Gianfranco Azzurro

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Gianfranco Azzurro QUALCOSA CHE VERRA’ Cronaca in versi - Genova 2001 I. Sembra ieri II. Così sono tornati silenziosi III. Tante anime plurali il movimento IV. Ma nelle piazze appena attraversate V. Rullanti i tonfa neri sugli scudi VI. Quel venerdì di luglio verso sera VII. Trecentomila in piazza cento rivi VIII. Quella notte di sabato cilena IX. Dopo l'aspra montagna la pianura X. Qualcosa che verrà

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Gianfranco Azzurro

QUALCOSA CHE VERRA’

Cronaca in versi - Genova 2001

I. Sembra ieri

II. Così sono tornati silenziosi

III. Tante anime plurali il movimento

IV. Ma nelle piazze appena attraversate

V. Rullanti i tonfa neri sugli scudi

VI. Quel venerdì di luglio verso sera

VII. Trecentomila in piazza cento rivi

VIII. Quella notte di sabato cilena

IX. Dopo l'aspra montagna la pianura

X. Qualcosa che verrà

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I primi versi in una lingua morta

“Non potrà mai finire – madreil filo rosso che ci unisce amiamo viviamo respiriamodi quest'aria di pace e di dolcezzasenza di noi la vita e senza farsene un problema avanzaguardiamo avanti sempre con speranza

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I - Sembra ieri

Come una vela che di vento è privaandavo inavvertito che morivale lotte i canti gli affetti gli amoriun altro giorno gravido di umoridella memoria il cerchio – sembra ieriil cerchio solitario dei pensieriSembra ieri – crescevano i bambinicon la chitarra al suono nei giardiniil primo figlio si chiamava Irenefiglia di maggio di una stessa spemee il sapore avevamo nelle venedella storia passata e che divienenel mezzo dei quartieri degradatii palazzi cadenti rioccupatinei capannoni del calzaturieroil lavoro precario e quello nerostoria di classi e di liberazioneal vento assicurati di ragionema per il comunismo e non per menoTu splendevi fasciata di serenoma stagli accanto che è sbocciato ieritenero figlio dai rosati piedicon la luce negli occhi e dentro al pettoquel fiore che s'odora ogni suo gestoC'erano state intanto bombe stranevoci allarmate e gracidar di ranegonfi di sangue infetto i palloncinipiombati delle fogne anche i tombiniSembra ieri e nel tempo cos'è stato ?Stanche coscienze sparse nel privatoconfuse impoverite disseccatedal sole rosso di una rossa estateprivate di un pensiero per pensareuna cultura nuova per cambiareE con il giallo autunno viene menodella tempesta anche l'arcobalenoAbbandonate le chitarre e muteechi di senso le parole avutespenti gli affetti come mutilati

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lontanis i figli così tanto amatiPure qualcuno ancora si chiedevail filo rosso che riconducevanello stato presente delle cosealla vita degli uomini le roseCurvato sotto il ponte in fondo al pratopoi m'ero seduto a prendere fiatoun poco ansimando di fronte al marenel vuoto spazio cavo che scomparedove l'onda si allarga e si ritiralasciando abbandonati sulla rivaalghe marcite arbusti e gusci vaniCome indiani d'America i gabbianifissano ritti in cima alla scoglieraquesto odore di morte e di preghierae gli anni silenziosi di impotenzatrascorsi solo paghi di veggenzaad ascoltare il mondo che cambiavasenza mutarlo e intanto restauravaDella sua ombra nero d'improvvisostride si inarca vira sfiora il visolacerando la sera che si spandearretrando nello spazio più grandeSenza rumore invisibile e stranadietro la spiaggia deserta la stradai lampioni già accesi scorrevaDove lontano il cielo richiudevala distesa dell'acqua piatta e brunaall'orizzonte sta bassa la lunae quel vecchio lungo il viale alberatosolo l'incerto bastone incurvato che a volte incontravo senza sorrisotossire e sputare da fare schifoSi allunga piano di una trista fasetarda e avvolgente l'ombra delle caseCosì mi immaginavo quella seraventi di luglio lungo la rivieraquando altrove i ragazzi erano tantiun “altro” mondo a circondare i Grandie mi chiedevo di quel turbamentoil senso vuoto che cresceva dentro

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Il mare lento naufraga alla rivacon la candida schiuma e si ritiraquasi vermiglia dal calore e piena muove nel cielo l'arco della luna E come il cuore piano si placava ogni memoria amara trasmutavasi intenerisce l'onda dei pensieriNuotava il cane bianco – sembra ierinel lago di Bracciano – ricordate ?a riva rotolava quell'estatesopra la terra di vulcano nerapoi dall'acqua scrollando la crinierapiù bianca primavera ritornavae nera e bianca ancora diventavache sempre il flusso si ripete uguale scende si allarga si ritira e sale

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II - Così sono tornati silenziosi

La ragazza fuggiva gli occhi chiaricome un cerbiatto spalancati ignariinseguita dal vento che si spandeacre di nebbia bianca disperanteassordante il rumore delle paleun portone che si aprisse sulle scalel'accogliesse nel buio la nascondeil sangue le colava sulla frontefra gli occhi inumiditi dagli sparie non c'è scampo alcuno di ripariE nella rete dei carrugi ignotasperduti inconsapevoli di cosasi incrociano correndo senza fiatoché dappertutto trovano sbarratocome tonni frenetici nel maregià presi nella rete mentre salebraccati tra due fuochi di violenzadolorante la rabbia e l'impotenzae già di rosso l'acqua si coloraNon c'era che sottrarsi resta ancoraresiduo solamente lo sgomentoinermi riparandosi dal ventogli inutili limoni tra le maniAlla foce galleggiano i gabbiania frotte bianchi come margheritescosse da brezze lievi rifioritefrusciavano spauriti se la renacalpestata dall'orma vibra appenail sole rosso dietro la collinaposando sparsi che non è più primasilenziosi – Così sono tornatianche del sogno figli deprivatifuggendo quasi saturi di vuotosenza sorriso sulla vecchia motoin quei tre giorni diventati granditanti perchè negli occhi ancora stanchiché un ragazzo era stato assassinatosparato come in volo e poi schiacciatoquel venerdì di luglio verso sera

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Giaceva sulla piazza in canottiera un tatuaggio sulla spalla nudail sangue nella pozza che trasudala calzamaglia sulla testa scurae si affollava intorno la paurache dalla jeep spuntava la pistola“Porca troia !” - si strozza nella golarompe il silenzio rauco fuori campoe poi il lenzuolo come il viso biancoDietro la grata di stivali scuragià coperta è la rossa segaturadi fiori rossi carpiti dall'aiuolaposati a terra muti di parolaQuesta mattina attraversando i campiinondati dal sole – in mezzo a tantidue rossi rosolacci impolverativi avevo figli appena dedicaticol cuore malinconico dal piantoper un ragazzo che vi stava accantoNon cessano gli spari lungo il fiancostriscia impietoso il vento sibilandoUrlare ! - E' più possibile posare l'ali spezzate figli e poi volare ?

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III - Tante anime plurali il movimento

Si aggira solitaria in mezzo a tantila bianca canottiera là davantie quella testa bionda come in penache tra i ragazzi si intravede appenaGià da piazza Torino a piazza Dantedai vissuti quartieri del Levanteda Marassi alla zona della Focetante anime plurali di una vocei militanti delle occupazionicomunità di base e di missioniper un mondo diverso e solidalela galassia più o meno radicaledi centri collettivi associazioniil Sud ribelle dietro gli striscionii furgoni dei Cobas più assordantile kefiah bianche e nere dominanticome di uccelli danzano i pink rosacon proprie insegne l'Attac orgogliosasipari musicali attori e mimie maschere che irridono i regimimetafore di assedio colorate appendere mutande sulle gratepiccole forzature e nuovi ritimanifestando seri e divertiticolorati e ricchi di diversità“una nuova enorme positività”Ecco una selva di aceri le manitinte di bianco dei Lillipuzianiche dai violenti ha preso le distanzeentra ora devastata in piazza DanteFa scandalo l'umana indifferenzache grida al cielo e genera violenzaper questa immane povertà globaledell'emarginazione e della fameUna rete di incontro tanti nodidi piccoli poteri in tanti luoghidi bianche mani nude che ha legato il gigante che giace addormentato e li circonderemo nel castello

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ognuno per un singolo capello sentinelle operose del mattinocon quanti condividono il camminoverso un'economia di comunioneE dal Carlini arriva lo spezzone di buffi cavalieri infagottati in gommapiuma e scudi riciclatie gambali spallacci ginocchierecaschi di vecchie moto le pancereDa quante zone rosse sbarramentila nostra vita è chiusa dai potenti ?Sfonderemo in via XX Settembresenza violenza è chiaro come semprenon fate una virtù dell'obbedienzache è come imprigionare la coscienzaE' vero che bastava – come è statodei palloncini sopra lo steccatoun vecchio con dei fiori dai cancelliaffiggere alle grate dei cartelliE poi girando appare sinuosala frivolezza del colore rosaparrucche calzamaglie gonnellinie grandi margherite pallonciniblindati di cartone culi in posail profumo pungente di una rosaE' giusto ciò che fai se sei felice !Come nel cielo l'araba fenicevolavano leggeri gli aquilonirullavano le bande con gli ottonii piatti e le grancasse – tra i più grandifanciulli che si inseguono vociantiancora inconsapevoli di quandoE le donne cantavano danzandogirando in tondo fiere in lontananza “Tesseremo una rete di speranzacol nostro amore e con la nostra rabbia- e come un ritornello 'siete in gabbia' - siamo la luna che muove le mareecambieremo il mondo con le nostre idee”Ai piedi della rete un calderone- 'siete in gabbia !' ripete la canzone - fumante d'acqua e petali di rosa

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e ingredienti strani di ogni cosa le nuove streghe danzano a spiraletenendosi per mano il rituale del femminile indigeno sapere e coprono le nuove fattucchiere al suono di maracas e tamburelli il ferro delle grate di cartelli segnati con l'impronta personale di chi non c'era e ci voleva stare

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IV - Ma nelle piazze appena attraversate

Ma nelle piazze appena attraversateil fuoco nero di auto rovesciate spande nell'aria lampi che spaura e come dell'inferno ogni creatura Al rullo dei tamburi indisturbati marciano neri sordi mascherati agitando le lugubri bandiere “Il mondo sulla strada ci appartiene !”Fa parte dell'azione per guidareil pugno chiuso a stringere e levare chi nelle strade in pace manifesta dà forza di violenza alla protesta E la catena ai lati del corteo come si è visto a piazza Tommaseo “Fuori fuori !” stringendosi per mano non serve per tenerli più lontanoMuti ossessi di segni non verbali sampietrini divelti dai viali vetrine fracassate con le spranghedi multinazionali e delle banche “Dovunque andranno li combatteremo avranno la rivolta dove andremo !” Dal ferro della rete circondato sta Palazzo Ducale spazio sacro l'unica chiesa aperta a San Lorenzo e il vento rotolava senza senso campane di rifiuti sul selciato scheletri neri il sogno lacerato di territori finalmente aperti di “altri” mondi possibili e diversi Da dove quali viscere profonde questa nuova violenza che confonde ? Quali urla troppo a lungo inascoltate ancora sconosciute non sondate e lingua senza voce per parlarecoscienza impoverita del sociale ?Col volto mascherato e mazze in mano carabinieri a Forte San Giuliano Anche a piazza Torino in quattrocento

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mettono a fuoco vanno distruggendocircondati dall'Arma su tre lati e quando poi verranno caricati già dispersi nel corteo che è entrato coinvolto negli scontri massacrato di quattrocento in tre sono fermati un gruppo va a Marassi ai carcerati l'altro velocemente che si sgancia devasta discendendo corso Italia la sede del Corriere mercantile colma i carrelli da un cantiere edile si ricongiunge e bruciano il portone ché sguarnita è restata la prigioneE la città smembrata ripeteva la Terra diseguale – quella nera che attraversando il mare disperata giace sul fondo oppure è ricacciata sognando un mondo senza più confini siamo tutti migranti clandestini e l'opulenta che si crede in pace riparata dal ferro delle grate o asserragliata dentro le frontiere Forse ci mostra queste bande nere evocando uno spettro che si aggira se i poveri del mondo ciechi d'ira fuggendo dalle vite maledette arrivassero come cavallette sul nostro mondo ricco che non sente diversamente cieco indifferentequesto sommovimento dell'umanoche dappertutto lo percorre invano

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V - Rullanti i tonfa neri sugli scudi

In Piazza Dante con le mani teseaceri bianchi privi di difese“Non c'è bisogno qui di poliziac'è solo nonviolenza andate via !”Sul fondo contrastava la barrieradei poliziotti nei plotoni a schierarullanti i tonfa neri sugli scudicosì nella foresta dei tamburil'eco paurosa e sorda infuga fuoridalle tane ogni preda i battitoriRincorsi negli androni oltre i cancellistesi sui marciapiedi i carosellinel labirinto stretto dei carrugiviolenza nuda senza scampo di rifugiinseguiti dal vento che si spandeacre di nebbia bianca soffocanteinermi circondati dagli scudidove cadendo si restava nudiLa maschera antigas l'elmo lo scudosull'uomo steso a terra come nudoil ginocchio puntato sulla schienacome di cacciatori sulla scenaSperando di scampare dalla morsaansante un uomo ancora per la corsasi avvicina in braccio il suo bambinoagita il manganello il questurino“Lascialo a casa stronzo un'altra volta !”e rabbiosa spaura la percossaE' blandito sedotto corteggiatoil mondo vasto del volontariatosolo se non disturba quando tacema quando in piazza mostra che è capaceallora come tutti è massacratoE a Boccadasse intanto si è vegliatoIn un tratto lontano autorizzatosi incrociano correndo senza fiatoi buffi cavalieri infagottatile cariche insensate dei blindatifumo di lacrimogeni e di incendi

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le tute bianche dei Disobbedientiche non si può fuggire né avanzaresul lungo viale che costeggia il mareda via Tolemaide intrappolatafin dal primo mattino devastatachiusa da destra dalla ferroviastretta sul fianco dalla poliziaPuntati verso il cielo disseccatiun cespuglio di rovi i tonfa nerisenza volto e muniti di poterialternano il rancore i questurinie come un coro il grido di “Assassini !”che chiudi gli occhi e si rinnova ancora la rabbia e l'impotenza come alloraNon serve dimostrare l'innocenzaanche le donne investe la violenzae nella sera avara di ragioneurla l'orrore tace la canzoneE quella donna che dalla finestracon la premura almeno ci rinfresca !

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VI - Quel venerdì di luglio verso sera

I primi versi in una lingua mortaSale la scalinata che lo portad'amore e di ragione un sentimentosenza difese verso quel momentoSembra bloccata come fosse in gabbiala camionetta invasa dalla rabbiache subito è assalita dalle spranghedalla furia di bianche mani stanchenella piazza sconvolta dal furoreE' lì per terra rosa un estintorela pistola che spunta da vicinoe poi gli spari indietro sul bacinoavanti acora sulle gambe – urlarela camionetta che non può scapparePare sospeso il tempo si è fermatonel sangue che ristagna sul selciatoe gli stivali intorno da cordone“Che cosa avete fatto !” - dal plotoneesce di forza caricando il passo“Tu l'hai ucciso bastardo col tuo sasso !Pezzo di merda !” - e quasi l'inseguivaE quell'esile corpo che moriva dicono ucciso in “circostanze oscure”non si sapeva di chi fosse eppurestriscia pietoso il vento come un soffiotenero cerca di arrestargli il fiottochino un compagno per la compassioneDura mezz'ora appena la versioneDolente terminava la giornatacalava il sole rosa la facciatadella Nostra signora del Rimediosanguinose metafore di assedioNon c'erano bandiere al funeraledi quel corpo colpito disegualefermo nell'aria tesa come in voloverso il defender che sparava – soloun drappo che tifava giallorossoTra i cento e più colori il mare rosso

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del variegato mondo antagonistae le bandiere il verde ecologistal'arcobaleno e il giallo dei limonila nebbia soffocante nei polmonile facce variopinte degli indianile mani bianche dei lillipuzianiil rosa della frivolezza è bellocome il ricordo fosse di un fratelloripensare ogni sera a quel coloredi un ragazzo ribelle per amoreUn ragazzo qualunque che potevaseguire degli amici se volevaquel giorno caldo forse ancora andareché a sinistra argentato splende il mare !Un ragazzo qualunque in quello sciamecon una testa e un cuore che rimane“Restando a casa non gli capitava !”Non era genovese ? Già ci stavale braghette da mare aveva sotto ma pure a calci è preso dopo morto !“Un sensa casa un figlio di nessunoun punkabbestia tossico di fumoun esaltato” - E se lo fosse stato ?In quanti ancora l'hanno assassinato ?E' della madre dal dolore affranto ancora aspra la bocca arsa dal piantocome di luna luminosa il visoquando dagli occhi il velo di un sorrisocosì dall'alto il sole nuvolsoforando s'apre rischiarando afosoQuante volte ancora gli hanno sparato ?Quasi nemmeno accorgerci ci è datodelle continue piccole violenzedi tante nostre tacite obbedienzedelle automatiche sottomissionima quando insorge nelle ribellioniil rifiuto all'illecita pretesaallora si spalanca la distesa oltre i recinti ove si sta rinchiusigli spazi del possibile dischiusiNon è la stessa cosa la violenzadi chi quel giorno ha fatto resistenza

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e forse non sarebbe stato meglio uno straccetto rosso come quelloarrotolato al collo ai partigianie presso l'urna rossi dei gerani ?

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VII - Trecentomila in piazza a ricordare

Non scende a notte il sonno tormentatoE l'indomani ? - Che sarebbe stato ?Trecentomila in piazza cento rivi“Aquì estamos !” - siamo ancora viviTrecentomila in piazza a ricordare le ragioni di un modo da cambiarel'orrore e lo sgomento di quel giornodi nuovo per contare nel ritornoDavanti a tutti enorme uno striscione“Nel mondo sei miliardi di persone- di cittadini come di migrantivoialtri solo in otto anche se Grandi”Trecentomila in piazza un movimentoche non si era mai visto forse un tempoquando insorgeva nelle strade grigeun altro luglio le magliette a striscieCome di vetro fragile è sospesasulla fiumana del corteo distesache corso Italia scorre silenziosanell'aria la tensione di qualcosae senza una ragione come ierile cariche di quei carabinierila stessa caccia della poliziaacre dei lacrimogeni la sciache brucia gli occhi e soffoca la golai feriti lasciati nell'aiuola lanci dagli elicotteri che pareil vortice assordante delle palesopra la testa come di sparvierida ogni parte fuggendo forestieriSpezzati in due tronconi dai blindaticostretti a indietreggiare ricacciatima dalla parte in alto ancora scendecompletamente ignara tanta genteche diventa impossibile arretrare“Non correte torniamo a compattare !”e dappertutto trovano sbarrato“Quei bastardi hanno tutto calcolato !”

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Si gela il sangue ancora nelle veneall'urlare implorante di sirenee dai furgoni spuntano pistolesvolazzano rottami nelle aiuolesporchi brandelli un tempo coloratifumanti i cassonetti rovesciatibarricate – assaliti anche dal fiancoè chiusa ormai la rete senza scampodall'alto gli elicotteri ossessivic'era soltanto da restare viviDispersi nella nebbia tra gli spariombre smarrite in cerca di riparicome vivi fantasmi di sconforto“E basta ricordatevi che è morto !”Violenza nuda corpi come nientesu cui una camionetta freddamentepuò senza fretta liberare il passopassando e ripassando come un sasso

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VIII - Quella notte di sabato cilena

E nella notte sfondano i cancelliavidi e neri avvolti nei mantellicon false prove false bombe e arnesinegli occhi chiari li ascoltavo tesi“Tutti a terra bastardi state fermi !”poveri corpi consegnati inermirannicchiati al riparo delle manie sopra gli stivali come canile croci rosse e bianche le gazzelleecco una dopo l'altra le barellel'urlo delle sirene fino al maredalla scuola alla strada al cellulare“Fate schifo !” - imprecava ammanettataquella ragazza stridula snervataa stento trattenuta per la gotae nella stanza desolata e vuotascrtitti nel sangue lungo le paretidei poliziotti i sadici alfabetiparlavano una lingua di vendettarossa di sangue è intrisa una magliettal'impronta sulla porta di una manocome l'ala fuggente di un gabbianoE ancora a Bolzaneto ancora penaquella notte di sabato cilenain piedi faccia al muro sanguinantimentre una cantilena – deliranti“Uno due tre /viva il Duce e Pinochetquattro cinque sei /diamo fuoco agli ebreisette otto nove /il negretto non commuoveForza di nuovo insieme ripetiamo !”Chi potrà più cantare a quel richiamosenza provare ancora lo sconfortoe la vergogna di pisciarsi addossola testa che si spacca facilmentele mani sollevate inutilmentegli sputi in bocca il proprio sangue caldoe quel pianto che scorre maramaldo ?Della ragazza ripiegata accantoirriso con fastidio è pure il pianto

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che “Non dovete rompere i coglionicon queste vostre manifestazioni !”Qualcuno avrà trovato una manieraquella notte un conforto una preghiera ?E come in Argentina come in Cile anche la morte era svilita vilesenza il garrire di bandiere in cimaquella notte di sabato ferinaDa dove quel feroce accanimentoche devastante lascia lo sgomentoche spezza ogni rapporto e poi soltantola nudità dell'impotenza il pianto ?E nel silenzio è come un'agnizionelucidi gli occhi chiari di emozioneche si guardano muti rievocandoil tempo amaro già vissuto accantoNel ventre caldo di quei giorni breviinseguiti dal vento foglie lievisiete cresciuti così in fretta figli che la ragione non ha più consigli ma vi vorrei vedere più leggeri dall'inferno impotente dei pensieri E quanto a lungo ancora può durarese così tanti salgono dal maree profonda ci immerge la vergognadi una cultura triste che non sogna ?“Dopo questo è possibile cambiare ?”Chiede sommeso senza domandare

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IX - Dopo l'aspra montagna la pianura

Mascherando timore e tenerezzali avevo salutati una carezzaappena trattenuta con la manosul viale che scompare da lontanoil rombo della moto nella seragli occhi ridenti dietro la visieragli zaini arrotolati e i caschi in testaun giorno breve che era ancora festala festa dei migranti coloratama nella zona rossa separatacome si usava un tempo nella pestenemmeno arriva l'eco delle festeI curdi avanti con le stelle giallee dai cartelli issati sulle spalleil nome di ogni singola nazionebianco e teso tra gli altri uno striscione“Padroni di niente servi di nessunoandiamo all'arrembaggio del futuro”Ora è finita ancora un girotondol'irridente allegoria del mondola vita di un ragazzo in canottieragià sangue lacrimogeni e preghieraSono tornati sulla vecchia motodagli occhi stanchi saturi di vuotoe vi vorrei vedere più leggeri dal peso stesso che vi rende veriRicordi quell'inverno ? - Eri bambinodi notte attraversando l'Appenninosotto il lungo traforo del Gran Sassosembrava interminabile quel passoma dopo l'aspro monte la pianurae ti lasciavi indietro la paurach'è di ogni cosa ambivalente il sensoe tutto ciò che è solido nel ventosempre si spande come fumo lentol'inavvertito scorrere del tempoLa fine della Storia ? - Ci restavafumanti le macerie che trionfavasul finire del secolo passato

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solo il sistema iniquo del mercatoe lasciava un deserto di detritiil globalismo con i nuovi mitiquando eravate nelle strade grigecome quel luglio le magliette a strisciea mostrarci il chiarore dell'auroramentre il tramonto ci oscurava ancoraCercando il filo rosso di un sentierostiamo danzando ancora al buio – è veropiù la prateria non può bruciarese ora il sistema ha smesso di allevareper oggettivi focolai intestinicontraddittoriamente i suoi becchininon prende fuoco senza una scintillaquesto universo orrendo che vacillada labili confini disegnatotra le scelte politiche e il mercatotra i diritti e la bruta repressionerappresentanza e rappresentazioneEra davvero il Cile l'Argentina quell'atroce mattanza clandestina ?Forse qualcosa c'èra di diversoqualcosa di moderno e di perversola logica di flusso che ha scalzatola logica di luogo di uno Statorestato a sentinella dei cancelliarmato di pistole e manganelliE quando a sera la ragione muore forse ci resta solamente il cuorea comandarci che continuiamodi ciò che non abbiamo fatto siamonoi tutti responsabili ugualmente

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X - Qualcosa che verrà

Dal ferro della rete circondatosta Palazzo Ducale spazio sacroe dalla zona rossa dall'Imperoesce il “communiqué” - dice che è verol'inconveniente della fame eppuresi invocano frontiere più sicurel'aiuto allo sviluppo non aumentaanche quel poco che ora rappresenta non si cancella il debito creatodallo scambio ineguale sul mercatoper l'Africa l'annuncio che in futuroverrà redatto un piano – di sicuroc'è mezza pagina di documentoma non un soldo di finanziamentoinfine per i farmaci essenzialibrevettati da multinazionaliun Fondo è previsto una dotazioneappena il prezzo di una confezioneche corrisponde a un dollaro per testadelle promesse è tutto ciò che restaNemmeno questa volta sull'ambiente hanno firmato il protocollo – nienteDa ogni parte del mondo colorata un corpo solo si era ritrovatamoltitudine un giorno per gridareche davvero è possibile cambiarel'esili membra sparse ripartivache il sole tramontava che morivasenza nemmeno più guardarsi attornosenza voce privata anche del sognocome davvero fossimo appestatiquelli negli ospedali gli arrestatiil sangue rosso sparso sul selciatola vita di un ragazzo assassinatoCuciti ancora agli alberi i limoniproibite le mutande dai balconiper fare la figura con i Grandie fuori stagna il fumo gli urticantie nella piazza dai cordoni avvolta

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la vita di un ragazzo era già mortagiaceva steso a terra in canottiera quel venerdì di luglio verso seraChe sarebbe stato ? - Sono tornatitrascorso l'anno che disseminatihanno intrecciato i fili dell'orditoinaugurato luoghi hanno imbastitola tela che separa la violenzae l' ”altro” mondo senza l'emergenzascandito il tempo da ritmi sfasatii testimoni sono ritornatiTinge di rosa come allora il solequella stessa facciata e dalle aiuoledi rossi fiori freschi sul selciatoora c'è un laico altare soleggiatoCome dal fiume l'onda che tracimanulla lasciando di com'era prmacon la potenza che ogni cosa spazzacresce il silenzio sull'immensa piazzache ha preso il nome del “ragazzo Carlo”ritornati per non dimenticarloSono tornati in tanti avanti al muroi testimoni muti di un futuroche non sarà una merce - “Tante cosesegnano una vita e tante vitesegnano qualcosa – che verrà”.