse: «Non so se oltra la divinazione naturale vi sia

1020 Ibid., pp. 64, 70; cfr. Spampanato, Vita di GiordanoBruno, pp. 462 sgg.; McIntyre, Giordano Bruno, pp. 69 sgg.

1021 Le «scritture» furono spedite con la lettera del 16 feb-braio 1586, che descriveva la collera di Fabrizio contro Bruno(Ambrosiana T. 167 sup., f. 180); cfr., il mio articolo GiordanoBruno: Some New Documents p. 178.

1022 Op. lat., III, introduzione, p. XXVIII.1023 Ibid., loc. cit.1024 Documenti, pp. 64, 90-1, 127-8; Sommario, pp. 100, 110.

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alcun’altra cosa dannata; ed io l’ho fatto trascrivere perservirmene nella giudiziaria [astrologia]; ma ancor nonl’ho letto, ed ho procurato d’averlo, perché Alberto Ma-gno nel suo libro De mineralibus ne fa menzione, e lo lo-da nel loco dove tratta De imaginibus lapidum»1025. Lanoncurante osservazione di non aver letto ancora que-st’opera sul prediletto argomento dei sigilli ermetici nonè convincente.

Il mago lavorava dunque alacremente alla sua magiadurante il soggiorno padovano, sforzandosi di acquista-re la personalità magica con i suoi poteri di «legare» me-diante l’amore, dandosi da fare intorno ai sigilli ermeti-ci ed ai legami demonici. Come è stato suggerito da L.Firpo, il periodo trascorso a Padova dovrebbe probabil-mente essere considerato preparatorio alla missione1026.Lo stesso studioso ha acutamente messo in evidenza1027

che Bruno era la persona meno indicata, per caratteree temperamento, ad assumersi un compito così difficile,delicato e rischioso. Irritabile, litigioso – e qualcosa dipiù, in verità, andando soggetto ad accessi patologici dirabbia durante i quali pronunciava cose terribili che at-terrivano la gente – Bruno non aveva quel fascino magi-co della personalità a cui aspirava e ciò rese vana l’azio-ne del suo messaggio a causa delle sue esplosioni colleri-che. Tommaso Campanella, anch’egli mago con un mes-saggio da diffon dere, era già di un calibro assai diver-

1025 Documenti, pp. 127-8. Bruno si riferisce probabilmentealle osservazioni sui sigilli contenute nel De mineralibus, II, 3(Alberto Magno, Opera, a cura di P. Jammy, Lione 1651, II,p. 226). Il De mineralibus contiene anche elenchi di immaginimagiche delle stelle e dev’essere stato nell’insieme un utilemanuale per un mago domenicano. Ermete Trismegisto vi èfrequentemente menzionato. Cfr. Sommario, p. 100, nota;Thorndike, II, pp. 556 sgg.

1026 Firpo, Il processo di Giordano Bruno, p. 14.1027 Ibid., pp. 12, 114.

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so, non privo di qualche realismo e dotato di una poten-te capacità di presa sulle situazioni: tutte qualità di cui ilpovero Nolano era totalmente privo.

Bruno lasciò Padova per Venezia nel marzo 15921028

e cominciò a risiedere col Mocenigo facendogli da mae-stro come era stato originariamente pattuito quando ave-va accettato l’invito trasmessogli dal Ciotto. È stato det-to che tale invito era una trappola fin dall’inizio e che ilMocenigo aveva avuto da sempre l’intenzione di metter-lo nelle mani dell’Inquisizione. Tuttavia non esiste alcu-na prova effettiva di questo tranello. È stato anche det-to che il Mocenigo rimase irritato e contrariato dall’inse-gnamento di Bruno e che per prendersi una rivincita lodeferì all’Inquisizione. Forse, in base a quanto si è indi-cato circa le reali intenzioni di Bruno nel venire in Italia,è possibile dare un’altra interpretazione della delazionedel Mocenigo. Può darsi che, avendo avuto Bruno sot-to osservazione per quasi due mesi in casa sua, egli ca-pisse qualcosa di questa missione e, da buon reazionarioveneziano che non riponeva speranze di maggior libertànel Navarra, non l’approvasse. Inoltre sembra che Brunosi sia abbandonato a qualcuno dei suoi eccessi più allar-manti mentre abitava col Mocenigo. Probabilmente per-ché aveva cominciato a diffidare del suo ospite, Brunoprese accordi per andarsene e tornare a Francoforte, mail Mocenigo lo prevenne con la forza, rinserrandolo inuna stanza del palazzo; da qui venne trasportato alle pri-gioni del Sant’Uffizio dove venne incarcerato il 26 mag-

1028 Nella sua delazione del 25 maggio 1592 il Mocenigo dis-se che Bruno era stato in casa sua per circa due mesi (Documen-ti, p. 64); ciò, tuttavia, può non essere attendibile (cfr. Spam-panato, Vita di Giordano Bruno, p. 468).

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gio 15921029. Cominciò così per Bruno una detenzione diotto anni che si concluse con la morte.

I documenti dell’Inquisizione veneziana sul caso Bru-no sono da gran tempo noti, insieme ad alcuni documen-ti romani, e vennero pubblicati da Vincenzo Spampana-to in Documenti della vita di Giordano Bruno (1933). Nel1942 un considerevole supplemento documentario ven-ne fornito dal cardinale Angelo Mercati ne Il sommariodel processo di Giordano Bruno. Questo sommario delleprove, compilato ad uso degli inquisitori romani, fu rin-venuto dal Mercati nell’archivio personale di papa PioIX1030. Esso ripete molto di quanto già si conosceva dalladocumentazione dell’archivio veneziano ma offre in piùuna grande quantità di nuove informazioni. Non si trat-ta, comunque, del processo vero e proprio, del resocontoufficiale del caso con la motivazione della sentenza, cioècon la presentazione dei capi d’accusa in base ai qua-li Bruno venne alla fine condannato. Questo processoè andato perduto per sempre, avendo fatto parte di ungruppo di archivi che vennero trasportati per ordine diNapoleone a Parigi dove furono poi venduti come cartastraccia ad una fabbrica di cartone1031.

Alla fine del processo veneziano Bruno ritrattò com-pletamente tutte le eresie di cui era stato accusato e si ri-mise, penitente, alla misericordia dei giudici1032. Egli do-

1029 Documenti, pp. 68-9, 77-9. Può essere significativo cheil libro di Bruno venduto dal Ciotto al Mocenigo, e che portòall’invito di Bruno a Venezia, venga descritto dal Ciotto colpeil De minimo, magno et mensura (Documenti, p. 70). Se il Detriplici minimo contiene allusioni a una setta o società segreta,come suggerito nel capitolo XVII, e il Mocenigo se ne accorse,la teoria che il suo invito fosse una trappola può diventare piùprobabile.

1030 Sommario, introduzione, p. 21.1031 Ibid., pp. 1-4.1032 Documenti, pp. 135-6.

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vette, tuttavia, essere tradotto per norma di legge a Ro-ma, dove il suo caso venne tirato per le lunghe. Nel 1599fu fatto un tentativo per chiarire la situazione da par-te del famoso gesuita Roberto Bellarmino che, assistitodal Tragagliolo, estrasse otto proposizioni eretiche dalleopere di Bruno richiedendogli di abiurarle, ed egli si dis-se disposto a farlo1033. Ma successivamente, nel corso diquello stesso anno, egli ritirò tutte le ritrattazioni, soste-nendo ostinatamente di non aver mai scritto o detto al-cunché di eretico e che i ministri del Sant’Uffizio aveva-no erroneamente interpretato le sue opinioni1034. Fu per-ciò dichiarato eretico impenitente e consegnato al brac-cio secolare per la punizione. Venne arso vivo in Campode’ Fiori a Roma il 17 febbraio 1600.

In uno dei primi interrogatori da parte degli inquisi-tori veneziani1035 Bruno fece un’esposizione assai ricca efranca della sua filosofia, come se si rivolgesse ai dotto-ri di Oxford, di Parigi o di Wittenberg. L’universo è in-finito, poiché l’infinita potenza divina non può produr-re un mondo finito. La terra è un astro, come fu dettoda Pitagora, simile alla luna ed agli altri pianeti e mon-di che sono a loro volta infiniti. In questo universo esisteuna provvidenza universale in virtù della quale ogni co-sa in esso compresa vive e si muove, e questa natura uni-versale è ombra o vestigio della divinità, di Dio, che nellasua essenza è ineffabile e inesplicabile. Gli attributi del-la divinità Bruno li intende – al pari dei teologi e dei piùgrandi filosofi – come «una medesma cosa». I tre attri-

1033 Documenti, p. 191; cfr. l’introduzione del Mercati alSommario, pp. 41 sgg.; Firpo, Il processo di Giordano Bruno,pp. 90 sgg.

1034 Documenti, pp. 183, 186; cfr. Sommario (introduzione),pp. 43 sgg.; Firpo, op. cit., pp. 92 sgg.

1035 Documenti, pp. 93-8.

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buti della «potenza, sapienza e bontà» sono lo stesso che«mente, intelletto ed amore».

Parlando non filosoficamente, ma dal punto di vistadella fede, la sapienza, o «figlio della mente, chiamatoda filosofi intelletto e da teologi Verbo,...se deve credereaver preso carne umana», ma Bruno ha sempre nutritodubbi su questo punto e l’ha «con incostante fede tenu-to». Quanto, poi, allo spirito divino come terza persona,egli l’ha inteso «secondo il modo pittagorico, conforme aquel modo che mostra Salomone» quando dice: «Spiri-tus Domini replevit orbem terrarum, et hoc quod conti-net omnia»; ovvero secondo l’interpretazione di Virgilioquando afferma:

Spiritus intus alit totamque infusa per artusmens agitat molem...

La fede di Bruno sembra quella di un ermetico neo-platonico rinascimentale, tranne che – e in ciò consistela differenza fra un ermetico cristiano e un ermetico noncristiano – egli non accetta l’intellectus o Filius Dei de-gli Hermetica come riferentesi alla seconda persona del-la trinità, al modo di Lattanzio, e quale risulta dalla rap-presentazione di Ermete Trismegisto sul pavimento delDuomo di Siena. La sua concezione della terza personacome anima mundi o alla stregua del virgiliano «spiritusintus alit» era un’interpretazione frequente nel Rinasci-mento. Tanto per fare un esempio, essa fu diffusamen-te esposta dal vescovo (poi cardinale) Jacques Davy DuPerron in un sermone di Pentecoste1036.

1036 «Esso [lo Spirito santo] è quello di cui gli stessi paganidicevano, parlando della costituzione del mondo, Spiritus intusalit». Jacques Davy Du Perron, Diverses oeuvres, Paris 1622,p. 684. Cfr. il mio libro French Academies of the SixteenthCentury, p. 169, nota 5. Le opinioni del Du Perron suquesto punto sono di particolare interesse poiché egli fu uno

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Come Bruno insiste in seguito con gli inquisitori, egliconsidera la sua fede cattolica ed ortodossa per quantoconcerne il Padre o la mens; confessa invece la proprianon ortodossia circa la sua interpretazione del Figlio1037;la sua concezione della terza persona come anima mundisarebbe stata ortodossa per molti neoplatonici cristianidel Rinascimento.

Questa tendenza a considerare il Filius Dei degli er-metici non come la seconda persona della Trinità cristia-na è la ragione teologica di fondo dell’accezione pura-mente «egiziana» dell’ermetismo di Bruno per il qualela religione egiziana ermetica non si configura come unaprisca theologia precorritrice del Cristianesimo ma comel’unica vera religione.

Importantissime, fra i nuovi documenti pubblicatinel Sommario, sono le indicazioni circa l’interpretazionebruniana della croce come nient’altro che un sacro sim-bolo egiziano. Un compagno di carcere riferisce di aver-gli sentito dire che la croce su cui venne crocifisso Cristonon aveva la forma di quelle presenti sugli altari cristiani,essendo questa forma in realtà il segno che era scolpitosul petto della dea Iside e che i cristiani «rubarono» agliEgiziani1038. In risposta ad una domanda degli inquisito-ri su questo punto, Bruno riconobbe di aver detto che la

dei principali autori della conversione di Enrico di Navarra; cfr.supra.

1037 Documenti, p. 96.1038 «Vedendo ch’io e gl’altri ci segnavamo con la croce [Bru-

no] disse che non occorea fare questo segno perché Cristo nonfu messo sopra la croce, ma fu confitto sopra dui legni, soprali quali si solevano sospendere i condannati e che quella formadi croce che hoggidi si tiene sopra l’altari era un carattere e se-gno ch’era scolpito nel petto della Dea Iside, e che quel segnodagl’antichi era sempre tenuto in veneratione, e che i Christia-ni l’haveano rubbato da gl’antichi fingendo che in quella forma

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forma della croce sulla quale Cristo venne crocifisso eradiversa da quella che di solito «si pinge»:

Ho ben detto che la croce non havea quattro rami eguali secon-do l’uso che si pinge, et è usurpato il sacro carattere di quel-la perché altrimente si pratticava ne la punitione de rei antica-mente, e che ne la croce di Christo il quarto ramo fu posticciocioè il superiore palo per commodità di affigervi il titolo.

Ed aggiunse poi queste significative parole:

E confessando che il carattere della croce ha virtù della mortedi nostro signore in quella ho detto quello che mi pare haverletto in Marsilio Ficino, che la virtù e riverenza di quel carattereè molto più antica che non è il tempo dell’incarnatione dinostro Signore e ch’è stata riconosciuta dal tempo che fioriva laReligione de gl’Egittij circa i tempi di Moise, e che quel segnoera affisso nel petto di Serapide, et all’hora li pianeti et influssidi essi hanno più efficacia oltre il principio, e fondamentoquando sono nel principio de segni cardinali cioè dove i coloriintersecano l’eclitica o il zodiaco per linea retta, onde da duicircoli in questo modo intersecanti viene prodotta la forma ditale carattere, li quattro segni cardinali sono li dui equinottialie li dui solstitiali circa li quali la morte, natività et incarnationedi Nostro Signore sempre fu intesa essere, e fu celebrata1039.

fosse il legno sopra il quale fu affisso Christo...» Sommario, pp.70-1.

1039 Sommario, pp. 72-3. Ricavo da ciò che per Bruno Cristoera stato crocifisso sopra una croce a forma di «tau», la croceusata dai cristiani essendo in realtà il «carattere» egiziano. Cisono alcune rappresentazioni della crocifissione in cui la formadella croce è fatta a «tau» o a T. Su tale questione, cfr. G. Mic-coli, La ’Crociata dei fanciulli’ del 1212, «Studi medievali», 3ªserie, II, 2 (1961), pp. 421 sgg. e la bibliografia riportata. Cfr.in seguito, alle pp. 451-2, le osservazioni di Athanasius Kirchersulla croce.

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In verità tale passo esiste nel De vita coelitus comparan-da1040, ed in esso Ficino spiega che la forma della croce èuna forma potente per catturare le influenze delle stelle;aggiunge inoltre che essa era scolpita sul petto di Serapi-de. Tuttavia Ficino pensa che la forma della croce fossevenerata fra gli Egiziani non solo come testimonianza dei«doni delle stelle» ma anche come presagio della venutadi Cristo.

Vien fatto di chiedersi se questo passo del De vita coe-litus comparanda possa essere una fonte fondamentaledell’egizianismo di Bruno. Egli non aveva che da cambia-re leggermente l’argomentazione ficiniana, secondo cuila croce egiziana così carica di potere magico era un pre-sagio del Cristianesimo, in quella per cui essa era la ve-ra croce – rappresentativa della vera religione e piena dipotere magico – che i cristiani avevano modificato inde-bolendone la magia (ciò che in effetti egli risulta aver di-chiarato al compagno di carcere secondo il quale Brunoavrebbe detto che i cristiani avevano «rubbato» il segnoegiziano), e la croce egiziana sarebbe divenuta il segno, il«carattere», il «sigillo» del suo stesso messaggio. Questafu forse una delle ragioni per cui egli pensò che sareb-be stato facile incorporare il suo messaggio in un cattoli-cesimo riformato, dato che era la forma della vera croceegiziana ad essere sugli altari!

La mente del Nolano seguitava evidentemente a lavo-rare nello stesso modo straordinario in prigione – in unmodo, si noti, molto simile a quello in cui Ficino riflet-teva sulla croce, se si eccettua l’unica fondamentale dif-ferenza che la croce egiziana di Ficino è un presagio delCristianesimo mentre per Bruno i cristiani hanno rubatoe alterato la vera croce egiziana (è infatti indubbio che ilcompagno di carcere di Bruno riferisse correttamente lesue parole).

1040 Cfr. supra.

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Fu questa differenza fondamentale a rendere possibileper Bruno – anzi a fargli apparire come cosa giusta ereligiosa – la pratica di ogni sorta di magia in contrastocon Ficino che dovette usare un’estrema cautela permantenere la sua magia nell’ambito naturale e non farlasconfinare in quello demonico.

Bruno espresse le sue opinioni circa la magia buonae quella cattiva rispondendo alle domande sulla ragio-ne per cui era in possesso del libro De sigillis Herme-tis. La magia, egli disse, «è come una spada, che sta ma-le in mano a un scelerato, e potrebbe stare ben’in manod’un’huomo timorato di Dio, e ch’ha da giudicare gl’ef-fetti leciti, et illeciti da che principij procedono, e conche forma si mettono in essecutione con la virtù delle ce-lesti dispositioni, et opere dell’imagini, e caratteri»1041.

Mosè era un grande mago (stando al resoconto diun compagno di carcere sui discorsi fatti da Bruno inprigione, non alle sue risposte durante l’interrogatorio),ed aveva appreso così bene la magia dagli Egiziani dasuperare in abilità i maghi del faraone1042.

In risposta ad un’interrogazione in cui gli si chiedevadi enunciare la sua opinione sui miracoli di Cristo, Bru-no dichiarò che essi erano una testimonianza della suadivinità ma che, secondo lui, una testimonianza ancorpiù grande era la legge evangelica. Quando altri, comegli Apostoli, compirono miracoli, ciò avvenne in virtù diCristo; perciò, benché esteriormente i miracoli di Cristoe quelli di un apostolo o di un santo siano la medesimacosa, i miracoli di Cristo vennero compiuti per suo pote-re, quelli degli altri per un potere altrui1043.

1041 Sommario, p. 101.1042 Sommario, pp. 86-7.1043 Documenti, pp. 101-2. Qui egli non esprime la sua vera

opinione, per la quale cfr. supra.

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Sfortunatamente non possediamo il rapporto del Bel-larmino e del Tragagliolo sulle otto proposizioni ereticheche a Bruno venne richiesto di ritrattare, ma nel Somma-rio è riportato il riassunto di una risposta di «Frater Jor-danus» alle censure sulle proposizioni estratte dalle sueopere1044, da cui si può forse ricavare (anche se non conassoluta sicurezza) qualche indicazione sul tipo di censu-re avanzate dal Bellarmino. Personalmente trovo questodocumento assai confuso e fuorviante ma in esso si ac-cenna all’infinità divina implicante un universo infinito,al modo in cui venne creata l’anima dell’uomo, al movi-mento terrestre, alla natura angelica delle stelle, alla terrain quanto pervasa da un’anima sensitiva e razionale, al-l’esistenza di molti mondi. Sembra trattarsi di questionieminentemente filosofiche ma, come è stato rilevato dalMercati, le interrogazioni assai raramente sollevano que-stioni filosofiche o scientifiche e concernono prevalente-meñte quesiti teologici, materie disciplinari, i contatti diBruno con gli eretici e con i paesi eretici, e così via1045.

Poiché Bruno nel suo rifiuto finale di ritrattare alcun-ché comprese tutto ciò che aveva detto o scritto, la sen-tenza finale probabilmente tenne conto delle molte e sva-riate questioni sollevate in tutti gli interrogatori succedu-tisi negli anni di prigionia, oltre che degli otto punti, qua-lunque essi fossero. Gaspare Scioppio, che fu testimonedella morte di Bruno e che probabilmente udì pronun-ciare allora la sentenza, fornisce un elenco molto etero-geneo di capi per cui Bruno venne condannato: esistonomondi innumerevoli; la magia è cosa buona e lecita; lospirito santo è l’anima mundi; Mosè compì i suoi miraco-

1044 Sommario pp. 113-9.1045 Sommario, pp. 12-3. È certissimo che Bruno, come

afferma il Mercati (ibid., p. 12), venne processato per questionidi fede. Firpo è d’accordo nel riconoscere che il processo fustrettamente legale (Il processo di Giordano Bruno).

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li grazie alla magia in cui era più esperto degli Egiziani;Cristo era un mago1046. Ci sono inoltre altre affermazioni,ugualmente incoerenti. Il fatto è che non abbiamo pro-ve sufficienti (il processo essendo andato perduto) sullacui base ricostruire la vicenda giudiziaria e la condannadi Bruno1047.

Se il movimento della terra fu uno dei punti per cuiBruno venne condannato, da questo punto di vista il suocaso è completamente diverso da quello di Galileo, an-ch’egli costretto a ritrattare l’affermazione circa il movi-mento della terra. Le opinioni di Galileo erano basatesu genuini studi matematici e meccanici; egli visse in undiverso clima intellettuale rispetto a Giordano Bruno, inun clima in cui le «intenzioni pitagoriche» e i «sigilli er-metici» non entravano affatto e in cui lo scienziato rag-giungeva le sue conclusioni su un terreno genuinamentescientifico. La filosofia di Bruno non può essere separa-ta dalla sua religione. Essa era la sua religione, la «reli-gione del mondo», che egli vedeva in questa forma dila-tata dell’universo infinito e dei mondi innumerevoli, co-me una gnosi più vasta, una nuova rivelazione del divinonelle «vestigia». Il copernicanesimo fu un simbolo del-la nuova rivelazione che doveva significare un ritorno al-la religione naturale degli Egiziani, ed alla sua magia, en-tro un contesto che Bruno così stranamente suppose dipoter identificare con quello del cattolicesimo1048.

1046 La lettera di Gaspare Scioppio è riprodotta in Spampa-nato, Vita di Giordano Bruno, pp. 798-805; il suo elenco deglierrori di Bruno è riportato nel Sommario, p. 9.

1047 Cfr. Firpo, Processo di Giordano Bruno.1048 Firpo (op. cit., p. 112) osserva in Bruno, alla fine,

un grave senso di ingiustizia, come se le sue intenzioni nonfossero state capite. Dobbiamo rammentare che in questa finde siècle era diffuso un senso generale di vasti e imminenticambiamenti religiosi; quando questa situazione storica sarà

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Perciò la leggenda secondo cui Bruno venne persegui-tato come pensatore filosofico e venne messo al rogo perle sue temerarie opinioni sui mondi innumerevoli o sulmovimento terrestre non regge più. Questa leggenda ègià stata compromessa dalla pubblicazione del Somma-rio, in cui si mostra quanta poca attenzione venisse de-dicata negli interrogatori a questioni di carattere filoso-fico o scientifico, oltre che dagli scritti di Corsaro e diFirpo in cui viene posto l’accento sulla missione religiosadi Bruno. È mia speranza che questo studio abbia messoin evidenza ancor più chiaramente questo aspetto di mis-sione e la sua natura e che abbia altresì sottolineato comela filosofia di Bruno, ivi compreso il supposto eliocentri-smo copernicano, rientrasse nella missione. Completa-mente assorbito com’era nell’ermetismo, Bruno non erain grado di concepire una filosofia della natura, il nume-ro, la geometria, un diagramma, senza infondervi signifi-cati divini. Egli è perciò veramente l’ultima persona daprendersi come rappresentativa di una filosofia distintadal divino.

La Chiesa agì quindi perfettamente secondo i propridiritti includendo gli aspetti filosofici nella sua condannadelle eresie bruniane. Questi ultimi erano infatti del tuttoinseparabili dalle eresie.

Tuttavia, sul piano morale, la posizione di Bruno re-sta incrollabile. Egli fu infatti il discendente dei Magi ri-nascimentali e si batté per la dignità dell’uomo nel sen-so della libertà, della tolleranza, del diritto dell’uomo adifendere le proprie idee in qualunque paese e a dire ciòche pensa, senza riguardo verso alcuna barriera ideologi-

stata più compiutamente ricostruita il problema di Bruno potràessere compreso più a fondo. Troppo spesso si fa l’erroredi giudicare gli uomini del XVI secolo come se essi fossero aconoscenza di ciò che solo noi sappiamo, che cioè non sarebbeavvenuto nessun grande e generale cambiamento religioso.

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ca. E Bruno, come mago, si schierò per l’amore, in con-trasto con ciò che i pedanti di ogni specie avevano fattodel Cristianesimo, la religione dell’amore.

In quanto al valore poi, l’amore non è forse un Ercole, semprepronto ad arrampicarsi sugli alberi delle Esperidi, sottile comela Sfinge, soave e melodioso come la lira del radioso Apollo cheha per corde i suoi capelli? e quando Amore parla, la voce ditutti gli dèi culla il cielo colla sua armonia1049.

Queste immagini in lode dell’amore sono espresse dal-l’omonimo di Giordano Bruno, Biron, nella commediadi Shakespeare Pene d’amor perdute. Una lunga serie diautori, fra cui io stessa, hanno sostenuto che il perso-naggio di Biron riecheggi il soggiorno di Bruno in In-ghilterra ma nessuno di noi ha mai saputo che cosa cer-care in questa commedia, non essendo arrivato a capi-re ciò di cui Bruno parlava. Ora a me sembra assoluta-mente chiaro che il grande discorso di Biron sull’amoresia un’eco dello Spaccio della bestia trionfante, dove tut-ti gli dèi parlano in lode dell’amore in una delle costel-lazioni. Inoltre, il fatto che l’ambiente della commediasia una corte francese – quella del re di Navarra – in quiBiron guida la schiera dei poeti e degli amanti, appare aquesto punto assai significativo in quanto pone in rap-porto Biron-Bruno con un messaggio proveniente dallacorte francese e con la generale atmosfera europea di fi-duciosa aspettativa verso il Navarra. Nella commedia lacontroparte dei poeti e degli amanti sono i due pedan-ti, un soldato spagnolo (Don Armando) e un «grammati-co» (Oloferne). Anche in questo caso si trova un riscon-tro nello Spaccio, con i suoi due tipi di pedanteria, la tru-culenza e l’ambizione della Spagna cattolica da una par-te e i protestanti «grammatici» dall’altra. Ogni minimo

1049 Pene d’amor perdute, in W. Shakespeare, Tutte le opere,Sansoni, Firenze 1964, p. 276 (trad. it. di Aurelio Zanco).

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dettaglio convalida questa interpretazione, ma occorre-rebbe fare una discussione troppo minuziosa. Basti ri-cordare che alla fine della commedia Biron entra in unospedale per occuparsi dei malati. Gli ospedali erano frale «opere» dei predecessori la cui soppressione da partedei discendenti venne deplorata da Bruno.

Si impone dunque un modo interamente nuovo di af-frontare il problema di Bruno e di Shakespeare. Il pro-blema è assai complesso e deve comportare lo studio, conriferimento a Bruno, della profonda preoccupazione sha-kespeariana per un linguaggio significativo, un linguag-gio che «catturi le voci degli dèi» – per usare una del-le meravigliose espressioni bruniane – in contrasto conl’uso pedantesco o vuoto del linguaggio. L’immagina-zione di Shakespeare è piena di magia, che spesso sem-bra diventare veicolo di soluzioni immaginative dei pro-blemi del mondo. Non fu Shakespeare a creare Prospe-ro, una figura immortale di mago benefico, fondatore diuno stato ideale?1050 In che misura va debitrice la conce-zione shakespeariana del ruolo del mago alla riformula-zione bruniana di tale ruolo in relazione alle avversità deitempi?

Il Navarra, in cui erano riposte tante speranze, fece ef-fettivamente qualcosa, dopo la sua conversione al cattoli-cesimo e la sua ascesa al trono di Francia, per la tolleran-za religiosa in Francia, promulgando l’editto di Nantescon cui si permetteva, a certe condizioni, libertà di cul-to agli ugonotti. Ma se i fedeli sudditi della corona ingle-se, ché si trovavano in una condizione di inferiorità giuri-dica per via delle loro idee cattoliche, speravano qualco-sa di simile dalla supremazia del Navarra in Europa, re-

1050 Si è pensato che Prospero rifletta John Dee: il che puòessere anche vero, ma, come si è visto, Dee e Bruno sonoentrambi variazioni sul tema rinascimentale della magia e dellacabala.

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starono delusi, poiché non ci fu nessun editto di Nantesper i cattolici inglesi1051. Quanto all’Italia, la fiducia chespinse Bruno a fare ritorno nella sua terra natìa pieno disperanza nel Navarra, lo portò dritto al rogo.

Benchè la voce di Bruno appaia così presto soffoca-ta in Italia, mi sono domandata: se non se possa trova-re un’eco nei Ragguagli di Parnaso (1612-13) di Traia-no Boccaliní, con la loro ironica discussione di questio-ni contemporanee nel quadro di un convegno tenuto sulParnaso sotto la presidenza di Apollo. Quest’opera ri-corda, a mio parere, lo Spaccio bruniano nel tocco lucia-nesco con cui fa uso della mitologia per presentare unatteggiamento politico simile. Il Boccalini era un libera-le veneziano animato da forte sentimento antispagnolo el’eroe della sua opera è il Navarra (Enrico IV). I Raggua-gli di Parnaso fanno ricorso, secondo me, a numerosi te-mi bruniani, laddove si discute dei grammatici che stan-no per avviare una riforma e anche dei misfatti spagno-li. Quando sul Parnaso giunge notizia dell’assassinio diEnrico IV, Apollo si copre la faccia con una spessa nu-be e viene sentito esclamare, fra profondi sospiri, «cheil mondo era giunto alla fine di presto douer ritornar’ alsuo primo principio, poiche la scelarata perfidia di alcuniera peruenuta à tal colmo d’empietà»1052.

Galileo fece propria la teoria del movimento terrestrein termini completamente diversi da quelli bruniani, ep-pure è piuttosto singolare osservare come il Dialogo deidue massimi sistemi del mondo (1632) sia non dissimile,

1051 Quando l’influenza di Bruno in Inghilterra sarà stataesaurientemente studiata potrà apparire come una delle mag-giori ironie della storia che la sua missione in Inghilterra siasembrata agli Inglesi qualcosa di simile ad una Controriformaocculta.

1052 Traiano Boccalini, Ragguagli di Parnaso, centuria I, rag-guaglio 3. Sull’uso dell’opera del Boccalini da parte dei Rosa-croce, cfr. in seguito.

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nella sua forma letteraria, da La cena de le ceneri. Neldialogo galileiano l’aristotelico dogmatico è rappresenta-to da Simplicio, dal nome di un commentatore di Aristo-tele, scelto anche per la sua accezione di «sempliciotto»,e l’argomentazione viene fatta in presenza di due nobi-li, Francesco Sagredo e Filippo Salviati, nel palazzo ve-neziano del Sagredo. Se al posto di Francesco Sagredosi pone Fulke Greville, nella cui casa londinese si suppo-ne abbia avuto luogo il dibattito copernicano descrittoda Bruno, e se al posto di Filippo Salviati si pone PhilipSidney, la riunione veneziana corrisponde perfettamen-te a quella londinese, con i suoi cavalieri, con i suoi pe-danti e con il suo filosofo – stavolta non Bruno ma Ga-lileo. Questi traspone il grande dibattito sui sistemi co-pernicano e tolemaico dell’universo su un piano raziona-le e scientifico, ma l’ambiente in cui egli lo colloca ricor-da stranamente il precedente dibattito condotto a livel-lo pitagorico ed ermetico1053. Aveva Galileo letto La ce-na de le ceneri? Egli fu a Padova dal 1592 in poi (subitodopo il passaggio di Bruno) ed era in intimi rapporti colPinelli e si servì della sua raccolta di libri1054. Vien fattodi domandarsi se l’utilizzazione bruniana del copernica-nesimo non possa per caso aver sollevato nella mente de-

1053 Galileo ripudia accuratamente la numerologia pitagoricain un passo che da un moderno curatore della sua grande operaè stato così commentato: «Nell’intenzione di Galileo questeosservazioni sono volte a dissociarlo esplicitamente dal correnteindirizzo di scienza occulta e di razionalismo mistico pseudo-pitagorici che nel tardo Rinascimento aveva conosciuto unostraordinario risveglio, culminato nel tragico destino di Bruno»(Galileo Galilei, Dialogue on the Two Great Systems, a cura diG. De Santillana, Chicago 1953, p. 15 nota). Questa nota coglienotevolmente bene la posizione di Bruno.

1054 A. Favaro, Galileo Galilei e lo studio di Padova, Firenze1883, I, p. 226.

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gli inquisitori l’idea che ci potesse essere qualcosa d’altronella difesa galileiana della tesi del movimento terrestre.

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XX. GIORDANO BRUNO E TOMMASOCAMPANELLA

Giordano Bruno e Tommaso Campanella1055 furono gliultimi due esponenti della tradizione filosofica del Ri-nascimento italiano. Come Bruno, Campanella era unfilosofo-mago, nella linea della tradizione magica rinasci-mentale che faceva capo a Ficino. È noto come Campa-nella abbia praticato la magia ficiniana sino alla fine deisuoi giorni. Sempre alla pari di Bruno, Campanella eraun mago che si sentiva investito di una missione. Que-st’uomo enorme, convinto di avere sulla testa sette protu-beranze simboleggianti i sette pianeti1056, possedeva unaimmensa fiducia in se stesso, ritenendosi in contatto colcosmo e destinato a guidare una riforma universale di ti-po magico-religioso. Diversamente da Bruno, Campa-nella non venne arso sul rogo, anche se fu torturato di-verse volte e passò più di ventisette anni della sua vita inprigione. Eppure – diversificandosi anche in questo daBruno – Campanella giunse molto vicino a realizzare ilsuo progetto di riforma magica in un contesto cattolico,o, quanto meno, a interessare alle sue idee un certo nu-mero di persone molto importanti. Le idee di Campa-

1055 Su Campanella, cfr. L. Amabile, Fra Tommaso Campanel-la, la sua congiura, i suoi processi, e la sua pazzia, Napoli 1882, e,sempre dell’Amabile, Fra Tommaso Campanella ne’ Castelli diNapoli, in Roma ed in Parigi, Napoli 1887; L. Blanchet, Campa-nella, Paris 1920; Paolo Treves, La filosofia politica di Tomma-so Campanella, Bari 1930; A. Corsano, Tommaso Campanella,2ª ed., Bari 1961.

Lo strumento indispensabile per districarsi in mezzo al-le complessità dell’opera campanelliana è la Bibliografia degliscritti di Campanella di L. Firpo (Torino 1940).

1056 Blanchet, op. cit., p. 37.

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nella sono vicine a quelle di Bruno, con alcune variazio-ni; anche la sua vita assomiglia a quella del Nolano, purdiscostandosene in qualche aspetto: questi punti di con-tatto e queste differenze gettano luce retrospettivamentesu Bruno e aiutano a capirlo meglio.

La vita di Campanella può essere grosso modo divisain tre periodi. Il primo è quello della giovinezza, trascor-sa da questo frate domenicano eretico e agitatore politi-co passando continuamente da una prigione all’altra, eculminante nella rivolta calabrese. Si trattava di un mo-vimento rivoluzionario che mirava a rovesciare il gover-no spagnolo nel Regno di Napoli ed a costituire al suoposto una repubblica. spiccatamente utopistica, una ma-gica Città del Sole di cui Campanella avrebbe dovuto es-sere il grande sacerdote e il profeta. L’avvento di questanuova èra nella storia del mondo era preannunciato, se-condo Campanella, da prodigi celesti. Questa rivoluzio-ne, benché predicata con sfrenato entusiasmo da Cam-panella e dai suoi seguaci, mancava di qualsiasi seria pre-parazione pratica e naturalmente fallì del tutto a causadella potenza della Spagna e del ben organizzato siste-ma di governo spagnolo nell’Italia meridionale. Comin-cia così il secondo periodo della vita di Campanella, dalui interamente trascorso in prigione a Napoli dove scris-se con stupefacente fermezza di propositi immense ope-re filosofiche e teologiche e condusse un’attività di pro-paganda in cui veniva spogliando il suo progetto di rifor-ma magica di ogni aspetto rivoluzionario e orientandoloin direzioni apparentemente più ortodosse. Stavolta erala monarchia spagnola, o il papato, a dover essere lo stru-mento di attuazione della riforma universale. Pur senzaabbandonare mai i presupposti naturalistici e magici del-la sua concezione filosofica e teologica, Campanella riu-scì a presentarsi in una luce più rispettabile e venne al-la fine liberato dalla prigione dove aveva trascorso tuttala parte migliore della sua vita. Con la partenza per la

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Francia comincia il suo terzo e ultimo periodo. Qui eglitrasferì alla monarchia francese l’onore di farsi strumen-to di realizzazione della riforma universale e di diventareil centro della futura Città del Sole. Egli ebbe l’incorag-giamento di Richelieu e della corte e poté salutare la na-scita del Delfino, il futuro Luigi XIV, come quella di co-lui che era destinato a diventare il Re Sole di un mondoriformato.

Così, grazie ad una sorta di savoir faire o, forse, di astu-zia, di cui Bruno fu assolutamente privo, Campanella,che pure nel suo primo periodo aveva seguito molto davicino – secondo me – le orme bruniane, fece in modo daevitare il tragico destino del Nolano e da ricevere a Pa-rigi, nel suo ultimo periodo, l’apoteosi come profeta diquella monarchia francese che, nelle persone di EnricoIII e di Enrico IV, anche Bruno aveva sperato di vederealla testa di una riforma universale.

I capitoli prebruniani di questo libro sono stati scrit-ti con il proposito di introdurre lo studio di Bruno rico-struendo il contesto storico di magia rinascimentale e diermetismo religioso entro cui si colloca la sua produzio-ne. Questo capitolo postbruniano si prefigge uno scoposimile: quello di riconsiderare retrospettivamente Brunoattraverso Campanella. Nel vasto e terribilmente com-plesso materiale su Campanella io mi fermerò a consi-derare solo certi punti che servono a questo mio scopoparticolare.

Campanella nacque a Stilo, in Calabria, nel 1568; Bru-no era nato a Nola, vicino a Napoli, nel 1548. Essi pro-venivano dunque entrambi dal sud, da quel Regno diNapoli che era sede della maggiore potenza asburgico-spagnola della penisola italiana. Campanella aveva ven-t’anni meno di Bruno e questo scarto cronologico fece sìche Campanella seguisse, all’inizio della sua vita, le stes-se orme di Bruno ma in epoca successiva alla sua. Bru-no entrò nell’ordine e nel convento domenicano di Na-

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poli nel 1563. Diciannove anni più tardi, nel 1582, ancheCampanella prese l’abito domenicano ma in un conventopiù a sud. Nel 1576 Bruno abbandonò l’ordine e il con-vento napoletano, dopo essere stato messo sotto accusadi eresia, e iniziò i suoi vagabondaggi in molti paesi. Tre-dici anni dopo, nel 1589, Campanella lasciò il suo con-vento e andò a Napoli, dove venne processato per eresiae imprigionato. Campanella dà l’impressione di esserepassato attraverso le medesime esperienze di Bruno neisuoi primi anni, sotto l’iniziale influenza dei domenicanimeridionali, singolarmente anarchici.

Ci fu un momento in cui le vite di questi due uomini siincrociarono l’un l’altra. Come si è visto nel precedentecapitolo1057, quando fece ritorno in Italia Bruno trascorsecirca tre mesi a Padova, preparandosi alla propria mis-sione. In questo periodo egli doveva trovarsi in uno sta-to di grande ebollizione, intento com’era a operare conogni sorta di magia, sia demonica che naturale, per ac-crescere il potere della sua personalità e riuscire così adinvogliare Clemente VIII alla realizzazione della granderiforma. Quando, nel marzo del 1592, egli lasciò Padovaper recarsi a Venezia e subito dopo scomparve, grazie aibuoni offici del Mocenigo, nelle carceri dell’Inquisizio-ne, la notizia deve essersi diffusa con ogni probabilità aPadova e in particolare presso il Panelli e il suo circolo.

Nell’ottobre del 1592 Campanella giunse a Padova1058,sei mesi dopo che ne era partito Bruno. Vi soggiornòun anno o due e in tale occasione conobbe Galileo.Anche il periodo padovano di Campanella dovette esserepiuttosto agitato: gli furono mosse infatti varie accusee venne chiuso in prigione dove, nel 1593-94, scrissealcune opere indirizzate a Clemente VIII.

1057 Cfr. supra.1058 Amabile, Congiura, I, pp. 63 sgg.; Blanchet, op. cit., pp.

24-7.

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Non è senza significato che Campanella arrivasse aPadova dopo così poco tempo che Bruno ne era partitoper avviarsi verso la fatale prigionia. I due filosofi-maghi,riformatori universali e domenicani eretici per poco nonsi incontrarono personalmente. Tuttavia Bruno deveaver lasciato dietro di sè a Padova un’atmosfera, uncircolo o una fama che indubbiamente influenzaronoCampanella.

Alla fine del 1594 Campanella fu trasferito nelle carce-ri dell’Inquisizione a Roma; fra le accuse che gli veniva-no mosse c’era quella di aver diffuso, col suo De sensitivarerum facultate, una dottrina eretica sull’anima del mon-do e di avere scritto un sonetto empio. In questo perio-do egli indirizzò al papa un trattato in cui gli assegnavala monarchia universale e delineava un vasto programmaper l’unione di tutto il mondo. Inoltre scrisse un trattatoin cui consigliava ai principi italiani di non contrastare ipiani della monarchia spagnola1059. È difficile credere al-la sincerità di Campanella in quest’ultimo scritto poichénon molti anni dopo egli avrebbe guidato la rivolta ca-labrese contro la Spagna. A differenza di Bruno, Cam-panella non disdegnava talvolta di dissimulare il propriopensiero pur di raggiungere uno scopo. Ad ogni modoegli venne scarcerato alla fine del 15951060, probabilmen-te grazie all’intervento di un influente protettore, LelioOrsini, di cui si era guadagnato la simpatia con questesue opere.

Ancora una volta è sorprendente notare lo strettoparallelismo fra la vita di Bruno e quella di Campanella:anche Bruno, infatti, si trovava in questo periodo inun’altra cella delle prigioni dell’Inquisizione romana.

Alla fine del 1597 Campanella lasciò Roma per Na-poli dove ebbe scambi d’idee con un astrologo e con

1059 Blanchet, op. cit., pp. 25-9.1060 Ibid., p. 29.

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il geografo Stigliola che aveva diviso con lui il carce-re romano ed era un acceso sostenitore dell’astronomiacopernicana1061. Probabilmente queste discussioni con-fermarono Campanella nell’opinione, da lui in seguitoprofessata così spesso durante la rivolta calabrese, chesegni celesti annunciavano l’imminenza di profondi cam-biamenti politici e religiosi. Nel 1598 egli parti da Napoliper recarsi più a sud, nel suo paese natale in Calabria do-ve, nel 1598 e 1599, organizzò la rivolta contro il governospagnolo.

La straordinaria storia della rivolta calabrese è stataefficacemente narrata da Léon Blanchet, nella sua vita diCampanella1062; la ricostruzione di Blanchet è basata sulricco fondo di documenti, raccolti dalle autorità dopo larepressione della rivolta, che venne scoperto e pubblica-to da Luigi Amabile1063. Con appassionati discorsi, Cam-panella e i suoi seguaci, fra cui molti domenicani, annun-ciavano che grandi cambiamenti erano imminenti. Il de-clino dello spirito di carità fra gli uomini e il cresceredella discordia e delle eresie testimoniano la necessità diun nuovo ordine religioso, il cui avvento è preannuncia-to da prodigi celesti. Fra questi si indica la «discesa delsole», cioè l’avvicinamento del sole alla terra. (Campa-nella avrebbe insistito continuamente su questo prodigioin molti scritti successivi.)1064 L’anno 1600 avrà partico-lare importanza a causa del significato numerologico delnove e del sette, la cui somma è sedici. Nel nuovo ordi-ne avvenire saranno istituiti un miglior culto religioso emigliori leggi morali, l’uno e le altre basati sulla natura e

1061 Ibid., p. 32.1062 Ibid., pp. 33-41.1063 I documenti sulla rivolta calabrese sono pubblicati nel

terzo volume della Congiura dell’Amabile.1064 Cfr., per esempio, le Lettere di Campanella, a cura di V.

Spampanato, Bari 1927, pp. 23, 219.

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sulla religione naturale. La Calabria deve prepararsi al-l’età nuova abbattendo la tirannide spagnola e dando vi-ta a una repubblica in cui si realizzino la nuova religio-ne e la nuova etica. Campanella è il messia dell’età nuo-va, designato sia dalle predizioni astrologiche che dalleprofezie religiose a guidare il mondo entro un’altra èra.

In essa, la parte del Cristianesimo resterà importante:il Cristianesimo ha avuto i suoi profeti, i suoi taumatur-ghi, i suoi esperti nell’arte della divinazione, i suoi ope-ratori di miracoli. Cristo fu un mago e legislatore grandeed ispirato. E quindi possibile un rapprochement fra i mi-steri cattolici e la religione della magia naturale. Ed eccoche Campanella cita fonti e profezie cristiane, in partico-lare quelle di santa Caterina, santa Brigida e san Vincen-zo Ferrer; e inoltre Savonarola, l’abate Gioacchino, Pe-trarca e Dante. Soprattutto le Sibille sono le profetesse acui Campanella attinge più di frequente, vedendole nellaprospettiva lattanziana1065.

In questa strana rivoluzione, domenicani eretici, o ex-domenicani, ebbero un ruolo di primo piano. Frate do-menicano non era soltanto il braccio destro di Campa-nella, Dionisio Ponzio, ma lo erano anche molti altri suoisostenitori1066. Può darsi che si debba porre l’insurrezio-ne calabrese del 1599 in rapporto con l’insofferente com-portamento dei domenicani napoletani che quattro anniprima, nel 1595, armi in pugno, resistettero nel conven-to di san Domenico contro un gruppo di riformatori in-viati da Roma per imporre loro una condotta di vita piùregolare1067. C’era evidentemente molta irrequietezza frai domenicani dell’Italia meridionale e non si può esclu-

1065 Amabile, Congiura, III, p. 4901066 Il forte elemento domenicano della rivolta appare eviden-

te dai documenti pubblicati dall’Amabile ma non è stato sotto-lineato dagli studiosi successivi.

1067 Amabile, Congiura, I, pp. 25-8.

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dere, come spiegazione di ciò, che le idee rivoluzionariedi Bruno e Campanella non fossero peculiari di questi fi-losofi ma avessero la loro radice in una certa mentalitàgeneralmente diffusa, nel Meridione, tra le file dell’ordi-ne. La rivolta calabrese può essere stata l’ebollizione fi-nale di quelle forze che spinsero sia Bruno che Campa-nella ad intraprendere la loro pericolosa carriera.

Si ha l’impressione che Campanella abbia fatto affida-mento soprattutto sulla forza della sua personalità ispi-rata per il successo dello straordinario movimento da luipromosso, e sulla fede nei portenti e nelle profezie. Leuniche iniziative pratiche di Campanella sembrano in so-stanza essersi ridotte ad accordi con i nobili scontentidell’Italia meridionale e con i Turchi che avrebbero do-vuto inviare, e di fatto inviarono, ma troppo tardi, un di-staccamento di galere in aiuto agli insorti. Il tutto ven-ne facilmente soffocato e alla fine del 1599 le prigioni diNapoli si riempirono di domenicani ribelli mentre i lo-ro amici venivano sottoposti a interrogatori e spesso tor-turati per ricavare quelle prove circa il movimento chel’Amabile rinvenne e pubblicò nel 1882.

Nessuno, né allora né, come credo, in seguito, ha vistoalcun rapporto fra questo movimento e Giordano Bruno.Ma ora salta sicuramente agli occhi il fatto che questa ri-voluzione calabrese assomiglia moltissimo ad una attua-zione del programma bruniano di una riforma che an-ch’egli riteneva imminente a causa dell’approssimarsi diuna nuova èra della storia del mondo. La temeraria fidu-cia dell’azione campanelliana in Calabria, nata dalla cre-denza in poteri miracolosi e nei segni dei tempi, è simi-le alla temerarietà del ritorno di Bruno in Italia, avvenu-to in uno stato analogo di eccessivo ottimismo. Ovvia-mente, sarebbe errato considerare il movimento campa-nelliano esclusivamente come una risultante dell’influen-za prodotta dal ritorno di Bruno in Italia. Altri fattorivanno presi in esame; l’apparente somiglianza può esse-

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re dovuta, come è già stato suggerito, all’impulso rica-vato sia da Bruno che da Campanella da questo singola-re atteggiamento di insoddisfazione dei domenicani delSud d’Italia, di cui la rivolta calabrese è un episodio illu-minante. Inoltre, in questa fin de siècle, tali concetti dicambiamenti imminenti e di prossima riforma erano ve-rosimilmente nell’aria e le prigioni dell’Inquisizione ro-mana erano popolate di infelici visionari dalle speranzedeluse. Uno di questi fu Francesco Pucci, che era statoin Inghilterra, che fu autore di un progetto di repubbli-ca cristiana universale, che fece ritorno in Italia nel 1592,press’a poco come Bruno, con un commosso appello aClemente VIII, e che, sempre al pari di Bruno, sperò peruna soluzione in Enrico IV di Francia1068. Anche la sortedel Pucci fu simile a quella di Bruno: venne imprigiona-to a Roma nel 1594 e nel 1597 fu eseguita su di lui la con-danna a morte. Come è stato messo in evidenza da LuigiFirpo, sembra quasi certo che il Pucci influenzasse Cam-panella, che ebbe con lui scambi di parole nel carcereromano1069.

Ma, una volta tenute nel debito conto altre possibiliinfluenze, ed esserci cautelati contro ogni forzatura, restaassai verosimile l’impressione che ci sia stato un cambiodi consegne da Bruno a Campanella. In lettere scritte daCampanella in anni successivi si trovano molti concetti,e persino frasi, che ricordano stranamente certi passi deidialoghi italiani di Bruno, in particolare della Cena de leceneri, e stanno così a indicare come Campanella avessealmeno letto qualche opera bruniana.

La data della morte di Bruno acquista nuovo signifi-cato quando venga vista nel contesto della rivolta cala-brese e dei suoi sviluppi. Perché, dopo otto anni di car-cere, Bruno venne alla fine condotto ad una morte terri-

1068 Cfr. supra.1069 Firpo, Processo e morte di F. Pucci, p. 23.

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bile, pubblicamente, nel febbraio 1600? Nel novembredell’anno precedente Campanella fu imprigionato a Na-poli: nel febbraio 1600 venne sottoposto a torture. L’e-secuzione di un domenicano ribelle come Bruno, al tem-po in cui la rivolta calabrese, guidata da un altro dome-nicano ribelle, era stata appena domata, può avre avu-to l’aria di un avvertimento. Campanella scampò appe-na da una morte come quella di Bruno, grazie evidente-mente alla sua presenza di spirito che gli fece simulare lapazzia.

Così si inaugurava quel fausto anno 1600, compostodal nove e dal sette: con la morte di Bruno e con Cam-panella avviato ad una detenzione di ventisette anni. Neldestino di questi due discendenti di Ficino, in cui agivaancora il lievito del Rinascimento, è simboleggiato il sof-focamento in Italia di quelle forze rinascimentali che inaltri paesi avrebbero trovato nuove vie di espansione nelcorso del XVII secolo.

Nella sua opera più famosa, la Città del Sole, Campa-nella delineò la sua Utopia, la sua idea dello stato ideale.Quando l’Amabile fece le sue scoperte sulla rivolta cala-brese, capì che gli scopi di quella rivolta, quali traspari-vano dalle fonti documentarie su di essa, si avvicinavanoalle opinioni espresse nella Città del Sole e che, di fatto,il fine della rivolta era quello di dar vita a uno stato mol-to simile alla Città del Sole. In un capitolo del suo librosu Campanella, Blanchet riprese le argomentazioni del-l’Amabile e sviluppò ulteriormente l’analisi del rapportofra la rivolta e la città ideale di Campanella1070.

La Città del Sole fu scritta probabilmente intorno al1602, cioè nei primissimi anni di prigionia. Questa primaversione dell’opera, scritta in italiano, restò inedita fino

1070 Amabile, Congiura, I, pp. 220 sgg.; Blanchet, op. cit., pp.66 sgg.

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al 19041071. Campanella fece in seguito una traduzionelatina dell’opera, sensibilmente diversa dall’originale, efu questa versione latina riveduta e modificata quella cheegli pubblicò durante la sua vita, dapprima in Germanianel 1623 e poi a Parigi nel 1637. Quest’ultima edizione èleggermente diversa da quella tedesca.

La Città del Sole si trova sopra un colle in mezzo aduna vasta pianura ed è suddivisa in sette giri «nominatidalli sette pianeti». Le case, i palazzi e i chiostri della cittàsorgono lungo questi giri, che sono separati fra loro damura. Quattro strade trasversano la città, facendo capo aquattro porte, «alli quattro angoli del mondo spettanti»,e convergendo al centro di essa.

Qui, sulla sommità della collina, sorge un gran tempio,di meravigliosa fattura. Esso è perfettamente rotondoe la grande cupola poggia su enormi colonne. «Sopral’altare non vi è altro ch’un mappamondo assai grande,dove tutto il cielo è dipinto, ed un altro dove è la terra;poi nel cielo della terza cupola vi stanno tutte le stellemaggiori del cielo, notate con li nomi loro e virtù, chehanno sopra le cose terrene con tre versi per una»; lerappresentazioni sulla cupola sono «in corrispondenzanelli globbi dell’altare. Vi sono sempre accese settelampade nominate dalli sette pianeti... Nelle mura deltempio esteriori, e nelle cortine, che si calano quandosi predica per non perdersi la voce, vi sta una stellaordinatamente con tre versi per una1072.»

È chiaro che il tempio è un modello del mondo, mi-nuziosamente descritto, e che il culto in esso celebratodev’essere un culto del mondo.

Anche le mura dei giri recano rappresentazioni su en-trambi i lati. Sul lato interno del primo girone (quello più

1071 Campanella, Città del Sole, a cura di E. Solmi, Modena1904. Tutti i richiami si riferiscono a questa edizione.

1072 Città del Sole, ed. cit., pp. 3-5.

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vicino al tempio) sono riprodotte tutte le figure matema-tiche, più di quelle descritte da Euclide e Archimede; sullato esterno «vi è la carta della terra tutta, e poi le tavo-le di ogni provincia con li siti e costumi e leggi loro [deiSolari], e con alfabeti ordinari sopra il loro alfabeto».

Sul muro interno del secondo girone son rappresenta-te tutte le pietre preziose e i minerali; sul lato esterno «vison tutte sorti di laghi, mari e fiumi, vini ed ogli ed altriliquori, e loro virtù ed origini e qualità». Il muro del ter-zo girone è dedicato, da un lato, al mondo vegetale, conraffigurazioni di ogni specie di alberi ed erbe, con le ri-spettive virtù e corrispondenze celesti, dall’altro a tuttele sorte di pesci con le loro somiglianze alle cose celesti.Sul quarto muro si osservano uccelli e rettili; sul quintoanimali.

Infine, nel girone più periferico sono presentate, sullato interno del muro, «tutte le arti meccaniche, e l’in-venzioni loro, e li diversi modi, come s’usano in diver-se regioni del mondo»; sul lato esterno, «tutti gl’invento-ri delle leggi e delle scienze», fra i quali Mosè, Osiride,Giove, Mercurio, Maometto.

In una zona più alta ed «onorata» del muro sono lefigure di Cristo e dei dodici apostoli, molto venerati daiSolari.

La Città è perciò una immagine completa del mondoin quanto governato dalle leggi della magia naturale indipendenza dalle stelle. I grandi uomini sono coloroche meglio hanno compreso e usato tali leggi: inventori,maestri di morale, operatori di miracoli, capi religiosi, inbreve i Magi, con in testa Cristo e i suoi apostoli.

Reggitore della Città è il primo sacerdote «che s’ap-pella Sole» (nei manoscritti il nome è rappresentato dalsimbolo del sole, un cerchio con un punto al centro), «ein lingua nostra si dice Metafisico». Egli è il capo assolu-to, sia sul piano spirituale che su quello temporale, ed èassistito da tre collaboratori, Potestà, Sapienza e Amore.

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Potestà si occupa delle questioni militari, Sapienza dellescienze, Amore «ha cura delle generazioni, di far unire limaschi alle femmine in modo che faccino bona razza» esi interessa anche dell’educazione e della medicina.

Sotto questo governo, gli abitanti della Città vivono inamore fraterno, avendo ogni cosa in comune. Sono intel-ligenti e ben educati: i fanciulli cominciano prestissimoad apprendere tutto sul mondo e su ogni specie di arti escienze dalle raffigurazioni sulle mura. I Solari incorag-giano le invenzioni scientifiche e queste vengono utiliz-zate al servizio della comunità per accrescere il benesse-re generale. Godono buona salute e sono espertissimi dimedicina. Inoltre sono virtuosi: in questa città le virtùhanno prevalso sui vizi poiché i nomi dei suoi magistra-ti sono Liberalità, Magnanimità, Castità, Fortezza, Giu-stizia, Solerzia, Verità, Beneficenza, Gratitudine, Miseri-cordia, e via dicendo. Perciò non ci sono tra i Solari «la-trocini, né assassinii, né stupri né incesti, adultèri», némalignità o malevolenza di sorta.

Come ogni Utopia, la Città del Sole rivela chiaramen-te l’influenza della Repubblica platonica, in particolarenei motivi comunistici. Ma la repubblica campanellianaè ripiena per ogni verso di astrologia e il suo intero siste-ma di vita è vòlto al raggiungimento di un vantaggiosorapporto con le stelle. Il proposito di formare una buo-na razza umana mediante la procreazione selettiva – unadelle audaci innovazioni per cui l’opera di Campanella èfamosissima – non ha realmente nulla che fare con la ge-netica come noi l’intendiamo. Si tratta infatti di sceglie-re il giusto momento astrologico per il concepimento edi accoppiare maschi e femmine reciprocamente compa-tibili quanto a temperamento astrologico. L’opera vienecompletamente fraintesa se la si considera alla stregua diun progetto di stato ben governato in qualunque moder-na accezione. La Città è organizzata in modo da funzio-

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nare in accordo con le stelle e da ciò proviene tutta la suafelicità, prosperità e virtù.

È perfettamente chiaro che il grande sacerdote e i suoiassistenti, che governano la Città del Sole, sono dei Ma-gi: essi capiscono il mondo, sanno come «attirare la vi-ta del cielo», per usare l’espressione di Ficino, a bene-ficio dell’umanità. Campanella non descrive il modo incui le stelle sono rappresentate nel tempio. Egli accen-na alle immagini delle stelle sulla cupola, in corrispon-denza con i globi dell’altare sormontato da sette lampa-de planetarie: perché non supporre che in esse figurasse-ro immagini magiche dei trentasei decani dello zodiaco?E la Città non era governata da una buona magia, in mo-do tale che i buoni influssi del cielo prevalessero su quel-li infausti? Varie fonti sono state suggerite per la cam-panelliana Città del Sole, fra cui un’influenza dell’Utopiadi Tommaso Moro, particolarmente per quanto concer-ne l’invenzione che la Città fosse stata scoperta nel Nuo-vo Mondo da un viaggiatore; oppure un’influenza di al-tri progetti di città rinascimentali. Ma si tratta, a mio pa-rere, di influenze secondarie. Per scoprire la fonte origi-naria è necessario scavare più a fondo e riportare alla lu-ce quelle sorgenti magiche sotterranee da cui venne ali-mentato il Rinascimento. Secondo me, infatti, il paralle-lo più vicino alla Città campanelliana è nient’altro che laCittà di Adocentyn del Picatrix1073.

In questa città magica c’era un castello con quattroporte e su di esse figuravano immagini entro cui ErmeteTrismegisto aveva introdotto spiriti parlanti. Si pensiora alle quattro porte e alle quattro strade della Cittàdel Sole. Sulla sommità del castello c’era un faro cheirradiava sulla città i colori dei sette pianeti. Nella Cittàdel Sole sette lampade planetarie ardono perennementenel tempio. Intorno al perimetro di Adocentyn, Ermete

1073 Cfr. supra.

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aveva collocato immagini magiche e le aveva disposte inmodo tale che gli abitanti fossero resi virtuosi e tenutilontani da qualsiasi male e scelleratezza. Si confrontitutto ciò con le immagini celesti della Città del Sole che,come abbiamo suggerito, hanno una funzione simile.In mezzo ad Adocentyn cresceva un grande albero cheproduceva il frutto di tutta la generazione. Pensiamo allaprocreazione selettiva nella Città del Sole.

Inoltre, nel passo del Picatrix con la descrizione dellacittà di Adocentyn, si dice anche che Ermete Trismegi-sto aveva eretto un tempio al Sole. Se colleghiamo (co-me da me suggerito in un precedente capitolo) l’ermeti-ca città di Adocentyn e il tempio del Sole del Picatrix al-l’esposizione della religione «naturale» egiziana ed al La-mento per la sua decadenza contenuti nell’Asclepius, vitroviamo, fra le profezie della futura restaurazione dellareligione e delle leggi egiziane, le parole:

Un giorno, gli dei che esercitano il loro dominio sulla terra,saranno restaurati e installati in una città all’estremo confinedell’Egitto, una città che sarà fondata in direzione del sole chetramonta e nella quale accorrerà, per mare e per terra, l’interarazza dei mortali1074.

Qui, in questo testo fondamentale per la magia ri-nascimentale che è l’Asclepius, è contenuta indubbia-mente una anticipazione dell’universale Città del Solecampanelliana1075.

1074 Cfr. supra.1075 Questa opinione sulla fonte della Città del Sole non con-

trasta con la proposta avanzata da Paolo Treves che ha indica-to Isaia, XIX, 18: «In die illa erunt quinque civitates in terraAegyptii, loquentes lingua Chanaan, et jurantes per Dominumexercituum; Civitas Solis vocabitur una» (Paolo Treves, The Ti-tle of Campanella’s City of the Sun, «J.W.C.I.», III, 1939-40, p.251). La Civitas Solis di cui parla il profeta ebraico è in Egitto.

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Una volta verificato questo, diventa ovvio che i bian-covestiti Solari di Campanella altri non sono che Egizia-ni, vale a dire pseudo-Egiziani ermetici. Il sacerdote Sole«tutte le scienze ha da sapere..., e li gradi degli enti e cor-rispondenze loro con le cose celesti»1076. Tale era la sa-pienza degli ermetici sacerdoti egiziani e tale la sapienzadi Ermete Trismegisto nel suo triplice ruolo di sacerdo-te, filosofo e re-legislatore. Così è il sacerdote Sole del-la Città campanelliana, assommando in sé le prerogativedel saggio, del sacerdote e del reggitore.

Naturalmente egli è anche l’ideale re-filosofo del pla-tonismo. Ma, nella prospettiva storica del Rinascimen-to, Platone aveva imparato dagli Egiziani e gli scritti er-metici costituivano una sapienza anteriore alla sapienzagreca. Anche Mosè apprese la sua sapienza in Egitto.La Città di Campanella si colloca in questa prospettiva:ci sono influenze ebraiche, echi del tempio di Salomonenel tempio del Sole; ci sono influenze platoniche; ma, ce-lata dietro tutte queste, c’è l’influenza egiziana. Lo stratodi influenza più profondo, primario, della Città del Soleè, secondo la mia opinione, ermetico; e il suo primo mo-dello, a cui si sono aggiunte molte più tarde influenze,è, per me, la città magica di Adocentyn descritta nel Pi-catrix, oltre alla descrizione della religione degli egizianicontenuta nell’Asclepius.

La Città di Campanella si colloca pertanto fra i pro-dotti infinitamente ricchi e vari dell’ermetismo religio-so rinascimentale. Essa appartiene al tipo magico estre-mo di ermetismo religioso ma, in seguito alla profondacristianizzazione degli scritti ermetici, Campanella cre-de tuttora che la loro religione «naturale» e le loro leg-gi siano vicine al Cristianesimo, che esse possano venireagevolmente completate dai sacramenti cristiani e che,con Cristo venerato come mago, esse possano formare la

1076 Campanella, Città del Sole, ed. cit., p. 11.

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nuova religione e la nuova etica universali che il mondosta aspettando.

Se questi [i Solari], che seguon solo la legge della natura,sono tanto vicini al Christianesimo, che niuna cosa aggiungealla legge naturale, se non li sacramenti, io cavo argomento diquesta relazione che la vera legge è la Christiana, e che, tolti gliabusi, sarà signora del mondo1077.

La Città del Sole è eliocentrica in senso religioso e ma-gico, essendo governata dal sacerdote Sole. È eliocen-trica, in senso astronomico, anche la sua pianta, cioè co-pernicana? I giri prendono il nome dai pianeti, ma nonsi specifica se la terra sia uno di essi, con il sole al cen-tro, o se invece sia il sole ad appartenere all’ordine pla-netario, con la terra al centro. I Solari erano interessati aentrambe le teorie.

[I Solari] laudano Tolomeo, ed ammirano Copernico, benchéAristarco, e Filolao prima di lui [come teorico dell’eliocentri-smo]... Essi cercano assai sottilmente questo negozio, perchéimporta a sapere la fabbrica del mondo, e se perirà e quando.Et credono esser vero quel che disse Christo delli segni dellestelle et sole et luna, li quali alli stolti non paiono veri, ma glivenirà, come ladro di notte, il fine delle cose. Onde aspetta-no le rinnovazione del secolo [il millennio prima della fine delmondo], e Porsi il fine... Son nemici d’Aristotile et l’appellanopedante1078.

Sembrerebbe, dunque, che, sebbene non completamen-te decisi circa il copernicanesimo, i Solari associasse-ro mentalmente senza soluzione di continuità la teoriaastronomica ai «portenti»; inoltre, non andava loro a ge-nio Aristotele, definito «pedante». Siamo qui molto vi-cini all’atmosfera della Cena, in cui Bruno difende il co-

1077 Ibid., p. 43.1078 Ibid., p. 38.

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pernicanesimo contro la pedanteria aristotelica come unportento del sole nascente del ritorno all’egizianismo. Ilmillenarismo dei Solari è diverso da quello di Bruno e cisono alcune altre differenze. Sono tuttavia incline a pen-sare che la Città del Sole rappresenti qualcosa di similealla riforma magica e ficiniana della religione e della mo-rale di cui Bruno previde l’imminente ritorno attraver-so il copernicanesimo, visto come un portento, come unsegno nel sole.

Si può fare un illuminante confronto fra l’esposizio-ne bruniana della riforma ermetica nello Spaccio e la Cit-tà del Sole. Anche nello Spaccio Cristo resta in cielo, ve-nerato come un mago. La riforma dei cieli è anch’es-sa centrata sul sole; le buone influenze planetarie, Vene-re, Giove e Mercurio, si uniscono sotto Apollo per su-scitare universalmente buona volontà. Nelle divinità cheriformano le costellazioni sussiste un benefico rapportofra pianeti e zodiaco e le altre costellazioni del cielo, rap-porto simboleggiato nella Città del Sole da quello fra leimmagini di stelle sulla cupola del tempio e l’altare conle sue lampade planetarie. Nello Spaccio la virtù trionfasul vizio allorché gli aspetti buoni delle influenze astra-li si impongono come virtù e gli aspetti cattivi, in quantovizi, vengono scacciati. Così avviene nella Città del So-le, dove gli abitanti vengono mantenuti virtuosi ed i vi-zi sono espulsi. Anche la natura della riforma si confi-gura, in entrambi i casi, come un orientamento dell’eticanel senso dell’utilità sociale. Malgrado la forma lettera-ria estremamente diversa delle due opere c’è, fra di esse,una concordanza di fondo.

Si può ricordare anche che Bruno, in una delle sueconversazioni con il bibliotecario dell’abbazia di Saint-Victor risulta aver usato l’espressione «Città del Sole» inriferimento a una città fantastica1079.

1079 Cfr. supra.

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La rivolta campanelliana per fondare la Città del Solepuò essere dunque considerata non completamente dis-simile negli intenti dalla missione ermetica di Bruno.

La produzione letteraria di Campanella durante la sualunga prigionia fu enorme e quest’opera immensa è anco-ra lungi dall’essere stata coordinata o pubblicata intera-mente. Alcuni suoi manoscritti vennero portati in Ger-mania, mentre Campanella era ancora in prigione, dalsuo discepolo tedesco Tobia Adami, e lì dati alle stam-pe. Fra questi figura la prima versione latina della Civi-tas Solis, pubblicata a Francoforte nel 1623. Molte ope-re furono pubblicate a Parigi durante l’ultimo periododi Campanella, quello francese; la loro tarda pubblica-zione non sta ad indicare una fase finale dello sviluppodel pensiero campanelliano poiché egli scrisse poco dinuovo in Francia; semplicemente egli dava alle stampele opere composte in prigionia. Altri suoi lavori hannocominciato a vedere la luce in anni recenti: per esempiol’enorme Theologia, in molti volumi, scritta in prigione eper la cui pubblicazione non venne mai concessa l’auto-rizzazione al tempo di Campanella, appare solo in que-sti anni1080. Altri manoscritti campanelliani sono tuttorainediti. Queste singolari circostanze implicano l’impos-sibilità di seguire le variazioni del pensiero campanellia-no nel modo normale, cioè in base all’ordine cronologicodelle sue pubblicazioni. Un’altra, e ancor più seria, dif-ficoltà è che Campanella rivide e ristrutturò le sue ope-re nello sforzo di ottenere riconoscimenti di ortodossiada una parte o dall’altra, modificando le sue primitive epiù estremistiche opinioni. Per esempio, la terza versio-ne della Civitas Solis, pubblicata in Francia nel 1637, fu

1080 Campanella, Theologia libro primo, a cura di R. Amerio,Milano 1936; altri volumi, tutti curati dall’Amerio, sono statipubblicati in anni successivi a Roma dal Centro internazionaledi studi umanistici.

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un adattamento della Città del Sole in vista delle ambi-zioni di Richelieu nei riguardi della monarchia francese.Tutto ciò fa di Campanella un autore difficile da studia-re, benché il suo vero pensiero sia in effetti meno difficilee meno sottile di quello bruniano.

Solo un autore, dei molti che hanno scritto su Campa-nella, ha messo in evidenza l’importanza dell’utilizzazio-ne campanelliana della magia di Ficino: si tratta di D. P.Walker, al cui libro sono molto debitrice per quanto stoper esporre1081.

Nella Metaphysica1082, pubblicata per la prima volta aParigi nel 1638 ma alla quale egli aveva probabilmentelavorato per quasi tutta la vita, Campanella dà un som-mario completo della magia di Ficino in una minuzio-sa analisi del De vita coelitus comparanda che può esse-re usata con vantaggio dagli studiosi moderni di quelladifficile opera; egli fa riferimento anche a molte altre sueopere in cui ha esposto la magia ficiniana, «quali odori,sapori, colori, temperatura, aria, acqua, vino, abiti, con-versazioni, musica, cielo e stelle debbano venire usati perinfondere lo Spirito del mondo»1083. Questa esposizionedella teoria e della pratica magica di Ficino è precedutada succinte esposizioni delle teorie di Giamblico, Porfi-rio e Proclo sulla magia, e soprattutto da una trattazio-ne completa della magia degli Hermetica. Campanella ci-ta qui il passo dell’Asclepius sulla religione egiziana e suiprocessi magici mediante i quali i demoni celesti veniva-

1081 Walker, pp. 203-36.1082 Campanella, Universalis philosophiae seu metaphysicarum

rerum, iuxta propria dogmata, Libri 18, Parigi 1638. Sullevicissitudini di questa opera, di cui Campanella forse scrissela prima versione intorno al 1590, cfr. Firpo, Bibliografia diCampanella, pp. 119-22.

1083 Campanella, Metaphysica, pars III, XV, 7 (2), pp. 167-183; cfr. Walker, pp. 210-11.

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no introdotti negli idoli1084. Egli dice anche che ErmeteTrismegisto «insegnò come vedere nei cieli le forme del-le cose, come in sigilli»1085; egli si riferisce ovviamente al-le immagini astrologiche e menziona nello stesso passo leimmagini dei trentasei decani.

Quando introduce la sua esposizione della magia diFicino, Campanella afferma che «tutta questa dottrina»è derivata da Ermete Trismegisto1086. Walker interpre-ta ciò nel senso che «la magia astrologica. di Ficinoconsiste nello stesso tipo di operazioni di quelle descrit-te nell’Asclepius, dove l’idolo diventa o un talismano oun essere umano (l’operatore)». È quindi indubbio cheCampanella conosceva assai a fondo la magia ficinianaed era altresì perfettamente consapevole della sua deri-vazione da Ermete Trismegisto.

Sappiamo che Campanella praticò di fatto questa ma-gia a Roma nel 1628 e per papa Urbano VIII, spaventatoda alcune eclissi che i suoi avversari (in particolare quel-li spagnoli, poiché questo papa era antispagnolo) aveva-no profetizzato come causa della sua morte. Campanel-la compì insieme a lui operazioni magiche per scacciareil maligno. Essi sigillarono una stanza in modo che nonvi entrasse aria esterna, la tappezzarono di bianchi para-ti e vi bruciarono certe erbe. Vennero accese due lam-pade (luminaria) e cinque torce, rappresentanti i piane-ti, e fu fatta un’imitazione approssimativa dei segni del-lo zodiaco, «poiché si tratta di un procedimento filoso-fico, non superstizioso come pensa il volgo». Venneroeseguite musiche attinenti a Giove e Venere, furono usa-te pietre, piante e colori connessi ai pianeti buoni e i duebevvero liquori distillati astrologicamente. Tale proce-

1084 Campanella, Metaphysica, III. XV, 3 (1), pp. 167-70.1085 Ibid., p. 169.1086 Ibid., p. 179; cfr. Walker, pp. 211-12.

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dimento è descritto da Campanella in un’appendice agliAstrologica (Lione 1629)1087.

Egli praticò lo stesso tipo di magia anche immedia-tamente prima di morire. Temendo che una eclissi del1639 gli sarebbe stata fatale, egli mise in atto, a suo pro-prio beneficio, nella cella del convento domenicano dirue Saint-Honoré dove abitava, i procedimenti descrittinegli Astrologica1088.

Questa magia, come è stato messo in evidenza daWalker1089, mirava a creare artificialmente cieli favorevolicome sostituti dei cieli reali che andavano deteriorandosinell’eclissi. Essa veniva esercitata privatamente e per sin-goli individui. Ma se fosse esistito uno stato organizza-to in cui la casta sacerdotale, a conoscenza di questo ti-po di magia, l’avesse continuamente praticata, quello sta-to sarebbe andato perennemente esente da tutti i maligniinflussi celesti, sia sul piano fisico che su quello morale.Questo era ciò che sapevano mettere in pratica gli Egi-ziani pseudoermetici nella loro religione naturale, secon-do la descrizione dell’Asclepius. Uno stato ideale di que-sto tipo fu la città di Adocentyn costruita da Ermete Tri-smegisto, e come viene descritta nel Picatrix, con il suofaro che irradia perpetuamente i colori planetari e le im-magini celesti attorno al suo perimetro. E di questo ti-po, come è del tutto chiaro, era la ideale Città del Soledi Campanella, con il suo altare solare e le sette lampadeplanetarie in corrispondenza con le immagini della cupo-

1087 Campanella, Astrologicorum Libri VI. In quibus Astrolo-gia, omni superstitione Arabum, & Iudaeorum eliminata, physio-logice tractatur, secundum S. Scripturas, & doctrinam S. Thomae,& Alberti, Lione 1629, lib. VII, «De siderali fato vitando», IV,I, pp. 11-3; cfr. Walker, pp. 206-10.

1088 Quétif & Echard, Scriptores Ordinis Praedicatorum, Pari-gi 1721, II, p. 508; cfr. Walker, p. 210.

1089 Walker, p. 223.

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la, un altare servito in perpetuo da una casta di sacerdotiche erano al tempo stesso Magi sperimentati.

Campanella deve aver sperato che Urbano VIII, con ilsuo interesse per l’astrologia, potesse indursi ad adottarela riforma magica nell’ambito del papato, che ai suoi oc-chi costituiva sempre il centro migliore e più appropria-to. Egli sperò altresì certamente, durante il suo ultimotrionfale periodo parigino, che Richelieu si interessassealla riforma in relazione alla monarchia francese. Nel-la dedica a Richelieu del De sensu rerum et magia (edi-zione parigina del 1637), Campanella rivolge al grandecardinale l’ardente richiesta di costruire la Città del So-le. L’edizione parigina della Civitas Solis (1637) presen-ta una versione riveduta in senso leggermente più orto-dosso: Maometto è lasciato da parte; Cristo e gli aposto-li sono collocati più in alto e Aristotele viene chiamatologico, invece che pedante. Ma un’altra variante è che iSolari vengono descritti come di fatto dediti a pratichemagiche1090.

Come era possibile a Campanella credere che la rifor-ma magica potesse avvenire entro un contesto cattolico?Una via era quella offerta dalla continuità delle stelle conla gerarchia angelica pseudo-dionisiana e in ciò Campa-nella si mostrava ancora una volta diretto discendente diFicino. Nel capitolo su «Lo Pseudo-Dionigi e la teologiadi un mago cristiano» abbiamo mostrato come, nel pen-siero di Ficino, le gerarchie angeliche trasmettano ver-so il basso le influenze divine, quasi in guisa astrologi-ca, e come queste passino nelle influenze celesti, dimo-doché sussiste una continuità dall’alto verso il basso e vi-ceversa, e il culto delle stelle conduce nel mondo ange-lico. Poiché le gerarchie angeliche rappresentano la Tri-

1090 Queste varianti rispetto alla versione originale pubblicatanell’edizione parigina sono citate in Città del Sole, ed. cit., notealle pp. 7, 38, 44-5; cfr. Walker, p. 209.

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nità, fu san Dionigi, il platonico cristiano, a contribuiremassimamente alla cristianizzazione ficiniana del suo co-siddetto «neoplatonismo», con il relativo nucleo di ma-gia ermetica.

Il pensiero di Campanella si muoveva in una direzionesimile a questa. Walker ha posto in evidenza che la magiacampanelliana si connette con gli angeli; e non v’è dub-bio che questi angeli fossero specificamente le gerarchiepseudo-dionisiane poiché nella Metaphysica, immediata-mente prima della sua esposizione di Ermete Trismegi-sto e della magia di Ficino, Campanella dedica una lun-ga parte alle gerarchie angeliche, illustrando minuziosa-mente le loro diverse funzioni in una maniera che ricordafortemente Ficino1091. Persino nella prima versione dellaCittà del Sole, la continuità del mondo celeste con quelloangelico viene affermata con chiarezza, poiché sulle co-lonne della porta del tempio figura una descrizione dellascala degli esseri. Ivi è scritto, o forse espresso con imma-gini, «che cosa è Dio, che cosa è angelo, che cosa è mon-do, stella, uomo...»1092. Ciò rende perfettamente chiaroai fedeli che essi si avviano in definitiva ad accostarsi agliangeli e a Dio attraverso le stelle.

Nella magia rinascimentale del tipo di quella studia-ta nel corso di questo libro, la magia, in ultima analisibasata su Ermete, che Ficino aveva reso di moda, tro-vò un complemento nella cabala ad opera di Pico del-la Mirandola. Ciò condusse a un rafforzamento dellacontinuità della magia con il mondo angelico medianteil potere della cabala di raggiungere gli angeli e, attra-verso questi ultimi, le sefirot ed i più elevati misteri divi-ni racchiusi nel nome ebraico di Dio. Il doppio proces-so basato, sull’associazione magia-cabala, la prima con-

1091 Campanella, Metaphysica III, XV, 2 (1 e 2); cfr. Walker,pp. 224-9.

1092 Campanella, Città del Sole, ed. cit., pp. 34-5.

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nessa senza soluzione di continuità alle gerarchie angeli-che e la seconda con la sua magia angelica, rese fortissi-mo il rapporto del culto ermetico del mondo con la re-ligione. In Campanella non trovo molte tracce del ra-mo cabalistico della magia rinascimentale: egli non faalcuna menzione delle sefirot nella discussione delle ge-rarchie pseudo-dionisiane contenuta nella Metaphysica;nello schema corretto dell’associazione magia-cabala es-se dovrebbero essere collocate con le gerarchie. Inoltre,in almeno un passo di Campanella ho trovato parole dideprecazione contro il misticismo cabalistico1093. Que-ste mie osservazioni corroborano quella di Walker cir-ca l’incredulità di Campanella verso lo schema cabalisti-co di Francesco Giorgio1094. Possiamo confrontare que-sto atteggiamento negativo sulla cabala con ciò che ab-biamo notato in Giordano Bruno con il quale la cabala,che pure ebbe qualche influenza su di lui, viene defini-tivamente relegata in una posizione secondaria rispettoall’ermetismo ed all’egizianismo che occupano il primoposto.

Sopra la sua intensa fede nel culto ermetico del mon-do Campanella costruì una minuziosa teologia. In ciòegli si differenzia da Bruno che non si occupò di teologiama soltanto della «natura», benché credesse che la reli-gione naturale potesse essere la base di un cattolicesimoriformato.

Quando i volumi della Theologia campanelliana saran-no stati completamente studiati giungeremo ad una mi-gliore comprensione della sua teologia naturale; anche

1093 Campanella, Magia e grazia, a cura di R. Amerio, Roma1957, p. 45. Cfr. anche la deprecazione espressa da Campanellain una delle sue lettere sulla devozione di Pico per la cabala(Campanella, Lettere, a cura di Spampanato, p. 134).

1094 Walker p. 218.

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soltanto i titoli di alcuni di essi, come Magia e grazia1095,sono abbastanza significativi. Come c’è da aspettarsi,l’ermetismo religioso ha un ruolo molto importante nellateologia di Campanella. Nel De sancta monotriade egliafferma che Trismegisto, il quale fu re in Egitto, par-lò di quasi tutti i misteri cristiani1096. Egli sapeva cheDio è una Trinità; che egli ha creato il mondo attra-verso il Verbo, esclamando: Germinate et pullulate om-nia opera mea, così come Dio nella Genesi dice: Cresciteet multiplicamini1097. Campanella cita dal Pimander nel-la traduzione di Ficino1098, facendo il parallelo con Mo-sè così come Ficino aveva fatto nel suo argumentum1099.Questo solo esempio sarà sufficiente a mostrare la pro-fondità dell’ermetismo religioso di Campanella e comeper lui, alla pari di Ficino, la pietà di Trismegisto e la suaprescienza di alcuni misteri cristiani facciano di costuiquasi un cristiano e diano autorità alla sua magia.

In una pagina precedente della medesima opera, Cam-panella fa alcune osservazioni molto significative. Tom-maso d’Aquino, egli dice, insegna che non possiamo co-noscere in alcun modo naturale la Trinità, che non è ri-flessa nelle creature. Ma san Tommaso «non aveva letto

1095 Magia e grazia è, però, il titolo dato dal curatore a questovolume della Theologia.

1096 Campanella, De sancta monotriade (Theologia, liber II), acura di R. Amerio, Roma 1958, p. 14.

1097 «Trismegistus autem non loquitur de mundo, sed de Deotrino mundi creatore: nam Verbo suo omnia creasse docet etclamasse Germinate et pullulate omnia opera mea, sicuti Moysesdixit Crescite et multiplicamini. Item docet quod Deus Verbogenuit tertiam mentem, quae Deus est et Spiritus et Numen, etsemper in divinis ista considerat». Campanella, op. cit., loc. cit.

1098 «Ex templo Deus uerbo sancto clamauit pullulate, adole-scite, propagate universi germina, atque opera mea», Ficino, p.1838.

1099 Ficino, p. 1839. Cfr. supra.

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né i platonici né Trismegisto, le cui opere ai suoi tempinon erano state tradotte in latino»1100. Se ne deduce chela teologia tomistica necessita di una revisione alla lucedei platonici e di Trismegisto. Ed è, io credo, proprioquesto il compito che Campanella intraprende in prigio-ne, servendosi della sua preparazione teologica domeni-cana per produrre una Summa theologica riveduta e uti-lizzando la nuova luce proveniente dagli scritti dei plato-nici e di Trismegisto per elaborare una teologia più «na-turale» della Trinità, una più «naturale» cristologia e unapiù «naturale» concezione dei sacramenti in cui la graziasia una specie di magia divina, derivante per via naturaledalla magia naturalis. La filosofia connessa a questa nuo-va teologia non sarà più, ovviamente, l’aristotelismo sco-lastico, ma la filosofia animistica del Rinascimento con lasua interpretazione magica della natura.

Non possiamo seguire qui Campanella in questo sfor-zo stupendo; ciò richiederebbe un libro intero, o più li-bri. La teologia campanelliana va infatti collocata nelcontesto della storia del tomismo rinascimentale, e sitratta di una storia che non è stata ancora scritta. Bi-sognerebbe prendere le mosse da Ficino e dai suoi ten-tativi spregiudicati di coinvolgere Tommaso d’Aquinonell’approvazione dell’uso dei talismani. Questi tenta-tivi sembrano meno insoliti quando si viene a sapere, co-me ha messo in evidenza Walker, che il cardinal Cae-tano, nella sua edizione delle opere dell’Aquinate pub-blicata nel 1570, difende nei commenti la legittimità

1100 «... Thomas, cum non viderit Platonicos neque Trisme-gistus suo tempore nondum redditos latinos, ut patet ex suaconfessione super Ethicam Aristot., et ex historiis, nihil mirumsi glossas dat textui non convenientes», Campanella, De sanctamonotriade, p. 12.

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dei talismani1101. Campanella usò l’edizione del Caeta-no, poiché si riferì ad essa nella sua difesa della magiaastrale1102. (Il tentativo di trasformare l’altro grande do-menicano, Alberto Magno, in un sostenitore della magiaera molto più facile dal momento che Alberto era proba-bilmente un mago.) C’è stato un tomismo rinascimenta-le che comporterebbe l’anatema per un tomista moder-no, e la teologia di Campanella (rimasta inedita e senzaapprovazione ai suoi tempi) ne costituisce il culmine. LaTheologia doveva essere, nelle intenzioni di Campanella,una nuova Summa domenicana, formulata nella speran-za di fornire una base teologica alla magia rinascimenta-le, intesa come una forza controriformistica.

Nelle molte opere in cui Campanella parla unicamen-te da filosofo naturale, come sempre aveva fatto Bruno,egli insegna che il mondo è vivo e capace di sensazioni,ed a questo animismo o panpsichismo egli collegò la suamagia. Ci è sempre stato detto che le due principali in-fluenze subite da Campanella furono la filosofia animi-stica di Telesio, con la sua insistenza sul conflitto tra cal-do e freddo come principio fondamentale, e l’organizza-zione della magia in scienza ad opera di Giovanni Batti-sta Porta1103. È certamente vero che Campanella fu pro-fondamente influenzato da questi due pensatori dell’I-talia meridonale, suoi contemporanei. Ma due citazionibasteranno a indicare come lo stesso Campanella consi-derasse queste influenze secondarie e, in ultima analisi,derivate, rispetto alla fondamentale influenza dell’erme-

1101 Walker, pp. 43, 214-5, 218-9, 222-3. La difesa deitalismani è in Tommaso d’Aquino, Opera omnia, Roma 1570,XI, pars altera, ff. 241 r. 242 r., commento di Tommaso DeVio, cardinal Caetano.

1102 Walker, p. 214.1103 Blanchet, Campanella, pp. 138 sgg., 201 sgg.

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tismo. Nel primo libro della Theologia Campanella parlain questi termini del mondo vivente:

... docet Virgilius, Lucanus et poetae omnes, et Platonici mun-dum esse animal, quod Trismegistus apprime docet.... Propte-rea contendit Trismegistus non esse mortem, sed transmutatio-nem, quam vocat manifestationem et occultationem. Nos quo-que asserimus non esse mortem, nisi detur annihilatio caloris etfrigoris et sensu illorum1104.

Che il mondo sia un animale vivente «è stato insegnatoper la prima volta», secondo Campanella, «da Trismegi-sto» e passa a citare un brano del Corpus hermeticum XIIdove si dice che non esiste morte ma solo cambiamen-to. Egli poi modifica questa affermazione con la teoriatelesiana del caldo e del freddo. Ma il fatto fondamenta-le è che l’animismo «è stato insegnato per la prima voltada Trismegisto». Direi perciò che, come nel caso di Bru-no il cui animismo è di origine ermetica secondo quantoabbiamo mostrato in un precedente capitolo, utilizzan-do proprio questo medesimo passo degli Hermetica1105,così è per l’animismo di Campanella, benché egli modi-fichi l’animismo ermetico con il telesianesimo. Il passoin questione è una conferma importante della verità del-la nostra tesi che l’animismo rinascimentale sia in defini-tiva di origine ermetica, naturalmente anche quando faricorso a Platone ed ai platonici, a Virgilio e via dicen-do, come in questo caso. Ma la formidabile autorità diTrismegisto in quanto autore più antico e come colui dacui venne per la prima volta insegnato che il mondo è unanimale dava grande prestigio alla teoria dell’animazioneuniversale, che sta alla base della magia.

1104 Campanella, Theologia, libro primo, a cura di R. Amerio,Milano 1936, p. 189.

1105 Cfr. supra.

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Quanto all’influenza della magia del Porta su Campa-nella, nel Del senso delle cose e della magia, immedia-tamente dopo alcune pagine sui progressi compiuti dalPorta nella magia, leggiamo le seguenti parole:

Trismegisto sapientissimo dice che l’uomo è un miracolo delmondo e più nobile delli Dei o eguale, e che però abbia potestàtanta nel suo senno che può far Dei di marmo e di bronzo edargli anima sotto a certe costellazioni e ricever risposta da loro.E questo crede Porfirio e Plotino, aggiundendo che vi sianoAngeli buoni e perversi, come ogni dì si vede esperienza e ion’ho visto manifesta prova non quando la cercai, ma quandopensava ad altro1106.

Qui Campanella risale, al di là del mago contemporaneoPorta di cui ha appena finito di parlare, alla bibbia del-la magia rinascimentale, l’Asclepius, laddove si tratta del-l’uomo come grande miracolo e del potere degli Egizia-ni di costruire dèi, connettendo tutto ciò correttamentecon la teurgia neoplatonica («Porfirio e Plotino»).

1106 Campanella, Del senso delle cose e della magia, a curadi A. Bruers, Bari 1925, p. 223. La versione originale di que-st’opera fu scritta in latino verso il 1590-92, ma il manoscrit-to fu rubato al Campanella da alcuni frati mentre si trovavaa Bologna nel 1592, di passaggio per recarsi a Padova, e ven-ne usato contro di lui nel processo per eresia in vista del qua-le fu condotto da Padova a Roma. Questa versione origina-le è stata cercata invano negli archivi del Sant’ Uffizio. Egli ri-scrisse il libro in italiano, a memoria, probabilmente intorno al1604 mentre era in prigione a Napoli. In seguito lo riscrisse inlatino e fu questa versione latina ad essere portata in Germa-nia dall’Adami e pubblicata a Francoforte nel 1620; essa ven-ne pubblicata di nuovo a Parigi nel 1637. La versione italianache citiamo qui è perciò la più vicina, forse, al pensiero origi-nale di Campanella, anche se non così vicina come la versionelatina andata perduta che fu confiscata dagli emissari del Sant’Uffizio. Cfr. l’introduzione del Bruers alla sua edizione dellaversione italiana, e Firpo, Bibliografia di Campanella, pp. 67-72.

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È dunque chiaro che tanto l’animismo quanto la magiadi Campanella sono, come quelli bruniani, in definitivaermetici, e che l’influenza. di Telesio e quella di Giovan-ni Battista Porta sono, rispetto a ciò, secondarie. (An-che in Bruno troviamo una influenza del Porta, in parti-colare della fisiognomonia animale che è in qualche mo-do connessa con la magia, e qualche influenza telesiana,ma meno forti che in Campanella.)

Dopo questa citazione dall’Asclepius Campanella pas-sa a dire che ci sono una «magia divina», che l’uomo nonpuò praticare se non in stato di grazia e mediante la qua-le Mosè e i santi operarono miracoli, e anche una «magianaturale» e una «magia diabolica», esercitata con mez-zi diabolici. La magia naturale, quando venga pratica-ta giustamente, può tradursi nella magia divina. «Chiben la esercita [la magia naturale] con pietà e riverenzadel Creatore merita spesso esser levato alla sopranatura-le con li superi»1107. Qui non siamo lontani da quei ritidivini e magici attraverso i quali gli Egiziani descritti daBruno si innalzavano fino alla divinità, oltrepassando lanatura.

A volte si ha l’impressione di poter cogliere qualcheeco bruniana in Campanella, come, per esempio, nelseguente passo Del senso delle cose:

Ecco che quando l’uomo va cogitando, pensa sopra il solee poi più di sopra, e poi fuor del cielo, e poi più mondiinfinitamente... Dunque di qualche infinita causa ella [la razzaumana] è effetto... Dice Aristotile ch’è vana imaginazionepensar tanto alto; e io dico con Trismegisto ch’è bestialitàpensar tanto basso; et è necessario ch’egli mi dica d’ondeavviene questa infinita. Se si risponde che da un simile mondoun altro simile si pensa, e poi un altro, poi in infinito, io

1107 Op. cit., ed. cit., p. 224.

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soggiongo che questo caminare di simile in simile senza fine,è atto di cosa partecipe dell’infinito1108.

Qui c’è qualcosa di molto simile al proiettarsi bruniano aldi là dei confini del mondo in un’infinità cosparsa di altriinnumerevoli mondi. Il potere di far ciò, proprio dellamente dell’uomo, mostra che essa è affine all’infinito.A Campanella questi pensieri richiamano «Trismegisto»,che egli contrappone all’ottuso Aristotele.

Campanella si muove pertanto, sul piano della filoso-fia naturale, in una direzione molto simile a quella diBruno, sebbene con alcune differenze e riserve. Egli,per esempio, non approva la dottrina ermetica dellametempsicosi1109, accettata invece da Bruno. Dobbiamotuttavia ricordare che il Del senso delle cose, come noi loleggiamo, può essere una versione modificata delle sueprimitive opinioni.

Se potessimo conoscere le sue prime posizioni in for-ma non espurgata, è probabile che la rassomiglianza diCampanella con Bruno diventerebbe ancora più stretta eche il vero scopo di Campanella agli inizi e nel periododella rivolta risulterebbe essere stato la riforma «egizia-na» integrale di tipo bruniano, basata sull’impiego del-le forme più estreme di magia demonica. Come è sta-to posto in rilievo da Walker nei primi tempi di prigio-nia Campanella usava forme di magia molto rischiose1110.Nel Quod reminiscentur egli sembra esprimere penti-mento per i suoi antichi tentativi nel campo della magiademonica1111.

1108 Ibid., p. 119.1109 Ibid., p. 138. Ma. il passo è piuttosto ambiguo.1110 Walker, pp. 228-9.1111 Campanella, Quod reminiscentur..., a cura di R. Ameno,

Padova 1939. pp. 23 sgg.; cfr. Blanchet, op. cit., pp. 90 sgg.;Walker, p. 213.

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È possibile che negli ultimi anni Campanella tentasseconsapevolmente di evitare ogni connessione personalecon la pericolosa reputazione di Bruno. L’unica opera,che io sappia, in cui Campanella menziona espressamen-te Bruno per nome concerne il tema di cui Bruno avevafatto notoriamente uso, vale a dire l’eliocentrismo coper-nicano. Nel 1622 Campanella pubblicò un’apologia diGalileo e in essa, mentre parla di altri che hanno difesol’eliocentrismo copernicano e il movimento della terra,egli ricorda Bruno come uno di questi difensori, aggiun-gendo che era eretico. «Nolanus, & alii, quos heresis no-minare non permittit»1112. Campanella fa ben attenzio-ne a dissociarsi dalle ultime implicazioni del copernica-nesimo bruniano. Ciò era tanto più necessario in quan-to, sia nell’apologia che in lettere a Galileo, Campanellaparla dell’eliocentrismo come di un ritorno all’antica ve-rità e come di un preannuncio di un’età nuova, usandoun linguaggio che ricorda fortemente quello di Bruno neLa cena de le ceneri. «Queste novità di verità antiche dinovi mondi, nove stelle, novi sistemi... son principio disecol novo», scrive Campanella in una lettera a Galileodel 16321113. In altre lettere, poi, egli assicura a Galileodi stare elaborando una nuova teologia che gli renderàgiustizia1114. Era perciò necessario chiarire che l’eliocen-trismo inteso come un preannuncio dell’età nuova e inte-grato in una nuova teologia non significava per Campa-nella, in questo stadio della sua vita, accettazione di tuttele eresie di Bruno.

1112 Campanella, Apologia pro Galileo, Francoforte 1622, p.9.

1113 Campanella, Lettere, a cura di Spampanato, p. 241.Tutte le lettere di Campanella a Galileo ricordano fortementeBruno, e in particolare il Bruno della Cena de le ceneri; cfr.Lettere, ed. cit., pp. 163 sgg.; 176 sgg.; 240 sgg.

1114 Campanella, Lettere, ed. cit., p. 177; lettera a Galileo del1614.

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Tutto concorda nel mostrare che Campanella modifi-cò le sue primitive opinioni estremistiche, o perché egli sipentì realmente di essersi spinto tanto oltre, oppure per-ché, dopo il fallimento della rivolta, egli si rese conto del-l’impossibilità di tradurle in pratica. La Theologia venneda lui scritta come copertura di un ermetismo modifica-to che accettava l’interpretazione cristiana degli Herme-tica – secondo lo schema delle più ortodosse tradizioni diermetismo religioso – ed usava forme di magia meno in-quietanti sulla via della «magia divina». In Magia e graziaCampanella mette in guardia contro l’errore di Agrippaconsistente nel conservare la magia di tipo diabolico1115;mentre dei tre modi indicati da Ficino per ottenere la vitadivina egli dice che, sebbene difficili da tradurre in pra-tica, non sono eretici come alcuni dicono1116. La summacampanelliana venne pertanto elaborata per coprire for-me di «egizianismo» meno estreme di quella di Bruno,che non si fece scrupolo di ricorrere alla più demonicamagia di Agrippa, e persino a quella di Cecco d’Ascoli dipericolosa memoria.

Sarebbe stato di gran lunga più arduo produrre unasumma per coprire la magia di Bruno e il suo ermetismo,che respingeva l’interpretazione cristiana degli Hermeti-ca. Eppure Bruno pensò persino a questa possibilità, Al-trimenti, per quale ragione si sarebbe rivolto a papa Cle-mente VIII e avrebbe cercato di andare a Roma? For-se egli sperava di fare magia per il papa, così come Cam-panella avrebbe fatto in seguito per Urbano VIII. La fi-ducia di Bruno nella possibilità di adattare le sue opinio-ni al tomismo è indicata dalle sue continue espressioni

1115 Benché Agrippa, dice Campanella, abbia respinto la ma-gia che assoggetta l’uomo al maligno, egli conservò la magia me-diante la quale l’uomo assoggetta il maligno e lo costringe a farela sua volontà. Campanella, Magia e grazia, ed. cit., p. 206.

1116 Ibid., p. 202.

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di rispetto per Tommaso, da lui riverito come un mago.Benché Bruno gettasse l’abito domenicano e vagasse ineretiche terre straniere, cose che Campanella mai fece, ilteologo domenicano affiora sempre in lui, nella sua ve-nerazione per Tommaso ed Alberto. Gli sforzi di Cam-panella per rendere la riforma magica teologicamente ac-cettabile ci mostrano che la missione di Bruno, per queitempi, non era del tutto così follemente azzardata comesembra a noi.

È necessario vedere Bruno e Campanella nell’ambitodella tradizione che si è cercato di delineare in questolibro. Ficino risuscita la magia ermetica, la difende co-me compatibile col Cristianesimo, cerca di coinvolgereTommaso d’Aquino nel suo uso di talismani. Pico del-la Mirandola pensa che magia e cabala confermino la di-vinità di Cristo. Papa Alessandro VI fa dipingere in Va-ticano un affresco pieno di motivi egiziani per testimo-niare la sua protezione della magia. Il fatto è che Erme-te Trismegisto era stato accolto nella Chiesa da Lattanzioe questa operazione di grande portata storica, mai accet-tata universalmente, sempre soggetta a severe critiche daparte degli ortodossi, condusse alla fine a Giordano Bru-no e a Tommaso Campanella.

La pubblicazione del libro di Del Rio contro la ma-gia nel 1600 (ecco di nuovo quell’importante anno 1600)rivela l’allarme della Controriforma e la sua consapevo-lezza del pericolo1117. Tuttavia Ermete Trismegisto si eratroppo profondamente infiltrato nella religione del Rina-scimento per esserne facilmente scacciato, come mostrail caso di Campanella.

Quando la rivolta destinata ad abbattere il dominiospagnolo in Calabria ed a fondarvi la Città del Sole fufallita, Campanella si rivolse ad altri mezzi politici per fa-re accettare le sue idee, ivi compreso un appello a quel-

1117 Walker, pp. 178-85.

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la stessa monarchia contro la quale si era indirizzata la ri-volta. Nello scritto Monarchia di Spagna, pubblicato perla prima volta nel 1620, egli profetizza che la monarchiaspagnola diventerà una monarchia mondiale universale,in cui Uno solo regnerà assicurando in tal modo pace egiustizia universali. Questa monarchia sarà cattolica edavrà nel papa il suo capo spirituale. In altre opere, co-me i Discorsi universali del governo ecclesiastico e la Mo-narchia Messiae, Campanella profetizza per il papato unamonarchia mondiale universale attraverso la quale il pa-pa sarebbe diventato il capo sia spirituale che tempora-le del mondo intero, tutte le religioni si sarebbero con-vertite in una e si sarebbe costituita una unità religiosa epolitica mondiale1118.

Come fu possibile a Campanella passare dalla rivol-ta a queste visioni di una monarchia spagnola universa-le o di una teocrazia universale con alla testa il papa? Leidee politiche di Campanella erano interamente medie-vali e mistiche. Per lui l’ideale era il ritorno dell’Impe-ro ad una nuova età dell’oro, l’ideale a cui Dante det-te classica espressione nella Monarchia, con la sua visio-ne di pace e di giustizia universale sotto un solo reggi-tore. Campanella cerca una istituzione contemporaneache possa essere rappresentativa dell’ideale impero uni-versale, e la trova o nella monarchia spagnola o nel papa-to inteso come monarchia universale. Quando si reca inFrancia e si rivolge alla monarchia francese, profetizzan-do per il re di Francia un impero universale in una nuo-va età dell’oro, non è nel senso del nazionalismo france-se che egli pensa alla sua missione ma nel senso della mo-narchia francese in quanto rappresentativa di un imperomistico, del dantesco governo di uno solo1119. Nella visio-

1118 Cfr. Blanchet, op. cit., pp. 44 sgg.; 59 sgg., ecc.1119 Ho studiato l’imperialismo mistico di Campanella in re-

lazione alla monarchia francese nell’articolo Considérations de

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ne di Campanella, deve esserci uno stato mondiale orga-nizzato sotto un solo reggitore che riunirà in sé entrambele prerogative di capo temporale e di capo spirituale, co-me nella teocrazia papale, oppure sarà la monarchia spa-gnola, o quella francese, che opererà all’unisono col pa-pa in quanto capo spirituale dello stato mondiale. Cam-panella ha bisogno di uno stato mondiale di questo tipoper la piena espansione della sua Città del Sole e per l’u-niversale instaurazione della riforma magica nell’ambitodella quale una casta sacerdotale di Magi cattolici man-tenga la Città in felicità, prosperità e virtù perenni, e lareligione della Città sia in perfetto accordo con la conce-zione scientifica del mondo in essa professata, vale a direcon la magia naturale.

Quando si esamina la propaganda elaborata per la ri-volta calabrese, ci si accorge che essa è piena di impe-rialismo mistico e di profezie circa il ritorno di una im-periale età dell’oro1120, simile a quella di cui parlano Lat-tanzio e le Sibille, combinati con profezie apocalittiche,gioachimismo e altri motivi del genere. Campanella cre-deva, in base ai portenti, che fosse scoccata l’ora per unsimile rinnovamento dei tempi; i calabresi e i domenicanidovevano prepararsi ad esso fondando la città ideale inCalabria, da dove si sarebbe irradiato nel resto del mon-do. Quando la rivolta fallì, non gli passò neppure per lamente che i portenti lo avessero ingannato (egli infatti se-guitò a parlarne per tutto il resto della vita, in particolaredella discesa del sole), ma pensò che toccasse a lui modi-ficare le proprie idee e trovare qualche monarca disposto

Bruno et de Campanella sur la monarchie française, in L’Art etla Pensée de Léonard de Vinci, Communications du Congrès In-ternational du Val de Loire, 1952, Paris-Alger 1953-4, pp. 409sgg.

1120 Cfr. Campanella, Articuli profetales, editi in Amabile,Congiura, III, pp. 489-98.

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a costruire la Città nel suo regno, si trattasse del sovranospagnolo, del papa visto come monarca (cioè come ca-po spirituale e temporale del mondo), oppure del re diFrancia. Tale è l’interpretazione data dal Blanchet del-l’evoluzione politica di Campanella dopo la rivolta, ed iocredo che sia corretta.

Vi aggiungerei, tuttavia, le seguenti precisazioni. Pri-mo, che l’idea di fondare uno stato ideale di tipo imperia-listico nell’Italia meridionale, da dove si sarebbe esteso alresto del mondo, non era nuova. Nel XIII secolo, l’im-peratore Federico II aveva fondato nel Regno di Sicilia(comprendente Napoli) uno stato autocratico modello1121

che egli sperava di estendere in futuro al resto del suoimpero. Fu probabilmente questo stato a costituire unodei motivi ispiratori della Monarchia dantesca. Forse nonè impossibile che ricordi di questo esperimento impe-rialistico nell’Italia meridionale sopravvivessero al tem-po della rivolta calabrese, nella cui propaganda Campa-nella fece continue allusioni a Dante, visto come profetadella rivolta stessa.

Secondo, è ormai chiaro che all’ideale romano di unimpero universale destinato a ricostituirsi in una nuovaetà dell’oro, e all’ideale platonico di uno stato governa-to da filosofi, Campanella aggiunse un terzo ideale, quel-lo dello stato egiziano mantenuto intatto ed eterno dal-la magia sacerdotale. Il sovrano-Sole della Città campa-nelliana è insieme sacerdote e re, detiene il potere supre-mo nel campo spirituale e temporale, in breve è ErmeteTrismegisto: sacerdote, filosofo e re.

Campanella non fu perciò in nessun senso un rivolu-zionario liberale. Il suo ideale era una teocrazia onnipo-tente simile a quella dell’Egitto, così potente da regolaremediante magia scientifica le influenze celesti e, tramite

1121 Cfr. E. Kantorowicz, Frederick II, trad. di E. Lorimer,London 1931, pp. 234 sgg.

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loro, l’intera vita del popolo. L’unico suo aspetto appa-rentemente liberale è che essa incoraggiava le ricerche ele invenzioni scientifiche: i Solari sono infatti interessatialla teoria copernicana, in quanto è importante conosce-re la «fabrica del mondo», e sono anche esperti nella co-struzione di congegni meccanici che vengono usati per ilbenessere generale. Ma questa avanzata scienza dei Sola-ri era nelle mani della suprema casta sacerdotale e venivada essa controllata, come nell’antico Egitto.

La stupefacente determinazione e pertinacia di Cam-panella ebbe a poco a poco la sua ricompensa. I sovranicominciarono ad interessarsi del prigioniero e colui che,nel 1599, era stato incarcerato con il rischio di una immi-nente condanna a morte come autore di pericolose eresiee responsabile della rivolta antispagnola, nel 1626 ven-ne liberato dalla prigione grazie all’intervento spagnolo.Tornò ancora in carcere per un breve periodo, a Roma,ma fu di nuovo rilasciato ed allora, per qualche tempo,immaginò di essere sull’orlo del successo. Nel Quod re-miniscentur et convertentur ad Dominum universi finesterrae egli aveva delineato un piano di vaste imprese mis-sionarie. Le missioni erano di grandissima attualità a Ro-ma ed è stato perfino suggerito che la fondazione dellaCongregazione de propaganda fide possa essere stata inparte proposta da Campanella. Questa interpretazionesembra tuttavia dipendere solo dalle parole della dedicadel Quod reminiscentur1122 ai pontefici Paolo V, Grego-rio XV e Urbano VIII, con cui Campanella offre il libro

1122 Blanchet, op. cit., pp. 52-3. Questa dedica è in uno deimanoscritti dell’opera, e fu pubblicata da J. Kvacala, ThomasCampanella, ein Reformer der ausgehenden Renaissance, Berlin1909, p. 152. Sulla complicata storia del Quod reminiscentur, lacui licenza di pubblicazione fu quasi accordata dal Bellarminoe poi ritirata, cfr. Firpo, Bibliografia di Campanella, pp. 153-7.Il primo volume di quest’opera è stato pubblicato nel 1939, acura di R. Amerio.

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ad uso della Congregazione. Inoltre, in lettere scritte inFrancia nel 1635, egli afferma che il Reminiscentur è ungrande appello al reclutamento di missionari e che egliintende scrivere alla Congregazione de propaganda fidesul modo di convertire gli eretici francesi1123. Se si pensaai trascorsi di Campanella, è davvero singolare che egliabbia potuto concepire l’idea di offrire la sua collabora-zione ad una iniziativa cattolica così celebre. Tanto piùche la fede che Campanella voleva propagare in tutto ilmondo era, naturalmente, quella della religione naturaleintinta di cattolicesimo. Come è stato indicato da Blan-chet, nell’Atheismus triumphatus, un altro libro connes-so al progetto di recupero di tutti gli eretici – maometta-ni, ebrei e tutti gli altri popoli della terra – il filosofo ri-propone i punti di vista e la concezione in chiave di re-ligione naturale che avevano ispirato la sua impresa del15991124. Fu nel 1628 che Campanella eseguì a Roma, perpapa Urbano VIII, la sua magia per scongiurare gli effet-ti dell’eclissi. Walker interpreta ciò come uno sforzo perottenere il favore di questo papa dalla mentalità astrolo-gica per gli schemi campanelliani. «Se egli fosse riusci-to a convincere il papa del lento avvicinamento del solee degli eventi prodigiosi da ciò preannunciati, gruppi dimissionari addestrati da Campanella si sarebbero mossida Roma per convertire il mondo intero ad un cattolice-simo riformato, " naturale ", che avrebbe fatto da pre-ludio al millennio, l’universale Città del Sole»1125. In ef-

1123 Campanella, Lettere, ed. cit., pp. 328, 330.1124 Blanchet, op. cit., p. 53. L’Atheismus triumphatus fu

pubblicato a Roma nel 1631 ma venne sequestrato a causa dellacensura ecclesiastica; fu di nuovo pubblicato a Parigi nel 1636.Cfr. Firpo, Bibliografia di Campanella, pp. 101-3.

1125 Walker, p. 205; Blanchet, op. cit., pp. 56-7.Nella sua lettera del 1628 a Urbano VIII Campanella descri-

ve la discesa del sole, che viene detto ora più basso che al tem-

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fetti sembra che per qualche tempo, e grazie al favore diUrbano VIII, Campanella abbia esercitato una certa in-fluenza sulla politica romana.

L’idea che Campanella abbia goduto di un sia pur par-ziale ed effimero successo a Roma – tale successo fu in-fatti solo parziale ed effimero – è nondimeno stupefa-cente se pensiamo a Giordano Bruno che «astrologiz-zò» a Francoforte con schemi per ridurre tutto il mon-do ad una sola religione, e che poi fece ritorno in Italiaarmato della sua missione e del libro dedicato a un papa,soggiornando a Padova poco tempo prima dell’arrivo diCampanella, profetizzando continuamente il ritorno delmondo a una condizione migliore attraverso i portentisolari. Bruno aveva naturalmente idee molto più radica-li e molto più violente di quelle dell’ultimo Campanella,quando questi assunse un atteggiamento contrito; tutta-via l’idea fondamentale di una riforma «naturale» da at-tuare entro un contesto cattolico è comune ad entrambi.

Occorre comunque fare molta attenzione a non esage-rare il successo di Campanella. Moltissimi lo disapprova-rono con estrema energia; fra questi, il generale dell’Or-dine domenicano, Ridolfi1126. Risulta, inoltre, che la pub-blicazione del resoconto delle pratiche magiche effettua-te da Campanella con Urbano VIII, inserito alla fine de-gli Astrologica, usciti in Francia nel 1629, avvenne all’in-saputa dello stesso Campanella e ad opera di alcuni do-menicani altolocati che volevano impedirgli di esercitare

po di Tolomeo, e altri portenti (Lettere, ed. cit., pp. 218-25)ripetendo affermazioni simili a quelle che aveva fatto al tempodella rivolta calabrese (Amabile, Congiura, III, pp. 480, 495,ecc,). Cfr. anche Lettere, pp. 23, 65, e l’egloga sulla nascita delDelfino (cfr. in seguito).

La discesa del sole e relativi portenti sono descritti da Spen-ser, Faerie Queene, V, introduzione, 5-8.

1126 Blanchet, op. cit., p. 57.

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la sua influenza a Roma rendendo di pubblica ragione lasua magia1127. Campanella godette di un breve credito aRoma e questo si esaurì rapidamente fra il 1630 e il 1634,rendendo la sua posizione pericolosa.

Nel 1634 egli lasciò Roma per recarsi a Parigi.Aveva già cominciato a orientarsi verso la monarchia

francese, da lui vista come il mezzo per attuare la rifor-ma universale, ed era venuto pubblicando opere destina-te a questo scopo, tenendosi in contatto con l’ambascia-tore francese a Roma. Le opere nuove scritte e pubblica-te a Parigi ebbero quasi tutte per oggetto il destino im-periale della monarchia francese, come gli Aphorismi po-litici (1635) in cui egli annunciava, in base a segni celesti,che la potenza della monarchia spagnola stava declinan-do mentre aumentava quella della monarchia francese.Altre opere con propositi simili circolarono manoscrittefra eruditi e uomini politici francesi: fra queste i Docu-menta ad Gallorum nationem che è una glorificazione diLuigi XIII il quale, col suo nobile ministro Richelieu, li-bererà l’Europa dalla tirannide spagnola, come un nuovoCarlo Magno insieme ai suoi cavalieri1128. Egli ripubblicòanche opere precedenti, inserendovi elementi indicatividella sua attuale inclinazione verso la monarchia france-se, come il De sensu rerum et magia (1637) con la dedi-ca a Richelieu1129, già menzionata, in cui esortava il mini-stro di Luigi XIII a fondare la Città del Sole; e l’edizioneparigina (1637) della stessa Civitas Solis.

A Parigi egli conservò sempre fortissimo il suo sensodi missione universale, dandosi da fare per convertire iprotestanti francesi. In alcune lettere egli scrive di otte-

1127 L. Firpo. Ricerche campanelliane. Firenze 1947. pp. 155sgg., e Bibliografia di Campanella, pp. 98-100; Walker, p. 208.

1128 Campanella, Opuscoli inediti, a cura di L. Firpo, Firenze1951, pp. 57 sgg. (Documenta ad Gallorum nationem).

1129 Questa dedica è riprodotta in Lettere, ed. cit., pp. 372-4.

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nere molte conversioni anche fra gli Inglesi1130. Inoltrecercava di spingere la Chiesa a fare concessioni in mate-ria sacramentale per conciliarsi i protestanti1131.

Si pensi a Giordano Bruno a Parigi, allorché si asso-cia alla monarchia francese nella persona di Enrico III eintroduce questo sovrano nello Spaccio della bestia trion-fante come colui che dirige la riforma dei cieli; o quan-do conversa con il bibliotecario di Saint-Victor al suo ri-torno a Parigi su come le difficoltà intorno al sacramen-to verranno presto eliminate, o sulla fondazione di una«Città del Sole». La storia sembra di nuovo ripetersi conCampanella nelle vesti di un Bruno più fortunato.

Anche in questo caso, tuttavia, il successo di Campa-nella a Parigi non deve essere esagerato, malgrado il po-tente favore della corte. Da Roma giungevano continuenote di dissenso sulla non ortodossia di Campanella e,benché molte delle sue principali opere filosofiche scrittein prigione, fra cui la Metaphysica con la relativa esposi-zione della magia ficiniana, venissero pubblicate in Fran-cia, la Sorbona non dette mai il permesso di pubblicarela Theologia1132.

Nel settembre del 1638 al sovrano francese nacque unfiglio e questi fu salutato da Campanella, in un’eglogamodellata sulla messianica quarta egloga di Virgilio, co-me il Gallo francese destinato a governare, insieme a unPietro riformato, un mondo unito. In questo futuro ordi-namento, il lavoro diventerà un piacere amichevolmentecondiviso da tutti; tutti riconosceranno un solo Dio e Pa-dre e l’amore sarà un legame universale; tutti i re e tut-ti i popoli si riuniranno in una città che essi chiameran-

1130 Ibid., pp. 309, 403, ecc.1131 Blanchet, op. cit., p. 62.1132 Cfr. l’introduzione dell’Amerio alla sua edizione della

Theologia, lib. I, p. XVIII; Firpo, Bibliografia di Campanella, p.161.

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no ‘Heliaca’, Città del Sole, e che sarà stata costruita daquesto illustre eroe1133. In questa profezia, il ritorno diun’imperiale età dell’oro è combinato al motivo egizianodella Città del Sole nella quale accorreranno tutti i popo-li della terra, come predetto nell’Asclepius. Perfino il co-siddetto comunismo dell’originaria Città del Sole è lon-tanamente richiamato nella promessa che il lavoro verràamichevolmente condiviso da tutti. La rivolta calabreseè stata trasformata in un’anticipazione dell’età di LuigiXIV.

Giordano Bruno aveva riposto grandi speranze in En-rico di Navarra, il sovrano francese che governò con ilnome di Enrico IV. Campanella ripone grandi speranzenel nipote del Navarra, il fanciullo che regnerà come «leroi Soleil».

L’anno successivo, Campanella, temendo che un’eclis-si imminente gli preannunciasse qualche sventura, nella

1133 «Il Gallo canterà; Pietro riformerà spontaneamente sestesso; Pietro canterà; il Gallo volerà sopra il mondo intero malo sottometterà a Pietro e sarà guidato dalle sue redini. Il lavo-ro diventerà un piacere amichevolmente diviso fra molti, poi-ché tutti riconosceranno un solo Dio e Padre... Tutti i re e tuttii popoli si raccoglieranno in una città che da essi verrà chiamata’Heliaca’ e che sarà costruita da questo nobile eroe. Un tempiosarà eretto nel mezzo di essa, modellato sui cieli; esso sarà ret-to dal grande sacerdote e dai consiglieri dei sovrani, e gli scet-tri dei re verranno posti ai piedi di Cristo». Dall’Ecloga chri-stianissima Regi et Reginae in portentosam Delphini... nativita-tem, Parigi 1639. L’egloga è accompagnata da note dello stes-so Campanella. La migliore edizione moderna è quella conte-nuta in Campanella, Tutte le opere, a cura di L. Firpo («Classi-ci Mondadori»), 1954; vol. 1, pp. 281 sgg.; le precedenti cita-zioni sono tratte dalle pp. 308 e 310 di questa edizione. L’eglo-ga si apre con portenti, la discesa del sole, Copernico, ecc., e ri-pete molto del linguaggio usato al tempo della rivolta calabre-se; poiché le note di Campanella riportano le fonti, esse hannoin complesso un valore fondamentale per la sua escatologia.

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sua cella del convento domenicano di Parigi eseguì la me-desima magia contro gli effetti dell’eclissi che aveva fattoper Urbano VIII a Roma. Poco dopo morì, assistito al-la fine con riti cristiani1134. Una grande folla di nobili e didotti partecipò al suo funerale.

La fine di Campanella fu molto diversa da quella diGiordano Bruno.

In questa storia stupefacente non si sa quasi di che co-sa ci si debba meravigliare di più, se della persistenza diun simbolo nella storia, o dello spettacolo di un uomosingolo, Campanella, che trasformò in tal modo un sim-bolo da convertire alla fine una sconfitta totale in una vit-toria piena di onori. Oppure bisognerà considerare tut-ta questa faccenda in termini più semplici? Domandarci,cioè, se la monarchia francese fu sempre per Campanellalo strumento ideale per la riforma, come lo era stata perGiordano Bruno, e se il culto della monarchia spagno-la non fu mai altro per lui che una valvola di sicurezza,un espediente per uscire di prigione, mentre soltanto al-la fine, con la monarchia francese, egli si sentì realmenteesaudito nelle sue aspettative.

In un punto il parallelo fra Bruno e Campanella vie-ne a mancare. Quest’ultimo non visse mai in paesi pro-testanti ed eretici, né si associò mai al culto dei rispetti-vi monarchi. In Inghilterra, Bruno si associò ai cortigia-ni nel chiamare l’antispagnola regina vergine e «diva Eli-sabetta». Egli profetizzò per essa una monarchia unitadi tipo dantesco in cui questa unica Anfitrite avrebbe re-gnato incontrastata1135. L’atmosfera di misticismo impe-rialistico che circondava Elisabetta I e che io ho analiz-

1134 Quétif & Echard, Scriptores Ordinis Praedicatorum, Pari-gi 1721, II, p. 508; cfr. Blanchet, op. cit., p. 65; Walker, p.210.

1135 Cfr. supra.

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zato nel mio studio Queen Elizabeth as Astraea1136, la ver-gine giusta dell’età dell’oro, è un trasferimento alla mo-narchia Tudor del sacro tema imperiale. Assommando,come esso suggeriva, il supremo potere spirituale e tem-porale, questa monarchia avrebbe potuto a buon dirittoessere definita «egiziana». Bruno era al corrente del cul-to mistico verso la regina inglese, divenuto d’attualità nelrinascere dello spirito cavalleresco, e se ne fa portavocenegli Eroici furori.1137.

E se, dopo un soggiorno a Parigi al tempo della mas-sima popolarità di Campanella presso la corte francese,un viaggiatore fosse passato in Inghilterra (come Brunoaveva fatto tanti anni prima), egli avrebbe potuto avereil privilegio di vedere a corte una rappresentazione, conscene disegnate da Inigo Jones, la cui trama e molto delcui linguaggio erano stati ricavati direttamente dal bru-niano Spaccio della bestia trionfante. La rappresentazio-ne allegorica Coelum britannicum, data a corte nel 1634,ha per tema la riforma dei cieli promossa da Giove; il te-sto è di Thomas Carew, con molti prestiti bruniani1138,e la dinamica sceneggiatura celeste offrì l’opportunità, aun grande artista come Inigo Jones, di tradurre in praticale grandi possibilità dell’opera di Bruno. «A questo pun-to la scena cambia e nel cielo appare una sfera, con stel-le collocate nelle rispettive immagini»1139. Al termine dei

1136 In «J.W.C.I.», X (1947) pp. 27 sgg. Sul trasferimento delmisticismo imperialistico alle monarchie nazionali, cfr. ancheil mio articolo Charles Quint et l’idée d’empire, in Fêtes etCérémonies au temps de Charles Quint, Centre National de laRecherche Scientifique, Paris 1960, pp. 57 sgg.

1137 Cfr. supra1138 L’influenza di Bruno su questa rappresentazione allego-

rica è ben nota; cfr. Thomas Carew, Poems, with his MasqueCoelum Britannicum, a cura di R. Dunlap, Oxford 1949, Pp.275-6.

1139 Ibid., p. 158.

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festeggiamenti, quando il re (Carlo I) e la consorte fran-cese (Enrichetta Maria, figlia del «Navarra») vengono in-sediati con le cerimonie di rito, nubi artificiali si dissol-vono sopra le loro teste facendo apparire Religione, Ve-rità e Sapienza trionfanti in cielo, o Eternità nel firma-mento, circondata da una schiera di stelle «a rappresen-tare la trasformazione in stelle dei nostri eroi britannici;ma una stella più grande ed eminente delle altre, sovra-stante la sua testa, raffigura Sua Maestà. E nella parteinferiore si scorge una veduta prospettica del castello diWindsor, sede famosa dell’onorevolissimo Ordine dellaGiarrettiera»1140.

In tal modo re Carlo il Martire ascende in cielo, succe-dendo a Enrico III come capo della riforma celeste, e larappresentazione allegorica opera una magia di tipo im-maginativo e artistico per propiziargli il successo. Trami-te l’indubitabile influenza dello Spaccio bruniano su en-trambe le opere, il Coelum britannicum ha l’onore di col-legarsi alle Pene d’amor perdute di Shakespeare. E ciò di-mostra che l’influenza di Bruno era tuttora molto viva inInghilterra all’inizio del XVII secolo.

Come Bruno, Campanella fu un poeta, che espresseil proprio culto religioso del mondo in una serie di so-netti ed altre poesie inframmezzati da commenti in pro-sa, sull’esempio degli Eroici furori. Parte della «Canti-ca» campanelliana, com’egli la chiamò (e lo stesso ave-va fatto Bruno con gli Eroici furori)1141, venne pubblica-ta in Germania nel 16221142 sotto lo pseudonimo di «Set-timontano Squilla», con allusione alle sette protuberan-ze della testa di Campanella, rappresentanti i sette piane-

1140 Ibid., pp. 182-3.1141 Cfr. supra.1142 Cfr. Firpo, Bibliografia di Campanella, pp. 43 sgg. La

migliore edizione è quella contenuta in Campanella, Tutte leopere, a cura di L. Firpo, I, 1954.

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ti; il resto è andato perduto. Queste poesie con i relativicommenti sono strettamente collegate in alcuni dei lorotemi agli Eroici furori, senza tuttavia la ricchezza immagi-nativa così caratteristica di Bruno. Campanella non face-va deliberatamente ricorso all’immaginazione1143. Eppu-re nell’Epilogo magno, dove Campanella parla del mon-do come statua di Dio e dice che la vera filosofia con-siste nel cercare le vestigia del divino nella natura allostesso modo in cui un innamorato contempla l’immagi-ne dell’amata1144, egli introduce quel tema che, sviluppa-to da Bruno in termini petrarcheschi e con la sua mirabi-le simbologia atteoniana, diventa gli Eroici furori: il cultoermetico del mondo espresso in un’opera di grande for-za poetica. Dedicata a sir Philip Sidney, capo dei poe-ti elisabettiani, e con le sue allusioni al culto cavallerescodella regina, quest’opera diviene parte integrante dellaletteratura elisabettiana.

A Wittenberg, Bruno si identificò simpaticamente coiluterani e le sue lodi rivolte a principi eretici pesaronofortemente contro di lui durante il processo. Queste ten-denze radicali differenziano nettamente Bruno da Cam-panella.

Bisognerà accennare a un altro confronto fra Bruno eCampanella, anche se esso non potrà essere qui svilup-pato in quanto appartiene alla storia dell’arte della me-moria che spero di trattare in un altro libro. Abbiamovisto che la forma principale della magia bruniana si svi-luppa dall’adattamento del tema ermetico della riflessio-ne del mondo nella mente alle tecniche della mnemoni-ca classica. Nel De umbris idearum egli dà un sistemamnemonico del mondo basato su immagini magiche.

1143 Tutte le opere, ed. cit., p. 9.1144 Campanella, Epilogo magno, a cura di C. Ottaviano, Ro-

ma 1939, pp. 181-2.

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Anche Campanella conosceva bene questa tradizioneed infatti la stessa Città del Sole può essere riflessa inte-riormente, come «memoria locale»1145. In quanto siste-ma mnemonico, la Città andrà vista a confronto e a con-trasto con i sistemi bruniani. Nella Monarchia di Spa-gna Campanella raccomanda la preparazione di una car-ta delle costellazioni, con i principi della Casa d’Austriacollocati nei cieli, che dovrà servire anche per impararela «memoria locale». Egli consiglia al monarca di

... chiamar tutte le gran savie teste di Germania con premij, permandarle al Mondo Nuovo, dove abbino da descrivere tutte lefigure di stelle nuove che sono sotto al polo antartico, sino altropico di Capricorno, e figurar nel Polo la santa croce, e nelpunto metter le figure di Carlo V, altre d’altri signori austriaci,come han fatto i Greci e gli Egizi delli loro principi ed eroi,collocandovi le loro effigie; perché così s’impara l’astrologiainsieme con la memoria locale1146.

Scritte nel periodo della simpatia di Campanella per lamonarchia spagnola, queste parole suonano come istru-zioni per costruire un mappamondo che fosse strumen-to di magia per la Casa d’Austria mediante la collocazio-ne dei suoi prìncipi nei cieli; contemporaneamente essosi presenta come un sistema mnemonico. Se riusciremoa far luce su questo punto, nel contesto complessivo del-la storia dell’arte della memoria e del suo uso per scopi

1145 Nell’elenco di opere che Campanella si offrì di fare men-tre era in prigione a Napoli, egli dice che sa «fabricar una cit-tà di tal lavoro mirabile, che solo guardandola s’imparino tuttele scienze istoricamente» e che può insegnare «memoria loca-le» con il mondo come libro. Cfr. Lettere, ed. cit., pp. 27, 28,160, 194, e le altre versioni di questi elenchi di opere meravi-gliose che Campanella prometteva di fare, nell’articolo di LuigiFirpo in «Rivista di Filosofia», 1947, pp. 213-29.

1146 Campanella, Opere, a cura di A. d’Ancona, Torino 1854,vol. II, p. 117.

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di magia ermetica durante il Rinascimento, potremo me-glio capire lo Spaccio della bestia trionfante, questo map-pamondo costruito nell’interesse di Enrico III, e forse diElisabetta, anch’esso destinato a venire riflesso interior-mente ed in qualche rapporto con i sistemi della memo-ria bruniani.

Bruno e Campanella sembrano dunque, per quasi ogniverso, parenti stretti, di temperamento e carattere diversie le cui vicende si ripetono fra loro, nelle rispettive vite,con variazioni e differenti fortune. Essi fecero la loro ir-ruzione nel mondo, a distanza di venti anni l’uno dall’al-tro, spinti da un impeto tremendo, da una forma estremadi ermetismo religioso. Questa differenza di venti anni èimportante poiché significa che, mentre la vita di Brunosi svolse nel periodo in cui l’ermetismo raggiunse un cre-scendo, allorché esso era alla base della filosofia domi-nante e si era profondamente infiltrato nei problemi re-ligiosi dell’epoca, Campanella visse in una fase posterio-re, in cui l’ermetismo stava declinando. Nel periodo del-la prigionia di Campanella, gli scritti ermetici erano sta-ti alla fine accuratamente datati; la supposta estrema an-tichità di Ermete Trismegisto era stata il fondamento sucui aveva poggiato l’intero vasto edificio dell’ermetismorinascimentale, con tutte le sue ramificazioni magiche ereligiose; quando tale fondamento venne eliminato dal-la critica testuale, l’edificio andò incontro alla distruzio-ne. Per la nuova scuola filosofica cartesiana, le filosofieanimistiche rinascimentali, con la loro base ermetica, of-frivano metodi completamente superati per la conoscen-za del mondo. Nel grande progresso del XVII secolo lascienza soppiantò la magia.

Quando Campanella giunse a Parigi, la favorevole ac-coglienza nei suoi riguardi da parte dei «grands» e del-la corte fu probabilmente dovuta al fatto che il suo cultodella monarchia francese ben si adattava alle ambizionidi Richelieu ed alla sua politica antiasburgica. Permane-

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va, comunque, una forte sopravvivenza degli antichi mo-di di pensare e molti intellettuali francesi erano interes-sati a lui poiché si era acquistato una grande reputazio-ne. Non c’è dubbio che i suoi libri sollevarono molto in-teresse e forse fecero rivivere l’atmosfera rinascimentale.

Ma per coloro che erano rivolti al futuro, che aprivanole vie di una nuova èra, per Mersenne, Cartesio e il lorocircolo, Campanella non significava nulla. Scrivendo aPeiresc, che gli aveva fortemente raccomandato Campa-nella, Mersenne dice: «Ho visto il reverendo padre Cam-panella per circa tre ore e per la seconda volta. Mi sonreso conto che egli non può insegnarci nulla in fatto discienze. Mi era stato detto che egli è molto preparato inmusica ma quando l’ho interpellato mi sono accorto chenon sa neppure che cosa sia un’ottava; tuttavia possie-de una buona memoria e una fertile immaginazione»1147.L’ultima osservazione, buttata giù per educazione, suo-na forse ancor più condanna del resto. Mersenne scrissea Cartesio per informarsi se gli avrebbe fatto piacere cheCampanella andasse a trovarlo in Olanda, ma il grandeuomo rispose che conosceva abbastanza di Campanellaper non volerne più sapere1148. Come nota Lenoble, «lestemps sont révolus»; siamo ormai nel mondo modernoe, benché Campanella fosse ricevuto con un’accoglien-za trionfale a corte e traesse gli oroscopi di grandi perso-naggi, gli intellettuali avevano abbandonato tali sogni.

E, nel mondo moderno che si profilava ora all’orizzon-te, il sogno di una religione universale in cui la scienza in-terpretata come «magia naturale» si legasse indissolubil-mente con la religione intesa come «magia divina», eraovviamente condannato a svanire. Sempre molto dubbia

1147 Mersenne, lettera a Peiresc del 1635; cit. da R. Lenoble,Mersenne et la naissance du mécanisme, Paris 1943, p. 41.

1148 Lettere di Cartesio a Huyghens e Mersenne, 1638; cit.ibid., p. 43.

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dal punto di vista dell’ortodossia, era stata la sua con-sonanza con le filosofie rinascimentali dominanti a daretutta la sua forza a questo sogno. Il fatto che Campanel-la fosse stato capace di farlo rivivere in così tarda età, econ una buona dose di successo, è un segno della profon-da penetrazione di Ermete Trismegisto nell’ambito dellareligione. Ma ora, scienza e filosofia si uniranno all’orto-dossia per scacciarlo dalla Chiesa; la grande campagna diMersenne contro la magia fu anche una campagna con-tro la teologia naturale.

Nato vent’anni troppo tardi, Campanella a Parigi fal’impressione di un mammut superstite di una razza pres-soché estinta, la razza dei Magi rinascimentali. La for-za indomabile di questo uomo, persino nelle circostanzepiù scoraggianti, testimonia il vigore che il mago rinasci-mentale ricavava dalla sua religione naturale. Chiudiamoil capitolo con uno dei sonetti che Campanella composenel carcere napoletano:

Modo di filosofare

Il mondo è il libro dove il Senno Eternoscrisse i proprü concetti, e vivo tempiodove, pingendo i gesti e ’l proprio esempio,di statue vive ornò l’imo e ’l superno;perch’ogni spinto qui l’arte e ’l governoleggere e contemplar, per non farsi empio,debba, e dir possa: – Io l’universo adempio,Dio contemplando a tutte cose interno. –Ma noi, strette alme a’ libri e templi morti,copiati dal vivo con più errori,gli anteponghiamo a magistero tale.O pene, del fallir fatene accorti,liti, ignoranze, fatiche e dolori:deh, torniamo, per Dio, all’originale!1149

1149 Cfr. Campanella, Tutte le opere, a cura di L. Firpo, I, p.18.

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XXI. DOPO LA DATAZIONE DI ERMETETRISMEGISTO

Alcune scoperte d’importanza fondamentale per la sto-ria del pensiero sembrano passare relativamente inosser-vate. Nessuno parla di «èra precasauboniana» o di «èrapostcasauboniana», eppure la datazione, fatta da IsaacCasaubon nel 1614, degli scritti ermetici come opera nondi un antichissimo sacerdote egiziano ma di epoca post-cristiana, è uno spartiacque che separa il Rinascimentodal mondo moderno. Tale datazione demolì in un solcolpo la costruzione del neoplatonismo rinascimentalecon alla base il culto per i prisci theologi, il principaledei quali era Ermete Trismegisto. Essa demolì comple-tamente la posizione del mago e della magia rinascimen-tali con il relativo fondamento ermetico-cabalistico, ba-sato sull’antica filosofia e sull’antico cabalismo «egizia-ni». Essa demolì persino il movimento ermetico cristia-no non magico del XVI secolo. Essa demolì la posizionedi un ermetico estremista, quale era stato Giordano Bru-no, i cui presupposti di un ritorno ad una migliore filo-sofia e ad una migliore religione magica «egiziane», pre-giudaiche e precristiane, furono fatti completamente sal-tare dalla scoperta che gli scritti del santo e antico egizia-no dovevano essere datati non solo molto dopo Mosè maanche molto dopo Cristo. Essa demolì, inoltre, alla basetutti i tentativi di costruire una teologia naturale sull’er-metismo, come quello in cui Campanella aveva riposto lesue speranze.

L’effetto esplosivo della scoperta di Casaubon non fuimmediato e ci furono molti che la ignorarono, o si ri-fiutarono di credervi, e restarono ostinatamente attaccatialle vecchie idee fisse. Ciò nonostante, sebbene altri fat-tori agissero fortemente contro le tradizioni rinascimen-

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tali nel XVII secolo, la scoperta di Casaubon deve esse-re riconosciuta, a mio parere, come uno dei fattori, e unfattore importante, dell’affrancamento dei pensatori sei-centeschi dalla magia1150.

Isaac Casaubon1151, nato a Ginevra da genitori prote-stanti nel 1559, fu uno dei più brillanti studiosi di gre-co del suo tempo, profondamente erudito in tutti i cam-pi della cultura classica ed anche in storia ecclesiastica.Il suo amico Giuseppe Giusto Scaligero lo consideraval’uomo più colto d’Europa. Nel 1610 fu invitato in In-ghilterra e venne incoraggiato da Giacomo I a intrapren-dere la critica degli Annales ecclesiastici del Baronio, cri-tica in cui è inserita la sua demistificazione della leggen-da della venerabile antichità degli Hermetica. Morì nel1614 ed è sepolto nell’Abbazia di Westminster.

I dodici enormi volumi degli Annales ecclesiastici diCesare Baronio erano apparsi fra il 1588 e il 1607 ederano una replica controriformistica alla interpretazioneprotestante della storia della Chiesa1152. Il Baronio usòtutte le antiche leggende romantiche e le antiche fonticon entusiasmo sincero e senza alcun fondamento criti-co. Nel primo volume egli dedica un lungo capitolo alleprofezie pagane dell’avvento di Cristo, basandosi su Lat-tanzio, da lui citato a margine. I profeti pagani furono,

1150 In un breve ma acuto saggio, Nota sull’ermetismo, E.Garin ha posto in rilievo l’importanza, in rapporto al pensierodel XVII secolo, della datazione casauboniana degli Hermetica;cfr. Garin, Cultura, pp. 143 sgg.

1151 Sul Casaubon, cfr. la «voce» relativa del Dictionary ofNational Biography e Mark Pattison, Isaac Casaubon, Oxford18922.

1152 Sul Baronio, cfr. la «voce» relativa nell’Enciclopedia ita-liana; non esiste alcuna monografia moderna su questo interes-sante personaggio della Controriforma, uno dei primi discepo-li di san Filippo Neri e confessore di Clemente VIII dal 1594 inpoi, in un periodo, cioè, di cruciale importanza. Mori nel 1607.

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com’egli afferma seguendo Lattanzio, Mercurio Trisme-gisto, Idaspe e le Sibille1153. Ciò è quanto egli si limitaa dire in effetti sul conto di Trismegisto, ma, nel conte-sto lattanziano, questo implicava tutta una elaborata in-terpretazione degli scritti ermetici come profezia paganadell’avvento di Cristo. In questo senso fu evidentementepresa l’affermazione baroniana da Casaubon, poiché eglisferrò un attacco a fondo contro l’autenticità e la suppo-sta antichità sia degli oracoli sibillini che degli Hermeti-ca.

L’opera di Casaubon reca il titolo piuttosto astrusodi De rebus sacris et ecclesiasticis exercitationes XVI. Inessa l’autore discute dettagliatamente il testo del Baro-nio mettendo in evidenza gli errori contenuti nella pri-ma metà del primo volume. Casaubon intendeva discu-tere in questo modo tutti i dodici volumi, ma venne in-terrotto dalla morte. Quando arriva al punto in cui il Ba-ronio parla dei profeti pagani, egli esprime il suo pro-fondo sospetto circa la genuinità di questi scritti1154. Nonc’è, egli dice, una sola parola su Ermete Trismegisto osugli oracoli sibillini né in Platone, né in Aristotele, néin alcuno degli altri più importanti autori pagani1155. Ca-saubon è del parere che essi siano stati inventati nei pri-mi tempi del Cristianesimo per rendere la nuova dottri-

1153 «Erant hi [vale a dire i profeti pagani] Mercurius Trisme-gistus, Hydaspes, atque Sybilla», con un richiamo a Lattanzio,I, 6, al margine. C. Baronio, Annales ecclesiastici, Mainz 1601,I, p. 10.

1154 Isaac Casaubon, De rebus sacris et ecclesiasticis exercita-tiones XVI. Ad Cardinalis Baronii prolegomena in Annales, Lon-dra 1614, pp. 70 sgg. Qualche discussione della critica casau-boniana può trovarsi in Scott, I, pp. 41-3, e in Pattison, op. cit.,pp. 322 sgg. Scott rileva che Casaubon data gli Hermetica unpo’ troppo presto e che si sbaglia nel considerarli falsificazionicristiane.

1155 Casaubon, op. cit., p. 73.

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na accettabile ai non cristiani1156. Gli scritti attribuiti aTrismegisto sono opera, egli afferma, di autori cristianio semicristiani, falsificazioni fatte con buone intenzionima purtuttavia detestabili in quanto non corrisponden-ti al vero. Casaubon ammette che possa essere esistitarealmente in tempi molto antichi una persona di nomeTrismegisto1157, ma non può essersi trattato dello scritto-re a cui queste opere sono state attribuite. In esse nonsono contenute le dottrine di un antico Egiziano; si ba-sano invece, in parte, sugli scritti di Platone e dei plato-nici e, in parte, su testi sacri cristiani1158. Il Pimander rie-cheggia qua e là Platone, in particolare il Timeo, la Ge-nesi e il Vangelo di san Giovanni1159. Le Potestà di cui inCorpus Hermeticum XIII richiamano l’Epistola ai Roma-ni di san Paolo1160. Molti degli inni sono ripresi da vec-chie liturgie, particolarmente quelle di san Giovanni Da-masceno, o dai Salmi1161. I trattati sulla «rigenerazione»sono influenzati da san Paolo, Giustino martire, Cirillo,Gregorio Nazianzeno ed altri1162.

Prove dettagliate che gli Hermetica non possono risali-re all’antichità supposta vengono offerte col porre in evi-denza che in essi si menzionano, per esempio, Fidia e igiochi pitici, oltre a molti autori greci posteriori. Infine,c’è la questione del loro stile. Essi sono scritti non in unostile greco primitivo ma in uno stile tardo, facendo usodi un vocabolario altrettanto tardo1163. Perciò, conclude

1156 Ibid., pp. 73-5.1157 Ibid., p. 75.1158 Ibid., p. 77.1159 Ibid., pp. 77-9.1160 Ibid., p. 82.1161 Ibid., pp. 82-3.1162 Ibid., p. 83.1163 Ibid., pp. 85-7.

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Casaubon al termine della sua lunga e minuziosa anali-si, è falsissimo dire che queste opere siano state scritteda Mercurio Trismegisto, un antico egiziano, o che sianouna traduzione dei suoi scritti1164.

La copia degli Hermetica materialmente usata da Ca-saubon nel corso della sua critica devastatrice si trova alBritish Museum, con la sua firma sul frontespizio e mol-te note manoscritte autografe sui margini. Si tratta diuna copia del testo pubblicato a Parigi dal Turnèbe nel15541165, insieme alla traduzione latina di Ficino dei primiquattordici trattati del Corpus Hermeticum ed alla tradu-zione lazzarelliana delle Definitiones. Maneggiando que-sto libretto ci si rende conto, non senza una buona do-se di timore reverenziale, che esso rappresenta la mor-te dell’Ermete Trismegisto rinascimentale, dell’immagi-nario sacerdote egiziano che, nel ruolo ad esso attribui-to di capo dei prisci theologi, aveva esercitato per tantotempo una così formidabile influenza.

Il Baronio, che non era uno studioso di greco, ave-va ripetuto, senza porsi da un punto di vista critico, lavecchia interpretazione lattanziana della profezia paga-na, interpretazione che, come abbiamo visto, ebbe unruolo notevole nel processo di cristianizzazione di Erme-te Trismegisto. L’asserzione di Casaubon che gli Herme-tica fossero falsificazioni cristiane mostra quanta presaavesse avuto la loro interpretazione cristiana. L’influen-za cristiana in questi scritti sembra al Casaubon così evi-

1164 Ibid., p. 87.1165 Eρµoυ τoυ Tρισµεγιστoυ Πoιµανδρης...

Aσχληπιoυ Oρoιπρoς Aµµoνα Bασιλεα: TrismegistiPoemander, seu de potestate ac sapientia divina. Aesculapii Defi-nitiones ad Ammonem Regem, Parigi 1554, a cura di A. Turnè-be. L’esemplare da me consultato è presso il British Museum,segn. 491. d. 14. I commenti riprodotti in questa edizione so-no quelli di Lefèvre d’Etaples. Cfr. Kristeller, Suppl. fec., I, p.LVIII; Walker, The «Prisca Theologia» in France, p. 209, nota.

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dente che egli la spiega teorizzando che si tratti di fal-sificazioni cristiane: il che, sebbene egli non lo affermi,potrebbe persino implicare una diretta responsabilità diLattanzio nell’avallare tali falsificazioni. Come all’iniziodi questo studio abbiamo visto che l’interpretazione lat-tanziana di Ermete come profeta pagano associato alleSibille, ebbe una parte notevole nel determinare la suainfluenza, così ora, arrivati alla fine, con Ermete demoli-to dalla moderna critica testuale, è nell’accezione lattan-ziana, ripresa dal Baronio, che assistiamo alla sua esecu-zione capitale. E, pervenuti a questo punto, non possia-mo non stupirci nel riflettere che uno studio critico degliHermetica sia stato intrapreso così tardi. Gli strumentidi critica testuale usati dal Casaubon per la sua datazio-ne – l’esame del testo, cioè, sia dal punto di vista del con-tenuto che dello stile – erano stati messi a punto moltotempo prima dagli umanisti latini ed usati efficacementeper la datazione di autori latini. Eppure doveva passaretutto il XVI secolo, testimone dei più straordinari svilup-pi basati sull’errata datazione di Ermete, prima che Ca-saubon giungesse ad applicare questi ben noti strumen-ti critici alla datazione del testo greco del Corpus Her-meticum. Dell’Asclepius non esisteva, ovviamente, alcu-na versione greca. Ciò nonostante, anche l’Asclepius, chedurante il Rinascimento era sempre stato letto in strettaassociazione al Corpus Hermeticum come opera del me-desimo antichissimo autore egiziano, venne naturalmen-te degradato e con esso cadde una delle principali pez-ze d’appoggio a giustificazione della magia, da Ficino inpoi.

Relegato com’era in un angolo della complessa disami-na critica casauboniana della storia del Baronio, il nuo-vo criterio di valutazione di Ermete Trismegisto potevaessere, e fu, trascurato e ignorato da coloro che, pur vi-vendo nel XVII secolo con tutti i suoi movimenti intel-

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lettuali interamente nuovi, restavano tuttora aggrappatialle tradizioni rinascimentali.

Nel novero di questi retardataires va collocato al pri-mo posto Tommaso Campanella. Bruno fu arso quat-tordici anni prima che venisse pubblicata la scoperta diCasaubon; a quel tempo Campanella era in prigione esvolse tutta la sua successiva attività ignorandone com-pletamente l’esistenza. Per uomini come Bruno e Cam-panella, il moderno metodo critico d’interpretazione de-gli antichi testi sacri di prisca theologia sarebbe stato im-pensabile. Entrambi provenivano da una tradizione as-solutamente non umanistica, in cui «Ermete» e i «plato-nici» erano stati innestati sulla cultura medievale senzala minima utilizzazione o sfumatura di dottrina filologi-ca umanistica. Possiamo esser certi che se Bruno fossestato ancora in vita all’inizio del XVII secolo, per quantola sua missione potesse differire sensibilmente da quelladell’ultimo Campanella, egli si sarebbe comportato co-me lui nel conservare sempre la sua fede nell’estrema an-tichità di Ermete Trismegisto.

Né, d’altra parte, Campanella e lo spettro di Brunoerano i soli a tenere questo atteggiamento nel XVII se-colo. Il neoplatonismo rinascimentale era duro a mori-re e seguitava a sopravvivere in varie forme contempora-neamente al sorgere della nuova filosofia e della nuovascienza. Mentre alcuni, come Marin Mersenne, combat-tevano attivamente le concezioni animistiche e magicherinascimentali per aprire nuove strade e si servivano dellanuova datazione degli Hermetica come di uno strumen-to per il loro smantellamento, altri, come Robert Fludde Athanasius Kircher, seguitavano a interpretare ErmeteTrismegisto nel classico modo rinascimentale, ignorandocompletamente Casaubon. Altri ancora, benché semprelegati in larga misura alla tradizione platonica del Rina-scimento, furono influenzati dalla scoperta di Casaubon.

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In questo capitolo discuterò Fludd, i Rosacroce e Kir-cher come esempi di totale sopravvivenza dell’atteggia-mento rinascimentale verso Ermete Trismegisto nell’èrapostcasauboniana; discuterò inoltre More e Cudworthcome platonici appartenenti alla tradizione rinascimen-tale il cui atteggiamento verso gli Hermetica venne pro-fondamente modificato dalla scoperta di Casaubon.

Ermetici reazionari: Robert Fludd

Il volume di Casaubon contenente la critica degli Herme-tica fu pubblicato in Inghilterra nel 1614 con una dedicaa Giacomo I. Tre anni dopo, l’inglese Robert Fludd de-dicò allo stesso sovrano il primo volume, uscito in Ger-mania, della sua Utriusque cosmi... historia1166. Difficil-mente si potrebbe immaginare un contrasto più totale diquello esistente fra queste due opere, pubblicate nel gi-ro di pochi anni l’una dall’altra ed entrambe dedicate al

1166 Robert Fludd, Utriusque cosmi, maioris scilicet et minoris,methaphysica, physica atque technica historia, vol. I, Oppenheim1617; vol. II, Oppenheim 1619.

Un altro elemento interessante in connessione con la scoper-ta casauboniana del falso ermetico è che essa venne pubblica-ta mentre sir Walter Raleigh era prigioniero nella Torre e stavascrivendo la sua History of the World, tutta cosparsa di citazio-ni dal Pimander ficiniano e contenente un’intera sezione su Er-mete Trismegisto (parte I, libro II, cap. 6, paragrafo VI). Ra-leigh considera Ermete probabilmente più antico di Mosè e lovenera profondamente, interpretando l’idolatria dell’Asclepiuscome una corruzione introdotta negli scritti di questo santo uo-mo. Perciò, press’a poco nello stesso periodo del regno di Gia-como I, si hanno queste tre posizioni: 1) Casaubon dimostracriticamente la falsità di Ermete Trismegisto; 2) un sopravvis-suto dell’età elisabettiana, Raleigh, vive tuttora profondamentesotto il suo fascino; 3) il giovane Fludd si prepara a difendere lacausa dell’ermetismo nel clima nuovo del suo tempo.

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re d’Inghilterra. Casaubon, applicando il metodo uma-nistico alla critica di testi greci, aveva demolito in modoconvincente l’antica datazione degli Hermetica ed avevamostrato come i paralleli fra questi scritti e il Vecchio e ilNuovo Testamento e le opere di Platone e dei platonicidovessero essere spiegati come «prestiti» di motivi di an-tichi scrittori in autori più recenti. Fludd, ignorando to-talmente la nuova datazione in questa opera e in tutti glialtri suoi voluminosi scritti1167, vive in un mondo in cuiCasaubon avrebbe potuto non essere mai nato, quellocioè dell’ermetismo religioso con il suo profondo rispet-to per Ermete Trismegisto visto come l’antichissimo Egi-ziano i cui sacri scritti posseggono praticamente un’au-torità canonica. Fludd cita di continuo i detti del san-to Ermete, da lui considerati d’importanza pari a quel-li della Genesi o del Vangelo di san Giovanni e rivelato-ri delle medesime verità religiose, ovvero come parole diun priscus theologus di gran lunga anteriore a Platone eai platonici che assorbirono i suoi insegnamenti.

Non si esagera dicendo che in quasi ogni pagina del-le opere di Fludd si trova una citazione della traduzionelatina del Corpus Hermeticum fatta da Ficino. Egli si ser-ve liberamente anche dell’Asclepius e di alcuni altri scrit-ti ermetici, ma il Pimander ficiniano è la sua fonte prin-cipale. Facendo un confronto fra le citazioni di Fludd eil testo di Ficino si ricava che Fludd lo conosceva a me-moria e che lo cita senza averlo sott’occhio, sempre re-stando abbastanza vicino al senso originale ma talvoltariportandolo liberamente. In alcuni casi egli cita anchei commenti ficiniani dimostrando di aver completamen-te assorbito da essi e dalla successiva tradizione ermeti-ca cristiana l’atteggiamento in base al quale Ermete Tri-

1167 Una bibliografia di questi scritti si trova in R. Lenoble,Mersenne ou la naissance du mécanisme, Paris 1943, pp. XLVI-XLVII.

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smegisto veniva considerato in accordo con Mosè sullacreazione e preannunciatore della Trinità.

Sarebbe noioso illustrare dettagliatamente queste af-fermazioni; mi limiterò quindi a citare come esempio ladedica al lettore del primo volume dell’Utriusque cosmi...historia. Qui Fludd cita da «Trismegisto, il più divino ditutti i filosofi e vicino a Mosè», il quale nel Pimander hadetto che all’uomo vennero dati i poteri dei Sette Go-vernatori (il passo è citato nella traduzione latina di Fici-no), grazie ai quali egli non solo è in grado di conosce-re la natura delle stelle e la loro azione sulle cose inferio-ri ma può sollevarsi alle massime altezze e comprenderetutta la verità. Poiché la mens dell’uomo è fatta di vitae di luce, a immagine di Dio, quando l’uomo conosce sestesso diventa simile a Dio (citazione, anche questa, dal-la traduzione ficiniana)1168. È dunque su questa base er-metica dell’uomo visto come uomo-mago (Il passo «ma-gnum miraculum est homo» è, come è ovvio, continuamente ci-tato da Fludd; cfr., per esempio, Utriusque cosmi... historia, II,p. 72; ibid., seconda sezione, p. 23, ecc. ) che Fludd passa adescrivere i due mondi, il macrocosmo e il microcosmo,nella Utriusque cosmi... historia.

La descrizione della creazione, con cui inizia il pri-mo volume e che è illustrata da notevoli tavole di DeBry, si basa sulla consueta fusione del Pimander erme-tico con la Genesi, accompagnata da copiose citazionida entrambi. Una successiva opera di Fludd, la Philoso-phia moysaica1169, è anch’essa di tipo mosaico-ermetico; laspiegazione della figura geroglifica sul frontespizio vienedata a fronte in questi termini: «Tenebrae fuerunt superfaciem abyssi. Genesis I. Et Hermes, Erat umbra infini-ta in abysso, aqua autem & Spiritus tenuis in abysso ine-

1168 Fludd, Utriusque cosmi... historia, I, pp. 11-2; cfr. Ficino,Pimander, cap. I (Ficino, pp. 1837-8).

1169 R. Fludd, Philosophia moysaica, Gouda 1638.

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rant». In effetti, Fludd vede Ermete al modo rinascimen-tale, come il Mosè egiziano e il trinitario quasi cristiano.

Al pari di Pico della Mirandola, a cui egli si richiamafrequentemente con rispetto1170, Fludd aggiunge elemen-ti cabalistici a questo ermetismo di tipo ficiniano, di cuiegli è completamente saturo. Non posso occuparmi quidi discutere il grado di conoscenza che Fludd aveva dellacabala o dell’ebraico. Quando dico che egli aggiunge ele-menti cabalistici all’ermetismo di tipo ficiniano, intendodire che nel cosmo fluddiano, oltre le sfere degli elemen-ti e le sfere dei pianeti, c’è, come in Ficino, un’ascesa allepiù alte sfere delle gerarchie angeliche pseudo-dionisianee queste sono poste sullo stesso piano, o inserite nellostesso ordine; delle sefirot della cabala. Questo è lo sche-ma a cui pervenne Pico associando la cabala alla magia emi sono servita di tavole tratte dall’opera di Fludd per il-lustrarlo in un precedente capitolo. Tale schema è espo-sto e discusso nel testo del primo volume della Utriusquecosmi... historia, nei capitoli sui demoni e sugli angeli,dove le gerarchie angeliche pseudo-dionisiane vengonoposte in relazione con i demoni delle stelle, o angeli1171;nel De Philosophia moysaica, e precisamente nel capitolosulle sefirot, per il quale Fludd si serve del De arte cabali-stica di Reuchlin, le sefirot sono poste in relazione con legerarchie pseudo-dionisiane1172.

Fludd si muove dunque interamente nell’ambito del-lo schema entro il quale il mago rinascimentale compivale sue operazioni magico-cabalistiche, uno schema che siserbava vagamente cristiano mediante la sua connessionecon le gerarchie angeliche cristiane. Era Fludd un «ope-ratore», vale a dire un mago praticante? Le sue frequen-

1170 Egli si serve delle Conclusiones pichiane; cfr., per esem-pio, Utriusque cosmi... historia, II, p. 55.

1171 Fludd, Utriusque cosmi... historia, I, pp. 108 sgg.1172 Fludd, Philosophia moysaica, pp. 84 sgg.

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ti citazioni dal De occulta philosophia di Agrippa portanoa concludere, a mio parere con sufficiente certezza, chelo fosse. Mersenne sicuramente era di questo avviso e loaccusò fermamente di essere un mago1173.

Con questo brevissimo profilo di Fludd miro sempli-cemente ad assegnargli un posto nel contesto generaledella storia esposta in questo volume. La sua collocazio-ne mi appare, più o meno, in questi termini. In una da-ta assai tarda, dopo che gli Hermetica sono stati datati ein un periodo in cui l’intera concezione rinascimentale èin declino e sta per cedere il passo alle nuove correnti dipensiero del XVII secolo, Fludd opera una ricostruzionecompleta di tale concezione. Egli avrebbe potuto vive-re in mezzo a quell’ondata di intenso entusiasmo misticoche fu sollevata dalle traduzioni ficiniane degli Hermeti-ca, o subito dopo che Pico aveva realizzato la sua fusio-ne di magia e cabala. Si tratta, naturalmente, di una esa-gerazione poiché nel caso di Fludd bisogna tener contodi molte influenze posteriori. Egli conosce, per esempio,l’utile manuale di magia rinascimentale che fu compila-to da Agrippa. Aggiungerei che egli era in qualche misu-ra al corrente delle tradizioni di ermetismo religioso cin-quecentesco di tipo esclusivamente mistico e non magi-co, come quella che fece capo a Foix de Candale. Conla sua fede incrollabile negli Hermetica, considerati libricanonici di valore pari a quello delle Scritture, l’entusia-smo di Fludd non conosce limiti. Scrivendo in Inghilter-ra nel XVII secolo, egli dà espressione, con una specie diazione ritardata, all’ermetismo religioso cinquecentescodel tipo più intenso.

Fludd (1574-1637) è quasi esattamente contempora-neo di Campanella (1568-1639). Entrambi potrebbe-ro essere descritti come tardi ermetici religiosi, anchese non provengono dalla medesima tradizione cultura-

1173 Cfr. in seguito.

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le. Campanella rientra nella originale tradizione italianache al suo tempo era tuttora viva e in sviluppo; con la lo-ro assenza d’interesse per la cabala e l’intenso naturali-smo del loro culto ermetico, Bruno e Campanella si dif-ferenziano per certi aspetti dalla tradizione rinascimen-tale. Al loro confronto, Fludd è un reazionario per il suoritorno alle origini, vale a dire a Ficino e Pico. Inoltre,Fludd non possiede quella formazione domenicana chefa dei due Magi domenicani personalità così formidabilie vigorose, sia come filosofi che come missionari. Ciò no-nostante vi sono punti in cui lo studioso di Fludd potreb-be aiutarsi nell’interpretazione del suo autore attraversoun confronto con Campanella e con Bruno. Il De sanc-ta monotriade di Campanella è basato su un tipo di tri-nitarismo ermetico simile a quello usato da Fludd, anchese questo libro non può avere influenzato Fludd dal mo-mento che la Theologia campanelliana, di cui esso costi-tuisce una parte, non venne mai pubblicata. Un confron-to tra Fludd e Bruno potrebbe risultare ancor più illumi-nante. Come si è già rilevato1174, benché Fludd non ras-somigli certamente a Bruno per quanto riguarda l’assen-za di motivi trinitari e il generale atteggiamento estremi-stico di quest’ultimo, vi sono, nelle opere di Fludd, pun-ti in cui si avverte la vicinanza di Bruno. Almeno un’ope-ra bruniana, il De imaginum compositione, era, a mio pa-rere, certamente nota a Fludd poiché se ne trovano trac-ce nel sistema mnemonico fluddiano1175, che aiuta a suavolta a spiegarla. Anche alcuni diagrammi magici di Bru-no, in particolare quelli dei poemi latini, potrebbero es-sere stati a conoscenza di Fludd. Anche la sua interpreta-zione mistica del compasso1176 potrebbe essere esamina-

1174 Cfr. supra.1175 Fludd, Utriusque cosmi... historia, II, sezione II, pp. 54

sgg. Cfr. supra.1176 Ibid., II, pp. 28-9.

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ta in rapporto con la misteriosa controversia fra Bruno eFabrizio Mordente.

Nelle sue prime opere, Fludd si annunciò come un di-scepolo dei Rosacroce, la misteriosa setta, o società se-greta, o gruppo, che sembra avere avuto origine in Ger-mania e forse in un milieu luterano. Le testimonianze re-lative alle opinioni professate dai Rosacroce sono terribil-mente vaghe, né si può essere assolutamente certi che sitrattasse di una setta organizzata. I Rosacroce rappresen-tano la tendenza dell’ermetismo rinascimentale e di altreforme di occultismo a latomizzarsi nel corso del XVII se-colo, trasformando quella che una volta era una conce-zione legata a filosofie dominanti in una dottrina di so-cietà segrete e di minoranze1177.

I rapporti di Fludd coi Rosacroce lo collocano nel-l’ambito di queste tendenze. La concezione del mago ri-nascimentale venne da lui fatta rivivere tardivamente, inun periodo in cui il mago rinascimentale – avendo per-duto, ad opera del pensiero dominante del XVII secolo,quella posizione di prestigio a cui lo avevano innalzatoFicino e Pico – si riduce ad operare nel segreto, trasfor-mandosi in qualcosa di simile ad un Rosacroce.

Ermetici reazionari: i Rosacroce

Poiché lo scopo di una società segreta è di mantenersitale, non è facile scoprire i segreti dei Rosacroce; per-sino i manifesti che li riguardano esplicitamente sonoformulati in un linguaggio velato e misterioso, e nien-te si sa della loro organizzazione, o addirittura se aves-

1177 Come è stato detto da E. Garin, l’ermetismo rinascimen-tale in questo periodo discende «sul terreno dell’occultismo edelle confraternite ed associazioni variamente caratterizzate»,Nota sull’ermetismo, in Cultura, p. 144.

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sero un’organizzazione o fossero effettivamente costitui-ti in setta1178. Tuttavia, quando Marin Mersenne, cheaveva una forte antipatia per loro, sottolinea in una del-le sue opere quanto egli sia contrario «aux magiciens etaux chaslatans qu’on appelle Frères de la Rose-Croix, le-squels se vantent d’entendre Trismégiste et tous les ca-balistes de l’Antiquité»1179, ce n’è abbastanza per indivi-duarli come appartenenti in qualche modo alla tradizio-ne ermetico-cabalistica da noi delineata.

Il primo documento sul mistero dei Rosacroce è ilmanifesto stampato a Cassel nel 16141180. Questa stranapubblicazione si divide in due parti estremamente maleassortite: la «Riforma generale» non è altro che unatraduzione in tedesco del capitolo 77 dei Ragguagli diParnaso di Traiano Boccalini; la «Fama Fraternitas» è ilmanifesto dei Rosacroce.

1178 P. Arnold, Histoire des Rose-Croix et les origines de laFranc-Maçonnerie, Paris 1955, pp. 166-7: egli ritiene che la«confraternita» non esistesse realmente. Questo libro offreun’analisi critica dei miti intorno ai Rosacroce, insieme a molteimportanti nuove ricerche sui circoli tedeschi in cui essi ebberoorigine.

1179 M. Mersenne, La vérité des sciences, Paris 1625, pp. 566-7; cfr. Mersenne, Correspondance, a cura di Waard e Pintard,Paris 1932, I pp. 154-5.

1180 Allgemeine und General Reformation der gantzen weitenWelt. Beneben der Fama Fraternitas, dess Löblichen Ordens desRosencreutzes, an alle Gelehrte und Haüpter Europas geschrie-ben, Cassel 1614. Gli originali tedeschi di questo e degli al-tri manifesti dei Rosacroce sono reperibili in Die Manifestender Rosekruisers, a cura di A. Santing, Amersfoort 1930; e inChymische Hochzeit Christiani Rosencreutz, ecc., a cura di F.Maack, Berlin 1913 (vi sono riprodotti i manifesti e le «Noz-ze chimiche»). Trad: ingl. in A. E. Waite, The Real History ofthe Rosicrucians, London 1887, pp. 36 sgg.; discussione criticasulla paternità di queste opere, ecc., in Arnold, op. cit., pp. 23sgg.

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Ho avuto occasione di menzionare i Ragguagli di Par-naso di Boccalini nel capitolo XIX, dove ho indicato co-me questa satira del liberale veneziano, grande ammi-ratore di Enrico di Navarra e fortemente antispagno-lo, satira inserita in un ambiente mitologico, alla cortedi Apollo, ricordi in qualche misura lo Spaccio brunia-no, che Boccalini può avere avuto tra le mani dal mo-mento che i libri di Bruno erano distribuiti a Venezia1181.Pubblicata a Venezia nel 1612-13, l’opera di Boccaliniè espressione della posizione filofrancese e antispagno-la, ricorrendo a una simbologia mitologica estremamen-te trasparente: un’impresa coraggiosa se si pensa allacontemporanea situazione politica in Italia. L’autore eraamico di Galileo e apparteneva al gruppo liberale che fa-ceva capo a Venezia e a Padova. Quando morì in modopiuttosto improvviso nel 1613, si parlò di assassinio o diavvelenamento, benché non sembri esserci alcuna provain proposito1182.

Il capitolo del libro di Boccalini che i Rosacroce scel-sero per tradurre in tedesco e che fu da essi preposto alloro manifesto, è intitolato «Generale riforma dell’Uni-verso da i sette Savii della Grecia, e da altri Letterati pub-blicata di ordine di Apollo»1183. Poiché i tempi appaio-no così terribili da indurre molti al suicidio per trarsenefuori, Apollo ordina una riforma universale di cui deb-bono incaricarsi i sette savi della Grecia. Costoro pro-nunciano discorsi in cui espongono il loro punto di vistasul da farsi. Talete è del parere che l’ipocrisia e la dis-

1181 Cfr. supra.1182 Cfr. A. Belloni, Il Seicento, «Storia letteraria d’Italia»,

Milano, edizione 1955, p. 471.1183 Traiano Boccalini, Ragguagli di Parnaso, centuria I, rag-

guaglio 77; il testo originale della traduzione tedesca pubblicatainsieme alla Fama dei Rosacroce trovasi in Chymische Hochzeit,ecc., a cura di F. Maack, con numerazione a parte.

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simulazione siano la causa principale dei mali presenti econsiglia di aprire una finestrella sul petto degli uominiper costringerli alla sincerità. Questa sembra una buonaidea ad Apollo che dà ordini in tal senso. Ma quando ichirurghi impugnano gli strumenti, alcuni letterati fannonotare quanto scomodo diventerebbe il mestiere dei go-vernanti se chiunque potesse leggere nelle loro intenzio-ni; così il progetto viene messo da parte. L’opinione diSolone è che

gli odii crudeli, e le invidie velenose, che universalmente si veg-gono questi giorni regnar tra gli uomini, sono quelle... che han-no posto il presente secolo nella confusione che vediamo tut-ti. La correttione dunque de’ presenti mali tutta si deve spera-re dall’inserir nel cuore del genere humano la carità, l’amor vi-cendevole, e quella santa dilettione del prossimo, che è primoprecetto di Dio. Tutti dunque dobbiamo impiegar le forze degl’ingegni nostri in levar le occasioni de gli odii, che in questitempi regnano nel cuor de gli huomini...1184

Solone pensa che il modo migliore per raggiungere que-sto scopo sia di procedere ad una nuova divisione dei be-ni mondani, cosicché a tutti tocchino parti uguali. Ma imolti inconvenienti che ne deriverebbero sono messi inevidenza da altri, e l’opinione di Solone viene accanto-nata. Anche le brillanti idee degli altri savi risultano tut-te inattuabili e alla fine il Secolo viene rivestito di una«giubba speciosa» per nascondere la sua putrida carcas-sa, mentre i riformatori abbandonano gli ambiziosi pro-getti di una riforma generale del mondo intero riducen-dosi a fissare «il prezzo a i cavoli, alle sardelle, & alle co-cozze».

In stridente contrasto con la sofisticata disillusione el’amara ironia dello stanco liberale veneziano è la «FamaFraternitas», o manifesto dei Rosacroce, che segue alla

1184 Ragguagli di Parnaso, edizione di Venezia 1669, p. 218.

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traduzione tedesca dell’estratto boccaliniano. Si tratta diun documento tanto ingenuo e incoerente quanto il bra-no di Boccalini è invece maturo e lucido. Da esso si ri-cava che la confraternita dei Rosacroce venne fondata daun certo Christian Rosenkreutz, tedesco, che era statoeducato in un monastero e successivamente aveva viag-giato in lungo e in largo, particolarmente in Oriente1185.La magia e la cabala dei sapienti con cui era venuto incontatto a Fez non erano completamente pure «ma, ciònonostante, egli seppe farne buon uso e trovò fondamen-ti ancora migliori per la sua fede, del tutto compatibilicon l’armonia del mondo intero e mirabilmente impres-si in tutte le epoche»1186. Egli ammirò anche il modo incui i dotti di Fez si comunicavano l’un l’altro nuove sco-perte nel campo della matematica, della fisica, della ma-gia, e volle che i maghi, i cabalisti, i fisici e i filosofi te-deschi cooperassero reciprocamente allo stesso modo1187.Molto di questo documento è del tutto incomprensibilee non v’è dubbio che ciò è intenzionale. Si fanno allu-sioni a misteriose «rotae», a vòlte coperte di diagrammigeometrici, e simili1188. I confratelli posseggono alcuni li-bri di Paracelso1189. Fra gli articoli da essi professati c’èche nessuno di loro si dedichi ad altro che alla cura de-gli ammalati, e ciò gratuitamente; che essi non indossinovesti particolari ma seguano le usanze del paese in cui sitrovano; che la parola Rosacroce sia il loro marchio e se-gno distintivo; che la confraternita rimanga segreta percento anni1190.

1185 Waite, op. cit., pp. 66 sgg. Christian Rosenkreuz è quiindicato come «fratello C.R.C.».

1186 Ibid., p. 68.1187 Ibid., p. 67.1188 Ibid., pp. 75-7.1189 Ibid., p. 78.1190 Ibid., p. 73.

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L’unica cosa che sembra collegare questo documentoalla traduzione del brano di Boccalini a cui è associato,è l’attesa di una riforma generale del mondo anche daparte dei Rosacroce.

Ciò nonostante noi sappiamo che un giorno vi sarà una riformagenerale, sia nell’ordine divino che in quello umano, secondoil nostro desiderio e l’attesa di altri; poiché si conviene cheprima del sorgere del Sole appaia e irrompa Aurora, o qualchechiarore, o divina luce nel cielo1191.

Poco dopo l’inizio del manifesto si annuncia anche chel’uomo sta per «comprendere la propria nobiltà e il pro-prio valore, il perché venga chiamato microcosmus equanto la sua conoscenza penetri nella natura»1192.

La riforma generale del mondo di cui erano fautori iRosacroce sembrerebbe una elaborazione mistica e ma-gica, forse qualcosa di simile a quel sole nascente dellariforma magica che era stato salutato da Bruno. Legatocom’è, attraverso l’estratto boccaliniano, al punto di vi-sta liberale italiano, rappresentato, a livello politico, an-che da Bruno, torna di nuovo alla mente il pensiero acui ho accennato in un precedente capitolo1193. Poteva-no i Rosacroce avere qualcosa in comune con la setta deiGiordanisti che si dice fosse stata fondata in Germaniada Bruno?

Questa collocazione del brano del Boccalini primadella «Fama» è estremamente curiosa. Il Rosacroce chesi dice abbia istruito Fludd, Michael Meier, sostenne chenon c’era alcun rapporto fra i due documenti, essendol’associazione della «Riforma generale» di Boccalini con

1191 Ibid., pp. 80-1.1192 Ibid., p. 65.1193 Cfr. supra.

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la «Fama» puramente fortuita1194. Ciò è assai improbabi-le, e in ogni caso se ne ha una smentita nell’evidente sim-patia per Boccalini mostrata in altri scritti connessi con ilmovimento dei Rosacroce1195.

Bruno era andato predicando attraverso la Germanial’avvento di un movimento magico di riforma, da luipoliticamente associato a Enrico di Navarra. Enrico IVfu assassinato nel 1610 ponendo fine alle speranze chei liberali avevano riposto in lui. Nel 1612-13 TraianoBoccalini pubblicò i Ragguagli di Parnaso, pieni di lodi elamenti per il sovrano francese, di odio verso la Spagna,di ironici attacchi contro la pedanteria e la tirannide.Nel 1613 egli morì. Nel 1614 i Rosacroce tedeschipubblicarono la «Fama» insieme al brano di Boccalinisulla riforma generale. Questa successione di fatti nonprova nulla; è semplicemente suggestiva.

Altre pubblicazioni dei Rosacroce furono la Confes-sio Fraternitatis (Cassel 1615) e quella dal titolo Chymi-sche Hochzeit Christiani Rosencreutz (Strasburgo 1616),opera, quest’ultima, certamente di Johann Valentin An-dreae, un pastore luterano che può essere anche l’autoredella traduzione del brano di Boccalini e degli altri ma-nifesti, benché ciò non sia certo1196. Sembrerebbe che ilmovimento dei Rosacroce, così come esso appare in Ger-mania all’inizio del XVII secolo, avesse implicazioni lute-rane; è stata avanzata, fra le altre, la congettura che l’em-blema dei Rosacroce, formato dalla croce e dalla rosa,sia un’imitazione dell’emblema di Lutero1197. Il fondato-

1194 Waite, op. cit., p. 271.1195 Arnold, op. cit., pp. 66-7. I Rosacroce erano antispagno-

li.1196 Su tale questione, cfr. Arnold, op. cit., pp. 85 sgg.1197 L’emblema di Lutero, una, croce dentro una rosa, è

riprodotto in Chymische Hochzeit, a cura di F. Maack, pp.XLVIII, come spiegazione del simbolo dei Rosacroce. Altre

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re, «Christian Rosenkreutz», ha tutta l’aria di essere unpersonaggio interamente mitico: forse anche questo no-me è un’allusione a Lutero. Ma i Rosacroce erano lute-rani magici, ermetici e cabalistici, particolarmente dedi-ti al simbolismo alchimistico di cui «Le nozze chimichedi Christian Rosenkreutz»1198 costituiscono un esempioelaborato e incomprensibile.

La sfumatura luterana del movimento dei Rosacrocenon contrasta con l’ipotesi di un rapporto con Brunopoiché sappiamo che egli venne accolto favorevolmentedai luterani di Wittenberg e che, nel suo esaltante discor-so all’università, profetizzò la scoperta della verità fra diloro1199.

Nel Summum bonum, che mostra di riflettere la magia,la cabala e l’alchimia dei Rosacroce, c’è un epilogo in cuisi afferma che le divisioni della cristianità in romani, lu-terani e calvinisti sono irreali e non vanno tenute in alcunconto dal momento che tutti sono in fondo la stessa cosae tendono allo stesso fine1200. Nel movimento dei Rosa-croce abbiamo perciò una sopravvivenza o una continua-zione di quelle tendenze irenistiche e liberali che eranostate caratteristiche dell’ermetismo religioso del XVI se-colo e che Bruno aveva tradotto in pratica durante le sueperegrinazioni da un paese all’altro predicando contro la«pedanteria» ovunque vi si imbattesse. I Rosacroce for-

interpretazioni mettono il nome in rapporto ai significati dellarosa nell’alchimia (cfr. C. G. Jung, Psychology and Alchemy,London 1953, pp. 74-5). La sfumatura luterana del movimentodei Rosacroce quale appare nei manifesti può dipendere da unadattamento luterano di un precedente movimento.

1198 Cfr. Waite, op. cit., pp. 99 sgg.1199 Cfr. supra.1200 Summum bonum, Francoforte 1629, epilogo. Quest’ope-

ra, che è andata sotto il nome di R. Frizius, è stata quasi certa-mente scritta in parte da Fludd; cfr. Arnold, op. cit., p. 236.

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se speravano di scongiurare la guerra dei trent’anni permezzo della magia e di trovare, quando giunsero a Pari-gi, un re di Francia liberale1201. Se avevano queste spe-ranze, vennero delusi. La monarchia francese era adessosotto il controllo di Richelieu che avrebbe contribuito adistruggere la Germania con la guerra dei trent’anni.

In questo movimento dei Rosacroce c’è molto che ri-corda Bruno ma anche molto che se ne differenzia. SeFludd rispecchia le loro opinioni, la sua versione del-la magia e della cabala non è la stessa di quella di Bru-no, come si è già messo in evidenza. Bruno è insiememeno cristiano e meno alchimista di quanto sembranoesserlo Fludd e i Rosacroce; né il sistema di Fludd èeliocentrico1202, come lo è invece quello bruniano. An-che se non si può fare nessuna affermazione precisa, sipuò essere nel vero parlando in generale di una conti-nuazione, da parte dei Rosacroce, del motivo della rifor-ma in un contesto ermetico che era stato così caratteristi-co di Bruno.

Sebbene io non creda che Giordano Bruno sia mai sta-to ricordato altrove in connessione coi Rosacroce, Tom-maso Campanella lo è stato e nel suo caso il legame sem-bra certo. Si rammenterà che l’allievo tedesco di Campa-nella, Tobia Adami, portò alcuni manoscritti campanel-liani in Germania dove infine li pubblicò1203. Egli li por-tò a Tubingá, fra il 1611 e il 1613, dove viveva JohannValentin Andreae che, autore o no dei manifesti dei Ro-sacroce, era certamente in rapporto con il gruppo di cuiessi sono espressione. Sembra fuor di dubbio che le ideedi Campanella giungessero a conoscenza di Andreae in

1201 Sul viaggio dei Rosacroce a Parigi, cfr. in seguito, pp.479-80.

1202 Fludd è contro l’eliocentrismo; cfr. Utriusque cosmi...historia, I, pp. 156 sgg.

1203 Cfr. supra.

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questo modo e anche attraverso un altro tedesco, il suointimo amico Wense, che andò a trovare Campanella aNapoli nel 1614. Wense suggerì che l’unione dei cristia-ni proposta da Andreae venisse chiamata Città del So-le; inoltre, l’opera su una repubblica ideale pubblicatada Andreae è fortemente influenzata dalla Civitas Soliscampanelliana1204. Per il tramite di quegli allievi tedeschiche lo andarono a visitare in prigione e che portarono al-cune sue opere in Germania, si stabilì dunque un legamefra Campanella e i Rosacroce.

Il legame fra Campanella e le idee di riforma dei Rosa-croce non elimina, a mio parere, l’ipotesi di un’influenzabruniana ma anzi la rafforza. Se Bruno avesse gettato inprecedenza il seme sul suolo tedesco costituendo gruppidi «Giordanisti», il terreno sarebbe stato preparato a ri-cevere l’influenza di Campanella, poiché, come si è mo-strato nel precedente capitolo, il movimento di riformabruniano si riallaccia al primo Campanella e alla rivoltacalabrese da lui promossa.

Per concludere su questo tema difficile e oscuro, direiche i Rosacroce rappresentano in qualche modo la tra-dizione ermetico-cabalistica del Rinascimento, facendo-la rivivere in stretta associazione con idee religiose. Se(come non è affatto certo) Fludd va considerato un por-tavoce delle opinioni dei Rosacroce, la loro magia e la lo-ro cabala erano più un ritorno alle origini rinascimenta-li che espressione dei più recenti sviluppi di quella tradi-zione, così come si vennero configurando in Bruno e inCampanella. Ciò nonostante era certamente giunta loro

1204 Per quanto riguarda l’influenza di Campanella su An-dreae e compagni, cfr. Arnold, op. cit., pp. 60 sgg. Il li-bro di Andreae che reca le tracce dell’influenza della CivitasSolis campanelliana è la Reipublicae christianopolitanae descrip-tio, Strasburgo 1619. Andreae pubblicò anche alcune poesiedi Campanella in traduzione tedesca; cfr. Firpo, Bibliografia diCampanella, p. 43.

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voce del movimento di riförma predicato da uno di que-sti missionari, Campanella, e probabilmente anche dal-l’altro, Bruno, che aveva effettivamente propagandato lasua missione in Germania. Si può quindi supporre che leaspirazioni a una riforma universale in un contesto erme-tico nutrite dai Rosacroce debbano qualcosa sia a Brunoche a Campanella.

Esiste oppure no un rapporto fra i Rosacroce e le ori-gini della Massoneria? Alcuni pensano di sì; altri riten-gono invece che la Massoneria derivi da una corrente dipensiero simile, quanto a tendenze, a quella dei Rosacro-ce, ma diversa quanto a origini immediate1205.

Della Massoneria come istituzione si sente parlare perla prima volta in Inghilterra nel XVII secolo e EliasAshmole è un importante personaggio legato ad essa.Nel suo diario Ashmole afferma di essersi fatto massonein una loggia di Warrington nel 16461206. Certamenteesistevano in Inghilterra tradizioni ed origini anteriorialle quali si rifacevano Ashmole e il suo gruppo, ma sudi esse si sa ben poco. La Massoneria naturalmenterivendica, teoricamente, di discendere dalle corporazionidei muratori medievali ma tutto ciò è avvolto nel mistero.

Non può essere significativo che Giordano Bruno pre-dicasse, non solo ai luterani tedeschi, ma anche ai corti-giani dell’Inghilterra elisabettiana? In un precedente ca-pitolo ho avanzato in termini molto problematici e allu-sivi la proposta che la missione di Bruno in Inghilterra,con il suo richiamo a idee sociali e mistiche anteriori allaRiforma, con la sua deprecazione della rovina delle gran-

1205 Per una discussione, con richiami a parte dell’immensaletteratura su questo argomento, cfr. Arnold, op. cit., pp.229 sgg.; per una interpretazione massonica, cfr. B. E. Jones,Freemason’s Guide and Compendium, London 1950, pp. 117sgg.

1206 Cit. in Jones, op, cit., p. 99.

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di abbazie e dei grandi monasteri, potesse avere qualcosain comune con gli atteggiamenti degli antichi massoni1207.Bruno applicò il suo ermetismo alla devozione per la mo-narchia, al culto cavalleresco tributato a Elisabetta I daisuoi cavalieri. Gli interessi del primo massone a noi noto,Ashmole, non contrasterebbero con l’idea che egli fosseinfluenzato da motivi che risalivano ai circoli di corte deltempo di Elisabetta. Aslhmole era un fervente realistacon un forte interesse per la storia della cavalleria. Chel’influenza di Bruno perdurasse in circoli di corte è indi-cato dal Coelum Britannicum, rappresentato a corte solododici anni prima dell’ingresso di Ashmole nella Masso-neria. Non è una supposizione impossibile che l’impor-tazione di idee dei Rosacroce in Inghilterra, da cui furo-no influenzati Fludd, Vaughan e Ashmole, possa essersiincrociata con una precedente corrente cortigiana, forseinfluenzata da Bruno, dando così vita alla Massoneria.

In ogni caso, la nostra nuova comprensione della na-tura dell’influenza di Bruno in Inghilterra e in Germaniane fa una figura-chiave per lo studio di quegli impulsiattraverso i quali l’ermetismo rinascimentale confluì neicanali sotterranei delle società esoteriche.

Si dice che il Flauto magico di Mozart esprima alcunesue credenze massoniche. Se così è, potremmo avere inquest’opera una traduzione in immagini poetiche e musi-cali del tema della buona religione degli Egiziani, dei mi-steri di Iside e Osiride a cui vengono iniziati i buoni, del-l’atmosfera magica attraverso la quale l’anima dell’uomoprocede verso una salvezza ermetico-egiziana1208. Il no-

1207 Cfr. supra.1208 Naturalmente era la massoneria continentale quella con

cui era in contatto Mozart (cfr. E. Iversen, The Myth of Egyptand its Hieroglyphs, Copenhagen 1961, p. 122). Ma tutta laMassoneria continentale derivava in ultima analisi dall’Inghil-terra; ed era stato nell’Inghilterra elisabettiana che Giordano

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me «Zarastro» del grande sacerdote rifletterebbe l’equa-zione Zoroastro-Ermete Trismegisto che compare nellegenealogie di sapienti elaborate nel Rinascimento.

Ermetici reazionari: Athanasius Kircher

Lasciando da parte questi temi astrusi delle «confraterni-te ed associazioni variamente caratterizzate», come Eu-genio Garin1209 ha definito i canali esoterici nell’ambitodei quali l’ermetismo seguitò a vivere dopo la datazio-ne di «Ermete Trismegisto», veniamo ora a una massic-cia mole di pubblicazioni nelle quali, come nelle operedi Robert Fludd, la datazione di Trismegisto è comple-tamente ignorata e la sintesi ermetico-cabalistica rinasci-mentale sopravvive su basi del tutto tradizionali.

To thee belongs the fame of TrismegistA righter Hermes; th’hast outgone the listOf’s triple grandure...

Questi versi indirizzati al gesuita Athanasius Kircher daun ammiratore inglese e preposti alla sua vasta operasui geroglifici, l’Oedipus Aegyptiacus1210, pubblicata nel1652, indicano la natura della sua fama e ci prepara-no alle innumerevoli citazioni dal Pimander ficiniano edall’Asclepius di cui sono cosparsi i grossi tomi. Kircherdata Ermete Trismegisto al tempo di Abramo1211, e im-plicitamente crede che egli sia il vero autore delle opere

Bruno aveva così appassionatamente predicato la rinascita del-la religione egiziana.

1209 E. Garin, Cultura, p. 144.1210 A. Kircher, Oedipus Aegyptiacus, Roma 1652.1211 Op. cit., I, p. 103.

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attribuitegli. Egli ebbe prescienza della Trinità anche senon ne dette una definizione del tutto corretta; tuttavianon si può negare che egli ne parlò per primo e megliodi qualsiasi altro pagano dopo di lui1212.

La grande passione di Kircher sono i geroglificiegiziani1213 e il loro significato. Egli continua la tradizio-ne rinascimentale di interpretazione dei geroglifici co-me simboli contenenti divine verità nascoste, dilatandolacon una enorme mole di lavoro e di ricerche pseudoar-cheologiche. Questa grande fatica, che segna un’ultimapiena fioritura dell’erudizione geroglifica rinascimenta-le, fu spesa in data così tarda che di lì a poco sarebbestata completamente soppiantata dalla scoperta della ve-ra natura dei geroglifici1214. Per interpretare i geroglifi-ci secondo la tradizione rinascimentale era assolutamen-te necessario seguitare a credere in Ermete Trismegisto,poiché era il tipo di sapienza di questo antico sacerdoteegiziano, la sapienza degli Hermetica, a celarsi nei gero-glifici egiziani e nelle immagini dei loro dèi. Kircher hascritto pagine interessanti con collegamenti espliciti delledefinizioni di Dio del Corpus Hermeticum a simboli egi-ziani. Per esempio, dopo aver citato l’inizio del CorpusHermeticum IV su Dio inteso come il creatore immanen-te nel mondo che costituisce, per così dire, il suo corpo,e un brano del Corpus Hermeticum V, anch’esso su Diolatente nel mondo, egli passa ad esclamare, nel solito mo-

1212 Ibid., II (2), p. 506.1213 Come Ficino (cfr. supra.), Kircher sostiene che Ermete

Trismegisto inventò i geroglifici.1214 La scoperta di Champollion, che alla fine permise di

decifrare le iscrizioni geroglifiche, fu pubblicata nel 1824. Perla storia della scoperta, cfr. Iversen, The Myth of Egypt, pp. 137sgg.

Champollion rappresenta la seconda fase dello smantella-mento del mito egiziano: la prima era stata la datazione degliHermetica da parte di Casaubon.

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do ammirato degli ermetici religiosi, che nessun cristia-no e nessun teologo avrebbe potuto parlare più profon-damente di Ermete su Dio e aggiunge che queste cose sitroveranno racchiuse nei geroglifici1215. Entrambe le ci-tazioni sono ricavate dalla traduzione latina di Ficino1216

che era stata indubbiamente usata in maniera simile daglistudiosi rinascimentali di geroglifici. La tradizione gero-glifica rinascimentale, con le sue interpretazioni dei ge-roglifici come verità su Dio e il mondo, è un canale at-traverso il quale la religione ermetica del mondo vienediffusa in tutto questo periodo, fino a culminare in dataassai tarda nelle opere di Athanasius Kircher. Alla finedell’Oedipus Aegyptiacus, Kircher dà espressione, nellosfogo conclusivo di ermetismo, alla credenza che ispiratutta la sua opera sui geroglifici.

L’egiziano Ermete Trismegisto, che per primo istituì i geroglifi-ci, diventando così il principe e il progenitore di tutta la teolo-gia e di tutta la filosofia egiziane, fu il primo e il più antico fragli Egiziani, il primo a pensare in modo giusto sulle cose divine;e scolpì il suo pensiero per tutta l’eternità su pietre indistrutti-bili e su rocce enormi. Da esse Orfeo, Museo, Lino, Pitagora,Platone, Eudosso, Parmenide, Melisso, Omero, Euripide ed al-tri appresero in modo giusto la conoscenza di Dio e delle co-se divine... E questo Trismegisto fu il primo ad asserire, nel Pi-mander e nell’Asclepius, che Dio è l’Uno e il Bene, e il resto deifilosofi lo seguirono1217.

Perciò i geroglifici e gli Hermetica erano entrambi operadi Ermete Trismegisto e ad essi egli aveva consegnato ilmedesimo messaggio che era stato seguito da tutti i poetie filosofi dell’antichità. Alla luce di questa profonda cre-denza Kircher interpreta tutti gli obelischi e monumen-

1215 Kircher, op. cit., II (2), pp. 504-5.1216 Cfr. Ficino, Opera, pp. 1842, 1843-4.1217 Kircher, op. cit., III, p. 568.

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ti egiziani come espressione, attraverso i geroglifici incisisu di essi, delle verità dell’ermetismo ficiniano.

Kircher si preoccupa molto di Iside e Osiride comeprincipali divinità dell’Egitto. Discutendone il significa-to egli dice in un’occasione:

Il divino Dionigi attesta che tutte le cose create altro non sonoche specchi in cui si riflettono per noi i raggi della sapienzadivina. Da ciò i saggi egiziani crearono l’immagine di Osirideche, affidate tutte le cose a Iside, permeava invisibilmente ilmondo intero. Cos’altro può significare ciò se non che lapotenza del Dio invisibile penetra intimamente in tutto?1218

Qui la divina immanenza «egiziana», combinandosi colmistico tema della luce pseudo-dionisiana, dà vita a quel-l’acuto senso del divino nelle cose che è così caratteristi-co dell’ermetismo rinascimentale. Per Kircher, Iside eOsiride hanno il significato di ciò che, tra i filosofi rina-scimentali del tipo di Giordano Bruno, prende il nomedi «panpsichismo».

La passione di Kircher per l’Egitto lo induce a elabo-rate ricerche geografiche nel corso delle quali egli per-viene alla città egiziana chiamata Eliopoli, Città del So-le. Egli dice che gli Arabi chiamarono questa città «Ain-schems», cioè «occhio del sole», e che nel suo tempiodel sole era collocato uno specchio meraviglioso, costrui-to con grande arte per riverberare i raggi solari1219. Cipar quasi di rivivere la miracolosa atmosfera della cit-tà di Adocentyn, la versione araba della Città del Soledel Picatrix, sebbene Kircher non nomini mai quest’ope-ra né faccia alcun collegamento fra Eliopoli e le profeziedell’Asclepius. Ciò nonostante, le sue osservazioni con-

1218 Ibid., I, p. 150.1219 Ibid., I, pp. 29-30. Cfr. anche III, p. 331, sull’obelisco

«solare» di Eliopoli.

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fermano l’idea che la Città del Sole di Campanella avessein definitiva un’origine egiziana.

Kircher discute sulla casta sacerdotale egiziana (ba-sandosi soprattutto su citazioni da Clemente Alessandri-no)1220, sulle leggi degli Egiziani1221, sull’amore del popoloper i sovrani e su come la monarchia egiziana rappresen-tasse l’idea dell’universo1222, sulla filosofia degli Egizianie su come la dottrina platonica delle idee avesse avutoorigine da loro (attraverso la meditazione di Ermete)1223,sulla «meccanica» degli Egiziani1224, o sulla loro scienzaapplicata, e, infine, sulla magia degli Egiziani1225. A que-sto punto vien fatto di domandarsi se, nell’ambito di que-sta tarda continuazione dell’«egizianismo» rinascimenta-le, in ultima analisi derivato dal culto ficiniano degli Her-metica, ci fosse ancora posto per la magia.

Nell’opera di Kircher si trova una citazione dal De vi-ta coelitus comparanda1226 e si tratta del passo in cui Fi-cino discute la forma egiziana della croce. Kircher in-troduce la citazione affermando che Ermete Trismegistoinventò la forma egiziana della croce, la crux ansata, da

1220 Ibid., I, pp. 115 sgg.1221 Ibid., pp. 118 sgg.1222 Ibid., pp. 119, 137, ecc.1223 Ibid., p. 148 (Platone, Pitagora e Plotino come seguaci

di Ermete Trismegisto); II (2), p. 523 (dottrina delle ideenata presso gli Egiziani e i Caldei, con richiami al Pimander eall’Asclepius).

1224 Ibid., II (2), pp. 280 sgg. (sui congegni meccanici usatidagli Egiziani nelle costruzioni, per produrre effetti apparente-mente miracolosi nei templi, e così via). Gli Egiziani sono con-siderati gli inventori della meccanica e coloro dai quali i Greciappresero tutto ciò che essi sapevano (ibid., p. 322).

1225 Ibid., II (2), pp. 436 sgg.1226 Ibid., II (2), p. 399; cfr. Ficino, p. 556 (il passo è

riportato supra, p. 88, nota 36).

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lui chiamata «crux hermetica». La citazione da Ficino èseguita da una lunga e assai elaborata discussione1227 sulrapporto della croce ermetica con il mondo e sul suo po-tere di introdurvi gli influssi divini. La croce egiziana oermetica, dice Kircher, era un «potentissimo amuleto»;era un «carattere» fabbricato con meravigliosa abilità sulmodello della natura e che indicava la via verso l’unicaluce. Marsilio Ficino ne ha descritto il potere1228. Kir-cher è dunque d’accordo con Ficino circa il potere ma-gico della croce egiziana e la sua dotta esposizione astro-logica della croce è uno sviluppo, o una ulteriore spiega-zione, delle parole di Ficino nell’opera che Kircher chia-ma, con un curioso lapsus, De vita coelitus propaganda.In questo passo egli non fa alcun confronto con la cro-ce cristiana; tuttavia, tale paragone vien fatto molto chia-ramente in alcune sue interpretazioni di monumenti egi-ziani.

Per esempio, i geroglifici dell’obelisco di Eliopoli1229,in cui figurano svariate rappresentazioni di quella cheKircher chiama la croce egiziana, hanno per lui il signifi-cato dell’obelisco mostrato al centro sormontato da unacroce cristiana e dal sole. L’interpretazione che Kircherdà dei geroglifici sull’obelisco1230 è permeata dall’influen-za del De vita coelitus comparanda di Ficino. Con elabo-

1227 Kircher, op. cit., II (2), pp. 400 sgg.1228 Ibid., II (2), p. 399. In Kircher c’è un altro lungo passo

sulla croce egiziana: cfr. Obeliscus pamphilius, Roma 1650, pp.364 sgg., dove cita nuovamente Ficino (ibid., pp. 377-8).

Nel passo sulla croce egiziana contenuto in quest’opera, Kir-cher cita anche per esteso dalla Monas hieroglyphica di johnDee (1564) e riproduce con molti arricchimenti formali il dia-gramma della «monade» di Dee, che egli sembra considerareuna forma di croce egiziana (Kircher, Obeliscus Pamphilius, pp.370-3).

1229 Kircher, Oedipus Aegyptiacus, III, pp. 332 sgg.1230 Ibid., p. 334.

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rati ragionamenti egli riesce a far coincidere la sua inter-pretazione ermetico-ficiniana dei geroglifici con la cro-ce cristiana associata al sole e alla Trinità. Tutta la suainterpretazione non è che l’espressione in termini di ge-roglifici dell’ermetismo religioso; «Ermete Trismegisto»ha scritto nei geroglifici dell’obelisco dedicato al sole lestesse verità da lui consegnate agli scritti ermetici, col lo-ro preannuncio del Cristianesimo e della Trinità e con lamagica croce egiziana precorritrice della croce cristiana,come si legge nel De vita coelitus comparanda di Ficino.

Si ricorderà che le opinioni di Giordano Bruno sulleforme egiziana e cristiana della croce erano basate sulmedesimo passo del De vita coelitus comparanda e che inproposito venne interrogato dagli inquisitori1231.

Il grande banco di prova della magia è il passodell’Asclepius in cui si descrive il modo usato dagli Egi-ziani per introdurre demoni nei loro idoli mediante pra-tiche magiche. Kircher cita due volte questo passo; laprima volta interamente, insieme a una parte del Lamen-to, senza alcuna riserva1232; tale citazione è in quella par-te del libro in cui descrive l’Egitto e la sua vita in ve-ste di archeologo e di storico. La seconda citazione, sot-to forma di parafrasi o compendio del solo passo sul-la costruzione degli idoli, si trova nella parte dedicataalla magia egiziana e qui Kircher esprime una fortissi-ma disapprovazione. per queste pratiche, considerando-le espressione di magia perversa e diabolica e classifican-dole molto esplicitamente a margine come «Trismegistiimpia doctrina»1233.

1231 Cfr. supra. Bruno, come al solito, intese ciò in modocompletamente sbagliato.

1232 Kircher, op. cit., I, pp. 142-5.1233 Ibid., II (2), pp. 442-3. Egli ha condannato anche prima

la magia egiziana, citando Del Rio (ibid., pp- 436-7).

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Di fronte a questa severa condanna bisogna suppor-re che quando Kircher dà l’elenco delle immagini magi-che dei decani1234, in riferimento al passo dell’Asclepiussui decani1235, il suo interesse per queste immagini sia pu-ramente accademico e del tutto innocente. Non è facileprecisare con chiarezza il punto di vista di Kircher. Egliera, per istinto, storico e archeologo1236; eppure, viven-do, come egli fa, così intensamente nell’atmosfera erme-tica, la sua interpretazione di questi temi non può esse-re completamente distaccata. Egli disapprova inequivo-cabilmente la magia diabolica ma, d’altra parte, nutre unprofondo interesse per i mezzi meccanici con cui gli Egi-ziani sapevano dare alle statue un’apparenza animata, at-traverso pulegge e altri congegni1237, lasciando trapelareun forte e ammirato interesse per i sacerdoti egiziani.

Kircher praticò certamente qualche specie di magianaturale. Nell’Ars magna lucis et umbrae1238, di cui siè riprodotto il frontespizio, c’è una parte dedicata al-la «magia lucis et umbrae». Questa magia viene de-scritta come magia naturale, non diabolica1239. La trat-tazione termina con estatici capitoli sulla teoria della lu-

1234 Ibid., II (2), pp. 182-6. L’elenco di immagini di decanidato da Kircher è discusso in Gundel, Dekane und Dekanstern-bilder, pp. 370-2.

1235 Kircher, op. cit., II (2), p. 182; cfr. anche ibid., p. 519:«Nam in Pimandro & Asclepio Hermes varios deorum ordines,uti sunt Usiarchae Horoscopi, Decani, Pantomorphi... varioschoros assignat...» (cfr. supra, sulla gerarchia delle divinitàegiziane nell’Asclepius).

1236 L’opera di Kircher come archeologo, e in particolare isuoi studi coptici, non sono disprezzabili; cfr. Iversen, op. cit.,pp. 92 sgg.

1237 Kircher, op. cit., II (2), pp. 280 sgg.1238 Kircher, Ars magna lucis et umbrae, Roma 1646.1239 Op. cit., p. 769. La posizione di Kircher finisce quindi

per coincidere con quella del gesuita Del Rio, da lui frequente-

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ce nello Pseudo-Dionigi e in Trismegisto1240 che ricorda-no alquanto elaborazioni simili dei temi della luce nelPatrizi1241.

Kircher era anche un cabalista di larga dottrina edintraprese, come aveva fatto Pico della Mirandola nel-le Conclusiones, una sintesi fra cabalismo ed erme-tismo. La trattazione della cabala nell’Oedipus Ae-gyptiacus è intitolata «De allegorica Hebraicorum ve-terum sapientia, Cabalae aegyptiaca & hieroglyphicaeparallela»1242. Kircher dà uno schema elaborato del-la disposizione delle sefirot1243 ma condanna recisamen-te la magia cabalistica1244. Egli era perciò un ermetico-cabalista di schietta tradizione rinascimentale ma pienodi cautela verso la magia e la cabala pratica.

La passione di Kircher per tutto ciò che fosse egizia-no, combinata al suo intenso ermetismo religioso, fa dilui un interessante personaggio della serie da noi delinea-ta. L’«egizianismo» di Giordano Bruno era demonico erivoluzionario, mirando a una piena restaurazione dellareligione egiziano-ermetica. Nell’«egizianismo» del ge-suita Kircher la magia diabolica viene severamente con-dannata e il Cristianesimo domina incontrastato; tutta-via l’Egitto e la magica croce egiziana hanno, nonostante

menete citato, che condannava la magia diabolica ma ammette-va quella di tipo naturale; cfr. Walker, pp. 178-85.

1240 Kircher, op. cit., pp. 919 sgg.1241 Cfr. supra.1242 Kircher, Oedipus Aegyptiacus, II (I), p. 209. Kircher mira

a elaborare una sintesi di tutte le tradizioni mistiche. Da questopunto di vista egli è un Pico della Mirandola seicentesco, cheperò è a conoscenza di regioni ignote a Pico, come il Messico eil Giappone, in cui si erano infiltrate le missioni gesuitiche.

1243 Ibid., II (2), p. 480.1244 Ibid., II (1), p. 358.

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il suo cristianesimo, un certo rilievo dovuto, in qualchemodo, a quell’importante circostanza che fu l’ingresso diErmete Trismegisto nella Chiesa.

Il fatto che l’ermetismo sia tuttora così profondamen-te radicato nella mente di un pio gesuita in pieno seco-lo XVII può far pensare che il consiglio di studiare l’er-metismo, dato dal Patrizi ai gesuiti, non fosse fuor diluogo1245.

Alla fine dell’Oedipus Aegyptiacus, subito dopo l’innodel Pimander con cui l’opera si conclude, Kircher collocaun geroglifico che ingiunge il segreto e il silenzio intornoa queste sublimi dottrine. E, in effetti, in questa soprav-vivenza del tipo più entusiastico di ermetismo religiosonell’ambito del gesuitismo seicentesco, abbiamo qualco-sa di simile a un altro di quei canali esoterici attraverso iquali la tradizione ermetica viene continuata, il che forsespiega come mai Mozart potesse essere contemporanea-mente massone e cattolico.

I platonici di Cambridge e la datazione casaubonianadegli «Hermetica»

Come è ben noto, la scuola di pensatori inglesi conosciu-ti sotto il nome di platonici di Cambridge, i principalidei quali furono Henry More e Ralph Cudworth, man-tenne in vita nel XVII secolo molti temi e tradizioni delplatonismo rinascimentale. Ma, diversamente da Fludde Kircher, sia More che Cudworth vennero a conoscenzadella critica casauboniana degli Hermetica, accettandola;così dovettero fare a meno di Ermete Trismegisto comepriscus theologus e, conseguentemente, di uno dei mag-giori fondamenti della sintesi rinascimentale. Credo checiò non sia mai stato notato, come non è mai stata esami-

1245 Cfr. supra.

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nata la conseguenza di ciò sugli adattamenti del pensierorinascimentale operati da More e da Cudworth. Si trattadi un argomento importante che non può essere appro-fondito nelle poche pagine dedicate a More e Cudwor-th in questo capitolo. Mi limito solo a porre in evidenza,molto in breve, certi fatti, lasciando ad altri il compito distudiare più a fondo la questione.

Discutendo sulla preesistenza dell’anima nella suaopera sull’immortalità dell’anima, More scrive:

Che questa opinione [della preesistenza dell’anima] fosse in vo-ga fra tutti i sapienti d’Egitto, antica culla di tutte le scienze oc-culte, è sufficientemente attestato dai frammenti di Trismegi-sto. Infatti, anche se è lecito sospettare qualche falsificazionee rimaneggiamento in svariati passi di questo libro, su mate-rie d’interesse per il Cristianesimo, non si può non pensare chequesta opinione della preesistenza dell’anima, di cui il Cristia-nesimo non si è interessato, sia stata, in base alla testimonianzadi questi scritti, un ramo della sapienza di quella nazione; e diquesta opinione erano non solo i gimnosofisti ed altri sapientiegiziani, ma anche i Bramini dell’India e i Magi di Babilonia edella Persia, come si può agevolmente vedere da quegli Oracolidetti magici o caldaici, che sono stati commentati da Pletone eda Psello. A questi si può aggiungere l’astrusa filosofia degliE-brei, da essi chiamata cabala, in cui la dottrina della preesisten-za dell’anima ha una arte considerevole, come tutti i dotti ebrai-ci confessano. In che modo, poi, questa teoria sia naturalmen-te applicabile a quei tre misteriosi capitoli della Genesi, mi so-no sforzato, spero con risultati non disprezzabili, di mostrarlonella mia Conjectura cabbalistica1246.

More aveva certamente studiato con molta attenzione leExercitationes di Casaubon poiché le cita nella Conjectu-

1246 Cit. da A Collection of Several Philosophical Writings ofHenry More, seconda edizione, London 1662, The Immortalityof the Soul (numerato a parte), p. 113.

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ra cabbalistica, nominandone l’autore1247. Fu quindi si-curamente da Casaubon che egli derivò (interpretazioneespressa nella precedente citazione, secondo la quale il«libro» contenente i «frammenti di Trismegisto» (cioèil Corpus Hermeticum) va sospettato di essere una piafalsificazione cristiana. Il suo argomento è che, sicco-me la preesistenza dell’anima non è una dottrina cristia-na, i passi del Corpus Hermeticum che ne parlano posso-no essere genuina «sapienza egiziana», non alterata dagliautori della falsificazione. Egli passa quindi a tracciareuna sintesi di questa genuina dottrina egiziana degli Her-metica con gli Oracoli caldaici e la cabala, alla manieradella tradizione rinascimentale. Ma questo raccogliere escegliere passi genuinamente egiziani degli Hermetica èmolto diverso dal considerare questi ultimi alla streguadi antichi scritti profetici egiziani in accordo con la Ge-nesi e contenenti il preannuncio della Trinità in brani cheora More sospetta essere, con Casaubon, «falsificazioni erimaneggiamenti nell’interesse del Cristianesimo».

Quanto radicalmente More sia stato influenzato daquesta nuova interpretazione degli Hermetica risulta su-bito da un esame della Conjectura cabbalistica in cui egli«interpreta il pensiero di Mosè nei primi tre capitoli dellaGenesi» secondo una triplice cabala: letterale, filosoficae mistica. More era convinto, come Pico della Mirandolae tutti i cabalisti del Rinascimento, che «la cabala ebraicaè designata ad essere una dottrina o una esposizione tra-dizionale del Pentateuco, che Mosè ricevette dalla boccadi Dio mentre era sul monte insieme a lui»1248. Egli crede

1247 Henry More, Conjectura cabbalistica, nella cit. Collection(num. a parte), p. 102.

1248 Ibid., p. I. More, tuttavia, subì anche l’influenza di tipi dicabala posteriori rispetto a quelli correnti nel Rinascimento; cfr.R. J. Z. Werblowsky, Milton and the «Conjectura Cabbalistica»,«J.W.C.I.», XVIII (1955), pp. 94, 96.

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inoltre che la cabala filosofica contenga gli stessi miste-ri «importati in Europa dall’Egitto e dalle regioni dell’A-sia da quegli esimi filosofi, Pitagora e Platone. Del restoè generalmente riconosciuto dai cristiani che essi deriva-rono entrambi la loro filosofia da Mosè»1249. More per-ciò fonde il suo commento cabalistico della Genesi – va-le a dire la Conjectura cabbalistica – con il misticismo nu-merologico pitagorico e con le dottrine di Platone e deineoplatonici. Ancora una volta, si ripete qui la tradizio-ne rinascimentale di combinare un priscus theologus co-me Pitagora con l’antica. tradizione cabalistica risalentea Mosè. More associa il suo platonismo a questo ritor-no verso l’antichità pitagorico-mosaica e trova che, com-plessivamente, questa tradizione conduce al Cristianesi-mo, o piuttosto alla sua forma di platonismo cristiano,che a sua volta la conferma.

Ora, la novità della Conjectura cabbalistica non è tantociò che vi si trova, quanto ciò che in essa manca. In que-st’opera c’è infatti una gigantesca omissione, vale a direche Ermete Trismegisto non viene mai menzionato. Ciòsignifica che More non compie mai la consueta fusionedella Genesi egiziana, il Pimander, con la Genesi mosai-ca; né ricorre mai ai passi ermetici sulla Trinità per so-stenere il suo platonismo cristiano. La ragione di questeomissioni deve essere che More è stato indotto da Ca-saubon a credere che i passi «mosaici» e «cristiani» degliHermetica non siano espressione di un’antichissima sa-pienza egiziana all’unisono con Mosè e anticipatrice delCristianesimo, ma «falsificazioni e rimaneggiamenti» in-seriti da tardi scrittori cristiani. Benché egli creda in ge-nerale che Mosè abbia imparato dagli Egiziani, ha cessa-to di credere negli Hermetica come attendibile testimo-nianza della sapienza egiziana e nella loro concordanzacon la Genesi e col Vangelo di san Giovanni.

1249 Ibid., p. 3.

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Questa enorme differenza può essere afferrata in tut-ta la sua portata confrontando More con Fludd e Kir-cher. Anche la Philosophia moysaica di Fludd è una spe-cie di commento cabalistico della Genesi ma in essa Er-mete Trismegisto gode della stessa autorità di Mosè e ilPimander nella traduzione di Ficino viene continuamen-te citato come parallelo alla Genesi. Anche il trinitarismoermetico si unisce al misticismo numerologico pitagori-co e cabalistico negli estatici diagrammi mistici di Fludd.La stessa osservazione vale anche, grosso modo, per l’o-pera di Kircher da noi discussa, l’Oedipus Aegyptiacus,nella quale la Genesi viene affiancata al Pimander ficinia-no e il trinitarismo ermetico è liberamente usato comedottrina autorevole. La vita di Fludd coincide in partecon quella di More poiché egli morì quando More ave-va ventitré anni; Kircher fu un contemporaneo di Moreleggermente più anziano. Eppure fra loro c’è un gran-de abisso poiché Fludd e Kircher si rifiutarono di rico-noscere la validità della critica casauboniana degli Her-metica, mentre More l’accettò. Il risultato è che, men-tre Fludd e Kirchersono tuttora ermetico-cabalisti, ba-sando su questo duplice fondamento la loro interpreta-zione del platonismo, More non è un ermetico ma soloun cabalista e la sua sintesi mosaico-pitagorico-platonicaè priva delle pesanti, soffocanti influenze dell’ermetismocristiano, da lui riconosciuto come spurio.

Ciò che questo fatto (poiché di un fatto si tratta) puòsignificare per la comprensione del platonismo di More,paragonato a quello di Ficino o di Pico e della tradizio-ne del Rinascimento in generale, sta ai futuri ricercatoriprecisarlo. Forse può significare che Henry More fu real-mente quello che si era soliti vedere in Ficino, vale a direun pio cristiano che interpretava misticamente il platoni-smo per rafforzare il proprio cristianesimo, prescinden-do da quel nucleo di teoria e pratica magiche che il culto

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di Ermete Trismegisto ebbe in comune con il platonismoficiniano e la sua influenza.

More risentì anche di influenze strettamente moder-ne, essendo uno studioso e un ammiratore dell’opera diCartesio la cui filosofia meccanicistica della natura fu dalui accettata, sia pure con qualche riserva. Egli riuscì aconciliare, in un modo almeno per lui soddisfacente, lanuova filosofia meccanicistica con la propria concezio-ne nella quale persistevano tanti elementi della tradizio-ne rinascimentale. Una delle vie da lui seguite per rag-giungere questo risultato fu quella di considerare il mec-canicismo cartesiano come una verità anticamente cono-sciuta da Mosè e preservata nella tradizione cabalisticache Cartesio aveva riscoperto per divina ispirazione1250.More, tuttavia, non accettò interamente l’interpretazio-ne meccanicistica della natura, rilevando che vi sono al-cuni fenomeni naturali che essa non è in grado di spiega-re. Egli volle perciò modificarla ricorrendo al concettodi uno «spirito della natura». La modificazione del mec-canicismo cartesiano apportata da More in questa dire-zione è stata analizzata da E. A. Burtt1251. A questo pun-to è interessante notare che in uno dei passi del libro suThe Immortality of the Soul, in cui egli difende lo «spi-rito della natura» contro il meccanicismo cartesiano e lacartesiana concezione dualistica di res extensa e res cogi-tans, More ricorre a quello che è evidentemente un re-siduo di ermetismo ficiniano nella sua concezione. Perlui il primo e il secondo elemento di Cartesio in realtà siidentificano rispettivamente con

quella materia veramente celeste o eterea che è ovunque, comeFicino ha detto in qualche luogo a proposito del cielo; e con

1250 Ibid., p.104.1251 E, A. Burtt, The Metaphysical Foundations of Modern

Physical Science, London 1932, pp. 127-36.

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quel fuoco che Trismegisto afferma essere il più riposto veicolodella mente, e lo strumento usato da Dio nel dar forma almondo e che l’anima del mondo, ovunque agisca, usa nel modopiù certo anche adesso1252.

A margine di questa citazione si legge il richiamo a «Tri-smegist. Poemand. cap. 10 sive Clavis», cioè al capitolodecimo del Pimander ficiniano (corrispondente a CorpusHermeticum X)1253.

Di conseguenza, (accettazione del meccanicismo car-tesiano da parte di More è schiettamente cabalistica e lasua critica di esso è, almeno in parte, ermetica, in quan-to egli fa ricorso al Pimander di Ficino che perciò segui-tava ad avere per lui, evidentemente, una considerevolevalidità, nonostante Casaubon.

L’amico e collega di More nell’ambito della scuolaplatonica di Cambridge, Ralph Cudworth, scrisse il suoTrue Intellectual System of the Universe (1678) per con-futare gli atei mediante una raccolta di credenze nell’esi-stenza di Dio tratte da ogni tempo e da ogni luogo in se-no alle grandi tradizioni filosofiche, in base a un metodoche reca tracce evidenti dell’influenza del sincretismo ri-nascimentale. Egli intende dimostrare che la dottrina deipoliteisti pagani è sempre stata la stessa, che al di là deiloro molti dèi c’è sempre stata un’unica suprema divinitàonnipotente.

E a questa dimostrazione arriveremo non, come hanno fatto al-cuni, ponendo principalmente l’accento sugli oracoli sibillini esu quei presunti scritti di Ermete Trismegisto la cui autorità èstata di recente tanto screditata dagli studiosi; né su quegli ora-coli delle divinità pagane che è lecito sospettare siano stati con-traffatti dai cristiani; ma su monumenti dell’antichità pagana la

1252 Immortality of the Soul, p. 96 (nella Collection cit.).1253 Cfr. Ficino, p. 1849.

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cui attendibilità è completamente al di fuori di ogni sospetto edubbio1254.

Cudworth passa quindi a esaminare quelli che sono dav-vero, in effetti, i vecchi prisci theologi, ma basando la suaesposizione di Zoroastro1255 su testi diversi dagli Oraco-li caldaici (da lui tuttavia considerati abbastanza auten-tici); quella dell’orfismo1256 su fonti più autorevoli degliOrphica, da lui ritenuti assai sospetti; e quella della teo-logia e filosofia degli antichi Egiziani1257 su Giamblico,Plutarco, i Padri e via dicendo, piuttosto che sugli scrit-ti di «Ermete Trismegisto» che, al pari degli oracoli si-billini da lui accantonati quasi interamente come falsifi-cazioni cristiane1258, sono stati alterati da scrittori tardo-cristiani. Sembra infatti che alcuni falsi cristiani abbianotentato, in tempi passati, di

sostenere la verità del Cristianesimo mediante finzioni e falsifi-cazioni da essi escogitate. Il che, non solo fu cosa ignobile e in-degna di per sé, stando per di più a indicare che proprio queglistessi difensori del Cristianesimo non credevano per primi nel-la loro causa, ma si può ben pensare che fosse anche uno stra-tagemma del diavolo, non essendoci modo più efficace di que-sto per gettare il sospetto su tutto il Cristianesimo (almeno nel-le età successive). Tanto che si potrebbe forse dubitare se la ve-rità e la divinità del Cristianesimo appaiano di più nell’aver pre-valso contro la forza e l’opposizione aperte dei suoi nemici di-chiarati, o piuttosto nel non essere state soffocate e mortifica-

1254 Ralph Cudworth, The True Intellectual System of theUniverse, seconda edizione, London 1743, p. 281.

1255 Ibid., pp. 285 sgg.1256 Ibid., pp. 294 sgg.1257 Ibid., pp. 308 sgg.1258 Ibid., pp. 282 sgg.

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te da queste fraudolente falsificazioni di suoi amici e difensoriapparenti1259.

Quanta strada è stata fatta, in compagnia della nuova me-todologia critica, rispetto ai commenti ficiniani al Piman-der, all’Ermete Trismegisto fra le Sibille della cattedraledi Siena, all’ermetismo religioso del XVI secolo e ancherispetto a ermetici reazionari seicenteschi come Fludd eKircher, l’ultimo dei quali era ancora vivo quando il librodi Cudworth venne pubblicato!

In pagine successive Cudworth fa un esame dettaglia-to della critica casauboniana degli Hermetica. Isaac Ca-saubon, egli dice, è stato il primo a scoprire le falsifica-zioni cristiane negli scritti sibillini e «trismegistici», ed hamesso in evidenza molti passi spuri, poiché cristiani,

in quel primo libro ermetico che è intitolato Poemander; alcu-ni anche nel quarto libro, detto Crater, ed altri nel tredicesimochiamato il sermone della montagna, concernente la rigenerazio-ne. Il che può rendere giustamente sospetti tutti e tre questi li-bri, o almeno il primo e l’ultimo di essi. Qui non ripeteremoi passi condannati dal Casaubon, ma ne aggiungeremo un altrotratto dal tredicesimo libro, o sermone della montagna, che, perquanto da lui omesso, ha tutta l’aria di essere più grossolana-mente cristiano di tutto il resto... Dimmi anche questo, chi è lacausa o l’artefice della rigenerazione? Il figlio di Dio, fattosi uo-mo per volontà di Dio. Per la qual cosa, sebbene Ath. Kircherussi batta con tanto zelo per la sincerità di tutti questi libri trisme-gistici, dobbiamo di necessità dichiarare che i tre libri sopra ri-cordati, o almeno il Poemander propriamente detto e il sermo-ne della montagna, o sono stati interamente falsificati e contraf-fatti da qualche pseudocristiano, ovvero contengono molti pas-si spuri interpolati. Non è quindi possibile dimostrare fondata-mente, sulla base dei libri trismegistici così ridotti e che si erasupposto essere tutti ugualmente genuini e sinceri, che i paganiegiziani riconoscessero un solo nume universale1260.

1259 Ibid., pp. 281-2.1260 Ibid., pp. 319-20.

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È curioso osservare in tutto ciò quale profonda in-fluenza la tradizione ermetica cristiana avesse esercitatosu Casaubon e su Cudworth. Gli studiosi moderni che,naturalmente, non si sono formati in quella tradizionee che quindi non assumono un atteggiamento critico al-l’interno di essa, benché siano convinti della datazionepostcristiana degli Hermetica, non li considerano falsifi-cazioni cristiane, come lo sono invece senza dubbio al-cuni oracoli sibillini1261. Di fatto, l’influenza cristiana cheessi vi trovano è scarsa o addirittura nulla1262. Ma a Cud-worth, che ha dietro di sé secoli di interpretazione inten-samente cristiana degli scritti «trismegistici», consideratiopera dell’antico priscus theologus egiziano e profeta delCristianesimo – un atteggiamento, questo, che egli sape-va essere tuttora assai vivo fra i suoi contemporanei, co-me mostra il suo richiamo a Kircher1263 – i libri e i pas-si da lui menzionati possono sembrare «grossolanamentecristiani» e perciò falsificati.

Cudworth non è comunque d’accordo con Casaubonsul giudizio che i libri ermetici siano interamente prividi valore come fonti per lo studio della sapienza egizia-na. Anche se essi furono tutti falsificati, per il fatto stessodi essere stati scritti «prima che il paganesimo degli Egi-ziani e la serie dei loro sacerdoti si fossero estinti», i lo-ro autori dovevano conoscere qualcosa di quei sacerdotie della loro «arcana e vera teologia» e quindi i libri nonvanno messi da parte come privi di qualsiasi informazio-

1261 Per la bibliografia sulla letteratura riguardante gli oracolisibillini come falsificazioni, cfr. supra.

1262 Cfr. supra.1263 In un altro passo, Cudworth si richiama nuovamente a

Kircher come a colui che ha asserito la genuinità di quegli scritti«comunemente attribuiti a Ermete Trismegisto» (op. cit., p.28g).

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ne su questo argomento1264. Egli pensa inoltre che Ca-saubon sbagli a etichettare come spuri tutti i libri erme-tici solo perché alcuni di essi sono stati dimostrati tali1265,Cudworth rileva che Casaubon cade nell’errore di pen-sare che quanto pubblicato da Ficino sotto il titolo Pi-mander sia un libro solo1266, mentre esso comprende sva-riati libri distinti, dei quali non tutti sono necessariamen-te spuri. Egli pensa inoltre che gli altri libri pubblica-ti dal Patrizi, e soprattutto l’Asclepius, non debbano ve-nir condannati come falsificazioni cristiane, dal momen-to che non si riesce a scoprire in essi alcun segno di con-traffazione (vale a dire alcuna traccia cristiana)1267.

Un’altra sua obiezione a Casaubon è che, secondo latesi di quest’ultimo, le opinioni «platoniche e grecizzan-ti» contenute negli Hermetica siano state tutte inseriteda scrittori cristiani esperti di cultura greca. Ma poichésappiamo che «il pitagorismo, il platonismo e la culturagreca in generale erano in gran parte derivati dagli Egi-ziani», per quale ragione tale complesso di dottrine rac-chiuse nei libri ermetici non dovrebbe essere provenu-to direttamente dai sacerdoti egiziani, sua vera fonte?1268

Questo argomento circolare mostra quanta presa avessetuttora sulla mente di Cudworth il rispetto rinascimen-tale per l’Egitto visto come la fonte della sapienza. Co-me esempio egli porta il dogma trismegistico «Che nul-la nel mondo perisce, e che la morte è non la distruzionema solo cambiamento e traslazione di cose», sostenendoche, sebbene pitagorico, esso venne da Pitagora deriva-to dagli Egiziani e che si accorda benissimo con un’al-

1264 Cudworth, op. cit., p. 320.1265 Ibid., loc. cit.1266 Ibid., loc. cit.1267 Ibid., p. 321.1268 Ibid., p. 326.

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tra dottrina contenuta in questi libri, quella secondo laquale il mondo è un «secondo dio» e quindi immorta-le. Può perciò trattarsi senz’altro di qualche antica teoriaegiziana conservata in questi libri1269.

Che l’Asclepius non possa essere una falsificazionecristiana è sufficientemente dimostrato, per Cudworth,dal passo sulla costruzione degli dèi, lo spirito del quale«non è affatto cristiano, ma grossolanamente pagano»1270.Egli non riesce a capire come mai Lattanzio sostenesseche il brano dell’Asclepius sul «Figlio di Dio» significavala seconda persona della Trinità, mentre esso si riferiscechiaramente al mondo visibile1271. Cudworth suggerisceinoltre che il Lamento possa descrivere la distruzionedella religione egiziana da parte dei cristiani e che siastato quindi scritto dopo questo avvenimento, non comeuna profezia di esso, benché egli non ne sia sicuro1272.

La conclusione del ragionamento di Cudworth è

che, sebbene alcuni dei libri trismegistici siano stati o comple-tamente contraffatti ovvero abbiano subito certe interpolazioniper mano di qualche autore cristiano, tuttavia, essendocene al-tri schiettamente egiziani, o che, quanto a sostanza, contengo-no dottrine ermetiche o egiziane (e in tutti questi viene ovun-que asserita l’esistenza di una sola suprema divinità), possiamosenz’altro concludere in base a ciò che gli Egiziani riconobberouna sola suprema divinità1273.

Il fatto che tanta tormentosa fatica fosse necessaria persalvare qualcosa dal naufragio di «Ermete Trismegisto»come sicura e autorevole fonte egiziana, mostra quale

1269 Ibid., pp. 326-7.1270 Ibid., p. 328.1271 Ibid., p.331.1272 Ibid., p. 329.1273 Ibid., p. 333.

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scossa fosse stata data da Casaubon ai pii platonici cri-stiani che seguitavano tuttora per altri aspetti a lavorarein gran parte all’interno della tradizione rinascimentale.

È interessante notare come ciò che Cudworth salvadegli Hermetica considerandolo genuinamente egiziano(l’eternità e divinità della materia, l’Asclepius e la sua re-ligione magica), rappresenti l’«egizianismo» a cui Brunopervenne attraverso il rifiuto – così dolorosamente nonortodosso e traumatizzante – di accettare l’interpretazio-ne cristiana di questi scritti.

Questi quattro esempi di ciò che accadde dopo la da-tazione di Ermete Trismegisto saranno sufficienti a da-re un’impressione dell’ermetismo seicentesco. Esso eraduro a morire. Il Rosacroce Fludd e il gesuita Kir-cher conservarono entrambi un atteggiamento ermetico-cabalistico di tipo rinascimentale, ignorando o dimenti-cando che Ermete Trismegisto non era più l’antico pri-scus theologus che era stato per Ficino. I platonici diCambridge accettarono il nocciolo della critica di Ca-saubon, con il risultato che il platonismo di Cambrid-ge, privato del fondamento ermetico, dovette prendereuna piega molto differente dal platonismo rinascimenta-le. Ciò nonostante, essi furono riluttanti ad abbandonaregli Hermetica e trovarono il modo e il mezzo per serbarequalcosa della loro influenza.

C’è infine da dire che gli Hermetica, per il fatto di es-sere stati alla fine correttamente datati, non furono, enon sono, invalidati come documenti straordinariamen-te importanti di esperienza religiosa. Né gli studiosi mo-derni hanno ancora trovato un accordo nello stabilirequanto di dottrina genuinamente egiziana essi possanocontenere1274.

1274 L’interpretazione egiziana può essere rafforzata dalla re-cente scoperta di una versione dell’Asclepius in copto; cfr. J.

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XXII. ERMETE TRISMEGISTO E LECONTROVERSIE FLUDDIANE

Nel precedente capitolo abbiamo esaminato l’atteggia-mento assunto nei confronti della critica casaubonianadegli Hermetica da coloro che erano in qualche modotuttora legati a tradizioni rinascimentali, sia in quantomaghi, come Fludd, o egiziologi, come Kircher, ovve-ro platonici cristiani, immuni da qualsiasi contatto con lamagia, come More e Cudworth. Dobbiamo ora esamina-re l’uso della scoperta di Casaubon fatto da coloro che,pur provenendo da tradizioni rinascimentali, si sono at-tivamente schierati contro di esse e hanno tentato di di-struggerle, soprattutto nei loro aspetti magici e animisti-ci, per sgombrare la via a una nuova concezione del mon-do – quella, cioè, della cartesiana filosofia meccanicisti-ca della natura – e all’adozione di metodi rigorosamen-te scientifici e non magici di utilizzazione delle sue ri-sorse nel formidabile sviluppo delle scienze meccaniche.Per quanto molto fosse già stato fatto precedentementein questa direzione, non si può negare che proprio il se-colo XVII abbia costituito quel momento fondamentaledella storia in cui l’uomo, per la prima volta, ha incomin-ciato a muoversi con sicurezza per i sentieri che lo han-no poi condotto direttamente a quel dominio della na-tura, proprio della scienza moderna, che è la stupefacen-te conquista raggiunta dall’uomo europeo moderno, e dalui solo, in simile grado, negli annali dell’umanità.

L’attacco contro la magia rinascimentale, e insiemecontro il cosiddetto neoplatonismo con le sue filosofie

Doresse, The Secret Books of the Egyptian Gnostics, London1960, pp. 255 sgg.

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animistiche della natura, fu sferrato in Francia all’iniziodel XVII secolo dal «bon père» Marin Mersenne, del-l’ordine dei Minimi. Questi, devotissimo cristiano e ap-passionato ricercatore scientifico, amico di Cartesio e diGassendi, ammiratore di Galileo, svolse un ruolo im-portante nell’incoraggiare il nuovo movimento, ponen-do studiosi di materie affini in contatto fra loro, median-te la sua vasta corrispondenza tenuta con tutti i dotti eu-ropei del tempo. Com’è stato concisamente rilevato daLenoble1275, coloro che, al pari di Mersenne, erano atti-vamente impegnati nel conflitto, non consideravano l’in-tera questione alla stregua di un semplice contrasto fra inuovi atteggiamenti filosofici e scientifici e la vecchia tra-dizione scolastica. Cartesio mise definitivamente in crisila fisica aristotelica, ma contemporaneamente disprezzò,ignorò e spazzò via il naturalismo rinascimentale, che egliconsiderava ancor più incompatibile con le proprie posi-zioni, malgrado una sua apparente convergenza con l’an-tiaristotelismo di alcuni pensatori rinascimentali. E perMersenne il nemico più importante, così del Cristianesi-mo ortodosso come della scienza rigorosa, era il natura-lismo rinascimentale, con tutte le forme magiche ad es-so collegate1276. Per questo egli si dedicò con tutte le sueenergie a detronizzare il mago rinascimentale e ad estir-pare le efflorescenze di bassa magia di ogni specie che lalunga e incontrastata tradizione ermetico-cabalistica ave-va originato.

I primi anni di questo decisivo secolo XVII conob-bero un lussureggiante sviluppo di ogni tipo di occulti-smo e magia. Le autorità erano profondamente allarma-te. In Francia ogni anno venivano bruciati centinaia di

1275 R. Lenoble, Mersenne ou la naissance du mécanisme, Paris1948, pp. 5 sgg.

1276 Ibid., p. 7.

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stregoni1277 e questo fatto, come ha detto Lenoble, è in-dicativo non solo della diffusione delle pratiche magichema anche della fede nei loro poteri. Non c’è dubbio chel’atmosfera esoterica e infestata di demoni di questo pe-riodo fosse il risultato finale – o, per così dire, la fase de-cadente – della rivalutazione della magia, promossa ori-ginariamente da Ficino e Pico, proseguita in modo co-sì singolare da epigoni come Cornelio Agrippa e avvalo-rata dalle interpretazioni animistiche della natura dei fi-losofi rinascimentali. Come ha detto Koyré, «pour lesgens du XVI° et du XVII° siècle, tout est naturel et rienn’est impossible, parce que tout est compris en fonctionde la magie et la nature elle-même n’est qu’une magieavec un Dieu magicien suprême»1278. Mersenne e Car-tesio nacquero in un clima siffatto, e Mersenne conside-rò sua missione combatterlo con ogni arma possibile. Learmi scientifiche non erano, peraltro, molto consisten-ti. Non è difficile essere indotti a dimenticare, abbaglia-ti come siamo dal vertiginoso progresso nel campo del-le scienze esatte realizzato nel nostro secolo, quanto po-co se ne sapesse all’inizio, e come fosse esile l’armaturasotto la cui protezione Mersenne si mosse ad attaccare ladominante concezione magica della natura, intesa comeunica spiegazione scientifica dei suoi fenomeni.

Le Quaestiones in Genesim di Mersenne (1623)1279, èun libro di difficile interpretazione, non solo a causa del-la sua estrema lunghezza, ma anche perché il suo conte-nuto sembra disposto con una certa confusione. Le sin-gole parti, che sono di proporzioni singolarmente disu-guali, sono precedute da versetti tratti dai primi tre capi-toli della Genesi, ed effettivamente il libro, come del re-

1277 Ibid., pp. 30 sgg.1278 Cit. da Lenoble, op. cit., p. 85.1279 M. Mersenne, Quaestiones celeberrimae in Genesim...,

Parigi 1623.

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sto indica lo stesso titolo, vuole essere un commento del-la Genesi; ma il lettore non ne comprende agevolmente ilpiano generale via via che procede nella lettura di quel-la che sembra piuttosto una congerie di trattati su unavarietà vastissima di argomenti. Lenoble ha tuttavia benvisto quello che può essere il principio unitario dell’o-pera. Egli la ritiene principalmente diretta contro ognispecie di arte magica e divinatoria, contro qualsiasi ge-nere di occultisti e cabalisti, contro filosofi naturalisti edanimistici, che Mersenne sospetta siano, in generale, ateio deisti. In altre parole, il testo biblico viene utilizzatoda Mersenne come un canovaccio per la sua summa con-tro la magia rinascimentale, contro il suo complessivo at-teggiamento di pensiero e contro tutte le sue germina-zioni nella vasta disseminazione contemporanea di prati-che magiche. Ma si tratta altresì, come sostiene Lenoble,di una summa degli interessi scientifici di Mersenne, deisuoi studi musicali, matematici, fisici, astronomici, e co-sì via (Lenoble, op. cit., pp. 25 sgg. ) . Perciò, nel quadrodella descrizione mosaica della creazione, Mersenne ten-ta di mettere da parte la vecchia concezione della naturae di introdurre allo stesso tempo il nuovo metodo, quellorigoroso della scienza e della matematica moderne.

Dalla massa imponente del materiale raccolto in que-sto importantissimo libro, che si colloca fra Rinascimen-to e mondo moderno, possiamo scegliere soltanto pochipunti. Mersenne è estremamente ben informato sullamagia rinascimentale, che tanto detesta; probabilmentesi è servito senza parsimonia del libro contro la magia diDel Rio, che spesso menziona. Riguardo a Ficino, ha leidee molto chiare. Ficino non parla da cattolico quando,nel libro De vita coelitus comparanda, afferma che imma-gini e caratteri hanno certi poteri sulle cose inferiori, con

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assunto contrario alla posizione cattolica1280. In un’altraparte del libro, laddove tratta a lungo e con grandissimacompetenza delle proprietà delle pietre e delle immaginimagiche, egli scorge il rapporto istituito, nel platonismorinascimentale, fra immagini magiche delle stelle e ideeplatoniche:

Sunt qui ad Platonis ideas recurrant, quae praesint lapidibus,adeout quilibet suam hábet ideam, a qua vim & energiam suamaccipiat; vel cum Hermete, & Astronomis ad stellas, & imaginescoeli (recurrant)1281.

Egli qui mette a nudo il nucleo magico del platonismo fi-ciniano, la confusione operata fra idee, immagini magi-che ed ermetismo. Attribuire simili poteri a simili imma-gini gli sembra semplicemente folle.

Verum nemo sanae mentis dixerit illas imagines vim habere, utconstellationes magis influant.1282.

Mersenne è un moderno; ha scavalcato, per così dire, labarricata e si trova sulle nostre stesse posizioni; crederenel potere delle immagini magiche delle stelle gli sembradel tutto pazzesco. Un dipinto del Mantegna, secondolui, ha più valore di tutte le immagini dei necromanti1283.E non condanna queste immagini perché ne tema il po-

1280 «Respondeo Ficinum quidem catholicum non esse, ubinugas illas magicas & astrologicas affert, & probat, ut patetex lib. 3 de vita coelitus comparanda, in quo characteres &imagines vim in omnia inferiora habere docet, quod singolivere Cristiani negant». Mersenne, Quaestiones in Genesim, col.1704.

1281 Ibid., col. 1164.1282 Ibid., col. 1165.1283 Ibid., loc. cit.; questo richiamo al Mantegna si trova

nel passo in cui Mersenne condanna il lapidario di Camillo(Leonardo Camillo, Speculum lapidum, Venezia 1502), dove

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tere, ma perché esse, per lui, sono prive di senso. Mer-senne, che ripudia completamente l’astrologia1284, natu-ralmente ripudia anche la magia astrale, le virtù miraco-lose attribuite a piante, pietre1285, immagini, e l’intero ap-parato sul quale si fondava la magia naturalis.

Egli condanna la dottrina dell’anima mundi1286, o al-meno la stravagante deformazione di essa introdotta dainaturalisti rinascimentali, i quali affermano che il mon-do vive, respira, perfino pensa. Ancora una volta, egliha qui scoperto il nucleo magico del platonismo rinasci-mentale, perché questo universale animismo della naturaera la base delle operazioni magiche, e lo spiritus mundiera il veicolo del quale si serviva il mago.

Per quanto concerne la cabala, Mersenne ammetteuna cabala ortodossa, connessa, cioè, alle interpretazio-ni mistiche della Scrittura1287. Ma, come è naturale, con-danna incondizionatamente la magia cabalistica, tutto ilsistema dell’angelologia cabalistica e le sue connessionicon la cosmologia.

Nel corso di questa vigorosa opera, che demoliscele basi ermetico-cabalistiche della magia rinascimentale,Mersenne ricorda e condanna tutti i principali propaga-tori di simili idee, Ficino, Pico della Mirandola, e i lorosuccessori; è, naturalmente, molto severo contro gli arci-maghi, del tipo di Cornelio Agrippa e Tritemio. Dedica

sono menzionati Mantegna, Bellini e Leonardo da Vinci; cfr.Garin, Cultura, p. 397.

1284 Lenoble, op. cit., pp. 128 sgg.1285 Nella sua condanna delle immagini, tuttavia, Mersenne

(op. cit., col. 1164) seguita a citare «filosofi cattolici» (cioèTommaso d’Aquino) secondo i quali i materiali o le pietre dicui è costituito un talismano hanno potere magico (cfr. supra).

1286 Lenoble, op. cit.. pp. 153 sgg.1287 Ibid., p. 103.

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molti passi ad attaccare Francesco Giorgio, uno dei piùcelebri cabalisti ermetici, autore dell’importante De har-monia mundi, e scrisse addirittura anche un libro interoper confutarne le posizioni1288. Viene presa in esame, econdannata, la teoria della luce del Patrizi1289. Vengonoattaccati Bruno e Campanella, il primo brevemente (poi-ché gli attacchi principali contro Bruno sono contenutiin altri libri), il secondo in lunghi brani1290. In breve, ilvasto commento di Mersenne alla Genesi contiene pene-tranti analisi critiche di pressoché tutti gli atteggiamentidi pensiero che abbiamo fin qui studiato. La linfa vitaledel mago rinascimentale si esaurisce sotto questo violen-to assalto; le sue più care teorie e illusioni, si trovano ri-dotte a un inutile ciarpame, una volta investite dalla lucechiara e fredda del tempo nuovo.

Ma non abbiamo ancora detto niente dell’obbiettivoprincipale di Mersenne. I cabalisti e gli ermetici delpassato non erano per lui tanto pericolosi e detestabili,quanto un suo contemporaneo, Robert Fludd1291. Nonsi può dubitare che Fludd, da Mersenne giustamenteconsiderato un contemporaneo tutto volto a richiama-re deliberatamente in vita ed a rinvigorire la concezio-ne del mondo del mago rinascimentale, da lui energica-mente combattuta, fosse realmente il principale bersa-glio di Mersenne. Le opere di Fludd, e in particolare la

1288 M. Mersenne, Observationes et emendationes ad FrancisciGiorgi problemata, Paris 1623.

1289 Mersenne, Quaest. in Gen., coll. 739-40.1290 Bruno e Campanella sono nominati nella prefazione co-

me emeriti impostori («Atheos, magos, deistas, & id genus...Campanella, Bruno, Telesio.. .»). Il De sensu rerum di Cam-panella è attaccato nei particolari, cfr. coll. 1164 sgg. Per lecritiche di Mersenne a Bruno, cfr. in seguito, pp. 477-8.

1291 Su Fludd e i Rosacroce come principale bersaglio diMersenne, cfr. Lenoble, op. cit., pp. 27 sgg.

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sua Utriusque cosmi... historia, furono l’elemento cataliz-zatore immediato che provocò l’imponente reazione del-le Quaestiones in Genesim. E se si pensa a come Fluddciti continuamente, ad ogni piè sospinto, il Pimander diFicino, istituendo un’equazione fra questo e il raccontomosaico della creazione, si incomincia a capire che Mer-senne ha concepito il suo libro come una risposta alleposizioni del suo avversario; e si individua, così, un al-tro principio direttivo, unificatore, del suo commento al-la Genesi, oltre a quelli posti in luce da Lenoble. In-fatti il commento di Mersenne, dal punto di vista teo-logico, si avvale soltanto dei Padri e dei dottori accre-ditati dalla Chiesa. Non è, dunque, da una posizioneermetico-cabalistica come quella di Fludd che Mersennesi accosta alla Genesi, ma da una posizione cattolica or-todossa. Egli si serve della cornice di un commento or-todosso alla Genesi per inquadrare il suo attacco controil commento ermetico-cabalistico di Fludd, e contro tut-to ciò che era stato costruito, sulla base dell’equazioneErmete-Mosè, da Pico della Mirandola in poi. Possiamoperciò arrivare alla conclusione che il vero principio uni-ficatore dell’opera di Mersenne è Mosè, un Mosè orto-dosso che, voltate le spalle alla magia, annuncia l’avven-to della nuova scienza.

Mersenne non menziona spesso Ermete Trismegisto;e le sue citazioni dagli Hermetica sono sempre in gre-co, mai nella traduzione latina di Ficino1292. Tuttavia egliben comprese la fondamentale importanza che Ermeterivestiva per Fludd, e per tutta la tradizione dalla qua-le Fludd derivava. La teoria fluddiana dei «due mondi»,imperniata sul rapporto macrocosmo-microcosmo, nonpuò essere provata, dice Mersenne, perché gli «Egiziani»insegnano che l’uomo contiene il mondo e perché «Mer-

1292 Cfr., per esempio, Mersenne, Quaest. in Gen., coll. 731,1750.

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curius» (anch’egli compreso fra gli «Egiziani»), chiamal’uomo un gran miracolo, e simile a Dio (Ibid., coll. 1746,1749. ) .

Nelle Quaestiones in Genesim non ho rinvenuto alcu-na prova che Mersenne fosse al corrente, quando scrissequest’opera, delle scoperte di Casaubon circa gli Herme-tica. Ma è certo che, poco dopo, egli venne a conoscen-za della posizione di Casaubon e si rese conto di qualestrumento gli fosse stato fornito per la sua opera di de-molizione dell’edificio nel quale abitavano il mago rina-scimentale e il suo discendente, Robert Fludd. Se infattiil «Mosè egiziano» era una contraffazione, veniva per ciòstesso a mancare la pietra angolare dell’edificio e l’interacostruzione era inevitabilmente destinata a crollare.

Fludd fu irritato dall’attacco di Mersenne, contro ilquale pubblicò repliche rabbiose. Nel suo Sophiae cummoria certamen (la cui prefazione è datata Oxford 1626)egli impiega, contro il monaco, un linguaggio estrema-mente offensivo, e cita i brani delle Quaestiones in Gene-sim che lo concernono, replicando dettagliatamente. Inquesta «Contesa della sapienza contro la pazzia», Fluddsi presenta come il rappresentante della sapienza profon-da, mentre Mersenne è lo stolto superficiale. Nelle sueprime opere Fludd si era identificato con i Rosacroce eMersenne non aveva mancato di coinvolgere questo mi-sterioso rapporto nelle sue censure contro Fludd; così lacausa dei Rosacroce divenne un elemento della contro-versia Fludd-Mersenne. Per questo in un’altra pubblica-zione contro Mersenne, dovuta probabilmente in parteallo stesso Fludd, e intitolata Summum bonum (1629)1293,il sommo bene viene definito, sul frontespizio, come «lamagia, la cabala e l’alchimia dei Fratelli della Rosa Cro-ce». In quest’opera, replicando a un brano contro Ficino

1293 Cfr. supra.

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contenuto nelle Quaestiones in Genesim di Mersenne1294,l’autore cita abbondantemente dall’Apologia scritta daFicino a favore della sua magia, ed afferma che tale ope-ra compendia anche il suo punto di vista1295. Questa èdi per sé una prova sufficiente che Fludd e i Rosacrocerappresentavano la magia rinascimentale, iniziata da Fi-cino, con tutte le sue derivazioni, cabalistiche e di altrogenere, contro il razionalismo di Mersenne. In un’altrapubblicazione dello stesso anno, in cui si trova un bra-no pieno di invettive contro la malizia e la falsità del mo-naco Mersenne, Fludd cita trionfalmente dal Pimander edall’Asclepius, avanzando, in tal modo, sotto il vessillo diErmete Trismegisto in difesa della sapienza, e contro lafalsità e la malizia1296.

La controversia fu seguita con vivo interesse da tut-ta l’Europa, come documentano i molti accenni in pro-posito contenuti nella corrispondenza di Mersenne1297. Èimpossibile qui anche solo menzionare, non che discute-re dettagliatamente, tutte le pubblicazioni relative ad es-sa. I numerosi contributi alla disputa dati da Mersennee da Fludd vennero sommersi da quelli di altri scrittori.Per esempio, il cabalista Jacques Gaffarel si unì a Fludd,mentre lo scienziato Petrus Gassendi scese in campo inaiuto e difesa di Mersenne.

Mersenne aveva chiesto aiuto a Gassendi, poiché erastanco di dover rispondere sempre lui a Fludd, e Gas-sendi assolse questo incarico da amico nel 1630, con unapubblicazione dall’attraente titolo Petri Gassendi theolo-gi epistolica exercitatio, in qua Principia Philosophiae Ro-

1294 Mersenne, Quaest. in Gen., coll. 1704-5.1295 Summum bonum, p. 8.1296 Fludd, Medicina catholica, Francoforte 1629, p. 36.1297 M. Mersenne, Correspondance, a cura di C. De Waard e

R. Pintard, Paris 1932, indici sub nomine; Lenoble, op. cit., pp.27 sgg., ecc.

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bert Fluddi Medici reteguntur; et ad recentes illius Libros,adversus R.P.F. Marinum Mersennum Ordinis Minimo-rum Sancti Francisci de Paula scriptos respondetur. Gas-sendi usa, nei confronti di Fludd, un tono più modera-to di quello di Mersenne, ma, come ha detto Lenoble,«l’impartialité de Gassendi est parfois plus terrible pourFludd que les emportements de Mersenne»1298; del resto,egli è in fondo completamente d’accordo con Mersen-ne. Egli dichiara di preferire il vecchio aristotelismo al-la fumosa scienza di coloro che (come Fludd) sono com-pletamente ignoranti di matematica, generano una con-fusione totale con la loro dottrina dell’anima del mondoe alloggiano in ogni sito angeli e demoni.

L’autorevole contributo di Gassendi alla controversiafu preceduto da una lettera di Mersenne, contenenteun brano significativo, da cui risulta come Mersennefosse venuto a conoscenza, e si servisse, della scoperta diCasaubon. Mersenne accusa Fludd (e l’accusa è fondata)di attribuire agli scritti dello «pseudo-Trismegisto» –si osservi lo «pseudo» – un’autorità pari a quella delleScritture; ma questi scritti non hanno più alcuna autorità,dopo quello che Casaubon ha scritto sul loro conto.

Cum autem Fluddus plures alios authores enumeret, illos solumaffero, quorum authoritate in suis libris nititur. Quos inter pri-mum ordinem obtinet pseudo-Trismegistus, cujus Pymandrumet alios tractatus Scripturae sacrae authoritati atque veritati pa-res efficere videtur, et de quorum aestimatione nonnihil, credo,remittet, si legat Casaubonum, prima ad apparatum AnnaliumExercitatione1299.

E. Garin ha citato questo brano per illustrare come «lagrande polemica accesasi intorno al Fludd e ai Rosacro-

1298 Lenoble, op. cit., p. 29.1299 La lettera è pubblicata in Mersenne, Correspondance, ed.

cit., II, pp. 444-5.

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ce... chiude... un periodo della fortuna dell’ermetismorinascimentale»1300.

Una volta che gli avversari di Fludd poterono conta-re sull’arma casauboniana, la posizione del primo fu im-mensamente indebolita, e, come osserva E. Garin, l’inte-ra tradizione dell’ermetismo rinascimentale giunse a unasvolta. L’ermetismo non avrebbe più oltre mantenuto la.posizione dominante, come centro propulsore dei prin-cipali movimenti di pensiero, che aveva tenuto dall’epo-ca di Ficino, ma sarebbe defluito in esoterici canali sot-terranei, come «i sogni ermetici dei Rosacroce»1301.

Delle controversie suscitate da Robert Fludd, la piùfamosa e importante è quella tra Fludd e Keplero1302. Inun’appendice alla sua grande opera, l’Harmonice mun-di libri V (1619), Keplero attaccò Fludd; questi rispo-se con un trattato inserito nel secondo volume (1621)dell’Utriusque cosmi... historia. Keplero replicò conun’Apologia (1622), a cui Fludd si oppose nuovamentecon il Monochordum mundi (1622).

Il grande matematico che scoprì le orbite ellittiche deipianeti non proveniva, per quanto concerne la sua con-cezione generale, dalla tradizione rinascimentale. Il suoeliocentrismo aveva uno sfondo mistico; la sua grandescoperta delle orbite planetarie fu da lui estaticamen-

1300 E. Garin, Nota sull’ermetismo, in Cultura, p. 144.1301 Ibid., p. 146. Ai sogni dei Rosacroce bisognerebbe

aggiungere i sogni ermetici pseudoegiziani del gesuita Kircher.1302 L’importanza della controversia Fludd-Keplero è accen-

nata da E. Cassirer in Das Erkenntnisproblem in der Philosophieund Wissenschaft der neuren Zeit. Su di essa è stato scritto unnotevole saggio da W. Pauli, The Influence of Archetypal Ideason the Scientific Theories of Kepler, in C. G. Jung e W. Pauli,The Interpretation of Nature and the Psyche, trad. ingl., Lon-don 1955, pp. 147 sgg. Lenoble se ne occupa a fondo in Mer-senne ou la naissance du mécanisme; cfr. infine le illuminantiosservazioni di E. Garin in Cultura, pp. 143 sgg.

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te salutata come una conferma della musica delle sfere;inoltre le sue teorie presentano sopravvivenze di motivianimistici1303. Nondimeno, Keplero aveva una percezio-ne chiarissima della differenza fondamentale fra il rigo-roso metodo matematico, basato su calcoli quantitativi,e l’atteggiamento mistico verso il numero, di tipo «pita-gorico» o «ermetico». Egli comprese con estrema esat-tezza che la radice della differenza fra lui e Fludd anda-va ricercata nel loro diverso modo d’intendere il nume-ro, cioè nel contrasto fra il suo atteggiamento matemati-co e quantitativo, e quello di Fludd, ermetico e pitagori-co. Le magistrali analisi che Keplero fece di questa dif-ferenza, nelle sue repliche a Fludd, posero per la primavolta il problema alla luce del sole, e ottennero il granderisultato di liberare, finalmente, la matematica pura dallevecchie incrostazioni numerologiche.

Nell’Harmonice mundi di Keplero si trova un lungobrano su Ermete Trismegisto; Keplero aveva evidente-mente studiato il Corpus Hermeticum con molta attenzio-ne, e in particolare il trattato sugli «ultores». Egli identi-fica l’insegnamento ermetico con quello di Pitagora: «oPitagora ermetizza, o Ermete pitagorizza». Il brano ècosì importante che sarà bene citarlo per intero. (Il ri-chiamo a Camerarius, con il quale esso si apre, si rife-risce al riassunto del commento di Camerarius ai dettipitagorici1304 che Keplero aveva esposto nelle pagine pre-cedenti.)

Hactenus Camerarius ex veteribus: quibus pleraque consen-tientia inculcat Hermes Trismegistus (quisquis ille fuit) filio suoTatio: cujus haec verba, Unitas secundum rationem Denariumcomplectitur rursumque Denarius unitatem. Deinde concupisci-bilem Animae facultatem compouit ex 12. ultoribus, seu vitiisEthicis, ad numerum signorum Zodiaco, cui Corpus et hanc ad

1303 Cfr. il saggio di Pauli, cit. nella nota precedente.1304 Camerarius, Libellus scolasticus, Basilea 1551.

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corpus vergentem Animae potentiam subjicit: Rationalem ve-ro facultatem Animae ex Denario et ipse componit VirtutumEthicarum. Sic quod Pythagoraei celebrant Tetractyn fontemAnimarum, et Camerarius plures ait fuisse Tetractyas, non il-lam solum, quae a quaternarij basi surgit ad summam 10. sedetiam aliam praecipuam, quae ab Ogdoadis basi ad verticemusque colligit summam 36: idem et Tatius hic ex doctrina patrisHermetis innuit, dum tempus ait fuisse, cum ipse ad huc essetin Ogdoade, Octonario: Filium vero Pater ad Pimandrum re-mittit, de Octonario canentem; in quo sane occurit Octonariushabituum Animae Ethicorum, septem quidem respondentiumplanetis septem, ut apparet, initio a Luna facto; octavi vero di-vinioris et quietioris, ad sphaerae puto fixarum ideam. Omniaetiam geruntur per Harmonias; plurima inculcatio Silentij, plu-rima Mentis, Veritatisque mentio; proponitur et Antrum, Fun-dus, Peneträle, Crater Animarum, et caetera multa: ut dubiumnullum esse possit, quin aut Pythagoras Hermetiset, aut Her-mes Pythagoriset. Accedit enim et hoc, quod Hermes Theolo-giam quandam tradit, cultumque divini numinis; saepe biosis,saepe Evangelistae Joannis in suo sensu paraphrastes, praeser-tim de Regeneratione, caeremoniasque discipulo certas incul-cat; cum idem de Pythagoraeis affirment authores, partent eo-rum Theologiae verijsque caeremonij. et superstitionibus dedi-tam fuisse; et Proclus Pythagoricus Theologiam in Numerorumcontemplatione collecet1305.

1305 Kepler, Harmonice mundi, in Gesammelte Werke, a cu-ra di M. Caspar, München 1940, Band VI, pp. 98-9. La no-ta al passo citato (p. 534 dell’ed. cit.) indica che Keplero siserviva della traduzione latina degli Hermetica fatta da Foix deCaudale (Bordeaux 1574) e della Nova de universis philosophiadel Patrizi (Ferrara 1591). Ma la frase che Keplero cita lette-ralmente dal Corpus hermeticum XIII corrisponde esattamentealla traduzione di Ficino. Secondo Keplero, Trismegisto dicea suo figlio Tat: «Unitas secundum rationem Denarium com-plectitur, rursumque Denarius unitatem». Cfr. Ficino: «Uni-tas secundum rationem denarium complectitur, rursusque de-narius unitatem» (Ficino, pp. 1855-6). Per le osservazioni diFludd sul Corpus Hermeticum XIII e gli «ultores», con mol-te citazioni dalla traduzione latina di Ficino, cfr. Utriusque co-

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In generale, mi sembra di capire da questo brano che Ke-plero, conoscitore profondo del Corpus Hermeticum, neconsidera gli insegnamenti fondamentali come conformiall’armonia pitagorica, e l’ottava sfera, alla quale ascen-de l’anima (in C.H. XIII), con le sue 36 divisioni, è postain relazione al pitagorico quattro, che è il numero dell’a-nima. Egli conosce anche (e ciò apre una prospettiva in-teramente nuova per quanto concerne le fonti di Keple-ro) la tradizione ermetica cristiana, per la quale gli Her-metica erano collegati con la Genesi e con il Vangelo disan Giovanni. Keplero poté così agevolmente individua-re in Fludd la base della sua equazione Genesi-Pimander,e della sua costante associazione di Ermete Trismegistoa san Giovanni.

Sapeva Keplero che le parafrasi di Mosè e di sanGiovanni fatte da Ermete Trismegisto, «chiunque eglipossa essere stato», risalgono a un periodo postcristiano?In altri termini, Keplero aveva letto Casaubon? Ciò nonsembra risultare con chiarezza nel brano sopra citato, edunque sono propensa a credere che esso rifletta tuttoraun ermetismo religioso precasauboniano. L’osservazione«aut Pythagoras hermetiset, aut Hermes pythagoriset»sembra lasciare irrisolto il problema se Ermete sia lafonte di Pitagora (e risalga quindi, come sostenuto nellavecchia tradizione, a un periodo remotissimo).

Non fu comunque ignorando le associazioni mosai-che e cristiane o trinitarie dell’ermetismo fluddiano, cheKeplero formulò la sua forte obiezione contro l’incapa-cità di Fludd di distinguere, nella sua opera sull’armo-nia, fra matematica pura e numeri trattati «more her-metico». Questa obiezione viene ripetuta molte vol-te. Egli, Keplero, si avvale di «dimostrazioni matema-tiche» nella sua opera sull’armonia, mentre per Fludd

stui... historia, II, pp. 129-31.

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«chimici cioè alchimisti), ermetici e paracelsiani» so-no i veri matematici1306. Egli rileva che gli argomen-ti numerici e geometrici di Fludd riposano sull’analogiamacrocosmo-microcosmo, mentre egli (Keplero) studia icieli in sé, indipendentemente da simili analogie1307. Perquesto motivo, le illustrazioni dei volumi di Fludd so-no «geroglifici»1308 o «disegni», mentre le illustrazioni diKeplero sono diagrammi matematici, ed egli ragiona damatematico:

Tuis picturis mea comparavi diagrammata; fassus librum meumnon aeque atque tuum ornatum esse, nec futurum ad gustumlectoris cuiuslibet: excusavi hunc defectum a professione, cumego mathematicum agam1309.

La matematica di Fludd non è altro che «mathesis»e «vana geometria», che egli totalmente confonde con«Chymia» e con Hermes»1310. Keplero non si interes-sa delle «intenzioni pitagoriche», ma della realtà (resipsa)1311. Egli usa la matematica da matematico mentreFludd se ne serve «more hermetico»1312. Se si farà unconfronto fra la sua opera sull’armonia e quella di Fludd,egli dimostrerà ad ogni lettore che «rem mathematicamego tradam mathematice, tu hermetice»1313.

1306 Kepler, Harmonices mundi, Appendice, in GesammelteWerke, ed. cit., VI, p. 374.

1307 Kepler, Apologia, in Gesammelte Werke, ed. cit., VI, p.386.

1308 «Tu [rivolgendosi a Fludd] rei figuram vel Hieroglyphi-cum effinxeris», ibid., loc. cit.

1309 Ibid., p. 396.1310 Ibid., p. 399.1311 Ibid., p. 428.1312 Ibid., p. 432.1313 Ibid., loc. cit.

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Il fondo della questione è che la «mathesis» o la ma-tematica «more hermetico», quale viene impiegata daFludd nella sua opera sull’armonia, comporta quelle re-lazioni numerologiche, basate in definitiva sull’astrolo-gia, che si dispiegano attraverso i tre mondi, l’empireo,il mondo celeste, il mondo elementare, e che legano in-sieme macrocosmo e microcosmo. Per Keplero la mate-matica è misurazione quantitativa; nel suo libro egli l’ap-plica empiricamente e soltanto nel mondo celeste, e, inesso, solo al movimento dei pianeti.

Jam ut propius accedamus ad fundamenta, quibus Robertus deFluctibus superstruit suam musicam Mundanam; primum illetotum mundum, omnesque tres ejus partes, Empyream, Coe-lestem, Elementarem, occupati ego solam coelestem; nec eamtotani, sed solos planetarum motus quasi sub Zodiaco. Il-le fisus veteribus, qui vini Harmoniarum ex numeris abstrac-tis esse credebant, sat habet, si quas inter partes concordan-tiam esse demonstrabit, eas numeris quomodocunque compre-hendat, nulla cura, cujusmodi unitates illo numero accumulen-tur: ego nuspiam doceo quaerere Harmonias, ubi res, interquas sunt Harmoniae, non possunt mensurari eadem quanti-tatis mensura...1314

L’esatta intelligenza della distinzione, e la lucida espo-sizione di essa, sono tanto più interessanti in considera-zione del fatto che (come risulta dalla nostra prima ci-tazione) Keplero aveva attentamente studiato la teoriaermetico-pitagorica del mondo e dell’armonia contenu-ta negli Hermetica e conosceva la tradizione dell’ermeti-smo religioso.

Si pensi a quale sarebbe stata la posizione di Giorda-no Bruno in mezzo a queste controversie! Di Giorda-no Bruno, per il quale una delle quattro «guide» dell’a-nima era la «mathesis»; che scorgeva significati ermeti-

1314 Kepler, Harmonice mundi, Appendice, in GesammelteWerke, ed. cit., VI, p. 375.

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ci nel diagramma copernicano; per il quale il compassonon era un compasso, ma un geroglifico; che aveva scrit-to un libro «contro i matematici» illustrato da stravagan-ti diagrammi mistici. Senza dubbio, avrebbe scritto vio-lenti dialoghi contro Keplero, tacciandolo di «pedante-ria». Sicuramente si sarebbe schierato dalla parte degliermetici, di Fludd (per quanto questi non sarebbe statoabbastanza «egiziano» per Bruno) e dei Rosacroce.

E come avrebbe reagito Bruno di fronte alle Questio-nes in Genesim di Mersenne, e all’attacco in esse conte-nuto contro il nucleo magico del platonismo ficiniano,linfa vitale di Bruno; alla loro condanna dell’anima delmondo e dell’animismo universale della natura vivente,tema eterno di Bruno; alla loro deliberata corrosione del-la posizione del mago rinascimentale, quale Bruno era?Sicuramente, si sarebbe lanciato all’attacco, gridando inpreda all’ira con ancor maggiore veemenza: «pedante!pedante!».

L’ombra di Giordano Bruno, in realtà, era presentenella mente di Marin Mersenne. Nei prolegomeni alleQuaestiones in Genesim lo menziona in un elenco di au-tori di nuove filosofie e di «atei, maghi, deisti e simili»1315,

1315 Giulio Cesare Vanini (7585-7679) fu, con Bruno, unodei principali bersagli dell’odio di Mersenne. Vanini, un fratecarmelitano, viaggiò in Germania, Boemia, Olanda, Svizzera.Tentò di stabilirsi in Francia ma non vi riuscì e si recò allorain Inghilterra dove, si dice, venne bene accolto dai membridella chiesa anglicana e apostatò dalla fede cattolica nella chiesaprotestante italiana di Londra. In seguito, però, perse il favoredegli anglicani, fu imprigionato per un mese nella Torre eritornò in Svizzera da dove parti subito dopo per recarsi a Parigie Tolosa, dove, nel 1619 venne arso sul rogo. Egli è statotalvolta paragonato a Bruno: certamente ebbe, come vita, moltipunti in comune con lui, avendo viaggiato negli stessi paesi,sebbene non nello stesso ordine, ed essendo finito anche lui sulrogo. Ma le sue idee non mi sembrano affatto simili a quelle diBruno.

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ma gli attacchi più radicali contro Bruno sono contenu-ti ne L’impiété des déistes, dove il Nolano è definito «undes plus méchans hommes que la terre porta jamais» eviene accusato di «n’avoir inventé une nouvelle façon dephilosopher qu’afin de combattre sourdement la religionchrétienne»1316. Mersenne aveva letto le «contrazioni» ene era rimasto inorridito1317. Per quanto l’intero fonda-mento della filosofia bruniana fosse da condannare reci-samente, Mersenne trovava che, qualche volta, su di es-so erano state postulate delle verità: «Quant a Jordan,encore qu’il se serve de mauvais fondemens, neantmoinsil est assés probable que le monde est infini, s’il le peutestre. Car pourquoy voulés-vous qu’une cause infinie aitpas un effet infini?»1318.

Mersenne aveva capito qual era la «missione» che sicelava dietro la filosofia di Bruno, che egli vede carat-terizzata dallo scopo di «combattre sourdement la reli-gion chrétienne», e la considera del tutto abominevole, eil suo autore uno degli uomini più perversi che mai sianovissuti. Questo mago, questo animista, questo ermetico,era stato infatti particolarmente pericoloso proprio per-ché si era proposto una missione religiosa. Mersenne haragione quando sostiene che si trattava di una posizioneanticristiana, nel senso che la riforma universale di Bru-no mirava a restaurare una tradizione di ermetismo egi-ziano ritenuta più antica del Cristianesimo. Ma Bruno,da parte sua, non avrebbe considerato questa prospetti-va come anticristiana, perché, come si è visto, egli nutriva

1316 M. Mersenne, L’Impiété des Déistes, Paris 1624, I, pp.229-30. Per quanto concerne i giudizi di Mersenne su Bruno,cfr. le note alla Correspondance di Mersenne, ed. cit., I, pp.137-8, 147.

1317 L’Impiété des Déistes, I, p. 233.1318 Mersenne, Correspondance, III, p. 275; cfr. anche, ibid.,

p. 187.

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la strana speranza che la riforma si sarebbe relizzata nel-l’ambito di un contesto religioso esistente. Se Mersenneavesse saputo ciò, non avrebbe certo mitigato, ma raffor-zato la sua opinione circa il pericolo rappresentato, per ilCristianesimo ortodosso, dalla magia rinascimentale. Lasua chiara visione di questo pericolo era infatti il motivoprincipale che ispirava i suoi sforzi per eliminarlo1319.

Dietro l’intera controversia che abbiamo fin qui esa-minato si nascondono i misteriosi Rosacroce. Le operedi Fludd furono scritte in difesa dei Rosacroce, e gli at-tacchi rivolti a Fludd colpivano anche costoro. Mersen-ne ne parlava continuamente1320. Tutti coloro che prese-ro parte alla controversia fluddiana vi fanno riferimen-to; ed essi fanno il loro ingresso perfino nelle composte eastratte pagine matematiche di Keplero1321. Nel 1623 al-cuni di loro si recarono a Parigi, dove affissero manifestinei quali si definivano gli «Invisibili», e dichiaravano diessere in possesso di molti profondi segreti di sapienza, echi avesse voluto avrebbe potuto apprenderli da loro1322.La loro visita coincise con l’apparizione, a Parigi, di unasetta altrettanto strana e misteriosa, di origine spagnola,che si chiamava degli «Illuminati»1323. Il fatto che gli In-visibili andassero a Parigi nel momento colminante dellabattaglia che Mersenne e i suoi amici avevano intrapre-so contro tutto quello che essi rappresentavano, aggiun-

1319 Cfr. Lenoble, Mersenne, ecc., pp. 119 sgg., 157 sgg.1320 Cfr. «Rose-Croix» negli indici della Correspondance di

Mersenne, ed. cit.1321 J. Kepler, Apologia, in Gesammelte Werke, ed. cit., VI,

p. 445.1322 P. Arnold, Histoire des Rose-Croix, pp. 7 sgg.; Mersenne,

Correspondance, ed. cit., I, pp. 154-5, nota; Lenoble, op. cit.,pp. 30-1.

1323 Lenoble, op. cit., p. 31, citando Baillet, La Vie deMonsieur Descartes, Paris 1691, I, p. 107.

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ge un nuovo elemento alla drammaticità della situazione:e se, come è stato suggerito in questo libro, è probabileche sulla loro formazione abbia agito anche un’influenzabruniana, diventa ancor più chiaro a quale dei due op-posti schieramenti appartenga Bruno. Se fosse stato vivonel XVII secolo, Bruno sarebbe tornato a Parigi moltoprobabilmente in veste di Invisibile.

Richelieu non ricevette i Rosacroce1324 ma Campanella,quando si recò a Parigi undici anni più tardi, ebbe l’ap-poggio del potente cardinale1325 – fatto, questo, che indi-ca con quanto successo Campanella sapesse smistare lesue idee (che in un primo momento avevano influenzatoil movimento tedesco)1326 in canali accettabili alle autori-tà costituite. Come abbiamo visto, Mersenne era tutt’al-tro che entusiasta di lui1327, ed è certo che la magia astralee la teologia naturale di Campanella dovevano risultare,secondo il punto di vista di Mersenne, altrettanto arcai-che e detestabili quanto la magia e la cabala degli odiatiRosacroce.

Così, in questi anni decisivi nei quali crolla il mondorinascimentale e dalle sue rovine nasce il mondo moder-no, correnti e controcorrenti irrompono tuttora impe-tuosamente dal passato e turbinano intorno ai protagoni-sti di questa epica lotta, gli aspetti della quale non sono,ancor oggi, del tutto chiari a chi la studia. Mersenne1328 eCartesio furono sospetti di appartenere alla setta dei Ro-sacroce, a causa dei loro interessi reconditi. E nello stes-so tempo e luogo in cui l’ermetismo batte in ritirata da-

1324 Arnold, op. cit., p. 15.1325 Cfr. supra.1326 Cfr. supra.1327 Cfr. supra.1328 Lenoble, op. cit.. p. 31. Su Cartesio e i Rosacroce, cfr. in

seguito pp. 486-7.

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vanti agli attacchi di Mersenne, sostenuto dalla scopertadi Casaubon, Campanella profetizza alla corte che l’in-fante Luigi XIV edificherà l’egiziana Città del Sole.

Il secolo XVII è il periodo in cui nasce la scienza mo-derna, e le controversie fluddiane si sviluppano nel mo-mento cruciale in cui si incomincia a cambiare indirizzo,in cui la filosofia meccanicistica della natura crea le ipo-tesi e lo sviluppo della matematica fornisce gli strumentiper la prima decisiva vittoria dell’uomo sulla natura. In-fatti «il mirabile movimento della scienza moderna ha ca-rattere essenzialmente unitario; i successivi sviluppi dellescienze biologiche e sociali hanno tratto i loro postulatifondamentali dalle prime vittorie della meccanica»1329.

Con la storia della scienza pura e delle sue vicissitudi-ni, che conducono alla meccanica di Galileo, questo li-bro non ha niente che vedere. Tale processo appartienealla storia della scienza, alle ricerche di Duhem che di-mostrarono le conquiste compiute durante il Medioevo,poi riprese e sviluppate dalla scuola aristotelica di Pado-va, fino al rifiorire, durante il Rinascimento, della mate-matica greca e all’intenso sviluppo degli studi matemati-ci in generale, nell’ambito del quale non si può discono-scere una certa influenza neoplatonica. Il fenomeno Ga-lileo deriva dal costante sviluppo, durante il Medioevo eil Rinascimento, della tradizione razionale della scienzagreca, ed è questo l’indirizzo che Mersenne rappresentaquando batte in breccia i terribili maghi.

La storia della scienza può spiegare e seguire via viai vari stadi che portarono alla nascita della scienza mo-derna nel secolo XVII, ma non spiega il perché di que-sta nascita in quel tempo, perché allora si rivelasse que-sto intenso nuovo interesse per il mondo della natura eper il suo funzionamento. Gli storici della scienza so-

1329 E. A. Burtt, The Metaphysical Foundations of ModemScience, London 1932, pp. 16-7.

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no consapevoli, a questo proposito, di una lacuna. «Per-ché oggi una cosa almeno è diventata chiara, e cioè chela nascita della scienza moderna fu una questione estre-mamente complicata e derivò da una grande varietà difattori»1330. «Nelle sue fasi iniziali, la rivoluzione scienti-fica si produsse più per una modificazione sistematica sulpiano delle concezioni filosofiche che per un progressodelle attrezzature tecniche. Perché poi sia accaduta unasimile rivoluzione nel modo di pensare, è un problemaoscuro»1331. Un autore ha suggerito che ciò che occorresono «studi storici che si propongano di mettere in lucei motivi fondamentali e altri fattori umani impliciti» nelmovimento scientifico1332.

È a questo riguardo, per la sua natura di studio storico,e in in particolare di studio storico delle cause, che que-sto libro può dare un contributo al chiarimento di simi-li problemi. Nasce un nuovo centro di interessi, circon-dato da una viva passione psicologica; la mente si volgeladdove la volontà la indirizza e di conseguenza nascononuovi atteggiamenti, si realizzano nuove scoperte. Die-tro la nascita della scienza moderna si individua un nuo-vo indirizzo della volontà nei confronti del mondo, del-le sue meraviglie, del suo misterioso funzionamento, unanuova volontà e determinazione di comprendere le leggidi quel funzionamento, e di utilizzarle a fini operativi.

Come e da che cosa è nato questo nuovo atteggiamen-to della volontà? Una risposta che questo libro può of-frire è: «da Ermete Trismegisto». Con questo nome in-tendo molti fattori: il nucleo ermetico del neoplatonismoficiniano; la decisiva associazione pichiana di ermetismo

1330 J, H. Randall, The School of Padua and the Emergente ofModern Science, Padova 1961, p. 118.

1331 A. C. Crombie, Augustine to Galileo, London 19612, II,p. 122.

1332 Burtt, op. cit., p. 305.

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e cabala; il nuovo interesse per il sole visto come fontedi poteri mistico-magici; l’animazione magica dell’interanatura che il mago cerca di scoprire e di utilizzare ope-rativamente; l’attenzione convergente sul numero, intesocome tramite per penetrare i segreti della natura; il con-cetto filosofico, presente sia in un manuale magico co-me il Picatrix, sia negli scritti filosofici ermetici, per cuiil Tutto è Uno, e l’operatore può fare affidamento sullavalidità universale dei procedimenti impiegati; infine, equesto è in un certo senso il punto più importante, queicuriosi errori storici mediante i quali «Ermete Trismegi-sto» veniva cristianizzato e l’ermetico religioso si sentivaautorizzato a speculare sul mondo in sua compagnia, astudiare i misteri della creazione con il suo aiuto, e per-fino (sebbene non tutti fossero disposti a spingersi finoa questo punto) a operare magicamente con le forze delmondo.

La fortuna di «Ermete Trismegisto» può essere crono-logicamente delimitata con precisione: essa comincia allafine del secolo XV con la traduzione ficiniana del CorpusHermeticum da poco scoperto e termina all’inizio del se-colo XVII con la critica di Casaubon. In questo periododi egemonia ermetica fecero la loro comparsa le nuovevisioni del mondo, i nuovi atteggiamenti e i nuovi motiviche dovevano portare alla nascita della scienza moderna.

I procedimenti per mezzo dei quali il mago tentava dioperare praticamente non hanno niente che vedere con imetodi rigorosi della scienza. Il problema è questo: val-sero essi a stimolare la volontà nella direzione della scien-za genuina e delle sue operazioni? In un precedente ca-pitolo di questo libro ho dato a questa domanda una ri-sposta affermativa, citando ad esempio John Dee che, aun certo livello mentale, è un matematico puro e si muo-ve del progresso scientifico, mentre, a un altro livello,cerca di evocare gli angeli con la cabala pratica. Occorremeglio individuare i motivi che si celano dietro l’attività

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degli scienziati rinascimentali, prima che si possa addive-nire a giudizi precisi circa l’influenza esercitata, su di es-si, dalla dominante tradizione ermetico-cabalistica. Nelsuo riesame delle fonti di Leonardo da Vinci, E. Garinha richiamato l’attenzione sull’accenno leonardesco ad«Ermete filosofo» e sulla rassomiglianza di certe dottri-ne leonardiane con l’ermetismo ficiniano1333. Non è cer-to da escludere che proprio nell’ambito di una concezio-ne magica una personalità come quella di Leonardo siastata in grado di coordinare i propri studi meccanici ematematici con l’attività artistica.

Esaminando da lontano i processi storici si intravedeuna linea di sviluppo di mirabile coerenza – forse trop-po coerente per essere vera in tutto e per tutto. Il mondodella tarda antichità, incapace di far progredire ulterior-mente la scienza greca, si volse al culto religioso del mon-do, intriso di quell’occultismo e di quella magia di cuisono espressione gli scritti di «Ermete Trismegisto». Inquesto periodo, come ha detto Festugière, l’affermazio-ne del mago come figura ideale costituì un ripiegamentodal piano della ragione a quello dell’occulto1334. Lo stes-so autore considera l’affermazione dell’ideale del magodurante il Rinascimento come un ripudio analogo del-l’intenso razionalismo della scolastica medievale1335. Neilunghi secoli del Medioevo, così nel mondo occidentalecome in quello arabo, le tradizioni della razionale scien-za greca avevano compiuto notevoli progressi. Per que-sto – ecco la tesi del presente studio – quando duranteil Rinascimento viene riscoperto «Ermete Trismegisto»e tutto quello che esso rappresenta, il ritorno all’occul-to funziona stavolta come stimolo all’avvento della verascienza.

1333 Garin, Cultura, pp. 397 sgg.1334 Festugiére, I, p. 63.1335 Ibid., p. 64.

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Agli inizi la scienza moderna è tuttora avvolta in quellache si potrebbe chiamare un’atmosfera ermetica. LaNova Atlantis di Francesco Bacone forse non costituisceun valido esempio, dal momento che l’antica posizionedi Bacone come padre della scienza sperimentale è oggiconsiderevolmente indebolita. Ciò nonostante, la NovaAtlantis è un paradiso per scienziati, dove ogni sortadi scoperta e di invenzione è posta al servizio di unpopolo felice. Essa è retta da un Ordine, o Società, cheha nome «Casa di Salomone», votata allo studio delleopere e delle creature di Dio. Il Padre della Casa diSalomone avanza nella grande processione su un carrosul quale c’è «un sole d’oro, che splende alla sommità,nella posizione centrale»1336. Esista o meno qualche realepunto di contatto fra la Nova Atlantis e la Città del Sole,queste due utopie provengono dallo stesso filone, quellocioè di tipo ermetico, o ermetico-cabalistico.

L’impulso ermetico, come fermento inplicito nella for-mulazione immaginosa di una nuova cosmologia, è esem-plificato da Giordano Bruno. In base al nuovo tipo d’in-terpretazione suggerito in questo libro. Bruno torna ariproporsi come un’importante pietra miliare nella sto-ria del pensiero, non per i vecchi, errati motivi, ma permotivi nuovi e validi.

Da quando Domenico Berti1337 lo ha fatto rivivere co-me l’eroe che ha preferito morire piuttosto che rinuncia-

1336 F. Bacone, Works, a cura di Spedding, Ellis ed Heath,London 1857, 111, p. 155. Sui presupposti magici del pensierobaconiano, cfr. P. Rossi, Francesco Bacone: dalla magia allascienza, Bari 1957.

Per una discussione ulteriore di questi problemi cfr. il mioarticolo, The Hermetic Tradition in Renaissance Science, in Art,Science and History in the Renaissance, a cura di Charles S.Singleton, Baltimore 1968.

1337 Domenico Berti, La vita di Giordano Bruno da Nola,prima edizione, Firenze 1867.

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re alla sua convinzione scientifica circa la validità dellateoria copernicana, come il martire della scienza moder-na, come il filosofo che ha rotto con l’aristotelismo me-dievale ed ha inaugurato il mondo moderno, Bruno è re-stato sempre in una falsa luce. La concezione popolaredi Bruno rientra più o meno in questa prospettiva. Senon sono riuscita a porne definitivamente in luce l’infon-datezza, questo libro è stato scritto invano.

Qual è, insomma, la verità? Bruno era un mago inte-grale, un «egiziano» e un ermetico del tipo più estremo,che vedeva nell’eliocentrismo copernicano un annunciodel ritorno della religione magica e, nella disputa con idottori di Oxford, associava il copernicanesimo con lamagia del De vita coelitus comparanda di Ficino. Egli in-terpretava inoltre il diagramma copernicano come un ge-roglifico del divino e sosteneva la teoria del movimentoterrestre con argomentazioni ermetiche, concernenti lavita magica diffusa in tutta la natura. Il suo scopo, infi-ne, era quello di conseguire la gnosi ermetica, di riflette-re il mondo nella mens grazie a mezzi magici, ivi compre-so l’apprendimento mnemonico delle immagini magichedelle stelle, e di divenire così un grande mago e un ca-po religioso capace di operare miracoli. Spazzando viale sovrastrutture teologiche elaborate dagli ermetici cri-stiani, servendosi della cabala esclusivamente come stru-mento sussidiario alla magia, Bruno si presenta come unpuro naturalista, la cui religione è la religione naturaledell’Asclepius ermetico pseudoegiziano. La concezionebruniana del mondo rivela quale poteva essere il risulta-to di una dilatazione e intensificazione dell’impulso er-metico in direzione del mondo. Mediante un’interpreta-zione ermetica di Copernico e di Lucrezio, Bruno per-viene alla sua stupefacente visione dell’infinita estensio-ne del divino, quale si riflette nella natura. La terra simuove perché è un essere vivente che ruota intorno a unsole magico di tipo egiziano; i pianeti, stelle viventi, com-

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piono insieme ad essa il loro corso; altri mondi innume-revoli, mobili e viventi come grandi animali, popolanoun universo infinito.

Purificato del suo animismo, introdotte le leggi di gra-vità e di inerzia al posto della vita psichica della natu-ra come principio del movimento, inteso oggettivamen-te e non in termini soggettivi, l’universo di Bruno si tra-sforma in qualche cosa di molto simile all’universo mec-canicistico di Isaac Newton, meravigliosamente mobilein eterno secondo leggi proprie, in esso introdotte da unDio che non è un mago, ma un matematico e un mec-canico. Proprio il fatto che il mondo magico ed ermeti-co di Bruno sia stato per tanto tempo erroneamente con-siderato il mondo di un pensatore rivoluzionario, araldodella nuova cosmologia che doveva essere il risultato del-la rivoluzione scientifica, dimostra che «Ermete Trisme-gisto» ha in qualche modo preparato quella rivoluzione.La filosofia di Giordano Bruno, invece di venire studia-ta, come è stato fatto in passato, astraendosi dal suo rea-le contesto storico1338, può essere ora studiata dagli sto-rici del pensiero come un considerevole esempio di unaconcezione ermetica del mondo in un’epoca immediata-mente precedente l’avvento dell’era scientifica.

«Ermete Trismegisto» doveva essere messo da parteper consentire al secolo XVII di avviarsi sulla strada delprogresso, e la rettifica cronologica compiuta da Casau-bon intervenne proprio al momento giusto, dopo che Er-mete aveva esaurito il suo compito. Nondimeno, la sto-ria della nascita della scienza moderna resta incompletase si trascura la storia del contesto in cui si è attuata talenascita; la reazione di Mersenne non può essere colta nelsuo significato se non si comprende ciò contro cui egli

1338 La storia delle prese di posizione verso Bruno costitui-rebbe uno studio affascinante il cui materiale è già a portata dimano nella monumentale Bibliografia.

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reagiva; il movimento di ritorno verso il razionalismo de-ve essere inquadrato nel contesto della rinnovata fortunarinascimentale dell’occulto.

Inoltre, la concezione meccanicistica del mondo pro-dotta dalla rivoluzione del XVII secolo è stata a sua voltasuperata dagli stupefacenti, ulteriori progressi della co-noscenza scientifica. Può essere illuminante distinguerela rivoluzione scientifica in due fasi, la prima caratteriz-zata da un universo animistico governato dalla magia ela seconda da un universo meccanicistico regolato dallameccanica. Un’indagine su entrambe le fasi, e sulle lorointerazioni, può rivelarsi un metodo più utile, per affron-tare i problemi sollevati ai nostri giorni dalla scienza1339,di quello che si ferma soltanto al trionfo del XVII seco-lo. Non è infatti la scienza, tutto sommato, nient’altroche una gnosi, una visione della natura del Tutto proce-dente attraverso rivelazioni successive?

In quell’interessante documento umano che è la vitadi Cartesio del Baillet, si legge come il giovane filosofo,ardentemente in cerca della verità, cadesse in una sortadi entusiasmo «qui disposa de telle manière son esprit...qu’il le mit en état de reçevoir les impressions des son-ges et des visions». Era il 10 novembre 1619, ed egli sicoricò per riposare «tout rempli de son enthousiasme,& tout occupé de la pensée d’avoir trouvé ce jour-la lesfondemens de la science admirable»1340. Nella notte eb-be tre sogni consecutivi che gli sembrò provenissero dal-l’alto. Siamo in piena atmosfera di trance ermetico, con

1339 Per una discussione della teoria atomica di Bruno, secon-do la quale la materia è composta di atomi internamente ani-mati, cfr. P. H. Michel, La cosmologie de Giordano Bruno, Paris1962, pp. 66 sgg. Bruno probabilmente giunse a questa teoriamediante l’introduzione di animismo magico nella cosmologialucreziana (cfr. supra).

1340 Baillet, Vie de Descartes, I, p. 81.

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quel sonno dei sensi nel quale si rivela la verità. L’atmo-sfera persiste anche nelle pagine successive in cui si nar-ra come Cartesio udisse parlare dei «Frères de la RoseCroix», che si diceva fossero in possesso di una «vérita-ble science»1341. Egli cercò di sapere qualche cosa di piùdi essi e dei loro segreti, ma non potè raggiungere il suoscopo, sebbene, ritornando a Parigi dalla Germania nel1623, venisse sospettato di essere entrato a far parte dellaconfraternita dei Rosacroce1342. Il sospetto non era fon-dato, ma divenne chiaro che tale confraternita non eradel tutto immaginaria, poiché «diversi Tedeschi, e anchel’inglese Robert Fludd, hanno scritto in loro favore»1343.L’atmosfera in cui Cartesio si muove alla ricerca della ve-rità è l’atmosfera della grande controversia su Fludd e iRosacroce.

All’incirca in questo periodo, dice Baillet, Cartesioaveva quasi rinunciato ai suoi prediletti studi di mate-matica e geometria, che gli sembrava non potessero ga-rantire alcuna certezza:

Il ne trouvoit rien effectivement qui lui parût moins solide quede s’occuper de nombres tout simples, & de figures imaginai-res... sans porter sa vuë au delà. Il y voioit même quelque chosede plus qu’inutile; & il croyoit qu’il étoit dangereux de s’appli-quer trop sérieusement à ces démonstrations superficielles, quel’industrie & l’expérience fournissent moins souvent que le ha-zard: & qui sont plutôt du ressort des yeux & de l’imaginationque de celui de l’entendement1344.

Questa potrebbe essere una descrizione di diagrammi er-metici di tipo fluddiano. Ma essi non facevano al casodi Cartesio il quale andava alla ricerca di una «science

1341 Ibid., p. 87.1342 Ibid., pp. 90-1.1343 Ibid., p. 108.1344 Ibid., p. 112.

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générale» che potrebbe esser definita «mathesis, ou ma-thématique universelle»1345. La sua visione lo confermònella convinzione che la matematica fosse la sola chiaveper penetrare i segreti della natura, e, poco dopo, egliinventò «un nuovo e utilissimo strumento, la geometriaanalitica»1346.

La «mathesis» cartesiana, con la sua visione della ma-tematica intesa come mezzo per penetrare l’universo,condusse alla scoperta di uno strumento d’indagine ve-ramente scientifico. Siamo ormai in un’epoca nella qua-le ciò che resta tuttora un impulso ermetico, quasi «ro-sacrociano», verso il mondo, finisce per sfociare in vali-de intuizioni scientifiche. Ma non può essere stata pro-prio l’intensa educazione ermetica dell’immaginazionenei confronti del mondo a preparare la via che condusseCartesio a varcare quella frontiera interiore?

Nella sua ansia di fondare una concezione puramen-te oggettiva della natura intesa meccanicisticamente, nelsuo entusiasmo per la matematica pura, considerata co-me l’unico strumento certo per un’indagine oggettiva,Cartesio si trovò alle prese con l’imbarazzante proble-ma della mente. Egli risolse provvisoriamente il proble-ma in termini estremamente grossolani, con il suo co-siddetto dualismo: «un mondo è costituito da un’enor-me macchina matematica, che si estende nello spazio; el’altro, da spiriti pensanti senza estensione. E tutto ciòche non è matematico, o dipende interamente dall’attivi-tà della sostanza pensante... appartiene al secondo»1347.Cartesio arriva perfino a collocare in una parte precisadel corpo, cioè in un settore del cervello, questa «sostan-za pensante» che concerne tutto ciò che è estraneo al-

1345 Ibid., pp. 114-5.1346 Burtt, op. cit., p. 91.1347 Ibid., p. 113.

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la vasta macchina esterna1348. Questo modo così singo-larmente inadeguato di risolvere il problema della men-te non rimase a lungo incontestato, e dall’epoca di Carte-sio in poi molti pensatori e filosofi si sono arrovellati sulproblema della conoscenza, della epistemologia e dellarelazione fra mente e materia. Nondimeno, quell’errataposizione iniziale del problema non è mai stata definiti-vamente superata. Per quanto riguarda il mondo ester-no l’uomo è sempre andato arricchendo le sue scoper-te. Ma per quanto concerne la sua mente, la sua capaci-tà di riflettere in sé la natura e di agire su di essa in ma-niera così meravigliosa, i progressi sono stati molto menoconsistenti.

Perché Cartesio provava tanto disdegno, o addirittu-ra tanta paura davanti alla mens, da volerla collocare re-cisamente in una posizione a sé, fuori del contesto del-l’universo meccanicistico e della matematica? Forse sipuò trovarne una spiegazione nella lotta che il mondo incui egli visse dovette affrontare per emanciparsi da «Er-mete Trismegisto» (uso di nuovo questo nome come eti-chetta generale) e da tutto quello che esso rappresenta-va. La differenza fondamentale fra l’atteggiamento delmago e quello dello scienziato nei riguardi del mondo èche il primo vuole attirare il mondo dentro di sé, men-tre lo scienziato fa esattamente il contrario: questi infattiesteriorizza e spersonalizza il mondo con un atto di vo-lontà che si muove nella direzione opposta a quella indi-cata negli scritti ermetici in cui l’accento è posto tutto sulmotivo della riflessione del mondo nella mens. Sia comeesperienza religiosa che come magia, l’atteggiamento er-

1348 Ibid., pp. 114-5. Egli, tuttavia, limita questa affermazionedicendo che non si può in realtà assegnare alla mente un postopreciso nel corpo, ma che essa esercita le sue funzioni piùparticolarmente in un settore del cervello, da dove si irradiaper il resto del corpo.

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metico verso il mondo ha sempre questa qualità interio-re.

Si può quindi supporre che quando la meccanica e lamatematica subentrarono all’animismo e alla magia, fos-se proprio questa interiorizzazione, questa intima con-nessione fra mens e mondo a dover essere evitata adogni costo. E proprio nella necessità di questa energi-ca reazione si può probabilmente scorgere l’origine diquell’errata impostazione che degradò così radicalmen-te il problema della mente rispetto a quello della mate-ria nel mondo esterno e del suo funzionamento. Perciò,dal punto di vista della storia del problema della mentee delle ragioni che hanno contribuito a renderlo tale inseguito all’abbandono in cui esso cadde all’inizio dell’e-tà moderna, «Ermete Trismegisto» e la sua vicenda so-no importanti. La controversia fluddiana non può essertranquillamente messa in disparte con l’assunto banaleche i moderni di allora non sbagliarono mai. Può dar-si invece che essi abbiano rifiutato di prendere in consi-derazione certe nozioni sulla mente e sulla materia che,per quanto stranamente formulate, possono essere tut-to sommato meno lontane delle loro stesse concezioni daqualche aspetto del pensiero del nostro tempo. In ognicaso occorre conoscere la storia di ciò che essi rifiuta-rono, anche solo per comprendere i motivi che stannodietro al trionfo del meccanicismo; e questa storia met-te a nudo le radici della trasformazione subìta dall’uomoquando la sua mente finì di essere integrata nella vita di-vina dell’universo. In compagnia di «Ermete Trismegi-sto» si percorrono le zone di confine tra magia e religio-ne, magia e scienza, magia e arte, poesia o musica. Fuin questa atmosfera inafferrabile che l’uomo del Rinasci-mento abitò e il XVII secolo finì per perdere alcuni ele-menti importanti per la comprensione della personalitàdi quel magnum miraculum.

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Giunta alla fine, vorrei che il lettore accogliesse questolibro come uno studio di storia. Ciò che ho tentato di fa-re è stato di non perdere mai di vista le principali caratte-ristiche storiche del periodo e di ricostruire al loro inter-no la circolazione di forze, religiose e culturali, sprigio-nate originariamente dall’influenza di «Ermete Trismegi-sto» (intendendo con ciò l’intero movimento studiato inquesto libro) sul Rinascimento italiano. In parte si trat-tò di un’influenza nascosta e riportandola alla luce e sot-toponendola a indagine storica si schiudono nuove pro-spettive entro cui inquadrare fenomeni familiari. Il mioscopo principale è stato di collocare Giordano Bruno inuna prospettiva di questo tipo ed ho la speranza che ciòsia servito a sgombrare una via lungo la quale altri possa-no procedere verso soluzioni nuove di vecchi problemi.

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