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VENETO E D’ANGUILLARA SIAMO ANGUILLARA VENETA 22 SETTEMBRE 1973 UNA RICERCA SU CAMPO DEL NUOVO CANZONIERE VENETO

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VENETO

E D’ANGUILLARASIAMO

ANGUILLARA VENETA22 SETTEMBRE 1973

UNA RICERCA SU CAMPODEL NUOVO CANZONIERE VENETO

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Sono lieto di essere stato invitato a presentare undocumento di eccezionale importanza, che nonmancherà di suscitare a lungo l’interesse non solodegli Anguillaresi, ma anche degli studiosi del fol-clore e degli storici della musica. Il CD racchiude i canti raccolti oltre trent’anni orsono direttamente dalla voce di chi li intonava perincitare sé stesso e i compagni nelle lunghe ore di fa-tica, chini sul campo a staccare pomodori o intentiin fabbrica nella lavorazione del tabacco.Come frequentatore di pagine di storia locale e delleforme culturali che di questa sono espressione – e lamusica popolare è tra le più significative, ho ascolta-to con grande piacere e pari interesse melodie e temidi un passato recente, ma che è già storia, dato che icambiamenti degli ultimi decenni sono stati enormie velocissimi, tanto da far apparire molto lontanociò che invece è solo dietro l’angolo. In quanto sto-ria, quel passato va salvaguardato assieme ai suoi la-sciti morali: la consapevolezza della fatica di vivere eil tentativo di alleviarla, cominciando da un lavoromeno gravoso e meglio retribuito, più vicino al pae-se, meglio ancora se nel proprio paese, sulla propriaterra. È così che nell’opera, nel canto delle asprezzedel presente lavorativo, si fanno largo le rivendica-zioni politiche, speranza di mutamento di quellecondizioni, ma sempre con accenti scherzosi, mai dirabbia, tanto meno sociale. La voglia di leggerezzadell’essere è presente anche nell’esaltazione di altriaspetti della vita: su tutti spicca l’amore, ora celebra-

to in toni nostalgici, ora di sano erotismo contadi-no. Non manca il richiamo alla fede. Qui è invocataa soccorso delle questioni di cuore: è Dio che mandal’amore, lo si prega per trovare l’uomo della vita.Oggi la semplicità di questa richiesta femminile puòfar sorridere, ma è legittima e comprensibile se in-quadrata sullo sfondo di un mondo in cui la soliditàdelle unioni era indispensabile per garantire alledonne e ai figli un’esistenza decorosa.Come anguillarese, ammetto di essermi commossonel trovarmi di fronte alla ricostruzione di uno spac-cato di vita paesana che ricordo bene, perché ne so-no stato parte e ho condiviso i sentimenti che oggiriascolto nei canti di allora, salvati dall’oblio dal pa-ziente lavoro della Società di Mutuo Soccorso Erne-sto de Martino di Venezia e mirabilmente introdottida Gualtiero Bertelli, colto filologo musicale oltreche indimenticato cantautore, e curati da AntonellaDe Palma e Cesare Bermani.Come Sindaco, sono orgoglioso di un’opera che halo stesso valore delle numerose pubblicazioni di sto-ria locale edite dal Comune di Anguillara Veneta,l’ultima delle quali, Rivederci nell’America. Storia e te-stimonianze di un secolo di emigrazione anguillarese,che ha visto la luce alla fine del 2003, trova singolar-mente in questa un’ideale continuazione.

Il SindacoGianfranco Milani

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VENETO

ANGUILLARAa cura di Cesare Bermani e Antonella De Palma

Una giornata, ma non solo…

Non erano ancora le cinque, quel-la mattina del 22 settembre1973, quando infreddoliti io,Linda, Benno e Maria, ci fa-cemmo trovare sotto un lam-pione al centro di AnguillaraVeneta, alle foci dell’Adigenella bassa Padovana, in attesadel pullman.Non nego che provavo una certa invi-dia per Alberto, Mina e Renzo che aveva-no appuntamento alla manifattura tabacchi ben 3 oredopo! Ma eravamo convinti che ci aspettasse una gior-nata memorabile, e così fu.Con noi, sotto lo stesso lampione, stava una dozzinadi donne, alcune giovani, altre in età già matura, chesi apprestavano ad una lunga giornata di viaggio ebracciantato.Con alcune avevamo già avuto modo di parlare, al-tre sapevano di noi, ma non ci avevano ancora visto.

L’aria assonnata faceva presagire unviaggio lungo e sonnolento. L’appunta-

mento l’avevamo preso con la “capora-la”, la capa che trattava con i proprietari

del fondo, procurava la corriera,che veniva nientemeno che da

Monselice, “Costa meno e poimi servo da loro da tanto tem-

po…” ci spiegava, e che con molte diquelle donne lavorava fin dai tempi della risaia.“Si perché queste le ho portate per anni nelVercellese, nel Novarese… anche quelle piùgiovani. Son venute con me che non avevanoancora diciotto anni, quando la risaia si faceva

ancora…” E adesso? “Adesso ci sono le raccol-te, come quella del pomodoro di oggi, ma la miagente è sempre quella e di me si fidano”. Abbiamoavuto modo più tardi di verificare come questa af-fermazione fosse tutt’altro che millantato credito.Ma, prima di avviarci con la corriera, facciamo un pas-so indietro; come mai quella mattina sei persone diVenezia, tre da una parte e tre dall’altra, effettuavano

Anguillara

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una giornata di ricerca proprio ad Anguillara Veneta?In quel periodo, esattamente nel 1972, avevo lascia-to il Canzoniere Popolare Veneto, al quale avevo da-to vita con Luisa Ronchini fin dal 1964 e subito do-po integrato con Alberto D’Amico, e avevo fondatocon altre persone il Nuovo Canzoniere Veneto, conun esplicito riferimento all’esperienza del NuovoCanzoniere Italiano, e quindi all’Istituto Ernesto deMartino e ai Dischi del Sole, in un momento in cuiLuisa e Alberto stavano per fare scelte diverse, e pre-cisamente la Fonit Cetra e la sua nuova linea folk.Costruirono con me la nuova formazione: mio fra-tello Tiziano e Renzo Bonometto, che già avevano

collaborato con il CPV, Teodolinda Caorlin, MariaBoccanegra, Benno Simma e due persone non diret-tamente coinvolte nella riproposizione del materialemusicale, ma interessate alla ricerca: Mina Mulateroe Alberto Prandi, quest’ultimo eccellente fotografo.Frequentavo in quel periodo Urbino per motivi distudio e lì venni in contatto con un gruppo di giova-ni di Anguillara Veneta che, conoscendomi, mi pro-posero di condurre una ricerca nel loro paese “luogodi cantastorie, mendicanti e mondine – mi dissero –in cui ancor oggi è possibile raccogliere molte testi-monianze. Inoltre è un paese tradizionalmente rossonella bassa padovana bianca e in mano al clero attra-

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verso i possedimenti smisurati dell’Arca del santo”.Prendemmo contatti ed informazioni e organizzam-mo una prima spedizione di due giorni ai primi disettembre. Ci presentammo alla cittadinanza con unconcerto organizzato dai ragazzi sulla gradinata delmunicipio in cui cantammo prevalentemente un re-pertorio popolare e di monda, al fine di creare unimmediato collegamento con la gente del posto. Laserata non era delle migliori, ciononostante la piaz-zetta era piena di gente e di lì a poco il pubblico in-tonava molte canzoni con noi. Lo scopo era rag-giunto: far capire chi eravamo e quanto eravamo in-teressati a loro, alla loro storia, ai loro documentiorali. Il giorno dopo eravamo già sguinzagliati a rac-cogliere testimonianze: parlammo un po’ con tutti,dal prete al sindaco, al fascista del paese. In particolare incontrammo Mario, un fisarmonici-sta ex cantastorie ed allora arrotino, con il quale co-struii una particolare amicizia. Purtroppo non can-tava, ma ricordava molte arie di canzoni e ci rac-contò a lungo della sua vita tra le strade e i mercatidi mezzo veneto.La sera ci trovammo in un’osteria nel bel mezzo diun’assemblea dei fittavoli delle terre dell’Arca delsanto in subbuglio perché l’Arca intendeva venderetutto al miglior prezzo, probabilmente a dei latifon-disti, mentre loro volevano far valere un diritto al-meno morale di prelazione, visto che da decenni la-voravano quelle terre in condizioni non proprioagiate. Volarono parole grosse, e le più pesanti veni-vano proprio da persone culturalmente e politica-mente vicine alla proprietà, che più di altre forse sisentivano tradite.Ci lasciammo l’indomani con l’accordo che sarem-mo tornati per prendere appuntamento con alcunepersone chiave: la cantante del gruppo di cantasto-rie, alcune lavoranti della manifattura tabacchi e la

caporala delle ex mondine, con la quale concordareil modo per raccogliere testimonianze e canti.Verso la metà del mese tornammo per un giorno. Lacantastorie ci raccontò della sua esperienza con Marioalla fisarmonica e il marito alla batteria, ci fece vederespartiti, foto e fogli volanti, ma non fu molto disponi-bile a cantare; sembrava che non amasse tornare atempi che riteneva evidentemente da rimuovere. Tem-pi ancora non troppo lontani in cui, ci dissero in mol-ti, si viveva nella miseria più nera, inventandosi ognisorta di lavoro pur di far fronte alla fame e ai debiti.Mentre Mina, Alberto e Renzo prendevano contatticon le donne della manifattura, Benno, Linda ed ioci recammo all’atteso incontro con la tradizionalecapa del gruppo di ex mondariso trasformate ora inbraccianti stagionali.La caporala fu di poche parole, ma disponibile: “Èdifficile raggruppare delle donne così, senza un mo-tivo. Hanno tutte il loro da fare a casa… Se voletesentirci cantare perché non venite in campagna connoi? Questo è tempo di raccolta di pomodori e lì si-curamente cantiamo…”Ed eccoci qua, alle cinque di mattina, con una leg-gera e fresca nebbiolina, sotto un lampione ad atten-dere la corriera che viene da Monselice.Neanche il tempo di salire sul mezzo e di sedere chei miei presagi si rivelarono infondati. Il pullmanaveva raccolto altre persone in precedenti fermate econ il nostro imbarco aveva fatto il pieno. L’aria abordo era già frizzante, probabilmente era corsa vo-ce, ci aspettavano e si misero tutti a cantare imme-diatamente, donne e uomini (già, perché c’erano an-che alcuni uomini nella compagnia).Sembrava che ci fosse un programma predefinito,una canzone tirava l’altra tra battute, risate, rilancirapidissimi. Non si improvvisano cose così; bisognaaver passato ore ed ore assieme a cantare, a condivi-

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dere viaggi, fatiche, soddisfazioni e pene. Affiorava-no spontaneamente testi noti e meno noti, fram-menti, rivisitazioni legate al repertorio di monda epopolare, ricordi anche personali.Cantarono per tutto il viaggio, da Anguillara a Riva-ra, in provincia di Modena, e continuarono ininter-rottamente anche durante la raccolta dei pomodorinei campi di una multinazionale (la Mon Jardin).Noi camminavamo tra le file registrando; fu a questopunto che accadde un fatto che vale la pena di ricorda-re e che, purtroppo, non ebbi la prontezza di registrare.Nel campo, piuttosto ampio, lavoravano l’uno difronte all’altro, partendo dai due lati corti opposti,

due gruppi di braccianti: quello costituito da donnee uomini di Anguillara e l’altro che raccoglieva exmondariso piuttosto anziane provenienti da Creval-core, un paese in provincia di Bologna. Queste, con-trariamente al gruppo della bassa padovana, noncantavano mentre procedevano in fila ritta tra lepiante di pomodoro.Ad un certo punto, diciamo verso le undici del matti-no, ci rendemmo conto che col nostro registratore de-stavamo un certo interesse anche tra le bracciantiemiliane e così decidemmo di avvicinarci a loro, finoad allora silenziose. Come ci siamo avvicinati, senzafarsi pregare, hanno intonato con voce ferma un clas-

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sico del repertorio di monda E quando il treno al fi-schia. La canzone era appena terminata quando si di-resse alla nostra volta un giovane vestito di chiaro conun cappello in testa (e come non ricordare il Sciur pa-drun dell’indimenticabile Daffini!), probabilmente ilsoprastante, che ci apostrofò chiedendo chi ci avevadato il permesso di entrare nel campo, cosa stavamofacendo mai e che, insomma, disturbavamo il lavorodi quelle donne che erano state abituate bene (cioè anon cantare) mentre quelle altre (rivolgendo lo sguar-do verso il gruppo di Anguillara), cantando sempre,producevano meno. Non fece neanche in tempo aconcludere il suo sermoncino, che però mi indussepurtroppo a spegnere il registratore, che arrivò comeun fulmine la caporala, dai bordi del campo, e senzaun attimo si esitazione disse più o meno” Questi si-gnori sono ospiti nostri, li ho portati qui io e se van-no via loro andiamo via anche noi”, nel frattempotutto il gruppo aveva smesso di lavorare e stava rittoin piedi ad attendere un solo cenno della lorocapa.”Se poi ha qualcosa da dire sul nostro lavoro, dadomani possiamo anche non venire”. Il giovanotto,evidentemente poco esperto e comunque inusitato areazioni del genere, non sapeva più cosa dire, balbettòqualche parola e ci concesse il permesso di rimanere,a patto che non disturbassimo né le une né lealtre.”Per quanto riguarda il lavoro, beh in effetti an-che se cantate fate comunque il vostro… Ci scusi cieravamo un po’ preoccupati… pensavamo che i si-gnori fossero degli intrusi…” e altre banalità del ge-nere. Le Anguillaresi (si dirà così?) erano rimaste im-mobili per tutto il tempo della discussione, una deci-na di minuti al massimo, e ripresero il lavoro solo adun cenno della caporala la quale, presici in disparte, cidisse:”Questa gente sa che io sono con loro. Ho lotta-to sempre perché fossero trattate bene e abbiamo fat-to decine di lotte e di scioperi insieme e io sono sem-

pre stata dalla loro parte, anzi davanti a loro se era ilcaso. Non preoccupatevi, continuate pure a registrare,ma evitate di parlare con le lavoranti. Lo faremo du-rante la sosta pranzo e al ritorno”. Era una donna de-cisa e di poche parole la caporala, ma è indiscutibileche i suoi le riconoscevano non solo un potere “gerar-chico”, ma anche “affettivo” molto forte.Durante la pausa pranzo i due gruppi si raccolsero in-sieme all’ombra e dettero vita ad un vivace botta e ri-sposta a base di canti. Non c’era gara, ma voglia di farsisentire sì e i due repertori si compensarono e integraro-no. Dovevano essere abituate a fare ciò, tant’è vero chealcune donne di Crevalcore chiesero ad una delle An-guillaresi di fare “quella di ieri che è bella e non la co-noscono (Tutti gli amici miei stavano a dire)”.La ripresa del lavoro fu un po’ stanca, era molto cal-do e la voglia di cantare forse meno gagliarda, maverso sera i canti ripresero e continuarono anche du-rante il ritorno, con una vivacità davvero indomita,aiutati anche da una cassetta messa su dal conducen-te, una di quelle inspiegabili cassette a sfondo talvol-ta erotico, altre volte politico che si trovavano sol-tanto nei mercati di certe zone, evidentemente sensi-bili al cantare insieme. Eppure una giornata di lavoro lunga undici ore erastata pesante anche per noi, che non eravamo statiotto ore con la schiena ricurva a raccattare pomodo-ri.Questa è stata una parte della nostra ricerca, forse lapiù significativa; per noi che l’abbiamo vissuta certa-mente la più difficilmente dimenticabile. A oltretrent’anni di distanza il film di quella giornata mi èancora chiaro davanti, risvegliato dalle voci all’im-provviso riemerse da quei nastri rimasti troppo alungo inascoltati.

Gualtiero Bertelli

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Il 22 settembre 1973 alcuni ricercatori appartenential Nuovo Canzoniere Veneto si recarono ad Anguil-lara Veneta, in provincia di Padova, per effettuareuna giornata di ricerca sul campo, allo scopo di con-cludere la loro campagna di ricerca sul luogo con laraccolta del repertorio musicale locale.I ricercatori si divisero in due gruppi, formati da trepersone ciascuno. Un primo gruppo - Gualtiero Ber-telli, Linda Caorlin, Maria Boccanegra e Benno Simma- partì al seguito di uomini e donne braccianti di An-guillara che andavano a Rivara (Modena) per la raccol-ta dei pomodori; un secondo gruppo - Mina Mulatero,Renzo Bonometto e Alberto Prandi - si recò invece allaManifattura Tabacchi dell’Arca, sita in Anguillara.Questa intensa giornata di ricerca (complessive 9 oredi registrazione su nastro, ora masterizzate in 9 CDconservati presso l’archivio della Società di MutuoSoccorso Ernesto de Martino di Venezia) portò a unascoperta importante. Sia le raccoglitrici di pomodoriche le lavoratrici del tabacco erano in precedenza stateper la maggior parte risaiole e avevano lavorato sia inVeneto, che in Piemonte e in Emilia Romagna. L’avvento del diserbo chimico e della meccanizzazioneagricola, negli anni Sessanta, avevano visto una contra-zione quantitativa della monodopera e una profondamodificazione delle regioni di provenienza delle mon-dariso, sempre meno reclutate nelle province tradizio-nali dell’Emilia e del Veneto e sempre più provenientida province del Centro-Sud.

Le mondine venete vedevano così pressoché azzeratele possibilità di lavoro in risaia e trovavano altre op-portunità di impiego sempre in agricoltura (nel casodi Anguillara non più con migrazione stagionale magiornaliera). In questi nuovi lavori esse protaronocon sé il loro precedente, ricco repertorio canoro dirisaiole, rifunzionalizzandolo ai loro nuovi lavori,dando così vita a un prolungamento del canto di ri-saia, tanto nel repertorio quanto nei modi esecutivi.Questo CD è un documento di alto valore non soloper il fatto che queste registrazioni siano state effettua-te in anni ormai lontani, ancor vicini al mondo dellemondariso, ma proprio perché che esso è una testimo-nianza di questa rifunzionalizzazione, nella quale si èmantenuto lo stile polivocale proprio delle mondariso. Si sapeva infatti che il canto di risaia aveva conti-nuato ad avere una sua presenza in forme deconte-stualizzate, Lo testimoniano i cori semiprofessionalidi mondariso, come quello di Trino Vercellese o deiCappuccini di Vercelli, come pure era noto che ilcanto di risaia era stato trasferito in altri ristretti am-biti lavorativi:, Albertina Medici, mondariso di Mo-glia di Gonzaga (Mantova), aveva continuato a can-tare monodicamente centinaia di canti nel suo suc-cessivo lavoro di domestica. Anche Giovanna Daffi-ni, ex mondina di Gualtieri (Reggio Emilia), in pre-cedenza cantante e musicante di paese, aveva “trasfe-rito” con grande sapienza i canti appresi in risaia al-l’interno di un altro stile musicale, assolutamente

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individuale, anche se in esso vengono mantenute al-cune caratteristiche di emissione vocale mutuate dalcanto di risaia. Si era a conoscenza pure del caso del-le sorelle Bettinelli, di Ripalta Nova (Cremona) co-noscitrici di un repertorio proprio della cascina cre-masca, portato da loro in risaia e là arricchito, poitestimoniato nel loro cantare assieme a tre, e diquello della famiglia Caprara, di Bondeno Gonzaga(Mantova), che ha continuato a cantare in città unrepertorio in parte di paese e in parte proprio prove-niente dalla risaia.Si ignorava, invece, che fosse esistito un vero e pro-prio prolungamento del canto di risaia all’interno dialtri lavori, con una rifunzionalizzazione che mante-neva vivo lo stile musicale proprio del canto della ri-saia, anche se le lavoratrici tendevano ad eseguireprevalentemente i canti e le strofette – se non appo-sitamente ricieste - legate al gioioso ritorno dai duriquaranta giorni della monda che non quelli legati allavoro. Nella memoria delle ex risaiole sembravanoessersi fissati i primi piuttosto che i secondi, che for-se avevano già iniziato a dimenticare proprio per ladurezza del lavoro, secondo un meccanismo dellamemoria già verificato tra altre mondariso (peresempio, nella stessa Giovanna Daffini).È parso quindi giusto documentare questo ricco re-pertorio nell’uso che ne veniva fatto durante la gior-nata lavorativa della raccolta dei pomodori o al ta-bacchificio. Ecco quindi il viaggio in autobus versoRivara alle cinque del mattino, il momento dellaraccolta dei pomodori, la pausa del mezzogiorno, ilritorno in autobus verso Anguillara dodici ore dopo,mentre nel caso della manifattura tabacchi le regi-strazioni sono state effettuate tutte durante il lavoro.Ne è venuto fuori uno spaccato della colonna sono-ra che accompagnava la vita di queste lavoratriciche, esattamente come avveniva nella vita di risaia,

cantavano in ogni momento della giornata (chi havisto il documentario di Matteo Bellizzi, Sorrisoamaro, ne ha avuto una riprova).Come è consueto al canto di monda, le lavoratricicantano in uno stile polivocale orizzontale, di solitoa due voci procedenti per terze parallele, con attaccoeseguito da una solista, per lo più, ma non sempre,quella con la voce più acuta, a cui segue l’entrata delcoro, spesso su di una sillaba in corpo di parola, contendenza ad alzare in modo quasi inavvertibile la to-nalità iniziale nel corso dell’esecuzione.Di qui l’importanza di questa ricerca – forse nondel tutto chiara allora agli stessi ricercatori – che larende più unica che rara nel panorama delle ricer-che sul campo.Alla Manifattura Tabacchi è stato registrato ungruppo di lavoratrici, pochissime avevano lavoratoin risaia, che aveva un repertorio nato anche nelle fi-lande o nei cotonifici, in larga parte diverso dal pre-cedente e comunque – lo si sentirà - eseguito conuno stile vocale differente.

La registrazione dal vivo, spesso effettuata in condi-zioni disagiate e con uno sfondo di rumori di lavo-ro, ha reso in alcuni momenti di non facile decifra-zione i testi dell’accluso libretto. Ovviamente, nell’ascolto di questo montaggio va te-nuto presente che le lavoratrici cantano senza eccessi-ve preoccupazioni estetiche e che la registrazione èstata effettuata con apparecchiature semi-professiona-li, quelle permesse alle tasche dei ricercatori di allora.

Cesare Bermani, Antonella De Palma

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1. Il viaggio di andata 17:15

Bertelli: 22 settembre 1973 - Siamo ad Anguillara VenetaStiamo per partire con un gruppo di donne e uominibraccianti, per la provincia di Modena, per la raccolta deipomodori(intervista alla signora Virginia)

Senta signora, dove xe che ‘ndemo ancuo?A Rivara

In provincia de…De Modena

Quante done e omini ghe sarà ancuo che lavora?E chi xe che lo sa, più o meno sarà 45, 50 più o meno desolito semo cussì, dopo non lo so

Se fa la raccolta dei…Pomodori

Quanti giorni xe che fasè sto lavoro qua?Dunque sarà un… circa 40 giorni

E terminè quando?Per la fine del mese: un mese e mezo de raccolta ghe xe

Senta, oltre al vostro gruppo, prima mi diseva che ghe xealtri gruppi de altre zone che vien zò làSì. De Modena e Crevalcore, forse ghe xe anche el gruppode Villa Dose

Adesso xe le cinque e un quarto, no. Tornè a che ora? A cheora se torna stasera?Alle sei stasera

Ae sie stasera semo qua in paese. Quante ore de lavoro fasècomplessivamente?Otto ore

Con un’ora di sosta, no?Si un’ora di sosta

Da mezzogiornoDa mezzogiorno all’una

Xe molti anni che la fa sto lavoro qua?Sarà cinque o sei anni

Questa xe la corriera, xe la corriera nostra questa?Si

Buongiorno(autista) Buongiorno(vociare dentro la corriera, i braccianti prendono posto, lacorriera parte)(voci di donne) Canta, canta

I. Celestina dagli occhi celestiDalle guance color di una rosa Se tu fossi la mia morosa Alla messa vorrei farti andar.Se tu fossi la mia morosa alla messa vorrei farti andar.

La mattina mi vado alla messa Compagnata dai miei amatoriSe lo sapessero i miei genitoriMonachella mi fecero andar.

Monachella son stata tre anniEro chiusa tra muri e cancelliMi han tagliato i miei biondi capelliGiovanotti piangete per me.

Giovanotti piangete piangeteLa ragazza più bella è partitaSe dovesse tornare alla vitaUn altro amore non lo trova più.

II. La strada del boscoL’è lunga l’è larga l’è strettaL’è fatta a barchetta

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L’è fatta per fare l’amor.L’è fatta a barchettaL’è fatta per fare l’amor.

L’amore lo faccioLo faccio con la mia bellaMi sembra una stellaUna stella caduta dal ciel.

Caduta dal cieloMandata mandata da DioIo penso all’amor mioChe un giorno mi devo sposar.

Sposarla non possoLasciarla lasciarla nemmenoMi comprerò il velenoIl veleno per farla morir.

III. Mariolin, bela MariolinDove l’hai messo quel bambino che avevi?Mamma della mia mammaL’ho gettato in peschiera.Dove l’hai messo quel bambino che avevi?Mamma della mia mammaL’ho gettato in peschiera

Figlia mia parla pur pian Parla pur piano che nessuno ti senteSe ti sente la giustiziaLa ti viene a prendere.

‘Pena finita la discussionLa si sentiva a bussare la portaLa bella Mariolina Cade a terra morta.

L’hanno presa e l’hanno legàL’hanno legata con catene sicureLa bella Mariolina A la prigione a le ‘scure.

Mamma mia mandeme un va’Mandeme un vaglia qui a le catene

Chi ha fatto il male Soffriranno le pene.

IV. E sì e sì e sìNoi la vogliam cosìVogliam bandiera rossaVogliam bandiera rossa.

E sì e sì e sìNoi la vogliam cosìVogliam bandiera rossaIn cima al campanil.

E daghe una botta a destra‘na botta alla sinistraNoi siamo i comunistaNoi siamo i comunista.

E daghe una botta a destraE un’altra alla sinistraNoi siamo i comunistaVogliam la libertà.

V. A casa nostraAi nostri paesiSiamo borghesiA casa si va.

A casa si vaSi trova l’amanteSotto le piante A fare l’amor.

Sotto le pianteSopra al trifoglioIl ben che ti voglioNessuno sa.

Bene ti voglioBen ti vorriaAnima miaConsolazion.

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VI. Macchinista macchinistaFaccia sporcaMetti l’olio nei stantuffiDi pomodori siamo stufiA casa nostra vogliamo andar.

VII. Sulla cima sulla cima della corrieraMetteremo la bandieraMetteremo la bandiera La bandiera dei tre color.

VIII. E co’ saremo a PadovaNoi pianterem la giostraE grideremo forteAlla provincia nostra.

E co’ saremo a PadovaNoi struccheremo i dentiTra porchi e sacramentiLa monda ha da finì.

IX. E co’ saremo sul Ponte del taglioPer arrivare al capitello, Ci metteremo tutte il cappelloE grideremo “Siamo rivà”.

E co’ saremo ad AnguillaraNoi pregheremo con emozioneE ringraziando nostro Signore Che tutte sane siamo rivà

X. Cara mamma cara mamma vienimi incontraVienimi incontra con la carriolaChe xe qua rivà to fiolaTuta quanta sbarossà.

Care done care done della cascinaMettete via la gelosiaLe padovane le va viaI vostri uomini lascia qua.

XI. Brave ragazze brave mondineUn’altra firma dovete farNONon c’è più firma né più padroneChe fa i coglioni per lavorarNon c’è più capo né più padroneChe fa i coglioni per lavorar.

XII. Va là va là pur capaA t’ sé vestì da festaBasta fare la richiestaBasta fare la richiesta.

Va là va là pur capaA t’ sé vestì da festaBasta fare la richiestaChe a Cuneo vogliamo andar.

Va là va là padroneCon quella camicia biancaVa tor i schei alla bancaVa tor i schei alla banca.

Va là va là padroneCon quella camicia biancaVa tor i schei alla bancaChe a cà vogliamo andar.

XIII. Addio giovanotti addioAddio giovanotti belliL’amor sui ponticelliL’amor sui ponticelli.

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Addio giovanotti addioAddio giovanotti belliL’amor sui ponticelliNon la faremo più.

E se l’abbiamo fattaL’abbiamo fatta per passare un’oraE adesso è giunta l’oraE adesso è giunta l’ora.

E se l’abbiamo fattaL’abbiamo fatta per passare un’oraE adesso è giunta l’oraÈ l’ora di andare a cà.

Oi là là che anduma a càA veder come la va.

Se la va ben noi rideremSe la va male se la va maleSe la va ben noi rideremSe la va male noi piangerem.

Piangerò Col cuor sospireròMa io per teMa io per te.

Piangerò Col cuor sospireròMa io per teMorire no e no.

E nel partire si e siNel ritornare no e no Addio risaia io ti lascerò.

Io ti lascio io ti lascio per memoriaI sbalzeroti sui fasinariUn saluto ai loamari Io in risaia non vengo pì.

Bertelli: Chi di voialtre xe sta in risaia?Quea là, Questa, questo, questa…

Ea xe sta in risaia?Si

Quando? Quanti anni fa?Quattro anni fa

Xera ancora tanta xente che ‘ndava?No, no perché l’ultima squadra nostra gh’eva sette donne,adesso qua sul Veneto penso che ghe sia pochi che i va

Ea anca ‘ndava in risaia?Iera massa piccola (ride)I xe sta’ i sie anni più bei

Ea xe sta in risaia?Si

Dove? In che zona?A Vercelli, Pavia, Mede…

Quanti anni xe ndada?Sei anni

Quando? In che periodo?Eh, ave quindese anni, quattordese anni gavevo il primoanno, xe sette, otto anni che no vo pì.

E dopo ga continuà sempre a lavorar cussì, a fare…Si, so ‘ndà a lavorar a Padova, al mercato

Come se trovava in risaia?Insomma, sai, i primi anni iera brutti, iera dormire male,magniar male

Quanti giorni stavi?Quaranta, cinquanta giorni, cinquantadue…

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2. Registrazione nei campi 2:47

Bertelli: Riprendiamo la registrazione nei campi, mentre ledonne e gli uomini di Anguillara stanno raccogliendo ipomodori.Siamo in una campagna piuttosto ampia di filari dipomodori; le donne sparse lungo i filari procedono assiemeraccogliendo tutti i pomodori, in quanto si sta facendo laraccolta per la conserva.

…E la lira che non si rialza piùE tira la cinghia e tira…

I. Siur paron dalle belle braghe biancheFora le palanche fora le palancheSiur paron dalle belle braghe biancheFora le palanche che ‘nduma a ca’.

E non va più a mesi nemmeno a settimaneLa va a poche ore la va a poche oreE non va più a mesi nemmeno a settimaneLa va a poche ore che giust anduma a cà.

Siur paron da le bele braghe biancheFora le palanche fora le palanche…

II. La mattina il latte c’è Con molto zucchero con molto zucchero…

Bertelli: Adesso ci stiamo avvicinando a un gruppo di donnedi Crevalcore, in provincia di Bologna, piuttosto anziane, ungruppo di sette persone, che sembrano disposte a cantare

III. E quando al treno al fischiaMundin alla stazionCon la cassetta in spallaCon la cassetta in spalla.

E quando al treno al fischiaMundin alla stazionCon la cassetta in spallaSu e giù per i vagon.

Sior padrun Da li beli braghi bianchiFora li palanchi Fora li palanchi.

Sior padrun Da li beli braghi bianchiFora li palanchi Ch’anduma a cà.

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3. La pausa pranzo 12:32

(I gruppi di Anguillara e Crevalcore si alternano a cantare)

(Anguillara)

I. E la bella va in cantinaTrar el vin trar el vin trar el vinLa bella va in cantina Trar el vin col suo bel morettin.

O morettino mioMorirai morirai, moriraiO morettino mio Morirai con la pena nel cuor.

E la bella la va in piazza Per trovar per trovar per trovarLa bella la va in piazzaPer trovar il suo bel morettin.

O morettino mioMorirai morirai, moriraiO morettino mio Morirai con la pena nel cuor.

La bella la va in chiesaPer pregar per pregar per pregarLa bella la va in chiesaPer pregar pel suo bel morettin.

O morettino mioMorirai morirai, moriraiO morettino mio Morirai con la pena nel cuor.

(Crevalcore) Cosa cantiamo, La biondina di Voghera?

II. La biondina di VogheraMondarìs e la va a càe Ea va a cà dalla sua mammaO Dio mamma io son malà.E la va a cà dalla sua mammaO Dio mamma io son malà.

Se sei malata figlietta miaPrendi le chiavi e va a dormirE che vedrai domattin bonoraChiamare il medico gh’andarò mì.

E alla mattina le ore quattroEcco il medico che l’à rivàDisse: Menela a l’ospedaleChe ben presto la guarirà.

E c’al mi diga signor dottoreC’al mi daga sodisfazionA gò una figlia in lèt malèdaAl so miga che mèl la gà.

Soddisfazione ve l’ho già dataVostra figlia tenéla in càE non lasciarla andare in piazzaFar l’amore con i soldà.

I soldati sono furbiChe l’amore la sanno farLor ghi prometton di sposarlePoi le lasciano in libertà.

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(Crevalcore) Bene! Quela de l’alter dì ch’l’è bèla, che lor i l’ha mai sentùa

III. Tutti gli amici miei stavano a direChe dalla mia età dovrei capireE a lui per far passar capricci e voglie Dicevano “Gastone prendi moglie.”E poi alla fine mi sono persuasoChe cercar moglie ci vuole un buon nasoPosso prender poi dopotutto Una donna bella perchè non son brutto.E se putacaso mancasse il mangiareMi accontento la moglie mirareE guardo la moglie e passa ogni penaCon tutti li baci la pancia l’è piena.“Abbasso il celibato” mi son messo a gridar“d’or che io prendo moglie non ne posso più parlar”.

E dir ch’è una beltà or non si sbagliaChe ha una lingua poi che cuce e taglia.Un braccio un cane un dì l’ha morsicata Quel povero cagnolin muore arrabbiato.I suoi capelli color variopinti Son tutti i giorni tinti e ritintiEd il suo naso, odi che guaio, Sembra una martello da calzolaio.Color delle labbra di marmellata E con la bocca tutta sdentataMaledicente se canta è nervosa E con la faccia tutta pelosa.Voi tutti qui ridete ne avete ben ragionSposar quell’arpia e questo fu il minchion.

E dei mariti sono il modello Imparate voi or che viene il bello.Chi vuol la pace in casa conservare E come faccio io si deve fare.Alla mattina ancora un vovetto Porto a mia moglie il caffè a lettoVo nel cortile i panni a lavare E a far la spesa e anche il disnare.

E ma senza perdere un momentino Devo là a terra cunare il bambino E quando la moglie intanto è a mangiare Io vado fuori a lavorare.Rifaccio poi i letti e vodo l’urinal E solo in questo modo non la sento brontolar.

(Anguillara)

IV. Domani è festa non si lavoraDomani è festa non si lavoraDalla morosa io voglio andar Dalla morosa io voglio andar Dalla morosa io voglio andar.

Io voglio andare perché la xe belaLa ga una stela traverso il cuor.

Traverso il cuore che la risplendeChe la risplende consolazion.

Consolazione che viene dal cuoreLè sta’ il mio amore che m’ha lascià.

Che m’ha lasciato di sera scuraSenza paura l’amor si fa.

L’amor si fa l’amor si fariaAnima mia consolazion.

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4. Il viaggio di ritorno 6:46

I. E sì e sì e sì Noi la vogliam cosìVogliam bandiera rossaVogliam bandiera rossa

E sì e sì e sì Noi la vogliam cosìVogliam bandiera rossaO vincere o morir.

Fascisti vigliacchi Son tutti da ammazzar E prima i fascisti E poi la società.

II. E d’Anguillara siamo paura non abbiamoAbbiamo delle belle lingue che noi ci difendiamoDai dai dai che Anguillara non perde mai.

Se non ci conoscete guardateci negli occhi Noi siamo d’Anguillara ve romperemo i ossiDai dai dai che Anguillara non perde mai.

Se non ci conoscete guardateci nel visoNoi siamo di Anguillara vogliamo un bel sorrisoDai dai dai che Anguillara non perde mai…

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III. Signor padrone tu non cominci maiE noi facciamo sempre il tuo interesseE ci convinci con le tue promesse.

E tira la cinghia e tiraCosì non può durarLa colpa è della lira Che sempre si ritira.E tira la cinghia e tira Così non può durarLa colpa è della lira che non si rialza più.…

IV. E porta un litro de quel bonE porta un litro de quel bonE porta un litro de quel bonCara Gigiota.

E la Gigiota la gà ‘n putìnChe nol se vede.

E se la piange la gà rasòn Perché l’è vecio.

E quand l’è vecio non l’è più bonAndar in leto.

Dovem comprare un cagnolìnPe ‘ndare in leto

E quand l’è vecio l’è ‘ndormesà[incomprensibile]

V. Daghe de tacco daghe de puntaDaghe del bon alla sora AssuntaTira lo spago tira la segaDille il cavolo che me frega.

VI. Alla mattina quando mi alzoIo meno il caIo meno il caIo meno il caParapappappàAlla mattina quando mi alzoIo meno il cane a passeggiar.

A mezzogiorno quando ritornoLo metto in cuParapappappàA mezzogiorno quando ritornoLo metto in cuccia a riposar.

Anche me nonna lassù in montagnaLa g’ha la fiParapappappàAnche me nonna lassù in montagnaLa g’ha l’affitto da pagar.

Anche me nonno laggiù al mareEl g’a le baParapappappàAnche me nonno laggiù al mareEl g’ha le balle da pescà.

Anche Pierino laggiù in cantina Se fa na seParapappappàAnche Pierino laggiù in cantina Se fa na secia de vin bon.

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5. La Manifattura Tabacchi 20:18

Mulatero: 22 settembre 1973. Manifattura di Tabacco diAnguillara.

Prandi: Mi dicevi che fino a cinque anni fa era una culturamolto diffusa, cioè abbastanza diffusa?Dopo la guerra era appunto la cultura principale qui adAnguillara, gh’era duecento campi circa in conduzionediretta. Fino ad adesso, finché non è venuto fuori propriopiù niente

Mulatero: Qui quante persone ci lavorano?Una trentina di donne e attualmente dieci ragazze

Prandi: Sono tutte di Anguillara? Tutte del paese?Si, due vien dalla frazione di Borgoforte, comunque le altretutte dal paese

Mulatero: Tutto il ciclo di produzione, dalla semina allaraccolta, quanto dura?Il tabacco pare che lo metta zo in maggio o in giugno,comunque a cavallo del mese e raccoglie, xe due mesi che iraccoglie tabacco e adesso ghe sarà altri quindici giorni,penso. Comunque le donne g’ha comincià a lavorar daquando ha comincià a metterlo via, xe un mese circa

Mulatero: Queste foglie qua da quanto tempo è che sono su?

Mulatero: E stanno su fino a quando?Niente, finché hanno riempito. Bisogna sempre che ci sia ilposto libero per metter quello verde, allora co xe riempio là icomincia a tirar giù questo

Prandi: Praticamente, capisci, girano; le macchine sispostano in tre capannoni, man mano che staccano quelloasciutto infilano e appendono quello verde. Le macchineseguono le file…In genere alla mattina, co’ l’umido, co’ l’umidità… i tira viail secco

Mulatero: Dopo di che di quello secco che cosa ne fanno?E adesso, i ciapa, de ogni fila ne fa un fagotto, disemo, lomette su un sacco e lo porta in magazin. Dopo, se l’Arca gheaffitta anche il magazin, st’inverno i lo lavora sul posto, cioèi imballa, e se no lo porta a Verona a imballare

I. Adagio adagio, poco la voltaL’Italia nostra si raggiungeràE quei vigliacchi di quei signoriVerrà con noi a lavorar.E quei vigliacchi di quei signoriVerrà con noi a lavorar.

II. Le otto ore vi sembran pocheProvate voi a lavorarE sentirete la differenzaDi lavorare e di comandar.E sentirete la differenzaDi lavorare e di comandar.

Mulatero: Siete state tutte in risaia?Si, un annoQuindici anni ghe xo stata mi. Quindici anniNove noaltre

Prandi: Ma in risaia cantate sempre così?Dalla mattina alla sera. Siccome che xe tanta fatica alavorare, allora per fare andare via la fatica se canta

Prandi: Alla sera avete ancora voce oppure…Sempre. Magnare, lavorare, dormire, cantare

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III. Per quaranta giorniDalle case lontaneAbbiam dovuto lasciar le mamme Per guadagnarci il pane.Abbiam dovuto lasciar le mamme Per guadagnarci il pane.

Alle cinque della mattinaMondar col sacrificioMangiar risi e fagioliE dormir sul pagliericcio.

Le cinque della mattinaCi sono i moschiniChe ti divora il visoNon posso lavorare.

E dopo a mezzogiorno Ci sono i mosconiChe ci divora il sangueNon posso lavorare.

Le nove della sera Ci sono le zanzareChe me divora il sangueNon posso riposare.

IV. Spazzacamin che vien dai montiVien dai monti alla città Va gridando Done bele Chi ha il camin da fa spazzar.

Salta fuora una vedovellaSalta fuora dalla sua ca’La ghe dise Oh galantuomoho il camin da fa spazzar.

Spazzacamino ha terminatoLa signora rientra in ca’Con la borsa del denaroMi son pronta per pagar.

Spazzacamino entra in casaTira fora il suo raspinE comincia su e giù Per la nappa del camin.

Si ritiri bella signoraSi ritiri per caritàSe la polvere la va in golaLa va in rischio de crepar.

Spazzacamino ha terminatoLa signora rientra in ca’Con la borsa del denaroMi son pronta per pagar.

Io non voglio né soldi né robaNé denaro né quattrin Voglio solo d’un bacin Per consolare il cuoricin.

Vattene via brutto negroBrutto negro d’un negronTe vorissi farme sposa Per un sacco de carbon.

Non mi importa se son negrole bellezze non son quaco’ sarò sotto le copertela la la la la la la.

V. E la mia mamma l’è vecchierellaSu su bonora mi fa levà.E la mia mamma l’è vecchierelaSu su bonora mi fa levà.

E la mi mette le secchie in spalaA la fontanela la mi fa andar

Come fu stata la mezza stradaUn bel cavaliere la g’ha incontrà

Indove veto bella brunettaCosì soletta per la contrà

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Io me ne vado a la fontanelaDove mia mamma me g’ha mandà

A la fontanela ghe so sta dessoGhe iera l’acqua tuta intorbià

Se resté qui una mezzoretaIntanto l’acqua si schiarirà

Io non mi fermo nemen mi sentoPerché mia mamma me g’ha manda

Io pagherìa cento denariUn’altra notte dormir con te

Co’ ‘ndarò a casa da la mia mamaQualche consiglio la mi darà

Prendili pure bela brunettaChe sarà buoni da maridar

Noi le daremo una medicinaSera e mattina lui dormirà

Mulatero: Volevo chiedervi: voi avete fatto risaia anche?Noi mai andà noialtre in risaia, mai

Mulatero: Che lavoro avete fatto?Sempre tabacco

Mulatero: Da quanti anni?Da vint’anni, ‘pena che xe ‘nda le fabriche, insomma, ‘penafinìa la guerra

Mulatero: Sempre qua?No prima a Bagnoli, dopo son venuta ad Anguillara, dopom’ho sposà, insomma, e son vegnuta qua ad Anguillara, cosìinsomma

Mulatero: Lei neanche è mai andata in risaia?No no no

Mulatero: E tabacco sì?Tabacco ho fatto dieci anni qui, ma risaia niente da fare.Non so neanche come sia messo. Ad Anguillara gh’è solotabacco e anche ch’el ghe fusse

(voce maschile) E anche ‘na graziaE anche ‘sto anno, è tre anni che iera ferma, la fabbrica

VI. Il cielo è una coperta ricamataLa luna fra le stelle fa la spiaVorrei cantar con te una serenataCon lo strumento e con la chitarina.

E lasciami a dormirNon farmi risvegliarAlla finestra affacciatiSe vuoi sentir cantar.

Se lo vedessi mamma quanto è beloMi sembra un angiolin del paradisoL’ho pitturata io col mio peneloL’ho pitturata io col mio bel viso.

E lasciami dormirNon farmi risvegliarAlla finestra affacciatiSe vuoi sentir cantar.Alla finestra affacciatiSe vuoi sentir cantar.

Xe finìa cussì…

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Celestina dagli occhi celestiCanto di monacazione forzata, raccolto in forme per lopiù frammentarie e con varie melodie, noto con i titolidi Le carrozze son già preparate, Stamattina andando allamessa o Celestina dagli occhi celesti, appartenente ancheal repertorio di risaia. La più vecchia lezione a stampa èprobabilmente quella raccolta nella parte Ovest dellaprovincia di Verona e pubblicata in Arrigo Balladoro,Folklore veronese. Canti. Torino, Clausen 1898, p. 78, n.187: “Bela bionda dagli occhi celesti, / de le labra coloredi rosa; / Se tu fossi la mia morosa / veniresti a passeggiocon me. // I cavalli son già preparati, / le carrozze sonpronte a partire; / se la bionda volesse venire / al passeg-gio, al ballo con me”.

La strada nel boscoCanzonetta ottocentesca a sfondo erotico, entrata stabil-mente anche nel repertorio di risaia. Versioni venete so-no pubblicate in Canti popolari vicentini, raccolta con lemusiche da Vere Pajola. Venezia, Neri Pozza, 1975, p.342; Dino Coltro, Il giro del torotòtela. Ande e cante con-tadine. Verona, Bertani, 1976, p. 370; Idem, Cante ecantàri. La vita il lavoro le feste nel canto veneto di tradi-zione orale. Venezia, Marsilio, 1988, p. 473; Giorgio Bo-vo, Oi cara mamma l’amór l’è grande. Canti e musica po-polari del Monte Baldo. Verona, Azimut, 1999, pp. 180-181, nn. 175 e 176.

Mariolìn bela MariolìnCanto narrativo, noto come L’infanticida alle forca (Ni-gra, n. 10), di diffusione centro-settentrionale. La primaversione pubblicata di questi canto venne raccolta a Ro-ma. Si veda Agrumi. Volkstümliche poesien aus allen. Ge-

sammelt und übersetz von August Kopisch. Berlin, Verlagvon Gustav Crantz, 1838, pp.86-88. Versioni venete so-no in: George Widter e Adolf Wolf, Volkslieder aus Vene-tien. Wien, Gerold, 1864, n. 66; Domenico GiuseppeBernoni, Tradizioni popolari veneziane. Venezia, Anto-nelli, 1859, p. 33. In quest’ultima versione “Mariotìn” chiede: “O mamma,porté l’arzan! / Porté l’arzan, de la moneta: / centocin-quanta scudi / per liberar Marieta!”. Nelle più recentiversioni venete del canto la richiesta si trasforma in“mandeme un vaglia”, attualizzando la richiesta di dena-ro. “Val” potrebbe essere una trasformazione di “zall”(giallo, il colore dell’oro), che appare come richiesta di“Mariulin” alla madre (“O mama mia, portem del zall(del zall e ancora dla muneda / da liberarm da sta mise-ria e pena) in una versione raccolta a Pontelagoscuro(Ferrara) da Giuseppe Ferraro. Si veda Giuseppe Ferraro,Canto popolari piemontesi ed emiliani, a cura di RobertoLeydi e Franco Castelli. Milano, Rizzoli, 1977, p. 307.

E sì e sì e sì

E daghe una botta a destra Strofette di contenuto socio-politico già diffuse in risaia

Segue un serie di strofette diffuse tra le mondariso dellapianura padana, a volte trasformazione di strofe militari,soprattutto dei coscritti o dei congedanti, qui spesso convarianti locali. Appartengono tutte al repertorio del ritor-no dalla monda. Va là va là pur capa era strofa solitamentecantata l’ultimo giorno di lavoro, quando la capo-squa-dra andava a fare la “richiesta” dei biglietti ferroviari peril viaggio di ritorno delle mondine. Si notino in alcune diqueste strofe gli accenni alla relativa libertà dei costumi

Note ai testia cura di Cesare Bermani

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cui le mondine potevano godere in risaia rispetto alla se-vera moralità familiare e, in particolare, il rovesciamentodel rapporto uomo/donna. Qui è la donna che si prendegioco dell’uomo abbandonandolo dopo quaranta giorni.

Siur paron dalle belle braghe biancheAltre strofette di richiesta di partenza dalla risaia, canta-te già a metà monda.

La mattina il latte c’èFrammento di canto sul vitto della mondariso durante ilgiorno, trasformazione da canto militare.

La bella va in cantinaCanto del repertorio di filanda, passato in quello dellemondariso. Per versioni venete si veda: Antonio Cornol-di, Ande bali e cante del Veneto con particolar riguardo alPolesine. Padova, Rebellato, 1968, p. 229; Canti popolarivicentini, raccolta con le musiche da Vere Pajola. Venezia,Neri Pozza, 1975, p. 386; Dino Coltro, Il giro del torotò-tela. Ande e cante contadine. Verona, Bertani, 1976, p.370; Canzoniere veronese, Balè, cantè butele, musica can-ti balli della tradizione popolare veronese. Verona, Cassadi Risparmio di VeronaVicenza Belluno, 1979, p. 13;Dino Coltro, Cante e cantàri. La vita il lavoro le feste nelcanto veneto di tradizione orale. Venezia, Marsilio, 1988,p. 475; Giorgio Bovo, Oi cara mamma l’amór l’è grande.Canti e musica popolari del Monte Baldo. Verona, Azi-mut, 1999, pp. 173-174, n. 166 e 167.

La biondina di VogheraCanto narrativo entrato stabilmente nel repertorio dellerisaiole, largamente diffuso nell’Italia settentrionale indiverse versioni e così chiamato nei Canti popolari delPiemonte di Costantino Nigra, Torino, Loescher, 1888,p.463, n. 103. La versione a stampa più vecchia è quella

pubblicata in Giulio Ricordi e Leopoldo Pullé, Canti po-polari lombardi. Milano, Ricordi, 1857. Per delle versio-ni venete si veda Domenico Giuseppe Bernoni, Nuovicanti popolari veneziani. Venezia, Fontana, 1874, p. 7, n.3; Canti popolari vicentini, raccolta con le musiche da Ve-re Pajola. Venezia, Neri Pozza, 1975, p. 192; MarcelloConati, Canti popolari della Val d’Enza e della Val Ce-dra, a cura della Comunità delle Valli dei Cavalieri. Par-ma, La Bodoniana, 1976, p. 118.

Tutti gli amici miei stavano a dire Canzone da cantastorie sugli inconvenienti del prenderemoglie.

Domani è festa, non si lavoraStrofe da probabile canzonetta ottocentesca entrate sta-bilmente nel repertorio di risaia. La più antica lezione ame nota venne raccolta a Bergamo da Paolo Gaffuri nel1892. Si veda …a veder Garibaldi a rivà. Canzoni popo-lari bergamasche dell’Ottocento. 2 – La raccolta “Folklorebergamasco” nelle Carte di Paolo Gaffuri (Prima parte), acura di Cesare Bermani e Giovanni Mimmo Boninelli.Bergamo, Sistema Bibliotecario Urbano, 2001, p. 136, n.94 c. Per delle varianti raccolte in Veneto si veda: Cantipopolari vicentini, raccolta con le musiche da Vere Pajola.Venezia, Neri Pozza, 1975, p.315, n. 202; Dino Coltro,Cante e cantàri. La vita il lavoro le feste nel canto venetodi tradizione orale. Venezia, Marsilio, 1988, p. 423;Giorgio Bovo, Oi cara mamma l’amór l’è grande. Canti emusica popolari del Monte Baldo. Verona, Azimut, 1999,pp. 163-164, n. 142.

E d’Anguillara siamo paura non abbiamoStrofette diffuse tra le mondariso in più varianti localisull’aria delle note strofette del General Cadorna, cantatedurante la prima guerra mondiale.

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…signor padrone tu non cominci maiLe lavoratrici, cantano mentre in pullman sta suonandouna cassetta (il brano è tratto da un disco 45 giri), ac-compagnando il brano inciso.

E porta un litro de quel bonNote strofette satiriche diffuse in tutta l’Italia settentrio-nale, cantate anche in risaia. Per versioni venete si veda:Antonio Cornoldi; Ande bali e cante del Veneto con parti-colar riguardo al Polesine. Padova, Rebellato, 1968, p.235; Canti popolari vicentini, raccolta con le musiche daVere Pajola. Venezia, Neri Pozza, 1975, p. 306; Dino Col-tro, Il giro del torotòtela. Ande e cante contadine. Verona,Bertani, 1976, p. 344; Giorgio Bovo, Oi cara mammal’amór l’è grande. Canti e musica popolari del Monte Baldo.Verona, Azimut, 1999, pp. 219-220, n. 237, 238, 239.

Daghe de tacco daghe de puntaStrofetta oscena nota in tutta l’Italia centro/settentriona-le, cantata anche in risaia,

Alla mattina quando mi alzoNoto canto osceno, assai diffuso in risaia, sulla medesi-ma melodia di Bella ciao (già trasformazione di una ver-sione del canto narrativo Fior di tomba, che a volte avevaanche la medesima melodia del canto partigiano e che nerappresenta un antecedente).

Adagio adagio, poco alla voltaStrofe famosissime, note con il titolo di Se otto ore, già can-tate in altra versione negli anni 1905-1906, epoca della pri-ma battaglia per le otto ore di lavoro e poi soprattutto dellaseconda lotta per le otto ore del 1921-22, al momento dellaviolenta offensiva fascista contro le organizzazioni sindaca-li. Le strofe qui cantate si diffusero però dal 1949-50 in poi,assumendo un sigbnificato più precisamente politico.

E quaranta giorni per guadagnarsi il paneCanto sulla durezza del lavoro di risaia a tutt’oggi inedito.

Spazzacamin che vien dai montiCanto narrativo, connesso al filone erotico-eufemisticolargamente presente nell’uso popolare, che presumibil-mente risale alla fine dell’Ottocento o all’inizio del No-vecento. Per la sua diffusione veneta si veda: Canti popo-lari vicentini, raccolta con le musiche da Vere Pajola. Ve-nezia, Neri Pozza, 1975, p. 208, n. 129; Dino Coltro, Ilgiro del torotòtela. Ande e cante contadine. Verona, Berta-ni, 1976, p. 375; Dino Coltro, Cante e cantàri. La vita illavoro le feste nel canto veneto di tradizione orale. Vene-zia, Marsilio, 1988, p. 396; Giorgio Bovo, Oi cara mam-ma l’amór l’è grande. Canti e musica popolari del MonteBaldo. Verona, Azimut, 1999, pp. 360-361, n. 383.

E la mia mamma l’è vecchierellaCanzone narrativa nota come La bevanda sonnifera (Ni-gra, n. 77), conosciutissima in tutta Italia.Per versioni venete si veda: George Widter e Adolf Wolf,Volksliederaus Venetien in “Sitzung-berichte der Philo-sophischen-Historischen Classe des Kaiserlichen Akade-mie der Wissenschaften”, Wien, 1864, p. 306, n. 74; Et-tore Scipione Righi, Saggio di canti popolari veronesi, Ve-rona, Zanchi, 1869, p. 33, n. 96; Canti popolari veneziariraccolti da Domenico Giuseppe Bernoni. Venezia, Fonta-na-Ottolini, 1872-73, puntata V, p. 6; Antonio pericleNinni, Ribruscolando, Venezia, Tip. Longhi e Montanari,1890 (ristampa in A.P. Ninni, Scritti dialettologici e folk-loristici veneti, Bologna, Forni, 1964, vol. III, p. 32-33, n.9); Luigi Marson, Canti politici popolari raccolti a Vitto-rio Veneto. Vittorio Veneto, Zoppelli, 1891, n. 22; ArrigoBalladoro, Inediti. Manoscritti pronti per la stampa, acura di Giorgio Bovo, Amministrazione comunale di Po-vegliano veronese, 1994, p. 157; Pio Mazzucchi, Vecchicanti popolari del Polesine, Badia Polesine, Tip. Torchio,

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1929, p. 30; S. Zanon, B. Mazzotti e S. Cancian, Centocanzoni popolari della Marca Trevisana, s.l. 1938 (Ri-stampa: Treviso, Libreria editrice Canova, 1970, p. 94;Giorgio Maria Cambié, La Bevanda sonnifera nel contadodi Bussolengo in “Vita Veronese”, a. XIX, nn. 1-2, Vero-na, 1966; Antonio Cornoldi; Ande bali e cante del Venetocon particolar riguardo al Polesine. Padova, Rebellato,1968, pp. 275-276, nn. 225 a, b, c; Guglielmo Capacchi,Antiche ballate popolari raccolte nelle valli dell’Enza e del-la Cedra in “Valle dei Cavalieri”, n. 2, 1972, p. 78; Cantipopolari vicentini, raccolta con le musiche da Vere Pajola.Venezia, Neri Pozza, 1975, p. 183, n. 110; Marcello Co-nati, la musica di tradizione orale in Aa. Vv., La musica diVerona. Verona, Banca Mutua Popolare di Verona, 1976,

p. 614; Idem, Canti popolari della val d’Enza e della valCedra. Parma, 1976, pp 105-106, n. 14; Dino Coltro,Cante e cantàri. La vita il lavoro le feste nel canto veneto ditradizione orale. Venezia, Marsilio, 1988, p. 220; GiorgioBovo, Oi cara mamma l’amór l’è grande. Canti e musicapopolari del Monte Baldo. Verona, Azimut, 1999, pp.316-317, n n. 341-342.

Il cielo è una coperta ricamataCanzone di origine probabilmente letteraria, diffusa inNord Italia ma notissima in Veneto, particolarmente aVenezia, dove faceva parte del repertorio delle operaiedel Cotonificio Veneto.

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VENETO

E D’ANGUILLARA SIAMOANGUILLARA VENETA 22 SETTEMBRE 1973UNA RICERCA SU CAMPO DEL

NUOVO CANZONIERE VENETO

A CURA DI

CESARE BERMANI E ANTONELLA DE PALMA

FOTOGRAFIE DI

ALBERTO PRANDIBENNO SIMMA

Società di Mutuo Soccorso Ernesto de [email protected]

Istituto Ernesto de MartinoSesto Fiorentino – [email protected]

P.O. BOX 187 33100 UDINE (I)Telefono e Fax+39 0432 58 20 01www.nota.it [email protected]

1 Il viaggio di andata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17:152 Registrazione nei campi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2:473 La pausa pranzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12:324 Il viaggio di ritorno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6:465 La Manifattura Tabacchi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20:18