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GERARCHIA

ANNO I ANNO I ANNO I ANNO I –––– NUMERO NUMERO NUMERO NUMERO XXXXiiii

BOLLETTINO METAPOLITICO E CULTURALEBOLLETTINO METAPOLITICO E CULTURALEBOLLETTINO METAPOLITICO E CULTURALEBOLLETTINO METAPOLITICO E CULTURALE

DEL CENTRO STUDI “SOCIALISMO NAZIONALE”DEL CENTRO STUDI “SOCIALISMO NAZIONALE”DEL CENTRO STUDI “SOCIALISMO NAZIONALE”DEL CENTRO STUDI “SOCIALISMO NAZIONALE”

GERARCHIA ANNO I – NUMERO XI

EDITORIALE

VENDITORI AMBULANTI “Venghino siori e siore, venghino”……; siamo al mercatino delle pulci ormai. Tutti a provare a vendere la migliore mercanzia (si fa per dire !) con mirabolanti offerte. Tutti contro tutti ma tanto la merce é varia e può essere anche………d’importazione ed a basso prezzo per cui qualche cianfrusaglia alla fine si riuscirà a piazzare. Nessuno che esprima Idee Forza, alternative serie e credibili; nessuno ha idee chiare sul mercato, sull’impatto sociale, su temi di politica estera degni di una comunità che aneli ad essere Nazione e non accozzaglia di individui egoisti e senza futuro. Questo é quello che oggi imperversa nella colonia “italya”. Che pena nel cuore di chi si sente ancora e nonostante tutto un Italiano libero sociale e nazionale. A Sinistra permane un vuoto pneumatico desolante tutta presa sui diritti dei “diversi” e dei “migranti” e senza capacità propositive per ridare Dignità al Lavoro. A Destra una serie infinita di litigi tra “fratelli coltelli” per avere il diritto ereditario a fregiarsi della “camisa negra” mentre in realtà rimangono degni eredi del peggior trasformismo levantino che con il “carattere ario-romano” proprio non ha nulla di consimile. Lasciamoli urlare tutti come piazzisti da mercato rionale, quello che dura in fondo solo un giorno alla settimana, e riprendiamoci la Piazza, quella che forma un Popolo. Veterano

OSSERVATORIO ITALIA

DALLA TRAGEDIA ALLA FARSA La storia quando si ripete si presenta sempre con le caratteristiche della farsa. In questi giorni di attesa in cui si decidono le sorti del governo Berlusconi (alla cui sopravvivenza

non siamo particolarmente interessati ! ) e fatte le debite proporzioni in merito al contesto storico-politico ed ai personaggi interessati (cioè messa a confronto la collina romana del Pincio con l’Himalaya, tanto per intenderci ! ), molti si domandano chi presenterà “l’ordine del Giorno Grandi” e chi sarà il “Badoglio” della situazione incaricato di raccogliere i cocci di un “paese” moralmente ed economicamente alle sfascio e pronto ad un nuovo 8 settembre. Una cosa è certa: un ruolo determinante lo giocherà l’attuale inquilino del Quirinale che, da buon comunista pentito non mancherà di rispondere alle aspettative della fratellanza massonica in questo momento vincente. Non dimentichiamo che la storia d’Italia del dopoguerra è caratterizzata dall’alternanza di fasi di consociativismo in affari di varia natura, con periodi di feroci lotte di potere tra le varie logge che, tra l’altro, rispondono rispettivamente ad interessi lobbistici stranieri perché strettamente dipendenti da ambienti esteri. E’ ormai evidente che la riverenza che le istituzioni cosiddette democratiche esprimono verso i poteri delle varie logge massoniche che, non dimentichiamolo mai, rappresentano il braccio secolare del sionismo internazionale, é percepibile nell’atteggiamento, nel modo di porsi e financo nei dettagli apparentemente insignificanti per i profani. Nella sostanza si tratta del riconoscimento di una “gerarchia” importante ed influente nella vita e nelle attività del paese Italia. La chiave di lettura di tanti torbidi avvenimenti e dei numerosi “misteri italiani”, va ricercata nel dominio delle logge che non hanno mancato, in alcune circostanze, di far lega anche con la malavita tradizionale organizzata, oltre che con i servizi segreti di vari stati esteri, in particolare Stati Uniti, Gran Bretagna, Vaticano, Israele. Non è più un mistero che i fili della storia si tirino proprio nelle logge massoniche e nei consigli di amministrazione delle multinazionali e delle grandi banche. Nicholas Murray Batier, già presidente dell’Università della Columbia, presidente della Carnegie Endwment for International Peace, membro fondatore e presidente della

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Pilgrims Society, membro del Council of Foreign Relation (CFR) e capo del British Israel ha affermato con sicumera: “Il mondo si divide in tre categorie di persone: un piccolissimo numero che determina e decide gli avvenimenti; un gruppo un pò più numeroso che veglia sulla loro esecuzione, e infine una vasta maggioranza che giammai saprà ciò che in realtà è accaduto.” Ma già il 17 febbraio 1950 il banchiere James Warburg ebbe ad affermare alla Commissione esteri del senato statunitense: “Che vi piaccia o no avremo un governo mondiale o con il consenso o con la forza.” Per non ricordare quanto affermato da Benjiamin Disraeli nel secolo scorso: “Il mondo é governato da personaggi ben diversi da quelli creduti da coloro i quali non sanno guardare dietro le quinte.” La realizzazione del piano mondialista è favorito e reso possibile dal diffuso clima di assuefazione al punto che la rassegnazione collettiva é ormai parte del sistema. Una intera classe dirigente (di destra, di centro e di sinistra ) selezionata in massima parte dalla cupola giudaico massonica e appartenente sia al ceto politico che a quello giudiziario e amministrativo ha instaurato un sistema di potere in cui certi comportamenti vengono considerati “normali” nell’ambito dei rapporti sociali tra le varie categorie e gli stessi cittadini-sudditi. E’ il famoso “politicamente corretto” che ha sostituito il “codice etico” che, viceversa, avrebbe dovuto regolare la vita di una comunità civile socialmente e statualmente organizzata. In queste sistema di alterata gerarchia dei valori e dei ruoli, sia i cittadini-sudditi che i gestori della cosa pubblica, non riescono più a percepire la differenza tra quello che é eticamente lecito e ciò che non lo é, e tutto questo anche al di là della stessa rilevanza penale che in certi casi può non essere riscontrata. In tale contesto di “disaggregazione sociale” e di “dilagante immoralità” il piano millenaristico di realizzazione dì un governo mondiale non trova praticamente ostacoli di alcun genere.

Per tornare ai fatti di casa nostra che sono all’attenzione di questi giorni e al di là della sorte dei governo Berlusconi (di cui, ripetiamo, siamo portati a fregarcene), dobbiamo però chiederci: chi tira i fili di Gianfranco Fini ? Stelvio Dal Piaz

OSSERVATORIO ITALIA

STACCARE LA SPINA…

O CORTO CIRCUITO ? Tutti lì a capire se qualcuno “staccherà la spina” o meno a questo indecoroso governo anche se nessuno si mette a pensare quanto sia indecoroso ed indegno chi dovrebbe farlo. Sinceramente più che aspettare che altri manutengoli stacchino la spina occorrerebbe che gli Uomini Liberi iniziassero a prendere iniziative serie per “attaccare tutti al muro” – metaforicamente parlando – e portare una ventata rivoluzionaria ad una Nazione ormai decotta nel brodo ultrasessantennale della occupazione manu militare del nemico demoplutogiudaicomassonico (e chi volesse schernirci dell’uso di tale terminologia può sin da subito andare senza giri di parola a fare “bunga bunga” con i suoi consimili appecoronati !). Siamo inorriditi e schifati non solo e non tanto delle scorribande senili di chi ha avuto la presunzione di governarci secondo uno schema padronal-aziendalistico (e che malamente é stato invece paragonato ad un gigante della Storia come Mussolini) senza avere né arte e né parte e non ha capito che la cupola usurocratica da tempo ha puntato su un altro “cavallo” (scusate, volevo dire cameriere), quanto piuttosto dell’inconsistenza sistemica di un popolo che assorbe tutto come una spugna se non come un………….cesso ! Che dire poi di una sinistra palesemente impotente o, al più, becera che rimane un vuoto pneumatico entro cui una maggioranza

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disarmata riesce comunque a “vincere” anche senza combattere ? Evitiamo poi ulteriori approfondimenti su quella carne morta che si identifica in un concetto alchemico di “destra” (con sigle ed ammenicoli di vario genere e natura e richiami grotteschi ad un immaginario da commedia dell’arte) che ormai non pare nemmeno più una barzelletta ma rappresentazione kafkiana del paradosso della politica italiota dell’oggi. Chi vivrà vedrà e la lotta vera, dura che si prospetta sarà il momento del buio totale da cui emergerà un nuova alba luminosa.

OSSERVATORIO ITALIA

NON “PACIFINTI”,

MA NEMMENO

SERVI DEL SISTEMA La colonia “italya” è diventata il paese del cordoglio, dell’ipocrisia e della più sfacciata vergogna, il tutto condito da una falsa retorica istituzionale. Altri quattro nostri ragazzi sono morti in un paese lontano coinvolti in una guerra aggressiva che non ci appartiene e che non ci fa onore. Occorre uscire da questa palude, da questa gabbia di menzogne; come socialisti nazionali non possiamo rimanere indifferenti di fronte a questo stillicidio di morti, d’altra parte non possiamo unirci al coro impotente dei “pacifinti” di tutte le varie parrocchie. Noi non siamo pacifisti, anche perché siamo convinti che nei rapporti internazionali occorre essere forti e determinati, pronti anche alla guerra come ultimissima “ratio”, pur di non subire le prepotenze altrui. Purtroppo pesa ancora sulla coscienza degli italiani il tradimento dell’8 settembre 1943 e finché il popolo italiano non farà i conti con la sua Storia, non si ribellerà al Diktat del 1947, non dimostrerà coerentemente di voler lottare per riconquistare la propria sovranità, i nostri giovani continueranno a morire (molti di loro

inconsapevolmente !) per gli interessi della cupola plutocratica giudaico-massonica. Nel mentre esprimiamo tutta la nostra solidarietà alle famiglie colpite da così grande dolore, dobbiamo lanciare una sfida al sistema: dobbiamo farci promotori di una raccolta di firme, anche per via telematica, per chiedere l’uscita dalla NATO e contestualmente la denuncia unilaterale dell’umiliante trattato di pace firmato nel 1947. Stelvio Dal Piaz

Osservatorio italia

QUANDO IL DUBBIO

DIVENTA REATO Finalmente qualcuno è riuscito a mettere d’accordo tutti i tromboni della politica italiana. Erano anni che la gente attendeva un momento così fulgido di unitarietà di intenti da parte di persone che solitamente sbavano l’uno contro l’altro nei troppi salotti televisivi in cui sono puntualmente invitati e nei quali fanno finta di interessarsi ai problemi degli italiani. Ma su cosa saranno mai d’accordo lor signori ? Forse sul dogma della Trinità ? Macchè !! Con gli atei e i massoni che stanno a destra al centro e a sinistra neanche è il caso di pensare che vi sia possibilità di accordo su questo aspetto. Allora stiamo con i piedi un po’ più per terra: forse la signora Marcegaglia ha convinto tutti che esistono gravi problemi strutturali (ma che novità!) e che l’Italia deve invertire la rotta? Nemmeno questo; anche qui i distinguo più o meno sofistici si sprecano. Ma allora, su cosa mai i nostri lungimiranti politici hanno trovato un minimo comune denominatore? Non certo sulla necessità di una moralizzazione della politica di cui cianciano continuamente, salvo poi lasciare da decenni le cose sempre allo stesso modo. E neanche sulla opportunità di spendere meno denari per fare guerre a diecimila chilometri

GERARCHIA ANNO I – NUMERO XI

da casa nostra solo per fare un favore al padrone atlantico. No; su questi argomenti ci si accapiglia di continuo e chissà mai quando la smetteranno. La bacchetta magica per mettere tutti d’accordo l’ha avuta invece Riccardo Pacifici, presidente delle comunità israelitiche italiane, che con un colpo di coda magistrale è riuscito a strappare un voto favorevole anticipato su un progetto di legge che prevederà il reato di negazionismo dell’Olocausto per coloro (in primis gli studiosi di materie storico-sociali) che avranno l’ardire di esprimere la loro opinione o impegnarsi nello studio e nell’approfondimento di un particolare aspetto della storia recente dell’umanità. Se l’idea di Pacifici dovesse veramente diventare una legge dello stato (e per ora tutti hanno dato il loro incondizionato appoggio) vorrà allora dire che saremo giunti all’assurdo per cui di tutto si potrà discutere ed obiettare – perché in fondo questo predica la dottrina liberale alla quale tutti sono proni – ma non ci si potrà permettere di avanzare dubbi di nessun tipo sulla unica verità di un accadimento storico che una parte minima della popolazione del pianeta vuol far digerire al resto dell’umanità, generazioni presenti e future comprese. Accadrà così che anche in Italia, dopo Austria e Germania, al reato ideologico, già sancito dalle leggi Reale e Scotti-Mancino, avremo quello che potremo definire reato di pensiero non conforme o reato di volontà di conoscenza. Potrebbe verificarsi il caso che se tra venti anni dovessero emergere documenti comprovanti la necessità di dare una rilettura diversa dell’evento Olocausto (e si badi bene abbiamo usato il condizionale !), ciò sarà perfettamente illegale e penalmente sanzionabile perché nel frattempo un Parlamento appecoronato ad un dogma che non ha la pretesa del Sacro e del metafisico ha varato una legge che vieta ogni discussione accademica e scientifica su quell’argomento. E magari avverrà anche che la legge porterà il nome del suo ideatore, che parlamentare non lo è; o forse quello della signora Fiamma Nirenstein, che parlamentare lo è ma con

passaporto israeliano. In Italia, all’assurdo del possibile è davvero vietato arrendersi ! Al Parlamento di una Nazione che dovesse mai arrivare ad un punto tale di assoluta illegittimità varrebbe solo la pena ricordare un nome. Che non è quello di Pacifici o della Nirenstein, ma quello di un frate che morì arso vivo in Piazza Campo dei Fiori a Roma perché aveva messo in dubbio l’esistenza del cielo delle stelle fisse (ovvero la teoria geocentrica tanto cara ai papi). Si chiamava Giordano Bruno ! Dopo quattro secoli non c’è angolo d’Italia che non abbia una strada o una piazza dedicata alla sua figura. Segno evidente che era lui ad aver ragione e non il Papa che l’ha mandato al rogo! Allora viene spontaneo domandarsi se non sia forse giusto che qualche altro moderno e coraggioso Giordano Bruno – perché di coraggio fisico ce ne vuole viste le vicende toccate a studiosi come Faurisson, Irving, Zuendel e ora anche all’italiano Moffa – sia lasciato libero di studiare ciò che preferisce. E che lo possa fare senza il rischio di essere denunciato per aver commesso un reato, quando reato non lo è più nemmeno il falso in bilancio. Giriamo volentieri al dott. Pacifici la nostra domanda e rimaniamo in attesa che le sue certezze, tali da richiedere il varo di una legge liberticida senza precedenti nel mondo contemporaneo, possano convincere anche chi ha ancora qualche dubbio. E che per un dubbio non vuole finire in galera come un qualsiasi delinquente. Nuvola Rossa

Alzo zero

QUALCUNO HA SENTITO

L’ULTIMA CAMPANA ? Se anche per la politica esistesse uno strumento scientifico di valutazione attendibile e certo, assimilabile ai rilevatori usati dai geologi per controllare l’attività dei vulcani, ci accorgeremmo che in questi ultimi

GERARCHIA ANNO I – NUMERO XI

mesi il vulcano Italia è passato da una situazione definibile di moderato parossismo (la qual cosa è ormai fisiologica da qualche decennio) ad una di accentuata attività. Purtroppo però nessuno scienziato della politica è mai stato in grado di partorire un congegno che fosse in grado di esprimere con sufficiente certezza lo stato di criticità di un sistema socio-politico. Ci sono si le indagini statistiche, le proiezioni sulle intenzioni di voto, i sondaggi di gradimento e via dicendo, ma su di essi, sebbene organizzabili con rigore scientifico, pesa sempre e comunque l’interpretazione che si da dei risultati, se non il criterio originario con il quale si vanno a formare i campioni. Insomma, per farla breve, se l’eruzione di un vulcano è ben prevedibile, altrettanto non si può dire con rigore scientifico del collasso di un’ organizzazione umana complessa, sulle cui dinamiche si esprimono altri uomini o gruppi di uomini, spesso e volentieri fortemente interessati a dare valutazioni discordanti se non opposte. Un esempio tra i tanti può essere la bega su cui è inciampato il Ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi a proposito della vicenda della Domus dei Gladiatori di Pompei : da una parte la minoranza parlamentare che cerca di approfittare di un aspetto (che tutto sommato è di modesta rilevanza) per crocifiggere un governo alle prese con mille altre questioni, dall’altra una maggioranza che,fino ad ora, è riuscita a barcamenarsi solo grazie all’insipienza ed al vuoto propositivo della minoranza, salvo poi rischiare di cadere per la sfiducia che le verrà dai suoi ex sodali. Siamo dunque alle prese con le alchimie tipiche del peggior contorsionismo levantino, cui nessuna scienza, se non la psicologia (o forse di più la psichiatria clinica), potrebbero dare risposte attendibili. Nel pieno di una crisi economica epocale assistiamo allibiti ad un governo di destra che cerca di sopravvivere nonostante defezioni e lotte intestine (l’ultima è la questione Carfagna, con la Prestigiacomo e la Brambilla che la difendono e la Mussolini che forse vorrebbe il suo posto); una opposizione di sinistra che si divide tra rottamatori, rottamati, arruffapopolo e cialtroni vari senza una figura degna di

considerazione; un’altra destra che nasce e immediatamente si auto sfiducia, passando dai ministeri alla piazza nel torno di tempo di una notte; ed infine l’ex di tutte le ore, al secolo Rutelli Francesco, che, armato di neoguelfismo d’accatto, cerca di rimettere in piedi un grande partito cattolico di centro. Non prendiamo volutamente in considerazione la galassia della cosidetta Destra Radicale (con la sola eccezione di Forza Nuova) perché da quelle parti il vuoto pneumatico regna incontrastato e più che dello psichiatra ci sarebbe bisogno di un infermiere pietoso con la fiala di potassio. Allora, se potessimo veramente misurare lo stato di tensione della politica italiana verrebbe senza dubbio da dire che alle rovine di evoliana memoria ci siamo già da tempo e tutto sommato le migliaia di tonnellate di spazzatura e le mafie di ogni risma ne sono la prova più che tangibile. Ma forse questo non basta a convincere una massa critica di popolazione del fatto che la deflagrazione della politica è già avvenuta e che ora siamo in attesa dello tsunami che spianerà definitivamente tutto ciò che gli si parerà davanti. In cosa consisterà questo tsunami è presto detto ed è stato ampiamente sviscerato dagli interventi dei relatori del convegno sul lavoro che la scorsa settimana si è tenuto a Roma grazie all’iniziativa di Forza Nuova, cui non poteva mancare il convinto sostegno del Centro Studi Socialismo Nazionale. Si tratta della destrutturazione del lavoro e della sua definitiva sottomissione alla logica finanziaria e speculativa delle tentacolari logge usuraie che hanno deciso di mettere le loro catene alle libere esistenze di intere nazioni. Si tratta della morte definitiva di una imprenditorialità di tipo renano che traeva il suo vigore e garantiva contemporaneamente vigore alle realtà territoriali in cui era nata, attraverso un connubio inscindibile e virtuoso tra capitale e manodopera qualificata. Questo connubio è praticamente sull’orlo del collasso; in molte realtà territoriali è del tutto scomparso e rischia seriamente di estinguersi definitivamente grazie ad una politica giunta ad un’ autoreferenzialità vomitevole quanto distruttiva che, se distruggesse sé stessa sarebbe poco male, ma che purtroppo

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concorre in modo inequivocabile alla fine di quel poco che resta delle istituzioni e delle entità statuali. Chi si illude ancora di ricevere tutela o risposte forti su questi temi da parte di queste istituzioni o da pseudo sindacati adusi ad ogni genere di compromesso ha fatto veramente male i suoi conti e non ha compreso che la campana dell’ultima chiamata ha suonato già da un pezzo. Fernando Volpi

Alzo zero

SULLA RIVA DEL FIUME Che cosa sono altri 20/30 giorni di attesa per capire se il governo reggerà alla bufera o meno quando la situazione sta crollando e ancora più devasterà il tessuto sociale nazionale ed europeo alla luce della crisi ormai sistemica di un modello di sviluppo imposto con i carri armati ed i bombardieri oltre sessanta anni fa sulla pelle dei Popoli del nostro continente "ubriacati" dalla martellante propaganda dei "liberatori" !? Sono nulla come saranno soffio di vento i mesi prossimi precedenti e poi successivi al conteggio finale dei ludi cartacei che potrebbero vedere una sinistra "liberal" prevalere su una "destra" decotta nel suo populismo padronale, nel suo egoistico localismo, nel suo revanchismo nostalgico reazionario, oppure il contrario (perché gli italioti sono imprevedibili secondo levantina atavica disposizione) dove a prevalere potrebbero essere ancora i destroterminali sospinti dal masochismo del giacobinismo senza arte né parte (e senza nemmeno più il saldo ancoraggio ideologico del leninismo). Insomma Sion-istri e Sion-destri (un sillogismo azzeccato letto in qualche post in altri blog) pronti a dar fuoco alla miccia bagnata del "dejà vu" mentre cresce l'esasperazione del popolo (purtroppo ancora e troppo bue) incapace però di trovare coscienza della propria Dignità e probabilmente anche con l'alibi di non avere alcun chiaro punto di riferimento a cui

affidarsi provvidenzialmente considerando fuochi fatui i "grilli parlanti" ed amenità similari. La tentazione forte di mettersi perciò ora sulla linea di fuoco non la possiamo nascondere ma la Storia e le vicissitudini che da Essa derivano ci hanno insegnato molto e ci fanno comprendere che la filosofia orientale delle arti marziali, che ci ricorda che spesso é più facile sconfiggere il Nemico disequilibrando la sua avventata aggressione, é una nozione da tenere bene a mente. Ecco perché rimaniamo sulla riva del fiume; pazienti ed attenti. Il momento della mossa che spiazza arriverà e la sapremo cogliere. Veterano

FORMAZIONE

DRIEU LA ROCHELLE.

POVERA EUROPA Povera Europa, ti abbandoni ai quattro venti del tuo disastro. Vento asiatico, vento slavo, vento ebraico, vento americano. E non lo sai. Sarai morta senza saperlo. Questo perchè non hai coscienza di te, o hai perso questa coscienza, o non l’hai ritrovata. Hai avuto una coscienza, ma ne hai perso man mano gli strumenti. Coscienza cristiana: coscienza per il papato, la Chiesa, i grandi ordini. Coscienza per l’espansione franca, per l’espansione germanica, per la feudalità, per l’Impero.

GERARCHIA ANNO I – NUMERO XI

Coscienza per l’arte francese, l’arte italiana, ancora l’arte francese, l’arte tedesca, l’arte inglese. Coscienza per i Rinascimenti, la Riforma, la Rivoluzione. Coscienza per la filosofia, la scienza. Coscienza per la monarchia, l’aristocrazia, la borghesia, il proletariato. Coscienza per il socialismo. Coscienza per la sofferenza del 1914-1918, coscienza per Ginevra. Coscienza per il fascismo e l’antifascismo, il comunismo e l’anticomunismo. Non hai ancora acquisito la tua nuova coscienza per l’internazionale delle nazioni, per la federazione delle tue potenze grandi e piccole che eleggevano un’egemonia per l’unità del tuo socialismo. E, senza dubbio, l’acquisirai troppo tardi. Europa, tu che non sei un Impero, sei invasa da due Imperi. Quello russo e quello americano. Questi due Imperi vogliono la tua sconfitta e tu non lo sai. Addirittura, ti presti al gioco di questi imperi tramite le tue forze disgiunte. Molti europei sono partigiani dell’Impero russo e molti sono partigiani dell’Impero americano. Essi chiamano, con tutta la loro voce, lo spiegamento e l’esplosione della forza russa e della forza americana sull’Europa. Essi si rallegrano quando le orde asiatiche e slave entrano in Europa, nelle tue provincie di Romania e di Polonia, quando le flotte americane bombardano la patria delle tue patrie: l’Italia, dove, dopo lustri di decadimento, conservavi una delle tue più preziose e antiche immagini in quasi completa integrità fisica.

Già dal 1941 una delle tue isole avanzate, l’Irlanda, era calpestata dagli americani e tu non te non te n’eri preoccupata. L’impero britannico era, nel mondo, una presenza dell’Europa (una compensazione al decentramento, alla stravaganza dell’Inghilterra fuori dall’Europa). Ora questo Impero è subordinato in maniera umiliante agli Imperi americano e russo. In America esso ha perduto quasi tutto ciò che vi aveva, in un certo senso in nome dell’Europa. E’ una sconfitta e una umiliazione europea il fatto che le isole inglesi della costa americana siano occupate dalle guarnigioni americane; c’è da aggiungere che il Canada scivola nella versatilità americana. Risulta una minaccia per l’influenza europea nel mondo il fatto che le repubbliche sud-americane, così legate all’Europa, si pieghino sotto il giogo americano l’una dopo l’altra, e che anche l’Intelligence Service sia costretto, causa quel giogo, ad intrighi deboli e nascosti contro lo sbarco yankee. Stessa situazione nel Pacifico e in Asia, dove ciò che l’Inghilterra non ha ceduto ai giapponesi o ai cinesi, deve abbandonarlo alle iniziative difensive e offensive degli americani. Ed ecco che l’Inghilterra deve dividere con la Russia e con l’America anche l’Africa, il Vicino e il Medio-Oriente. Si può dire la stessa cosa per l’Impero francese, per l’Impero portoghese, per l’Impero spagnolo, per l’Impero olandese. E più di tutti gli altri europei, gli Inglesi fanno i furieri degli Americani e dei Russi. Le isole britanniche, infatti, dopo Guglielmo il conquistatore sono affolltate da milioni di americani ignoranti e sprezzanti. L’Inghilterra è occupata dagli extra-europei ancor prima che lo sia tutta l’Europa.

GERARCHIA ANNO I – NUMERO XI

Se l’Inghilterra è terribilmente colpevole contro l’Europa, anche la Germania lo è. Abbandonando il proprio impero, l’Inghilterra abbandona i suoi beni, i possedimenti e i prestigi dell’Europa all’estero, scatena la doppia invasione della Russia e dell’America; d’altro canto, la Germania impedisce alle comunità europee di confederarsi intorno ad essa, non sapendo oltrepassare il suo nazionalismo, il suo imperialismo, non sapendo trasformare la sua rivoluzione particolare in una rivoluzione universale, non sapendo eliminare tutti gli elementi arretrati che veicola ancora in sè: essa, pura forza socialista, brucia sull’altare della patria europea. Nel 1940 la Germania non ha capito il proprio compito, l’ha solo presentito oscuramente: ha pronunciato la parola Europa senza mettervi niente di più di un vago fremito istintivo. Assorbito dalla sua giusta visione del pericolo russo, il preveggente Hitler ha sempre agito con saggezza in funzione di questo pericolo. Ma non ha capito che i gesti da lui compiuti fuori della Russia non potevano non essere scorti dagli interessati nel loro rapporto con quel pericolo ignorato, nato in una vasta zona dell’Europa. Credeva che le “occupazioni” fossero solo una tappa verso qualcos’altro, verso la ripresa della marcia ad Est, forse solo parate secondarie e acessorie rispetto a quel movimento essenziale. Ma esse non sono state considerate tali dagli interessati, i quali vi hanno visto solo il preludio a volgari conquiste. Abbiamo dunque una serie di territori occupati che si ritengono gli elementi virtuali di un accatastamento imperialista; non si può trasformarli nelle trasposizioni viventi di una dichiarazione scritta, volontariamente orientate verso una egemonia elettiva, se non si spande ovunque un soffio comune, un movimento comune, che coordinino in una azione e in una speranza comuni gli abitanti sconcertati di questi territori.

A queste popolazioni, le quali in quanto occupate si considerano in procinto di essere conquistate, non si può chiedere di offrire operai e soldati se non si propone loro al tempo stesso un impegno interiore. Impegno che, essendo simultaneamente interiore ad ogni popolo d’Europa, si riveli comune a tutta l’Europa. Le genti di Polonia e di Bretagna, di Norvegia e di Grecia non possono aver voglia di difendere l’unione dei loro paesi in quanto Europa, a meno che non si dia loro qualcosa di nuovo da difendere; qualcosa che in quanto europei, li sta ora interessando. L’Europa non può interessarsi a se stessa come un ricordo da resuscitare, un ricordo ignorato dalla maggioranza; si può interessare solo ad un nuovo impegno, il quale potrà renderle tangibile la sua esistenza, che questa inizi o che ricominci. Può capire la guerra esteriore solo nelle opere di una guerra interiore; può capire una guerra contro il comunismo solo nella realizzazione della guerra socialista. La Germania poteva suscitare l’interesse dei popoli alla sua presenza, permettere loro di vederla sotto una angolazione diversa da quella dell’occupante, solo facendo di questa presenza una presenza rivoluzionaria. I Tedeschi non interessano in quanto Tedeschi, non più degli Inglesi, Americani o Russi; ciò che interessa è quello che gli uni e gli altri possono apportare. Gli uni il comunismo, gli altri la democrazia capitalista; i tedeschi dovevano imporre il socialismo. Ogni occupazione tedesca doveva trasformarsi in una rivoluzione nazionale; sarebbe stata una palpitazione della rivoluzione europea. Inizialmente i popoli sono rimasti delusi dalle occupazioni tedesche, proprio perchè sono sdtate delle occupazioni; ci si rassegnava nel bene o nel male; ci si rassegnava ad essere rovesciati.

GERARCHIA ANNO I – NUMERO XI

C’era un’invocazione in quel terrore che, nel 1940, aveva preceduto l’arrivo delle armate tedesche: si credeva che fossero delle armate rivoluzionarie, più rudi, ma al tempo stesso più innovatrici. Purtroppo non è successo niente: erano solo armate d’altri tempi e, in un primo momento, solo più gentili di quelle. Dapprima sono apparse rassicuranti; poi si è iniziato a dare voce alle lagnanze, divenute sempre maggiori. Avremmo preferito essere più scossi all’inizio, sconvolti. Si è trattato solo di una occupazione militare la quale, contro le varie difficoltà, ha potuto reagire solo con i mezzi militari e, poi, polizieschi. Non abbiamo conosciuto il nazionalsocialismo, abbiamo conosciuto solo gli eserciti e la polizia. Non abbiamo conosciuto il contenuto della Germania hitleriana, ma solo i suoi strumenti esteriori. La Germania ha voluto rispettare l’antica convenzione delle autonomie, delle sovranità nazionali. Allora ha dovuto impiegare i mezzi, non meno convenzionali di quelli che si usavano in passato, per circuire e assediare queste autonomie: mezzi di pressione diplomatici, finanziari, economici, militari, politici. Ma c’era bisogno dei mezzi più nuovi, più rispettosi, più vitali della conquista rivoluzionaria. Fare appello alle grandi alleanze intime, dirette, tra il genio del popolo tedesco e il genio degli altri popoli, tra le forze rivoluzionarie di Germania e di altre nazioni. Per poggiare l’egemonia militare sulla federazione delle rivoluzioni. E’ ciò che, invano, avevano cercato di fare gli Anglo-americani; è ciò che, di sicuro, faranno i Russi. Gli Americani hanno dei veri alleati: i democratici; i Russi hanno i comunisti; i

Tedeschi non hanno riconosciuto i loro alleati naturali, i socialisti europei. Ma questi, pochi all’inizio, potevano sviluppare le loro forze solo in un clima di tumulto generale, di convergenze ardenti. La Germania ha avuto paura. Temendo per la coesione e l’efficacia del suo esercito, la Germania ha avuto paura di farne un’arma rivoluzionaria; ma i soli eserciti che hanno fatto storia nel mondo sono stati quelli delle rivoluzioni armate. La Germania ha avuto paura di cessare di essere se stessa per divenire l’Europa; la sua aquila non è divenuta una fenice pronta a rinascere dalle proprie ceneri. E’ dunque troppo tardi? La comunità delle sofferenze per i massacri russi e americani, gli incendi, le rovine,: tutto ciò va forse a confondere occupanti e occupati, conquistatori e conquistati, difensori e difesi? Ci sono ancora frontiere, in Europa, per i nugoli di aerei americani, per le orde asiatiche? Ci sono ancora dogane tra le folle ridotte alla miseria? Può esserci forse una bandiera diversa da quella rossa, sulla superficie di un continente interamente ridotto al socialismo marxista, volente o nolente? Chi mai potrà risollevare l’Europa dalle rovine, se non il socialismo? Non saranno certo le banche o i trusts. Ora è tempo che i Tedeschi non solo proclamino, ma realizzino il socialismo europeo sulle rovine dell’Europa. Perché, in mezzo a queste rovine, c’è ancora la nostra anima da difendere. Il momento peggiore è quello migliore. Le trasmutazioni sociali decisive si compiono in piena guerra. E’ stato in piena guerra che l’Inghilterra puritana, la Germania luterana, la Francia giacobina e la Russia leninista, hanno compiuto i passi decisivi nella lotta all’interno.

GERARCHIA ANNO I – NUMERO XI

E’ in piena guerra, quando i russi avanzano, che bisogna compiere i gesti decisamente europei e socialisti. Pierre Drieu La Rochelle, Maggio 1944

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CRISPI E MUSSOLINI:

CONVERGENZE E AFFINITA’

SUL SOCIALISMO NAZIONALE “Crispi creò le prime cellule di un socialismo nazionale che doveva svilupparsi più tardi impetuosamente.” A. Gramsci. Il viandante e la sua ombra In una celebre biografia edita nel ventennio dedicata al capo del fascismo viene raccontato un episodio della giovinezza di Mussolini la cui trama, forse mitizzata ma profetica al tempo stesso, suscita non poca curiosità. La scena si svolge nella piazza di Predappio e vede coinvolti un giovanissimo Benito e il padre, Alessandro Mussolini. Al figlio deluso per avere invano bussato per un impiego al Comune di Predappio, il padre si rivolge esclamandogli: “non ti avvilire, tu sarai il Crispi di domani!”. Da quel momento, e da quella piazza, iniziano il proprio cammino il viandante e la sua ombra: Benito Mussolini e Francesco Crispi. Questo aneddoto, apparentemente senza importanza, non va considerato come un equivoco culturale né tantomeno va classificato tra quegli avvenimenti minori catalogabili come semplici risvolti della storia. L’intreccio delle vite di Crispi e Mussolini rappresenta invece una traccia decisiva per comprendere la parabola storica di Benito Mussolini e del Fascismo. È interessante, dunque, verificare se il parallelismo che stiamo proponendo, evocato dall’immaginario collettivo e dalla cultura del

Regime come mito, sia effettivamente approdato nella realtà della politica. È noto che lo stesso Mussolini contribuì ripetutamente a valorizzare questa immagine simbolica delle affinità elettive tra lui e il vecchio statista siciliano. Nel 1924, infatti, inaugurando a Palazzo Chigi una lapide a ricordo della Presidenza di Francesco Crispi, dirà: “Non solo prendo in consegna questa lapide nella quale stanno incise parole solenni, ma oserei dire che prendo in consegna lo spirito di Francesco Crispi, una delle figure dominanti e centrali del Risorgimento italiano”. Commentando le parole del Duce, lo storico Giuseppe Tricoli osserverà che “quando Mussolini, divenuto capo del governo, prende in consegna lo spirito di Crispi, suggella con un atto solenne l’aspettazione di antiche e nuove generazioni italiane di uno Stato nazionale che rappresenti eticamente gli ideali social-patriottici del Risorgimento“. Ecco dunque che da ipotesi si passa alla realtà. Ed ecco la necessità di comprendere storicamente questo passaggio delicato che ha lasciato un’impronta nel fascismo e sul quale hanno pesato, nel tempo, polemiche e pregiudizi che ne hanno annebbiato l’importanza. Esperienze Parallele Crispi è stato spesso accusato o celebrato (a seconda dei casi) come precursore del fascismo; Mussolini è stato a sua volta osannato o denigrato come l’imitatore di Crispi. E non c’è da stupirsi dal momento che le loro vite sembrano sapientemente lette per essere confrontate e sintonizzate. Ambedue hanno alle spalle un passato di formazione tutt’altro che liberale e moderata ma anzi decisamente socialista e rivoluzionaria. Crispi è l’eretico del mazzinianesimo, Mussolini del marxismo; dotati di senso pratico, hanno sempre agito con la giusta e astuta determinazione del politico e giunti al potere hanno operato alla modernizzazione del paese con metodo sociale di democrazia totalitaria più o meno accentuato, parola che in seguito avrebbe preso il nome di “regime”.

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Crispi è l’uomo della riforma delle amministrazioni comunali, è l’uomo del riordinamento bancario e finanziario, fine politico sensibile alla propaganda, e curatore dell’informazione giornalistica; insomma tutti aspetti che ritroviamo, dal riformismo totalitario alla organizzazione del consenso, alla creazione dello Stato Sociale, più o meno aggiornati, nella vicenda biografico politica di Mussolini. Persino l’antifascista Piero Gobetti definì Mussolini un “garibaldino in ritardo come Crispi, ma forse meno cocciuto di lui e per il suo convinto arrivismo più duttile“; un giudizio decisamente polemico (e politico) frutto della propaganda antifascista di quegli anni, e che dobbiamo anche contestualizzare nel periodo in cui è stata formulata.. Più sereno (e più storico), invece, il giudizio di Antonio Gramsci per il quale Crispi aveva creato “le prime cellule di un socialismo nazionale che doveva svilupparsi più tardi impetuosamente”.(5) Da destra Susmel ha osservato che Crispi “fu un esempio per Mussolini: un esempio da imitare“; da sinistra, invece, Vittorio Emiliani ha ricordato che Mussolini “verrà accusato agli inizi del fascismo da alcuni suoi avversari politici, per esempio dal sindacalista anarchico (e romagnolo) Armando Borghi” di essere il nuovo Crispi; un’accusa che gli pioverà addosso anche da alcuni suoi ex compagni socialisti quando il futuro Duce verrà espulso dal Psi. A queste somiglianze formative corrispondono interessanti affinità politiche. Crispi e Mussolini seguirono in politica estera una linea mediterranea tendente a spostare ed innalzare il centro di gravitazione dell’Italia nel Mediterraneo; in politica interna condivisero il sogno di creare finalmente l’Italia Stato e Nazione, portando così a termine il Risorgimento. In questo senso Marcello Veneziani innesta l’azione di Crispi e di Mussolini nel solco della “rivoluzione conservatrice” italiana. Del resto la storiografia più recente è generalmente concorde nel constatare che “per alcuni aspetti la figura di Crispi anticipa quella di Mussolini.

L’ambizione di fortificare la giustizia sociale, la solidarietà nazionale con una politica estera molto attiva” coincidono. Infine, e pochi lo sanno, i due condivisero l’attenzione per la Germania. L’Italia di Crispi coltivò l’amicizia per la Germania di Bismarck così come quella di Mussolini fece con la Germania nazionalsocialista di Hitler. Però, “se di Mussolini può dirsi che continua Crispi – osserva Valentini – in nessun modo potrebbe dirsi che Hitler continua Bismarck“. Naturalmente l’osservazione del politologo calabrese nasconde delle implicazioni ideologiche capaci di proiettare luce nuova nella comprensione del fascismo. Si tratta adesso di abbandonare la quotidianità della storia per immergersi nelle profondità del pensiero politico. Dal mito storico alla realtà politica: Mussolini prende in consegna lo spirito di Crispi. Già negli anni del Regime vi era stato il tentativo culturale “di saldare Crispi con l’Italia fascista e di assolverlo del suo illuminismo e giacobinismo“, un tentativo, peraltro, perfettamente riuscito a livello popolare, come documenta Biondi raccontando di un Mussolini salutato dalla folla come un nuovo Crispi. Sono elementi che confermano la continuità tra il progetto di governo socialista nazionale mussoliniano e quello del suo predecessore. Il Fascismo vuole completare il Risorgimento fondando un’Italia nuova laddove il mussolinismo aspira a concludere il processo risorgimentale restituendo energia e vitalismo all’Italia da esso nata attraverso uno Stato preponderante. Il fascismo, nella sua intenzione di creare l’Uomo Nuovo, sogna una rottura rivoluzionaria con le strutture del passato, ossia, l’esatto uguale del disegno crispiano evoluto rispetto ai tempi. Lo spirito del socialismo nazionale di Crispi, insomma influì e trovò spazio sull’evoluzione del fascismo-movimento): partecipazionista, comunitario, rivoluzionario in quanto intendeva rendere consapevole il popolo di appartenere ad una comunità nazionale e

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socializzare lo Stato liberandolo dall’assedio del collettivismo ed estirpando la malapianta liberale dell’individualismo e dell’utilitarismo. A questo punto è possibile affermare che quello Stato nazionale del Lavoro in parte teorizzato da Crispi e realizzato da Mussolini, coincide con quelle aspirazioni del fascismo rivoluzionario del 1919, dove si incorpora l’accentuazione totalitaria del sistema statale degli anni ’30. Il mito di Crispi così poi come quello di Mazzini, Pisacane e Garibaldi riesplode anche durante il periodo della Repubblica Sociale Italiana. Come Crispi anche Mussolini fu a sua volta additato di aver tradito gli ideali repubblicani, ma la realtà pragmatica dei fatti fu che la stessa monarchia (vera ancella e custode degli interessi lobbisti e capitalistici liberali) rappresentò nell’era crispiana come in quella mussoliniana un ostacolo difficile da abbattere e da arginare, un nemico interno con cui la marcia del Socialismo Nazionale avrebbe dovuto fare i conti fino al suo graduale ed eventuale rovesciamento che avvenne il 25 Luglio 1943. Un cattivo frutto ereditato dalla vittoria dell’ elite liberale e moderata cavouriana. Ecco perché noi, pur senza nostalgismi e nella piena maturazione e consapevolezza dell’era moderna, ci riallacciamo con una certa ortodossia spirituale a quegli ideali ed a quella marcia del Socialismo Nazionae italiano, che concepito dall’opera social-repubblicana risorgimentale, trovò affermazione nel breve e non fortunato periodo crispiano, per riesplodere impetuosamente nell’era rivoluzionaria mussoliniana, e che per i motivi appena visti non ebbe la possibilità di avere il suo pieno compimento popolare e sociale, e che infine terminò durante la breve vita della RSI. Dalla Storia dobbiamo saper riconoscete il vero e il giusto e non giudicare con sufficienza o partigianeria in base ai suggerimenti delle vulgate proposte da i governanti che occupano lo Stato da 65 anni. G.C.

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28 OTTOBRE 1922-2010 Il 28 Ottobre del 1922 una lunga sfilata di appartenenti alle Squadre di Azione del movimento dei Fasci di Combattimento a Roma sancisce l’avvio di una fase nuova e rivoluzionaria per la giovane Nazione italiana. Questa Rivoluzione Nazionale era cominciata già nel 1914 dal momento della resa dei conti all’interno del partito socialista italiano nel congresso di quell’anno quando Benito Mussolini pose un aut aut preciso riguardo all’incompatibilità di appartenenza alla “fratellanza” massonica” per gli iscritti al partito del lavoro e della giustizia sociale che di fatto innescava realmente anche una battaglia di principio e di innovativa dottrina di lotta politica che frantumasse i vecchi schemi e proponesse una realtà nuova ponendosi distinta e distante dall’obsoleto riformismo parlamentarista e dalle suggestioni marxiste che sfociarono poi nella costituzione del partito comunista. L’ex Direttore dell’ “Avanti” abbandonò il partito socialista ed il suo quotidiano e fondando il giornale “Il Popolo d’Italia” di fatto diede il via alla “Terza Via” – il Socialismo Nazionale – capace di porsi in alternativa sia ai principi della subcultura economicista del liberalcapitalismo che all’utopia collettivista del capitalismo burocratico marxista; questa fiammata di energia nuova trovò nell’incipiente prima guerra mondiale infine la materia prima su cui forgiare e determinare una nuova Italia; gli uomini della Squadre di Azione capaci nel periodo post bellico e nella fase pre sovversiva del biennio rosso di dare una svolta decisa al possibile disfacimento dell’unità di sangue e di suolo. Quando, dopo l’Adunata di Napoli di qualche giorno antecedente il 28 Ottobre, Facta portò alla firma del Re il famoso decreto per lo scioglimento delle Squadre l’azione rivoluzionaria aveva già compiuto tutti i passi utili “militarmente” per avere il controllo della situazione e la monarchia dovette prendere atto, attraverso diverse telefonate

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alla quasi totalità delle Prefetture, che l’Italia era già sotto lo stretto controllo delle Camicie Nere e il monarca si dissuase dal prendere iniziative che avrebbero portato solo lutti inutili ed accettò di dare l’incarico di governo a Benito Mussolini che il 28 Ottobre fu acclamato dalla sfilata dei Soldati Politici che duramente avevano combattuto per oltre 3 anni contro i nemici di ogni risma della Nazione italiana. Nel ricordare gli avvenimenti e salutare con un commosso tributo “in Spirito” gli artefici di quella Storia non dobbiamo smettere di credere che la Linea Retta va punteggiata giorno dopo giorno convinti come siamo che nel principio di giustizia sociale ed identità di popolo rimane, oggi e domani come ieri, e si ripone la nostra Dignità. Questo non é “nostalgismo” o “torcicollo”; é valutazione dell’attualità di un modello ancora valido nella sua piena “modernità”. Presidenza C.S.S.N. A questo proposito invitiamo alla lettura di questa breve cronistoria redatta dal prof. Stelvio Dal Piaz che – ricordiamo – ebbe il padre Bruno tra gli Uomini delle Squadre di Azione partecipante attivo agli avvenimenti:

LA MARCIA SU ROMA “Le idee, finché rimangono nelle biblioteche, sono perfettamente innocue. Diventano pericolose solo quando vi siano degli uomini che mirano a tradurle in atto, a convertire l’ideale in realtà”. (Mussolini) Questo é il pensiero di Mussolini socialista ma che ritroviamo nell’azione del Mussolini tribuno, combattente, agitatore, polemista, capo del Fascismo, condottiero di insorti, capo del governo, capo della Repubblica Sociale italiana. E’ in questa filosofia che va inquadrata la decisione della Marcia su Roma che non é più tanto nelle aspirazioni quanto nella necessità, nella fatalità del Fascismo. Ebbe infatti a scrivere Mussolini a monito di governanti e di avversari politici: “E’ dalle rive del Piave che noi abbiamo iniziato la Marcia che non può fermarsi sino a quando

non abbia raggiunta la meta suprema: Roma. E non ci saranno ostacoli, né di uomini, né di cose che potranno fermarci. Noi abbiamo la visione storica del problema di fronte all’ altra visione che si può chiamare politica e parlamentare.” Dalle cronache del periodo apprendiamo che “nel 1922 la situazione politica era torbida; la confusione era al massimo livello; e ad un certo punto persino lo stesso movimento fascista ne era coinvolto per il contagio dovuto all’equivoco collaborazionista a livello parlamentare.” Ma al timone del partito era Mussolini che, intuito il pericolo, dette un colpo secco di barra riportando l’esercito delle camicie nere nel mare libero dell’autonomia e dell’indipendenza. Con un discorso forte e sereno insieme, Mussolini abbatte il Ministero Facta dicendo chiaro e tondo il proposito del Fascismo di voler assumere il governo della Nazione. D’altra parte il governo si manifestava abulico ed impotente, il socialismo ufficiale pur atteggiandosi a vittima, tentava di pugnalare il Fascismo e il Paese alle spalle, non mancando di invocare poi la protezione dei carabinieri e delle guardie regie. Il riformismo dava saggio di ipocrisia scagliando la pietra e nascondendo la mano; massimalismo e comunismo esplicavano un’attività oltraggiosa a base di calunnie e di falsi. Insomma il sovversivismo era dominato dalla paura e dall’incertezza; di questo stato d’animo si ha la prova nello stesso giornale socialista-riformista di Milano “La Giustizia” che nel luglio 1922 pubblicava uno scritto il cui titolo diceva tutto: “La salvezza é a Roma: nel parlamento”. E fu infatti nei corridoi di Montecitorio che i capi del sovversivismo trovarono rifugio durante i moti insurrezionali del luglio fino a quelli dell’ottobre. Ricaviamo ancor dalla cronaca: “ Il liberalismo era fermo nella sua incertezza e si nutriva di fiducia nello Stellone d’Italia, tirando fuori il capo dal guscio, ad intervalli, per invocare la rigida applicazione della costituzione albertina; il popolarismo sturziano, pur di non perdere dei punti nei confronti del sovversivismo rosso, non si peritava di unire la sua voce a quella dei negatori della Patria e dei bestemmiatori della

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religione.” In agosto la parabola fascista giunse al culmine. Ricordando in “Gerarchia” (ottobre 1927) i tre mesi che precedettero la Marcia su Roma, Mussolini scrisse: “ L’agosto 1922 é un punto culminante nella storia contemporanea d’Italia. Scomparso il terzo contendente, é dall’agosto del 1922 che si fa sempre più serrato il duello tra vecchia Italia e Fascismo; é con l’agosto del 1922 che comincia il periodo insurrezionale del Fascismo che si conclude con la Marcia su Roma, L’insurrezione dura, quindi, esattamente tre mesi. Gli episodi salienti di questa insurrezione sono noti. Tipica l’occupazione di Bolzano e l’occupazione – squisitamente rivoluzionaria – di Trento”. Ancora oggi non dobbiamo però dimenticare che – come riportano ampiamente le cronache dell’epoca – questo periodo fu caratterizzato dal sacrificio e dal martirio di tante giovani vite dei fascisti. La necessità che questo periodo insurrezionale sbocchi alla conquista del potere é apertamente proclamata da Mussolini nei discorsi tenuti a Levanto, a Udine e al gruppo Sciesa di Milano. Il moto degli eventi diventa sempre più veloce. Dal 24 ottobre – adunata di Napoli – passano ormai pochi giorni all’evento. Oltre tutto occorre impedire che la cerimonia del4 novembre 1922 serva a prolungare l’agonia del sistema attraverso una manifestazione di stampo “pattiottardo “. La grande data della Vittoria deve essere celebrata dalla nuova Italia, Tra l’altro, lo sviluppo dei sindacati fascisti nel 1922 é imponente; il passaggio di leghe operaie e agrarie – rosse e bianche – nei quadri delle camicie nere é largo, continuo, spontaneo, mosso dalla nausea dei sistemi sovversivi, dalla stanchezza, dalla sfiducia di operai e contadini, di impiegati e professionisti, nei riguardi del socialcomunismo. Si arriva così alle ultime manifestazioni con la presenza di Mussolini: che divengono veramente decisive. A Udine il 20 settembre, a Milano il 4 ottobre, dove Mussolini stesso entra nel vivo della questione politica e dichiara: “il dissidio é tra Nazione e Stato, l’Italia é una Nazione. L’Italia non é uno Stato. La Nazione italiana esiste: piena di risorse, potentissima, lanciata verso un glorioso destino.

Ma la Nazione deve darsi uno Stato. E lo Stato non c’è. I cittadini si domandano: quale Stato finirà per dettare la sua legge agli italiani ? Noi non abbiamo alcun dubbio a rispondere: lo Stato fascista.” Il giorno 27 ottobre lo Stato maggiore prende sede a Perugia dove si ritrovano il quadrumvirato ed il comando generale delle camicie nere. Il governo liberale di Facta continua, come se nulla fosse, a “nutrire fiducia”. Il ministro dell’interno la mattina del 28 dirama alle Prefetture del Regno il testo di un manifesto da affiggere sulle cantonate di tutti i Comuni. Nell’avviso é fatto segno a “manifestazioni sediziose” che si verificano in alcune province allo scopo di ostacolare il normale funzionamento dei poteri dello Stato e si prende impegno di mantenere a qualunque costo l’ordine pubblico di fronte al tentativo insurrezionale. Ma alla mezzanotte del 27 ottobre in quasi tutte le province le camicie nere hanno occupato le prefetture, le stazioni radio e telegrafiche, le stazioni ferroviarie, compresa Perugia dove il Prefetto ha passato le consegne all’autorità militare. Una rapida ispezione compiuta nella nottata da Italo Balbo consente di fidare nel sincronismo dell’azione della periferia con il centro. Ragioni di ordine logistico consigliarono che il raduno delle camicie nere non fosse distante da Roma più di una giornata di cammino. Questa la ragione del concentramento a Santa Marinella, Monterotondo-Mentana, Tivoli. Le colonne di marcia passarono rispettivamente al comando di Perrone Compagni a Santa Marinella, di Igliori a Monte Rotondo-Mentana. di Bottai che riunì le camicie nere della Campania e dell’Abruzzo a Tivoli. Di fronte alla piega che prendono gli avvenimenti il governo si avventura in un conato di forza e la proclamazione dello Stato d’assedio corre sui fili del telegrafo, le cui sedi periferiche sono però già occupate in massima parte dai fascisti. Ma il re, rientrato a Roma dalla residenza autunnale, non firma il decreto e pertanto Facta é costretto a dare il contrordine. A questo punto Facta presenta le sue dimissioni e quelle del’intero Gabinetto. Ii re interpella allora Salandra che declina il mandato.

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Non rimane, pertanto, che affidare l’incarico a Mussolini. In tutte le province, in tutti i Comuni, ormai, l’azione particolare si sviluppa di pari passo con quella generale; i movimenti della periferia si accordano con l’impulso dato dal centro, il quadrumvirato lancia il proclama che é reso pubblico attraverso le edizioni straordinarie di tutta la stampa: “Oggi l’esercito delle camicie nere afferra la Vittoria mutilata e, puntando disperatamente su Roma, la riconduce alla gloria del Campidoglio. Il Fascismo snuda la sua spada per tagliare i troppi nodi di gordio che irretiscono ed intristiscono la vita italiana, Chiamiamo Iddio sommo e lo spirito dei nostri cinquecentomila morti a testimoni che un solo impulso ci spinge, una sola volontà ci raccoglie, una passione sola ci infiamma: contribuire alla salvezza ed alla grandezza della Patria.” La mattina del 30 ottobre le colonne di Santa Marinella, Monterotondo e Tivoli entrano in Roma per salutarvi Mussolini Capo del Governo, il quale – dinanzi alla Tomba del Milite Ignoto – rivolge agli italiani il Suo primo messaggio: “ Italiani ! Nel ricordo e nella celebrazione della grande Vittoria delle nostre armi, la Nazione tutta ritrovi sé stessa e adegui la sua coscienza alle dure necessità del momento. Il governo intende governare e governerà. Tutte le sue energie saranno dirette ad assicurare la pace all’interno e ad aumentare il prestigio della Nazione all’estero. Solo con il lavoro, con la disciplina e con la concordia, la Patria supererà definitivamente la crisi per marciare verso un’època di prosperità e di grandezza”

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4 NOVEMBRE 1918-2010 città di Pavia, data del 23 Novembre 1918 Benito Mussolini. (da “La Provincia Pavese”, 27.11.1918) Sulla Vittoria del 4 Novembre….

Nessun nemico interno od esterno può diminuire la vittoria d’Italia, perché luminosa e decisiva, perché già suggellata coi caratteri propri di storia mondiale. Ma mi permetterete di intessere qui innanzi a voi l’elogio del popolo italiano, non perché io cerchi i vostri applausi, ma perché io penso che sia venuto il momento di dire anche dure verità… Noi siamo arrivati al culmine della nostra storia di popolo italiano. Noi interventisti della prima ora, noi che nel maggio del 1915 scendemmo in piazza e prendemmo questa Italia che pareva intorpidita nella lusinga del “parecchio” giolittiano, noi prendemmo questa Italia pei capelli e le imponemmo questo grande dovere… Oggi il popolo italiano è più grande. Se Wilson ci diede l’attributo di “grande popolo italiano” gli è perché ce lo siamo conquistato durante 4 anni di guerra. Il popolo italiano si diceva non avrebbe resistito a 3 mesi di guerra, invece in 4 anni ha dato prova di tenacia e valore ammirabili……… ………..La nostra vittoria ci è costata del sangue e noi non dobbiamo limitarla al 24 ottobre soltanto, ma ai 4 anni di guerra. Noi al momento buono abbiamo potuto dare il colpo decisivo: non permettiamo a nessuno di menomare la vittoria italiana o di diffamarla. Siamo ora in un momento delicatissimo della nostra vita nazionale. La nostra guerra aveva obbiettivi sacri. Noi li abbiamo raggiunti: le nostre bandiere sono a Trento, Trieste, Fiume, Zara, e ci rimarranno. Là ci sono italiani che hanno spasimato di amore per noi, ci sono italiani che sono per noi saliti sulla forca. Nazario Sauro è istriano. Dove consacrazione più solenne del diritto italico in questi paesi? L’Adriatico è necessario all’Italia, ora la missione degli italiani è nel Mediterraneo. Gli obbiettivi nazionali sono adunque raggiunti. Ma noi che volemmo la guerra abbiamo altre ragioni da far valere. Coloro che hanno avute le carni straziate parlano di guerra con venerazione. Se noi scendiamo nel sacrario della nostra coscienza possiamo dire che il nostro sacrificio non fu vano……….. ……….Io credo che questo periodo di passaggio tra la guerra e la pace non verrà contrastato da disordini.

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È necessario essere soprattutto disciplinati e avere il senso della responsabilità. La nostra situazione dal punto di vista politico è buona come una grande Italia lo richiede. Ma si è aperto il Parlamento e il popolo italiano è ancora deluso. Tutte le volte che si apre, un senso di disgusto si spande per tutta l’Italia perché i deputati sono semplicemente preoccupati del loro collegio elettorale. Le classi lavoratrici hanno contribuito alla vittoria e hanno diritto nella vittoria. L’enorme massa dei soldati è costituita da lavoratori dei campi. Quelli che sono stati in guerra, che hanno vissuto la guerra, che sono andati all’assalto, rappresentano i migliori cittadini, gli eletti, e sono quelli che hanno tutti i diritti di governare l’Italia. Se qualche vile è rimasto e si è arricchito, il soldato che torna dalla guerra lo deve disprezzare e odiare. Le classi lavoratrici italiane hanno il merito della vittoria, e allora se ne deducano nuovi doveri e nuovi diritti da prendere in considerazione. Non c’è il proletariato, anzi questa parola va sostituita con quella di “produttori”. Un conto è combattere un partito e un conto è proletariato sano che lavora. Ci sono produttori borghesi e proletari, come ci sono eroismi collettivi ed individuali. Tutte le volte che la massa operaia reclama il suo diritto alla vita, ha ragione. Il lavoro sino ad oggi è stato impregnato da questi attributi: fatica e miseria. Chi lavora dieci ore al giorno deve per forza abbrutirsi. Cominciando a diminuire la giornata di lavoro è, secondo alcuni, dare mezzo e occasione per l’operaio di ubriacarsi. Ma se gli darete in mano dei libri, allora non si assisterà al fenomeno dell’abbrutimento. Dove vi sono orari eterni si delinea il fenomeno dell’abbrutimento fisico e morale. Tutti sono interessati a produrre. Sarebbe pazzesco voler pretendere di raccogliere senza seminare. Il proletariato non deve recidere la pianta per toglierle il frutto. La fama turpissima di fannulloni ormai non esiste più per noi. Quando i nostri meravigliosi italiani sono andati all’estero e hanno fatto cose prodigiose lo hanno dimostrato. Quando avremo prodotto sarà possibile dire alla borghesia di far parte del proletariato. Anche

le masse lavoratrici devono partecipare al congresso della pace. Non si tratta soltanto di sistemare e tutelare, si tratta soprattutto di costruire un edificio che non abbia più a crollare e come ho detto, non devono essere esclusi dal congresso i rappresentanti del lavoro. Il lavoro deve essere rappresentato perché quelli che erano in trincea erano lavoratori. Là si discuterà di molte cose, e perché devono essere assenti quelli che hanno dato il più vasto contributo di sangue? Quattro sono i postulati che la classe operaia deve declamare. La Patria non è una frase poetica: l’Italia è una realtà, è qualche cosa che canta in noi. Non possiamo e non dobbiamo essere antipatrioti. Bisogna amare la Patria, amarla come si ama la madre. Se vi potessi leggere il testamento dei nostri morti, che sono morti gridando: “Viva l’Italia!”, essi vi insegnerebbero questo amore. Il nostro popolo non conosce questa grandezza romana. Bisogna elevare la cultura delle masse lavoratrici. Dell’Italia non si tratta di grandezza morale. I problemi fondamentali della nostra vita nazionale sono dieci o dodici……… ……..I tre o quattro milioni di uomini che tornano dalle trincee devono vedere l’Italia col suo Parlamento intero. Bisogna loro presentare l’Italia nuova, e tutti quanti hanno sabotato la guerra, devono essere spazzati via come un castello di carte. Bisogna fare in modo che questa trasformazione debba essere fatta con ordine e che l’Italia possa realizzare i frutti della sua vittoria. Il vostro giornale reca questa frase: “La Patria non si nega, ma si conquista”. La Patria è nella lingua, nei costumi, e la Patria bisogna conquistarla col lavoro e colla sobrietà. L’Italia di domani deve essere grande soprattutto pel lavoro. Solo così sarà ricca, forte, in pace col mondo civile.

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VITA DEL CENTRO STUDI

CONVEGNO 13.11.2010

RELAZIONE SCARICABILE: http://socialismonazionale.files.wordpress.com/2010/11/relazione-convegno-13-novembre1.pdf

LA SCELTA INEQUIVOCABILE

DEL CENTRO STUDI La scelta del Centro Studi é stata sempre univoca sin dal momento in cui la componente di sinistra nazionale, poi denominata Socialismo Nazionale per non ingenerare confusioni semantiche, all’interno del Fronte Nazionale decise conclusa la sua esperienza in quel movimento abortito da scelte elettoralistiche fuorvianti; rendere culturalmente fruibile – incrementandone la corretta conoscenza – la continuità ideale del

processo innovatore della partecipazione organica del Lavoro alla costruzione complessiva dell’identità di Popolo che assume in sé la sovranità nazionale e che non può prescindere dal bagaglio storico e politico innescato dal Fascismo e dai fascismi europei conseguenti, preso in blocco senza distinguo e volontà di farne “spezzatino” adattabile a mode, momenti e/o interessi particolari. Su questa LINEA RETTA non intendiamo arretrare di un passo anche e soprattutto in una fase come quella attuale in cui emergono tentativi, per noi maldestri, di modificare a piacimento l’essenza di “ANDARE OLTRE” in qualunquistici agglomerati senza ideali capaci di essere trasversali alla sinistra ed alla destra solo in funzione di ammucchiate invereconde ai fini di un consenso parlamentare (vedi FLI), oppure – anche peggio – di bloccare una nuova rivoluzione popolare sulle ridotte di rivisitazioni impresentabili di opposti estremismi in nome di “valori” destri vetero reazionari o sinistri vetero marxisti. Soprattutto ribadiamo la nostra assoluta volontà di non accettare alcun compromesso con il meccanismo blasfemo dei “ludi cartacei” di tipo politico (elezioni parlamentari e regionali) verificando solo l’opportunità in contesti strettamente territoriali (amministrazione di piccoli comuni) l’opportunità o meno di volta in volta di dare modo a nostri militanti (solo se ne vale realmente la pena) di farsi carico di una rappresentanza della propria comunità in seno ai consigli comunali. Certo sta alla nostra intelligenza e capacità espressiva negli aspetti formali di comunicazione, così come alla nostra intransigente volontà di manifestare contenuti realmente alternativi al sistema implodente, riuscire a non chiuderci in nuove torri eburnee aprendo senza pregiudizi ad ogni serio antagonismo ed indipendentemente dalla sua originaria radice, fermo restando che sin da ora dichiariamo altrettanto irricevibile qualsiasi arrogante pregiudizio nei confronti dei nostri ideali di riferimento che non nascondiamo essere il sindacalismo rivoluzionario interventista, l’esperienza legionaria della Carta del Carnaro, i Fasci di

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Combattimento, le Squadre di Azione, il corporativismo, i Fascismi europei, la Repubblica Sociale Italiana. Il fine strategico é la necessità di arrivare con la socializzazione dell’economia e della società alla realizzazione compiuta dello Stato Nazionale del Lavoro e per esso non temiamo confronti paritari con altre esperienze perché quel fine strategico non é né “fazioso” né “partigiano” ma Nazionale e Comunitario e chiunque lo abbraccia diventa un compagno di lotta ed un camerata di trincea. Questo lo spirito con cui lavoriamo per cui riteniamo valida la strada intrapresa di una “confederatio” che deve dare un Progetto per portare la pietra al cantiere di un movimento politico di Liberazione Nazionale; ma se questa via mostrasse deviazionismi e semafori di troppo al nostro modo di essere quello che siamo dichiariamo sin da subito che per quanto ci riguarda noi andremo comunque avanti in direzione dell’orizzonte e senza più guardare chi rimane indietro a tratteggiare sui sofismi, nell’assoluto rispetto delle singole opinioni. La Presidenza del C.S.S.N.

NESSUNA "FASCISTERIA"

MA RISPETTO DELLE RADICI

A CUI NON INTENDIAMO

RINUNCIARE

Talune polemiche sorte recentemente stanno sviando l'oggettiva necessità di riuscire a rimanere in piedi sopra le rovine in un momento in cui le nostre tesi strettamente dottrinarie mostrano limpidamente quello che abbiamo sempre pensato; che una reale alternativa ad un modello di (sotto)sviluppo importato solo a suon di cannonate esiste, é ancora valido e in una logica attualizzazione dei tempi mantiene inalterata tutta la sua valenza e modernità. "Improvvisamente mi ritrovo dinanzi a polemiche che ritenevo essere state superate nel senso della chiarezza. Ripartiamo con il "neofascismo"? ", questo dichiara Paolo

Signorelli in un blog che ospita un suo commento dopo alcune uscite di stile da parte di alcuni suoi collaboratori. Ed allora ci sentiamo in dovere più che in diritto di esprimere una seria valutazione sulla domanda che pone Paolo, anche dopo aver avuto il conforto del nostro decano prof. Stelvio Dal Piaz. Il Centro Studi SN da sempre e limpidamente non ha nascosto che il suo scopo é l'acculturamento di nuove avanguardie sulla base e la scorta della corretta analisi storica, sociale e politica di una serie di fenomeni che a partire dall'esplosione della cosiddetta "rivoluzione industriale" hanno contribuito a marcare una netta distinzione tra l'economicismo del profitto imposto da oligarchie (siano esse privatistiche o burocratiche) e distruttivo della identità dell'uomo e dunque delle Comunità di uomini e la visione del concetto di Lavoro quale espressione trascendente della Dignità di ciascuno che nella collaborazione organica portano al superamento dell'individualismo ed infine alla realizzazione di un corpo coeso di Volontà che identificano una Nazione. Sulla scorta di questa idealità ci siamo posti il problema del superamento da tempo anche di una "conventio ad excludendum" incancrenitasi nel corso dei decenni (per colpe o "ingenuità" proprie e capacità del Nemico di fare "tensione") tra categorie del pensiero che probabilmente sono molto più vicine di quanto si possa pensare anche se non si può e non si deve negare - nemmeno per ragioni di tatticismo velleitario - che evidentemente una differenza di fondo esiste se i nostri riferimenti storici hanno saputo difendere con le armi le macerie di Berlino nel 1945 nel mentre altri riferimenti storici non hanno saputo nemmeno sparare un colpo di pistola in aria per difendere un muro che crollava (per implosione) nel 1989........... "Ed ora rischiamo di porre termine all'avventura della Confederatio in nome di un "Linea Retta" da nessuno di noi rinnegata? Per carità di Patria! Io non sono mai andato a Predappio. Non credo che per questo io possa essere tacciato di afascismo. Sono i fatti della mia vita a parlare.

GERARCHIA ANNO I – NUMERO XI

Così come lo sono quelli della "vita" di tanti abituati ad esaltarsi in volkloristici pellegrinaggi." continua Paolo Signorelli nella sua nota. Sinceramente é da tempo che se devo andare a omaggiare il ricordo del "socialista nazionale" per antonomasia di certo lo faccio senza vestirmi da pagliaccio o per bere un bicchiere di vino di troppo ma al di là di questo, sui fatti dello stile di vita di ognuno (non solo la mia che é poca cosa) credo che le singole coerenze di tutti noi non possano essere messe in dubbio da chicchessia e da nessuna "cattedra" ! Se, come ormai ho detto fino alla noia, il fine strategico ultimo é univoco probabilmente ci reincontreremo (e con Paolo é già successo in passato di essere discostati per divergenze di tipo strettamente politico e non certo per motivi personali per i quali rimane al contrario la massima stima e riconoscenza per il suo Valore di soldato Politico,) - pur utilizzando tattiche comportamentali, formali ed "estetiche" differenti - ma allo stato dei fatti e dell'incomprensibile per noi motivo del contendere ,giacché di "neofascismo" qualcuno di noi addirittura non ha nemmeno avuto modo fortunatamente di ingarbugliarsi, sicuramente le strade divergono. L'orizzonte é per tutti l'unico profilo per il quale merita di vivere intensamente la ribellione avendo chiara la rotta per evitare di naufragare nel mare dell'inconcludenza. Maurizio Canosci

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