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Garrigou-Lagrange o.p. Le tre eta' della vita interiore Vol. I LA VITA INTERIORE INTRODUZIONE Al lettore Per onorare la memoria del Padre Réginald Garrigou-Lagrange O.P. nel ventesimo della morte, avvenuta il 15 febbraio 1964, alle ore 5 del mattino, la Pontificia Università di San Tommaso d'Aquino de Urbe, che lo ebbe per tanti anni insigne maestro, cura questa nuova edizione del suo capolavoro di teologia spirituale: Le tre età della vita interiore, nella speranza e col proposito di farla seguire da quella delle altre opere principali. Forse non è inutile, specialmente per i lettori delle nuove generazioni venute dopo la scomparsa di quel «classico» della teologia e l'esaurimento delle sue opere, ricordare la sua figura, il suo insegnamento, le sue pubblicazioni, che per circa mezzo secolo lo posero al centro della vita scientifico-ecclesiastica di Roma e di una vasta area della Chiesa. Nato a Auch nel 1877, il Padre Réginald Garngou-Lagrange (al secolo Gontran), dopo aver frequentato le scuole primarie e secondarie, si iscrisse alla Facoltà di Medicina nell'Università di Bordeaux, che poi lasciò per entrare nell'Ordine Domenicano, dove fu formato da grandi maestri della scienza teologica, come i Padri Ambroise e Gardeil, pionieri del rinnovamento tomista in Francia. Per disposizione dei Superiori, frequentò anche la Facoltà di Lettere dell'Università di Parigi, a cui si iscrisse nel 1904. Divenuto a sua volta professore, insegnò per qualche tempo a Le Saulchoir, nel Belgio, dove si era trasferito lo studentato domenicano della Provincia di Francia; poi passò a Roma nel 1909, chiamatovi dal Servo di Dio P. Giacinto Cormier, Maestro Generale del suo Ordine, perché insegnasse nel nuovo Collegio Angelico, divenuto in seguito Pontificia Università di San Tommaso, e vi rimase fino al 1960. Gli innumerevoli studenti passati alla sua scuola, - tra i quali Karl Wojtila negli anni 1946-1948, - poterono ammirare la limpidità e acutezza della sua intelligenza, il fervore e vigore del suo insegnamento, specialmente intorno ai temi fondamentali della dottrina cattolica e del tomismo, e anche tante espressioni di un animo semplice, bonario, delicato, schietto, arguto, generoso, che non valgono meno delle folgorazioni geniali della

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sua mente naturalmente portata ai sondaggi più arditi nell'abisso del mistero. Alla sua scuola si apprendeva una dottrina viva, non solo perché il Padre Garrigou-Lagrange aveva il pregio di saper cogliere gli elementi più essenziali e i valori perenni della metafisica dell'essere e della teologia soprannaturale e di farne afferrare e godere la luce irradiante, ma anche perché si vedeva in lui un uomo posseduto da quella verità, diventata quasi sostanza della sua vita spirituale e principio informatore della sua psicologia, forma costitutiva della sua mentalità. È questo uno degli aspetti più notevoli, ci sembra, della sua personalità: una meravigliosa fusione, in lui, dell'uomo, dello studioso, del maestro, nella sintesi unitaria della verità luminosa e calda, che egli aveva abbracciato come ideale sublime arriso alla sua giovinezza insieme con la vocazione religiosa. La scuola fu il campo principale dove egli poté servire questo ideale e far gustare ai suoi alunni, pur nel rigore scientifico del metodo teologico e nell'acume speculativo dell'insegnamento, la bellezza della verità, sia sulle altezze della dottrina metafisica e teologica, sia nella sua traduzione e applicazione nel campo delle scienze pratiche e della vita, specialmente col suo corso di Ascetica e Mistica del sabato sera, diventato famoso a Roma e frequentato da una folla di studenti, non solo dell'Angelicum, ma anche di altri atenei e centri di studio dell'Urbe. Ma la sua attività scientifica, che copre tutta la prima metà del nostro secolo, si svolse anche con la pubblicazione di libri e articoli, che espandevano il suo pensiero ben oltre le aule scolastiche. Autore di numerosi libri e collaboratore assiduo di molte riviste, tra le quali specialmente Angelicum, Revue Thomiste, Vie Spirituelle, la sua produzione letteraria è stata vastissima: più di cinquecento scritti tra articoli e volumi. La sua bibliografia, curata nel 1961 in una tesi di diploma presso la Scuola Vaticana di Biblioteconomia, si estende per ben 150 pagine dattiloscritte. Alcune sue opere segnano dei momenti definitivi nella storia della teologia e della scuola cattolica nel nostro secolo, specialmente: Le sens commun, la philosophie de l tre et lesformules dognatiques (1908); Dieu, son existence, sa nature (1915); i due volumi De Revelatione (1918), che costituiscono dei basamenti sicuri e ormai imprescindibili per la teologia apologetica, i sette volumi di commento alla Summa Theologiae; il libro stupendo Le seni du mystère et le clair-obscur intellectuel (1934); e i due trattati di spiritualità, che sono testi

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fondamentali per lo studio dei problemi della vita spirituale e per la sua pratica attuazione: Perfection chrétienne et contemplation (1923), e Les trois àges de la vie intérieure (1938). Queste ultime due opere, insieme con una terza, uscita a metà strada tra luna e l'altra: L'amour de Dieu et la Croix de Jésus (1929), formano una trilogia della vita spirituale, nella prima delle quali trattava soprattutto dei principi della teologia ascetica e mistica, applicati ai problemi pratici alla luce di San Tommaso d'Aquino e di San Giovanni della Croce, mentre nella seconda (in ordine di tempo) riprendeva quell'insegnamento facendolo più direttamente convergere nella teologia dell'amore di Dio quale si manifesta in ciò che vi è di più profondo nella vita interiore di Cristo, e per conseguenza in quella del cristiano, che lo deve imitare: il mistero della Croce. «È unicamente per la via regale della Croce che l'anima cristiana entra davvero nella contemplazione soprannaturale dei misteri della fede e li vive in profondità, con amore». Dopo i due primi tentativi (1923 e 1929) di ristrutturare una teologia spirituale chiara, solida e nutriente, Padre Garrigou-Lagrange «non si sentiva ancora soddisfatto», come scrive A. Huerga nella introduzione a una nuova edizione di Perfezione cristiana e contemplazione, in preparazione. Perciò nel 1938 pubblicò - ancora una volta in due volumi, questa volta di maggior mole - una nuova sintesi: Les àges de la vie intérieure: un trattato di teologia ascetica e mistica, certo, ma anche un poema, un prélude teologico. Con quest'opera egli chiudeva la trilogia dei suoi tentativi di ordinare e strutturare il dinamismo della vita mistica. Nella prefazione confessava: «La presente opera è come il riassunto di un corso d'ascetica e mistica da me tenuto più di venti anni fa alla facoltà di teologia del Collegio Angelico di Roma. Riprendo ora in modo più semplice, e allo stesso tempo più elevato, lo studio dei soggetti che già ho trattato in altre due opere: Perfection chrétienne et cantemplation, 1923, e L'Amour de Dieu et la Croix de Jésus, 1929. Per soddisfare una richiesta che mi era stata fatta, ho riunito qui le ricerche precedenti in una grande sintesi, le cui varie parti si equilibrano e si elucidano vicendevolmente». Dichiarava inoltre d'aver cercato di eliminare - certo senza riuscirvi del tutto, egli che era un lottatore nato (la sua lotta fu sempre nobile e a servizio della causa della verità, in sé nobilissima) - le asprezze polemiche d'un tempo.

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Anziché disputare a livello accademico, quel che adesso si proponeva era che la dottrina andasse in aiuto delle anime. La dimensione apostolica costituisce una delle costanti di Garrigou-Lagrange professore e scrittore. Qui però affiora in un'effusione ancor più impetuosa. Ne deriva che la nuova opera presenta, di volta in volta, le caratteristiche del manuale scolastico e del manuale di vita spirituale: in ogni caso un libro di sublime teologia e di apostolato della spiritualità. In realtà nelle Tre età dove, come egli stesso amava ripetere, si concentra la quintessenza della sua teologia, il Padre Garrigou-Lagrange spezza una lancia contro «molte opere di volgarizzazione in materia religiosa» e contro «non pochi libri devozionali» poiché essi «son privi di solido fondamento dottrinale». Per il loro stesso genere letterario quei libri di divulgazione «evitano» (esame di determinati problemi fondamentali che, se risolti alla luce dei grandi principi, si rivelano invece come fonte di luce. «E spesso si tratta di luce essenziale». La ferma adesione ai principi teologici di San Tommaso e di San Giovanni della Croce diede, indubitabilmente, consistenza e trasparenza al magistero del Nostro. Come dicevamo, in quest'opera Padre Garrigou-Lagrange svolge la sua trattazione in un clima di serenità e di pace, a differenza di opere precedenti, compresa Perfezione cristiana e contemplazione, dove la vis polemica fa spesso capolino. Bisogna dire, a questo proposito, che in molte di quelle opere, specialmente tra le più antiche, si ritrova la testimonianza dell'azione battagliera che egli svolse come campione nella lotta contro il modernismo e le sue implicazioni razionalistiche, positivistiche, soggettivistiche, laicistiche. Ma al di sopra delle contingenze storiche in cui furono composte, quelle opere dischiudono al lettore, ancora oggi, apporti definitivi su molti problemi che continuamente si pongono allo spirito umano: specialmente intorno al rapporto tra natura e grazia, al valore della ragione umana nella ricerca della verità, alla stabilità e al progresso del dogma, al senso vero del soprannaturale. Del resto, ciò che spiccava in Padre Garrigou-Lagrange era (universalità del suo sapere teologico e filosofico. Meno portato alla specializzazione su punti particolari, egli tutto comprendeva, esplorava e giudicava in una sintesi più vasta, sulla linea dei grandi teologi classici, e specialmente di San Tommaso d'Aquino. Non che sui punti particolari la sua considerazione fosse superficiale e poco scientifica: tutt'altro; ma i teologi di razza come Garrigou-Lagrange non sono mai uomini di una sola tesi o di un solo libro, bensì abbracciano nella loro visione,

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accompagnata dalla versatilità e fertilità dell'ingegno, tutto l'orizzonte del pensiero e della vita, su cui proiettano la luce della loro sintesi sapienziale. Così si spiega che il Nostro, da quando cominciò la sua attività di scrittore nel 1904, con un articolo della Revue Thomiste («Notes sur la preuve de Dieu par les degrés des étres chez St. Thomas»), si sia occupato di una quantità di problemi e di temi, che impressiona. Un lavoro immenso, la cui mole basterebbe da sola a giustificare la vita di un uomo e ad imporre venerazione per la sua memoria; ma a questo lavoro si devono aggiungere la direzione spirituale, la predicazione di ritiri e di esercizi, i corsi di conferenze e di lezioni, la consulenza teologica a studiosi che ricorrevano a lui da tutto il mondo, la trattazione di pratiche presso la curia romana e specialmente presso la Sacra Congregazione dei Seminari e delle Università degli Studi e il Sant'Uffizio, di cui era consultore: attività sempre svolta da lui con spirito soprannaturale, con discrezione e finezza, con generosa dedizione, che gli meritarono la stima e l'affetto, come degli alunni, così di confratelli, superiori, amici, lettori. e si vuole un giudizio complessivo sull'uomo, sulla sua vita e sulla sua opera, sia lecito attingere agli appunti riservati del Maestro Generale dell'Ordine Domenicano, P. Michele Browne, in seguito Cardinale, che nel 1957, in occasione dell'ottantesimo anno di età del Padre Garrigou-Lagrange scriveva: «Nessuna mia parola potrebbe adeguatamente descrivere i meriti di Padre Garrigou-Lagrange verso la Santa Sede e verso l'Ordine Domenicano. Teologo dottissimo e profondissimo, formato da insigni maestri alla scuola di San Tommaso e dei grandi tomisti, professore famoso, autore di innumerevoli scritti teologici e filosofici, nella grande crisi del modernismo come nelle controversie dottrinali odierne, il Padre Garrigou-Lagrange ne per latam quidem unguem si è mai scostato dalle direttive del magistero della Chiesa né dalla fedeltà alla dottrina di San Tommaso. Oltre il suo indefesso lavoro nel campo generale della teologia e filosofia tomista, si è dato con zelo particolare allo studio ed all'insegnamento della dottrina della perfezione cristiana. «Come religioso, la sua vita è sempre stata di una esemplarità straordinaria: ubbidiente come un bambino, semplicissimo nel suo tenore di vita, senza alcuna pretesa a trattamento particolare, economo in sommo grado del tempo, assiduo nell'assistenza a tutti gli atti comuni, massimamente a quelli della vita corale, pieno di carità verso i confratelli e verso i poveri ed afflitti, sempre a disposizione per confessare e per dirigere le anime, nonostante le sue occupazioni come professore.

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L'esempio di virtù religiosa che ha dato in quarantotto anni di residenza all'Angelicum, è tale che l'Ordine Domenicano non potrà mai dimenticare. «Nel periodo delle vacanze estive, il Padre Garrigou-Lagrange si è dato quasi completamente al lavoro apostolico e di sacro ministero, in maniera particolare alla predicazione di esercizi spirituali a religiosi, predicando fino a sei e sette corsi di esercizi durante le vacanze...». Si direbbe che sia questo il sommario per una bolla di canonizzazione! Che cosa si potrebbe dire di meglio sulla vita di un religioso? Dobbiamo ora aggiungere qualche parola sul nostro caro Maestro e Confratello in hora mortis. A quest'ora il Padre Garrigou-Lagrange venne preparato da un lungo processo di spogliamento umano, che in lui, teologo delle «purificazioni passive», ha forse un significato misterioso ed esemplare, che non è facile indagare e decifrare nel fondo di un'anima dove si nasconde il segreto di Dio, ma che tuttavia può essere quasi percepito da chi consideri il fatto di uno studioso instancabile, di un luminare della scuola e della cultura teologica, che dopo tanti anni di studio e di insegnamento, viene privato, prima della parola, e poi dell'uso dell'intelligenza e ridotto, si può dire, per più di due anni, a una vita quasi esclusivamente vegetativa e sensitiva (a differenza di Papini, immobilizzato in tutto, ma vivido fino all'ultimo nello spirito sì da poter celebrare la «felicità dell'infelice». Al Padre Garrigou-Lagrange non fu concessa questa beatitudine). Non sarà lecito intravvedere in questo fatto una disposizione della Provvidenza, che ha voluto far conchiudere la carriera terrena di un grande maestro e direttore di anime, con un'ultima lezione, una lezione di vita: quella appunto dello spogliamento totale, della purificazione definitiva? In realtà, tutta la vita del Padre Garrigou-Lagrange si era svolta sotto la condotta paterna e sapiente di Dio, non senza fatiche e pene, mortificazioni e discipline, e soprattutto con la penitenza del vivere quotidiano, che lo legava a una rigorosa ascesi del pensiero e dello studio, anche se per molti anni il Signore gli aveva risparmiato, come egli stesso, ormai anziano, riconosceva con gratitudine, due croci: la malattia e il superiorato.

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Negli ultimi anni, qualche volta il Padre fu nominato «Vicario» della comunità dell'Angelicum durante i mesi estivi. Ricordiamo che prendeva molto sul serio quell'ufficio, anche se in comunità eravamo ridotti a due o tre religiosi. E una volta, chiedendogli per celia che cosa si provava a essere "Superiori", Padre Garrigou-Lagrange ci rispose con tutta serietà: «Si capisce che si è tanto inferiori...». Piccola croce, questa, in confronto a quella della malattia finale che lo afflisse così a lungo, e lo portò alla morte. Ma fino agli ultimi intervalli di lucidità, il Padre Garrigou-Lagrange la accettò con spirito di fede e col Rosario tra le mani. Lui che aveva scritto così bene sulla Madonna e sulla devozione illuminata e soprannaturale che l'anima cristiana deve avere per lei, finiva la sua vita all'ombra di Maria, secondo la tradizione del suo Ordine: nel Rosario trovava l'ancora della fede e l'ultimo segnacolo della pietà, della contemplazione orante, della filiale devozione alla Madonna che avevano so-stanziato di soprannaturalità tutta la sua vita e che ormai, sulle soglie della morte, già lasciavano penetrare nel suo spirito, oltre l'umana miseria della carne inferma e il mistero della prova finale, una fragranza celeste.

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P. Raimondo Spiazzi 0. P. Garrigou-Lagrange o.p. Le tre eta' della vita interiore Vol. I LA VITA INTERIORE INTRODUZIONE L'unica cosa necessaria Mi propongo di far qui la sintesi di due altre opere: Perfezione cristiana e contemplazione, L'amor di Dio e la croce di Gesù, nelle quali, al lume dei principi di San Tommaso, ho studiato i problemi principali della vita spirituale, in particolare quello che mi si presentò in modo più esplicito in questi ultimi anni: La contemplazione infusa dei misteri della fede e l'unione con Dio che ne consegue è forse in se stessa una grazia straordinaria, oppure si trova, al contrario, nella via normale della santità? Vorrei ora riprendere tale questione in modo più semplice e in pari tempo più elevato, con la dovuta prospettiva, per vedere meglio la subordinazione di tutte le cose della vita interiore in rapporto all'unione con Dio. A tale scopo si considereranno primieramente i fondamenti della vita interiore, - quindi l'allontanamento degli ostacoli, - il progresso dell'anima purificata e rischiarata dalla luce dello Spirito Santo, la docilità che deve avere rispetto a Lui, e finalmente l'unione a Dio alla quale conducono questa docilità, lo spirito di preghiera e la croce portata con pazienza, riconoscenza ed amore. A modo d'introduzione, ricordo brevemente ciò che è l'unico necessario per ogni cristiano e come tale questione si presenti urgente nell'ora attuale. I. L'UNICA COSA NECESSARIA La vita interiore, come può facilmente concepirsi da ognuno, è una forma elevata della conversazione intima che ciascuno di noi fa con se stesso non appena si ritrova solo, sia pure in mezzo al tumulto delle vie di una grande città. Tosto che l'uomo cessa dal conversare coi suoi simili, conversa interiormente con se stesso su quanto maggiormente lo interessa. Tale conversazione varia assai secondo le diverse età della

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vita; quella del vecchio non è quella del giovane; varia ancor molto secondo che l'uomo è buono o cattivo. Se cerca seriamente la verità e il bene, questa conversazione intima con se medesimo tende a diventare conversazione con Dio, e a poco a poco, invece di ricercarsi in tutto, invece di tendere, in modo più o meno cosciente, a fare di sé il punto centrale, l'uomo tende a ricercare Dio in ogni cosa, ed a sostituire all'egoismo l'amore di Dio e delle anime in Lui. Tale è la vita interiore; e non v'è uomo sincero che non possa riconoscerlo senza difficoltà. L'unica cosa di cui parlava Gesù a Marta ed a Maria consiste nell'ascoltare la parola di Dio e nel viverla. La vita interiore concepita in tal modo è in noi qualcosa di assai più profondo e necessario della vita intellettuale o del culto delle scienze, della vita artistica e letteraria, sociale o politica. Troviamo, purtroppo, molti grandi scienziati, matematici, fisici, astronomi, che non hanno, per dir così, alcuna vita interiore; si dedicano allo studio della loro scienza come se Dio non esistesse, e nei loro momenti di solitudine non hanno alcuna conversazione intima con Lui. Sotto qualche aspetto sembra che anch'essi ricerchino, nella loro vita, il vero e il buono in un ambito più o meno circoscritto, ma tale ricerca è talmente contaminata dall'amor proprio e dall'orgoglio intellettuale, che vien fatto di domandarci se veramente porterà frutti per l'eternità. Non pochi artisti, letterati, e molti uomini politici s'elevano ben poco sopra questo livello di un'attività puramente umana e, tutto considerato, assai esteriore. Nell'intimo della loro anima vivono forse di un bene superiore a loro stessi, e cioè di Dio? A dir vero, non sembrerebbe. Questo ci dimostra come la vita interiore, o vita dell'anima con Dio, meriti davvero di essere chiamata l' unica cosa necessaria, perché è per essa che tendiamo verso il nostro ultimo fine e assicuriamola nostra salvezza, che non dobbiamo troppo separare dalla santificazione progressiva perché questa è la via stessa della salute. Molti sembrano pensare che, in ultima analisi, ciò che conta è di salvarsi, e non è quindi necessario essere un santo. Che non sia necessario essere uno di quei santi che operano miracoli, la cui santità è riconosciuta ufficialmente dalla Chiesa, è cosa evidente; ma se vogliamo salvarci dobbiamo prendere la via della salvezza, e questa è in pari tempo quella della santità.

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In cielo non vi saranno che dei santi, sia che vi siano entrati immediatamente dopo la loro morte, sia che abbiano avuto bisogno d'essere purificati nel purgatorio. Nessuno entra in cielo se non ha quella santità che consiste nell'essere puro da ogni macchia. Perché un'anima possa godere per sempre della visione di Dio, vederlo ed amarlo come egli vede ed ama se stesso, ogni colpa anche veniale deve essere cancellata, e la pena dovuta al peccato scontata o rimessa. Se un'anima entrasse in cielo prima della remissione totale delle sue colpe, non potrebbe restarvi, e da se stessa si precipiterebbe nel purgatorio per esservi purificata. La vita interiore del giusto che tende a Dio, e che già vive di Lui, è veramente l'unica cosa necessaria. È evidente che per essere un santo non è indispensabile aver ricevuto una cultura intellettuale, e spiegare grande attività esteriore; basta vivere profondamente di Dio. È appunto quanto vediamo nei santi della chiesa primitiva, di cui molti erano povera gente, e magari anche schiavi; come possiamo vedere in San Francesco, in San Benedetto Giuseppe Labre, nel Curato d'Ars e in tanti altri. Tutti hanno compreso profondamente questa parola del Salvatore: «A che serve guadagnare il mondo intero, se poi perdiamo l'anima?» (Mt 16, 26). Se sacrifichiamo tante cose per salvare la vita del corpo, che dopo tutto dovrà morire, come non dobbiamo esser pronti a tutto sacrificare per salvare la vita dell'anima destinata a durare in eterno? E non deve l'uomo amare la propria anima più del suo corpo? «Che darà un uomo in cambio dell'anima sua?», soggiunge il Salvatore (ibid.). Unum est necessarium, dice pure Gesù (Lc 10, 42) . Una sola cosa è necessaria, ascoltare la parola di Dio e viverla per salvare l' anima propria. E' questa la parte migliore che non può essere tolta all'anima fedele anche se questa avesse perduto tutto il resto. Garrigou-Lagrange o.p. Le tre eta' della vita interiore Vol. I LA VITA INTERIORE INTRODUZIONE La questione della sola cosa necessaria nell'epoca nostra

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Quanto abbiamo detto è vero per tutti i tempi, mala questione della vita interiore si presenta oggi in modo più impellente che in altre epoche meno inquiete della nostra. Ciò avviene perché tanti uomini si sono separati da Dio, cercando di organizzare la vita intellettuale e quella sociale senza di Lui. I grandi problemi che hanno sempre preoccupato l'umanità, hanno preso un aspetto nuovo e spesso tragico. Il voler fare senza Dio, causa prima e ultimo fine, conduce a degli abissi; non solo conduce al nulla, ma alla miseria fisica e morale peggiore del nulla. I grandi problemi si aggravano allora sino all'esasperazione, e l'uomo deve accorgersi finalmente che tutti debbono far capo allo stesso punto, quello cioè di rimettere in campo il problema religioso, e di considerarlo a fondo; tutti dovranno pronunziarsi definitivamente o per Dio o contro di Lui, e qui sta appunto il problema della vita interiore in quello che ha di più essenziale. «Qui non est mecum, contra me est», dice il Salvatore (Mt 12, 30). Così le grandi tendenze moderne, scientifiche e sociali, in mezzo ai conflitti che insorgono tra loro, e nonostante l'opposizione degli scopi dei loro rappresentanti, convergono - volere o no - verso la questione fondamentale dei rapporti intimi dell'uomo con Dio. A questo punto si arriva dopo molte deviazioni. Quando l'uomo non vuol più adempiere i suoi primi doveri religiosi verso Chi l'ha creato ed è suo ultimo fine, non potendo assolutamente fare a meno della religione, se ne crea una a modo suo; mette, per esempio, la sua religione nella scienza, o nel culto della giustizia sociale, in qualche ideale umano, che finisce col considerare in modo religioso ed anche mistico, per sostituirlo all'ideale superiore che ha abbandonato. Egli si scosta in tal modo dalla suprema Realtà, e pone avanti a sé una massa di problemi che, per amore o per forza, non potranno avere soluzione alcuna se non ritornando al problema fondamentale dei rapporti intimi dell'anima con Dio. Già è stato osservato più volte come ai giorni nostri la scienza pretenda essere una religione; in pari tempo il socialismo e il comunismo vogliono essere una morale scientifica e si presentano come un culto febbrile della giustizia, sforzandosi in tal modo di soggiogare gli spiriti ed i cuori. E' un fatto che nell'ora attuale, il dotto moderno sembra avere un culto scrupoloso del metodo scientifico, al punto da sembrare talvolta che preferisca il metodo della ricerca alla verità stessa. Se apportasse eguale diligenza e serietà nell'affare della sua vita interiore, egli giungerebbe ben presto alla santità. Troppo spesso, però, questa religione della

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scienza è ordinata piuttosto all'apoteosi dell'uomo che all'amore di Dio. Lo stesso dobbiamo dire dell'attività sociale, in particolare sotto la forma che riveste nel socialismo e nel comunismo. Questa infatti s'ispira ad un misticismo che vuol tendere verso una trasfigurazione dell'uomo, negando talvolta nel modo più assoluto i diritti di Dio. Tutto ci porta a concludere che nel fondo d'ogni grande problema si ritrova sempre il problema religioso dei rapporti dell'uomo con Dio. Dobbiamo dichiararci favorevoli o contrari; non è possibile restare indifferenti. L'epoca attuale ce lo dimostra in modo impressionante. La crisi economica mondiale del momento presente ci mostra ad evidenza quello che gli uomini possono fare da loro stessi quando vogliono fare a meno di Dio. Quando si vuol fare a meno di Dio, la serietà della vita viene ad essere spostata. Se la religione non è più cosa seria e grave, ma cosa di cui si può sorridere, è necessario allora cercare altrove la serietà. Si pone, o per lo meno si pretende porla nella scienza, o nell'attività sociale; si vuol lavorare religiosamente alla ricerca della verità scientifica, oppure all'avvento della giustizia tra le classi e fra i popoli. E dopo qualche tempo si è costretti a constatare che si va incontro ad un immane disordine, e che i rapporti tra gl'individui e tra i popoli divengono sempre più difficili, per non dire impossibili. È chiaro - come già dissero Sant'Agostino e San Tommaso - che gli stessi beni materiali, al contrario di quelli dello spirito, non possono appartenere integralmente a più persone allo stesso tempo. La stessa cosa, la stessa terra non possono appartenere totalmente nello stesso tempo a diversi individui; né lo stesso territorio a diversi popoli. Di qui il terribile conflitto degl'interessi, quando l'ultimo fine viene collocato febbrilmente in questi beni inferiori. Al contrario - e Sant'Agostino vi insiste con compiacenza - gli stessi beni spirituali possono appartenere simultaneamente e integralmente a tutti e ad ognuno. Senza nuocere l'uno all'altro, possiamo possedere pienamente la stessa verità, la stessa virtù, lo stesso Dio. Per questo, nostro Signore ci ha detto: Cercate il regno di Dio, e tutto il resto vi sarà dato per giunta (Mt 6, 33) . Non ascoltare questa lezione è lavorare alla propria rovina. Si verifica quindi ancora una volta la parola del Salmo 126,1: «Nisi Dominus aedificaverit donum, in vanum laboraverunt qui aedificant eam; nisi Dominus custodierit civitatem, frustra vigilat qui custodit eam. Se

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Dio non edifica la casa, invano lavorano coloro che la costruiscono; se Dio non veglia sopra la città, invano vigilano alle sue porte le sentinelle». Se il lato serio della vita viene spostato, se non riguarda più i nostri doveri verso Dio, ma l'attività scientifica o sociale dell'uomo; se l'uomo cerca continuamente se stesso invece di cercare Dio, suo ultimo fine, i fatti non tarderanno a mostrargli che si è impegnato in una via impossibile che conduce, non solo al nulla, ma ad un disordine insopportabile e alla miseria. È indispensabile il ritorno a quelle parole del Salvatore: Chi non è con me è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde (Mt 12, 20) . I fatti le confermano. Ne consegue che la religione non può dare una risposta efficace, veramente realista, ai grandi problemi attuali se non è una religione profondamente vissuta; non soltanto una religione superficiale e a buon mercato, che potrebbe consistere in qualche preghiera vocale, in qualche cerimonia in cui l'arte religiosa avesse maggior posto della vera pietà. Ora, non v'è religione profondamente vissuta senza vita interiore, senza questa conversazione intima e frequente di ciascuno di noi, non solo con se stesso, ma anche con Dio. È questo (insegnamento delle ultime Encicliche di S.S. Pio XI. Per rispondere alle aspirazioni generali dei popoli, in quello che hanno di buono, aspirazioni alla giustizia e alla carità tra gl'individui, le classi e i popoli, il supremo Pastore ha scritto le Encicliche riguardanti Cristo Re, il suo influsso santificatore su tutto il Corpo Mistico, la famiglia, la santità del matrimonio cristiano, le questioni sociali, la necessità della riparazione, le missioni. In tutte queste encicliche si tratta del regno di Dio sopra (intera umanità. Da tutto il loro complesso risulta evidente che per mantenere la preminenza che sull'attività scientifica e su quella sociale deve avere la religione, la vita interiore deve essere profonda, deve essere vera vita d'unione con Dio. È una necessità evidente. Garrigou-Lagrange o.p. Le tre eta' della vita interiore Vol. I LA VITA INTERIORE INTRODUZIONE Scopo di quest'opera Come ragioneremo qui della vita interiore? Non intendiamo trattare in modo tecnico questioni già ampiamente esposte dai teologi sulla grazia

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santificante e sulle virtù infuse. Le supponiamo conosciute e non vi accenneremo che nella misura necessaria per (intelligenza di ciò che deve essere la vita spirituale. Il nostro scopo è d'invitare le anime a divenire più interiori e a tendere all'unione con Dio.. A tal fine, due scogli assai diversi l'uno dall'altro, sono da evitare. Avviene spesso che lo spirito animatore della ricerca scientifica, anche in queste materie, s'indugia sopra i particolari, al punto da deviare il pensiero dalla contemplazione delle cose divine. Nella maggior parte le anime interiori non hanno bisogno di tante ricerche indispensabili al teologo; per comprendere dovrebbero avere una iniziazione filosofica che non hanno, e che, in un certo senso, sarebbe loro d'imbarazzo, poiché o di colpo o per altre vie salgono più in alto, come San Francesco d'Assisi, il quale si meravigliava di vedere come nei corsi di filosofia fatti ai suoi religiosi ci si occupasse ancora a dimostrare l'esistenza di Dio. Oggi la specializzazione, talvolta esagerata, degli studi fa sì che molte intelligenze manchino delle vedute generali necessarie per giudicare sapientemente delle cose, anche di quelle di cui si occupano in modo speciale e delle quali non scorgono più il rapporto colle altre. Il culto del particolare non deve far perdere la veduta d'insieme. Invece di spiritualizzarsi ci si materializza e sotto pretesto di scienza esatta e minuziosa ci si scosta dalla vera vita interiore e dall'alta sapienza cristiana. D'altra parte, molte opere di volgarizzazione in materia religiosa e parecchi libri di pietà mancano di un solido fondamento dottrinale. La volgarizzazione, a motivo del genere di semplificazione un po' materiale che ad essa s'impone, evita spesso l'esame di problemi fondamentali e difficili, da cui, tuttavia, scaturirebbe luce, e talvolta luce vitale. Per sfuggire questi due scogli opposti, seguiremo la via indicataci da San Tommaso, il quale se non fu un volgarizzatore, rimane però sempre il grande classico della teologia. Dalla dotta complessità delle sue prime opere e delle questioni disputate, si elevò alla semplicità superiore dei più belli articoli della Somma teologica. E seppe elevarsi così bene, che al termine della sua esistenza, assorto in sublime contemplazione, non gli fu possibile dettare l'ultima parte della Somma, perché più non poteva discendere alla complessità delle questioni e degli articoli che voleva ancora comporre. L'arrestarsi al particolare e la semplificazione superficiale allontanano in modo diverso dalla contemplazione cristiana, la quale si eleva al disopra

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di queste deviazioni opposte, come un'eccelsa vetta verso cui tendono tutte le anime di orazione. Garrigou-Lagrange o.p. Le tre eta' della vita interiore Vol. I LA VITA INTERIORE INTRODUZIONE Oggetto della teologia ascetica e mistica Dalle stesse materie che deve trattare, vediamo come la teologia ascetica e mistica è un ramo, ossia una parte della Teologia, un'applicazione della teologia alla condotta delle anime. Deve dunque procedere al lume della Rivelazione, perché questa sola permette di conoscere che cos'è la vita della grazia e l'unione soprannaturale dell'anima con Dio. Questa parte della teologia è soprattutto uno svolgimento del trattato dell'amor di Dio e di quello dei doni dello Spirito Santo, per mostrarne le applicazioni, o per condurre le anime all'unione divina. Allo stesso modo la casistica è - in un campo meno elevato - un'applicazione della teologia morale per discernere praticamente ciò che è obbligatorio sotto pena di peccato mortale o veniale. La teologia morale non deve trattare soltanto dei peccati da evitare, ma delle virtù da praticarsi, e della docilità nel seguire le ispirazioni dello Spirito Santo. Sotto questo aspetto le sue applicazioni si chiamano ascetica e mistica. L'ascetica tratta soprattutto della mortificazione dei vizi o difetti e della pratica delle virtù. La mistica tratta principalmente della docilità allo Spirito Santo, della contemplazione infusa dei misteri della fede, dell'unione a Dio che ne risulta, ed ancora delle grazie straordinarie - come visioni e rivelazioni - che accompagnano talvolta la contemplazione infusa. A riguardo poi del quesito se l'ascetica sia essenzialmente ordinata alla mistica, noi l'esamineremo chiedendoci se la contemplazione infusa dei misteri della fede e l'unione di Dio che ne deriva sia una grazia di per sé straordinaria, come le visioni e le rivelazioni, o se non sia piuttosto nei perfetti l'esercizio eminente, ma normale, dei doni dello Spirito Santo che si trovano in tutti i giusti. La risposta a tale questione, assai discussa ai nostri giorni, formerà la conclusione di quest'opera.

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Garrigou-Lagrange o.p. Le tre eta' della vita interiore Vol. I LA VITA INTERIORE INTRODUZIONE Metodo della teologia ascetica e mistica Quanto al metodo da seguirsi, ci limiteremo qui all'essenziale. Quello che importa è di evitare due deviazioni contrarie in cui è facile incorrere; una derivante dall'uso quasi esclusivo del metodo descrittivo o induttivo, l'altra da un eccesso opposto. L'uso quasi esclusivo del metodo descrittivo o induttivo induce a dimenticare che l'ascetica e la mistica sono un ramo della teologia, e in ultimo a considerarle come una parte della psicologia sperimentale. In tal modo non si farebbe altro che radunare il materiale della teologia mistica. Con la perdita del lume direttivo, tutto verrebbe ad essere impoverito e diminuito. È coi grandi principi della teologia sulla vita della grazia, delle virtù infuse e dei sette doni che dobbiamo trattare la mistica. Allora tutto s'illumina, e ci troviamo davanti ad una scienza e non già davanti ad una collezione di fenomeni, descritti più o meno bene. Inoltre, usando quasi esclusivamente il metodo descrittivo, si resta soprattutto colpiti dai segni più o meno sensibili degli stati mistici, e non dalla legge fondamentale del progresso della grazia la cui soprannaturalità essenziale è d'ordine troppo elevato per cadere sotto il dominio dell'osservazione. Allora si presterebbe maggiore attenzione a certe grazie straordinarie e in qualche modo esteriori, come visioni, rivelazioni, stimmate, ecc., che allo svolgimento normale ed elevato della grazia santificante, delle virtù infuse e dei doni dello Spirito Santo. Di qui la tentazione di confondere ciò che è straordinario di per se stesso con quello che non lo è che di fatto, vale a dire ciò che è eminente, ma normale; di confondere l'unione intima con Dio nelle sue forme più elevate con le grazie straordinarie e relativamente inferiori che talvolta l'accompagnano. Finalmente, l'uso esclusivo del metodo descrittivo darebbe troppa importanza al fatto, facilmente riscontrabile, che l'unione intima con Dio e la contemplazione infusa dei misteri della fede sono relativamente rare. Ciò farebbe pensare che tutte le anime interiori e generose non vi

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sono chiamate nemmeno con un appello remoto e generale. E non sarebbe forse un dimenticare le parole di nostro Signore, spesso qui ricordate dai mistici: «Molti sono i chiamati, pochi gli eletti»? È necessario, d'altra parte, guardarsi da un'altra deviazione che potrebbe nascere dall'uso quasi esclusivo del metodo teologico deduttivo. Certi spiriti un po' ingenui sono portati a dedurre la soluzione dei problemi più difficili della spiritualità partendo dalla dottrina comune in teologia sopra le virtù infuse e i doni, tale e quale viene esposta da San Tommaso, senza considerare abbastanza le magnifiche descrizioni dateci da Santa Teresa, San Giovanni della Croce, San Francesco di Sales ed altri grandi santi, dei diversi gradi della vita spirituale, e particolarmente dell'unione mistica. Ora, è precisamente a questi fatti che qui dobbiamo applicare i principi, o per meglio dire, sono questi fatti, ben conosciuti in se stessi, che dobbiamo in primo luogo rischiarare alla luce dei principi soprattutto per discernere quanto in essi vi può essere di veramente straordinario e quanto è eminente, ma normale. L'uso eccessivo del metodo deduttivo potrebbe condurre ad una confusione radicalmente opposta a quella accennata sopra. Siccome i sette doni dello Spirito Santo - secondo la Tradizione e secondo San Tommaso - sono in ogni anima in stato di grazia, saremmo forse inclinati a credere che lo stato mistico o la contemplazione infusa siano assai frequenti, e potremmo confondere con questi ciò che non ne è che il preludio, come ad es. l'orazione affettiva semplificata. Saremmo pertanto indotti a non tenere abbastanza conto dei fenomeni concomitanti di certi gradi di unione mistica, come la legatura (dei sensi) e l'estasi, e cadremmo nell'estremo opposto a quello dei partigiani del solo metodo descrittivo. Praticamente in conseguenza a questi due eccessi, vi sono pure due estremi da evitare nella direzione delle anime: far loro abbandonare troppo presto o troppo tardi la via ascetica. Ne riparleremo distesamente nel corso di quest'opera. Si comprende dunque come sia necessario unire insieme i due metodi, induttivo e deduttivo, analitico e sintetico. Dobbiamo anzitutto analizzare bene le nozioni ed i fatti della vita spirituale; in primo luogo analizzare le nozioni della vita interiore, della perfezione cristiana, della santità che ci dà il Vangelo, per vedere

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chiaramente il fine proposto dallo stesso Salvatore a tutte le anime interiori, e per scorgerlo in tutta la sua elevatezza, senza punto diminuirlo. Dobbiamo quindi analizzare i fatti: imperfezione dei principianti, purificazione attiva e passiva, gradi diversi di unione, ecc., per distinguere in essi l'essenziale dall'accessorio. Dopo questo lavoro d'analisi, dobbiamo fare la sintesi e mostrare ciò che è necessario o assai utile e desiderabile per giungere alla pienezza della perfezione cristiana, e ciò che, al contrario, è propriamente straordinario e non richiesto affatto per la più alta santità. Parecchie di tali questioni sono difficilissime, sia a motivo dell'elevatezza dell'oggetto trattato, sia per le contingenze che s'incontrano nell'applicazione e che dipendono o dal temperamento delle persone (la dirigersi, oppure dal beneplacito di Dio, il quale talvolta può accordare, per esempio, la grazia della contemplazione a dei principianti e ritirarla momentaneamente ad anime più inoltrate nelle vie dello spirito. Date queste molteplici difficoltà, lo studio dell'ascetica e della mistica richiedono una profonda conoscenza della teologia, soprattutto dei trattati della grazia, delle virtù infuse, dei doni dello Spirito Santo nei loro rapporti coi grandi misteri della Trinità, dell'Incarnazione, della Redenzione, dell'Eucaristia. Richiede inoltre la conoscenza dei grandi autori spirituali, soprattutto di quelli che la Chiesa designa come guida in tali questioni.

INTRODUZIONE 00 Introduzione 01L'unica cosa necessaria 02 La questione della sola cosa necessaria nell'epoca nostra 03 Scopo di quest'opera 04 Oggetto della teologia ascetica e mistica

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05 Metodo della teologia ascetica e mistica 00 Parte prima Origine e fine della vita interiore Prologo 01 La vita eterna 02 La vita eterna promessa dal Salvatore agli uomini di buona volontà 03 Il germe della vita eterna in noi 04 Conseguenza importante Garrigou-Lagrange o.p. Le tre eta' della vita interiore Vol. I LA VITA INTERIORE Parte prima- Origine e fine della vita interiore Prologo Poiché la vita interiore è una forma ognora più cosciente della vita della grazia in ogni anima generosa, parleremo primieramente della vita della grazia per vederne tutto il valore. Passeremo poi a considerare che cosa sia l'organismo spirituale delle virtù infuse e dei doni dello Spirito Santo, che derivano dalla grazia santificante in ogni anima giusta. Tutto questo ci condurrà a parlare dell'abitazione della SS. Trinità nell'anima dei giusti, come pure del perenne influsso che esercita sopra di questa Nostro Signore Gesù Cristo, mediatore universale, e Maria, mediatrice di tutte le grazie.

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Tali sono le sorgenti della vita interiore che troviamo molto in alto, come la sorgente dei fiumi che scaturisce dalle vette delle più alte montagne. Ed è appunto perché discende da grande altezza, che la nostra vita interiore pub risalire sino a Dio e condurci ad una unione di grande intimità con Lui. In questa prima parte, dopo aver parlato dell'origine della vita interiore, tratteremo del suo fine, vale a dire della perfezione cristiana alla quale è ordinata e dell'obbligo di tendervi, ciascuno secondo la propria condizione. In tutte le cose dobbiamo in primo luogo considerare il fine, poiché questo è il primo nell'ordine d'intenzione benché sia l'ultimo di esecuzione. È il fine a cui aneliamo sin dall'inizio, sebbene non possiamo ottenerlo che in ultimo luogo. Ecco il motivo per cui Nostro Signore ha incominciato la sua predicazione col parlarci delle beatitudini, e perché ancora la teologia morale ha il suo inizio col trattato dell'ultimo fine al quale debbono essere ordinate tutte le nostre azioni. Garrigou-Lagrange o.p. Le tre eta' della vita interiore - Vol. I LA VITA INTERIORE Parte prima- Origine e fine della vita interiore Cap. I- La vita della grazia, principio di vita eterna La vita eterna La vita interiore del cristiano suppone lo stato di grazia che è contrario allo stato di peccato mortale. Nel piano attuale della Provvidenza, ogni anima si trova o in stato di grazia o in quello di colpa mortale; in altri termini, o è rivolta a Dio, ultimo fine soprannaturale, o ha deviato da Lui. Non v'è uomo che possa trovarsi in uno stato puramente naturale, essendo tutti chiamati al fine soprannaturale, che consiste nella visione immediata di Dio e nell'amore che ne risulta. Sin dal giorno della creazione l'umanità fu ordinata a questo fine supremo. E, dopo la caduta, è ancora verso tal fine che ci conduce il Salvatore, offertosi vittima per la salute di tutti gli uomini. Per possedere una vera vita interiore non è certamente sufficiente trovarsi in stato di grazia, com'è un bambino dopo il battesimo, o un penitente dopo l'assoluzione delle sue colpe. La vita interiore richiede,

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inoltre, una lotta contro tutto ciò che può farci ricadere nel peccato, ed un serio impegno dell'anima a tendere verso Dio. Se avessimo una conoscenza profonda dello stato di grazia, vedremmo che esso non è solamente il principio d'una vita veramente interiore e santissima, ma che è ancora il germe della vita eterna. È necessario insistere fin dal principio su questo punto, ricordando la parola di San Tommaso: Bonum gratiae unius maius est quam bonum naturae totius universi: il minimo grado di grazia santificante vale più di tutti i beni naturali dell'intero universo (I° II°, q. 113, a. 9, ad 2); poiché la grazia è il germe della vita eterna, la quale è incomparabilmente superiore alla vita naturale dell'anima nostra o a quella degli angeli. Ecco quanto può mostrarci, più d'ogni altra cosa, il valore della grazia santificante, ricevuta nel battesimo, e che l'assoluzione ci restituisce se abbiamo avuto la disgrazia di perderla. Non possiamo conoscere il valore di un germe se non conosciamo in qualche modo ciò che ne può nascere in seguito. Per sapere, per esempio - nell'ordine della natura - il valore del germe contenuto in una ghianda, è necessario aver vista una quercia nel suo pieno sviluppo. Nell'ordine umano, per conoscere il valore dell'anima ragionevole che ancora sonnecchia nel bambino, bisogna sapere qual è normalmente la forza di un'anima in un uomo che ha raggiunto il suo pieno sviluppo. Così pure non possiamo conoscere il valore della grazia santificante che sta nell'anima di un piccolo battezzato e nei giusti, se non abbiamo considerato, per lo meno imperfettamente, ciò che sarà il pieno sviluppo di questa grazia nella vita dell'eternità. E ci è utile considerarlo alla luce stessa delle parole del Salvatore, le quali sono «spirito e vita», e contengono un sapore superiore a ogni commentario. Il linguaggio del Vangelo, lo stile di Nostro Signore ci portano alla contemplazione in modo assai più immediato del linguaggio tecnico della teologia per quanto sicura e sublime. Niente di più salutare del respirare l'aria purissima di quelle altezze d'onde scendono le acque vive del fiume della dottrina cristiana. Garrigou-Lagrange o.p. Le tre eta' della vita interiore - Vol. I LA VITA INTERIORE Parte prima- Origine e fine della vita interiore Cap. I- La vita della grazia, principio di vita eterna

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La vita eterna promessa dal Salvatore agli uomini di buona volontà L'espressione «vita eterna» è rara nell'Antico Testamento, dove la ricompensa dei giusti dopo la morte è spesso presentata in modo simbolico, per esempio, sotto la figura della terra promessa. Ciò si comprende ancora meglio dal fatto che i giusti dell'Antico Testamento, dopo la morte, dovevano aspettare il compimento della Passione del Salvatore e del Sacrificio della croce per vedersi schiudere le porte del cielo. Nell'Antico Testamento, tutto era anzitutto ordinato alla venuta del Salvatore promesso. Nella predicazione di Gesù, invece, tutto è ordinato immediatamente alla vita eterna. E se osserviamo con attenzione le sue parole, vedremo quanto questa vita eterna differisca dalla vita futura di cui parlarono i migliori filosofi, come ad esempio un Platone. La vita futura era ai loro occhi di ordine naturale e la concepivano come «un bel rischio da correre» senza averne, tuttavia, una certezza assoluta. Il Salvatore, invece, parla con la più assoluta sicurezza non soltanto d'una vita futura, ma della vita eterna superiore al passato, al presente e al futuro, vita tutta soprannaturale misurata coll' unico presente come la vita intima di Dio, di cui essa è una partecipazione dell'immobile eternità. Gesù insegna che stretta è la via che conduce alla vita eterna, che per ottenerla dobbiamo abbandonare il peccato, ed osservare i comandamenti di Dio. Nel quarto Vangelo ci dice, a più riprese: «Chi crede in me ha la vita eterna», vale a dire: chi crede in me Figlio di Dio, d'una fede viva, unita alla carità, alla pratica dei precetti, ha incominciato la vita eterna. Ed è quanto Gesù dichiara ancora nelle otto beatitudini fin dall'inizio della sua predicazione: «Beati i poveri di spirito, perché di essi è il remo dei cieli; ...beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati; ...beati i puri di cuore, perché vedranno Dio». Che cos'è dunque la vita eterna se non questa sazietà, questa visione di Dio nel suo regno? A quelli che soffrono persecuzione per la giustizia, vien detto in modo particolare: «Rallegratevi ed esultate perché grande sarà in cielo la vostra ricompensa». Troviamo in San Giovanni (17, 3) come Gesù, prima della sua Passione, si esprimesse ancora più chiaramente, dicendo: «Padre, l'ora è venuta di glorificare il Figlio tuo poiché tu gli hai dato autorità sopra ogni carne,

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affinché tutti quelli che tu gli hai dato, ricevano da lui la vita eterna. Ora, la vita eterna è che conoscano Te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo». Lo stesso San Giovanni Evangelista ci spiega queste parole del Salvatore, quando scrive: «Noi siamo ora figliuoli di Dio, ma non è ancora manifesto quello che noi saremo; sappiamo però che al tempo di questa manifestazione saremo simili a Lui, perché lo vedremo così come Egli è». Lo vedremo com'è, e non più solamente per il riflesso delle sue perfezioni nelle creature, nella natura sensibile o nell'anima dei santi che traspariva nelle loro parole e nei loro atti; lo vedremo in modo immediato tale e quale Egli è in se stesso. San Paolo soggiunge: «Ora lo vediamo (Dio) come in uno specchio, in modo oscuro, ma allora lo vedremo faccia a faccia; oggi lo conosco parzialmente, ma allora lo conoscerò come io stesso sono conosciuto» (9) Notiamo, che San Paolo non dice: lo conoscerò come conosco me stesso, come conosco l'interno della mia coscienza. Non v'ha dubbio che l'interno dell'anima mia è da me conosciuto più di quanto possa esserlo da altri; ma ha tuttavia dei segreti per me: non posso misurare tutta la gravità delle mie colpe, direttamente o indirettamente volontarie. Dio solo mi conosce a fondo: i segreti del mio cuore non sono interamente svelati che al suo sguardo. Ora - dice San Paolo - io lo conoscerò (in cielo) come sono conosciuto da lui. Come Dio conosce l'essenza della mia anima e la mia vita intima senza intermediari, così io lo vedrò non per mezzo di alcuna creatura e nemmeno - come aggiunge la teologia - per mezzo di alcuna idea creata. Difatti, nessuna idea creata può rappresentare tale e quale è in se stessa la pura luce intellettuale, eternamente sussistente, cioè, Dio e la sua verità infinita. Ogni idea creata è finita, è un concetto di tale o tal'altra perfezione di Dio, del suo essere, della sua verità o della sua bontà, della sua sapienza o del suo amore, della sua misericordia o della sua giustizia. Ma questi diversi concetti delle perfezioni divine sono incapaci a farci conoscere com'è in se stessa l'essenza divina sommamente semplice, la Deità, ossia la vita intima di Dio. Questi concetti molteplici stanno alla vita intima di Dio, alla semplicità divina, un poco come i sette colori dell'arcobaleno alla luce bianca dalla quale procedono.

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Siamo quaggiù come uomini i quali, non avendo mai veduto altro che i sette colori, desiderano vedere la pura luce d'onde emanano. E finché non avremo veduta la Deità com'è in se stessa, non giungeremo a vedere l'intima conciliazione delle perfezioni divine, particolarmente dell'infinita misericordia e della giustizia infinita. Le nostre idee create intorno ai divini attributi sono come piccoli quadrelli di mosaico che rendono alquanto duri i tratti della fisionomia spirituale di Dio. Quando pensiamo alla sua giustizia, questa può sembrare troppo rigida, e quando consideriamo le predilezioni gratuite della sua misericordia, queste possono apparirci arbitrarie. Riflettendovi sopra, diciamo a noi stessi: ma in Dio giustizia e misericordia si fondono insieme, non v'è alcuna reale distinzione tra loro. È verissimo, e noi l'affermiamo con certezza; tuttavia, non vediamo ancora l' intima armonia di queste perfezioni divine. Per vederla sarebbe necessario vedere in modo immediato, senza il mezzo di alcuna idea creata, l'essenza divina tale e quale è in se stessa. Questa visione costituirà la vita eterna. Chi può esprimere l'immensità della gioia e dell'amore che ne ridonderanno in noi: un amore di Dio forte, assoluto, che niente potrà più, non solo distruggere, a nemmeno diminuire; amore per il quale ci rallegreremo soprattutto che Dio sia Dio, infinitamente santo, giusto, misericordioso; adoreremo tutti i decreti della sua Provvidenza in vista della manifestazione della sua bontà. Ci troveremo immersi nella di Lui beatitudine, secondo la stessa espressione del Salvatore: «Va bene, servo buono e fedele; sei stato fedele nel poco, ed io ti farò padrone del molto: entra nel gaudio del tuo Signore; intra in gaudium Domini tui». Vedremo Dio come egli vede immediatamente se stesso, senza tuttavia esaurire la profondità del suo essere, del suo amore e della sua onnipotenza, e l'ameremo come egli si ama. Vedremo pure Nostro Signore Gesù Cristo, nostro Salvatore. Tale è essenzialmente la beatitudine eterna, senza parlare della gioia accidentale che proveremo nel vedere ed amare la SS. Vergine Maria e tutti i santi, specialmente le anime che avremo conosciute arante il nostro terrestre pellegrinaggio. Garrigou-Lagrange o.p. Le tre eta' della vita interiore - Vol. I LA VITA INTERIORE

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Parte prima- Origine e fine della vita interiore Cap. I- La vita della grazia, principio di vita eterna Conseguenza importante Da quanto abbiamo detto finora, fin da questo momento si ha per lo meno una certa presunzione sul carattere non straordinario della contemplazione infusa dei misteri della fede e dell'unione a Dio che ne risulta. Tale presunzione troverà la sua conferma ognor più in seguito, fino a diventare certezza. La grazia santificante e la carità, che ci uniscono a Dio nella sua vita intima, sono, in realtà, assai superiori alle grazie gratis datae e straordinarie, come la profezia e il dono delle lingue, che sono semplici segni dell'intervento divino e che per se stesse non ci uniscono intimamente a Dio. San Paolo l'afferma in modo categorico. e San Tommaso lo spiega molto bene. Ora, è proprio dalla grazia santificante, detta «grazia delle virtù e dei doni», che tutti riceviamo nel battesimo, e non già dalle grazie gratis datae e straordinarie, che procede, come vedremo, la contemplazione infusa, atto della fede infusa, illuminata dai doni d'intelletto e di sapienza. I teologi sono in generale concordi su tal punto. Vi é dunque fin d'ora una seria presunzione che la contemplazione infusa e l'unione a Dio che ne consegue non siano di per sé straordinarie, come la profezia o il dono delle lingue. E se non sono di per se stesse straordinarie, non si trovano forse nella via normale della santità? V'è una seconda ragione più efficace ancora che deriva direttamente da quanto abbiamo detto: Essendo la grazia santificante, per la stessa sua natura, ordinata alla vita eterna, essa è pure ordinata di per sé, in modo nomale, alla disposizione prossima destinata a ricevere tosto il lume della gloria. Ora tale disposizione prossima è la carità perfetta col vivo desiderio della visione beatifica, vivo desiderio che ordinariamente trovasi soltanto nell'unione a Dio risultante dalla contemplazione infusa dei misteri della

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salute. Questa contemplazione non è dunque di per se stessa straordinaria, come la profezia, ma è qualcosa di eminente, che già sembra ritrovarsi nella via normale della santità, per quanto sia relativamente rara come l'alta perfezione. Dobbiamo inoltre notare che l' ardente desiderio della visione beatifica si trova, nella sua pienezza, soltanto nell'unione trasformante, o unione mistica superiore, la quale perciò non sembra essere fuori della via normale della santità. Per afferrare appieno il senso e il valore di questa ragione, dobbiamo osservare che se vi è un bene che il cristiano debba desiderare ardentemente, è certamente quello di vedere Dio faccia a faccia ed amarlo sopra ogni cosa, senza più possibilità alcuna di commettere il peccato. È chiaro che deve esservi proporzione tra l'intensità del desiderio e il valore del bene desiderato; ora nel caso nostro il valore dell'oggetto è infinito. Dovremmo tutti essere «pellegrini dell'Assoluto», quandium in hoc vita peregrinamur a Domino (2 Cor 5, 6) . Finalmente, come la grazia santificante è di per sé ordinata alla vita eterna, così pure è ordinata ad una disposizione prossima, a ricevere cioè il lume di gloria subito dopo la morie, senza passare per il purgatorio. Poiché il purgatorio è una pena che suppone una colpa la quale avrebbe potuto essere evitata, ed una soddisfazione insufficiente che avrebbe potuto essere completa, se avessimo accettato in modo migliore le pene della vita presente. È infatti cosa certa, che in purgatorio sarà trattenuto soltanto chi ha commesso dei peccati che avrebbe potuto evitare, o fu negligente nel ripararli. Normalmente, dovremmo fare il nostro purgatorio in questa vita, accumulando meriti, e crescendo nell'amore, invece di farlo dopo la morte, senza merito alcuno. Ora la disposizione prossima a ricevere il lume della gloria subito dopo morte suppone una vera purificazione analoga a quella delle anime che escono dal purgatorio, e che hanno un ardente desiderio della visione beatifica. Tale ardente desiderio non esiste ordinariamente in questa vita che nell'unione a Dio proveniente dalla contemplazione infusa dei misteri della salute. Questa ci si presenta quindi, non come una grazia straordinaria, ma come una grazia eminente nella via normale della santità. Il vivo desiderio di Dio, Sommo Bene, che è la disposizione prossima normale alla visione beatifica, è stato espresso mirabilmente da S. Paolo (2 Cor 4, 16 segg., e 5, 1 segg.) : «Anche se il nostro uomo esterno si corrompe, l'uomo interiore si rinnova tuttavia di giorno in giorno... gemiamo sotto questa tenda terrestre, bramando di penetrare nella

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nostra abitazione celeste... ora, chi ci ha formati a questo fine è Dio, che ci ha dato in caparra lo Spirito». E' chiaro che, per trattare come si conviene le questioni della teologia ascetica e mistica, non dobbiamo perdere di vista queste altezze, come ce le fa conoscere la Sacra Scrittura, spiegata dalla teologia dei grandi Maestri. Se vi è un campo in cui dobbiamo considerare gli uomini, non solo come sono, ma come debbono essere, è evidentemente quello della spiritualità. Qui, al disopra delle convenzioni umane, dobbiamo poter respirare liberamente l'aria delle vette più alte. Beate le anime provate che, come San Paolo della Croce, non trovano più aria respirabile se non dalla parte di Dio ed aspirano a Lui con la massima intensità.