Gennaio 2019 Numero Zero · l’indirizzo Coreutico, giovane ma ormai consolidato e con un utenza...

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1 Gennaio 2019 Numero Zero Editoriale Il Salotto: 1978 il caso Moro “Ciò che è noto non è conosciuto”. pag.11-12 De gustibus: Bohemian Rhapsody pag. 9 Il match: Trap, inutili profeti di una società digitale? pag.6-7 Giornalino Scolastico dell’Educandato Statale Collegio Uccellis Come comprendere realmente il nostro tempo quando siamo quotidianamente sommersi da una straordinaria quantità di notizie che arrivano in tempo reale su tutte le piattaforme a noi disponibili? Quello che era il semplice atto di leggere il giornale al mattino si è trasformato in una continua tempesta di notizie da cui siamo bersagliati, ma che ci lasciano molti dubbi sulla loro veridicità. In questo caos di informazioni l’idea di proporre un giornalino può sembrare ridondante e per tale motivo, al fine di comprenderne il valore, è necessario metterne in risalto alcuni aspetti. La redazione di un giornalino scolastico rappresenta non solo un insieme di giovani che si allontano dal semplicistico gusto del commento fine a se stesso, ma anche e soprattutto la possibilità di costruire uno spazio di libera espressione, un luogo non regolato dalle costrizioni imposte dalle esigenze didattiche, dove essere finalmente noi stessi, liberi. La prima disorientata reazione del nostro gruppo di lavoro è stata quella già catturata da Pasolini che scriveva: “Io so questo: che chi pretende la libertà, poi non sa cosa farsene” ed è proprio vero. Il nostro giornalino non ha ancora preso forma, non ha un nome definitivo, non sappiamo ancora bene “che farcene”, ma ci pervade una forse ingiustificata, ma rinfrancante fiducia: lo scopriremo nel tempo e siamo determinati a non lasciarci sfuggire questa occasione. Per ora possiamo dire che questo posto ci piace. La nostra prima pubblicazione si chiama “Numero Zero”, un nome che, dopo l’infinita girandola di proposte, è rimasto, quasi crescendoci lentamente addosso. Questo non certamente per il significato di mancanza di qualsiasi valore, unità o quantità, ma piuttosto perché descrive l’assenza di una rigida categorizzazione. Ci troviamo in una fase quasi embrionale, un punto di partenza da cui muoverà una continua e multiforme evoluzione. Quello che il progetto del giornalino vuole comunicare, però, è che molti sono i giovani pronti a sviluppare un pensiero critico su temi di attualità. L’utilità non è solo, quindi, di chi partecipa alla sua realizzazione, ma anche dei destinatari. Impossibile è prevedere quanto riscontro il giornalino effettivamente avrà nella vita della scuola, ma l’idea è di creare un circolo ermeneutico, uno “sharing” di informazioni e notizie interne che possano risultare utili e diano voce anche solo in minima parte al potenziale espressivo di ognuno. In un certo senso vuole innescare un dibattito, sollecitare un moto di curiosità e interesse nei nostri occhi ormai sempre più fissi sullo schermo dei cellulari. E’ tempo di mettersi in gioco. Carla Moras

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Gennaio 2019

Numero Zero

Editoriale

Il Salotto: 1978 il caso Moro “Ciò che è noto non è conosciuto”. pag.11-12

De gustibus: Bohemian Rhapsody pag. 9

Il match: Trap, inutili profeti di una società digitale? pag.6-7

Giornalino Scolastico dell’Educandato Statale Collegio Uccellis

Come comprendere realmente il nostro tempo quando siamo quotidianamente sommersi da una straordinaria quantità di notizie che arrivano in tempo reale su tutte le piattaforme a noi disponibili? Quello che era il semplice atto di leggere il giornale al mattino si è trasformato in una continua tempesta di notizie da cui siamo bersagliati, ma che ci lasciano molti dubbi sulla loro veridicità. In questo caos di informazioni l’idea di proporre un giornalino può sembrare ridondante e per tale motivo, al fine di comprenderne il valore, è necessario metterne in risalto alcuni aspetti.

La redazione di un giornalino scolastico rappresenta non solo un insieme di giovani che si allontano dal semplicistico gusto del commento fine a se stesso, ma anche e soprattutto la possibilità di costruire uno spazio di libera espressione, un luogo non regolato dalle costrizioni imposte dalle esigenze didattiche, dove essere finalmente noi stessi, liberi. La prima disorientata reazione del nostro gruppo di lavoro è stata quella già catturata da Pasolini che scriveva: “Io so questo: che chi pretende la libertà, poi non sa cosa farsene” ed è proprio vero. Il nostro giornalino non ha ancora preso forma, non ha un nome definitivo, non sappiamo ancora bene “che farcene”, ma ci pervade una forse ingiustificata, ma rinfrancante fiducia: lo scopriremo nel tempo e siamo determinati a non lasciarci sfuggire questa

occasione. Per ora possiamo dire che questo posto ci piace. La nostra prima pubblicazione si chiama “Numero Zero”, un nome che, dopo l’infinita girandola di proposte, è rimasto, quasi crescendoci lentamente addosso. Questo non certamente per il significato di mancanza di qualsiasi valore, unità o quantità, ma piuttosto perché descrive l’assenza di una rigida categorizzazione. Ci troviamo in una fase quasi embrionale, un punto di partenza da cui muoverà una continua e multiforme evoluzione.

Quello che il progetto del giornalino vuole comunicare, però, è che molti sono i giovani pronti a sviluppare un pensiero critico su temi di attualità. L’utilità non è solo, quindi, di chi partecipa alla sua realizzazione, ma anche dei destinatari. Impossibile è prevedere quanto riscontro il giornalino effettivamente avrà nella vita della scuola, ma l’idea è di creare un circolo ermeneutico, uno “sharing” di informazioni e notizie interne che possano risultare utili e diano voce anche solo in minima parte al potenziale espressivo di ognuno. In un certo senso vuole innescare un dibattito, sollecitare un moto di curiosità e interesse nei nostri occhi ormai sempre più fissi sullo schermo dei cellulari. E’ tempo di mettersi in gioco.

Carla Moras

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“La prima parola spetta a …” Intervista al nostro dirigente scolastico Prof.ssa Roberta Bellina

1. Quando Le è stata sottoposta la proposta di un giornalino scolastico quale è stata la Sua reazione?

L’iniziativa mi è sembrata subito assolutamente positiva poiché ritengo che si tratti di un’esperienza molto importante per voi ragazzi che rinnova una tradizione molto formativa.

2. Quale valore può avere a suo parere un giornalino scolastico per gli studenti, i professori o in generale nella vita della scuola?

Rappresenta sicuramente un ottimo modo per diffondere le novità, le attività svolte, i pensieri e le riflessioni tra i ragazzi della nostra scuola e anche rappresenta un mezzo di comunicazione con i professori. Certamente a chi lo realizza dà l’occasione di imparare a lavorare in un gruppo per il raggiungimento di un progetto comune.

3. A parer suo un giornalino scolastico potrebbe in un certo senso favorire la coesione fra i nostri diversi indirizzi?

Direi di sì, vedo in questo un valido mezzo di diffusione di notizie tra tutti i livelli scolastici che il nostro istituto ha la fortuna di avere al suo interno.

4. Parlando di indirizzi può darci qualche informazione riguardo alle novità del nostro istituto a partire dal prossimo anno?

Il prossimo anno vedrà la continuazione del Liceo Scientifico Internazionale a opzione Cinese (Sezione D), e oltre a questo l’Uccellis per l’a.s. 2019/2020 proporrà una sezione interna al Liceo Classico Europeo con curvatura relativa ai beni artistici, si chiamerà “Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali”.

5. C’è già stato qualche riscontro durante le scuole aperte per quanto riguarda questa nuova sezione?

Sì, durante le giornate di Scuole Aperte i professori di Lettere Classiche e Storia dell’Arte hanno presentato ai genitori questa nuova proposta che devo dire è stata accolta con favore.

6. Quale pensa possa essere il futuro del nostro istituto?

La nostra intenzione è quella di valorizzare ulteriormente il nostro Liceo Classico Europeo, anche le nuove proposte

sono finalizzate a rendere ancora più vari ed efficaci i suoi percorsi Voi sapete che l’indirizzo LCE della Sezione D, attualmente dalla seconda alla quinta, è un indirizzo estremamente faticoso per il sommarsi di lingue classiche (greco-latino) e lingue moderne (inglese, tedesco e cinese). Ciò ha fatto sì che, nell’ovviare a questa difficoltà, si sia pensato ad implementare un percorso diverso e di proporre quindi un Liceo Scientifico ad indirizzo Cinese. La nuova curvatura legata ai beni e al patrimonio artistico è invece interna all’LCE e va appunto a valorizzare quello che già all’interno dell’LCE è presente, in maniera particolare da quando è nata l’Alternanza scuola lavoro. Conseguentemente parliamo di tutti quei percorsi d’eccellenza legati ai beni artistici e culturali già in atto, quindi tutta l’esperienza dell’Archeologia, del FAI, e in generale dell’alternanza legata alla disciplina Artistica. Aggiungendo quindi il tradizionale indirizzo delle Scienze Umane che è il cuore storico del nostro Istituto e l’indirizzo Coreutico, giovane ma ormai consolidato e con un utenza molto appassionata, la nostra scuola offre un ventaglio veramente ampio e qualificato di opportunità.

7. Al giorno d’oggi abbiamo una tale vastità di notizie, veloci e talvolta “Fake News”. Quanto i giovani sono realmente informati e pronti a recepire l’informazione giusta, a valorizzarla e approfondirla e quanto scivola loro addosso a parer suo? E’ veramente importante aver un giornalino per sottolineare il fatto che ci sono comunque dei giovani attivi sotto questo punto di vista?

Sicuramente un giornalino, anche se all’interno del piccolo mondo del nostro istituto, è un importante strumento di comunicazione, specialmente perché quello che andrete a produrre sarà uno specchio della vostra identità di studenti. Infatti credo che il valore di quelle pagine dipenderà da voi, da cosa ci metterete dentro.

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Gennaio 2019IN.Chiostro “Vita dell’istituto”

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Il raggiungimento del vostro obiettivo a mio avviso è veramente notevole, è vero che siamo nell’epoca del digitale; ma io ritengo, insieme comunque a molte altre

persone, che la carta sia più efficace e “viva” del formato informatico.

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Un indirizzo scandito da 8 armoniosi tempi Uno sguardo sul nostro Liceo Coreutico

“Che cos'è il liceo coreutico?” Ecco la domanda più frequente che è posta ai ragazzi di questo indirizzo. Gli studenti, dopo aver precisato che al coreutico non si canta, che non c'è nessun coro, cercano di trovare le parole giuste per spiegare cosa sia esattamente. La difficoltà nel trovare una risposta adeguata è data dalla complessità e dalla bellezza dell'indirizzo stesso. Prima di tutto bisogna sapere che è un liceo e che nel caso del “Liceo Coreutico Educandato Statale Collegio Uccellis” è collegato all’“Accademia Nazionale di Danza di Roma”, ma quest’informazione non basta per definire questo indirizzo così diverso e particolare. Ciò che lo rende speciale è proprio la presenza della danza come materia curriculare. La danza, che è espressione del sentimento dell'uomo, nonché linguaggio universale, è la passione che accomuna tutti gli studenti e che ha spinto ognuno di loro a scegliere questo meraviglioso liceo. Il suo aspetto peculiare è l'unione dei vari artisti: ogni ballerino ha il proprio modo di vedere il mondo, di concepire la danza, di rapportarsi con gli altri, con il proprio corpo e con il proprio “io”. Ne deriva un'elegante esplosione d’idee, di vivaci colori, di continui e infiniti impulsi che alimentano la creatività degli alunni. Si tratta di un indirizzo caotico, i cui ritmi sono, però, scanditi dagli armonici e ordinati “8 tempi”. Le pareti della scuola sono intrise di arte e la musica, che oltrepassa le serrature delle porte, esige di essere ascoltata, vissuta e accompagna gli studenti durante l'intera giornata. La formazione degli allievi è data dalla commistione di studi teorici e pratici e li porta ad acquisire, nel corso degli anni, una buona preparazione generale e una maggiore consapevolezza, non solo dell'arte coreutica, ma anche dei propri limiti e delle proprie potenzialità. Le nozioni studiate tra i banchi di

scuola sono poi elaborate in aula danza, dove ogni studente ha modo di ricercare, esplorare e scoprire nuovi mondi; di sviluppare il proprio linguaggio individuale e al tempo stesso di legarsi ai compagni attraverso solide e “lievi” relazioni. Le classi del liceo coreutico si caratterizzano, infatti, per la loro coesione e unità. I ragazzi conoscono il modo in cui ogni compagno cuce le punte e gli strappi, l'atteggiamento che assume dietro le quinte e l'impeto che genera ogni movimento, sguardo e respiro. Ogni allievo del coreutico impara che movimenti sono legati tra loro, che la fine di uno coincide sempre con l'inizio di un altro; comprende il valore del tempo e dello spazio, quest’ultimo è considerato sacro poiché luogo di fruizione della danza; comprende che è fondamentale avere rispetto per i propri professori e che i sacrifici e il lavoro portano sempre a grandi risultati. Lo studente impara a “saper cadere”, a “lasciare il corpo” continuando a “tenere il centro”, a recuperare il proprio asse, ad esplorare vari livelli e infine rialzarsi con un “grand jeté”. Il liceo coreutico è, quindi, un indirizzo completo e complesso che integra sogni e interessi nel piano di studi e consente agli studenti di rendere la loro passione una professione.

Alessandra D’Anna

Carla Moras, Filippo Fioretti Boccato

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Maturaball 2018 Gennaio 2019

Allo scoccare delle sette di sera del 15 dicembre scorso i cancelli della Sede Centrale del nostro Istituto si sono aperti per i più puntuali tra i maturandi dell’Uccellis che, sfilando tra una candela e l’altra sul blue carpet, hanno dato inizio al Maturaball 2018.

L’evento, ormai diventato parte fondante della tradizione del nostro Educandato, è un ballo a tutti gli effetti, importato dalla tradizione austriaca, caratterizzato da una vera e propria esibizione degli allievi in quadriglia e valzer; la performance ha luogo nella storica e affrescata Aula Magna, ma la serata si sposta lungo i corridoi della Sede Centrale, nei refettori, e nel tendone appositamente allestito nel Chiostro.

All’ingresso dell’edificio i ragazzi hanno trovato ad accoglierli una semplice composizione fotografica, che ha da subito fatto commuovere i più sensibili: le immagini rappresentavano i momenti salienti condivisi dagli studenti lungo tutto il percorso di studi, dalla mezza settimana bianca a Bad Kleinkirchheim del primo anno, alla gita in Grecia di poche settimane prima. Tuttavia, sebbene le immagini fossero capaci di far riaffiorare innumerevoli ricordi, nuove memorie stavano prendendo forma in una sfavillante cornice blu e argento.

Dopo le prime foto di rito ad opera di Benedetta Folena e Pieralberto Rosini, fotografi che ormai da

anni immortalano gli eventi qui all’Uccellis, ad aprire ufficialmente la serata è stato il discorso tenuto da alcuni maturandi, congiuntamente alle

parole del Dirigente Scolastico e a due brevi interventi musicali degli allievi, al pianoforte e alla chitarra.

Quindi si sono ufficialmente aperte le danze; gli studenti, con rispettivi accompagnatori, grazie alle

prove settimanali e alla dedizione, oltre che alla pazienza, della professoressa Tatiana Basili, hanno dato il loro meglio sfoggiando abiti principeschi che hanno creato un’atmosfera surreale, di intensa armonia e d’incanto, degna di una fiaba.

Ad un valzer ne è seguito un altro: autorità, docenti ed educatori presenti hanno potuto concedere un ballo ai ragazzi che avevano il coraggio di chiederlo, dimostrando il forte legame stabilito con questi. Soprattutto gli insegnanti, infatti, hanno visto crescere i ragazzi, e molti di loro hanno avuto la fortuna (o sfortuna?) di accompagnarli per tutti e cinque gli anni di liceo, periodo durante il quale ogni ragazzo ha scritto il proprio Bildungsroman, crescendo non solo da un punto di vista scolastico ma, soprattutto, da un punto di vista personale.

Dopodiché la serata, superata la parte più formale, ha preso una piega differente; è stata aperta la cena

Una serata da sogno

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Ora LiberaTeatro Nuovo Giovanni da Udine

dal 7 Febbraio 2019: Il Conte Tacchia, commedia-musical

15 Febbraio 2019 alle 20.45:

Budapest Festival Orchestra-Cantemus korus, direttore Ivan Fisher, musica classica

dal 12 al 13 Febbraio 2019 alle 20.45

Ragazzi di vita di P.P. Pasolini, prosa

Caffè Caucigh

8 Febbraio 2019 alle 21.30

Na’ BaBas (EtnoJazz Popolare)

15 Febbraio alle 21.30

Baretè Quartet (Jazz)

a buffet, apprezzata ed elogiata da tutti gli invitati e, nel frattempo, nell’Aula Magna, si sono tenute vere e proprie sessioni fotografiche in cui gli studenti cercavano la foto perfetta non solo con amici e fidanzati, ma anche con i propri insegnanti, senza tralasciare le rituali foto di classe.

Tuttavia, lentamente, l’Aula Magna e i refettori sono stati abbandonati, e la folla di partecipanti si è riversata nel tendone, dove il volume della musica si è alzato e le luci si sono abbassate fino a creare una vera e propria discoteca: ai ragazzi, sulla pista da ballo, si sono aggiunti alcuni professori altrettanto scatenati.

A caratterizzare particolarmente questo Maturaball è stata una new entry che si spera entrerà a far parte della tradizione: il lancio delle lanterne cinesi. Pensato in onore della maturità della prima sezione a indirizzo cinese della scuola, ognuna delle quinte ha lanciato la propria; il gesto è stato carico di significato per tutte le sezioni dell’Istituto, significato per il quale gli allievi hanno addirittura osato sfidare il gelo invernale della notte.

Più tradizionale ma non meno commovente è stato il successivo taglio della torta, anch’essa blu e argento a tema con la serata, che si è resa quasi epilogo dell’evento.

Ma come ogni cosa bella ha una fine, così anche il Maturaball ha dovuto trovare la propria; all’incirca all’una di notte, infatti, i maturandi hanno salutato accompagnatori, amici e insegnanti rimasti, concludendo una serata incantata nel migliore dei modi (certo, molti avrebbero preferito continuare a festeggiare fino al mattino, ma “dura lex, sed lex” vale anche per i senior dell’istituto).

Con l’augurio che questa tradizione continui, il Maturaball 2018, ricordo indelebile che racchiude un po’ l’essenza stessa di quello che significa frequentare l’Uccellis, si è plasmato in una gemma unica e rara, insostituibile e preziosa.

Veronica Sclauzero e

Maria Giordani

A cura di Agnese Pecoraro

Inviaci le tue opinioni, lettere, commenti e suggerimenti per lo

spazio delle lettere al direttore alla mail: [email protected]

Inviaci il tuo racconto breve o poesia (max. 150 parole), i migliori

saranno pubblicati!

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Gennaio 2019

FOR OR AGAINST TRAP

Il nostro giornale non intende risultare banale o propinare valanghe di notizie e opinioni unilaterali a lettori passivi: vogliamo che voi conosciate nuove tendenze, correnti, idee, e che abbiate modo di elaborare un pensiero veramente vostro, con tutte le informazioni e diversi punti di vista sulla materia. Il dibattito è infatti vitale nella vita di noi giovani persi nel mondo della velocità e superficialità. Siamo parte integrante di questo bizzarro show e, persi in questo trafficatissimo palcoscenico, spesso non troviamo il tempo per la riflessione, dolce o amara che sia. Per il primo numero della nostra testata vogliamo proporvi un’intrigante singolar tenzone sulla controversa trap. Un genere musicale sorto dal fango delle periferie urbane per brillare agli occhi di molti giovani e segnare una generazione, nel bene e nel male. Tenendo bene a mente che i gusti musicali sono tutti rispettabili e che nessuno deve essere messo in ridicolo per la semplice preferenza verso un determinato genere, il dibattito sulla trap può considerarsi iniziato!

Derivato dal rap statunitense, il genere trap ha origine verso la fine degli anni ’90 negli Stati Uniti del sud, da cui poi si sposterà per orbitare nelle trap house (crack house) di Atlanta, GA. La trap si distacca nettamente dal rap/hip-hop, in quanto fa uso frequente di ritmiche ipnotiche e aggressive; le parti cantate sono sature di autotune, mentre l’uso dei bassi è tipico della musica house contemporanea. Il contenuto dei testi tratta temi che spaziano dalla vita di strada al consumo ed allo spaccio di droghe.

In Italia la scena della trap si apre nel 2011, sviluppandosi solo successivamente come fenomeno di massa, con artisti del calibro di Sfera Ebbasta, Capo Plaza, Young Signorino, Dark Polo Gang, per citarne alcuni.

Ciò che colpisce di più di artisti che si cimentano nel genere è la loro immagine. Esattamente come accade per un manichino esposto in vetrina, il loro guardaroba viene scelto seguendo criteri specifici che mirano ad un impatto sociale basato su strategie di marketing. Dietro l’aspetto anticonformista di molti trappers, dunque, non si celano altro che sete di notorietà e brama di successo, conquistate tramite una musica alternativa solo in apparenza.

Nell’era digitale la creazione di un brano non richiede più l’utilizzo di uno o più strumenti musicali: è sufficiente un normalissimo computer o, volendo fare uso di strumenti più professionali, un sintetizzatore o una drum machine (uno strumento musicale elettronico concepito per ricreare i ritmi delle percussioni). Il livello di competenza per creare un brano trap non è, evidentemente, molto alto; i trappers, infatti, possono ricreare tutti i suoni necessari a comporre un brano solamente ricorrendo ad appositi software. Il più delle volte,

tuttavia, il risultato consiste in suoni sintetici e ripetitivi: la musica viene totalmente clonata, creando una serie di pezzi non distinguibili tra loro. Non c’è alcuna ricerca sul piano musicale, poiché è tutto finalizzato a ottenere visualizzazioni su Youtube, followers su Instagram e ascolti su Spotify. È quindi un genere che appartiene quasi esclusivamente alla cosiddetta generazione Z, di cui fanno parte i nati tra il 1995 e il 2010.

Stando a quanto dichiarato dall’Eurostat, l’Ufficio Statistico dell’Unione Europea, i ragazzi di oggi, oltre a fare meno uso di droghe e alcolici, fanno meno sesso e si trovano spesso in condizioni tali da essere mantenuti dai genitori. In sostanza, sono meno trasgressivi rispetto alle generazioni precedenti. Tuttavia, i temi della musica trap sono per definizione trasgressivi, se presi senza un contesto. Gli stessi temi, però, sono già stati trattati molti anni fa, da un genere allora altrettanto emergente, scandaloso e provocatorio: la musica punk. Dove sta quindi la differenza tra i due generi? Il fine della musica punk voleva essere una vera e propria rivoluzione culturale, uno dei mezzi della quale era il distacco dai valori tradizionali trasmesso soprattutto attraverso l’abbigliamento. La musica trap, invece, ha come scopo la notorietà, e l’essere provocatori è solo un modo per avere più fama. L’aspetto eterodosso è solo un mezzo per alimentare l’immagine; attrae e funziona perché i giovani sono alla continua ricerca di qualcosa in grado di colmare il vuoto culturale ed emotivo tipico dei nati nell’era digitale. Questo però sfocia in un atteggiamento superficiale, che spinge a ostentare un comportamento eversivo con cui, inconsapevolmente, i cantanti cercano di autoconvincersi di essere portatori di nuovi valori quando, in realtà, non lo sono. Di conseguenza, i trappers si sentono in diritto e in

Il match

Against: Aurora dal Pos, Letizia Rosset

Petra Spanghero

Uno scontro, un match tra due articoli che esprimono due posizioni opposteA singolar tenzone

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dovere di esprimere questo tipo di vuoto, talvolta senza rendersene conto, convinti di trasmettere un senso di ribellione. Il risultato però non potrebbe essere più lontano da ciò. Essi sono tutt’altro che ribelli.

In accordo con il mainstream, sono gli inutili profeti di una società digitale ormai basata sull’immagine.

For: Chiara Cargnelutti

Recentemente, la tragedia che ad Ancona ha visto la morte di sei persone al concerto del cantante Sfera Ebbasta ha riportato a galla il dibattito sulla musica trap e sul suo valore.

Nato negli anni Novanta nel sud degli Stati Uniti come ramificazione del Southern Rap, si distacca nettamente fino a dissociarsene: “Non mi frega di niente / Non c’entro col rap, no”, chiarisce Sfera Ebbasta nel suo singolo “Tran Tran”. La scena trap, che in Italia conta artisti come Tedua, Capo Plaza, Achille Lauro, lo stesso Sfera Ebbasta e milioni di visualizzazioni su YouTube, ha infatti alla base un individualismo di fondo basato sul cosiddetto egotrip: l’esaltazione del singolo che ce l’ha fatta. Ma cosa significa esattamente farcela?

L’esaltazione dell’ego dei trappers, spesso confuso con un atteggiamento superficiale, può essere capito solamente se inserito nel contesto a cui appartiene.

Le precedenti crew italiane della cultura hip hop si erano sviluppate infatti negli anni Novanta come forma di resistenza al modello unico e imposto del capitalismo, che aveva trovato nella musica dei centri sociali e dei rave uno spazio alternativo di resistenza culturale e musicale: inni di lotta aperta contro le convenzioni sociali che avevano trovato il proprio apice nelle proteste no-global di Seattle e Genova. Al contrario, i giovani della generazione successiva (i futuri trappers) sono stati costretti a muovere i primi passi nel periodo di più grande crisi economica del Paese, gli anni Settanta: questi infatti vedono intorno a sé solo il fallimento e la povertà di genitori e fratelli maggiori che avevano creduto nella rivoluzione e che erano finiti, dopo anni di lotta e resistenza, per abbandonarsi alla rassegnazione. Una resa alla realtà e mancanza di stimoli descritta da Marracash in “Brivido”. In questo contesto l’unico modello di affermazione, l’unico “Brivido” possibile per i giovani figli delle periferie, è il riscatto sociale basato sul consumo e sul denaro. I trappers sono per la maggior parte infatti proletari provenienti dalle case popolari senza alcun orizzonte di redenzione e che sono stati costretti a salvarsi da soli. Come “una scimmia”, il trapper inizia la sua scalata sociale dalla periferia alla città (la giungla). Tuttavia ciò non è semplice, a causa della discriminazione in cui viene gettata la periferia, rappresentata dall’ombra creata dalla società, che fa sì che la scimmia “nell’ombra non si può arrampicare” (“Legge del più forte”, Tedua).

Il trapper, come Mowgli diventa uomo, diventa socialmente rilevante solo dopo la sua individuale scalata basata sul denaro e sul consumo. L’individualismo della musica trap si basa perciò sul fatto che i trappers sono nati soli (spesso figli di madri single o con problemi familiari) e soli si sono dovuti salvare. E “non è grazie a Dio” dice Sfera Ebbasta in “Mercedes Nero”, brano in cui lo stesso Mercedes Nero diventa appunto il simbolo della rivalsa sociale di questi ragazzi: Sfera, che si diceva “un giorno ce la farò anch’io”, è passato “dalle panchine ai sedili di pelle del Benz” da solo.

La determinazione a farcela e la fame di salvarsi contano più di ogni altra cosa nella giungla urbana dominata dalla legge del più forte e dalla logica del denaro e, una volta concretizzatosi, il riscatto personale viene accompagnato dalla volontà di imporsi attraverso un segno di riconoscimento: una sacralità dello stile e delle griffe che si diffonde anche nella massa adolescente. Lo stato di benessere e ricchezza di questo business milionario viene ostentato al pubblico fino all’eccesso e con presunzione (si ricordi Sfera Ebbasta che al concerto del Primo maggio indossava due Rolex), nella consapevolezza di rappresentare per milioni di giovanissimi il potenziale di ribellione della musica e la speranza di un riscatto collettivo: “Scrivo una canzone, sì, quella è per sempre / Per certe persone sarà un salvagente” ribadisce Sfera in “Ricchi x Sempre”.

Inoltre, le basi musicali dei trapper italiani, create ad esempio da Charlie Charles e Sick Luke, hanno successo come quelle dei maggiori trapper statunitensi e francesi, in un mercato della musica dominato da YouTube e dalla democratizzazione della produzione musicale. Così la musica trap diventa una nuova opportunità di riscatto basata sulla metrica, sulle assonanze, sullo slang, sul gergo, sulla creatività: un genere variopinto e dinamico che sicuramente rappresenta al meglio la realtà sfaccettata dell’Italia di oggi.

Esattamente per questo la DPG (Dark Polo Gang) in “Cono Gelato” afferma che “Siamo i Beatles, siamo i Sex Pistols / In giro ci stanno chiamando i Sex Beatles”, per il fortissimo impatto della trap sul pubblico. Come i padri punk odiavano il sistema, allo stesso modo la trap critica e si distingue con sfrontatezza e con una cultura alternativa: una subcultura basata su miti, abitudini, simbologia, slang; con la differenza che il punk rigetta il capitalismo e le sue regole, mentre la trap è la musica dei ragazzi che tra le macerie di questo sistema basato sulla legge del più forte, hanno trovato una chance di farcela ed uscirne grazie alla musica.

Schierati anche tu con una mail a [email protected] con FOR TRAP

VS. AGAINST TRAP per partecipare al sondaggio del prossimo numero

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De gustibus

Si alza il sipario. Sul palco deserto un’attrice, nel silenzio più totale, traccia, lentamente, un quadrato a terra. Dopodiché la scena rimane statica, alternando momenti di lettura di fonti storiche a momenti più informali, quasi di dialogo, con il pubblico, formato interamente da ragazzi dell’ultimo anno delle superiori. Sarà però proprio quel quadrato, per tutta la durata dello spettacolo, a ricordare al pubblico quelle che erano le dimensioni del carcere in cui Aldo Moro è stato tenuto prigioniero per 55 giorni, per poi essere brutalmente assassinato, o meglio, giustiziato, dalle Brigate Rosse.

Martedì 6 novembre scorso le classi 5A e 5D del Liceo Classico Europeo hanno avuto la possibilità di assistere, presso il Teatro Palamostre, allo spettacolo “Clandestinità e prigionia: le lettere di Aldo Moro dal Carcere del Popolo e le Voci delle BR” di e con Paolo Colombo e Chiara Contisino, docenti dell’Università Cattolica di Milano, evento promosso dal Digital Storytelling Lab dell’Università di Udine con CSS Teatro stabile di Innovazione del FVG.

Con una scenografia assolutamente minimalista, la rappresentazione si è distinta fin da subito come insolita

rispetto a un’ordinaria opera teatrale: era stata ideata non solo per intrattenere, ma per essere un genere di lezione di storia coinvolgente e interessante, costruita, attraverso l’utilizzo di testi, tra cui i comunicati delle Brigate Rosse, un’intervista rilasciata da Anna Laura Braghetti (una dei rapitori) e le lettere di Aldo Moro, sulla tecnica dell’Historytelling.

Inframmezzato da stacchi musicali che andavano ad alleggerire la tensione senza distrarre dalla trama, lo spettacolo è riuscito pienamente, attraverso una narrazione che univa alla partecipazione umana il richiamo all’impegno civile, a fare breccia nel cuore e nella mente dei ragazzi che vi assistevano, come hanno dimostrato le numerose domande poste alla fine dello spettacolo.

Il sipario si è quindi chiuso tra applausi scroscianti e generale ammirazione da parte di tutti gli studenti che, lasciato il teatro, hanno potuto riflettere ed elaborare quanto visto con l’aiuto dei rispettivi insegnanti.

Maria Giordani

Le Ultime Lettere di Aldo Moro ricordo di una prigionia

Udine, martedì 27 novembre 2018 le classi quarte e quinte dell’istituto hanno assistito ad uno spettacolo teatrale dal titolo: Orfeo, Euridice, Ermes.La visione dello spettacolo rappresenta l’ultima tappa di un lungo progetto al quale hanno preso parte studenti di alcune scuole superiori di Udine e di Nardò. Prima del debutto gli studenti hanno potuto riflettere sui temi dell’amore e sulla perdita di esso, collaborando alla realizzazione di questo spettacolo. Il testo scritto e interpretato da Dario Garofalo e Serena Di Blasio vuole essere un remake, in chiave moderna, del noto mito greco; purtroppo, per riuscire ad adattare la vicenda ai giorni nostri, molti elementi della tradizione originale sono stati trascurati. La prima parte, colorata e veloce racconta l’innamoramento dei due giovani che sembra introdurci un lieto fine ma, come tutti sappiamo dal mito, non sarà così.

Nella seconda parte, molto più lunga e lenta, sono stati affrontati i temi della morte e della perdita dell’amore. Il secondo atto è, infatti, focalizzato su Euridice, sul suo dolore e sulla vita dell’amato che continua indipendentemente dalla sua morte. L’arte, la musica e la poesia fungono da legame tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Durante questa seconda parte viene introdotta anche la figura di Ermes che aiuta la protagonista a riflettere se sia il caso di attaccarsi al ricordo di Orfeo o di lasciar a lui la sua vita. Il finale, poco fedele al mito, ci presenta la discesa del poeta nell'Ade e la tragica conclusione: la scomparsa di Euridice senza lo scambio di sguardi tra i due. In questa sezione la scenografia ha giocato un ruolo fondamentale incrementando il pathos e la drammaticità.

Aurora Noacco

Orfeo, Euridice, Ermes: un mito rivisitato

Teatro-Stagione Contatto TIG

Anno: 2018

Testo: Dario Garofalo e Serena Di Biasio

Regia: Maril Van Der Broek

Produzione: Garaffo TeatroTerra-Roma

Approfondimento a pag.11“Recensioni”

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Il film musicale più visto di sempre. Campione di incassi in Italia con 7 milioni di euro al botteghino. Ma è solo l’inizio…ha già conquistato 2 Golden Globe!

Bohemian Rhapsody è un film incentrato sul gruppo rock inglese “Queen" e sul loro frontman Freddie Mercury. Dopo settimane di attesa, la pellicola è finalmente uscita anche in Italia lo scorso 29 novembre. In una data v i c ina a l ven t i s e t t e s imo anniversario della morte del cantante, avvenuta il 24 novembre 1991.

Questo lungometraggio biografico è riuscito a diventare il film più visto del 2018 so l amen te i n un mese, incassando al botteghino 650 milioni di dollari. Il 7 gennaio 2019 è stato uno dei protagonisti alla notte dei Golden Globe Awards, vincendo sia il p remio pe r i l m ig l i o r a t to re protagonista, Rami Malek, sia per il miglior film drammatico.

Il film ripercorre il periodo delle giovinezza del cantante, i suoi problemi con la famiglia, il suo primo grande amore, l’incontro con gli altri membri della band fino ad arrivare ai vizi che lo portarono a morire a 45 anni.

L’opera diretta da Bryan Singer e terminata da Dexter Fletcher è riuscita ad omaggiare la band senza rendere il loro mito banale o scontato, prerogativa difficile da trovare in questa tipologia di film.

Il titolo del film “Bohemian Rhapsody” è citazione di una delle più famose canzoni dei Queen, scritta da Mercury nel 1975. È una tra le canzoni più eccentriche e controverse della band, nonché il terzo singolo più venduto nel Regno Unito nella storia della musica.

Era inevitabile che in sala durante la proiezione del film ci fosse qualcuno che battesse il ritmo della celebre canzone “We Will Rock You” e nonostante le luci fossero accese, alla fine della proiezione, nessuno si è alzato fino alla fine dei titoli di coda accompagnati dalla canzone “The Show Must Go On”.

La visione è un’esperienza unica che dà sentimenti contrastanti, da una parte c’è la gioia di sentire la loro musica messa in scena, mentre dall’altra c’è la tragica consapevolezza di assistere al la grandezza di un genio che ormai non c'è più.

Arianna Palmisciano

dal 2.11.2018

Paese di produzione: USA-UK

Anno: 2018

Regia: Bryan Singer

Con: Rami Malek nel ruolo di Freddie Mercury

Genere: biografico, drammatico, musicale

8.2 IMDB

Bohemian Rhapsody

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È il 2018. Tre attori discutono, esprimono la loro opinione sul mondo di oggi al tempo di internet. Sullo schermo alle loro spalle si legge “1984”. All’improvviso, un “glitch”. Lo schermo comincia a trasmettere delle immagini, immagini che abbiamo già visto sulle nostre televisioni. In sottofondo un rumore bianco si fa sempre più forte, mentre i ragazzi continuano a parlare. Tutto si ferma; le luci si spengono, lo schermo anche, non si sente più nulla. È il 1984. Si apre così l’adattamento teatrale di Matthew Lenton del celebre romanzo di George Orwell, “1984”, messo in scena al Teatro Palamostre di Udine il 16 novembre 2018. L’atmosfera asfissiante e ansiogena del libro, della società controllata dalla figura onnipresente del Grande Fratello, è data dall’uso del palco, dove non viene lasciato alcuno spazio vuoto, e dalla presenza costante dell’occhio del teleschermo che fa sentire il pubblico stesso osservato e tenuto sotto controllo. Il palco stesso è diviso in tre sezioni: una principale dove si svolge la maggior parte delle scene; una parte antistante dove si muove la narratrice, interpretata da Nicole Guerzoni; lo schermo sul retro, dal quale ci osserva il Grande Fratello e, in alcuni momenti, vengono trasmesse delle scene dello spettacolo stesso, registrate in precedenza. Quest’utilizzo dello spazio quasi claustrofobico, assieme alle luci bianche abbaglianti, aiuta a rendere l’idea di una società soffocante, nella quale non è possibile fare nulla senza essere visti, sentiti, controllati. La narratrice -un’aggiunta brillante del regista- aiuta a sviare il problema dato dall’adattamento di un romanzo non destinato al teatro: narra la storia e colloca il pubblico in un determinato momento del racconto, oltre ad esplicitare anche i pensieri di Winston così essenziali a capire lo svolgimento. Winston (Luca Carboni) e Julia (Aurora Peres) hanno una relazione coinvolgente, che li porta a ribellarsi al regime totalitario del Partito. I due

attori mostrano meravigliosamente come i due personaggi siano accomunati dal loro desiderio di ribellione, ma divisi dalle rispettive motivazioni. Winston è ideologico, vorrebbe rovesciare il partito e sconfiggere il Grande Fratello, che sente come nemico; Julia si ribella per divertirsi. Stefano Agostino Moretti è fantastico e assolutamente credibile nel ruolo di Parsons, il vicino di casa di Winston che ama il Partito più di ogni altra cosa. Assieme ad Andrea Volpetti, che interpreta Syme, un impiegato del Ministero della Pace addetto alla stesura della tredicesima edizione del Dizionario della Neolingua, mostra al pubblico come e quanto il Partito abbia preso il controllo della mente di tutti, facendogli credere qualsiasi menzogna necessaria a realizzarlo e renderlo totale. Chi guarda rimane affascinato e convinto dalle performance di Eleonora Giovanardi e Mariano Pirrello, che interpretano rispettivamente Charrington e O’Brien, i due alleati dei protagonisti che si rivelano poi membri della Psico-Polizia, sconvolgendo tutti gli spettatori. Il finale è assolutamente ad effetto e coinvolge direttamente il pubblico, che a quel punto si sente implicato nella vicenda e rimane profondamente turbato. Quello di Lenton è un adattamento realmente fedele al romanzo, che dona al pubblico le stesse sensazioni che Orwell voleva provocare nel lettore: ansia, rabbia verso il Partito, paura e forse anche un po’ di paranoia per il futuro. Il regista, assieme agli attori e all’uso sapiente e suggestivo della composizione musicale e del disegno sonoro gestiti da Mark Melville, è riuscito a catapultare ciascuno di noi in quella dimensione di terrore e di consapevolezza della propria, seppur inaccettabile, incapacità a liberarsi da un mondo oppressivo e pervasivo.

Allegra De Cesare

1984“Until they have become conscious they will never rebel, and until after they have rebelled they cannot become conscious.”

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Nella situazione travagliata degli anni di piombo, determinatesi alla fine degli anni Settanta, la vicenda del rapimento e del successivo omicidio Aldo Moro assume un rilievo davvero significativo. A seguito delle elezioni del 20 giugno 1976, che avevano visto l'ascesa del PCI accanto alla già affermata DC, Moro aveva riconosciuto l'esigenza di costituire dei governi con un appoggio esterno del PCI, purché questi recidesse il suo legame con Mosca.

Infatti, a suo avviso era "impossibile riproporre lo schema classico dei rapporti maggioranza-minoranza" e pertanto era quantomeno auspicabile trovare un terreno d'intesa con il Partito Comunista di Enrico Berlinguer: quest'ultimo, con lo "strappo da Mosca", si era effettivamente reso disponibile ad un accordo tra comunisti e cattolici e le altre forze democratiche che attuasse la necessità concreta del "compromesso storico".

Il 17 marzo 1978 fu un giorno fatale. Aldo Moro uscì di casa consapevole di aver fatto il possibile affinché la maggioranza “cattocomunista” ottenesse la fiducia. Il 1978 si era aperto foscamente all'insegna degli attentati delle BR che già da tempo avevano abbandonato la mera propaganda ideologica, compiendo nel 1974 un importante salto di qualità col sequestro del giudice Mario Sossi.

Quel giorno accadde l'imprevisto. Un agguato, teso dalle BR all'incrocio tra Via Mario Fani e Via Stresa intercettò la Fiat 130 che stava conducendo Moro alla Camera dei Deputati, dove Andreotti avrebbe ottenuto la fiducia. In pochi istanti furono uccisi i cinque uomini della scorta di Moro: Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Francesco Zizzi, Giulio Rivera. L’attentato dei brigatisti rappresentò un "lavoro militare di altissima specializzazione" che non mancò di stupire la stampa e l'opinione pubblica italiana.

L'azione spettacolare rientrava in una strategia delle BR tesa a colpire, anzi processare, il "cuore dello Stato" identificato nella DC.

Nel clima di tensione che ne seguì il governo Andreotti ottenne la fiducia; immediatamente il Viminale si attivò per l’identificazione degli uomini del commando.

Secondo alcuni in quel periodo nei processi gli autori di attentati ottenevano delle attenuanti, più generalmente, in Italia c'era, secondo Indro Montanelli, una "diffusa atmosfera di rassegnazione, di condiscendenza o addirittura di complicità verso il terrorismo rosso".

Nel primo comunicato, le BR sostenevano che Aldo Moro fosse “il padrino politico e l'esecutore più fedele delle direttive impartite dalle centrali imperialiste", giustificando in tal modo il suo rapimento.

I cinque cadaveri della scorta graveranno come un pesante fardello, durante i cinquantacinque giorni della prigionia di Moro, sulle polemiche tra i sostenitori della "fermezza" e i sostenitori della trattativa. Poiché la soluzione umanitaria poteva persino equivalere all'ammissione di una legittimità guerrigliera, ciò che emerse, come sostiene G. Pellegrino, fu l'imbarazzo e forse i limiti della politica italiana, incapace di propendere per una decisione che tenesse conto degli opposti estremi del realismo e del moralismo.

In una lettera indirizzata a Cossiga, Aldo Moro affermò: "mi trovo sotto un dominio pieno e incontrollato […]. Il sacrificio degli innocenti, in nome di un astratto principio della legalità, mentre un indiscutibile stato di necessità dovrebbe indurre a salvarli, è inammissibile”.

In seguito al rapimento l’Italia politica si divise in due blocchi: da un lato i fautori della fermezza, come la DC, il PLI, il PSDI e il Partito Repubblicano tra cui ci fu anche chi propose il ripristino della pena di morte per i terroristi; dall'altro, Craxi, i radicali, la sinistra non comunista, alcuni cattolici ed intellettuali. A livello sociale, invece, almeno inizialmente l'episodio sanguinario fu accolto con un certo favore in alcuni ambienti estremisti che vedevano in Moro un "rappresentante della corruzione politica".

A seguito delle richieste di scarcerazione dei brigatisti da parte delle BR, il 28 aprile Andreotti comunicò l'esplicito "rifiuto delle istituzioni democratiche alla trattativa con in terroristi". Intanto i messaggi di Moro, rivolti a diverse personalità politiche di spicco, si facevano sempre più pressanti e denunciavano l'esasperazione di uno spirito prigioniero.

Gennaio 2019IL salotto “Storia - cultura - scienza”

1978 il caso Moro

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Il calvario stava per concludersi tragicamente. Il 9 maggio, in Via Caetani, fu ritrovato il cadavere di Aldo Moro, che poco prima aveva disconosciuto la sua appartenenza a un partito di cui era presidente e le cui scelte avevano rivelato l’ipocrisia insita nella retorica democristiana.

Il 24 gennaio 1983 i membri del commando di via Fani e del gruppo dei carcerieri furono condannati dalla Corte d'Assise di Roma. Lo Stato inefficiente, ridicolizzato e pachidermico seppe reagire tenacemente stroncando le aspettative dei brigatisti, infliggendo agli imputati 32 ergastoli e 316 anni di carcere.

A distanza di anni le dietrologie, le illazioni e i grandi segreti avvolgono la vicenda del sequestro di A. Moro: secondo lo storico Paolo Colombo (che ha commentato le lettere di Aldo Moro nel corso dello spettacolo), i servizi segreti americani avrebbe giocato un ruolo nient'affatto secondario, poiché "l’alleanza tra il PCI e la DC era

c o n s i d e r a t a i n a c c e t t a b i l e " ; i nve c e, s e c o n d o l'interpretazione di Roberto Buffagni (autore e produttore insieme al teatro stabile di Parma de Il caso Moro) la gestione del caso potrebbe aver favorito l'accostamento politico tra alcuni gruppi USA e quelli del PCI. Quest'ultimo, difatti, rifiutando ogni trattativa con le BR, avrebbe assunto l'identità di partito "democratico", degno dell'integrazione nella sfera occidentale della Nato.

D'altronde una verità attendibile tarda ad emergere, dando adito alle ipotesi più disparate, ad affermazioni gratuite o sostenute dall'unica volontà di confondere ulteriormente la questione.

Probabilmente, come sosteneva il filosofo Hegel, "Ciò che è noto, non è conosciuto”.

Davide De Lorenzi

Quando cerco di minimizzare i miei errori di calcolo in un problema di fisica giustificandomi rapidamente con: “Dunque, beh, ho approssimato il risultato” , ottenuto un numero a sei cifre positivo al posto di un decimale negativo; la risposta che solitamente ottengo è: “Sì, e poi cadono ponti!”. Questo episodio ricorrente, si è collegato nella mia mente con un argomento totalmente estraneo alla mia incapacità in fisica; infatti, nel nostro paese, i ponti cadono veramente. E per quanto le colpe possano essere attribuite all’uno o all’altro, non c’è praticamente nessuno pronto a lasciare da parte la pura polemica e ad impegnarsi per trovare un compromesso efficace e logico per risolvere il problema. Sembra sia più importante trovare il mostro da dare in pasto alla folla inferocita armata di torce e forconi. Non prendo solamente in oggetto la tragedia accaduta a Genova lo scorso agosto, infatti, questa considerazione potrebbe essere applicata alla maggior parte degli avvenimenti che accadono nella nostra Italia.

Lo scorso autunno abbiamo infatti visto uno Stivale squarciato dal maltempo, specialmente nelle nostre zone del Veneto e del Friuli Venezia Giulia. Contrariamente al solito “scaricabarile”, pratica in cui siamo tutti piuttosto bravi (sottoscritto compreso), le regioni del nord-est si sono, però, mosse in maniera rapida, efficace e silenziosa, come dopo il catastrofico Terremoto del Friuli del maggio 1976. All’epoca Gianni Rodari scriveva: “Non si vede più nessuno piangere il secondo giorno dopo il terremoto”. Forzando una comparazione tra due eventi che hanno massacrato le nostre zone, si avverte comunque una reazione simile da parte della popolazione. Una risposta unitaria e veloce. Prendendo quindi questi ultimi fatti di cronaca come spunto di riflessione, mi chiedo: “E’ veramente così gratificante pensare sempre in maniera polemica, o per una volta possiamo semplicemente “mettercela via” e lavorare in un’ottica di risoluzione rapida del problema?”.

il caffe’ SCorretto di Filippo Fioretti Boccato

Gennaio 2019

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