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UNA LEZIONE DI VITA Eco dei Barnabiti 3/2016 43 D a qualche settimana, nella comunità pastorale san- t’Antonio Maria Zaccaria, un nome ricorre spesso nei discorsi del parroco, padre Damiano, nelle sue riflessioni, comunicazioni, esor- tazioni e un volto giovane, pensoso e sorridente, compare sulle lo- candine affisse alle porte delle varie chiese. Si comincia così a familia- rizzare con Gianluca, a senti- re cenni della sua vicenda umana attraverso le omelie, il bollettino parrocchiale, il pas- saparola, il racconto della vi- sita del parroco con quattro ragazzi al paese natale e alla famiglia Firetti. Tutto questo alimenta l’attesa per la testi- monianza, il 22 maggio, del fratello Federico, dell’amico Emanuele Scarani, guidati da don Marco D’Agostino, il sa- cerdote che non solo ha soste- nuto nella malattia il giovane, ma ha scritto con lui e per lui il libro «Spaccato in due. L’al- fabeto di Gianluca». Padre Damiano aveva tro- vato per caso, o meglio per le logiche della Provvidenza, in una libreria di Trieste il se- condo libro di don Marco «Gianluca Firetti santo della porta accanto» e ne era stato “folgorato”: ecco le ragioni di quel pellegrinaggio sulla tom- ba di Gian e l’idea di far co- noscere a tutta la nostra co- munità la sua storia, convinto che questa testimonianza sap- pia generare frutti fecondi. chi è Gian? Una storia che “spacca” Un ragazzo come tanti, studente di un istituto tecnico, perito agrario, sportivo, amante del calcio giocato, una famiglia unita, un fratello, parenti e amici. Nulla di straordinario, in un paese del cremonese dal nome sug- gestivo: Sospiro. Eppure si dice che la sua storia spacca e questo non è solo un verbo proprio del linguaggio gio- vanile, ma una verità che si continua a percepire ascoltandone il vissuto. Spacca significa che si impone, scuo- te, lacera, lascia senza parole, inter- pella, chiede che tu dica, faccia qual- cosa. Eppure più ci penso e più mi sembra che prima spacchi e poi… ri- componga. Sì, intendo dire che, dopo la lettura dei libri e l’ascolto di chi lo ha conosciuto, non prevale la lacera- zione, non dominano l’angoscia, la disperazione, il buio, perché la soffe- renza è illuminata da una fede grani- tica, impensabile in un ventenne che lotta contro un osteosarcoma. l’incontro in san Giorgio: i tre testimoni di Gian La chiesa è gremita, come nelle grandi feste liturgiche, ma un particolare colpisce su- bito: i tantissimi volti di ragaz- zi e giovani, che non sono gli abituali fedeli. Inoltre sono in prevalenza maschi e molti vengono da fuori, dai paesi vi- cini. Sono venuti dagli oratori con i loro don, che vedo nelle file riservate alle autorità reli- giose, o con le famiglie; pre- senti sono pure i sindaci dei due paesi, con la fascia trico- lore delle occasioni ufficiali. C’è fermento per gli ultimi preparativi: un andirivieni di collaboratori, chi registra, chi fotografa, chi controlla. don Marco Quando però don Marco D’Agostino prende la parola e sullo schermo appare il volto sorridente di Gianluca, il si- lenzio è profondo, totale, cari- co di attesa. Osservo da vicino le espres- sioni dei tre testimoni: il sacer- dote, il fratello, l’amico. Don Marco parla con chia- rezza della sua esperienza di prete e di amico. Lui, abituato a spiegare, a insegnare, a interrogare in un liceo, in Seminario, ad organizzare e condurre corsi ed approfondimenti biblici, si trova a lasciarsi interrogare nel profon- do da Gian. Lo segue nella malattia at- «GIANLUCA FIRETTI SANTO DELLA PORTA ACCANTO» Una testimonianza che interpella tutti, giovani e adulti, credenti e non… Un incontro che ha lasciato il segno. Gianluca Firetti

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UNA LEZIONE DI VITA

Eco dei Barnabiti 3/2016 43

Da qualche settimana, nellacomunità pastorale san-t’Antonio Maria Zaccaria,

un nome ricorre spesso nei discorsidel parroco, padre Damiano, nellesue riflessioni, comunicazioni, esor-tazioni e un volto giovane, pensoso esorridente, compare sulle lo-candine affisse alle porte dellevarie chiese.Si comincia così a familia-

rizzare con Gianluca, a senti-re cenni della sua vicendaumana attraverso le omelie, ilbollettino parrocchiale, il pas-saparola, il racconto della vi-sita del parroco con quattroragazzi al paese natale e allafamiglia Firetti. Tutto questoalimenta l’attesa per la testi-monianza, il 22 maggio, delfratello Federico, dell’amicoEmanuele Scarani, guidati dadon Marco D’Agostino, il sa-cerdote che non solo ha soste-nuto nella malattia il giovane,ma ha scritto con lui e per luiil libro «Spaccato in due. L’al-fabeto di Gianluca».Padre Damiano aveva tro-

vato per caso, o meglio per lelogiche della Provvidenza, inuna libreria di Trieste il se-condo libro di don Marco«Gianluca Firetti santo dellaporta accanto» e ne era stato“folgorato”: ecco le ragioni diquel pellegrinaggio sulla tom-ba di Gian e l’idea di far co-noscere a tutta la nostra co-munità la sua storia, convintoche questa testimonianza sap-pia generare frutti fecondi.

chi è Gian?Una storia che “spacca”

Un ragazzo come tanti, studente diun istituto tecnico, perito agrario,sportivo, amante del calcio giocato,

una famiglia unita, un fratello, parentie amici. Nulla di straordinario, in unpaese del cremonese dal nome sug-gestivo: Sospiro. Eppure si dice che lasua storia spacca e questo non è soloun verbo proprio del linguaggio gio-vanile, ma una verità che si continua

a percepire ascoltandone il vissuto.Spacca significa che si impone, scuo-te, lacera, lascia senza parole, inter-pella, chiede che tu dica, faccia qual-cosa. Eppure più ci penso e più misembra che prima spacchi e poi… ri-componga. Sì, intendo dire che, dopo

la lettura dei libri e l’ascolto di chi loha conosciuto, non prevale la lacera-zione, non dominano l’angoscia, ladisperazione, il buio, perché la soffe-renza è illuminata da una fede grani-tica, impensabile in un ventenne chelotta contro un osteosarcoma.

l’incontro in san Giorgio:i tre testimoni di Gian

La chiesa è gremita, comenelle grandi feste liturgiche,ma un particolare colpisce su-bito: i tantissimi volti di ragaz-zi e giovani, che non sono gliabituali fedeli. Inoltre sonoin prevalenza maschi e moltivengono da fuori, dai paesi vi-cini. Sono venuti dagli oratoricon i loro don, che vedo nellefile riservate alle autorità reli-giose, o con le famiglie; pre-senti sono pure i sindaci deidue paesi, con la fascia trico-lore delle occasioni ufficiali.C’è fermento per gli ultimipreparativi: un andirivieni dicollaboratori, chi registra, chifotografa, chi controlla.

don Marco

Quando però don MarcoD’Agostino prende la parola esullo schermo appare il voltosorridente di Gianluca, il si-lenzio è profondo, totale, cari-co di attesa.Osservo da vicino le espres-

sioni dei tre testimoni: il sacer-dote, il fratello, l’amico.Don Marco parla con chia-

rezza della sua esperienza di prete edi amico. Lui, abituato a spiegare, ainsegnare, a interrogare in un liceo, inSeminario, ad organizzare e condurrecorsi ed approfondimenti biblici, sitrova a lasciarsi interrogare nel profon-do da Gian. Lo segue nella malattia at-

«GIANLUCA FIRETTISANTO DELLA PORTA ACCANTO»

Una testimonianza che interpella tutti, giovani e adulti, credenti e non… Un incontro che halasciato il segno.

Gianluca Firetti

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traverso messaggi e incontri frequenti,con le modalità dell’oggi, ma con laforza che viene da un altro Messaggio,dalla Parola che non passa.Nasce così l’idea del libro scritto a

quattro mani, ispirato da Gian, chevive i giorni ultimi della sua storiaterrena, affidato a don Marco, chetraduce in scrittura vita, sofferenza,emozioni, gioie (sembra un termineimpronunciabile in questo contesto),domande, pensieri, gesti dell’amico.L’alfabeto di Gian è fatto di paroleincredibili nella loro semplicità e au-

tenticità: i due amici lo concordanonelle voci essenziali ed ogni passag-gio è espressione della loro sintonia.Se ne rende conto chi legge “Spacca-to in due”, chi partecipa agli incontriche, dopo la morte, fanno rivivereGianluca in ogni angolo d’Italia.L’alfabeto di Gian è un capolavoro

di realismo e di apertura all’Oltre, divirtù teologali vissute nell’intimo epraticate nella sofferenza più atroce;don Marco sottolinea le lettere O e Tcome esempi illuminanti. Lui avevaproposto la parola “Occhi”, perché

avrebbe voluto parlaredi quelli belli e luminosidi Gian, il quale invecevuole che sia “Osteosar-coma”, il terribile tumo-re che lo ha colpito, adavere voce; così è per“Terapie”, parola preferi-ta a “Tè e Tisane”, cheavrebbero raccontato pau-se e momenti di amici-zia, di incontro con ami-ci e parenti.Ho parlato di realismo,

ma chiunque legga si ac-corge che non sono cru-dezza e disperazione adominare la narrazione,ma su tutto si riverberala luce della fede che ilgiovane sa far percepirea chi lo incontra.

Mi sembra efficace il taglio dato dadon Marco al proprio intervento: hafatto capire chi è Gian, ne ha riper-corso il cammino, ma ha sottolineatoanche il proprio cambiamento, inmeglio, come afferma nel libro. Cer-to per un sacerdote parlare di fedenelle omelie è normale: il confrontocon i testi sacri è abituale, parte delbagaglio formativo di un religioso,ma qui don Marco si è confrontatocon un ventenne, appartenente allagalassia giovanile con il suo linguag-gio e i suoi strumenti, che gli ponevadomande terribili e ineludibili.Ora quel libro è un vero testamen-

to spirituale; lo stesso Gian diceva dinon sapere quanto bene avrebbe po-tuto fare. Forse, invece, ne era consa-pevole, se è riuscito a dargli vita e af-flato, pur prostrato dalla malattia, seuna casa editrice prestigiosa come laSan Paolo ha dato l’assenso alla pub-blicazione in pochi giorni, se primache il libro arrivasse nelle librerie1500 copie erano già esaurite.Quando è stata proiettata un’im-

magine della firma del contratto daparte dei due autori e del brindisi se-guito in casa Firetti, molti hanno trat-tenuto a fatica la commozione.Don Marco ha poi raccontato che

il libro è stato dato anche a papaFrancesco, cui Gian aveva scritto unalettera, giunta a destinazione attraver-so il cardinale Comastri; anche dalsegretario del pontefice è arrivatauna telefonata a Gian, emozionato efelice. Proprio da un dialogo del pa-pa era venuta la bella espressione delsecondo libro: nella festa di Ognis-santi, aveva ricordato che ciascunodi noi può aver avuto accanto unsanto “quotidiano”, una persona chefa rilucere in sé la vita e la bellezzadi Dio. Don Marco non ha dubbi:Gian è eco e volto del Dio della vita.«Spaccato in due» ha raggiunto tan-

ta gente comune, che soffre negliospedali, nelle case, perfino nelle car-ceri, ha fatto riflettere e confrontarsiragazzi e giovani negli oratori, nellescuole. A molti ha dato la forza di sop-portare la propria condizione di solitu-dine, tragedia, dolore fisico e morale.Un episodio conferma quale im-

patto abbia l’alfabeto di Gian: donMarco si trovava una sera a Bozzolo,il paese di don Primo Mazzolari, perun incontro. Era tardi, una fitta neb-bia gravava sulla zona ed egli avevafretta di tornare a casa. Una signora

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don Marco D’Agostino prende la parola in San Giorgio di Eupilio, di fronte agiovani e adulti della comunità sant’Antonio M. Zaccaria (parrocchia diEupilio e Longone al Segrino)

parla al microfono Federico, fratello di Gianluca

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lo aveva seguito per parlargli, ma luicercava di accommiatarsi in modoun po’ sbrigativo. Ascoltando però lastoria della donna, che aveva tragica-mente perso il marito scomparso inmare, si è trovato a capire la “lezionedi Gian”, il quale si lasciava “spezza-re” e sapeva dare senso al dolore,che diviene accettabile se condiviso.Ancora una volta il sacerdote ha di-

mostrato che raccontare Gian è perlui anche interrogarsi sul proprio agirequotidiano. Solo così Gianluca puòparlare a tutti e a ciascuno può chie-dere di “camminare verso il sensopieno dell’esistenza”. Così lui ci puòessere amico nella dimensione del-l’eternità. Il suo pensiero sull’amiciziami sembra straordinario: uno stuolo dipensatori, poeti, scrittori ha scritto pa-role luminose e alte su questo tema,ma qui a parlare è un giovane, che vi-ve questo sentimento nelle due di-mensioni, quella orizzontale, terrenae concreta, ma comunque preziosissi-ma, quella verticale che approda aDio, in cui Gian sente (e il termine èil più vero!) la comunione con tutti.Sono immagini intense quelle scel-

te da don Marco per raccontareGianluca e per lui usare il presentenon è casuale. Incontrarlo è stato«sfogliare pagine di Vangelo» e nelmomento finale della sua esistenza ilsacerdote ha pronunciato una fraseche non richiede commento: «Tu,dono, sei riconsegnato a Chi ti ha do-nato a noi». Eppure anche per luinon è stato facile stare dentro quellasofferenza, se ha detto di sentirsi “ri-baltato” uscendo dalle visite al gio-vane amico, il quale chiedeva al Si-gnore di «smezzargli la croce». Unapreghiera sconvolgente, un’interces-sione che esprime tutta la potenzadel credere e dell’affidarsi.

Federico, il fratello

Un giovane che ricorda Gian neitratti del viso e con parole semplici,autentiche: ne esce un ritratto essen-ziale e tenero, dove la forza dell’af-fetto si coniuga con quella di una fe-de vissuta nel profondo, non ostenta-ta. Penso a quanto sia stato duro perlui accompagnare Gian nella malat-tia, continuando a vivere il presente,gli studi, gli impegni, eppure non unaparola è detta su di sé, sul propriodolore. Anche lui conferma tantiaspetti positivi e doti di quel fratello

di cui ha scoperto l’eccezionalità du-rante la malattia; eppure dice di nonaverlo mai considerato un malato, ag-giungendo un’espressione che lasciaattoniti: «Si sentiva un fuoco ardere incasa». Rileggendole sul taccuino do-ve le ho annotate, mi pare quasi diaver capito male. Mi ritrovo a pensa-re: «Che famiglia incredibile»! Capa-cità di affidarsi, stare nel presente,qualunque esso sia, non giudicarenessuno, anche se qualche amiconon se la sente di vederlo soffrire, go-dere delle piccole cose, valorizzareogni incontro, interessarsi degli altri,anzi renderli protagonisti. Questo hasaputo fare Gian e Federico lo rac-conta con una semplicità disarmante.Pure il rapporto con il mondo della

sanità, così spesso criticato e svilito,è da lui giudicato positivamente: me-dici, infermieri, pazienti e famiglie,tutti sono apprezzati per quanto han-no saputo dare al fratello e ai tantisofferenti.

l’amico Emanuele

Uno studente liceale, che sosterràa breve l’esame di maturità, dimostradi averne acquisita una che va benoltre test, prove e colloqui. Pochi mi-nuti permettono di apprezzarne lachiarezza, la forza, la consapevolez-

za di vivere un’esperienza di amici-zia straordinaria, che gli ha segnatola vita.Con brevi tratti ricorda il regalo a

Gian della medaglia, che aveva con-quistato in una gara nazionale dicanoa: era lui il campione vero, me-ritevole del premio per come stavacombattendo una lotta unica e irripe-tibile. È Gian che ha compreso l’es-senziale, ciò che veramente conta:l’Assoluto non è nello sport, nel suc-cesso, nel denaro, nella cultura, ma èDio, Colui che dà senso al vivere eforza per affrontare quella terribilesofferenza. Emanuele è alunno didon Marco e non ha conosciutoGian quando stava bene, giocava apallone o studiava, eppure conservadentro di sé lo sguardo di quando sisono incontrati per la prima volta, lapotenza, la dolcezza di quegli occhiche sembravano abbracciarlo. Ingi-nocchiarsi accanto all’amico chemuore è gesto istintivo, desiderio divivere un momento di cui ha perce-pito tutta la sacralità.

e “Adesso”?

Si potrebbe parlare a lungo di que-sta esperienza, dei libri di don Mar-co che fanno rivivere Gian, degli ol-tre 150 incontri che da Acerra a Bol-zano ne raccontano la straordinariastoria, di quanto è stato scritto dagiornali locali, ma anche da Avveni-re o Famiglia Cristiana. A lui è dedi-cata la canzone «Incontrando unamico», composta dai due seminari-sti: Gian ha potuto ascoltarla su unMp3 e apprezzarla, quando gli è sta-ta inviata, ma, quando gli è statacantata da loro, lui era già nella Lu-ce senza tramonto.Anche un pezzo teatrale, provoca-

torio ma liberatorio, ha come temal’osteosarcoma, il cancro di Gian; lorecita il suo autore alla presentazio-ne del libro «Spaccato in due», trale lacrime di molti perché lì c’è tuttoil dolore della sua famiglia e dellacomunità.Due trasmissioni su SAT 2000 han-

no contribuito a proiettare la storia diGian in un ambito più vasto e poitantissime persone pregano nel cimi-tero di Sospiro, nella chiesa e nel-l’oratorio dove lui è cresciuto. Si so-no recati in pellegrinaggio (si usanotermini improntati alla sacralità sen-za quasi accorgersi) anche tante per-

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Emanuele, amico di Gianluca si rivolge ai giovani della comunitàsant’Antonio M. Zaccaria

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sone della nostra comunità. Sono sta-ti momenti intensi di preghiera perbambini, ragazzi, giovani, adulti: tut-ti hanno compreso che non si trattadi ricordare un giovane che è morto,ma di far rivivere il senso profondodel suo esistere, il suo essere dono diDio per la sua famiglia, per la suacomunità e per l’intera Chiesa.Parlando di Gianluca ci si sente tra-

scinati in un vortice di bene: le suestesse parole sul libro si ripresentanonella loro verità, come quelle di donMarco. Sceglierle è difficile, perchésono tutte profonde e ciascuno le co-glie in modo personale, con risonanzeuniche, in rapporto al proprio vissuto.È stato così anche per me, ricor-

dando con tenerezza due ragazzi,che ora penso con Gianluca nellagioia infinita: Davide e Marzio han-no convissuto fin dalla nascita conpatologie gravi, ma non hanno maiperso il sorriso, la voglia di capire econoscere. Davide ha definito la vitaun dono, si è percepito forte comeuna quercia ed ora le immagini deldono e della quercia sono simboli diun’Associazione viva e operante, confinalità scientifiche e filantropiche;Marzio sognava di diventare giornali-sta ed ora vive nella Verità e nella Pa-rola che non hanno smentite.Aprendo il libro «Spaccato in due»,

ho guardato a lungo le prime parole:

Sospiro (Cremona) via Donatori delsangue 2/a, 6 gennaio 2015. Dati ap-parentemente isolati, di cui non capivola forza di attrazione. Il paese, dal no-me evocativo, contiene la parola spiro,che dice il principio vitale, la via è inti-tolata a chi dona il sangue, dono di sé

quanto mai prezioso, il 6 gennaio è fe-sta dell’Epifania, manifestazione di Dioa quei Magi che simboleggiano ogniuomo in ricerca. Oro, incenso, mirrami appaiono adatti alla storia di Gian,«saggiato come oro nel crogiolo e gra-dito come perfetto olocausto», conl’incenso, che segna la sacralità delcommiato cristiano, la mirra, simbolodel lungo patire di Gianluca, icona ful-gida del Dio di cui è dono.E Adesso? Mi si ripresenta la do-

manda. Che cosa cambia in chi neascolta la storia, in chi legge i libri,partecipa agli incontri? Non bastanole emozioni momentanee. Ciascunodovrebbe essere migliore: un sacer-dote, più capace di stare accanto achi soffre, un amico, più attento esensibile, un figlio, più grato, un ge-nitore, più presente… Ognuno po-trebbe cominciare a valorizzare l’og-gi, vivendolo con intensità e maggiorconsapevolezza.Qui siamo nella prospettiva del de-

siderio, ma con le parole di don Mar-co entriamo in quelle della fede.«Ecco il seme è stato gettato e biso-

gna solo attendere che l’unico Semina-tore faccia crescere il chicco depostoin ciascuno».

Adriana Giussani

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lapide della tomba di Gianluca nel cimitero di Sospiro (CR)

Comunità pastorale sant’Antonio M. Zaccaria in visita a Sospiro, accompagnatadal parroco p. Damiano Esposti