Gazzetta Amnesty Lazio 05 2013

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La Gazzetta di Amnesty Lazio Maggio 2013 Copertina del mese: Una delle immagini utiliz- zate nella campagna Amnesty per le olimpiadi di Pechino 2008

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Quinto numero del 2013 della Gazzetta Amnesty Lazio

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La Gazzetta di Amnesty LazioMaggio 2013

Copertina del mese: Una delle immagini utiliz-zate nella campagna Amnesty per le olimpiadi di

Pechino 2008

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di Simone MarcacciMaggio Un mese intenso

La gazzetta sta crecendo. me ne

sono accorto dal fatto che questo mese

non siamo riusciti ad inserire tutti gli arti-coli che ci sono stati inviati pur aggiungen-do ben quattro pagine rispetto al numero del mese scorso. Questo non può che farci piacere e ci spinge a cercare di megliorare sempre di più i nostri contenuti.

Maggio è da sempre un mese ricco di ini-ziative nel mondo Amnesty, sarà perchè il 28 di questo mese, ormai 52 anni fa, nas-ceva Amnesty International o forse perchè prima dell’estate, con il bel tempo vogliamo gridare ancora di più al mondo chi siamo e cosa facciamo approfittando degli spazi aperti. Ad ogni modo siete tutti invitati a partecipare alle nostre iniziative ed in par-ticolare vorrei segnalare il primo evento del nuovo esecutivo realizzato isieme ai gruppi: si tratta della proiezione di “The Summit” un film documentario sul G8 che si terrà il 22 maggio dalle 19:30 presso la “Casa della Pace”. Parteciperà anche il regista del film e ci sarà l’opportunita di rivolgergli diretta-mente delle domande e di ascoltare degli in-teressanti retroscena. Speriamo davvero di essere in molti per un’occasione così impor-tante! All’interno trovate tutti i dettagli.

A fine aprile è uscito l’ultimo rapporto annuale di Amnesty International, un li-bro che fin dagli albori dell’associazione raccoglie in breve tutte le violazioni dei di-ritti umani verificatisi in giro per il mondo. Anche quest’anno non può mancare l’ Italia, tanto per ricordarci che anche qui abbiamo ancora molto da lavorare. Il libro è edito dalla Fandango ed è consultabile anche in formato PDF dal sito di Amnesty Italia.

Vi ricordo che potete collaborare alla nos-tra gazzetta in vari modi: come redattori, come grafici, come disegnatori, come re-sponsabili della pagina facebook ecc. Potete scriverci come sempre all’indirizzo email [email protected]

Buona Gazzetta!

Sommario Editoriale

Editoriale

3. Un mese intenso

Attualità

4. Primavera Araba Storie di bambini...

6. I Matrimoni Forzati

8.Mine Antiuomo

12. Il Punto Di Vista di Max

Eventi

10. The Summit10. IV Torneo Fiorenza Cocchi

11. Siria: il massacro dell’infanzia

le interviste

12. Amalia Macri’

Dal Mondo

13. Suicidi Tibetani

Cultura

14. Film - The Help15. Libro - Storia Dell’omofobia

15. Poesia - Nel Buio Senza Luna

Attivismo

18. I gruppi Nel Lazio

Buone Notizie

22. Buone Notizie

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Hafiz al-Assad fu in grado di consolidare il suo potere, occupando posti di comando che as-segnò a persone a lui fedeli, e rispondendo con azioni militari e sanguinarie ad ogni cenno di opposizione alla sua politica. Alle azioni militari fecero seguito programmi d’indottrinamento che avevano il duplice scopo di rendere la figura del presidente equiparata a quella di un dio e di far per-cepire il Ba’th come l’unico partito in grado di proteg-gere le minoranze religiose dall’ascesa al potere dei Fra-telli Musulmani. Migliaia furono le persone uccise, torturate, rapite, violentate e costrette al silenzio durante i venti anni della dittatura di Hafiz al-Assad. Intere famiglie musulmane furono sterminate o costrette a negare il proprio credo. Oppositori del regime violentemente massa-crati davanti alle loro famiglie. Qualsiasi orga-no d’informazione contrario al regime fu cen-surato e molti giornalisti furono uccisi. Tutto nel silenzio del resto del mondo.Alla morte di Hafiz al-Assad, nel 2000, gli suc-cedette il figlio Bashar al-Assad. I presupposti per un cambiamento c’erano tutti, dagli studi a Londra del nuovo presidente, quindi meno legato alla dottrina militare del padre, al matri-monio con Asmāʾ al-Assad una donna siriana conosciuta in Inghilterra, presente ed influente ma soprattutto attiva nella salvaguardia delle

persone povere. Purtroppo le speranze si sono infrante quando il popolo siriano ha ricon-osciuto nelle scelte politiche di oppressione del figlio quelle stesse seguite dal padre, e come lui Bashar al-Assad ha continuato nella politica di uccisioni e torture di tutti i suoi oppositori. La primavera araba è iniziata con le grandi manifestazioni in Egitto, Tunisia e Libia dopo

la morte di M o h a m m e d Bouazizi, il ra-gazzo tunisino che si è dato fuoco dopo il sequestro del suo carrettino ambulante da parte delle au-torità. La pri-mavera siriana

è iniziata con un’immensa manifestazione di protesta dopo l’arresto, ad opera dei servizi di sicurezza del regime, di una decina di bambini nella città di Dar’à, con l’accusa di aver cantic-chiato a scuola cori contro il regime e di aver scritto su un muro “Il popolo vuole la caduta del regime”. Il 20 marzo 2011 i bambini furono riconsegnati alle loro famiglie, ma sui loro cor-pi erano evidenti i segni di terribili torture. Il massacro dei bambini è il vero simbolo della primavera siriana ed ha segnato dei punti di svolta. Le prime manifestazioni erano assolu-tamente pacifiche, anche quando la reazione del regime diventava violenta e portava alla

La storia della Siria è stata costellata da una serie di colpi stato sino al 1971, anno in cui il potere fu conquistato dal partito Ba’th e dal presidente Hafiz al-Assad. Nei decenni precedenti, scontri fra le diverse etnie del paese avevano più volte rovesciato il governo in carica.

di Stefano Gizzarone

Storie di bambini durante la rivoluzione siriana

Primavera Arabadi Stefano Gizzarone

morte di centinaia di manifestanti. La storia di un bambino ha trasformato una protesta pacifica in una rivoluzione sanguinaria. Dopo l’abrogazione dello stato di emergenza, che proibiva qualsiasi assembramento o manifes-tazione, annunciata da Bhutayana Shaaban, braccio destro di Assad, come dimostrazione della buona volontà del regime ad un’apertura alle richieste dell’opposizione, molti siriani si sentirono tranquilli di manifestare senza incorrere nella rappresaglia delle forze di sicurezza governative. Così Hamza al-Khatid, un bambino di 13 anni nato a Jeezah un pic-colo villaggio vicino Deraa, il 29 aprile del 2011 partecipò insieme alla sua famiglia ad un corteo. Quando arrivarono nei pressi di Saida si iniziarono a sentire degli spari e ve-dere delle persone accasciarsi a terra, la parole di apertura si erano di nuovo trasformate in repressione e nel caos Hamza al-Khatid si al-lontanò dalla famiglia. Alcune testimonianze riferirono che fu fermato dal servizio segreto dell’aereonautica. Il 25 maggio 2011, quasi un mese dopo, il corpo senza vita di Hamza al-Khatid fu riconsegnato alla famiglia. Presen-tava segni di tortura evidenti: era stato evirato, gli erano state rotte alcune ossa ed infine gli avevano sparato.Un video, voluto dai genitori, che riprende il corpo di Hamza al-Khatid brutalmente tortu-rato e alcune sue foto hanno fatto il giro del mondo attraverso i social network e le televi-sioni. In quel momento il mondo ha iniziato ad aprire gli occhi su un massacro quotidiano di bambini. A lui ha dedicato un commento anche Hillary Clinton: “Spero solo che Hamza non sia morto invano. Un regime che tortura e uccide i bambini dimostra di essere al collasso totale”.La strage dei bambini è continuata come tes-

timoniano le strazianti parole di Sabah, una donna di 31 anni sopravvissuta a una carn-eficina, raccolte dai ricercatori di Amnesty In-ternational: “Le mie figlie Isra’, Amani e Aya, 4, 6 e 11 anni, mio marito, mia madre, la mia sorellina Nour di 14 anni, i tre figli dell’altra mia sorella, Ah-mad, Abdallah e Mohammad, 18 mesi, 3 anni e 4 anni. Tutti uccisi. Chi mi è rimasto in ques-ta vita?” Un componente della famiglia al-Dik ha rac-contato ad Amnesty International: “Inas, 2 anni, Heba, 8 anni, Rama, 5 anni, Nizar 6 anni, Taha 11 mesi, Mohammad 18 mesi. Tutti uc-cisi. Perché? Perché bombardano i bambini?”Amnesty International continua a chiedere al Consiglio di sicurezza di deferire la situazione della Siria alla Corte Penale Internazionale, imporre un embargo sulle armi e congelare i beni patrimoniali all’estero del presidente Bashar al-Assad e dei suoi principali collabo-ratori.Se sette miliardi di persone chiuderanno i loro occhi, la morte del piccolo Hamza al-Khatid, come dei tanti bambini siriani, sarà stata inu-tile.

Attualità Attualità

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Quella di Hina Saleem (ragazza pakistana uccisa in Italia a soli 21 anni per non aver acconsen-tito a sposare il partner scelto per lei dai geni-tori) è solo una delle tante, troppe storie di mat-rimonio forzato finite in tragedia. Ma che cos’è il matrimonio forzato o imposto? Si tratta di un’unione all’interno della quale uno o entrambi i coniugi non hanno dato il proprio consenso al matrimonio in modo libero e valido e vi è stata una forma di costrizione fisica o psicologica. Il matrimonio forzato è una violazione dei diritti umani in quanto il generale diritto a contrarre matrimonio, la parità fra i coniugi e la necessità del consenso validante l’unione vengono san-citi, ad esempio, dall’art. 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Nel 2013 il matrimonio forzato continua ad essere presente in molte aree del mondo. Sebbene non siamo a conoscenza di statistiche circa la frequenza del fenomeno a livello globale, si possono comunque distinguere due tipologie prevalenti: il matrimo-nio forzato che avviene all’interno di paesi dove le famiglie, spesso povere, impiantate in zone rurali, perpetuano queste pratiche, e quello che avviene all’interno di famiglie immigrate e resi-denti in un paese occidentale. Nel primo caso le motivazioni vanno ricercate nell’importanza ac-cordata alla cultura, all’onore e alla verginità, op-pure possono consistere nell’esigenza di trovare un’assicurazione per la vita, la necessità di tras-ferire dei beni economici, o ancora vi può essere la volontà di aumentare l’autorità di una famiglia. Nel caso invece di famiglie emigrate verso paesi

occidentali e ivi residenti, vi può essere l’esigenza di: combattere contro l’occidentalizzazione dei figli, riaffermare la propria identità, continuare il processo migratorio, pagare un debito nei con-fronti della propria comunità, contrastare il dete-rioramento dei rapporti di genere.Il matrimonio forzato non è prerogativa di un solo gruppo etnico, paese o culto. Secondo il Gov-erno Britannico (attivo nella lotta al forced mar-riage già dal 1999 con la creazione di un working group sul tema) se ne riscontrano casi in famiglie asiatiche, mediorientali, europee ed africane . C’è poi un altro elemento da chiarire: il matrimonio forzato non è un fenomeno esclusivamente fem-minile ma l’alta incidenza sulle donne (numerosi studi parlano del 15% di vittime maschili ) tes-timonia una chiara discriminazione di genere. Parlando di questo tema è utile poi un rimando al matrimonio combinato e a quello precoce. Siamo di fronte ad un matrimonio combinato quando la scelta del partner avviene per opera dei genitori/famigliari, ma vi è la scelta finale delle due parti per cui non si configura alcuna violazi-one dei diritti umani. Il matrimonio combinato rappresenta una tradizione che vede anche nelle famiglie immigrate in Occidente i figli aderen-ti ad un’usanza che vuole che siano i genitori a scegliere i rispettivi coniugi. Tuttavia il confine fra queste due pratiche è molto labile. Il matri-monio precoce è invece quell’unione all’interno della quale uno o entrambi i coniugi non hanno raggiunto la maturità fisica, psichica e emozion-ale per contrarre matrimonio. È questo il motivo

“Io sono promessa sposa a un mio cugino, figlio della sorella di mia madre, che neanche conosco e che attualmente vive in Pakistan e con il quale dovrei unirmi in matrimonio non so quando. I miei genitori mi contestano sempre il fatto che io assumo comportamenti e seguo i modi di vivere della cultura italiana anziché rispettare la tradizione pakistana e per questo vengo maltrattata sia moral-mente che verbalmente e fisicamente. Questo sia da parte dei miei genitori che da parte delle mie sorelle, fratelli e anche da mio cognato Mahmood, marito di mia sorella.”

di Maria Aurora Spisani

Una violazione dei diritti umani

Matrimoni forzatiAttualità di Maria Aurora Spisani

per cui è da considerarsi un matrimonio forzato e violazione dei diritti umani: perché i minori sono considerati incapaci di dare un consenso fondato. Volendo dare un’idea della portata del fenomeno, secondo il dossier di InDifesa, dal titolo “La condizione delle bambine e delle ra-gazze nel mondo”, sono 10 milioni le bambine e ragazze che ogni anno sono costrette a sposarsi prima dei 18 anni.A seconda del contesto in cui matura, il matri-monio forzato può avere cause e modalità di-verse. In Afghanistan, ad esempio, avviene per lo più attraverso la pratica del baad e del baadal. Nel caso del baad la donna viene utilizzata per porre fine ad una disputa tra famiglie (quella in torto “regala” una ragazza nubile all’altra famiglia per porre rimedio al danno). Il baadal, invece, consiste in uno scambio di donne tra famiglie al fine del matrimonio con due rispet-tivi giovani/uomini. Alla base del baadal vi è sp-esso la volontà di sopperire, con questo scambio, al rispettivo pagamento della dote. Secondo le Nazioni Unite, nel 2008, dai 70 agli 80% dei mat-rimoni in Afghanistan sono stati di tipo forzato . In India, invece, la tradizione dei matrimoni combinati è così radicata da aver generato una vera e propria letteratura sul tema . In Europa le comunità maggiormente interessate dal fenom-eno sono quelle immigrate provenienti dal Pa-kistan, dall’India, dal Bangladesh, dal Maghreb e dall’ Africa Subsahariana. La forma che as-sume è generalmente quella dell’unione a segui-to di rimpatrio forzato nella terra d’origine, con la scusa della visita ai parenti rimasti in patria. La Forced Marriage Unit, ad esempio, ci fa sa-pere che negli ultimi anni, a Bradford (città in cui la presenza asiatica supera il 20% della pop-olazione totale), 250 ragazze tra i 13 e i 16 anni non sono tornate a scuola dopo un viaggio nel loro paese d’origine, presumibilmente vittime di matrimoni forzati . Per dare un’idea numerica del fenomeno in Francia nel 2005, su oltre 1650

che si sono rivolte all’associazione francese “Ni putes ni soumises”, 1 su 4 l’ha fatto per denunci-are un matrimonio forzato (avvenuto o minac-ciato). In Inghilterra nel 2011 la Forced Mar-riage Unit ha avuto a che fare con 1468 casi di matrimonio forzato (avvenuto o minacciato). In Italia mancano del tutto rilevazioni statistiche a livello nazionale. L’unica indagine è quella svolta da Daniela Danna nel 2008 (ricercatrice del Dipartimento di Studi sociali della facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano) per conto dell’associazione Trama di Terre. Lo studio, dal titolo “Per forza, non per amore. I matrimonio forzati in Emilia-Romag-na”, fotografa il fenomeno nella regione ed indi-vidua ben 33 casi. Il matrimonio forzato necessita di metodologie di intervento diverse a seconda del contesto in cui matura. Nei paesi in cui continua ad essere pratica abituale, la lotta al problema deve pas-sare, innanzitutto, dall’innalzamento dell’età minima in cui una donna può sposarsi ai 18 anni e dalla garanzia di eguali diritti in ogni ques-tione riguardante il matrimonio (dall’inizio fino alla sua dissoluzione). In un contesto occiden-tale la risoluzione del matrimonio forzato im-pone alcune riflessioni per le società multicul-turali e multi religiose. Bisogna rispettare alcune pratiche irrispettose dei diritti umani in nome dell’integrazione (o forse indifferenza), oppure bisogna chiamarle col proprio nome: violazi-one dei diritti umani e cercare di sconfiggerle? La risposta sta nel principio dell’universalità dei diritti umani, quello secondo cui l’appartenenza culturale non incide sull’essere titolari di diritti generalmente riconosciuti e fra questi vi è, ov-viamente, il diritto a scegliere liberamente se sposarsi e con chi sposarsi.

Attualità

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di Elena Rea

utilizzo in Cecenia è ben lontano dal firmare qualsiasi tipo di convenzione sulle mine. Ol-tre questi grandi paesi troviamo anche India e Pakistan, che hanno disseminato migliaia di ordigni in kashmir.Un altro grande problema per quanto riguarda l’arresto di produzione delle mine, al di là di quello rappresentato dai paesi che continuano a servirsene, ha a che vedere con quegli Stati che si, hanno ratificato la convenzione, ma continuano comunque a contribuire alla loro pro-liferazione. Ma come, vi starete chiedendo, non andrebbero incontro a qualche sanzione?La prima difficoltà che si può riscontrare a questo proposito consiste nel fatto che alcuni paesi rispettano il trattato ma poi riescono a trovare vie traverse tramite le quali finanziano la costruzi-one di mine. Un esempio, purtroppo, è raffigurato dall’Italia, che attraverso i gruppi bancari Intesa San Paolo e Unicredit, finanzia Bae System ( produzione di armi nucleari e bombe a grappolo). Non si limita solo a finanziarne la produzione però perché, in alcuni casi, come a Brescia, “Le schede che permettono il funzionamento delle mine,” ha spiegato recentemente Marcello Storgato, pa-dre saveriano di Brescia, promotore della cam-pagna mine anti-uomo, “vengono prodotte ufficialmente per altri usi, ma sappiamo che poi finiscono all’estero, dove rientrano nella fabbricazione dei micidiali ordigni”.

In più, benché siano passati più di dieci anni dall’entrata in vigore della convenzione, mol-ti dei paesi firmatari non hanno raggiunto l’obiettivo della rimozione entro il 2010 di tutte le mine posizionate e tra questi ci sono anche paesi senza evidenti problemi economici quali Gran Bretagna e Francia.I paesi maggiormente colpitiPer concludere citiamo i dati dell’Onu su quali

sarebbero i paesi mag-giormente colpiti: Egitto, Iran, Angola, Afghani-stan, Iran, Cambogia, Kuwait, Bosnia- Herze-govina, Mozambico, So-malia. Quale futuro?Cercando di individu-are quale potrebbe es-sere un possibile futuro per la storia delle mine, potremmo basarci su ciò che succede ultima-mente: benché alcuni nuovi Stati ratifichino la convenzione ve ne sono di nuovi che ne fanno

uso, come la Siria e Is-raele. Insomma, il futuro sembra non sembra molto roseo.

Attualità

Le mine rappresentano una delle poche ti-pologie di armi in grado di far convivere pre-sente e passato. Esse infatti hanno la capacità di protrarre un conflitto anche una volta che esso ha avuto fine. Essendo di difficilissima in-dividuazione quest’ordigno impedisce ad una popolazione di tornare definitivamente e com-pletamente ad una sensazione e condizione di pace.Gli effetti “secondari” che hanno sono molti ed eterogenei: vanno dai danni al sistema sanitario in quanto i servizi di cui le persone colpite ne-cessitano sono molto costosi e, anche se questi possono essere finanziati da aiuti internazion-ali, lo sono a scapito di altri servizi quali vacci-nazione e la lotta alle malattie parassitarie; altre ricadute si possono riscontare sull’agricoltura e l’allevamento in quanto se si sa che un campo è stato minato certamente non lo si va a colt-ivare. Senza dimenticare i danni al sistema eco-nomico per le operazioni di bonifica. Mine antiuomo e legislazione Capiamo quindi perché il problema è così im-portante da aver fatto vincere il premio Nobel per la pace nel 1997 alla ”campagna internazi-onale per la messa al bando delle mine” (e alla sua portavoce)che, avendo fatto pressione sui governi, ha stimolato il dibattito sulla loro il-legittima produzione.Nel settembre del 1997 alla conferenza diplo-matica di Oslo viene stesa infatti la convenzi-one che vieta la produzione di mine antiuomo e solo due anni dopo entra in vigore come legge internazionale. È da riconoscere che è il più rapido tra i trattati del suo genere, grazie ad

una forte collaborazione tra gli Stati. Gli ob-blighi del trattato prevedono:- la proibizione dell’uso, della produzione, dello stoccaggio e del commercio di mine antiperso-na, insieme all’assistenza e all’incoraggiamento di qualunque ente impegnato in queste attività;- la distruzione di tutte le mine antipersona negli arsenali entro 4 anni dall’adesione al trat-tato;- la rimozione e la distruzione di tutte le mine antipersona da tutte le aree minate sotto giuris-dizione o controllo dello Stato entro 10 anni dall’adesione al trattato;i problemi della normativaAndiamo ora ad analizzare chi lo ha ratificato, ossia lo ha introdotto nella propria legislazione nazionale. Dei 152 paesi che hanno aderito, 144 lo hanno incluso nella loro normativa. E tra coloro che hanno mancato di fare questo secondo passo troviamo ovviamente le poten-ze militari quali Russia, Turchia, Egitto, Cuba, Cina, Cuba e Usa. Proprio quest’ultimo è og-getto di grandi contestazioni, dato che anche Barack Obama, vincitore del premio Nobel per la pace ,si è rifiutato di ratificarlo. Ad onor del vero, secondo dati ufficiali lo Stato a stelle e strisce non userebbe mine antiuomo nelle op-erazioni militari dal 1991, (epoca della guerra del golfo) ma ciò non toglie il fatto che ha uno stoccaggio di 10 milioni di mine e si riserva il diritto, in questo modo, di impiegarle in uno scontro ( o venderle).Un altro grande produttore di mine che, a dif-ferenza degli Usa, continua anche ad usarle è la Russia, che tra l’esportazione in Siria e il proprio

Qual è il potere delle mine? Facile, penserete. Far saltare in aria una persona, mutilarla. Distrug-gere un carro. Non solo però.

di Elena Rea

Un problema dimenticato o dimenticabile?

Mine AntiuomoAttualità

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Eventi EventiDi Simone Marcacci Di Alessandra Fabri

Proiezione di THE SUMMIT

Circoscrizione LazioSiria, una “primavera araba” sporcata da troppo sangue

Gruppo 251 Eur

Giovedì 6 giugno ore 20.00 presso il “BiblioCaffèLetterario”

via Ostiense 95

Più di 60.000 persone uccise;oltre 700.000 rifugiati fuggiti in Giordania, Libano, Turchia, Iraq e nei paesi dell’Africa del Nord;almeno due milioni di profughi in-terni.

Questo è il drammatico bollettino del con-flitto che da due anni sta insanguinando la Siria e che vede contrapporsi le forze gov-ernative all’opposizione armata .

In nessun altro paese toccato dalla “prima-vera araba” il costo di vite umane e della vi-olazione sistematica dei diritti umani è sta-to così elevato. E come sempre sono i civili a pagare il prezzo più alto. Tutto questo av-viene senza che la comunità internazionale abbia intrapreso una azione comune per porre fine al conflitto, far cessare le violenze e chiamare a rispondere del loro operato i responsabili dei crimini di guerra , come più volte chiesto da Amnesty International.

Per cercare di dare “voce” a chi chiede pace e giustizia, il gruppo Italia Amnesty Interna-tional 251 organizza, giovedì 6 giugno ore 20.00 a Roma, presso il “BiblioCaffèLetter-ario” , via Ostiense 95, una conferenza sulla situazione dei diritti umani in Siria.

Il programma della serata prevede: proiezi-one di video a tema; lettura di poesie e tes-

timonianze con il contributo musicale di Eunice Cangianiello e tanta musica per i diritti umani con la partecipazione di Vel-ka, AL, Carla Gi – Sopracustico.

Un evento voluto per tenere alta l’attenzione su un conflitto che rischia di diventare solo una sterile cronaca nera, una delle tante rac-contate dai media, fatta di uomini, donne e bambini che non sopravvivono alle vio-lenze quotidiane.

Mercoledì 22 Maggio ore 19:30Casa della Pace - Via Monte Testaccio, 22

THE SUMMITGenova: i 3 giorni della vergogna

“The Summit” documentario d’inchiesta sul G8 di Genova 2001 realizzato dai giornalisti e reg-isti Franco Fracassi e Massimo Lauria, costru-ito dopo una lunga indagine condotta insieme ad un gruppo di giornalisti. Il documentario d’inchiesta getta luce, a dieci anni di distanza, su molte zone d’ombra del G8 di Genova, il film in Italia non è stato accolto nelle grandi sale,

anzi censurato,è riproposto da Amnesty Lazio che vi invita ia non perdere l’occasione di assis-tere al racconto di tutti i retroscena dei 3 giorni della Vergogna.

Programma della serata:

Ore 19.30: AperitivoOre 20.00: Proiezione del film

Ore 21.00: Intervento e a seguire dibattito

Entrata libera con tessera annuale “Casa della Pace” (5 euro)

IV Torneo Fiorenza Cocchi

Gruppo 267 Ostia

Sabato 25 Maggio ore 14:30Parco della Madonnetta

IV Torneo Fiorenza Cocchi

Anche quest’anno il gruppo 267 del litorale romano organizza il torneo per bambini Fiorenza Cocchi. Nato per ricordare un’attivista scomparsa, il torneo si è sempre svolto all’interno del campo nomadi di Dragona per favorire l’integrazione dei bambini del campo con quelli del territorio. quest’anno il torneo si svolgerà all’interno della Festa Dell’Arcobaleno ed avrà inizio alle 14:30. Sono previsti giochi in vecchio stile, premi per i vin-citori ed una merenda offerta dai vo-

lontari di Amnesty International. L’ evento è or-ganizzato anche per promuove la campagna di Amnesty sui Diritti dei rom in Europa. Durante la manifestazione sarà possibile firmale gli ap-pelli su tale campagna.

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le Interviste Dal MondoDi Patrizia Sacco Di Ludovica Amici

Responsabile Coordinamento LGBTI

Amalia Macri’

Mi racconta che si è laureata in lettere, con una bella tesi sul teatro di Ibsen, ma per anni ha fatto una serie di lavori precari, quasi sempre in nero, che non avevano nessuna attinenza con i suoi studi. Meno di tre anni fa ha deci-so di dare un taglio a tutto questo ed insieme ad alcune amiche, di cui 3 anch’esse socie di AI, ha aperto Mondi Possibili, un negozio che tratta artigianato in legno, ceramiche, candele, oggetti in materi-ale riciclato e bio-cosmetici.

Insomma Amnesty è servita da tram-ite anche per la tua svolta di lavoro. Ma a quando ri-sale il tuo inizio nell’associazione?

- Nel 2006 ho com-inciato a frequentare il Gruppo 015, ricordo il mio primo tavolino al Campidoglio durante la campagna contro la violenza sulle donne. Nel 2009 sono entrata nel coordinamento LGBTI e ora ne sono responsabile. Ho avuto anche in-carichi circoscrizionali e mi sono occupata di commissioni e gruppi di lavoro.

Tra le manifestazioni a cui hai partecipato quale ti ha coinvolto di più?

- Tutte le partecipazioni ai Pride del Baltico:

a Riga dal 2007 al 2009 e a Vilnius nel 2010. Ogni volta che rivedo la foto della bambola impiccata che ci avevano fatto come minaccia i contestatori del Pride mi vengono ancora i brividi…

Ora stai iniziando il grosso lavoro di organiz-zazione per l’AG del 2014. Qual è la cosa che ti sembra più impegnativa tra tutte quelle che

devi fare?

- Mi dà un po’ d’ansia la ricerca del luogo giusto. Vorrei trovare una località che sia comoda da raggiun-gere, con un aero-porto vicino, ed un unico albergo adatto ad ospitare tutti i soci che vorranno venire.

A parte i problemi logistici che cosa ti sta più a cuore?

- Vorrei riuscire ad organizzare un’assemblea che punti sui contenuti, con un programma così interessante da far venire voglia di parte-cipare anche a quegli attivisti che fino ad ora non sono mai stati ad un assemblea generale.

Ho sempre pensato che ci voglia una buona dose di coraggio per candidarsi ad organizzare un’assemblea generale, ma Amalia di coraggio ne ha da vendere, lo ha sempre dimostrato, all’interno di Amnesty e anche nelle sue scelte personali, a cominciare da quelle di lavoro.

Darsi fuoco per la propria cultura: accade ancora in TibetSuicidi Tibetani

Numerosi sono ancora i suicidi dei tibetani che scelgono di togliersi la vita per protestare contro l’occupazione cinese, e reclamare il ritorno del Dalai Lama.

La maggior parte si da fuoco sperando di ot-tenere in questo modo brutale l’indipendenza del Tibet. La disperazione è tale che la gente preferisce morire piuttosto che vivere. E le au-torità cinesi coprono questi suicidi disponen-done immediatamente la cremazione così da evitare manifestazioni di massa durante i fu-nerali.

Da quando negli anni Cinquanta le truppe di Mao Zedong invasero il Tibet centrale im-ponendone la loro autorità, numerosi furono gli episodi di violenza e contestazione, soprat-tutto da parte dei monaci buddhisti. Nota è la rivolta di Lhasa del 1959, in cui l’Esercito di Liberazione Popolare per fermare la resisten-za tibetana uccise più di 87.000 civili. A par-tire da quello stesso anno incominciarono le riforme imposte dalla Cina che consistettero nell’arresto di molti monaci e nel prelievo delle loro proprietà. E sempre nel 1959 il Dalai Lama cercò asilo politico in India dove venne costi-tuito un governo tibetano in esilio.

Sono passati oltre cinquanta anni dalle prime contestazioni e la Cina si difende dichiarando di aver fatto del bene alle sorti del popolo ti-betano. Di averne migliorato le condizioni economiche dei più poveri. La verità però è che il Tibet non esiste più. La cultura tibetana è scomparsa. Le autorità cinesi hanno fatto il possibile per cancellare dal Tibet la sua storia e religione. Ne sono testimone diretta di questo annulla-

mento del popolo tibetano. Nel 2006 intrapre-si un viaggio con un’amica in India, Nepal e Tibet con l’intento di conoscere l’affascinante cultura tibetana, di parlare con il popolo e con i monaci. Di vivere l’atmosfera dei monasteri tibetani. Non abbiamo trovato invece nulla di quello che ci aspettavamo. Nei monasteri c’erano spesso spie cinesi.

Nel Potala, palazzo dove risiedevava il Dalai Lama a Lhasa, era proibito anche solo nomin-are il Dalai Lama e ricordo che con la guida utilizzavamo un nomignolo per riferirci a lui nella spiegazione del palazzo perché altrimenti rischiava l’arresto. Ho percepito il terrore dei tibetani di mostrare con orgoglio le loro origi-ni. La cultura tibetana è totalmente repressa. Il Tibet non esiste più. La Cina ha ormai preso il sopravvento.

Le immolazioni di questa gente sono un prob-lema politico irrisolto. Il genocidio del popolo tibetano, per motivi di sfruttamento economico - perchè si sa che il sottosuolo è ricco di materie prime -deve es-sere fermato. Andrebbe esortato il governo cinese ad avviare delle politiche di dialogo con questa gente: sia con i tibetani rimasti a vivere nel loro paese, sia con i numerosi tibetani che vivono in esilio in India e Tibet. La comunità internazionale non può continuare ad ignorare questa disumana situazione. I tibetani merita-no un riconoscimento dei diritti fondamentali.

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Cinema LetteraturaDi Mariacarla Indice Di Arianna Eberspacher

The Help

FilmSTORIA DELL’OMOFOBIA di Paolo Pedote

Libri

The help è un film del 2011 diretto dal regista Tate Taylor, basato sull’omonimo romanzo della scrittrice americana Kathryn Stockett.

Dall’introduzione al libro di Gian Antonio Stella:

Che cos’è l’omofobia? In che modo si è espressa nella storia? Perché ancora oggi le religioni e al-cuni gruppi sociali non accettano la “diversità” sessuale? Caratterizzato da uno stile agile, fresco e divulgativo, Storia dell’omofobia è un saggio di carattere storico, antropologico e politico, che mette in luce le ragioni di una millenaria perse-cuzione, dall’Antico Testamento fino ai giorni nos-tri, fornendoci gli strumenti per comprendere la natura di un “dispositivo culturale” ancora attivo. Partendo dai libri sacri per arrivare alla censura

perseguita da ogni totalitarismo, passando per i sistemi legislativi e per la disciplina del Novecento omofoba per eccellenza, la psicoanalisi, l’omofobia emerge come doloroso leitmotiv, fonte di morte e paura. Un pregiudizio crudele di cui hanno fatto le spese, tra gli altri, il genio creativo di Oscar Wilde - condannato ai lavori forzati - e quello matema-tico di Alan Turing - inventore del computer de-crittatore del codice Enigma durante la Seconda guerra mondiale, sottoposto a castrazione chim-ica nell’Inghilterra del dopoguerra e costretto al suicidio - oltre a migliaia di anonimi perseguitati, torturati, uccisi a causa del loro orientamento ses-suale. Un libro che si rivolge a chi ama la storia come disciplina per conoscere a fondo l’umanità, ma anche uno strumento per chi lavora nei settori educativi e spesso si trova a dover spiegare quali

La storia si svolge in Mississippi, nella prima metà degli anni ‘60, in una città dove il razzismo e l’intolleranza sono diretti, in una maniera spaven-tosamente naturale e noncurante, verso un intero microcosmo, quello delle cameriere afroameri-cane. Donne che lavorano presso ricche famiglie di bianchi, che ne crescono i figli con lo stesso af-fetto e amore che riserverebbero ai propri, ma che devono mangiare utilizzando stoviglie diverse e che non possono condividere i servizi igienici con i bianchi.

Eugenia Phelan, giovane ragazza bianca, decide di scrivere la storia di queste donne sfruttate e op-presse, di scriverne però, dal loro punto di vista, ascoltando le loro storie, scoprendone non solo i dolori, le sofferenze e la miseria, ma anche le gioie più profonde, le soddisfazioni, i più piccoli succes-si. Aibileen e Minny, due cameriere fra tante, acc-ettano, seppur inizialmente con forti dubbi, di sos-

tenere il progetto di Eugenia e, pian piano, molte altre cameriere decideranno di seguirle e di denunciare ogni sorta di abuso e umiliazione subita.

Durante tutto il film ci si chiede se la storia di queste donne, il razzismo ingiustificato di cui erano oggetto, possa davvero dirsi conclusa, se quei problemi sono stati risolti, se il razzismo, oggi, può dirsi sconfitto. Sarebbe fin troppo bello e utopico poter rispondere affermativamente a queste domande, ma conoscere è sicuramente il modo migliore per comprendere, per accettare. Vedere questo film, o magari leggerne il libro, potrebbe es-sere un passo, seppur piccolissimo, per imparare il rispetto nei confronti di chiunque, a prescindere dal sesso, dalla classe sociale o dal colore della pelle.

Questo mese vi proponiamo una poesia del nostro redattore Claudio Pipitone

Alzalo quel braccio Plotone tra le armateRaccogli le energie

E smorza le bordate.

Tamponati quel taglioDa cui sgorgano dolori

Che come colpi di maglioTi macerano dentro e fuori.

Poi prendili per manoAvvolgili d’amore

E scappa via lontano

Dal suo vinoso odore.

E nella stanza spogliaDa grigia luce invasaResisti come roccia

Ai loro “torna a casa”.

Riarma la tua vitaE schiva ogni tagliolaNel buio senza luna

Non resterai più sola.

Nel buio della lunaUn’armonia rimanda

Tra i fumi della brumaProfumo di lavanda.

Nel Buio Senza Luna di Claudio PipitonePoesia

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Attualità AttualitàDi Massimo Grandicelli Di Massimo Grandicelli

Di Max

Il Punto di Vista...

Per noi amnestiani l’anno corrente si contraddistingue per il lancio della “campagna Italia”, che pone la situazione sociale del nostro paese “sotto osservazione” con riferimento ai frequenti casi di disap-plicazione degli articoli basilari della D.U.D.U., molti dei quali disponibili nella cronaca di tutti giorni.

Chi scrive non è un ottimista, ma anche il pessimismo ha un limite, come ho po-tuto constatare con in mano il penultimo numero de “L’Espresso” (n.18, 9 maggio 2013 - Roberto Di Caro, con le foto di S. Es-posito), dove sotto il titolo di “Dimenticati a Lampedusa” (p. 38), quattro sintetiche pagine documentano un’altra sala di quella sorta di museo degli orrori del nostro tem-po, che è il trattamento dei migranti in Ita-lia: 111 (centoundici) minori, tra i tredici e i diciassette anni, in stato di fermo da setti-mane nel centro di Lampedusa, quando la legge prevede che entro quarantottore siano assegnati a una comunità per minori.Si tratta di minori sfuggiti a situazioni trag-iche, che li hanno resi vittime e insieme tes-timoni di violenze di ogni genere, non es-cluso l’omicidio. E “stato di fermo” significa la condivisione di una struttura dove si stringono attual-mente in 701 (56 donne), quando i posti letto disponibili sono a malapena 300, con dotazioni del tutto insufficienti in termini persino di coperte da letto.Il tutto in condizione di precarietà inde-scrivibili, poiché la frequenza degli ”sbarchi” influenza direttamente la tensione tra esi-genza e disponibilità persino delle risorse primarie, come ad esempio le riserve id-riche; non si deve dimenticare infatti che il territorio di Lampedusa è limitato ad ap-

pena 20 kmq e scarseggia d’acqua, al punto che è spesso necessario il rifornimento con navi-cisterna, il cui esercizio è a sua volta pesantemente condizionato dallo stato del mare.L’aspetto più assurdo è che molti questi mi-granti, soprattutto i più giovani, considera-no l’Italia una meta di transito.Ma il semplice arrivo nel nostro paese fa scattare una serie di complicazioni che han-no del diabolico: innanzitutto, se si escludo-no i casi più palesi, la condizione di minore deve essere accertata previo esame medico, perché i soggetti sono praticamente sem-pre privi di documenti, che vengono loro regolarmente confiscati in uno qualsiasi dei tanti “step” di che si compone l’infernale odissea che li porta a noi dall’eterna Eritrea, dalla Somalia, ora pure dal Mali in fiamme; è un esame che non si è attrezzati a effet-tuare rapidamente (da noi si usa ancora la tecnica dell’esame radiologico delle ossa del polso, non molto precisa, ma questa è un’altra storia); vengono poi le pratiche bu-rocratiche per l’assunzione tutoriale, infine occorre la disponibilità di posto in una casa d’accoglienza.Con il risultato che uno Stato come il nos-tro dimostra ancora una volta di non ri-uscire a rispettare le regole che egli stesso si è dato: se si esaminano infatti, sotto il profilo cartolare, le norme vigenti per la

tutela dei minori se ne ricava una situazi-one d’avanguardia, quando ponendo invece l’attenzione agli aspetti applicativi il quadro che ne esce è, nel caso dei minori migranti (e spesso non solo), del tutto opposto.Per tacere delle complicanze di natura mo-rale, amplificate dalla promiscuità: il centro di Lampedusa è infatti una “detenzione” per modo di dire, quando, secondo le indicazio-ni degli stessi poliziotti e militari di guardia, è sufficiente sollevare la rete di cinta in un qualsiasi punto per potersene andare per i propri comodi.L’Espresso non è nuovo a portare in luce “senza guanti di velluto” episodi di questo genere. Anni fa, Fabrizio Gatti, si travestì in più occasioni da clandestino per docu-mentare la condizione dei migranti in Italia e “passò” anche a Lampedusa: documentò una situazione incredibile, su cui troppo si è taciuto, ma ciò che è peggio è che non sem-bra che il tempo abbia giovato, soprattutto nei confronti dei minori.E mentre Gatti dovette farsi “clandestino” per documentare la tragedia della clandest-inità in Italia, oggi, anche se CIE e affini sono sempre chiusi alla stampa (chissà dove mai sarà finita quella trasparenza di cui in tanti straparlano), pare che le cose siano in prat-ica più semplici: nel caso in esame i cronisti si sono accodati a una visita del neoistituito Garante per l’infanzia e l’adolescenza, Vin-cenzo Spadafora. Siamo quindi al paradosso che sarà più fac-ile documentare, mentre i problemi restano e persino si complicano; un’altra occasione in cui è possibile osservare quella sorta di mitridatizzazione al peggio che contraddis-tingue la fase storica che ci è stato dato in

sorte di vivere, per definire la quale il dizion-ario è decisamente carente di aggettivi.Nei venti anni in cui il problema del passag-gio delle migrazioni in Italia è letteralmente “esploso”, non solo non si è riusciti a mettere insieme una politica degna di questo nome in un settore del sociale che ha caratteristiche epocali, ma siamo al punto di non riuscire a fare eccezione neppure per il delicatissimo settore minorile.La nostra associazione ha dedicato al “prob-lema Lampedusa” una certa attenzione: sono convinto che ne sia necessaria una dose ulte-riore e più penetrante.L’articolo in discorso non è disponibile “on-line” in versione completa, qui sotto il “link” a una sintesi alquanto scarna, nel sito del settimanale.

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/profughi-bambini-e-dimenticati/2206157

Page 10: Gazzetta Amnesty Lazio 05 2013

La Gazzetta di Amnesty Lazio18 La Gazzetta di Amnesty Lazio 19

GRUPPO 1

Zona: Roma Est (Prenestina, Casilina, Tuscolana, Appia

Nuova)Tel: 3294270127Fax: 06 97252438

Indirizzo: Bottega del Mondo Kin-kelbà via Macerata, 54 (zona Pigneto)

00176 Roma (RM)

e-mail: [email protected] web:

http://www.amnestyroma1.it

Quando si riunisce: tutti imartedì h.

20.30

Attivismo AttivismoI GRUPPI DEL LAZIO

Zona: Prati, Delle Vittorie,Balduina

Indirizzo: Libreria Claudiana

piazza Cavour, 3200193 Roma (RM)

e-mail: [email protected]

Quando si riunisce: tutti ilunedì alle 16.30 (in estate

17.00)

GRUPPO 2

GRUPPO 15

Zona:Trieste, Sala-rio,

ParioliTel: 366 3666108

Indirizzo: presso laParrocchia del Sacro

Cuorevia Poggio Moiano,

12(presso Piazza Ves-

covio)00199 Roma (RM)

e-mail: [email protected] si riunisce: tutti i

mercoledì dalle19.00 alle 21.00

Zona: Aurelio, Bravetta,Boccea, Montespaccato,

Casalotti, Primavalle, Mon-te Mario

Telefono: 338 4795737

Indirizzo: presso la Biblio-teca Basaglia

e-mail: [email protected]

Quando si riunisce: di solito

tutte le settimane, il martedì h. 21.00

GRUPPO 56

I GRUPPI DEL LAZIO

GRUPPO 105

Zona: Portuense,Monteverde, Traste-

vere,Testaccio

Tel: 329 6265981Indirizzo: Coordina-

mentodel Volontariato del-la XVI Circoscrizionevia del Casaletto,400

Roma (RM)

e-mail: [email protected] si riunisce:

cadenza bisettimanale, martedì h. 21.00

Zona: S. Basilio,Valmelaina, Montesacro,

Africano, Tiburtina

Telefono: 335 7510539Indirizzo: Associazione La

Maggiolina viaBencivenga, 1 (altezzaBatteria Nomentana)

Roma

Indirizzo web:www.amnestygr159.alter-

vista.org

e-mail: [email protected]

Quando si riunisce: ogni martedì/giovedì h.

19.30 GRUPPO 159

GRUPPO 221

Zona: centro storicoTel: 335 5953640

Indirizzo: Via CarloCattaneo, 22/B

00185 Roma (RM)Indirizzo web:

h t tp : / / anes t yg rup-po221.blogspot.it/

e-mail: [email protected]

Quando si riunisce: tutti igiovedì h.

20.00 (telefonareper conferma)

Zona: Roma sud (Ardea-tina, Colombo, Ostiense)Telefono: 349 1677272

Indirizzo: via Buzzati, 13(Eur)

Indirizzo facebook: Amne-styInternationalITA251

e-mail: [email protected]

Quando si riunisce: tutti imartedì h.20.30

GRUPPO 251

Page 11: Gazzetta Amnesty Lazio 05 2013

La Gazzetta di Amnesty Lazio20 La Gazzetta di Amnesty Lazio 21

GRUPPO 267

Zona: litorale roma-no (ostia, pomezia,

fiumicino)Tel: 393 5233071

Indirizzo: Centro so-ciale Affabulazione

piazza M.V. Agrippa, 7/H

00121 Ostia Lido(RM)

e-mail: [email protected] Quando si riunisce:

quindicinale

il mercoledì h.20.30

Attivismo AttivismoI GRUPPI DEL LAZIO

Gruppo universitario Roma

e-mail: [email protected]

GRUPPO Giovani 085

GRUPPO 140

Zona: castelli romaniTel: 335 5742242

e-mail: [email protected]

Quando si riunisce: incontri

settimanali o quin-dicinali

nei giorni di lunedì, mart-edì o mercoledì,

alle h. 21.00, in casa dialcuni attivisti del gruppo,

a rotazione a Marino,Grottaferrata e Frascati.

Zona: Civitavecchia (RM), Santa Marinella, Tolfa, Al-

lumiere

Telefono: 328 3378273Indirizzo: presso la propria

sedepiazza Luigi Piccinato, 1000053 Civitavecchia (RM)

e-mail:[email protected]

Quando si riunisce: tutti imartedì h.

21.00

GRUPPO 240

I GRUPPI DEL LAZIO

GRUPPO 277

Zona: Formia, Fondi,Gaeta, Sperlonga,

ItriTel: 3495457563

Indirizzo: sale della Chiesa

di S.Erasmo FormiaIndirizzo web:

www.amnestyformia.net

e-mail: [email protected] Pagina Facebook: Gruppo

Amnesty 277 Formia(LT)

Quando si riunisce:pomeriggio 2° sabato del

mese

Zona: Fiano Romano, Mon-terotondo, Morlupo

Telefono: 347 8467219

Indirizzo:Circolo RicreativoCulturale Ponte Storto

Piazza delle Terrazze, 6/alocalità Ponte Storto a

Castelnuovo di Porto (RM)

e-mail: [email protected]

Quando si riunisce: primomartedì di ogni mese h.

18.00

GRUPPO 245

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Buone Notizie Buone notizieDi Patrizia Sacco Di Patrizia Sacco

Ecco le ultime da tutto il mondo in tema di diritti umani:

Sudan - Il 2 aprile 2013 Abdulaziz Khaled, Entisar al-Agali, Hisham al-Mufti, Abdulrahim Abdallah, Mohammed Zain Alabidein, Youssef al-Kauda e Hatim Ali, sette esponenti po-litici e attivisti dell’opposizione, sono stati rilasciati a seguito di un’amnistia decretata dal governo. Amnesty International li aveva adottati come prigionieri di coscienza.

Somaliland - Il 2 aprile 2013 l’alta corte marziale ha commutato in 20 anni di carcere le condanne a morte di 17 civili che nel maggio 2012 erano stati giudicati colpevoli di aver assaltato una base militare nella zona di Hargeisa, sostenendo che avesse occupato illegal-mente terreni agricoli. Nel corso dell’assalto rimasero uccisi tre militari e quattro

Pakistan - Il 3 aprile 2013 una corte d’appello ha annullato la condanna a morte di Younis Masih, un cristiano arrestato nel 2005 a Lahore condannato a morte nel maggio 2007 per “blasfemia”. Masih è tornato libero il giorno stesso.

Arabia Saudita - Il 7 aprile 2013 Khalid al-Natour, un programmatore web di cittadinanza giordana, è stato scarcerato ed è potuto fare rientro in patria. Al-Natour era arrivato in Arabia Saudita per motivi di lavoro il 6 gennaio insieme ad altri colleghi. Le autorità sau-dite non hanno mai reso noti i motivi del suo arresto. Amnesty International aveva lan-ciato un’azione urgente in suo favore. Al-Natour fa parte di Herak, un movimento per le riforme che chiede maggiore libertà politiche in Giordania. Nel settembre 2011 era stato arrestato, nel suo paese, per aver insultato un agente di polizia durante una manifestazi-one di protesta per l’intervento militare dell’Arabia Saudita in Bahrein.

Uruguay - Con l’adozione della Legge sull’uguaglianza del matrimonio, il 10 aprile 2013 l’Uruguay è diventato il secondo paese dell’America latina, dopo l’Argentina che lo aveva legalizzato nel 2010, a prevedere il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Nuova Zelanda - Il 17 aprile 2013 il parlamento ha approvato in terza lettura l’Emendamento alla legge sul matrimonio, che renderà legali i matrimoni tra persone del medesimo sesso. La Nuova Zelanda è il tredicesimo paese ad aver adottato tale provvedimento.

India - Il 18 aprile 2013 la Corte suprema, con una sentenza di portata storica che ricon-osce i diritti dei popoli nativi, ha stabilito che gli adivasi avranno la decisione finale su una miniera di bauxite di una sussidiaria della britannica Vedanta Resources, che avrebbe dovuto divenire operativa su 670 ettari di terreno delle colline di Niyamgiri, nello stato di Orissa. La comunità dongria kondh considera sacri l’habitat e quelle terre tradizionali.

Qatar - I due attivisti Muhammad Issa al-Baker e Mansour bin Rashed al-Matroushi sono stati rilasciati il 18 aprile 2013 a seguito di un’azione urgente di Amnesty International. Erano stati arrestati il 22 marzo e sono rimasti in carcere per 28 giorni senza accusa né processo.

Brasile - Il 21 aprile 2013, 23 agenti della polizia militare sono stati condannati a 156 anni di carcere ciascuno per l’uccisione di 13 detenuti della prigione di Carandiru, nello stato di San Paolo, teatro di un sanguinoso massacro con oltre 100 morti nell’ottobre 1992.

Francia - Il 23 aprile 2013 il parlamento ha approvato la legislazione che renderà legali i matrimoni tra persone del medesimo sesso. La Francia è il quattordicesimo paese ad aver adottato tale provvedimento.

Italia - Il 2 maggio 2013 la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato il 15 feb-braio 2012 dal governo italiano, con il quale si richiedeva di cassare la sentenza del Con-siglio di Stato che nel novembre 2011 aveva dichiarato l’illegittimità della cosiddetta “emer-genza nomadi” sul territorio italiano.

Nazioni Unite - Il 5 maggio 2013 è entrato in vigore il Protocollo opzionale al Patto in-ternazionale sui diritti economici, sociali e culturali. Esso prevede che una persona possa chiedere giustizia alle Nazioni Unite qualora i suoi diritti (tra cui quelli a un alloggio ade-guato, al cibo, all’acqua, ai servizi igienico-sanitari, alla salute, al lavoro, alla sicurezza so-ciale e all’istruzione) siano violati e il governo nazionale non fornisca riparazione. Sono 10 i paesi che hanno ratificato il Protocollo, tra cui Slovacchia, Spagna e Portogallo. Altri paesi lo hanno firmato ma non ratificato, come Belgio, Finlandia, Francia, Irlanda, Italia, Lus-semburgo, Olanda e Slovenia.

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