Gianfranco Perri su Senzacolonne

102
GIANFRANCO PERRI su SENZACOLONNE 5 Febbraio 1999: Intervista di Giovanni Membola a Gianfranco Perri 1 Luglio 2011: Intervista di Paola Bari a Gianfranco Perri 2 Agosto 2011: Io brindisino catapultato nella mitica Isola di Wigth 2 Agosto 2011: “I Marines”: dall’Estoril alle pagine di Facebook 30 Agosto 2011: Cari ragazzi bisogna lottare per emergere 14 Settembre 2011: Un Sindaco può fare davvero la differenza 11 Ottobre 2011: Quando suonavamo alla Base USAF, viaggio nel futuro 11 Novembre 2011: Brindisi, perla in un pianeta di bellezze 9 Dicembre 2011: Lima e Brindisi città di pescatori e cultura culinaria 3 Gennaio 2012: Un anno fa nasceva “Brindisini la mia gente”: il bilancio 1 Febbraio 2012: Il Monumento chiama, ma Brindisi non risponde 3 Marzo 2012: Musicisti Brindisini: Valanga di emozioni al I° Raduno 11 Luglio 2015: A 100 anni dalla tragedia della corazzata Benedetto Brin 1 Marzo 2016: 100 anni fa arrivarono a Brindisi i MAS 13 Agosto 2016: Il racconto di un brindisino alla corte di Fidel Castro 4 Novembre 2016: 100 anni fa nacque l’idroscalo di Brindisi Gianfranco Perri Racconta 50 foto di Brindisini la mia gente 2012 Gianfranco Perri Schegge di storia brindisina 2013

description

Interviste ed articoli di Gianfranco Perri pubblicati sul quotidiano "Senzacolonne" di Brindisi

Transcript of Gianfranco Perri su Senzacolonne

Page 1: Gianfranco Perri su Senzacolonne

GIANFRANCO PERRI su SENZACOLONNE

5 Febbraio 1999: Intervista di Giovanni Membola a Gianfranco Perri 1 Luglio 2011: Intervista di Paola Bari a Gianfranco Perri 2 Agosto 2011: Io brindisino catapultato nella mitica Isola di Wigth 2 Agosto 2011: “I Marines”: dall’Estoril alle pagine di Facebook 30 Agosto 2011: Cari ragazzi bisogna lottare per emergere 14 Settembre 2011: Un Sindaco può fare davvero la differenza 11 Ottobre 2011: Quando suonavamo alla Base USAF, viaggio nel futuro 11 Novembre 2011: Brindisi, perla in un pianeta di bellezze 9 Dicembre 2011: Lima e Brindisi città di pescatori e cultura culinaria 3 Gennaio 2012: Un anno fa nasceva “Brindisini la mia gente”: il bilancio 1 Febbraio 2012: Il Monumento chiama, ma Brindisi non risponde 3 Marzo 2012: Musicisti Brindisini: Valanga di emozioni al I° Raduno 11 Luglio 2015: A 100 anni dalla tragedia della corazzata Benedetto Brin 1 Marzo 2016: 100 anni fa arrivarono a Brindisi i MAS 13 Agosto 2016: Il racconto di un brindisino alla corte di Fidel Castro 4 Novembre 2016: 100 anni fa nacque l’idroscalo di Brindisi

Gianfranco Perri Racconta 50 foto di Brindisini la mia gente 2012

Gianfranco Perri Schegge di storia brindisina 2013

Page 2: Gianfranco Perri su Senzacolonne
Page 3: Gianfranco Perri su Senzacolonne

GIANFRANCO PERRI su SENZACOLONNE

CONTENUTO

5 Febbraio 1999: Progetta il Metrò di Caracas sognando Colonne e Sciabiche

1 Luglio 2011: Il progettista di tunnel arrivato da Caracas

1 Luglio 2011: La Brigata dei Brindisini riaccende il Tempietto

2 Agosto 2011: Io brindisino catapultato nella mitica Isola di Wigth

2 Agosto 2011: “I Marines”: dall’Estoril alle pagine di Facebook

30 Agosto 2011: Cari ragazzi bisogna lottare per emergere

14 Settembre 2011: Un Sindaco può fare davvero la differenza

11 Ottobre 2011: Quando suonavamo alla Base USAF, viaggio nel futuro

11 Novembre 2011: Brindisi, perla in un pianeta di bellezze

9 Dicembre 20: Lima e Brindisi città di pescatori e cultura culinaria

3 Gennaio 2012: Un anno fa nasceva “Brindisini la mia gente”: il bilancio

1 Febbraio 2012: Monumento a rischio: acqua nel sottosuolo lo indebolisce

3 Marzo 2012: Musicisti Brindisini: Valanga di emozioni al I° Raduno

8 Marzo 2012: Foto sorrisi & canzoni dei Musicisti Brindisini

2012: Gianfranco Perri Racconta 50 foto di Brindisini la mia gente

2013: Schegge (6) di storia brindisina

11 Luglio 2015: A 100 anni dalla tragedia della corazzata Benedetto Brin

1 Marzo 2016: 100 anni fa arrivarono a Brindisi i MAS

13 Agosto 2016: Il racconto di un brindisino alla corte di Fidel Castro

4 Novembre 2016: 100 anni fa nacque l’idroscalo di Brindisi

Page 4: Gianfranco Perri su Senzacolonne
Page 5: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Venerdí 5 Febbraio 1999

Page 6: Gianfranco Perri su Senzacolonne

24 VENERDÌ 1 LUGLIO 2011

di PAOLA BARI

BRINDISI – Ha progettato lamaggior parte delle gallerie emetropolitane del Venezuela,insegna nell’università diCaracas in Venezuela, la sua con-sulenza è preziosa per molti inge-gneri sudamericani ma la sua piùgrande invenzione, senza nullatogliere alle altre, è quella che haprogettato e realizzato a maggioscorso: un libro che racchiudefoto e commenti di facebook delgruppo a cui appartiene“Brindisini la mia gente”. Autoredi tutto questo è il 60enneGianfranco Perri, brindisino esudamericano allo stesso tempo.Ieri, in occasione dell’incontro altempietto di San Giovanni alSepolcro, con la maggior partedei membri del gruppo virtualeha presentato il suo nuovo pro-getto: un libro di 260 pagine cheracconta quello che in pochi mesiè accaduto su unabacheca virtualenata quasi per casocon lo scopo di rac-contare quelle chesono state le abitudi-ni dei brindisini nelcorso degli anni etrasmetterle, anchesolo per conoscenza,alle nuove genera-zioni. Per non farlemorire. Gianfranco Perri hafatto molto di più:foto e relativi com-menti li ha stampati eracchiusi in un librobloccandoli, quindi,per sempre. Perri ha lasciato la suacittà natale all’età di18 anni dopo aver con-seguito il diploma.Progettare è semprestato il suo più grande sogno. Si ètrasferito a Torino dove ha studia-to al politecnico laureandosi cin-que anni dopo come ingegnereminerario. Ha iniziato a lavorare come assi-stente universitario. Nel 1975 haconosciuto sua moglie che daCaracas in Venezuela era giunta aTorino per un master universita-rio. I due si sono innamoratiquasi subito ma come accade inquasi tutte le belle storie d’amo-re, lui è partito dopo soli tre mesiper l’Ecuador, in A rica, per in-

gnare nel olitecnico diGuayquill nell’ambito delServizio Civile. L’amore tra la venezuelana e ilbrindisino non è finito, i due sonoconvolati a nozze meno di unanno dopo. Gianfranco Perri ha proprioseguito il suo cuore rinunciandoall’insegnamento nel olitecnicodi Torino, dove era stato chiama-to alla fine del Servizio Civile. Si

ètrasferito a Caracas (la capitaledel Venezuela) proprio nel perio-do in cui stava nascendo lametropolitana e ha fatto parte delteam di progettisti. Da allora haavuto solo un’escalation di suc-cessi arrivando a progettarenumerose gallerie del SudAmerica. Da sua moglie ha avuto tre figli:Juan Francisco 35 anni che oggivive a San Francisco inCalifornia, Andreina che oggi necompie 32 e vive a Miami negliStati Uniti e Robert 29 che hamesso dimora a Madrid inSpagna. Perri la sua Brindisi non l’ha maidimenticata. Ci è tornato almenotre volte l’anno conciliandoimpegni di lavoro e di svago. “Diciamo che le scuse me le sonocreate. Non potevo vivere senzavedere la mia terra, i miei fami-gliari e i miei amici per diversimesi. Ci sono tornato tutte levolte che ne ho avuto la possibi-

lità”. Poi nella sua vita è entrato ilgruppo “Brindisini la mia gente”invitato dal fondatore brindisinoRaffaele Mauro. Per mesi e mesi Perri e altri otto-cento utenti hanno condiviso fotod’epoca e scambiato battute. Inpoco tempo le tradizioni brindisi-ne sono state riportate tutte allaluce. “Qualcuno ha proposto di stam-pare tutte le foto che stavamopubblicando ma non ci ho vistonulla di nuovo in questo così hopensato che potevo si stampare,ma corredare ogni immagine coni commenti che sono stati scrittisotto”. In due mesi l’idea si è materializ-zata. Il libro si chiama esattamen-te come il gruppo virtuale, ha unacopertina rigida di colore blu eviene continuamente aggiornato. “Chi lo vuole può ciccare suwww.lulu.com, inserire il nomenella ricerca e scegliere le opzio-ni di stampa. Ci sono diversiprezzi, per tutte le tasche”.

Nella Brigata anche Gianfranco Perri,brindisino divenuto grande inVenezuela

Ha raccolto in un libro il meglio delle foto e dei commenti della pagina «Brindisini la mia gente»

Gianfranco Perri,a sinistra Perri con la sua famiglia

Gianfranco Perri che presenta il suo progetto

Un membro del gruppo che sfoglia il libro

Il progettista di tunnelarrivato da CARACAS

Page 7: Gianfranco Perri su Senzacolonne

VENERDÌ 1 LUGLIO 2011

Eccoci qua, con le sediedisposte in circolo.Doveva essere proprio

così 80 anni fa, esattamente digiovedì, tutti intorno a donPasqualino Camassa e al lettera-to di turno, a parlare di Brindisie di brindisinità. Il tempietto diSan Giovanni al Sepolcro erapiù buio e polveroso, un po’museo, un po’ chiesa sconsacra-ta, le luci basse delle candele e ipartecipanti che ostentavanoorgogliosamente il bottoncinocolorato della “Brigata brindisi-na amatori storia e arte” fusonelle iperattive fabbrichette chein quel periodo stampavanochincaglierie ben più lugubridettate dai gerarchi fascisti.Quello stesso bottoncino cheostenta stasera, invidiato datutti, Giancarlo Cafiero, inven-tore dello storico negozietto “LaValigia delle Indie”, depositariodi mille gadget originali eimbattibile declamatore di poe-sie dialettali.La brigata di “Brindisini la miagente”, nata quasi per caso suuna pagina web e poi autoali-mentatasi a suon di foto e ricor-di tanto da diventare un fenome-no unico, quasi da studiare, siritrova in quello che fu un miste-rioso emblema dei CavalieriTemplari. Oltre cinquanta con-venuti, alcuni da luoghi lontanie ameni nei quali vivono conorgoglio e nostalgia la loro brin-disinità, altri ordinari utenti diuna città che sta cambiando eche non vogliono far dimentica-

re.Accanto all’ingresso, vicino allibro delle firme, i flash sonotutti per l’ospite d’onore dellaserata, il pupazzo del “cinesino”che per un quarto di secolo haoscillato la testa nella vetrinadel negozietto greco “Athene”,in un angolo di corso Garibaldi.Il movimento del capo è menodeciso, complici gli acciacchidell’età, ma quello sguardomagnetico e l’eleganza sono

esattamentegli stessi.T a l m e n t eirraggiungi-bile era untempo cheoggi nessu-no si azzardaa sfiorarlo,c o m p l i c eanche l’at-tenta sorve-glianza della

signora Giovanna Barutis che loha ricenuto in eredità dallamadre e che non lo ha maiceduto, nonostante insistenti eallettanti proposte.Dallo sparuto gruppo delprimo incontro la Brigata siallarga e il fondatore Cosimo

Guercia tiene un’emozionatapresentazione cui fa ecoRaffaele Mauro che ha vinto lapersonale scommessa con chi

scrive. Era sicuro che sareb-bero stati più di cinquanta

a varcare la soglia deltempietto e così è stato.

Gianfranco Perri,appena sbarcato daCaracas, presenta illibro in cui ha rac-colto pagine e fototratte dalla pagina diFacebook (ma neparliamo in un altroarticolo).

Poi l’elenco degli obiettivi daraggiungere e delle campagneda alimentare. Mauro sollecitala creazione di un fondo perl’adozione di un monumentodimenticato. E suggerisce lagrotta dell’Eremita, dislocata suun isolotto minore dellePedagne. Anche chi scrive hauna proposta per integrarel’operazione di recupero: benele foto, con integrazione deicommenti e ricordi, maFacebook è uno strumentoafono, nel quale non c’è voce. Einvece stiamo perdendo l’abitu-dine di parlare il vero dialettobrindisino, un tempo bollatocome la lingua degli analfabeti esempre più messo da parte sinoa essere dimenticato e “imba-stardito” . Il dialetto brindisino,questa la proposta, deve diven-tare la lingua ufficiale dellaBrigata, per fare in modo che ipiù anziani possano trasmetter-ne vocaboli e cadenze prima cheessi vadano persi per sempre.La Brigata ha un’altra forza, la

p r e s e n z anelle sue filadei ragazzidel GruppoA r c h e o .Sono loroche fornisco-no spessorestorico algruppo e inquesto casoi l l u s t r a n ocon sempli-cità e chia-rezza lemeravig l ied e lTempiet to ,piccolo gio-iello chea n d r e b b evalorizzato.Un miscu-glio di stilie sovrappo-

sizioni, con la domus romanache scorreva sotto e i cui mosai-ci sono visibili da una specie difinestrone rotondo che si trovaal centro del tempio e che hapreso il posto della fonte battesi-male la quale, udite udite, altronon era che la Fontana de Torresoggi si trova al centro di piazzaVittoria. Nel giardinetto esternoche circonda l’originario ingres-so, laterale al prospetto princi-pale, c’è un frammento dellaTorre dell’Orologio, monumen-to alla memoria del patrimonioche abbiamo distrutto.I versi declamati da GiancarloCafiero, che ha ripreso un’anticapoesia dialettale scritta proprioall’interno di quel tempietto,sono una sorta di cartolina fina-le. Saluti da Brindisi.

Gianmarco Di Napoli

Ottant’anni dopo Camassa,a San Giovanni al Sepolcro cenacolo di brindisinità

Icomponenti del gruppo nato sul web si ritrovano per un incontro di conoscenza e programmazione

LaBrigata dei Brindisiniriaccende il Tempietto

Da sinistra Gianfranco Perri, Gianmarco Di Napoli, Raffaele Mauro e Cosimo Guercia (Foto Gianni Di Campi)

Giovanna Barutis,la proprietaria dello storico cinesino con la testa oscillante

Unmomentodell’incontro nel suggestivo tempietto

Page 8: Gianfranco Perri su Senzacolonne

MARTEDÌ 2 AGOSTO 2011

16

BRINDISI - Il gruppoFacebook “Musicisti brin-disini 50 - 60 - 70“ è unaenciclopedia di vite.Scorrere i cent inaia dilink permette di conoscerestorie, situazione e circ o-s tanze .I l tutto r igorosamenteimperniato sul poteredella musica.Sull’ascendente di unmezzo che in quegli annifu in grado di mutare l egeneraz ion i e i l l oroapproccio col mondo.Non è possibi le conoscerea pieno la mentalità e lemutazioni di quel periodose non attraverso i raccon-ti di chi l ’ha vissuto.Preziosa è, per l ’occas io-ne , la test imonianza diGianfranco Perri, uno deidue fondatori del grupposu Facebook che , condovizia di particolari rac-conta la sua esperienzaall’Isola di Wi g h t .Lì i l 31 Agosto del 1969s i svolse i l ce lebre con-certo dell'Isola di Wi g h t(immortalato anche in unafamosa canzone dei DikDik, quella che recitava:"Sai cos 'è l ' Isola diWight.. .?") con la part e c i-pazione di Bob Dylan, cheprovocò molto rumore. UnDylan che era assentedalle scene dai tempi delsuo incidente motocicl i-s t i c o a Wo o d s t o c k n e lquale corse il rischio diperdere la vita .«Il giorno prima - scriveGianfranco Perri - Brigid erapartita in volo per Francoforte,un’ultima tappa prima di rien-trare a casa nel Wisconsin altermine della sua lunga estateeuropea.

Durante le ultime tre settimaneavevamo attraversato mezzaEuropa in autostop: -da Como,dove c’eravamo fortunosamen-te e fortunatamente incontrati, -a Dublino, tappa obbligata delnostro girovagare per la suanatale e “sempreverde” Irlanda,-e sui traghetti, prima da Calé aDover, poi da Swansea aRossiare e quindi da Dublin aHolyjead, da dove finalmenteridiscendemmo fino a Londra,meta finale di quello che era ini-ziato con la prospettiva di esse-re un fugace percorso comune eche, invece, si doveva poi rive-lare essere stato un episodiopieno di contenuti cosí intensida aver possibilmente segnatole nostre giovani personalitá eda aver inciso il tragitto stessodella nostra maturità. Ma questaé tutta un’altra storia, tanto

emozionantemente bella, quan-to incredibilmente venturosa.Avevo accompagnato Brigidall’aereoporto di Gatwick, siaperché non avevo in assolutomolti altri impegni da adempie-re, sia perché era il meno chepotessi fare dopo i tanti giorniin cui c’eravamo simbiotica-mente accompagnati, e sia per-ché volevo fare un riconosci-mento diretto del territorio,visto che dopo qualche giorno,il 1° settembre, sarei dovutopartire io da quell’aereoportoper Milano. Fin dalla mia partenza daBrindisi in autostop un meseprima infatti, quel volo di ritor-no aveva costituito il miounico ed improrogabile impe-gno. Tutto il resto avevo decisoche dovesse essere un’agendaassolutamente aperta e anzi,

meglio, un’agenda aperta adaccogliere ogni eventuale espe-rienza che potesse contribuiread appagare l’incontenibilevoglia di allargare ed allungarequei miei ancora troppo limita-ti orizzonti di “quasi” venten-

ne.Da Brindisi ero partito in auto-stop da solo, ma con il chiaroobiettivo di non trascorrereneanche un solo giorno del mioviaggio da solo, e cosí era statofin dall’inizio e quindi, quandolo stesso giorno della partenzadi Brigid incontrai un ragazzotedesco che come me faceval’autostop, cominciammo achiacchierare e impiegammonon piú di dieci minuti a decide-re di fare un pezzetto assieme.Quel ragazzo, Franz, mi avevainfatti da subito impattatopositivamente. Avendo ricono-sciuto che ero italiano daldistintivo che era cucito ed inbella mostra sul mio zaino,dopo solamente un primo salu-to e con espressione gioviale,

non aveva esitato a chiedermise avessi visto in televisionela memorabile semifinale delMondiale di Messico 70 tra laGermania e l´Italia, proprioquella partita che solo pocopiù di un mese prima avevavinto rocambolescamentel´Italia di Riva Rivera eMazzola per 4 a 3 ai tempisupplementari. Era stato lui a parlarne e non

io! E lo aveva fatto per rac-contarmi della sua desolazio-ne di quella lunghissimanotte per la sconfitta dellasua Germania e, mantenendosempre la stessa espressionesolare, per congratularsi conme per la vittoria della miaItalia, e per commentarmicon allegra eccitazione edabbondanza di dettagli tuttigli episodi piú esaltanti di

quella partita. Che bella lezioneda quel giovane coetaneo tede-sco!Ebbene, senza portarla ancoraper le lunghe, arrivo al dunque:Franz era diretto a

Il racconto di Gianfranco Perri e del suo viaggio per assistere all’evento del 1969

I Marines in concerto: Enzo Macchi, Luigi Sciarra, Sergio Serse,Gianfranco Perri e Antonio Volpe

Col simbolo della pace al collo

«Arrivai lì facendo autostop.E mi ritrovai in una situazione che riassumeva tutto quello che erano i giovani di allora»

«Io,brindisino catapultatonella mitica Isola di Wight»

1970

Page 9: Gianfranco Perri su Senzacolonne

MARTEDÌ 2 AGOSTO 2011

15

I

Southampton, perché dovevaimbarcarsi per l’Isola diWigth, perché voleva andare al“festival”, che sarebbe statoun festival cento volte piúbello di quello che l’annoprima c’era stato a Woodstokin California, che ci sarebberostati Jimi Endrix, JimMorrison, Joan Baez, e ...A me quel nome “Wigth” inquel momento non mi avevadetto nulla, ma quello diWoodstok si, e naturalmentequelli di Hendrix, Morrison eBaez, ancor piú. Ed allora, ...Ma quando finisce sto festival?Il 30 o il 31. Ma il 1° settem-bre devo essere all'aeroporto!Perfetto, allora posso lasciarel’Isola di Wigth il 30 e quindi,... Franz ci vengo anch’io! Quella notte dormimmo insacco a pelo nella sala d’aspet-to di una stazione ferroviaria apochi chilometri daSouthampton, dove ci avevascaricato l’ultimo passaggiodella giornata.Il giono dopo ci imbarcammoper l’isola. Il 30 al mattino,prima che il festival finisse,tornai indietro, ed il 1° settem-bre abbordai il mio volo daGatwick per Linate: il mioprimo volo commerciale dopoquei voli che su aeroplani mili-tari ad elica avevo fatto dabambino di 7 e 8 anni, dall'ae-roporto di Brindisi accompa-gnato da mio padre, militaredell'aeronautica.Il mio amico Franz si volle fer-mare fino alla chiusura delfestival. Si diceva che alla fineavrebbero anche cantato IBeatles. Non fu cosí, anche se

sembra che alcuni di loro cisiano stati mimetizzati tra ilpubblico. Franz dovette aspettare ben tregiorni prima di potersi imbar-care per Southampton e, deipiú di cinquecentomila chec´eravamo stati, non fu certotra gli ultimi a poter lasciarel’isola.E per riassumere in pocheimmagini quell’ East AftonFarm di fine agosto 70 sul-l’isola di Wight: “campi aper-ti, spazi immensi, tende e sac-chi a pelo, bandiere insegne esimboli, capelli lunghi e gran-de varietà di barbe, nudità esi-bite, fumo e fumi, notti inbianco e... tanto verde tutt’at-torno e per tutti noi”. Definitivamente non si trattòsolo di una grande rassegnamusicale, e certo di talenti nonne mancarono, ne in quantitànè in qualità, ma si trattòsoprattutto di un evento desti-nato ad assurgere a vero e pro-prio manifesto di una genera-zione, di quel periodo in cui isogni di libertà viaggiavanoanche lungo i binari dellamusica.Gli anni 60, vissuti all’inse-gna della terna “music peaceand love”, non avevano potu-to incontrare un miglior palco-scenico per il proprio attoconclusivo. Sintomatici diquella fine dovevano infattirivelarsi le tragiche morti, diJimi Hendrix da lí a pochigiorni, di Joplin Janis nell’ot-tobre dello stesso 70, e di JimMorrison solamente un annodopo.

L’Orchestra Carito.Il maestro Riccardo Carito è quello seduto che impugna la tromba

Alcuni giovani durante il concerto all’Isola di WightComo Dublin London Wight

fish & chips

Page 10: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Imusicisti brindisini degli anni ‘60hanno un “gruppo“ su internet

MARTEDÌ 2 AGOSTO 2011

di MARIO ANTONELLI

BRINDISI - E’ finita l’epocadei genitori che sgridano i figliper il troppo tempo passatodavanti al computer.Testimoni di questa fase sono iragazzi degli anni ‘50, ‘60 e‘70 che hanno “scoperto“ lamagia di Facebook e del grup-po fondato lo scorso 24 luglioda Gianfranco Perri e NicolaPoli.“Musicisti brindisini Anni 50- 60 - 70“ in meno di diecigiorni è diventato un fenome-no.Un terminale di commenti,foto, opinioni, scambi.Il tutto condito da nostalgia eprofessionalità.La nostalgia è quella (ine-vitabile) di chi queglianni li ha vissuti daprotagonista calcando ipiccoli grandi palcosce-nici della provincia.La professionalità è diquegli stessi protagonistiche la musica la vis-sero (e molticontinua-no af a r l o )c o m eu n am i s -sione.

Approfondendola, praticando-la, esportandola e soprattutto,amandola.Ma l’approdo virtuale rappre-sentato dal gruppo in questio-ne è, anche e soprattutto, unaenciclopedia “vivente“ pertutti coloro che voglionosaperne di più.Non è difficile respirare gliodori e ascoltare i suoni del-l’epoca anche solo sfogliandole fotografie.Ne vengono postate a decineogni giorno. Tutte rigorosa-mente con didascalia, com-menti e approfondimenti tec-nico musicali.Osservazioni sulle formazioni,sugli strumenti musicali uti-lizzati e sui locali in cui ci si

esibiva.Un campionario

for -

midabile di nomi, cognomi,complessi musicali e storiepersonali che si intreccianoall’infinito.C’è una grande regia dietrotutto questo.C’è il genio di due brindisinidoc.C’è l’impegno e la passione diGianfranco Perri, 60 anni (dal1978 professore di ́ Progetto diGallerie´ alla Ucv di Caracas) edi Nicola Poli, professore emusicista (con alternanza tra ledue professioni senza soluzio-ne di continuità).E per comprendere a fondo lospirito che ha animato la crea-zione del gruppo su Facebookè obbligatorio riportare ilmomento clou. Quello che hafatto scattare la scintilla.

«Conosco Nicola Poli - rac-conta Perri - da quando, tutti edue poco piú che adolescentibrindisini, nei primi anni 60ci siamo inevitabilmenteincontrati in quanto apparte-nenti al quel mondo specialeed epocale dei ¨complessibeat¨, sorti numerosi anche aBrindisi sull´onda degli alloraattualissimi Equipe 84,Nomadi, Camaleonti, Rokes,Giganti, ecc. e, naturalmente,dei un po' piú lontani Beatlese Rolling Stones.«Ci siamo da poco ritrovati aBrindisi, non piú sessantinima giá sessantenni, grazie alfamoso gruppo Facebook

¨Brindisini la miagente¨. E poi da líé stato tutto faci-le, immediato etravolgente». Il termine “tra-volgente“ nonè utilizzato acasaccio.D a l

giorno stesso in cui il gruppoè stato fondato le richieste di“amicizia“ (termine ben cono-sciuto dagli avvezzi ai socialnetwork) è aumentato inmaniera esponenziale.Non potrebbe essere altrimenticonsiderata la verve e l’entu-siamo che i due fondatori met-tono ogni giorno nella gestio-ne del gruppo.Lo si percepisce anche da unodei primissimi post di Perri incui si riassume il motivo ispi-ratore del gruppo."Ho accettato con tanto piace-re, per la bellezza dell´idea, maanche con tanta preoccupazio-ne, per il grande impegno,l´invito del grande musicistabrindisino, amico Nicola Poli,a fondare questo nuovo gruppo

fb dedicato a quein u m e r o s i s s i m inostri concittadiniche hanno alimen-tato quella bellissi-

ma e lunga stagionemusicale brindisina

a cavallo tra glianni 50 e glianni 70, pas-sando per ifavolosissimied incredibil-

mente proli-fici anni 60.Quegli anni incui piú generazio-ni di giovani, espesso ragazzi edadolescenti brindi-sini, abbiamo scel-to con spensieratez-za entusiasmo gene-rositá e passionel´avventura di vivere

la vita, o perlomenouna parte di essa,

I Delfini: Gino Croce (batteria) - Giacinto Modesto (tromba), Enzo “Ray“ Antonazzo (pianoforte), Lillino Del Prete (contrabasso), Mimmo Giampietro (chitarra).

La formazione dei Marines (dal 1964 al 1969): Enzo Macchi, LuigiSciarra, Sergio Serse, Gianfranco Perri e Antonio Volpe

14

“I Marines“:dall’Estorilalle paginedi Facebook

Page 11: Gianfranco Perri su Senzacolonne

MARTEDÌ 2 AGOSTO 2011

BRINDISI - I Normanni, IModerni, I Marines, LeMeteore, I Jolly, I Visconti, GliAdriatici, Le Vedette, I Cast 68,Gli Anonimi, I Sofisti, I Vamss,I Liceum, I New Crickets,Gianni D´Errico, La VogliaMatta e chissà quanti altri.Ognuna di queste band è vissutae ha alimentato la correntemusicale brindisina.Erano gli anni in cui i musicistierano tutti, rigorosamente ele-ganti.Erano gli anni in cui ci si esibi-va quasi ingessati in pochissi-mi centimetri quadri.Più che le immagini di chitarri-sti, bassisti e batteristi, aimpressionare sono le immagi-ni dei tastieristi (o organisti,come nel caso dei Normanni, laformazione che vedeva all’orga-no Hammond Mario Scotto, ilfuturo presidente della BartoliniBasket e attuale patron di PugliaTv). Nel loro caso gli strumentierano per davvero antesignani.E poi la contestualizzazionedelle foto. Quella qui accantoche immortala “I Moderni“ nel1965.La formazione principale dellaband è fotografata sui gradinidella scalinata “Virgilio“.Nicola Poli, Rino Fusco,Tonino Fusco e Tonino Magno,posano con lo sguardo sognan-te puntato verso CanalePigonati.Una foto simbolo, dall’altissi-

mo tasso di brindisinità che tra-suda di quel sogno di cui centi-naia di musicisti brindisini sisono nutriti in quegli anni.Proprio come i giovanotti dellafoto piccola qui a sinistra.«Alla chitarra e basso TriesteArganese, batteria ToninoFusco, fisarmonica PinoCervellera, chitarra accompa-gnamento Enzo Di Latte»Immortalati durante un concertopresso il dopolavoro ferrovia-rio. E sul gruppo Fb di Perri ePoli è possibile provare il bri-vidino tipico della nostalgia,non solo per i volti di cari amicimagari cambiati dal tempo, maanche per piccoli (fondamenta-li) dettagli tecnici per i puristi.

Proprio come fa notare uno deipiù assidui frequentatori delGruppo, Antonio Fox cheosserva: «Notare come si anda-va a suonare in quei tempi. l'am-plificazione consisteva in unamplificatore su cui erano attac-cati: microfono chitarra e fisar-monica. Il basso su un piccoloamplificatore».E da oggi il viaggio virtualeiniziato su Facebook continue-rà tra queste pagine.L’obiettivo è quello di seguirel’evoluzione dle gruppo e dinarrare, band per band, voltoper volto, canzone per canzone,la magia di quegli anni brindisi-ni».

Mario Antone l l i

Nicola Poli e Gianfranco Perri al timone di un’avventura multimediale avvincente

Gianfranco Perri nel 1966

Decine di band musicalie tante storie da riscoprire

facendola scorrere lungo ibinari della musica.Certamente non sono man-cati i talenti, né in quantitáné in qualitá, ma si é tratta-to soprattutto di una spon-tanea e genuina manifesta-zione della gioia di vivereche in moltissimi abbiamofortemente voluto speri-mentare. Spero quequest´idea piaccia a molti, eche molti contribuiscano arenderla una bella realtà,con il proprio indispensabi-le contributo.«Sono trascorse due setti-mane appena, il successo éstato straordinario, questisono i numeri, scarni macerto eloquenti: ¨100 iscrit-ti, 150 fotografie, 1000commenti¨. I cento amici:straordinari, le 150 fotogra-fie: stupende, i 1000 com-menti: meravigliosamentegenuini ed assolutamentesentiti».Inevitabilmente il gruppo“Musicisti Brindisini“ rap-presenta anche una sorta dipunto di incontro per vecchiamici che, altrimenti, nonsi sarebbero mai ritrovati.«Quanti amici abbiamoritrovato, anche se tanti diloro purtroppo non ci sonopiú, e poi, tantissimi icomplessi segnalati e ricor-dati, che furono allegria eche fecero epoca, tanto dafarci ancora inorgoglirecome musicisti e soprattut-to come brindisini:un´enormitá di ricordi, diamicizie, di passioni, dibuona musica, di bravi can-tanti, di bravi musicisti e dipiccoli e grandi talenti. «Peró mancano ancoraall´appello tanti di quegliamici e molti di quei com-plessi brindisini che tra glianni 50, 60 e 70 hanno pre-gnato di allegria e di sereni-tá la nostra città, costituen-do per la qualitá e la quanti-tá degli attori, uno straordi-nario fenomeno di costumeurbano. Siamo sicuri cheanche tutti gli altri amicirisponderanno all´appello esi uniranno al gruppo. ENicola ed io stiamo giápensando a come prolunga-re ed allargare questamagnifica esperienza, acome renderla ancora piúbella e completa: un incon-tro, una mostra o un libro».

L’intuizione geniale di due vecchi amici (e musicisti)

Gianfranco PerriNicola Poli,nell’angolo di casa sua dedicato alla musica

15

I Moderni " nel 1965 Nicola Poli (chitarra solista) Rino Fusco (chitarra ritmica) Tonino Fusco (batteria) eToninoMagno (basso)

Alla chitarra e basso Trieste Arganese,batteria Tonino Fusco,fisarmo-nica Pino Cervellera,chitarra accompagnamento Enzo Di Latte

Page 12: Gianfranco Perri su Senzacolonne

12 MARTEDI’30 AGOSTO 2011

Via da Brindisi. Una strada chenella toponomastica non esiste eche però è la più popolata dabrindisini. Via da Brindisi rac-coglie tutti quelli che, per sceltao per necessità, hanno lasciatoBrindisi e vivono in altre cittàdell’Italia o del mondo. Daqualche giorno Senzacolonnediffonde via internet, gratuita-mente, la versione digitale inte-grale del giorno precedente. E’un modo in più per ricomporrequesta fantastica comunità chepulsa di brindisinità e che hadiritto di essere informata di ciòche avviene nella sua terra.Riteniamo fondamentale il con-tributo di questi brindisini per-ché spesso da lontano si ha lapossibilità di esaminare conmaggiore obiettività ciò cheavviene in questa città. Tra ibrindisini che vivono lontano,molto lontano, c’è GianfrancoPerri. Abbiamo già parlato dilui qualche mese fa: ingegnere,docente universitario, proget-tista e consulente di gallerie eopere sotterranee, Segretariodella Società Venezuelana diOpere Sotterranee. Ma soprat-tutto innamorato della suaBrindisi che segue constante-mente via Internet. Per il suolavoro è in giro per il mondo edè da lì, dal mondo, che gli abbi-amo chiesto di inviarci rifles-sioni e impressioni su Brindisi ei brindisini. Quella che segue èla sua prima corrispondenza.

da MIAMI BEACH

(Florida - USA)

Caro Direttore Gianmarco,sono ingegnere, di profes-sione e di personalità, ed il

mio bagaglio intellettuale è abbas-tanza pragmático, così come lo è ilmio linguaggio parlato e scritto.Quello italiano poi, è ormai anche

un po’ arrugginito dai tanti anni dilimitata pratica quotidiana. Peròmi ha fatto molto piacere riceverel’invito “a fare qualche riflessionesu Brindisi vista da lontano” chemi hai gentilmente rivolto dallatua direzione di Senzacolonne, ungiornale al quale mi sento partico-larmente affezionato da quando,nell’ormai lontano febbraio 1999lo scoprii perchè l’amico GiovanniMembola volle pubblicare sullesue pagine non ancora quotidiane,una bella intervista che mi feceonline per la sua rubbrica dedicataai brindisini doc sparsi per ilmondo.La professione e più in generale lavita, mi hanno portato a viverefisicamente ben lontano daBrindisi da quando, nel lontanissi-mo ottobre 1969 con in tasca i 18anni compiti da una manciata digiorni, partii in treno alla voltadella nordica metropoli torineseper studiare ingegneria alPolitecnico. Da quel giorno però, estranamente, il mio legame animi-co con Brindisi si è costantementeconsolidato ed anzi sempre piùrafforzato con il trascorrere deilustri e dei decenni durante i qualinon ho mai e per nessun motivointerrotto i miei sistematici e con-tinui viaggi a Brindisi, semprebrevi ma allo stesso tempo semprepiù frequenti ed intensi.Rifessioni sulla ”Brindisi vista delontano” ne ho sempre, inevitabil-mente e spontaneamente, fatte nelmio intimo, sentendole mutare conil trascorrere degli anni, sia perchèle mutazioni potevo oggettiva-mente riscontrarle nella città stes-sa, in alcuni suoi risvolti estetici enella quotidianità della vita deibrindisini, sia perchè mutazionicerte accompagnavano il mioinesorabile maturare biologico: dastudente a professore, da figlio enipote a padre e nonno, da brin-disino a cittadino di un altromondo, viaggiando ininterrotta-mente e scoprendo tanti paesi etanti popoli, tanti costumi e tantementalità, in una sola parola,…tante relatività. Ed il percorsonon sembra per nulla volersiarrestare nonostante i tanti trascor-si, da quando da “sessantottino”partii da Brindisi per Torino, adoggi già in procinto di entrare a farparte del club dei “sessantini”.

Però il compito è “fare qualche rif-lessione su Brindisi vista da lon-tano”. Ebbene vorrei cominciaredalla parte più importante diBrindisi, dalla sua fondamentalerisorsa, dai giovani brindisini e,considerando che ormai l’estatesta finendo, magari è anchepropizia l’occasione.Stamattina, commentando sulgrupo fb “Brindisini la mia gente”un post dell’amico CosimoGuercia che esaltava la bellezadella vicina Lecce e rispondendoad una serie di commenti moltocritici su Brindisi ed i brindisini,ho scritto: “Le cause sono sempremolteplici e le diagnosi mai tropposemplici ed ancor più difficili leterapie. Certo a Brindisi stiamopagando le terribili conseguenzedi scelte sbagliate di molti dei nos-

tri politici ed amministratori avario titolo. In molti casi errori diignoranza, ma spesso conditi damalafede e corruzione spicciola.Però l'indole introversa chiusa epoco data al sentire comunitariodei brindisini, ha certo fatto la suaparte. La base del vero riscatto è,credo, assolutamente culturale,bisogna partire da li: la strada èlunga ed impervia, ma è la solache può garantire l'esito positivo.Bisogna intraprenderla e percor-rerla fino in fondo, con fede e concoraggio”.E chi altro, se non proprio i gio-vani brindisini devono percorrerequella strada? I meno giovani pos-siamo anche intervenire, opinare,fornire qualche esempio, ma sonoi giovani che devono rimboccarsile maniche e sopratutto, sono i

giovani che devono assumere gliatteggiamenti corretti, superando ecancellando quei concetti tantoradicati in gran parte della nostrasocietà quanto pericolosi e dan-nosi per questa stessa nostra soci-età: “…studiare non serve granchè, …solamente chi è ben racco-mandato può andare avanti,…meglio un buon padrino che unbuon titolo di studio, …rende dipiù inseguire un matrimonio eco-nomicamente fortunato chesforzarsi per superarsi intellettual-mente e técnicamente, …è preferi-bile sperare in un posto di lavorofamiliare che esplorare opportu-nità più lontane, ...meglio giocarealla lotteria che lavorare ad ognicosto, ...”All’incira un anno fa, 8 ottobre2010, fui invitato a tenere una con-ferenza all’Università di Foggianell’ambito di un incontro accade-mico intitolato “Puglia terra di tal-enti” e l’invito che mi fu rivoltodal Rettore indicava che l’iniziati-va intendeva stimolare nelle nuovegenerazioni un’etica della meri-tocrazia, dell’impegno e delladedizione, e mi si richiedevaesporre in tale contesto un relatodelle mie personali esperienzeprofessionali, da “raccontare” aglistudenti troppo spesso demotivatinell’affrontare gli studi ed ancorpiù nell’affrontare la professione ela stessa vita; demotivati dal pocostimolante ambiente sociale in cuitoccava loro, studenti pugliesi,costruirsi un futuro. Quella miaconferenza, mi fu detto, fu moltoapprezzata e colse in buona misural’obiettivo perseguito dai promo-tori di quell’incontro. Pertantovoglio qui riproporre ai giovanibrindisini una sintesi di quel “rac-conto”, senza grandi pretese esenza voler scuotere gli animi, macon la sola speranza di segnalareun’altra via, un’altra possibilitáche, credetemi, non è poi cosìremota.

***... Voglio immaginare che molti divoi giovani siate interessati adascoltare, o magari solo curiosi diconoscere, racconti di esperienzeprofessionalmente riuscite ed inparte anche atipiche, per magaricoglierne le basi, le premesse,conoscerne le tappe, le difficoltà,... le possibilità. Si, proprio quelle

Fondamentale l’etica della meritocrazia

Il docente brindisino,ingegnere minerarioin Venezuela, iniziauna corrispondenzadal mondo

CRONACA DI BRINDISI

Via da brindisi Corrispondenze

dal mondo diGIANFRANCO PERRI

«Cari ragazzibisogna lottareper emergere»

Page 13: Gianfranco Perri su Senzacolonne

possibilità di percorsi profession-ali di successo, son convinto cisiano ancora per tutti, così come cisono altrettanto certamente pertutti, le difficoltà da superare, sem-pre numerose e di varia natura.Però, le difficoltà sempre potrannoessere superate da chi abbiachiaramente presente l’impre-scindibilitá di quell’etica dellameritocrazia, dell’impegno e delladedizione molto opportunamente edirei molto felicemente segnalatada questo incontro. Quell’etica chegiustamente vuole e deve esserestimolata dalle scuole e da chi,come noi docenti, abbiamo ildovere di insegnare e di trasmet-tere, possibilmente anche con l’e-sempio, non solo le conoscenze edil sapere, ma anche proprio l’im-portanza di quell’etica della meri-tocrazia, dell’impegno e delladedizione.

***Bene, nato e vissuto al centro diBrindisi fino alla maturità, andai astudiare ingegneria al Politecnicodi Torino negli anni dell’immedia-to doposessantotto, vivendone difatto, di quel Sessantotto, tuttal’atmosfera e buona parte deglientusiasmi, degli eccessi, dellefrustrazioni e delle contraddizioni,in un’Italia socialmente e politica-mente molto complicata. I mieiprimi mesi a Torino furono quellidell’Autunno caldo del 1969 e poigli ultimi anni furono quelli del-l’atmosfera cupa, ormai giá insedi-atasi, degli anni di piombo. Peròper fortuna avevo dalla mia parte,il vigore, l’entusiasmo e l’ottimis-mo dei vent’anni e, per altrettantafortuna, avevo chiare alcune metefondamentali.

***Certamente la laurea era una meta,

però non la laurea fine a se stessama con l’impegno e la dedizionenecessari ad inseguire e raggiun-gere una formazione di massimaqualità, non in maniera ossessiva,ma in maniera sufficientementedeterminata e fondata sulla con-vinzione assoluta che il meritosarebbe poi stato indubbiamentealla base del mio futuro.Questo concetto me lo aveva bentrasmesso mio padre ed anchealcuni dei miei professori, spe-cialmente il maestro delle scuoleelementari San Lorenzo, AngeloPinto, e la professoressa Palumbodelle scuole medie Virgilio.

***E poi un’altra meta perseguita finda quegli anni universitari, cheallora era probabilmente una metaun po’ inconscia e meno chiara-mente delineata ma anch’essaprepotentemente e costantementepresente, era quella di soddisfarecon insistenza e caparbietà qual-cosa che potrebbe definirsi come“desiderio e necessità quasi vitale,di conoscere nuovi e diversi oriz-zonti: di paesaggi, di persone, diculture, di mondi e di vita”.

***Nei tempi in cui non esistevano ivoli low cost, riuscii a visitarenelle cinque estati degli anni uni-versitari quasi tutti i paesidell’Europa occidentale edell’Europa dell’Est, viaggiandoin auto-stop, poi in lambretta, poiin cinquecento fin anchenell’Africa mediterranea e final-mente, in R4 raggiungendo ancheil circolo artico. Tutto con i solirisparmi ricavati dalle mensilitàche mio padre generosamente maparsimoniosamente mi assegnavaper le spese di studente a Torino.Nei tempi in cui non esistevainternet, con non poche difficoltàriuscii, andando personalmente aRoma più di una volta, a rac-cogliere informazioni sul serviziocivile alternativo a quello militareallora ancora obbligatorio. Unservizio civile appena in embri-one, di fatto abbastanza poco pub-blicizzato e anzi quasi nascosto edostacolato dalle istituzioni uffi-ciali. Partii per il servizio civile inEcuador-Sudamerica per un perio-do di due anni, in alternativa alservizio militare di quattordicimesi che avrei potuto fare comeufficiale di complemento nell’e-sercito. Ebbene tutto questo, amicigiovani che mi state ascoltando, velo assicuro, mi riuscì certamente esolo, grazie a tanto impegno ed atanta dedizione.

***Subito dopo la laurea, alPolitecnico di Torino ero statoAssistente per poco più di sei mesifino alla partenza per l’Ecuador, enel servizio civile ebbi l’incaricodi professore universitario allaEscuela Superior Politecnica delLitoral de Guayaquil.Naturalmente interessantissima ericchissima fu l’esperienza di vitain un paese culturalmente e ambi-entalmente assolutamente diversodal nostro di allora, e interessantis-sima fu anche l’esperienza profes-sionale docente.

***Andando in un paese del terzomondo in via sviluppo, l’ideaquasi naturale era quella di andar-ci da “professore italiano” e quin-di da “portatore e trasmettitore digrandi ed avanzate conoscenze”. Ilché ci poteva anche stare inqualche modo, però la grande sor-presa fu di scoprire che il corpodocente autoctono era costituitoessenzialmente da professori che,anche se molto spesso giovani,erano accademicamente moltopreparati e sopratutto, formal-mente anche più preparati di noi“dottori” ingegneri italiani. Lamaggior parte dei professoriecuadoriani si era laureata nellalocale università, ma aveva poifatto per lo meno un post-laurea,di Master e in numerosi casi di

PhD in ottime università degliStati Uniti, grazie a conquistateborse di studio offerte loro dallapropria università o da istituzionigovernative o multilaterali, o sem-plicemente e direttamente dallestesse università americane, sullasola base, ovviamente, del merito.E sto parlando del 1975, quando inItalia forse non superavano ladozzina i professori delPolitecnico di Torino con tali for-mali esperienze di studio.

***Ed ecco quindi in tale scenario unpò imprevisto, l’imperiosa neces-sitá di dover fare appello a quellafiducia e a quella sicurezza chesulla mia preparazione mi pote-vano derivare solamente dallaconsapevolezza di aver fatto finoin fondo il mio dovere di studentee di essermi indubbiamente meri-tato quella “laurea con lode” alPolitecnico di Torino, conferitamiin fondo da professori con i capel-li bianchi, alcuni dei quali con unenorme bagaglio di vita indubbia-mente accumulato in molti casianche sull´etica professionale edocente. E non di meno, facendoinconsciamente tesoro di quellebrevi e puntuali però intense espe-rienze vissute nei miei sistematiciviaggi estivi, tra città e paesidiversi dal mio, tra ragazzi e popo-lazioni con costumi abitudini epriorità diverse dalle nostre, consistemi sociali e politici moltevolte distintissimi. In pocheparole, esperienze che mi avevanoinsegnato in qualche misura aconoscere e di conseguenza arispettare le diversità e ariconoscere le negative e sopratut-to, le positive relatività propriedelle persone e dei popoli, deipaesi e dei sistemi.

***Dopo il servizio civile, finalmenteintensamente vissuto con impegnoe con dedizione e in conseguenzacon indubbio bilancio positivo perme e per il paese che mi avevaamichevolmente ospitato, sareidovuto rientrare in Italia perriprendere al Politecnico di Torinoil mio posto universitario, ancheperché nel frattempo avevo vintoil concorso di ricercatore, fin daallora già unica e purtroppo pre-caria via per intraprendere in Italiala carriera universitaria.

***Però non furono le circostanze,

oggettivamente poco stimolantiche caratterizzavano l’Italia allafine degli anni settanta, che m’in-dussero a rinunciare al rientro.Quell’etica della meritocrazia,dell’impegno e della dedizioneprobabilmente già sufficiente-mente radicata in me, mi avrebbeinvece certamente indotto a pros-eguire quella strada della docenzauniversitaria e della ricerca, giàintrapresa subito dopo la laurea.Responsabili della scelta furonoinvece, e molto più semplice-mente, circostanze non razional-mente perseguite: circostanze...sentimentali. Avevo, infatti, nelfrattempo sposato mia moglie,ingegnere e studentessa venezue-lana, conosciuta al Politecnicosubito dopo la laurea mentre,ricorderete, facevo l’Assistente.Alla data del previsto rientro alPolitecnico mancava poco allanascita del nostro primo figlio ecosì, decidemmo di farlo nascere ecrescere a Caracas in Venezuela,nel paese della mamma.

***Quindi per me e per la mia vita,anche professionale, un nuovoinizio, di nuovo in un paese diver-so, di nuovo tra diverse abitudinicostumi e regole, quindi unanuova sfida da affrontare ancorauna volta con la serenità e con lafiducia, ormai anche un pò inqualche modo giá sperimentata,che nuovamente si sosteneva sal-damente su quella stessa eticadella meritocrazia, dell’impegno edella dedizione già più volterichiamata.

***Vinsi il concorso di professoreall’Universidad Central deVenezuela, divenendo poi anchedirettore del Dipartimento diIngegneria Mineraria, mantenendocostantemente attivi rapporti per-sonali con il Politecnico di Torinoe promuovendo quindi l’instaurar-si di fruttiferi rapporti istituzionalitra le due università (é ormai dadiversi anni in vigore un accordodi doppia laurea tra il Politecnicodi Torino e la facoltà di Ingegneriadella UCV). E con uguale impeg-no e dedizione partecipai attiva-mente e in prima fila allo sviluppodi un prolungato e molto fruttiferoprogramma di ricerca e di scambididattici tra le facoltà diIngegneria dell´Università LaSapienza di Roma e dell’UCV. Tra

il 1989 ed il 1999 le due facoltàco-organizzarono ben quattroCongressi Internazionali suEnergia Ambiente ed InnovazioneTecnologica, due a Caracas e due aRoma, con la presentazione e pub-blicazione in ognuno di essi diqualche centinaio di lavori e con lapartecipazione di decine di docen-ti di ognuna delle due facoltà.

***Ed anche in Venezuela, ancor piùche in Ecuador, e come del resto inquasi tutti gli altri paesi “in via disviluppo” del Sudamerica, che viavia durante tutti questi anni ho inpiù occasioni visitato e imparato aconoscere, era comune incontraredocenti universitari assolutamentequalificati e titolari di diplomi dot-torali e post-dottorali ottenuti inprestigiose università nordameri-cane ed europee. Non solo, maanche nell’ambito dell´esercizioprofessionale era abbastanzacomune in tutti questi paesi, findagli anni settanta e ottanta, incon-trare professionisti ugualmentequalificati e altamente specializza-tisi nelle migliori università delmondo. Ed anche in tali cir-costanze e in tale ambito profes-sionale é stato certamente, ne sonosicuro, il forte senso dell’eticadella meritocrazia, dell’impegno edella dedizione che ancora unavolta mi ha finalmente permessodi scalare con successo scaliniabbastanza elevati dell´esercizioprofessionale.

***Dopo alcune prime consulenzespecialistiche nel campo delle dis-cipline geotecniche inerenti allamia professione, ho fondato unasocietà d’ingegneria, LaGeomecanica, specializzata inprogettazione di opere sotterranee,con la quale ho progettato e con-tinuo a progettare importantiopere, in Venezuela ed anche inmolti altri paesi del Sudamerica:Le gallerie e le stazioni sotterraneedella Linea 3 della Metropolitanadi Caracas e quelle della Linea 1della Metropolitana di Valencia.Tutte le gallerie, per quasi uncentinaio di kilometri totali partedei quali ancora in costruzione,delle ferrovie venezuelane. Moltegallerie idrauliche e idroelettriche,in Argentina, Cile, Costa Rica,Panamá e Venezuela.

***All’inizio degli anni Novanta sonostato eletto Presidente dellaSocietà Geotecnica Venezuelana esono attualmente il Segretariodella Società Venezuelana diOpere Sotterranee, ed in veste didocente universitario e di proget-tista, ho scritto e pubblicatodurante tutti questi anni un centi-naio di lavori tecnici. Molti diquesti lavori li ho anche presentatiin numerosi convegni internazion-ali ai quali ho partecipato e ai qualicontinuo a partecipare con lo stes-so entusiasmo impegno e dedi-cazione degli anni giovanili, arric-chendomi ogni volta di nuoveconoscenze, non solo tecniche, masopratutto di persone di paesi e diculture, ed estraendone ogni voltanuove sensazioni e sempre nuoveesperienze, con la realista umiltàderivatami dalla consapevolezzadell´enormità dell’umano sapere edell’assoluta relatività delle nega-tività e positività dei diversi costu-mi sistemi sociali abitudini e pri-orità, a volte molto e stranamentediverse, ma sempre da rispettare ...

***Ragazzi, giovani amici brindisini,sono queste le stesse cose e sen-sazioni che racconto e cerco ditrasmettere ai miei tre figli, anchese ormai già grandi e indipendenti,tutti e tre assieme certamente il piùgrande ed indubbio “successo”della mia vita: Non è stato maifacile, ma neanche mai impossi-bile e però, ve lo posso assicurare,tutto sarebbe risultato abbastanzairrangiungible senza tanto “impeg-no, merito e dedizione”.

MARTEDI’30 AGOSTO 2011 13CRONACA DI BRINDISI

Gianfranco Perri

Page 14: Gianfranco Perri su Senzacolonne

20 MERCOLEDI’14 SETTEMBRE 2011

Via da Brindisi. Una strada chenella toponomastica non esiste eche però è la più popolata dabrindisini. Via da Brindisi rac-coglie tutti quelli che, per scelta oper necessità, hanno lasciatoBrindisi e vivono in altre cittàdell’Italia o del mondo. Daqualche giorno Senzacolonne dif-fonde via internet, gratuitamente,la versione digitale integrale delgiorno precedente. E’ un modo inpiù per ricomporre questa fantas-tica comunità che pulsa di brin-disinità e che ha diritto di essereinformata di ciò che avviene nellasua terra. Riteniamo fondamen-tale il contributo di questi brin-disini perché spesso da lontano siha la possibilità di esaminare conmaggiore obiettività ciò cheavviene in questa città. Tra i brin-disini che vivono lontano, moltolontano, c’è Gianfranco Perri:ingegnere, docente universitario,progettista e consulente di gal-lerie e opere sotterranee,Segretario della SocietàVenezuelana di OpereSotterranee. Ma soprattuttoinnamorato della sua Brindisi chesegue constantemente viaInternet. Per il suo lavoro è ingiro per il mondo ed è da lì, dalmondo, che gli abbiamo chiestodi inviarci riflessioni e impres-sioni su Brindisi e i brindisini.

da BOGOTA’(COLOMBIA)

Può un Sindaco fare la differenza?Caro Direttore Gianmarco,La mia risposta é “si” o, quantomeno: ci sono vari esempi nelmondo che ci dimostrano che larisposta corretta é, “si é possi-bile”. E visto che a Brindisi ciaccingiamo a scegliere un nuovoprimo cittadino - dopo l’evento,piú unico che raro in Italia, delle

volontarie dimissioni da una cari-ca pubblica dell’amico MimmoMennitti - credo sia propizia l’oc-casione per invitare tutti a farequalche riflessione in merito,magari partendo da un mio sin-tetico relato di quanto é accadutoin tempi recenti in una cittá d’al-tre latitudini e con problematicheforse ben piú complesse e certoben piú grosse delle nostre brindi-sine, se non per altro per le suedimensioni fisiche definitiva-mente ben piú grandi di quelledella nostra cittá. E non sto per raccontarvi dei dueemblematici e credo benconosciuti sindaci “italiani” dellagrande New York, Fiorello LaGuardia 99° sindaco dellametropoli americana dal 1934 al1945 e Rudolph Giuliani sindacoN°107 dal 1994 al 2002, che purcostituirebbero esempi molto rap-presentativi di “sindaci che hannofatto la differenza”, ma vi voglioraccontare da questo mio brevesoggiorno colombiano, diAntanas Mockus, due volte sinda-co di Bogotá tra il 1995 ed il2003, e dell´incredibile metamor-fosi di una cittá passata dal-l’essere definita sul quotidianofrancese Le Monde come “Lapeur” -la paura- e come “la jun-gle” -la giungla di un mondo divittime dell’alcool della droga edell’incessante sfruttamentopolitico al servizio di una elitecorrotta- (Sauloy 1984),all’essere definita sul quotidianostatunitense The Washington Postcome una “gradevole anomalía”in un continente le cui cittá capi-tali costituiscono con frequenzascarni scenari reali da film del-l’orrore (Wilson, 2002).

***

Faccio peró una parentesi e tornoindietro: pensate che l’amminis-trazione di Fiorello La Guardiapraticamente coincise con “lagrande depressione” e fu propriolui uno dei grandi propulsori del“new deal”, e fu con il suodinamismo che restauró la vitalitáeconomica di New York dandooccupazione a migliaia di cittadi-ni con i suoi programmi massividi opere pubbliche realizzate conla sua costante campagna alla

ricerca di fondi federali: uno deidue principali aereoporti di NewYork da lui voluto é a lui intitola-to, l’altro é intitolato aJ.F.Kennedy. Vale anche la penaricordare che Fiorello LaGuardia, nato nel 1882 nel popo-larissimo Bronx, esercitó comeprimo impiego quello di tradut-tore inglese-italiano-inglese peril servizio di immigrazione amer-icano nella famosa Isola Ellis,punto di arrivo di migliaia emigliaia di emigranti italiani.Peró allo stesso tempo studiava epresto si laureó in diritto.

Il sindaco Rudolph Giulianiinvece, molto piú recentemente,volle centrare la sua azioneamministrativa su quelli cheerano tre aspetti assolutamentecritici della cittá all’epoca dellasua elezione: crimine organizza-to, sviluppo economico ed edu-cazione. Alla fine del mandato diGiuliani, i crimini si erano ridottidel 65% e gli assassinii del 70%,New York che era ben conosciutanel mondo intero per la peri-colositá delle sue strade fudichiarata dal FBI la citta piúsicura degli Stati Uniti. Giulianiintraprese una coraggiosa riformatributaria municipale ed applicóuna rigorosa disciplina fiscaletrasformando in superavitl’enorme deficit ereditato, edurante la sua amministrazione iposti di lavoro privati in cittá siincrementarono della cifra recorddi 450.000. Il turismo inter-nazionale riconquistó New York ele scuole pubbliche e quelle pri-

vate della cittá conobbero anni diradicali miglioramenti.

***

Chiudo la parentesi e torno aBogotá, una cittá che conobbi nellontano novembre del 1982 parte-cipando al 1° CongressoSudamericano di Meccanica delleRocce: un suggestivo altipiano,esteso e grigio, con il cielo quasisempre plumbeo ed un centrosporco e con miseri mercati male-odoranti, le periferie residenzialidalle vie deserte e dagli innu-merevoli “vigilantes” armatissimiad ogni villetta o piccolo palazzo,e di sera, meglio in albergo o conun taxi in qualche locale pubblicoben raccomandato e ben custodi-to.Poi a Bogotá ci son tornato in piúoccasioni, sempre per lavoro esenza troppo entusiasmo, maverso la fine degli anni ‘90 qual-cosa stava cominciando a cam-biare, e poi nei primi anni delnuovo millennio mi capitóaddirittura di esser colto dall’im-pressione che si trattasse di un’al-tra cittá, c’era stata di fatto unasorprendente metamorfosi. Oggisono alla mia seconda visita diquest’anno a Bogotá e da qualcheanno ogni scusa é buona per unanuova visita, ormai é un piacererestare qualche giorno in questacittá, godendo del suo clima fres-co e, per esempio, visitando i suoimusei, da quello dell’oro a quellodel grande artista bogotanoFernando Botero, entrambi imusei sono sempre stati in pieno

centro, ma la cupa atmosfera chelí era a lungo regnata sovrana, miaveva anche impedito di valoriz-zarne le enormi e meravigliosericchezze.

***

Ma cosa era accaduto di cosítrascendente nella capitalecolombiana da indurre quellasvolta radicale nella percezionedei suoi visitanti ed anche esoprattutto dei suoi stessi cittadi-ni? E che cosa aveva dato originea quei cambiamenti tanto radicalida fare vincere a Bogotá presti-giosi premi e riconoscimentiinternazionali e da indurre com-menti positivamente meravigliatidi tanti visitanti: semplici turisti,o giornalisti e politici stranieri, oconsulenti e funzionari delleagenzie umanitarie multilaterali,o sindaci amministratori e tecnicidi città di ogni continente e diogni latitudine?

***

Era successo che in una cittá cheviveva ai limiti del caos, comeaccade oggigiorno per molte cittáin tutto il mondo, c’era una voltaun filosofo matematico, genio permolti e mezzo pazzoide per altri,che era stato rettoredell’Universitá Nazionale dellaColombia e che decise di volerfare il sindaco e che riuscí a farsieleggere. E da sindaco AntanasMockus si ripropose l’impossi-bile: raggiungere il consenso cit-tadino attraverso la comuni-cazione ed ispirare una conviven-za piú umana tra i cittadini attra-verso l’esercizio pedagogico, iltutto proponendo ai cittadini unaampia libertá temperata da unadiscreta dose di sana autoritá. Siripropose inoltre, e con azioneparallela, di favorire e dove ne-essario creare equitá e qualitá peri cittadini attraverso il ridisegnodegli spazi urbani.Cosí Mockus cominció dalla ried-cazione della gente, in manieratale che il cambiamento della cittási potesse in qualche modo pro-durre quasi spontaneamente: ...la

Il docente brindisino,ingegnere minerarioin Venezuela, ci inviauna corrispondenzadal mondo

CRONACA DI BRINDISI

Via da brindisi Corrispondenze

dal mondo diGIANFRANCO PERRI

Un sindaco puòfare davverola differenza

Il sindaco di Bogotà AntanasMockus travestito da Supercivic

L’esempio di Bogotà: da lì ci scrive oggi Perri

Page 15: Gianfranco Perri su Senzacolonne

gente butta la spazzatura per stra-da perché generalmente quel-l’azione é di fatto accettata comeun qualcosa di “normale” o diquasi “intrinseco”; allo stessomodo i cittadini subiscono mani-festazioni quotidiane e piú omeno esplicite di violenza, nelleloro piú variegate sfaccettaturesemplicemente perché la societánon le condanna; e cosí via...Partendo da questo genere di rif-lessioni, Mockus indice tutta unaserie di campagne di auto-regola-mentazione del cittadino tendentia compatibilizzare la morale concon la cultura e la legge, e a stig-matizzare ogni tipo di violenza,inducendo ed impulsando gli stes-si cittadini a determinare ed inqualche modo applicare lasanzione sociale sui loro stessicomportamenti.

***

Con tali obiettivi in menteMockus intraprese iniziativedefinibili, a dir poco, “non orto-dosse”. Un esempio tra i tanti? I“mimi” del traffico, che nonos-tante la ridicolarizzazione che nefecero molti mezzi di comuni-cazione massiva, determinaronorisultati concreti positivi assoluta-mente inimmaginabili. Lui stessosi travestí da “Super Civico”facendo cose che apparivanocome semplici stravaganze, dis-tribuendo tra i cittadini cartoncinicon il disegno di una mano con ilpollice verso l’alto in segnale diapprovazione o applauso ed altricon il pollice verso il basso insegnale di riprovazione o condan-na e con i quali i cittadini segnala-vano, giudicavano e finalmente

regolavano pacificamente ilcomportamento dei loro simili.Per migliorare la convivenza trapedoni e conduttori, durante tremesi sguinzaglió per le strade diBogotá centinaia di “mimi” iquali nelle intersezioni stradalipiú congestionate segnalavanocon gesti educati, ed anzi ama-bili, la necessitá che un automo-bilista facesse retrocedere la pro-pria vettura ad un semaforo rossoper lasciare sgombre le striscepedonali. Peró oltre al gesto delmimo, nel caso in cui il condut-tore rifiutava l’invito, un vigile lomultava supportato dall’applausodei pedoni e degli altri conduttoripresenti. La repressione era l’ul-tima azione di una sequenza ped-agogicamente preordinata men-tre, grazie all’appoggio socialedella sanzione, si rafforzava l’ef-fetto pedagogico. La campagnanaturalmente perseguiva anchel’obiettivo di indurre i pedoni adattraversare la strada solamentesulle strisce pedonali ed abbor-dare taxi e mezzi pubblici in gen-erale, unicamente nei luogiappositamente preposti. Un annodopo l’inizio della campagna, lestrisce pedonali erano rispettatedal 72% dei pedoni e dal 76% deiconduttori, mentre prima, prati-camente non esiteva il concetto.

Finalmente un interes-sante complemento:un’importante per-centuale dei mimiaddestrati per quellacampagna provenivadalle fila dei moltissi-mi vigili denunciati edespulsi per le loropratiche corrotte e aiquali era stata offertauna seconda opportu-nitá.

***

Un altro esempio unpó più breve da rac-contare? Durante lefeste natalizie del1994 a Bogotámorirono 5 bambinied altri 127 ripor-tarono bruciature dafuochi d’artificio. Per

le feste dell’anno seguenteMockus annunció che avrebbeproibito i fuochi d’artificio alprimo grave incidente, che pun-tualmente non tardó a verificarsi.Per quei pochi genitori che inseguito a quell’evento permiseroancora ai propri figli di giocarecon i fuochi proibiti, la sanzioneprevista, puntualmente applicatae puntualmente applaudita, con-sistette nell’obbligo di eseguirepubblicamente lavori civici: quel-l’anno non morí nessun bambinoed i feriti da fuochi arificiali siridussero a 46. Ho scelto due soliesempi, anche se tanti altri neavrei ancora da raccontare, comequelli orientati al controllo delflagello del consumo dell’alcool,della droga e delle armi, problem-atiche tutte molto gravi e sempreaffrontate da Mockus con unintelligente quanto diffcile equi-librio tra l’educazione la persua-sione e la sanzione. Sperocomunque di aver in qualchemisura reso l’idea del caratteredel personaggio e della filosofiadella sua azione di governo esoprattutto, di aver trasmessoquanto meno la sensazione chemolto si puó fare, molto di piú diquanto si possa immaginare.

***

Ma una vera azione di buon gov-erno municipale non puó certolimitarsi a solamente educaremotivare e sanzionare i cittadini,bisogna assolutamente che tuttoquello sia attivamente comple-mentato ed anzi incentivato esostenuto da un parallelo miglio-ramento fisico e palpabile della

qualitá, anche materiale, dellavita di tutti i cittadini, a partire daquelli piú appiedati. Anche cióera assolutamente chiaro perMockus: bisognava anche rifor-mulare la cittá stessa ed il primoostacolo da abbattere, in quantoimponente muraglia contro il rag-giungimento della felicitá di uncittadino appiedato, era la ecces-siva inequitá tra certi spazi pub-blici e certi spazi privati o diaccesso privato, e tra certi stessispazi comunitari. Ci voglionoperó le risorse economiche ebisogna saperle cercare e saperleamministrare bene, ci vuole intel-ligenza e imprenditorialitá, retti-tudine ed onestá. Tutte qualitárare e difficili da accomunare?Apparentemente no, se solo sitratta della persona giusta, dellapersona che puó appunto fare ladifferenza. No so se ce ne sianomolte in giro di tali persone, madi buoni esempi c’é relativaabbondanza, forse bisogna solosaperle scovare ed appoggiare.

***

Ebbene, Mockus promosse l’e-liminazione delle baraccopoliincrostate in pieno centro diBogotá, sacche di degradopovertá e di conseguente violenzaurbana, fece prosperare l’espro-priazione di terreni pochissimo

utilizzati di un grande countryclub per resituire piú di 100 ettaridi verde al pubblico uso. Procurófinanziamenti per la costruzionedi varie biblioteche ed altre strut-ture pubbliche, e di un nuovoimportantissimo sistema ditrasporto massivo, “IlTransmilenio”. Gli abitanti diBogotá, quasi tutti in generale,cominciarono a riacquistare unadignitá da troppo tempo perduta,grazie ad una cittá senza tantirumori, senza tanto inquinamen-to, con tanti spazi pubblici vera-mente gradevoli, cosí comepiacevolmente vivibili e sicuri, untrasporto pubblico sufficiente-mente efficiente e quindi uninevitabile naturale susseguirsi di

iniziative imprenditoriali e dicostruzioni private di commerci,servizi e distrazioni: i cittadini diBogotá si stavano finalmente re-impossessando della loro cittá.

***

Qualche piccola riflessione l’hoanche fatta strada facendo, anzistrada scrivendo, ma voglio com-plementarla con alcune riflessionidello stesso Mockus. “...Una per-sona non nasce cittadino ma lodiventa, cosí come non si nasceparlando ma si impara a parlare.Se ad una persona nessuno gliparlasse, per esempio se alcunigenitori molto pragmaticidovessero dire ‘beh non par-liamogli a sto bamboccio tantonon capisce e non risponde’ nonimparerebbe mai a parlare.Quindi, parte della formazionecivica consiste in trattarsi gli uniagli altri come cittadini, il chesignifica credere nell’auto-rego-lamentazione, offrire a tuttiopportunitá di dimostrare che si écivilmete adulti, aver fiducia neisegnali sottili della comuni-cazione interpersonale per cosícorreggerci mutuamente...”. E poiaggiunge, e credo sia un aspettofondamentale: “…Non immag-inerei mai di poter svolgerequesto ruolo senza costantementecondividere le idee e le azioni daformulare con gli altri ‘saperi’,con i filsofi, i sociologi, gliantropologi ed ovviamente, congli economisti e gli ingegneri...”.Ma cosa vuol dire Mockus?Semplicemente che da buonamministratore cittadino bisognaformularsi gli obiettivi e quindiperseguirli, mettendo i saperi,ovvero le migliori competenzeprofessionali, al servizio degliobiettivi preposti.

***

Naturalmente sulla gestione diMockus come sindaco di Bogotási potrebbe disquisire molto piú alungo e molto piú sottilmente edanaliticamente, ed in tanti lohanno infatti giá fatto con indub-bia autoritá, ma non era certoquesto l’obiettivo che mi ero pro-posto. Invece, come é piú con-sono alla mia indole e come é miaconsuetudine, tra l’aneddotico ilsentito dire ed il vissuto da spetta-tore casuale ma critico, ho solocercato di raccontarvi di questaBogotá che mi sta nuovamenteospitando in occasone di unCongresso commemorativo delquarantennale della SocietáColombiana di Geotecnica, e diquesto suo sindaco che “certa-mente” ha fatto la differenza.Chissá, tra speranza ed auspicio,che un giono non troppo lontanoanche Brindisi non celi un cittadi-no che possa finalmente e vera-mente “fare la differenza” e chemagari lo si riesca anche a sco-vare ed eleggere a sindaco dellacittá!

MERCOLEDI’14 SETTEMBRE 2011 21CRONACA DI BRINDISI

Gianfranco Perri durante una conferenza aBogotà nel 1982

ABrindisi, tra il 1956 ed il 1960, in 5 anni si demolirono la Torredell´orologio, il Teatro Verdi ed il Rione Sciabiche e si cosumólo sradicamento del Parco della Rimembranza. In scellera-

to e quasi macabro compenso, il giorno 8 marzo 1959 Antonio Segni,capo del governo della republica, pose la prima pietra per la costru-zione della Montecatini.Francesco Lazzaro morí sul finire del 1955 essendo ancora sindacoin carica, Antonio Di Giulio fu sindaco interino per pochi mesi e glisuccedette Manglio Poto. Dal 04.04.1959 al 02.12.1960, Brindisi furetta dal commissario sottoprefetto Pasquale Prestipino. Da un commento su “Brindisini la mia gente” a proposito dellaTorre dell’orologio:...Forse poco a poco ci stiamo avvicinando alla veriltá, ma ancoranon ci siamo giunti completamente: Il Sindaco Francesco Lazzaromorí verso fine 1955 mentre era in carica. La delibera di demolizio-ne della torre é del 13 febbraio 1956. Antonio Di Giulio fu nomina-to sindaco il 3 marzo 1956 restando in carica solo pochi mesi, essen-do succeduto da Manglio Poto nello stesso anno 1956. Manca peróproprio conoscere chi era il sindaco, o supplente, o commissario, trala morte di Lazzaro e la nomina ufficiale di Di Giulio, e proprio inquesto breve periodo ci fu la delibera di demolizione della Torredell´orologio!Da una citazione di Alberto Del Sordo a proposito del Parco dellaRimembranza: ...Quel parco, polmone di verde, per l'intera città era stato inaugu-rato il 9 marzo 1927. Ricco di alberi di pino, sui tronchi campeggia-va un contrassegno con una targhetta recante il nome di un cadutodella prima guerra mondiale. Al centro del parco una statua in ferrodell’ eroe Giambattista Perasso. La distruzione del parco, stabilita edeliberata nel 1956, fu messa in opera con leggerezza impressionan-te e con supponente insipienza...Da un intervento del Sindaco Domenico Mennitti durante ilConsiglio Comunale tenutosi sul Teatro Verdi il 20 Novembre 2006: ... Dopo fasi di alterna fortuna, come punto di arrivo di un lentodeclino, un commissario prefettizio a nome Prestipino, insediato il 4aprile 1959 a causa della crisi che aveva investito l’amministrazio-ne retta dal Sindaco Manlio Poto, il 30 settembre del 1959 decretòl’abbattimento del teatro ‘per salvaguardare la incolumità pubbli-ca’. La demolizione fu eseguita fra una certa indifferenza generaleda febbraio a maggio dell’anno successivo...

Gianfranco Perri

Quell’indifferenzanon va dimenticata

Mariana Perri al Museo Botero di Bogotà

Page 16: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Via da Brindisi. Una strada chenella toponomastica non esiste eche però è la più popolata dabrindisini. Via da Brindisi rac-coglie tutti quelli che, per sceltao per necessità, hanno lasciatoBrindisi e vivono in altre cittàdell’Italia o del mondo. Daqualche giorno Senzacolonne dif-fonde via internet, gratuitamente,la versione digitale integrale delgiorno precedente. E’ un modo inpiù per ricomporre questa fan-tastica comunità che pulsa dibrindisinità e che ha diritto diessere informata di ciò cheavviene nella sua terra.Riteniamo fondamentale il con-tributo di questi brindisini perchéspesso da lontano si ha la possi-bilità di esaminare con maggioreobiettività ciò che avviene inquesta città. Tra i brindisini chevivono lontano, molto lontano,c’è Gianfranco Perri: ingegnere,docente universitario, progettistae consulente di gallerie e operesotterranee, Segretario dellaSocietà Venezuelana di OpereSotterranee. Ma soprattuttoinnamorato della sua Brindisiche segue constantemente viaInternet. Per il suo lavoro è ingiro per il mondo ed è da lì, dalmondo, che gli abbiamo chiestodi inviarci riflessioni e impres-sioni su Brindisi e i brindisini.

daSAN THOMAS

( ISOLE VERGINI)

Caro Direttore Gianmarco,Sul gruppo fb “MusicistiBrindisini Anni 50-60-70” convari amici abbiamo in questigiorni ricordato una bella serata ditanti anni fa trascorsa alla baseU.S.A.F. di San Vito deiNormanni, ritornata in questigiorni nuovamente alla ribalta deibrindisini in ben piú tristi cir-

costanze. Era fine ottobre 1966quando avevo appena compiuto15 anni proprio come oggi ne hoappena compiuti 60, a ben altrelatidudini. Credo ricorresse latradizionale festa americana diAlloween -la notte delle streghe-che si celebra ogni anno l’ultimadomenica di ottobre, una granfesta da ballo in cui loro simascherano come lo facevamonoi ai veglioni di carnevale. IMarines, il mio complesso beat,animava quella serata e ci siamoanche ricordati di un episodio delquale io fui l’involonatrio protag-onista allorché, quando arrivam-mo alla base americana nel tardopomerigio piovoso di quell’otto-bre con il furgoncino pieno deinostri strumenti musicali, ci infor-marono che la sala da ballo nonera ancora disponibile e che dove-vamo per questo aspettare unamezz’oretta prima di potermontare gli strumenti e quindi, ciinvitarono a passare ad una speciedi mensa offrendoci di ristorarci...tanto, anche se giá aperta, eraancora quasi vuota e gli avventoriamericani non sarebbero arrivatiin massa prima di per lo meno unabuona mezz’ora.Non ce lo facemmo ripetere duevolte e con l’appetito proprio deiteenagers ci rifocillammo allegre-mente stimolati anche dal self-service e dalla curiositá indottadall’assaggio di alcune pietanzeamericane, non proprio tipichedella nostra cucina di casa. Lamezz’oretta trascorse veloce-mente e giá i primi frecuentatoriamericani della mensa erano com-inciati ad arrivare in buonnumero: miltari, ma anche civili,uomini donne ed anche bambinied adolescenti, insomma tutta unagamma completa di americanirumorosi e vociferanti che siaccomodavano in ordine sparso aivari tavoli, anche quelli piúprossimi al nostro.Raccogliemmo i nostri avanzi dadepositare nelle pattumiere appo-site, i nostri impermeabili, giac-che e quant’altro ed andammofrettolosamente via. La sala daballo era giá disponibile e ci atten-deva l’importante e delicato com-pito del montaggio degli strumen-ti e della loro messa a punto per la

serata.La serata stava trascorrendo nelmigliore dei modi, animatissimada un pubblico molto allegro esoddisfatto delle nostreprestazioni musicali, quandod’improvviso venni colto dal pan-ico: non ricordavo di aver presocon me, dalla mensa, il mioborsello. Ve li ricordate queiridicoli anche se utili borsel-li? Non era un granché comequalitá ed era anche moltopiccolo ma, ...accidenti, inquell’occasione eraabbastanza pieno disoldi, dei soldi delcomplesso del qualefungevo da tesoriere.Anche se fui tentatodi abbandonare ilmio basso in pienaesibizione per pre-cipitarmi a control-lare se per caso mistessi sbagliando emagari il borsellofosse miracolosamenteal suo posto tra le miecose, riuscii ad arrivarealla fine del pezzo echiesi di fare un breveintervallo. Saltai comeuna gazzella dallapedana ed i miei amicisupposero che stessicorrendo al bagno. Il mio panico purtrop-po aveva avuto tutta laragione di essere, ilborsello non era danessuna parte e corsidall’americano che cia v e v a

accolto al nostro arrivo al qualespiegai, immagino senza poterdissimulare in volto l’ecci-tazione, che avevo dimenticato ilborsello alla mensachiedendogli se qual-cuno glielo avesso por-tato. Lui grassottello ed

impassibile, me loricordo benissimo,e quasi sornione,mi dice di no e checomunque ormai la

mensa erachiusa e dinon pre-

occu-

parmi che alla fine della serata luimi avrebbe portato lí a prendere ilmio borsello. Ma come? Dissi trame e me. Alla fine della serata? Epoi se nessuno glielo aveva porta-to, allora voleva dire che nonl’avrei ormai ritrovato e chequindi era irrimediabilmenteperduto: un piccolo borsello conparecchi soldi, in un posto pub-

blico cosí anonimamenteaffollato, dopo piú di

tre ore, impossibile,ormai era tutto

perduto, un granbel guaio,quasi unat r a g e d i a .Tornai nella

sala da ballo,informai gli

amici, la serata pernoi non fu piú la stes-

sa di prima, ma natu-ralmente suonammofino alla fine e quindi,quasi tanto per nonlasciar perdere, tornai

dall’americano cheritrovai abbastanza son-necchiante e gli ricordaiche mi aveva promessodi accompagnarmialla mensa ed aprirmila porta. Ah! Si certo, me neero scordato, vieni...andiamo a pren-dere il borsello chehai lasciato lí e,sempre con la suaaria un pó troppo

Via da brindisi Corrispondenze

dal mondo diGIANFRANCO PERRI

Quando suonavamoalla base Usaf,viaggio nel futuroGli Stati Uniti ieri e oggi visti dai noi italiani di Brindisi

Il docente brindisino,ingegnere minerarioin Venezuela, ci inviauna corrispondenzadal mondo

MARTEDÌ 11 OTTOBRE 2011 23CRONACA DI BRINDISI

I Marines:Enzo Macchi,Luigi Sciarra,Sergio Serse,Gianfranco Perri (in alto a sinistra) e Antonio Volpe

Page 17: Gianfranco Perri su Senzacolonne

La Base U.S.A.F. di San Vito dei Normanni

MMusicisti Brindisini Anni 50-60-70

Nikola Poli Nella base U.S.A.F. iniziai a suonare nel 64, tutti i venerdì e sabato per diversi anni col gruppo I Moderni nell'Official Club (adibito poi a radio privata americana sui 108.5 mhz) grazie all'impresario, console italiano Ravaglioli. In seguito con Temy & New Crickets nell' N.C.O. Club, e ci tengo anche a ricordare l'impresario "Lorenzo" (suocero del nostro amico Marco Sciarra). Prima che chiudesse la Base suonai da solo con un loro piano tipo Far West in un club privato per Ufficiali "Hide Way". Quanto tempo ho trascorso frequentando la base, diciamo forse una trentina d'anni! A voi amici musicisti brindisini altri commenti con i ricordi che sicuramente non vi mancheranno! Marzia Libardo Sì hai ragione, sono tanti i ricordi caro Nikola. Anche io ho vissuto i tempi della base all'Official Club, piú da ospite che da partecipante. Andavo a ballare e mi divertivo tanto: un piccolo aspetto del mondo americano che a quei tempi ci appariva tutto big e wonderful! Franco Sgura Vero Nikó, tanti ricordi, ed eravamo fortunati ad avere la possibilità di suonare e naturalmente ascoltare la loro musica in primis di tutte le hit Americane non da tutti. Bellissimo! Io ci ho suonato tantissimi anni, basta immagginare che avevo nove anni quando entrai con Temy. Il gruppo si chiamava La grande crisi. Insomma tanti ricordi bellissimi e una vita vissuta con americani che andavano e altri che arivvavano e tra questi c'erano bravi musicisti con i quali abbiamo stretto amicizia e si era istaurato un rapporto bellissimo. Che dire, tanta nostalgia e tanta buona musica che non si suona più peccato! Marco Sciarra Serate bellissime, con buona musica live! Gianfranco Perri Grazie Niko' per rispolverare tanti bei ricordi. Alla Base USAF ci suonammo alcune volte anche noi I Marines intorno al 1966. L'ambiente era molto piacevole e le serate con gli americani molto divertenti. In una di quelle ricordo la presenza di un illusionista e tra i suoi vari numeri, quello in cui al volontario malcapitato dopo l'ipnosi offriva una gran bella cipolla descrivendola come una mela della California da mordere con avidità. Poi in piena fase di masticazione svegliava il malcapitato... Immaginatevi il divertimento di tutti, meno uno! Nikola Poli Spero che non sia capitato proprio a qualcuno dei Marines! Gianfranco Perri No, il malcapitato del giochetto era un americano, era un ufficiale di colore, ed era sí dei Marines, peró di quelli che vanno in guerra mentre noi solo facevamo all´amore, Hahaha! Nikola Poli Un pomeriggio presi al volo una bicicletta parcheggiata vicino al locale per andare in un altro club privato di ragazzi e mi vidi seguito subito dalla cadillac della polizia con i lampeggianti. Moh mi rrestunu pensai, ma erano amici militari che di solito stavano all'ingresso alla sbarra e mi sentii dire col megafono: Addò sta vai? Hahah, pregandomi di riportare la bicicletta al suo posto! Efisio Panzano Un altro pomeriggio del 4 di luglio, festa nazionale americana, noi suonavamo sulla Main Street della base. Il palco era un rimorchio militare americano, lunghissimo ma non molto alto da terra, mentre ai lati della strada c'erano degli stands con tiro a segno e giochi vari in cui gli ufficiali, per beneficenza, si prestavano a fare da bersaglio ai tiri dei soldati; non mancavano gli stands gastronomici messicani, proprio come nelle nostre feste patronali. Mentre ci stavamo dando dentro di brutto, il finale del nostro impianto di amplificazione incominció a fumare per il troppo lavoro e un odore di bruciato si sparse per l'aria. Per fortuna era l'ultimo pezzo prima della pausa, così decidemmo di fare un rapido salto a Brindisi e sostituirlo e ci trovammo immersi in una incredibile avventura da tipico telefilm americano. Sul lungo viale che portava all'uscita, nei pressi della banca, una macchina americana della Polizia lunga almeno 5 metri, sbarrava la strada di traverso con i lampeggianti accesi. Dietro l´auto due agenti inginocchiati, colt in pugno, intimavano l'alt a dei rapinatori incappucciati. Pino Sammarco Nikò, ti ricordi quando suonammo con quel complesso americano dove il nero Ivan suonava il sax e dove le cantanti erano tutte di colore? Nikola Poli Molto bravo Ivan al sax, suonò in America anche con Otis Redding prima dell'incidente dell'aereo e poi anche con Wilson Pickett. Ma le tre coriste nere, uèh Peppì, erano uno spettacolo solo a vederle. Il batterista nero se non aveva la cassa di birra affianco non suonava, i tre fiatisti mi sa che non bevevano proprio, le coriste bevevano invece al posto loro, gli unici due bianchi cadaverici eravamo io e te Peppì. Non mi ricordo il nome di quella bevanda che gustavamo...! Pino Sammarco Cubalibra Nikó! Nikola Poli Già cubalibra! Squisita bevanda, era la prima volta che assaggiavo un cocktail così ottimo! Per ste cose gli americani erano artisti! Ricordo ancora il sapore di quella coca cola bevuta fresca nei pomeriggi d'estate, un sapore che non ha per niente a che vedere con quella italiana, tutto un altro pianeta, e quei cubetti vuoti da dentro di ghiaccio dentro quei bicchieroni, ricordo che quando dovevamo suonare la sera andavamo a "montare gli strumenti" fin dal pomeriggio presto,hahaha! Gianfranco Perri “Cubalibre”, che poi vuol dire Cuba Libera, miscela di rum con coca cola e ghiaccio, con eventualmente una scorsa di limone. Quando nel 1898 gli Stati Uniti s´impossessarono dell´isola (liberandola a loro detta) cacciando dopo una guerra gli spagnoli che l´avevavano colonizzata, i soldati americani provarono a mescolare il locale e comunissimio rum con la americanissima coca cola e tanto ghiaccio: un gusto squisito! Nikola Poli Ahahahah, infatti Gianfrà, quando c'erano i soldati che ne bevevano tanto a volte la serata finiva a botte e volavano anche i tavolini. Ma era tutto nei limiti ed era tollerato, si dovevano sfogare in un modo o nell'altro, forse alcuni ritornavano addirittura dal Vietnam!

Page 18: Gianfranco Perri su Senzacolonne

placida, si avvió mentre io loseguivo con la mia incavolaturaanche un pó accentuata da quellasensazione di assoluto mene-freghismo e comunque di man-canza di solidarietá che ero sicurodi star leggendo nell’atteggiamen-to dell’americano.Entrammo, accese la luce, il miosguardo si posó su quello che erastato il nostro tavolo, e ... natural-mente il borsello non c’era. Mistavo accingendo al dietro frontquando l’americano mi guarda edice: Dove lo hai lasciato? ...No,non c’é, abbiamo cenato su queltavolo lí, ma non c’é. L’americanosi dirige deciso verso il tavolo, siguarda intorno, guarda per terra,smuove le sedie piú prossime, poicon l’indice segnala una sediapoco distante da lui e dice: Équello, no? Corro verso la sediasegnalata ed il mio borsello era lí,intatto. Lo presi di impeto e dipin-gendo un gran sorriso sul miovolto dissi: Si, si, grazie. Tornai dicorsa dagli amici che avevanofinito di smontare gli strumenti ecomunicai loro la buona nuova: fufesta grande per tutti, un avveni-mento eccezionale, un favolosocolpo di fortuna, praticamenteuna vincita alla lotteria!

* * *

Ebbene, solamente dopo tantissi-mi anni avrei capito che non si eratrattato in assoluto di un avveni-mento eccezionale né di unfavoloso colpo di fortuna, ed avreianche capito che l’atteggiamentodi quell’americano non era statodi menefreghismo, ma la sua erastata la naturale reazione di chi ésemplicemente convinto che nonstia accadendo nulla di particolar-mente grave o sgradevole: per luinon c’era stato nulla di anormale,...se uno dimentica un oggettoproprio in un luogo pubblicodelimitato, deve semplicementetornare a riprenderselo, indipen-dentemente dal valore della cosaed indipendentemente dalla quan-titá di persone presenti o transi-tanti sulla scena della dimentican-za!Tutto quello lo compresi quandocominciai a frequentare con unacerta regolaritá gli Stati Uniti apartire dal dicembre del 1981,prima saltuariamente da sempliceturista visitando con la famiglia laFlorida, New York, le cascate delNiagara, le piste da sci dello stato

di Vermont, New Orleans, LasVegas, Cicago, Boston, l’Alaska,lo stato di Maine, e poi via viasempre con maggior frequenzafino a che durante gli ultimi diecianni ho molto spesso visitato SanFrancisco dove mio figlio JuanFrancisco ha studiato ed ora vilavora avendo messo su casa conuna bellissima bambina, ed hoanche preso una abitazione stabilea Miami dove vive mia figliaAndreina con le sue due bellis-sime bambine: di fatto trascorroormai vari mesi all’anno in quellaparte di mondo.Perché quindi parlare “bene”degli americani e perché parlarne

“in controcorrente e senzapolemiche”? Ma perché son certodi poter cosí rendere un buonservizio informativo, magari forsealla fine anche da qualcunoapprezzato, ai miei tanti amiciitaliani dai quali ho in piú occa-sioni dovuto ascoltare, quasi sem-pre in buona fede, apprezzamentidiciamo “poco lusinghieri” neiconfronti degli americani, in unasorta di sport alla moda ed inmezzo ad una totale confusione esovrapposizione di concetti, trapopoli e governi, tra politica ecivismo, tra cultura ed edu-cazione. Apprezzamenti quelliperó sempre, o quasi immancabil-mente, fondati sulla totale assenzadi una qualche conoscenza direttadi quel paese d’oltre oceano efondati quindi, e ripeto in buonafede nella maggioranza dei casi,sul sentito dire, sull’aver letto sulgiornale, sull’aver visto in televi-sione, anche se spesso peróimboccati, mi consta per averanch’io letto quei giornali edascoltato quelle televisioni, da chiper ignoranza o per mestiere edinteresse, fa disinformazione.E poi mi vien di parlarne suqueste pagine brindisine anchepensando che facendolo mi riescamagari di stimolare un sano sensodi sfida a non mollare tra queitanti giovani amici che di frontealle molteplici tristi manifes-tazioni giornaliere, sentono spes-so di aver perso ogni speranza dipoter assistere ad un riscatto civi-co dei propri concittaini e dellapropria cittá: coraggio, si tatta dicose relativamente semplici, sesono possibili in altre latitudinisaranno, per lo meno in parte,possibli anche qui, non demor-diamo! E comunque chiarisco da subitoed a scanso di equivoci, che sonoserenamente convinto e coscientedel fatto che di certo sonmoltissime e di varia natura epeso le critiche che si possono e sidevono legittimamente indiriz-zare agli Stati Uniti, ai loro gov-erni, alle loro istituzioni, alle loropolitiche, alle loro leggi, alle loroazioni e quant’altro. Io stessopotrei scrivere ben piú numerosepagine su tali argomenti, ma mison riproposto in questa occa-sione di contribuire a colmarequello che considero sia, tra i mieiconcittadini, un vuoto di infor-mazione ingiustificato ed ingiusto

nei confronti degli uomini e delledonne di quel paese americano.Mi ripropongo anche di non scri-vere per aver sentito dire, ma diraccontare unicamente alcunedelle mie simpatiche esperienzedirette, e del resto trovo in questosenso difficoltá solamente inselezionarle tra le tante di cuidispongo. E si, perché parlando didimenticanze io ho la fortuna diavere una moglie le cui qualitá mipermettono di poter attingere confacoltá di scelta dal suo abbon-dante repertorio, americano inquesto caso.*****I miei tre figli hanno imparato da

piccoli a sciare tra i bellissimipaesaggi nevati dello stato diVermont, piú vicino a Caracasrispetto alle nostre ancor piú bellemontagne alpine ed appenniniche.Esiste nel nord dello stato diVermont un pittoresco paesino dimontagna chiamato Stowe ed inquella fredda sera di dicembre del1993 eravamo andati tutti a cenapresto, felicemente stanchi dopola lunga giornata trascorsa suglisci. Quando andammo via il ris-torante era ancora abbastanzaaffollato e c’era anche qualchecliente in attesa di essere sistem-ato per la cena. Stava nevicandoleggermente ed al mattinoseguente, domenica, dovevamoripartire per la seguente tappa diquelle vacanze natalizie.L’albergo distava qualcosa piú diun’ora e, arrivati praticamente ametá strada, Mariana mia moglie,esclama freddamente: Ho dimen-ticato la borsetta appesa alla sediadel risorante, con soldi e carta dicredito, ...quella borsetta é prati-camente nuova, un recente regalocerto di valore ragguardevole.Che si fa? É tardi, domattina dob-biamo partire dall’albergo indirezione opposta a quella del ris-torante che non sappiamo seaprirá né sappiamo a che ora. Icellulari non sono ancora cosí aportata di mano e non possiamoneanche essere sicuri che il ris-torante sará ancora aperto esopratutto, le probabilitá diritrovare la borsetta dopo quell’o-ra e piú che sarebbe trascorsa tral’uscita e l’eventuale ritorno alristorante, sono decisamentebasse, anzi nulle direi! Propongorinunciare, raggiungere l’albergo,annullare la carta di credito edimenticarsi della borsetta....Tutto sommato non é poi unagran tragedia.Mariana non é d’accordo per viadella sua bella e nuova borsetta e,dopo una rapida e democraticavotazione, si decide per 3 a 2 diritornare al ristorante alla ricercadella borsetta. Il percorso delritorno naturalmente é, o pareessere, piú lungo di quanto ave-vavamo stimato, per strada non siincontra quasi nessuno, le lucidelle poche case quasi tuttespente, ...gli americani cenanomolto presto, tra le 5 e le 6 e d’in-verno in campagna vanno a lettopresto. Dopo l’ennesima curvadietro la quale ci sarebbe dovuto

essere il ristoranteche non c’era,finalmente lointravediamo: nonci sono piú auto-mobili parcheg-giate ...cattivosegnale, le lucisono moltofievoli, quasispente, credo pro-prio che abbiamofatto buca. Perósotto la porta inpenombra c’équalcuno che simuove ...ma si, éla cameriera checi aveva servitola cena, una gio-vane biondina e

scolorita, é appena venuta fuoridalla porta ed agita le mani in seg-nale di saluto verso di noi, éabbastanza intirizzita ed ha inmano la borsetta! Ci spiegó, contono molto rammaricato e quasicome volendosi scusare, che uncliente gliela aveva consegnata,che non sapeva dove eravamoalloggiati, che il giorno dopo ilristorante sarebbe rimasto chiuso,che l‘ora della chiusura era giátrascorsa da circa un quarto d’orae che lei, presentendo che sarem-mo ritornati a prendere la borset-ta, aveva chiesto al manager dilasciarla ad aspettarci e che dopoil nostro arrivo avrebbe chiuso lei

il ristorante. Tutto qui, ed eratanto contenta perché non si erasbagliata! Che dire? Naturalmentenulla, in quel momento ci man-carono le parole, prendemmo laborsetta con un semplice grazie esperando solo di averle trasmessocon almeno lo sguardo la nostraprofonda allegria e gratitudine.Ma del resto quella ragazza non siattendeva di certo molto altro, perlei era tutto normale: che laborsetta gli fosse stata consegnataintatta da uno dei clienti, che leice l‘avesse consegnata allo stessomodo, e che per far ció lei avesseatteso fuori orario il nostro proba-bile arrivo nonostante la nottefredda e ritardando il suo rientro acasa dopo aver concluso la suagiornata di lavoro.

* * *

Ma adesso ne racconto una piúsimpatica, ed anche piú breve,l’ultima di questo che potrebbeessere un lunghissimo filone. Ilmio terzo figlio Roberto cheadesso vive e lavora a Madrid, éstato da adolescente un pó, dici-amo, troppo vivace, e su con-siglio dei suoi maestri decidemmoche a 14 anni gli avrebbe giovatofrequentare un anno scolastico inuna scuola militare, un pó di dis-ciplina gli avrebbe fatto propriobene e cosí: a Valley Forge unagloriosa accademia militareliceale in Pensilvania. Mariana edio lo andammo a visitare durantetre giorni in occasione della ceri-monia di chiusura dei loro campi-onati sportivi: un campus bellissi-mo ed elegantissimo, tra enormiprati verdi impeccabilmentecurati e tanta disciplina. Erano iprimi di novembre del 1996, nonfaceva ancora troppo freddo edalloggiammo in un resort pocodistante dall’accademia, dove inquei giorni alloggiavano anchemolte altre famiglie americane invisita ai loro cadetti. Trascorsonel migliore dei modi quelpiacevole soggiorno, arrivó ilgiorno della partenza: lunedí mat-tina alle 8 in punto, imboccandosubito la vicina autostrada, versol’aereoporto distante una cincuan-tina di chilometri dall’albergo e

per fortuna in senso oppostoall’intensissimo traffico di quel-l’ora di punta. Poco prima di rag-giungere l’aereoporto, la solitalaconica notizia di Mariana: Hodimenticato in albergo il giacchi-no di cashimire, forse in stanza,forse alla reception, forse lungo ilpercorso dalla reception all’auto.Che fare? Questa volta non cisono alternative, il traffico insenso contrario é intensissimo edil tempo a disposizione primadella partenza dell’aereo non con-sente di ritornare in albergo aprendere il pregiato giacchino,pazienza! Dopo qualche giorno dal nostrorientro a Caracas, Roberto tele-fonicamente ci racconta: Mamma,ma non lo sai che la tua taglia é unpó piccola per me? E poi che legiacche da donna abbottonano alrovescio di quelle da uomo?Grazie tante ma no era proprio ilcaso che tu mi regalassi il tuogiacchino di cashimire, anche sequi ora fa veramente tanto freddo!Stava scherzando naturalmente,ma ci stava raccontando esatta-mente quello che gli era passatoper la mente al vedersi recapitareun pacchettino postale, afrancatoe con un mittente manoscrittosconosciuto, con dentro ilgiacchino di cashimire di suamadre. Poi peró aveva letto ilbigliettino manoscritto che loaccompagnava: Sono il consiergedel Resort... e questo giacchinomi é stato consegnato da uncliente dell’albergo che lo hatrovato a terra nel parcheggio, ioho riconosciuto essere quellodella signora Perri che avevaappena lasciato l’albergo e che sovive in Venezuela ed alla qualepertanto non mi é possibile farlorecapitare. Tu dovresti essere ilfiglio dei signori Perri che soerano in visita all’accedemia diValley Forge e pertanto ti stoinviando il giacchino affinché tulo possa riconsegnare a tua madre.Saluti John! ...Incredibile no? Ma questi episodi certamente nonisolati, ve lo posso assicurare, nonsono neanche casuali e denotanoinfatti tutto un articolato atteggia-mento civico che non si limita

La grande antenna della base USAF di San Vito dei Normanni

24 MARTEDÌ 11 OTTOBRE 2011

Ancora un’immagine dei

Page 19: Gianfranco Perri su Senzacolonne

certo al solo rispetto delle cosealtrui, che non sarebbe poi cosípoca cosa, anzi: dimenticare dichiudere a chiave l’auto parcheg-giata per strada con dentro unalaptop relativamente in vista eritrovare dopo un paio d’ore l’au-to e la laptop, ...a me che vivo inSudamerica fa veramente tantainvidia!

* * *Gli americani, é luogo comune,rispettano rigorosamente le file,tutte le file: a piedi ed in auto, alcoperto ed alle intemperie, nelpubblico e nel privato, non usanomai i gomiti e né qualcuno eserci-ta precedenze di favore sulla basedi conoscenze, amicizie, par-entele, appartenenze, o quant’al-tro. E qui verrebbe naturale par-lare di raccomandazioni e di mer-itocrazia, ma il capitolo sarebbelungo ed il paragone sarebbe trop-po doloroso, quindi meglio saltareper questa volta.Gli americani, non solo non siappropriano allegremente dellecose altrui lasciate incustodite, manon si appropriano neanche delsapere altrui: a scuola non sicopia! E non perché la sorveglian-za sia molto rigorosa o tecnologi-camente sofisticata, ma semplice-mente perché non é etico farlo.Copiare un compito o un esame

equivale a dire formalmente unabugia, quella di affermare di averrisolto un problema senza che siavero, e questo tipo di bugia é con-siderato gravissimo. Mio figlioJuan Francisco, prima di iniziare astudiare ingegneria al Politecnicodi Torino ha frequentato il primoanno dell’accademia navale mer-cantile dello stato delMassachusetts, la MMA(Massachusetts MaritimeAccademy) di Cape Code nell’an-no accademico 1995-96, perchévoleva perfezionare il suo inglesee voleva fare una esperienza sin-golare. Mentre lui frequentavaquell’accademia, un suo collegacadetto americano dell’ultimoanno, in procinto quindi di lau-rearsi, fu espulso definitivamentedall’accademia senza possibilitádi appello, perché si scoprí cheaveva copiato in un esame.Per strada negli Stati Uniti non sigettano od abbandonano rifiuti dinessun genere ed in nessuna cir-costanza: non dalla finestra dicasa, non dopo il picnic nel parcoo sulla spiaggia, non durante lospettacolo in piazza o allo stadio oal cinema, non dalle viscere deipropri cani, non dal finestrino del-l’auto, e cosí via. Certo, si potrádire perché le multe sono salatis-sime, ed é vero: negli Stati Uniti

non solamente si esercita lacertezza della pena, ma anche laquasi certezza che l’infrazionecommessa sia individuata.Quando guidando viene il dubbiodi aver forse commesso un’in-frazione, magari leggera, vienquasi automaticamente diguardare nello specchio retrovi-sore per verificare se per caso cisia qualche auto o moto dellapolizia in zona, ...ebbene il 90%delle volte quell’auto o quellamoto c’é. Sembra incredibile, maé proprio vero, c’é sempre tantapolizia: municipale, stradale,statale, federale e quant’altro. Maallora non é che i cittadini statu-nitensi siano particolarmente cor-retti, é solo che hanno timoredella polizia e sanno inoltre che lapolizia c’é sempre e che leinfrazioni si pagano! Ebbene si,tutto vero, ma chi puó sapere se énata prima l’educazione civica oil castigo all’infrazione? L’uovo ola gallina? Ma a questo puntoforse non é neanche cosí impor-tante trovare la risposta a tale que-sito. In fondo ormai a poco a pocoil senso civico, anche se magariinconsciamente indotto dal timorealla punizione, é alla fine entratonel loro DNA. Su alcuni segnalistradali che indicano il limite divelocitá consentito, oltre alnumero che lo identifica si puóanche leggere “this is the law”.Ossia: questo limite non é unqualcosa di capriccioso o un sug-gerimento, ma “é la legge”, comea voler dire,... e quindi “é vera-mente e semplicemente darispettare”! Curioso no?É risaputo che negli Stati Uniti letasse si pagano, puntualmente edimprorogabilmente, e che la loroevasione comporta la galera effet-tiva, tutti ricordano che AlCapone fu finalmente arrestato eimprigionato per evasione fiscale,e non é certo il solo caso ecla-tante. Peró esiste anche la con-tropartita ed i soldi, dallo stato enon solo dallo stato, ai cittadinivengono anche celermente resti-tuiti. Ed a questo proposito unultimo simpatico e sintomaticoepisodio: Stavo visitando in unacittadina del Connecticut unamico italiano, il bravo geologoPiero Feliziani, romano, anzilaziale perché in gioventú avevagiocato in Serie B con la Lazio.Anche lui era in vacanza negliStati Uniti in quel dicembre del1987 in visita ad una delle suefiglie che lí ci viveva da moltissi-mi anni, ed io lo andai a visitareproprio a casa di sua figlia. Nelbel mezzo della chiacchierata midice di seguirlo nello studio per-ché mi vuol mostrare un quadroda lui appena ritirato dal cornici-aio. Il quadro incorniciava unassegno, il beneficiario del-l’assegno era la figlia di Piero, iltraente (colui che stava pagando)dell’assegno la compagnia tele-fonica del Connecticut, l’importodell’assegno 0,50 centesimi di

dollaro. Allorché Piero mi raccon-ta che la settimana scorsa la figlia,di sera e mentre piovigginava, siera diretta ad un telefono pubblicoda strada -cellulari non ne esiste-vano ancora- per fare una tele-fonata. Aveva introdotto unaprima monetina da 0,25 cents enon aveva ricevuto la linea, quin-di ne aveva introdotto una secon-da e di nuovo niente linea: eraguasto. Per fortuna affianco cen’era un altro di telefono pubblicodal quale, per prima cosa, chiamaal número gratuito della societátelefonica, chiaramente segnalato,per informare che l’altro telefonodel quale aveva diligentementeannotato il numero di identifi-cazione anch’esso chiaramentesegnalato, era guasto. L’operatricecon tono fiscale le chiede di rac-contare esattamente tutti i dettaglidell’accaduto e quindi il nomecognome ed indrizzo di residenza.Chiuso l’episodio, fatta la tele-fonata, e buona notte. Dopo esat-tamente quattro giorni arriva acasa una busta della societá tele-fonica con il famigerato assegnoda 0,50 cents e con una letterasuccinta che spiegava del-l’avvenuta riparazione del tele-fono guasto e del rimborso dovu-to per le due monetine pagatesenza il corrispettivo servizio....Interessante no?

* * *

E concludo con un aneddoto eduna breve riflessione, indottadallo stesso aneddoto. Anni fa unacuto venezuelano amico mio, perspiegarmi sinteticamente la dif-ferenza tra gli americani degliStati Unidi e gli americani delSudamerica, ed ovviamente ilconcetto sarebbe ben valso ancheper noi, mi raccontó che dopo unnaufragio approdarono suun’isolotto deserto ed assolato deiCaraibi -immagino come quellomeraviglioso di Tortola di fronteall’isola San Thomas sul quale miha scaricato qualche giorno fa lanave da crociera assieme a tutti gli11 della mia squadra fes-teggiatrice del 60° anniversariodella mia nascita- due uomini:uno statunitense ed un sudameri-cano, credo quest’ultimo fosseargentino di origini napoletane opugliesi.

* * *

Lo statunitense era un impiegatodi mezza etá mentre il sudameri-cano era piú giovane, quasi unragazzotto, aitante e di mestierefaccendiere. Non si sa bene comeandarono esattamente le cose, masta di fatto che dopo circa una set-timana dall’approdo si era rag-giunto il seguente equilibrio: lostatunitense aveva il compito diraccogliere i frutti selvaggi reperi-bili, cercare molluschi e quant’al-tro di commestibile vi potesseessere sulle rive, raccogliere lapochissima acqua che gocciolavada qualche avara sorgente che

bisognava andare ad incontrare super l’impervia collina adiacente,accendere il fuoco di sera etc.,etc., perché da ragazzo era statoboyscout e tutte quelle cose, piú omeno ricordava come sidovessero fare. Il faccendieresudamericano si era inveceautoassegnato il compito di studi-are di sera le stelle e le costel-lazioni per cercare di identificarel’esatta posizione geografica del-l’isolotto, visto che lui da ragazzoera stato appassionato di astrono-mia e quindi ne sapeva abbastan-za, poi per il resto poteva fare benpoco perché si sentiva depresso e,sfortunatamente, durante le vicis-situdini del naufragio dovevaanche aver preso inavvertitamentequalche colpo su una delle gambeche gli faceva ancora cosí tantomale che quasi non riusciva acaminare. Dopo qualche altro giorno, sullostesso isolotto approdó unascialuppa di salvataggio con unadozzina di altri naufraghi mira-colosamente sopravvissuti, metásudamericani e metá statunitensi.Anche qui non si sa bene comesiano andate esattamente le cose,ma sta di fatto che i due gruppidecisero di separarsi. Trascorserocosí le settimane ed i mesi fino aquando i naufraghi statunitensifurono avvistati da una nave, gra-zie al sistema di segnalazione cheavevano ideato e posizionato:erano in buon stato di salute, ave-vano organizzato una comunitáordinata e lavorando a rotazioneavevano costruito un rifugio,coltivato un orto, etc.Naturalmente ci si preoccupó diandare a soccorrere anche inaufraghi che si erano stabilitidall’altra parte dell’isolotto: eranotutti vivi anche se un pó malan-dati, dormivano alle intemperie emangiavano saltuariamente, si eracreata qualche inimicizia nelgruppo peró anche loro si eranoben organizzati: avevano creatodue o tre commissioni, una per iservizi, un’altra per la sicurezza,un’altra per qualcos’altro, un dis-graziato si era ammalato e nonpoteva far nulla, ma alcuni eranoconvinti che si trattasse solamentedi uno sfaticato che fingeva di starmale per non lavorare, mah,chissá!Caro Gianfranco concluse il mioamico, questa é la differenza cheti volevo spiegare: Uno scugnizzosudamericano puó anche “farfesso” un dottore statunitense, difatto spesso con un’apparenza daboyscout nonostante l’etá. Ma piústatunitensi messi assieme, comecomunitá prevarranno sempre e digran lunga su un insieme disudamericani, con la disciplina, lasolidarietá, l’educazione, coninsomma il senso civico. Ebbene amici miei, mai la fur-bizia, l’individualismo e la scarsaeducazione civica hanno resogrande un intero popolo, ve loposso giurare!

MARTEDÌ 11 OTTOBRE 2011 25CRONACA DI BRINDISI

“ QUESTA E’ LA LEGGE ”

Page 20: Gianfranco Perri su Senzacolonne

20

Via da Brindisi. Una strada chenella toponomastica non esiste eche però è la più popolata da brin-disini. Via da Brindisi raccoglietutti quelli che, per scelta o pernecessità, hanno lasciato Brindisie vivono in altre città dell’Italia odel mondo. Da qualche giornoSenzacolonne diffonde via inter-net, gratuitamente, la versionedigitale integrale del giornoprecedente. E’ un modo in più perricomporre questa fantasticacomunità che pulsa di brindisinitàe che ha diritto di essere informa-ta di ciò che avviene nella suaterra. Riteniamo fondamentale ilcontributo di questi brindisini per-ché spesso da lontano si ha la pos-sibilità di esaminare con maggioreobiettività ciò che avviene in ques-ta città. Tra i brindisini che vivonolontano, molto lontano, c’èGianfranco Perri: ingegnere,docente universitario, progettistae consulente di gallerie e operesotterranee, Segretario dellaSocietà Venezuelana di OpereSotterranee. Ma soprattuttoinnamorato della sua Brindisi chesegue constantemente via Internet.Per il suo lavoro è in giro per ilmondo ed è da lì, dal mondo, chegli abbiamo chiesto di inviarci rif-lessioni e impressioni su Brindisi ei brindisini.

da BUENOS AIRES

Caro Direttore Gianmarco,Nel mio andare per il mondo avróincontrato forse un centinaio emagari anche piú di persone che difronte alla mia affermazione diessere di Brindisi rispondendo allanaturale domanda che traconoscenti circostanziali ci siscambia sul rispettivo luogo diprovenienza, mi hanno replicatocon decisione: certo Brindisi, io laconosco, ci sono passato per

andare in oriente via mare, un bel-lissimo porto! Il porto di Brindisiinfatti, e lo sappiamo molto benetutti noi brindisini, é stato nei mil-lenni la principale porta d’orientetrovandosi strategicamente e natu-ralmente intagliato vicinol’estremitá del tacco dello stivaleitalico tutto propenso a sudest nelMediterraneo. A Brindisi normal-mente non ci si va, non ci si ferma,a Brindisi si arriva e si parte, daBrindisi si passa nonostantel’essere situato in una estremitágeografica.In un certo senso si tratta di unavera stranezza, perché normal-mente i siti geograficamente estre-mi sono luoghi dai quali non sipassa e quindi, o non li si conosceo, se c’é un qualche motivo speci-fico, ci si vá per arrivare, per fer-marsi. Non ne son sicuro, perócredo che questa particolaritápossa essere interessante anche dalpunto di vista di una sua possibileinfluenza sul carattere di noi brin-disini e magari qualcuno, con lanecessaria preparazione e autoritánel campo, potrá anche trarrequalche considerazione utile ocomunque di reale interesse sultema. In me questa riflessione ématurata dopo aver ascoltato da unamico argentino un suo commentoriguardante la sua cittá con i suoiabitanti, Buenos Aires, anch’essaun porto molto importante,anch’esso situato prossimo ad unaestremitá geografica, nientemenoche quella dell’intero continenteamericano.

****In questi giorni sono a BuenosAires, ci sono stato anche diversealtre volte, questa volta per seguireil corso di un importante lavorosotterraneo, la costruzione da partedi una societá italiana di duelunghe gallerie che ho progettatoper il drenaggio dell’intera cittá:Buenos Aires é infatti abbastanzapiatta e bassa sul mare, e quandopiove a dirotto il drenaggio natu-rale é assolutamente inefficiente,tant’é vero che un primo sistemadi drenaggio sub-superficiale eragiá stato costruito piú di un secolofa, ma ormai é diventato assoluta-mente insufficiente, e risolvere ilproblema é oggigiorno una neces-sitá impellente.

Buenos Aires é invece, nel pienorispetto della regola, un luogo dalquale non si passa, ma al quale siarriva di proposito, e per fermarsi.Non si va a Buenos Aires per poiproseguire il viaggio: o ci si ferma,o si torna indietro. Milioni di ital-iani arrivarono, all’incirca 3,pochissimi tornarono indietro emolti si fermarono, ...e sono anco-ra li, anche per strada, al tavolinodel caffé leggendo il giornale men-tre sorseggiano un buon espresso oun buon cappuccino accompagna-to da una sfogliatella napoletanaappena sfornata, o bevendo un fer-net: ne bevono tantissimo, senzache da loro sia mai minimamentepassato di moda. Cosí come nonsono passati del tutto di moda ivari oggetti di metallo ancora inuso a tavola o al bar: la cannucciametallica del mate, il tipico téargentino, le scodelle e le tazze oaddirittura i piatti di latta smaltata,le coppe metalliche per il gelato olo spumone della domenica altavolino del caffé del corso. E’strano da descrivere, ma alle volteentrando in qualche bar un pó per-iferico di Buenos Aires, mi sonocome sentito ripiombare nell’at-mosfera della mia infanzia trascor-sa in quella Brindisi povera deglianni ’50 in cui senza tante lucisfavillanti tutto era semplice edallo tesso tempo decoroso, come

lo sono glistessi

camerieri in pantalone nero abbas-tanza slucido e spesso anche rat-toppato con cura, ma immacolatoed impeccabilmente stirato: ... unasensazione veramente strana, mabella, da “amarcord”. Cercando in qualche modo diavanzare o quanto meno di ipotiz-zare una possibile spiegazione sul-l’origine del carattere risaputa-mente e aneddoticamenteorgoglioso in eccesso con un’au-tostima cosí spinta da rasentare lapresunzione e grazie al quale i cit-tadini di Buenos Aires assegnanoalla loro cittá un’infinità di posi-tivi primati, il mio amico argenti-no mi commentava che proprio inquell’ubicazione cosí geografica-mente estrema era possibile sco-prire i meandri di quella personal-itá. I “portegni” questo il nome piúfrequentemente attribuito agli abi-tanti di Buenos Aires, nutrono neiconfronti di loro stessi e della pro-pria cittá un affetto eccessivo, vee-mente, viscerale, che giunge adessere cosí intenso da offuscare laloro ragione. E tutto ció accade,secondo quel mio amico argenti-no, perché sono cittadini di unpaese giovane che come talereagisce agli schiaffi della storia,un popolo abituato a perdere tuttoe a ricominciare, con la congenitanecessitá ogni volta di avere unappiglio da cui ripartire.Tra molti brindisini invece, e tuttoal contrario di quanto appena com-mentato per i portegni di Buenos

Aires, sembra alle

volte prevalere una specie diautolesionismo, e lo sport di modasembra essere: L’erba del vicino ésempre piú verde. Non si è quasimai soddisfatti della propria cittá edei propri concittadini e si tende avedere tutto quello che hanno lealtre cittá, specialmente se vicine,come qualcosa di molto migliore.Naturalmente é utile e necessarioessere critici, peró costruttiva-mente critici e non critici a priori,accarezzando magari la comodaposizione di, ...tanto per questacittá non c’é speranza ...con questicittadini son si puó fare nulla dibuono, e finire cosí di auto convin-cersi che la colpa é naturalmentedegli altri, e finire cosí di autogiustificarsi del proprio operato odella propria inoperanza, tantocomunque non val la pena diimpegnarsi perché tutto é assoluta-mente inutile! Sará tutto ció colpadell’essere Brindisi posta in unluogo geograficamente estremo enonostante essere al contempo unluogo in cui in tanti solo passano?Arrivano, partono, ma non si fer-mano, adesso e nei millennitrascorsi! Chi lo potrebbe analiz-zare e quindi darci un’opinione inmerito?Mentre attendiamo un qualcunoche lo faccia peró, non adagiamo-ci troppo nell’attesa, lasciamo da

parte gli aneddoti e leantipatiche stereotipifi-

cazioni, e segnaliamo

Il docente brindisino,ingegnere minerarioin Venezuela, ci inviauna corrispondenzadal mondo

CRONACA DI BRINDISI

Via da brindisi Corrispondenze

dal mondo diGIANFRANCO PERRI

Brindisi, perlain un pianetadi bellezze

“Riachuelo”il porto dello storico quartiere La Boca di Buenos Aires

Hotel Plaza - Buenos Aires 1909

«Siate fieri della città e di chi l’ha fatta grande»

VENERDÌ 11 NOVEMBRE 2011

Page 21: Gianfranco Perri su Senzacolonne

invece che per fortuna qualcosasembra stia in qualche modo cam-biando. Non vivendo a Brindisi,ma ritornandoci sistematicamente,con scadenze purtroppo non cosífrequenti come mi piacerebbeanche se per fortuna neanche cosídiradate, sono forse in qualchemodo agevolato nel poter piúfacilmente notare quei piccolicambi che per essere molto gradatirestano forse impercettibili ai piúche la cittá la vivono tutti i giorni.E non mi voglio riferire ad alcunidei timidi cambi fisici che pur cisono stati negli ultimi anni, ma stopensando a certi cambi, se non dimentalitá quanto meno di atteggia-mento che, essenzialmente anchese non esclusivamente tra i gio-vani, definitivamente e positiva-mente possono essere obiettiva-mente colti.Nell’atmosfera che si comincia arespirare a Brindisi, finalmente sipalpano il bisogno, il desiderio e laricerca di superamento della stasi,di innovazione, di partecipazione edi protagonismo in relazione conla cittá e con le sue problematiche,sociali, ambientali, e culturali insenso generale: tutti aspetti civiciche mi era sembrato fosserorimasti a lungo sommessi e son-necchianti. Il sorgere di tanteiniziative editoriali online e ditanti gruppi civici spontanei digiovani e di meno giovani, ne sonoun segnale assolutamenteinconfutabile: Brindisini la miagente - Brindisi concittadini di cuiandare fieri - Rinascita CivicaBrindisina - Gruppo ArcheoBrindisi - No al Carbone - BrindisiBene Comune - Ilovebrindisi.it -Brindisilibera.it - Brundisium.net -Brindisiweb.it - Brindisireport.it... Sará mai che la web ed i social-networks stiano dando la spintadecisiva necessaria alla riscossacivica cittadina? Certo non cisarebbe da meravigliarsi, con-siderando che ben piú impensabiliimprese sono state in qualchemodo motorizzate dalla combi-nazione di questi due giganti pro-tagonisti del presente e del futuro,tra tutte la primavera araba, persolamente ricordare quella piúrecente ed anzi ancora in corso.Ed allora, me li immagino giá imiei concittadini completando ilriscatto civico di Brindisi ed ancheloro inorgogliendosi a pieno titolo

della propria cittá, e del resto ibrindisini siamo portegni come gliabitanti di Buenos Aires, o magaride La Boca il quartiere portualeper eccellenza dove si respiraancora aria di porto italiano, anzidi porto dei genovesi che furonotra i primi ad arrivarci in massa afine ‘800 inizi ‘900 per fondare ilfamoso quartiere che non ha maipiú perduto quella sua impronta“portegna” ed italiana. La Boca,con il suo incredibile teatro civico-sociale La Catalina che ha unacompagnia stabile composta dacuattrocento cittadini e nel cuiingresso sfoggiano dipinti alle-gorici dell’arrivo degli immigrantigenovesi. La Boca, con il suostorico stadio La Bombonera dellafamosa Boca Juniors di Maradona.

****E se La Boca ci potrebbe far pen-sare alle nostre Sciabiche, ilquartiere di Palermo ci potrebbeinvece far pensare alla CommendaSant’Angelo e Sant’Elia tuttiassieme. Palermo vecchia, oggialla moda con il nome di Soho, é ilquartiere storico di Buenos Airesche ha visto nascere e crescere ilgrande poeta Jorge Luis Borges edove ha anche abitato il famosoQuino, l’autore di Mafalda: in unadelle stazioni della Metropolitanadi Buenos Aires, d’improvviso unenorme mosaico con una strisciadi Mafalda, ...bellissimo! Ma nonsi puó pensare a Buenos Airessenza parlare di tango, un ballo si,ma anche musica e canzoni diparole che raccontano. Insomma,tanta cultura nel senso piú intimoed ampio immaginabile. A propos-ito di tango argentino mi piace quitrascrivere un pezzettino dell’ulti-mo simpatico romanzo della napo-letanissima Valeria Parrella “Maquale amore”.... Nel piú ovvio locale di tango diBuenos Aires, quindi nel quartieredi San Telmo, ... seduti a un tavo-lo nella penombra scopro unacosa: chiunque da questa parte delmondo in cui viene pubblicatoquesto libro (in Italia per esempio)creda di star ballando il tango,deve sapere di star ballando un’al-tra cosa. Magari bellissima. Maun’altra cosa. E’ come quando aMilano mangi una focaccinabuonissima e tutti intorno a te siostinano a chiamarla pizza.Uguale. Vediamo due coppie diballerini che a prima vista ci sem-brano brutti assai, e pure buffi contutte quelle trine e quei damaschiaddosso, ma diventano bellissimiappena la musica comincia.Quando la musica comincia, loroin uno spazio ridottissimo,scansando tavoli scrostati ecamerieri come pinguini, scansan-do clienti che vanno al bagno esempre sulle stesse cinque o seimattonelle, disegnano l’amore, la

guerra, il sesso. A occhi chiusi,senza ripetere mai gli stessi movi-menti, senza essersi “messi d’ac-cordo”, ma appunto in un accordointerno che é la musica, ballano. Sirespingono, si attirano, si diseg-nano l’un l’altro. …Ma il tango a Buenos Aires lo siballa ovunque, specialmente nelle“milongas”, specie di balere popo-lari, ed anche per strada: é facilis-simo imbattersi in ballerini piú omeno improvvisati che si esibis-cono su una piazzetta o tra i tavoli-ni di in caffé. La prima volta cheandai a Buenos Aires, con Mariananell’aprile 1991, una sera dopocena chiedemmo ad un tassista diportarci ad ascoltare un pó di buontango. Naturalmente a San Telmoci disse, peró vi porto in un postonon da turisti, ma da “portegni”ossia dove gli argentini di BuenosAires vanno ad ascoltare il tango.Arrivammo giá sul tardi, la stradaabbastanza appartata e semi buia,il taxi si fermó su quello che sem-brava l’uscio di un bar di periferia.L’insegna era accesa “Los dosPianitos” e con la luce fievole,cosí come fievoli erano le luciall’interno che si potevano indov-inare dalla strada. Con Mariana ciguardammo con sguardo insospet-tito e preoccupato, ci dovevamofidare del tassista? Ma il gioco erafatto e senza il tempo di altre rif-lessioni eravamo giá all’internodel locale. Poco piú di una mezzadozzina di tavoli, due o tre deiquali occupati da altrettante cop-pie. Al fondo il tipico bancone dabar e nel bel mezzo del salone duepiani neri, posizionati di spalla,cioé l’uno con la spalla attaccata aquella dell’altro: erano i due pianiche davano il nome al locale. Ci venne incontro il padrone dellocale, un signore di una certa etáche salutó confidenzialmente iltassista, evidentemente suo amicooltreché coetaneo il quale, entratocon noi, si premuró di presentarcia quel signore. Ci accomodammoad uno dei tavoli ed il tassista siandó a sedere da solo ad un altrotavolo, ordinando un bicchiere delsolito. Il padrone di casa ci vollepremurosamente spiegare che eraun pó tardi e che, essendo ungiorno intra settimanale, la musicadal vivo degli artisti del locale eraormai finita e che peró, conpiacere lui ci avrebbe suonatoqualche pezzo. Ci aprirono unabottiglia di vino rosso e ci por-tarono un bel piatto di formaggiassortiti, con qualche salsiccettaappena cotta alla brace che era nat-uralmente l’accompagnate perdefault. Dopo una decina di minu-ti, il signore di casa si siede alpiano e comincia a suonare, div-inamente e rigorosamente al ritmodi tango. Una delle coppie sedutaad uno dei tavoli, si alzó e comin-

ció a ballare, si trattava di una cop-pia attempata -noi vent’anni faavevamo solo quarant’anni e nonescludo che i tanti vecchietti chevedevamo forse oggi non ci par-rebbero poi cosí anziani- che nellapenombra sembrava quasi galleg-giare tra i tavoli come dondolatadalle onde di un mare improbabile.Al secondo tango, il tassista si alzósi avvicinó al pianista e comincióa cantare “Por una cabeza”, unclassico tra i classici di CarlosGardel. L’ambiente si stavaincredibilmente trasformando, daquello un pó triste e quasi squalli-do che ci aveva accolto, ad unocaldo armonioso e quasi magico.Invitammo il tassista a bere unbicchier di vino con noi, poi ineffetti di bicchieri di vino nebevemmo qualcuno in piú tuttiquanti, la musica al piano proseguícon il suo canto e con il ballo,anche gli altri pochi clienti presen-ti si lasciarono coinvolgere e ciritrovammo, noi compresi, acantare in coro qualcuna dellestrofe musicali piú conosciute epiú facili da intonare...Rimanemmo in quel locale pocopiú di un’oretta in tutto e poiandammo via: un’esperienzamolto bella, indimenticabile quan-to imprevista ed imprevedibile.Questa volta a Buenos Aires, ad untassista abbiamo chiesto seconoscesse “Los dos Pianitos” aSan Telmo, ci ha risposto che ilsignore de “Los dos Pianitos” nonc’é piú e che non ci sono piúneanche i due pianini!

****A Buenos Aires il corso era, ed inqualche modo lo é ancora, laAvenida Florida, il nostro corsoGaribaldi con tutti i suoi tradizion-ali negozi di abbigliamento e caffésu tutti e due i lati. Negozi e cafféche nei vent’anni che son trascorsidalla mia prima visita non soncambiati granché, nonostante ilmodernissimo centro commercialeaperto in uno storico edificio a trepiani della Florida che peró non haaffatto sconvolto l’aspettod’assieme della strada, anzi se si é

un pó distratti si passa davantiall’ingresso del centro commer-ciale senza accorgersene tant’ében camuffato ed inserito nel con-testo Ah, una cosa poco comune, aBuenos Aires ci sono molti piúnegozi di abbigliamento per uomoche per donna. Abbastanza singo-lare vero?Ad uno degli estremi dell’AvenidaFlorida c’é la Piazza San Martin,non é intitolata al santo ma al gen-erale con quel cognome che con-dusse gli argentini all’indipenden-za dalla corona spagnola. In unodegli angoli della piazza c’él’Hotel Plaza, un albergo classicorimasto tale nonostante i nuovitantissimi alberghi moderni apertinegli anni recenti. Come le altrevolte, sono alloggiato all’HotelPlaza, lo trovo molto bello ecomodo, fu costruito nel 1909 edin occasione del suo centenario éstata allestita nei suoi saloni unamostra storica permanente. E cosí,quasi per caso e con molto piacere,ho scoperto che uno dei postersdella mostra é stato interamentededicato al nostro grande TitoSchipa che nel 1939 visitó BuenosAires, interpretó varie opere albellissimo Teatro Colon(Cristoforo Colombo) e alloggió iquesto stesso Hotel Plaza. Il ricordo del tenore leccese TitoSchipa ci riporta vicino casa equindi a Brindisi. Lui infatti siprodigó a favore della nostra cittáin occasione della raccolta deifondi per la costruzione delMonumento al marinaio, pro-muovendo a tal fine vari spettacolial Teatro Verdi e partecipandovi inprima persona. Un grande esempiodi generositá oltreché di talento,un motivo di legittimo orgoglioper i leccesi ed anche per i brin-disini che sempre lo seguirono damolto vicino nel suo prolungatopercorso artistico. E non si trattacerto di un caso isolato, la listapotrebbe essere molto lunga,anche se limitata alla sola Brindisi.La brava professoressa GiusyGatti ha promosso una pagina fbtitolata “Brindisi. Concittadini dicui andare fieri” e questa é la suamotivazione: ho creato questapagina con l’intento di rendere piúconsapevoli i nostri studenti delfatto che vivono in una cittá preg-na di storia e di talento. Ebbenequesta pagina si é subito arricchitadi nomi e di fatti di Brindisi e dibrindisini. Dei tanti nomi apparte-nenti a brindisini che affondano leproprie radici nella storiaantichissima della nostra cittá, aitanti altri nomi molto piú vicini edanzi vicinissimi ai giorni nostri,fino ai numerosi attuali concittadi-ni talentosi o a differenti titoliammirevoli e meritevoli, dei qualiappunto “andare fieri”. Quellapagina si continua ad arricchire dinomi e di esempi e certo deve cos-tituire una fonte di ispirazione diun orgoglio legittimo a voltesovrastato dallo sconforto di tantequotidianitá difficili e deludenti,peró non assolute, ani1. Vi pro-pongo i primi 40 nomi della pagi-na di Giusy Gatti, ordinati secondola data di nascita. Seguono tutti glialtri nati dal dopoguerra in poi, esono tantissimi!

VENERDÌ 11 NOVEMBRE 2011 21CRONACA DI BRINDISI

Mosaico nella Metropolitana di Buenos Aires con una striscia diMafalda

Page 22: Gianfranco Perri su Senzacolonne

20

da LIMA

Il “mangiare” indiscusso ele-mento culturale di ogni popolo edi ogni terraLima e Brindisi: due cittá di pescatori e di anticacultura culinariaCaro Direttore Gianmarco,Siamo ormai prossimi alla finedell’anno e quindi ci stiamo inqualche modo predisponendo afarci coinvolgere dal clima fes-tivo del Natale che tra le tante

piacevoli senzazioni evocaanche quelle accattivanti delpalato e, specialmente per noibrindisini, quelle della buonatavola in calorosa ed allegracompagnia di familiari e amici,nonché di una bottiglia di buonvino nostrano. Un’ottima occa-sione quindi per parlare di gas-tronomia, un’occasione che mié stata anche appena offerta suun piatto, non d’argento ma cer-tamente di altissimo livello,...e sí perché sono a circa diec-imila metri d’altezza di ritorno acasa dopo una settimana trascor-sa in Perú, questa volta parteci-pando ad un congresso sullaprogettazione e costruzione digallerie, ...un pó troppo monot-ono vero? Pazienza! Ecco cosa era servito su quelpiatto: un “sebice” -cebiche oseviche in spagnolo- di granlunga il piatto piú inter-nazionalmente famoso dell’or-mai altrettanto oggigiornofamosa cucina peruviana. Ilsebice é un piatto crudo, di pesceservito a pezzettini o a striscio-line, oppure di frutti di mare o diun misto dei due, marinato almomento in succo citrico dilimone o, meglio, di una dellesue altre varietá tropicali piúacide, condito quindi con alcunevarietá locali di peperoncinopiú o meno piccante ‘ají’ che éin effetti l’ingrediente vera-mente caratterizzante della cuci-na peruviana, quindi cipolla injuliana, e finalmente spruzzatocon cilantro o con poco corian-dolo. Alle volte lo si accompa-gna a mó di contorno, con unbel pezzettone di patata zucche-rina cotta, che funge da interes-sante ammortizzatore dell’acid-itá del citrico. Un piatto deli-catissimo e squisito, con ungrandissimo segreto: oltre allabuona qualitá degli ingredientiaccessori ed alla mano espertadel cuoco, ...il pesce o i frutti dimare devono essere assoluta-mente freschi!

* * *Ma prima di continuare con ilsebice, un breve commento suLima, un grande porto delPacifico e quindi una cittá diantica tradizione marinara e

sopratutto peschiera. La Cittàdei Re, perché lo spagnoloFrancisco Pizarro la fondó ilgiorno dell’Epifania del 1535,il giorno appunto dei Re Magi,nella tradizione spagnola cheinvece non conosce la nostrabefana. Fu la capitale di tutto ilviceregno spagnolo d’Americaed é un luogo ricco di storia e dicultura, precolombina ed anchee sopratutto preincaica, a caval-lo tra tradizione e innovazione,tra radici profonde e sviluppodinamico. A proposito di uno dei suoi cit-tadini contemporanei piú illus-tri, lo scrittore Mario VargasLlosa vincitore del premioNobel di letteratura 2010, hoappena letto una riflessione suLima che mi permetto di fare miaper cosí poterla liberamentetrasportare, adattandola conparole tutte mie, a Brindisi,tanto perfettamente mi sembrapossa calzare alla nostra cittá:“...Transitare per quelle stradeche hanno costituito lo scenarionaturale di tante storie quotidi-ane nostre, dei nostri padri e deinostri nonni, é comericonoscere nella realtá d’oggiquella materia prima che, eterea-

mente sovrapposta ai ricordiinfantili e giovanili, dá comerisultato magico la nostra stessaessenza di uomini ormai maturi...Si é portati a credere che iluoghi cambiano con il tempo,che la loro facciata sia tutto, eche il commercio e le infrastrut-ture e lo sviluppo siano capacidi cancellare i quartieri e le case.Peró quando i luoghi conser-vano storie, o meglio ancoraquando hanno prodotto e pro-ducono storie, allora possonopermanere intatti per sempre. Lestrade infatti immagazzinanoricordi ed accumulano storie trale loro pieghe e le loro fessure, esono inoltre ancora e semprecolme dei personaggi che lehanno transitate e che con i loroumori, i loro gesti, i loro affan-ni quotidiani e con tutti i lorosentimenti, sopravvivono alpasso dei tempi. I luoghi, i nos-tri luoghi in definitiva, hannoanima e memoria, e per questovale sempre la pena conoscerli,scoprirli e riscoprirli”.

* * *Lo storico peruviano J. Pulgarafferma che il termine ‘seviche’deriva dalla parola ‘siwichi’della ligua ‘quechua’ degli

antichi popolatori precolombi-ni e preincaici delle regioniandine, ed il cui significatosarebbe quello di pesce fresco opesce tenero. Forse si o forseno, ...ma sta di fatto che grazieal sebice, la cucina peruviananell’ultimo decennio ha scalatol’olimpo delle migliori tavoledi tutto il momdo ed il turismogastromico a Lima é un fonda-mentale elemento trascinante diquesta rigogliosa industrianazionale, a pari merito e forseancor piú in testa che iltradizionale ed arcifamosoMachupicchu. Ho incontrato aLima in piú d’una occasionealcuni italiani, spagnoli edanche provenienti da altre partid’Europa e d’America, che mihanno spiegato essere in visitaturistica per trascorrere una set-timana gastronomica, in pelle-

Il docente brindisino,ingegnere minerarioin Venezuela, ci inviauna corrispondenzadal mondo

CRONACA DI BRINDISI

Via da brindisi Corrispondenze

dal mondo diGIANFRANCO PERRI

Il Cebice piatto peruviano dipesce crudo marinato in limo-ne cipolla e peperoncino

Il porto peschiero di “El Callao“

VENERDÌ 9 DICEMBRE 2011

Via da Brindisi. Una stradache nella toponomasticanon esiste e che però è la

più popolata da brindisini. Via daBrindisi raccoglie tutti quelli che,per scelta o per necessità, hannolasciato Brindisi e vivono in altrecittà dell’Italia o del mondo. Daqualche giorno Senzacolonne dif-fonde via internet, gratuitamente,la versione digitale integrale delgiorno precedente. E’ un modo inpiù per ricomporre questa fantas-tica comunità che pulsa di brin-disinità e che ha diritto di essereinformata di ciò che avviene nellasua terra. Riteniamo fondamen-tale il contributo di questi brin-disini perché spesso da lontano siha la possibilità di esaminare conmaggiore obiettività ciò cheavviene in questa città. Tra i brin-disini che vivono lontano, moltolontano, c’è Gianfranco Perri:ingegnere, docente universitario,progettista e consulente di gal-lerie e opere sotterranee,Segretario della SocietàVenezuelana di OpereSotterranee. Ma soprattuttoinnamorato della sua Brindisi chesegue constantemente viaInternet. Per il suo lavoro è ingiro per il mondo ed è da lì, dalmondo, che gli abbiamo chiesto diinviarci riflessioni e impressionisu Brindisi e i brindisini.

Il“mangiare“ elemento cruciale di ogni civiltà

Lima sull’Oceano Pacifico

Lima e Brindisicittà di pescatorie cultura culinaria

Page 23: Gianfranco Perri su Senzacolonne

grinaggio quotidi-ano tra alcuni diquel paio di dozzinedi eccellenti ris-toranti marinari diottima qualitá cheo g g i g i o r n opopolano Lima.Si tratta quindi diuna cucina a base disemplice pescecrudo fresco e dialtrettanto freschifrutti di mare, radi-cata nelle anticheorigini precolom-bine dei popolatori

di quel porto del Pacifico e certa-mente influenzata , migliorata equindi fusionata, con i tanti con-tributi provenienti da queipopoli orientali asiatici cheattraversando il Pacifico sono,numerosissimi ed a piú ripresenella storia, approdati sulle spi-agge del Perú: mi piace dire,scherzando e semplificandomolto, che il sebice é una speciedi sushi, peró con l’aggiunta ditutta l’allegria, il sapore, ilcalore, lo spirito ed il ritmomagico del tropico sudameri-cano.

* * *Ma anche noi brindisini abbi-amo radicatissima nella nostracultura una cucina a base di pescie di frutti di mare, anche crudi.Ed abbiamo molti giovani checon impegno e con passionestanno riscoprendo e rigeneran-do le ricette marinare. Lancioquindi una sfida, o magari soloun invito, un suggerimento, aqualche bravo giovane edentusuiasta imprenditore brin-disino appassionato dell’arteculinaria: perché non aprire aBrindisi una “sebiceria”, natu-ralmente non improvvisando,ma preparandosi, studiando,ricercando, sperimentando, conpazienza e con tanto lavoro ededicazione!E si, ...perché racconteró piúavanti che il sebice in Perú lo simangia da centinaia di anni, malo strepitoso successo dell’in-dustria gastronomica del Perú éinvece molto piú recente, ed unafacile ricerca sull´argomentoconduce a spiegare rapidamentee chiaramente le ragioni di talesuccesso. Quali?: l’inteligenza,lo studio, l’imprenditorialitá, laperseveranza, il lavoro, i sacri-fici e l’entusiamo di una gener-azione di alcuni giovani cuochiche hanno saputo cogliere ilmeglio di una tradizione edhanno saputo calarla dentro l’at-tualitá e la quotidianitá di questonostro mondo ormai sempre piú

globalizzato.* * *

A Lima avevo conosciuto giá unpó di anni fa, il ristorante “LaMar”, una sebiceria appunto, diottima qualitá a prezzi accessi-bili, ed avevo provato i vari tipidi sebice che vi si offrivanoassieme ad altri ottimi piattimarinari peruviani. Si trattava,e si tratta tutt’ora, di un riso-rante informale nel quale a queltempo non era neanche possi-bile prenotare. Mi era sembratoche quei sebices avessero qual-cosa di speciale, un tocco difreschezza e di delicatezza che lirendeva di gran lunga piú gus-tosi di quelli che, pur buoni,avevo molte altre volte giáprovato anche molto prima d’al-lora, fin dai lontani tempi delmio servizio civile a Guayaquilin Ecuador nella seconda metádegli anni ‘70. Poi, quello stes-so ristorante, cioé con quellostesso nome e con la stessa qual-itá delle pietanze, l’avevo ancheritrovato in altre cittá ameri-cane: Citta del Messico,Santiago del Cile, San Paolo,Bogotá, San Francisco, diven-tandone un “fan”, ed avevoanche scoperto che l’ideatore ediretto ristoratore era un peru-viano abbastanza giovane, unbravo “chef” di successo dinome Gastón Acurio.L’anno scorso poi ero a Cittá diPanamá e avevo visitato unamico, ingegnere italiano diret-tore del cantiere del nuovocanale in piena costruzione eche dovrá essere inauguratonell´agosto del 2014 in coinci-denza con i 100 anni esattidall´pertura del primo ed attualecanale, e al momento di decideredove andare a cena mi venne inmente di chiedere in giro se percaso non vi fosse anche lí un“La Mar” e con mia grata sorpre-sa, ...si c’era, era stato aperto dapoco. Entrando nel ristorante ementre ci accompagnavano altavolo, stavo raccontando almio amico del “chef Gastón” edei vari ristoranti “La Mar” cheavevo conosciuto in altre cittáamericane, allorché il cameriereche ci stava accompagnandoesclama: ‘Ah, lei conosceGastón’, e prima che io potessireplicare ‘no’ lui continua:‘Gastón é qui da qualche giorno,adesso lo chiamo cosí lo potrásalutare’. Simpatica quantoimprobabile sorpresa. Dopoqualche minuto che eravamo altavolo arriva Gastón. Un ragaz-zoto quarantenne informale egiovanile, dall’aspetto giovialee dall’apparenza appena un pó

timida. Si siede al nostro tavoloe subito mi preoccupo natural-mente di spiegare il fortunatoequivoco con il cameriere. Una gradevolissima chiacchier-ata: Gastón, appartenente allaclasse media alta di Lima, con unpadre importante che lo spinge astudiare diritto, si iscrive e stu-dia all’universitá, ma con dentrodi sé una grande passione e uninfinito amore per la cucinatradizionale peruviana. Controla volontá del padre, non si lau-reará mai in diritto, ma sidiplomerá nel famosissimo LeCordon Blue di Parigi. Poi unacarriera strabiliante, con tantis-simo studio, tanta ricerca, tantolavoro e tantissima dedicazione.La sua missione principale é lavalorizzazione e la diffusionedella cucina peruviana nelmondo, e con tale obiettivosempre presente, scrive libri,anima programmi televisivi,insegna gastronomia, pro-muove manifestazioni culinariee regenta tanti ristoranti di suc-cesso, con la sua presenza con-tinua attenta e meticolosa inognuno di essi: un effettivo stra-ordinario ambasciatore dellacucina peruviana nel mondo.

* * *E allora? ...Ma noi a Brindisi,oltre al pesce ed ai frutti di mareed al celeberrimo ottimopolipo, abbiamo addiritturaanche il nostro eccezionalevino, …e questo sí che i peru-viani non lo possono vantare.Quindi? ...Sará possibile realiz-

zare quello che mi sono immagi-nato ed auspicato? ...Chi si faavanti? ...Coraggio!Noi popoli del Mediterraneoinfatti, son convinto che com-inciammo ad abbandonare lenostre origini barbariche soloquando imparammo a coltivarel’uva e le olive, ed i precursoridella nostra cultura romana, igreci, proprio grazie al vinoinventarono il simposio, ter-mine che per l’appunto vuolsemplicemente dire “bereassieme”. I simposi erano riu-nioni di cittadini che conversa-vano e dibattevano i temi con-cernenti la ‘polis’ -la vita pub-blica- con la conduzione di unmaestro di cerimonia cheselezionava e serviva i vinidurante l’incontro. Forsepotrebbe essere una buona ideaquella di ripristinare latradizione! Immaginiamoceli unpó i nostri consigli comunali insimili circostanze! Magari,chissá che non ne verrebbe fuoriqualcosa di meglio! Hahaha! Manoi brindisini abbiamo fattoben di meglio e ben di piú chegli stessi greci: abbiamoaddirittura prestato il bel nomedella nostra cittá al verbo‘brindare’, giacché nella Romaantica era costume che i giovaninobili andassero a studiare inGrecia e, naturalmente, partendodal porto di Brindisi: il giornodella partenza si augurava con unbuon vino locale il buon viag-gio e il buon esito degli studi. Efu cosí che da quella tradizione

derivó il detto ‘fare un brindisi’equindi, ‘brindare’.

* * *E per completare la nota storicagiá prima accennata sul sebice:nell’antico Perú, giá duemilaanni fa, si preparava questo piat-to a base di pesce fresco che sicucinava nel succo fermentatodel ‘tumbo’ -passiflora triparti-ta- un tipico frutto locale moltoagrio e spicctamente acido.Successivamente, durante l’im-pero incaico, il pesce venivainvece macerato con ‘ciccia’ -una bevanda ancestrale tipica-mente andina che si ottiene dallafermentazione del mais- e quindicondito con sale ed ‘ají’. Poi lapresenza spagnola aggiunsealtri due ingredienti dallatradizione culinaria mediter-ranea: la cipolla ed il limone ilquale, sostituendo il troppoacido ‘tumbo’ o la acidula ciccia,permise di ridurre notevolmenteil tempo necessario allapreparazione del piatto, tantéche la tendenza piú recente éaddirittura quella di prepararlonel momento stesso delservizio: in alcuni riostoranti ilchef lo prepara al tavolo deicommensali.

* * *Ma per concludere ritorniamo aBrindisi. Ho avuto uno zio diantica tradizione contadina bin-disina, ma sulla sua tavola nonpoteva mai mancare un qualchefrutto di mare fresco e rigorosa-mente crudo: dalle cozze allevongole, dai coccioli ai tiratu-foli, dai ricci alla schiuma dimare. Non faceva differenzaalcuna il giorno della settimana,né il mese dell’anno, nonimportava che ci fosse il sole oche piovesse a dirotto, lui per-sonalmente doveva, in unqualsiesi momento della matti-nata, fare una corsa in bicicletta,o in moto, o in ape, da via Rodialla ‘chiazza’ ...e comprare ifrutti di mare freschi da mangia-re come antipasto, crudi ed almassimo conditi con sololimone: non ricordo che in tan-tissim anni lui abbia mai soffer-to di un qualche incidente gastri-co. Quindi? ...Storia tradizionee cultura culinarie, radici e idios-incrasia marinare, pesci e fruttidi mare freschi, condimentiaccessori in qualche modoreperibili, professionalitá culi-narie ed amatori gastronomici,...Abbiamo proprio tutto, eallora, di cos’altro c’é bisogno aBrindisi? ...Solamente di tantoentusiasmo e imprenditorialitá,di lavoro e tanta dedicazione,...Chi se la sente di tentare?

21CRONACA DI BRINDISI

Gastón Acurio, il rinomato chef peruvianodei famosi ristoranti ‘La Mar’

Nel ristorante “La Mar”di Lima

VENERDÌ 9 DICEMBRE 2011

Page 24: Gianfranco Perri su Senzacolonne

di GIANFRANCO PERRI

Con l’inizio di ogni nuovoanno vien quasi spontaneo fareconsuntivi su quello appenatrascorso e passare poi ad ana-lizzare le prospettive di quelloche sta iniziando il suo percor-so. E così, non appena mi sondisposto a scrivere agli amicilettori di Senzacolonne perquesto primo appuntamento diquest’anno, anch’io mi sonritrovato senza volerlo a ripas-sare il film del mio 2011. Edil capitolo che con maggiorinsistenza ha occupato loschermo virtuale è stato uncapitolo fatto di tanti amici:amici vecchi, amici nuovi,amici ritrovati, amici più gio-vani, amici meno giovani,amici d’infanzia, di gioventù,di scuola, di strada, di espe-rienze vissute o trasmesse.Tutti amici ‘stranamente’ pre-senti, e divenuti lungo il tra-scorrere dell’anno sempre piùattuali, anzi familari e quasiquotidiani, sullo sfondo di unasuggestiva scenografia com-posta da luoghi paesaggi per-sonaggi, ...e poi, sensazionicose atmosfere, ...da principiovagamente diffuse e un comepò assopite, e poi man manoritornate magicamente allaribalta.Ma che vuol dire? Ma di che sitratta? Si tratta degli amici edelle foto di Brindisini la miagente, un gruppo fb nato unanno fa, quasi per gioco e perla fortunata intuizione del-l’amico Cosimo Guercia cheun bel giorno si sveglia efonda il gruppo scrivendo: “Questo gruppo l’ho volutocreare per tutti i Brindisini,per far ricordare e far capireattraverso le foto come sisvolgeva nel passato la vitaquotidiana brindisina e farlaquindi conoscere alle nuovegenerazioni. Il gruppo è aper-to a tutti, pertanto possono

essere caricate foto personali,foto di scolaresche, foto diBrindisi, cartolline d'epoca equant 'altro, in modo da tesse-re un racconto della vita brin-disina trascorsa, e naturale-mente anche di quella attuale.Mi auguro che questa paginavirtuale piaccia a molti e chetutto il materiale in essa inse-rito non venga disperso perfarne poi un’unica raccoltautile a tutti. Un grazie a tutticoloro che vorranno partecipa-re. Con il loro aiuto si potràcertamente realizzare una bellapagina. Ancora grazie,Cosimo Guercia”Poi l’amico Cosimo invitaquattro amici, brindisini doc,ad amministrare con lui ilgruppo appena battezzato: -Giancarlo Cafiero, storicofondatore della famosa bottegad’arte La Valigia delle Indie -Gianfranco Perri, ingegnereprogettista di gallerie cono-sciuto sul web e che solo dopoqualche mese scoprirà risiederea più di 8000 chilometri da

Brindisi -Giovanni Membola,ideatore e curatore della bellis-sima pagina www.brindisi-web.it -Raffaele Mauro, notis-simo e instancabile imperter-rito lottatore civico brindisi-no. La data? Ultimi giorni del2010. La prima foto postatada Cosimo Guercia? Una car-tolina del 1921 intitolata“Brindisi vista dal mare” conin primo piano una bellissimabarca a remi con la vela bian-ca spiegata e sul fondo l’in-confondibile lungomare brin-disno. Il primo commento diGianfranco Perri? “Brindisi,cittá di mare. E’ bellissimoscoprirla arrivando via mare.Consiglio a tutti coloro chenon l’abbiano ancora fatto conla dovuta attenzione, di farequesta esperienza. Le antichecittá di mare sono state conce-pite guardando al mare e sisono sviluppate immaginandodi essere raggiunte proprio dalmare. Solo scoprendole oriscoprendole dal mare si rie-

sce a cogliere per intero tuttala loro magia e a volte, comenel caso di Brindisi, tutta laloro bellezza”.Da quel giorno in avanti, ...daquei cinque amici in avanti,...da quella fotografia in avan-ti, ...da quel commento inavanti, ...questi gli incredibilinumeri di Brindisini la miagente dopo un anno esattodalla fondazione: -6000 foto-grafie -1225 amici -135 docu-menti -migliaia e migliaia dicommenti. Eppure, nonostan-te il loro indubbio impatto,gli strabilianti numeri noncostituiscono certo l’aspettopiù importante e più significa-tivo di questo fantastico e sor-prendente fenomeno sociale ecivico tutto brindisino.Un’importanza che é invece daricercare nell’eccezionale viva-cità del gruppo: nella varietà equalità dei temi trattati, delleopinioni liberamente espresse,delle sensibilità risaltate,delle informazioni diffuse,delle esperienze trasmesse, dei

documenti fotografici scritti esonori pubblicati, delle inizia-tive intraprese e realizzate,degli incontri virtuali e fisiciprogrammati ed effettuati, etc. Parliamone un pò, per ricorda-re e anche per informare colo-ro i quali non hanno vissutoper intero questa fenomenaleesperienza, che è naturalmenteaperta a chiunque altro vogliaintraprenderla: Brindisini lamia gente è un gruppo aperto,sul sito non esiste la censura,gli aderenti hanno in comune,tutti e solamente, il naturaleaffetto per Brindisi, la sua sto-ria, la sua terra, le sue trdizio-ni e la sua cultura, mentre peril resto solo si richiede buonaeducazione rispetto e tolleran-za, null’altro: questa è l’unicaregola. Quindi ognuno puòpubblicare o commentare leproprie immagini, le proprieopinioni e le proprie idee, cisarà chi le apprezzerà e chimeno, ma tanto non è certorichiesta l’unanimità dei con-sensi su ogni post.

23MARTEDÌ 3 GENNAIO 2012

Un anno fa nasceva“Brindisini la miagente”:il bilancioDodici intensissimi mesi per il gruppo su Facebook

Partito con cinque amici e una sola foto.Ora gli iscritti sono 1125

Page 25: Gianfranco Perri su Senzacolonne

24

Già dopo solo pochissimimesi dalla fondazione delgruppo, Senzacolonne avevascoperto ed osservato con inte-resse il fenomeno, e difatti,nonostante si trattasse ancoradi un qualcosa di incipiente,l’osservatore attento ne potevaintravedere o quanto menointuire le potenzialità: nel-l’edizione dell’8 aprileSenzacolonne pubblicò unprimo articolo intitolato “Infoto la città che non c’è più”dove si parlava di 156 aderentie 900 immagini. Poi, meno diun mese dopo, un primo gran-de salto qualitativo: il 4 mag-gio si realizzava il primoincontro fisico del gruppo,con la coordinazione diCosimo Guercia e RaffaeleMauro e con il contributo online di Gianfranco Perri dalSudamerica. E di nuovoSenzacolonne rassegnava det-tagliatamente l’incontro conun amplio articolo pubblicatonell’edizione del 5 maggiointitolato “Brindisini la miagente, dal virtuale al reale”dove si parlava ormai di più di600 aderenti e più di 1500immagini, e di quell’incontrosi commentava: “Per Cosimo Guercia, tutto

ebbe inizio una sera quandoquasi per gioco pubblicò inrete alcune delle tante foto inbianco e nero riguardantiBrindisi che custodiva nel suoarchivio. In pochi giorni icontatti al gruppo si eranocentuplicati, così come le fotopubblicate da tanti concittadi-ni e da tanti che, nati aBrindisi, vivono oggi lonta-no. Il gruppo è rapidamentediventato una virtuale piazzain cui incontrarsi per ricordareil passato, tornare ad ammira-re monumenti che non ci sonopiù, assaporare tradizioni cheil tempo ha affievolito, rivive-re mestieri ormai scomparsi,etc. L’idea è essere protagoni-

sti attivi del cambiamentodella città recuperandone ilpassato. Momenti di vita vis-suta relegati alla sfera deiricordi che grazie alla passionedi tanti tornano ad emozionaree stupire. Una carrellata diimmagini che riprendonoscorci cittadini, monumenti,personaggi, e raccontano unospaccato di quella che era untempo Brindisi. E per Raffaele Mauro, dal vir-tuale al reale il passo è breve.Mettere insieme le idee di tuttiper valorizzare al meglio unadocumentazione unica e diestremo interesse. Il gruppo èdiventato un vero e propriopunto di riferimento per tanti

brindisini rivelandosi, per chipiù giovane non è, occasioneper rivivere nostalgicamente ilpassato, per le nuove e futuregenerazioni un modo perconoscere meglio la città incui vivono, le trasformazioniche nel tempo Brindisi hasubito, non tutte e non sem-pre in meglio. Ma non solo.Travalicando i confini del webci auguriamo di diventare, nelconcreto, un movimento dipressione, di far leva, attraver-so proposte, idee, iniziative,sulla sensibilità degli entilocali e dei nostri concittadiniaffinchè Brindisi si trasformiin meglio e non venganocommessi gli stessi errori del

passato quando scelte scellera-te hanno cancellato per sempremonumenti, palazzi, giardini.Partendo da quello che abbia-mo Brindisi può tornare adessere bella come lo era untempo. E da Gianfranco Perri, dalSudamerica, una propostaconcreta. Partendo dalla consi-derazione che tra i tanti meritidi questo bellissimo gruppobisognava annoverare e risal-tare lo straordinario valoresentimentale, aneddotico edanche storico che rivestonomolti dei commenti cheaccompagnano entusiastica-mente e puntigliosamentemolte delle foto postate,

sarebbe stato assolutamenteun gran peccato che gli stessisi potessero perdere. Per que-sto la proposta e promessa diraccogliere ed ordinare tutti ipiú significativi post con irispettivi commenti. Farneuna raccolta inizialmente gigi-tale, poi magari farne ancheun progetto editoriale.Raccogliere e valorizzare unadocumentazione che è unica,bella interessante ed utile, spe-cialmente per i piu giovani, eper chiunque voglia conosceretanti aspetti della cittá cherischiano di rimanere scono-sciuti ai piú ed essere poidimenticati.”Dal 4 maggio al giovedì 30

MARTEDÌ 3 GENNAIO 2012

Cosimo Guercia e Raffaele Mauro al primo incontro del gruppo - 4 maggio 2010

Il distintivo della Brigata amatori storia ed arte di Pasqualino Camassa

Page 26: Gianfranco Perri su Senzacolonne

giugno son meno di due mesi,e non più di tanto impiegòGianfranco Perri a trasformarein realtà la sua promessa vir-tuale. E quale migliore occa-sione per mostrarla a tutti, chequella del secondo incontrofisico del gruppo? E dove rea-lizzarlo? Questa volta in unluogo altamente simbolico,grazie all’interessamento diRaffaele Mauro e alla conces-sione del Comune: nelTempietto di San Giovanni alSepolcro, quello stesso luogoche 80 anni prima fu scelto daDon Pasqualino Camassacome sede del “cenacolo dicultura” con l’istituzione dellaBrigata degli amatori della sto-ria e dell’arte che teneva pro-prio lì gli incontri organizzati,appunto di giovedì, con scien-ziati, letterati ed artisti.Senzacolonne annunciò l’in-contro in un articolo pubblica-to nell’edizione del 29 giugnointitolato “Brindisini, dal webal Tempio” e lo rassegnò indettaglio con un articolo belloed emotivo del suo DirettoreGianmarco Di Napoli, chepartecipò anche a questosecondo incontro intervenendopersonalmente, pubblicatonell’edizione del venerdì 1luglio intitolato “La Brigadadei Brindisini riaccende ilTempietto”.Il gruppo Brindisini la miagente, in quell’affollato edemotivo incontro, messo insoggezione dalla magia delluogo, decise di fare proprio ildistintivo di quella Brigata diamatori brindisini di storia edi arte guidata da PasqualinoCamassa. Un distintivo moltobello che per quell’occasionefu portato da GiancarloCafiero al Tempio di SanGiovanni in splendido esem-plare originale. Il gruppovolle così simbolicamenteraccogliere “umilmente etimidamente” il testimone dachi molto prima seppe farrisorgere la città con la forzadell’amore e della passione.

Il distintivo della Brigata ama-tori storia ed arte diPasqualino CamassaMa quale fu la promessa man-tenuta da Gianfranco Perri? Lapubblicazione del bellissimolibro a colori intitolato“Brindisini la mia gente -fotografie e commenti”:Fotografie della Brindisi chefu e della Brindisi che è, con icommenti spontanei e perso-nalissimi di coloro che, brin-disini doc, quella Brindisi chefu l’hanno vissuta e vivono laBrindisi che è. Brindisi, la"filia solis" di Federico II, laBrundisium romana, la messa-pica Brunda, il più bel portonaturale dell’Adriatico italia-no. Il tutto in piú di 300 pagi-ne e quasi 300 fotografie rac-colte in ben 37 capitoli:“Al cinema - Banco di Napoli- Birreria Ricchiuto -Bombardamenti - Cantine -Che fare con la nostra costa -Chiostro San Benedetto -Ciccio ti li passatiempi -Collegio navale e Teatro dei

misteri - Complessi beat Anni60 - Culiermu - Desiré a mare- Ferdinando Cocciolo -Fontane di Piazza Cairoli -Fotografi - I Gran caffé - IlCalvario - Il cinesino chemuoveva la testa - IlMonument0 - La chiazza - Lafontanella dei giardinetti - Latorre dell´orologio - La ven-demmia che fu - LargoAngioli e lu Napulitanu -Marimisti e Fontanelle -Palestra Boxieri - Piazza delpopolo - Piazza Dionisi -Piccolo Bar e dintorni -Presidio e dintorni - SantaPulinara - Sciabiche - SpidituPennetta e la Pallacanestro -Trapuranella e Capurussu -Via Cittadella - Via Maestra -

Via Paolo Sarpi”E Raffaele Mauro volle subitocommentare: “È un libro stra-ordinario, figlio della passionee dell’amore sconfinato deibrindisini vicini e lontani, masopratutto i lontani per i qualila nostalgia si fa struggente.Quando la vita ci porta lonta-no dalla nostra Brindisi ciaccorgiamo di quanto cimanca. A chi resta il compito,duro ma non impossibile, dicustodire quello spirito e didifendere la storia e la culturadi una città millenaria. Graziea tutti, stasera in quel tempiet-to di San Giovanni alSepolcro, con il cuore eravateaccanto a noi, e credetemi,…si sentiva!”

Ma quell’incontro fu anchetante altre cose, con un elencodi idee e di obiettivi da rag-giungere, di campagne da ali-mentare, di iniziative da intra-prendere e di valori da riscatta-re. Il Direttore Gianmarco peresempio, ricorda a tutti chestiamo purtroppo perdendol’abitudine di parlare il verodialetto brindisino, un grandepatrimonio culturale che untempo fu addirittura bollatocome la lingua degli analfabe-ti e sempre più messo daparte, sino a essere dimentica-to e “imbastardito”. Il dialettobrindisino, questa la sua pro-posta concreta, può diventarela lingua ufficiale dellaBrigata, per fare in modo che i

più anziani ed i più colti nellasua pratica, possano trasmet-terne vocaboli e cadenze primache essi vadano persi per sem-pre. Ed il gruppo ha certamen-te tutte le risorse per farlo:Giovanna e Lucia Tramonte eRemo Simoniello, solo percitare tre degli amici in questoforse più rappresentativi, sonotre riferimenti valorosissimiper il nostro dialetto, cultorisapientissimi ed autori di bel-lissime poesie e prose inautentico brindisino. E nonsono certamente i soli a prati-carlo con bravura e cognizionetutte le volte che l’occasioneaccenna a volersi presentare. Eper esempio, come non citarel’amico Giancarlo Cafiero,imbattibile declamatore dipoesie dialettali, o l’amicoArcangelo Taliento, deposita-rio dell’autentico sciabbicoto!Quell’incontro avvenutoormai già più di 6 mesi orsono, aveva anche siglato ilraggiungimento dell’incredibi-le quota di 1000 aderenti e diquasi 4000 post, un gruppofacebook definitivamente ecce-zionale, un fenomeno possi-bilmente unico, probabilmen-te da studiare per meglio capir-lo e più correttamente inter-pretarlo! E nuovamente infat-ti, è bene ricalcare che taleeccezionalità non è solo dariferire al pur grande successonumerico, ma sopratutto allostraordinario successo di con-tenuti ed all’interesse, entusia-smo direi, genuino e sponta-neo con cui la maggior partedegli amici partecipa attiva-mente alla vita del gruppo,una vita scandita ogni giorno24 ore su 24 ore. E si, ad ogniora del giorno e della notte èinfatti sempre possibileincontrare amici collegati

25MARTEDÌ 3 GENNAIO 2012

Gianfranco Perri al Tempio presenta “Brindisini la mia gente”- 30 giugno 2011

“Secondo incontro del gruppo al Tempio San Giovanni - 30 giugno 2011” Cosimo Guercia - Gianfranco Perri - Giancarlo Cafiero - Raffaele Mauro

Page 27: Gianfranco Perri su Senzacolonne

online, complice il fuso orarioe la residenza oltreoceanica diun buon numero di amici pre-senti tra i residenti in “Via DaBrindisi”.Una strada che nella topono-mastica non esiste ma che è lapiù popolata da brindisiniNella foga del racconto hocitato un pò di nomi di amicidel gruppo senza nessun ordi-ne prestabilito, ma natural-mente non ho citato i nomi ditutti, e neanche dei soli piùassidui e più presenti, sarebbe-ro anche solo loro tantissimi,troppi per lo spazio limitatodi un solo articolo. Eppurevoglio fare il tentativo, anchea rischio di dimenticarnemolti, di citare alcuni degliamici che in maggior misuraintervengono pubblicando tan-tissime belle, stupende, ed ori-ginalissime fotografie estrattedalle loro preziosissime cole-zioni, per così inviare loroanche in questa occasione, unsentito ringraziamento, sapen-do di farmi interprete in questodel desiderio di tutti i duemilae passa attuali amici aderential gruppo. E mi piace cominciare con ilringraziare l’amico virtualeNikos Desillas, lui non èbrindisino e neanche italiano,infatti è nato e vive a Corfù,ma ama profondamenteBrindisi ed è il fortunatissimodepositario di una colezione diinfinite cartoline di Brindisi.Infinite, belle, storiche ed ori-ginalissime: un grandissimograzie Nikos, da parte di tutti iBrindisini la mia gente!Quindi un sentito grazie aRomeo Tepore, l’ideatore diBrindisi in bicicletta e grandecolezionista di foto e cartolined’epoca; un tante grazie albravo fotografo Cosimo

Prudentino; a GiancarloCafiero ed alla sua Valigiadelle Indie; a GiovanniMembola ed alla sua paginawww.brindisiweb.com; aCosimo Guercia fondatore delgruppo; ai magnifici fotore-porters del gruppo: MaurizioDe Virgiliis, StefanoAlbanese, Ugo Imbriani, eMario Carlucci.Ma le fotografie, pur costi-tuendo la struttura portante delgruppo, non potrebbero certoavere lo stesso significato lastessa trascendenza e la stessapenetrazione, senza i com-menti che le accompagnano eche indubbiamente costitui-scono l’anima e lo spirito delgruppo. E qui l’elenco degliamici da aggiungere a quelligià citati, per così ringraziarliper i loro interventi, sarebbeveramente lunghissimo edinevitabilmente incompleto,ma non voglio tralasciare diaccennarlo, magari tentando diattingere solo tra i nomi deiprimi aderenti: un grazie a...Marco Martinese, a Carla

Rubini, a Antonio Matarrese,a Pino Spina, a Enrico Sierra,a Mino Errico, a GiuseppeSumma, a Andrea Ecclesie, aGianni Tanzarella, a AngeloDi Presa, a AnnaritaSpagnolo, a Alberto Cafiero,a Gianna Santoro, a GiuseppeLaforgia, a Giusy Gatti, aRoberto Guadalupi, aGiuseppe Creti, a GianmarcoDi Napoli, a PatriziaVantaggiato, a AntonioMingolla, a Cosimo Carito, aDaniela Ribezzi, a NicolaPoli, a Silvio Melpignano, aMichele Toscano, a AnnaSmi, a Sandro Toffi, a DannyVitale, a Salvatore Cocciolo,a Antonio Volpe, a Sonia DiNoi, a Ernani Nani, a LinaBonatesta, a Efisio Panzano, aAngelo Catalano, a StellaMontanaro, a Cosimo Ucci, aMassimo Zaccaria, a FrancoProfico, a Annamaria Vitale, aDomenico Faraselli, aAntonia dell’Aglio, a AntonioMiglietta, a Giusy Tommasi,a Luca Di Giulio, a LuanaCampbel, a Carlo Turco, a

Cosimo Signorile, a GiorgioSciarra, a Antonia Ostuni, ...Certo ne mancano alla lista,lo sò, è inevitabile, ma sonougualmente tutti presenti, cre-detemi! E come completare questabreve rassegna “storica” diBrindisini la mia gente?Parlando di mete e di program-mi per il futuro? Si potrebbe,ne abbiamo infatti in quantitàed in qualità… Ma forse è piùsignificativo chiudere conpochi, solo tre, commenti pre-senti sui post del gruppo,scelti tra le migliaia e miglia-ia accumulati in questo primoanno di esistenza:“Ci sono persone che ti stupi-scono e che con il loro compa-rire improvvisamente ti ripor-tano a periodi felici sepoltinella tua mente, nei tuoi ricor-di! È come entrare da svegli inun sogno, è come fermare iltempo e ritornare indietro” -Elda Fontana.“Transitare per quelle stradeche hanno costituito lo scena-rio naturale di tante storie quo-tidiane nostre, dei nostri padrie dei nostri nonni, é comericonoscere nella realtá d’oggiquella materia prima che, ete-reamente sovrapposta ai ricor-di infantili e giovanili, dácome risultato magico lanostra stessa essenza di uomi-ni ormai maturi. Si é portati acredere che i luoghi cambianocon il tempo, che la loro fac-ciata sia tutto, e che il com-mercio e le infrastrutture e losviluppo siano capaci di can-cellare i quartieri e le case.Peró quando i luoghi conser-vano storie, o meglio ancoraquando hanno prodotto e pro-ducono storie, allora possonopermanere intatti per sempre.Le strade infatti immagazzina-

no ricordi ed accumulano sto-rie tra le loro pieghe e le lorofessure, e sono inoltre ancorae sempre colme dei personag-gi che le hanno transitate e checon i loro umori, i loro gesti,i loro affanni quotidiani e contutti i loro sentimenti, soprav-vivono al passo dei tempi. Iluoghi, i nostri luoghi in defi-nitiva, hanno anima e memo-ria, e per questo vale sempre lapena conoscerli, scoprirli eriscoprirli” - Gianfranco Perri.“Brindisini la mia gente é,anche, una piccola isola dilibertà di pensiero e di espres-sione, e così dovrà rimanereaffinchè continui a crescerenelle adesioni e nei commenti,come è successo fino ad ora adifferenza di altre pagine chenate vorticosamente sono giàbelle che finite, quei tantigruppi morti che popolano ilweb. E tutto questo anche gra-zie a che, nonostante a volte latentazione sia stata forte, nes-suno è stato mai cacciato obannato dal gruppo e che,salvo rarissime eccezioni, ilconfronto delle idee e delleopinioni si è sempre mantenu-to nei binari della buona e cor-diale educazione ed amicizia:questo è in se l'incontroverti-bile. La buona educazione e latolleranza sono infatti le uni-che virtù richieste per entrare eper stare in questo gruppo,dove tutti possono esprimerela loro senza però pensare diavere una verità che valga pertutti, ognuno si tiene le pro-prie, o se lo preferisce prova aconfrontarsi. Ed è per questoche la formula del grupo èquella di accettare le adesionidi chi richiede di entrare, senzaalcuna selezione” - R. Mauro.

26 MARTEDÌ 3 GENNAIO 2012

“Brindisi vista dal mare”- 1921 - La prima foto postata su Brindisini la mia gente

Page 28: Gianfranco Perri su Senzacolonne

22 CRONACA DI BRINDISI MERCOLEDÌ 1 FEBBRAIO 2012

Questa volta scrivo aimiei amici brindisini,non per raccontare di

qualcuno dei miei viaggi econdividere sensazioni prova-te in giro per il mondo, ma perchiedere la loro collaborazionein nome del nostroMonumento, un anziano maorgoglioso brindisino che staper compiere gli 80 anni (fuinaugurato dal Re VittorioEmanuele III° il 4 Novembredel 1933) e che pertanto abbi-sogna di qualche cura in piú.Lui infatti, di anni ne deve tra-scorrere ancora tantissmi,imperterrito al suo posto con isuoi 68 metri d´altezza, ono-rando i bravi marinai d´Italiache non ci sono piú e vigilan-do al contempo a protezione ditutta la brava gente brindisina.In realtá la mia richiesta di col-laborazione va specificamenteindirizzata alle autoritá compe-tenti, quelle del Comune, dellaMarina Militare, del Porto, deiMonumenti, etc. Quindi allemolte autoritá, forse troppe epertanto piú facilmente indottea non sentirsi competenti enon sentirsi quindi responsa-bili di dover intervenire peren-toriamente, ...tanto forsetocca a quell´altra autoritá. Aimiei amici brindisini invecechiedo di mostrare la dovutaattenzione e di mantenersiallerta di fronte a un problemache magari non risulterá poiessere tanto grave, e lo sperofortemente, ma che certamentemerita la dovuta e sollecitaattenzione.Per uno di quei tanti miracoliche quotidianamente fa la web,la ormai piú che famosa reteglobale, un amico da Brindisi,e quindi a poco piú di 8000 chi-lometri dall´America, mentreci stiamo prendendo un buoncaffé mi dice, ... A proposito!Tu che sei un ingegnere di gal-lerie, ti voglio fare un bel rac-

conto, e poi mi dici che nepensi: “...Un pó di mesi orsono,mentre al Monumento erano incorso i preparativi per la ceri-monia commemorativa dellevittime di tutte le guerre suimari, da un settore del piazzaleprossimo ai piedi delle scale,sul lato destro guardando ilMonumento, sgorgava acqua azampilli e qualcuno disse chegià da una decina di giorniquell´acqua continuava ad usci-re in quello stesso modo.Qualcuno dei presenti simosse, spostarono le chian-che, portarono delle pompe einiziarono ad aspirare. Si pro-sciugó quella che sembró esse-re una camera sotterranea, mala stessa si riempí di nuovo inpoco tempo. Allora arrivaronoi vigili del fuoco che con unatelecamera constatarono lapresenza di un voluminosogetto d´acqua che da una con-dotta sotterranea versava nellacamera: l´acqua era dolce e nonpotabile, quindi in principiopiovana. L´esplorazione sot-terranea e subacquea non potet-te proseguire, e il settore dipavimento interessato venneopportunamente protetto dapesanti lastre di acciaio, e lacerimonia ebbe felicementecorso senza che si evidenzias-se problema alcuno...”Riflettiamo un pó. Anche se aipiú, e probabilmente a tuttinoi, l´esistenza di quella came-ra sotterranea risultava fino aquel momento ignota, é evi-dente che deve trattarsi di unastruttura appartenente ad unben piú ampio ed articolatosistema di drenaggio che nonsolo serve l´intero piazzale,ma forse serve anche le altresoprastrutture adiacenti allostesso: scalinata, muri d´ala dicontenimento che copronol´importante salto topograficotra il piazzale sottostante pro-spicente al mare e il piazzale

Via da brindisi Corrispondenze

dal mondo diGIANFRANCO PERRI

Monumento a rischioAcqua nel sottosuoloindebolisce la strutturaIl sistema di drenaggio non funziona come dovrebbe

L’allarme rilanciatodal docente brindisino,ingegnere minerarioin Venezuela: «C’è giàuno studio sul caso»

Il Monumento al marinaio.Sono ben visibili i ciuffi d’erba dovuti all’eccessiva umidità del sottosuoloLa freccia indica uno dei punti in cui si registra la tracimazione di acqua

Page 29: Gianfranco Perri su Senzacolonne

23MERCOLEDÌ 1 FEBBRAIO 2012

superiore a quota via Ducadegli Abruzzi, etc. Se poiquell´acqua a memoria d´uomonon é mai sgorgata in quelmodo, vuol dire che la sua viadi sfogo (naturalmente al mare)deve essersi in qualchemodo ostruita, per lomeno parzial-mente.E il mioa m i c op e r ó

n o na v e v aconclusodel tutto ilsuo racconto:“...Dicono cheautobetoniere piene dicalcestruzzo destinato a lavorieseguiti al villaggio pescatoritransitavano da lì provenendodalla discesa che dall'areoportogiunge al piazzale, per cosíevitare di transitare sulla stradache porta piú direttamente allabanchina del villaggio pesca-tori, per via di quel ponticelloche ne impediva il passaggio.Ma ‘dicono anche’ che allevolte il calcestruzzo vada amale (succede in effetti ognitanto, quando per qualsiesimotivo si produce un ritardotra il momento del confeziona-mento del calcestruzzo e quellodella sua posa in opera) e chein quei casi sia scocciantedover riportare il calcestruzzoall´impianto di fabbricazione,e smaltirlo. Mah!...”Ma veniamo al punto veramen-te importante: se il sistema didrenaggio ha in qualche modoperduto efficacia ed efficienza,cosa si deve fare e che pericolosi corre? Quello che c´é da fareé semplice ed intuitivo: biso-gna completare l´esplorazione

sotterranea e subacquea perverificare lo stato del sistema,per quindi eventualmente prov-vedere alla sua risistemazionee al suo pieno ripristino fun-

z i o-

nale. L´ideale sarebbe poterdisporre dei piani di costruzio-ne per cosí immediatamentecapire la natura e le caratteri-stice geometriche strutturali edidrauliche dell´impianto di dre-naggio. Purtroppo quei piani

no sono disponibili inloco. Forse riposano

a Roma negliarchivi di qual-

che ministe-ro, o forse

sono aNapoli

negl i

archi-vi della

L e g aNavale, che

credo ricorda-re sia stata la

p r o m o t r i c edell´opera.

In piú bisogna anche sapereche il progetto, proprio in cor-

rispondenza delpiazzale inferio-re, subí in corsod´opera impor-tanti cambia-menti. Il proget-to originale pre-vedeva infattiuna specie di dar-sena che sugge-stivamente conduceva l´acquadel mare fino a quasi lambire labase del Monumento. Il cam-biamento derivó dalla preoccu-pazione che la vicinanza delmare portasse con il tempo acompromettere la stabilitádelle fondazioini delMonumento. Quindi i piani diprogetto non sono quelli utilial nostro scopo, ma sono ipiani costruttivi, quelli da can-tiere, di cui abbiamo bisogno! Comunque in mancanza deipiani costruttivi non resta cheeffettuare un´esplorazione sulcampo, quella diretta mediantel´intervento dei palombari, oquella indiretta per la qualesono disponibili tecnologieabbastanza efficienti che per-mettono un´esplorazione rapi-da e precisa mediante telecame-re che vengono introdotte eguidate anche dall´esterno.Sono quelle stesse metodolo-gie che comune-mente si impie-gano per esplo-rare fognature, oacquedotti inter-rati, etc. Questae s p l o r a z i o n equindi non hamotivo di esserestata per cosítanto tempo rin-viata: E si, per-ché tutte le varieautoritá “even-tualmente com-petenti” che enon si sonoancora decise adintervenire sulcampo, sembrasiano state datempo e reitera-tamente avverti-te del problemada alcuni nostrid i l i g e n t iconci t tadi-ni, alcunid i

loro anche competenti tecnicicome l´ingegnere Vi toMaellaro e il geometra AldoIndini, per citarne solo due. Hoin merito anche letto la rela-zione preliminare, ma chiara eprecisa, del mio bravo collegae nostro concittadino, inge-gnere Domenico Danese, data-ta Bologna 16 settembre2011 .Ed ora passiamo al punto piúdelicato: Quali sono gli even-tuali pericoli? Molto dipendedalla funzionalitá del sistema:se si tratta di un sistema di dre-naggio la cui funzione é limi-tata allo smaltimento delleacque piovane che cadonodirettamente sul piazzale rac-colte dalle varie griglie ividistribuite o che comunqueprovengono dallo scorrimentosuperficiale verso tutta l´areadel piazzale, allora il pericoloé oggettivamente limitato,giacché tutto ció che puó suc-cedere é che temporalmente siproducano tracimamenti coneventuali allagamenti parzialie temporali del piazzale o diparti di esso. Naturalmentepoi con il trascorrere del

tempo la situazione tende-rebbe ad aggravarsi nel

caso non ci si decidessefinalmente ad interve-

nire opportunamen-te per ripristinare

il sistema di dre-naggio, il qualepotrebbe quindifinire cone v e n t u a l -

m e n t e

Alcuni tombini dedicati alla raccolta delle acque piovane

Sfoghi per l’acqua nei pressi del Monumento

Il Monumento visto da sotto

Gianfranco Perri ha 60anni e da moltissimianni vive in

Sudamerica.E’ ingegnere minerario e haprogettato la maggiorparte delle gallerie e metro-politane del ansegna nell’università di

Caracas in Venezuela, lasua consulenza è preziosaper molti ingegneri suda-mericani.Ha iniziato a lavorare comeassistente universitario.Nel 1975 ha conosciutosua moglie che da Caracasin Venezuela era giunta aTorino per un master universitario. Così Perri ha proprio seguitoil cuore rinunciando all’insegnamento nel politecnico di Torino,dove era stato chiamato alla fine del Servizio Civile. Si è trasferi-to a Caracas (la capitale del Venezuela) proprio nel periodo in cuistava nascendo la metropolitana e ha fatto parte del team di pro-gettisti. Da allora ha avuto solo un’escalation di successi arrivan-do a progettare numerose gallerie del Sud America.

GGiiaannffrraannccoo PPeerrrrii

Page 30: Gianfranco Perri su Senzacolonne

24 MERCOLEDÌ 1 FEBBRAIO 2012

il collassare del tutto, ocomunque col comprometterelocalmente anche la stabilitádel pavimento del piazzale aseguito della possibile socca-vazione irregolare dei terrenisotto superficie.Ma se invece, come certa logi-ca farebbe presumere, il siste-ma drenante sito sotto il piaz-zale é piú amplio ed articolatointegrando anche il drenaggiodelle acque piovane che siinfiltrano dalla superficie delpiazzale superiore antistantel´entrata del monumento, doveci sono le ancore per capirci,allora la situazione diventadecisamente piú pericolosa. Esi, perché se cosí fosse, lamancanza di un opportunosmaltimento di quelle acque lefarebbe accumulare nel terrenocontenuto dai due lunghi muri

d´ala presenti ai due lati delMonumento, determinandosi atergo degli stessi una pressio-ne idrostatica che si somme-rebbe alla pressione litostaticadei terreni e la cui entitápotrebbe essere ingente, con-siderando la notevole altezzadel dislivello, ossia dei muristessi, di circa ben 14 metri.Certamente all´intradosso deimuri é presente uno strato ver-ticale drenante che quindi rac-coglie le acque al piede deglistessi, cioé pressoché allaquota del piazzale inferiore,convogliando quindi quelleacque nella rete drenante che,appunto, sospettiamo si siaparzialmente ostruita. Taleostruzione impedirebbe il dre-naggio a tergo dei muri e laconseguente pressione idro-statica sugli stessi ne potrebbe

compromettere addiritturaanche la stabilitá statica. Non si tratta di voler essereallarmisti, quanto di essere suf-ficientemente realistici e pre-cisi, e quindi ingiungereall´azione tutti coloro che adessa sono preposti, anche se lecosidette competenze in questocaso risultano essere alquantoconfuse, ingarbugliate direi,tra il Comune, la MarinaMilitare, l´Autoritá portuale,la Sovrintendenza ai monu-menti storici, etc.Sembrerebbe addirittura che lecompetenze siano diverse aseconda che si tratti del piazza-le inferiore, o del Monumentoin se, o del piazzale superiore,etc. Ma il nostro Monumentonon lo sa proprio di tutte que-ste complicanze burocraticheed a lui solo interessa essere

ascoltato, essere curato deisuoi acciacchi, e specialmentese gli stessi non sono dovutisolamente all´inesorabile tra-scorrere del tempo, maall´incuria se non addirittura, esperiamo di no, all´ignoranzadegli uomini. Glielo vogliamo fare questoregalo per il suo compleanno80?Ho detto al mio amico chequando possibile sará mia pre-occupazione recarmi al campoper osservare da vicino lasituazione disponendo magariper l´occasione anche di ele-menti piú completi per unamigliore valutazione ed un piúattendibile diagnostico.Peró non credo proprio che siail caso di aspettare ancora e dicontinuare a tergiversare suldafarsi e a rinviare le azioni.

Per eseguire un corretto dia-gnostico ed una pertinenteterapia non mancano di certo itecnici competenti in loco, edé assolutamente chiaro quelloche da subito bisogna fare,anzi bisognava averlo fattogiá da molto tempo, sul frontedell´esplorazione in campo edella ricerca dei piani.Spero proprio che questo mioscritto possa in qualche misuracontribuire al immediato rag-giungimento di questo risulta-to. Bisogna intervenire subi-to, se non per sventare ungrave pericolo, sicuramene perintraprendere presto i necessa-ri lavori di bonifica e ripristi-no del sistema drenate primache gli stessi diventino ineso-rabilmente molto piú urgenti emolto piú ingenti, sia tecnica-mente e sia economicamenteparlando.

Le fasi iniziali della costruzione del Monumento

Lo scheletro del MonumentoLa struttura in costruzione I piani progettuali

Acqua fuoriuscita dal sottosulo

Page 31: Gianfranco Perri su Senzacolonne

MERCOLEDÌ 1 FEBBRAIO 2012 25

Il 4 novembre del 1933 il red´Italia, Vittorio EmanueleIII° partecipó alla manifesta-

zione organizzata a Brindisi perl’inaugurazione del Monumentoal Marinaio d’Italia, opera rea-lizzata in poco meno di un annoe finanziata grazie anche aifondi raccolti nei concerti orga-nizzati a tale scopo dal tenoresalentino Tito Schipa. Il re arrivò in treno alle ore9.30, dalla stazione fu accompa-gnato dal corteo reale a PalazzoMontenegro, quindi raggiunsein motoscafo il piazzale sotto-stante il monumento progettatodall'architetto Luigi Brunati edallo scultore Amerigo Batoli,denominato "Sta come torre".Sulla tribuna reale eretta alcentro della piazza pre-sero posto anche ilprincipe ereditarioUmberto e le altecariche politiche,civili e militari;migliaia di per-sone affollavanoordinatamente ilati del palcomentre nel portoerano ancoratediverse unità mili-tari della 2da squadranavale. Per facilitare

l’accesso alle autorità, dallabanchina Montenegro sino

a quella di Posillipo laRegia Marina aveva

predisposto unponte di zattere

con ringhiera,largo 18 metri elungo 250. Alleore 10.30 ven-tuno salve dic a n n o n eaccompagnatedal volo degli

i d r o v o l a n t iaprirono la ceri-

monia inaugurale,che proseguì con la

benedizione impartita dal cap-pellano della Marina, i discorsidelle autorità e conclusa con ilcanto dell’inno “Apoteosi alMarinaio”. La cronaca completadella manifestazione e i discorsifurono anche radiotrasmessidalla stazione di Bari dell’Eiar efurono ascoltati anche dallafolla adunata sul lungomare gra-zie agli altoparlanti sistematiper l’evento. Dopo la colazione a bordo delpiroscafo del Lloyd Triestino“Helouan”, i reali presero postosul palco eretto di fronte a piaz-za Vittoria e alle ore 15 in puntoiniziò la grande parata che videben 8000 tra militari e rappre-sentanti di associazioni sfilaredavanti al sovrano. Alle 16.30il re ripartì dalla stazione centra-le non prima di ricevere un cesti-no di vimini raffigurante unanave, colmo di garofani, lavora-to e donato dagli orfani di guer-ra. I grandi festeggiamenti con-tinuarono in serata con musichedi orchestre e di bande militari.

Costruito in 11 mesie inaugurato dal re

La cerimonia solenne per l’inaugurazione del Monumento al Marinaio d’Italia.Era il 4 novembre 1933

La cronaca di una giornata indimenticabile che fu radiotrasmessa dall’Eiar di Bari

Il 4 novembre 1933 Brindisi si vestì a festa per l’evento

Page 32: Gianfranco Perri su Senzacolonne

di MARIO ANTONELLI

BRINDISI - Michael Jacksonnegli anni ‘80 riuscì nell’inten-to di unire tutti gli artistid’America per l’indimenticabile“Band Aid“.Nicola Poli, col figlio Giovanninel cuore, ha fatto di più: ha suo-nato l’adunata e ha fatto conflui-re in un unico, storico, evento, imusicisti brindisini di ieri e dioggi.L’1 marzo 2012 rappresenteràper sempre una data miliare nellastoria artistica della città. Hacoinciso (guarda un po’ comesono le cose) col giorno in cuiLucio Dalla, (senza concedere ilbis, è uscito di scena).Ma a rendere speciale e indimen-ticabile la serata sono stati pro-prio loro. Giovani, adulti e“anziani“ che hanno risposto alrichiamo diffuso dalle colonnedel profilo Facebook “Musicistibrindisini“.E così, a frotte, hanno raggiunto“Masseria Marziale“ la sedescelta per l’evento. Una sorta diWoodstock brindisina all’inse-gna dei buoni sentimenti, del-l’amicizia fraterna e dell’amoreincontrollabile per le settenote.Ognuno col proprio strumento,col proprio minuscolo reperto-rio da eseguire per deliziare glialtri e per ribadire che non c’ècollante più efficace della musi-ca.In casi del genere la sintonia el’armonia generale rende quasi“stonata“ la citazione di singolinomi.Ma non si può prescindere dalnominare, per l’appunto, NicolaPoli, polistrumentista con unastoria musicale alle spalle lungaanni. Si deve alla sua caparbietà,a quella di Efisio Panzano, aquella di Pino Sammarco e dialcuni altri la buona riuscita del-l’evento.Ma è innegabile che il deus exmachina sia stato proprio Poli.Giocando sul suo ruolo di “unifi-catore“ il geniale chitarrista s’èpresentato travestito daGaribaldi, accompagnato da unaprorompente e simpatica SerenaGerardi nei panni di Anita.Entrambi erano trasportati dalmusicista albanese più noto aBrindisi. Quel Lumy (con inse-parabile fisarmonica) che tuttialmeno una volta si sono ritro-vati davanti in qualche localedella città.Ma, smettendo immediatamentei panni di protagonista, Poli halasciato il palcoscenico ai tanti,tantissimi musicisti che si sonoalternati. ben diciotto comples-si musicali hanno inscenato lapiù entusiasmante delle staffettemusicali.Mettendo da parte le immanca-bili fisime dei musicisti, sop-primendo l’intrattenibile vogliadi perfezionare al massimo gliimpianti, hanno suonato. Unodietro l’altro.Voci dolci, voci roche. Voci“navigate“. Voci acerbe. Vociintense, alte, basse. Tutteaccompagnate da musicisti pro-fessionisti che hanno fatto dellamusica una ragione di vita.E così, minuto dopo minuto(dalle 19.45 fino all’01.15) s’èdipanata una serata indimentica-bile.Più delle parole, ovviamente,renderebbero bene l’idea leimmagini.In queste due pagine ce ne sono

22 CRONACA DI BRINDISI SABATO 3 MARZO 2012

Un successo l’evento organizzato da Nicola Poli,anima del gruppo Facebook

Oltre cinque ore di esibizioni,abbracci,risate e ricordi

Musicisti brindisini:valanga di emozioninel primo raduno

Una delle tante band intervenute al primo incontro dei musicisti brindisini

Franco Maggio Alessio Prontera Michele Sfarra Rino Carlucci

Alessandra Zuccaro Raffaele Passiante Michele Ludovico

Roberto Ferraro Paolo Mauro

Mimmo Russi

Bruno Franciosa Antonio Baldassarre

Foto diGIANNI DI CAMPIMAURIZIO DE VIRGILIIS,PATRIZIO POLMONEe STEFANO ALBANESE

Page 33: Gianfranco Perri su Senzacolonne

poche. Troppo poche per poteressere rappresentative del-l’evento.Eppure (ed è constatabile visi-tando il profilo Facebook) gliscatti non sono mancati. osì come non sono mancati gliapprezzamenti, sinceri perAngelo Olimpio, l’espertissimotecnico del suono brindisinoche ha reso speciale la seratacon una competenza mixata allaperfezione, con pazienza, sim-patia e voglia di accontentaretutti.E così su quel mini palco, cosìtanto “incasinato“ tra fili e stru-menti hanno suonato e cantatole seguenti band: atia s Band,Easy Listening, roce e delizia,Fox ompany, Michele onzino, The revivals, Laura .Band, Dual Band, Mino e Noemy astagnanova, Mbeo, DeepWater, Narcotize, Exclusive ,Sunday People, Tribute BaglioniBand, Ivangarage, PopularMediterranean Band, Sulle viedel rock, Free Blues Light.Di certo qualche nome sarà sfug-gito. Ma, è bene che si sappia,il ringraziamento degli organiz-zatori va a tutti coloro chehanno colto il giusto spirito per

animare un evento che,questo è certo, è destinatoa ripetersi. Inevitabili, nelcorso della serata, i riferi-menti agli amici musicistiche non ci sono più. Per tutti loro - ha spiega-to Nicola Poli - ho lasciatosimbolicamente un tavolo conalcune sedie. Anche loro avran-no applaudito, suonato e canta-to con noi .

E il pensiero è corso, inevitabi-le, a Giovanni Poli, a inoGraziuso, Dany Notarangelo,Vito Pati, Franco Gorgoni, EnzoMacchi, Luigi Sciarra, enato

Biondo, ArmandinoDanese, omeo Balsamo e chis-sà quanti altri. Tutti appartenen-ti al popolo più bello diBrindisi. Quello dei musicisti.

Nei prossimi giorni,Senzacolonne pubblicheràmolte delle foto realizzate nelcorso della indimenticabileserata.

Un momento dell’esibizione della band di Franco Sgura

23SABATO 3 MARZO 2012 CRONACA DI BRINDISI

Gianfranco Perri consegna la targa all’organizzatore Nicola Poli

L’immagine simbolo della serata:Efisio Panzano,uno degliorganizzatori della serata,instancabilmente (e con tanta umiltà)al servizio di tutti i musicisti intervenuti all’evento

Nicola Poli,fondatore e coordinatore del gruppo Facebook fa il suoingresso travestito da Garibaldi.E’lui ad aver unito il popolo musicista.A bordo dell’ape di Lumy Gianni,l’albanese con la fisarmonica

Page 34: Gianfranco Perri su Senzacolonne

di MARIO ANTONELLI

BRINDISI - La voglia diparlarne ancora è inevitabile (einarrestabile).A distanza di una settimanadal 1 aduno dei musicistiBrindisini, l’eco del successonon s’è ancora spenta.In tantissimi, lo scorso 1marzo, sono accorsi rispon-dendo all’appello di NicolaPoli (fondatore dell’omonimogruppo su Fecebook) e hannoimbracciato strumenti eimpugnato microfoni per tra-scorrere insieme qualche oratra canzoni e ricordi.Senzacolonne ha già pubbli-cato un ampio servizio dedica-to allo storico evento con gliscatti della serata.Oggi torniamo a proporre lefoto di alcuni altri partecipan-ti non ancora apparsi tra que-ste pagine (e molti altri,ovviamente, non riuscirannoa essere pubblicati qui, masono ben visibili tra le paginedel gruppo su Facebook).Si tratta di immagini realizza-te dai pazienti StefanoAlbanese, Maurizio DeVirgiliis e Gianni Di ampi.Scorrendo i volti pubblicatisu questa pagina vedrete per-sone sorridenti o concentratesui propri strumenti. Sonoloro l’anima dell’evento volu-to e organizzato con tantamaestria da Nicola Poli con lacollaborazione degli imman-cabili Efisio Panzano, PinoSammarco e Gianfranco Perri.

Una settimana fa lo storico Raduno con partecipanti d’ogni età

I volti di coloro che hanno risposto all’appello di Nicola Poli,fondatore del gruppo su Facebook

Foto,sorrisi & canzonidei musicisti brindisini

Pino e Michele Sammarco

I Sunday People

Aldo Sgura Antonio “Fox“ Volpe Mina Lamarina

Teodoro GiampietroI “Narcotize“

Stefano Albanese Maurizio De Virgiliis Angelo Olimpio,Tds Sound

Laura ZuccaroGiovanna Tramonte

Efisio Panzano

Nicola Poli,Ilaria e Gianfranco Perri

Sebastian Gonzalezdei Croce & Delizia

GIOVEDÌ 8 MARZO 201220 CRONACA DI BRINDISI

Page 35: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Gianfranco Perri racconta 50 foto di Brindisini la mia gente

Page 36: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Gianfranco racconta 50 foto di Brindisini la mia gente Le Sciabiche Senzacolonne del 12 Gennaio 2012 Il Giro vespistico d´Italia passa da Brindisi - Ultimi anni ’50 19 Febbraio 2012 Corso Garibaldi - 1870 26 Gennaio 2012 La terrazza belvedere delle Colonne Romane - 1955 3 Febbraio 2012 La fontanella dei Giardinetti - 1968 9 Febbraio 2012 L´Ammiragliato - 1929 17 Febbraio 2012 Il Calvario -1904 23 Febbraio 2012 La Vendemmia e “li cufanaturi” - 1965 1 Marzo 2012 La demolizione del Teatro Verdi - 1960 8 Marzo 2012 “Lu Napulitanu” - 2000 15 Marzo 2012 Piccolo Lido - 1928 22 Marzo 2012 Sfilata di trattrici al Corso - 23 agosto 1927 29 Marzo 2012 L´atmosfera tropicale dei Giardinetti - 1930 circa 5 Aprile 2012 “Fishing boats coming into Brindisi harbor” - 1868 12 Aprile 2012 Piazza Baccarini - 1903 19 Aprile 2012 Piazza Santa Teresa- 1950 26 Aprile 2012 Palazzo Titi su Corso Garibaldi - 1950 circa 6 Maggio 2012 Il Cinema Mazari - 1956 10 Maggio 2012 Le barche a vela - 1960 circa 19 Maggio 2012 Il Gran Caffè Torino - 1958 31 Maggio 2012 Villaggio pescatori - 1939 9 Giugno 2012 La Palestra Galiano - 1934 14 Giugno 2012 Via Sciabiche - 1958 21 Giugno 2012 Porta Lecce - 1903 29 Giugno 2012 Il Monumento Nazionale al Marinaio d´Italia - 1933 5 Luglio 2012 La spiaggia del primo Novecento - 1906 12 Luglio 2012 La vecchia Stazione Marittima - 1938 19 Luglio 2012 Il Faro delle Pedagne - 1859 26 Luglio 2012 Tra Piazza Sedile e Piazza Vittoria - 1955 8 Agosto 2012 Il Palazzo della morte - 1922 9 Agosto 2012 Santa Maria del Casale - 1951 23 Agosto 2012 Aereo austriaco catturato - 1918 2 Settembre 2012 Garibaldi in piazza del Popolo - 1920 8 Settembre 2012 Piazza del Castello - 1930 13 Settembre 2012 Giardino Stazione Porto - 1925 20 Settembre 2012 L´estate brindisina degli Anni 60-70-80 28 Settembre 2012 San Pietro degli Schiavoni - 6 maggio 1941 4 Ottobre 2012 Gli hangar Bresciani - 1916 e Savigliano - 1930 11 Ottobre 2012 Arco doppio in Via San Giovanni al Sepolcro - 1955 18 Ottobre 2012 Via Carmine - 1903 25 Ottobre 2012 Via Pompeo Azzolino allo specchio - 1952 4 Novembre 2012 Via Cittadella - 8 novembre 1941 9 Novembre 2012 Le Sciabiche - 1906 15 Novembre 2012 Via Marina - 1905 22 Novembre 2012 Torre del Orologio - 1956 29 Novembre 2012 Castello Federico II -1880 5 Dicembre 2012 Via Bastioni San Giacomo - 1903 6 Dicembre 2012 Politeama Duca Degli Abruzzi - 1914 13 Dicembre 2012 Porta Mesagne ¨miracolata¨ - 1925 20 Dicembre 2012 La Valigia delle Indie del XX Secolo 27 Dicembre 2012

Page 37: Gianfranco Perri su Senzacolonne

13GIOVEDÌ 12 GENNAIO 2012

di GIANFRANCO PERRI

Tutti i brindisini conoscia-mo bene che “LeSciabiche” era lo storico

quartiere marinaro della nostracittá, ormai purtroppo quasicompletamente scomparso inseguito alle demolizioni chefurono consumate in due ondate,la prima intorno al 1934 duran-te il ventennio fascista per darespazio alla risistemazione dipiazza Santa Teresa con lacostruzione della FontanaImperiale, e la seconda intornoal 1959 per improbabili esigen-ze urbanistiche dando spazioalla salita che imbocca la viaCamassa, avendo stabilitoessere malsani fatiscenti ed irre-cuperabili tutti quei caseggiatidensamente popolati che anco-ra conformavano lo storicoquartiere. Ed in effetti la bella foto -diautore a me sconosciuto epostata dall´amico SimoneGalluzzo- riproduce, di quelloche fu quel quartire, un piccolis-simo scorcio prospicente almare sulla banchina del nostroincantevole lungomare. Peró “Le Sciabiche” altro nonsono che quelle suggestive retiin primissimo piano nella foto,stese ad asciugare sul piazzale equindi diligentemente rinaccia-te degli strappi della pesca dellanotte precedente dai laboriosipescatori “sciabbicoti”.Derivando il tutto dalla parolaaraba che indica quella tipolo-gia di rete: “sciabbach”.Le sciabiche sono reti da pescache, calate in mare a semicer-chio, catturano il pesce nel loroprogressivo avanzamento.Somigliano molto alle reti a

strascico, ma si differenzianosostanzialmente da queste ulti-me per la lunghezza dei bracci,tant'è che in realtà il corpo siidentifica con il sacco di raccol-ta.E perché quartiere storico?

Perché [Brindisiweb.it -Giovanni Membola] fu proprionel rione Le Sciabiche, il piúsimbolico della nostra cittá,che il 5 giugno del 1647 esplo-se spontaneamente il forte mal-contento dei pescatori, facendo

scoppiare la sommossa, unmese prima della più nota rivol-ta di Napoli capeggiata daTommaso Aniello D'Amalfi,Masaniello, iniziando cosíl´insurrezione che finí per coin-volgere l’intero meridione, che

era Regno di Napoli giá dal1509 e regnando in SpagnaFilippo III con Pedro Girónviceré a Napoli.Si racconta [Cronaca dei Sindacidi Brindisi - Pietro Cagnes eNicola Scalese, 1529-1787]:“Fu la revoluzione nel Regno diNapoli, e precise in questa città,e il sindico Ferrante Glianes fulapidato dal popolo, e fu piglia-to da casa sua, e portato carcera-to in una casa sotto la marina,dove lo trattennero tutto il gior-no, e poi la sera lo mandaronolibero in casa sua, e il capopo-polo, o vero i capopopoli, furo-no Donato e TeodoroMarinazzo, e levarono le gabel-le, non facendoli osservarecome era di solito.”In quel quartiere, al momentodel suo abbattimento definitivonel 1959, abitavano moltissi-mi dei nostri amici, ragazzi diallora i quali conservano ancoravivissimi i loro ricordi d´infan-zia e della loro gioventú “scia-bicota”: Arcangelo Taliento,Cosimo Prudentino, Luigi Iaia,Silvio Melpignano, RaffaeleGiove, o Remo Simoniello eAntonio Volpe che avevano inonni lí alle Sciabiche, oCosimo Signorile il cui padreera pescatore, ...solamente percitare alcuni di loro, tutti assi-dui sostenitori del nostro grup-po fb “Brindisini la mia gente”.

22

di GIANFRANCO PERRI

Una foto bella ed anchemolto suggestiva, conun´atmosfera decisa-

mente festiva, sia per la corsain Vespa, sia per la presenzadelle luminarie decorative chesi intravedono, dobbiamoessere intorno alla festa diSan Teodoro, e sia per losfondo sereno e rilassato: unanave da crociera agli ormeggiportuali e la terrazza balconedella Stazione Marittima afine estate ancora ammobilia-ta con i tavolini da bar e gliombrelloni del Desiré a mare.E sul fondo anche la incon-fondibile siluetta della miticaVilla Skirmuth-Monticelli, lavilla dei misteri, forse nonancora completamente inrovina.Questa foto, ormai quasidimeticata, l´ho postata dopoaverla riscoperta sul fondo diun cassetto della mia vecchiascrivania a casa dei miei, invia Castello 3. Me l´avevaregalata nei lontani annidell´universitá un mio amicotorinese del Politecnico: aquel giro aveva partecipatosuo padre, che é uno deivespisti ritratti nella fotogra-fia.Da tanti, troppi, anni a questaparte invece l´atmosfera édecisamente cambiata: legrandi navi da crociera sonscomparse quasi completa-mente e la veranda del Desiré

a mare con la sua vista mozza-fiato, ci dicono sia adesso ilbalcone inutilizzato dell´uffi-cio del capo dell´autoritá por-tuaria, che appunto da un pódi anni sembra che occupi

quello che per tanto tempo fuil famoso salone delle festedella Stazione Marittima.Tantissime coppie brindisinefesteggiarono il loro matri-monio in quella bella sala e lí

si celebrarono tantissimiveglioni di carnevale e capo-danno, e poi le feste studente-sche dei liceali brindisini!Peró, pur nella convinzioneche non sia possibile costrui-

re un futuro migliore senzaben conoscere il proprio pas-sato, bisogna sempre guarda-re avanti, ed allora io l´avreida fare una petizione concre-ta al professor HerculesHaralambides, l´attuale capodell´autoritá portuaria: “Restituire a tutti i brindisiniquello spazio che per tantianni é stato luogo di pubbli-co ritrovo e che é ancora nellamemoria di tanti brindisini iquali non hanno mai perdona-to che gli sia stato abusiva-mente scippato”. Son sicuroche noi tutti gliene saremmoriconoscenti.Questa struttura dellaStazione Marittima solo par-zialmente riprodotta nellafoto, e cosí come noi la cono-sciamo, risale al 1940 annoin cui fu costruita per sosti-tuire quella anteriore moltopiú modesta stazione cheaveva operato durante 40anni. Dal 1901 e fino al 1914,sotto l´impulso delle attivitádella societá Peninsulare conla celebre Valigia delle Indie.

IIll GGiirroo vveessppiissttiiccoo dd´́IIttaalliiaa ppaassssaa ddaa BBrriinnddiissii --

LLee SScciiaabbiicchhee

GIOVEDÍ 19 GENNAIO 2012

1959

Page 38: Gianfranco Perri su Senzacolonne

GIOVEDÌ 26 GENNAIO 2012 33

di GIANFRANCO PERRI

Questa antichissima fotoappartiene alla serie diquelle che, datate

1870, integrano gli ArchiviAlinari e che furono espostein occasione della mostra“Brindisi negli ArchiviAlinari tra Unitá d´Italia ePrima guerra mondiale” aPalazzo Granafei Nervengadal 18 Giugno al 9 Ottobre2011. La foto originale é delloStabilimento Giacomo Brogi.Si tratta pertanto molto proba-bilmente della serie di foto-grafie piú antiche della nostracittá. In effetti, anche se lapreistoria della fotografiarisale agli ultimissimi anni del‘700, in Itali i primi esperi-menti di fotografia furonocondotti da Enrico FedericoJest e da Antonio Rasetti solonell'ottobre del 1839 con unmacchinario di loro costruzio-ne basato sui progetti del fran-cese Daguerre e le loro primefotografie italiane documen-tate, sono quelle che riprodu-cono alcune vedute di Torino.Bisogna osservare che nel1870 il corso si chiamavaancora Strada Amena, e finoal 1797 era stato percorso daun insano canale di scolo dirifiuti urbani di ogni tipo, dacui il nome di ‘strada dellamena’. In quell´anno 1797 ilcanale fu finalmente risanato

e la via denominata ufficial-mente Strada Carolina inonore alla moglie austriaca diFerdinando IV° re del RegnoNapoli al quale appunto

Brindisi apparteneva.Solamente nel 1880 con lamorte di Garibaldi fu asse-gnato il nome attuale al corsoche includeva anche l´attuale

Corso Roma.Al fondo della foto, si vaverso il mare, sulla destrac´erano i terreni della futurastazione marittima e sulla

sinistra, dopo gli edifici, i ter-reni dei futuri GiardiniVittorio Emanuele II° -Ligiardinetti- che al tempo dellafoto si chiamavano Largo SanFrancesco.La viuzza a sinistra in primopiano nella foto, quel porton-cino ad arco e la soprastantefinestra esistono ugualitutt´ora, é l´attuale Vico DeLubelli, che si chiamava VicoAmena 2°, mentre la viuzzaseguente si chiamava VicoAmena 1° ed é l´attuale ViaAmena. L´insegna a sbalzo sull´ango-lo dice Hotel D´Oriente el´edificio a tre balconi inprimo piano é tutto ancora lí,mentre la costruzione chesegue fino a Via Amena éstata sostituita da un edifico adue piani e cinque balconi.Finalmente segue attualmenteil grande moderno edificio alcui pianterreno ci sono il BarAusonia ed il Caffé de París.Poi, I nostri Giardinetti dellaStazione Marittima.

CCoorrssoo GGaarriibbaallddii nneell 11887700

di GIANFRANCO PERRI

Di questa foto un pó sgualcitama pur sempre bella, postatadall´amico Nikos Desillas,non é importante la data né, inquesto mio commento,vogliono esserlo le nostrefamosissime colonne romane,centrali nella foto, terminalidella Via Appia, e neanche lacasa di Virgilio, la casa cioéche occupa il luogo di quellamolto piú antica in cui il gran-de poeta romano PublioVirgilio Marone vi morí e cheoggi sostiene la targa comme-morativa di quell´evento, eneppure il Palazzo Perez sulladestra della foto.Il titolo che ho infatti sceltoper questa foto, postata dalnostro amico d´oltre mareNikos Desillas, richiama chia-ramente una semplice terraz-za, in primissimo piano nellafoto. Perché mai?Ma perché quella terrazzaconduce ad un balcone cheaffaccia su uno dei panoramipiú belli al mondo, di una bel-lezza assolutamente indescri-vibile, un panorama mozzafia-to sul porto interno, sulCasale, sul Monumento, sulcanale Pigonati, sul portoesterno, sul Forte a mare,...sull´infinito azzurro e lumi-noso del mare brindisino.Ma non é neanche stato soloper decantare tutto ció, che ho

voluto pubblicare questa foto.L´ho fatto invece perché quel-la terrazza, con il suo balconee il suo panorama, da semprea mia buona memoria patri-monio di tutti i brindisini, da

qualche anno é chiusa al pub-blico da un cancello: per pro-teggerala da vandali e spor-caccioni, ...ci hanno detto.Molto peggio la cura che lamalattia, e si potrebbe anche

dire che di certo é stata sceltala medicina peggiore, unamedicina che non cura lamalattia, una medicina che haucciso.Poi peró, dopo qualche anno

di amarezze ho scoperto chenon era cosí grave la cosa. Ineffetti la terrazza la si potevaancora visitare accedendovi inascensore dall´interno dei sot-tostanti locali del Museo dellaFondazione Faldetta.Naturalmente negli orari diapertura del suddetto museo,...e giá!Ma bisogna essere un privile-giato per avere accesso a que-sta informazione gelosamentecustodita come fosse un segre-to di stato. E si, ...perché micaé venuto in mente al responsa-bile del museo di mettere unpiccolo, magari anche minu-scolo, cartellino sul cancelloche sbarra l´accesso alla ter-razza per indicare, appunto, dadove si entra! Troppa immagi-nazione per farlo, troppainventiva per farsi balenareun´idea cosí originale e straor-dinaria. Mica é da tutti, non sipuó chiedere poi tanto!E adesso che il museo Faldettanon riaprirá?

LLaa tteerrrraazzzzaa bbeellvveeddeerree ddeellllee CCoolloonnnnee RRoommaannee -- 11995555

21VENERDÌ 3 FEBBRAIO 2012

Page 39: Gianfranco Perri su Senzacolonne

GIOVEDÌ 9 FEBBRAIO 2012 7

di GIANFRANCO PERRI

La fontanella dei ‘Giardinetti’della stazione marittima.Quante volte abbiamo fatto leveci di quel bambino o di quelpapá o nonno? Adesso non c´épiú la fontanella con la suapalma di datteri ormai abbat-tuta! Questa foto la scattai nel 1968quando frequentavo il ‘CentroServizi Culturali’ in Piazza delPopolo, piú esattamente mipare in Via Santa Lucia, alprimo piano subito affiancodella Pizzeria Romanelli.Avevamo lí anche una piccolacamera oscura ed io stesso svi-luppavo le foto che scattavo.Una breve ma simpatica edintensa stagione ‘artistica’ cheduró un paio d’anni prima diintraprendere l’avventura uni-versitaria a Torino.L’amico Pino Spina ha volutocommentare questa mia fotoscrivendo: “Non esiterei adattribuire a questa immagine ilvalore di documento storico,non credo che ci sia un solobrindisino che, almeno fino aquando è esistita, non ricordi diessere stato sollevato da terraper bere a quella fontanina.Grazie, per la pubblicazione.”Troppa generositá Pino, ma sonanche sicuro che questo com-mento sia ampiamente condivi-so da tanti brindisini di piúd’una generazione. E, permette-temelo, un solo altro commentotra i tantissimi e molto appas-sionati che ha stimolato questamia foto, quello dell’amico

Domenico Faraselli: “Le cosebelle o legate a ricordi indelebi-li della nostra infanzia credoche non si dimentichino mai efa sempre tano piacere riveder-le. Grazie per quel magico scat-to.”

Ma perché é stata tolta quellafontanella? Ma perché é stataabbattuta quella palma?Naturalmente ci deve esserestata una e forse piú d’unaragione ‘tecnica’, peró a noibrindisini la vita ci ha insegna-

to ad essere sospettosi e a diffi-dare degli amministratori comu-nali. E giá, forse perché furonoproprio amministratori comu-nali coloro i quali risolsero diabbattere la settecentesca torredell’orologio, di demolire il

teatro Verdi, di sradicare il parcodelle rimembranze, di cancella-re il quartiere delle Sciabiche,. . .E non voglio certamente tentardi stabilire forzate ed improba-bili equivalenze tra la fontanel-la e ed i celeberrimi monumenticitati. Per fortuna in questo casonon c’é stato di certo uno scem-pio storico, ...ma quella fonta-nella era la ‘nostra’ fontanella:semplice, umile, ma ‘nostra’!Quindi, siamo proprio sicuriche fosse veramente inevitabileil suo abbattimento, siamo pro-prio sicuri che non ci fosse unrimedio alle problematiche‘tecniche’ responsabili dellarisoluzione? Magari il rimediosarebbe anche potuto esseresemplice, o magari forse anchecomplicato, ma ci resta comun-que il sospetto che in fondo sitratti solo di una ulteriore mani-festazione di superficialitá edinsensibilitá di qualcuno per ilquale l’oggetto in questionenull’altro fosse che una vecchiapovera e inutile fontana disfun-zionante, attaccata ad un vec-chio albero malato. Mah! Certoche a noi restano solo il sospet-to e l’amarezza.

LLaa ffoonnttaanneellllaa ddeeii ggiiaarrddiinneettttii nneell 11996688

10 CRONACA DI BRINDISI VENERDÌ 17 FEBBRAIO 2012

di GIANFRANCO PERRI

Forse solo i nostri genitori piúanziani lo ricordano con questonome un pó suggestivo, o con ladenominazione di ComandoMarina. Noi invece, brindisini natipoco prima o poco dopo la secon-da guerra mondiale, tutti lo ricor-diamo come “Lu Prisidiu”.In effetti si tratta delle strutture diquella che in origine fu la casermad´ariglieria “Ederle”, dal nome diCarlo Ederle, maggiore di artiglie-ria nato a Verona nel 1892 e mortosul Piave nel 1917, medaglia d´oroal valor militare nella prima guer-ra mondiale. Il grande palazzo, che risalta sullosfondo della foto postata daSimone Galluzzo e anche ripro-dotta sul classico libro editado nel1985 “Parliamo di Brindisi con lecartoline” di Giuseppe Candilera,non esiste piú, ma proviamocomunque ad orientarci: La strada sulla destra é l´attualeViale dei Mille, vista da Via SantaAloy e subito a destra, non visibi-le nella foto ma tutt´oggi esistentedietro gli alberi, c´é la palazzinadell´Ammiragliato, nella qualealloggió il Re Vittorio EmnanueleIII° durante il periodo del suo sog-giorno a Brindisi dopo l´8 settem-bre 1943 durante i mesi in cuiBrindisi fu la capitale d´Italia. La costruzione bassa a forma dicapannone con il tetto a due spio-venti sulla sinistra invece, esisteancora, completamente fatiscentee da molti anni abbandonata:appartenne alla caserma Ederle edoccupa tutto il lato Nord di ViaCastello, tra Via Rodi e ViaCittadella nuova. Quella costru-zione bassa ha anche un secondolato contiguo non visibile nellafoto, tipologicamente uguale edisposto perpendicolarmente,

occupando ancora oggi tutto il latoovest di Via Cittadella nuova, traVia Castello e Viale dei Mille e, adangolo tra Via Cittadella nuova eViale dei Mille, c´é il Circoloricreativo della Marina. Esattamente in quello stesso ango-lo, fino a tutta la seconda guerramondiale, era invece posizionatala garitta del sentinella e, me loraccontava mia madre, il sentinel-la era puntualmente presente alsuo posto anche durante quella tra-gica notte brindisina tra il 7 e l´8novembre del 1941, mentre infu-riavano i bombardamenti inglesi:

le bombe cadevano in quell´areacon sempre maggiore insistenzaed una signora anziana, che vivevaal piano rialzato dell´edificio congli archi che si affacciava, e siaffaccia ancora, su Via Santa Aloya pochissimi metri da quell´ango-lo, scorgendo dalla sua finestrasocchiusa il soldato, cominció achiamarlo ingiungendogli di venirfuori dalla garitta e di rifugiarsinel portone dell´edificio, moltopiú solido ed un pó meno espostoalle bombe. Il sentinella non vollemuoversi e la signora dopo ripetu-ti quanto inutili richiami, scese per

strada, andó alla garitta e material-mente trascinó il soldato fuori finoa farlo rifugiuare nel portonedell´edificio. Erano trascorsi pochiminuti da quel momento quandouna bomba centró in pieno lagaritta: non ricordo il nome diquell´anziana signora, ne maiseppi quello del giovane soldato. Alle spalle dell´edificio e per tuttala sua notevole ampiezza c´era ungrande cortile, una grossa piazzad´armi denominata PiazzaCastello. Al posto di quella piazzae dello stesso palazzo “LuPrisidiu” c´é oggi la scuola

Salvemini. Dalla fine della seconda guerramondiale invece, tutto l´edificio fu“temporalmente” destinato a civileabitazione ed occupato da tantefamiglie di sfollati, una temporali-tá che duró quasi vent´anni: alcunidei miei compagni di classe allescuole elementari San Lorenzoabitavano “intra allu Prisidiu”. Iosono infatti nato e vissuto in ViaCastello N°3, esattamenteall´angolo con Via Cittadellanuova, proprio di fronte a ció cherestava della caserma Ederle.La caserma in origine occupavaper intero tutto l´isolato, che eraperfettamente rettangolare e con-teneva anche il palazzo delPresidio Militare, essendo delimi-tato dalle quattro strade: ViaCastello, Via Cittadella nuova,Viale dei Mille e Viale dellaLibertá, la quale in effetti non esi-steva ancora ed era una stradainterna alla Marina Militare, cosícome lo era anche l´attuale Vialedei Mille.La Ederle, era poi divenuta unacaserma di cavalleria, ed ai tempidella mia infanzia oltre ai soldatic´erano ancora i cavalli, poi neglianni divenne un deposito di armi.Me li ricordo bene i cavalli, dalbalcone di casa li osservavo ognimattina, con i soldati che li faceva-no uscire dalle stalle e li portavanoa bere nel beveratoio al centro delcortile, e poi li facevano passeg-giare un pó.

LL’’AAmmmmiirraagglliiaattoo nneell 11992299

Page 40: Gianfranco Perri su Senzacolonne

di GIANFRANCO PERRI

Questa é una bella vecchia car-tolina che fu editata da AngelaAnelli e illustra il Calvario sitosulla Via Santa Margherita adangolo con Via Carmine e la cuicostruzione originale deve inqualche modo essere stata legataalla esistenza di due importantistrutture religiose che eranostate previamente edificatenelle sue immediate adiacenze,da un lato e dall’altro. Un angolo di Brindisi certamen-te suggestivo ed assolutamentemolto presente nella memoriadi tanti di noi che da bambini ciincantavamo, anche un pó sug-gestionati ed impressionati, difronte alla figura del Cristomorto e della Madonna che locompiangeva, nella sera deisepolcri e durante tutta la setti-mana santa. Poi invece, pertutto il resto dell´anno le statuesparivano dalla vista, anche sela loro presenza la si potevaindovinare dentro la minutacupola che le custodiva e che hacontinuato a custodirle durantetantissimi anni: un angolo dellanostra storia.Cosí come lo ricorda la lapideancora apposta sulla colonna, asinistra nella foto, il Calvariofu fatto ergere nel 1830 (ADMD.CCC.XXX), da MonsignorPietro Consiglio, Arcivescovodi Brindisi e di Ostuni tra il1826 e il 1839, praticamenteaddossato al convento di SantaMaria delle Grazie i cui restiancora resistono in parte, pro-prio affianco al Calvario, su ViaSanta Margherita: il muro che siosserva sulla destra della foto

appartiene infatti alla strutturadel convento. L’intonaco suquesto muro è stato tolto direcente e si possono cosí notarealcune figure incise sulla pietraesposta, un cervo e poi deipesci in mare.

Su Via Santa Margherita, quandoeravamo bambini c´era solo unarco aperto, mentre adesso c´èun cancello ed al suo interno sipuò osservare un cortile che fuil chiostro del convento, conben riconoscibili gli archi ogi-

vali a sesto acuto, adesso chetutto é stato finalmente restau-rato dai proprietari attuali. Il convento aveva assunto ladenominazione di Santa Mariadelle Grazie solo dopo la rifor-ma dell’ordine eremitano ed il

piú antico documento noto chelo cita esplicitamente è datato1333. Dopo una prima soppres-sione venne utilizzato comeospedale, mentre in tempi menolontani invece, e dopo ladismissione definitiva del con-vento, l’edificio passó in pro-prietá al Comune e fu successva-mente destinato a civili abita-zioni. Dietro al Calvario, dove c'èadesso la birreria Gruit, il palaz-zo Gioia, c’era invece il ben piúantico Monastero degliAgostiniani, fondato nel 1193e di fatto collegato e tutt´unocon il Convento di Santa Mariadelle Grazie. Poi, piú vicino a PortaMesagne, nel 1526 fu costruitala chiesa di San Rocco, in uso aiCarmelitani, di cui non rimanepiù nulla se non la statua di SanRocco conservata nel cortile delpalazzo del Seminario. Di fron-te al Calvario finalmente, sor-geva la chiesa con l´annessoconvento della Madonna delCarmine, da cui il nome dellastrada. Si trattava quindi in effetti ditutto un antichissimo comples-so religioso e mistico e recen-temente é stato approvato unprogetto di restauro delCalvario e del palazzo exMonastero degli Agos

.

GIOVEDÌ 23 FEBBRAIO 2012 15

IIll CCaallvvaarriioo nneell 11990044

di GIANFRANCO PERRI

Ho trovato simpatico compor-re queste due belle foto posta-te da Francesco Petrelli,emblematiche di quella chefino a un pó di anni fa era lavendemmia nelle nostre cam-pagne, e con l´intenzione direndere un omaggio a quegliuomini che della vendemmiabrindisina sono stati durantetanti anni i veri ed anche unpó eroici protagonisti: “licufanaturi”.Erano i personaggi di granlunga piú importanti dellafiliera produttiva della ven-demmia, erano giovani emeno giovani, ma sempre esicuramente forti e resistenti,ed erano pertanto quelli chetra i lavoratori del campoerano i meglio remunerati.Trasportavano con passo cele-re, quasi di corsa, alternando-la su una sola spalla, la“tinedda” zeppa d´uva, cheveniva auto-caricata seguen-do un movimento preciso,quasi acrobatico e rigorosa-mente coordinato, di solleva-mento da trerra mediantel´accompagnamento da partedi colui che era incaricato delsuo riempimento travasandole ceste o panari riempiti conl´uva raccolta dalle vendem-miatrici, le eroine della ven-demmia brindisina.Il tragitto della corsa eravariabile durante la lungagiornata e si allungava fino ad

anche una cinquantina e piú dimetri man mano che il tagliodell´uva avanzava finoall´estremo del filare per poiritornare indietro dal filareadiacente. Poi alla fine di ogni

corsa la scaletta in legno,necesaria per guadagnare ilciglio della botte o della cassadel camion, spesso resa ancheun pó viscida dalla terra e dalsucco d´uva che inevitabil-

mente finivano con l´avvolge-re gli scalini. Quella “tined-da” era veramente maledetta-mente pesante, ve lo possogiurare.A me infatti, come a tanti altri

miei coetanei, é capitato dastudente ancora in vacanza diandare a vendemmiare assol-vendo il compito di, appunto,sollevatore della tina, e noncerto quello fisicamente asso-lutamente impossibile di“cufanatori”. Quella tina erapesante anche vuota, figuria-moci piena. Era fatta di legnobello spesso perché dovevaessere resistente e durevole, epoi con il trascorrere delle oresi appesantiva ancor piú per-ché si inzuppava del succod´uva assorbito in abbondan-za.Da casa si usciva un pó primadell´alba per raggiungere lacampagna prestissimo ed ini-ziare il lavoro con le primissi-me luci. Ma coloro i quali cidovevano andare “cullu travi-nu” uscivano di casa a nottefonda, ed erano tantissimi “litravini” che si superavano perstrada, al buio e tutti con lalanterna segnaletica a petrolioaccesa e dondolando“sott´allu travinu” inun´atmosfera surreale scandi-ta dallo scalpiccio delle staffedei cavalli sull´alsfalto, e“sulle chianche”

.

GIOVEDÌ 1 MARZO 201222

LLaa vveennddeemmmmiiaa ee ““llii ccuuffaannaattuurrii““ -- 11996655

Page 41: Gianfranco Perri su Senzacolonne

di GIANFRANCO PERRI

Una tristissima foto. Una fotoassurda che non sarebbe maidovuta essere scattata. Unafoto figlia dell´invidia, dellapolitica piú malsana,dell´ignoranza, della malafedee, purtroppo, anche dell´indif-ferenza della maggior parte deicittadini. Quell´indolenza chesembra trapelare anche da quelpasso frettoloso dei tanti chestanno passando inosservantidi ció che stava succedendo,anzi consumandosi, alla loropresenza. “...Dopo fasi di alterna fortu-na, come punto di arrivo di unlento declino, un commissarioprefettizio a nome Prestipino,insediato il 4 aprile 1959 acausa della crisi che avevainvestito l’amministrazioneretta dal Sindaco ManlioPoto, il 30 settembre del 1959decretò l’abbattimento del tea-tro ‘per salvaguardare la inco-lumità pubblica’. La demoli-zione fu eseguita fra una certaindifferenza generale da febbra-io a maggio dell’anno succes-sivo...” -da un intervento delSindaco Domenico Mennittidurante il ConsiglioComunale tenutosi sul TeatroVerdi il 20 Novembre 2006-.La sua costruzione avevarichiesto nove anni di lavori,dal marzo 1892 al marzo1901. Il primo spettacolo, unconcerto di musiche di Verdi,

fu tenuto il 24 marzo del 1901proprio per commemorare ilgrande musicista e l´inaugura-zione della prima stagionelirica avvenne invece il 17ottobre 1903, con la rappre-

sentazione della Traviata diVerdi. Nel Verdi si tennero nel 1926e 1927, anche tutta una seriedi importanti eventi lirici pro-mossi e partecipati dal grande

tenore leccese Tito Schipa, perla raccolta dei fondi necessarialla costruzione delMonumento al Marinaiod´Italia.Il teatro fu in minima parte

danneggiato durante l'ultimaguerra mondiale da bombeesplose nelle sue vicinanze, efu più volte riparato tra il1949 e il 1951. Il 21 luglio1951 una commissione di cuifacevano parte tecnici delgenio civile, della provincia edell´ordine degli ingegneri,concluse che “...il teatro nonrispondeva più alle esigenzeper le quali era stato costruito,che non era un monumentodegno di essere conservato,che l'area di grande valore incui si trovava poteva esseremeglio utilizzata...”. Non cisono le prove, ma quelle con-clusioni inducono, anzi obbli-gano, a credere nella assolutamalafede di quella commissio-ne. ...Si, perché la sola igno-ranza ed indolenza non avreb-bero potuto da sole spiegarel´assurditá di quella conclusio-ne. La struttura continuò comun-que a funzionare come cine-ma, finché il 23 agosto 1956la prefettura ne dispose lachiusura e nel 1959 il com-missario prefettizio ne decretóla demolizione.

LLaa ddeemmoolliizziioonnee ddeell TTeeaattrroo VVeerrddii -- 11996600

10

.

GIOVEDÌ 8 MARZO 2012

di GIANFRANCO PERRI

Questa bellissima foto gentil-mente postata dall´amicaValeria De Robertis, riproduceil simpatico signor MauroDe Robertis, padre dell´amicoNicola e nonno di Valeria, eche purtroppo ci ha ormai edefinitivamente lasciato. E loriproduce dentro il suo piú chefamoso negozio di ViaFerrante Fornari, quello difronte alla chiesa degliAngioli ed alla scuola ele-mentari San Lorenzo: il nego-zio “ti lu Napulitanu” che,dopo quasi 100 anni di esi-stenza, ha anch´esso chiusoper sempre i suoi battenti. Si, purtroppo “LuNapulitanu” ci ha lasciatosenza i suoi ami per la pesca,i quaderni neri con il bordorosso, i tappi di sughero, lemaschere di carnevale di carto-ne, i denti per la fioscina, lichiumbi e li cranfarieddi, isalvadanai in terracotta, licurri, li mintini, i formagginidi cioccolata, le collane dizucchero, le giuggiole e lerotelle di liquerizia, i morta-retti e li fiscaluri, le fiale puz-zolenti, i soldatini e gli india-ni di plastica, parrucche barbee baffi finti, ceri per i santi eper i morti, e ...li tagghioli pili surgi... Quando serviva una

qualsiesi cosa a casa, lemamme ci dicevano “sirai lateni lu Napuliatanu”. In quelnegozietto si respirava un´ariaspeciale, tutta magica.A voler essere piú precisi, in

effetti i negozi chiamati “LuNapulitanu” in via FerranteFornari durante molti annisono stati due ed i due pro-prietari erano fratelli. Primaaprì il negozio di nonno

Mauro, che in principio fudello bisnonno di Valeria,padre di sua nonna, propriosull´ angolo di fronte allachiesa degli Angioli. Poi aprìl'altro, nello stesso palazzo

ma sull´altro angolo di viaFerrante Fornari, quello difronte alle scuole elementariSan Lorenzo, che però ebbevita più breve. I due negozi,anche se erano simili, furonogestiti diversamente. Noiragazzi per differenziarli, par-lavamo di “lu Napulitanu vec-chiu y lu Napulitanu nuevu, ogiovini”.Il vero cognome dei fratelliera Napolitano, ma ci fu unerrore all´anagrafe e così ilnegozio di nonno Mauro furegistrato con il nome di“Napoletano”, mentre l'altronegozio rimase Napolitano.Poi nonno Mauro fu addirittu-ra considerato essere napoleta-no per il suo modo di parlare.Non aveva infatti accentobrindisino, ma in realtá era diMolfetta e non certo diNapoli, ma quasi tutti senten-dolo parlare con uno stranoaccento e conoscendo il suocognome, fecero l'errore diconsiderarlo napoletano,anche di fatto.

“LLuu NNaappuulliittaannuu ““ -- 22000000

11

Page 42: Gianfranco Perri su Senzacolonne

di GIANFRANCO PERRI

Questa fotografiapostata dall´amicoAlberto Cafiero, ed

appartenente alla colezionedella Valigia delle Indie, é dadefinire quanto meno, deli-ziosa. Non si riesce a legger-lo peró, nella fascia centralee bianca dell´arco che rap-presenta un bellissimo sole,c´é chiaramente scritto“Piccolo Lido”. Un verogioiello, una costruzione dilegno in perfetto stileLiberty.E peccato che non ci sia datodi vedere, e neanche di sape-re, quali fossero i colori diquel sole e di quelle portedelle venti gabine dispostesui due piani, ma c´é da sup-porre che un architetto capa-ce di progettare una strutturacosí delicata ed armoniosa,deve averne di certo selezio-nato di perfettamente ade-guati all´incantevole atmo-sfera di quel luogo.E dove siamo? Esattamentesu quel pezzetto di spiaggiache rimaneva compreso tralido La Pineta e lidoGaudioso, precursore dellafamosa spiaggiaSant´Apollinare. La Pineta si

situava immediatamentealla sinistra della foto e difatto sotto la Villa Skirmut,quella degli spiriti, e si puóinfatti intravedere sotto

l´albero a sinistra nella fotoil portale a due colonne qua-drate sormontate da duegrossi portafiori che costitui-va l´entrata al terreno della

villa. Ancora un pó piú in lá dellaPineta, vi era infine la spiag-gia Fiume Piccolo. Il lidoGaudioso invece restava

immediatamente alla destradella foto e ne seguivanoaltri tre di lidi, in realtá tuttisulla stessa spiaggia, ma contre diversi nomi, lido Brento,lido Risorgimento e lidoCafiero.Il Piccolo Lido della foto,sorgeva quindi nella porzio-ne finale di quella che poisarebbe diventata la famosis-sima spiaggia diSant'Apollinare. Quando lacostruirono, Piccolo Lidoscomparve assieme agli altricuattro lidi, il Gaudioso, ilBrento, il Risorgimento e ilCafiero, ma rimase La Pinetadivisa da Sant'Apollinarecon un reticolo di filo spina-to che entrava in acqua perqualche metro. L´amico Raffaele Mauro checi ha voluto gentilmentespiegare tutta questa com-plicata ed ormai scomparsalogistica delle spiagge brin-disine, ci ha anche confidatodi aver bucato perlomeno un

12

di GIANFRANCO PERRI

Una bella fotografiadella colezione G.Argese che ci rac-

conta tante cose dellaBrindisi che fu: gli alberi diquercia -lecci per la preci-sione- che su CorsoUmberto I° e su CorsoRoma erano stati piantatiqualche anno prima, intor-no al 1922, e che poi furo-no sradicati verso la finedegli anni ’60, per esserefinalmente sostituiti in annirecenti dalle palme. Ed ancora: in primo pianoun impeccabile lastricato,quello originale dei corsi.Sul fondo a destra l´incon-fondibile siluetta del tettodel teatro Verdi e financhela facciata della stazioneferroviaria. In primissimopiano a sinistra invece, itavolini del caffé Guarinoproprio di fronte allaPiazza Vittoria.Poi, i tanti tricolori con loscudo sabaudo e, all´iniziodi Corso Roma, che alladata ancora si continuava achiamare Corso Garibaldi,

vari calessi parcheggiaticon i rispettivi cavalli, itaxi dell´epoca.Ma la cosa piú interessantedella foto sono le famose

trattrici Fordson, con glisperimentati modelli F e gliinnovatori modelli N, chesfilano in occasione di unaimportante fiera o, come si

chiamavano allora, mostrao ancora meglio, esposizio-ne agricola industriale zoo-tecnica. Ci sono anche notizie e

documenti che ne registra-no una molto importante aBrindisi anche nell´ancorpiú lontano 1909 quando,essendo ancora provinciadi Lecce, vantava una rigo-gliosa attivitá commercialebasata sui numerosi pro-dotti della terra, interve-nendo industrialmenteanche sulla trasformazionecon i numerosi stabilimentivinicoli e oleari, nonchécon le molto diffuse masse-rie del circondario dove siallevava bestiame d´ali-mentazione e da tiro.E finalmente, da notare inostri concittadini, schiera-ti numerosi ed in buonordine, con moglie e bam-bini, e molto eleganti neiloro austeri, ma certamentedignitosi vestiti delladomenica di quella fineestate.

11

SSffiillaattaa ddii ttrraattttrriiccii aall CCoorrssoo -- 2233 aaggoossttoo 11992277

paio di canotti su quel reticolo.

GIOVEDÍ 29 MARZO 2012

Page 43: Gianfranco Perri su Senzacolonne

CRONACA DI BRINDISIGIOVEDÌ 5 APRILE 2012 13

Il nostro amico NikosDesillas da Corfú continua aregalarci dalla sua inesauri-

bile colezione, immagini tantobelle quanto suggestive dellanostra cittá. Molte delle foto dalui postate ci risultano quasi deltutto sconosciute, e comunquetantissime delle sue foto sonosemplicemente fantastiche.Il titolo della fotografia parla di“atmosfera”, e non a caso maproprio perché é quella che dellafoto é la presenza piú meritevo-le di essere commentata, anchein considerazione del fatto chesembra sia stata recentementeun pó troppo smarrita in quelgiradino che ha giá ta tempocompito i cent´anni.Su tutte le vecchie mappe citta-dine reperibili, per esempio sulpiano del progetto per la stradaLa Mena del 1866, l´area sullaquale insiste il giardino vieneidentificata come Piazza SanFrancesco e in alcuni casi giáveniva simboleggiata come areaverde o giardino, per esempiosul piano del progetto di risiste-mazione della banchina centralee sue adiacenze del 1885. Quel terreno apparteneva al pro-prietario di un palazzotto situatosul posto in cui fu poi edificatoil palazzo della Banca d´Italia. Il

terreno del giardino fu donato alComune da quel proprietario,con la condizione che non vi sicostruisse nulla che potessetogliere la vista del mare dal suopalazzo. Meno male, e che for-

tuna! Il Comune si fece carico delgiardino, cambió il nome dellapiazza intitolandola a VittorioEmanuele II° e tra le vecchiecartoline, giá una del 1905 lo

illustra in tutto splendore: ungiardino particolarmente curatonella folta vegetazione, diligen-temente recintato con un´ele-gante inferriata alta non piú di inmetro ed aperto al pubblico.

Attorno ai primi anni ‘30 vennetrasferita ai giardini la fontanadei delfini proveniente dallavicina Piazza Baccarini e qual-che anno dopo venne ancheinserito un busto di Virgilio conlo sguardo rivolto verso il maree che in molti ricordiamo anco-ra molto bene.Adesso, non solo l´aspetto, maanche l´atmosfera sono comple-tamente cambiati: molti alberidi palma sono stati abbattuti,molti degli spazi sono stati pavi-mentati, anzi cementificati, lepalme rimaste sono cosí alte chelo sguardo dei passanti, ed ancorpiú se di bambini, non le cogliepiú. E poi, quei brutti chioschidi bevande ed alimenti! Peró eper fortuna, “li giardinetti” stan-no ancora lí, piú che centenari edisposti a resistere. C´é solo dasperare che prima o dopo unqualche amministratore con unpó di sensibilitá e di buon gusto,li faccia ritornare al loro anticosplendore e restituisca loroquell´atmosfera, forse un pómeno asettica, ma appena un póselvaggia, o quanto meno, piúnaturale!

Questo bellissimo oleo, cer-tamente meno noto del piúfamoso e celebrato dipinto

del porto di Brindisi di FilippoHackert che puó essere ammiratonella reggia di Caserta, é di unbravissimo pittore paesagistaamericano, Sanford RobinsonGifford vissuto tra il 1823 e il1880. Nel 1868 giunse a Brindisiper imbarcarsi per l´Egitto, ancorprima dell´inizio delle operazionidella Valigia delle Indie, e rimasecolpito dalla bellezza del paesag-gio portuale e dalla speciale luceche da quel mare scaturiva, tantoda decidere di dipingerlo, con lebarche a remi e le bellissime bar-che a vela dei pescatori e consullo sfondo, velato ma imponen-te, il nostro Forte a Mare. In realtá Forte a Mare costituiscesolamente una parte, la secondain ordine cronologivco di costru-zione, del fenomenale complessodifensivo costruito sull´isola diSant´Andrea all´ingresso delporto. Il primo nucleo fu fatto eri-gere nel 1481 da Alfonso Duca diCalabria dietro ordine del reFerdinando D´Aragona (da cui idue nomi di Castello Alfonsino odi Castello Aragonese). Si chiamóanche Castello Rosso, a causa delcolore che al tramonto assumevala pietra, cavata nell'isola stessa,con cui era costruito. Il secondo nucleo, il Forte a Mareappunto, fu edificato nella secon-da metá del XVI secolo, neglianni del regno di Filippo IId'Austria, figlio di Carlo V.Castello e Forte, divisi solo da unprofondo fossato, costituirono ungrande ed inespugnabile triangoloisoscele.

Poi, a partire dal 1900, il Forteperse la sua funzione difensiva eper un tempo fu utilizzato comelazzaretto ed il Castello Alfonsinocome sede di un faro e, durante laGrande Guerra, come deposito dimine. É aneddotico il racconto che ci hafatto l´amico Giancarlo Cafiero

dell´intenzione del magnate grecoAristotele Onassis di acquistare oquanto meno di affittare ilCastello per crearci un casinóinternazionale. Onassis venne aBrindisi di persona nei primissimianni ´60 ed intavoló con taleobiettivo, ma senza successo, col-loqui con le autoritá della Marina

Militare. Nel 1984, la Marina Militarefinalmente consegnò il complessodell'isola al Demanio dello Stato,che lo affidò alla Soprintendenzaregionale ai beni ambientali,architettonici, artistici e storici.Con i fondi dell'Unione Europeadestinati allo sviluppo del turi-

smo, e in particolare del turismod'affari, la Soprintendenza ha par-zialmente estaurato il Forte aMare, mentre la Provincia diBrindisi ha recuperato parte delCastello Alfonsino. Peró purtrop-po é da subito iniziato un nuovocapitolo di noncuranza e di quasiabbandono di una struttura, ungioiello architetonico e storico,che é certro tra i piú emblematicidella nostra cittá e della nostrabrindisinitá.Senza perdere l´ottimismo speria-mo in bene e comunque, noi diBrindisini la mia gente, abbiamoscelto l´immagine raffigurata inquesto bellissimo quadrodell´attento e sensibile viaggiato-re ottocentesco SanfordRobinson Gifford, per rappresen-tarla nella copertina del nostro bellibro Brindisini la mia gente. Delresto quelle barche a vela ciappartengono, appartengono allanostra memoria, in molti le ricor-diamo benissimo, ugualissime aquelle del quadro, approdate sullapanchina di fronte ai giardinetti efacendo la spola conSant´Apollinare fino a tutti iprimi anni ‘70.

Fishing bboats ccoming iinto BBrindisi HHarbor -- 11868

GIOVEDÌ 12 APRILE 2012 23

di GIANFRANCO PERRI

Page 44: Gianfranco Perri su Senzacolonne

GIOVEDÌ 19 APRILE 201211

Intitolare questa bellaimmagine alla PiazzaAlfredo Baccarini -

ministro dei lavori pubblicitra il 1878 e il 1883- primaancora Piazza dei Consoli epoi recentemente ribattez-zata Piazza San TeodoroD´Amasea, é certamenteriduttivo. E infatti, nellafoto la piazza é pratica-mente occultata dalla tantafrenetica attivitá mercanti-le che in essa vi si svolge. Si riconosce a stenti la fon-tana centrale, sul lato estre-mo destro della foto, prati-camente circondata dallebotti e situata di fronte alPalazzo Montenegro, nonvisibile nella foto. Quellastessa fontana, detta deidelfini, fu poi spostata neigiardini della PiazzaVittorio Emaluele II°, “Ligiardinetti”.La piazza su due lati eradelimitata da due palazzi esul terzo lato dalla banchi-na prospicente il mare, asinistra nella foto.Il quarto lato, alliniato conVia Santa Chiara, era inve-ce completamente liberocome si puó ben osservarenella foto. I due citatipalazzi delimitanti la piaz-

za erano il PalazzoMontenegro e, alle spalledel fotografo, un palazzot-to poi abbattuto con tutto ilrione al quale apparteneva,

Le Sciabiche.Si notano sullo sfondodestro della foto il belpalazzo del Grand HotelInternazionale e piú in

primo piano, il palazzo difine ottocento costruito adangolo con Via SantaChiara, senza ancora ilsecondo piano.

Ma sono tutte quelle navimercantili e tutte quellemerci i veri protagonoistidella foto, tutte quelle bottidi vino buono e di olio otti-mo, tutti quei sacchi colmidei tanti prodotti della terrabrindisina e pronti perl´imbarco e per l´esporta-zione.Erano per Brindisi anni dirigogliosa attivitá agricolae commerciale.E sicuramente alla fondadella stazione marittima,un pó piú in lá sulla ban-china del lungomare anchese non visibile nella foto,c´era pronto per partire ilpiroscafo della “Peninsulaand Oriental SteamNavigation Company”della famosa “Valigia delleIndie” che andava daLondra a Bombay viaBrindisi: in treno fino allastazione di Brindisi e poivia mare dal porto attraver-sando il canale di Suez.

Piazza Baccarini - 1903

GIOVEDÌ 26 APRILE 2012 9

Non so per quanti anniancora dopo quelloindicato come data di

questa bella foto, la PiazzaSanta Teresa sia rimastacosí. Solamente posso affer-mare che io, che sono natosubito dopo quell´anno, nonme la ricordo proprio conquest´aspetto. Un aspettoche mi sento di affermareapparenta essere abbastanzapiú bello di quello attuale.Appena l´amico GiancarloCafiero postó questa foto, iprimissimi commenti chel´accompagnarono si riferi-rono tutti alla PalestraBoxieri il cui portoned´ingresso si puó identificarechiaramente sul lato destrodel caseggiato que fa dasfondo alla piazza. Si puóanche chiaramente distin-guere il grande cartello ret-tangolare soprastanteall´ingresso, anche se pur-troppo non é possibile leg-gerne tutto il contenuto.... L´allenatori tinia lu razzumuzzu, forsi pi la guerra, ...Lu chiamaunu manu di taula,alla sicurduna ti scasciava lunasu, cussì ti llivavi lu pin-sieru, ... Era mestru Cosimu,... Dell´Atti? ... Noni, mestruCosimuuuu, Dell'Atti, Gigi,

venni dopu ti iddu. ... Ineffetti li dell'Atti erunu pic-cini e com'erunu a fari cu tispaccunu lu nasu! ... Sini eramestru Cosimo, calabresi...

Quandu mestru Cosimu,manu muzza, apria la pale-stra, si mittia vicinu all'in-gressu e spittava cu rrivavu-nu tutti l'atleti, la palestra

tinia quattru specchi sobbraalli toi lati e lu ring a centru,tretu...Dopu, la palestra divintau lafalegnameria ti mestru

Manucciu, quiddu ca lu fig-ghiu si chiamava Bartolo, capurtau la prima mini moto aBrindisi, e lu prima canialano ca si chiamavaRebon... E la Morgan azzur-ra ed il primo taxi inglese...Poi tinia li toi cani buldog,Maja e Red, e nui sciucava-mu a palloni e loro ndi sicu-tavunu...Piccinni stavumu semprisobbra a Santa Tresia pisciucari a palloni finu aquandu lu quisturinu no ndicacciava quando rrivvava lasera... Indubbiamente cosícom´é nella foto era una bel-lissima piazza, ricca diverde, ma non si potevanofare partite di calcio. Dopundi la ggiustara, e finalmenteavremmo potuto giocare legrandi partite, però non ave-vamo fatto i conti conGianni e Pinotto, le dueguardie municipali che con-tinuamente ci “rubavano” ilpallone!

di

Piazza Santa Teresa e la Palestra Boxieri - 1950

Page 45: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Questa foto, postatadall´amico Maurizio DeVirgiliis, mostra in

primo piano un bel palazzo chenon c´é piú. Non era molto anti-co, ma giá nelle foto dei primis-simi anni del 900 vi appare, enon nuovissimo, tutto intero ilsuo pianterreno, nato quindi afine ottocento e che pertantoavrebbe avuto oggi molto piú dicent´anni.Sullo sfondo di una di quellevecchie foto, risalta una grandeinsegna nera orizzontale distri-buita aldisopra dei due archidella facciata che dá verso ilgiardino e che recitava a stam-patello “ProvveditoriaAdriatica” mentre in primopiano risalta il grande giardinoperfettamente recintato daquell´inferriata che é ancoraben visibile anche in questafoto. Un giardino appartenenteai terreni della stazione ferro-viaria di Brindisi Marittima. Non esisteva Via del mare, edal suo posto scorrevano appun-to i binari della Stazione. Ilgiardino aveva al suo internouna fontana con vasca circolaredi discrete dimensioni con unarocca al centro dalla quale zam-pillava un getto d´acqua. Ungiardino praticamente ubicatodi fronte a “li giardinetti”, conil Corso Garibaldi tra i due. Tornando al palazzo della foto,si tratta di Palazzo Titi, dalcognome della famiglia che neera proprietaria, ed il cui secon-do piano in bello stile Liberty

deve essere stato edificatoverso la fine degli anni ’20.Sul balcone centrale della fac-ciata che da su Corso Garibaldivi fu anche apposto lo scudo

greco durate i tanti anni in cuivi rimase insediato ilConsolato della Grecia.L´edificio a forna di rettangoloabbastanza allungato, occupava

tutto l´intero isolato, tra quellache successivamente dovevadiventare Via del mare ed arri-vando in fondo sulla Via DeFlagilla. Via del mare in effetti,

allineata con Via SanFrancesco, occupa una buonaparte di quello che fu il giardi-no descritto, mentre il restodello stesso giardino veso ilmare é occuopato dall´edificodella Stazione Marittima la cuicostruzione fu completata nel1940.Il Palazzo Titi peró sopravisseal giardino di parecchi anni,fino a quando, intorno ai primianni ’60, fu demolito per fareposto al grande edificio resi-denziale che tutt´ora esiste eche al pianterreno e piani rial-zati é occupato da locali com-merciali ed uffici vari.Anche le costruzioni che nellafotografia si intravedono esseredi fronte al Palazzo Titi,sull´altro marciapiedi del CorsoGaribaldi, non ci sono piú efurono anch´esse demolite percostruirvi altrettanti edifici, inquesto caso comunque si tratta-va di costruzioni relativamentemodeste e senza alcun pregioarchitettonico.

Palazzo Titi su Corso Garibaldi - 1950 circa

DOMENICA 6 MAGGIO 2012 15

GIOVEDÌ 10 MAGGIO 2012 21

Il cinema teatro Mazari, unacostruzione in stile Liberty pro-gettata dell'ingegnere

Tarchioni, fu inaugurato nel mag-gio del 1914, in Piazza del Popolo15. Spettacoli di varietà ed operet-te si alternarono con proiezionicinematografiche, sino al 1967,quando per il risanamento urbani-stico dell'area compresa tra piazzadel Popolo, piazza Anime, viaSanta Lucia e via San Sebastiano,la costruzione fu demolita. -www.brindisiweb.it-Questo recitava il biglietto da visi-ta del Mazari: posti di platea 500;posti di anfiteatro su due piani 150;posti in piedi 50.“...La prima cosa che colpiva lospettatore entrando nel Mazari, eral´odore, intenso odore di rosticce-ria. E non era una sensazione: apochi metri dal cinema infatti c’erala famosa pizzeria di Romanelli,dove tutti andavano a rifornirsi dipizzelle fritte che poi consumava-no durante la proiezione del film.A quei tempi il Mazari offriva unospettacolo nello spettacolo, nelsenso che spesso era più interes-sante e divertente quello che acca-deva nel cinema che non la pellico-la programmata. Ecco un episodiorealmente accaduto nel 1956. Siproiettava ‘i figli di nessuno’, unodei tanti lacrimevoli e fortunatifilms interpretati da AmedeoNazzari e Ivonne Sanson. Alle tredel pomeriggio la platea era gremi-ta di spettatori fermamente decisi a’succhiarsi’ il film tre o quattrovolte, a quel tempo si poteva. Inuna delle prime file c’era un vec-chietto dall´aria contadinesca, colmezzo toscano in bocca, a quel-tempo si poteva pure questo.Accanto a lui un ragazzone robu-

sto, decisamente intenzionato abattere il record personale di gas-sose e a tentare il primato mondia-le del rutto. Purtroppo, l’elementogassoso introdotto nell’organismodel giovane, non proveniva solodalla micidiale bevanda spumeg-giante, ma anche da una panta-gruelica razione di fagioli ingurgi-

tata due ore prima. Finchè è ilrutto, passi. Nei ruggenti anni ’50,era consuetudine normale e tollera-ta nei locali pubblici brindisini,esplodere in queste manifestazionidi liberazione oro-tracheale.’Liberazioni’ di altro genere nonsempre erano ben accette. Il giova-ne soffriva, si dimenava e si con-

torceva sulla sedia di compensato,la fronte imperlata di sudore.Finalmente l’occasione propizia:lo schermo proiettava la scena diun lungo treno merci che sferra-gliava rumorosamente nelle cam-pagne innevate. Il rumore eraassordante, certamente in grado dicoprirne altri. Ed il ragazo ne

approfittò per alleggerirsi, a breviintervalli regolari. Il treno si allon-tanava, cadeva un profondo silen-zio sul paesaggio ed il nostro spet-tatore tirò un respiro di sollievo. Ilvecchietto, rimasto impassibilefino a quel momento, si tolse ilsigaro dalla bocca e gli chiese avoce alta: ’scusa giovini, ma quid-du trenu ca è passatu, ccè scia cari-cu ti ‘mberda’? E non si può nonraccontare il fatto, che semprenegli anni ’50 vide protagonistaquel notissimo personaggio brindi-sino che era Virgilio Indini, Zio diPino Indini (Coco Lafungia). AlMazari si stava proiettando’Cesare e Cleopatra’ e mentre laregina d´Egitto accostava l´aspideal seno lasciando gli spettatori conil fiato sospeso, Virgilio lasciòandare una sonorosissima detona-zione che venne accentuata secca-mente dalla sedia di compensato. Ilcaso volle che, in quel precisoistante, la pellicola si interrompes-se e di conseguenza si accendesse-ro le luci in sala. Dopo un´oceani-ca risata generale, il pubblico dellaplatea tributò a quell’eccezionalecannonata un prolungatissimoapplauso. Virgilio, con quel sensodell´umorismo che lo caratterizza-va, ebbe la faccia tosta di alzarsi eringraziare con un inchino...” -dallibro Maria la brindisina e gli altri,del compianto Pino Indini-.

Page 46: Gianfranco Perri su Senzacolonne

SABATO 19 MAGGIO 2012

Questa foto, postata dalnostro solito e bravoamico d´oltremare

Nikos Desillas, é cosí bella ecosí suggestiva da sembrarequasi un quadro, nonostantei toni del bianconero e nono-stante l´abbondanza didettagli e di personaggiriprodotti tutti, nelleloro pose nei loro movi-menti e addirittura nelleloro espressioni, consorprendente realismo. La fotografia mostra unpaesaggio ormai defini-tivamente trascorso,certamente sconosciutoa tanti ragazzi giovani enon tanto giovani, eppu-re non cosí lontano neltempo.Un paesaggio assoluta-mente familiare, rima-sto di fatto quotidiano equasi immutato durantequella quarantina d´annia cavallo della secondaguerra mondiale, tra-scorsi tra la costruzionedel Monumento alMarinaio d´Italia nel1930 e la fine degli anni ’60,quando la spiaggia diSant´Apollinare chiuse persempre.Naturalmente quelle stessebarche a vela dei pescatoriavevano preceduto di moltis-

simo il sorgere delMonumento, solcando leacque del porto anche neisecoli precedenti, ed era

stato anteriore alMonumento anche il loroimpiego per trasportare ibagnanti sulle spiagge della

sponda opposta, tutte alli-neate subito a destra dopo ilpassaggio dal canalePigonati.

I brindisini e le brindisine,negli anni che seguironola fine della prima guerramondiale cominciaronoinfatti a a trascorrere almare le calde giornatedelle lunghe estati e lespiagge divennero ele-menti integranti del costu-me cittadino: Fiume pic-colo, La pineta, Piccololido, lido Gaudioso, lidoBrento, lido Risorgimentoe lido Cafiero erano inomi di altrettante spiag-ge tutte tra loro adiacenti,fino a quandoSant´Apollinare ne intególa maggior parte di esse inuna unica mitica e mera-vigliosa spiaggia, ancoravivissima nei ricordi diper lo meno tre generazio-ni di brindisini. ...Poi

giunse l´industrializzazione,e con essa l´inquinamentodelle acque del porto, e cosífurono chiuse le spiagge, sisradicarono le sciaie dellecozze e finalmente, ... scom-parvero anche le barche

Le barche a vela - 1960 circa

GIOVEDÌ 31 MAGGIO 2012 21

Una bella foto notturna diCorso Garibaldi,dall´angolo di Via

Rubini verso il mare, postatadall´amico Romeo Tepore, ilcui archivio fotografico costi-tuisce una miniera inesauribileper Brindisi e per i brindisini.Forse nell´intenzione del foto-grafo non c´era un particolareinteresse nel soggetto del GranCaffé Torino che é peró moltoben visibile sul primo pianosinistro della foto, con la suacaracteristica fila di tavolini sulmarciapiedi e con i suoi semprenumerosi avventori. Ma per ibrindisini non piú giovanissi-mi, ed appartenenti a di piúd´una generazione, invece, sonsicuro che sia proprio quel par-ticolare della foto che risvegliaricordi di un´epoca trascorsa inatmosfere certamente moltopiú provinciali delle attuali, maprobabilmente molto piú sere-ne.Nell´archivio di Brindisini lamia gente, di foto che raffigu-rano, sia centralmente che par-zialmente, il Gran Caffé Torinoce ne sono parecchie e quella dipiú antica data si riferisce al1918: il paesaggio urbano noné molto diverso da quello del1958 e la sola eccezione lafanno le automobili parcheg-giate sul marciapiedi di fronteal caffé, le quali nella foto del1918 non ci sono ed al loroposto ci sono invece le carroz-ze trainate dai cavalli. Ma

l´effetto grafico in veritá quasinon cambia e la differenza é,strano, abbastanza impercetti-bile.Poi ad un attento osservatore

della foto non sfuggirá l´inse-gna verticale a neon che é pre-sene sul lato destro e che,nonostante sia riprodotta informa speculare, racconta

ugualmente la parola”Alimentari“. Si tratta delnegozio conosciuto come “diAnelli”, credo il primo auto-mercato aperto a Brindisi.

Un´ultima curiositá, sulla sini-stra della foto, propriosull´angolo di Via Rubini súbi-to affianco al caffé, c´é l´inse-gna luminosta del casa editriceUTET, quella della famosaenciclopedia sulla quale abbia-mo in tanti fatto “le ricerche”,alle scuole elementari e allemedie. Ma per concludere ritorniamoal Gran Caffé Torino, definiti-vamente per tanti anniun´icona di Brindisi e dellasocietá brindisina: tantissimidei nostri padri e dei nostri zii enonni si sedevano ai suoi tavo-lini a prendere il caffé, leggereil giornale, commentare i fattisportivi politici e sociali, persvariate intere generazioni. Lemogli invece e i figlioletti enipotini, erano i protagonistiprincipali di quei tavolini soloalla domenica, al mattino edalla sera, a prendere il gelato, lacoppa di gelato, magari dopo lamessa.

i itá i d ll f t f i á l´i l t

Page 47: Gianfranco Perri su Senzacolonne

SABATO 9 GIUGNO 2012 21

Una bella foto postatadall´amico Nikos Desillas.Una foto molto bella del

Villaggio pescatori del Casale che,e per fortuna, potrebbe anche esse-re attuale, se non fosse per pochis-simi particolari: Il grande fascio lit-torio il cui bassorilievo risalta inbianco sulla facciata laterale delMonumento. I due fasci littori, unosu ognuno dei due lati delMonumento furono staccati edabbattuti dopo la caduta del gover-no fascista l´8 settembre del 1943 econ essi fu anche cancellata l´ulti-ma linea della targa commemorati-va, ancora appposta sulla facciataprincipale, e che recitava, “AnnoXII dell´era fascista - BenitoMussolini Duce”. E poi, la spiag-getta in sabbia sostituita dallo sci-volo in cemento per facilitare ladiscesa e la risalita in mare dellepesanti barche. Tutto qui, il restonon é piú cambiato da allora!Ma se l´amico Nikos ha postatoquesta foto offrendocela dalla suainesauribile colezione gelosamenteconservata in casa sua a Corfú,solamente uno sciabbicoto doccome l´amico Arcangelo Talientoci poteva raccontare del nome dellaspiaggetta in primo piano, “laspiaggia ti lu scangatu”, e sopratut-to del perché di quello stranonome: ...Si raccontava che quandoti facevi il bagno in quella spiag-getta, alle volte il piede poteva fini-re improvvisamente in qualcunodei tanti fossi presenti tra gli scoglidel fondale, e potevi anche fartimale. Dunque, il fondale non dove-va di certo essere molto regolare eper questo non era molto adatto aibambini, e neppure agli adulti.“Scangatu” sta appunto a significa-re, il fosso impietosamente lasciatoda un molare estratto.E adesso trascrivo qualche stralciodi una bella nota che sul Villaggiopescatori ci ha regalato il nostro

amico Enrico Sierra: ...Ricordo che una sera il mioamico Nzino che abitava alleSciabiche, guardando il Villaggiopescatori mi disse: ‘Enrí, la seraquando il Villaggio é illuminato, dacasa mia resto ore a guardarlo. Noncredi che somiglia ad un Presepe’...Dopo tanti anni, ma veramentetanti, sono tornato alle Sciabiche enon erano piú le stesse, ma ilVillaggio pescatori si vedeva anco-ra uguale e di sera le luci delle abi-tazioni mi fecero pensare alPresepe che vedeva Nzino. E allo-

ra, mi sono messo a fantasticare:Le barche dei pescatori fuori dalVillaggio, accoglieranno Giuseppee Maria che dopo un lungo viaggiosi fermeranno al Villaggio ed inuna di quelle barche nascerá ilBambinello. E tutti i pescatori e leloro famiglie canteranno ‘Tu scen-di dalle stelle’ mentre tutto intornola gente del posto ed anche quellavenuta dalla cittá daranno il benve-nuto a Gesú Bambino.Tutta la cittá era illuminata a festa,sulla parte destra luci e colori ovesi erge maestoso il Monumento al

Marinaio con la Madonna chedall´alto vigila sulla cittá e sui brin-disini, e sulla sinistra, dai giardinet-ti sino alle Sciabiche, tutte le abita-zioni illuminate a festa. I fuochid´artificio illuminavano il cielo etutte le case, mentre la gente corre-va per andare a trovare GesúBambino. Le luci illuminavano ilVillaggio e le barche, e in una diqueste barche c´erano Giuseppe eMaria ed il Bambinello, riscaldatodal Bue e dall´Asinello. Dal Casalescendevano ‘lu cani, lu iattu, li iad-dini, lu iaddu, tutto arzillo’. E tutti

i pescatori portavano doni e canta-vano. Una grande, meravigliosa,allegra festa. Su uno dei vaporetti, iTre Magi, Cosimo, Diamano eGhiatoru, portavano i doni alBambinello: olive, uva e pesce,tutti prodotti della nostra terra e delnostro mare. E mentre il vaporettocon i Tre Magi Brindisini si avvia-va al Villaggio guidato dalla StellaCometa, le barche piene di bambinigiovani, donne, nonne e nonni, por-tavano i loro doni a Gesú Bambino:‘stacchioddi, purpetti, cartiddati,purcidduzzi, friseddi, pizzelli, pet-tuli, vampasciuni, pani fattu a casa,e tanti frutti di mare, cozzi pilusi,cozzi neri, tiratufuli’ e tante altredelizie della nostra amata terra edel nostro mare.Oramai i Tre Magi erano arrivati alVillaggio, avevano posato i lorodoni vicino alla barca, culla delBambinello, ed insieme ai brindisi-ni cantavano e pregavano. Ed iopensavo anche a mio padre chediceva sempre che il Presepe vuoldire festa, gioia, vuol dire famigliaed amore. Finalmente, la notte calava sullacittá, le luci cominciavano a spe-gnersi ed io nel buio mi allontana-vo piano piano risalendo il lungomare. E tornando ricordavo connostalgia quella sera di molti annifa, quando Nzino mi disse: ‘Enrí, ilVillaggio pescatori non ti sembranu prisepio’. Sini Nzí, é vero, unvero Presepe, anzi il piú bello. Iltuo Presepe.

Villaggio Pescatori - 1939

GIOVEDÌ 14 GIUGNO 2012 17QUARTIERI

Appartengo molto pro-babilmente all´ultimagenerazione della glo-

riosa Palestra Galiano, ritrattadal suo esterno in questa fotodel 1934. Nel 1962 infatti,aprí le sue porte il nuovissi-mo Palazzetto dello sport delCasale (il 4 Novembre sidisputó la partita inauguraledella gloriosa LibertasBrindisi) e cosí, tutti i palla-canestristi brindisini ci trasfe-rimmo lí con giustificatoentusiamo e senza, perlomenonoi piú ragazzi allievi dellaFerrini del compianto e bra-vissimo maestro GinoMaiorana, renderci conto dellatrascendente pagina di storiabrindisina di gioventú e disport che stavamo chiudendo-ci alle spalle. La palestraGaliano, dov´é nato e cresciu-to il basket di Brindisi, dasempre e per sempre.Bella la palestra e bellissimol´ambiente. Alla Galiano, giánegli anni ‘50 c'erano oltremille spettatori ad assisterealle partite di basket all´aper-to, e si giocava anche sotto lapioggia: quando il pallonepalleggiando beccava la poz-zanghera lo si perdeva quasisempre. La gente assiepataovunque addirittura issata suicancelli per assistere alle par-tite dell´Adria, della Libertas,

dell´Assi, della Ferrini.Ma non si puó parlare dellapalestra Galiano senza parla-re di Spiditu Pennetta. Chiera? Chiese un amico allorché

Giancarlo Cafiero postó lafoto di quell´emblematico per-sonaggio brindisino. “...civorrebbe un'enciclopedia perraccontare Spiditu Pennetta”

gli rispose l´amico RobertoGuadalupi, e scrisse: “provo ariassumere. Ufficialmente erail custode della palestraGaliano, in realtà è stato uno

dei padri della pallacanestrobrindisina. Si inventava squa-dre, si inventava campionati,teneva la palestra aperta fino atardi la sera per far sosteneregli allenamenti, faceva gioca-re gli stessi giocatori, magarianche con documenti pocoiattendibili, in piú capionati.Certamente un grande per losport brindisino. Non ricordoa chi é intitolata oggi questapalestra, ma Spedito merite-rebbe in pieno questo titolo”. E poi tanti altri amici com-mentarono: “... quanti sicuta-ti culla scopa, quando si anda-va a pattinare fuori orario oquandu mbarcaumu lu paretipi pigghiari lu palloni candera cadutu intra allaGallianu... quando andavamoa fare educazione fisica nellapalestra, come si incazzava,ma era una bravissima perso-na... simpaticissimo e scher-zoso, sempre di battuta pron-ta e con lo sguardo vigile, lapalestra era il suo regno, citeneva che tutto fosse semprea posto...

di MARIALUISA GIULIANO

La Palestra Galiano - 193 4

Page 48: Gianfranco Perri su Senzacolonne

17GIOVEDÌ 21 GIUGNO 2012

Non è certo una foto bellaquesta, ma ha il merito dirappresentare qualcosa

che non c`è più: uno scorcio delleSciabiche, il quartiere dei pesca-tori brindisini demolito per interoin due ondate, nel 1930 e nel1959. Quella stradina al centro dellafoto, postata dall`amico e bravis-simo fotografo CosimoPrudentino nato e vissuto daragazzo alle Sciabiche, è l`iniziodella "Via Sciabiche", per gli abi-tanti del rione più conosciutacome "tret'a lu furnu". Una stradamolto lunga que partendo da lìscorreva parallela al mare che stasulla destra della foto, maall`interno, e quindi parallela-mente a via Tahon De Revel, finoall`attuale Largo Sciabiche, chesi chiamava in origine LargoSdrigoli, giusto dove cominciavia Lucio Scarano, che ne era unaspecie di continuazione e chetutt`ora conduce su in salita finoalla via Santa Aloy.E Cosimo Prudentino non è certoil solo dei nostri amici di“Brindisini la mia gente” che ènato alle Sciabiche, sono tantissi-mi.Ci racconta, Arcangelo Taliento: “...allu purtoni crandi abbitava lafamiglia Gorgoni: Micheli,Ferrucciu, Nzinu e tanti altri. Sulmarciapiede, dietro il lampione,si vede la fontana che a noi, allo-ra ragazzini, serviva come docciadopo le nuotate ed alle mammeper fare provvista di acqua.Quante litigate tra donne per ilturno: stava prima iu, nò tocca ammei, mò ti fazzu viteri iu, ma

viti questa c'è bbedda...”. L'uomo a sinistra si dirige in ViaPompeo Azzolino perpendicolarealla via Sciabiche e che non sivede nella foto, ma che è ancoralì, perlomeno in parte.La Via Pompeo Azzolino è infat-ti quella viuzza cieca parallela aVia Montenegro e che sbuca suViale Regina Margherita dal

quale é ancora possibile indovi-nare l´arco che porta in fondo allavia, é l´ultimo e quindi unicotestimone ancora in piedi di quelquartiere. Un testimone purttrop-po ridotto in pessime condizionied in pericolo di crollo tra l´incu-ria e l´indifferenza della cittá.“Pompeo Azzollino, vissuto nelXV secolo, fu un grande e valo-

roso condottiero brindisino.Ferdinando D´Aragona, stiman-dolo molto per le sue virtù milita-ri e per la fedeltà che dimostravaverso la casa regnante, gli avevaaffidato il governo della cittá. Fuun uomo che compì molte impre-se tra le quali da ricordare quelladel 1481 quando, insieme con isuoi uomini, liberò Otranto dai

turchi. Poi l´anno seguente scon-fisse in battaglia aperta il coman-dante veneziano GiacomoMarcello facendolo desistere dalrioccupare Brindisi. Ferdinandod´Aragona fu assai grato aPompeo Azzolino della vittoriariportata contro i turchi e volleper questo eternare la sua memo-ria con un´iscrizione che feceincidere sopra una tavola dimarmo collocata sulla facciatadella casa di Azzolino situata nelrione Sciabiche.” [Le perle diBrindisi. Personaggi illustri brin-disini - Franca Perrone e AngelaGiosa, 2008].E proprio in Via PompeoAzzolino è nato Arcangelo: “Ilprofumo delle reti si propagavaper tutto il rione. Quando le retivenivano raccolte noi, a queitempi ragazzini, potevamo fareesercizi ginnici sui cavalletti,come se fossero delle parallele.Quale palestra disponeva di tantinaturali attrezzi: le parallele (icavalletti), la piscina più cheolimpica (il mare), le piattaformeper i tuffi (le prue dei motope-scherecci e la banchina). Pensateche quando decidevo di farmiuna nuotata incominciavo a cor-rere da Via Montenegro e taleera la rincorsa, che potete benimmaginare dove arrivavo con iltuffo, quindi: Casale e ritorno”.

Via Sciabiche

Questa foto è bella edeccezionale, é datata1903, non l´avevamo

vista prima che fosse postatadall´amico Andrea Nicolau,che la pescó “nell'immensomare del web” e che chiesescusa in anticipo nel casostesse violando qualchecopyright.In realtá l´eccezionalitá nonsta certo nel soggetto, lanostra famosa Porta Leccevista da fuori le mura, quan-to nella data, nella qualitá esopratutto, nel testimoniochiarissimo dello storicoaspetto che quell´area ebbe econservó per tantissimi anni,prima che la voracitá, l´incu-ria e l´ignoranza dei respon-sabili della cosa pubblicabrindisina permettessero ilsuo sconvolgimento, la suadeturpazione e, per poco, lasua scomparsa. Quelle costruzioni posticceche si intravedono erano lebotteghe dei falegnami del-l'arte grossa, o dei maestrid´ascia che costruivano “litravini” e li aggiustavano,qualcuno di loro é rimastoattivo sino ai primi anni 60.... Certamente vedere le muralibere e non coperte dacostruzioni è tutt'altra cosa, éla prima volta che vedo lemura di Porta Lecce libere,se potessero tornare così...Questo uno dei tanti com-

menti che accompagnaronola pubblicazione di questafoto sullas bacheca fb delgruppo.Porta Lecce, una tra le piúimportanti della cittá, ...fu

costruita nel 1464 su ordinedi Ferdinando d'Aragona epotenziata nel 1530 da CarloV, che vi fece aggiungere ilproprio stemma sul corona-mento dell'arco, insieme a

quelli del suo architetto mili-tare Ferdinando Alarcon equello della città di Brindisi.L'ingresso alla città era dife-so dalle mura su entrambi ilati che avanzavano rispetto

alla porta, in maniera dacreare uno spazio di prote-zione di grande efficacia. Suentrambi i lati all'interno deltunnel d'ingresso sorgevanoambienti utilizzati per esi-genze militari e difensive...[www.brindisiweb.it]. Le mura, che nella foto siosservano ai due lati dellaporta, appartenevano al com-plesso murario difensivoche, nella sua massima esten-sione e senza soluzione dicontuinuitá, partiva dalCastello Svevo con iBastioni San Giorgio, passa-va per Porta Mesagne e pro-seguiva con i Bastioni SanCarlo, poi dopo un giro dicirca 90° continuava con iBastioni San Giacomo finoappunto raggiungere PortaLecce e proseguire ancora,con i Bastioni di Porta Lecce,seguendo la tracciadell´attuale Via del Mare finoa raggiungere il suo estremosul mare all´altezza di ViaMattonelle, racchiudendocosí l´intera cittá in un formi-dabile recinto protettivo datutto il suo retroterra.

Porta Lecce - 1903

VENERDÌ 29 GIUGNO 2012

- 1958

Page 49: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Qualche osservatoreappena un pó attento,riconoscerá le stranez-

ze di questa foto del nostroglorioso Monumento. Si trattadi una foto che riposa negliarchivi dell´Ufficio Storicodella Marina Militare e rap-presenta il progettodell´arqchietto Luigi Brunatiche fu mandato in cantiere eche durante il corso dei lavorisubí qualche leggera modifi-ca, sicché quello finalmenterealizzato e che noi possiamotutt´ora contemplare é un pódiverso in certi dettagli daquello della foto. Le due statue che nella fototroneggiano ai due lati furonosostituite da due cannoni chedurante la prima guerra mon-diale erano appartenuti a naviaustriache. I tre fasci littoriche in bassorilievo eranoapposti aldisopra della targacommemorativa furono sosti-tuiti da due fasci molto piúgrandi apposti in bassorilievosulle due pareti laterali e suc-cessivamente rimossi. Ma la modifica certamentepiú rilevante é quella che siriferisce agli aspetti strutturalidell´opera: la banchina anti-stante il piazzale era nel pro-getto pronuciatamente conca-va con una scalinataanch´essa curva che dovevacoprire il dislivello dal piaz-zale al mare il quale in questomodo si avvicinava suggesti-vamente alla base del

Monumento. Fu proprio talevicinanza ritenuta eccessivache suggerí il cambio,ampliando di molto il piazza-le e ritirando in conseguenzail mare dalle fondazioni del

Monumento che sarebberopotute essere col tempo dan-neggiate dalla vicinanzadell´acqua.Comunque tutte le modifichedescritte non sconvolsero

l´essenza dell´opera diBrunati il cui progetto avevavinto il concorso tra moltissi-mi, 92 per l´esattezza, parteci-panti alla gara che era stataindetta.

A complemento di quantocommentato, sulla scheda diwww.brindisiweb.it dedicataal Monumento, si puó legge-re: Il 4 novembre del 1933 ilmonumento fu inaugurato conuna grande manifestazionealla presenza del re VittorioEmanuele III. Il 18 dicembredel 1955, nell'ampia nicchiaquasi in cima al monumento,fu posta una statua dellaMadonna del peso di 10 ton-nellate. Il 18 luglio 1965 ilministro della difesa GiulioAndreotti inauguró l´ara voti-va realizzata nel piazzaleinferiore, accendendone quel-la che doveva essere la “fiam-ma perenne”. Durante la ceri-monia vennero inoltre scoper-te le lapidi dedicate ai Cadutidella Marina Militare nellaseconda guerra mondiale. Nel1968 durante i lavori di dra-gaggio dell´avanporto furecuperata la campana dellacorazzata “Benedetto Brin”,affondata nel porto di Brindisinel 1915 in seguito all´esplo-sione della santrabarbara dibordo, e fu collocata all'inter-no del Sacrario delMonumento, nella suggestiva

Il Monumento Nazionale al Marinaio D’Italia - 1933

GIOVEDÌ 5 LUGLIO 2012 13GIRO TURISTICO

GIOVEDÌ 12 LUGLIO 2012 15CRONACA

Di questa bella foto panora-mica dei Fratelli Alinari,scattata dando le spalle al

nostro Castello di terra, ci aveva-no incuriosito molto le quattro ocinque casette, o baracche o cabi-ne, che sono in primo piano asinistra, sulla riva adiacente allabanchina delle Sciabiche, giustotra quel quartiere ed il castello. Del resto su un´altra foto ancorpiú panoramica e contemporaneadi questa, di quelle casette abbia-mo potuto contarne una quindici-na, tutte uguali ed allineate, comeposte a formare un treno. Ma di treni i quel luogo non nesono mai transitati. E allora? Chesi tratti di baracche per pescatori?Forse, ...ma no: sono cabine bal-neari e quella sul primo pianodella fotografia era infatti laspiaggia dei brindisini nei pri-missimi anni del 900. Una prova? Quelle cabine sonoidentiche a quelle visibili innumerose fotografie degli anniventi scattate sulle spiagge fuoridal porto interno, quelle situateimmediatamente a destra uscen-do dal Canale Pigonati: LidoGaudioso, Lido Cafiero, LidoRisorgimento, Lido Piccolo,Lido Pineta, tutte in fila e adia-centi tra di esse, fino a quandotutte meno La Pineta, si integra-rono nella bellissima e famosissi-ma Santa Pulinara.Ci dice Arcangelo Taliento:...queste cabine, raccontava miamadre che ha fatto i bagni nellaspiaggia della foto, avevano al

centro un´apertura sufficiente perrendere agevole la discesa delledonne in mare, e poter fare ilbagno lontane da occhi indiscre-ti: a quei tempi infatti, capitavache gli uomini le guardassero conocchi languidi e fissi, finendo

spesso col provocare con cióbotte da orbi distrubuite dai sem-pre numerosi fratelli alla malca-pitata guardata con insistenza...Quindi in origine le prime spiag-ge brindisine stavano nel portointerno, nel suo incontaminato

seno di ponente appunto, e solosuccessivamente passarono alporto medio, fuori dal CanalePigonati, Il Castello di terra, che dal 1814 efino ai primi anni del 900 erastato adibito a bagno penale, nel

1910 passó sotto la giurisdizionedella Marina Militare, che benpresto requisí la spiaggia dellafoto e, con l´approssimarsi dellaguerra, in quello stesso luogo vistabilí la stazione torpediniere.Fu cosí che le spiagge dei brindi-sini subirono il loro primo esodo,dal porto interno a quello medio. Aggiunge Arcangelo: ...infattiproprio quella zona divenne basenavale, dando involontariamenteuna spinta all'economia dei bar-caioli che incrementarono il lorolavoro che fino a quel momentoera stato limitato ai soli due tra-gitti "Banchina Montenegro-Pontile Santa Maria del Casale" e"Banchina Sciabiche-SpiaggiaLu scangatu" (villaggio pescato-ri) e viceversa.Ma poi la storia per le spiaggebrindisine si doveva ripetere, unnuovo e ben piú sofferto esodotra la fine degli anni ´60 ed iprimi anni ´70: dal porto, ormaiirrimediabilmente inquinato dallapetrolchimica, a fuori porto. Equesta volta anche per i barcaiolifu la fine di tutta un´epoca.Dapprima furono le esigenze“della difesa militare”, poi furo-no le esigenze dello “sviluppoindustriale”: un destino decisa-mente sfortunato, e ...triste!

La spiaggia di Brindisi nel primo Novecento - 1906

Page 50: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Non so se anche amolti altri questafoto fará lo stesso

effetto, ma a me quandol´ho vista per la prima voltasullo schermo di Brindisinila mia gente, é sembrata unquadro: la maestuosa palmain primo piano, la bellissimavela e la boa posate sul maredileziosamente placido, epoi Brindisi sullo sfondo maal contempo dominante lascena, con in prima fila lavecchia stazione marittima,piccola ma molto funziona-le, con sul molo barche avela treno merci e scalettadel Lloyd Triestino inclusi.Viene quasi naturale osser-vare che oggi quella palma,con tutta la folta vegetazio-ne che come si puó osserva-re dalla foto la circondava,certamente non esiste piú.Probabilmente dal momentoin cui dovette irrimediabil-mente lasciare il suo postoal capannone industrialedella Montecatini, edificatointorno ai primissimi anni´60, quelli della grandesvoltá per l´economia brin-disina: la svolta ci fú, maahimé si doveva poi rivelarealquanto poco fortunata perla cittá ed i suoi abitanti.Poi, un pó piú dietro nellafoto, si possono notare chia-

ramente i lussureggianti¨Giardinetti¨ e quindi ilnuovo palazzo dellaDogana, la cui costruzionefu completata nel 1905.

La stazione marittima oStazione Porto come fudenominata originalmente,invece era stata costruitapoco prima, nel 1902 sotto

l´impulso del traffico inter-nazionle generato dal presti-gioso scalo della societáinglese Peninsular &Oriental Co, con la famosa

Valigia delle Indie.Si tratta probabilmente diuna delle ultime fotografiedi quella stazione marittima,giá che da lí a poco sarebbestata sostituita da una nuovastruttura, che é poi quellache ancor oggi tutti cono-sciamo e che fu costruita edinaugurata nel 1940: quelladella foto rimase in funzio-manento per quasi 40 anni einvece quella attuale ha giáda tempo compito i 70 e nonse ne parla di una nuova:certamente un é un buonsegnale.E finalmente, ancora piúdietro si intravedono nellafoto, a sinistra la cupolaottogonale della chiesa dellaPietá e a destra l´imponentemole della Cattedrale, lachiesa Madre, con il suocampanile molto ben visibi-le , e poi subito a destra,probabilmente, il campaniledella chiesa di Santa Teresa,o forse della Chiesa di SanPaolo, ma francamente nonne sono certo.

La vecchia stazione marittima - 1938

GIOVEDÌ 19 LUGLIO 2012 17CRONACA

Quello riprodotto dallafoto é un quadro, si unquadro inaspettato in un

posto assolutamente ed ancorpìu inaspettato: Il lobbydell`Hotel Wellington diMadrid. Il titolo del quadro:¨Faro e Porto di Brindisi¨.L`autore del quadro, un bravoartista spagnolo di Valencia:¨Calo Carratalà López¨. Questobel quadro, un´acquarella mono-cromatica di 106 cm x 146 cm,è stato premiato dallaFondazione Wellington nellamostra dell`anno 2004. Bello,suggestivo ed emozionante,. . .a tanti chilometri da casa!Ero alla reception dell`HotelWellington, nella Calle deVelazquez in piena Madrid,registrandomi, quando scorgoil quadro: . . .ma quello è un faro!. . .ma quello è il faro dellePedagne .. .Mi avvicino tratte-nendo il respiro e leggo la pic-cola leggenda affianco al qua-dro: ¨Faro e Porto di Brindisi¨-Calo Carratalà 2004.Veramente suggestivo ed asso-lutamente inaspettato, emozio-nante!Chiedo informazioni e miindrizzano all`ufficio dellaFondazione Wellington alprimo piano: una signoramolto gentile ascolta conattenzione e quasi incredula,. . .che io sono di Brindisi e checonosco benissimo quelfaro.. . , gli invio una bella fotodel nostro faro via mail e, dopopoco più di un mese mi giungeper posta una bellissima ripro-duzione che ho quindi scanne-

rizzato, la foto che avevo scat-tato non era riporoducibile per-chè aveva molti riflessi per viadel vetro che ricopre il quadroper proteggerlo.Le Pedagne sono un gruppo di

sei isolette che si trovanoall´entrata del porto diBrindisi: la piú grande é quelladi San Andrea nel porto mediodove cé il Forte a Mare, le piùesterne sono Pedagna Grande,

Giorgio Treviso, Monacello,La Chiesa, e Traversa che éappunto quella del faro.Il faro fu progettato nel 1834 efu eretto su un basamento circo-lare nel 1859. La portata del

suo fascio di luce è di circa 13miglia nautiche. Cominciò afunzionare a partire dal 1° feb-braio del 1861, consentendo ainaviganti di identificare facil-mente l’imboccatura del porto equindi evitare possibili colli-sioni con gli altri quattro iso-lotti presenti nella zona, oltre adue semisommersi.Si tratta di un faro di V° ordineche, situato in Lat.: 40° 39.4 ′Ne Long.: 17° 59.4′E, é attual-mente ancora in funzione comefanale rosso e che negli annidel contrabbando incontrastatoserví anche da deposito di siga-rette. Nel passato non tanto remotoera custodito da tre fanalisti chesi avvicendavano tra loro, inte-ressandosi anche della manu-tenzione. La sua torre bianca sorge al disopra della casa cilindrica disa-bitata, dove sono ancora pre-senti gli alloggi dei guardianicon cinque stanze e due cucine,oggi in completo degrado.Un´ultima curiositá: il pilotadel porto imbarca immediata-mente al di fuori della congiun-gente Punta Riso-Faro IsolePedagne.

Il faro delle Pedagne - 1859

GIOVEDÌ 26 LUGLIO 2012 41CINETURISMO

Page 51: Gianfranco Perri su Senzacolonne

MERCOLEDÌ 8 AGOSTO 2012 23IL BOOM

Bella, ma certamente tristefotografia.

Bella, anche per l´indubbia quali-tá tecnica ed artística conferitaglidal nostro amico e bravissimofotografo Cosimo Prudentino chela scattó verso la fine del 1955,“...allora ero apprendista fotogra-fo presso lo studio fotograficoSavarese. Una panoramica realiz-zata con due immagini e poi mon-tata, in mancanza di ottiche gran-dangolari. La foto originale é inbianco e nero, poi colorata da merecentemente con il computer.Faceva parte di una serie di rilie-vi fotografici per studiare il puntodove costruire il palazzodell'INPS. Il resto della serie,forse, giace negli archividell'INPS. La stessa foto fu modi-ficata, qualche tempo fá con uncielo nuvoloso, per un calenda-rio...”Triste, perché ci ricorda inevita-bilmente l´abbattimento dellabella torre settecentesca dell´oro-logio che domina sull´estremosinistro della foto: certamente unadelle sue ultime fotografie, vistoche “...fu il 13 febbraio del 1956quando il piccone demolitorecominció ad affondare i suoi colpisulla cupoletta a fastigio dellatorre, provocando nei cittadinistupore e sdegno per tanto delitto,di cui presto o tardi si risponde altribunale della Storia. Se un pód´amore per le cose della cittá,degne di essere conservate, aves-se albergato nel cuore di quanti nedecretarono la morte, la torredell´orologio, oggi, starebbe inpiedi...” [Alberto Del Sordo-¨Vecchia Brindisi. Tra cronaca e

storia¨-1978].Ma chi furono i responsabili?Certo piú d´uno! Ma chi eraSindaco a Brindisi quel 13 feb-braio 1956? Il Sindaco Francesco Lazzaromorí verso la fine del 1955 men-

tre era ancora in carica, fu un sin-daco molto rispettato, tanto che alsuo funerale partecipó tutta lacittá nonostante piovesse a dirot-to. Antonio Di Giulio fu nomina-to sindaco il 3 marzo 1956 restan-do in carica solo pochi mesi,

essendo succeduto da ManglioPoto nello stesso anno 1956. Quindi tra la morte di Lazzaro ela nomina formale di Di Giulio cifu un sindaco supplente (lo stessoDi Giulio?). E comunque ovvia-mente, la delibera dell´abbatti-

mento era stata approvata moltoprima e, sembra, con l´unanimitádei presenti. Certo é che in consi-glio comunale in pochissimi siopposero alla delibera presadall´amministrazione di sinistra(e sta volta sarebbe proprio ilcaso di dire “sinistra amministra-zione”) di Lazzaro. Eppure sarebbero bastate solo unpoco di inteligenza e di buonavolontá per averla lasciato inpiedi nonostante la costruzionedell´edificio della sede INPS:quell´angolo su Via Rubini nonera certo indispensabile che fosseintegrato al nuovo edificio!Certo é che, per tornare alla bellafoto di Cosimo Prudentino, tuttoció che in essa vi é ritratto, traPiazza Sedile a sinistra e PiazzaVittoria a destra, non esiste piú.Infatti sull´estremo destro dellafoto si puó anche riconoscere ilbel palazzo della vecchia sede delBanco di Napoli che, inauguratodal Re Vittorio Emanuele III il 22novembre 1931, fu ingenerosa-mente abbattuto per fare posto aquelo della nuova “piú funziona-le” sede inaugurata il 31 luglio1972.

Tra piazza Sedile e piazza Vittoria - 1955

La fotogarfia certo non étra le piú belle, né tra lepiú tecnicamente valide

fra quelle migliaia giá pubbli-cate su Brindisini la miagente, e peró mi é sembratointeressante commentare ilsoggetto: quel palazzo stra-no, e ormai sconosciuto aquasi tutti noi brindisini con-temporanei, che appare inprimo piano sul lato destrodella foto.La foto, scattata dalla PiazzaCrispi con le spalle allaStazione ferroviaria, mostral´inizio di Corso Umberto I°raggiungendo con l´obiettivoanche l´inconfondibile siluet-ta del glorioso Teatro Verdi. Un palazzo sconosciuto per-ché da svariati decenni inesi-stente in quanto abbattuto nel1931, anno in cui fu demolitoper far posto alla casa dellaGIL, che a sua volta fu distrut-tra dai bombardamenti degliaerei inglesi nella notte tra il7 e l´8 novembre 1941. Poi inquel lotto di terreno fu costrui-to nel 1954 l´Hotel Jolly, poiMajestic ed oggi PalazzoVirgilio.Quello strano palazzo erarimasto in piedi per ben 66anni, dopo essere statocostruito nel 1865 da OronzoCappelli, con quel nome unfaccendiere probabilmentenon brindisino, che lo avevaappoggiato sullo zoccolo delcinquecentesco Torrione diSan Giorgio, innecessaria-mente (ancora una volta!!!)

abbatuto per fare spazio allastazione ferroviaria, la cuistruttura peró non é che infatticoincidesse topograficamenteproprio con quella del torrio-ne. Mah!

Ma perché un palazzo strano?.. .Ma per il suo nome! “Dellamorte” . . .e perché mai?Ebbene strano, non solo per ilterrore che incuteva la sualucubre struttura e sopratutto

il sui lucubri interni, quantoper la diffusa credenza che inesso soggiornassero spiritimaligni che di notte vagava-no sotto gli archi delle suestrette finestre [Vecchia

Brindisi - Alberto Del Sordo -1978]. Certo é che il palazzo, conce-pito e costruito con logicaspeculativa, rimase parecchianni disabitato perché le suelabirintee forme architettoni-che incuterono disagio tra lapopolazione, compostocom´era da camere senz´aria,senza luce, senza cucine esenza bagni.Poi peró, come succede dasempre, la necessitá cedettealla speculazione ed il lucubrepalazzo fu per anni adibito aprivate abitazioni e vergo-gnosamente mantenuto inpidedi, nonostante fosse ubi-cato immediatamente agliocchi di quanti viaggiatorigiungevano a Brindisi per fer-rovia da ogni parte d´Itala edel mondo.Da un anonimo cronista degliinizi del ´900: “.. . una veraindecenza, anzi una vergo-gnosissima indecenza, quantomeglio sarebbe stato che ilpregiudizio avesse continuatoad allontanare gli abitatori ecosí forse sarebbe stata prestopresa la decisione di demolir-lo, senza tanti indugi”.

Il palazzo della morte - 1922

GIOVEDÌ 9 AGOSTO 201210 AUTO PIRATA

Page 52: Gianfranco Perri su Senzacolonne

GIOVEDÌ 23 AGOSTO 2012 15CRONACANon poteva che essere di NikosDesillas, il nostro fedelissimoamico d`oltre mare, questa ori-ginale fotografia della chiesa diSanta Maria del Casale.E l`originalità, che è al contem-po bellezza della foto, la costi-tuiscono l`ambiente assoluta-mente campestre e sopratutto levigne in primissimo piano, cosìprepotentemente invadenti chequasi tolgono la scena al magni-fico ed imponente monumentodella chiesa quattrocentesca,dove la tradizione storica vuoleche si celebrò nel 1310 l`iniquoprocesso contro tutti i Templaridel Regno di Napoli ....Il famoso processo infatti, fucelebrato a Brindisi, dovedovette essere trasferito tuttol’apparato della “Giustizia”.Probabilmente la scelta di talesede é segno che Brindisi dove-va rappresentare, nel Regno, illuogo di maggiore attivitá e dimaggiore frequenza di queiCavalieri, come del resto lodimostrano numerose altrecisrcostanze.I Templari a Brindisi precedette-ro i Gerosolimitani e la loropresenza ed attivitá é accertatacome anteriore all´anno 1244.Tra l´altro edificarono le chiese,a pianta circolare come tuttequelle dei Templari, di SanGiovanni al Sepolcro nel cuoredella cittá e di Gallico fuori lemura, verso gli ultimi anni del1100.Che il processo fu celebrato inS. Maria del Casale, non signifi-ca necessariamente che lo fudentro la attuale Chiesa (chenon esisteva in quanto edificatanel 1322 da Caterina di Valois

Principessa di Taranto, incorpo-randovi nell´interno un´anticaCappella), ma piuttosto in qual-che convento o edificio adiacen-te che dal titolo della Cappellaprendeva nome.

Quanto alla circostanza che perla celebrazione dell´infame pro-cesso fosse stato scelto un luogosolitario in aperta campagna, ciósi spiegherebbe col fatto che sitrattava di un “processo” (?)

che, per le assurde cose che sisarebbero dette e per le palesiingiustizie di procedura e disostanza che si sarebbero consu-mate, sembró piú opportuno agliorganizzartori (Carlo II

D´Angió Re di Napoli e suocugino Filippo il Bello Re diFrancia) di tenere il piú lontanopossibile da occhi che vedesseroe da orecchie che ascoltassero.Furono architettati ben 127 capidelle accuse piú assurde e con lepiú evidenti calunnie, fattesostenere da falsi testimoniprezzolati, nonché con preteseconfessioni estorte con la tortu-ra. L´autoritá papale del deboleClemente V non ebbe energiasufficiente per infrenare e tenertesta a tanta ignomia. GliArcivescovi di Brindisi e diBenevento, che erano stati offi-ciati tra i giudici, solo trovaronola forza di rifiutarsi di interveni-re al processo.Gli inquisitori si insediarono aBrindisi in S. Maria del Casaleil giorno 15 maggio 1310 e pro-cedettero alla sentenza controgli indifesi Templari, detenuti etorturati nel Castello di Barletta,impediti di prendere parte alprocesso che si svolgeva a loroinsaputa. Gli imputati furonocondannati, i beni incamerati etutto l´ordine dovette essere benpresto soppresso...[La mia sintesi dal libro ¨200pagine di storia brindisina¨ diGiuseppe Roma, EdizioniBrindisine, 1968.]

Santa Maria del Casale - 1951

DOMENICA 2 SETTEMBRE 2012

Una fotografia storica edabbastanza famosa,postata da Cosimo

Guercia ed appartenente allacolezione della Valigia delleIndie, con la seguente didasca-lia completa: “Aereo austriacoHansa-Brandemburg W.13 cat-turato a Brindisi nel giugno del1918”.La fotografia è interessanteanche perchè ci riproduce unoscorcio abbastanza cambiatodel lungomare brindisino tra lascalinata colonne, non ancoraallargata, e l`inizo del rioneSciabiche.L`insegna scritta direttamentesul muro del fabbricato che faangolo con la scalinata, recitasu due linee: “Sartoria F.Vallone”, poi una terza lineanon leggibile e finalmente laquarta “R. Marina” dove la R.sta per Regia.Il fabbricato dell`insegna fudemolito intorno al 1927 perfare spazio all`allargamentodella scalinata. Era invece giàal suo posto il bel palazzo cheera del Lloyd Austriaco, oggisede della società del gas.E non c`è più neanche il palaz-zo al fondo della foto, che difatto sbarrava il lungomareall`altezza di via Montenegro,quel palazzotto fu anch`essodemolito intorno allo stesso1927, segnando con la suademolizione, l`inizio del pro-cesso di sventramento delleSciabiche, poi consumato indue grandi ondate, nel 1934-36e nel 1959.L'Hansa-Brandenburg W.13 era

un idrovolante bombardieresviluppato in Germania nel1917 e utilizzato dalla marinaaustro-ungarica durante laprima guerra mondiale, l`equi-paggio era costituito dal pilota

e da un mitragliere. Il prototipoera stato offerto alla marinaimperiale tedesca che lo respin-se e fu poi accettato dalla mari-na austro-ungarica, che operavada basi sull`Adriatico durante

la campagna italiana. A queltempo gli aerei appartenevanoagli eserciti e gli idrovolantialle marine, non esisteva anco-ra l`arma aeronautica.Anche il gloroso idroscalo di

Brindisi apparteneva alla mari-na militare quando nel 1916nacque formalmente per megliocontrastare l'aviazione austria-ca di base a Durazzo, l`attualeDubrovnik. Sorgeva in localitàCosta Guacina, appena fuoridal porto interno, uscendo dalporto sul lato sinistro del cana-le Pigonati, su un´area costieracompresa tra Posillipo eFontanelle.Quel bellissimo specchiod´acqua, dalle condizioni natu-rali invidiabili, fu la pista dallaquale fin dal 1914, quando eraancora una semplice stazionedi idrovolanti, si levavano involo gli idrovolanti della squa-driglia guidata da OrazioPierozzi, eroico aviatore dece-duto in volo di addestramenteonel 1919 dopo aver guidatoinnumerevoli azioni di guerravittoriose. Soprannominatol´asso del mare, a lui dopo lasua tragica morte fu intitolatol´idroscalo e poi l`intero aero-porto militare fino alla suadismissione, avvenuta formal-mente nel 2008 quando l’aero-porto di Brindisi perse lo statusdi scalo militare aperto al traffi-co civile ed acquisitò la sempli-ce denominazione di aeroportocivile.

Aereo austriaco catturato- 1918

Page 53: Gianfranco Perri su Senzacolonne

GIOVEDÌ 13 SETTEMBRE 2012 15

Si, anche a Brindisi c`eraPiazza Castello e natural-mente era antistante al

castello, quello di terra, anchepiù comunemente conosciutocome Castello Svevo. Tale denominazione di PiazzaCastello è infatti già chiara-mente indicata sul piano rego-latore della città del 1883 ecomprendeva tutta una estesaarea piana intorno al castello,delimitata su tre lati pressoc-chè ortogonali dalle direttricidi quelle che dovevano diven-tare via Indipendenza, ViaCastello e Via Cittadella. In realtà quella grande esten-sione piatta e vuota era più chealtro una piazza d`armi, ed ineffetti così fu anche denomina-ta durante alcuni anni a partireda quando nel 1909 il castello,che fino ad allora era stato adi-bito a bagno penale della città,passò alla marina militare.Fu a seguito di tale assegnazio-ne che in quell`area si edificòa ridosso della prima guerramondiale quell`imponentepalazzo ben visibile nella fotodestinato a usi militari, occupa-to da uffici e dipendenze variedel comando della marinamilitare e quindi per questodetto anchedell`Ammiragliato.La Piazza Castello della foto èsolo una parte dell`estensioneoriginale: quella porzione ret-tangolare recintata e delimitataappunto dalla facciata delpalazzo dell`Ammiragliato equindi dalla parallela via

Indipendenza, quella stradache oggi si denomina vialedella Libertà. Gli altri due latidella piazza erano in primopiano nella foto l`attuale vialedei Mille e quindi sul lato

opposto via Castello.Quell`altro settore dell`esten-sione originale della piazza chenella foto rimane dietro alpalazzo dell`Ammiragliato, erainvece divenuto la Caserma

Ederle, un rettangolo ancoraoggi esistente tra via Castello,via Cittadella, viale dei Mille equella strada che dovevadiventare il prolungamento divia Rodi.

Per completare la descrizionedella foto, subito in primissimopiano in basso il ponte, che erastato levatoio, di ingresso alcastello con ben visibile unpezzo arcato del muro che erastato del fossato, quindi il bloc-co tozzo del corpo di guardia esulla sinistra della foto partedella palazzina del circolo uffi-ciali e collegata residenzadell`ammiraglio, quella stessaresidenza in cui doveva allog-giare il Re Vittorio EmanueleIII con la sua famiglia durantequei quattro mesi che seguiro-no all`8 settembre 1943, in cuiBrindisi fu capitale d`Italia inquanto sede del regio governo. Con la fine della seconda guer-ra mondiale poi, tutto l´edificiodell`Ammiragliato fu “tempo-ralmente” destinato a civiliabitazioni ed occupato da tantefamiglie di sfollati. Una tem-poralitá che duró quasivent´anni, fino alla definitivachiusura e successiva demoli-zione. Durante quei lunghi vent`annila sua denominazione popolarefu “Lu Prisidiu” ed oggi, alposto di quella piazza e dellostesso palazzo di “Lu Prisidiu”c´é la scuola media Salvemini.

Piazza Castello - 1930

SABATO 8 SETTEMBRE 2012

Chissà quando e perchèfu deciso di togliere ilbusto di Giuseppe

Garibaldi dall`aiuola di Piazzadel Popolo e sostituirlo con ilmolto più vistoso bronzo diAugusto, il primo imperatoreromano. Non è che l`ìmperatore non nefosse altrettanto degno, anzi! Esi racconta anche infatti, cheAugusto si trovasse proprio intransito a Brindisi quando loraggiunse la buona nuova dellasua nomina a imperatore.Ma il punto, che è ormai quasiun`intriga, è ancora una voltascoprire il perchè di questaapparentemente molto radicatasmania brindisina di voler adogni occasione “togliere” e “sostituire”... Ma non sarebbeforse stato molto meglio se lasmania fosse stata “mantene-re”, “migliorare” e sopratutto“aggiungere”!Se così fosse stato, magarianche solo negli ultimi 150anni, diciamo da quando nac-que il moderno stato italianoproprio grazie a quell`intrepitodel busto in questione, allora aBrindisi ci starebbero ancora:...la torre dell`orologio, il teatroVerdi, il parco della rimenbran-za, le Sciabiche, I Bastioni, ilpalazzo liberty del banco diNapoli e quello Titi giù sulcorso all`angolo con via del

mare, la fontanella dei giardi-netti ...e il busto di Garibaldi inPiazza del Popolo!Probabilmente il busto fu lì col-locato al tempo in cui, appena

morto il corsaro genovese nel1882, si decise di intitolare a luila strada Carolina con il nomedi Corso Giuseppe Garibaldi. Oforse più verosimilmente quan-

do nel 1905 quel corso fu, pro-prio partendo da quel punto,prolungato fino all`Addolorata.L`imperatore Augusto inveceentrò in scena certamente

durante il ventennio, conl`euforia generata dalla risco-perta dell`imperiale romanità, equando quella camicia rossaquel carattere condottieropopolare per nulla ortodosso equello spirito che per certiaspetti rasentava il libertario,non dovettero poi godere digrandi referenze.Ma che fine fece quel busto?Dove fu riposto? In qualchescantinato comunale? O nelgiardino di qualche casa patri-zia? Era una scultura di unqualche pregio artistico? O no?Neanche questo è dato di sape-re, ancora una volta nella piùclassica tradizione degli attidegli amministratori della cosapubblica brindisina. Ma forse è ancora lì, in buonacompagnia, magari con quelladelle statue delle due rane edelle due tartarughe che ador-navano la fontana di PiazzaCairoli prima che la stessafosse “sostituita” dalla fontanadelle ancore, proprio, appunto,in quegli stessi anni dell`impe-riale ebrezza.

Garibaldi in Piazza del Popolo - 1920

Page 54: Gianfranco Perri su Senzacolonne

GIOVEDÌ 20 SETTEMBRE 2012

Tutto ciò che ritrae questainteressante fotografiapostata da Romeo

Tepore, è irriconoscibile, sem-plicemente perchè da temponon c`è più. Eppure siamo nientemeno chedi fronte ai Giardinetti, pratica-mente su Corso Garibaldi, alsuo inizio dal lato del mare.Una foto quindi ormai storicache porta la firma, in basso asinistra, di Vincenzo Isceri,“...fotografo e ritoccatore dialto livello che nello studioriparava anche le macchinefotografiche” [pag. 4 diCicloStyle, Dicembre 2010].Dello “Studio fotograficoVincenzo Isceri - CorsoGaribaldi 73” abbiamo ancherintracciato un inserto pubbli-citario sul settimanale brindisi-no “il Monello” del 26 aprile1925. Il primo piano della foto è inte-ramente occupato da un giardi-no abbastanza curato, benrecintato e con una importantefontana. Si tratta del giardinoche apparteneva alla StazionePorto, della linea ferroviariache collegava la stazione diBrindisi con la stazione marit-tima, il cui fascio dei binarimoriva proprio immediatamen-te alla sinistra della foto.Il recinto con l`inferriata benvisibile nella foto, si affacciasu Corso Garibaldi giusto difronte ai Giardinetti e su tuttala loro stessa lunghezza, finocioè al lungomare di viale

Regina Margherita. La scritta a stampatello“Provveditoria Adriatica”, cheindica la presenza di un impor-tante magazzino di forniturenavali e marinare, è appostasulla facciata trasversale al

corso di quello che qualcheanno dopo, con la costruzionedi un secondo piano in perfettostile Liberty, diventerà il belpalazzo Titi.Sull`altro lato di CorsoGaribaldi invece, è riconoscibi-

le l`angolo con via SanFrancesco e poi l`insegna“Caffè Italia”. Quell` insegnadopo qualche anno muterà in“Caffè Ristorante” e si riferiràal “Ristorante Miramare” chedurante molti anni occuperà

tutto quell`angolo tra il corso evia San Francesco. Tutto il giardino ritratto nellafoto scomparirà completamen-te con la costruzione dellanuova stazione marittima,inaugurata nel 1940 e la cuistruttura principale sarà appun-to edificata sull`area centraledel giardino, mentre la porzio-ne al fondo sarà occupata dallanuova via Del mare allineatacon via San Francesco. Il palazzo Titi sopravviverà diqualche anno al giardino fino aquando, intorno ai primi anni`60, verrà demolito per lascia-re il posto a quel voluminosoed architettonicamente anoni-mo edificio di abitazioni che èancora lì sull`angolo tra via Delmare e il corso.E finalmente, anche gli edificiche nella fotografia si intrave-dono essere di fronte al palazzoTiti, sull´altro marciapiedi delCorso Garibaldi, furono neglistessi anni anch´essi demolitiper costruirvi quei palazzi chesono tutt`ora lì. In questo casocomunque, a differenza delpalazzo Titi, furono abbattuteedificazioni relativamentemodeste e senza alcun pregioarchitettonico.

Il giardino della Stazione Porto - 11925

Quando ho deciso di pubbli-care questi pochi frammentidi un` intervista rintracciata

per caso sulla web e fatta da non sochi a tre brindisini doc -GiancarloCafiero, Giorgio Tricarico eGaliano Lombardi- ho dubitato seaccompagnarli con questa fotoscattata ai Giardinetti o con quellapiù classica e più conosciuta cheriproduce in vista panoramica laspiaggia di Sant`Apollinare, e poimi sono finalmente deciso per que-sta foto dell`amico Pino Spina, cer-tamente più originale e probabil-mente più rappresentativa di quellaspeciale atmosfera cittadina estivache, ormai perduta, trapela da que-sti brevi commenti:“...In quegli anni a Brindisi nonavevamo tanto, ma vivevamo benee ci sentivamo felici. La città vive-va nel porto e con il porto, che erapieno di traghetti, italiani e non,che attraccavano e salpavano digiorno e di notte, mentre dai treniscendevano stormi di giovani cheprovenivano da tutto il mondo perpoi imbarcarsi alla stazione maritti-ma. ...Noi giovani, anche se non parti-colarmente colti, avevamo l`oppor-tunità di confrontarci e di ampliarei nostri orizzonti ricevendo nuovistimoli. Ci adoperavamo per impa-rare le lingue, fosse solo per unapproccio con le turiste o peraccompagnare un passeggero intransito presso le biglietterie, perconoscere qualche particolare dellavita nei luoghi di provenienza diquella gente, che ci appariva avolte strana, altre bizzarra, di certoemancipata rispetto alla culturaprovinciale del nostro profondosud. ...Con quei giovani stranieri riusci-vamo a comunicarci instaurarandospesso rapporti di amicizia e a volteanche sentimentali, mentre glianziani con il retaggio storico lega-

to all`antico passaggio dei trenidella Valigia delle Indie, all`arrivodei turisti esclamavano in coro: ‘errivvatu lu trenu ti li inglisi’ e quin-di, sconcertati dall’abbigliamentovivace e coloratissimo, dai modi difare, dai lunghi capelli e dalle gran-di fasce, incuriositi dai canti into-nati al loro passaggio in città, rima-nevano sbigottiti e si scambiavano

impressioni e commenti suspicaciche animavano le loro tranquillegiornate estive....Il nostro punto d`incontro dibuon mattino era il Banco diNapoli, o il bar Olimpia. Poi congli zoccoli ai piedi facevamo levascate andando a turiste, cioè ten-tando l`approccio con quelle giova-ni donne straniere, belle, emancipa-

te, con grandi cappelli bianchi dipaglia sulla testa, pantaloncinicorti, pesanti zaini in spalla e bor-racce appese al collo. ...I corsi erano pieni di insegne intante lingue: dall`inglese al grecoall`italiano. Le agenzie di viaggierano aperte giorno e notte, era unvero e proprio spettacolo assisterealla partenza delle navi: le luci, i

suoni, le manovre incantavanograndi e piccini....Molti turisti approfittavano lasosta per concedersi un bagno ecosì prendevano le barche a velache li portavano sulle spiagge , aSant`Apollinare, la Pineta, FiumePiccolo o Fiume Grande, spiaggetutte con un mare cristallino, curateed organizzate. Spesso alla sera,con panini cocacola e mangiadi-schi, animavamo feste che durava-no nottate intere intorno ai falòimprovvisati sulla spiaggia. ...Sul lungomare tutti celebravamola festa dell`uva con l`esibizione digruppi folkloristici provenienti daogni parte d`Europa: Ungheria,Cecoslovacchia, Grecia, etc. Lafesta delle feste era però la melona-ta del giorno di Ferragosto: su tuttele spiagge, sulle banchine, sul lun-gomare, si aprivano in allegria lefamose angurie giganti brindisine. ...All`Estoril organizzavamo ipomeriggi danzanti per permettereai più giovani ed alle ragazze brin-disine -che la sera dovevano rima-nere in casa- di divertirsi ballando.Ovviamente le loro scuse per usci-re di casa erano le più fantastiche enon mancavano le mamme chearrivavano improvvisamente perportar via le figlie. La sera invecel`Estoril si trasformava in night econ la Sciaia a mare si popolava digente proveniente da tutta la regio-ne per incontrare cantanti e artistifamosi che si esibivano o che tra-scorrevano a Brindisi le loro notta-te mondane...”

L’estate brindisina degli anni ‘60 - ‘70 - ‘80

VENERDÌ 28 SETTEMBRE 2012

Page 55: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Sfogliando un quotidianonazionale di questi nostrigiorni, alla pagina cultura-

le una notizia richiama la miaattenzione: “Migliaia di imma-gini in un solo archivio.L´archivio storico cinematogra-fico dell´Istituto Luce sbarca suYoutube con 30.000 video”. Una notizia veramente interes-sante, e non vinco la tentazionedi andare subito su youtube. Epoi, da lí all´archivio fotografi-co dell´Istituto Luce il passo émolto breve: http://www.archi-violuce.com/archivio/.Alla voce ricerca, naturalmentee senza esitare , scrivo“Brindisi”.Certo mi aspettavo di trovare,tra molti altri, i giá noti docu-mentari di Stato sulle visite aBrindisi del Re VittorioEmanuele III e di Mussolini inoccasione delle varie inaugura-zioni, del Banco di Napoli, delMonumento al Marinaiod´Italia, della prima pietra alCollegio Navale Tommaseo,della proclamazione dellaProvincia... E giá, fu nel del1927 ...e doveva durare solo 85anni a fronte dei milenni di pro-tagonismo storico, ...ma questoé tutto un altro discorso!Ma certamente non mi aspetta-vo di incontrare una bellissimaserie di 12 fotogtrafie datatetutte 6 Maggio 1941 e raggup-pate sotto un unico tema intito-lato “Brindisi: angoli caratteri-stici e scene di vita”. Le 12 fotografie sono tutte

molto belle e riconosco subitoin alcune di esse quelli che furo-no i vicoli e le case dello stori-co rione brindisino di SanPietro degli Schiavoni:Emozionante!Trascrivo i titoli di ognuna delle

dodici foto:Persone sedute e in piedi con-versano in un vicolo - Cactus erampicanti sulle mura esterne diuna casa - Signore e bambini difronte a una casa - Bambini gio-cano accanto alla porta di casa,

due donne stanno sulla porta - Ilcortile interno di una casa, fiorisul balcone interno, sotto sivede una vecchina in abito nero- Una donna e tre bambini sullaporta di casa, un gatto passasopra la porta ad arco - Una

donna anziana siede in un corti-le interno, in uno dei muri dipietra si vede una porta ad arcoacuto - Una coppia di sposi sfilalungo un vicolo seguita da uncorteo nuziale - Una donnaallatta un bimbo - Un gruppo didonne prepara della pasta in uncortile, un marinaio guarda lapasta in un piatto - Donne men-tre preparano le orecchiette -Donne preparano le orecchiette,un bimbo osserva in braccio auna di loro.Tutte dodici queste foto merite-rebbero essere pubblicate,...quella della mamma che allat-ta il bimbo é semplicementeuna vera “poesia”.Dopo non pochi dubbi e variripensamenti ho finalmentescelto di pubblicare quella chesi intitola “Una donna e trebambini sulla porta di casa, ungatto passa sopra la porta adarco”.Spero comunque che molti let-tori abbiano la possibilitá diaccedere a internet e cosísull´archivio del nostro gruppoBrindisini la mia gente potran-no estasiarsi contutte questebelle fotografie della nostraBrindisi che, in buona partre,ormai non c´é piú.

San Pietro degli Schiavoni - 6 maggio 1941

GIOVEDÌ 4 OTTOBRE 2012 21

La base aerea a Brindisi eranata come idroscalo militare,con gli albori stessi dell`avia-

zione nei primi anni del 900, intornoagli anni della prima guerra mondia-le. Invece l`aeroporto come loabbiamo poi tutti noi conosciuto,nacque nei primissimi anni 30, men-tre fino ad allora gli aerei civili emilitari avevano utilizzato il campoterrestre di San Vito Normanni, cheera sorto nel 1918 a circa 9 chilome-tri dalla città sulla strada per SanVito dei Normanni, tra i vigneti dicontrada Marmorelle.Ed è proprio quell`origine acquaticache spiega la presenza in riva almare, delle due serie contigue diangars ben visibili nel primo pianobasso della foto, sovrastata dai duebei G91 del glorioso 32º Stormo.Fu nel corso del 1916 che furonocostruite le aereorimesse per acco-gliere gli idrovolanti da bombarda-mento progettati dall´ingegnereLuigi Bresciani. Un incidente divolo in fase di sperimentazionecausó la morte del progettista e ladistruzione del prototipo e il proget-to fu abbandonato, peró il nomeBresciani rimase ai 6 hangars, quel-li più bassi allineati sulla sinistradella foto. Gli hangars Brescianicon muratura di tufi e cemento e concopertura a botte con sesto ribassatoin solaio latero-cementizio, sonoancora oggi, dopo quasi cent`anni,in servizio utilizzati dall´ONU.Già alla fine degli anni 20 sorse lanecessitá di nuovi hangars la cuicostruzione, stabilita a nord deglihangars Bresciani, fu commissiona-ta alla societá Officine Savigliano diTorino. I 4 hangars Savigliano,ognuno a pianta rettangolare di circa54 x 60 metri, furono completatiintorno al 1930 con ossatura retico-lare metallica a una campata e rive-stimenti in lamiere ondulate zincate,

cupolino centrale di aereazione adoppia falda in materiale policarbo-nato. Ognuno dei quattro accessiverso la banchina ha un´apertura dicirca 51 metri con piú di 12 metri dialtezza. L´ottima struttura metallica,

nonostante la sua vicinanza al mareè rimasta pressoché intatta ed éancora funzionale ai nostri giorni:uno degli hangars é gestitodall´ONU e negli altri tre opera lasocietá Alenia Aeronavali.

L`aeroporto terrestre, la cui costru-zione fu decretata dall'amministra-zione provinciale di Brindisi conl´esproprio ed acquisto dei terreniagricoli siti alle spalle dell'idrosca-lo, entrò in funzione nel 1933, inau-

gurato da Mussolini il 30 di luglio, el'aerostazione fu completata nel1937 con pista di lancio orientata anord, inizialmente di 50 x 600 metrie portata successivamente a 850metri. Durante gli anni 30 nell´aeroportodi Brindisi la compagnia di bandie-ra Ala Littoria gestiva, tra altre, lelinee Brindisi-Rodi; Brindisi-Roma-Trieste; Roma-Brindisi-Tirana-Salonicco; Brindisi-Atena-Rodi-Haifa; Roma-Brindisi-Bagdad;Brindisi-Durazzo-Lagosta-Zara-Lussino-Pola-Trieste.L'idroscalo militare era intitolato aOrazio Pierozzi, eroico comandantedella Squadra Idrovolanti Brindisidurante la prima guerra mondiale,che dopo aver guidato innumerevoliazioni di guerra vittoriose era dece-duto in volo di addestramenteo nel1919.Con la stessa denominazione venneinizialmente intitolato anche ilnuovo aeroporto, che era militare ecivile allo stesso tempo. Poi nel1938 l'aeroporto civile fu intitolatoad Antonio Papola, in memoria delbravo comandante di aeromobilecivile deceduto in quell`anno perincidente di volo, mentre il militareconservò l´intitolazione originale aOrazio Pierozzi fino a quando, nel2008, perdendo lo status di scalomilitare aperto al traffico civile,acquisitò la semplice connotazionedi aeroporto civile, con il nome diAeroporto del Salento.

Gli hangars Bresciani-1916 e Savigliano-1930

GIOVEDÌ 11 OTTOBRE 2012

Page 56: Gianfranco Perri su Senzacolonne

GIOVEDÌ 18 OTTOBRE 2012

Quando l´amico AlbertoCafiero pubblicó una suafoto di questo scorcio cosí

suggestivo, sul nostro gruppoBrindisini la mia gente ci fu un pódi sconcerto nel cercar di indivi-duarne l´esatta localizzazione.Qualcuno parló di una traversa divia Appia, qualcun altro di una divia Appia, ma poi Alberto chiaríogni dubbio: ‘quel doppio arco sitrova nel vicoletto che unisce viaMarco Pacuvio con la piazzetta diSan Giovanni al Sepolcro’.Quindi un coro di “...ma é propriovero ...ma quello é il cortile dadove si entrava al ‘doposcuola deiBonatesta’ ...ma certo io ci sonoandato, anch`io ...pure io ...si évero il doposcuola del professorItalo Bonatesta ...e delle sue sorellele maestre Tetta Fulvia e AnnaBonatesta ... Ah! Ma quanti beiricordi“.E sí, quanti ricordi, e quante gene-razioni di ragazzini e ragazzinesiamo passati per quegli archi, perquelle scale, per quelle stanze, perquella terrazza sull´angolo tra viaPacuvio e via San Giovanni.E non solo ragazzini, Enrico Sierrail nostro amico decano del gruppoBrindisini la mia gente che vive aRimini, commenta: “Ciao Michela,io sono nato in via Marco Pacuvio,proprio dirimpetto alla casa dei tuoinonni ed ero amico di tuo padreItalo e di suo fratello Antonio, lacasa mia era di fianco alla vecchiacantina di Piccigallo proprio dirim-petto alla strada che porta alla piaz-zetta del Tempietto San Giovannial Sepolcro.Ma torniamo al ‘doposcuola’: gliamici ‘scaunari’ Angelo Catalano e

Antonio Miglietta che abitavano aSan Pietro degli Schiavoni, in viaTarantafilo e in largo De’ Calórespetivamente, da bambini eranodi casa in quel doposcuola. E poi Gianfranco Di Muri (...ericordo una grande tartaruga che

girava per casa), Nani Ernani (...dapiccolo in quel cortile ci abitava unmio amico, Enzo Strisciuglio),Paolo De Angelis (...ItaloBonatesta è stato il mio maestroalle elementari dal 67 al 72: chegran bella persona! La mattina

prima di entrare a scuola fumavamezza sigaretta, la spegneva efumava l'altrà mezza all'uscita). Ed ancora, Luana C. QuartaCampbel “...chi ha trascorso ipomeriggi al doposcuola dallesignorine Bonatesta? Anna, Tetta e

Fulvia, ...e come non ricordare ilprofessore Italo? ... I ricordi piu'belli della mia infanzia! ...Tutti ipomeriggi e le estati intere dallesignorine Bonatesta, ...ndamu fattuli megghiu risati...“.Ma gli anni passano inesorabili, deifratelli e delle sorelle Bonatestasolamente Anna é ancora tra noi, edé bello poterla salutare e rincontra-re nella sua stessa casa, che fuanche il ‘doposcuola’ ed usufruiredella sua preziosissima memoriastorica della familia.Ci racconta Anna: “…La foto deveessere stata scattata verso la metádegli anni ’50. La costruzione ori-ginale dell´arco risale a circa 150anni fa, e fu ristrutturato intorno al1985. Il signore con la bambina nelcortile con affianco la biciletta éGuglielmo Cesaria, di professionepescatore.Ma l´intero edificio ed il cortileannesso, appartenevano ad un benpiú grande ed aricolato complesso,edificato a ridosso del Tempio diSan Giovanni al Sepolcro e funzio-nante da convento o forse da ostel-lo. Negli scantinati del palazzo cisono ancora ampi magazzini sotter-ranei ed alcune delle sue stessemura celano antichissime edimportanti tracce architettoni-che...“.

Arco doppio in via San Giovanni al Sepolcro - 1955

GIOVEDÌ 25 OTTOBRE 2012

Quando l´amico GiancarloCafiero postó questavecchia fotografia appar-

tenente alla sua preziosa cole-zione della Valigia delle Indieed indicandone solamente ladata, si accese subito il dibattitosulla possibile reale identitádella strada brindisina in essabellamente rappresentata.E si, un dibattito difficile e pro-lungato, perché la prospettivadella foto non é per nulla scon-tata, e sopratutto perché gli edi-fici, anzi per dir meglio i caseg-giati ad un solo piano con ter-razze o tetti a spioventi, ripresiin primo piano su entrambi i latidella strada, da ormai moltissi-mi anni non esistono piú.Poi c´era quel folto albero chenon si riusciva a capire bene dadove sbucasse e finalmente,sullo sfondo, quel campanile: aquale delle tantissime chiesebrindisine apparteneva?Poi la rivelazione: É viaCarmine, la foto é stata scattatadando le spalle a Porta Mesagnee anzi, considerando la evidenteripresa dall´alto, probabilmenteproprio da sopra la Porta.Quell´albero é in quell´areaoccupata dal Calvario,sull´angolo con via SantaMargherita, e quindi la seguentestrada a destra, chiaramentedelimitata dalle ombre solari, évia Giordano Bruno.Il campanile non puó quindi cheappartenere alla chiesa degliAngioli, che sta proprio alla fine

di via Carmine, sull´incrocio adestra con via San Lorenzo daBrindisi.Eppure se Giancarlo avessevoluto metterla sul difficileavrebbe potuto asserire che si

trattava di quella strada chemolti anni prima era stata la viaMaestra.E si, Via Maestra, “...era l´anticavia che partiva da Porta Napoli,ora Porta Mesagne, e si displa-

nava fino al mare, fino alla PortaReale giá da tantissimo tempoinesistente, spaccando in due lacittá lungo un percorso attual-mente contrassegnato da trediversi toponimi, uno prosecu-

zione dell´altro: via Carmine,via Ferrante Fornari (chenell´800 era chiamata viaAngioli) e via FilomenoConsiglio.Quella Maestra era la via per ilmare, per le navi, per le parten-ze, le speranze, l´altrove. Era quella strada marina chepercorrevano i romani, e tuttiquelli venuti dopo di loro.” [ViaMaestra a cura di Clara Nubile eMichle Bombacigno-2011].Poi nel 1797, venne “il corso”che risanó il malsano canale incui si era trasformata nei secolil'insenatura marina che tagliavain due la città, della quale parlòStrabone. Dapprima si intitoló StradaCarolina in onore alla sposaaustriaca del re Fernando IV diBorbone e successivamente, il 7giugno 1882, la strada cambiònome per essere intitolata aGaribaldi, morto quell'anno: fuda lí in avanti che il nostroCorso Garibaldi definitivamentespiazzó la via Maestra, viaCarmine inclusa, dal suo piú chemillenario ruolo di strada princi-pale dell´urbe.

Via Carmine - 1903

Page 57: Gianfranco Perri su Senzacolonne

DOMENICA 4 NOVEMBRE 2012 13

Qualche settimana fa ilnostro amico, il bravofotografo Cosimo

Prudentino, ci ha voluto regala-re questo suo bel disegno con ilseguente commento: “Nel dia-rio di mio padre ho trovato que-sto disegno, uno scorcio di viaPompeo Azzolino, disegnato dame circa 60 anni fá”.In realtá il suo disegno é sola-mente quello della metá sinistradella fotografia, poi io mi sondivertito a duplicarlo specular-mente, un pó a mó di scherzo edun pó per adattarne il formato aquello di questa rubbrica. SperoCosimo non me ne voglia.E naturalmente ArcangeloTaliento e Salvatore Corsa, pun-tualmente, non hanno potutonon commentare quel suggesti-vo disegno della famosissimavia delle loro Sciabiche, e poiinterviene anche Luigi Iaia:Arcangelo Taliento: La nota suldisegno ci dice che lì abitava"Ndulirata la rossa" ed io possoaggiungere che ci abitava anche"Cocu uardastelli". Sta scalastava propria sott´alla finestra ticasa mia. Quistu eti nnu dise-gnu ti li tiempi quandu si ticia"a casa vecchia no mancunusurgi". Eri bravo Cosimì, ioricordo bene quando da bambi-no con il gesso disegnavi Tex,per terra in strada. Ueh Có, vitic'á tiniri puru nnu leoni ca disi-gnasti alla scola e ca paria nnafotografia. Ci lu acchi fanduluviteri...Salvatore Corsa: Questo dise-gno di Cosimo indica esatte-mente com´erano quella scala e

quel caseggiato. Formidabile!La casa di Cosimo aveva dueentrate, una da via Montenegroe una da via Pompeo Azzolino,credo che questo scorcio lui lovedesse spesso uscendo eentrando da casa sua. Ricordobene che sia il disegno che lafotografia erano le professioniche da bambino gli piacevano e

credo che finalmente l'ha azzec-cata, considerando le foto mera-vigliose che ha poi semprefatto...Cosimo Prudentino: Sott´aNdulirata la rossa abitava MariaLucia. Poi nc'era puru Filumenaca quandu ccuminzava a parlarinon la spicciava chiui, cu lu fig-ghiu Pippinu ca quandu ti salu-

tava cu la manu destraevidenziava lu tiscitumediu.Luigi Iaia: Puru iuaggiu natu in viaPompeo Azzolino.Tandu a quedda viaabitava Cuchecchia dizú Pippinu, Ntuniettati li Beddi, nunnaMaria, Maria la bion-da, Cunzilia diGinccu, Ntunietta laSpazzina, Furtunata ePeppu Sciarra. Poisobbra allu palazzuabitavunu l´atri, eabbasciu addó era luGabbiano, stava laputea ti salsamenteria.Arcangelo Taliento:Certo, Maria Lucia,che ti faceva tenerez-za, era cugina a miopadre e in vecchiaiaviveva, se ben ricor-do, da sola vicino a

Maria la bionda sorella diMimmo, il quale quando facevale cozze alla banchina sparivadentro alle condotte lasciandovedere solo i piedi, però riempi-va lu tilaru. "Li tilari" eranoquelle cassette che servivanoper contenere i pesci, eranonaturalmente di legno e oggi

sono di polistirolo. Luí, maaddai no abitava puruPizzuttinu? Vicinu alla scalina-ta ca stai ancora?Luigi Iaia: Propria alla scalina-ta ca tu tici ca stai ancora, abita-vo iu. E quandu chiuvia mamamittia lu rinali. Sotta abitavaMaria Lucia e ti costi abitavaVicenzina. Poi mama si pig-ghiau la casa ti fronti addó abi-tava nunna Maria Prudentino efeciru menza casa nui e menzacasa loro, ca rispundia in viaMontenegro.Arcangelo Taliento: Luí, ma ticce annu stà parli? Ca iu sciuca-va 'ntra casa ti Romeu. No staparli ti Cosiminu Prudentinu?Luigi Iaia: Iu sta parlu ca sontuti lu 58. Sta parlu ti nonnuCosimo Prudentino, lu maritu dinunna Maria. Poi chiú abasciuabitava Ginu ti Cunzilia e addaié rimastu ancora lu figghiuAntonio. Poi venni a abitari luconti Mantovanelli. Ti costi poi abitava Furtunata diGinccu Coppola ca tennu lacasa ancora addai. Sobbra allupalazzu poi abitava CocuCirvillera, Lina l´infermiera,Fischietto e Tonino Sciarra.Alla funtana poi abitava PeppuSciarra, e poi ti ticu puru l´atriArcá...

Via Pompeo Azzolino allo specchio - 1952

Proprio ieri ricorreval´anniversario N° 71 diquella terribile tragica

notte in cui Brindisi fu intensa-mente bombardata, tra il 7 el´8Novembre del 1941.Si rattó del più potente edistruttivo degli attacchi aereisubiti dalla nostra cittá.L´incursione iniziò a mezzanot-te circa e si protrasse per quasi5 ore con un attacco condottoda una formazione di bimotoriinglesi provenienti da Maltacon l'obiettivo di smantellare lefortificazioni del porto e la basenavale del castello svevo. Fuper questo motivo che propriotutta l´area di via Cittadella evia Sant´Aloy subí i danni mag-giori e fu quasi rasa al suolo,cosí come lo testimonia fintroppo crudamente la fotogra-fia. E purtroppo, ci furonoanche decine di vittime e centi-naia di feriti.Fu bombardata anche la casa diVito De Marco e Cosima Pati,su via Sant´Aloy quasisull´angolo con l´attuale viaLucio Sacrano. Erano i nonnimaterni di Albina Aprile -miamadre- che con loro viveva eche li indusse ad abbandonarela casa un solo istante primache venisse centrata dallabomba. Avevano appena attra-versato la strada per dirigersi invia Rodi a casa dei genitori dimia madre, ed erano ancora sulmarciapiedi di fronte alla casa,quando la bomba la colpí inpieno e la fece crollare comple-tamente lasciando in piedi solola facciata.Remo Simoniello, commentan-

do la foto ci racconta: ...Lezone colpite furono via DeSanctis e largo della Volta, poifra via Cittadella via Sant'Aloje via Lucio Scarano. Nei bom-bardamenti, un aereo fu abbat-tuto dalla contraerea e fu recu-perato dal fondo del mare nel1952, rimanendo per lungotempo sulla banchina all'altezza

di via Lenio Flacco.Le macerie "ti li scuffulati"

rimasero fino all´inizio deglianni '60. Dopo la guerra "luscuffulatu" era il nostro campod'azione: la sera ci andavano lecoppiette e "nui li pigghiaumu apetri". Ed erano anche comodiperché in un secondo scendeva-mo giù da basso per fare il

bagno alla spiaggetta dove tira-vano a secco le barche, unaspiaggetta tutt´ora esistenteanche se adesso é completa-mente cementata.Dopo quella terribile notte,circa l´80 percento della popo-lazione civile di Brindisi si tra-sferì per paura nei più tranquil-li paesi vicini della provincia, a

Mesagne ed altri.Sono tristemente sintomaticidel clima che regnava in cittáquell´8 novembre 1941, alcunidei registri di classe redattidalle maestre e dai i maestri cheandarono a scuola quella matti-na.Maria Franco, di 26 anni: Lascuola é vuota. Le famigliesfollano verso paesi piú sicuri.Nessuna presente delle 25 fre-quentanti. Il Provveditore, dapoco giunto in cittá, ha parlatoa noi tutti dell´ora terribile chesi attraversa... Luigi Pigna, di 31 anni: Lascuola é completamente vuotain quanto tutte le famiglie sonocostrette a sfollare. Per misureeconomiche di combustibile, ilMinistro ha protratto le vacanzefino al 18 Gennaio. Dei 51iscritti una decina frequentanoperché gli altri si sono riversatinei comuni vicini...Matilde Musaio Valletta, di32 anni: La disastrosa incursio-ne aerea, durata quasi 5 ore, hafatto spopolare la cittá. Lascuola é deserta.Le ripetute incursioni aereehanno fatto si che tutti sfollino.Dove potremo rintracciare inostri piccoli? Certamente nei paesi vicini!

Via Cittadella - 8 novembre 1941

VENERDÌ 9 NOVEMBRE 2012

Page 58: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Quello ritratto nellafoto é un paesaggiobrindisino che dal

1936 é drasticamente cam-biato. Si tratta infatti di unabella foto panoramica di queltratto di lungomare del senodi ponente appartenente allostorico rione delle Sciabichee che in quell´anno fu quasicompletamente abbattuto perfar posto al complesso dellanuova fontana imperiale conal fronte la via PasqualeCamassa e l´ampliato largoLenio Flacco e con alle spal-le la risistemata piazza SantaTeresa.La foto qui riprodotta, inrealtá rappresenta solo undettaglio di quella ben piúpanoramica appartenente alloStabilimento Fotografico deiFratelli Alinari e intitolata“Veduta del Porto 1905-1908”. E per fortuna, l´ottimaqualitá tecnica della foto ori-ginale mi ha permessoingrandire di parecchio que-sto eccezionale dettaglio ecosí ottenere un´ immaginecertamente inedita e che nonha uguali noti.Con un pó di buona volontá éanche possibile scoprire,sull´orizzonte dell´estremasinistra della foto, l´incon-fondibile siluetta del Forte amare, e sull´estremo destroinvece, quasi nero, l´angolopiú spinto verso il mare del

mastodontico complessoarchitettonico dell´attualesede dell´Archivio di Statoadiacente alla chiesa di SantaTeresa.Si tratta in qualche modo delpiú completo testimonio ditutto ció che in quell´anno1936 fu abbattuto: certamen-

te infatti, non molto di quan-to illustrato dalla foto dovevaessere cambiato per quelmomento e quindi, quelle chesi abbatterono non furonosolo costruzioni fatiscenti emalsane come le cronacheufficiali dell´epoca tentaronodi raccontare.

Di fatto, in quel 1936 si con-sumó la piú vasta delle cam-pagne demolitrici delleSciabiche, quella che interes-só la maggior porzione delquartiere e che in sostanzarisparmió solamente un limi-tato settore di case compresotra via Montenegro e quello

che doveva diventare il limi-te della nuova scalinataimperiale. Quelle demolizioni interessa-rono tutte le case sciabicoteche, su piani di varia altezzadegradanti da piazza SantaTeresa e da largo San Paoloal mare, esistevano aquell´epoca fino a largoSdrigoli, l´attualelargoSciabiche, e anche unpo piú in lá, fino al pendioFontana Salsa che é sullasinistra dopo giá imboccatavia Lucio Scarano.E questa foto, ormai da con-siderare a tutti gli effetti sto-rica, mostra anche la grandevitalitá di quel rione rigoglio-so che era abitato da centina-ia di marinai e di pescatoricon le loro famiglie numero-se: tutto il vasto spazio pro-spicente al mare tra la banci-na e le case, pullula di perso-ne, di reti da pesca -le sciabi-che appunto- poste ad asciu-gare, di merci pronte ad esse-re imbarcate e di mezzi edattrezzature per la pesca. Enon mancano i panni stesi adasciugare al sole!

Le Sciabiche - 1906

GIOVEDÌ 15 NOVEMBRE 201212

Sulla Pianta della Cittá diBrindisi a scala 1:2000 diCarlo Fauch del 1871, la

denominaione di Strada Marina éassegnata a tutto il tratto di lun-gomare compreso tra la StazioneMarittima, in realtá ancora inesi-stente come tale e nella cartinaindicata come Sanitá Marittima,e Largo Montenegro, di fronteappunto al Palazzo Montenegro.Per il resto, sia a levante che aponente, il lungomare vienesemplicemente denominato“Banchina”.E tale denominazione la si ritro-va ancora uguale sui disegni delPiano Regolatore della Cittá diBrindisi del 1883, sui quali perónon compaiono le diciture“Banchina”.Nel 1881, in due episodi separa-ti, l´11 gennaio il primo e l´11novembre il secondo, sullaStrada Marina si produconoaltrettanti crolli della banchinacentrale, praticamente contigui:di fronte all´attuale palazzo delturista e di fronte all´albergoInternazionale.

Lo documenta in dettaglio ilpiano intitolato “Planimetriadella Banchina Centrale delPorto di Brindisi, elaborato ascala 1:1000 in data 1 Agosto1882”. In questo piano si deno-minano con “Banchina delleSciabiche” e “Banchina dellaFerrovia”, quelle tratte rispetti-vamente a ponente e levantedella “Banchina Centrale”. E suquesto stesso piano, la SanitáMarittima é diventata

Capitaneria di Porto.La fotografia riprende il trattofinale, che culmina all´altezza divia Montenegro proprio doveattracca la motobarca per ilCasale, dell´attuale viale ReginaMargherita, che sull´altro estre-mo inizia all´altezza dellaStazione Marittima. A ponente il

lungomare prosegue con l´attua-le via Lenio Flacco e a levantecon la via Regina Giovanna diBulgaria.L´intitolazione alla ReginaMargherita di quella che era statala Strada Marina risale al 1900,quando una delibera comunalecambió i nomi }delle strade adia-

centi al lungomare, introducendoappunto quelli di via LenioFlacco per la strada sulla banchi-na di ponente e di via ReginaGiovanna di Bulgaria per la stra-da sulla banchina di levante. Quel palazzotto sul fondo dellafoto e che sbarra il lungomare,non c´é piú. Apparteneva al rione

Sciabiche e fu demolito intornoal 1924, era prospicente al maree con le sue spalle delimitava illargo Monticelli. Antistante alpalazzotto era piazza Baccarini,giá piazza Dei Consoli ed attual-mente piazzale San TeodoroD´Amasea, con al centro la fon-tana dei delfini, visibile nellafoto e poi spostata ai Giardinetti.Peró, non puó che imporsi allosguardo la presenza circostanzia-le ma sigificativa del protagoni-sta indiscusso della fotografia: ilcommercio, la rigogliosa attivitácommerciale molto vistosamenterappresentata dalle navi mercan-tili ormeggiate e da quelle tantemerci pronte per essere imbarca-te: le botti del vino e dell´olio edi prodotti della ben diversificataattivitá agricola della cittá e delsuo territorio. Un´attivitá che a cavallo tra i duesecoli era stata cosí tanto fruttife-ra da condizionare fortementeanche lo stesso paesaggio urbanoe portuale della cittá, cosí comece lo mostrano questa e tantealtre belle fotografie di Brindisi,che riprendono su tutto il lungo-mare quelle che per quell´epocaerano tipiche e frequenti scene diattiva vita quotidiana nella nostracittá.

Via Marina - 1905

GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012

Page 59: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Nel settembre del 1763, ilsindaco Stefano Plama dainizio ai lavori per la

costruzione della nuova Torredell´orologio, in piazza Sedile inprossimitá del palazzo comunale.La torre campanaria precedente, didimensioni molto piú modeste ededificata in quello stesso posto, erastata distrutta dal terremoto delfebbraio 1743. “...Quella nuova Torre dell´orolo-gio invece, testimone di tanti avve-nimenti storici specialmente delperiodo risorgimentale, fu demoli-ta nel febbraio 1956 per dar luogoall´erigendo palazzo dellaPrevidenza sociale. Per tale demo-lizione, clamori e proteste si leva-rono da piú parti, anche attraversola stampa, che peró non valsero afar ritornare sulle proprie decisionii geniali autori di tanta rovina”.[Storia non scritta di Brindisi, diAlberto Del Sordo - Gazzetta delMezzogiorno del 16.6.1977].Nel 1952, con l´unanimitá espressaper alzata di mano dei presenti, ilConsiglio comunale presieduto dalsindaco Francesco Lazzaro, accor-dó cedere tutta l´area di 1.285metri quadrati all´Inps per 11milioni di lire. Peró alcuni politici si opposero alladelibera: il senatore AntonioPerrino, allora presidente dellaProvincia, fu probabilmente il loromassimo rappresentante, recla-mando il mantenimento della Torreper il suo valore artistico, storicoed affettivo. E poi... “alla sua basec´erano quelle due carceri che ave-vano ospitato molti patrioti”.E non mancó neanche il dissensodegli intellettuali: “…Gli odiernibarbassori del cemento armatohanno progettato il solito scatoloneche sar[a adibito a sede della

Previdenza sociale. Gli accaniticongiurati, che impuniti imperver-sano sotto il segno della bruttezzacontro le nostre belle cittá, hannodannato alla demolizione l´interes-sante barocca torre dell´orologio,

poiché per loro é piú facile demo-lire che creare opere che possanoreggere il confronto con quelle purmodeste del passato” [Brindisiignorata, di Nicola Vacca - 1954]. E com´era? ...“Era costruita in car-

pano di Trepuzzi,contava 3 piani.Al piano terral´ingresso eras o r m o n t a t odall´arme dellacittá ed ospitavanel suo interno labottega dell´oro-logiaio Ranieri,addetto alla suamanutenzione.Al primo piano sinotava una lapi-de di marmodedicata aMazzini. Alsecondo piano ilq u a d r a n t edell´orologio, adue sfere e acifre romane. Alterzo infine, lacella campanariaa forma di cupo-la: le due campa-ne avevano duebatacchi a mar-tello azionati datiranti risponden-ti al sistema dio r o l o g e r i a ” .[Cronaca di un

inutile abbattimento, di NadiaCavalera - Quotidiano del30.11.1983].Rino Tasco: E’ questa la foto diMuraglia che io comprai al suonegozio. Il proprietario del salone

di fianco a quello dell´insegna, sichiamava Suppressa, io facevo ilgarzone e se si osserva bene, sottola porta c'é un ragazzo con lascopa: quello sono io. E ci si póscurdari du bellu suenu ca faciadan,dan,dan, din,din. Quantu cosindi ricurdava, era comu unu tifamiglia: Sunava quandu lu tataera a sciri fori, quandu nui erumu asciri alla scola o quandu erumu asciri alla nuvena alla chiesa ti SanPaulu. No vitiumu l'ora cu sunavaquandu erumu assiri ti la scola pisciucari mienzu alla strata cu lapalla ti pezza, o a fuci fucendumanué. E no vi ticu la menzatia tila cloria comu sunava!Romeo Tepore: Il Salone dell´inse-gna era di Giancola Luigi, mio zio.Subito dopo vi era un´altro salone,non ricordo il nome del titolare,ma era sordomuto e si trasferì aTorino. Attaccato alla Torre del-l'orologio, vi era il negozio di mer-ceria di Brunetti. Dalla porticinache si vede aperta si saliva sopra evi era una sartoria, subito dopo viera un negozio che vendeva pane.Per finire, la prima porta sulladestra della foto era ancora unsalone, del signor Saponaro. Remo Simoniello: Io ricordo cheall'angolo c'era anche un armeriadove compravo i piombini per ilfucile ad aria compressa e le cap-sule (li capsi ) per la pistola... assiati la scola Costanzo Ciano e sc'èfacia rifornimento...

La Torre dell’Orologio - 1956

GIOVEDÌ 29 NOVEMBRE 2012

MERCOLEDÌ 5 DICEMBRE 2012 9CRONACA

Agli albori dell´appartene-za di Brindisi al neofon-dato Regno d´Italia, un

interessante piano del GenioMilitare, datato 1° Agosto 1867elaborato a scala 1:4000dall´incaricato del “Serviziodella Piazza di Brindisi” LorenzoCalabrese, riproduce la cinta diBrindisi con l´indicazione delleporzioni che si dismettono alDemanio in osservanza delDispaccio del Ministero dellaguerra del 28 Marzo 1867.Ebbene la leggenda di quel pianoattribuisce al nostro Castello diterra la denominazione “Castellodella Vittoria usato a BagnoPenale”.Quindi ancora una nuova deno-minazione che si affianca alletante altre un pó piú conosciute,come quella suggestiva e moltodiffusa tra la fine dell´800 ed iprimi del 900, di “CastelloFederico Barbarossa” che ériportata nella didascalia dellacartolina riprodotta nella foto estampata nel 1905 dalla dittaNicola Passante e di un´altrastampata dalla ditta A. Anelli nel1905 e di tante altre ancora, frut-to tutte di un grossolano errorestorico e di una evidente diffusaignoranza. Per la cronaca, FedericoBarbarossa morí nel 1190 duran-te la terza crociata, gli succede ilfiglio Enrico VI che morirá gio-vanissimo nel 1197 ed il cuifiglio, Federico Ruggero, diverrál´imperatore Federico II diSvevia.

Quella di “Castello Federico II diSvevia” é certamente la denomi-nazione piú corretta, nel rispettodella storia che registra l´iniziodella sua costruzione nel 1227per volere del famoso re impera-tore, che fu un autentico innamo-rato di Brindisi: Federico II.

Circa un secolo dopo, Carlod´Angió fece aggiungere nuovefortificazioni, mente nel 1488,per volere di Ferdinando I diAragona, il castello subí impor-tanti modifiche con la costruzi-ne, attorno al nucleo federicianotrapezoidale originale, di un´alta

muraglia a pentagono provvistadi nuove torri e di un fossato. Dalí le denominazioni di “CastelloAngioino“ e di “CastelloAragonese“. Nel 1808, con Napoleone, altrono di Napoli giunseGioacchino Murat che nel 1814

decise di convertire il castello in“Bagno penale” per potervialloggiare un gran numero di for-zati da destinare ai grandi lavoridi escavazione del porto interno:sembra risultare esservi statoracchiuso anche il padre diAlexandre Dumás, il famosoautore del Conte di Montecristo,I tre moschettieri, etc., etc. Nel 1815 Gioacchino Muratdecadde dal trono e fu fucilato,ma il progetto di risistemazionedel porto interno con la manod´opera dei forzati del bagnopenale fu portato avanti daiBorboni: interessante esempio dicontinuitá amministrativa!Quel bagno penale continuó afunzionare fino al 1909, anno incui il Castello di Terra fu dato inuso alla Regia Marina Militare,in attenzione allo strategicoruolo che il porto di Brindisidoveva poi ricoprire nelle dueguerre mondiali. Un uso che per-mane tutt´ora nonostante la mari-na militare non sia piú regia enonostante non risulti se ne stiafacendo un gran uso militare.Speriamo che finalmente ilnostro bel Castello di terra sia abreve restituito ai brindisini!

Castello di Terra Federico Barbarossa (?) - 1880

Page 60: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Siamo in corso Umberto I° esulla sinistra della foto siriconosce l´inconfondibile

siluetta del fú teatro Verdi. Maanche l´edificio che é in primopiano nella foto non esiste piú damolti anni: era la sede di un tea-tro cittadino, il Politeama Ducadegli Abruzzi che nel giugno del1912 era stato edificatosull´angolo con via CesareBraico, proprio dove ha poi avutosede per tanti anni e fino a nonmolto, il Circolo Cittadino.Era un edificio in legno a duepiani con tre file di palchi in cuigli spettacoli lirici, cinematogra-fici e di rivista, iniziarono aesservi rappresenati il 22 marzodel 1913.Dopo pochissimi anni di eserci-zio, l´edificio in legno subí unrovinoso incendio che indusse ilproprietario a trasformarlo inun´arena: l´Arena Margherita chefunzionó sino all'estate del 1917,grazie alla buona qualità dellesue rappresentazioni ed a unaimportante affluenza di pubblico,che nei lunghi e caldi mesi estivibrindisini faceva spesso registra-re il tutto esaurito.Erano quelli dell´inizio del nove-cento, anni in cui Brindisi, dopo iprimi difficili decenni che tenne-ro dietro all´unificazione nazio-nale, aveva cominciato a cono-scere una discreta crescita econo-mica e si era anche popolata dinumerosi ritrovi pubblici comediretta coseguenza di un certobenessere diffusosi nelle classipiú facoltose e della tendenza diqueste a ricercare la felicitá a tuttii costi, secondo i canoni della

Belle Epoque, che nelle nostreregioni meridionali si protrassefino alle soglie degli anni 30,quando altrove ersa giá tramonta-ta [“Vecchia Brindisi tra cronacae storia” Alberto Del Sordo -1978].

Nel periodo citato infatti, l´inte-resse del pubblico borghese brin-disno per gli spettacoli teatrali emondani aveva incoraggiatoalcuni imprenditori nostrani acreare nuovi locali, che assecon-darono quelli già esistenti, come

l´antico teatro comunale MarcoPacuvio in via Ferrante Fornari, eil teatro del Festival, entrambi giàattivi fin dal secolo precedente.Il 1903 fu l´anno di due impor-tanti inaugurazioni: il 21 gennaioin piazza Cairoli si apriva il

Politeama Bellini, un teatro inlegno che anticipò di alcuni mesil'apertura ufficiale avvenuta il 17ottobre del vicino teatro comuna-le Verdi, comunque già funzio-nante da mesi con spettacoli diminore importanza. Nel maggio del 1914 fu inaugu-rato il cinema-teatro Mazari, unacostruzione in stile Liberty doverinomati spettacoli di varietà edoperette si alternavano con leproiezioni cinematografiche.Al termine della prima guerramondiale solo il Mazari ed ilVerdi riuscirono a riprendere leloro attività, peró nel 1925 si potèfinalmente disporre di una nuovamoderna sala cinematografica,costruita in muratura e ferrosull´area del vecchio teatroBellini, cessato fin dal 1911 e lacui platea era stata adibita a pistadi pattinaggio. Il nuovo cinema prese inizial-mente il nome "Eden" e poi, nel1936 e per ´ragioni di ordine pub-blico´ (un fantomatico generaleinglese aveva quel nome), fudenominato "Impero". Sul suoschermo furono proiettati i capo-lavori dell´arte muta fino a quan-do nel 1931, il ’muto’ fu soppian-tato dal ‘sonoro’.

Il Politeama Duca degli Abruzzi - 1914

GIOVEDÌ 13 DICEMBRE 2012

Questa foto di Brindisicostituisce certamenteuna sfida per chiunque si

voglia cimentare nell´arduaimpresa di identificarne l´esattaubicazione. E si, perché non solo la via nonesite piú con tale denominazioneo tale configurazione, ma anchequasi tutto il resto che é rappre-sentato nella foto, non esite piú.La via Circonvallazione eraquella che appare in bianco sullasinistra della foto e che poi, nelsettore ripreso dalla foto, mutóla sua denominazione a quelladi via Bastioni San Giacomo.In effetti, sul ”Piano regolatoredella cittá di Brindisi del 1883”tutta la strada compresa tra PortaLecce e Porta Mesagne, esternaalle mura e con un giro ad ango-lo quasi retto intorno al Bastionedi San Giacomo, si denominava”Strada di Circonvallazione”. Quindi, oltre all´attuale viaBastioni San Giacomo, corri-spondente a quella strada che érappresentata nella fotografia, lavia Circonvallazione compren-deva anche le attuali viaBastioni Carlo V, tra CorsoRoma e la stazione serroviaria, evia Bastioni San Giorgio, tra lastazione e Porta Mesagne.Il settore che nella foto é alladestra della strada bianca, fu poioccupato dal Parco dellaRimembranza, inaugurato nel1927 e sradicato nel dopoguerra

per far posto a edifici pubbliciche avrebbero potuto avere benaltra collocazione, invece diquella realizzata sull´unico pol-mone verde esistente nel centrocittadino.Il Bastione di Carlo V, quelloadiacente a Porta Mesagne, si

puó intravedere sul fondo dellafotografia, mentre il Bastione diSan Giorgio, quello che era sitodi fronte alla stazione ferrovia-ria, all´epoca della foto era giástato inspiegabilmente abbattutoproprio per far posto alla stazio-ne, la quale peró per nulla inter-

feriva con quel bastione. Mah! Il Bastione di San Giacomofinalmente, rimaneva invece allespalle della foto, sul lato destro.Fu per ordine di Carlo V che fucostruito il gran Torrione di SanGiacomo assieme alla cortinamuraria che, passando per il

Torrione di San Giorgio, rag-giungeva il Torrione di PortaMesagne e proseguiva quindifino al Castello di terra: una for-midabile cintura difensiva diterra compresa tra il Castello e,sul mare, la Porta Reale. Fino a quella antica porta infattisi estendevano i bastioni, dopoaver superato Porta Lecce. La Porta Reale, da tantissimotempo ormai scomparsa, eraubicata alla fne della StradaMaestra, la principale della cittá,che partendo da Porta Mesagnegiungeva fino al luogo in cui étutt´ora edificata la strutturadella Capitaneria di porto, dopoaver attraversato per interol´urbe medievale.E cosí, a completare l´intero cir-cuito perimetrale difensivo dellacittá non restava che solamenteil lungomare: dalla Porta Realeal Castello di terra infatti, tutto ilperimetro terrestre ai tempi delre di Spagna Carlo V (1500-1558) era formidabilmente pro-tetto.

Via Circonvallazione (B. San Giacomo) - 1903

aggravate.GIOVEDÌ 6 DICEMBRE 2012

Page 61: Gianfranco Perri su Senzacolonne

GIOVEDÌ 20 DICEMBRE 2012 11LEONI IN INDI

Mancó molto poco chequesta fotografia dive-nisse l´ultima foto di

Porta Mesagne, o di Porta Napoli,come si dice si chiamasse prima. E si, ...incredibile ma vero: i lavo-ri per la sua demolizione eranogiá iniziati quando DonPasqualino Camassa, il grandefilantropo brindisino ispiratorecon la sua ”Brigata degli Amatoridella Storia e dell’ Arte”dell´anima piú sensibile delnostro gruppo, vi si oppose, ...ecome!Papa Pascalinu appena informatodella decisione di abbattere lapericolante porta, inizió la suacrociata e quando vide che i lavo-ri di demolizione erano iniziati,non esitó a far trasportare il suoletto fin sotto l´arco della porta ea sdraiarsi su di esso: “Questaporta non si abbatte a meno chenon saró abbattuto anchi´io”.Tanta risoluzione sortí effetto!Nella prima metá del III secolo(nel 1243 per esattezza) la portaera stata fatta ricostruire, con conunica apertura a fornice di sestoacuto, da Federico II di Svevia.L´altra apertura, cosí come laconosciamo noi, fu poi praticatadi recente, alla fine degli annitrenta in occasione del restaurosucceduto al giá citato tentativofallito di demolizione, per soddi-sfare le esigenze della circolazio-ne pedonale che doveva esserenecessariamente separata da quel-la veicolare, ormai divenuta peri-colosamente intensa. Ma quella porta ”da sempre” erastata la principale ed a lungounica porta d´ingresso per via

terra alla cittá. Il suo complessooriginale risale infatti ad alcunidecenni prima della nascita diCristo, a quando Marco Antoniofece costruire quel tratto di cintamuraria che la comprendeva, perdifendere la cittá ed il suo strate-

gico porto dagli attacchi di terra.Da quella porta iniziava il suopercorso la medievale RuaMaestra, l´antica strada principa-le dell´urbe, che si displanavafino alla Porta Reale sul mare,spaccando in due la cittá lungo il

tracciato rimasto pressoché inal-terato ed attualmente contrasse-gnato da tre diversi toponimi, unoprosecuzione dell´altro: viaCarmine, via Ferrante Fornari(che nell´800 era chiamata viaAngioli) e via Filomeno

Consiglio.E su quella stessa porta, natural-mente, confluiva la Via Appia, laregina di tutte le vie “Regina via-rum” la cui costruzione partendoda Roma fu iniziata nel 312 a.c.dal censore Appio Claudio Ciecoe che per secoli e secoli fu transi-tata fino a Brindisi da imperatori,re, condottieri, avventurieri, viag-giatori di tutto il mondo e da tuttoil mondo, i quali tutti passaronosotto l´arco di Porta Mesagne perpoi guadagnare il mare perl´Oriente attraverso il porto diBrindisi, il piú sicuro di tutto ilMediterraneo, come sicuri loerano solo anche Giugno eLuglio. Interessante e per certi versid´attualitá é la targa marmoreaaffissa affianco alla modernaapertura laterale per il passaggiodei pedoni:

“Comune di Brindisi -Capoluogo di Distretto -Provincia di Terra d´Otranto”Tale infatti era lo status ammini-strativo di Brindisi, subito primache, nel 1927, Mussolini facesseotorgare alla cittá lo status di“Provincia“ suddividendo laProvincia Terra d´Otranto in treprovince: Lecce, Taranto eBrindisi.

Porta Mesagne “miracolata“ - 1925

GIOVEDÌ 27 DICEMBRE 201214

Avevo pensato che conquesta foto N° 50 sisarebbe potuta con-

cludere questa mia entusia-smante avventura, duratatutto un anno, dedicata a que-sta rubrica settimanale dicommenti alle piú interes-santi fotografie del gruppoFb “Brindisini la mia gente”.Entusiasmante per me, natu-ralmente, e spero gradita permolti dei lettori diSenzacolonne.Il nostro DirettoreGianmarco, con la sua usualegenerositá, mi ha invece sug-gerito di continuare e prolun-gare questa avventura. Nonho certo potuto dire di no,anche perché son sicuro chequella miniera di fotografiebrindisine che é diventato ilnostro gruppo “Brindisini lamia gente” non mancherá dioffrirmi ed offrirci ancoratante belle ed interessantissi-me fotografie da commenta-re.Ma permettetemi di scrivereche uno dei motivi piú validiper il quale credo che final-mente raccoglieró la sfida diprolungare la vita di questarubbrica, é sicuramente lega-to alla intima soddisfazioneprocuratami dai tanti com-menti che gli amici del grup-po “Brindisini la mia gente”,e non solo loro, hanno volutopuntualmente farmi giungeread ogni pubblicazione. Queicommenti sono stati tuttisempre molto gratificanti,

oltreché interessanti comple-mentari ed in piú di un’occa-sione finanche preponderantirispetto ai miei stessi com-menti iniziali, ed hanno per-ció costituito il mio principa-le stimolo ad andare avanti.

La scelta quindi di pubblica-re questa fotografia, non erastata assolutamente casuale.Dedicare quella che dovevaessere l’ultima foto dellaserie, alla gloriosa “Valigiadelle Indie” dei due bravi

brindisini e amici, GiancarloCafiero e GalianoLombardo, voleva infattiessere anzitutto un modestoma sentito e certamente con-diviso omaggio a due brindi-sini doc che hanno dedicato

gran parte della loro vita araccogliere, ordinare, classi-ficare e tramandare ogni purpiccolo testimone possibiledella nostra Brindisi passata,sottraendolo all’abbandonoall’incuria ed alla piú cheprobabile scomparsa. Manon solo... voleva ancheessere un simbolico passareil testimone della rubbrica...e nessuno meglio della“Valigia delle Indie” nesarebbe potuto diventare ilgeloso guardiano ed il fedeleperpetuatore.Con questa foto peró, voglioanche celebrare, con tutti ilettori di Senzacolonne e gliamici di “Brindisini la miagente”, i nientemeno che 30anni esatti di fortunata e for-tunosa esistenza della“Valigia delle Indie”, fondataappunto nel giá lontanonovembre del 1982 per visio-ne e volontá di Giancarlo eGaliano, e da loro due man-tenuta aperta per tutti noi, dasempre in quel di ViaTarantini N.20, con tantacaparbietá e non pochi gran-di sacrifici. Grazie Giancarlo e grazieGaliano! In tantissimi ve nesiamo grati.

La valigia delle Indie... quella del XX secolo

Page 62: Gianfranco Perri su Senzacolonne
Page 63: Gianfranco Perri su Senzacolonne

SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ... ccc ccccccccccc... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi

Ho sfogliato il libro della CRONACA DEI SINDACI DI BRINDISI 1787-1860 di Rosario Jurlaro, che mi é stato gentilmente regalato in una delle mie recenti visite a Brindisi dall`amico Giuseppe Silvio Rubini Neritene. É un malloppo di 650 pagine al netto di introduzione, bibliografia, indici etc.

É certo un po’ pesante da leggere, ma definitivamente interessante, visto che tratta dai fatti spiccioli della compra vendita di qualche lotto di terreno o della costituzione di una qualche banda municipale a quelli trascendenti come ad esempio i successi del 1860 con l´annessione al Regno d´Italia. Questo volume é il secondo delle Cronache dei Sindaci, il primo invece abbraccia gli anni precedenti, dal 1529 al 1787, editato da Jurlaro, é di Pietro Cagnes e Nicola Scalese.

Mentre a notte inoltrata sfogliavo questo bel mattone, mi é sorta l´idea di poterne fare materia prima dalla quale magari estrarre una nuova rubrica settimanale, in sostituzione di quella dello scorso anno dedicata a commentare

le foto del gruppo Brindisini la mia gente. Ne ho parlato con Gianmarco, il mio amico e direttore di Senzacolonne, il quale con la sua consueta gentilezza e disponibilità ha subito mostrato entusiasmo per la mia proposta. E così, detto fatto, ecco qui avviata la rubrica.

Ogni volta racconterò un qualche episodio o momento brindisino scritto nei libri delle Cronache, che mi risulti poter essere di particolare interesse per i lettori di Senzacolonne, selezionandolo alternamente tra quelli più significativi appartenenti alla ‘storia maiuscola’ e quelli più spiccioli e quotidiani appartenenti alla ‘storia minuscola’ della città.

Con i vari numeri della rubrica andrò sequenzialmente a ritroso nel tempo, partendo cioè dalla fine del 1860, con l´annessione di Brindisi al nuovo Regno e proseguendo all´indietro, con la prima metà dell´800, poi con il ´700, poi con il ´600 ed infine con il ´500.

Page 64: Gianfranco Perri su Senzacolonne

CRONACA

Anche Brindisi entra nel RegnoIl 15 luglio 1860 la città è piena di cartelli con il tricolore dell’Italia

di GIANFRANCO PERRI

Il 7 settembre del 1860Giuseppe Garibaldiaveva fatto il suo ingres-

so trionfale a Napoli, giáabbandonata dal reFrancesco II che solo pocopiú di un anno prima, il 2maggio 1859, aveva assuntoil trono dopo la morte diFerdinando II. A Napoli, ilplebiscito celebrato il 21ottobre aveva sancitol´annessione del regno delleDue Sicilie al regno diSardegna, ed il 26 ottobrec´era stato l´incontro a Teanotra Garibaldi e il re VittorioEmanuele II. A Brindisi, dal6 agosto era sindacoDomenico Balsamo, che erasucceduto a PietroConsiglio, sindaco dal set-tembre 1856.E per quel passaggio storicoanche molti altri patriotibrindisini si erano offerti edavevavo sofferto: tra i Mille,il medico Cesare Braico rap-presentó, e con meritata

fama, Brindisi e i brindisini. Ma, anche se meno famosi,ce ne furono tanti e tantialtri.Nel solo 1860, per esempio:Francesco Daccico, era statoprocessato per aver tenutoun «discorso tendente a spar-gere il malcontento contro ilreal governo». Solo qualchemese prima, in febbraio, erastato pocessato AntonioTassone per «cospirazionecontro la sacra persona del ree contro il real governo inquanto, con altri ignoti,appartenente a «setta mazzi-niana». E nello stesso feb-braio fu anche processatoMariani Laudadio di Casoli,detenuto del Bagno penalenel castello di terra, per«ricettazione di carte settariee conservazione di cartesediziose tendenti tutte adistruggere l´attuale formadi governo, con eccitare isudditi e gli abitanti delregno ad armarsi control´autoritá reale». Tra le cartesequestrate, due copie di un

proclama che iniziava cosí:«Italiani, con questo sacronome io vi appello al tribu-nale tremendo del mondointero».L´addetto alla corrisponden-za del regio corpo telegrafi-co di Brindisi, il 15 lugliotrasmette all´intendente diLecce: «Questa mattina alleore 5 sono stati trovati in varipunti di questa cittá vari car-

telli tricolori imitanti lastampa con la leggenda VivaGaribaldi, Viva la Sicilia,Viva l´IndipendenzaItaliana. Furono defissi».Leopoldo Decimo, OronzoCiampa e PasqualeCalabrese, furono processatiin agosto per «tentativo diguerra civile tra gli abitantidi una stessa popolazione,inducendoli ad armarsi gliuni contro gli altri».Eugenio Raffaele de Cesarefu invece processato conl´accusa di «attacco e resi-stenza con violenza e vie difatto, senza i caratteri di vio-lenza pubblica contro gliagenti di forza pubblica lasera del 14 ottobre». Mentreper fatti accaduti quella stes-sa sera furono processati per«asportazione di armi vieta-te» Francesco Marinaro,Carlo D´Arpe, AntonioCatalano, GiovanniLapruzzo, GirolamoZaccaria, Nicola Morelli eLeopoldo Decimo.E cosa successe dopo

l´annessione al regno sardo?Salvatore Panareo scrisseche, una volta caduta lamonarchia borbonica «qual-che arresto disposto dal sot-togovernatore Magno, losfratto dalla cittá di alcuniretrivi, fra i quali qualcheecclesiastico che non volevapersuadersi della ineluttabi-litá del destino, e il lodevolecontegno della guardianazionale, poterono ricon-durre rapidamente la calmain Brindisi».L´arcidiacono e dottoGiovanni Tarantini «per ilsuo tenace attaccamento alBorbone e per la sua attivitápropagandistica antiliberale»fu confinato in Torre SantaSusanna. E per «discorsi cheil 31 ottobre hanno avuto inmira solo di spargere il mal-contento contro l`attualegoverno, distogliendo dalprender servizio nella mari-na italiana» fu processatoVitantonio Caló. Nel 1861Brindisi entrò nel regnod`Italia appena costituito.

DOMENICA 31 MARZO 201314 DOMENICA 31 MARZO 2013

SABATO 30 MARZO 2013

CRO N C

Fine di una storia, inizio di un’altraIl 1860 a Brindisi attraverso la Cronaca dei sindaci di Rosario Iurlaro

di GIANFRANCO PERRI

La Cronaca dei Sindacidi Brindisi II dal 1787al 1860 di Rosario

Jurlaro, con-tinuata suquella diCagnes eScalese dal1529 al1787, è pre-ceduta daun`introdu-zione in 47pagine diJurlaro, e miè sembratoquanto maid o v e r o s ooltre cheo p p o r t u n or i p o r t a r n equi, inizian-do questarubbrica di"Schegge distoria brindi-sina", un breve frammento,che altro non è che l`ultima

sua pagina, quella che con-clude il relato delle cronachecon l`anno 1860. Anno dellafine di una storia e dell`ini-zio di un`altra storia, la sto-

ria diBrindisi nonappartenentepiù al regnodi Napoli odelle DueSicilie chedir si voglia,ma apparte-nente alregno diSardegna equindi poi,r e g n od`Italia.«Non èa n c o r aaccertato iltempo e illuogo in cuifu espressala triste pre-g h i e r a

"Iddio fai campare il re tiran-no perchè non venga un altropiù tiranno". Fu forse nel

meridione d`Italia, quandosembrò concluso il camminopercorso con la speranza digodere la libertà e di viverein egualianza e fraternità.Vi fu delusione quando ci siaccorse che veniva a manca-re, alla parte più cospiquad`Italia dei tanti staterellicon la liberazione daiBorbone, la libertà per laquale fin dal 1799 non pochisi erano sacrificati.L`egualianza, che in tantiavevano pensato di potergodere come figli di ununico padre, e la fratellanza,invocata perchè non vi fos-sero più fratricidi, venivanodisattese.L`impresa garibaldina a girodi vite aveva caricato comeasini i meridionali, li avevaportati in campo per otteneremolto meno di quanto ave-vavo sperato, una miseria:"una cinquina". E cosí, unasentenza in versi pose congiudizio di popolo, perchèsentenza popolare, in discus-sione il risultato delle lotte

risorgimentali italiane:"Giuseppi Garibaldi,a picca a piccandi mesi la varda,ndi mesi la vardacu totta la ncina,scemmu alla macchiapi nna cinquina"

Volutamente e in manierasubdola era stato attribuitodai capi di stato europei

all`istituto repubblicano,quello voluto da GiuseppeMazzini, spirito anarchico,di un`anarchia degenere enon pulita, come ogni onestouomo poteva desiderarla peril governo di se stesso neirapporti con gli altri.Fu confusione e le lobby,anche quelle dei massoni,trincerate dietro gli inganni,differirono l`aspettativa diquasi un secolo.Eduardo d`Accico, un brin-disino che non fu storico nèletterato nè filosofo, in unasua lettera ci da motivo perriflettere sugli esiti di questatrama ordita ai danni d`Italiache repubblica è poi stata,com`era nei voti, dopo quasiun secolo di un`altra monar-chia voluta per inerzia di unpopolo che, ancora schiavodel suo passato, non fu deter-minante nemmeno il 2 giu-gno 1946, giorno di quelriscatto nazionale che per ipiù è forse ancora in fieri».

GIANFRANCO
Texto escrito a máquina
GIANFRANCO
Texto escrito a máquina
Page 65: Gianfranco Perri su Senzacolonne

DOMENICA 14 APRILE 2013 15

Quel re orgoglioso e morenteQuattro mesi prima della sua dipartita Fernando II venne a Brindisi

di GIANFRANCO PERRI

Il 15 gennaio 1859, il reFerdinando II di Borbone,giá molto malato, passó da

Brindisi, e Raffaele De Cesarein «La fine di un regno» ricor-dó che, rispetto alle altre terree alle altre cittá visitate duran-te quel viaggio in Terrad´Otranto «dimostrazioni piúclamorose aveva preparateBrindisi». Racconta De Cesare che ibrindisini erano tutti fuoridell´abitato, con il sindacoPietro Consiglio e con il sot-tintendente Mastroserio che,zoppo per cronica infermitá,aveva fama di zelantissimo edera temuto, si diceva, persinodallo stesso intendente CarloSozi-Carafa, nonché dai sin-daci, decurioni e guardied´onore di tutto il circondario. All´ingresso della cittá, erastato rizzato un arco altissimo,sul quale si leggeva l´epigrafeseguente: «Al benamatosovrano restitutore della suasalute, Brindisi riconoscente,de’ suoi figli la vita consacra».

Attorno all´arco stava schiera-to un battaglione dei cacciato-ri, con la banda municipale. Il sovrano e la regina, MariaCristina di Savoia, si recaronoal Duomo, dove furono rice-vuti dall´arcivescovo monsi-gnor Raffaele Ferringo, buonae gioviale persona nativa diNapoli, che per quella specia-le circostanza aveva indossatoil piviale fin dalle prime oredel mattino; dall´arcidiaconoGiovanni Tarantini, il dottouomo brindisino che il re giáconosceva, e dal capitolotutto. I sovrani attraversaronol´ampia Cattedrale in mezzo adue fila di seminaristi e dicanonici, dietro ai quali stava-no soldati e gendarmi, e poiuna turba di popolo. Il re simoveva con difficoltá e sem-brava che soffrisse molto. Cantato il Te Deum e ricevutala benedizione, il re e tutto ilsuo seguito salirono sull´epi-scopio annesso alla chiesa,dov´era preparata una lautarefezione, e dove si compí ilricevimento delle autoritá e

relativo baciamano.Il re chiese all´arcivescovonotizie sui liberali di Brindisie specialmente su GiovanniCrudomonte, che era statocondannato a 24 anni di ferriper i fatti del 1848 e chiuso nelBagno penale di Procida.Il sottintendente qualche gior-no prima aveva chiamatoFrancesco Crudomonte, figliosorvegliato di Giovanni, e gliaveva ingiunto, per mezzo delcommissario di polizia, diradersi la barba, considerata

simbolo di tendenze rivoluzio-narie.Il re era sofferentissimo e tre-mava dal freddo. Dichiaró dinon voler mangiare e, alleinsistenze della regina, preseun’ostrica, di quelle gigante-sche che si trovavano alloranel porto di Brindisi e, dicen-do con molta cavalleria: «que-sta la mangio perché é vera-mente brindisina», ne inghiot-tí una parte soltanto. Gli altri presenti mangiaronolautamente e tra loro il duca di

Calabria, figlio del re, che fecegrandi lodi del pane diBrindisi, che trovava eccellen-te. Al tocco, si discese dall´epi-scopio; già erano pronte lecarrozze, e fra le grida, nonmolto clamorose, della folla egli augurii e gli inchini delleautoritá, si partí per Bari.Ferdinando II morí a Caserta il22 maggio di quel 1859 e glisuccedette Francesco II(Frangischiello).

15

Porto, una nuova banchinaIl 28 dicembre 1860 un bando per renderlo ancora più funzionale

di GIANFRANCO PERRI

Il 17 gennaio 1856 si svolseuna pomposa cerimonia di«inaugurazione di nuove

opere nel porto di Brindisi».Un capitolo si era concluso,non certo l´ultimo, e perl´occasione, Raffaele Rubiniscrisse un componimento poe-tico stampato nella litografiadell´intendenza di Lecce, incui era stato definito provvidoe pio re Ferdinando. L´esem-plare del foglio stampa posse-duto dal proprio autor, contie-ne correzioni autografe edespressioni di pentimento amargine di quei versi in cuierano espressi giudizi favore-voli ed elogi per re FerdinandoII e per Carlo Sozi-Carafa,intendente. «É questo un documento cheesprime il travaglio umano eideologica di uno dei piú illu-stri personaggi dell´800 brin-disino».In un discorso letto il 6 mag-gio 1858 da quel già citatointendente, c´é scritto: «Nelporto di Brindisi, oltre a tutti

gli altri lavori che sono incorso, e che non saranno pro-castinati affatto, verrannotosto intrapresi i cavamenti delfondo, precisamente nel cana-le d´ingresso al porto interno,la cuale cosa influirà potente-mente a migliorare le relazionicommerciali della provincia,perchè potranno comodamen-te ancorare nello stesso, anchei legni di grossa portata. Sonodi molta importanza le banchi-ne che si stanno costruendoper garantirne gli argini inmodo da non andar corrosi efranati dall `impeto e dal con-tatto dei flutti. Le opere dibonifica che sono già compiu-te hanno fatto mutare la fisio-nomia di Brindisi e di tuttequelle circostanti contrade».Il 28 dicembre 1860, nel pienodei fermenti legati all`annes-sione del regno delle DueSicilie al regno di Sardegna,Alfonso De Carlo, il nuovogovernatore della provincia diTerra d´Otranto, bandí il con-corso d´appalto di una nuovaserie di lavori programmati egiá approvati, per il porto di

Brindisi, la costruzione d`unaparte della banchina nel senodi ponente: un chiaro segnaledi quanto fosse importante eprioritaria per i brindisiniquella secolare questione delporto. È del resto ben documentatal`insistenza dei brindisini, findai primissimi giorni delnuovo corso storico: Il 16ottobre 1860, il garibaldinoEduardo d`Accico, influentepatriota brindisino, scrisse daNapoli, da poco più di un

mese occupata da Garibaldi,per rispondere a un`ultimarichiesta per i restauri delporto avanzata al nuovogoverno nazionale dalla muni-cipalità di Brindisi, attraversoGiuseppe de Roma.«Per il porto e nel porto simossero ancora i cittadini e inuovi immigrati perché inquello speccchio d´acqua pen-sarono di vivere ancora le pro-prie liete o tristi giornate spe-ranzosi d´incontrarsi, come difatti si erano incontrati e con-

tinuarono a incontrarsi, con icittadini di tutto il mondo, fra-telli non soltanto italiani».Questo terzo capitolo chiudela serie sul porto di Brindisi,ma non perché la materia si siaconclusa, anzi, tutt`altro. Laserie si chiude qui solo perchécon il 1860, anno di annessio-ne di Brindisi al regno Savoia,si concludono le “Cronachedei Sindaci di Brindisi” diRosario Jurlaro, fonte di que-sta rubrica di:“Schegge di storia Brindisi».

DOMENICA 7 APRILE 2013

Page 66: Gianfranco Perri su Senzacolonne

MARTEDI’ 23 APRILE 2013

16

Quegli anni di cospirazioneLe rivolte che segnarono Brindisi a metà del secolo XIX

di GIANFRANCO PERRI

La rivolta scoppiata aPalermo il 12 gennaio1848 rimbalzó nel conti-

nente e il re Ferdinando II, pre-occupato, l´11 febbraio pro-mulgó la costituzione. Ma nonfu sufficiente, e la rivolta, checontinuó con episodi che sisusseguirono nelle provincedel regno durante tutto l´annoed il seguente, fu ferocementesoppressa. Il 15 maggio 1849Palermo venne rioccupatadalle truppe borboniche e il 13settembre il marescialloMarcantonio Colonna entrónel capoluogo della Terrad´Otranto. Inizió cosí unalunga stagione di persecuzioni,arresti, processi e condanne,che si protrasse per tutti glianni ´50. Tra centinaia di condannati,molti i patrioti brindisini, e tradi loro Cesare Braico eGiovanni Crudomonte, che fucondannato a 24 anni nelBagno penale di Procida.Il 22 febbraio 1850, vennenominato intendente della pro-

vincia di Terra d´Otranto,Carlo Sozi-Carafa e il 2 marzo1850, 200 notabili di Brindisisottoscrissero una petizione alre perché abrogasse la costitu-zione del febbraio 1848 e ligovernasse «con quelle istitu-zioni e con quelle leggi, che ilpaterno cuore della M.V. sentemeglio emanare per la tran-quillitá e prosperitá del suopopolo». Il 5 marzo dello stes-so anno, anche il sindacoPietro Consiglio e i 18 decu-rioni di Brindisi inoltrarono alre la stessa petizione. E final-mente il 6 marzo anche laChiesa di Brindisi, con il suoprimicerio Giovanni Tarantini,testificó la volontá del popolo,marinai e contadini, a volereche il re abrogasse quello sta-tuto « per due anni interi fune-sta causa di tanti mali».Il 19 agosto 1852 fu scopertoun complotto per «commetterla fuga dal Bagno di Brindisi, ecospirazione a fin di portarestrage e saccheggio in cittá».Furono trovati «emblemi edistintivi settari consistenti inuna bandiera tricolore e sette

nastri simili, poesie di G.Berchet, carta con la scrittaDio e il popolo, poesia "Latoletta" di L. Corabi, e tantelettere sovversive». Nel 1853 fu istruito il processopolitico nella gran corte crimi-nale di Lecce a carico diVincenzo Zocchi e DonatoStefanachi, di Lecce, NicolaCarbone di Capua, e GiuseppeNisi di Brindisi, per «discorsitendenti a spargere il malcon-tento contro il governo, tenutinelle carceri di Lecce». E afine anno, le carceri di Brindisi«sotto l´orologio» accolseroCamillo Monaco di Oria, che

era in cittá a domicilio forzosoper le turbolenze politiche incui era stato immischiato nellacapitale, quando il 18 ottobre«con temeraria audacia mazzi-niana accompagnata dadisprezzo, mentre trovavasi inteatro a Brinsisi la sera che ivifesteggiavasi l´onomastico delre, un momento prima chel´orchestra intuonasse l´innoborbonico, uscí fuori condisprezzo restituendosi poidopo che fu terminado il can-tarsi dell´inno».Nel mese di agosto 1855 vi fu«cospirazione con discorsi escritti tendenti a spargere il

malcontento contro il gover-no» e per ciò a Lecce fu pro-cessato, con i due detenutiPietro Gorgia e DomenicoRomeo, il presidiario del Fortedi Brindisi Luigi Sivo.Nel 1856 furono scoperti inBrindisi i verbali di un circolorepubblicano nel botteghino diCesare Chimienti, e con luifurono processati per «associa-zione illecita e per cospirarcontro il governo» DomenicoBalsamo, GiovanniCrudomonte, Cesare Gioia,Giovanni Bellapenna, IgnazioMele, Giuseppe Camassa,Tommaso Quarta, GiovanniLaviani e don PasqualeMarangio di San Pietro V.Il 10 Luglio 1857 vi fu istrutto-ria penale a Vincenzo Greco,detenuto politico del Bagnopenale, accusato di aver stesouno «scritto criminoso perprovocare gli abitanti delregno ad armarsi contro l´auto-ritá: il proclama ai leccesi...perché soccorrano i fratellidi Sicilia e Cilento che giáhanno cominciato a disertaredalla tirannide».

DOMENICA 21APRILE 2013

15

Vista da due illustri viaggiatoriBrindisi raccontata nel 1851-1853 da Flaubert e Vischer

di GIANFRANCO PERRI

Nel febbraio 1851 GustaveFlaubert, lo scrittorefrancese autore del cele-

bre Madame Bovarý, sbarcó aBrindisi tornando dalla Grecia eannotó le telegrafiche impres-sioni seguenti: «Lunedí 10 febbraio: Vista diBrindisi con coste basse, forte eporto - Marinai in maglione -Musicista ambulante e giova-notto rosso, in cappottino di vel-luto e basco calzato sull´orec-chio - Ipertrofia di cuore -Dogana con il commissario dipolizia - Strade bianche e tor-tuose, teatro, albergo di Cupido- Cena - Passeggiata fuori cittá,strada, aloe, angolo fortificato,colore arancio del sole, calma -Contadini e contadine che ritor-nano dai campi - “Buona sera!”- Ritorno in albergo - Teatro “Lafiglia del conte Orloff“ - Nottein grandi letti. Martedí 11 feb-braio: La mattina aspetto Maxche é andato a fare il giro dellacittá - Polizia - Partiti proprio amezzogiorno - Vecchia carrozzatappezzata in rosso su alte ruote;tre cavalli neri, piume di pavonein testa. Il padrone, omone inberretto di seta sotto il cappellobianco, ci accompagna; dietro

oltre il cocchiere, c´é un ragazzoa cassetta. Usciti per il luogo incui ieri sera siamo stati a pas-seggio - Strada dritta, pianurapiatta, molto verde, ben coltiva-ta; il mare a destra, ben presto losi perde di vista - Una fattoria -Passo falso, ci fermiamo, la trer-ra é polverosa, friabile, spessa –Boschetto di quercioli – Operailavorano per fare ponti sulleinondazioni».Il 16 marzo 1853, WilhelmVischer, esploratore botanicosvizzero, costeggiando l´Italiaper recarsi in Grecia da Trieste,ove si era imbarcato sulla nave avapore “Mamudie“ appartenen-te al Lloyd austriaco, scrisse:«Alle cinque della sera ci anco-rammo vicino Brindisi, l´anticaBrundisium.Nell´antichitá era il primo – perimportanza – porto di maredella costa orientale italiana elocalitá abituale di transito perl´Illiria e la Grecia, ma oggi émolto decaduta. Il porto interno, spazioso e benprotetto, é infatti ora insabbiatoe accessibile soltanto da alcunepiccole imbarcazioni. Quellepiú grandi devono rimanere inquello esterno, piú esposto alvento, sul cui lato nord si trovauna fortezza con il faro e il tele-

grafo. Un´altra fortezza, di maggioridimensioni, domina il portointerno. A sud di questo porto siestende la cittá, che, vista dalmare, fa una bella impressione. Sugli edifici urbani si erge lavecchia Cattedrale, con unagrande cupola ed il campanileseparato da questa. Nella zonaesterna sul mare, si elevano dueantiche colonne, di dimensionipossenti, che sono visibili dalontano: l´una é interamenteconservata, l´altra risulta diroc-cata.L´intera costa orientale d´Italiadal monte Gargano sino aBrindisi, é abbastanza piatta,proprio in contrasto con la costaoccidentale calabrese, dove imonti si innalzano direttamentedal mare. Su bassi dossi colinari dellacosta pugliese, che si trovano auna certa distanza dal mare, siscorgono numerose localitá, dalontano molto belle nel lorobiancore scintillante. La zona diBrindisi é invece molto piatta erisulta poco salubre. Dopo alcune ore di sosta perimbarcare merci e passeggeri,lasciammo il porto e puntammoverso la costa dirimpettaia delmare Adriatico».

La colonna miliare nel 1853 in un disegno di S. Leale

Page 67: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Gianfranco Perri

in

Page 68: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Ricorre quest'anno l'anniversario Nº 100 della tragedia della Benedetto Brin: Occasione propizia per restituire decoro al monumento tombale dei marinai

di Gianfranco Perri

In questo 2015 ricorrerà il centenario della tragedia brindisina della nave corazzata Benedetto Brin: sarà il 27 settembre alle ore 8 e 10 minuti del mattino quando si compiranno cento anni esatti dall'esplosione della santabarbara della nave che si trovava alla fonda nel porto medio in prossimità della spiaggia Fontanelle, adiacente a Marimisti, di fronte alla costa Guacina. La nave s'incendiò e s'inabissò portando con sé in fondo al mare 456 marinai, in sostanza la metà dell`intero equipaggio di 943 uomini che in quel lunedì mattina erano imbarcati, e tra i tantissimi caduti il comandante della nave, il capitano Gino Fara Forni e anche il comandante della 3ª Divisione Navale della 2ª Squadra, il contrammiraglio Ernesto Rubin de Cervin.

Un boato tremendo squarciò l'aria e il rombo di un'esplosione si ripercosse lontano sul mare e sulla città, le navi ancorate ebbero un sussulto e le case tremarono. La nave non si vedeva più e al suo posto una colonna alta oltre cento metri di fumo giallo, rossastro, misto a gas e vapori s'innalzava al cielo. La catastrofe apparve in tutta la sua orrenda grandiosità alcuni momenti dopo, quando la colonna di fumo lentamente si diradò.

L'affondamento della Benedetto Brin nel Porto di Brindisi il 27 settembre 1915

Ecco qui una parte di quello che raccontò l'ufficiale Fausto Leva, testimone della tragedia: «Nel fumo denso si distinse per un momento la massa d'acciaio della torre poppiera dei cannoni da 305 mm, che lanciata in aria dalla forza dell'esplosione fino a metà della colonna, ricadde poi violentemente in mare, sul fianco sinistro della nave. Pochi momenti dopo, dissipato il nembo del fumo, lo scafo della Benedetto Brin fu veduto appoggiare senza sbandamento sul fondo di dieci metri e scendere ancora lentamente, formandosi un letto nel fango molle. Mentre la prora poco danneggiata si nascondeva sotto l'acqua che arrivava a lambire i cannoni da 152

Pubblicato su Senza Colonne News del 11 luglio 2015

Page 69: Gianfranco Perri su Senzacolonne

della batteria, la parte poppiera completamente sommersa appariva sconvolta e ridotta a un ammasso di rottami. Caduto il fumaiolo e l'albero di poppa, si ergeva ancora dritto e verticale l'albero di trinchetto» [estratto da “La base navale di Brindisi durante la grande guerra” di Teodoro G. Andriani, 1993].

Fatalità volle che nel quadrato di poppa il contrammiraglio Rubin a quell'ora teneva a rapporto gli ufficiali, per cui la maggior parte di loro saltò in aria tra l'ammasso informe dei rottami sconnessi e roventi: mai si ritrovò neppure la salma del contrammiraglio.

Esemplare fu il comportamento dell'equipaggio superstite della corazzata. Questo riferisce il comandante del cacciatorpediniere francese Borèe che stava uscendo in mare aperto e che transitava in quel momento a qualche centinaio di metri dall'esplosione: «Una grande parte dell'equipaggio superstite della Brin, subito dopo l'esplosione si era raccolta sulla prua in perfetto ordine e non si udiva tra quegli uomini né un grido né un appello. Non ho visto un solo marinaio gettarsi in acqua prima che sia stato dato l'ordine di abbandonare la nave: una condotta veramente ammirevole» [estratto da “Brindisi durante la prima guerra mondiale” di Teodoro G. Andriani, 1977].

Lo sbarco avvenne qualche minuto dopo in tutto ordine. Numerosi rimorchiatori e imbarcazioni delle tante navi italiane e francesi presenti nel porto raccolsero i superstiti e li portarono nelle loro infermerie.

La corazzata Benedetto Brin, lunga 138 metri e larga 23 metri, pescava 8 metri, aveva una stazza di 14000 tonnellate ed era dotata di 46 cannoni 2 mitragliere e 4 lanciasiluri. La sua costruzione iniziò nel 1899 e fu varata nel 1901 a Castellammare di Stabia.

Fu consegnata alla Regia Marina nel 1905, ricevendo la bandiera di combattimento il 1º aprile 1906. Durante la guerra italo-turca aveva partecipato allo sbarco a Tripoli il 2 ottobre del 1911.

Il varo della Benedetto Brin a Castellammare di Stabia nel 1901

Page 70: Gianfranco Perri su Senzacolonne

La corazzata era stata intitolata a Benedetto Brin, un militare di mare nato a Torino nel 1833, che fu generale del genio navale, economista e uomo politico. Fu il rinnovatore della Marina Militare Italiana e fu creatore delle prime grandi corazzate moderne e progettista dei primi incrociatori da battaglia. Fu ministro della Marina per circa dieci anni, e fu anche ministro degli Esteri. Promosse lo sviluppo dell'industria navalmeccanica italiana e nel 1878, istituì a Livorno l'Accademia Navale.

Immediatamente dopo lo scoppio, le autorità militari avanzarono l'ipotesi dell'attentato ad opera dei nemici di guerra austriaci, ma poco a poco cominciò a prendere corpo anche la più verosimile possibilità di un'autocombustione avvenuta nella grande stiva adibita a deposito di munizioni: il calore della sala motori, vicina al locale della santabarbara, avrebbe innescato l'incendio che a sua volta avrebbe fatto scoppiare le munizioni. Mai fu data una risposta definitiva... e ormai, certamente non importa troppo sapere l'esatta verità, né certamente mai importò troppo saperla a quei 456 marinai.

D'altra parte non è tra i propositi di quest'articolo, il proporre una ricostruzione storica di quel tragico episodio accaduto a Brindisi cent'anni fa, né tanto meno l'approfondire il dibattito, mai chiuso, sulle cause e sulle responsabilità di quel luttuoso evento, così grave e impattante da giungere a coinvolgere l'intera città con tutti i suoi cittadini. Già altri, e con maggior cognizione di causa della mia, si sono da anni dedicati con più o meno successo a entrambi obiettivi [raccomando agli interessati la lettura di quanto contenuto a tale proposito su “Memorie brindisine” di Antonio M. Caputo, 2004].

La Benedetto Brin in navigazione

Invece, prendendo spunto proprio dallo scritto del professor Caputo, mi piace qui ricordare come Brindisi partecipò al luttuoso evento con tutta se stessa, e con la generosità che in certe occasioni è sempre capace di dare. Il sindaco, Giuseppe Simone, indisse tre giorni di lutto cittadino e il consiglio comunale, il 24 giugno 1916, deliberò di intitolare alla “Benedetto Brin” e ai suoi caduti la strada del rione Casale, che ancora oggi collega l'ex collegio navale allo stadio comunale e quindi all'aeroporto militare.

Page 71: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Sulla banchina del porto si raccolse una folla enorme che assistette in angoscioso silenzio a quel crudele spettacolo del recupero dei corpi dilaniati e dei superstiti feriti che furono ricoverati nell'ospedale della Croce Rossa e nell'Albergo Internazionale, subito adibito a infermeria d'emergenza e che, per l'occasione, funse da efficiente ospedale militare.

Numerose testimonianze di cittadini che quel tragico lunedì si riversarono riverenti sulle vie del porto, descrissero le operazioni di salvataggio, che proseguirono durante l'intero giorno e per tutta la notte, con lo spettacolo sconvolgente dei corpi martoriati e delle orribili ferite dei superstiti.

A Brindisi affluirono molti dei parenti dei militari protagonisti della tragedia, con la disperazione per la perdita improvvisa dei loro congiunti che fu immensamente accresciuta per quelle tante famiglie che si resero conto che mai avrebbero potuto piangere e pregare sulla tomba dei loro cari: le vittime infatti, in maggior parte risultarono ufficialmente scomparse perché i loro corpi dilaniati furono impossibili da riconoscere.

Il popolo brindisino si strinse attorno alla Marina Militare in una gara generosa di solidarietà e di abnegazione, accogliendo con slancio e comprensione la folla dei familiari accorsi da ogni parte d'Italia per dare sepoltura alle martoriate salme dei caduti.

I funerali delle prime salme recuperate ebbero luogo il giorno successivo allo scoppio, tra due fitte ali di popolo riverente, e per le altre proseguirono anche nei giorni seguenti. Tutte le spoglie dei marinai che non poterono essere consegnate alle famiglie furono seppellite in un'area del cimitero cittadino messa a disposizione dal comune e specialmente adibita.

Area tombale dei marinai della Benedetto Brin nel cimitero di Brindisi

Page 72: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Le targhe con i nomi dei 456 marinai morti nello scoppio della Benedetto Brin

Rettore della chiesa Madonna di Loreto del cimitero, era a quel tempo il grande filantropo brindisino, canonico Pasquale Camassa -Papa Pascalinu- che era anche cappellano militare e che pertanto visse quella dolorosa esperienza come pochi altri. Egli infatti adempì il seppellimento di tanti di quei marinai sfortunati e assistette al dolore dei familiari dei caduti che anche durante gli anni successivi alla tragedia si recarono in pellegrinaggio a Brindisi per visitare le tombe.

Inoltre, perché di quel funesto disastro potesse conservarsi perenne memoria, Papa Pascalinu si premurò personalmente di raccogliere e far sistemare nel Museo Civico della città alcuni avanzi di quella nave fatale, così come lo volle lui stesso testimoniare con ogni dettaglio in un numero del suo giornaletto “Il prossimo tuo” che uscì nel 1917.

Le spoglie mortali di quei tanti marinai giacquero nel cimitero comunale di Brindisi per tantissimo tempo, fino a pochi anni fa, quando furono traslate al cimitero militare di Bari, mentre in quello stesso settore del nostro cimitero furono sepolti anche molti militari, quasi tutti marinai, morti in combattimento durante la seconda guerra mondiale.

In quell'area del nostro cimitero comunale però, che per tutti noi brindisini resta indissolubilmente legata al ricordo di quell'immane tragedia cittadina, si erge tuttora il suggestivo monumento funereo che fu eretto a ricordo di quel funesto 27 settembre di 100 anni fa, e ci sono inoltre, allineate lungo il Viale Eroi del Mare che delimita il settore, le trenta targhe marmoree che portano incisi in ordine alfabetico i nomi di quei 456 sfortunati marinai italiani.

Page 73: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Monumento funereo della tragedia della Benedetto Brin nel cimitero di Brindisi

E a proposito del nostro cimitero comunale -non sono in grado di affermare che si tratti di una mia esperienza singolare o se la stessa sia in qualche misura un'esperienza comune ad altri miei concittadini- uno tra i ricordi più suggestivi che conservo della mia infanzia e anche dell'adolescenza e oltre, è proprio quello delle mie lunghe passeggiate tra i viottoli del cimitero comunale.

Page 74: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Naturalmente ricordo quelle dell'immancabile appuntamento annuale del 2 novembre in compagnia dei miei, ma soprattutto ricordo quelle, più tranquille e molto più suggestive, fatte in solitudine a ogni occasione in cui mi toccava partecipare al funerale di un parente, o amico, o conoscente.

Alla fine della cerimonia funebre, mi appartavo e quindi mi dileguavo tra quei viottoli. E ricordo bene, come quelle più emotive fossero le lunghe camminate fatte nelle fredde e grigie mattine autunnali, o quelle che più di rado capitavano in soleggiati e tiepidi pomeriggi invernali.

Quelle mie camminate perlustrative duravano qualche ora e il percorso non seguiva alcun itinerario prestabilito. Solo mi soffermavo a leggere le varie lapidi -nomi e date- specialmente quelle che attraevano la mia attenzione per sembrare essere più antiche, oppure quelle dai nomi meno comuni o addirittura stranieri, e anche quelle che ritrattavano personaggi d'altri tempi in uniforme militare.

Dalle date della morte cercavo di risalire al periodo storico dell'evento: Fine ottocento? La prima guerra mondiale? La seconda? Tra le due guerre? Nel dopoguerra? E quegli stranieri con spesso nomi inglesi? Erano militari o erano civili? E se erano donne oppure uomini non militari, perché erano sepolti a Brindisi? Saranno stati marini, o comunque viaggiatori di una delle tantissime navi che approdavano a Brindisi? Magari della Valigia delle Indie, magari erano stati colti in viaggio da un'improvvisa malattia, o sorpresi da una qualche grave epidemia?

Da ragazzo, quando non avevo affianco mio padre o mia madre ai quali chiedere, in certe occasioni annotavo nomi e date e poi cercavo di scoprire qualche indizio: a casa chiedevo a mio padre e a mia madre e finanche cercavo di rintracciare notizie sulle enciclopedie e in biblioteca. Ma era dura: ...e già, non c'era ancora Google! Eppure qualche scoperta interessante -per quella mia fantasia fanciullesca e adolescente- riuscii anche a farla!

Ebbene, il luogo del cimitero che più d'ogni altro ha da praticamente sempre attratto vigorosamente la mia attenzione, e continua a farlo tuttora, è quell'ampio settore delimitato da una serie di innumerevoli croci bianche, tutte uguali: le decine e decine di croci dei giovani e giovanissimi marinai caduti della Benedetto Brin e dei tanti altri caduti negli abissi marini dell'Adriatico durante la seconda guerra mondiale.

Ma purtroppo, quel settore del cimitero richiama oggi la mia attenzione, e certamente anche quella degli altri visitatori, altresì perché si presenta sempre più fatiscente e sempre più desolato e triste, di una tristezza non accomunata al senso della morte, ma accomunata al senso dell'abbandono.

Ma com'è mai possibile? Perché tale abbandono? Sarà forse perché son già passati tanti anni -ormai cento- e quindi quei marinai sfortunati, italiani anche se non brindisini, non hanno più amici o parenti che possano depositare un fiore su i loro resti?

O sarà perché nel vortice frenetico della vita moderna si è perso il senso della compassione e anche quello del rispetto? E già: Non c`è più tempo per certe cose, ci sono ben altre questioni più urgenti da risolvere, si è sempre in ben altre faccende affaccendati.

Page 75: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Segni dell'abbandono in cui versa l'area tombale della Benedetto Brin nel cimitero

E chi dovrebbe occuparsi di rimediare tale infausta e sconcia situazione? Non ne sono del tutto certo, ma credo proprio che spetti alle autorità comunali della Città e a quelle militari e della Marina. E perchè mai dovrebbero farlo? Ma perché di motivi ce ne sono veramente tanti: la compassione e il rispetto per chi ha dovuto sacrificare la propria giovane vita in nome di quella nostra stessa “patria” sarebbero certo due ragioni di grandissimo peso e da sole dovrebbero bastare.

Eppure, io son convinto che in gioco ci sia anche qualcos'altro, forse ancor più importante: si tratta, temo, di un nuovo segnale della pericolosa tendenza alla definitiva dissoluzione della memoria storica della nostra Città. Se anche quest'abbandono continuerà, tra qualche anno quelle tombe non saranno più riconoscibili, i nomi dei marinai e le stesse date non saranno più leggibili, la sterpaglia coprirà e divorerà tutte quelle croci.

E allora nessun ragazzo brindisino si potrà chiedere di cosa si tratti, e il nome Benedetto Brin finirà col non dir nulla alla maggior parte dei brindisini... “Ma che strano nome ha quella via del Casale! Sarà Brin il diminutivo di Brindisino?” E già, potrebbe anche far ridere, ma purtroppo questa domanda io l'ho già ascoltata una volta, e non ho riso: me ne sono solo un po' rattristito.

Vabbè! Qualcuno potrebbe anche dire: “Poco male, non è poi così grave per la Città se dovesse accadere che dopo cent'anni ci si dimentichi della Benedetto Brin e della sua immane tragedia”. E certamente non sarebbe così grave se si trattasse di un episodio isolato, di una sfortunata dimenticanza, però non è così. Purtroppo noi brindisini sappiamo benissimo che, se dovesse accadere, questo nuovo abbandono si andrebbe a sommare alla triste e lunga collana di perle nere della nostra storia cittadina che negli anni si è andata sistematicamente

Page 76: Gianfranco Perri su Senzacolonne

arricchendo con sempre nuove perle nere: la torre dell'orologio, il parco della rimembranza, il teatro Verdi, il quartiere delle Sciabbiche, il bastione San Giorgio, il palazzo liberty del Banco di Napoli in Piazza Vittoria, o il palazzo Titi giù al corso, etc., etc., etc.

Purtroppo, infatti, nonostante l'importanza il valore e l'indispensabilità della conservazione della memoria storica di una comunità o di una città o di un'intera popolazione, costituiscano ormai concetti universalmente acquisiti tra le società civili, a Brindisi, complice in molti casi l'ignoranza e in molti altri la malafede, lo sport preferito da chi ha esercitato il potere decisionale, durante anni, decenni e ormai secoli, è stato quello del trascurare, dell'abbandonare, e finalmente del cancellare o abbattere.

Una volta ho sentito dire che molti dei giovani brindisini d'oggi non s'interessano alla storia della propria città perché non le vogliono sufficientemente bene poiché si sentono profondamente delusi e traditi dalla situazione in cui essa oggi versa. Io, invece, affermo che solo quei brindisini, giovani e meno giovani, ai quali non è stata opportunamente insegnata la storia della loro Città, possono non amarla: e giuro che è vero!

Non è voler fare allarmismo facile, né purtroppo si tratta di un pessimismo ingiustificato, ma sono semplicemente i fatti concreti e quotidiani che obbligano allo sconforto e all'allarme. Non si può e non si deve continuare a maltrattare disdegnare trascurare e finalmente cancellare ogni elemento, piccolo o grande prominente o secondario, che rimanda al passato prossimo o remoto che sia, e solo perché non rispondente all'utile misurato con il metro del rendiconto del tangibile immediato. E' ormai giunto il momento di richiamare l'attenzione sul rischio che si possa finire con il perdere del tutto e irrimediabilmente la memoria storica della nostra Città.

E naturalmente neanche si vuol qui scoprire l'acqua calda. Infatti, a Brindisi non sono di certo mancati tanti bravi e autorevoli concittadini -come non citare ancora Papa Pascalinu Camassa- che in più e ripetute occasioni hanno a questo proposito segnalato, hanno avvertito, hanno denunciato, hanno protestato, avantieri come ieri e come oggi. Ma purtroppo non sono stati sufficientemente ascoltati e speriamo che si finisca con l'ascoltarli, prima che sia troppo tardi:

“Io ti dico che se ne le tue vene non circola l’eredità dei millenni, che se nel tuo cuore non canta il poema de le lontane memorie, tu non sei un uomo, non rappresenti un popolo, né puoi vantarti d’essere membro d’una nobile città” Cesare Teofilato (1881-1961).

“Il recupero della memoria storica deve rappresentare il momento fondamentale di ogni esperienza civica. La consapevolezza del nostro passato qualifica il rapporto con la città. Il corredo di testimonianze a noi vicine, alcune ritrovate e altre perdute o recuperate, sono tratti di un’identità alla quale una comunità ha il dovere di conformarsi allorché progetta il suo futuro” Domenico Mennitti (1939-2014).

Parecchi anni dopo l'affondamento, durante lavori rutinari di dragaggio del porto, fu fortunosamente recuperata la campana della Benedetto Brin e da allora la si conserva gelosamente nella cappella sacrario del Monumento al Marinaio: probabilmente, dal fondo del mare, un chiaro monito per tutti i brindisini a «non dimenticare».

Page 77: Gianfranco Perri su Senzacolonne

E Brindisi, ne son convinto, non vuole “dimenticare” proprio come ben lo testimonia il professor Caputo nel suo racconto della Benedetto Brin: «Quanto scritto su vari libri, insieme a numerosi articoli giornalistici, a due vibranti lettere manoscritte -testimonianza degli storici canonico don Pasquale Camassa e avvocato Giuseppe Roma- e ad altre carte d'archivio ben fascicolate sono le risorse a cui attingere per sapere, perché questa tragedia accaduta a Brindisi, cent`anni orsono, che segnò tante vittime, rimanga una pagina di storia appartenente ad una Città che non vuol dimenticare, anche quando la sua storia è drammatica, tragica e luttuosa».

Concludo con una esortazione, anzi con un appello, al Sindaco di Brindisi: Perché non fare di questo melanconico anniversario Nº100 l'occasione propizia per restituire il giusto e dovuto decoro alle tombe dei marinai caduti a Brindisi nell'affondamento della Benedetto Brin, dando con ciò anche un chiaro segnale di una volontà politica volta al recupero ed alla conservazione della memoria storica della nostra Città?

La campana della Benedetto Brin

La Storia e la Città ne rimarrebbero grate per sempre, perché come risaputo -dovrebbe esserlo- «la rimozione del passato corrisponde inesorabilmente alla rimozione del futuro».

Pubblicato su Senza Colonne News del 11 luglio 2015

Page 78: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Ricordare il passato per creare il futuro: 100 anni fa arrivarono a Brindisi i MAS

di Gianfranco Perri

In questo mese di marzo 2016 ricorre il centenario dell’arrivo a Brindisi dei MAS, i famosi Motoscafi Anti Sommergibili, le cui siluette, che dovevano presto diventare familiari a tutti i Brindisini di allora, ben riconoscevamo anche noi, oggi giovani sessantenni, quando negli anni ’60 e ’70 solcavano ancora le tranquille acque del nostro porto con il loro inconfondibile rombo che ci annunciava l’imminente sopraggiungere delle loro imponenti onde fino alle rive delle nostre belle spiagge, ancora tutte all’interno del porto.

In quel tempo di guerra, Brindisi era la sede del comando superiore navale del Basso Adriatico retto dal contrammiraglio Umberto Cagni, e il nostro mare era infestato dai temibili sottomarini austriaci che, con base nel porto di Durazzo, scorrazzavano facendo strage di nostri convogli civili e di nostri mezzi militari navali.

La genialità dei nostri ingegneri navali era però riuscita a inventare, e quindi a progettare con l'ingegnere livornese Attilio Bisio, fino a poi realizzare in poco tempo nei cantieri navali della Società Veneziana di Automobili Navali, una speciale barca torpediniera lignea, mossa da un motore a scoppio di 40 cavalli ed incredibilmente economica: velocissima e versatile, con duecento miglia di autonomia, fornita di un cannoncino da 75 mm e, soprattutto, di due potenti e letali siluri a tenaglia, costituendo un’arma che avrebbe potuto colpire il nemico con massima efficienza, in mare aperto così come nei suoi stessi porti.

MAS 1 - Venezia 1916

Page 79: Gianfranco Perri su Senzacolonne

A Venezia -dove in alcune occasioni per l’acronimo MAS fu anche utilizzata la denominazione “Motobarca Armata SVAN” dal nome dell’azienda che per prima li produsse- oltre ai primi due prototipi, si cantierizzarono rapidamente altre unità, fino a costituire la prima squadriglia di otto MAS che fu affidata al tenente di vascello Alfredo Berardinelli con la missione di esplorazione, attacco e caccia ai sommergibili e agli altri mezzi navali nemici, sfruttando il grande potere offensivo e il fattore sorpresa che implicava l‘impiego della nuova arma. Un’arma completamente sconosciuta al nemico il quale non ebbe mai un’idea esatta della sua effettiva potenzialità, tanto che talvolta gli attribuì anche qualità ben al disopra delle reali.

MAS 2 - Venezia 1916

Era il 28 marzo 1916 e l’Italia era entrata nel suo secondo anno di guerra al fianco degli alleati dell’Intesa contro l’impero austro-ungarico, quando il MAS 3, di solo 8 tonnellate e 15 metri, giunse da Venezia a Brindisi su di un carro ferroviario. Presto lo raggiunsero altri cinque e poi, altri 6 fino a conformare con i 12 l’intera 1a flottiglia MAS, con la quale Brindisi divenne la base principale nel Basso Adriatico degli anche denominati Motoscafi Armati Siluranti, i MAS: le “Streghe”, come confidenzialmente erano soprannominati dagli equipaggi, perché capaci di apparire improvvisamente, assalire, colpire e allontanarsi velocemente, senza possibilità di essere intercettati dal nemico.

Il 7 giugno di quello stesso anno 1916, il MAS 5 del comandante Berardelli e il MAS 7 del comandante Gennaro Pagano di Melito, partirono dalla base di Brindisi e penetrarono la rada di Durazzo, affondando il piroscafo Lokrum: Le due piccole e fragili imbarcazioni furono rimorchiate fino alle vicinanze di Durazzo da due torpediniere protette al largo da quattro cacciatorpedinieri francesi. Perlustrando la baia, i due motoscafi avvistarono un piroscafo,

Page 80: Gianfranco Perri su Senzacolonne

evidentemente carico, ed ognuno lanciò un siluro, colpendo entrambi il bersaglio, che era ancorato tra 150 e 250 metri di distanza. A terra il nemico non riuscì a capire quello che stava succedendo e i due MAS italiani ritornarono indisturbati al luogo di riunione che era stato prestabilito con le torpediniere e quindi, rientrarono alla loro base di Brindisi. Meno di venti giorni dopo, gli equipaggi di quei due stessi MAS, composti da dieci uomini ciascuno, riuscirono a portare a termine un’altra missione nella notte tra 25 e 26 giugno, affondando, nella stessa rada di Durazzo, un altro piroscafo austriaco, il Sarajevo.

Mentre anche nell’Alto Adriatico i MAS si riempirono di gloria -nel dicembre del 1917, i due MAS 9 e 13 guidati, rispettivamente, da Luigi Rizzo e Andrea Ferrarini, affondarono nella rada di Trieste la corazzata austro-ungarica Wien e danneggiarono la Budapest- nella base di Brindisi durante tutto l’anno 1917, i MAS furono principalmente impiegati nelle operazioni di vigilanza e caccia ai sommergibili austriaci operanti nel Basso Adriatico e nei servizi di polizia costiera in Albania.

Poi, nel 1918 affluirono a Brindisi i MAS di nuova generazione, più pesanti meglio armati e con motori più sicuri e più silenziosi, e così, nella notte tra il 12 e il 13 maggio, i MAS 99 e 100, comandati da Gennaro Pagano Di Melito e Mario Azzi rispettivamente, attaccarono un convoglio nemico e affondarono il grosso piroscafo Bregenz di ben 4000 tonnellate.

Nel corso di quella lunga grande guerra ci furono numerose altre missioni dei MAS, di successo alcune e andate a vuoto altre e infine, proprio in coincidenza con il secondo anniversario della prima missione, il 10 giugno del 1918, il MAS 15 del comandante Luigi Rizzo, l’affondatore, affiancato dal MAS 21 del comandante Giuseppe Aonzo, affondò nelle acque di Premuda sulle coste dalmate, la portentosa corazzata austriaca Santo Stefano facendo entrare con quell’azione, i MAS italiani nella leggenda:

Il capo di stato maggiore della marina austro-ungarica, ammiraglio Nikolaus Horthy, pianificò un’incursione contro lo sbarramento navale di Otranto che ostruiva l’accesso al mare aperto alla marina asburgica mantenendola confinata nell’Adriatico. E per quella missione, il 9 di giugno 1918 la squadra navale con le corazzate Szent István e Tegetthoff, salpò da Pola. All’alba del 10 giugno il capitano di corvetta Luigi Rizzo, impegnato con i Mas 15 e 21 in un’operazione di rastrellamento di mine al largo dell’isolotto di Lutrosnjak, entrò fortuitamente in contatto con la flotta austro-ungarica e, sfruttando al meglio le caratteristiche dei MAS, grazie ad un coraggioso ed occulto avvicinamento spinto fino a meno di 500 metri di distanza, riuscì ad affondare la corazzata Szent István, fiore all’occhiello della marina nemica.

Il contraccolpo psicologico dell’azione ebbe ripercussioni talmente forti, da impedire nel corso della grande guerra qualsiasi altra operazione navale alla monarchia mitteleuropea e da far indire il 10 giugno, come data della festa nazionale della Marina Militare Italiana.

E Gabriele D’Annunzio, il quale aveva partecipato alla missione “Beffa di Buccari” del MAS 96, assieme ai MAS 94 e 95, nella baia a sud di Trieste nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918 con Luigi Rizzo e Costanzo Ciano, non tardò a coniare per quegli intrepidi motoscafi il motto: Memento Audere Semper - Ricorda Osare Sempre.

Page 81: Gianfranco Perri su Senzacolonne
Page 82: Gianfranco Perri su Senzacolonne
Page 83: Gianfranco Perri su Senzacolonne

MAS 95: uno dei tre della Beffa di Buccari nel gennaio 1918

MAS 96: usato da Gabriele D’Annunzio per la Beffa di Buccari nel gennaio 1918

Page 84: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Conclusa la guerra, molti MAS restarono di base a Brindisi, che ne accolse anche di nuovi e più efficienti. E da Brindisi i MAS furono impiegati anche nella seconda guerra mondiale, alcuni pochi di vecchia generazione, Tipo SVAN e Tipo Baglietto, e alcuni altri d’ultima generazione, più veloci e più efficienti, che si denominarono MAS 500, dei quali -con 23 a 30 tonnellate di dislocamento, con motori Isotta Fraschini Asso 1000 di potenza da 2000 a 2300 HP sviluppando da 42 a 44 nodi di velocità massima, armati di due lanciasiluri da 450 millimetri, con 6 a 10 bombe di profondità e con due mitragliere da 13,2 e 20 millimetri, con equipaggio composto da 9 a 13 uomini- se ne costruirono 76 unità in quattro serie successive della stessa Classe 500, identificati con MAS 501 a MAS 576, i quali affiancarono gli antichi 24 MAS ancora in servizio, per sommare in totale 100 MAS.

Mentre la Regia Marina nella prima guerra mondiale aveva prodotto più di quattro centinaia di MAS, il loro numero nel secondo conflitto mondiale fu infatti molto minore, perché si rivelarono essere mezzi ormai troppo piccoli e perché, anche se molto veloci grazie al loro scafo a spigolo, erano poco marini e quindi pericolosi da impiegare con il mare molto mosso.

Per questo motivo, la Regia Marina incorporò con l’identificazione iniziale MAS 1D a MAS 8D un totale di 8 motosiluranti catturati nell’aprile del 1941 alla marina jugoslava: erano gli schnellboote, lunghi 28 metri prodotti all'inizio degli anni '30 in Germania i quali, a differenza dei MAS avevano uno scafo ad U e quindi, anche se leggermente più lenti, erano più robusti sicuri stabili e manovrabili, soprattutto in condizione di mare forte. Poi, quei mezzi furono in qualche modo copiati e a Monfalcone, negli stabilimenti di Cantieri Riuniti Dell’Adriatico tra il 1942 e il 1943, se ne costruirono altri 36 Tipo MS CRDA 60t, identificati con MS 11 a MS 16, MS 21 a MS 26 e MS 31 a MS 36 quelli della prima serie e con MS 51 a MS 56, MS 61 a MS 66 e MS 71 a MS 76 quelli della seconda serie, mentre 6 dei mezzi jugoslavi -i MAS 3D a 8D- furono riclassificati e identificati con MS 41 a MS 46, per così sommare in totale 42 motosiluranti.

Page 85: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Anche durante la seconda guerra mondiale, furono numerose le azioni condotte dai MAS e MS, e tra esse, quelle di maggior successo furono: il siluramento dell’incrociatore inglese Capetown l’8 aprile 1941 a opera del MAS 213 comandato dal guardiamarina Valenza; l’affondamento nel Mar Nero del sottomarino sovietico Equoka il 19 giugno 1942; il danneggiamento dell’incrociatore russo Molotov a opera dei MAS 568 e 573 il 3 agosto 1942; l’affondamento a opera dei MS 16 e 22 il 12 agosto 1942 del modernissimo incrociatore inglese Manchester nella famosa battaglia aeronavale di Mezzo Agosto nel Mediterraneo centrale, nel corso della quale i numerosi MAS partecipanti affondarono anche i piroscafi Glenorchy, Saint Elisa, Rochester Castle, Almeria Likes e Wairangi; l'affondamento del cacciatorpediniere inglese Lightning sulle coste algerine il 12 marzo 1943.

Al termine della seconda guerra mondiale, i pochi MAS superstiti furono requisiti dalle marine dei vincitori, mentre dei 15 MS CRDA 60t superstiti, 5 vennero ceduti ad altre marine vincitrici -4 all’Unione Sovietica e 1 alla Francia- e i rimanenti 9 motosiluranti continuarono prestando servizio nella Marina Militare e furono destinati ad operare nelle acque dell'Adriatico e dello Ionio, dopo essere però stati declassati a semplici motovedette in base alle clausole del trattato di pace e quindi armati solo con le mitragliere. Poi, il 1º novembre 1952, venute meno le clausole più restrittive del trattato, quei nove mezzi vennero riclassificati e riarmati di siluri, con la denominazione definitiva 471 a 475 e 481 a 484: il “4” indica “motosilurante”.

Page 86: Gianfranco Perri su Senzacolonne
Page 87: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Da allora e per tutti gli anni ’60 e gran parte dei ‘70, quei nove gloriosi e poderosi MAS, modernizzati in versione motosiluranti MS e raggruppati nel Comando Motosiluranti COMOS con sede a Brindisi, continuarono attivi -e così, noi ragazzi e giovani brindisini di allora, li potemmo ancora ammirare sulle tranquille acque del nostro porto- fino alla definitiva apparizione di armi navali molto più evolute e più sofisticate che rivoluzionarono le tecniche militari marine e mandarono in pensione i MAS brindisini, ai quali succedettero le motovedette lanciamissili.

Cinque di quei nove MAS furono posti in disarmo agli inizi degli anni ’60 e dei quattro restanti, gli ultimi due, quelli che erano stati identificati con 474 e 481, vennero radiati nel 1979, a quasi quarant’anni dal varo.

Ad oggi, si conservano ancora due MAS della prima guerra mondiale -il MAS 96 usato da Gabriele D’Annunzio, nel Vittoriale degli Italiani a Gardone e il MAS 15 del “due volte” medaglia d’oro Luigi Rizzo, nel sacrario delle bandiere del Vittoriano a Roma- e due MAS della seconda guerra mondiale -il 472, situato nella Marina di Ravenna e il 473, conservato nel Museo storico navale di Venezia-.

Squadriglia degli ultimi 4 MAS motosiluranti italiani in servizio - Mare di Brindisi 1970

Pubblicato su Senza Colonne News del 1 marzo 2016

Page 88: Gianfranco Perri su Senzacolonne

199

Il racconto di un brindisino ‘alla corte’ di Fidel Castro… que sta compiendo 90 anni

Pubblicato su Senza Colonne News del 13 agosto 2016

Oggi, 13 di agosto, Fidel Castro sta compiendo novant’anni e, anche se con un po’ di sordina, continua ancora, finanche fuori da Cuba, a stimolare qualche titolo di cronaca, anche se più opportuno e consono al personaggio sarebbe forse attendere con pazienza che sia la storia a parlarne e a giudicalo. Un giudizio su Fidel, che per essere sufficientemente sereno abbisognerà che il tempo trascorra ancora e lo separi completamente dalle vicissitudini, tuttora quotidiane.

Un giudizio, quello della storia, che probabilmente dovrà soprassedere in fretta su quell’indovinato brand “La storia mi assolverà”: titolo del magistrale intervento con cui nel lontano 1953 il giovanissimo avvocato Fidel si autodifese di fronte al tribunale che lo giudicava di ribellione contro lo stato cubano. La storia dovrà soprassedere in fretta, sia perché si trattò di un episodio troppo breve a confronto dei seguenti cinquanta e più anni durante i quali Fidel Castro fu protagonista assoluto della storia di Cuba e alle volte di spicco di quella del mondo, e sia -e soprattutto- perché praticamente tutto dell’agire di Fidel in tutti quei cinquant’anni contradisse flagrantemente quel suo intervento, che così iniziava e così seguiva:

“Il diritto alla ribellione contro il dispotismo, signori giudici, è stato riconosciuto dalla più lontana antichità sino al presente, da uomini di tutte le dottrine, di tutte le idee e di tutte le credenze… Rinunciare alla propria libertà è rinunciare alla qualità dell’uomo, ai diritti dell’umanità, e anche ai doveri. Tale rinuncia è incompatibile con la natura dell’uomo e togliere tutta la libertà alla volontà è togliere ogni moralità alle azioni… etc. etc.”

Ma non è di giurisprudenza o di storia e tanto meno di politica che oggi voglio qui trattare: molto più amenamente e più rilassatamente -dato anche il clima ferragostano- voglio invece raccontare di un episodio che mi vide involontario nonché secondario protagonista a Cuba qualche anno fa: un episodio che mi portò al cospetto del comandante Fidel, ospite a casa sua con altri miei amici e con mia moglie Mariana, protagonista centrale del racconto.

Era fine ottobre del 1988 quando visitai Cuba per la prima volta e, tanto per entrare nel giusto contesto del racconto, a quel tempo a Cuba c’erano ancora i russi o meglio, i sovietici, a farla da padroni assieme ai visitanti occidentali, negli alberghi e nei ristoranti di lusso, nei negozi e nei locali notturni alla moda, eccetera, tutti posti naturalmente e rigorosamente permessi ai soli stranieri possessori dei vituperati dollari americani ed assolutamente proibiti ai cittadini cubani, con la ovvia eccezione degli altissimi dirigenti del partito.

Ci andai dalla vicina Caracas per partecipare al XX Congresso UPADI (Unione Panamericana Associazioni Di Ingegneri) che si tenne a La Havana nel Palazzo dei Congressi. I partecipanti provenivamo da tutti i paesi d’America e io rappresentavo l’Università Centrale del Venezuela assieme al preside della facoltà di ingegneria ed un professore dell’Università La Sapienza di Roma, Gianfranco Meucci, che vi partecipava in quanto residente a Caracas da qualche anno, in missione di intercambio accademico.

Per noi stranieri La Havana celava, ed allo stesso tempo mostrava, tanti spunti interessanti e, specialmente per me ed il mio collega e simpaticissimo amico italiano, anche romantici: dalle spettacolari auto americane anni 40 e 50 tutte rigorosamente precedenti al 1° gennaio 1959, alle attempate operaie delle fabbriche dei famosissimi e buonissimi sigari cubani, dagli edifici del centro storico bellissimi anche se ormai assolutamente fatiscenti con la loro caratteristica architettura caraibica piena di merletti ed altre raffinate decorazioni, al famoso lungomare con il suo emblematico faro contro il quale si infrangono strepitosamente le onde del mare dei Caraibi nei frequenti giorni di vento forte.

Page 89: Gianfranco Perri su Senzacolonne

200

E poi, il mondialmente famoso night club Tropicana, sopravvissuto alla rivoluzione anche se naturalmente statalizzato assieme a tutte le sue luci, i suoi musicisti, i cantanti, gli attori e soprattutto le bravissime ballerine che continuavano a “deliziare” i turisti che visitavano La Havana.

Una citazione speciale merita poi quel piccolo vecchio bar che, con il bancone abbastanza schiacciato sull’entrata prospicente allo stretto marciapiede e con le sue due salette annesse, si trovava e si trova ancora in una anonima viuzza del centro dell’Havana: “La bodeguita del medio” anch’esso sopravvissuto alla rivoluzione conservando ancora fino a quei giorni gli stessi mobili, gli stessi arredi e le stesse pareti integralmente tappezzate con graffiti, posters pubblicitari e fotografie con dediche di avventori indistintamente famosi ed anonimi, primo e certamente più famoso tra tutti Ernest Hemingway, lo stravagante scrittore americano autore di tanti capolavori letterari, che visse per circa vent’anni a La Havana dal 1938 fino alla sua tragica morte avvenuta nel 1961. Hemingway era un cliente fisso de La bodeguita del medio e la leggenda vuole che fu proprio lui a dare un contributo notevole a far creare il famoso “Mojito”.

Tornando al congresso degli ingegneri americani, il programma di cinque giorni densi di conferenze, gruppi di lavoro, visite tecniche ed incontri accademici, prevedeva naturalmente una solenne cerimonia di apertura ed anche una formale cerimonia di chiusura, ed era abbastanza consuetudine a quei tempi che a Cuba il presidente Fidel Castro non perdesse quasi mai l’occasione di inaugurare congressi internazionali rifilando ai partecipanti i suoi discorsi fiume decantando le glorie ed i successi della rivoluzione e denigrando al contempo l’impero del capitalismo responsabile assoluto ed indiscusso, guai a dubitarne minimamente, di tutti i mali presenti passati e futuri dell’intera umanità. Però quella volta Fidel Castro non partecipò all’inaugurazione e, durante i seguenti giorni del congresso, gli amici cubani cominciarono a diffondere informalmente però insistentemente voci e notizie rassicuranti sul fatto che, certamente, il comandante avrebbe presenziato la chiusura di quell’importante congresso.

E fu così che in un’atmosfera da suspense tipo teleromanzo, giunse l’ultimo giorno del congresso che si sarebbe concluso verso mezzogiorno di quel sabato con la protocollare cerimonia di chiusura. Tutte le signore delegate al congresso e tutte le signore accompagnanti dei congressisti, tra cui in prima fila Mariana e le sue amiche, vollero assistere a quella cerimonia di chiusura: strano, normalmente è solo una ...rottura, da cercare di risparmiarsi a tutti i costi e da evitare con qualsiasi banale scusa, invece quella volta la propagandata

Page 90: Gianfranco Perri su Senzacolonne

201

presenza del fotogenico personaggio, carismatico ed in certa misura ancora romanticamente leggendario tra le cinquantenni ed i cinquantenni presenti al congresso che lo ricordavamo con il sigaro in bocca ed a cavallo della jeep entrando trionfalmente all’Havana in quell’ 8 gennaio 1959, costituiva una occasione da non perdere, pensando di poter scattare una foto ricordo da mostrare ad amici ed amiche di ogni proprio paese.

Avvicinandosi mezzogiorno la tensione comincia a serpeggiare nell’enorme sala, aumentando con il passare dei minuti e con il susseguirsi dei vari oratori protocollari e dei loro insipidi discorsi di circostanza. Comincia anche a far caldo per l’ora, per la noia e per l’aria condizionata che comincia a fiaccare. Ormai non c’è più possibilità alcuna che arrivi il comandante. Pazienza, organizziamoci e via, cominciamo a sgattaiolare con sperimentata dissimulazione prima che l’ultimo discorso concluda. Coraggio, abbiamo ancora un pomeriggio ed una notte di svago che ci attendono prima del ritorno a casa.

Però, qualche fila più in là comincio a notare una certa concitazione tra alcuni dei presenti, sguardi d’intesa, sussurri, accostamenti frettolosi, e finalmente il mio preside di facoltà mi raggiunge e mi dice: “Gianfrà, andiamo al Palazzo di Governo, Fidel Castro ha invitato a pranzo una selezione degli stranieri partecipanti al congresso, saremo una ventina in tutto tra i rappresentanti dei vari paesi, dillo subito a Mariana ed organizziamoci per andare, bisogna essere al palazzo all’una e mezzo in punto, tra meno di un’ora”. L’eccitazione delle nostre signore lievita istantaneamente tra il timore che possa trattarsi di una bufala lanciata da qualche amico sornione. Ed invece no, tutto incredibilmente vero, ed allora via di corsa in albergo, a cambiarsi, ad imbellettarsi. Assolutamente inimmaginabile, direttamente al cospetto del comandante, a casa sua, a pranzo con lui, da tu a tu, che sorte insperata!

Il Palazzo di Governo era in centro città, in piazza della rivoluzione, ampio ma non troppo alto anche se sollevato sul piano di terra da una ventina di scalini estesi sull’intera larghezza del corpo centrale del palazzo. Architettura in classico stile anni ’50, dalle linee rette e modernista con influenze di razionalismo tedesco, l’aveva fatto edificare il dittatore Batista inaugurandolo come Palazzo di Giustizia nel 1957. Sul cancello d’entrata, dopo un paio di guardie uniformate, c’era una specie di corpo di guardia con molti funzionari civili, tutti abbastanza anziani, da 60 anni in su, e ci fu poi raccontato fossero gli incaricati della sicurezza personale del comandante, tutti rigorosamente reduci rivoltosi della Sierra Maestra.

Page 91: Gianfranco Perri su Senzacolonne

202

Per poter accede agli interni bisognava superare un normale controllo corporale da palpeggio, onde evitare l’introduzione di armi occulte, invero un controllo non eccessivamente rigoroso, quanto invece meticoloso in relazione all’obbligo di dover lasciare lì al corpo di guardia qualsiasi borsa o borsetta e qualsiasi camera fotografica o da presa e qualsiasi libro, rivista o materiale scrivibile in generale. Peccato! In molti si erano portati dietro la camera fotografica, o qualche rivista con la foto di Fidel, o qualche suo libro: Mariana qualche giorno prima aveva comprato in una libreria dell’Havana l’edizione spagnola appena pubblicata del libro del nostro giornalista Gianni Minà ¨Un encuentro con Fidel¨ e naturalmente dovette lasciarlo in quel corpo di guardia su uno degli scaffali adibiti allo scopo.

Già all’interno, ed avviati verso il salone del ricevimento scortati dalle guardie civili, l’atmosfera si era fatta fresca, anzi rinfrescante, non per l’aria condizionata che non c’era, ma per la stessa architettura degli interni, minimalista e con abbondanza di marmi bianchi, magistralmente combinati con legno marrone levigato e soprattutto con spazi semiaperti intercomunicanti con l’esterno attraverso cortili e pozzi luce armoniosamente corredati da folte piante ed alberi tropicali.

Nella stanza immediatamente antecedente il salone, troneggiava un gran bel ritratto ad oleo di Fidel Castro fattogli dal famoso pittore ecuadoriano Guayasamin, amico suo e che anch’io avevo conosciuto una decina di anni prima quando lo avevo visitato qualche volta nella sua galleria-atelier di Guayaquil, negli anni del mio servizio civile in quella città ecuadoriana.

Il salone ancor più bello, molto amplio e sullo stesso stile, sobrio e con tanti marmi chiari, legni scuri e luce naturale proveniente dai vari spazi aperti, sapientemente ubicati e riccamente ed armoniosamente adornati da bellissime e curatissime piante ed alberelli. Un lungo tavolo era bandito a buffet, e dopo una decina di minuti dal nostro arrivo i camerieri iniziarono a servire un vino ben freddo: il rinomatissimo bianco di Balatonelle, proveniente dai vigneti delle rive ungheresi del lago di Balaton.

Quindi il capo sala ci invitò a servirci dal buffet... il comandante sarebbe arrivato da lì a poco per salutarci: “quando arriva, mi raccomando non accalcatevi, rimanete dove siete sparsi in gruppetti lungo il salone e lui verrà a salutarvi tutti, assolutamente tutti”. Meno male che tardò un bel po’ ad arrivare, perché il buffet era semplicemente squisito oltre che raffinato: ricordo in particolare una gran varietà di pesci sapientemente cucinati e serviti accompagnati da vari frutti tropicali a mo’ di decorazione e che però al contempo infondevano al pesce i loro particolarissimi aromi. E poi le uova di storione, il caviale, e quelle di salmone, il caviale rosso, tutto rigorosamente russo, anzi sovietico!

Saranno state le tre circa, quando dal fondo del salone intravediamo l’inconfondibile figura di Fidel Castro, con la sua enorme persona e personalità, alto, in grigioverde e barbuto, accompagnato da tre o quattro guardie civili in abito scuro, i soliti vecchietti di cui prima. Come da manuale, Fidel si avvicina al primo gruppetto di ospiti che intercetta sul suo cammino e si sofferma a chiacchierare, dà la mano a chi gliela tende, fa qualche domanda pertinente al paese di provenienza dell’ospite interpellato e per ogni risposta si intrattiene svariatissimi minuti a commentare, dilungandosi in soliloquio senza che a nessuno venga in mente di interromperlo.

Page 92: Gianfranco Perri su Senzacolonne

203

Finalmente ci siamo, il comandante è tra noi, ci dà la mano uno ad uno chiedendo il nome e la provenienza. Fidel Castro chiede al presidente degli ingegneri notizie sulla produzione dell’impianto idroelettrico del Guri, nell’Amazonia venezuelana, a quel tempo il più grande al mondo dopo la recentemente inaugurata fase finale della costruzione. Il presidente degli ingegneri comincia a balbettare qualche numero guardandosi attorno e cercando con lo sguardo un soccorso che non arriva, o meglio non fece in tempo ad arrivare allorché Fidel comincia lui a fare sfoggio di numeri su produzione elettrica, su volumi di calcestruzzo della diga, sui ritmi vertiginosi della costruzione, e poi ancora numeri, sugli altri impianti idroelettrici sudamericani, su quello anch’esso famosissimo di Iguasú nel triplice confine tra Brasile Argentina e Paraguay.

Non erano certo numeri a vanvera i suoi, né di certo se li era ripassati per l’occasione, ma si trattava semplicemente di un normale segno di quella sua proverbiale memoria ed affezione alle statistiche ed ai numeri in generale, in tante altre occasioni da lui sfoggiata. Da lì a poche settimane in Venezuela ci sarebbero state le elezioni presidenziali e lui volle confidarci, pregandoci sornionamente di mantenerlo in segreto, che lui tifava per Carlos Andres Perez, suo amico socialdemocratico. Perez vinse le elezioni, però dovette subire il colpo di stato del colonnello Chavez decisamente appoggiato da Fidel Castro: strano senso che hanno dell’amicizia certi capi politici!

Mentre Fidel parlava animatamente con noi professori dell’Università Centrale del Venezuela, chiedendoci notizie del movimento studentesco al quale si sentiva molto affezionato da quando visitando Caracas nei primi anni ’60 lo avevano ricevuto trionfalmente e da quando quegli stessi studenti si erano a suo sapere coperti di gloria ai tempi del ’68. Io avevo cercato con lo sguardo di incontrare Mariana che però si era allontanata dal gruppo e me ne rammaricai perché avevo detto a Fidel Castro che anche lei era stata studentessa in quell’università in quegli anni ’60 e naturalmente avrei voluto segnalargliela.

Peccato, probabilmente era andata in bagno e non potevo neanche allontanarmi a cercarla perché la situazione si stava disordinando, dato che gli ultimi due gruppi ormai stanchi dell’attesa a causa della prolungata sosta di Fidel Castro con i venezuelani, si erano avvicinati di soppiatto e ci avevano poco a poco circondati, costituendo di fatto un solo grande gruppo intorno a Fidel.

Dopo qualche minuto intravedo Mariana che dall’ingresso della sala si dirige frettolosamente verso il nostro gruppo, coprendo qualcosa con le mani tenute stranamente basse e schiacciate sulla pancia. Senza avere il tempo di discernere troppo su quanto avevo visto, me la ritrovai affianco in prima fila dopo che era riuscita ad infilarsi, non so come, dal sempre più folto gruppo che circondava Fidel.

Dissi a Fidel: “Ah, ecco mia moglie, la studentessa della Centrale”, ma prima ancora che Fidel potesse aggiungere qualcosa, Mariana gli si rivolge con tono deciso offrendogli il libro aperto di Gianni Minà con una penna, e gli dice: “Fidel, firmami il libro!”

Di colpo un silenzio tombale. Fidel la guarda, riflette un attimo ed esclama: “Eh no, non posso firmartelo, perché questa è una riunione collettiva e se lo firmo a te devo poi firmare qualcosa a tutti gli altri!” Un teso silenzio ripiomba tra tutti noi vicinissimi a Fidel e dopo un istante, che a me parve infinito, Mariana esclama: “Beh si, è certo che siamo in una riunione collettiva, però, ...Fidel è sempre... Unico!” Il comandante acciglia lo sguardo, esita un attimo, poi di getto prende in mano il libro e la penna, ...e firma di botto. Poi, svelando un sorriso con i suoi occhi acuti ancor più che con le sue labbra seminascoste dalla barba, restituisce il libro e si accinge con mossa decisa a continuare il suo giro tra gli ospiti.

Page 93: Gianfranco Perri su Senzacolonne

204

Incredibile ma vero, a Mariana era riuscito l’impossibile: dal convincere il vecchietto di guardia che custodiva le borsette e gli altri averi depositati dagli ospiti a fargli pendere il libro adducendo una qualche improbabile scusa, all’attraversare la considerevole distanza che dal corpo di guardia portava fino al salone del ricevimento nascondendo goffamente il libro tra le proprie mani, al trovare la fermezza necessaria a chiedere con decisione a Fidel di firmargli il libro e finalmente, a quella geniale presenza di spirito con la quale controbattere il rifiuto di Fidel, toccando sottilmente il tasto di quella naturale debolezza umana grazie alla quale la pubblica adulazione riesce a smuovere anche gli uomini più sperimentati.

Da quel giorno in poi e per tanti anni ancora dopo quel simpatico episodio, tra tutti i partecipanti al congresso e finanche tra chi dai vari paesi non era neanche andato a Cuba per quell’occasione, Mariana rimase aneddoticamente celebre per aver così rocambolescamente strappato quella firma a Fidel Castro.

Page 94: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Ricordare il passato per creare il futuro: 100 anni fa nacque l’Idroscalo di Brindisi Gianfranco Perri

Probabilmente molti giovani brindisini d’oggi non sanno che l'aeroporto di Brindisi, solo di recente denominato del Grande Salento ed in origine intitolato al comandante di aeromobile civile Antonio Papola deceduto il 13 febbraio del 1938 in un incidente di volo, ha avuto un glorioso antenato: un capostipite che quest’anno -2016- commemora il suo primo centenario della nascita.

Le piú lontane origini dell'aeroporto di Brindisi, che furono di caracttere militare e che risalgono agli albori della stessa aviazione italiana, coincidono infatti con gli anni iniziali della prima guerra mondiale, quando nel basso Adriatico si scontravano acerbamente le flotte dell'Intesa di cui faceva parte l’Italia, contro quelle austro-tedesche.

Il suo primissimo nucleo fu una stazione provvisoria per idrovolanti creata per iniziativa della Regia Marina Militare: una circolare, la N° 25260 del 6 dicembre 1914, stabiliva la creazione di tre stazioni per idrovolanti, a Venezia, Pesaro e Brindisi, per contrastare l'aeronautica austriaca che stava imperversavano sull’Adriatico. Della ventina di apparecchi dei quali disponeva allora la Regia Marina, a Brindisi furono assegnati 3 idrovolanti Curtiss. Erano apparecchi di legno e tela, e a Brindisi furono inizialmente depositati sulla nave Elba e successivamente sulla nave Europa, in attesa che si completasse la costruzione di un hangar.

Costa Guacina prima dei lavori di sterro che daranno spazio all´area dell´idroscalo

Poi, con l’inizio del 1916, pochi mesi dopo l’entrata in guerra dell’Italia, per meglio contrastare l’aviazione austriaca di base a Durazzo, la stazione fu notevolmente potenziata e così, in quell’anno, nacque formalmente l'Idroscalo Militare di Brindisi.

Page 95: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Il complesso della base per idrovolanti di Brindisi sorse in località Costa Guacina, appena fuori dal porto interno: uscendo dal canale Pigonati a sinistra, sull’area costiera compresa tra Posillipo e Fontanelle, da sempre punto di attracco di navigli imbarcazioni e battelli vari in quanto riparata dalle correnti marine, e per questo difesa dalla piazzaforte navale. Furono anche necessari impegnativi lavori di sterro per portare sul livello del mare tutta l’area di quella costa che in origine fu topograficamente sopraelevata.

Una ubicazione resa ideale dal contiguo bellissimo specchio d’acqua le cui condizioni naturali invidiabili ne fecero la pista dalla quale si levarono in volo gli idrovolanti della base, tra i quali quelli della squadriglia guidata da Orazio Pierozzi, eroico aviatore deceduto in volo di addestramenteo nel 1919 dopo aver guidato innumerevoli azioni di guerra vittoriose. Soprannominato l’asso del mare, a lui dopo la sua tragica morte, fu intitolato l’idroscalo.

Anche le altre due squadriglie appartenenti alla base dell’idroscalo di Brindisi, furono guidate da altrettanti formidabili aviatori: Umberto Maddalena e Francesco De Pinedo, piloti militari, celebri per le loro imprese aviatorie vittoriose nella grande guerra, anche loro deceduti in incidenti di volo, nel 1931 e nel 1933 rispettivamente.

Orazio Pierozzi Umberto Maddalena Francesco De Pinedo

Orazio Pierozzi col suo Macchi 55 Maddalena (primo a sinistra) e De Pinedo (terzo)

Nel corso dello stesso anno 1916 furono costruiti i 6 hangars per gli idrovolanti da bombardamento progettati dall’ingegnere Luigi Bresciani. Adiacenti e a nord degli hangars Bresciani, si costruirono anche 3 enormi hangars per dirigibili i quali però furono presto dismessi e trasferiti a San Vito dei Normanni, per ragioni di sicurezza. Gli hangars Bresciani invece, con muratura di tufi e cemento e con copertura a botte con sesto ribassato in solaio latero-cementizio, sono ancora oggi attivi ed utilizzati dall’ONU.

Page 96: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Hangars Bresciani quasi completati e primo hangar dirigibili in costruzione - 1916

Finita la grande guerra, nel 1919 il governo italiano propose alla Grecia la creazione di un servizio di posta aerea tra Roma ed Atene con scalo a Brindisi, con un pensiero chiaro e lungimirante giá rivolto ai possibili sviluppi futuri dell’aeronautica commerciale.

Fu proprio un raid effettuato tra il 9 e il 12 settembre di quello stesso anno da Francesco De Pinedo, comandante della base per idrovolanti di Brindisi, e conclusosi positivamente con un percorso aereo tra Brindisi ed Atene in sole cinque ore, a rendere più concreta quell’idea.

Con regio decreto del 28 marzo 1923 fu fondata la Regia Aeronautica Militare che al momento della sua nascita ricevette in consegna da Esercito e Marina tutti i campi aeronautici terrestri e gli idroscali allora esistenti: a Brindisi prese possesso del campo terrestre di San Vito dei Normanni che era sorto nel 1918 a circa 9 kilometri dalla città sulla strada per San Vito dei Normanni con l’adiacente, tra i vigneti di contrada Marmorelle, campo dirigibili e quindi, prese possesso anche dell’Idroscalo Orazio Pierozzi.

Cosí nello stesso 1923 toccó alla fiammante Regia Aeronautica Militare avviare la costruzione dell'Idroscalo Civile di Brindisi che, affiancando quello militare, fu completato nel 1925 perfezionando cosí un grande sistema di trasporti e collegamenti all’importantissimo e strategico porto di Brindisi, che con il sub-sistema treno-nave della Valigia delle Indie era già funzionante fin dal secolo precedente.

Parallelamente, vennero costituite le prime aerolinee private italiane: la societá Servizi Aerei SISA nel 1921, la Societá Anonima Navigazione Aerea SANA nel 1925, la societá Transadriatica nel 1926 e la piú famosa Aero Espresso Italiana AEI che, fondata il 12 dicembre 1923, il 7 maggio 1924 stipuló con l’Aeronautica Militare una convenzione per l’impianto e l’esercizio di una linea commerciale tra Italia Grecia e Turchia, via Brindisi.

Era così nata la prima linea aerea internazionale italiana e il 1° agosto del 1926 dall’idroscalo di Brindisi partì il primo volo commerciale internazionale di linea italiano, che aprì al traffico la linea Brindisi-Atene-Costantinopoli con idrovolanti Macchi M24.

Nel 1927 fu aggiunta la linea Brindisi-Atene-Rodi e la SISA inaugurò la Brindisi-Durazzo-Zara. Nel 1928 un’altra importante compagnia, la SAM Società Aerea Mediterranea, avviò la rotta Brindisi-Valona con idrovolanti Savoia Pomilio S59.

Page 97: Gianfranco Perri su Senzacolonne

L´Idroscalo civile dell´Aereo Espresso Italiana a Brindisi - 1927

Sul fronte militare, negli anni venti Brindisi divenne sede dell’86° Gruppo Idrovolanti dotato di numerosi apparecchi Macchi M24 e poi Siai Marchetti S55 e sorse cosí la necessitá di nuovi hangars la cui costruzione, stabilita a nord degli hangars Bresciani, fu commissionata alla Societá Officine Savigliano di Torino.

I 4 hangars Savigliano, ognuno a pianta rettangolare di circa 54 x 60 metri, furono completati intorno al 1930: ossatura reticolare metallica a una campata e rivestimenti in lamiere ondulate zincate, cupolino centrale di aereazione a doppia falda in materiale policarbonato. Ognuno dei quattro accessi verso la banchina ha un’apertura di circa 51 metri con piú di 12 metri di altezza. L’ottima struttura metallica, nonostante la sua vicinanza al mare è rimasta pressoché intatta ed é ancora funzionale ai nostri giorni: uno degli hangars è gestito dall’ONU e negli altri tre opera la societá Alenia Aeronavali.

Quello di Brindisi era un idroscalo d’avanguardia, con infrastrutture e servizi di grande qualità. Per esempio, era il solo al mondo ad essere dotato di un carrello di alaggio su rotaie che consentiva un comodo imbarco a terra di passeggeri, merci e posta. Alcuni resti di quelle rotaie si possono ancora riconoscere sul terreno a tutt’oggi.

L'idroscalo con la sua sezione militare e con quella civile, grazie alla posizione strategica di Brindisi, aveva funzionato a pieno ritmo per tutti gli anni venti, con un vasto impiego di idrovolanti in molte delle nuove correnti di traffici commerciali e militari del Mediterraneo.

Page 98: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Invece, per diversi anni gli aerei militari e civili si erano continuati a servire del campo terrestre di San Vito fino a quando l’amministrazione provinciale di Brindisi decretó la costruzione di un nuovo aeroporto, procedendo all’esproprio ed acquisto dei terreni agricoli siti alle spalle dell'idroscalo, approntando nel 1931 il piano regolatore del nuovo aeroporto e iniziando i lavori di costruzione alla fine dello stesso anno 1931.

Il campo entrò in funzione nel 1933, intitolato a Orazio Pierozzi e inaugurato da Benito Mussolini il 30 di luglio. L’aerostazione fu completata nel 1937, con pista di lancio orientata a nord, inizialmente di 50 metri x 600 metri e successivamente portata a 850 metri.

A seguito della politica del regime, voluta dal ministro dell’Aeronautica Italo Balbo, tutte le societá aeree furono via via liquidate o accorpate fino alla formazione di un’unica compagnia di bandiera, l’Ala Littoria, alla quale finalmente passò anche AEI nell’ottobre del 1934, quando il 28 di quel mese la compagnia SAM dopo aver assorbito la quasi totalitá dei servizi aerei italiani era ufficialmente divenuta “Ala Littoria S.A.” aggiungendo il fascio littorio alla rondinella azzurra del simbolo SAM che sua volta era stato ereditato dalla Transadriatica.

Nell’aeroporto di Brindisi l’Ala Littoria gestiva, tra altre, le linee Brindisi-Rodi; Brindisi-Roma-Trieste; Roma-Brindisi-Tirana-Salonicco; Brindisi-Atena-Rodi-Haifa; Roma-Brindisi-Bagdad; Brindisi-Durazzo-Lagosta-Zara-Lussino-Pola-Trieste.

Nel 1938 l’aeroporto civile mutò la sua intitolazione a Antonio Papola, mentre quello militare conservò l’intitolazione originale a Orazio Pierozzi. Il 15 marzo del 1937 si formò sull’aeroporto militare di Brindisi il 35° Stormo con aerei SM.55 e l’anno seguente, 1938, si formarono i Gruppi 95° e 86° con aerei idrovolanti CANT Z.606.

1938 - Ala Littoria Un idrovolante S66 della rotta per Rodi e Haifa

Page 99: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Con la seconda guerra mondiale fu realizzata dai tedeschi una nuova pista di 1500 metri e si intensificò l’attività militare a scapito di quella civile, fino a quando questa si esaurí del tutto nel settembre del '43 con l’ultimo idrovolante civile di linea che decolló il 9 settembre alla volta di Ancona. L’attività civile fu infatti sospesa totalmente, giá che l’aeroporto divenne base dei reparti aerei alleati di occupazione sotto comando inglese e nel 1944 gli alleati costruirono una terza pista di 1800 metri in terra stabilizzata con l’olio bruciato degli aerei.

CANT z 506: sullo sfondo il Collegio Navale il Monumento al Marinaio le navi scuola Vespucci e Colombo - 1943

Dopo la seconda guerra mondiale, l’attività civile dell’aeroporto di Brindisi riprese con regolarità nel maggio del 1947 con la nuova compagnia di bandiera Alitalia e si ripristinó la linea Roma-Brindisi alla quale si affiancò la linea Brindisi-Catania e poi ancora altre. Nel 1960 si completò la costruzione di una nuova aerostazione, per l’accresciuto traffico passeggeri.

Ma l’epoca gloriosa delle idrolinee nazionali ed internazionali, da e per l’idroscalo di Brindisi, era ormai finita per sempre: quell’epopea dell’aviazione civile italiana e brindisina in particolare, durata all’incirca una ventina di anni, si era definitivamente conclusa.

Gli idrovolanti militari invece continuarono a scivolare sullo specchio del porto medio per un po’ di anni ancora, fino a tutti gli anni ’60, e molti di noi meno giovani ce li ricordiamo ancora identificandoli chiaramente sull’orizzonte dalle rive delle nostre spiagge interne al porto (Sant’Apollinare - Fiume piccolo - Fiume grande - Marimisti e Fontanelle) con il loro coinvolgente rullare e con le loro sagome un po’ goffe dalle estremità arancione fosforescente, fino a farsi sempre piú radi prima di svanire anch’essi nelle pieghe della storia della cittá e del suo porto: “ben più di cinquant’anni di storia brindisina”.

Anche l’attività militare riprese finalmente autonoma dall’occupazione militare dopo la seconda guerra mondiale. Nel 1947 a Brindisi fu destinato l’83° Gruppo Soccorso Aereo con idrovolanti CANT Z 506 sostituiti a partire dal 1958 con idrovolanti HU 16 A-Albatross. Poi, con l’entrata nel 1949 dell’Italia nella NATO, arrivarono in dotazione all’aeroporto militare di Brindisi i primi aerei militari americani.

Tra il 15 ed el 18 settembre 1950 la portaerei americana Mindoro sbarcò i primi 40 aerei Curtiss Helldiver 52-C, per armare la ricostruita Aeronautica Militare. E nel giugno del 1952 dalla portaerei americana Corregidor furono sbarcati i primi aviogetti da caccia, gli aeroplani a reazione F-84G thunderjet, protetti da uno speciale rivestimento plastico detto ‘cocoon’.

Il 1º settembre 1967 sull’aeroporto militare di Brindisi fu ricostituito con il 13° Gruppo caccia bombardieri e ricognitori, quel glorioso 32° Stormo che era stato originalmente costituito l’1 dicembre 1936 e poi sciolto il 27 gennaio 1943. Il velivolo in dotazione fu il Fiat G.91R, in dotazione anche alla fantastica pattuglia acrobatica delle Frecce Tricolori, e nel 1974 lasció spazio al bireattore G.91Y.

Page 100: Gianfranco Perri su Senzacolonne

Dal 1993 però, lo Stormo non ha piú sede a Brindisi ed opera dall’aeroporto Amendola, in Foggia. Finalmente, nel 2008 l’aeroporto di Brindisi ha perso lo status di scalo militare aperto al traffico civile ed ha acquisito la semplice denominazione di aeroporto civile. Nel settore che fu militare, tuttavia, continuano a operare le compagnie aeree e i velivoli cargo con cui, dalla Base Logistica delle Nazioni Unite, UNLB, si smistano nel mondo gli aiuti alimentari e i farmaci alle popolazioni colpite da calamità naturali o da guerre.

E quell’idroscalo, sorto cento anni or sono nel porto medio di Brindisi, è anche stato il luogo d’origine dell’industria aeronautica brindisina, che lí nacque e quindi vi prosperó per quasi ottant’anni: gli idrovolanti infatti avevano bisogno non solo di uno scalo posto vicino ad uno specchio d’acqua, ma anche di assistenza e manutenzione. La Società Anonima Cantieri d’Aeroporto SACA entró in attività nel 1934 e sotto la guida dell’ingegnere Michele Dell’Olio divenne rapidamente la principale industria della provincia.

Nel dopoguerra la SACA, con la nuova denominazione di Societá per Azioni Costruzioni Aeronavali, fu rinnovata ed ampliata tanto che negli anni ’60 il personale raggiunse le mille unità. Imperdonabilmente nel 1977, dopo un continuo decadimento aziendale, si giunse alla penosa dichiarazione di fallimento. La Industria Aeronautica Meridionale IAM ne rilevò le maestranze, gli impianti e le attività. In seguito a ristrutturazione, la IAM divenne Agusta e questa, nel 1999, cedette ad Alenia Aeronautica il sito e gli hangars dell’idroscalo, alcuni dei quali sono ancora adibiti a officine della società Alenia Aeronavali.

Gli hangars Bresciani e Savigliano

BIBLIOGRAFIA

Lo storico e glorioso idroscalo di Brindisi - G. Perri – 2014 Tra cielo e mare. Mostra documentaria - Archivio di Stato di Brindisi – 2007 Orazio Pierozzi l´asso della marina - M. Mattioli – 2003 La base navale di Brindisi durante la grande guerra - G. T. Andriani – 1993 L’Aeroporto civile di Brindisi - F. Gorgoni – 1993 Lotte e vittorie sul mare e nel cielo - U. Maddalena – 1930

Pubblicato su Senza Colonne News del 4 novembre 2016

Page 101: Gianfranco Perri su Senzacolonne
Page 102: Gianfranco Perri su Senzacolonne

BRINDISI “filia solis”

Nella parte più a nord del Salento è situata Brindisi, città antichissima crogiolo di culture e teatro di vicende entrate a buon diritto nei manuali della grande storia, città nobile e antica che secondo alcuni si dovrebbe chiamare Brunda. È noto a tutti che questo nome significa testa di cervo, non in greco o latino, ma in lingua messapica, il porto di Brindisi ha infatti la forma di una testa di cervo, le cui corna abbracciano gran parte della città. Il porto è famosissimo in tutto il mondo e da ciò nacque il proverbio che sono tre i porti sicuri della terra: Junii, Julii et Brundusii.

La parte più interna del porto è cinta da torri e da una catena; quella più esterna la proteggono gli scogli da una parte e una barriera di isole dall'altra: sembra l'opera intelligente di una natura burlona, ma accorta. La costa, che dal monte Gargano fino a Otranto è quasi rettilinea ed incurvata in brevi tratti, nei pressi di Brindisi si spacca ed accoglie il mare, formando un golfo che si insinua nella terra con uno stretto delimitato, come già detto, dalle torri e dalla catena. Un tempo, questa stretta imboccatura era profondissima e poteva essere attraversata con navi di qualsiasi grandezza.

Da questo stretto, il mare si riversa per un lungo tratto dentro la terraferma attraverso due fossati naturali che circonvallano la città; è sorprendente, soprattutto nel corno destro, la profondità del mare che in qualche punto, dicono, supera i venti passi. La città ha all'incirca la forma di una penisola, tra i due bracci di mare. Sul corno destro, ha una fortezza di straordinaria fattura, costruita con blocchi di pietra squadrata per volere di Federico II, e poi ha il castello Alfonsino, il Forte a mare dei brindisini.

Brindisi è cresciuta sul più orientale porto d'Italia che ne ha determinato il destino. Le colonne terminali della via Appia, specchiandosi dall'alto della loro scalinata nelle acque del porto interno, vigilano su quella che la tradizione vuole come l'ultima dimora di Virgilio.

E poi Brindisi cela tantissimi altri frammenti di storia, le cui testimonianze sono ancora leggibili nel tessuto urbano, attraverso itinerari che si devono percorrere per ammirare l'eleganza dei suoi numerosi palazzi, le maestose dimore dei Cavalieri Templari, la ricchezza del suo patrimonio chiesastico e da ultimo, per scoprire l'essenza autentica della città che il grande Federico II definì "filia solis", esaltando la mediterranea solarità di questo straordinario avamposto verso l'Oriente.