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Gian Maria Varanini Condanne inquisitoriali, usura e politica fra Duecento e Trecento. Appunti sul caso veronese [A stampa in Scritti di storia economica e sociale in onore di Giovanni Zalin, a cura di G. Gullino, P. Pecorari, G.M. Varanini, Cierre edizioni, Caselle di Sommacampagna (Verona) 2011, pp. 381-392 © dell’autore - Distribuito in formato digitale da “Reti Medievali”, www.retimedievali.it].

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Gian Maria Varanini Condanne inquisitoriali, usura e politica fra Duecento e Trecento.

Appunti sul caso veronese

[A stampa in Scritti di storia economica e sociale in onore di Giovanni Zalin, a cura di G. Gullino, P. Pecorari, G.M. Varanini, Cierre edizioni, Caselle di Sommacampagna (Verona) 2011, pp. 381-392 ©

dell’autore - Distribuito in formato digitale da “Reti Medievali”, www.retimedievali.it].

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1. Eresia dottrinale e usura nelle condanne inquisitoriali veronesi

Nella diocesi di Verona, l’inquisizione papale – a partire dagli anni Cinquanta affidata, per il territorio dell’Italia nord-orientale, ai francescani – cominciò a funzionare in modo effettivo attorno al 1270, dopo la fine del regime dello scomunicato Ezzelino III da Romano, e dopo che i rapporti tra il regime cittadino e la Curia, già per breve tempo normalizzatisi nei primi anni Sessanta, ebbero superato la nuova crisi determinata nei rapporti con Roma dall’adesio-ne del comune di Verona (all’epoca già di fatto egemonizzato dagli Scaligeri) a Corradino di Svevia (1267)1. In una ricerca recente2 ho riesaminato tutta la documentazione relativa alle sentenze emesse negli anni 1270-1310 (circa) dagli inquisitori attivi a Verona, integrando un po’ le vecchissime, ma documentate indagini di Carlo Cipolla3, alle quali in 130 anni si è potuto aggiungere – sul piano dell’accertamento dei fatti – qualcosa, ma non moltissimo.

Uno degli elementi emersi con chiarezza da quella mia ricerca è il fatto che nella socie-tà cittadina il quadro della presenza ereticale è sfrangiato e poco compatto: mentre diversa, come si sa, è la situazione in certe zone del contado, e in particolare nella roccaforte catara di

* Ringrazio Marina Benedetti, Giuseppina De Sandre Gasparini, Reiny Mueller, Maria Clara Rossi per il loro aiuto.

1 Cfr. per l’intera Marca i veloci cenni dati in G.M. Varanini, Marca Trevigiana, in Dizionario storico dell’inquisizione, a cura di A. Prosperi, V. Lavenia e J. Tedeschi, Pisa 2010, II, p. 982, con la bibliografia essenziale (sostanzialmente Biscaro [1932] e d’Alatri [1960], oltre al saggio recente di Rigon citato qui sotto a nota 13). In generale cfr. Frati minori e Inquisizione, Atti del 33° Convegno internazionale della Società internazionale di Studi francescani (Assisi, 6-8 ottobre 2005), Spoleto 2006, con contributi più attenti alle fasi iniziali dell’attività inquisitoriale dei francescani.

2 G.M. Varanini, Minima hereticalia. Schede d’archivio, in www.retimedievali.it, «Reti Medievali – Rivista», 6 (2005), fasc. 2, url: <http://www.dssg.unifi.it/_RM/rivista/saggi/Varanini.htm>, pp. 18 (riedizione ampliata di G.M. Varanini, Minima hereticalia. Schede d’archivio, in Chiesa, vita religiosa, società nel medioevo italiano. Studi offerti a Giuseppina De Sandre Gasparini, a cura di M.C. Rossi e G.M. Varanini, Roma 2005, pp. 677-693).

3 C. Cipolla, Il patarenismo a Verona nel secolo XIII, «Archivio veneto», t. XXV (1883), pp. 64-86, 267-287; Id., Nuove notizie sugli eretici veronesi,1273-1310, «Rendiconti della r. Accademia dei Lincei», s. IV, V (1895), pp. 336-353.

Condanne inquisitoriali, usura e politicafra Duecento e Trecento. Appunti sul caso veronese*

Gian Maria Varanini

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Sirmione e della riviera gardesana, ove nel 1278 il potere signorile scaligero intervenne dura-mente d’intesa con l’inquisitore e con le istituzioni ecclesiastiche cittadine4. Fu solo negli anni attorno al 1266-1267 che la presenza delle gerarchie ecclesiastiche catare svolse con certezza anche nel centro urbano di Verona un ruolo significativo; e gli inquisitori riuscirono nei de-cenni successivi, con attente indagini, a scoprire e a punire chi aveva allora aderito a una eresia ‘dottrinale’. Ma quelle ricerche hanno dimostrato anche un’altra cosa, che qui specificamente interessa: che una buona parte (anzi, la maggior parte) delle condanne pronunziate contro singoli dai frati chiamati a reggere l’officium fidei avente sede presso il convento di San Fermo Maggiore riguardarono uomini (e donne) variamente coinvolti in faccende di usura.

Non può essere un caso infatti che siano prestatori a interesse tanto gli Zovenomi (Bonaventura è esumato e bruciato nel 1288), quanto Ruggerino dalle Lamiere, Bar-tolomeo «a Tabula» (un cognome trasparente!; fu condannato nel 1288), i «de Vecla» presso i quali soggiornarono (nella contrada di San Nicolò all’Arena, negli anni Sessanta) i vescovi catari, con tutta probabilità5 il cambiatore di denaro Giovanni «de Matro» (che aveva peraltro anche visitato i due vescovi catari, Bonaventura della Torre e Bartolomeo «de Mitifogo», l’omonimo nipote del quale ultimo era a sua volta un cambiatore di de-naro e probabile usuraio)6: dunque parecchi tra i singoli cittadini veronesi che furono condannati da Filippo Bonacolsi, inquisitore a Verona dal 1276 al 1289, secondo la frammentaria documentazione che ci è pervenuta. Solo per il «de Matro» – condannato post mortem nel 1305, ma attivo nei decenni precedenti (era ancora vivo nel 1285) –, per quanto sappiamo dalla documentazione sinora nota, la condanna è motivata anche dal fatto che egli affermò apertamente la convinzione «quod dare ad usuram non erat peccatum» (oltre a negare l’immortalità dell’anima, affermando «quod homines quando moriuntur moriuntur sicut bestie que non habent infernum nec paradisum, et quod homines mortui iacebant sicut trunchi lignorum»)7.

2. Il punto d’arrivo: le immediate conseguenze del concilio di Vienne (1311)

Questo maggior rilievo, verso la fine del secolo, dell’usura come bersaglio dell’azione inquisitoriale non sorprende. Già da molto tempo, da quasi un secolo, il problema del-

4 Per una attenta e meditata riflessione d’insieme, che ricolloca il caso veronese nel contesto generale, cfr. L. Paolini, Geografia ereticale: il radicamento cataro nella pianura padana a metà del XIII secolo, in La norma e la memoria. Studi per Augusto Vasina, a cura di T. Lazzari, L. Mascanzoni e R. Rinaldi, Roma 2004 (Nuovi studi storici, 67), pp. 369-398.

5 Per la documentazione che lo riguarda e la sua presenza «apud tabulas campsorum», cfr. Varanini, Minima hereticalia. Schede d’archivio, cit., nota 66.

6 E. Napione, G. Moretto, Cercando il Maestro di Santa Anastasia: Bartolomeo de Mitifogo campsor da San Benedetto e l’ombra remota del vescovo eretico, «Verona illustrata. Rivista del Museo di Castelvecchio», 17 (2004), pp. 9-10.

7 Varanini, Minima hereticalia. Schede d’archivio, cit.; cfr. anche P. Marangon, Il pensiero ereticale nella Marca Trevigiana e a Venezia dal 1200 al 1350, Abano Terme 1984, pp. 33-34.

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la equiparazione dell’usura (condannata come si sa sin dal terzo concilio lateranense, del 1179) all’adesione a un’eresia era dibattuto sul piano dei principi. Sin dal 1227 Gregorio IX affiancò il prestito ad interesse al tema dell’eresia in un documento solenne: indirizzando una lettera ai reggitori dell’Italia settentrionale, infatti, il papa ne stigmatizzò la tiepidezza nella lotta all’eresia e nella tutela della libertas Ecclesie, ma si lamentò anche dell’indulgenza e anzi del favore che le autorità concedevano alle attività usurarie. Le soluzioni trovate furo-no diverse, da città a città, e scalate diversamente nel tempo. Nell’attuale Veneto orientale, per esempio, almeno dal 1256 l’inquisitore (che aveva competenza su Venezia, su Treviso e la Marca, sul Friuli) era controllato da un ufficio comunale «super patarenis et usurariis»8.

Se questo è il punto di partenza, il punto d’arrivo è a sua volta ben noto. Nel 1311 il concilio di Vienne affermò ex professo il principio che affermare la liceità dell’usura signi-ficava pronunciare «verba eretica». In quella occasione, con la decretale Ex gravi papa Cle-mente V si indirizzò ai governanti delle singole città, intervenendo in primo luogo «con-tro il permanere in alcuni statuti comunali di rubriche favorevoli alle attività usurarie» e appunto azzerando la differenza tra usura ed eresia9. Da allora in poi, dunque, lo scenario si modificò dal punto di vista dottrinale; e proprio alcuni documenti veronesi di anni immediatamente successivi – pubblicati abbastanza di recente, ma forse non abbastanza valorizzati10 –, permettono di illustrarne le conseguenze. L’inasprimento delle dichiarazio-ni di principio da parte della Chiesa porta infatti immediatamente a una maggior durezza di rapporti tra i prestatori e i loro clienti. Nel 1317, il fabbro veronese Negro del fu Ogni-bene «de Brutatia», che è anche prestatore, fa registrare da un notaio e consegna – verosi-milmente di sua iniziativa – all’ufficio inquisitoriale11 le dichiarazioni di alcuni testimoni, secondo i quali un altro fabbro, Beroardo da Sommacampagna, aveva cercato di costruire contro di lui (rivolgendosi anche ai collaboratori dell’ufficio inquisitoriale) una falsa te-stimonianza, dalla quale sarebbe risultato che egli sosteneva che prestare ad usura non era peccato. In questi termini Beroardo si sarebbe rivolto a un famulus dell’inquisitore:

Tu es de familia inquisitoris. Ego vellem quod tu deberes testificari contra magistrum Nigrum fabrum de Brutatia ipsum dixisse quod non est peccatum dare ad usuras et si tu vis testificari nos vindicabimus de ipso”. Et tunc dictus Berinus <il “famulus”>: “Quod est hoc quod tu dicis? Quomodo ego facerem unum falsum testimonium? Non vides tu quod

8 R.C. Mueller, The Procuratori di San Marco and the Venetian Credit Market, New York 1977, pp. 228-247; il 1256 è la data di promulgazione del capitolare di questa magistratura. È lievemente impreciso, sul punto, M. Giansante, Eretici e usurai. L’usura come eresia nella normativa e nella prassi inquisitoriale dei secoli XIII-XIV. Il caso di Bologna, «Rivista di storia e letteratura religiosa», 23 (1987), p. 206.

9 Ivi, pp. 203-204.10 Al compianto autore, come lascia intendere il titolo stesso della sua monografia, interessava piuttosto

l’altra prospettiva, quella ‘dottrinale’: cfr. Marangon, Il pensiero ereticale nella Marca Trevigiana, cit., pp. 37-40. Ivi, a pp. 35-37, si analizza anche un altro coevo (1314) caso di eretico veronese, Montino da Verona, condannato per questioni di maggior sostanza teologica e per avere anch’egli subornato testimoni.

11 I documenti sono conservati (in modo solo apparentemente ovvio) nell’archivio del convento france-scano di San Fermo Maggiore, come altre carte degli inquisitori veronesi.

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ego sum infirmus in manibus Dey?”. Et tunc dictus Beroardus dixit: “Facias mihi unum insstrumentum qualiter audivisti ipsum Nigrum dicentem ista verba et ego portabo ipsum inquisitori”. Et dictus Berinus dixit: “Vade, quod ego nullo modo hoc facerem, quia esset falsum et ego nullo modo facerem falsum testimonium”.

A propria ulteriore garanzia, il prestatore Negro «de Brutatia» fece anche registrare la dichiarazione di un suo cliente, tale Toccaterra, anch’egli richiesto da Beroardo di Som-macampagna di rendere una falsa testimonianza:

Ser Tocatera quondam domini Ysachi de Sumacampanea dixit dicto magistro Nigro quod Beroardus faber de Sumacampanea appelavit ipsum ser Tocateram quod deberet testificari contra dictum magistrum Nigrum ipsum dixisse quod non erat pecatum dare ad usuram nec desertare unum hominem. Et ipse Tocatera dixit: “Ego nullo modo facerem, quia non est verum quod ipse dixerit hec. Imo quando vado ad solvendum eidem usuram de denariis quos mihi mutuavit, ipse mihi pluries dixit quasi flendo quod multum dolet de eo quod accipit usuram, propter pecatum, et multum verecondatur de hoc et omni vice dimittit mihi aliquid de eo quod debet habere et multociens reddit mihi de eo quod acci-pit, sed ego non facerem falsum testimonium aliquo modo”. È chiaro dunque che l’inquisitore si trova tra due fuochi. Da un lato, qualche spregiu-

dicato debitore lo vuole indurre ad un’applicazione rigida dei principi sanciti dal concilio di Vienne pochi anni prima, e non esita ad ordire una macchinazione cercando di costrui-re una falsa testimonianza (con lo scopo ovvio di vedersi restituire i documenti che atte-stavano la propria condizione di debitore, e di azzerare così le proprie pendenze: questo è il senso del «nos vindicabimus de ipso» che Beroardo pronunzia, e un’altra testimonianza resa nella stessa occasione lo dice ancora più chiaramente: «volo quod tu debeas testificari qualiter tu audivisti ipsum dixisse dicta verba, et ita poteris te vendicare de ipso et ego eciam vendicabo me de ipso, ita quod habebimus insstrumenta nostra pro nichilo»)12.

Dall’altro lato, il prestatore si premunisce, depositando proprio nell’ufficio dell’inquisitore testimonianze che lo presentano sì come usuraio confesso, ma anche come consapevole del proprio peccato: ecco allora la patetica scenetta che lo raffigura mentre quasi piangendo incas-sa sì quanto gli compete ma fa un po’ di sconto. Il prestatore tien conto dunque dell’inevitabi-le realismo al quale l’inquisitore è costretto. Gioca d’anticipo, e ipotizza una tolleranza di fatto da parte del suo potenziale antagonista: il quale d’altra parte sa benissimo (anche quando non partecipa, come parecchie volte accadde, a manovre spericolate e a vere e proprie operazioni di peculato, o si rende responsabile di altre malversazioni) di non poter condannare una società intera, e agisce dunque discrezionalmente e pragmaticamente, tenendo conto nella scelta de-gli usurai da perseguire di vari criteri (non ultimi, i ‘suggerimenti’ dei poteri cittadini)13.

12 Corsivo mio.13 Per il complesso rapporto tra gli offici inquisitoriali, e il mondo francescano in genere, e le economie

cittadine, cfr. per il vicino e parallelo caso di Padova le considerazioni di A. Rigon, Frati minori, inquisizione

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3. La sentenza contro Altafina «de Cerdonibus» (1280) e i suoi antefatti. Tra ‘eresia’, usura e politica

Queste situazioni così nette sono determinate dai pronunciamenti di Vienna, ma sono anche il punto d’arrivo di un processo che tra gli anni Ottanta e Novanta del Duecento è, a Verona, già piuttosto chiaramente percepibile, come indica l’addensamento delle date sopra menzionate. Orbene, un importante documento del pieno Duecento recentemente riemerso nel ricchissimo archivio di San Giorgio in Braida consente ora di confermare14 che esercitava il prestito a interesse su larga scala la famiglia di uno dei più precoci (1280) bersagli dell’attività inquisitoriale di fra Filippo Bonacolsi da Mantova, Altafina del fu Bongiovanni «de Cerdonibus» (o «de Calzareriis» o «de Calçolariis»)15, moglie all’epoca di Bonaventura «de Bonçagninis», e ne mostra anche il coinvolgimento nelle torbide vicende politiche dell’ultimo, drammatico periodo della dominazione ezzeliniana, conclusasi a Ve-rona nel settembre 1259 dopo la sconfitta del da Romano a Cassano d’Adda.

La vicenda fu resa nota già da Cipolla. Il 4 gennaio 1280 frate Filippo aveva messo all’asta («publicavit») i beni di Altafina, condannata in quanto erede del padre; la vendita era stata effettuata (il 25 gennaio) dal podestà del comune di Verona Glazesio Carbonesi, e gli acquirenti erano stati un notaio, Galvano da Tomba della guaita di San Quirico, e Giovanni «de Matocio de guaita Pontis Petre» (del quale non si può escludere – osservo qui per inciso – una identificazione con il futuro mansionario della cattedrale e autore delle Historie imperiales)16. Come osservò Cipolla, che pensava ad una condanna per eresia ‘dottrinale’, è in qualche misura inconsueto il fatto che tutto il ricavato della vendita vada al comune di Verona (anziché un terzo al comune, un terzo all’officium fidei, un terzo al vescovo: anche se questa partizione astratta non è sempre rispettata, tutt’altro). È anomalo anche il fatto che Altafina compaia a fianco di Galvano della Tomba e di Giovanni «de Matocio» come acquirente dei suoi stessi beni per la quota di un terzo. Anche i (pochissi-mi) studiosi successivi che hanno preso in considerazione questo caso si sono stupiti del-l’assenza di qualsiasi riferimento dottrinale nella sentenza emessa contro Altafina, e della estrema mitezza della pena a lei irrogata. Gabriele Zanella, per esempio, ha contrapposto il rigidissimo comportamento di altri inquisitori che non esitano ad accendere senz’altro

e Comune a Padova nel secondo Duecento, in Il «liber contractuum» dei frati minori di Padova e di Vicenza (1263-1302), a cura di E. Bonato, con la collaborazione di E. Bacciga, Roma 2002, pp. V-XXXVI, special-mente pp. XXIX-XXXVI.

14 Avevo avanzato un’ipotesi, sulla base di indizi indiretti, in Varanini, Minima hereticalia. Schede d’ar-chivio, cit., nota 72 e testo corrispondente.

15 Per l’equivalenza tra cerdo e calzarerius nel lessico veronese (anche amministrativo: ad es., la denomina-zione della corporazione), basti qui il rinvio a A. Tagliaferri, L’economia veronese secondo gli estimi dal 1409 al 1635, Milano 1966, pp. 208-209.

16 Le prime notizie documentate su Giovanni Mansionario risalgono per ora al 1303. Per i dati biografici su di lui e una bibliografia completa, cfr. i rinvii bibliografici forniti da M. Zabbia, Matociis, Giovanni de’ (Giovanni Mansionario), in Dizionario biografico degli italiani, 72, Roma 2009, p. 126 (<http://www.trecca-ni.it/enciclopedia/giovanni-de-8217-matociis_%28Dizionario-Biografico%29/>).

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il rogo alla «procedura seguita da frate Filippo a Verona nei riguardi dell’eretica Altafina, la quale non solo non è bruciata, ma non vede neppure il carcere, prende addirittura parte alla stipulazione del contratto di vendita dei suoi beni e ne ottiene anche parte nel prezzo»17.

Il fatto è, appunto, che Altafina «de Cerdonibus» non fu – con ogni verosimiglianza – né eretica né implicata personalmente nel prestito di denaro: ma fu semplicemente la figlia ed erede di un ricco prestatore di denaro, uno dei tanti attivi nei decenni centrali del Duecento a Verona, come ovunque. Lo prova il testamento di un fratello di Altafi-na, Leonardo «quondam domini Bonçuanni de Cerdonibus de Castello», pervenuto in copia semplice duecentesca18 e conservato come sopra accennato, in copia non datata, nell’archivio di San Giorgio in Braida forse proprio in connessione con qualche strascico dei problemi legati alla confisca e alla vendita del patrimonio di Altafina. La famiglia «de Cerdonibus» risiedeva infatti nel quartiere del Castello a sinistra dell’Adige, e preci-samente nella contrada detta Placiola, nelle vicinanze della chiesa di Santo Stefano, non lontano dal corso del fiume; Bongiovanni «de Cerdonibus» nel 1242 era in relazione con il monastero di San Giorgio in Braida al quale aveva venduto molti anni addietro una casa e un mulino sull’Adige «in ripa Sachi» per un valore non inferiore (e forse alquanto superiore) a 2.000 lire19. Il prezzo era gonfiato, e celava un prestito; le clausole di questa transazione le apprendiamo da un documento di vent’anni più tardi. Infatti nel 1265 l’ente ecclesiastico fece testimoniare, di fronte al podestà del comune di Verona, il pro-prio camerlengo degli anni Quaranta, l’ormai vecchissimo e malato «pre Zuano qui fuit de Brentonico», e l’altro amministratore Bonacossa, «ad probandam solucionem debiti tocius». Si trattava appunto del debito di 2.000 lire che San Giorgio in Braida aveva contratto con Bongiovanni; i due ecclesiastici dichiararono d’aver pagato integralmente quanto dovuto al «de Cerdonibus», versandogli nell’arco di 10 anni, tra il 1232 e il 1241, ben 1.000 lire «in denariis parvulis et grossis» («pro beneficio sive proficuo» oppure «pro donamento», come viene eufemisticamente definito l’interesse, pari in totale al 50%)20.

17 G. Zanella, Malessere ereticale in valle Padana (1260-1308), «Rivista di storia e letteratura religiosa», 14 (1978), pp. 347-348; Id., Itinerari ereticali: patari e catari tra Rimini e Verona, Roma 1986, p. 40 (il sag-gio fu ripubblicato anche in G. Zanella, Hereticalia. Temi e discussioni, Spoleto 1995). Precedentemente, Cipolla, Il patarenismo a Verona, cit., p. 83.

18 Forse del 1265: cfr. qui sotto, nota 29 e testo corrispondente.19 Il 22 maggio 1242 il «dominus Bonusiohannes de Cerdonibus de Plaçola» effettua un saldo dei suoi

rapporti con il monastero di San Giorgio in Braida: circa il credito di 2.000 lire, egli dichiara di «habere instrumenta et in suis instrumentis continetur; et quod ipse dominus Bonusiohannes bene solutus est ab ipso domino priore pro dicta ecclesia de domo et molendino quod eis vendidit, que domus et molendinum iacent in ripa Sachi et de toto illo frumento quod dederat et vendiderat seu comodaverat fratribus dicte ecclesie et de quarellis et lastis et de omnibus aliis rebus venditis et datis et comodatis» sino alla data odierna. Dunque tale forte somma era la parte residua di un credito maggiore. Cfr. Archivio Segreto Vaticano, Nunziatura Veneta, perg. 9893 (cui si aggiunge, perg. 9894, una copia autentica non databile con precisione).

20 Archivio Segreto Vaticano, Nunziatura Veneta, S. Giorgio in Braida, perg. 10805 (17 marzo 1265), 10806, 10807. Va notato ancora che anche l’anno successivo, nel 1266, una «Beatrix de Cerdonibus» ap-

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Si deve aggiungere poi che importanti transazioni non mancano anche negli anni suc-cessivi: nel 1255 Bongiovanni riceve un pagamento e rilascia una quietatio al monastero, che stava via via rimborsandolo di 1.200 lire21.

Ma qual era, dunque, il contenuto di questo atto di ultima volont?Il testamento di Leonardo «de Cerdonibus» − che fatti salvi i legati pii lascia eredi di

tutta la sua sostanza le tre sorelle Altafina, Desiderata e Cristiana −, è databile con sicurez-za. Costituiscono infatti termini ante quos la menzione, in esso, dei domenicani veronesi ancora insediati a Santa Maria mater Domini; e dei francescani nella chiesa di San Fran-cesco (e non a San Fermo Maggiore)22. Quanto al termine post quem, la morte del padre, Bongiovanni, menzionato come defunto, è ricordata da un passo del Chronicon veronense di Parisio da Cerea che ha grande importanza per questa vicenda e la ricolloca sullo sfondo così fosco degli ultimi tempi della dominazione ezzeliniana in Verona (segnati da frequenti incarceramenti, confische di beni, esecuzioni capitali):

1258. MCCLVIII. Thomasius de Mazone et Zacharia de Ferraria existentes vicarii Verone, et Mastinus de la Scala potestas Cerete, dominus Icerinus de Romano fecit capere Basui-num et Bellabracham eius filium, Gabrielem Zanini de Iacobo et eius filium Iohannem Zaninum, Boniohannem de Calzareriis et eius filios et omnes de domo sua, Zordanum de Capitalibus et fratrem eius et multos alios tam cives quam nobiles de Verona, qui omnes in iudicio mortui sunt primo februarii, mandato domini Icerini23.

Leonardo morì dunque nel 1258. Non tutto è chiaro, in verità, perché egli afferma di aver testato «iacens in lecto», mentre ci si aspetterebbe che egli testasse in carcere, visto che il cronista precisa che furono catturati e giustiziati con Bongiovanni, in quella occa-sione, «et eius filii et omnes de domo sua». Ma sulla sostanza dei fatti non vi sono dubbi, e c’è per giunta un perfetto parallelismo tra la vicenda della famiglia «de Cerdonibus» e quella di Giordano e Bartolomeo Capitali, anch’essi giustiziati nel febbraio 1258, che fecero testamento in carcere il 4 febbraio 125824; e anche Giordano Capitali lasciò eredi

partenente evidentemente a un altro ramo della famiglia è accusata dal monastero d’aver stipulato contratti «feticii et erroney sive simolati», a seguito di prestiti effettuati «a suis patribus sive maioribus» al comune di Sabbion (soggetto a San Giorgio in Braida) a Isnardo Scaramelli (ivi, perg. 10888).

21 Archivio Segreto Vaticano, Nunziatura Veneta, perg. 10527 (11 marzo 1255). A questo debito si fa cenno retrospettivamente anche nel 1265.

22 Ambedue le comunità si spostarono nel centro della città – rispettivamente, a Santa Anastasia e a San Fermo Maggiore – nel 1260. È pressoché certo che la dizione «fratrum minorum Sancti Francisci» vada riferita al luogo (la chiesa extramuraria di San Francesco, attualmente San Francesco al Corso, primo insediamento minoritico in Verona, dal 1230) e non alla persona del fondatore; per questo nell’edizione ho usato la maiuscola “Sancti”.

23 Cito da Il Chronicon veronense di Paride da Cerea e dei suoi continuatori, a cura di R. Vaccari, I t. 1 (La cronaca parisiana [1115-1260] e l’antica continuazione [1261-1277]), in corso di stampa, ad annum.

24 La discordanza tra la data riportata dal Chronicon veronense (1° febbraio) e quello dei due testamenti Capitali (4 febbraio) non mi sembra preoccupante; verosimilmente, il 1° febbraio fu la data della sentenza («in iudicio»).

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universali le due sorelle25, allo scopo evidente di salvare almeno una parte del proprio patrimonio.

Il testamento di Leonardo è interessante in sé e per sé, principalmente perché mostra una notevole intrinsichezza del testatore con le comunità e le istituzioni che nel mezzo secolo precedente, a partire dal 1210 circa, avevano profondamente rinnovato il volto re-ligioso della città di Verona sotto la spinta degli ordini mendicanti e delle religiones novae, come oggi si usa dire26. Il guardiano dei frati minori, il priore dei predicatori e il ministro dei «fratres de penitencia»27 hanno un ruolo particolare, perché pur senza essere formal-mente esecutori testamentari sono incaricati dal «de Cerdonibus» di gestire a discrezione una somma di 500 lire. Sono poi destinatarie di legati piuttosto robusti, proporzionati evidentemente alle notevolissime risorse di liquidità, buona parte delle istituzioni ‘mendi-canti’ più importanti della città e dell’immediato suburbio: i francescani e le sorores mino-res di Santa Maria delle Vergini di Campomarzio, i domenicani, le sorores di San Cassiano in Valpantena e quelle di Arcarotta (e non manca una ‘puntata’ a Trento, per assegnare la somma in assoluto più alta, tra tutti questi legati pii, alle francescane del convento di San Michele)28. Per un altro verso, la segnalazione dei fratres di San Gabriele in Monte29, insieme con la presenza tra i legatari dei Flamberti, una famiglia insediata nel castrum alle pendici di Castel San Pietro (ai quali sono destinate ben 2.000 lire), rinvia a un forte

25 Ho accennato molti anni fa a queste vicende (ma senza conoscere naturalmente il testamento di Leo-nardo «de Cerdonibus» che solo di recente ho reperito) in G.M. Varanini, Per la storia dei Minori a Verona nel Duecento, in Minoritismo e centri veneti nel Duecento, a cura di G. Cracco, Trento 1984, pp. 120-121. Ivi si ricorda che tra i testimoni, in carcere, al testamento di Bartolomeo Capitali figura tra gli altri un «dominus Wifrinus quondam domini Spagnoli de Tabula Maiori», e dunque l’esponente di un’altra famiglia coinvolta nelle condanne inquisitoriali degli anni Ottanta e Novanta; e che una delle sorelle ed eredi di Giordano Capitali era «soror minor de Campomarcio».

26 Su questi temi è sufficiente qui rinviare alla sintesi di G. De Sandre Gasparini, La vita religiosa nella Marca veronese-trevigiana tra XII e XIV secolo, Verona 1993.

27 Si tratta di una testimonianza abbastanza precoce della presenza in Verona di questo movimento religioso laicale, vicino ai francescani: le prime notizie sinora note sono del 1249, e subito, in quell’anno, il ministro funge da esecutore testamentario. Cfr. l’attenta indagine di G. De Sandre Gasparini, Per la storia dei penitenti a Verona nel secolo XIII. Primi contributi, in Il movimento francescano della penitenza nella società medioevale, Atti del 3° convegno di studi francescani (Padova, 25-26-27 settembre 1979), a cura di M. d’Ala-tri, Roma 1980, pp. 270-271 e 273 nota 57.

28 Per i legami tra il convento trentino (ov’era badessa una figlia di un importante esponente del movi-mento dei «fratres de penitencia» del territorio veronese, Bonaguisa da Cologna Veneta, altre figlie del quale ricoprivano analoga carica a Firenze, Faenza, Padova, Verona), cfr. De Sandre Gasparini, Per la storia dei penitenti a Verona, cit., pp. 264-270 e in specifico p. 268.

29 Per questo insediamento religioso di «fratres minores» (così essi sono definiti nel 1224, con riferi-mento a una generica minoritas e non a una specifica appartenenza all’‘ordine’ francescano), cfr. i cenni di De Sandre Gasparini, Per la storia dei penitenti a Verona, cit., p. 263 nota 17, e di Varanini, Per la storia dei minori, cit., pp. 106-107, con correzione della interpretazione del Sandri che identificava senz’altro la comunità come francescana (G. Sandri, Un ‘locus’ francescano a S. Gabriele di Verona nel 1229, «Le Venezie francescane», 2, 1933, p. 59).

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radicamento nel quartiere, confermato dai rapporti con il monastero di San Leonardo in Monte Donico (non menzionato nel testamento), che risultano da altre fonti30. Degna di segnalazione è anche la scelta di premiare con 100 lire tutti gli ospedali della città, oltre naturalmente al lebbrosario di San Giacomo alla Tomba. Ma qui interessa soprattutto il fatto che quest’uomo attento alle esperienze più vive della vita religiosa cittadina sembra intenzionato, in punto di morte, a tagliare i ponti con la pratica usuraria paterna:

item reliquit et iudicavit atque dimisit totam usuram quam eius pater dominus Bonçuan-nus acceperat pro temporibus transactis omnibus illis personis que possent ostendere per bonas cartas vel per bonos testes,

ove è da notare soprattutto la fiducia accordata, in via di principio, ai debitori che sono in grado di produrre solo testimonianze orali («per bonos testes») senza pezze giustificative scritte.

4. Conclusione Il cerchio dunque si chiude. Occorre ovviamente molta prudenza, perché tra queste

disposizioni testamentarie e l’iniziativa dell’inquisitore Filippo Bonacolsi passano vent’an-ni, e della storia della famiglia «de Cerdonibus» discendente da Bongiovanni sappiamo ben poco, allo stato attuale delle ricerche: forse perché davvero non vi furono superstiti maschi. Ma resta il fatto che l’identità delle persone coinvolte non è minimamente in dubbio. Come si è visto, negli anni successivi alla morte di Bongiovanni la sua fama di usuraio era ancora ben viva, e contribuirono a rinfrescarla le rivendicazioni avanzate dalle eredi nei confronti del monastero di San Giorgio in Braida che furono – si può supporre – alle origini della controversia del 126531.

In conclusione, appare pienamente plausibile che nel 1280 l’officium inquisitionis di Verona – ormai pienamente consolidato32, reduce dai successi costituiti dalla spedizione contro la roccaforte catara di Sirmione e dal successivo celebre rogo di eretici nell’anfitea-

30 Cfr. M. Patuzzo, Il monastero di S. Leonardo in Monte dalle origini alla riforma lateranense (1407), tesi di laurea, Università di Padova, facoltà di Lettere e filosofia, a.a. 1966-67, rel. P. Sambin, I, p. 231: nel 1246 Bongiovanni rinuncia a un appezzamento di terra in favore del monastero. In una casa d’affitto di proprietà del monastero, «in guaita Pigne», viveva nel 1280 Altafina, la figlia di Bongiovanni, quando fu condannata (ivi, p. 258; Cipolla, Il patarenismo a Verona, p. 81 nota 4).

31 Cfr. qui sopra, nota 20 e testo corrispondente.32 A partire dal 1270 circa, la materia ereticale fa il suo ingresso a gonfie vele (con molta maggior am-

piezza rispetto a quanto si poteva leggere nella redazione del 1228) negli statuti del comune allora in fase di elaborazione o stratificazione; il nuovo testo fu promulgato pochi anni dopo, nel 1276. Cfr. al riguardo Zanella, Malessere ereticale, cit., pp. 352 ss. (ove si procede a un confronto tra gli statuti delle città padane) e, per gli statuti veronesi del Duecento, in generale P. Lütke Westhues, Die Kommunalstatuten von Verona im 13. Jahrhundert, Frankfurt am Main 1995.

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tro33, retto da Filippo Bonacolsi (il figlio del signore di Mantova Pinamonte Bonacolsi, strettissimo alleato di Alberto I della Scala, il dominus ormai formalmente al potere in città), fornito di un personale notarile di prim’ordine34 – prenda di mira il patrimonio della figlia di un antico usuraio, che era anche la figlia di un antico nemico della pars in-trinseca ora al potere in Verona. Che abbia prevalso, nell’iniziativa dell’ufficio, la compo-nente politica o l’adesione all’incipiente o crescente opposizione all’esercizio dell’usura, è a questo punto indifferente. L’assenza, nella documentazione, di riferimenti a dottrine ereticali, e soprattutto il patteggiamento che fa sì che Altafina riacquisti, in comproprietà con Giovanni «de Matocio» e con il notaio Galvano, una parte dei beni a lei confiscati e venduti – patteggiamento che la storiografia ha considerato stupefacente35 – si spiegano, in questa chiave, in modo del tutto naturale.

In sostanza, nel 1280 appaiono già presenti, nell’operato dell’inquisitore veronese, alcuni elementi di quel mix di motivazioni che caratterizzò l’operato di tutti gli uffici della Marca nell’ultimo ventennio del secolo. Si agisce – non di rado post mortem, anche a decenni di distanza – contro una dissidenza religiosa ormai ridotta ai minimi termini; e sono presi di mira certamente gli scarsi residui della tradizione ereticale catara, oppure la semplice miscredenza rispetto a specifici punti di dottrina (l’eucarestia, l’immortalità dell’anima). Ma gli orecchi degli inquisitori non sono insensibili al contesto locale e allo Zeitgeist: si tien conto dunque anche anche dell’opposizione politica ai regimi delle città ove gli uffici inquisitoriali hanno sede, e in misura crescente si prenda come bersaglio la pratica usuraria, come nel caso qui approfondito. Nelle città venete, l’ufficio inquisitoria-le tendeva insomma a diventare una macchina che difendeva se stessa, che abbisognava dell’eretico per giustificare la propria esistenza, e puntava alle confische di beni piuttosto che alle condanne; come si è detto, non senza abbassarsi talvolta a vere e proprie malver-sazioni, che portarono ai primi del Trecento alle incisive inchieste papali svoltesi a Padova e Vicenza36.

33 Per queste vicende, ripercorse molte volte, cfr. ad es. Zanella, Itinerari ereticali, cit., p. 40.34 Mi riferisco naturalmente alla famiglia bolognese dei di Bonandrea; cfr. M. Motter, Il notaio Bon-

giovanni di Bonandrea e il suo protocollo, in Il «quaternus rogacionum» del notaio Bongiovanni di Bonandrea (1308-1320), a cura di D. Rando e M. Motter, Bologna 1997, pp. 29 ss. (per la loro attività veronese cfr. par. 1.1.: Politica e professione fra Bologna e Verona, 1274-1301). Anche il documento inquisitoriale del 1280 concernente Altafina «de Cerdonibus» è rogato da un notaio di questa dinastia, Simone di Bonandrea (Ci-polla, Il patarenismo a Verona, cit., p. 81 nota 4).

35 Zanella, Malessere ereticale, cit., pp. 347-348.36 Cfr. l’edizione di fonti citata qui sopra a nota 13, e ivi l’introduzione di Rigon, Frati minori, inquisi-

zione e Comune, cit.; inoltre, il breve commento di A. Vauchez, Francescanesimo veneto. A proposito del «Liber contractuum», «Il Santo», XLIII (2003), pp. 665-670.

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Testamento di Leonardo del fu Bongiovanni de Cerdonibus di Verona (1258?)

Archivio Segreto Vaticano, Nunziatura veneta, perg. 12230, rigata (bianche le prime 8 righe, salvo la seconda ove figura la parola «Exemplum»). Sul verso, solo la stampigliatura d’archi-vio («Arch. Canc. Nunt. Venet. – S. Georgius in Braida 5507 – 12230») e l’annotazione a matita «Braida XIV» apposta da qualche archivista novecentesco, forse il p. Cenci.

Copia semplice duecentesca, risalente forse al 1265 (cfr. testo corrispondente a nota 20). Ho introdotto, per maggior chiarezza, gli a capo.

Exemplum.Ibique Leonardus filius quondam domini Bonçuanni de Cerdonibus de Castello, iacens in lecto, sane mentis, recordans humanam naturam cito labi, ne ab intestato decederet proprio ore loquens:

- imprimis sic dixit et iudicavit atque reliquit pro remedio anime sue et suorum quingentas libras denariorum Veronensium, et hoc in disposicione guardiani fratrum minorum Sancti Francisci et prioris fratrum predicatorum Sancte Marie matris Domini et ministri fratrum penitencie qui sunt vel qui pro tempore fuerint;

- item reliquit et iudicavit atque dimisit totam usuram quam eius pater dominus Bonçuan-nusa acceperat pro temporibus transactis omnibus illis personis que possent ostendere per bonas cartas vel per bonos testes;

- item reliquid et iudicavit atque dimisit Leonardino filio quondam domini Bonaventure Belleti de Cerdonibus duo milia libras denariorum Veronensium;

- item reliquid et iudicavit Omnebono et Boccaduxo fratribus de Flambertis duo milia librarum Veronensium;

- item reliquid et iudicavit filiis quondam Galvani notarii de Castello quatuorcentum libras denariorum Veronensium;

- item reliquid et iudicavit domino Pelato filio quondam domini Boni de Trivisio mille libras denariorum Veronensium;

- item reliquid et iudicavit Serene sue servitrici unum clusum domus quod est prope do-mum illius Capone et unam petiam terre que iacet in Campagnola;

- item reliquid et iudicavit Brexanino barberio de Brixia centum libras denariorum Vero-nensium;

- item reliquid et iudicavit Nicolao filio quondam **** de Parona quadraginta libras dena-riorum Veronensium;

- item reliquit et iudicavit Moreello filio quondam Paxeti de Villafrancha quadraginta libras denariorum Veronensium;

- item reliquid et iudicavit sororibus Carote centum libras Veronensium;- item reliquit et iudicavit sororibus minoribus Sancte Marie de Campo Marcio centum

libras denariorum Veronensium;- item reliquid et iudicavit ecclesie Sancte Marie matris Domini ducentas libras denariorum

Veronensium;

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- item reliquid et iudicavit fratribus Sancti Gabrielis centum libras denariorum Veronen-sium;

- item reliquid et iudicavit sororibus minoribus Sancti Michaelis de Tridento trecentum libras denariorum Veronensium;

- item reliquid et iudicavit malsanis loci Tombe centum libras denariorum Veronensium;- item reliquid et iudicavit fratribus minoribus Sancti Francisci de Veronab ducentas libras

Veronensium; - item reliquid et iudicavitc sororibus Sancti Caxani de Paltenna quasdam pecias terre que

iacent in plovaygo Sancti Floriani et in Cocio et in Bragaldara et a Diama, que fuerunt quondam Marchesii de Cerdonibus quondam Martini de Bragaldara;

- item reliquid et iudicavit cuilibetd hospitali Verone centum libras Veronensium;- item instituit dominas Altafinam et Desideratam et Cristianam eius sorores equaliter he-

redes in omnibus aliis suis bonis, salvo eo: si decesserint, quod perveniant in pauperibus.Et hoc voluit ut sit ultimum testamentum et sua ultima voluntas et quod valeat iure testa-menti et iure codicillorum, et institutio et donatio causa mortis seu quocumque alio iure quo melius valere et teneri possit.

______________a Segue dimiserat depennatob de Verona nello spazio interlinearec Segue ecclesie depennatod Segue f depennata