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Giacomo Leopardi

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Giacomo Leopardi

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Nasce a Recanati nel 1798

• Piccolo paese delle Marche(Stato pontificio)

• Paese di campagna

• Ambiente ritmato dal lavoro nei campi

• Ambiente in cui Leopardi si sente un incompreso

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Famiglia aristocratica

• Il padre era il Conte Monaldo uomo amante degli studi e d'idee reazionarie

• la madre, la marchesa Adelaide Antici, era una donna energica, molto religiosa ma che non riuscì a trasferire a Giacomo tutto l'affetto di cui aveva bisogno.

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Dissesto finanziario e rigida economia domestica

• Il conte Monaldo fece alcune speculazioni azzardate allora la marchesa prese in mano un patrimonio familiare dissestato, riuscendo a rimetterlo in sesto grazie ad una rigida economia domestica.

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Lo studio • Leopardi ricevette la prima

educazione come da tradizione familiare, da due precettori gesuiti. Lo studio era incentrato sul latino, la teologia e la filosofia, ma anche sulla formazione scientifica.

• Leopardi intraprese però un suo personale percorso di studi avvalendosi della biblioteca paterna molto fornita (oltre ventimila volumi).

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Cause dell’infelicità: fattore biografico-ambientale

• l’atmosfera affettivamente carente della sua famiglia • l’educazione retrograda e autoritaria, impartita da una

madre bigotta e formalista e da un padre conservatore e chiuso

• la formazione isolata e solitaria, da autodidatta, • quello "studio matto e disperatissimo" che contribuì

all’insorgere di diverse malattie croniche e alla malformazione fisica.

• lo scherno e la derisione dei concittadini, • la mediocrità e la scarsa cultura dell’ambiente recanatese, • la precoce sensibilità e la vivace intelligenza di Giacomo

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Cause dell’infelicità: motivi di ordine storico-culturale

• la crisi dell’Illuminismo • l’insorgere inizialmente indistinto e confuso di nuove

ideologie, • la perdita d’identità e di funzione politico-civile

dell’intellettuale, • l’arretratezza sociale e culturale dello stato pontificio. • l’età della Restaurazione, caratterizzata dal conflitto tra

nazionalismo, liberalismo e Romanticismo da una parte, cosmopolitismo, assolutismo e classicismo dall’altra.

• In ambito letterario nasce e si sviluppa la polemica classico-romantica

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pessimismo esistenziale (infelicità fisica e psicologica)

• precoce venir meno delle illusioni e dei sogni infantili

• sfiducia nella vita

• sentimento di desolazione e di delusione

• insofferenza verso i condizionamenti

• sensazione di inutilità e di soffocamento.

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LA POETICA

Ambiente familiare ostile, dove la

madre non riesce a creare attorno a

lui un’atmosfera di premura e affetto

Delicatissima sensibilità d’animo e

cagionevole stato di salute

A 20 anni si sente solo, vecchio ed

escluso dalla gioia di vivere

PESSIMISMO

Elabora la teoria del

Pessimismo, in cui si possono

distinguere tre fasi

PESSIMISMO INDIVIDUALE

Nella fase adolescenziale

della sua vita, avverte un

senso di disagio, di

inadeguatezza. Arriva a

pensare che il mondo sia

contro di lui e che, in

generale, l’uomo sia destinato

all’infelicità. Unica

consolazione è la

contemplazione della natura.

L’infinito

PESSIMISMO STORICO

Lo stato di infelicità si

estende a tutta la società

moderna, colpevole di un

utilizzo eccessivo della

ragione: lo sviluppo del

sapere ha negato agli uomini

quella libera e spontanea

immaginazione, tipica del

periodo della fanciullezza,

che dona conforto al dolore.

Il sabato del villaggio

PESSIMISMO COSMICO

Tutti gli uomini soffrono,

l’esistenza è sofferenza.

Causa di questo è proprio la

natura, che crea l’uomo con

un profondo desiderio di

felicità, pur sapendo che non

potrebbe mai raggiungerla.

Canto notturno di un pastore

errante dell’Asia

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L’infinito

• Metro: endecasillabi sciolti.

• Sempre caro mi fu quest'ermo colle, • e questa siepe, che da tanta parte • De l'ultimo orizzonte il guardo esclude. • Ma sedendo e mirando, interminati • spazi di là da quella, e sovrumani • silenzi, e profondissima quïete • io nel pensier mi fingo, ove per poco • il cor non si spaura3. E come il vento • odo stormir tra queste piante, io quello • infinito silenzio a questa voce • vo comparando: e mi sovvien l'eterno, • e le morte stagioni, e la presente • e viva, e il suon di lei. Così tra questa • immensità s'annega il pensier mio: • e il naufragar m'è dolce in questo mare.

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Parafrasi 1.

1. Questo colle solitario mi è sempre stato caro,

2. e anche questa siepe, che impedisce al mio sguardo

3. una gran fetta dell’orizzonte più lontano

4. Ma mentre siedo e fisso lo sguardo sulla siepe,

5. io immagino gli sterminati spazi al di là di quella,

6. i silenzi che vanno al di là dell’umana comprensione

7. e la pace profondissima, tanto che per poco

8. il mio cuore non trema di fronte al nulla. Quando sento

9. le fronde delle piante stormire al vento, così paragono

10. la voce del vento con quel silenzio infinito:

11. e istintivamente mi giunge in mente il pensiero dell’eternità,

12. le ere storiche già trascorse e dimenticate e quella attuale

13. e ancor viva, col suo suono. Così il mio ragionamento

14. si annega in quest’immensità spazio-temporale,

15. e per me è un naufragare dolcissimo.

16.

1. ermo colle: Il monte Tabor, un colle che si alza a sud di Recanati.

2. io nel pensier mi fingo: cioè, “immagino questa situazione con gli strumenti della mia

fantasia”.

3. il cor non si spaura: il motivo è presente, com’è noto, anche nei Pensieri di Blaise

Pascal: “Le silence éternel de ces espaces infinis m’effraie” [“il silenzio eterno di questi

infiniti spazi mi spaventa”].

4. la congiunzione ha qui una sfumatura anche temporale: “quando”, “non appena”.

5. mi sovvien l’eterno: indica la repentinità del movimento di pensiero del poeta che, di

fronte all’infinito e al nulla in cui l’uomo pare annientarsi e al rumore del vento tra le fronde

che gli suona noto e famigliare, intuisce il senso dell’eternità e del trascorrere dello

spazio-tempo contrapposto alla finitezza dell’uomo.

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Analisi della poesia

• L’infinito è stato composto a Recanati nel 1819. • La forma poetica stessa scelta da Leopardi (idillio letteralmente

significa "immagine piccola", "costretta") ne suggerisce il contenuto: è proprio il senso del limite la radice dell'infinito.

• Al poeta si presenta una visione limitata dell'orizzonte, ostacolata da una siepe, posta sulla cima di un colle. La vista impedita permette a Leopardi di fantasticare e meditare sull'infinito.

• L'idillio si basa su un confronto continuo tra limite e infinito, tra suoni della realtà e il silenzio dell'eternità.

• L'intensità del componimento risiede nella sua doppiezza: l'immagine dei sensi, degli occhi, si scontra contro una barriera opponendosi a quella virtuale del pensiero e dell'immaginazione.

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Leopardi supera il limite anche nella forma: evita il sonetto che dal Petrarca fino al Foscolo era stato utilizzato superando anche formalmente il legame con la tradizione, simboleggiando uno sfondamento delle pareti tradizionali del testo poetico

Forma

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Il sabato del villaggio

• La donzelletta vien dalla campagna

• in sul calar del sole,

• col suo fascio dell’erba; e reca in mano

• un mazzolin di rose e viole,

• onde, siccome suole, ornare ella si appresta

• dimani, al dí di festa, il petto e il crine.

• Siede con le vicine

• su la scala a filar la vecchierella,

• incontro là dove si perde il giorno;

• e novellando vien del suo buon tempo,

• quando ai dí della festa ella si ornava,

• ed ancor sana e snella

• solea danzar la sera intra di quei

• ch’ebbe compagni nell’età piú bella.

• Già tutta l’aria imbruna,

• torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre

• giú da’ colli e da’ tetti,

• al biancheggiar della recente luna.

• Or la squilla dà segno

• della festa che viene;

• ed a quel suon diresti

• che il cor si riconforta.

• I fanciulli gridando

• su la piazzuola in frotta,

• e qua e là saltando,

• fanno un lieto romore;

• e intanto riede alla sua parca mensa,

• fischiando, il zappatore,

• e seco pensa al dí del suo riposo.

• Poi quando intorno è spenta ogni altra face,

• e tutto l’altro tace,

• odi il martel picchiare, odi la sega

• del legnaiuol, che veglia

• nella chiusa bottega alla lucerna,

• e s’affretta, e s’adopra

• di fornir l’opra anzi al chiarir dell’alba.

• Questo di sette è il più gradito giorno,

• pien di speme e di gioia:

• diman tristezza e noia

• recheran l’ore, ed al travaglio usato

• ciascuno in suo pensier farà ritorno.

• Garzoncello scherzoso,

• cotesta età fiorita

• è come un giorno d’allegrezza pieno,

• giorno chiaro, sereno,

• che precorre alla festa di tua vita.

• Godi, fanciullo mio; stato soave,

• stagion lieta è cotesta.

• Altro dirti non vo’; ma la tua festa

• ch’anco tardi a venir non ti sia grave.

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Parafrasi

• La giovane contadina torna dai campi al tramonto del sole con il fascio d’erba e porta in mano un mazzetto di rose e viole, con il quale, come è usanza, si prepara ad abbellire il seno ed i capelli, domani per il giorno di festa. La vecchietta siede sulle scale a filare con le vicine, rivolta al tramonto, alla direzione in cui il giorno finisce; e inizia a raccontare della sua giovinezza, quando si faceva bella nei giorni di festa e, ancora in salute e in forma, era solita ballare la sera con quelli che furono compagni della sua giovinezza, della sua età più bella. Tutta l’aria si oscura già, il cielo ritorna azzurro e le ombre, alla luce bianca della luna sorta da poco, tornano a vedersi giù dai colli e dai tetti. Ora la campana annuncia la festa che arriva e si potrebbe dire che a quel suono l’animo trova conforto. I ragazzi, gridando a gruppi nella piazzetta e saltellando qua e là, producono un rumore che rende felici: e intanto lo zappatore ritorna a casa per il suo pasto frugale fischiettando e pensa tra sé e sé al suo giorno di riposo.

• Poi, quando intorno è spenta ogni altra luce e tutto il resto è in silenzio, senti picchiare il martello, senti il rumore della sega del falegname che sta sveglio alla luce della lucerna nel chiuso della sua bottega e si affretta e si dà da fare per finire il suo lavoro prima del sorgere del sole.

• Questo (il sabato), tra sette giorni, è il più amato, pieno di speranza e di gioia: domani (domenica) la tristezza e la noia riempiranno le ore e ciascuno tornerà col pensiero al suo lavoro consueto.

• Ragazzo spensierato, questa età giovanile è come un giorno pieno di allegria, un giorno chiaro, sereno, che precede la tua maturità. Sii felice, ragazzo mio; questa è una condizione felice, un’età serena. Non voglio dirti altro; ma non ti sia di peso che la tua maturità tardi ancora a giungere.

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Figure retoriche

• Allitterazioni: “donzelletta, vecchierella, novellando, sulla, bella, colli”; “giorno, chiaro, ciascuno, gioia, stagion, pien, pensier, lieta”;

• Metafore: “età più bella” (v. 15); “età fiorita” (v. 44); “stagion lieta” (v. 49) per indicare la giovinezza; “festa” (vv. 47 e 50) per indicare la maturità;

• Similitudine: vv. 44-45: “cotesta età fiorita è come un giorno d’allegrezza pieno”;

• Metonimia: v. 17: “il sereno” (ad indicare il cielo);

• Enjambements: vv. 4-5: “reca in mano / un mazzolin di rose e di viole”; vv. 33-34: “la sega / del legnaiuol”; vv. 40-41: “tristezza e noia / recheran l’ore”;

• Apostrofi: v. 43: “garzoncello scherzoso”; v. 48: “fanciullo mio”;

• Preterizione: v. 50: “altro dirti non vo’”;

• Iperbato: vv.6-7: “tornare ella si appresta / dimani, al dì di festa, il petto e il crine”; v. 41-42: “ed al travaglio usato / ciascuno in suo pensier farà ritorno”; vv. 50-51: “ma la tua festa / ch’anco tardi a venir non ti sia grave”;

• Anastrofi: v. 11: “novellando vien”; v. 45: “d’allegrezza pieno”;

• Anadiplosi: vv. 45-46: “un giorno di’allegrezza pieno / giorno chiaro, sereno”

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Commento

• Il sabato del villaggio fa parte dei cosiddetti “grandi idilli” e fu composto a Recanati nel 1829, subito dopo La quiete dopo la tempesta,

con la quale presenta diverse analogie: ha la stessa struttura, con prima una parte descrittiva, poi una riflessione che prende le mosse

dalla descrizione precedente. Inoltre, i due idilli sono complementari anche dal punto di vista tematico, in quanto nella Quiete il piacere

era visto come assenza di dolore, mentre qui è l’attesa e l’illusione, destinata ad essere delusa, di un godimento futuro.

• Si tratta di tematiche tipiche degli idilli leopardiani: le illusioni e le speranze della giovinezza, il ricordo, i quadri di vita paesana con le

suggestioni date dalle immagini “vaghe e indefinite”, unite, però, nei cosiddetti “grandi idilli”, ad un pessimismo assoluto e ad una

lucida consapevolezza dell’”arido vero”. Per questo, le immagini liete sono spesso create dalla memoria e si accompagnano sempre

alla consapevolezza del dolore e della loro illusorietà.

• Il sabato simboleggia l’attesa di qualcosa di più piacevole e lieto: tutti lavorano più alacremente, pensando che quello successivo sarà

un giorno di riposo; ma quando arriva finalmente la domenica a dominare sono tristezza e noia e il pensiero va subito alle consuete

fatiche che ci aspettano il giorno successivo. Il sabato, dunque, è come la giovinezza, ricca di attese e illusioni; mentre la domenica

simboleggia le delusioni dell’età più matura. Per questo, Leopardi invita il suo “garzoncello scherzoso” a cogliere l’attimo e a godersi la

sua giovane età, senza preoccuparsi del domani: non bisogna aspettarsi goie future, perché, come la domenica delude le attese del

sabato, così l’età adulta è destinata a deludere le attese della giovinezza.

• Il quadro di vita paesana, che si apre con la contrapposizione tra la “donzelletta” (v. 1), simbolo dei piaceri della giovinezza, e la

“vecchierella” (v. 9) che rappresenta il ricordo dei piaceri passati, non ha nulla di realistico, sia perché rimanda a numerosi precedenti

letterari, sia perché il paesaggio descritto è simbolico e ricco di quelle immagini “vaghe e indefinite” tanto care a Leopardi, perché

permettono di evocare vastità e lontananze che stimolano l’immaginazione. Proprio a quest’esigenza di indeterminatezza risponde

anche l’accostamento di rose e viole, inverosimile perché si tratta di fiori che fioriscono in mesi diversi e, per questo, criticato da

Pascoli in un celebre saggio del 1896.

• La parte finale di riflessione, a differenza di quella della Quiete, è breve e pacata; il colloquio col ragazzo non è angoscioso, ma

affettuoso e delicato e vi sono evocate immagini di vita, legate al campo semantico delle gioie della giovinezza: “età fiorita” (v. 44),

“chiaro”, “sereno” (v. 46), “festa” (vv. 47 e 50), “soave” (v. 48), “lieta (v. 49)”. Infatti, il poeta qui invita il ragazzo a non addentrarsi oltre

l’angusto spazio dell’illusione giovanile, ma a godersela appieno, prima che l’”arido vero” della maturità arrivi a rovinarla. La tenerezza

e l’affetto del poeta sono dimostrati anche dall’uso costante di diminutivi: “donzelletta” (v. 1), “mazzolin” (v. 4), “vecchierella” (v. 9),

“piazzuola” (v. 25), “garzoncello” (v. 43).

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XXIII - CANTO NOTTURNO Dl UN PASTORE ERRANTE DELL' ASIA

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,

• Silenziosa luna?

• Sorgi la sera, e vai,

• Contemplando i deserti; indi ti posi.

• Ancor non sei tu paga

• Di riandare i sempiterni calli?

• Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga

• Di mirar queste valli?

• Somiglia alla tua vita

• La vita del pastore.

• Sorge in sul primo albore

• Move la greggia oltre pel campo, e vede

• Greggi, fontane ed erbe;

• Poi stanco si riposa in su la sera:

• Altro mai non ispera.

• Dimmi, o luna: a che vale

• Al pastor la sua vita,

• La vostra vita a voi? dimmi: ove tende

• Questo vagar mio breve,

• Il tuo corso immortale?

• Vecchierel bianco, infermo,

• Mezzo vestito e scalzo,

• Con gravissimo fascio in su le spalle,

• Per montagna e per valle,

• Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,

• Al vento, alla tempesta, e quando avvampa

• L'ora, e quando poi gela,

• Corre via, corre, anela,

• Varca torrenti e stagni,

• Cade, risorge, e più e più s'affretta,

• Senza posa o ristoro,

• Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva

• Colà dove la via

• E dove il tanto affaticar fu volto:

• Abisso orrido, immenso,

• Ov'ei precipitando, il tutto obblia.

• Vergine luna, tale

• E' la vita mortale.

• Nasce l'uomo a fatica,

• Ed è rischio di morte il nascimento.

• Prova pena e tormento

• Per prima cosa; e in sul principio stesso

• La madre e il genitore

• Il prende a consolar dell'esser nato.

• Poi che crescendo viene,

• L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre

• Con atti e con parole

• Studiasi fargli core,

• E consolarlo dell'umano stato:

• Altro ufficio più grato

• Non si fa da parenti alla lor prole.

• Ma perchè dare al sole,

• Perchè reggere in vita

• Chi poi di quella consolar convenga?

• Se la vita è sventura,

• Perchè da noi si dura?

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• Intatta luna, tale

• E' lo stato mortale.

• Ma tu mortal non sei,

• E forse del mio dir poco ti cale.

• Pur tu, solinga, eterna peregrina,

• Che sì pensosa sei, tu forse intendi,

• Questo viver terreno,

• Il patir nostro, il sospirar, che sia;

• Che sia questo morir, questo supremo

• Scolorar del sembiante,

• E perir dalla terra, e venir meno

• Ad ogni usata, amante compagnia.

• E tu certo comprendi

• Il perchè delle cose, e vedi il frutto

• Del mattin, della sera,

• Del tacito, infinito andar del tempo.

• Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore

• Rida la primavera,

• A chi giovi l'ardore, e che procacci

• Il verno co' suoi ghiacci.

• Mille cose sai tu, mille discopri,

• Che son celate al semplice pastore.

• Spesso quand'io ti miro

• Star così muta in sul deserto piano,

• Che, in suo giro lontano, al ciel confina;

• Ovver con la mia greggia

• Seguirmi viaggiando a mano a mano;

• E quando miro in cielo arder le stelle;

• Dico fra me pensando:

• A che tante facelle?

• Che fa l'aria infinita, e quel profondo

• Infinito Seren? che vuol dir questa

• Solitudine immensa? ed io che sono?

• Così meco ragiono: e della stanza

• Smisurata e superba,

• E dell'innumerabile famiglia;

• Poi di tanto adoprar, di tanti moti

• D'ogni celeste, ogni terrena cosa,

• Girando senza posa,

• Per tornar sempre là donde son mosse;

• Uso alcuno, alcun frutto

• Indovinar non so. Ma tu per certo,

• Giovinetta immortal, conosci il tutto.

• Questo io conosco e sento,

• Che degli eterni giri,

• Che dell'esser mio frale,

• Qualche bene o contento

• Avrà fors'altri; a me la vita è male.

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• O greggia mia che posi, oh te beata,

• Che la miseria tua, credo, non sai!

• Quanta invidia ti porto!

• Non sol perchè d'affanno

• Quasi libera vai;

• Ch'ogni stento, ogni danno,

• Ogni estremo timor subito scordi;

• Ma più perchè giammai tedio non provi.

• Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,

• Tu se' queta e contenta;

• E gran parte dell'anno

• Senza noia consumi in quello stato.

• Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,

• E un fastidio m'ingombra

• La mente, ed uno spron quasi mi punge

• Sì che, sedendo, più che mai son lunge

• Da trovar pace o loco.

• E pur nulla non bramo,

• E non ho fino a qui cagion di pianto.

• Quel che tu goda o quanto,

• Non so già dir; ma fortunata sei.

• Ed io godo ancor poco,

• O greggia mia, nè di ciò sol mi lagno.

• Se tu parlar sapessi, io chiederei:

• Dimmi: perchè giacendo

• A bell'agio, ozioso,

• S'appaga ogni animale;

• Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?

• Forse s'avess'io l'ale

• Da volar su le nubi,

• E noverar le stelle ad una ad una,

• O come il tuono errar di giogo in giogo,

• Più felice sarei, dolce mia greggia,

• Più felice sarei, candida luna.

• O forse erra dal vero,

• Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:

• Forse in qual forma, in quale

• Stato che sia, dentro covile o cuna,

• E' funesto a chi nasce il dì natale.

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